L'ARTE RETTO RICA
SPIEGATA
DALL'ABATE
MATTEO LUIGI
SOLDATI AD USO...
Matteo Luigi Soldati
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COLLEZIONE PISTOIESE
R0SSI-CASSI60LI
3IBLIOTECA NAZIONALE
CENTRALE - FIRENZE
e.
j
♦
R. BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE
DI FIRENZE
COLLEZIONE PISTOIESE
RACCOLTA DAL
Cav. FILIPPO ROSSI-CASSIGOLI
nato a Pistola il 23 Agosto 1835
morto a Pistola il 18 Maggio 1890
Pergamene - Autografi - Manoscritti - Libri a stampa
- Opuscoli - Incisioni - Disegni - Opere musicali - Facsi-
mile d' iscrizioni - Sditti - Manifesti - Proclami - Avvisi
e Periodici.
21 Dicembre 1891
-»
/
I
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L' ARTE RETTORICA
SPIEGATA DALL ABATI
MATTEO LUIGI SOLDATI
AD USO DEL SEMINARIO
E COLLEGIO VESCOVILE DI PISTOJA
S DE DIC AT 4
fflO ino
ALL' ILL. E RfcV. MONSIGNORE
FRANCESCO TOH
VESCOVO DI PISTOJA E PRATO
PRELATO DOMESTICO
DELLA SANTITÀ* DI N. S.
PAPA PIO VII.
BD .ASSISTENTI AL SOGLIO *ONTIFICI^vj^Ì3^^
'9
IN PISTOJA 1804.
PRESSO GIOVANNI BRACALI E FIGLIO
STAMPATORI TBSCOTILI.
Co» Approvatine*
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♦
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tuo wo
ILLVSTR. E REVEREND. MONSIGNORE
Jl desiderio sincero di rendermi utile
alla studiosa Gioventù tielf impiego di
Retore , che da non pochi anni ho \#
more d'esercitare nel vostro Seminari^
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e Collegio Pistoiese, IL L USTR ISS. , e RE-
VERENDISS. MONSIGNORE, il rispar-
mio del tempo, che toglie alle quotidiane Le-
zioni la dettatura de' precetti , la facilità
maggiore di studiarli r e d' apprender-
li in libro stampate , che in scritti t
per lo più informi y e ripieni d? errori y
le istanze finahn^e^ * lz brame di
motti , efffi^WÓtfyi , the nf hanno in-
dotto, e determinato ad esporre queste
mie Rettoriche Istituzioni alla pubblica
luce. Non ho però rammentato lo sti-
molo più forte ad entrare in questo per
me troppo critico y e difficile impegno .
La degnazione , onde compiaciuto vi sie*
te di permettere , che questa mia Ope-
retta comparisca fregiata del vostro ri-
spettabilissimo Nome , mi ha sopra tut-
to incoraggiati ; e se dall' animo mio non
ha dileguato affatto il timore , che mi
ha sempre trattenuto dal sottoporla agli
occhj del Pubblico, lo ha almeno dimi-
nuito in gran parte . Il pregio maggio-
re di essa sarà , che Voi rigettata non ne
avete l 9 offerta . Qualunque ella sia, è
vostra , Se non è nata interamente sot-
ti
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V
to i benigni votivi auspicj , da 9 v$stri
ausptcj pero è stata promossa , sotto i
vostri auspicj ha la sorte di comparire
alla luce . Se non piacerà per quello %
che è , piacerà per quello , che dice , e
dirà sempre di Voi . Dirà , se non es-
sere , che la più piccola prova , e P ef-
fetto men rilevante di quella sollecitu-
dine , con la quale riguardando Voi que-
sto vostro Seminario, è Collegio , come
la pupilla degli occhi vostri, visitando-
ne sovente i Convittori, e gli Alunni ,
con tenerezza di padre accogliendoli f
ricercandone con premura i portamenti ,
e gli stndj , soffrendone con pazienza le
debolezze , riprendendone con dolcezza
le negligènze , e i difetti , animandone
con lodi , e con dimostrazióni generose r
e benigne V industria , ben fate conosce-
re , quanto vi stia a cuore la loro Cri-
stiana , civile , e letteraria educazione.
A loro vantaggio unicamente voi me ne
avete in fatti raccomandata più volte r
ed affrettata con tanta premura , e bon-
tà la pubblicazione . Sarebbe desidera-
bile , converrebbe anzi, che alle provi-
ds
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▼I
de vostre intenzioni ella appieno corri-
spondesse . Ma come sperare , ed otte*
ver tanto da me ? Disponetevi , MONSI-
GNORE , all' esercizio di vostra sofferen-
za i se mai in qualche momento più li-
bero dalle gravi, e moltiplici cure del
vostro Pastoral Ministero vi piacerà di
fissare in questo mio meschino lavoro
uno sguardo . V esempio vostro nell* an-
nunziare , come sovente fate , al vostro
amatissimo tregge con semplicità, e di-
gnità insieme la Divina Parola, quale
animata, e più efficace istruzione è mai
ali 9 Ecclesiastica Gioventù di tutte le re*
gole, che prescriver si possono i e che
voti ho trascurato d' accennare in più
luoghi anche intorno alla Sacra elo-
quenza ! Se di Voi troppo indegna ritro-
verete l 7 Opera, che ardisco di consa-
crarvi, valutate almeno f animo, col
quale ne accompagno l' offèrta , pieno
di gratitudine sincera alla bontà singo-
lare , con cut vi degnate non solo di
soffrirmi nell'impiego, che esercito, ma
di farmi ancora oggetto de 9 vostri più
benigni , e da me non meritati 4 riguar-
di
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di . Se ho motivo d 9 arrossire ripeusan-
do alla piccolezza del dono , che vi pre-
sento , mi conf&ta il riflesso , che sarà
esso almeno tìn perpetuo monumento del*
la mia riconoscenza. Pegno di questa
non meno , che della mia più Ut stinta
stima y ed intiera dipendenza , sia in-
tanto l'umile ossequio, e la profonda
venerazione, con cui vi addimando ri-
spettosamente V onore di professarmi
Di VS. Illustriss,, e
Da questo Vostro Seminario, e Collegio
di Pistoja 20. Giugno 1804,
Umiliss. Dcvotiss. Gbhlìgatiss. Serva
MJTTMO SOLDATI %
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r
AVVISO AL LETTORE*
II
ì Trattato intorno tir Arte Ora tori t , che ho fi-
lialmente risoluto di pubblicar con le Stampe, è
quello stesso, che fino dal ttmpo , in cui fui chia-
mar^ all' impiego di Retore in questo Seminario,
e Collegio Vescovile di Pistoia ; incominciai a scri-
vere , e preparando giorno per giorno le opportu-
ne Lezioni proseguii nel primo biennio fino al suo
termine. Di questo ho continuato in appresso a
far uso, tornando più, é più volte a correggere,
2 mutare, ad aggiungere quello, che mi sembra-
va, che più lo richiedesse, per renderlo meno im-
perfetto , e più utile che fosse possibile tlla stu-
diosa Gioventù . lo non pretendo di presentare al
Pubblico nuove idee , e nuove regole intorno all'
eloquenza. Altro proposto non mi sono, che d'e-
sporre con la maggior chiarezza, e brevità il mol-
to, che ne hanno scritto gli antichi Retori, e spe-
ciatmeRtc Aristotele, Cicerone, e Quintiliano , pro-
fittando ancora della spiegazione , che ne hanno
fatta molti fra i moderni , i quali sulle tracce di
quelli si sono con lode occupati d'un sì nobile, e
dilettevole argomento . Taluno forse questa mia Ope-
retta leggendo dirà , che dimenticato mi sono di
questo mio oggetto , allontanandomi troppo dal me-
todo tenuto comunemente da' Retori , e lo dichia-
rerà smentito, e dì! piano di Studj , che secondo
r Albero delle ,Scienze con sì giusto, e profondo
criterio ideato dal cel bre Bacone di Verulamio ,
e più ampiamente esposto dal Sig. D' Alembert *
prc-
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A IX
presento anticipatamente ài Giovani studiosi nelP
jntrodurmi a parlar loro de' Luoghi Oratorj , e
dal breve trattato di Logica , che ho creduto ne-
cessario inserire nel Capitola , clic riguarda 1* Ar-
gomentazione , ò 1* arte d' esporre le ragioni, e
le prove nella parte dimostrativa dell' Orazione .
Se prendessi io stesso a liberare da ogni cen-
sura un tal metodo , potrei con ragione temere t
che di non molto peso esser potesse nell* animo de'
Leggitori la mia giustificazione v CB[i per altro non
si sottoporrà di buon . grado in slitte; materia al
giudizio di Cicerone? Parli egli adunque 3 get ; njwU
e dica egli stesso, altro non aver' io fatto , che se-
guir le sue orate, e ripeter quello, che in pia
luoghi delle sue Opere egli mtdesimo ha insegna-
to . Io ho detto, che lé Arti » e le Scienze sono ì
veri fonti dell' eloquenza . Posto come incontrasta-
bile , e certo questo principio > io doveva almeno
accennare ai Giovani , a quali studj debbonsi con
diligenza applicare per divenire un giorno perfetti
Oratori. Ed il gran Retore, il grand' Oratore , il
gran Filosofo di Roma non ha forse fatto lo stésso ?
Senza riandar tutto ciò, ch'egli dice intorno alla
-dottrina , t alla scienza, di cui esser dee l'Ora-
tore copiosamente fornito, nel primo Libro della
sua eccellente ,. e più completa Opera intorno all'
Oratore, ascoltisi quello , che ripete nel suo Li-
bro intitolato VOntore. „ Nec vev Dialecticif
ìn^do sit instrtictus , sed babrat omnes pbiiosopbiae
notos , et tractatos locos fctbil enim de religione ,
% uibil de morte y uibil de pietaté , nibil de ebari-
% tate patrie , uibil de bouis rebus aùt maiis , nibil
de virtutibtts , aut vitiis , nibil de officio , nibil de
dolore , nibil de vaiuptate, nibil de perturbationthus
animi , et erroribus, que sepe cadttnt in cans.ts, Sed
jejtìtiius agùntur \ uibil , /» quatti , si né ta scieniìd %
quam dixi , gravi ter , ampie, copiose dici , et eX-
f l'icari potett . . . Sé pbysicorum quidtm ignarum
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I
€ sse voU . Ornata profecto , eum se a caele-
itibus rebus t'eferet ad bumauas , excelsius >
magnìficentiusque , et dicet , et sentiet . Cum-
que ili a divina co g noveri t , nolo , i gnor et ne
haee qui dem bimana . Jus civile teneat , qu9
§gent causae forehses quotidie .... Cognoscat
etiam rerum gestarum , f# memoriae veteris
ordinem , maxime scilicet nnstrae civitatis
Commemorati^} autem avtiquitatis , exemplorum-
que protatio summa cUm dclectatione , et au*
ctóritatem crathni affert . et fidem . „ Ed in
tltro luogo abbracciando sorto il solo nome di Fi-
losofia le Scienze tutte , così si esprime:,, Positum
sit ìgttur in primis , quod post magis intellige*
tur, sine philosopbia non posse effici , quem quae*
rimus , eloqttentem .
E se giudica Cicerone così necessaria all' Ora-
tore la Filosofia, che presso di lui suonano lo stes-
so questi due Nomi Filosofo , ed Oratore , e nel
terzo Libro della citata Opera per bocca di Crasso
altamente si duole di quei Filosofi, che dall'arte
Oratoria* la separavano, e rei gli dichiara di tur-
bato . ed usurpato possesso per avere espulsi i Re-
tori dalla Provincia Filosofica: „ Nestra baec . ...
emnis ista prudentiae , doctrinaeque possessio , in
quam bomines quasi eaducam , et vacuam , abttn-
dantes otio , nobis occupa tis , involaverunt ; ed
in altro luogo : -, Sed quoniam de nostra possessio-
ne depulsi in parvo , et co litigioso praediolo re-,
lieti sumus , et aliorum patroni nostra tenere »
tuerique non potttimtts , ab iis ( quid indignisi
sinium est ) qui in nostrum patrimonium irru*
Perunt , quod opus est nobis , mntuemur ; „ re*
sra del pari giustificato da lui il mio compendioso
Trattato di Logica , ò di Dialettica , la quale apre
la via, e prepara all'eloquenza non meno, che
alla Filosofia. Chi può infatti acquistarsi il nome,
e la gloria di buon Dicitore , se non è buon Dia-
let-
/
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lettlco* L'afte di fcen parlar* suppone l'arte di
|>en pensare Non è possibile , che nel ben parlar
si distingua, chi l'arte ignora di rettificare là
mente nelle sue idee, ne* suoi giudizi, ne' suoi
raziocini , nel metodo di dimostrare . Con ragione
perciò nel Libro intitolato l'Oratore Cicerone in-
segna, che la Dialettici ha una stretta affinità, e
relazione co*n Parte Oratòria, e che V Oratore
chiamar h dee in soccorso della medesima .,, Es-
se igìtur perfecte ehqaentis ptito , non eam so-
lum facilitatevi < quae sit ejus propria , fa se , Ia :
teqae didèidi , sed ettam vicinato cjus , atqìte fi-
nitimam Dialecticorum scienti am assumere. ,,
Chi potrà inoltre a buona equità condannare
la separazione, che ho fatta, delle figure di Sen-
tenze dalle fisure di paróle , dando luogo a quel-
le nella prima parte, ove degli affetti sì parla , ri-
sei bmdo queste alla terza parte, che riguarda V
elocuzione? Non è ella certamente conforme allo
Stile della maggior parte de* Retori . Io però non
credo, che dar si possa un'idea più giusta delle
figure di sentimento che riguardandole, come il
linguaggio naturale de' nostri affetti . Sono ess* il
vario tuonò , e direi quasi Y aspetto , e ri colore ,
che U passione coerentemente al suo genio placi-
do ò impetuoso . sommesso ò ardito . aspro Ò
gentile, nobile ò abietto, lieto ò mesto, dolce
| ripentito , pietoso ò ctudele da al discorso , co-
sicché il cuore umano diversamente commosso im-
ene IO TO ai ian "5"^-» * > p -
esempi tratti per l'uno, e per l altro oggetto dai
migliòri, e più passionati Scrittori daranno , io spe-
to , il maggior grado dr verità al mio sentimento.
I Libri finalmente dr Cicerone intorno all'
Oratóre, e V altro, che ha per titolo /' Oratore a
Mrnto da me ài sepra rammentati mi hanno fervi*
CO
XII
to ancor di modello iteli* esporre , come in tante
Dissertazioni , ed in tanti continuati ragionamen-
ti i precetti dell'arre Oratoria, per isfuggire ,
quanto si poteva l'aridità, e la noja , che Arrecar
suole una maniera affatto digiuna, e Scolastica.
Quanto in ciò, co ne in tutto il rimanente dell'
Opera io sia riuscito, ne lascio il giudizio al Pub-
blico disappassionato, e sincero. Se arrò la sorte,
che ella sia benignamente accolta, e giudicata non
iff.tto ind °na della pubblica luce, prenderò co-
raggio a sottoporre a suo tempo al comune giudi-
zio anche V Arte Poetica / condotta essa pure da
me quasi al suo termine . Dovrei certamente ar-
rossire di questo mio ardito disegno , ripensando
a' bei Trattati intorno all'eloquenza comparsi, e
. in Italia , e fuori d' Italia modernamente alla luce,
tra i quali meritano special menzione le Lezioni
intorno all' Arti- Rettorica d' Ugone Blair, celebre
Professore di Belle Lettere nell' Università d' Edim-
burgo , le più atte a far concepire dell'eloquenza
la più nobile idea, e ad ispirare il vero, e sodo
gusto, dettate dalla più giudiziosa cririca , ricche
della più profonda , e più ragionata Filosofiate
che ai più interessanti precetti uniscono la manie-
ra più facile di metterli in pratica; riè s'attri-
buisca a mancanza di stima verso di sì ecrellente
Scrittore, ma ad un diverso aspetto, in cui ho
forse poco avvedutamente riguardate le cose , se
dal suo sentimento mi sono talvolta allontanato.
Mi ha animato il giudizio non svantaggioso,
che hanno fatto della mia Operetta due de' più
insigni , ed eruditi Uomini de' nostri tempi . Uno
di questi è il P. Carlo Antonioli delle Scuole Pie ,
Professore di Belle Lettere nell'Università di Pisa,
la di cui perdita pochi anni addietro seguita non
sarà mai deplorata abbastanza. Ben volentieri io
nomino un sì illustre , e virtuoso Soggetto con
sentimento non solo di stima, e d'onore, ma di
do-
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XIII
dovuta riconoscenza eziandio per aver non solo
con la missima sofferenza, ed esattezza letti i
miei scritti, ma per avermeli accompagnati an-
cora con le più giuste, e savie osservazioni, le
quali sono a me servite di rególa per renderli
meno difettosi , e meno indegni della pubblica lu-
ce . L'altro è il Padre Maestro Giuseppe Maria
Pagnini , il quale pure professa le Lettere Greche,
e l'eloquenza nell'Università di Parma con tanto
lustro, e splendore non meno di quella , che di que-
sta nostra Città, che è pure sua Patria. Il solo suo
nome tien luogo di qualunque più magnifico elo-
gio . Siami dunque permesso non a mia gloria , ma
a decoro di sì insigne Educatorio, quale è srato
sempre, ed è questo Collegio, e Seminario Vesco-
vile di Pisroja , ad uso del quale è stato composto,
ed ora si pubblica con le Stampe il mio Libretto,
di riportar qui la Copia genuina delle Lettere,
onde si compiacquero essi d'onorarmi, dopo aver-
lo letto nella maniera , che dalle medesimi Lette-
re chiaramente apparisce .
KIT
LETTELA DFL P. CARLO ANTON IO LI
DELLE SCUOLE PIE.
N.
ella Settimana passata non potei , come desU
derava , rimandare a VS. Riv. per mezzo del no-
stro Sig Rettor Comparini i due Tomi delle sue
belle Istituzioni Retoriche , essendone stato impe-
dito da alcune domestiche nostre Funzioni . Le ri*
mando in questa , e le rimando accompagnate dalle
più sincere congratulazioni che le fo , e ripeto per
questa letterario lavoro , il quale escendo alla pub-
blica luce le farà senza dubbio onore, e la farà
conoscere per una persona ben fondata , e nelle
Belle Lettere , e nella buono Filosofia Giacche el-
la mi stimolo a farlo , mi sono presa la libertà di
notare alcune cosarelle in un foglio , che ella tro-
verà piegato dentro al secondo Tomo. Ella ne farà
quel caso , che crederà a proposito ; intanto peri
conoscerà dal medesimo , che io con tutta l* atten-
zione ho letti ambedue i Tomi , e che con tutta l*
sincerità le dico il mio sentimento , qualunque sia-
si . La prego per mia quiete a darmi qualche ri*
scontro d % aver ricevuto il Plico , ò Involtino ; Le
r innuovo le mie congratulazioni , e le offerte della
mia debole set vith , e con tutta la stima , e rispct*
$0 passo a confermarmi
Di VS. Riv.
S. Giovannino. Firenze 18. Settembre 1794.
Dcvotiss , ed Obbligatiss. Servitore
CARLO ANTONIOLI delle Scuole Pie.
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»
XV
LETTERA DEL PADRE MAESTRO
GIUSEPPE MARIA P AGNINI
Ex - Provinciale Generale de' Carmelitani .
T
X-/ m ristrettezza del tempo , e le molte distrazio-
ni , e incombenze sopr aggiuntemi ve' pochi giorni di
mia dimora in Pistoja dopo il ritorno da Lucca
non mi permiser di leggere altro , che il primo de*
due Tometti da lei favoritimi del suo Trattato su
t eloquenza . Con gran piacere osservai i più giu-
sti , e i più importanti precetti di quest\ Arte da
lei esposti elegantemente , giudiziosamente concate-
nati , e rischiarati opportunamente con V uso , che
ne hanno fatto i più valenti Scrittori delle due lin-
gue Latina , e Italiana . Sopra tutto m' ban diletta-
to le osservazioni da lei fatte su le Operazioni deh
la nostra mente , su V arte Critica , e sul linguag-
gio delle passioni . Le più solide regole della Logi- ■
ca , e della Metafisica vi si trovano dichiarate in
una maniera facile , e ben adattata all' intelligen-
za di quelli ancora , che non sono assuefatti al lin-
guaggio della Filosofa . Molte Dottrine poco , o
nulla comuni ho qua , e là riscontrate nella sua
Opera , e quelle , che sono comuni , maneggiate da
lei acquistano una cert* aria di nuovità , ò per rap*
porto all' ordine , ò per rapporto alla maniera d 1 e-
sporle . Io son rimasto col desiderio di leggere per
intero , e con maggior posatezza questo suo dotto ,
ed ingegnoso lavoro , e frattanto co* più si acori sen-
timenti di stima mi protesto
Di VS. Illustrisi.
Firenze 19. Ottobre 119 A-
Dhotisf , e Obbligatisi Servitore
GIUSEPPE MARIA P AGNINI Carmelitano . .
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s
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PREFAZIONE,
La celebre questione da Orazio accenna^
ta nella Lettera, che indirizza ai Pisoni, e.
nella quale prende ad esporre le più sode
regole di ben poetare , se cioè più contribui-
sca T arte , ò la natura a formare un ot-
timo Poeta „
Natura ficret laudabile carmen, ari arte,
Quaesaum est ,
sembra eziandìo opportuna , allorché si
tratta di rintracciare la vera origine
dell' Eloquenza , ed il moda di forma-
re un ottimo Oratore. Nello scioglier però
anche nel caso nostro una simil questione,
allontanar non ci dobbiamo dal giudizio d' un
Poeta sì grande, il quale soggiunge : „
tgo nec studium *ine aivite vena,
Nec rude quid possit, video, ingenium: alterius sic,
Altera poscit opem res , et conjurat amìce *
Un arte al certo non è V Eloquenza,
nè per ammaestramento , nè per via di pre-
cetti s' acquista . Ella è un dono della na-
tura , è un' talento spontaneo, è un impe-
to, un fuoco, un incendio dell' anima (di-
ce il chiarissimo Abate Bettinelli nella sua
Introduzione allo studio dell' Eloquenza) e
non da' precetti de' Retori, nè dalle rego-
le , ma da una certa ispirazione, da un'in-
timo sentimento, da una profonda commo-
zione della mente , e del cuore riconosce i
B trac-
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fi
tratti sublimi, co' quali negli altrui animi
altamente s' insinua, e ne trionfa . Può dun-
que T Eloquenza star senza 1' arte; anzi
talvolta senza di quella meglio si sta. Con-
viene perciò T Eloquenza distinguere dalla
Bettorica, come Cicerone distingue sempre
f Oratore dal Retore , un maestro del ben
dire da un uomo facondo, ed eloquente.
Sembra esser la Hettorica riguardo all' Elo-
quenza quello, che è la Poetica riguardo
alla Poesia, lo strumento al suono, T arte
riguardo alla natura. Erano di ciò persuasi
quei medesimi, che del ben dire tramanda-
rono a noi scritte le regole. Dice infatti
Cicerone , che non 1' Eloquenza dall' arte , ma
T arte dall' Eloquenza la sua origine rico-
nosce. Lo stesso afferma quasi colle mede-
sime parole nel III. Libro delle sue Orato-
rie Istituzioni Quintiliano : w Initium dicendi
dedit natura, initium artis cbservatio » . Che
altro infatti sono i precetti Rettoria , che
giudiziose osservazioni fatte da Uomini sag-
gi sopra i discorsi de' più insigni Oratori ,
le quali poi sono state in forma di canoni,
ò di regole ordinate , e disposte per facili-
tare la via, che all' Eloquenza conduce?
Non andrebbe a mio parere lontano dal vero,
chiunque asserisse, che gli aurei precetti in
molte > e diverse sue opere da Cicerone a
noi tramandati , furono piuttosto frutto delle
attente osservazioni , eh' ei fece sulle Ora-
zioni de' più eccellenti Oratori della Grecia
c del suo grand' esercizio nel perorare , che
delle
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delle Istruzioni ricevute dai Retori . Dal chà
facil cosa è il comprendere, quanto sia da
preferirsi ai precetti la lettura de' buoni
Scrittori, senza la quale la Rettorica diver-
rebbe sterile e muta, vero essendo ciò,
che osservò Quintiliano, aver cioè maggior
efficacia gliesempj, e la pratica, che i pre-
cetti : y) In omnibus fere minus valent praece-
pt a , quam experimenta ». Non vi rechi ma-
raviglia pertanto , o Signori , se di ciò per-
suaso, quanto nel dirigervi all' \eloquenza
sarò breve ne* precetti, altrettanto mi stu-
dierò di mostrarveli messi in pratica dai
migliori Scrittori, che si andranno conti-
nuamente, e con attenzione leggendo, si-
curo, che maggior frutto da un tale eserci-
zio raccoglierete di quello, che da un nume-
ro grande di precetti anche bene intesi , ed
imparati possa a voi derivare.
Sebbene però le qualità, e le disposizioni
naturali sieno il principal fondamento dell'
Eloquenza , e sole bastino talvolta a forma-
re un buon Oratore , non può negarsi per
altro, che di non piccol vantaggio sia T
arte Rettorica. » Io non pretendo certamen-
« te d* asserire (a) (*dicc un moderno Ingle-
se
^=^=m=rr=: z=z 1 =zr=«
(a) Ugo Blair Lez. I. che serve cT introduzione
alla sua eccellente Opera intorno alla Rettorica , o
alle Belle Lettere, tradotta, e comentata da Fran-
cesco Soave, ò per dir meglio ridotta all' uso, e
al vantaggio della letteratura Italiana senz.i stare
in molti luoghi attaccato ad una intiera , e lettera-
le Traduzione .
4
» se Scrittore ) che le sole regole Rettoriche ,
99 per quanto giuste elle sieno, possan ba-
w stare a formare un'Oratore. Supposta una
95 buona dose di naturale ingegno , la feli-
95 ce riuscita dipenderà assai più dall' ap-
55 plicazione, e dallo studio privato, che
,5 da qualunque sistema d* istruzione, che
95 dar si possa pubblicamente. Ad ogni mo-
95 do sebbene le regole , e le istruzioni non
55 valgano a fornir tutto quello, che si ri-
O A,
55 chiede, possono tuttavia recare mo 1 rissi-
95 ino giovamento; se non ponno infonder
95 T ingegno, posson dirigerlo, ed ajutarlo ;
55 se non sanno rimediare alla povertà , san
55 correggere la ridondanza. Esse accennano
55 gli opportuni modelli da imitarsi : metton
55 sott' occhio le principali bellezze, che
5, debbonsi studiare, e i principali difetti,
55 che vogliono esser fuggiti, e con ciòten-
,5 dono ad illuminare il gusto , ed a con-
55 durre T ingegno da* suoi traviamenti sul
55 retto sentiero. 55 Quando adunque altro
vantaggio dallo studio delle regole non si
ricavasse/che quello d' imparare la manie-
ra di leggere con profitto le opere de* più
beli' Ingegni, tutta meriterebbero la nostra
attenzione, e diligenza. Come in fatti pos-
simi ci sarebbe lo imitarli nelle nostre com-
posizioni senza penetrare il loro spirito
senza conoscerne le bellezze , T ordine , la
forza, e 1' artifizio, il quale è , ed esser dee
sempre nascosto? Come ottener ciò senza
la scorta di coloro, che nella lettura degli
Scrit-
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Scrittori ci hanno preceduto, ed avendone,
per dir così, estratta l'essenza, e lo spirito,
r hanno a noi ne' precetti manifestato ?
Allo studio pertanto di tali precetti ,
che sulle tracce oV Aristotele, di Cicerone,
di Quintiliano intraprendo a spiegarvi, vi
muova il grandissimo, ed interessante frut-
to, che vi promettono, d' aprirvi, e di fa-
cilitarvi la via all' Eloquenza, a quella
Eloquenza , della quale niente con ragione
ravvisa Tullio, né di più ammirabile, nè
di più eccellente. w Ninna cosa (dice egli
55 nel I. Libro dell' Oratore , introducendo
55 Crasso a parlare ) niuna cosa sembrami
n tanto pregevole, e vantaggiosa, quanto
99 la virtù , e 1' arte di mantenere nell'
w unione, e nella concordia le società, e le
55 radunanze degli Uomini , di volgerne
99 ovunque piaccia, i voleri. Qual cosa vi
95 ha d' ammirazione cotanto degna, quan-
, 5 to che nella infinita moltitudine degli
99 Uomini alcuno si trovi , il quale ò solo,
, 5 ò con altri pochi far possa quello, chea
99 tutti è stato dalla natura concesso? Che
,5 di più dilettevole , e grato alle nostre orec-
, 5 chic, ed al nostro intendimento d' un
99 parlare pieno di sodi, ed utili sentimen- .
9? ti , e per gravi, e leggiadre espressioni
,5 elegante, ed ornato? Qual cosa sì splen-
99 dida, sì nobile, sì liberale, quanto ai sup-
55 plichevoli porger soccorso , dall' abbatti-
55 mento, e dall' oppressione altrui solleva-
« re, ad altrui recar salvezza, liberar dai
pe-
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K pericoli, contenere gli uomini nei doveri
55 della vita sociale, e civile? E chi non
» si adop era con tutta la premura, per
55 sollevarsi al di sopra degli altri uomini
a col mezzo della Eloquenza, di quella Elo-
55 quenza, che agli animali tanto superiori
» ci rende , e da essi in modo particolare
55 ci distingue, di quella Eloquenza, che
55 gli uomini richiamò dalla rozza, e sel-
95 vaggia vita ad ut. viver colto , ed urna-
55 no; dispersi gli riunì ne* Castelli, é nel-
55 le Città, e per loro tranquillo, e pachi -
95 co governo stabilì giudizj, dettò leggi,
55 diritti prescrisse? 55 Che se a questi, ed
altri importanti oggetti espressi nel citatò
libro da Cicerone quelli si aggiungano più
nobili, ed interessanti, ne' quali a' tempi
nostri impiegasi per lo più V Eloquenza ( se
pur non vi sia, chi biasimevole abuso ne
faccia, ad oggetti opposti, ed indegni rivol-
gendola) di promuovere la Religione, ed
inculcare le sante verità, che eia ne inse-
gna , d' animare alla virtù coli' elogio iel-
la virtù medesima, e di coloro, che mira-
bilmente la praticarono , di zelare 1* onore
di Dio , e la salute dei prossimi , di dar lus-
tro alle utili arti, ed alle scienze; chi ali*
acquisto di essa non sentesi grandemente
infiammato ? 55 Proseguite adunque , ( vi di-
55 rò con Cicerone) ottimi Giovani , V intrà-
55 presa carriera, e a quello studio, cui fi-
fe volte sono le vostre mire , con impegno
55 applicate , per essere un giorno alla Patria ,
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D ed a voi stessi di decoro * e vantaggio . #
Formi r Eloquenza la vostra gloria, e
le vostre delizie, come lo fu degli uomini
più insigni in tutte le eulte, e ben rogola-
te Citta. Con le altre arti, e con le scien-
ze dall' Asia, e dall' Egitto passò nella Gre-
cia. Con le arti, e colle scienze vi andò
essa del pari ne' suoi progressi. Il libero
• governo della Grecia esser non poteva più
adattato a condurla ben presto alla sua per-
fezione. Atene, la prima, e la più insigne
•delle Greche Città , fu anche il luminoso te-
atro, in cui si distinsero tanti Retori, e
tanti Oratori . Senza parlar di Pisistrato, che
con la forza del suo dire si fece strada al-
la sovrana potenza, fu Pericle assai famoso
non solo per la sua singoiar perizia nell*
armi, e nella politica, ma per la sua ro-
busta eloquenza eziandio , talché fu chiama-
to col nome d' Olimpio, perchè col suo fa-
vellare tuonava al pari di Giove . Lo segui-
rono Cleone, Alcibiade, Crizia, e Terame-
ne, illustri Cittadini d'Atene. Una troppo
studiata, ed artificiosa Eloquenza introdus-
sero, e fomentarono fra i Greci alcuni Re-
tori , i quali vennero dalla Sicilia, e sorse-
ro anche in Atene, chiamati ancora Sofisti,
un Corace, un Tisia, un Lisia, e di tut-
ti il più celebre Gorgia Leontino,di cui fu
discepolo lo stesso Isocrate , e 1' Eloquenza
decadde non poco dalla sua antica robu-
stezza , e maestà, cosichè d'Isocrate istesso
lasciò Cicerone, benché appassionato per lui,
e
<
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e forse troppo amante» e troppo imitàtòrè
del di lui stile pieno, ed armonioso, questo
giudizio: , 5 Pompae magi* quam pugnae aptior; ad
voluptaum aurium accommodatus potius, quam
ad udiciorum certamen n A far rivivere la ma-
schia Eloquenza di Pericle era riserbato De-
mostene. Parlava egli la lingua di tutti;
rioniva i caratteri, ed i pregi degli altri
Oratori, il patetico d 1 Antifonte, la chia- ■
rezza, e la semplicità d' Andocide, la sot-
tigliezza di Lisia, la soavità d' Isocrate,
la magnificenza d' Iseo , V acutezza d' ìpe»
ride, la copia, e l'armonia d' Èschine, suo
emulo, il vibrato di Licurgo, il veemente
di Dinarco, 1' affettuoso di Demade, il tuo-
no di Pericle, anzi tutti gli superava .» Unus
Demonsthents ( dice perciò compendiando Ci-
cerone nel' tiruto il suo Elogio ) eminet inter
omnes omni genere difendi . » Passate le scien-
ze, e le arti dalla Grecia nel Lazio, vide
Roma per il £enio de' suoi Cittadini , degli
Àntonii, de' Crassi, de' Sulpicii, dei Cotta,
de' Pisoni, de' Lentuli, degli Ortensii, de'
Cesari, e soprattutto di Cicerone rinnuovà-
ti i secoli felici di Pericle, e di Demoste-
ne. Aureo, e felice fu egualmente per 1 Ita-
lia il secolo XVI. dopo che il Dante, il Pe-
trarca , il Boccaccio ebbero dissipate le te-
nèbre , nelle quali avea tenute sepolte le
lettere la barbarie degli Alani , de' Goti ,
de' Vandali, de' Longobardi, e d' altre na-
zioni, che la inondarono. Con quanto mag-
gior ragione ripeter si può della Casa di
Lo-
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Lorenzo de Medici d immortale memoria
elicilo, che Cicerone disse della scuola d*
trocnre » cwus eludo, tamquam ex equo Tra-
ja> o innumeri princìpeè e.vierunt n ! Diven-
ne essa il tempio delle M.'se aperto ai più
valenti nomini di quell'età, che vi si aduna
vano. Celebri tra questi sono Cristoforo Lan*
divo, Angelo Pollano, Laonico Càlccndila,
Manilio Ficino, Ermolao Barbaro, Gio.Pico
Mirandolano, Gio. Cesare Scaligero, è per
tacere i moiri altri, Piero, Giuliano, e Gio-
vanni de' Medici ( il quale fu poi Sommo
Pontefice col nome di Leon X.) figli dell'
i •
istesso Lorenzo, e suoi generosi imitatori
nel proteggere le Lettere, e i Letterati.
$ Al Hemb» però, ed al Casa { dice il Sig.
Giardini nella Prelazione erudita alla sua
Rettori, a ) dee la sua maggior perfezione la
nostri lingua , e se /' uno ravvivò il Petrar-
ca , e il Boccaccio nella purità, ed eleganza,
del suo scrivere, /' altro Je rinascere nel se-
no della Toscana la vera Eloquenza (V Ate-
ne, e di Roma. A questi vennero in seguito
Jacopo Sadoleto , Piero Vettori 9 Latino Latini ,
Albert* folli), Bartolomeo Cavalcanti, Ales-
sandro Miiorbetti, Luigi Alamanni, i Ma-
nuzi', i Murai, i Tassi, i Sanazari, i Buon-
mattei, i Tolomei, ed altri innumerevoli, e
dopo qualche tempo un Zappi, un Menzini,
Un Lorenzini, un Salvini, un Lazzerini , un
Facciolati, un Volpi, un Maffei , un Gravina,
un Z annotti, e cento, e mille altri, che vis-
sero, e vivano anche al presente per gloria ,
e
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IO
t decoro delle Muse Italiane »
La memoria di queste Epoche fortuna-
te per ogni genere di Letteratura non me-
no» che per T Eloquenza , le quali io per bre-
vità mi contento d' avervi semplicemente
accennate , quale stimolo esser dovrebbe per
voi , e per tutti i Giovani ad applicarsi con
tutto T impegno allo studio di essa per pre-
venire, ed allontanar le fatali vicende, a.
cui è andata molte volte, e per lungo tem-
po soggetta, e delle quali sembra, che pur
troppo sia di nuovo minacciata dal poco
conto, e studio , che comunemente si fa
delle dotte Lingue della Grecia, e del La-
zio non solo, ma della nostra medesima
Italiana favella.
Che
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Oze cosa sia la Rettorica , quale ne sià
il fine , la materia , V ufizio ,
le parti .
JLj insegnamento di Cicerone, che di qua^
lunque cosa ragionamento si tenga, prima
di tutto se ne determini, e se né spieghi,
per mezzo d'una esatta definizióne la na-
tura, ò per meglio dire, le distintive qua-
lità, e così dalla mente di quelli, che ci
ascoltano, qualunque dubbio, ed oscurità
si rimuova. Un tal precetto seguendo io
11 eli' incominciare a parlarvi della Retori-
ca, a consideraré brevemente, ed in gene-
rale, che cosa ella sia, richiamo la rostra
attenzione .
La Rettorica pertanto, se la forza , ed
il significato di questo vocabolo si ricerca,
è una voce derivante da Greco* verbo,
fche significa parlare . Non sarebbe ben de-
dotto un tal vocabolo da altro verbo Greco'
che al Latino jluo , ed al nostro Toscano
scorrere corrisponde. Ma se giusta fosse
una tale derivazione, esser non pò-
treb-
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12
irebbe più adattata a spiegarci la natura
dell'Arte, che a ben parlare ne in-egna.
Infatti risveglierebbe in noi l' immagine del-
la fluidità, della limpidezza, del moro,
della copia delle acque d'un fiume, e a
meraviglia ci adombrerebbe le qualità d*
un ornato, elegante , e persuasivo discorso.
Se poi per mezzo d'una esatta definizione,
desiderate di sapere, che cosa sia in *e
medesima la Rettorica, vi dirà Cicerone,
che ella è C arte di parlare : Che è /' arte di
ben parlare, vi d.rk (Quintiliano: v'insegne-
rà Aristotele, esser V arte di vedere, ò di
ritrovare ciò, che in ogni ma- cria, ò argo-
mento è arto a persuader l'Uditore. Esamina
Quintiliano le varie definizioni dare di
quest'arte dai Retori, e senza eccettuare
quelle d'Aristotele, e di Cicerone tutte le
giudica poco esatte, e poco adattate a dar-
ci una giusta idea di quest'arte medesima.
Quantunque ineriti d'essere approvata la
definizione di Quintiliano, io però non ose-
rei d'asserir col medesimo, che poco es ir-
tamente sia stata definita da Cicerone la
Rettorica, chiamandola l'arte dì dire, se il
dire, come spiega Cicerone istesso, altro
non è, che parlare con nobiltà, con sodez-
za di sentimenti, con facondia, con ele-
ganza. Più esatta ancora, e più chiara mi
sembra l'idea, che ce ne dà Aristotele , di-»
cendo, esser Carte, che insegna a vedere ,
ò ritrovare ciò , che in qualunque materia è
atto a persuadere.
In-
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Infatti sebbene a prima vista sembri,
che una tale definizione non comprenda
tutto quello, che è proprio della Rettorica,
ma ne esprima soltanto una parte, vale a
dire T Invenzione , la quale disgiunta dall'
Elocuzione, come ben riflette Quintiliano,
non può t'ormare un discorso; pure, se at-
tentamente si esamini, niuna cosa avremo
da desiderare in questa definizione. Due
sono le cose, che in qualunque esatta de-
finizione, secondo il commi parer de' Filo-
sofi esprimer si debbono, il Genere cioè, e
la Vi '/e re n za . // Genere altro non è se non
una proprietà universale, che la cosa defi-
nita ha di comune con tutte le altre dello
stesso genere. Quello poi, che è proprio
soltanto della cosa definita , e che da tutte
le altre dello stesso genere la distingue,
Differenza s'appella. L' una , e l'altra veg-
gonsi a maraviglia espresse nell' accennata
definizione d'Aristotele, il quale, quando
chiama la Rettorica un Arte, dimostra,
che la Rettorica appartiene al genere delle
arti, raggirandosi, come le arti tu: te, in-
torno alle Regole, ed ai Precetti di bene
imitare la Natura , e in ciò distinguendosi
dalle scienze, le quali fondate sono nelle
cognizioni, che per mezzo dei sensi , ò per
via di riflessione, e di raziocinio si acqui-
stano. Quando poi aggiunge essere la Ret-
torica r arte di vedere , e ritrovar ciò , che in
qualunque materia atto sia a persuadere ,
quello esprime, che è proprio solo della
Rei-
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Rettorica, e che da tutte le arti la distin-
gue , non eccettuata la Poesia, la quale,
sebbene abbia con 1 arte Orator.a una stret-
tissima relazione, pure ella è dalla medesi-
ma molto diversa, proprio essendo del Poe-
ta il rappresentare, e dipingere soltanto il
vero, dell* Oratore il persuaderlo. Che poi
una tale definizione sia anche universale,
ò comprenda tutto ciò, che è proprio di
quest'arte, nè alla sola Invenzione si ri-
stringa, come vuol Quintiliano, facile co-
sa ci sarà il conoscerlo, qualora si rifletta,
che vedere , e ritrovar tutto e lo stesso , che
niuna tralasciare di quelle cose, che a que-
st'arte appartengono. Infatti per formare
un'ordinata, e compita Orazione, non solo
è necessario, come Cicerone medesimo in-
segna, che T Oratore ritrovi le sentenze, ò
le co*e, ma l'ordine ancora, con cui dee
disporlc, ma le parole istesse, colle quali
esprimer le dee, perchè tutta la bramata
impressione facciano nell'animo dell'Udito-
re. E perciò quando Aristotele definisce la
Rettorica V arte di vedere, òdi ritrovar ciò,
che è atto a persuadere, non alla sola In*
venzione la limita, ma vi comprende, eia
Disposizione, e l'Elocuzione, e quant' altro,
per un ben tessuto ragionamento abbisogna.
Nè meno chiaramente dalla stessa de-
finizione, apparisce, qual sia della Rettori-
ca il fine, quale Tufizio, quale la mate-
ria. Imperocché essendo la Rettorica l'ar-
te di ritrovar ciò, che è acconcio a persua-
de-
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%
dere, è manifesto altro non avere ella in
vista, che di formare un'ottimo Oratore,
un' Oratore cioè , il quale parli in modo,
che coloro, i quali lo ascoltano, restino in-
timamente persuadi, di quanto ad essi pro-
pone. A questo fine debbono pure essere ri-
volte dall'Oratore tutte le mire, il quale
allora potrà lusingarsi d' avere dell' Oratore
adempiute le parti tutte, e i doveri, quan-
'do giunto sia a persuadere col suo parlar
gli Uditori. Otterrà egli poi il suo intento
coli' istruire , col muovere, col dilettare.
Istruirà colle ragioni, e con le prove, muo-
verà amplificando le ragioni stesse, e le
prove, e maneggiando con arte gli affetti,
diletterà coli' eleganza , e colla proprietà
dello stile. Questa persuasione dovendosi,
secondo la definizione d'Aristotele, avere
in vista , e procurare dall' Oratore in qua-
lunque argomento, ne segue da ciò, che
tutto può esser materia della Rettorica.
Materia d'un' arte dicesi infatti tutto ciò,
intorno a cui l'arte istessa si raggira. Es-
sendo pertanto la Rettorica l'arte di ben
parlare , ò di parlare con persuasione , e
ciò far potendosi in qualunque materia , ò
argomento, è manifesto, che qualunque
questione, che venga proposta a trattarsi,
può esser materia dell' Arte Oratoria . Lo
stesso in più luoghi delle sue opere inse-
gna Cicerone , ma specialmente nei Libri
dell'Oratore dicendo, che la facoltà, e la
professione Oratoria sembra richiedere , che
di
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di tutto ciò , che venga ali 1 Oratore propo*
sto, esso parli cori facondia, e con ora a-*
mento. E* da avvertirsi perai' ro, che. adora
quando si dice, che tutto può esser mare-
ria, della Rettorica non s'intende g<a, die
di tutto prenda e>sa a tratrare, cosi; che ci
renda in qualunque arte, ò sc:euza ;st -li-
ti; ma che avendo essa per oggetto d: fer-
mare un'ottimo Oratore, atto lo rend a
parlare di tutto con facondia, e con eie-
ganza, a qualunque arte, ò scienza appar-
tenga l'argomento» ò la causa, che a trat-
tare intraprende. Non può dunque la ma-
teria della Rettorica limitarsi ad una qual-
che-' arto, ò sci nza particolare; aver può
ella bisogno di turte le arti, ò scienze,
perchè tutte somministrar possono materia
all'Eloquenza. A tutte le arti, e scienze
ella è utile, e necessaria, perchè a tutte
dar può risalto, forza, e bellezza. Langui-
rebbero i Filosofi nei loro raziocini , e nel-
le loro dimostrazioni, nelle loro arringhe i
Giure - Consulti , nelle loro Narrazioni gl
Istorici, ie mancassero di quegli ornamenti,
e di quei colori, che proprj sono dell' elo-
quenza . Che se tutte le arti, e tutte le
scienze materia dir si possono dell' Eloquen-
za , dedurra forse alcuno da ciò, che in
tutte le arti, ed in tutte le scienze debba
essere l'Oratore istruito? Scarsa certo esser
non dee nell'Oratore l'erudizione, e la
scienza. Che cosa sarebbe mai l'Eloquenza,
se di sentimenti, e di cognizioni non fosse.
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arricchita? E <T onde le cognizioni , ed i sen-
timenti si traggono, se non dalle scienze,
c dall' arti? Niuno a mio parere potrà dir*
si perfetto Oratore ( dice Tullio ) se dell*
arti , e delle scienze acquistato non abbia
la necessaria cognizione, psser dee dunque
V Oratore nel tempo stesso e profondo Fi-
losofo, ed eccellente Teologo ? ed abile Giù*
re -consulto? Ignorar non dee la Pittura,
la Scultura, la Musica, ò altra qualunque
siasi scienza, p arte? Tanto io non pre-
tendo dall'Oratore, risponde Quintiliano:
mi basta, che egli sia bene istruito di ciò,
di cui intraprende a parlare. Non dico, che
egli debba essere appieno intendente di tut-
te le materie, che trattar si possono; dee
però poter di tutto parlare. Di quali cose
adunque parlerà egli? Di quelle, che ha
già imparate i e riguardo a quelle, che non
ha imparate , e delle quali dee parlare , pro-
curerà d' acquistarne una piena cognizione,
prima di accingersi a favellarne.
Due cose poi sono essenzialmente ne-
cessarie per qualunque siasi discorso, i
sentimenti cioè , e le parole ; e certamente
se questo sia breve, e ristretto, niente al-
tro per avventura ricercasi. Ma più cose ri-
chiede una più lunga Orazione. Imperocché
non solo importa il ritrovare, e X esaminar
. ■ seriamente ciò , che dir si dee intorno al
proposto argomento, ma ancora qual' ordi-
ne tener dobbiamo nel nostro discorso, per-
chè tutto sia al suo luogo ben collocato , e
C di
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18 \
disposto. Ed ecco, che all' Invenzione dee
necessariamente succedere la Disposizione,
la quale serve, non solo mirabilmente alla
chiarezza, ma non poca forza aggiunge an-
cora al discorso. A che poi gioverebbe
aver ritrovata la materia, e con beli*
ordine distribuita, se nell* esporla man-
casse V aggiustatezza, e 1' eleganza
delle parole? Quanto diletta il par-
lar colto, ed elegante, altrettanto di-
sgusta, ed aliena l'animo degli Uditori il
parlar rozzo, ed incolto, e possibii non è»
che si concili l'altrui attenzione, e persua-
da colui, che alla sodezza, e al buon ordi-
ne dei sentimenti, e delle idee non unisce
V eleganza, e la proprietà dell'espressioni.
Una parte essenziale adunque al discorso è
ancora 1' fclocuzione . Delle cose poi già ri-
trovate, e disposte, come pure delle paro-
le, colle quali sono espresse, la custode, e
la conservatrice è la Memoria, della quale
l'Oratore non solo ha bisogno per compor-
re, ma ancora per recitare agli Uditori la
sua Orazione . Non può finalmente abba-
stanza spiegarsi, quanto contribuisca a far
risaltare il pregio d' un' Orazione, cosicché
tutta 1 ? impressione faccia nell'animo degli
Uditori, la bu^na maniera di recitarla sì
nel gesto, che nella voce. Da tutto ciò
chiaramente si raccoglie , cinque esser le
cose necessarie per qualunque Orazione , /'
Invenzione cfoè, la Disposizione , V Elocuzio-
ne , la Memoria , e la Pronunziamone , ed al-
tret- ,
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....... *9
trettante per conseguenza esser le parti del-
la Rettorica, il di cui principale oggetto
essendo, come si disse, il formare un otti-
mo Oratore, ad essa pure appartiene il di-
rigerlo con i suoi precetti in tutto ciò, che
è necessario per formare un ordinato, ed
eloquente discorso (a) . hd eccovi in questa
divisione riunito, ed espresso quello, che
formerà il soggetto di tutte le nostre rifles-^
sioni intorno a quell'arte , di cui ho già
intrapreso ad esporvi le regole , per diriger-
vi nello studio, e nell'esercizio dell' Elo-
quenza .
PARTE I.
ptlV Invenzione.
N
on sfuggirebbe certamente la taccia di
temerario, e d* imprudente, nè mai sareb-
be
(a) Omuis die e n di rati» , 'ttt fiutimi, maxnnique
auctores tradideru :t , qui^que partiùus constata hi*
veutione , Dispositioue , b toc ut ione Memoria, Pro*
fiunciattone , sive actione , utroque enim modo dici*
tur . . . Non enim tantum refeft , quid , et quo moda
dicamus , sed etiam quo loco; opus ergo est Dispo*
sitione Sed neque omnia, qude r,s postulat , dicere,
neque suo quaeque, loco poterimus , nisi jdjuv/.ute,
memoria . quapropter ea quoque pars quarta erit .
Verum baec cuncta corrumpit , ac propemodum
perdit indecora vel voce , vel gestu pronuuciatio.
QuWl. Insc. Rhct. Lib. ili.
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be possibile, che si acquistasse la fama di
dotto, c giudizioso Oratore, chi d' un qual-
che «oggetto s' accingesse a parlare, senza
averlo prima ben meditato , c senza aver
messa insieme, ed ordinata la materia, che
per trattarlo con dignità, con persua-
sione , e con diletto di chi ascolta , è necessaria .
La chiarezza, 1' ordine, la facondia, prin-
cipali pregj d'una perfetta Orazione , sono
una conseguenza , secondo Y insegnamento
» d' Orazio, della buona scelta della materia,
e del pieno possesso, che si è acquistato
della medesima:
Cui leda potenter erit res t
Nec facundia deserei hunc, nec lucidus ordo.
Questo solo riflesso sembrami bastante,
per rendervi persuasi della necessità di que-
sta prima parte della Rettorica . Viene essa
definita da Cicerone un ritrovamento dico*
se vere, b verUimili, che probabile rendon
la causa (a). Infatti dovere essendo dell'
Oratore il persuadere chi ascolta, tuttala sua
premura, ed industria impiegar dee primie-
ramente nell* immaginare, e nel rinvenir
quelle cose , che atre sono a produrre negli ani-
mi degli' uditori un simile effetto. Tale es-
scudo pertanto la' natura dell' uomo, che
per quel! 1 innaro amore, che porta alla ve-
rità, di buon grado alla medesima cede, e
si sottopone, quando sia a lui fatta cono-
scere , e chiaramente dimostrata, tutto l'im-
pe-
» : " .
(a; De Invent. Lib. 1.
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pegno dell* oratore confister dee nel ri-
trovar quelle ragioni, e quelle pro-
ve , che render possono V uditore per-
suaso della verità dell' assunto, che
ha preso a trattare, E siccome in tutte le
cose aver non si può una verità certa, e
chiaramente dimostrata, ma della sola pro-
babilità, ò vensimiglianza bisogna sovente
appagarsi ; con tutta ragione vien definita
da Cicerone V Invenzione un ritrovamento
di cosò non solamente vere, ma ancora pro-
babili , e verÌ6imili * Ma d' onde trarrà egli
queste ragioni , e queste prove su la verità ,
ò su la* verisimiglianza fondate? Sarà ques-
ta la prima cosa, che in parlando dell' In-
venzione ricercheremo, additando i fonti,
da' quali ricavar si possono gli argomenti
opportuni , per dimostrare le proposte verità .
Ma poco gioverebbe T averli ritrovati, e
molto perderebbero della lor forza, se la
maniera ignorassimo d' esporli con chiarez-
za, e con ordine. Si ottiene ciò per mezzo
dell' Argomentazione, e di questa in secon-
do luogo noi parleremo. Le semplici prove
per altro esposte per mezzo d* una nuda, e
concisa Argomentazione, come fanno i Fi-
losofi, possono bensì istruire, ma non già
muovere gli animi degli uditori. E' neces-
saria perciò kopra d' ogni altra cosa ali*
Oratore 1' arre d' amplificare, e di mettere
nella sua più bella, e viva comparsa gli
argomenti, che ha già ritrovati, ed esposti;
e quindi nasce la necessità di parlare dell'
Ani-
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li
Amplificazióne, fcbbene giunger mal ìiòìi
pc/trà a trionfare dell altrui cuore, sé non
ne sappia maneggiare , ed eccitare opportu-
namente gli affetti, nè mai il saprà, se de-
gli affetti medesimi ignori la naturai . Sem-
bra però soprattutto importante cosa il trat-
tare in quarto luogo degli affetri medesimi .
CAPITOLO t
t>è Luoghi Oratori
Ci uando poco sopra vi feci di passaggio
osservare > poter le arti tutte , e le scienze
somministrar materia al discorso, sembrami
avervi anticipatamente accennati i fonti, da*
èui trae V Eloquenza la materia d* ogni
$uo ben tessuto, ed ornato ragionamento.
Benché non sieno esse tra i luoghi Oratori
annoverate espressamente da Cicerone ; per al-
tro si Scorge, questo essere stato il suo sentimen-
to, mentre nel libro" de// Oratore ampiamente di-
ci ostra, dover' esser nelle medesime non poco
istruito, chi l'Oratoria professione brama di
esercitare con lode. La qual Professione , come
per lo più si ristringeva allora alle cause del Fo-
ro , così egli si fonda Specialmente nel rile-
vare la necessità della Giuris-prudenza in
un Oratore. Come in fatti senza unà piena,
cognizione delle leggi difender si può, ò
impugnare una causa, che tutta sulle leggi
*i "
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* 3
si raggira* e s' appoggia? Ma più esteso
sembra essere di presente l'oggetto dell'Elo-
quenza , mentre per lo più sacri, morali, filosofi-
ci, e d'erudizione sono gli argomenti, che
occasione porgono di scrivere , ò di favel-
* lare. Trattandosi adunque d' accennarvi i
fonti, ai quali ricorrer dovete per trovare
la necessaria materia per i vostri ragiona-
menti , ai fonti stessi delle Umane cogni-
zioni, ò alle Arti, ed alle scienze mi con-
viene di richiamarvi. Permettetemi perciò,
che come in un quadro delineati, e ristret-
ti a voi li presenti , per animarvi ad ac-
celerare il corso de* vostri studj, e ad a-
prirvi quanto prima 1* accesso a questi me-
desimi fonti, per fecondare la vostra men-
te di cognizioni, e d'idee, senza le quali ad
un vano suono di parole riducesi 1' Eloque n-
za. Rifletter dovete adunque, che tutte le
nostre cognizioni ridur si possono alle due
principali facoltà del nostro spirito, alla
Memoria cioè , ed alla Ragione ; ed è lo stes-
so, che dire, che tutte le nostre cognizioni
ridur si possono a due principali capi , alla
Storia cioè, che serve alla Memoria, ed alla
Filosofia, la quale è tutto lavoro, ed ope-
ra della Ragione. Verrà il tempo opportu-
no d' accennarvi un' altra sorgente delle
cognizioni Umane, che è i Immaginazio-
ne » ed allora il farò, quando parlerovvi
della Poesia , che all' Immaginazione spe-
cialmente appartiene.
La Storia altro non è , che una nar-
ra-
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fazione di cose, 6 di fatti, sia che ella ci
inetta sotto degli occhi, quanto ne' passati
tempi è avvenuto, sia che alla memoria de*
posteri tramandi gli avvenimenti del nostro
secolo. Ella è con ragione chiamata da Ci-
cerone la maestra della vita, poiché
rammentandoci le virtù, ed i vizj degli
uomini, ci apre una scuola, dalla quale
apprender possiamo quello , che da noi pu-
re far si debbe , e quello , che si dee con
Ogni premura fuggire . E siccome i fatti ,
é le cose , che ella racconta , sono opere , o
di Dia, ò degli Uomini, ò della Natura,
indi ne nasce la generai divisone della Sto-
ria in Sacra, Civile, é Naturale. La Storia
sacra dividesi in Sacra propriamente detta , ed
in Ecclesiastica . La prima è la Storia medesi-
ma della Divina Rivelazione dal principio
del Mondo fino al principio , ed allo sta-
bilimento della Cristiana Religione, ò vo-
gliam dire la Storia delle Figure, e dello
Profezìe, che precedettero la ^venuta di Ge-
sù Cristo, e dei compimento delle medesi-
me in Gesù Cristo, e nella sua Chiesa. La
seconda è la Storia della Tradizione , àdéi-
le cose apprese dalla bocca istessà di Ge-
sù Cristo, e tramandate a voce dagli Apos-
toli., delle quali, come pure della Rivela-
zione contenuta nei Libri dell' antico, e
nuovo Testamento, depositaria, custode, e
Giudice infallibile è la Chiesa medesima.
Ed ecco i due fonti, che somministrano
ampia materia per ogni sacro, e morale
ra-
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H
ragiónàthehtò; ecco per conseguenza lo stu*
dio, che principalmente intraprender si dee,'
fe non mai interrompere dà coloro, che
destinati sono ad istruire gli altri nella scien-
za di Dio, nella Religione , nei santi costumi.
Là storia Civile prende di mira ì' uo-
mo ò nelle sue azioni, ò nelle sue cogni-
zioni, e perciò divider la possiamo in Ci-
vile pròpriamente detta ; ed in Letterària.
Le memoria, e le antichità riguardanti le
imprese civili j e militari , la Religione , i
costumi, le usanze, le leggi degli- antichi
popoli somministrano la materia ad una
storia completa, ed una storia completa è» il
fonte d'ogni erudizioné- Come dunque arric-
. chir potrete i vostri scritti, e i vostri ragiona-
menti d'erudite cognizioni; còme illustrare, e
confermare ancora con opportuni esenipj le ve-
rità, che da voi si vogliono nell'animo de-
gli uditori insinuare, se allo studio della..
Storia con impegno non v' applicate ? E per
àpplicarvi ad essa con frutto, separare noa
he dovete la Cronologia, e la Geografia, ò
la scienza dei tempi, e dei luoghi, la pri-
ma delle quali colloca, per dir così, gli Uomi-
ni nel tempo, gii distribuisce V altra sul
Globo térraqueo. Separar non ne dovete la La-
pidària , e la Numismatica , la cognizione
• cioè delle Iscrizioni,- e delle Medaglie an- x
tiche , d:lle quali riconosce un gran lume
Ivi Storia , essendo ad esse debitrice delia
notizia di tanti avvenimenti, e di tanti
uomini , che senza di esse rimasti sarebbe-
^ ro
t
r
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26
ro per sempre sepolti nell' oblìo.
La Storia Naturale ci presenta come*
in un quadro la Natura medesima nei dif-
ferenti suoi oggetti. E siccome la Natura ò
è uniforme, e costante nelle sue produzio-
ni, e ne' suoi effetti, ò devia dal suo corso
ordinano, come nei Mostri, ò è obbligata,
e piegata ai diversi usi, come nelle Arti;
indi ne nasce la triplice divisione della
Storia naturale in Istoria della natura uni-
forme, in Istoria della natura mostruosa, in
Istoria della natura applicata ai diversi usi
degli Uomini . La Storia della natura uni-
forme si può dividere in tante Storie par-
ticolari , quanti sono i corpi , quanti gli ef-
fetti , quante le produzioni della Natura
medesima. Quindi senza entrare nelle ca-
use fisiche, che gli producono, tesser si po-
trebbe la storia de' Corpi Celesti , delle Me-
teore, ò de* Fenomeni dell' aria, la Storia
della Terra, e del Mare, degli Animali,
de' Vegetabili, de' Metalli ec. Lo stesso far si
può riguardo alla Stona della Natura mo-
struosa, potendo la natura talvolta deviare
dal suo corso ordinario nel Cielo, nella
Terra, negli Animali, nelle Piante ec.
La Storia finalmente della Natura ap-
plicata agli usi diversi degli Uomini com-
prende le arti, 1 mestieri, le manifatture,
che altro non sono, che applicazioni delle
diverse produzioni della Natura , dei Me-
talli, per esempio, delle Gemme, delle Pie-
tre, e de Cristalli al bisogno dell' uomo,
e
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at
e pur troppo ancora alla delicatezza, ed al
lusso .
Molto più estender mi dovrei parlan-
dovi dell' altro tonte delle umane cognizio-
ni , che è, come si è detto, la Ragione, ò
la Filosofia, infiniti essendo di questa gli
oggetti . Ma per giusto riguardo di non pro-
lungarmi di troppo , e di non proporvi cò-
se alla capacita vostra di preseme alquan-
to superiori, mi conterrò dentro i limiti
della brevità, c d* un' idea, che da voi pu-
re esser possa ben concepita, ed intesa. E
perciò a considerar vi propongo tutto quel-
lo, che alla Ragióne, ò alla Filosofia ap-
partiene, riunito in tre principali oggetti
soltanto, che sono Iddio, V Uomo, la Na-
tura; cosicché quando udite nominare la
Filosofia, quella scienza intender dovete,
the tutta si occupa nella contemplazione di
Dio, nella contemplazione dell'uomo, nella
contemplazióne della natura. E senza che io en-
tri in un minuto , ed inopportuno dettaglio delle
tóse appartenenti a ciascheduno di questi tre
rami , nei quali di videsi la Filosofia , questa sola
divisione sembrami esser bastante, pefr farvi
concepire , 'quai copia immensa di cognizioni,
e di materia somministri all' Eloquenza la
Filosofia, e quanto si renda principalmente
ad un oratore necessario il più attento, e
profondo studio della medesima. E adat-
tando questo principio all' Eloquenza sacra,
6 del Pulpito, come è possibile, che un sa-
tiro Oratore parli con aggiustatezza di Dio , e
delle
<
I
28
delle infinite sue perfezioni , e ai doveri in-
dispensabili di adorazione » di lode, di rin-
graziamento» e d' amore verso di Esso ri-
chiami, e muova le menti degli Uditori,
se dallo studio di una buona, e Cristiana
Filosofia appreso non abbia e di Dio, e
delle sue perfezioni queir idea» che può
dall* uomo acquistarsene? Parla di Dio la
ragione; rielle opece di Dio la ragion©
discopre la necessità, e la venta .della di
lui esistenza , discopre una gran parte de*
suoi divini attributi, la sua sapienza, la
sua onnipotenza» la sua provvidenza, e bon-
tà infinita; e 1* universo, e quanto in esso
si contiene, è come uno specchio, che ci
presenta l 1 immagine di questi stessi attri-
buti , è un magnifico palazzo, che, al dir
di Cicerone, dimostra la grandezza, e la
sapienza del padrone, che vi abita , e che
ne è stato V ottimo, ed ammirabile arte-
fice. Ecco come nella contemplazione di Dio
occupa le nostre menti la Filosofia. I lumi
della ragione per altro son deboli, e cor-
ti. I vaneggiamenti, e gli errori degli an-
tichi Filosofi intorno alla Divinità ne sono
stati pur troppo una prova, ed una prova
ne sono gli empj sistemi di non pochi tra*
moderni , i quali idolatri della Ragione
qualunque altro lume rigettano. Iddio ha
parlato di se medesimo, e si è degnato di
rivelarci quello, che con la sola scorta del-
la Ragione non sarebbe giammai V uomo
ar-
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z 9
arrivato a scoprire. Non può dunque un
sacro Oratore parlare degnamente di Dio,
e de' suoi incomprensibili misterj, se non
ascolta Iddio medesimo , e non si applica al-
lo studio, ed alla cognizione di quelle ve-
rità, che egli ci ha rivelate. JWa se la li-
mitazione, e la debolezza della Ragione è
un motivo per un Filosofo di consultare nel-
la contemplazione di Dio la Divina Rive-
lazione, e di sottomettere rispettosamente
ai suoi Domini infallibili la ragione, non
dee un sacro Oratore sdégnare i lumi, che
la ragione ne somministra, per viepiù con-
fermare , e persuadere le verità rivelate con
prove dal lume naturale dedotte ; ed una
gran forza a convincere, e persuadere avrà
quella dimostrazione, in cui ali* autorità,
infallibile di Dio, che ha parlato, si unis-
ca ancora la voce della ragione.
Nè meno necessaria ad un Oratore è
la contemplazione dell* Uomo> la quale,
come si disse, è il secondo oggetto della
Filosofia. L' intelletto, e la volontà sono
le dire facoltà principali dello spirito uma-
no. Come dotato d' intelletto Y uomo è capace
di conoscer la verità; come di volontà for-
nito, ama, e desidera il bene; e, siccome Io
scopo della Filosofia è d' additare all' uo-
mo il sentiero, che alla vera felicità con-
duce, così prende ella ad esaminare queste
due facoltà dello spirito, per diriger 1* uo-
mo alla cognizione del vero, per dirigerlo
alla virtù, essendo questi i due mezzi per
/ giun-
. 3 °
giungere alla felicità. La prima di queste due»
cose è r oggetto di quella parte di Filosofia
che Logica s' appella, oggetto della Morale
la seconda. Benché la Logica riguardar non
si possa, come un fonte di materia peri* Elo-
quenza, non è però meno necessario ali*
Oratore lo studio di essa, quella essendo,
che all' Eloquenza prepara, e dispone, e
contribuisce non poco a fermare un buon
Oratore. Consiste infatti la Logica nell' ar-
te di pensare, neli ? arte di ritenere le acqui-
state idee, nell' afte di comunicarle altrui
per mezzo del discorso. Non è possibile,
che ottimo Oratore addivenga, chi non ha
appreso a rettificare la propria mente nelle
sue idee , ne' suoi giudizj , ne' suoi raziocinj ,
e nel buon metodo di dimostrar le cose:
non è possibile, che parli con eleganza,
e con proprietà, chi per mezzo d* un fon-
dato studio della Grammatica non ha ap-
preso il retto uso dei vocaboli, e delle lin-
gue , chi dallo studio della Rettorica non
ha imparato a conoscer le qualità, che aver
debbe il discorso. Nè di piccol vantàggio
sarà ad un Oratore, come ognun di voi
ben comprende, T applicarsi all' arte r ò ai
mezzi di ritener le proprie idee, ò di con-
servarle per mezzo della Memoria , doven-
do a mente recitare ciò, che ha scritto, ò
meditato sul soggetto, che ha preso a trat-
tare. Quanto feconda però di materia è per
un Oratore la Morale, ò quella scienza,
che ha per oggetto il diriger V uomo nelle
sue
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«ue azioni secondo le regole, ed i principi
della rettitudine, e dell' onestà! L'uso più
lodevole, e vantaggioso, che far si possa
dell' Eloquenza quello è d* ispirare air Uo-
mo T amore, e la pratica della virtù, 1*
odio, e la fuga del vizio. Neil' adempimen-
to dei doveri, che all' uomo sono imposti
dalle leggi naturali, e positive, divine ed
umane, consiste la virtù: nella violazione,
ò trascuratezza dì tai doveri consiste
il vizio. Non potrà dunque esser
giammai in grado di stimolare gli al-
tri alla virtù, ò di richiamarli dal vizio
col dimostrare i pregi, ed i vantaggi di
quella, la deformità, e le funeste conse-
guenze di questo , chi per mezzo dello stu-
dio il più profondo della morale non è
arrivato a conoscere in tutta la loro esten-
sione, ed in tutti i loro rapporti sì fatti
doveri. E dove meglio acquisterà una tal
cognizione , che ne* Libri della Sacra Scrit-
tura, e nelle opere de Santi Padri? Questi
sono i fonti , da' quali attinger potrà i prin-
cipi , o le regole della più sana, e pura
morale ; .questa è quella scuola, alla quale
apprenderà quella semplice, ed insieme no-
bile Eloquenza, colla quale deve sempre
più animare i buoni all' esercizio delle vir-
tù , ed ora atterrire salutevolmente i catti-
vi per richiamarli dal vizio , ora dolcemen-
te invitarli alla penitenza , ed al retto sentie-
ro della salute.
Quanti sono finalmente i corpi, che ci
pre-
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3*
presenta la vista dell* universo nel Cielo,
nel!' aria, nella superficie, e dentro le vie
«cere della terra, e nel mare; le proprie-
tà universali, e particolari dei medesimi
corpi , le cause , che li producono, 1 loro ef-
fetti , le leggi' ammirabili , alle quali gli ha
assoggettati il Creatore per la cqnservaz.o-
ne , e per X ordine dell' universo stesso ,
tanti sono gli oggetti di quella parte di Fi-
losofia, che nella contemplazione, e nella
scienza della Natura si raggira, e che perr
ciò viene col nome di Fisica appellata. Che
poi una tale scienza sia anche all' Oratore
necessaria , ed opportuna non solo quando
tratta espressamente soggetti alla medesima
appartenenti , ma in qualunque genere di com-
posizione, basta, per comprenderlo, il riflet-
tere, che la vera Eloquenza imitar dee la
natura, e nella natura medesima trovar
quelle bellezze, che allettano, e rapiscono
gli animi degli uditori . Le vive , e nobili de-
scrizioni, le similitudini proprie, e signifi-
canti sono gli ornamenti, ed i lumi sì delia
prosa, che della poesia. Ma perchè tali es-
se sieno , esser debbono naturali, debbono
cioè non solo esser prese dalla Natura, ma
esprimere al vivo la Natura medesima. Se
f Oratore, ò il Poeta, richiedendolo il sog-
getto, che tratta, ò volendo porre in chia-
ro per via di similitudini quelle), che dice,
descrive per esempio una tempesta, un.
incendio, una inondazione, una pestilenza,
una rovina, ed sclere simili cose, ma nelle
. sue
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33
lue descrizioni , ò similitudini io non veggo ta-
li cose come in un quadro dipinte al natu-
rale, ed espresse, quali realmente esse sono f
e quali succedono, anziché diletto, noja, e
disgusto mi recheranno le sue descrizioni , e
le sue similitudini. E come potrà in questo
ben riuscire T Oratore, ò il Poeta senza
studiare, e contemplar la natura per potè*»
la bene imitare ?
Da quello , che fin qui vi ho general-
mente esposto riguardo ai fonti deli Elo-
quenza, che sono i fonti stessi dell' uma-
ne cognizioni, due conseguenze dovete me-
co dedurre . La prima si è , che applicar vi
dovete con impegno allo studio delle belle
arti, e delle scienze, ad oggetto di fecon-
dare per mezzo d' un tale studio la vo-
stra mente di cognizioni , e d'idee; la secon-
da , che , qualunque volta vi avverrà di do-
ver comporre qualche ragionamento, esami-
niate prima, a qual branca di scienza, ò
arte ne appartiene il soggetto , studiate
quindi il soggetto medesimo profondamente,
cosicché arriviate a vederlo , e conoscer-
lo in tutte le sue parti, in tutta la
sua estensione, ne' suoi rapporti, nelle sue
circostanze. Frutto di questo studio sarà l*
abondanza della materia, che si presenterà
da ogni parte al yostro spirito, cosicché
lungi dal temere di trovarvi nella mancan-
za, e nella sterilità, vi sgomenterà piuttos-
to molte volte la copia per la difficoltà di
ben disporla , ed esaurirla nel giro d' una
discreta Orazione. D " Do-
Dopo queste osservazioni intorno ai ve-
ri fonti dell'Eloquenza potrebbe alcuno giu-
dicare superfluo , che io vi trattenga intor-
no a ciò, che de' Luoghi Oratorj in lunghi
trattati hanno esposto gli antichi Retori, e
su le loro tracce molti ancora de' moderni.
L' esame critico , e giudizioso , che fa di ta-
li trattati il celebre Sìg. Blair nelle sue Le-
zioni di Rettorica, e di Belle Lettere ten-
de a dimostrarne l'inutilità. Ecco le sue
riflessioni. L' Invenzione è certamente la ba«
se, ed il fondamento di tnttóciò, che è ne-
cessario per formare una compiuta Orazio-
ne ; ma intorno ad essa io temo ( dice e-
gli , ) che ecceda il potere dell' arte il som-
ministrare soccorso veruno. Niuna arte può
fornire ad un Oratore argomenti sù d'ogni
soggetto, quantunque esser gli possa di gio-
vamento grandissimo nel disporre , ed espri-
mere quelli , che la cognizione del sogget*
to gli abbia fatto già discoprire. Imperoc-
ché altra cosa è il trovare le ragioni più
atte a convincere , altra il maneggiare que-
ste ragioni nel modo più vantaggioso . Que-
st' ultima è la sola cosa , a cui la Rettori-
ca può pretendere . Troppo adunque estese-
ro i limiti, e l'efficacia di quest'arte colo-
ro, che tentarono di renderla capace d'as-
sistere gli Oratori non solo nel presentare
nel modo migliore, ma nel ritrovare gli ar-
gomenti medesimi sopra qualunque «sogget-
to. I Greci Sofisti furono i primi inventori
di questo artificial sistema d'Oratoria, e
mo-
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mostrarono una sottigliezza , ed una fecon-
dità ammirabile d'ingegno nella formazione
de' Topici, ò de' luoghi, e delle sedi de-
gli argomenti , che altro in sostanza non
sono, che idee generali applicabili ad un
gran numero di diversi oggetti , che 1 Ora-
tore è obbligato a consultare per trovar
materia al suo discorso. Da un tal piano
abbagliati i Retori susseguenti lo ridussero
a sistema sì regolare , che sembra quasi ,
che presumessero d'insegnare, come uno
potesse divenire meccanicamente Oratore,
benché sfornito d'ingegno. Ma per verità,
sebbene lo studio di questi Luoghi Oratorj
( prosegue il c t'ito Inglese Scrittore ) pos-
sa produrre delle pompose declamazioni,
non potrà mai produrre un utile ragiona-
mento . Somministrano essi bensì un' esu-
berante fecondità di materia; e chi altra
mira non avesse, che di parlare copiosa-
mente , consultandoli sù qualunque sogget-
to , e valendosi di tutto quello, che sugge-
riscono , potrebbe parlar senza fine , anche
quando nofi avesse, che una superficial co-
gnizione della cosa . Ma sì fatti discorsi non
possono essere, che triviali. Il sodo vera-
mente, e persuasivo dee trarsi dalle visce-
re della causa, da una piena cognizione
del soggetto, da una profonda meditazione
6or>ra di esso. Quei, che vogliono incam-
minare gli studiosi dell' Oratoria ad altre
sorgenti d' argomentazione, non fanno, che
deluderli; e col tentare di render la Retto-
rica
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S6
rica un* arte troppo perfetta, la rendono
realmente un arte vana, e puerile,
Per quanto giuste > e savie io ravvisi
le riflessioni di sì illustre Retore, pure pen-
so di non abbandonare il piano, che ho fin
ora seguito, ed entrerò ben volentieri nel
numero di quelli, i quali non credono al-
meno affatto inutile la cognizione dei luo-
ghi Oratorj per migliorare (coni' ei dice)
/' Invenzione. Accordandomi eurli , che una
tal cognizione aprir può un' esuberante fe-
condità di materia, perchè chiudere ai Gio-
vani studiosi una sì fatta sorgente? Dopo
aver dunque inculcato a voi quello, che
egli con rutta ragione insegna, che so-
prattutto bisogna studiare il soggetto, di
cui si dee parlare, e che nella piena co-
gnizione di esso convien ricercar la mate-
ria ai discorso, non credo inutile V aprirvi
almeno la strada alla intelligenza delle ce-
lebri, e sagge opere d' Aristotele, di Cice-
rone , e di Quintiliano. L' esame intorno
ai Luoghi Orarorj , quando anche riguardar
£i coglia come inutile per il ritrovamento
della materia, mi somministrerà almeno oc-
casione d' esporvi molte utilissime regole,
riguardo al modo di scrivere, e di parlare
con proprietà , come pure di corregger mol-
ti difetti, nei quali sovente si cade i e di
mettervi per V uno, e per 1' altro oggetto
sotto degli occhi x più luminosi esempi d
eccellenti Scrittori (a). Lo stesso io farò, e
per
* . ! =r ; , zz *
(a) Conferma il mio Sentimento il i>ig. blu Giar-
04
per le sfesse ragioni riguardo agli affetti i
benché altronde io creda ben fondato il
dubbio del citato Retore, se un esame Fi-
losofico intorno alla natura di essi giovar
possa molto a rendere un Oratore più pa-
tetico di quello , che render lo possa una
certa forza , e sensibilità cT animo sortita
dalla natura . Distinguendo adunque sulle
tracce (T Aristotele, e di Cicerone i Luo-
ghi Oratorj in intrinseci, i quali cioè som-
ministrano argomenti, e prove dedotte dail*
intima natura della causa ò dell' argomen-
to, che si prende a trattare, ed in estrin-
seci » ò che somministrano prove , e
ragioni alla causa, ò air argomento affattor
estrin-
#z=z=m~ . ' . =± r- v r- «
dini Pubblico Professore à° Umanità nell' Uuiver-
sirà di Pavia . fccco , come Fgli s* esprime in una
Nota all' Atticolo I. de* Luoghi interni, ò artifi-
ciali nel suo eccellente Trattato intorno all' Arre
Rc-ttorica : Credono alcuni inutile il trattar de 9
Luoghi Oratorj , perche dicono essi : come la mag-
gior parte degli Uomini camminano benissimo senza
sapere le regole del ballo , o almeno senza rifletter-
vi attualmente \ cosi un buon Oratore prova egre
giamente il suo assunto Senza pensar nemmeno a %
Luoghi suddetti. Ma sappian costoro* che i puceU
ti scrivonsi fer chi non sa, non per chi è già buon
Oratore , e che questi nùn sarebbero tali , se prima
con un continuo esercizio formati non si fossero su le
regole istesse; in quella guisa appunto, che chi
fatto uomo cav mina velocemente , e Senza indugio
sopra un sentiero, ebbe da bambino b'sogro d'uva
mano pievsn , che lo scortasse e dirigesse affine
che ad ogni pasio non cadesse miseramente al suolo.,,
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estrinseche; (a) io vi parlerò primieramente
della Definizione, quella essendo (come Ci-
cerone insegra nella introduzione all' au-
rea sua opera intorno ai Doveri dell' unno)
da cui dipartir si debbe qualunque ben or-
dinato Ragionamento.
-
§. t .
.Bella Definizione*
IL* a Definizione adunque , secondo Cicero-
ne (b) , è un discorso , mediante il quale si
spiega, quale sia in se medesima Una qualche
cosa, ò quali sieno le qualità essenziali,
che da ogni altra cosa la distinguono; poi-
ché essendoci delle cose ignota la natura *
e T essenza , arrivar non si può a compren-
derla , e ad esprimerla con le parole . In due
maniere si può definire una cosa, delle qua-
' li una è propria de' Filòsofi, T altra degli
Oratori . Ripetiamo più opportunamente irl
questo luogo quello, che abbiamo nel de-
finir la Rettorica semplicemente accennata.
Quando i Filosofi definiscono una qualche
cosa ricercano primieramente ciò, che la
cosa da definirsi ha di comune con le altre
dello stesso genere , e questa universale , ò
co-
(a! Argumevta ducentur ex ìocis aut in re ipsa
insìtis , aut assumptis . Cic. Part. Orat,
(b) Cic. Topic.
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>
comune proprietà vien da essi chiamata
Cenere. Esaminano quindi con attenzione
quello, che è proprio soltanto della cosa,
che definiscono, e che da ogni altra del
medesimo genere la distingue, e questo par-
ticolare , e distintivo attributo sogliono col
nome ài Differenza appellare. Essi però de-
finirebbero 1' uomo dicendo : L' uomo è un
Animale ragionevole, esprimendo con la vo-
ce Animale il suo genere, ò ciò, che 1' uo-
mo ha di comune con tutti gli altri Ani-
mali, e con T epiteto Ragionevole la Diffe-
renza, ò quello, che lo distingue da tutti
gli altri Animali , -vale a dir la Ragione .
Gli Oratori poi non stanno ad una sì rigorosa
legge attaccati; ma amplificando le loro
definizioni oltre al Genere, ed alla Diffe-
renza esprimono ancora della cosa definita
le altre qualità, le parti, oud' ella è com-
posta, le cause, che la producono, gli ef-
fetti, che ne derivano, il fine, e T uso a
cui è destinata , e quant' altro le può per
qualunque ragione convenire- L'uomo (dir
potrebbe perciò un Oratore nel definirlo) è
l'opera più bella tra le visibili, che dalle
inani escisse del Creatore; di due diverse
•
sostanze composto corporea, e spirituale; a
differenza degli altri animali d' intendimen-
to , e di rag. ere detato; che porta in se
scolpita V immagine del suo stesso Divino
Autore; e dopo il breve corso della vita \
presente è destinato ad una felicità perfet-
ta , ed immortale. Della Definizione Ora-
lo-
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4*
tória esser potrebbe uri esempio quella cKè
liei suo Laberintodà il Boccaccio dell' Amor
profano: g Federe adunque dovevi, amore
estere una passione accecatrice delV animo;
disviatrice dell' ingegno, ingrossar rice , anzi
privatrice della memoria, dissipatrice delle
terrene facoltà i guastatrice delle forze del
corpo, nemica della giovanezza, e della vec-
chia/a morte, generatrice dei vizi, ed abita-
trice de 9 vacui petti , cosa senza ragione ,senz %
ordine i e senza stabilità alcuna , vizio delle
menti non sanè, è somthergitricc delV umand
libertà». Dà. questo solo tempio rilevar po-
tete , che là definizione Oratoria» anziché
definizione , una descrizione piuttosto può
con tutta* ragione chiamarsi. Bella, ed ele-
gante è àncora la maniera, che usano tal-
volta gli Oratòri nel definire le cose, di;
cendo prima quello, che esse non sono, ne
può loro in alcun modo convenire, é pas-
«ando quindi à spiegare quello, che sono»
lo che ad esprimerle con maggior vivacità,
e chiarezzà non poco contribuisce, onde me-
glio s* imprimano , e maggior colpo faccia-
no nel!* animo degii uditori: in quella gui-
sa appunto* che màggiore impressione fa in
noi, e più bella ci comparisce la luce pel
confronto, che ne facciamo con le tene-
bre, che la precedono. Familiare perciò noi
vegliamo essere statò à Ciceróne uh tale
artifizio nel definire, di cui mi contenterò d'
addur qui uri solò esempio trattò dali'* Ora-
zione Pro domò $Udi dove dar volendo unà
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, 4i
chiara idea del popolò Romano èfcpòtiè pri-
iiià quello, che non era , dicendo : » An tu
Pòpulum Potnanum lesse iiliùn putas,qui cons
stat ex iis , qui mercede, cohducuntur ì qui
impeUuntur, ut miri ajferant magistratibusf
Ut ibsideant senatumì optent quotidie caedem,
incendi u rapinasi .... O speciem , dignitatetri-
ijue Populi fiumani , quatn reg eS i qudm natio-
hes exteràe ; quam genies ultimàe perdine*
scànt; inulta udincm hominum ex servis cori*
dudii i ex Jacinorosis, ex egentibas congrega*
iàm »! Quindi venendo ad esprimere, quaì
era veramente il Popolò Nomano soggiunge:
///e, Uh Popnlus est domimis regurrt, vi-
ti Ctut *, atque imperdtor otti niu tri gentiumec.ft
Ma veduto avendo, conte definir si pos-
sono le cose, rimane solo, che àcceuiniàmOj
fcorrie da questo Luogo Oratorio trar si pós-
ta materia di favellare. Esso infatti è sì
fecondo, che una sola deftnizioné può tal*
volta somministrar la materia per uh inte-
ro , e ben lungo ragionamento . Serva cT
esémpio Alessandro Seghi nella sua Orazio-
ne dèi peccato, tra le Prose Fiorentine VóL
V. Par. I. nella quale preso avendo» al di-
mostrare , che il peccato stesso e ih questi
viti del peccatore la péna* dalla definizio-
ne del peccato ne deduce le prove' più còtf*
Vincenti : a Si sà pure, Uditori, altro non es-
# sere il peccato , che V allontanamento delia
i$ volontà per mezzo della disubbidienza da
Dio; E quale, Uditori, può darsi péna pià
rigorosa, quale assegnarsi gastigo più *<t-
43
9 5 vero, quale decretarsi supplicio più atroce*,
95 che lo star lontani da tHo, che il ritro-
95 vani lungi dalla sua grazia vivificante ,
55 che V esser privi de" suoi a uti potentissimi?
w E che disavvenmre non sovrastano , che z/i-
9» felicità non accompagnano , che pericoli non
55 circondai! colui, che in tal pessimo stato,
95 ed abominevol si giace 15? Ma poiché lun-
go sarebbe il riportar qui tutta la sua di-
mostrazione, basterà semplicemente l'aver-
la accennata, potendosi agevolmente indi
comprendere, qual'uso voi pure far dovete
della definizione.
Da questo Luogo Oratorio sembrami,
che disgiunger non si debba quello, che
Etimologia , 0 notazione del nome , s ap-
pella, non altro essendo questo, che una
definizione, per mezzo della quale la forza
di un qualche nome , ò vocabolo si dichia-
ra. Ecco come per mezzo dell'Etimologìa
spiega il Passa vanti, che cosa sia la Con-
trizione: 55 La Contrizione si dice da tritare.
Come noi veggiamo in queste cose corporali,
che alcuna cosa si dice tritata , quando si di-
vide, ò rompe in minute parti, cosicché non
vi rimanga niente di saldo ; così il cuore del
peccatore , il quale il peccato fa duro , intiero ,
ed ostinato nel male , quando ha sufficiente
dolor del peccato, quazi si rompe, e si trita,
in tal maniera, che V affetto al peccato non
vi ha parie, ò luogo veruno, ove possa ri-
manere 95- Una tale definizione non solo
serve alla chiarezza, ma somministra tal-
vol-
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Veltri pròve, e ragioni, e specialmente ili
arre ir er.ri di lede, ò di biasimo; ed ih
quella maniera, che Cicerone per mettere
in rid colo Verre , e Gnsogono ha scherza-
to su r interpetrazione de' loro nomi, adat-
tando il primo a sign, furare uno, che per
mezzo di l'urti, e di rapine spazza, e por-
ta v;a ogni cosa, l'altro, che nato dall'
òro significa, a meraviglia convenendo ad
uno, che è dalla passione dell'avarizia do-
minato: così potrebbe taluno prender moti-
vo di celebrar le lodi di Gesù Cristo dal si-
gnificato dell'augustissimo nome di Gesù,
e di tèsser l'elogio della SS. Vergine dall'
interpet» azione del nome di Maria, come
ha fatto uh S. Bernardo, di lodare V elo-
quenza, e la dottrina di S. Gio. G ri sorto-
telo, bene espressa nel di lui Greco nome»
che aurea bocca significa.
— ì-ì..
§. ti.
Dell' enumerazione delle Parti.
M
a vanghiamo adesso ad accennare tìn
Élltro luogo Oratorio, che Enumerazione del-
ie partì h appella -, della definizione nori
meno certamente fecondo, e di essa senza
dubbio più atto all' amplificazione , ed ai
movimento degli affetti . Il nome stesso poi
abbastanza dichiara, non altro doversi in-
ten-
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44
tendere per ennmerazlott delle parti, se
non che diviso nelle sue patti un Qualche
tutto, ò fisico, come il corpo umano ne*
piedi, nelle mani, nel capo ec. ò morale,
come la virtù in Prudenza, Giustiziai Tem-
peranza, e fortezza, l'Oratore va ad una
ad una individuandole, e venendo quindi
alla conclusione dell'argomento afferma, ò
nega del tutto, quanto ha delle parti» af-
fermato, ò negato. Così Cicerone dopo
aver dimostrato, che si ritrovavano in Potn-_
£eo la scienza dell'arte militare, il valore,
l'autorità ò il credito, e la fortuna, quali-
tà, che formano un ottimo Generale, con-
clude, ed afferma tale essere stato Pompeo.
Affinchè però convincente sia l'argomento,
voi ben vedete, così esatta dover essere T
enumerazione delle parti, che niuna se ne
tralasci*. Infatti una delle sopraccennate
qualità, che mancata fosse in Pompeo, ba-
stava per contrastargli il titolo, e la gloria
d'ottimo Generale. Non si può esprimere
quanto sia grande l'uso di questo luogo
Oratorio in ogni genere di composizione,
quanta forza , e bellezza aggiunga al di-
scorso , quanto vaglia a muover gli affetti.
L' enumerazione delle parti è tanto neces-
saria, quanto lo sono le vivaci, ed esatte
descrizioni, le quali non altrimenti si fan-
no, che enumerando le parti, le qualità,
le circostanze tutte delle persone, dei luo-
ghi, delle cose, che si descrivono. Ed in
che alno mai consiste 1' arte di ben parla-
re
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45
re , e comporre , che nel dipingere per mez-
zo d' esatte., e vive descrizioni le cose, tal
che chi ascolta, ò chi leg.ce,, ne concepi-
sca una vivissima idea, e ne rimanga alta-
mente sorpreso, e commosso? Perchè mai
fanno tanta impressione in noi , e la descri-
zione della tempesta fatta da Virgilio nel
Libro primo dell' Eneide, e nelT XI. delle
sue metamorfosi da Ovidio, le descrizioni,
che in quest'ultimo Poeta s'incontrano,
della tela d'Aracne, e di Minerva, dell'
invidia, della fame, dell'abitazione del
sonno, della reggia del Sole, e la descri-
zione del Concilio degli Dei infernali,
della siccità fatta dal Tasso, se non perchè
veggonsi in esse così bene enumerate le
parti tutte, che niente da desiderar ne ri-
manga? E per accennarne alcuna in parti-
colare, qual crsa manca ad una viva, ed
esatta descrizione d' un luogo il più ameno
in quella, che nel Canto Vf. fa 1 Ariosto
dei Regno d'Alcina, ove dall' Ippogrifo fa
trasportato per l'aria Ruggiero?
Non vide ne il più bel, riè il più giocondo
Da tutta l'aria, ove le penne stese,
Nè se tutto girato avesse il inondo
Vedria di questo il più gentil paese;
Ove dopo un girarsi ai gran tondo
Con Kuggier seco il grand' augel discese :
Culte pianure, e delicati colli,
Chiare acque, ombrose rive, e prati molli.
Vaghi boschetti di soavi allori,
Di paino,, e d* amenUtime mortelle ,
Ce-
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46
Cedri, ed aranci, cti avean frutti, e fiorì
Contesti in varie forme , e tutte belle,
Faccan riparo a fervidi calori
De* giorni estivi con lor spesse ombrelle:
E tra qu$ rami con sicuri, voli
Cantando se ne giano i rosignoli.
Ira le purpuree rose, e i bi a fichi giglj ,
Che tepid aura freschi ognora serba ,
Sicuri si vedean lepri , e coni/a ,
E ceni con la fronte alta, e superba;
Senza temer , clic alacn gli uccida , ò piglj
Pascano, ò stiansi ruminando V erba ,
^aitano i daini, e capri snelli, e destri,
Che sono in copia in què luoghi campestri .
Ninna, ò poca impressione in noi farebbe-
ro le cose nudamente, e compendiosamente
espresse; e chi dicesse per esempio, che
grandi, e continue stragi faceva in una
Citta, ò in un esercito la peste, racchiude-
rebbe in queste poche parole, quanto di
più funesto suole in tali casi avvenire ; ma
dir si potrebbe di lui lo stesso, che Quinti-
liano asserisce d'uno, il quale accennasse
soltanto essere stata presa da' nemici una
Città, senza individuarne le circostanze più
luttuose, e terribili, che egli cioè niente
muoverebbe gli affetti. Qual colpo maggio-
re non fa leggendola descritta da T- Livio ,
la pestilenza, che afflisse presso l^i Citta di
Siracusa l'esercito di Marcello, e dei Car-
taginesi! v Et primo teniporis, ac loci vitio
et atgri crant, ce moriebantur Postea cura-
tio ipsa, et comactus aegrorum vulgabat mor-
bos
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47
bos , ut aut neglecti , desertique, qui inciiis*
sent i morerantur , ara assidentes , curantesque
eadem vi morbi repletos secum traherent \ quo*
tidianaque funera, et mo^s ob omnium oculos
esset, et un iique d'us noctcsque ploratus alt-
direntur . Postremo ita assuetudine mali effe-
ravjrant animus, ut non modo lacrymis , ./tt-
5t0{Ue comploratu prosequzrentur mortuos ,
sei ne eferrent quidem , jacerentque strata
exanima corpora in conspeetu simiiem mor-
tali e\'p:ctantium : morr.ui.jue acgros , aegri
validos cum metti* tum tabe , ac pestifero
odore cor por uni conficerent (a) . Qual mera-
viglia insieme, e qual terrore con la più
alta idea della grandezza, e dell'infinito
potere di Dio ( non mancano nei sacri Li-
bri , e neir opere de' Santi Padri, tratti d'
Eloquenza non solo eguali, ma superiori
ancora a quelli, che negli antichi Poeti,
ed Oratori della Grecia, e del Lazio s'in-
contrano ) non risveglia ìa descr zione, che
Mose nel divino suo Cantico fa degli Egi-
ziani nel nut Rosso prodigiosamente som-
mersi! Pareva, che il sacro Scrittore tutto
avesse racchiuso m quelle magnifiche parole,
con cui dà principio al suo Cantico: » Can '
55 temus Domino, gloriose enini magnificatus
55 est, equum , et ascensorem proiecit in ma-
55 re ,5 . Ma dallo Spirito di i)io illuminato,
ed acceso prosegue il quadro ammirabile,
che ha, per così dire, in queste parole sem-
pli-
c i = ~
(a) T. Liv. Dee. 111. Lib. V.
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4»
plicemente abbozzato, e qua vi metta sottg
tìegli occhi i carri rovesciati i là un esercir-
lo avvolto, e sepolto nell' acque insieme
co' più distinti Principi, ed Ufi/iah;
Currus Pharaonis, et exereitum ejus t>r<>je?
cti in mare: llecti Principe* e us submersi
sunt in filari rubro ». Sembra di veder ie
acque stesse del mare, che al soffio d' ua
vento impetuoso suscitato dall' ira divina
pi ritirano, s' accavallano, e T une sopra
dell' altre ammassate formano un alta, ed
immobil montagna , lasciando nel fondo
del m^re aperto, ed asciutto un sentiero:
„ In spirjtu Jìtroris tiri congregarle sunt
aquae, stetti nuda fluens , congrega t ae sunt
Abyssi in medi» mari n . Sembra di veder
queste medesime , montagne d ? acqua pre-
cipitar di nuovo al soffio divino, e piomba-
re sopra gli Egiziani già inoltrati per i\
fondo del mare divenuto il loro sepolcro,
e le acque la pietra smisurata , che lo chiù-
de: » Flai'ti spiritus ejus y et operuit eos mare»
Compiono finalmente il quadro gli Egizia-
ni , che tentando di venire a galla delle
acque precipitano di nuovo ^1 tondo a gui-
sa di pesante sasso, e le acque istesse , che
come una massa enorme di piombo nel fon-
do stesso del mare li tien fermi, ed ini*
pv bili; , 5 Deseenderunt in prtìfundum } quasi
lapis... Submersi sunt quasi plumbum in a-
quis ve/iementibns n . Paragonate la descri-
^/one, che $ incontra in Virgilio nel L,i.-
|V9 XI- 4eir Eneide, del cavallo, a cui
vie-
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^riene assomigliato il Rè Turno:
Qualis ubi abruptis fugit praesepia vinclis
Tandem liber equus , campoque potitus aperto ►
Autilleinpastus, armentaque tertdit equarum ,
Aut assuetus aquae perfundi flamine noto*
Emicat , arrectisqne Jremit cervicibus alte
Luxurians, luduntquejubq per colla, per armos ,
imitata , ò per dir meglio tradotta dal Tas-
so nel Canto nono;
Come destrier, che dalle regie stalle f
Ove ali 7 uso delV armi si riserba*
Fugge libero alfin per largo calle, ' \
Va tra gii armenti al fiume usato, alV erl&>
Scherzan sul pollo i crini , e sulle spalle »
Si scuote la cervice alta, € superba:
Suonano i piò nel corso , e par che avvampi ,
Di sonori nitriti empiendo i campi,
paragonatela, io dico, con quella, che si
legge al Cap. XXXIX. del libro d; Giobbe,
e che piacemi qui riportare con le paròle
istesse del divino Scrittore: » Numquid
praebebis equo fortitudine m , aut circumdabis
collo ejus hinnitum ? Numquid suscitabis
eum quasi locustas ? Gloria narium ejus ter-
ror ; terram ungula fodit, exsultat audacter , /
in pccursum pergit armatis, contemnit paio-
rem, nec cedit gladio-, super ipsum sonabit
pharetra, vibrabit hasta, et clypeus ; Jlrvens ,
et fremens sorbet terram, nec reputat tubae
sonare clangorem . Ubi audierit buccinarti di-
cit: Vali! Procul odoratur bcllum, exhortatio-
nem ducum , et ululatus exercitus » . Uditela
ridotta in versi Latini dal J>. Wavassof ,-che
E ha
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f
ha pur ridotto In tal metro ; ed Interpetrato
tutto intiero il libro di Giobbe:
Jtobur equo forti num tu robustior addesì
filum magis hinnitu geminato efaucibus aids
Terribilem facies ? num subsaltare docebis ,
In numerum,gressusqueparesglomerarelocustis>
Gloria vero ingens utraque a nare pavores
Exspirare novos . Hujus fodit ungula terram , ^
Exsultatque ammis , audax itque obvius hosti
Armato, temrlitque minas yferroque resistit .{sta
Jllum supra equitis pharetra instrepet , etlevis Aa-
Vibrabit , clypeusque ; solumfervetque ,fremitque
Bffbditns , nec signa tubae , curatque receptus .
Quia avida postquam aure bibit , vali ! reddit acuto
Exsiliens hinnitu , et longe praescius ante
Occupat adventum belli, et jam prdecipit hostem
Karibus, hortatusq. ducumfremitusq. sequcntum.
Uditela con non minore eleganza, e viva-
cità in ottave tradotta da Francesco Rezza-
no, di cui abbiamo in simil metro tutta la
Traduzione del citato Divino libro poetico;
Farse il destriero per tua man guernito
I fianchi, e il collo di virtù robusta .
Mostrerà col magnanimo nitrito
, Va generoso ardir l' anima adusta?
Forse ad w breve minacciar col dito
fuggirà , come celere locusta ?
, Quando avvien, che alla pugna si prepari.
Sbuffa tèrror dalle orgogliose nari.
Percuote il suol colla ferrata zampa.
Morde ilfren , scuote il crin , s' agita , e s alza,
Jn un luogo medcsmo orma non stampa,
Ardimento, e furor f agita, e sbalza:
v Cor-
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5i
Corre, e affronta l ostil schiera, che accampa.
Sprezza il timore , armi ed armati incalza ,
E suonar fi nel violento corso
Scudo , faretra , e strai scossi sul dorso,
Impaziente, e di sudor fumante
Così precipitoso si disserra ,
Che wm appetta udir tromba sanante,
E par nel corso divorar la terra. \
Dove sente il rumor ai spade infranttz
Cola, dice tra se, ferve la guerra;
E de duci gli sembra udir le voci,
E gli ululati de guer rie r feroci
Nel far però V Enumerazion delle parti
nelle descrizioni è necessario usar cautela »
e discernimento. La troppo minuta enume-
razione delle parti, anziché dilettare , tal-
volta noja, e disgusta, e invece di far con-
cepire delle cpse una grande e sublime idea, lo
avvilisce - Non solo adunque non è necessa-
rio dire minutamente, quanto in una cosa
fi trova, ò le conviene, ma deesi a bella
posta tralasciar tuttociò, che ò non è a
proposito nel caso nostro, o è capace di re-
car nausea, e di diminuire il pregio, e la
grandezza delle » cose, che si descrivono.
Può inoltre V Oratore allontanarsi dall or-
dine naturale delle parti , quando in seguir-
lo comparisce troppo lo studio, e 1' affetta-
zione, tanto più che dee egli nobilitare, e
variare con gli ornamenti delle figure le
lue descrizioni.
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J5*
§ Ili
Della Similitudine , e Dis similitudine .
-A vendo per quanto sembrami, della De-
finizione, e della Enumerazion delle parti
fin qui bastantemente parlato, di due altri luo-
ghi Oratori passo a far brevemente parola,
della Similitudine cioè , e della Dissimi! itudi-
ne 9 i quali Luoghi invero sono più di chia-
rezza, e d' ornamento, che di ragioni, e
prove fecondi. La Similitudine altro non è,
che una certa relazione, ò convenienza,
che hanno tra loro due, ò più cose di ge-*
nere diverso. N.ente vi ha di essa più at-
to a porre in chiaro le cose, e perciò spe-
cialmente ne è opportuno V uso, quando
essendo la cosa , di cui si parla , alquanto
oscura, e non agevole ad intendersi dagli
Uditori,- e volendo, che meglio s' imprima
nei loro, animi, si procura di renderla ad
essi sensibile, e di porla loro quasi sotto
degli occhi % paragonandola ad altre cose
ad essi ben note, e che hanno qualche con-
formità, e rapporto con 'quella , di cui si
tratta. Due parti comprende la Similitudi-
ne. Nella pnma, che Protasi s appella,
«sprimesi ciò, eoa cui si paragona la cosa
della quale si.jpftfla; nella seconda che di-
casi Apoduài^èe ne fa T applicazione, o si
spiega la somiglianza, e la .conformità , che
ha ìa cosa» di cui si parla, con ciò, a cui
3i assomiglia. D' una Similitudine in am-
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beduc le parti accennate perfetta vi som-
ministra Oraa^o T esempio nel!' Ode II. del
libro IV.
Monte decurrens velut amnis, imbres
Quem super notas aluere. ripas ,
Fervei immensusque rult prof lindo
Findarus ore.
E per tralasciare altri innumerabili esempi,
che addur si potrebbero , leggete 1 Ottava
V. del secondo canto dell' Orlando Furioso:
Come soglion talor due tari mordenti v
0 per invidia , ò per altr odio mossi
Avvicinarsi digrignando i denti , .
Con aspri ringhi r e rabbuffati dossi ;
r. Indi a* morsi venir di rabbia ardenti
Con occhi biechi, e più che bragia rossi*
Così alle spade da* gridi, e dalt onte
_ Venne il Circasso, e quel di Chiaramonte.
E* da avvertirsi però, che non vi. ha alcu-
na legge, la quale ci obblighi a seguire
quella disposizione r e queir ordine di parti»
che negli accennati esempj si osserva po-
tendosi, come torna più in acconcio far
preceder T Apodosi alla Protasi, ò sia do-
po d' aver espressa la cosa, di cui si trat-
ta illustrarla colla Similitudine, come fa il
Tasso neir Ottava 6% del canto IX., dove
descrive la discesa, dell' Arcangelo S. Mi-
chele dal Gielor.
Fenia scuotendo con l r eterne piume
. la caligine densa, e i cupi orrori,
S' indorava la notte al l vn lume ,
i Che spargea scintillando il volto fuori:
Ti-
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S4
- Tale il sol nelle nubi ha per èostuttri
Spiegar dopo la pioggii i bei colorii
lai suol fendendo il liquido sereno
Stella cader de la grati madre in seno,
Pnò usarsi talvolta la similitudine in mòdo
che non la preceda , e non là segua unal
chiara, ed espressa applicazione, la quale
per altro dal contesto deesi facilmente ri-
levare. Non è inoltre necessario , che nelleì
Similitudini la cosa paragonata corrisponda
in tutte le sue parti a quella, con cui si
paragona ; ina basta, che passi tra T una»
e 1' altra una somiglianzà tale , che ponga
in chi tiro l'idèa, che con là Similitudine
abbiamo preso a spiegare', non può anzi irt
mòdo alcuno aversi una perfetta somiglian-
za, fijentre come si è di sopra avvertito #
tra cose di diversò genere si raggira sem-
pre il paragone; e si dirà, per esempio, sm-
inile il governo d' una Repubblica a quel-
lo d' urla nave: le discordie civili ad unà,
tempesta: à gonfiò, e' precipitoso torrente
tm esercito forte, ef vittorioso. Due cose
ancora avvertir dobbiamo, riguardò all' uso*
delle Similitudini. Procurarsi dee primiera-
mente, che là Similitudine corrisponda al-
la qualità delle còse, che si paragonano.
Le cose grandi paragonar si debbono colle
grandi, le piccole colle piccole, perchè le
cose grandi paragonate colle piccole non
perdano là loro grandezza, e nobiltà: le
piccolo paragonate colle grandi non acqui-
stino una grandezza, e nobiltà, ebe loro*
noi*
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!
jton conviene-, bisogna in una parola con*
servar nelle Similitudini la proprietà. Ec-
cettuar potrebbesi il caso , in cui per met-
ter maggiormente in ridicolo le cose s' at>
tribuisse loro una grandezza superiore alla
loro condizione, e qualità. Rammentar ci
dobbiamo in secondo luogo, che siccome le
Similitudini servono più air ornamento, ed
Ella chiarezza, che alla forza del discorso,
il frequente uso di esse quanto rende lu-
minosa, e piacevole la Poesìa, altrettanta
disconviene alla Prosa . Le Similitudini trop-
po frequenti snervano * e rendon vuota 1*
Orazione , come le Similitudini troppo este-
se, anziché provvedere alla chiarezza, re-
can talvolta oscurità, avvenendo bene spes-
so , che T Uditore distratto , e deviato dai
una lunga descrizione perda di vista il sog-
getto principale di cui si tratta , e rendasi a
lui più difficile il far della similitudine la
necessaria applicazione. Rare scorgerete in
Cicerone le Similitudini, e quando le usa,
le troverete espresse in poche parole, ma
benché brevi, non hanno però meno di bel-
lezza, e di forza. Mi contenterò finalmen- *
te d' osservare Sol di passaggio , che le
metaforiche espressioni ci somministrano la
più facil maniera di trovare adattate Si-
militudini. Dicendosi intatti metaforicamen-
te, che, per esempio, 1* amore arde: la
morte miete le vite degli uomini; da tali
espressioni ricavar possiamo altrettante Si-
militudini, assomigliando al fuoco, ò ad un
in-
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incendio V Amore; la Morte ad un mietl-
-tore, il quale colla curva falce recide sen-
za distinzione i fiori tutti , e 1 erbe del pra-
to Ma io non vi ho parlato fin qui della
Similitudine, che come d' una figura , e
d' un ornamento del discorso , ed avrei do-
vuto f r.se riserbare quanto ne ho detto,
allora quando delle Figure (a) verrà il tem-
po opportuno di favellare . Ma per evitar
qualunque inutile ripetizione, ho stimato
proprio di riunire in questo luogo tutto
quello , che alla Similitudine appartiene,
intorno alla quale altro non mi resta, che
farvi osservare % poter ella non di radosom-
mi-
» - — - 1 : ==z *
(a) Non gii delle figure di sentenze, ma delle
figure di parole, poiché le figure di sentenza so-
no, come in appresso vedremo , il linguaggio pro-
prio , e naturale delle passioni . Ora come giudi-
ziosamente osserva il Sig. Blair Ler. XVII. le
comparazioni non sono già , come le altre figure . *
il linguaggio delle forti passioni . Sono esse piut-
tosto il linguaggio dell' immaginazione , e d* una
immaginazione vivace Sensi , e fervida , ma non
turbata da alcuna violenta commozione . Una forte
passione è troppo seria per ammetter questo scher-
zo di fantasia . Non ha agio a" andare in traccia
degli oggetti , che si assomigliano ; ella sta fissa in
quello , che s" e impadronito dell' anima , e vr si*
gnoreggia. Troppo occupata dalai si sente , per
volgere altrove lo sguardo ò fissar V attenzione su
d 1 altra cosa. Non può quindi un autore commet*
ter maggior fallo , che in mezzo alla passione in-
trodurre una Similitudine . . . La pompa , e la so-
lennità a" una formale Similitudine alla passiona
r sempre straniera .
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ministrare anche delle ragioni ali* Oratore
per dimostrare il suo Assunto. A queste in-
fatti ridur si possono tutti gli argomenti ri-
cavati dagli esempj , i quali non hanno po-
co di forza per convincere anche i più roz-
zi, e idioti, i quali pure son capaci di coni-
> prendere, che quello, che è stato in qual-
che .circostanza tatto da alcuno, può in si-
mili circostanze da altri farsi, come meglia
vedremo, quando vi proporrò a considerare?
r esempio? come una specie d'argomenta-.
2Ìone nel seguente Capitolo.
Anche la dissimili tudine allo schiari-
mento delle cose non poco contribuisce \
mentre facendo essa vedere la diversità,
che passa tra la cosa , di cui si tratta , e le:
altre , fa sì , che ella non poco spicchi , e
risalti . Molti esempi veder ne possiamo in
Cicerone, e specialmente neir Orazione prò
Archia, e quando paragona lo studio delle
Lettere con le altre arti, le quali di tutti i
tempi, di tutti i luoghi, e di tutte reta,
proprie non sono, come quello è; quando
paragona il Foeta dalia natura stessa for-
mato con quei, che professano altri fitudjf
nell'arte fondati, e nei precetti; e quando
confronta la lingua Latina, con la Greca,
che chiamar si poteva allora il linguaggio»
comune di tutte le Nazioni. Quanta poi
non solo alla chiarezza , ed all' ornamenta
serva la dissimilitudine , ma qual forza ab-
bia anche talvolta a muoverò e persuadi-
le T uditore , meglio comprender nofl si pu© „
elle
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che dall'esempio di Monsignor della Casa:»
il quale mdur volendo i Veneziani alla le-
ga col Rè di Francia, e col Papa contro T
Imperatore, paragona nella ter/a parte del-
la sua Orazione le forze della le^a medesi-
ma con le Imperiali, e dopo aver detto,
che l'esercito dell'Imperatore poteva esser
composto ò di Tedeschi, che l'odiavano, ò
d'Italiani, che avevano tutto il motivo d*
odiarlo, ò di Spagnoli, che oltre ad essere
in piccol numero, se non l'odiavano aper-
tamente, dovevano esser tra loro in diffi-
denza, e discordia; dice esser tutto l'oppo-
sto riguardo all'esercito della lega, poiché
gli Svizzeri nazione valente, copiosa, e na-
ta tra le armi erano attaccatissimi al Rè
di Francia , e gì' Italiani al Rè , ed al Pa-
pa, cosicché quando la lega superate non
avesse le Truppe dell'Imperatore nel nu-
mero, era al certo superiore ad esse nella
fedeltà , e nella concordia . lo vi ho accen-
nato soltanto un tale esempio r potendolo
ciascun di voi riscontrare , e leggere in tut-
ta la sua estensione presso il medesimo elo-
quentissimo Oratore.
Del genere , e della , specie -
Troppo forse prolungato mi sono in par*
lan-
/
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lindo della similitudine, e della dissimili-
tudine . H' tempò oramai, che di due altri
luòghi Orarorj io paàai à ragionarvi, dei
quali uno suole dai Retori appellarsi Gene-
re , e Spetìe l'altro, h per procedere con
chiarezza , è con ordine opportuno sani lo
spiegarvi pr ma, che cosa debbasi iritender
qui per genere, é per specie. Dicést gene-
re ciò, che p;ù parti, Ò specie? simili in se
comprende : Tale sarebbe per ésém-piò ifc
virtù, là q 'àie ih se racchiude, ed àbbrac*
eia la Giustizi i; la Prudenza, e tutte le
altre virtù particolari. Dicesi poi specie
quello** che e contenuto nel genere; come
le virtù particolari riguardo alla virtù pre-
sa" generalmente . Adattando questo princi-
pio ài caso nostro, noi intenderemo per
genere una proposizióne universale ; che
dicesi tèsi, e per specie una proposizione
particolare, che chiamasi ipotesi-, consisten-
do l'uso di quésti due luoghi Oratori ap-
puntò nel passaggio, che fanno sovente gli
Oratòri nelle loro difn detrazioni dalle pro-
posizioni particolari alle ùniversàli, è dalle
ti ili versali alle particolari. Gli esèmpi Schia-
riranno niegtiò tutto ciò, che può és£er d*
oscuro in una' tal manièra di favellare . Ci-
cerone far volendo l'elogiò del Poeta Ar-
chià, parla" prima generalmente dello Stu-
dio delle Lettere , e specialmeóre della Poe-
dia, dimostrando in cjual pregio, e in cjual
onore sono stati sempre i Pòeti dà futti te-
nuti . Ed ecco, che per meglio dimostrai
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6o
la sua particolare proposizione, che è di lo-
dare Archia, ricorre alla proposizione uni-
versale , e dal genere trae la materia del
$uo discorso, estendendosi nel lodare uni-
versalmente i Poeti. Il medesimo dimostrar
volendo la proposizione particolare, che
Clodio fu giustamente ucciso da Milone,
premette la dimostrazione della proposizio-
ne universale , esser cioè permessa dalle
Leggi, e per conseguenza giusta l'uccisione
dell aggressore . Questo passaggio dalla pro-
posizione particolare all'universale, da cui
discende, e nella quale è compresa, è spe-
cialmente opportuno nelT introduziqni , e
negli esordj, come pure nel principio della '
confermazione. Così darlo Dati nell'Orazio-
ne in lode del Commendator Cassi ano dal
Pozzo, preso avendo a dimostrare il di lui
affetto air antichità, nel conservarne, ed il-
lustrarne le più belle memorie, i vantaggi
recati al secolo , in cui viveva , con tante
sue singolari virtù, la gloria, che si acqui-
stò presso l'età future, si rifa nell'esordio
dal parlare generalmente del tempo, e do-
po aver detto » che Y uomo ozioso , ed igno-
rante non gode nè del passato , ne del pre-
sente, nè- del futuro, dimostra esser Top- *
posto dell'uomo saggio, il quale domina il
tempo, godendo i frutti del passato con la
memoria; usando bene del presente con V
opere, e disponendo con providenza del fu-
turo; vive addot inato con gli antichi, in-
vestigando le loro memorie vive felice i ra
>
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gli applausi de* coetanei, tutti i buoni
amando, amato da tutti; vive rinomato con
i posteri, riportando il premio di sue vir-
tuose fariche , c far tasi così strada alla pro-
posizione particolare, ed alla divisione, ta-
le dice essere stato ii Commendato!* Cas-
siano dal tozzo. Non debbo qui tralasciare
di farvi osservare un difetto, nel quale ca-
dono bene spesso coloro, che solleciti di
metter fuori tutto quello, che sanno, e che
hanno potuto raccogliere, tanto si tratten-
gono nel genere , e si diffondono nel dimo-
strar la tesi, ò la proposizione universale,
che non vengono , se non che tardi, ed ormai
sranchi alla specie, e poco, ò nulla dicono
dell' ipotesi, ò della proposizione particolare»
sebbene formi questa il pnncipal soggetto
dell'Orazione. Così per esempio farebbe»
chi impreso avendo a celebrare le lodi d*
un quale he Santo , ò di qualche insigne
personaggio, e le sue virtù, a lungo par-
lasse delle virtù medesime considerate in
se stesse, e in astratto, e poco, ò nulla
dicesse poi delle azioni del Santo, ò del
personaggio, di cui celebrar pretese le lodi.
Farebbe in tal caso l'elogio della virtù,
non di chi seppe eroicamente praticarla.
Debbonsi,è vero, nell'Orazione gettare cer-
ti semi, e certi principi, per procedere con
tutto l'ordine, e con tutta la sodezza nel
ragionare, e questi trar si possono dal ge-
nere, ò dalla proposizione universale. Ma
TÌcordar ci dobbiamo, che non formano es*
li
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te
ti il principal soggetto dell Orazione, ed
imitar perciò gli abili Architetti, i quali si
studiano di proporzionare la profondità, e
la stabilità de' fondamenti all'altezza della
mole, che sopra di essi hanno ideato di co-
struire Non dobbiamo inoltre prender per
•istema, e per regola di rifarci in tutti i
nostri discorsi dal genere, quasiché niun/
altra maniera sapessimo di dar principio al
nostro favellare; ma potremo talvolta subi-
to venire all'ipotesi, ò alla proposizione
particolare, quando specialmente dal gene-
re ricavar non si possono , che co*e a tutti
ben note, intorno alle quali renderebbesi
imolesto chi troppo lungamente trattenesse
gli uditori.
Ma diciamo brevemente qualche cosa
dell'altro luogo Orarono di sopra accenna-
to, onde meglio si ponga in chiaro che co-
sa sia argomentar? dalla specie al genere,
à dalla proposizione particolare passare all'
universale. Non può comprendersi ciò più
agevolmente, che dagli esempi . Dalla spe->
eie al genere argomenterebbe, chi per
esempio dicesse; un'atto di magnanima;
fortezza è i\ soffrire il martirio; è dunque
ui} atto della più eroica virtù. Lo stesso fa*
rebbe, chi dopo aver dimostrato, essere ai-
curio fornito d' una fedp sincera , e costan-
te , d'una singola^ prudenza, d'una mode*
jratezza, d'una rettitudine, pietà, ed oner
ptìi a u: mirabile , concludesse, esser' egli ve-
f&ment§ virtuoso , e perfetti ed all'oppi
no
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*
sto dopo avere enumerati molti vizi parti-
colari, per malvagio caratterizzasse colui, .
che ne è infetto Convien rifletter per al-
tro, che l'argomento, per cui dalla specie v
si deduce il genere, non è egualmente for-
te di quello, per cui dal genere si deduce
la specie; poiché, quanto è certo, che af*
fe rmar si può con ragione la specie riguar-
do ad uno, di cui si afferma il genere, al-
trettanto è incerto, e soletto ad errore 1*
' affermare il genere d'uno, di cui non si
afferma, che la specie. Dall'essere alcuno
veramente vimioso concluder posso con tut-
ta ragione, che egli è ancora giusto, sag-
gio, moderato, e forte. Ma dall'essere al-
cuno ò giusto, ò saggio, ò moderato non
posso sempre con sicurezza dedurre, eh' ei
sia virtuoso, mentre a qualche particoiar
virtù unir può molti vizj, e molti difetti.
Più concludente è l'argomento dalla specie t
ai genere, quando è negativo; d uno, per
esempio , che non è giusto , si dira benissi-
mo, e con verità, che non è virtuoso. Ma
allora specialmente è forte, e persuasivo T
argomento dalla specie al genere, quando,
enumerate le specie particolari contenuto
nel genere si dimostra ritrovarsi queste in
qualche soggetto , potendosi allora anche il
genere con tutta ragione di esso affermare .
L'esempio di Cicerone, tratto dall'Orazione
in difesa della Legge Manilia, e da me già
accennato nell' enumerazion delle parti, ren-
der può chiara la maniera, ò l'arte, d'ar-
go-
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<$4
fomentare dalla specie .al genere, mentre
. avendo egli dimostrato, che in Pompeo si
ritrovavano tutte le qualità, e particolari
prerogative proprie d'un ottimo Generale,
con tutto il fondamento conclude, che tale
Ugli pur 1 era ,
§. V.
Della Comparazione .
Frequentissimo presso gli Oratori è J'iwo
di quel luogo Oratorio, di cui prendo or^
fL ragionare, detto dai Retori Comparazione.
Altro poi non s'intende da essi per Compa-
razione, che un discorso, nel quale si fa il
paragone di due co^e con una di terzo ad
<esse comune. In tre nianiere far si può
questo paragone, ò si può da questo luogo
Oratorio argomentare. La prima si è» quain^
d<* paragonate insieme con una di terjo due
cose si conclude, che ciò, che véle nel
meno, dee valere anche nel più, ò quando
.da ciò, che è meno probabile, si deduce il
più probabile, e dicesi argomentare a mino-?
ri ad majus , come chi, dicesse: se due Le-
gioni possono superare V esercito nemico,
jnolto più lo potranno cinque Legioni: La
seconda, quando, fatto il medesimo parago-
ne, concludasi valere anche nel meno quel-
te, clip vale nel più, ò quando dal più prp*
ba-
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fcabile si deduce il meno probabile, e chia-
masi argomentare a matori ad mintfs , per
esempio; Ettore uomo valorosissimo non po-
tè difender dai Greci la Patria: tanto me-
no sarebbe ciò stato possibile a Paride uo-
mo timido, ed effeminato ; la terza final-
niente, quando conchiudesi, che ciò che
vale in una cosa , dee valere in un' altra al-
la medesima eguale, ò quando da una cch
sa probabile un altra se ne deduce egual-
mente probabile e dicesi argomentare a pa-
ri per esempio: Pompeo dopo aver disfat-
ti i nemici della Repubblica chiese, ed ot-
tenne l'onor del trionfo; potrà dunque
chiederlo, ed ottenerlo anche Cesare dopo
le sue vittorie non inferiori a quelle da
Pompeo riportate,
Ma per meglio conoscere - qual' uso .
far dobbiamo di tali maniere d argomenta-
re, opportuno sarà illustrarle con esempi
de migliori Scrittori. E riguardo all'argo-
mento, che dicesi a hìinori ad majus > mol-
ti esemp a noi ne somministra Cieerone
neir Orazione prò Archia , e quando para-
gona il Poeta Archia con il comico Roscio,
e quando fa il confronto del medesimo col
Poeta Omero , esponendo le contese di mol-
ti , e diversi popoli int< rno alla gloria d*
aver dato alio stesso Omero i natali . La-
sciando a voi la libertà di leggere, e ri-
scontrare tali esempj, mi contenterò di ram-
mentarvi quello, che si lerge nella prima
parte dell'Orazione in difesa della Legge
F Ma-
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66
Manilia: Major e s vcstri saepc, mcrcatoribus ,
ac naviculatoribus injuriosius tractatis , bella
gesscrunt: vos , tot civium Romanorum milli-
,bii$ uno nuncio, atque uno tempore necatis ,
quo tandem animo esse debetis ? Legati quod
crant appellati superbius , Corinthum patres
vestri , tofizzs GraccLte lumen, extinctam esse
voluerunt : vos eum Rcgem inultum esse pa-
tiemini , <?:/i Legatura Pupilli Romani consula-
rem vinculis, ac verberibus y atque omni sup-
plicio exeruciatum necavitì Un breve, ma
chiaro esempio della seconda maniera d'ar-
gomentare a majori ad minus vi si prcsjii-
ta in quelle parole di Terenzio:
(Jnem Jeret, si parentem non fcrt suum ?
ed in Cicerone, il quale parlando d' Anto-
nio dice: » Quid Jaceres domi tuac , cuni
alicnae tam sis insolens »? Ma più chiara-
mente- comprenderete la forza, e V artifi-
zio cT un tale argomento dall' esempio del
Casa, il quale nell' Orazione per la resti-
tuzion di Piacenza dimostra , che avendo
r Imperatore per la pubblica quiete ceduto
altrui r intiero stato di Milano, che era
pur suo , tanto più doveva essere alieno
dal ritenere la sola città di Piacenza, che
forse non era sua. Cicerone finalmente ci
somministra un chiaro esempio dell' argo-
mentazione a pari nelf Oraziqne prò domo
sua dicendo , che se potevasi toglier la
cittadinanza ad un nuovo cittadino, ragio-
ne non vi era, perchè spogliar non se ne
potessero tutti i patrizzi , e i citta dini più no-
bili , ed antichi . §.
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L
6Z
§. VI.
Degli Aggiunti
e circostanze , che preceder possono una
cosa, accompagnarla, ò seguirla, e che col
nome d* Aggiunti * appellano , un altro
luogo Oratorio costituiscono, da cui trar si
può ampia materia di favellare. Sono state
queste per ajuto forse della memoria es-
presse , e compendiate tutte in questo qua-
lunque siasi verso :
Quis,quidyiibi,quibu3 auxiliis>cur,quomodo,quando.
Quis esprime la circostanza della perso-
na, Quid la circostanza dell'azione, Ubi
la circostanza del luogo, Quibuà auxiliis ,
la circostanza dei mezzi, che si sono
adoprati per eseguire una qualche azio-
ne , Cur la circostanza del fine , e dell' inten-
zione, che si è avuta nell' intraprenderla,
Quomodo la circostanza del modo, onde è
stata eseguita, Quando finalmente la circo-
stanza del tempo Ognuno ben sa, quanto
le circostanze contribuiscono ad accrescere il
merito , ò il biasimo delle persone , la bon-
tà, ò la malvagità delle azioni. Quali ar-
gomenti dunque, e qual materia sommini-
strar non ci possono esse , qualunque sia il
soggetto del nostro favellare? Se intrapren-
diamo a far V elogio di qualcheduno , qual
campo di ragionare non ci aprono le cir-
costanze della patria, della nascita, e con-
dizioni, dell' età , dei beni sì di fortuna , e del
cor-
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corpo, quali sono le ricchezze, 1* avvenen-
za, la forza, la sanità, che dello spinto,
quali sono il talento, la scienza, e tutte le
morali virtù? Se trattasi d' una azione ò
virtuosa, ò malvagia, quanto potremo far-
ne risaltare il pregio , ò mostrarne la de-
formità , la gravezza , non solo dicendo quel-
lo, che ella è in se medesima, ma tutte
esponendo le circostanze del tempo, del luo-
go, del fine, dei mezzi, del modo, che f
Scompagnano ? Troppo lungo sarebbe di
tutte le circostanze distintamente parlare,
adducendone per schiarimento opportuni
esempj dei migliori Scrittori. Io mi contente-
rò d accennacene soltanto alcuni, cosicché
per altro vi sia da questi agevole il com-
prendere , come dalle circostanze ricavar si
possa materia di favellare . E tosto mi si
presenta alla mente T Orazione prò Archia , nel-
la quale fa risaltare il suo mento dalle circo-
stanze sì della sua patria, e della sua nascita ,
che dell' ingegno, e della fama, che si era
con esso acquistata . Non avete, che a leggere
V Orazione di Cristoforo Landino in lode di
Donato Acciaioli per intender, come non
solo da' beni dello spirito, ma ancora da
quei di fortuna, e del corpo ricavar si pos-
sa materia di lode ; come pure 1' Orazione
d* Alberto Lollio in lode del Giovane Bar-
tolomeo Ferrini, il quale tra le altre cose
dalla circostanza della di lui ignobile, e
bassa condizione rileva il merito maggiore
di $sso, che seppe e se medesimi, e la sua
ca-
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casa nobilitare con la virtù. Leggete inol-
tre f Orazione in favor di Milone, nella
quale dalle circostanze del luogo, e del
tempo, come pure del fine, e del modo,
onde da Roma partendo fece Milone il
suo viaggio alla volta di Lanuvio, dove
trovarsi dovea necessariamente nel determi-
nato giorno per creare il Flamine , ò sa-
cerdote di Giunone Sospita , e da altre simili
circostanze argomentando, e lo stesso facen-
do riguardo alla partenza di Godio da 'RÌ*
ma, prova Cicerone, che Milone non tese insidie
a Clodio, ma bensì Clodio a Milone. Da tutti
questi esempi , e da altri , che per brevità trala-
scio , comprender potete , quanto fecondo d' ar-
gomenti, e di prove sia il luogo Oratorio , del
quale vi parlo. Ma non meno utile, ed op-
portuno ne sperimenterete 1* uso nelle nar-
razioni , e nelle descrizioni , le quali allo-
ra riescono vivaci, »e dilettevoli, quando
con esatta > e chiara maniera s* esprimono ,
e si rilevano le circostanze, che accompa-
gnano le cose* che descrivere, ò narrare si
vogliono. Guardar però ci dobbiamo dal
renderci troppo minuti, mentre* ci studia-
mo di comparir diligenti , poiché le più piccole ,
e minute circostanze, anziché aggiunger bellez*
za alle Descrizioni, e dar risalto alle cose , av-
vilirebbero queste, e renderebbero quelle
nauseanti, e moleste. Leggendo inoltre i
buoni autori , osservar potete con qua!' ar-
te, e cpn qual giudizio in parlando delle
cose rilevino quelle circostanze» che ren-
der
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fex possono a chi ascolta grato il discorso*
p a bella posta tralascino quelle , che po-
tessero nell' animo dell' uditore generare a*
versione, e disgusto. Quant' altre cose, per
esempio , esprimer poteva Virgilio parlando
dell' anime de' Greci , cmando in esse s' in^
contro Enea disceso ali Inferno? Rammen-
tar poteva il valore da quelli tante volte
dimostrato, l'incendio, e la rovina di Tro.
ja, le ferite , che Omero racconta aver rice-
vute da essi Enea medesimo, ed altre simi-
li cose le quali erano affatto inopportune,
e sarebbe stato lo stesso l'esporle, che ram :
mentare ad Enea la cagione funesta de' suoi
dolori . Essendo inoltre Enea l' eroe del Poe-
ma , doveva il Poeta far sempre spiccare il
merito, e la glofia di esso, e. ..perciò par-
lando de* Greci conveniva rammentare sol-
tanto le circostanze onorevoli ad Enea, c
a' Trojani. Ed infatti ,ci rappresenta i Gre-
ci alla vista d. Enea pieni di spavento, ed
in atto di darsi ad ona foga simile a quel-
la , con cui si ritirarono un tempo , come
narra Omero nel Libro XV. dell'Iliade, al-
le sue navi: .- 2 . _ ^ r
At Danautn próc&xs r Àg&meftT(onideq. pfialangcs.
Ut videre vin£pk$dffentiqque arma per umbras r
JngentLJ^^fd(fl^rifTifitu- 9 pars vertere terga
Ceu ^onftam 1 petiere rates , pars tollere vocetn
Exì&tì&ec
■ - f
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t
§• VII.
Degli Antecedenti, e Conseguenti.
D a ciò, che precede una cosa, ò un*
azione, ed ha con* essa un rapporto tale,
che necessariamente la riguarda , ed è come
una disposizione , ed un preparativo alla
medesima, come gli odj,e le risse precedo-
no le* stragi , la colpa precede , e trae ad-
dosso al reo la pena; da ciò, che deriva
da una cosa, e da un'azione, ed è come
un effetto, ed una conseguenza della mede-
sima, come la pena deriva dalla colpa, la
rovina delle Città, e degli Stati dalla guer-
ra, possono ricavarsi vere, ò almeno proba-
bili ragioni per dimostrare il nostro assun-
to, e indi risulta quel luogo Oratorio, iL
quale perciò col nome d' Antecedenti , e di
Conscguenti s'appella, e che adesso a spie-
garvi intraprendo . Ma senza che io mi trat-
tenga nell'espcrvi a lungo la natura, e 1*
uso di esso, meglio rilevar lo potrete dagli
esempi, che andrò ne' Latini, e ne' Tosca-
ni Autori additandovi. E primieramente a
legger vi esorto l'Orazione di Cicerone in
difesa di Milone, e vedrete, come dagli
antecedenti argomentando dimostri essere
atato Clodlo insidiatore di Milone, adducen-
done per prova, e l'odio, che Clodio portava (
a Milone: » Me erat , ut odisset primum de-
Jhìóorem salutis meac , deinde vexatorem Ju-
ed il
di-
v «
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? 2
disegno , che avea pubblicamente manifesta-
to d'uccider Milone : » Palam agere coepit,
et aperte dicere , occidendum MVonem , 5 , e V
opportunità del viaggio di Milone, i? del
luogo , che Clodio scelse^vicino ad una sua
possessione per tendergli insidie, ed assa-
lirlo: Interim cum sciret < lodi'ts iter so-
lenne, legiimum, nécessarìum ante diem
XllL Kal Ftbr. MiLoni esse Lanuvium ad
flaminem prodendum Poma subito ipsé
vrofectus pri\ie est, ut ante siiutn fundum
( quod re iiuellectum est ) Miloni insidiai
collocare. Osserverete poi, come il medesi-
mo Oratore dai Conseguenti dimostra l'in-
nocenza <ii Milone, rammentando la pron-
tezza del suo ritorno a Roma, e l'aria di
sicurezza , con cui si fece vedere ed in Se-
nato, ed in Pubblico senza temere d'alcuna
cosa dopo l'uccisione di Clodio: w Quod si
non ium satis cerniti* , cum res ipsa ioi* tatti
Claris argumentis* signisque lue eat , pura men- .
te . atque integra Milonem nullo scelere imbu-
tum, nullo metu perterritum, nulla conscien-
tia exanimatum, Romam revertisse \ recorda-
mini per tseos immortale** quae fuerit cele-
ritas redttUs éjus, qm ingressus in forum,
ardente curia, quae magnitudo animi , qui vul-
ius, quae orano. Seque vero se populò so*
ìum, sed etiam Cenatiti tradì ut; neque Sena-
iui modo, sed edam pubhcis praesi iiis , et àr-
vus , neque hìs tantum, veruni etiam ejus po-
testaiii 'cui Sendtus totam Rémpublicdm, or*-'
tetri Italia* vùlem , cuncta P. Romani artàd]
co/n-
t
?3 .
éornmiserat , cui se hunquam prqfecio tradì*
disseti nis causae suae confiderete pfaesértìrti
àmnia auditnti, magna metuenti i multa susp'i-
canti , nonnulla credenti. Magna vis est con*
scientiae , judices, et magna in ùtratnque par-
tem, ut neque timeahty qui nihil commiserint§
et poenam semper ante oculos versóri putent *
qui peccarmi i »
Dàcrìi Antecedenti dimostra il Casa,
quanto lontano fosse l'Imperatore dall'om-
bra, e dal sospetto di tirannìa, e quanto
per conseguenza dovevasi credere alieno
dal ritenere la Città di Piacenza: „ Ne di
ciò puote alcuno dubitare, se si avrà diligen- •
temente riguardo alla preterita ita di vostra.
Maestà , ed alle maniere, che ella ha tenute
nei tempi passati; conciossiachè ella potendo
agevolmente spogliare molti Stati della lor li-
bertà, anzi avendola in sua forza , 1* ha loro
renduta, ed hanneli rivestiti, ed ha voluto
piuttosto u&ando magnanimità provar la fede
altrui con pericolo , che operando iniquità
macchiar la propria con guadagno w ; ed in
appresso adduce per prova di ciò molti
esempj, e fatti dello stesso Imperatore, co-^
ine voi potete leggendo la sua orazione ve-
dere. E chi dimostrasse V eccellenza, la ve-
rità, e la divinità della Religione Cristia-
na dalle Figure, e dalle Profezìe, che la
precedettero, che altro farebbe, se non che
argomentare dagli Antecedenti ? E chi l£
stessa cosa dimostrasse dall' ammirabil pr^'
paglione di essa, e dalia con visione' nel
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""giro di pochi anni seguita distanti Popoli ,
e di tante Nazioni della Terra, non sareb-
be questa una prova dai Conseguenti de-
dotta? Come inoltre dagli Antecedenti ai-
gomentar si possa ve l'insegna Cicerone nel
libro de SenectutCy dove dimostrar volen-
do, quanto siano da fuggirsi i piaceri del
corpo, espone le gravissime conseguenze,
che da essi derivano. Dai Conseguenti pu-
re argomentando dimostra il Casa , che so
i Veneziani non s' univano col Rè. di Fran-
cia, e col Papa a prender : armi contro 1*
Imperatore, pericol grande correvano di
perder la propria libertà .
§. VIIL
D'alcuni altri Luoghi Oratorj intrinseci.
P
JT rima di por fine a questo Capitolo, che
i Luoghi Oratorj riguarda, piacemi d'accen-
narne almeno di passaggio alcuni altri, dei
quali come superflua cosa sarebbe il tene-
re lungo ragionamento , così a negligenza
mi si potrebbe con ragione ascrivere , se
fossero affatto da me tralasciati. *
Uno di questi è quel luogo Oratorio,
che col nome di Repugnanti vien chiamato
dai Retori. Repugnanti poi, ò contrarie di-
consi quelle cose, le quali trovar non si,
possono insieme in uno stesso soggetto, ma t
una
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I
una esclude l'altra, una V altra distrugge*
cosicché se una è vera, è falsa l'altra, se
una è, r altra non è. Tali sarebbero, per
esempio la virtù ed il vizio* l'amore e ì*
odio, la pace e la guerra. Da ciò voi ben
comprendete , quanta forza abbiano le prò*
ve, che da questo luogo Oratorio si traggo*
no, mentre dimostrata avendo vera una pn>
posizione , ne viene per necessaria conse^
guenza, che sia falsa l'opposta. Di tutti
gli esempi > che addur vi potrei, quello mi
contenterò d'additarvi , che ne somministra
il Casa nell'orazione per la Lega, nella
quale dai Repugnanti argomentando parla
così dell'Imperatore: » Se egli amasse la
pjce, se anzi egli non l'odiasse* la sua vita
sarebbe lieta , c la sua vista serena , e la
sua mente da infinite cure libera, e scaricai
poiché voi vedete , che ella è in sua mano 9
ed in suo potere. Che vagitoti dire adunque
tanti pensieri, e tante vigilie} Certo , Serenis-
simo Principe \ chi doglioso è in pace* spera
in guerra trovar letizia; chi del suo stato
non si contenta , appetisce V altrui: e chi le
più parti, e le maggiori avendo non si chia-
ma pago, vuole il tutto 95 . Rifletter dovete
poi, che l'opposizione censiste iti semplici
parole, ò in interi sentimenti, e serve tal-
volta non poco all'ornamento, ed alla bel-
lezza. E riguardo all'opposizione di seni pi i*
ci parole quanto mai è bella, e leggiadra
quella quartina del Sonetto del Petrarca ;
Qui tutta umile, e qui la vidi altera,
Or..
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Or aspray or piana, or dispietata y or pia,
Or vestirse onestade , or leggiadrìa.
Or mansueta , or disdegnosa , e fera ;
come tutto il Sonetto, che incomincia: Pa-
ce non trovo , e non ho da far guerra ec*
tutto composto di Repugnanti , e d'Antitesi . (a)
Riguardo poi all' opposizione di sentimenti ,
quanto mai fa risaltare il Boccaccio nella
sua Fiammetta la descrizione, che fa de*
suoi tempi, contrapponendo a questi la bel-
la età dell'oro, che pure leggiadramente de-
scrive. Troppo lungo sarebbe il riportarla
qui intieramente: l'averla soltanto citata
può farvi chiaramente comprendere , quan-
to in breve accennai.
Le cause, e gli effetti formano un'al-
tro luogo Oratorio, di cui frequentissimo è
l'uso presso gli scrittori, avvenendo bene
spesso di dover dimostrare dalle cause buo-
ne , ò cattive i buoni , ò perniciosi effetti ,
(a* B* però da avvertirei che il frequente uso
àeìV Antìtesi , specialmente quando f opposizione
delle parole sia troppo ricercata , suol render lo sti-
le disaggradevole ... Quando una lunga serie di
tai sentenze l' una alt altra succede . quando in un
autore diventa la consueta , e favorita sua manie-
ra d 1 esprimersi , il suo stile divien vizioso ; e Se-
neca ( potrebbe unire ad esso la maggior parte
de* così detti Secentisti ) per queste appunto assai
spesso, e meritamente fu censurato. Sì fatto, stile
sente troppa di studio, e di fatica > e fa sospetta-'
re che fautore ubbia ptìt atteso alla maniera di
dir le cose, che alle cose medesime. $lair Lez.
XVII.
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e da' buoni, ò cattivi effetti, come ciarli
effetti grandi, ò piccoli l'eccellenza, ò la
viltà, l'efficacia, ò la debolezza delle cau-
se. Cicerone infatti dimostra l'eccellenza
della vera amicizia, e la preferenza, che
ella merita sopra tutti i beni terreni dall'
eccellenza della causa, che la produce, ed
è la virtù: r> Haec ipsa virtus amicitiam gi»
gnit , et continet, nec sine virtute amiciuaes*
se itilo pacto potest »; ed in appresso dimo-
stra la medesima cosa dai preziosi,. ed uti-
li effetti, che dall'amicizia derivano, rac-
chiudendoli tutti in questa bella sentenza:
iSam , et secundas res splendi iiores Jack ami-
citia , et adversas patiens , corri munii ani que
lev io res . Così dimostrar si potrebbe 1 ordine,
e la mirabile struttura del Mondo dall in-
finita sapienza, e potenza del Creatore, ed
all'opposto argomentare l'infinita sapienza,
e potenza di esso dall'ordine maraviglioso
dell'universo, dalla bellezza delle cose
create.
§. IX.
De Luoghi Oratorj estrinseci.
jA vendo fin qui parlato abbastanza de'
luoghi Oratorj intrinseci, altro rimaner non
sembra , se non che alcuna cosa si dica an-
cor degli estrinseci, di quelli cioè, 1 quali
som-
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? 8
somministrano prove, e ragioni non giade-
dotte dalle viscere della causa , ma ali »
causa medesima affatto straniere, cosicch :
non vi ha bisogno dell' arte dell' Orator 5
per rinvenirle. Cinque ne assegna Aristote-
le, le leggi, i testimonj, le convenzioni, i
giuramenti , i tormenti . Quintiliano poi n ;
annovera fino in sei, e soao i pregiudizi, <>
giudizj, e sentenze date antecedenrement 5
in simili cause, la fama, ò la pubblica ve-
ce , e testimonianza del popolo, i tormenti , eh 2
fci danno ai rei, ò a' testimonjper trar da essi li
confessione della colpa, ò della verità , le ta-
vole, ole scritture sì pubbliche, quali sono le
leggi , e i decreti , che private , come i testamen-
ti, i contratti eci giuramenti, co' quali si con-
ferma la verità d' una qualche cosa , finalmente
i testimoni. Di tutte queste cose mi conver-
rebbe particolarmente trattare, qualora in-
dirizzar vi dovessi specialmente all' Elo-
quenza del Foro. Voi stessi infatti ben co-
noscete", quanto ne sia frequente, e neces-
sario 1' uso nelle cause forensi, e di ciò
rimaner potrete sempre più persuasi leggen-
do le orazioni di Cicerone , delle quali pia-
temi rammentar quella in favor del poeta
Archia, nella prima parte della quale con
la legge di Silvano, e di Carbone, con le
tavole di Metello, e con la testimonianza
di Lucullo, e di tutta la Città d* Eraclea
dimostra essere Archia cittadino Romano.
Ma giacche in niuna cosa meno, che nel-
le cause del Foro, avviene a' dì nostri, che
im-
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impieghisi T Eloquenza, basterà riguardo a
questi luoghi Oratori estrinseci averli a mag-
giore intelligenza degli antichi Oratori sol-
tanto accennati, e ci atterremo piuttosto al
sentimento di Cicerone , il quale ne' suoi
Topici insegna, che tutti i luoghi Oratorj
estrinseci ad una sola cosa ridur si possono
ed è questa T autorità : „ Haec ergo argu-
mentatio, quae dicitnr artis cxpers y in te-
stimonio jjosita est. Testimoniurn autem mine
dicimus omne, quod ab aliqua re extern*, su-
jnitur ad faciendam fidem 95 . Considerati in
questo generale aspetto i luoghi Oratorj
estrinseci di grand'uso sono anche nella moder-
na Eloquenza . Agevole vi sarà il compren-
derlo , qualora riflettiate, potersi V autorità
distinguere in Divina , ed Umana . L' Au-
torità Divina si contiene nei sacri Libri sì
del nuovo, che dell' antico ^Testamento , e
nella Tradizione, ò nella parola di Dio non
scritta, che sono i due fonti infallibili del-
la Divina Rivelazione , e questi , come v*
accennai sul principio, sono i fonti , dai qua-
li attinger debbono i sacri Oratori la ma-
teria dei loro ragionamenti , procurando d*
esporre la parola di Dio con quella maestà
e semplicità insieme, con cui si trova es-
pressa nei sacri Libri , e soprattutto guar-
dandosi dall' interpetrarla arbitrariamente,
e rigorosamente seguendo il senso, e T inter-
pretazione della Chiesa, e de' Padri. L' Au-
torità umana poi consiste e nelle leggi da-
gli Uomini promulgate , e nella testimonian-
za
■
So
2a, e nel parere d uomini illustri sì per
dottrina, che per probità. L' autorità vi : vi*
na somministra prove incontrastabili in fai*
libile essendo V autore della rivelazione,
cioè Iddio. Nò di picciol peso è ancora 1*
autorità degli uomini ; ma riguardo a q e-
gta non è sempre il numero de più g nel lo
che menta il nostro assenso, e la nostra
crevlenza, ma bensì le iasioni più forti e
convincenti, sulle quali s' appoggia 1 ai-
tr 11 opinione, ò tesnnion.anza Ma ristrin-
g.amo in poche paro'e tutta la mate a,
di cui abbiamo finora trattato : La retta ragion^
e 1' autorità di Dio, 1 autor,' à, e la te-
gtimonian/a degli uomini Mjno quei fonti , ai
quali ruorrer dovete secondo la olia *ta < , eiL*
argomento, che imprenderete a trattare , pei?
provar la materia de' vostri ragionava enti .
CAPITOLO II-
A
DclV Argom esazione .
Itro fin qui non feci, ottimi Giovanf ,
che mostrarvi i mezzi di fecondare la vo-
stra niente di pensieri, e d' idee, additane
dovi i fonti, dai quali queste si attingono.
Ma come poco gioverebbe ad un architetto
\ } aver pronti tutti i materiali alla costruì
z one d un' e.lili/.io neoessarj, se la ma-
niera ignorasse di metterli in opera, di ri*
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r
81
pulirli, d* affinarli, cosicché disposti poi al
suo luogo appaghino V occhio dello spettatore;
così niuno, ò poco vantaggio a voi reche-
rebbero le ragioni , e gli argomenti con
gran diligenza, e studio ritrovati, nè mai
giungereste a persuadere gli uditori, se vi
contentaste di esporli rozzi , nudi , e scon-
nessi, quali ritrovati gli avete. Troppo
adunque importa V imparare ancor T arte
di maneggiare, e d' esporre in modo gli
argomenti, e le prove, che tutta la t'ora,
e T impressione facciano nell' animo di chi
ascolta . Questo è ciò , che apprender dove-
te nel presente Capitolo, in cui prendo a
trattar dell' Argomentazione, ò sia della
maniera d' esporre 1 ritrovati argomenti
per dimostrar con persuasione la venta del
soggetto, che preso abbiamo a trattare. Pri-
ma però d' individuarvi le diverse maniere
d' argomentare, voglio, che meco breve-
mente consideriate la natura dell argomen-
tazione, ed alcune altre cose notiate, che
io giudico necessario premettere a maggio-
re intelligenza di ciò, che io sono per dir-
vi , di ciascuna specie d' argomentazione
favellando. E primieramente rifletter dove-
te, non esser possibile V arri are a ben
comprendere, che cosa sia argomentazione
senza dare un' occhiata al nostro spinto, e
le principali facoltà attentamente esamina-
re, delle quali è fornito, e che colla ge-
nerale denominazione d' attività di pensare
fi esprimono, la Percezione cioè, il Ciudi-'
G zio
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tu
zio, ed il Raziocinio. Benché a prima vista
sembri , che 1' esame da me alla vostra
attenzione proposto sia alieno dal nostro
istituto, e a quella parte di Filosofia pro-
priamente appartenga, che Logica s appel-
la, da quello che in appresso dirò, spero,
che chiaramente comprenderete » quanto an-
cora al nostro scopo sia il medesimo relati-
vo, e necessario, cosicché niuno condannar
mi possa, quasiché io abbia nell'altrui mes-
se posta inopportunamente la falce, (a) e
ripetere contro di me quello., che presso
Cicerone dice Scevola contro di Crasso:
Multis praeessem , qui aut interdicto teoum
contenderent , aut te ex jure mamun consertimi
vocarcnt, quod in alienarti passessionem tam
temere. imnsseS*
■
§. T.
Della Percezione.
L a Percezione altro non è, che quella fa-
coltà, o quella operazione, per cui l'intel-
letto nostro acquista la cognizione delle ca-
se
4» . :== ; ; = : *
(a) Nell'avviso al Pubblico io ho già prevenu :a.
e come spero, dileguata una sì fatta censura, -a
maniera facile, e adattata anche alla capacità • e'
teneri giovanetti , con cui studiato mi sono di
trattare un soggetto tutto metafisico, renderà f r*
*e compiuta la mia giustificazione .
*e, senza che di esse formi ancora alcun
giudizio. Questa cognizione, ò vogliam di-
re apprensione, ò visione intellettuale degli
oggetti fu da Platone chiamata con Greco
vocabolo Idea, a cui corrispondono le voci
simulacro, figura, immagine ec Due poi
sono le maniere , ò le vie , per le quali T
intelletto nostro acquista una tal cognizio-
ne , la via de' sensi cioè , e la riflessione ,
e quindi nascono due sorte d'idee, l'idee
avventizie, le quali ci vengóno da' sensi,
e per mezzo de* sensi s acquistano, e l'idee
fattizie, ò sia quelle idee, che lo spirito
per mezzo della riflessione si forma, ed
acquista da se medesimo. Ecco poi qual'è
la maniera , onde per mezzo de' sensi acqui-
stiamo l'idea delle cose. Gli esterni ogget-
ti fanno impressione su' nostri sensi , sull'
occhio, sull'orecchie, nel palato, nelle na-
rici ec. Questa impressione è quella appun-
to, per cui la mente acquista l'idea delle
cose esterne , e corporee , mentre propagan-
dosi per mezzo dei nervi , che servono ai
sensi, una tale impressione fino al cervello,
dove i nervi tutti del corpo sono riunitile
donde si partono , e si diramano , e che
perciò comun sensorio g appella , lo spirito ,
che in questa parte più verisimilmente ri-
siede, unito intimamente dal Creatore al
corpo, apprende una tale impressione, ed a
questa succede in lui l'idea dell'oggetto
che ha fatto impressione sù i nostri sensi.
Per mezzo della vista apprende l' idea di
tut-
\
84
tutti i colori, dell' estensione , e della figu-
ra dei corpi, ed il mezzo, per cui gli og-
getti agiscono, e fanno impressione su' no-
stri occhi, è la luce, la quale dagli ogget-
ti medesimi partendo, e riflettendosi viene
a ferire le nostre pupille. Per mezzo dell'
udito si acquietano l'idee delle voci, e de*
suoni, ed il mezzo ne è Tana, la quale
messa in moto dal tremore indotto nelle
parti d'una corda per esempio, ò d'una
campana comunica il suo moto ai nervi
delle nostre orecchie. Così discorrete degli
altri sensi, del gusto, dell'odorato, del tat-
to, per i quali s'acquistano l'idee dei sa-
pori, degli odori, della durezza, ò mollez-
za de' corpi . Rifletter dovete però , che tut-
te le sensazioni riferir si possono al solo
tatto, il quale si può riguardare, come il
senso universale, mentre gii oggetti esterni
agiscono sopra di noi toccando mediata-
mente , ò immediatamente il nostro corpo.
L'idee avventizie, ò acquistate per
mezzo de' sensi sono occasioni, e sorgenti
allo spirito di nuove idee Imperocché alle
medesime riflettendo esso, combinandole, e
paragonandole insieme, altre idee ne dedu-
ce, e ne forma, le quali non riconosce
che da se stesso, e per le quali accresce,
ed estende sempre p ù il numero delle sue
cognizioni . Per mezzo de' sensi acquista
per esempio l'uomo l'idea dell'universo, e
delle cose create. Riflettendo l'intelletto
nostro 1 e ragionando sull'idee, che gli pre-
se n-
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Senta la vista dell'universo, ne deduce la
necessità d'una prima causa creatrice , si
forma, ed acquista in una parola T'idea di
Dio. A qual' altra cagione fuorichè a se
stesso è debitore lo spirito di tutte 1' idee
astratte, quali sono l'idee d' uguaglianza , e
di disuguaglianza, l'idee della bianchezza,
dell'estensione, dell'umanità, della sapien-
za , ed altre simili ? Ed eccovi brevemente
spiegata la natura della Percezione , e i due
principali mezzi , per i quali essa in noi si
produce. Tralascio le molte cose, che 1 Fi-
losofi insegnano intorno all'idee, ed alle lo-
ro diverse specie per non dilungarmi di
troppo dal mio oggetto • principale .
Sembrami per altro opportuno il farvi
osservare almen di passaggio, che le paro-
le, e le voci, di cui siam soliti servirci
per indicare una qualche cosa, altro non
sono, che i segni arbitrari delle nostre idee.
Se agli uomini fosse dato di fissare imme-
diatamente lo sguardo gli uni vicendevole
mente nell'animo degli altri, se ciascuno
viver potesse solitario , e separato dal com-
mercio degli altri uomini, niuna necessità
vi sarebbe di tali segni per manifestarsi
scambievolmente i proprj pensieri. Ma non
potendosi, che mediante il corpo, conoscer
ciò, che altri pensa nell'animo, e fatto es-
sendo l'uomo per la società, è del pari ma-
nifesta la necessità della comunicazione
scambievole de' proprj pensieri , e de' segni
esterni, onde questa possa effettuarsi. La
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lingua è il principale istmniento , di cui ait-
ino stati a quest'oggetto forniti dal Creato-
re, e le parole, ò i suoni articolati e di-
stinti, che si formano mediante la bocca,
le labbra, e la lingua, sono appunto i se-
gni , con i quali hanno convenuto gli uo-
mini di palesarsi i proprj pensieri. Le voci
adunque , ò il discorso esterno suppongono
r id ee, ò il discorso interno, e quando si
parla altro non si fa , che indicare agli al-
tri quell'idee, che abbiamo concepite nell'
animo. Non si può per conseguenza cono-
scer meglio la natura, e le diverse qualità
de' vocaboli, che esaminando le diverse
specie, e qualità dell'idee, che per mezzo
di essi s'esprimono. Come pertanto tutte l«a
nostre idee riguardo ai loro oggetti, ò sono
idee di sostanze ò di modi , rappresentano
cioè al nostro spirito, ò cose realmente, e
per se stesse esistenti, ò qualità, ed attri-
buti delle cose medesime; così i vocaboli «
con 1 quali s'esprimono l'idee di cose, ò
di sostanze Sostanti vi s' appellano, come cor-
po, spirito, sole, fuoc© ec. Diconsi poi
Adjettivi quelli, de* quali ci serviamo, per
esprimer le qualità delle cose medesime, ò
delle sostanze, cui sono inerenti, come sag-
gio , buono , forte ec I verbi poi , come di-
remo in appresso, servono a manifestare il
giudizio, che noi facciamo internamente
delle nostre medesime idee, ò delle cose,
che per esse ci vengono rappresentate. A
questi si riducono i segni principali, pei?
8?
.mezzo de' quali manifestiamo i nostri pen^
.sieri, a questi per conseguenza i principali
elementi delle lingue. Le altre voci sono
tutte accessorie , nè sembra , che dir si pos-
sano segni d' idee particolari , e distinte , ma
unite ai sopraccennati vocaboli ne modifica-
no diversamente il significato. Infatti tutti
i pronomi, ò le voci, che pongonsi in luo-
,go de' proprj nomi, ad altro non servono»
che a render meno nojoso, e meno confuso
il discorso, evitandosi per essi la frequen-
te ripetizione de' medesimi nomi. Le pre-
posizioni poi, e gli avverbj altro non fan-
no, che limitare a certe circostanze, a cer^
te qualità , a certi gradi , ed a certa esten-
sione le azioni, ò per meglio dire i giudi-
zi espressi con i verbi, come pure ad un
certo grado le qualità delle cose, ò delle
sostanze espresse dagli adjettivi. Le prepo-
sizioni poi per esempio da , a, per unite
al nome d'un qualche luogo preceduto, ò
seguito dal verbo muovere, non esprimono,
che le diverse circostanze del moto, che si
fa da un luogo, ad un luogo, ò per un
luogo. Così gli avverbi per esempio ve/o-
cemente, lentamente uniti al medesimo ver-
bo muovere, altro non esprimono, che lè
qualità, ò gradi dello stesso moto. In simil
guisa gli avverbj grandemente, poco ec. uni-
ti agli adjettivi buono, saggio, valoroso ec
esprimono soltanto i gradi diversi delle qua-
lità da' medesimi vocaboli significate . Tale
essendo pertanto la relazione, che passa fra
le
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>
le nostre Idee, ed i vocaboli, voi ben ve*
dete, che il ben parlare dal ben pensare
dipende Oliando adunque giunti saremo a
formarci delle cose idee, per quanto è pos-
sible, chiare, e distinte: quando imparata
avremo la maniera di legar bene » e con-
nettere insieme le nostre idee, di ben com-
binarle, ( al che non si giunge, se non per
rezzo d uri ser o esame, e d un'attenta ri-
flessione s iile nostre medesime idee ) ap-
presa avremo anche l'arte di beri parlare #
mentre allora altro a far non ci resta , che
esprimer le medesime idee chiare, e ben'
ordinate già nella mente con i vocaboli
proprj, e adattati a significarle.
Dissi essere i vo aboli segni puramerl-
te arbitrari delle nostre idee (a). Infatti V
ar*-
n So o ir birrari le voci, ma gli uomini sono
stati guitti n Ila form37.ione di esse dalla natura,
ed hanno a^uto una ragione d'accennare le cose
CI
con un suono, ò nom<- piuttosto che con un'altro,
é qui sta ragione è l'analogia del- suono con la
qualità delle cose, imitando, quanto più poteva-
no, col suono drl nornt la natura dell' oggetto 9
che nomin ivano. Questa è specialmente la pro-
prietà delle lingue più antiche, e primitive, seb-
bene tutre abbiano d'*' termini , che col loro suo-
fio direi quasi dipingono gli oggetti , che Sono peo
essi indienti. 1 Ianni vocaboli ulalatus , rumor 9
mprmttr , tatttuf \ tremefacio , fremitus , sibilo , ed
ip numerabili altri strvir possono d'esempio. Non,
ne abonda meno la nostra Toscana favella. Le vo-
ci fischiare* rotore "giare , tromba , Stridere* scuo-
ter? , rimbombare , ed altri ne sono una prova .
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89
arbitrio, e 1* istituzione degli uomini è T
unica ragione, per cui con quel dato nome
viene una qualche cosi significata, ed in-
tanto le parole significano le nostre idee,
in quanto che hanno voluto gli uomini
con quelle date voci indicarle, senza che
siavi tra le parole , e 1' idee alcuna natura-
le , ed intima relazione. Molto adunque s*
ingannerebbe chi pensasse, che i vocaboli*
ed i nomi tratti fossero dall' intima nasuta
dell^ cose, e la natura stessa delle cose si-
gnificassero Quello che chiamasi per esem-
pio orai potevasi col nome d' argento appel-
lare, se così fosse agli uomini piaciuto ; poi-
ché non chiamasi oro per quello, che è in
6e medesimo questo metallo, ma perchè gli
uomini hanno così voluto nominarlo. Se i
Vocaboli fossero tratti dall'intima natura,
ed essenza delle cose, non si parlerebbe
che un solo linguàggio nel monda. In fatti
là stessà essendo la nàtura delle còse in un
paese, che in un altro, le medesime sareb-
bero pure presso tutte le nazioni le voci,
con cui le cose s'esprimono. Eppure quan-
to sond diversi i vocaboli, con i quali dal-
le diverse nazioni s'esprimono le medesime
cose? Niente io dirò delle mutazioni, cui
son soggette le lingue vive, e* che servir
possono d'una prova incontrastabile, che i
vocaboli sono segni meramente arbitrar; * e
nori 'naturali delle nostre idee, mentre non
cangiandosi mai* ma % sempre la stessa man-
tenendosi ia, natura delle cose, cangiar non
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9°
si dovrebbero neppure i vocaboli , e le lin-
gue, se le parole la natura delle medesime
cose significassero. Meglio perciò esprimer
non se ne poteva la vera , e giusta idea di
quello, che fatto abbia nella sua Poetica
Orazio:
Multa renascentur , quacjam ceciderc , cadentque
Quae mine sunt in honore vocabula , si volet usus ,
Quem pcncs arbitrium e$t>etjus,et norma loqitendi.
Da un tal principio certo, ed evidente si
deduce, che nelT interpetrare i vocabol^ non
dobbiamo riferirne il significato alle cose
con i medesimi espresse, ma all'idee di chi
parla ò scrive, ed a quelle della sua na-
zione, e della sua setta; che le parole non
si debbono interpretare secondo le proprie
idee, ma secondo l'idee di coloro, che le
usano/ che essendo stati dagli antichi usati
gli stessi vocaboli, che dai moderni si usa-
no, ed i moderni per mezzo dr.nuove sco-
perte, e di più esatte ricerche avendo per-
fezionate le arti e le scienze, ed estese
per conseguenza le loro idee, non si debbo-
no attribuire ai vocaboli dagli antichi ado-
perati le stesse idee, che con i medesimi si
esprimono dai moderni, e sarebbe un erro-
re il credere, chq gli antichi usando gli
stessi vocaboli abbiano pensato delie cose
neir istessa maniera, che i moderni. Quan-
to è meno esteso, a qual minor numero, a
qual minore esatte? zi d' idee è ristretto nel-
la bocca degli antuhi Filcsofi, che in quel-
la de* modem;, il significato .dc\ nomi Fisp
ea
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9 i
ed , Itìattemàtica , Nautica > Astronomia ! Il
paragone dello stato della Filosofia in quei
riinoti secoli con quello, a cui pervenuta
si vede ne tempi nostri , porrebbe in chia-
ro una tal verità .
§. IL
>
Del Giudizió*
A
vendo fin qui brevemente considerato*
la natura della Percezione, ò di quell'atto,
per cui la mente si forma , ed acquista T
idee , atto che ogni altro nella stessa men*
te precede > ,ed è di tutte le altre sue ope-
razioni il principio, ed il fondamento, non
raggirandosi queste, che intorno ali* idee
acquistate, l'ordine proposto richiede, che
con la medesima brevità del Giudizio ades*
so vi parli .
Non s'arresta scià l'intelletto nelle serri-
plici idee che acquista, ma intorno ad esse
occupando la sua riflessione le combina in-
sieme, e le paragona, e nel far questo pa-
ragone, discoprendo tra esse rapporti di con-
venienza; insieme le unisce; vedendo poi,
che fra loro discordano , e trovar non si
possono unire nello stesso soggetto, le se-
para. Quest'unione d'idee è ciò* che dicesi
affermare, questa separazione è ciò, che di-
teti negare, e nelT affermare , c nei negarì?
C0Hr-
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consiste appunto il Giudizio, il quale per-
ciò con ragione definir possiamo queir ope-
razione, per cui l'intelletto nostro affer-
mando unisce insieme quell'idee, che tra
loro convengono, e negando separa le re-
pugnanti, ed opposte. Così nel paragone •
che fa di queste due idee Iddio , Giustizia ,
discoprendo la convenienza, eh» passa tra
l'una, e l'altra, le unisce insieme, e dice
affermando : Iddio è giusto. E vedendo all'
opposto, che dall'idea di Dio è affatto alie-
na , e discordante V idea dell' ingiustizia ,
separa questa da quella, e negando dice;
Iddio non è ingiusto.
Siccome poi de' vocaboli ci serviamo,
come si è detto, per manifestare altrui le
proprie idee, dei medesimi facciamo pure
uso per esternare i nostri giudizj, e questi
giudizj per mezzo delle parole manifestati
Proposizioni s'appellano. Esaminando adun-
que la natura delle proposizioni verremo
sempre più a conoscere come ne' suoi giu-
dizj si diporta lo spirito. Non essendo per-
tanto il giudizio, che il risultato di quel
paragone , che l'intelletto fa dell'idee, e
due idee almeno richiedendosi per fare un
tal paragone» due vocaboli esprimenti le
medesime idee sono principalmente necessa-
ri nelle proposizioni . Uno di questi espri-
mer dee. l'idea, di cui qualche cosa si af-
ferma, ò si nega, e che perciò soggetto del-
la proposizione si chiama; l'altro esprimer
dee ciò, che della medesima idea, ò del
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yo
soggetto si afferma , ò si nega , e dicesi at-
tributo , ò predicato. Così nell'esempio di so-
pra riferito, Iddio è giusto, il vocabolo li"
dio è il soggetto, di cui si afferma la giu-
stizia, ed il vocabolo giusto è l'attributo, ò
il predicato, che si afferma di Dio. Il sog-
getto , ed il predicato diconsi materia , ò ter*
mini della proposizione. I soli termini per-
altro della proposizione non bastano per
farci comprendere T interna operazione del-
la, nostra mente nel giudicare. Si è detto
di sopra, che giudicare altro non è che uni-
re, ò separare due, ò più idee, nelle qua-
li la mente discopre della convenienza, ò
della ripugnanza. E* necessario adunque
nella proposizione qualche altro vocabolo,
che indichi quest'unione, ò separazione 4'
idee, ò sia Tatto, con cui si afferma, ò si
nega. Si ottiene ciò per mezzo del verbo
essere, e di qualunque altro verbo, onde
chiamansi i verbi nessi-, ò forma delle pro-
posizioni, quelli essendo, che uniscono il
predicato al soggetto, ò da questo lo sepa-
rano, avendo a se unita la particella nega-
tiva non. Neil' addotta proposizione: Iddio
è giusto, il verbo è spiega T unione, che ha
fatta la mente dell' idea della giustizia con
quella di Dio, e Tatto, con cui afferma di
Dio la giustizia. Nell'altra proposizione:
Iddio non è ingiusto, il verbo è unito alla
particella negativa non esprime la separa-
zione dell'idea d'ingiustizia dall'idea di
Dio, e Tatto, per cui si nega di Dio T in-
giù-
giustizia medesima. Osservar dovete però,
che sì negli ordinarj discorsi degli uomini,
come nell'opere degli Scrittori spesso per
brevità si tralasciano nelle proposizioni al-
cune delle accennate voci, le quali pèrò
facilmente vi si sottintendono. Troverete
talvolta la proposizione mancante del sog-
getto, ò del predicato, il quale però e con-
tenuto nel verbo, come queste proposizioni:
son incerto: Cesare vinse; mancando nella
prima il soggetto, che esprimer si dovrebbe
con la voce io, nella seconda il predicato,
e l'uno, e l'altro essendo racchiuso nel
verbo, cosicché le dette proposizioni corri-
spondono a queste: io son incerto: Cesare
Ju vincitore. Il solo verbo forma talvolta
un' intiera proposizione. Il celebre detto di
Cesare espresso con queste tre sole voci:
veni, vidi, vici, contiene tre intere proposi-
zioni. Anche il soggetto, ed il predicato
formano senza verbo una proposizione . A-
vendo detto per esempio ad uno: tu sei de-
gno di gastigo, ei mi risponderà: io? oppu-
re: io degno di gastigo ì sottintendendosi
nella prima il predicato, ed il verbo, e nel-
la seconda il verbo soltanto, ed equivalen*
do ambedue a questa proposizione: io son
degno di gastigoì
In varie specie poi si distinguono le
proposizioni, ma per non prolungarmi di
troppo ne accennerò soltanto le principali,
e le più necessarie, e senza che alcuna
Spiegazione aggiunga, a quanto Enora dissi,
voi
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voi a prima vista intenderete , quale sia la
natura delle proposizioni affermative, e ne-
gative. Queste poi sono, o universali, o
particolari. Universale dicesi quella propo-
sizione, il di cui soggetto è universale, ò
comprende in se tutti gl'individui di quel
genere, ò di quella specie, a cui il sogget-
to medesimo appartiene , come per esempio :
ogni uomo è mortale: tutti i corpi son gra-
vi. Se poi il soggetto della proposizione è
particolare, ò esprime soltanto alcuni indi-
vidui d'un genere, ò d'una specie, e di
quesri si afferma, ò si nega l'attributo, ò
il predicato, la proposizione è particolare,
come per esempio: qualche uomo è saggio:
alcuni animali son feroci. Riguardo alle pro-
posizioni universali però bisogna avvertire,
che l'universalità di esse si distingue in
metafìsica , ed in morale. L'universalità me-
tafisica non ammette eccezione alcuna, on-
de metafisicamente universale è questa pro-
posizione: ogni uomo è mortale , poiché
niuno và esente dalla morte. L'universali-
tà morale ammette le sue eccezioni, e per-
ciò moralmente universale sarebbe questa
proposizione; tutto il mondo fu soggetto ai
Romani, intendendosi il mondo tutto non
metafisicamente, ma moralmente, ò sia una
gran parte di esso. Necessarie si dicono
quelle proposizioni, nelle quali 1* attributo
conviene , ò disconviene talmente al sogget-
to, che non gli si può attribuire, ò nega-
re, senza distruggere la sua essenza, e can-
gia-
9*
giare te leggi comuni, ed universali dell*
natura, e tali proposizioni son sempre uni-
versali , come per esempio : i corpi sono esten-
si. Contingenti, ò casuali si dicono all'op-
posto quelle , nelle quali il predicato con-
viene , ò disconviene al soggetto non essen-
zialmente, ma accidentalmente, potendo il
soggetto avere, ò non avere quel dato at-
tributo, salva la sua sostanza e natura,
come per esempio: V uomo è saggio: il cor-
po è luminoso-, e tali proposizioni son sem-
pre particolari, ed equivalgono a queste;
qualche uomo è saggio; qualche corpo è
luminoso. Le proposizioni finalmente, altre
son semplici, hanno cioè un sol soggetto,
e un sol predicato, come: Iddio è onnipo-
tente; altre son composte, hanno cioè più
soggetti, ò più predicati, come: le ricchez-
ze, ed i piaceri son cose manchevoli , e fal-
laci , e <i* ostacolo alla virtù . Osservar do-
vete però, che le proposizioni non lasciano
d'esser semplici, sebbene al soggetto, ed al
predicato sieno unite altre proposizioni,, le
quali spiegano, estendono, e limitano il si-
gnificato dei predicato, e del soggetto me-
desimo , e diconsi proposizioni incidenti , per
esempio; Iddio, che ha create tutte le cose
j>e" fini i più nobili, e più sublimi, ha de-
clinato l'uomo ad una felicità, che non
avrà mai termine. Semplice è una tale pro-
posizione, sebbene a. prima vista sembri
composta .
©all'ideai che finora ci siamo formati
del
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del giudizio ben si raccoglie, che ne* no-?
stri giudizj medesimi consiste la verità, co-
me da essi derivano i tanti errori, ne' qua-
li bene spesso cadiamo. Infatti quella veri-
tà, che da* Filosofi si chiama Logica non
consiste in altro , che nella convenienza de*
nostri giudizj con gli oggetti , dei quali giu-
dichiamo, come nella disconvenienza consi-
ste Terrore. Se ciò, che nel giudicare af-
fermiamo d'una cosa, ad essa realmente
conviene, se ciò che d'una qualche cosa
neghiamo, realmente non le conviene, è ve-
ro il nostro giudizio. Air opposto se nel giu-
dicare d'una cosa affermiamo d'essa ciò,
che non le conviene, ò neghiamo quello,
che le conviene, noi siamo nell'errore, e
nella falsità . Molte sono le cagioni , per le
quali in giudicando delle cose cadiamo in
errore, ma a due principalmente ridur si
possono, alt imperfezione cioè delle nostre
idee, ed alla mancanza di riflessione. Evite-
remo gli errori, che nascono dalla prima
di queste due feconde sorgenti, se non giu-
dicheremo giammai delle cose fondati so-
pra idee vaghe, ed incerte; se prima di giu-
dicar delle medesime procureremo d'acqui-
starne la più chiara, e distinta cognizione;
se fuggiremo le dispute, e le ricerche in-
torno a ciò, che è superiore ai nostro in-
tendimento; se parleremo soltanto di quel-
le cose, che studiate abbiamo, ed apprese
con fondamento; se per apprenderle con
fondamento intraprenderemo pochi studj al-
ti la
9 3
la volta, a questi con la più seria atten-
zione ci applicheremo , terremo in essi un,
buon \Ordine , ed un giusto metodo , il qua-
chiarezza, ed alla distinzione dell'idee.
Fuggiremo poi gli errori, che dalia man-
canza di riflessione, e d'esame derivano,
se allontaneremo da noi tutto ciò, che è
capace d' impedir questa riflessione , e que-
sto esame . E primieramente fuggir dobbiamo
nei nostri giudizj la precipitazione , non
correndo subito a giudicar delle cose, ma
premettendo al giudizio una seria conside-
razione, ed esame delle medesime. Sospen-
deremo ancora i nostri giudizj , quando sia-
mo dominati da qualche passione, perchè
a ben giudicare delle cose è necessario,
che la mente si trovi in un certo equili-
brio, cosicché non inclini più per una par-
te , che per un' altra , ma a tutto rivolga in-
differentemente la sua attenzione. Le pas-
sioni rompono , e disturbano questo equili-
brio, e fanno sì, che la mente rifletta più
a quelle cose, alle quali più inclina per la
passione , e quelle ricusi , e trascuri <T esa-
minare, dalle quali la passione la rende
aliena, e contraria. Spogliamoci finalmente
de' pregiudizi, e delle prevenzioni, che so-
no tanto polenti a mantenerci negli errori
contratti, e ad impedirci d'arrivare alla co-
gnizione della verità.
La verità poi dei nostri giudizj, ò del-
le nostre proposizioni distinguevi in certa ,
contribuisce alla
e
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e probabile , come in certa, e probabile la
falsità. Diconsi certamente vere quelle pro-
posizioni, le quali si appoggiano sopra una.
sicura esperienza, ò sopra un manifesto, ed
evidente principio, cosicché io niente ne
dubiti, e mi senta dalla mia propria co-
scienza mosso a prestarvi interamente l'as-
senso; ed all' opposto hanno il carattere dì
certa falsità quelle, che sono manifestamen-
te contrarie ad un' esperienza sicura, ò ad
un principio incontrastabile , ed evidente .
Probabilmente vero dicesi ciò , che si ap-
poggia sopra alcune ragioni, ed ha alcuni
caratteri di verità, ma queste ragioni, e
questi caratteri di verità tali non sono, che
escludano affatto il dubbio dell' opposto.
Probabilmente falso si dirà dunque ciò ,che
si oppone ad un sentimento appoggiato so-
pra alcune ragioni, ma le ragioni sono ta-
li, che non tolgono affatto ogni dubbio, ed
incertezza . La verità probabile convince as-
sai meno della verità certa, ed evidente.
Ma stolta cos* sarebbe il rigettarla total-
mente, ed il pretendere in tutto una veri-
tà certa, q dimostrata. Oltreché la proba-
bilità ha i suoi gradi di verità, e gradi ta-
li , che talvolta confondesi colla certezza ,
quanto mai. sarebbe ristretto il numero del-
le nostre cognizioni, se quelle soltanto si
dovessero ammettere , le quali sono certe »
ed evidenti ? Poche sono quelle cose , delle
quali abbiamo una certa , ed evidente co-
gnizione ia confronto delle moltissime, di
cui
IO©
cui non slamo, nè esser possiamo giammai
totalmente certi , e perciò appagar ci dob-
biamo le più volte della semplice probabi-
lità, e solo rivolgere la nostra attenzione,
le nostre ricerche , e le nostre premure a
ben distinguere, ed abbracciar quello, che
di più probabile in qualunque cosa si tro-
va . Dal che ne segue , che anche gli Ora-
tori non sempre fanno uso nei loro ragio-
namenti di prove certe ed incontrastabili,
ma si fondano ancora su quelle, che sono
meramente verosimili, e probabili. Tra le
verità solamente probabili riporre si deb-
bon quelle, che conoschiamo per la parti-
colare autorità degli uomini, e per la testi-
monianza d' alcuni Scrittori,*! quali ci han-
no trasmessa la cognizione dei pensamenti,
de' costumi, e delle leggi degli antichi tem-
pi, ò ci narrano cose a' tempi nostri ac-
cadute, e delle quali non 6Ìamo noi stessi
stati spettatori, e testimoni. Il fondamento
di questa probabilità, che dicesi /storica si
appoggia sù questo canone universale: E*
probabilmente vero , ciò che un uomo <fe-
gno di tutta la credenza attesta esser vero .
In virtù di questa regola noi crediamo quel-
lo , che Polibio delle guerre Cartaginesi rac-
conta; crediamo, quanto Giuseppe Istorico
c; referi.sce dell' eccidio di Gerusalemme.
Per non errare per altro nella nòstra cre-
denza, non solo è necessario esaminare la
qualità dei testimonj, e degli scrittori, che
narrano un fatto , come pure la qualità del-
le
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101
le cose, che essi raccontane* , ma anche il
modo, con cui le raccontano. Proprio essen-
do dei Poeti V inventare, e V immaginare,
degli Oratori V amplificare, e 1* esagerare
talvolta le cose , e degli Storici narrare i
fatti con semplicità , ne segue , che i Poeti
danno alle cose il minor grado di probabi-
lità , un grado maggiore gli Oratori , il mas-
simo grado gli Storici. Nulla vi ha di più
contrario al do.ver d* uno Storico, eh» 1*
udite, nè scritte da alcuno, formare più se-
condo il suo genio che secondo la verità i
caratteri delle persone, inserire nei raccon-
ti ragionamenti non mai tenuti dalle per-
sone, in bocca delle quali si pongono, in-
grandire le cose più minute , e più pic-
cole. Dovere d* uno Storico si è V appog-
giare le sue narrazioni sopra monumenti
certi, e sicuri, e spogliandosi di qualunque
passione, e d' ogni spinto di partito colla
stessa ingenuità raccontare i fatti favorevo-
li , e contrarj anche della sua setta me-
desima , della sua nazione , della patria ,
e delle persone più favorite, e più care;
usar precisione, chiarezza, ed ordine, ed
al semplice racconto dei fatti, e delle loro
circostanze unire la semplicità, e la natu-
ralezza dello stile. E siccome la probabili-
tà istorica si appoggia sulla testimonianza
degli Scrittori, per non errare è necessario
seguir le leggi d' una buona Critica, ed
assicurarsi non solo, che le opere sieno di
inventare a capriccio
quel- ,
io*
quelli scrittori, ài quali vengono attribuite?
e tali quali sono uscite cMla loro penna i
senza che siavi stato indotto qualche can-
giamento, ò fatta alcuna alterazione, ma
ancora, che le dette Opere sieno state giu-
stamente, e secondo il senso inteso dallo
Scrittore interpetrate*
§. Iti '
Del Raziocinio,
e della prima specie d f Argomentazione*
b del Sillogismo.
t M t ,
1 utté quéste còse dovevànsi necessaria-
mente premettere , e da voi con attenzione
esaminare prima di parlare di quella facol-
tà, che ha lo spirito di ragionare, e che è
1* oggetto principale di questo Capitolo . Ca-
gionare altro' non è, eh© dedurre da certi
principi legittime conseguenze. Posti per
esempio questi due principi incontrastabili:
ogni uomo è mortale , Pietro è uonìo, da
questi deduce la mente la conseguenza:
dunque Pietro è mortale. Se di tal penetra-
zione dotata fosse la mente nostra, che al
primo presentarsele di due idee ne disco^
prisse il vero rapporto, passerebbe tosto a
formarne il giudizio. Ma siccóme le più vol-
te accade, che non subito vede con chia-
rezza il vero rapporto delle idee ò degli
©gr
*
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.103
oggetti, a fine di discoprirlo, e di separar-
le, ò di unirle insieme come conviene , e
così giudicarne rettamente, fa uso di quél-
la operazione, che raziocinio s' appella.
Prende ella una terza idea, e con questa
paragona ambedue le idee, che vuol sepa-
rare, ò unire insieme, e fatto questo pa-
ragone, se vede, che ambedue con quella
terza idea convengono, le unisce insieme,
e ne giudica affermativamente. Trovinoli
poi , che colla medesima ambedue non con-
vengono, lo separa, e ne forma un giudi-
zio negativo . Riprendiamo per maggior chia-
rezza T esempio di sopra accennato. Per as-
sicurarsi della verità di questo giudizio, ò
di questa proposizione: Pietro è mortale ,
prende la mente una terza idea , ed è que-
sta T idea dell' uomo. Coli' idei dell' uo-
mo paragona primieramente 1* idea d' es-
ser mortale, e vedendo, che ambedue in-
sieme convengono, e che dell' uomo è pro-
prio l'esser mortale asserisce francamente:
ogni uomo è mortale . Colla medesima ter-
za idea dell' uomo paragona quindi 1* idea
di Pietro, e scorgendo, che anche V idea
di Pietro conviene coli' idea dell' uomo,
forma T altro giudizio: Pietro è uomo. Può
dunque con tutta ragione unire 1' idea di
Pietro con quella d' esser mortale , e de-
durne la conseguenza: dunque Pietro è
mortale . Chiamasi una tale operazione con
Greco vocabolo Sillogismo , che significa ra-
ziocinio,, ò discorso, e le tre idee, che per
for-
f0 *
/ormarlo nchledonsi , sono comunemente dai
Filosofi chiamate termini del Sillogismo. Ciò,
di cui alcuna cosa ricercasi, si dice termi-
ne minore , quello, che del minor termine
si literca, si chiama termine maggiore*
quello finalmente* con cui si paragonano i
termini maggiore > e minore, dicesi mezzo-
termine . Neil* addotto esempio pertanto
Pietro Sarà il termine minore , di cui si cer-
ca , se sia nuortale, ò nò: mortale sarà il
termine maggiore , quello essendo, che si
ricerca di Pietro, e V uomo sarà il mezzo-
termine, coti cui si paragona il termine
maggiore* mortale , ed il termine minore
Pietro. Il termine minore, come voi ben ve-
dete , è il soggetto di quella proposizione
chef a dimostrare si prende col Sillogismo,
e T attributo , ò il predicato di essa è il
termine maggiore , " il mezzo-termine poi è
quella terza idea, cori cui si paragona il
soggetto, ed il predicato di detta proposi-
zione. Da tutto ciò vi potete ancora com-
prendere di tre giudizj, ò di tre proposizio-
ni esser composto il Sillogismo . Si forma il
r *rno, quando paragonato il maggior ter-
no ine col mezzo-termine si uniscono questi,
ò separano, come: Vuotilo è mortale. Il
se- -rìdo si fa quando paragonato il minor
termine col mezzo - termine si asserisce, ò
5. nega, che fra loro"* convengono, come:
Pietro è uomo. Il terzo giudizio si deduce
da due antecedenti, ed in esso si uniscono
ò si separano il maggiore , ed il minor ter-
rai-
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. . . ios
jnine, e dicesi perciò: dunque Pietro è /nor-
tale Le prime due proposizioni si chiamano
premesse, e per distinguere 1' una dall' al-
tra dicesi maggiore la prima; perchè in essa
si uniscono, ò si separano il termine mag-
giore, ed il mezzo -termine ; dicesi minore
Ja seconda, perchè si uniscono, ò si sepa-
rano in essa il termine minore, ed il mez-
zo-termine; sì chiama conseguenza la ter-
za, perchè nasce, e si deduce dalle due
prime.
Tutta la difficoltà, che nel formare il
Sillogismo s' incontra, consiste, come voi
ben vedete, nel ritrovare il mezzo-termine
adattato per paragonar con esso i termini
di quella proposizione, che si vuol dimo-
strare. Per togliere questa difficoltà, eccovi
una regola, quanto facile, altrettanto, come\
a me pare, sicura. Altrove cercar non do-
vete il mezzo -termine i che nella proposi-
zione medesima, di cui bramate conoscerò
appieno la verità . Esaminate attentamente
i termini di detta proposizióne , e studiate-
vi di conoscere 1' intima qualità delle co-
se , che per mezzo di detti termini vengo-
no espresse, é ciò otterrete per mezzo di
una esatta analisi, ò definizione di detti
term ini , del soggetto cioè , e del predicato delli
proposizione . Infatti se la: proposizione è aff*er- r
mativa, ó tale, che debbansi unire insieme i Suoi
tèrmini , in questi esóer dee la! ragione di tale u*
fiione , e quc'sta ragione non può in altro cònsi-
Ètere , che in una qualchè cosa , che i detti tétf-
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mini hanno di comune fra loro, e propria
è d* ambedue . Trovata questa proprietà co-
mune ad ambedue i termini, è trovato il
mezzo -termine. Se poi la proposizione k
negativa , ò il soggetto, ed il predicato di es-
sa sono tra loro incompatibili, dee neces-
sariamente in uno esistere qualche proprie-
tà contraria , e ripugnante alla natura dell*
frltro. Questa proprietà deesi in tal caso ri-
cercare, e trovata che sia, prendersi per
mezzo» termine. Daranno una mas^ior chia-
ss*
rezza ad una tal regola gli esempj. Vogliasi
per esempio dimostrare con un Sillogismo
la verità di questa proposizione: Varia è
grave. Esaminando f attributo grave, ò sia
la natura, e la proprietà de' corpi gravi,
troviamo esser proprio di essi il premere i
sottoposti corpi . Prendo questo efletto della
gravità per mezzo-termine, e poiché 1' ho
dedotto dalla natura stessa della gravità,
senza punto esitare unisco questo mezzo-
termine col termine maggiore, grave, e di-
co : ci* , che preme i sottoposti corpi è gra-
ve . Passo quindi ad esaminare, se la qua-
lità di premere i sottoposti corpi anche ali*
aria convenga, e dall' esperienza ammaestra-
to, che anche un tale effetto da essa pur si
produce, francamente asserisco: Varia pre-
me i sottoposti corpi; indi legittimamente
deduco; dunque Varia è grave. Quantun-
que poi in un tal raziocinio abbia forse più
luogo T arte, che la natura, "e perciò da
alcuni moderni filosofi si voglia affatto dal-
le
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ìè àaióìe sbandito, io però mi lusingo, che
a voi inutile non sarà Y averne fatto pa-
rola, mentre imparato avrete almeno uno
de* più efficaci mezzi per assicurarvi della
verità d' una qualche proposizióne, e per
dimostrarla cori tuèto Y ordine, é con tut-
ta la forza. Infatti la dimostrazione, che
si fà mediante il Sillogismo * quando sia
ben fatta, è egualmente certi, che questi
Assiomi ; o proposizioni per se stesse chiare,
ed evidenti* Sulle quali è fondato il Sillo-
gismo: i. Quellé cosej che conrertgoiio con
tina di terzo ; convengono anche fra lóro:
Se A è egudle à B, e C è eguale parimente a B ,
tinche C sarà eguale ad A . 2. Quelle cose, che
non convengono con una di terzo , neppure con-
venir poàsoriò tra loro: Se A è eguale a B,
e C non è eguale a B , non può essere À
tguale a C. 3. Quelle cose, che si afferma-
no, o si negano universalmente d' un sog-
getto, ò d' un genere ì si affermano, ò si
neganò con tutta ragione delle parti, ò in-
dividui compresi nei medesimo soggetto, d
Tiel genere. L'uomo per esempio è rnor-
tale : Pietro è uomo ; dunque Pietro è mor-
tale. Il corpo non è capace di pensare: ma.
qualunque minima particella del corpo è
corpo \ dunque ogni minima particella del
corpo è incapace, di pensare . Èssendo il Sil-
logismo la principale specie d* argomenta-
zione, a cui, come vedrete ih appresso* le
altre tutte si possono ridurre * ho stimato
Opportuno il trattenermi uù poco più Imi*
to8 . . . '
gamente nel ragionarvi di esso. Più breve
sarò nello spiegarvi la natura dell' altre
specie d' argomentazione, riserbandomi in
fine di questo Capitolo a farvi vedere T
uso, che di esse fanno gli Oratori, e
quanto questi si allontanino dalla maniera
d'argomentare propria de' Filosofi, e degli
Scolastici.
§. IV.
Dell 1 Entimema
E primieramente di quella specie d' ar-
gomentazione piacemi di far parola, che
Entimema, s' appella. E' V Entimema un
argomento di due sole proposizioni compo-
sto, delle quali la prima dicesi antecedente $
conseguente la seconda . Eccovene per mag-
gior chiarezza V esempio : Ogni uomo è mor-
tale; dunque Pietro è mortale. Egli è infat-
ti un perfetto Sillogismo nella mente, ma
imperfetto nell* espressione, tacendosi in es-
so una delle proposizioni dell* intero Sillo-
gismo, che ha già formato la niente^, la
quale proposizione si può da ognuno facil-
mente sottintendere. Voi già avete a pri-
ma vista compreso, che nell' addotto Enti-
mema la proposizione tralasciata, e sottin-
tesa è la minore, ma Pietro è uomo: men-
, tre V intero Sillogismo esprimer si dovreb-
be
Digitized by Google
be in tal guisa: Ogni uomo è mortale; Pie-
tro è uomo, dunque Pietro è mortale. Si tra-
lascia talvolta anche la proposizione mag-
giore dell'intero Sillogismo nell'Entimema
per esempio; Iddio è giusto; dunque Iddio
premier à i buoni, e punirà i cattivi. E' ma-
nifesto da tale esempio, che la proposizione
del perfetto Sillogismo, che qui si tralascia,
è la maggiore, poiché il perfetto Sillogis-
mo, sarebbe questo: Proprio è della giustizia
punire i malvagi, t premiare i buoni: ma
Iddio è giusto; dunque lidio premerà i buoni
e punirà i malvagi , Essendo adunque V En-
timema in sostanza la medesima cosa, che
il Sillogismo , è affatto inutile il trat-
tenerci più lungamente in parlando di esso,
bastar potendo , quanto di sopra si è accen-
nato ^ del Sillogismo. Avvertirò soltanto,
che l Entimema è quella specie d'argomen-
tazione, che più d' ogni altra al naturai
raziocinio s' accosta, altro non richiedendo
il naturai raziocinio, che una connessione
tale d idee, e di proposizioni, che una ser-
va di antecedente, V altra di conseguente ,una
fiasca, e sia dall' altra legittimamente de-
dotta. Di rado avviene, che s' ascoltino
negli ordinarj discorsi degli uomini, e s'in-
contrino negli Scrittori perfetti, ed interi
Sillogismi* S ama la brevità, e la chiarez-
za, e perciò si tralascia quello, che facil-
mente nel discorso si può da ognuno sottin-
tendere, e che per conseguenza è superflua
1 esprimere.
ti»
§. V.
Il
Del Sorite-
Sorite è un argomento composto di mol-
te proposizioni insieme unite» e concatenato
in modo , che il predicato della prima ser-
va di soggetto alla seconda, il predicato
della seconda serva di soggetto alla terza ,
e così successivamente» finché venendo alla
collusione si uniscono in essa , ò si sepa*
rano il soggetto della prima proposizione col
predicato dell' ultima , che sono appunto f
termini maggiore, e minore dell' argomen-
to. Ponghiamo in chiaro con un esempio
una tale definizione: Gli avari son pieni di
desiderj; quelli , che son pieni di desiderj, mancana
<ìi molte cose; quelli, che mancano di molte cose
son miserabili', dunque gli avari son miserabili.
Formasi il Sorite nella stessa maniera, che il Sil-
logismo , trovando il mezzo-termine , con cui
paragonarsi possano i termini maggiore, e mi-
nore, o sia il predicato, ed il soggetto di
quella proposizione, che si prende a dimo-
strare, per unirli poi, ò separarli nella con-
seguenza. Ma se dopo aver nella prima pro-
posizione paragonato il termine minore col
mezzo- termine, io non vedo ancora il rap-
porto, che ha con lo stesso mezzo -termine
il termine maggiore, trovo un secondo mez^
zo- termine, col quale paragono il predica-
to della prima proposizione , ò sia il prima
prezzo -tergine; e 6e neppure per mezrq
di
Digitized by
Ili
di questo io discopro la chiara connessione
de' termini maggiore, e minore, ne trovo
un terzo, un quarto ec., e formo altrettan-
te proposizioni, finché non giunga ad una
proposizione, che abbia per predicato il pre-
dicato medesimo della proposizione, che io
voglio dimostrare . Così dimostrar volendo ,
che gli avari son miserabili, trovo il primo
mezzo-termine nel carattere medesimo de-
gli avari, de' quali è proprio V esser pieni
di desiderj , e formo la prima proposizione :
Gli svari son pieni di desiderj. Io non veg-
go però chiaramente la ragione , per cui
gli avari essendo pieni di desiderj concluder
si possa, che essi son miserabili . Cercodun-
que nel predicato di questa prima proposi-
zione un altro mezzo-termine, e rifletten-
do , che chi è pieno di desiderj manca di
molte cose , formo la seconda proposizione ,
e dico : Quelli , che son pieni di desiderj ,
mancano di molte cose. Anche una tale pro-
posizione sembra ancora alquanto lontana
dalla conseguenza, che gli avari sono mi-
serabili. Nel predicato adunque di questa
seconda proposizione , e nella mancanza di
molte cose cerco un terzo mezzo - termine ,
e riflettendo, che nella mancanza di molte'
cose consiste appunto la miseria, proseguo
T argomento con questa proposizione: Quel-
li, che mancano di molte cose, sono misera-
bili. Ed eccomi giunto alla legittima con-
seguenza, nella quale unir posso, come di
sopra ho osservato, il soggetto della prima
prò-
112
proposizione col predicato dell' ultima, e
concludere: Dunque gli avari son miserabili.
Quanto un tale argomento è efficace per
dimostrar la verità 4' una qualche proposi-
zione, e perciò in uso specialmente presso
i Matematici, altrettanto è facile, che di-
venga vizioso, e degeneri in un Sofisma.
Una sola proposizione, che vera non sia,
uè legittimamente dedotta, altera la verità,
4i tutto T intero argomento.
jf. yi
Del Dilemma
Dilemma dicesi quell' argomento, in cuj
diviso un qualchè tutto nelle sue parti si
conclude affermativamente, ò negativamen-
te del tutto ciò, che si è delle parti con-
cluso . Se dimostrar volessi con un Dilem-
ma questa proposizione: V uomo non può
godere in questa, terra una vera felicità; bi-
sognerebbe ordinare così 1' argomento : 0 V
'uomo in questa vita seconda le sue passio*
ni , ò le combatte ; se le seconda , non $ in
uno stato felice, nè può trovarsi contento , non
potendole pienamente appagare; se le combat-
te è parimente infelice, perchè in uno stato di
guerra , e di violenza contro se stesso ; dun-
que V uomo in questa vita non può godere
Una vera , e piena felicità . Scorgesi a prima,
vi- •
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vista in quest'esempio un tutto diviso nelle
sue parti nella prima proposiaione , la qua^
le è sempre disgiuntiva: ò V uomo secondisi
in questa vita le sue passioni 9 ò le combatte ;
ed il tutto, che si divide, è lo stato deli*
uomo nella vita presente, U. quale stato è
bene, ed interamente diviso > pQichfe trovan-
dosi neir uomo le passioni, dar noi* ai può
stato di mezzo tra il secondarie ,.$4 il con*-
batterle. Da questa prima proposi&ÌG8e.,i§
passa a concludere riguardo alle parti, ©•
nel caso proposto si conclude T infelicità?
dell' uomo nella vita presente in qualun-
que stato ritrovisi ò di combattere , ò 4*
secondare le proprie passioni, appoggiando
sopra qualche prova ò ragione una tal
conclusione , e però si dice : Se le seconda ,
non è felice, perchè non si trova contento f
non potendole pienamente sodisfare . .Se le
combatte non è parimente felice > perchè è in.
uno stato di guerra contro se stesso. Ed es-
sendosi concluso , esser T uomo infelice sì
neir uno, che nelT altro stato, si passa $
concludere generalmente: V uomo adunque*
non può in questa vita godere una piena:, e
ver a felicità . Quest' argomento , come ognun,
vede, s'appoggia sopra T incontrastabile As-
sioma, che essendosi diviso un tutto nelle
sue parti, ciò che si afferma ò si nega non
di una qualche parte soltanto , ma di tutte 9
con ragione si afferma, ò si nega del tut-
to. L' arte adunque di formar bene un ta-
le argomenta, il quale ha una grandissima
% " for-
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H4
forza per convincere , e per persuadere , in-
vestendo per qualunque parte V uditore , ò
T avversario, consiste nel dividere esatta-
mente il tutto nelle sue parti, cosicché la
divisione esaurisca il tutto, e parte non sia-
vi, che non resti in essa compresa; poiché
altrimenti sarebbe falso e vizioso , e facil-
mente ritorcer si potrebbe contro di chi lo
ha formato. Tale sarebbe il dilemma diso-
pra riferito, se si desse uno stato di mezzo
per r uomo fra 1 secondare, ed il combat-
tere le proprie passioni . Ma poiché ua ta-
le stato non si dà, esatta è adunque la di-
visione, vero e concludente é il Dilemma.
Falso è il Dilemma degli antichi Filosofi
esposto da Cicerone nei suo libro intorno
alla vecchiezza. Per dimostrare non doversi
temere dall' uomo la morte: O V animano**
stra (dicevano essi ) perisce insieme col corpo
ò alla morte del corpo sopravvive: Se và a
perire insieme col corpo, non ha V uomo mo-
tivo alcuno di temere la morte, mentre
privo rimarrà d* ogni senso , e d 1 ogni
dolore . Se V anima sopravvive alla morte del
corpo, anziché temer la morte, dee V uomo
desiderarla , mentre dopo di essa passa ad uno
stato migliore , e più felice .* dunque in niun
modo deesi dati* uomo temer la morte . La
falsità di questo argomento deriva appunto
dal non essere esatta la divisione dello sta-
to dell' uomo dopo la morte . Infatti tra 't
non«ssere , e V esser felice v' è un altro stato di
mezzo non compreso nella divisione , ed è Io
: ita-
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H5 t
etato di pena, e di tormento per quelli >
che avranno male operato . Ora la conside-
razione di questo stato può rendere , e ren*
de infatti formidabile agli uomini la morte.
• §. VII.
Dell' Induzione, e dell' Esempio.
A
Ile fin qui accennate specie d' argo-
mentazione altre due aggiunger ne dobbia-
mo, l'Induzione cioè, e V Esempio, e di que-
ste è d* uopo , che facciamo adesso brevemen-
te parola. jL' Induzione è queir argomento,
in cui fotta T enumerazione di molte cose
particolari appartenenti allo stesso genere ,
ò alla medesima specie si conclude univer-
salmente del genere , e della specie quello ,
che si è concluso delle parti ò degl* indivi-
dui dello stesso genere, e della specie me-
desima, per esempio : L' oro si liquefò, al
fuoco , al fuoco si liquefanno V argento , il
ferro , ed il piómbo ; dunque al fuoco si li-
quef anno tutti i metalli. Ha V induzione per
suo fondamento il medesimo Assioma, che
si è di sopra accennato : Quello, che si nega
è si afferma delle parti d' un qualche tut-
to , e degl* individui d' un genere , e d
una specie, si può con tutta ragione afFet?-
maire, ò negare del tutto, del genere, e
della Specie. Affinchè y^i V induzione sia
giù-
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\
giusta, esatta esser dee parimente V enu-
merazion delle parti, e degl* individui. Fa
d' uopo inoltrerete quello, che si afferma,
d si nega degl' individui, necessariamente,
ed essenzialmente loro convenga, ò discon-
venga -, poiché se la qualità , che si affer-*
ma, ò si nega delle parti, ò degl' indivi-
dui, fosse loro soltanto accidentale , non si
potrebbe affermar con verità del tutto, del
genere, e della specie, mentre ciò che è
proprio d* alcuni individui soltanto, conve-
nif noii pud a tutto il genere, ed a tutta
la specie. False sarebbero però queste In-
duzioni.- Pietro i dotto: Cesare è dotto, tale
è ancora Filippo, dunque tutti gli uomini so-
no dotti. L % agnello è mansueto ; mansueta è
la Colomba ; V uomo è mansueto ; dunque tut-
ti gli animali son mansueti; e sono false,
perchè la dottrina, e la scienza non è a
tutti gli individui dell' umana specie essen-
ziale, ma accidentale , e propria soltanto d*
alcuni; come non essenziale a tutti gli
animali , ma propria soltanto d' alcuni è
toanswtudine
V Esempio finalmente è quella specie
«T argomentazione, per cuir 4^ *i* a qualche
cosa particolare un' altra pure particolare
il deduce, per esempio: Orazio fa dal Popo-
lo Romano assoluti, benché uccisa aliefs* l *
propria sorella. Dunque dovrà essere anche
Milone assoluto, dopo V uccisione di elogio*
Questa è la proya, che dair esenrpio trae
Cicerone medes$x^. nejl* orione, in &y«r
di
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di Milone . Con tale memento animava
pure se «tesso S. Agostino alla conversione j
poiché considerando la vita santa, e mor-
tificata di tanti uomini, e di tante Vergi-
nelle della stessa sua età e condizione,
andava a «e ripetendo:,,^ non poteri* ,quod
isti , et istae » ? Infatti un tale argomentò
non solo mette in una chiara veduta la ve-
rità, ed ancora ai più rozzi, ed ignoranti
la rende intelligibile, ma fà un* grandis-
sima impressione nel cuor dell' uomo, il
quale più dall' esempio, che dalle ragioni
rimane persuaso e convinto, scorgendo ol-
tre alla ragione nell' esemplo adattata alle
proprie forze 1' esecuzione di ciò, che gli
viene insinuato . Per questo noi osserviamo
esser piene d' esempi, e di parabole le S.
Scritture .
§. vnr.
»... ».
Deltuso delV Argomentazione
presso gli Oratori ,
A vendo fin qui bastantemente parlato
delle diverse specie d* argomentazione , al-
tro non rimane, che considerar brevemente
qual sia V uso , che di esse far sogliono gli
Oratori . Nel trattare de* diversi argomenti,
affine di discoprirne più chiaramente la na-
tura, ho stimato bene seguir lo stile de*
Dia-
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-uè
Dialettici « Ma un assai diverso uso «écdrf*
do r insegnamento d'Aristotele fanno ài
questi i Filosofi» e gli Oratori. Semplice,
.nuda, e concisa i l'argomentazione filosofi*
Ti
«Y
c
1 n.gt.i/iti»tuv**»* *» • — r — — ì, —
istruire, e di persuadere. Infatti quanto
più la ragione semplicemente è espressa \
tanto più è capace di produrre un simile
effetto. Dovendo però l'Oratore non solo
istruire , e convincere , ma eziandio muove-*
re e dilettare, di tutta l'arte abbisogna t
per dare alle sue ragioni, ed a' suoi argomenti
quella forza, e quell'ornamento, che recar
possa diletto , e muover V animo di chi a*
se Ita. Non poteva però Zenone Principe
degli Stoici esprimer meglio la diversità,
che passa tra l'Oratorio, ed il Filosofico ar-
gomentare, che ad una mano aperta e
distesa il primo , ad una mano chiusa e
stretta assomigliando il secondo. Di rado
vi avverrà d'incontrare negli Oratori sem-
plici Sillogismi* ò Entimemi nudi, quali
( come avete finora osservato ) formar si
sogliono da' Dialettici. Troverete ancora
presso di essi tali argomenti , nla esposti di-
versamente, propria essendo degli Oratori!*
abbellirli , ed amplificarli , e non seguire ri-
gorosamente l'ordine delle proposizioni da*
Dialettici prescritto , ma a stfo talento va*
riarlo, e secondo l'opportunità della causa <
Meglio coaoseex non potete l'arte d'esteiH
de-
- «- U
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n 9
dere , e di variare gli argomenti propria de-
gli Oratori , che facendo un' attenta osser-
vazione sulle loro orazioni. Leggete tutta
T Orazione HI. di Cic contro Catilina , e
vedrete , come gli Oratori alle semplici pro-
posizioni d' un Sillogismo , ò d'un Entime-
ma, ò d'altra argomentazione aggiungono
1© prove ; come alle ragioni , ed alle prove
danno tutta la possibile estensione, come
viie fanno risaltare la forza per mezzo delle
figure, e di tutti gli ornamenti dell'elo-
quenza. Prende Cicerone a dimostrare in
quest' Orazione doversi con pubbliche pre-
ghiere, e ringraziamenti agli Dei celebrare
quel giorno, nel quale era stata scoperta
la congiura di Catilina, fuggito era egli da
Roma , erano stati da Cicerone scoperti , ar-
restati, e puniti i complici della congiura.
Tutta l' Orazione ridur si può a questo sem-
plice Sillogismo : Deesi con pubbliche preghie-
re, e ringraziamenti agli Dei celebrare quel
giorno , in cui dal più grave pericolo è stata,
sottratta la comune salvezza. Ma tale è
il presente giorno. Dunque deesi questo con
solenni preghiere, e ringraziamenti agli Dei
celebrare ; se pure non ci piaccia ridurla a
quest'Entimema: Nel presente giorno è stata
sottratta dal più grave pericolo la salvezza
della Repubblica: Dunque deesi questo cele-
hrar con solenni preghiere, e ringraziamenti
agii Dei. In questo Sillogismo, ò Entimema
si contengono tutti i semi, e tutto il dise-
gno, e la condotta dell' Orazione, talché ia
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-essa altro non fa Cicerone, che sviluppa^
-ed amplificare le proposizioni dell'uno, 6
dell'altro di questi due argoménti. Primie-
ramente pianta sul bel principio la proposi-
■zione , che contiene il soggetto dell' Orazio-
ne . Quindi alla proposizione maggiore del
•suddetto Sillogismo , che è la sottintesa neir
Entimema, aggiunge la sua prova dicendo
èsser la conservazione della salute, e della
vita un benefizio più grato, é di maggiore
allegrezza per l'uomo, che quello della na-
scita Venendo poi alla proposizione mino-
re, niuna parte tralascia di quell' argomen-
tazione, che dai Retori Collezione vien det-
ta, e che è di cinque parti composta, dei-
te quali la prima è la proposizione medesi-
ma, nella quale con brevità e chiarezza
accenna V Oratore ciò , che vuol dimostrare ;
là seconda è la ragione , sù la quale ap-
poggia la verità di detta proposizione: la
terza è la confermazione, ò la dimostrazio-
ne Hella ragione medesima ; la quarta chia-
mata dai Retori esornazioné consisté nel da-
re alle ragioni * ed alle prove, che s'addu-
cono ttfttst l'estensione v tutta la forza, e
tutto T ornamento possibile: la quinta final-
mente è la complessione, nella quale riepi-'
legando V Oratore tutte le parti della; sua
argomentazione conchiude con brevità, é
con forza il suo ragionamento, ripetendo, a
differenza: del Sillogismo, nella! Conclusione
mtedesima la: prima sua proposizione. Infat-
ti alla proposizione: tale è il presente gioirà
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unisce là sua ragiorié, là quale è , che
la Repubblica era stata liberata dal più fu-
nesto pericolò . Passa quindi alla confermazio-
ne , adducendo per prova la fuga di Carili-
ria da Roma, e narrando à lungo le dili-
genze, colle quali egli aveva procurato di
«coprire i capi della còrìgiùra. Vanendo
poi all' Esornaziohé prerìde motivo d'ampli-
ficare, e di mettere nellà più forte, é mit-
ri, veduta la grandezza d' uri tal fcérìefizié
dagli Dèi alla Repubblica com partito ; e dal
carattere di Catiìinà medésimo; e dagli stra-
òrtìinarj fenomeni, che s* osservarono in
quéi giorni nella natura, e dall'osservazio-
ni degli Aruspici , e finalmente dal para-
gone, che fa della maniera, onde furori ter-
minate molte antecedenti guerre civili, con
quella onde fu dissipata la congiura di Ca-
rlina , quelle còn lo spargimento di xrìoito
sangue , e con la mòrté de' più illustri Cit-
tadini , questa senza alcuna strage , e solo
per mezzo d' un Console . Viéne finalmente
alla complessione , e corichiude , doversi un
tal giorno còri pubbliche preghitfc, é rhw
graziamenti agli Dei celebrare;
Quest'esempio, e questa brevé analisi
decorazione di Cicerone pare a me, ché
ti discopra uri altro artifizio , ed uria rego-
la ci additi per condurre cori buort órdine»
€ cori dirittura il nostro discorso. Sembra"
infatti, che Cicerone istessó c'inségrix i
formare il piano, é l'orditura: dell'
pe> dimostrando con un Sillogismo r & tori
122
un Entimema la proposizione, che presa ab-
biamo per soggetto della medesima, come
pure ciascuno de' punti, ne' quali 6Ì fosse
la detta proposizione divisa . Questo Sillogis-
mo però , ò quest' Entimema non dee espri-
mersi dall' Oratore , ma dopo averlo nella
sua mente concepito , senza più dee venire
alla dimostrazione delle proposizioni del suo
mentale argomento, principiando dalla pro-
posizione maggiore, la quale terra il luogo
del genere, passando quindi a dimostrare la
proposizione minore , che terrà il luogo del-
la specie, e formerà per conseguenza il
principal soggetto dell'orazione, ed alla pro-
va di questa specialmente procurando di da-
re tutta l'estensione, come si è detto al
§. IV. del Cap. t parlando del Genere, e
della Specie; e dopo aver dimostrate cosi
le prime proposizioni dell'argomento potrà
venire alla conclusione, riepilogando i capi
principali della sua orazione . Voi ben com-
prendete da ciò , che le proposizioni di que~
sto Sillogismo, ò Entimema, che forma 1'
Oratore nella sua mente , lo stesso sono
per lui, che per un Pittore le prime linee,
colle quali forma il disegno del suo quadro,
e le quali tirate avendo altro non gli ri-
mane che distribuire, e ravvivare i colori,
da cui le medesime lince restan del tutto
occultate, sebbene anche esse nel quadro
sussistano. Opportuno a tal' uopo essere io
dissi specialmente il Sillogismo , ò l' Enti-
mema , perchè delle altre specie d* argomen-
tar
. ..
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Ì2Ì
Azione, carne dèi Dilemmi, dell' tnJuzio*
ne , e dell' Esempio ( senzà escluder però il
Sillogismo , e 1' Entimema medesimo ) più
che nel formare il disegno, e 1* orditura dell*
orazione fanno uso gli Oratoti nel corso
dell'orazione medesima : del Dilemma per
esempio, del Sillogismo, e dell' Entimema ,
quando si tratta di dimostrare con forza
qualche punto Ò proposizione, d di ribar*
ter le ragioni degli avversar); dell' Iriduzio*-
ne, e dell'Esempio, quando dar si vuole
alle cose un lume, ed uni chiarezza mag-
giore * Siccome poi quasi continuo è V uso
di tali argomentazioni nel decofsò dell' Ora-
zione* la quale altro essèì* rìori dee, ché
una continuata * e connessa serie d'argo-
menti e di prove, e dovendo pèr conse*
guenza 1 Oratore usar più volte é Sillogis*
mi, ed Entimemi, e Dilèmmi, àffin/dl
toglier quella noja* che fechetebbò àgliudi*
tori, esponendo sempre iiellà stessa guisa
gli argomenti i adoprerà perciò tutta T àrté
per variarli. Tante poi esser possonò le ma-*
mere di variare 1' argomentazione* quàiité
sono le figure di sentenze , delle quali par-
leremo in appresso. Una tal Varietà oltra
che dà all' argomento una forza maggiore*
diietta mirabilmente gli uditori.- Quahtd
maggior forza , e bellezza non acquisti in
fatti per la figura d' interrogazione 1' àrgò*
mento, che Cicerone nel Librò dell' èritì*
cizia trae dall' esempio, per" prdvàfé,
V uòmo non pud non amara katutelri
la
la virtù, amandola in persone* non solo
sconosciute, ma ancora nemiche, e non odia-
re il vizio, in qualunque persona si scorga?
Quis est, qui Q Fabricii, M. Curii non cum
charitate aliqua, et benevolentia memoriam
Msurpet, quos nunquam videritì Quis autem
csty qui Tarquinium Superbiim, qui Sp. Cas-
sium i qui Sp. Maelium non oderit ? Cum duo-
bus ducibus de imperio in Italia certatum est
Pytrho et Hannibale; ab altero propter prò-
bitatem ejus non nimis alienos animos ha-
bemus, altefum propter erudelitatem semper
haec civitas oderit. Lo stesso dite del Di-
lemma, che trovasi nelT orazione in favor
di Quinzio : An antequam postulasti , ut bona
possidereSy misisti-, qui air areni, ut Dominus
de suo Jìindo dejicereturì Utrumlibet elige\
clterum incredibile est, alterum nefarium, et
ante hoc ternpus utrumque inauditum. Sexcen-
ta millia passuum vis esse decursa biduo ? Afe-
gasi ante igitur misisti* malo; si enim illud
diceres, improbe mentir i viderere; cum hoc
confiteris, id te admisisse concedis, quod ne
mendacio quidem tegere posszs r
Tralascio molti altri esempj, che ad-
dur potrei, e piuttosto vi richiamo ad un
attenta riflessione intorno a ciò, che fin dal
principio di questo paragrafo v' accennai.
Io dissi essere ancora proprio degli Oratori
T alterar V ordine delle proposizioni degli
argomenti, cosicché sovente dalla conclu-
sione partendosi risalgono ali* antecedente
del suo Entimema, ò alle premesse del suo
SU-
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1^5
Sillogismo. E perchè più agevolmente ciò
da voi si comprenda, sembrami opportuno
1* avvertire due essére le maniere, onde si
può la verità d* una qualche proposizione
dimostrare, la prima quando dai principj si
scende alle conseguenze» la seconda quando
dalle conseguenze si sale ai principi La pri-
ma Metodo sintetico , ò di composizione si
chiama da' Dialettici; Metodi analitico » ò
di risoluzione la seconda, L* una, e l'altra
è di grandissimo uso anche presso gii Ora-*
tori. L' Oratore, che segue nelle sue dimo*
strazioni il metodo analitico , nasconde T
intendimento suo, dice il Sig.-Blair, in riguar-?
do a ciò, che ha in animo di provare, fin-
ché non abbia condotto gradatamente gli
uditori alla disegnata conclusione. Sono egli-
no da lui guidati passo passoxla una verità co-
nosciuta ad un' altra , finché la conclu-
sione ne scappa fuori, come una naturai
conseguenza delle proposizioni precedenti*
Così dall' esistenza delle cose create si de-
duce la necessaria esistenza d' una causa
suprema, e creatrice , che è Dio. Ma pochi
$ono i soggetti, che ammetter possono que-
sto metodo, e rare le occasioni, in cui sia
convenevole d' usarlo. Il metodo di ragio>
nare più frequentemente adoperato, e più
adattato al parlar popolare è il sintetico,
n§t quale a dirittura si stabilisce il punt*>
che vuol provarsi, e se ne recano gli ar-
gomenti r un dopo T altro* finché V Udi-
tore ài^a»«tmente convinta. Gii esempi
schia-
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schiariranno meglio V uno e f altro me-
todo di dimostrare. Neil' orazione che Bar-
tolomeo Cavalcanti compose per esortare i
Fiorentini a difendere la propria libertà con-
tro T esercito del Papa Clemente VII. che
nel 1529. teneva assediata Firenze, per ri-
stabilirvi la famiglia de' Medici , dimostrar
volendo egli la- necessità dell'obbedienza,
che prestar doveano i Fiorentini a' suoi Ca-
pitani, pone prima la conseguenza del suo
argomento, ed a poco a poco si fa strada
al principio universale, dà cui è dedotta,
cioè che non potendo qualunque società
sussistere senza chi comandi , non può del
pari sussistere senza che i componenti la
detta società eseguiscano pronramente i co-
mandi di chi presede: » E quanto sia in
questa militar compagnia necessaria V ubbi-
dienza) chi è quello, che benissimo non in-
tendili Perocché essendo manifesto, che ella -
non può mancar di chi comandi, si conosce
ancora chiaramente, che conviene, che in essa
sia , chi obbedisca . Dove noi dobbiamo consi-
iterare quanto abbia riguardato a questa obbe-
dienza la Repubblica nostra , la quale non ad
altro fine ha ordinato, che noi medesimi ci
eleggiamo i superiori nella milizia, alcuni de
quali, come i Capuani, sono dopo confermati
dal Senato, acciocché noi Jbssirno più. pronti
ad obbedire per non incorrere colla disobbé*
dienza in un medesimo tempo nel brutto vU
pio dell' incotte n**> ripugnando al giudizio di
noi medesimi , e nel grave peccato dell' in$o«
len>
Google
lenza , contrafacendo alla pubblica autorità .
E dcbbe veramente ciascun di noi considera-
re , che se ogni uomo volesse comandare ,
mancherebbe chi obbedisse, e mancando V oh*
Iwàcnza, si dissolverebbe questa militar coni-
p gaia, la quale di chi comandi, e di chiob-
b lisca, conviene che sia composta, non al-
trimenti che le civili compagnie , le quali tan-
to si conservano , quanto in esse V osservan-
za delle leggi, e V obbedienza ai ministri di
quelle regna ». Dimostrar poteva la stessa
venta rifacendosi da quest^ principio gene-
rale, e deducendone la necessità dell'ebbe-"
mza neir esercito , come appunto fa in
appresso , adducendone un'altra prova a-
minori ad niajus per mezzo d'un amplifi-
cato Entimema : » Ma quanto nella nostra
propria , e bene ordinata milizia sia da sti-
mar V obbedienza, non ce lo dimostra ancora
la mercenaria , e mal disciplinata ? Nella qua*
le è pur da' suoi Capitani, e da quelli che
virtuosamente l'esercitano, reputata nel sol*
dato la propria , e principale virtù osservar
fedelmente i comandamenti de loro Superiori;
come ancora nelle città è reputata del citta-
dino V obbedire riverentemente ai magistrati .
Perciocché il disobbediente soldato partorisce
nella guerra danni incredibili, siccome V obbe-
diente produce frutti maraviglisi . Ed il con-
tumace cittadino alla sua Repubblica è perni-
ciosissimo, l'obbediente a quella utilissimo ^.
E dopo avere esposto così, e provato colla
$ua ragione f antecedente dell'argomento,
ec-
pcqo, come egli passa alla conseguenza?
n Per il che dobbiamo con somma riverenza
obbedire ai nostri maggiori , e conoscere, che
se de' mercenari disobbedienti soldati è gra-
vissimo il peccato, non è peraltro che uri so*
Iq; ma noi , che con le armi servendo alla,
nostra città, di cittadini e di soldati la per-
sona insieme rappresentiamo, se nella milizia
siamo disobbpjtifnti , commettiamo doppio er-
rore e contro la patria , come cittadini , c
contri i militari ordini , come soldati w .
Dovendosi jQpi ciascheduna prova e-
sporre per mezzo delle accennate specie d*
argomentazione, è necessario, che V Orato-
re eviti T uniformità, cosicché non sempre
usi il Sillogismo , non sempre V Entimema ,
ò altra argomentazione, ma dopo avere per
mezzo del Sillogismo espressa la prima prova
potrà nella seconda usar T Entimema , nella
terza il Dilemma ò V Induzione» procure-
rà in una parola di adattare alle diverse
prove che adduce, diverse specie d' argo-
mentazione , sicuro che una tal varietà con-
silierà n°n pqcq di bellezza sua Orazio?
rie, e non cicco} dilejtto r§ch$^ a chi ascol-
ta . Userà inoltre di tatto i\ giudizio neltf
adattare le diverse argomentazioni ed alle
diverse parti dell' orazione, e alla materia
^he tratta, ed alla qualità delle persone,,
She ascoltano. Sul principiq 4eli% , conferà
n^aziqne non sarà 4isdicevole fare uso di
Qilg4e ^rgon^entazipni che hanno meno di
fojza, nerbandogli Entimemi, e i Dilen**
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mi, che più atti sono a stringere, e con-
vincere gli uditori, ò gli avversar], quando
è nel calore della confermazione medesima
e della confutazione . Opportunamente ancora
si suole far succedere all' altre argomen-
tazioni 1* esempio, il quale non tanto ha
forza di convincere , quanto di schiarire ciò
che per mezzo delle altre argomentazioni gì
è già dimostrato. Così fa appunto il sopra
riferito Oratore , il quale dopo le accen-
nate argomentazioni passa a dimostrare la
necessità d* obbedire ai Capitani con gli
esempj di Licurgo e degli Spartani , di Ciro »
e de' Persiani , de' Romani , e nominatamen-
te di Torquato. Se la materia, di cui si
tratta , è sublime , come se riguardasse la Fi-
losofia, ò altre scienze, opportune saranno
le più strette , e sottili argomentazioni ; se
poi la materia non è tanto sublime, come
«e riguardasse semplicemente i costumi, po-
trà allora usarsi un' argomentazione più
piana, ed estesa, e vi potranno aver luogo
anche le meno forti argomentazioni. Dicasi
lo stesso riguardo alle persone , che ascol-
tano. Le sottili argomentazioni ò razioci-
ni quanto convengono parlandosi a perso-
ne intendenti , e letterate , altrettanto di-
sconvengono, se a persone idiote > e volgari
si parla.
capitolo in.
Dell' Amplificazione.
N on v è dubbio , che nell amplificazio-
ne il principal pregio dell' eloquenza con-
sista , dopo che il principe tra i Latini Re-
tori, ed Oratori lo ha chiaramente espresso
in quelle parole: » Summa attieni laus £/o-
quentiae est amplificare rem ornando (a) . Che
altro infatti è secondo il medesimo T elo-
quente parlare, che un parlar grave, orna-
to, e copioso? E d'onde riconosce V Elo-
quenza la gravità, l'ornamento, e la copia
«e non dall' amplificazione? Non dobbiamo
però formarci dell' amplificazione 1' idea
medesima, che, come narra Plutarco, ne
aveva Isocrate , il quale la riponeva nel
far grandi le cose piccole, e piccole le gran-
di. E chi non comprende, che una tale idea
dell' amplificazione distrugge affatto la na-
tura della vera eloquenza, e di sostegno, e
difesa quale esser dovrebbe delia verità,
della verità medesima nemica la rende , oc-
cupandola nel rappresentarle cose per quel-
lo > che in realtà non sono , e per conseguen-
za nell' ingannare piuttosto , che nel con-
dur gli uomini al conoscimento del vero?
Negar non si può, che per mezzo dell' am-
plificazione , come Cicerone insegna, s' ac-
crescono , e si diminuiscono le cose : » Quod
va-
00 De Orat. Lib. UL
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131
valet non solimi ad augendum ahquid, ettoU
Icrnium altius dicendo, sed etiam ad exte-
nuandum , atque abjickndum (a). Ma questo
ingrandimento di cose non in altro consiste,
che in ben rilevare , e porr$ nella più chia-
ra comparsa la loro vera sublimità , e gran-
dezza , come una tal diminuzione nel bene
esprimerne la picciolezza e la viltà. Non vi
maravigliate per altro, se nel trattare ...d'-
una parte così interessante dell' arte Or*-,
toria più breve io sarò, che fino ad ora,
stato non sono. Voi rifletter dovete, che
dell' amplificazione non comincio ora a far-
vi parola, dovendosi ad essa riferire tutti i
fin qui da me accennati precetti. Infatti
che altro feci nello spiegarvi i Luoghi Ora-
tori» le diverse specie d' argomentazione» e
1* uso, che di queste fanno gli Oratori, che
additarvi i fonti dell' amplificazione mede-
sima , e T arte insegnarvi d' amplificare le
cose ? Riguardar dovete pertanto quel poco ,
che in particolare dell' amplificazione sono
per dirvi , come un' appendice , ed uno schia-
rimento di ciò, che finora avete ascoltato.
L'amplificazione non consiste in altro»
secondo Cicerone , che in una più grave af-
fermazione d' una qualche cosa , affine di
persuadere, e muovere gli animi degli udi-
tori; » Est igitur amplijicatio ( ecco, come
egli la definisce nelle sue Partizioni Orato-
rie ) gravìor quaedam affirmatio, quat motum
ani-
8*— - — - ■." 1 . ■»» ^
I
animerai* conciliet in dicendo fidem » . Per
questa più grave affermazione poi sambra,
che altro intender non si debba , che una
maggiore spiegazione, ed una dilatazione,
ò estensione degli argomenti , che in prova
del nostro assunto adduciamo . E' necessario
intanto avvertire, che due specie d'amplifi-
cazione si danno, di parole Tana, di cose
T altra, ò di sentimenti. Si fa la prima per
via di sinonimi, d' epiteti, di perifrasi, di
metafore, ed altri simili ornamenti di par-
lare , per mezzo de* quali s' esprimono con
maggior vivezza le cose. Questa maniera
d'amplificare meglio apprenderete, quando
delle figure di parole noi tratteremo . Si fa
poi T altra dimostrando estesamente , e con
grande apparato di ragioni, e di sentenze
ciò, che in breve dimostrar si potrebbe; e
di questa specialmente intendo adesso di fa-
vellarvi . Riguardata in quest' aspetto 1' am-
plificazione può essere ella nel corpo stesso
dell' argomento , e dopo 1' argomento mede-
simo opportuna . Usata insieme con V argo-
mento altro non fa , che provare più este-
samente quello, che si potrebbe in poche
parole dimostrare . Se poi al fine dell' argo-
mento , ò delle prove s'adoperi, riguardar
si dee, come una prolungazione, ò dilata-
zione della conseguenza, per cui si procura
di confermare con altre ragioni, e con al-
tri sentimenti dall' argomento medesimo de-
dotti quello, che già si è dimostrato. La
prima non è sempre necessaria, potendo 1"
Ora-
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Oratore usar talvolta opportunamente una
pai stretta, e concisa argomentazione, e
specialmente allora, che ha in mira di con-
vincer piuttosto, che di muovere l'uditore.
La seconda poi non si dee quasi mai trala-
sciare , essendo necessario, che agli argo-
menti, ed alle prove, onde ha convinti, e
persuasi gli uditori, dia l'Oratore per mez-
zo dell' amplificazione una forza tale , che
ecciti ne' loro animi gli affetti , gli muova,
e ne trionfi pienamente . Ma specialmente
tralasciar non si dee al termine della con-
fermazione, consistendo in una tale ampli-
ficazione quella , che Perorazione vien chia-
mata dai Retori. E perchè un tal precetto
meglio s'imprima nelle vostre menti, osser-
vate, come Alberto Lollio nella sua elegan-
tissima Orazione in lode della Toscana fa-
vella amplifica l' argomento , che in prova
del pregio di essa deduce dall' antichità , e
dal luogo di sua origine : » Tanto più , che
se noi vorremo andare minutamente V antichi-
tà* V origine , la nobiltà, e le altre circostan-
ze di questa bella* ed onorata lingua cercan-
do, troveremo, lei ( son già più di 500. an-
ni ) esser nata in Italia, la qual provincia
per spedirmi in una parola si può di consen-
timento d 1 ognuno sicuramente chiamare il giar-
dino, e la delizia d'Europa. Particolarmente
poi ella per patria ha Fiorenza ( Dio buono!
che bella, che nobile, che famosa Città ! )
rcina, e capo di tutta la Toscana, ornamen-
to f ed onore non pure d! essa Italia > ma dell 9
Eh-
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tu
Muropa ancora, la quale, oltre ali* esser ma-
dre di questa bellissima lingua, ed oltre chè
ella è stata sempre abondante produttrice d f
uomini ingegnosi, ha eziandio avuto questa
singoiar grazia dal Cielo d'esser la prima,
in che ritornasse in uso V arte oratoria già
quasi estinta. E non pur questa, ma tutte le
huone lettere Greche, e Latine dalla rabbia dei
Barbari affatto spente sono state da' Fiorenti-
ni, e massimamente da Cosimo, e da Loren-
zo de 9 Medici rimesse in pregio, ristorate*
onorate, è tratte di mano alla morte — E*
dunque questa lingua non meno per V antichi-
tà della sua origine ', che per rispetto del pa-
terno suolo chiara, ed illustre „. Se da uri
tale esempio apprender po-ete l'uso dell'
amplificazione nel corpo dell'argomento, il
medesimo Oratore nell' orazione da lui fat-
ta , quando in sua casa fu trasferita in Fer-
rara l'Accademia degli Elevati, v'insegna
altresì , come usar la dovete al termine dell'
argomento . Poiché dimostrato avendo egli
sul principio , che M. Antonio Antimacó
meritava il posto di Dittatore, e di capo dì
detta Accademia , così la sua dimostrazione
conchiude, così ne dilata, ed estende la con-
clusione: » Per la qual cosa essendo V Anti-
macó dotato di molta prudenza, di somma
dottrina, e d'un giudizio acutissimo, in cui
rilucono tanti lodevoli costumi, e risplendono
tante belle virtù , quante forse in molti altri
non si ritroverebbero di leggieri, come potre-
mo noi dubitare, che egli sopra d'ogni altrui
— ~ non
■
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noti meriti d'essere eletto Dittatore, e capo
della nostra Accademia? Certo se M.Antonio
si trovasse ora in Grecia, ò altrove, parmi,
che noi dovremmo e con prieghi, c con pre-
mj invitarlo, e persuaderlo ad accettar questa,
impresa. Ma essendo qui presente, e per la
molta sua umanità, e gentilezza desiderando
di compiacerne, che stiamo noi più a pensa-
re ? Anzi perchè piuttosto non ringraziamo noi
la grandissima providenza di Dio, il quale
per utile , e comodo nostro a questi tempi ha
fatto nascere un tant' uomo? Il mormorio vo-
stro, Accademici , fa, che io agevolmente com-
prenda , che dubbiate esser tutti circa a questa
deliberazione conformi col mio parere- Però*
oltre il lodarvi di ciò sommamente io mi
rallegro molto ancora con esso meco, che nel
fare questa buona elezione, .quanta sia stata,
la prudenza, e quanto il giudizio vostro, sia-
te per dimostrare j).
Sarebbe questo il tempo opportuno d*
individuarvi tutti i 'luoghi, e tutti i fonti
dell' amplificazione da Cicerone accennati.
Ma riguardando questi specialmente il ge-
nere giudiciale, io penso di non trattener-
vi nel ragionare di essi , e mi ristringo a
farvi soltanto riflettere, che tanti esser pos-
•sono i fonti dell'amplificazione, tante le
maniere d'usarla, quanti sono i luoghi Ora-
tori, donde si traggono gli argomenti, quan-
te le figure di sentenze , giacche a queste
due cose , agli argomenti cioè, ed alle figu-
re tutu T arte d' amplificare si riduce , al-
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tro non avendo essa in mira, che di dare
una maggior forza alle prove, che si addu-
cono , con estenderle , e con ravvivarle per
mezzo delle figure , affinchè non solo per-
suadano, ma muovano ancora gli animi de-
gli uditori. I luoghi Oratorj pertanto, dai
quali si traggono gli argomenti , la materia
ancora ne somministrano d' amplificarli. In-
fatti se T argomento è, per esempio, tratto
dalla definizione , potrà questo estendersi
esponendo tutte le parti, le qualità , le cau-
se , gli effetti , ed altre simili cose riguar-
danti ciò, che si definisce, come bene vi
. rammentate aver fatto il Boccaccio nel de-
finire T amore profano , « come fa Cicero-
ne nel definire la Storia: » Historia ( dice
egli ) testis est temporum , lux veritatis , vi-
ta memorine y magiara vitae-, nuntia vetusta-
us ». Se si trae l'argomento dall'enumera-
zione delle parti, dagli aggiunti, dalle cause,
dagli effetti, ò da altri luoghi Oratorj , si potrà
questo amplificare esprimendo molte di que-
ste parti , molti aggiunti , molte cause , e
molti effetti . Quando io volessi di tali cose
particolarmente ragionarvi , che altro farei ,
se non ripeter quello , che ne ho già detto ?
Rammentatevi adunque ciò, che dei luo-
ghi Oratori parlando vi esposi, e niente
avrete da desiderare intorno a questo pro-
posito .
Oltre l'accennata maniera d'amplifica-
re dai medesimi luoghi Oratorj ricavata, e
che da Quintiliano è detta amplificazione
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per congeriem , ò sia per ammassamento , ed
accumulazione di molti sentimenti, come di
più definizioni, di più circostanze, di più
effetti ec. , altri modi d' amplificare ci ven-
gono esposti dal medesimo Pletore , J' ampli-
ficazione cioè per incremento, e Y amplifica-
zione fatta per raziocinio. L'amplificazione
d' incremento non consiste in altro, che nel
disporre in modo i sentimenti, che il di-
scorso vada sempre crescendo , e sieno più
forti le cose che seguono * di quelle che
precedono , e ciò che dicesi in ultimo luo-
go, sia di tal natura, che più oltre avanzar
non si possa. Della quale amplificazione un
breve, e chiaro esempio presso Cicerone
nelT Orazione contro Verre leggiamo: 95 Fa-
cintts est vincire civetti Romanum , scclus ver-
belare, prope par acidumi necare, quid dicam
in crucem tollere ? Nihii addi jarn videtur ad
hanc amcntiam, improbitatem , crudc!itdtem-<
que posse ?? . Amplificare poi per raziocinio
è lo stesso, che esporre nella sua più chia-
ra veduta una cosa per far risaltare V oppo-
sta. Meglio infatti spicca la gloria del vin-
citore, quanto più grande si dimostra la
potenza, ed il valore del vinto. Più risplen^
de la costanza e la fortezza , quanto più
grave si dimostra il pericolo, ed il male
coraggiosamente superato, e sofferto. Più
comparisce il pregio d' una virtù , quando
in tutta la sua estensione si è conosciuta
la deformità del vizio ad essa contrario»
Contento però d'avervi tali modi* d' ampli-
li-
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*3Ì
Ucare soltanto accennati darò fine a questo
Capitolo , alcune regole generali additando-
vi, le quali è necessario avere in vista, ed
osservare nell'uso dell'amplificazione. E
primieramente rifletter dovete, non sempre
essere opportuna l'amplificazione, ma allo-
ra soltanto quando si tratta di cose per se
stesse grandi, importanti, e sublimi. Nep-
pure ha essa luogo per sentimento di Cice-
rone in ciascuna parte dell'orazione, ma so-
lo dove è necessario di muovere gli affetti ,
come nella Perorazione, ed anche quando
T Oratore, dopo aver provato qualche pun-
to, vuol meglio insinuarsi negli animi de- .
gli uditori. Debbesi ancora fuggire l'ampli-
ficazione troppo lunga, e troppo minuta,
poiché essa in vece di dar maggior lustro ,
e forza alle cose, ne estenua, e ne avvili-
sce la grandezza, e la nobiltà. Difetto an-
che maggiore sarebbe, come riflette Longi-
no nel suo trattato del Sublime, se l'ampli-
ficazione scendesse a cose basse , vili , ed in-
decenti, le quali troppo disdicono a nobile,
e bene accostumato dicitore.
CAPITOLO IV.
■
Degli Affetti
\-j a materia, di cui intraprendo adesso a
ragionarvi, è certamente d' ogni altra la.
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t jp
più difficile insieme, e la più importante,
I diversi affetti, che agitar sogliono il cuc-
re umano, sono l'oggetto, che richiede la
vostra più seria attenzione ; d quando a
considerar vi propóngo questi medesimi affet-
ti i al più diligente studio io vi richiamo
del cuore umano. < v Ui ai cosa pertanto imma-
ginar si può d' uh tale studio più malage-
vole, ed intricata ? Parrebbe certamente ,
che tanta difficoltà in tale studio incontrar
non si dovesse, mentre a tutti comuni so-
no gli affetti,© tutti ne sperimentano di conti-
nuo i moti, egli stimoli. Eppure quegli scessi
filosofi, che applicati si sono ai più profon-
do esame del cuore umano, quanto maison
discordi nelle loro opinioni intorno alla na-
tura, all' origine, ai nùmero degli affetti!
Una tale difficolta però rimover non ci dee
dall' intraprender Questo esame, nò privar-
ci di quel vantaggio', che dalla cognizione
degli affetti può derivare a nói, che all'
acquisto aspiriamo della vera Eloquenza.
Niuna cosa vi ha in fatti $ la di cui cogni-
zione sia tanto necessaria ad un Oratore i
quanto gii affetti. Il movimentò di essi, al
dire di Quintiliano, ì i anima e lo spi-
rito dell' Eloquenza; senza di questo nudai
languida, stenle ed ingrati rimane l'ora-
zione; da questo il vero Oratore si distili-»
gue ; a questo diriger dee tutta la sua at-
renzione, e tutti i suoi sforzi, sicuro d'ave-*
re ottenuto pienamente il suo intento, quàn*
do sia giunto à muovere gli affetti nel!'
* ani-
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14©
animo degli uditori: n Huc igitur incumbat
9) Orator , hoc opus ejus , hic labor est , si-
M ne quo cadeva nuda , jejuna , infirma , m-
„ grafa su/it; aieo velut spiritus operi* hujus*
, 5 <z£cji£e animus est in affectibus ». Non è
dunque meno necessario a noi T esaminare
le diverse passioni del cuore umano, per
apprendere più facilmente V arte di eccitar-
le , ò sedarle opportunamente neir animo
degli uditori, per muoverli alla virtù, ò al-
la fuga del vizio , di quello che lo sia ai
filosofi per conoscerne la natura, V origine,
ò prescrivere i precetti, e le regole più adat-
tate a moderarne gli sregolati movimenti.
Inutile sarebbe al certo, che nel movimen-
to degli affetti si occupasse T Oratore, se
gli uditori fossero di per se stessi disposti
ad abbracciare quanto vien loro semplicemen-
te proposto, e dimostrato (a). Il Wossio in-
fatti nel libro II. della sua Rettorica ram-
menta sulle tracce di Quintiliano il divie-
to
#
, , (a) Nelle ricerche della pura verità ( dice il
,, Sig. Blair ) nelle materie di semplice in-
,„ formazione, ed istruzione, non v' ha dubbio,
„ che le passioni non debbono aver parte, ed è
„ assurdo il tentare di muoverle. Ovunque ilcon-
vincemento è il solo scopo , al solo intelletto si
„ dee parlare.. . Ma se lo scopo è la persuasione,
„ il caso è diverso. In tutto ciò, che si referisce
„ alla pratica , niuno mai crede seriamente di po-
, ter persuadere altrui senza dirigersi più, òme-
,, no alle sue passioni , e ciò per questa ragione
„ apertissima , che le passioni sono la principale
,> sorgente delle umane azioni .
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<
I4t
to fatto agli Oratori nell* Areopago d' im-
pegnarsi nella mozione degli affetti, essen-
do che a quei giudici di somma probità do-
tati la sola ragione bastava per muoverli
a giudicar rettamente. Ma per quanto gli
uomini conoscano il bene, ne sieno con-
vinti, e 1 approvino, accecati però e se-
dotti dalle sue passioni, non solo non si muo-
vono ad abbracciarla , ma al peggio talvol-
ta s' appigliano; e se non dirado resiste l*
uomo alla più fervida , e patetica Eloquen-
za, quale impressione sperar potrebbe di
far negli animi altrui un languido, e fred-
do Oratore ?
ARTICOLO L
-
Della natura, e divisione degli Affètti.
%3 ono le passioni , ò gli affetti cotanto al-
la natura dell' uomo conformi, che da esso
separar non si possono. E che sarebbe mai
V uomo privo, ed incapace di passione, o
d* affetto, come osserva Cicerone nel libro
dell' Amicizia, se non simile, non dirò già.
ad un bruto, ma ad un sasso, ad un tron-
co, o a qualunque altro insensato corpo , ed
inerte ì Quando però rammentar noi sentia-
mo le passioni, formar non ce ne dobbia-
mo queir idea, che ne hanno ordinariamen-
te gli uomini , i quali ne parlano solo , co-
me
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rne di cosa cattiva, e al male inducente,
E chi non vede, che posta la necessaria ,
e indivisibile relazione , che esse hanno col-
la natura dell' uomo , come della stessa umana
natura, così delle passioni, o per meglio dire
della disposizione a concepirle lo stesso Dio
riconoscer si dee come autore, il quaie
non può averci inserito neli' animo incli-
nazione alcuna al male.? Anche 1' uomo
appena uscito dalle mani dei Creatore, ed
in uno stato perfetto di giustizia, e di san-
tità collocato , era capace di passioni, e di
affetti; ma questi affetti, e queste passioni
avevano iri lui alla ragione una tale su-
bordinazione, e dipendenza, che ad altro
oggetto non miravano, che al vero bene,
alla virtù, a Dio. Che se sono di presen-
te per V uomo sorgenti di disordine, e d*
iniquità, deesi .questo attribuire alla depra-e
vazione dell' uomo cagionata dal peccato,
per cui essendosi 1' uomo ribellato da Dio ,
nelT uomo stesso le passioni, ed il corpo
alla ragione, ed allo spirito in qualche
modo pure si ribellarono; cosicché purtrop-
po è vero ciò che dell' uomo dicesi nel li-
bro della Genesi, che tutti i pensieri, e le
inclinazioni del cuore umano piegano al
male fino dalla sua adolescenza. Sebbene
non possono anche in questo stato le pas-
soni essere a noi come del male, così del
lene ministre? Di quello stesso caratte-
re, e di quelle stesse qualità si rive-
tta esse, che propria sono deU'cgge*,
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to, che In noi le risveglia. Se V ogget-
to è buono ed onesto, onesta pure e lo-
devole è la passione , che a goderne , e a
procurarne il possesso ci stimola . Se poi 1*
oggetto è cattivo, e non onesto, malvagia
è ancora la passione, che ci spinge a se-
guirlo. Da ciò chiaramente rilevasi, qual
cosa aver si debba in vista nella mozione
degli affetti dall' Oratore Quanto studio, e
quanta attenzione impiegar dee nell' ecci-
tare quelle passioni, che al bene ci porta-
no , altrettanto adoprar si dee per sedare
e moderar quelle, che ne spingono al male.
Ma per formarci una più giusta, e chiara
idea che sia possibile delle passioni , ten-
tiamo di esprimerne per mezzo d' un* esat-
ta definizione la natura . Affetto , e passio-
ne pertanto ( giacché prender si possono co-
me Sinonimi questi due vocaboli, posta fra
loro la differenza , (a) che passa tra un mo-
vimento più forte e gagliardo dell'animo,
qual' è la passione, ed un moto meno for-
te, e violento, quale può considerarsi l'af-
fetto ) altro non è che un movimento dell'
animo eccitato dall' apprensione di un be-
ne, ò d' un male con qualche commozione
ò cangiamento del corpo . Questo è ciò ,
che
» ... ~- — ===«
(a) La sana morale aggiungerebbe la differenza',
che passa tra una inclinazione , ò tendenza natu-
rale, ed innocente, che per lo più col nome d*
affetto si chiama, ed un movimento sregolato, e
figlio della concupiscenza , quale sembra che suo-
ni ordinariamente: il nome di passione.
x 44
che ognuno In se medesimo sperimenta al
destarsi nell* animo qualche passione. Gli
oggetti fanno impressione nel nostro corpo.
Per mezzo di questa impressione acquistai*
intelletto nostro V idea di essi . Dalla sem-
plice cognizione passa la mente a giudicare
ae buoni sono, ò cattivi. A questo giudizio
succede un' inclinazione, ed una tendenza
dello spirito verso di essi, se gli ha giudi-
cati buoni, T a versione e 1" orrore, se
gli ha appresi, come cattivi. Questa ten-
denza , ò a versione , nella quale la passio-
ne ò T affetto consiste, produce poi diver-
ge mutazioni , ò movimenti anche nel cor-
po , cosicché dall' insolita accensione, ©pal-
lidezza del volto, dall' agitazione delle mem-
bra , e da altri simili esterni contrassegni
argomentiamo la passione, che agita inter-
namente lo spirito, riflettendo saggiamente
Cicerone nel Libro i. de officiis , che dalle
passioni non modo animi perturbantur , sed
etiam corpora . Licet ora ipsa cernere irato-
rum , aut eorum , qui aut libidine aliqua , aut
inetti sunt commoti , aut voluplate nimia ge-
Stiunt , quorum omnium vultus , voces , motus 9
statusque mutantur . Ma per meglio intendere
r accennata definizione rifletter dobbiamo,
avere Iddio talmente unita 1* anima al cor-
po, che uno scambievol commercio d' azio-
ne passi tra V una e V altro, cosicché i
moti suscitati nel corpo sieno allo spirito
cagione di molte affezioni, e lo spirito da
queste medesime affezioni commosso diversi
can-
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*45
cangiamenti, e moti induca nel corpo. Es-
sendo pertanto 1' uomo naturalmente por-
tato ad amare il bene, e ad aborrire il ma-
le, se lo spirito apprende un oggetto, che
sia buono , ò tale almeno lo creda » sentesi
subito verso di quello portato, e nel tem-
po medesimo si suscita anche nel corpo un
movimento tale , che disposto si rende ad
ajutare, e secondare lo spirito nel procura-
re del medesimo oggetto il possesso. Ali*
opposto al presentategli 1' immagine di
qualche cosa cattiva, ò appresa per tale, si
eccita neir animo un movimento, che lo
porta ad aborrirla e sfuggirla, e a que-
sto moto dell' animo succede un moto tale
nel corpo, che atto strumento diviene allo
spirito per la fuga del mal concepito. Da
ciò, che si è detto, si può facilmente de-
durre, che non sempre le passioni, ond* è
agitato V animo nostro, la sua origine ri-
conoscono dall' attuale impressione degli
oggetti esterni, flientre in noi pure bene
spesso si destano , anche quando niuno og-
getto ci è presente, nè fa sul nostro corpo
impressione. Basta che 1' animo stesso ri-
svegli in se la memoria d' un oggetto buo-
no ò cattivo, benché lontano, perchè ali*
apprensione di esso rinnovata dall' immagi-
nazione si suscitino nel!' animo, e nel cor-
po affezioni simili a quelle , che la presen-
za medesima dell' oggetto vi produrrebbe .
Infatti pensando noi ad un qualche ogget-
to buono ò cattivo, non ne proviamo forse
L la
la medesima allegrezza » ò il medesimo or-
rore, come se fosse presente? Quantunque
poi sembri , che le passioni piuttosto che
all'intelletto, appartengano a quella poten-
za dell'animo, per cui esso ama, vuole, o-
dia , desidera , debbonsi però talvolta distin-
guere dagli atti liberi della volontà. Infat-
ti non sempre accade, che al suscitarsi d'
una passione nell' animo , la volontà si por-
ti liberamente verso l'oggetto, che ha ecci-
tato la passione; imperocché molte volte
trovasi l'animo dalle passioni agitato, seb-
bene non solo non vi concorra la volontà ,
ma sia ella alle passioni medesime del tut-
to ripugnante. Dal che ne segue, che la
passione essendo un affezione , ed un moto na-
turale, quando anche abbia per oggetto una
cosa mala, e vietata dalle leggi divine, ed
umane, non diviene essa per l'uomo ca-
gione, e materia di colpa, finché in qua-
lunque modo non vi concorra liberamente
la volontà, ò volontariamente dando moti-
vo alla passione, ò alla medesima accon-
sentendo. Che anzi cangiasi la passione in
occasione di inerito e di gloria , se la vo-
lontà vi resiste , se ne modera gli sregolati
movimenti, se schiava la rende dello spi-
rito , e della ragione .
Esaminata fin qui brevemente la natu-
ra degli affetti, passiamo ora alla divisione
di essi . Ben volentieri mi astengo dal rife-
rire le varie opinioni degli antichi , e de*
moderni Filosofi intorno alla natura , e al
nu-
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147
numero delle passioni , persuaso, che 1* espor-
ti con chiarezza, e semplicità ciò, che più
mi sembra alla ragione, ed alla esperienza
di noi stessi conforme , sia per riuscire a
voi cosa non solo meno molesta , ma anco-
ra più vantaggiosa. E dove meglio possia-
mo noi rintracciare una retta divisione del-
le passioni, che nella diversità degli ogget-
ti, che in noi le risvegliano ? Far non si
può una reale . divisione degli affetti con-
siderati cornee atti della mente; poiché tut-
ti appartengono alla stessa facoltà , che ha
lo spirito d' amare , d* odiare , di desidera*
re, di temere ec. Distinguonsi però le pas*
sioni riguardo agli oggetti; poiché secondo
la diversità di essi, diversa è pure T ira>
pressione / che fanno in noi, e questa di-
versa impressione è quella appunto, che
distinguer ci f a , e riguardare come diverse
le nostre passioni . Siccome pertanto tutti
gli oggetti, che possono in noi risvegliarle,
a due specie si riducono, ad oggetti buoni ,
e che fanno in noi una grata impressione ,
e ad oggetti cattivi , che in noi una dolo-
rosa, e trista impressione producono; così
le passioni tutte a due principalmente ridur
si possono, all' amore cioè, il quale è una.
tendenza verso T oggetto che si stima buo-
no, e che piace , e ali* odio, per cui s'abor-
re, e si fugge tutto ciò, che si giudica cat-
tivo, e nocevole. Ma siccome secondo la
diversa impressione degli oggetti , e la diversa
idea, che ne apprende lo spirito, in diversa
ma-
14*
maniera ancora esso tende verso gli ogget-
ti medesimi , ò diversamente gli ama , di-
versamente gli odia e gli aborre, da que-
sti diversi modi d' amare e d' odiare di-
verse passioni ne nascono, le quali altro
in sostanza sembra che dir non si debba-
no, che modificazioni diverse delle due
principali passioni , che ho rammentate , dell'
amore cioè , e dell' odio . Infatti altro non ij
il desiderio, che un amore più veemente,
per cui T animo aspira al possesso d' un
oggetto, che ama. Che se questo oggetto è
lontano, ma possibile se ne scorge F acqui-
sto, ne nasce la speranza; se come insupe-
rabili si apprendono gli ostacoli , che ne im-*
pediscono il possesso , la disperazione ; se è
presente e si possiede, l'allegrezza; se poi
il male, e ciò che si odia, è lontano, ma
pure una volta ci può divenir nocivo, si
unisce all' odio il timore; se è presente, e
si soffre, il dolore e la tristezza. Non son
mancati però autori , i quali hanno riferite
le passioni tutte all' amore , cosicché altro
esse non sieno, che modificazioni dell'amo-
re , ò diversi modi d' amare . Tale è il sen-
timento dello stesso S. Agostino, 4 quale
nel Libro XIV, della Città di Dio così s 1 esprime :
tlupiditas est amor inhians s bono , quod non fiabe*
mus ; laetitia est amorjruens bono, quod habcmus',
metus est amor tnalumjìigiens venturunv, tristitia
est amor nolens mahun , quod habemus . Sembra
infatti , che le passioni stesse , le quali compari-
scono all' a more contrarie , quali son o l' od io , lo
' ' * ' fide-
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sdegno, il timore, la tristezza figlie dir si pos-
sano dell' amore, mentre se s* odia, se si
teme , se con dolore i I male si soffre , ciò
addiviene perchè il male ci priva del bene,
che fi' ama, nè mai T odio, lo sdegno, il
timore , la tristezza sorgerebbero ad assalire,
ed agitare 1* animo nostro , se niente privar
ci potesse di questo bene, che si ama* si
desidera, si spera, si gode. Ed eccovi bre-
vemente accennato, qual sarà il soggetto
de' seguenti articoli , nei quali particolar-
mente tratteremo dei diversi affetti, in qua-
lunque maniera riguardar li vogliamo, ò
sia che all' amore, ed all' odio, come a
due principali fonti * ò air amore soltantcr
Ci piaccia di riferirli è
ARTICOLO IT.
Del linguaggio degli affetti, ò sia
delle figure di sentenze .
IP rima però, che di ciascuno affetto in
particolare vi parli, opportuno mi sembra
V esaminar brevemente , qual sia il lin-
guaggio, onde si esprimono dagli uomini le
proprie passioni. Che se alcuno di voi si
maraviglia , che avendovi io sul prin-
cipio del II. Capitolo parlato delle voci , ò
dei segui, con i quali ordinariamente gli
Uomini si scoprono a vicenda V interno
del
i5o
,d$l proprio spirko , prenda ad esso a trac
tar particolarmente del linguaggio delle pas-
sioni , vi prego a riflettere , che sebbene
jper lo più delle voci V uomo si 6erva per
manifestare sii pensieri, che gli affetti dell'
animo, assai diversa però è la maniera di
parlare, quando da qualche passione è com-
mosso , da quella, onde senza alcuna pas-
sione altrui discopre le proprie idee . In-
fatti essendo le voci segni soltanto delle
nostre idee , non potremmo giammai per mez-
zo di queste manifestare agli altri, nè yi->
ceridevolmente negli altri discoprire ol-*
tre le idee anche le passioni , da cui è
commosso lo spirito, se delle voci in un
modo particolare non facessimo uso, quan-
do siamo da qualche passione agitati. Per-
lochè se le voci sono i segni delle nostre
idee , le maniere di parlare diverse , e lon-
tane dall' uso comune sono i segni delle
nostre passioni . E siccome in questi modi
di parlare dall' uso comune diversi consisto-
no appunto quelle, che figure di sentenze
s' appellano, con ragione adunque sotto il
nome di linguaggio delle umane passioni a
voi le propongo. Queste son quelle vivaci*
e straordinarie maniere di parlare, per le
quali il discorso acquista veemenza, e di-
gnità y diletta, commuove, e rapisce il cuo-
re di chi ascolta. Ha ben ragione pertanto
Cicerone di riporre in queste figure il prin-
cipale ornamento, e pregio d' un Oratore *
e di dare a Demostene sopra tutti gli altri
Ora-
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Oratori la preferenza, perchè sopra d' ogni
altro nell' uso di esse si distingue : » Schema-
ta enim-> quac vocant Graeci, ea maxime or-
nant Oratorem : quo genere quia praestat
omnibus Dcmonsthenes , idcirco a doctis Ora-
torum est princcps jiuiicatus». Ella è dunque
cosa molto importante il far parola di tali
figure, che formano il principal pregio dell*
Eloquenza. Non altro però io mi propongo
in questo articolo , se non che di accennar-
le, e di spiegarne brevemente la natura,
riserbandomi a far vedere T uso grande ,
che esse hanno nel discorso, quando trat-
terò in particolare degli affetti. E neppure
di tutte, ma delle principali soltanto inten-
do di favellare , e perciò al numero di 24.
io le riduco, delle quali osservar potete lo
schiarimento nel Libro IV. della Rettoricaad
Erennio presso Cicerone, ò qualunque^altri
siane stato 1' autore, e presso Quintiliano
Libro IX.'Cap. II. e sono queste: L* Interro-
gazione , la Subjezioue ò soggiungimento , la
Prolepsi detta ancora occupazione, la Cor-
rezione, la Dubitazione, la Comunicazione , la
Prosopopeja, V Apostrofe , /' Ipotiposi , V Etopeja,
V Aposiopesi , V Enfasi, la Sospensione , la Preteri-
zione, la Licenza, la Concessione , la Permis-
sione, V Ironìa, V Interruzione, la Distribu-
zione, la Preghiera, V Imprecazione, V Epi-
fonema, V Esclamazione. Non debbo però
tralasciare d* avvertirvi, che quando voi
sentite definirsi dai Retori le figure di sen-
tenze, coinè niodi di parlare lontani dall'
or-
!
Ordinario linguaggio degli uomini, non de-
duceste da ciò, eh' elleno non sieno un
linguaggio naturale > ma artificiale delle pas-
sioni. Niente anzi in queste straordinarie
miniere di favellare vi ha, che naturale
non sia, e bene spesso v avverrà d' osservar-
le anche nei discorsi degli uomini idioti, e
volgari i nei quali là passione parla talvol-
ta un linguaggio più persuasivo, più ani-
matole più forte di qualunque studiata»
ed artificiosa eloquenza. Che cosa adunque
intender dobbiamo per modi di parlare lon-
tani, e diversi dall' ordinario discorso de-
gli uoihini? Noi! altro ; che certi caratteri »
certe modificazioni, certe impronte,' e di-
vise particolari, onde la passione adorna,
anima, riveste, e distingue il discorso in
-quella maniera appunto, che i diversi limi-
ti dell' estensione nei corpi,' ò sia là diver-
sa loro forma," e 'figura gli uni dagli altri
distingue. Per conoscer poi là bellezza, e
la forza, che aggiungono le figure al di-
scorso , miglior mezzo a mio parere non vi
ha, che quello di spogliare il discorso me-
desimo di quel!' ària, é di , quella forma;
che gli dà là figura, é ridurlo al parlare
semplice, e piano per farne il confronto, e
dal confronto rilevar la bellezza del parlàr
figurato.
\
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$ i
1
Figura (V Interrogazioni.
H3
E V Interrogazione una, figura, per cui
non s[ ricercano già cose dubbie , ed igiio-
tè , ma si usa per dare uni forza maggióre
a ciò che si dice. Non vi è figuri più at-
ta di questa ad esprimere i più gagliardi,
e violenti moti dell' animo, e olle per con-
seguenza renda il discorso più patetico, ed
insinuante, e trovisi più spesso usata dai
Poeti, e dagli Oratori. Veder ne potete un
breve esempio hell' orazione del Casa per
là lega, nella quale per dare una maggior
forza all' esortazione, che fa in ultimò'
ai Veneziani, in questa interrogazione pro-
rompe: N071 sentite - voi fra le meste, e fred-
de voci di pace rimbombare il crudo suono,
è V orribile strepito dell 9 armi Imperiali*
Perche tardiamo noi dunque? ò perchè nóh
muoviamo noi a sì salutifero scontro la hó-
stra poderosa , e vincitrice schiera ? Ed il Pe-
trarca nel Cap. X. del Trionfò della morte:
(/' són or le ricchezze? If soii gli onorilf
E gli scettri, e le gemme, e le corone,
E lè mitre con purpurei colorii
E poco dopo : „
Che vale soggiogar tanti paesi,
È tributarie far le genti strane
Con gli animi al suo danno sempre accesi?
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<
154
§• n.
■
Figura di subjezione, ò sogglungimcnto .
N
è meno forte, nè dì minor uso è la fi-
gura , che subjezione , ò sogglungimcnto si ap-
pella . Si fa questa quando all' interroga-
zione T Oratore medesimo , ò il Poeta sog-
giunge la risposta , e forma con se stesso
una specie di dialogo . Frequentissimi ne
sono gli esempi presso Cicerone . Serva per
tutti quello > che leggesi nella Filippica ot-
tava. Sed quid plura? D. Brutus oppugnatur ,
Non est belluini Mutino, obsidetur . Ne hoc
quidem bellum est ? Gallici vastatur . Un al-
tro esempia ce ne somministra il Petrarca
nel Sonetto, che comincia : B % questo il ni-
do , in che la mia Fenice ; poiché , fatta nel-
la seconda quartina questa interrogazione r
Ov* e il bel viso , onde quel lume venne.
Che vivo , e lieto ardena\ò mi mantenne ?
rispondendo poi a se stesso , e allo stessa
viso rivolgendo il parlare, soggiunge:
w Solo cri in terra, or se* nel del felice,
E m hai lasciato qui misero, e solo ,
Talché pien di duol sempre al luogo torno*
Che per te consecrato onoro , e colo » .
r
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^5
§. Iti.
figura di Prolepsi, o sia d' occupazione ■
La Prólepsi, ovvero Occupazióne è quelli,
figura, per cui V Oratore previene ciò, che
contro la sua causa oppor si potesse dagli
avversar), ò le difficolta , i dubbj , che in-
sorger potessero negli anirhi degli uditori ,
a fine di porre nella maggior chiarezza le
cose, e sempre più persuaderli . Eccovene
un esempio tratto dall' Orazione dei Casa
' all' Imperatore per la restituzion di Piacen-
za, nella quale dopò aver detto* che le ma-
gnifiche opere soltanto atte sono ad infiam-
mar d' amore gli ànimi delle genti , pre-
viene così, e dilegua dall' animo dell' Im-
peratore la falsa credenza, ih cui esser po-
teva, che la potenza e la fortuna, oggetto
della comune ammirazione, capaci fossero a
guad&griargii 1' affettò di tutti : A 7 c creda vò-
stra Màestà, che siavi alcuno, Che grande,
stupore abbia della vostra potenza , e della
Vostra mirabile, e divina fortuna. Ihvidia^
e dolorò ne hanno bcit molti, forse in mtig*
gior dovizia > che a voi bisogno non sarcb»
, be; poiché tanta forza , e tanta ventura
i genera e Umore, ed invidici eziandio nei
benevoli, e negli amici, i quali temendo
insieme odiano, conciossiachc quelle cose,
che spaventano, s 9 inimicano, ed al lóro ac-
creschhehto ciascuno , quanto pub $* oppa-
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n». Ma la prodezza del cuore, e la bontà
dell' animo , e le cose magnìficamente fat-
te , siccome le vostre passate opere sono f
commuovono con la loro bellezza, c col lo-
ro splendore ancora gii avvcrsarj , ed i ne-
mici ad amore, e meraviglia, anzi a rive-
renza, € venerazione. Leggete inoltre V e-
sordio dell' Orazione di Cicerone prò Sexto
Roscio Amerino, e della Divinazione contro
Verre , e troverete che con queste figure d^
principio Cicerone ad ambedue queste Ora-
zioni .
'Figura di Correzione.
.uando 1 Oritore avendo espresso un
sentimento si ritratta, ed in qualche modo
si corregge," affine di metter fuori sentimen-
ti più opportuni, più sublimi, e più forti »
chiamasi questa figura; di correzione , la qua-
le è attissima a conciliar forza , ed orna-
mento al discorso, e a risvegliare negli udi-
tori una maggiore attenzione a quello , che
T Oratore è per dire . Bello è T esempio >
che d' una tal figura somministra il Casa
nella citata Orazione, in cui rammentando
T universa! cordoglio per la disgrazia av-
venuta all' Imperatore in Algeri , prosegue
così per mezzo della figura , di cui parlia-
mo
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ino; » Che parco io degli uomini} Qucstater*
ra , Sacra Maestà , e questi lidi parevano ,
c/ie avessero vaghezza di farvisi allo 'n-
contro, ed il vostro travagliato, e combat-
Ulto naviglio nei lor senile ne 7 lor porti ab-
bracciare 9 , . Ne meno bello è l'esempio ,
che se ne legge in Virgilio nel Libro IV.
dell' Eneide, ove per esprimere 1' agitazio-
ne, e la disperazione di Bidone alla par-
tenza d' Enea , avendole messo in bocca il
comando d' andar subito ad attaccare il
fuoco alle Navi d' F^nea :
Ite,
Ferte citiflammas , date vela , impeline remos ,
le f così ritrattare il suo pensiero: (tati
Quid loquorìaut ubi sumìquae mentern insania ;n«-
Jnfelix Dido, ■ nunc te fata impia tangunt ,
Tum decuit , cum sceptra dabas.
Che la figura di correzione s' usi ancora ri-
guardo alle parole, alle già espresse sostituen-
do parole più forti, e più significanti, co-
noscer lo potete dal sopra riferito esempio
del Casa , nel quale quasi che poco fosse
aver detto , che le opere magnifiche com-
muovono ad amore? e meraviglia, correg-
ge quasi una tale espress ione, aggiungendo:
anzi a riverenza , e venerazione .
$• v. ; -
Figura, di Dubitazione, %
L a Dubitazione c quella figura , per cft
«58
T Oratore mostrando d esser dubbioso, ed
incerto, d' onde cominciar debba il suo di-
scorso, qual cosa dire, a quat partito ap-
pigliarsi , tiene anche mirabilmente sospeso
V animo dell' uditore, e concepir gli fa
una più alta idea delle cose, di cui vuol
favellare. Non si può meglio, che con que-
sta figura non tanto esprimere 1' importan-
za, la sublimità, e la grandezza dell' argo-
mento , ma la meraviglia, 1' allegrezza,
il timore , il dolore , lo sdegno , ed altre
passioni. Di questa figura si serve T. Li vici
nella concione, in cui Scipione parla ai
soldati, i quali udita la falsa nuova della
di lui morte, suscitata avevano una sedizio-
ne: (a) » Apud vos quemadmodiun loquar
nec CQnsdium , nec oratio sappeditat, quos
ne quo nomine quidem appellare debeam,
scio . Cives ? Qui a patria vostra deschi-
stis ? An milites ? Qui imperium , auspb-
ciumqtie abnuìstis , sacramenti religionem
rupistis ? Hostcs ì Corpora , ora vestitimi,
habitum civ'uun agnosco; Jacta, dieta, Con-
silia animos hostium video n . Con questa
figura nel suo Poema sulle nozze di Teti ,
e di Peleo fa Catullo parlare Arianna ab-
bandonata da Teseo:
„ Nata quo me rcjlram, quali spe perdita nitar?
Idaeosne petam montes? ah ! gurgite lato,
Discernens Pontum truculentum ubi divida qquorì
An patris auxilium sperem ? quemne ipsareliqui
/?c-
• V. 1 " ; — ■ ' • r -— — ^
(*) T, Liv. Lib. XXVIII,
Rcspersum juvcnem fraterna caede secuta ?
Conjugis an fido consoler memet amore}
Quine J'ugit lentos incurvans gurgite ventosi
§. VI.
Figura di Comunicazione*
Q uando V Oratore per mostrar la fidu-
cia, che ha nella sua causa, che ha intra-
presa a sostenere, consulta 1' uditore me-
desimo ò V avversario, ed in qualche mo-
do al loro giudizio s' appella, sicuro, che
debbano necessariamente venire nel suo
sentimento, dicesi questa figura di Co-
municazione. Eccone da Cicerone V esem-
pio^neir Azione contro Verre: » Nunc ego ,
jùclKes,jam vos consulo, quid mihi facien-
dum putetis. fd enini consilii mihi profectò
dabitis, quod egomet mihi necessario capien-
dum intelligo ».Ed il Salvini imitando Cice-
rone, anzi letteralmente traducendo il cita-
to esempio in una delle sue orazioni, dice:
„ A voi stessi, sapientissimi Giudici, chiedo
consiglio, cosa stimate, ch y io debba fare;
e tale certo lo mi darete, quale si è quel-
lo, che io stesso intendo di dover prender
necessariamente »-
§. VII.
j5o
§ VII,
Figura di Prosopopeja , ò di Personificazione .
p
er la figura di Prosopopeja , come rilevar
SÌ può dalla forza del Greco vocabolo espri-
mente formazione ò fingimento di persona»
s' introducono nel discorso a parlare perso-
ne assenti, e non solo quelle che attual-
mente vivono, ma ancora gli antichi, ed i tra-
passati , nè solo le cose animate , ma le ina*
nimate eziandìo , come la patria , le città ,
le proyincie , le contrade , i templi , le piaz-
ze ec Quanto abbia in se questa figura di
vivacità , di bellezza , e di forza , meglio in-
tender non si può, che per mezzo d' esem-
pj. Quanto bella, quanto patetica, e forte
è la parlata , che Orazio mette in bocca a^
Attilio Regolo neir Ode V. del libro ìjfL
, 5 Signa ego Punicis
Affixa dclubris , et arma
Militibus sine caede , dixit ,
Direpta vidi : vidi ego civium
P etorta tergo brachia libero x
Portasque non clausas , et arva
Marte coli populata nostro . n
Quanto affettuoso, e tenero è il discorso,
che il Petrarca mette in bócca a Madonna
Laura dopo la di lei morte nel Sonetto,
che comincia : Se lamentare augelli , ò verdi
frond ". »
Dehl perchè innanzi tempo ti consume}
Mi dice coi\ pictadc, a che pur versi
Da-
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<
Dagli occhi tristi un doloroso fiume}
Di me non pianger tu, che i miei dì j ersi
Morendo eterni, e nelV eterno lume
Quando mostrai di chiuder gli occhi apersi .
Quanto sia frequente 1 uso di questa figu-
ra anche presso gli Oratori, basta leggere
le Orazioni di Cicerone per comprenderlo
Si avverta pero, che una tal figùnf si* fi.
ancora, quando non solo a parlar si intro-
ducono, ma si rappresentano ancora in at-
to di far qualche cosa le cose sì animate >
che inanimate, come rilevar potete da Ci-
cerone medesimo nell' orazione prò Milone*
dove si vedono personificate le leggi, e in
atto di porger di propria mano la spada per
dar la morte a qualcheduno; Aliquando gla-
dius ad occidendum hominem ab ipsis porri*
gitur legibus- 9 e dall' orazione del Casa per
la restituzione di Piacenza, ove dice par-
lando all' Imperatore: » Dt ciò vi pregano
similmente le misere contrade £ Italia , ed i
vostri ubbidientissimi popoli , e gli altari, e
le Chiese , ed i sacri luoghi , e le religiosa
vergini , e gli innocenti fanciulli , e le timide ,
e spaventata madri di questa nqbil provincia,
piangendo, ed a man giunte per la mia lin-
gua vi chiedon mercè.
M $.
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§. Vili.
Figura cC Apostrofe .
da quelli, a cui parla, rivolge in. un
6ubito T Oratore il suo favellare ad al-
tri ò pj-esenti, ò lontani, ed anche a cose
inanimate, (a) una tal figura chiamasi Apo-
strofe con Greco nome, che altro non si-
gnifica, che conversione, ò rivolgimento da
una cosa ad un'altra, figura più d' ogn' al-
tra atta a ravvivare, e render nobile il di-
scorso . Ella è *il linguaggio più frequente
degli Oratori , e de' Poeti . Quante sono in-
fatti le Odi , che Orazio incomincia con que-
(a) Sembra a prima vista strano, e ridicolo il
linguaggio di questa, e dell' antecedente figura,
come saggiamente osserva il da me tante volte ci-
tato Inglese Scrittore. Direbbesi quasi privo di
senno, chi immagina parlanti le fiere, i sassi, i
fiumi , ò chi loro rivolge il discorso. Eppure e
questo il linguaggio dell'uomo, quando special-
mente e agitato da qualche passione. L'uomo ha
una mirabile propensione ad animare tutti gli og-
getti . Tutte le passioni cercano di sfogarsi , e se
trovar non possono altri oggetti, si sfogano co' bo-
schi, co' monti, e con le cose più insensibili , spe-
cialmente se alcuna di queste ha qualche connes-
sione con le cause, ò con gli oggetti, per cui V
anima c abitata. Chi urti col piede in un sasso,
contro di quello inveisce con le più ingiuriose pa-
rale . Chi si separa da un'oggetto caro, e piacevo-
le , quando anche fosse una casa, una città, una
campagna, rivolge al esso nel dipartirsi, come
per dargli 1' ultimo addio, il suo favellare.
sta
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i6 3
ata figura ! Quanto è bella 1 Apostrofe , e 1
invocazione di Virgilio nel principio della
sua Georgica!
n Vos , o durissima mundi
w Lumina, labentem Caelo quae ducitis annum,
n Liber, et alma Ceres ec.
Con questa figura comincia il Petrarca una
gran parte de* suoi Sonetti , de* quali a
mente mi viene e quello, che comincia:
93 Aura, che quelle chiome bionde, e crespe
e quello; w Arbor vittoriosa, trionfale » ;
e l'altro: » Quanta invidia ti porta, avara
terra ». Ma lasciando da parte ogni altro
esempio , mi piace di riportar qui la bella
Apostrofe, che fa alla pace Claudio Tolo-
mei neir Orazione a Clemente VII. per esor-
tarlo ad interporsi per la conclusione della
pace tra '1 Rè di Francia, e l'Imperatore
Carlo V. : w 0 santissima pace discacciatrice
del viver reo , o speranza di nostro bene , o
apportatrice d! ogni quiete , e d* ogni salute f
Tu dunque siei quella, che puoi co* tuoi rie-
, chissimi doni ristorar V Italia dai passati oU
traggi. Tu siei, che tra noi fermandoti puoi
farci questi anni avvenire viver sicuri. Tu
puoi la mente tranquillandoci ed in questa
vita porgerle sicurezza, e del sommo bene
dell' altra più ardente farla . Perciocché se nelV
apparir tuo spariranno le discordie, ed i fu-
rori y che contento sarà questo a tutti noil Se
col tornar tuo farai le belle arti , e costumi
ritornare , quanta gioja crescerà negli uomini
alloral Se venendo tu si vedrà per nutrimen-
to
■
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to loro larga abbondanza venire, quale allegrezza
sarà quella di tutti i popoli ! Se per tuo do*
no si renderà la maestà alla giustizia , ed al-
le leggi, che contento credi, che i buoni ne
sentiranno! Se la Religione vera regolatrice
dell* anime nostre con Vonor tuo s onorerà
tra i Cristiani, quanto si faranno gli uomini
migliori, e con le opere buone cercheranno
qui la contentezza , e nel Cielo la beatitudine
godere! »
§. ! ix.
Figura d'Ipotiposi.
i-*a forza, ed il significato della greca pa-
rola Ipotiposi abbastanza spiega in che cosa
consista questa figura derivando ella da
un verbo Greco, che significa delineare, ò
dipingere. Questa figura infatti detta dai
Latini demonstratio altro non è, che una
viva, ed esprimente descrizione, ò pittura
d' una qualche cosa , cosicché sembri all' udi-
tore d'averla presente, e con i proprj occhi
vederla. In questa figura, come voi ben
vedete, consiste il più bel pregio dell'elo-
quenza . Il retto , ed opportuno uso di essa
i veri Poeti, e i veri Oratori distingue.
Non si limita ella ad alcune cose soltanto,
ma è propria di qualunque materia, ò ar-
gomento. Sì l'esterne» come l'interne qua-
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lità delle persone , sì le cose animate , co-
me le inanimate, i tempi, i luoghi, tutto
può esser soggetto di essa. Ella è il linguag-
gio di tutte quante le passioni, e non vi
ha cosa , che tanto diletti , e tanto muova
gli animi altrui , quanto le descrizioni vi-
ve, e naturali accompagnate da nobili, ed
eleganti espressióni, e per mezzo d' altre fi-
gure, quando la materia il richieda, varia-
te, e ravvivate. L'opere intiere degli Ora-
tori, e de' Poeti più insigni servir ci pos*
sono d'esempio, nelle quali non vi ha for-
se pagina , che non contenga la descrizio-
ne , ò la pittura di qualche cosa. Non vi
sembra di vedere con i proprj occhi Caron-
te, quando lo leggete nel Lib. VI. deli*
Eneide così da Virgilio descritto?
w Portitor has horrendus aquas, etflumina servat
Terribili squalore Charon ,• cui plurima mento
Canities inculta jac et; stant lumina fiamma,
Sordidus ex kumeris nodo dependet amictus?
cui imitando Dante nel canto III. dell'In- 1
ferno dice:
, ? Ed ecco verso noi venir per nave
Un vecchio bianco per antico pelo
Gridando: guai a voi, anime prave.
E poco sotto;
„ Quinci fur quete le lanose gote
Al nocchier della livida palude, . . -
Che intorno agli occhi avea di fiamme ruote*
Quanto vivamente descrive V Ariosto il com-
battimento di due Cavalieri in quest'ottava!
95 Fanno or con lunghi, ora con finti, e scarsi
Col-
\66
Colpi veder, che mastri soft del gioco ,
Or li vedi ire alteri, or rannicchiarsi.
Ora coprirsi, ora mostrarsi un poco:
* Ora crescere innanzi, ora ritrarsi,
Fibatter colpi, e spesso lor dar loco,
Girarsi intorno, e d'onde V uno cede,
V altro aver posto immantinente il piede;
Nè troveremo questo Poeta inferiore a Vir-
gilio, come in altre descrizioni, così in quel-
la, che in molti luoghi fa della tempesta.
Io però per brevità tralascio infiniti altri
esempi tanto pià che molti ne ho accen-
nati nel §. IL del Cap. I. trattando dell'
enumerazione delle parti , che è sì necessa-
ria in qualunque descrizione.
Figura rf' Etopejd
T T
na specie d' Ipotiposi, ò di descrizione y
ma limitata alle persone, ed alle loro qua-
lità sì esterne, quali sono le fattezze del
corpo 1 come interne, quali sono le virtù, i
vizj, è la figura detta con voce Greca Eto-
peja f die altro non significa, che imitazio-
ne, ò formazione di costumi . L' uso di que-
sta figura è assai frequente e presso gli
Oratori, e presso i Poeti, ma de Comici,
e de' Tragici è specialmente propria, il
principale scopo dei quali quello si è d'
espri-
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esprimere al naturale il diverso carattere
delle persone, che introducono sulla scena.
Nel prescrivere un tal precetto nella sua
Poetica , ed illustrarlo con diversi esempì
insegnar volendo Orazio, quale rappresen-
tar si dovrebbe un Achille, ne esprime egli
medesimo il più vivo carattere, e ci da V
esempio della più bella Etopeja in questi
versi:
» hnpiger, iracundus, inexorabilis , aver
Jura ncgctsìbi nata, nihil non arroget armis ir$
Eccovi la pittura naturale d'un uomo latta
dall' Ariosto in quest' ottava :
•> La sua statura, acciò tu lo conosca.
Non è sci palmi , ed ha il capo ricciuto ,
Le chiome ha nere y ed ha la pelle fosca ,
Pallido in viso, oltre il dover barbuto*
Occhi gonfiati, e guardatura losca,
Schiacciato il naso, e nelle ciglia irsuto;
V abito , acciò eh' io lo dipinga intiero ,
IT stretto, e corto, e sembra di corriero
Mirabile è ancor Cicerone in tali pitture .
Osservate come nella sua Orazione dopo il
ritorno in Senato ci rappresenta Pisone, e
Gabinio: » L. Piso, tunc ausus est isto ocu-
lo, non dicam isto 'animo, ista fronte, non
vita, tanto super cilio, nqn enim possum dice"
re rebus gestts, cum A. Gabinio consociare
Consilia pestis meae ? Nec te illius unguento-
rum odor, non vini anhelitus, non frons c&~
lamistri notata vestigùs in eam cogitationem
adducebat, ut cum UH re similis fuisses ,fron-
tis libi integumento ad occultanda tanta fla~
ghia diutius uti non licer et ? $.
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t6Ì
r §. Xt
V
Figura cC Aposiopesi .
r'
l^i Aposiopesi detta ancora coerentemente
alla forza del Greco vocabolo figura di re-
ticenza, ò d* interruzione è quella, per cui
T Oratore tronca ai un tratto rincomincia-
to discorso , e senza ultimarlo passa ad al-
tre cose, lasciando, che gli uditori medesi-
mi immaginino ciò, che avrebbe egli dovu-
to dire . Molto naturale è V uso di questa
figura in coloro, che agitati sono dal dolo-
re , e dallo sdegno , che hanno , e mostrano
orrore, ò ribrezzo d'alcune coso per render-
le viepiù odiose agli altri, e che vogliono
far più risaltare, e far comparire come
grande una qualche cosa. Noto è l'esem-
pio, che d'una tal figura trovasi in Virgi-
lio nel Libro I, dell Eneide, ove Nettuno
parla così sdegnato ai venti:
Tantane vos generis tenuit fiducia vestri ?
Jam Caelum , terramque jneosine numine, venti ,
Miscere, et tantas audetis tollere moies?
Quos ego . . . sed motos praestat componere fiuctus
Post mihi non simili poefla commissa luetis ».
A questo è simile quello del Tasso :
» Che si, che sì.., ma intanto
Conobbe, ctì* eseguito era V incanto .
Ma per ogni altro esempio, che addur si
potrebbe , basti quello , che leggesi nell' Ora-
zione funebre, che Benedetto Varchi recitò
nelT Accademia Fiorentina in lode del Bem-
bo
Digitized
bo: » V andar di luì, nbn che altro, lo sta-
re, il vestire pieni di gravità, di modestia,
di leggiadrìa mostravano bene, che egli fosse
piuttosto — ma che vò io, folle mei nume-
rando ad una ad una le stelle del Cielo
Ed in altro luogo dopo aver detto, che Pao-
lo III. in vista del merito, e delia virtù
del Bembo, mosso si era a crearlo Cardinal
le , soggiunge : » Sperando forse , che sua Si*
gnorìa Reverendissima dovesse un giorno..,,
ma ohimè ! non era degno di tanto bene que-
sto Secolo.
§. XII.
Figura d'Enfasi.
1'
JLj Enfasi è quella figura, la quale consiste
in un parlar sentenzioso, e grave, che e-
sprime più di quello, che dicono le parole,
figura "la più adattata perciò a far concepi-
re delle coie l* idea più grande , e più su-
blime. Quanto enfatica è l' espressione, che
in una conclone T. Livio mette in bocca
ad Annibale : w Annibal peto pacem (a) . Il
nome solo d'Annibale quanti sentimenti in
se racchiude, e di qual lungo ragionamene
sto somministrar potrebbe materia a chi e-
fitenAr gli volesse, esponendo il valore ,^1*
im-
» - — — - - , *
(a) r. Liv. Lib. XXX.
imprese, la gloria d'un tal Capitano, come
col solq suo nome pare , che tuttociò ei ram-
menti a Scipione? Chi non concepisce de*
Trojani, e d'Enea la più alta stima, leg-
gendo quegli enfatici versi del Libro VII.
dell'Eneide di Virgilio nella parlata, che
fa Ilioneo al Rè Latino :
91 Ab Jove principium generis ; Jovc DarJanapubes
Gaudet avo ; Rex ìpse Jovis de gente suprema
Troius Aencas tua nos ad limina 7nisit .
A questa figura ridur si possono i detti gra-
" vi, e, sentenziosi, quali sarebbero e quello
di Cicerone nell' Orazione in favor di Mar-
cello: 99 Numquam enim temeritas cum sa-
pientia commiscetur, ncc ad consilium casus
admittitur n e quello , che Orazio nell' Ode
XXIX. del Libro I. mette in bocca ad Ar-
chita :
99 Scd omnes una manet nox%
Et calcanda semel via Lethi -,
e quello, onde il Petrarca chiude il Sonet-
to, che comincia: » Quel che d'odore, e di
color vincea 99.
99 Pieno era il mondo de* suoi onor perfetti >
Allorché Dio per adornarne il Cielo
La sì ritolse, e cosa era da Lui.
§. XIII.
Figura di Sospensione.
Quando r Oratore per qualche tempo tieja
so-
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Sospesi gli ildirori , dicendo lóro molte cose
prima di venire allo scopo principale del
suo discorso , una tal figura chiamasi Sospen-
sione, per la quale non solo rende più at-
tenti, ed ansiosi gli uditori d'ascoltar ciò,
che dira, ma ancora fa sì, che maggior-
mente rapprendano per cosa grande* ed im-
portante. Bello è Tesenipio , che di questa
figura dà Cicerone nell' Orazione VII. con-
tro Verre per far concepire ai giudici la
più grande idea del suo delitto: 9 > Ergoejus
jussu isti homines comprehensi. Quid deinde ?
Quid censetis? E unum Jbrtassa, aut praedam
expedatis aliquam Etiam mine mihi ex-
pectare videmini. Expectate Jacinus quatti
vullis improbnm , lineam tameh expectationcnt
omnium. Quod inulto improbius est y UH no-
mine sceleris coiijurationis damnati, àd sap-
pi icium traditeti , ad pallini alligati , repente
multis millibus nominimi inspectantibus occisi
sunt y> . Un esempio di tal figura è T inte-
ra Ode XXXII. del Libro I. in Orazio: „ Quii
dedicatum poscit Apollinent Vates ce. , 9 nella
quale dopo aver detto, che non chiede ad
Apollo ne oro, nò avorio, nò feconde, ed
ampie possessioni, ò altre simili cose, e do-
po aver così tenuto sospeso chi legge, ter-*
mina finalmente la sua Ode con risponde-
re all'interrogazione, con la quale le ha ;
dato principio;
Frui paràiis, et valido inihi,
Latoe, deiits, ac precor , intégfd
Cam mente, nec tiirpem scnecuvri
Ite-
Degere , nec cithara carente tn .
Una continuata figura di sospensione è pu-
re il Sonetto del Petrarca, che comincia:
„ Ponmi, ove il sole uccide i fiori, e V erba»
nei quale dopo aver rammentato varj luo-
ghi, e diverse condizioni, e stati, in cui
poteva esser collocato, chiude così il suo
Sonetto :
Sarò qual fui , vivrò corri io son visso
Coutinuando il mio sospir trilustre.
na delle figure più usate, e comuni, e
nel tempo stesso piena di gravita, e di bel-
lezza è la figura di Preterizione , per la qua-
le finge V Oratore di passar sotto silenzio,
ò d'ignorare o d* aver difficoltà ed orrore
ad esporre ciò, che nel tempo medesimo
dice. Non solo conciliasi per essa brevità
alle cose, le quali in altro modo esposte
manderebbero troppo in lungo il discorso,
ma concepir fà agli uditori maggiore orro-
re per quello, che mostra di non voler
rammentare, rende meno ingrate le cose
vili, e basse, meno odiose quelle, che det-
te in altra maniera potrebbero offendere, e
disgustare, e rende inoltre più attento, chi
ascolta per la speranza di udir cose più ri-
§. XIV.
Figura di Preterizione.
le
/
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levanti, e più sublimi di quelle, che l'Ora-
tore finge di tralasciare. Abbiamo di que-
sta figura un esempio presso Cicerone nell*
Orazione in difesa della legge Manilia , in
vigor della quale, come sapete, veniva tra-
sferita tutta 1 amministrazione della guerra
contro Mitridate nella persona di Pompeo,
nella quale orazione così risponde all' obie-
zione di Catulo , il quale diceva, esser cosa
affatto nuova, che un solo avesse il coman-
do assolino della guerra: 99 At enim nihil
99 novi fiat cantra exempla , atque institela ma-
r) forum, Non dico hoc loco majorcs nostros
95 in pace consuetudini , in bello utilitati pa-
li ruisse ; semper ad novos casus temporum
n novorum consiliorum rationes accomodasse.
55 Non dicani duo bella maxima Punicum y
99 et Hlspaniense ab uno Imperatore esse con-
vjecta; duas urbes potentissimas , quae huic
9 ) imperio maxime minabanlur, Carthaginem ,
99 et Numantiam ab eodem Scipione esse de-
99 letas . Non commemorabo , nuper ita vobis ,
95 patfibusque esse visum , ut in uno C. Mario
99 spes imperii ponerctur , ut idem cum Iugu-
li rtha, idem cum Cimbris, idem cum Theutonis
59 bellum administraret» . Un altro esempio ne
somministra il Petrarca nella Canzone : 95 Italia
99/72 za, benché il parlar sia indarno 99 alla strofe ^V.
99 Cesare taccio , che per ogni piaggia
Fece V erbe sanguigne
Di lor.vene, ov il nostro ferro mise;
e nel trionfo della castità:
99 Passo qui cose gloriose, e magne
Ch %
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i J4
Cli io vidi, e dir non oso ; alla mia donna
Vengo , ed alC altre sue minor compagne .
Un altra leggiadra maniera d' usar que-
sta figura e* insegna Virgilio nel Libro IL
della Georgica :
n Quid tibi odorato referam sudantia Ugno
Balsamaque , et baccas semperfrondentis acanthiì
Quid nemora Aethiopum molli candida lana §
Vellcraque ut foliis depcctant tenuip Sere<?
Aia quos Oceano propior gerit India luco^ ,
Extremi Sinus Orbisi
§ XV.
»
Figura, di Licenza
La Licenza è quella figura, per cui V
Oratore parla con tutta la franchezza, e
con tutto il coraggio anche presso le per-
sone, le quali ingerir gli potrebbero timo-
re. Questa figura anziché rendere V Orato-
re odioso a chi ascolta, concilia verso di
lui attenzione, benevolenza, ed autorità»
quando manifestamente si scorge, che la
franchezza, e la liberta, con cui parla, na-
fcce dalia fiducia, .che egli ha nella pro-
pria causa, dall' importanza della medesi-
ma, dallo zelo per l'altrui vantaggio, dalL*
emore della verità, non da animosità ,
non da alterigia, ed orgoglio, non da man^
canza di rispetto verso degli uditori- Ve--
dee
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der ne possiamo un esempio nell' orazione
di Cicerone in favor di Ligario, nella qua-
le confida tanto d* ottener da Cesare cle-
menza verso di lui, che non ha difficoltà
di confessare apertamente alla di lui pre-
senza d essere stato egli medesimo più at-
taccato al partito di Pompeo, ed* aver non
ostante da Cesare ottenuto il perdono. » Nul-
lum igitur, diesar, in Q. Ligario signum
alicnae a te voluntatis, cujus ego causam,
animadverte quaeso , qua fide defendam , cutn
proda meatn — M. Cicero apud te defhidiù,
alium in ca voluntate non f iris se , in qua se-
ipsuni confitenti' Jais se ; ncc tuas tacitas co-
gitationes extimescit , nec quid tibi de alio
audienti de se ipso occurrat, reformidat. Vi-
de , quam non reformidem ; vide, quanta lux
liberalitatis , et sapientiae tuae mihi apud te
dicenti oboriatur . Quantum poterò voce con-
tendami ut hoc Populus R. cxaudiat ec.
§. XVI. e XVII.
Figura di Concessione, e di Permissione .
Per la figura di Concessione V Oratore di-
mostra specialmente la fiducia, che ha nel-
la causa intrapresa a difendere, molte cose
accordando agli uditori, ò all' avversario,
le quali ha già dimostrato, che non sareb-
bero da accordarti , per stringerli con . più
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J ' 6 ....
forti, e convincenti ragioni. Frequenti sono
d* una tal figura gli esempj presso Cicerone.
Leggete quello, che trovasi nell' Orazione
in favor di Sesto Roscio A merino, nella
quale all'avversario rivolgendosi dice: n E-
sto, causam prqferre non potes . Tametsi sta-
tini vicisse debeo t tamen de meo jure decedam,
et libi , quod in alia, causa non conceierem ,
in hac concedam Jretus hujus innocentia. Non
quaero abs te quare patrem Sextus Roscius y
quaeroy quo modo occiderit ». A questa figu-
ra sembra a molti somigliante, molti anzi
con essa confondono la figura di Permissio-
ne. Ma dall'idea, che ne danno Cicerone,
e Quintiliano, una gran differenza tra V
una, e l'altra discopresi. Infatti per la figu-
ra di Permissione non accorda già l'Orato-
re agli uditori, ò all'avversario una qual-
che cosa, come veduto abbiamo; e.^er pro-
prio della figura di Concessione, ma si ri-
1 mette del tutto al volere degli uditori, ò
dei giudici, ad essi in qualche modo se, e
la sua causa abbandona, ed al loro giudi-
zio totalmente si assoggetta: p Permissio est y
cum ostendimus in dicendo nos aliquam reni
totam tradere, et concedere aliorum volitata-
ti »i come fa Cicerone nell'Orazione in fa-
vore del Rè Dejotaro: In tuis oculis, in
tuo ore , vultuque , Caesar , acquiescB , te unum
tntueor y ad te unum mea omnis spectat ora-
tio w ; Ed in un altra Orazione: , 5 Sed ego
jam , judices , summum ac legitimum causae
meae jus omino , vcbis , quod aequissimurn
videatur, ut constituatis , pennuto ». §.
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m
§. XV IL
Figura dC Ironìa .
Per la figura d' Ironìa si dice una cosa , e
si vuole» che nel senso del tutto opposto
sia intesa, procurando, che ò dall' espressio-
ni alquanto caricate, ed iperboliche, e daL
tuono medesimo della voce, o dal carattere
già noto delle persone , e delle cose , di cui
si parla, comprenda facilmente chi ascolta
questo contrario significato . Per questa figu-
ra la lode è un biasimo, le dimostrazioni
d'affetto odio ed aversione, l'onore e T
ossequio derisione e disprezzo, ed in essa
consiste l'arte più fina di mettere in ridico-
lo le cose . Quanto bella è l' Ironìa , eoa
cui Cicerone nell'Orazione in favor di Mi-
lonè mette in ridicolo il processo, che fa
Clodio de* suoi servi per indurgli a confes-
sare, che egli tese non aveva insidie a Mi-
lone : n Age vero quae erat , et qualis quae-
stio ? Heus l Ruscio ( verbi causa ) cave , merc-
tiaris . Clodius insidias fecit Miloniì Fecit .
Certa Crux. Nullas fecit. Sperata libertas .
Quid hac quaestione certiusì Subito abrepti in
quaestionem, tamen separantur a caeteris , et
in arcas conjiciuntur , ne quis cum iis collo-
qui possit . Hi centum dies penes accusatorem
cum fuissent, ab eo ipso accusatore producti
sunt. Quid hac quaestione dici potest inte-
grasi quid iacorruptius „? Piacerai di rife-
rire àncora 1' esempio , che si legge ia Ome-
N " ro
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t?8
ro nel Libro IX. dell'Iliade nella parlata,
che fa Achille ad Ulisse , ed agli altri Gre-
ci, che da Agamennone erano stati ad Achil-
le inviati per muoverlo ad andare alla guer-
ra contro i Trojani; e di riferirlo secondo'
l'elegante latina traduzione d' un moderno
Autore (a) . Achille adunque parlando d'
Agamennone dice, che Agamennone non ha bi- '
gogno di lui , e mette in ridicolo le sue im-
prese, ristringendole alla struttura d'un mu-
ro, allo scavamento d'un ampia fossa, ad
una palizzata:
w Sed tecum, Laertiade, cum Regibus, et* tot
Consilium Argivis capiat , quo denique pacto
Instantem valeat fiammam depellere classi.
Me quid opus? Rerum sine me jam plurimajèlix
Conjecit, murum struxit ,jossamque cavavit
Circum amplamdngentemyvallosqdnfodit acupos.
Breve , ma assai pungente è pur l' Ironia ,
onde Ajace parla d' Ulisse presso Ovidio nel
Libro XIII. delle sue Metamorfosi:
g Ergo aut exilio vires subduxit Achivis ,
Aut nece\ sic pUgnat, sic est metuendus Ulysses .
Che se all' Ironìa sia unito ancorà. l' insulto ,
questa figura dicesi allora Sarcasmo, che è
una derisione più amara , più mordace , e
più maligna dell'Ironìa. Tale è .il Sarca-
smo, con cui i Giudei insultavano il Figlio
di Dio pendente dalla Croce: i 5 Vali! qui
destruis templum Dei, et in tribus diebus il-
' ; - lud
* ,^t-z = " ■ — — »
(tf) Hnmcri llini> Latinis versilus expressa a Ray-
munto Qmicbio liagusitio .
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lud reaedificas : Si Filius Dei es , descende de
Cruce ». Tale è quello, onde nel Canto XIX.
del Tasso Tancredi risponde ad Argante,
che avealo insultato, chiamandolo uccisor
di femmine, quasi che la più gran prova
del valor di Tancredi stata fosse l'uccisio-
ne di Clorinda:
p Vieni in disparte pur tu, che omicida
Siei de Giganti solo , e degli Eroi ,
V uccisor delle femmine ti sfida.
Molti altri esempj a questi simili addur po-
trei, ma per brevità gli tralascio, stimando
meglio il proseguire la spiegazione di quel-
le figure, delle quali mi resta ancora a
trattare ,
§. XVIII.
t
Figura d'Interruzione.
E primieramente/ vi. esporrò in breve, che
còsa sia la figura d* Interruzione . La stessa
ella è, che quella, che dicesi comunemen-
te Parentesi , ed in altro non consiste, che
neir interrompere rincominciato discorso,
per 'inserirvi , e frapporvi qualche sentimen-
to per maggiore spiegazione delle cose , che
si vanno dicendo, ò qualche sentimento
grande e patetico, il quale talvolta altro
non è che lo sfogo di un qualche affetto,
quali sarebbero per esempio y esclamazioni .
E*
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»
E* questa figura così comune e frequente ,
che basta accennarla, perchè a voi subito
se ne presentino infiniti esempj . Serva per
tutti quello di Virgilio nel Libro I. delia
Georgica nell'Apostrofe, che fa a Cesare
Augusto :
nQuidquid eris(nam te nec sperent Tartara regem ,
Nec tibi regnandi veniat tara dira cupido y
Quamvis Elisios miretur Gr accia campos ,
Nec repetita sequi curet Proserpina matrem )
Dafacilem cursum ec
s € T altro del Libro III. dell' Eneide , ove
Achemenide parlando di Polifemo dice:
w Ipse arduus, altaque pulsat
Sidera ( Dii, talem terris avertite pesterà )
Nec visu facilis , nec dictu affabilis ulti.
Giudiziosa è peraltro V osservazione di Blair,
il quale parlando della struttura delle sen-
tenze» ò de' periodi dice, che sebbene tal-
volta possano le parentesi avere un certo
brio, quando nascono da una vivacità di
spirito , che passi a guisa di lampo , ordina-
riamente però rompono T unita de' periodi
medesimi, e li rendono intralciati, ed oscu-
ri . Sono esse , per usare le sue stesse parole ,
ruote entro ruote , ò sentenze entro sentenze ,
che r autore non ha saputo ben compartire ne*
proprj luoghi. E quando uno Scrittore * per
provvedere alia chiarezza offesa, e diminui-
ta dall'interposte parentesi è obbligato a ri-
pigliare il sentimento con le note, e comu-
ni espressioni, io dico, io diceva , io dissi,
è questo per lo più un indizio sicuro di
mal costrutto periodo. §.
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t8t
Figura di Distribuzione,
La Distribuzione è quella figura, la quale
divide nelle sue parti un sentimento, per*
chè così più chiaro, ed amplificato maggio-
re impressione faccia negli animi degli udi-
tori. Di questa figura si serve Cicerone per
dimostrare i vantaggi, cn e dallo studio del-
le Lettere , e specialmente dalla Poesìa si
ricavano nell'orazione in favor del Poeta
Archia. Quanto è bella la divisione, che
egli fa e dei luoghi, e dèlie diverse età,
e dei diversi stati di contraria, ò di favo-
revol fortuna* nei quali l'uomo può ritro-
varsi ! n Nam ceterae neque temporum sunt ,
ncque aetatum omnium , neque tocorum. Haec
studia adolescentiam alunt, senectutem oble-
ctant, secundas res ornant, advcrsis perfu-
gium, ac solatium praebent , delectant domi*
non impediunt foris , pernoctant nobiscum 9 pe-
regrinantur, rusticantur ^ . Questa figura , co-
me voi ben vedete, riducesi ad un' esatta
divisione , ò enumerazione distinta di parti ,
la quale non poco giova ad amplificare, ed
a porre nella più vera, e chiara veduta le
cose .
-
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i8*
§. XX.
>
Figura di Preghiera.
N on vi ha figura , che più della Pregine*
ra commuova gli animi degli uditori . Si fa
questa quando ò riconoscendoci rei di qual-
che mancanza ne imploriamo il perdono , ò
chiediamo ai nostri e agli altrui mali com-
passione e soccorso , ò alcun bene per noi ,
ò per gli altri addimandiamo. In qualun-
que parte dell'orazione può ella aver luo-
go, ma è specialmente opportuna nella pe-
rorazione, in cui T Oratóre dà il più forte,
ed ultimo attacco agli animi degli uditori
per muoverne gli affetti, e guadagnarli in-
teramente. Non di rado troverete intere
composizioni, d' un' estensione peraltro non
molto grande, le quali non sono che* tini
continuata preghiera. Tali sono oltre molte
altre l'Ode d'Orazio: g 0 Vénus regina Gni-
di, Paphique ,5 del Libro I.; e l'Inno seco-
lare: w Phoebc, Silvarumque potens Diana»;
Tale è l'intera bellissima Canzone del Pe-
trarca : Vergine bella , che di sol vestita 95 .
Infiniti sono gli esempi, che d' una tal figu-
ra in ogni Oratore, ed in ogni Poeta s'in-
contrano. Piene ne sono l'orazioni di Cke^
rone , e tra i mplti quello piacemi di ripor-
tarvi, che leggesi al termine dell' orazioner
in favor del Poeta Archia, ove rivolto ai
Giudici così gli prega: » Quae 9 cam ita sint>
petimus a vobis , Judiees , siqua non modo
ha-
■
Digitized by Google
i8 3
fiumana, verum edam divina in tantis nego-
tiis commendano esse debet, ut eum , qui vos,
qui vestros Imperatores, qui Populi R. res ge-
stas semper ornavit Sic in vestram acci-'
piatis fidem , ut humanitate . vestra levatus
potius , quatn acerbitate vioiatus esse videa-
tur », Ed ^lberto Lollio nelf orazione in
difesa del Celebre Orazio vincitor de* Curia-
zj e degli Albani, il quale ritornando dal-
la battaglia uccise la propria sorella, cosi
in ultimo prega il Popolo Romano per muo-
verlo a compassione di se , .e della sua.
Famiglia: » Laonde torno umilissimamente a.
pregarvi d'aver compassione, e pietà di que-
sta nobile, ed illustre Famiglia in poco tem-
po poco meno che del tutto estinta per voi.
Jbbiatela di questo povero, ed infelice padre r
il quale dal tenore delle sentenze vostre asvet-
ta ò di continuar con allegrezza, ò di finir
con dolore il rimanente degli anni suoi ». E
per tralasciare ogni altro esempio riporterò
in ultimo la Preghiera , che ,fa Virgilio agli
Dei infernali, implorando il lóro soccorso,
onde narrar possa ciò , che vide Enea nel-
la sua discesa all'Inferno: (lentes
yi Dii, quibus imperium est animarum r umbraeq. si-
Et Chaos , et Phlcgeton loca nocte tacendo. late t
Sit mihijas audita loqui y sit numine vestro
Véndere res alta terra, et caligine mersas.
I
i$4
• $. XXI
Figura d* Imprecazione .
!Per la figuri d i Imprecazione ò nel calof
dello sdegno, ò nello sfogo dell'odio contro
d'alcuno, ò in contestazione della propria
innocenza, ò in prova della costanza nel
seguire la rettitudine , e la verità V Orato-
re ò il Poeta chiama sopra di se , ò sopra
degli altri qualche male, ò castigo. Neil"
uso però di questa figura imitar dobbiamo
gli antichi Autori allora soltanto, quando .
esser può lecita, ed onesta l'Imprecazione.
Tra i molti esempj di questa figura , quel-
lo io scelgo di Catullo nel Poemetto sulle
nozze di Teti, e di Peleo, in cui Arianna
invoca le furie, e le prega a punir Teseo
della crudel perfidia, con cui l'aveva ab-
bandonata :
v Quare facto, vitum mulctantes vindice poena ,
EumenideSy quibus anguineo redimita captilo
Frons exspirantis praeportat pectoris iras,
Huc, hac adventate, meas audite querelasi
. Quasego(vae! mi^eraé)extremisprqferreineduU
Cogor^ inops , ardens , amenti caecajìirore . ( lis
Quae qitoniam vere nascuntur pectore ab imo ,
Vos nolite pati nostrum vanescere luctum ;
Sed quali solam Theseus me mente reliquit 9
Tali mente, Deae , funestet seque, suosque.
§■
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& XXIt.
. Figura £ Epifonemd .
JL Ppifonemd consiste in un detto grave , e
Sentenzioso, con cui si termina qualche nar-
razione > ed in cui in qualche modo si rac-
coglie , e si riepiloga tuttociò che per V
avanti si è esposto, dando non poca mae-
stà, e forza alle cose antecedenti, ed espri-
mendo a meraviglia la loro importanza , e
grandezza. Gli esempj schiariranno meglio
l'idea, che ho espressa in poche parole.
Parlando Cicerone dell'autorità propria del-
la vecchiezza nel libro, che intorno a que-
sta età compose, dopo aver moltissimi «em-
pi recati di chiarissimi personaggi, n quorum
non in sentcntia $olum> sed in nutu residebat
auctoritas n f hiude V enumerazione di tali
esempj con questa sentenza: 93 Hàbet sene-
ctus honorata praesertim tantum auctoritatem ,
ut ed pluris sit , quam omnes adolescentiae
voluptates ». Ed in altro luogo del medesi-
mo libro, ove parla del piacere, recato f
esempio di Duilio , il quale sebben vecchio
nel ritornare da cena alla sua casa accom-
pagnar si faceva con le torce accese, ed al
suono di trombe, termina la breve narra-
zione con questo detto sentenzioso : » Tan-
tum licentiae dabat gloria »; ed Orazio nell'
Ode IH. del Libro I. dopo aver rammentate
molte audaci imprese tentate dagli uomini
ne chiude la narrazione con questa sublime
sentenza : JSil
f86
Sii mortalibus ardtium est ',
Caelum ipsum petimtis stultitia , ncque
r Per nostrum patimur scelus ,
Jracunda ] ovetti ponere fulmina.
Leggete il Sonetto del Petrarca, che comin-
cia » In mezzo di due amanti onesta, alte-
ra ec. g ove finge il Poeta, che egli , ed il
sole stessero mirando M. Laura , e che offe-
sa questa dai raggi del sole si rivolgesse
verso il Petrarca , ed il sole ne provasse do-
lore e dispetto , quasi che quel voltarsi
che ella fece, fosse stato un segno della
preferenza, che ella dava. al Petrarca; e do-
po aver detto , che al sole ricoperse un nu-
\ oletto la faccia trista e lacrimosa , chiu-
de co,n questo Epifonema il Sonetto :
n Cotanto V esser vinto gii dispiacque.
/ 9
/'
Figura rf' Esclamazione'.
D i quella figura mi resta finalmente a'
parlare, la quale si può dire d'ogni gagliar-
da passione il linguaggio; poiché niuna ve
ne ha, che degli affetti esprima con mag-
gior forza la veemenza , e T ardore . E' que-
sta la figura £ E sciatti azione % la quale con-
siste neir interrompere il discorso, prorom-
pendo in qualche sentimento vibrato, e su-
blime accompagnato da qualche particella
Digitized by Google
l
A 1 Interjezione, e da un tuono maggiore di
voce. Quanto è bella l' Esclamazione , nella
quale Cicerone nel Libro della vecchiezza
introducendosi a parlar dei piaceri fa pro-
romper Catone: » Sequitur tenia vituperatiti
senectvtis , quod eatn carere dicUnt voluptati-
bus . Oh! pracclarum munus aetatis ! Siquidem
id aufert a nobis, quod est in adolescèfttia vi-
tiosissimum ». Darò fine con l'esempio, che
ne somministra il Petrarca nel Sonetto , che
comincia: » Sento V aura mia antica, e i dol-
ci colli ec.
,5 0 caduche speranze, o pertsier Jvllt !
Vedove V erbe , e torbide son V acque ,
E vuoto , e freddo il nido , in eli ella giacque
Nel quale io vivo, e morto giacer volli .
ARTICOLO Ite
Degli affetti in particolare ,
e primieramente dell' Ammirazione.
A
il vendo fin qui, per quinto mi sembrai
abbastanza parlato del linguaggio, con cui
l'uomo esprime naturalmente i moti diver-
si del suo animo, e posta in chiaro là na-
tura delle figure di sentenze,- le quali, CO"
me dalle cose finora dette potete aver fi--
cilmen te compreso, altro non sono* che le*
diverse maniere, con le quali si esternane* •
nel discorso gli aflerti del cuore, all'esame
di
/ Google
188
di essi fino dal principio di questo Capitola
da me proposto vi richiamo adesso, affinchè
niente da desiderar vi rimanga per la cogni-
zione di ciò, che più importa nell' Eloquen-
za, la quale nel movimento degli affetti
" principalmente consiste. E primieramente
parlar- vi voglio dell'Ammirazione, non già
di quella, che è un effetto di stupidita, e
d'ignoranza, per cui anche le cose più pic-
cole , e dispregevoli recano maraviglia , ma
di quella bensì , che dalle cose veramente
grandi è in noi risvegliata. Sembrami però,
che dir non si possa l'Ammirazione un af-
% - fetto , mentre non è ella un inclinazione ,
ò aversione per qualche oggetto, ma piut-
tosto una sorpresa cagionata in noi dalla
vista , ò dall' apprensione di qualche ogget-
to ò nuovo ed insolito, ò grande e subli-
me , senza che muovasi 1* animo ad amar-
lo , ò ad aborrirlo, finché in questa sorpre-
sa rimane . Piuttosto adunque che un affet-
to, diremo esser la maraviglia una gagliar-
da impressione da qualche oggetto in noi
eccitata , per cui V animo sta sospeso , e fis-
so nella contemplazione dell'oggetto mede-
simo, incapace di volgere allora ad altra
oggetto il pensiero, impressione, la quale
precede il movimento degli affetti, e ad
esso dispone, perchè dalla meraviglia passa
lo spirito all'amore, al desiderio, all'alle-
grezza, ò all'odio, alla tristezza, al timo-
• re ec Non potevansi meglio esprimere i se-
gni, e gli effetti esterni dell'Ammirazione
di
Digitized by Google
i8p
di quello , che fatto abbia in quest* ottava,
T Ariosto :
?> Rimari Leon sì pien di meraviglia
Quando Ruggiero esser costui gli è noto ,
Che senza muover bocca, b batter ciglia,
O mutar piè, coni una statua è immoto ;
A statua più , che ad uom si rassomiglia ,
Che nelle Chiese alcun mette per voto ,
Ben sì gran cortesìa questa gli pare ,
Che non ha avuto , e non avrà mai pare.
Da tuttociò chiaramente comprendesi , che
per eccitare negli altrui animi T Ammira-
zione uopo è proporre ad essi oggetti tali,
che con la sua grandezza , e novità gli sor-
prendano. Imparar ne potete l'arte da Ci-
cerone leggendo la sua Orazione in difesa
della legge Manilia, nella quale esalta tal-
mente le virtù di Pompeo , che non può far-
si a meno di non concepirne meraviglia , e
stupore . Da essa apprenderete ancora , qua-
li sieno le figure più atte ad esprimere,
ed eccitare negli altri V Ammirazione. Udi-
te, come per via d' interrogazioni , e d'en-
fasi commenda la scienza militar di Pom-
peo: n Quis igitur hoc nomine scicntior aut
fuit, aut esse debuti, qui e ludo, ac pueritiae
disciplina, bello maxìmo, atque acerrimis ho-
stibus ad patris exercitum, atque in militiae
disciplinam prqfectus est ; qui extrema pueri-
tia miles fuit summi Imperatoris , ineunte ado* '
lescentia maximi ipse exercitus imperator ; - '
qui saepius cum hoste conflixit, quam quis-
fuam cum inimico concertavi, plura bella
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gessit, quam^ caeteri legerunt, plures proviti*
cias confecit, quam alti concupiverunt; cujus
adolescentia ad scientiam rei militaris non alie~
nis praeceptis, sed suis impcriis , non offerì*
sionibus belli , sed victoriis , non stipendiis ,
sed triumphis est erudita n ? Ma più confor-
me alla natura dell' Ammirazione è forse la
figura d'Esclamazione. Volendo perciò espri-
mer Cicerone V ammirabil valore di Pom-
peo, in questa esclamazione prorompe:
9 , Proh Dii immortale* ! Tantamne unius ho-
minis incredibili?, ac divina virtus tara brevi
tempore lucetn affìirre Peipublicae potuit, ut
vos qui modo ante ostium Tyberinum classem
flostium vidcbatis , ii mine nullam intra Ocea-
ni ostium praedonum navitn esse audiatis ^ ?
Gli Epifonemi .ancora , siccome fanno risal-
tare la grandezza , e la sublimità delle co-
se, non poco contribuiscono allo stupore,
ed alla meraviglia. Quanto più ammirabile
comparisce la celerità di Pompeo per quel
bello Epifonema, con cui termina Cicerone
1' enumerazione dell' imprese dal medesimo
in breve tempo incominciate , ed a glorioso
fine condotte! » Ita tantum bcllum, tam diu-
turnum, tam longe latequo dispersum, quo
bello omnes gentes premebantur , Gn. Pompe-
jus e y trema hyeme apparavit, ineunte vere
fiuscepit , media aestatc confecit . Est haec in-
credibili* , ac divina virtus Imperatoris ». Ma
•per tralasciare ogn' altra figura, la quale
e^er potrebbe opportuna, quando si tratta,
eccitare l' Ammirazione, contentatevi, eh©
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alle finquì rammentate aggiunga ancora 1*
Ipotiposi. Tanto più sorprendono, e recano
meraviglia gli oggetti, quanto più d' appres-
so, e più chiaramente si scorgono. Quailto
efficace adunque esser dee nel risvegliare 1*
Ammirazione questa figura," là quale non
consistendo in altro, che in una iìaturale,
e viva descrizione delle cose, più. d'ogn'
altra discoprir può, quanto è in esse di
maraviglioso, e di grande! Bisogna necessa-
riamente restar sorpresi da quel medesimo
stupore, da cui Virgilio nel Libro I. dell'
Eneide ci rappresenta sorpreso Enea:
55 Haecdum Dardanio Aeneae miranda videntur,
Diun stapet , obtutuque haerct dejixus in uno ,
quando leggiamo la descrizione della guer-
ra di Troja, che Enea vide effigiata nel
Tempio da Didone fabbricato:
55 Namque videbat uti bellantes Pergama circum
Hacjìigcrent Graiiypremeret Trojana Juventus,
Hac Phryges , instaret curru cristatus Achilles.
Parte alia fugiens amissis Troilus armis ,
Jnfelix pu0 m , atque impar congressus Achilli,
Fcrtur equis , curruqne haeret resupinus inani ,
Lora tenens tamen,huic cervixq.comqq.tr ahuntur
Per terram , et versa pulvis inscribitur hasta .
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ARTICOLO IV.
Dell' Amore .
Prendendo l'amore per una passione, ò
affetto del cuore umano, altro non è> che
una tendenza, un' inclinazione, un attacco
a quegli oggetti, nei quali risplender veg-
giamo qualche lampo di bene , ò di felici-
ta. Questa è la principale passione dell'uo-
mo. L'uomo è fatto per amare, e lo è in
guisa, che non può non amare. Creato da
Dio per Li felicita ne corre in traccia, e a
tutti quegli oggetti si porta, e si attacca,
dai quali si ripromette quella felicità, che
desidera- Egli è nel presente stato infelice,
poiché cercar dovendo la sua felicità nel
sommo, vero, ed unico bene, che è Dio,
e in quelle cose che a lui ne conducono,
la cerca, la spera, la colloca bene spesso
in oggetti, i quali non hanno di felicità,
che -una seducente apparenza; e benché dall'
esperienza medesima sia convinto d' una tal
verità , pure a cagione dello sr^golamento
delle sue passioni persiste nel suo inganno,
e prosegue ad amar quelle cose, le quali
addormentano per poco le sue brame, ma
non le saziano , le calmano , ma solo per ir-
ritarle maggiormente. Sarebbe desiderabile,
che molti scrittori impiegato avessero nell'
estendere il regno del vero, ed onesto amo-
re queir arte, che hanno vilmente consa-
crata al dominio, ed al trionfo d'una pas-
sio*
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I
»
fiione perniciosa ed infame . Imitiamoli ne'
bei tratti d'eloquenza, che in -essi s'incon-
trano, ma ad onesto e lodevole oggetto
miri l'amore, che vogliamo negli altrui
animi eccitare. Si eccita poi l'amore dimo-
strando la grandezza del bene , verso del
quale è diretto, facendo veder l'obbligo,
che si ha d'amar coloro, con i quali abbia-
mo strettissima relazione, come la patria,
i genitori, i parenti, gli amici rammentan-
do i benefizi , che da alcuno si son ricevu-
ti , e che richiedono gratitudine ed amore,
esponendo finalmente i meriti e le virtù,
di cui alcuno va adorno . Dagli esempi , che
10 son per addurvi, chiaramente compren-
derete, che le figure d'Etopeja, d' Esclama-
zione , d' Interrogazione , e d' Apostrofe sono
11 linguaggio , onde alcuno esprime il suo
affetto, ò studiasi d'eccitarlo negli animi
altrui . Osservate infatti come per mezzo
dell' Etopeja , d' Interrogazioni , d' Esclama-
zioni , e d' Enfasi esterna Didone Y amor
concepito per Enea presso Virgilio nel libro
IV. dell'Eneide, dove accennate le cagioni
del di lei amore in questi versi:
* 3 Multa viri virtus animo , multusque recar sat
Gentis honos , liaerent injixi pectore vultus ,
Verbaque ;
così il Poeta fa parlar Didone ad Anna sua
sorella :
Anna soror,qu$ me suspensam insomma terrentì
Quis novus ine nostris successit sedibus hospes ?
Quem sese oreferenslquam forti pectore,et armid
O Cre-
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194
Credo equidem,nec vanafides y genus esse Deorumi
Degeneres animos timor arguti . Heu ! quibus Me
Jactatusjatis! Quae bella exhausta canebat 7
Non meno affettuosa 5 tenera , e sparsa di
tali figure è la parlata, che fa il Sole a
Fetonte presso Ovidio nel libro IL delle
Metamorfosi per fargli cangiar la richiesta,
che fatta gli aveva di guidare il suo coc-
chio, e specialmente sul fine di essa, dove
esprime così il suo paterno amore verso di
lui :
^ Ah ! tu funesti ne sim tibi muneris auctor ,
Nate , cave, dum resque sinit, tua corrige vota .
Scilicet ut nostro genitura te sanguine credas ,
Pignora certa petis ; do pignora certa timendo ,
Et patrio pater esse metu probor . Aspice vultus
Ecce meos ; utinamque oculos in pectora posses
Inserere, et patrias iterurn deprehendere curas .
Dall' esempio , che io son per addurvi, ri-
cavato dall' Orazione di Bartolomeo Caval-
canti, nella quale esorta i Fiorentini alla
difesa della patria contro l'esercito di Cle-
mente VII. che la teneva assediata, com-
prenderete , quanto non sólo la Prosopopeja ,
con la quale introduce la patria stessa a
parlare ai Fiorentini , per risvegliare in es-
si il suo amore, fcia molte altre figure da
me di sopra accennate , dalle quali è accom-
pagnata la stessa Prosopopeja, efficaci sieno
per eccitare quest' affetto : » Di cotal virtù,
desidera la nostra patria , che sieno ornati i
religiosi, ubbidienti, e periti suoi difinsori, ai
guai: raccomandando la sua salute , e già a
ri-
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ricever per lei morte invitandoli , par che di-
ca: Figliuoli miei, poiché con questo patto fui
io dalle tenacissime unghie dei Tiranni tratta ,
e libera a voi restituita , che prima la vostra
carità verso di me dovessi io provare nelle
miserie mie, che voi nelle prosperità gustare
le dolcezze della libera patria vqstra , confor-
tami grandemente in queste mie calamitadi il
conosciuto vostro ardente amore ; e dovete voi
molto rallegrarvi , che di dimostrar quello con
'tanto onore, e lode vostra vi sia stata data
occasione » . Ecco poi come a fine di accen-
dere in essi semprepiu quest' amore per mez-
zo d'una bella Ipotiposi interrotta da tene-
re esclamazioni e da forti interrogazioni ac-
compagnata, descrive la patria il suo stato
infelice: » Voi vedete, come da tutte le par*
ti quasi mansueto animale da fameliche,- e
del mio sangue sitibonde fiere son circondata*
e come da crudelissima morte, la quale ( ohi-
mèl ) di darmi ognor minacciano? altro scam-
po ( misera! ) non ho, che la vostra virtù
E fi* vana giammai questa speranza, la qua-
le da così pietosi animi , e di vera gloria co-
tanto cupidi deriva ? Zi non vedete voi > come
V inferrila , ed inerme et ade de vostri stanchi
padri a voi grida soccorso, acciocché quel po-
co d' onorata vita , che le avanza , non sia lo-
ro da crudo ferro tolta ? Non vedete , come
i vostri teneri , e dolci figliuoli voi soli riguar-
dano , e tacendo vi pregano, che dal seno del-
le loro care madri crudelmente svelti non li
lasciate condurre, in estrema servitù , ò a mor*
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te atrocissima trarli? Non vi muovono le la-
crime delle vostre caste , e sbigottite donne ,
le quali supplichevolmente vi chiedono , che il
tanto da voi pregiato loro onore da quelle vio-
lenti , e sedevate mani virilmente custodiate?
Non penetrano dentro gii orecchi vostri , non
vi trafiggono il cuore le continue voci delU
sacre vergini da amaro pianto interrotte, le
quali di conservare immacolata a Dio la con-
sacratagli verginità hanno dopo di lui in voi
soli riposta ogni speranza »? Ecco finalmen-
te come per via d'esclamazioni gli eccita
all' amor suo , ed alla sua difesa , spiegando
la gloria, che ad essi deriverà: » Oh! bella
occasione, che vi è prestata ò di fruire la
vostra vittoriosa patria , distrutti i suoi nemi-
ci, ò oppressa da quelli ( il che voi proibite )
di viver, se non breve tempo per questo vitale
spirito, certo eternamente per le lodi della vo-
stra virtù! O beati, ed infinitamente beati co-
loro, ai quali è conceduto potere insieme e vo-
lere con la loro morte' la vita della patria di-
fendere , e quanto più possono conservare » !
t
y
ARTICOLO V.
Del Desiderio .
T- jo stesso, che l'Amore, è il Desiderio,
nè altra differenza passa tra l'uno e V al-
tro, se non che l' amore riguarda genera 1-
men-
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ttiente il bene, presente ò lontano ch'egli
aia, il desiderio poi ha per oggetto un be-
ne lontano, al di cui possesso, ò godimen-
to ci stimola T amore , che abbiamo per es-
so concepito. Essendo adunque il desiderio
figlio dell'amore, eccitar si potrà negli al-
trui cuori nella stessa guisa che l'amore , di-
mostrando la grandezza del bene , a cui di-
rette sono le brame , i vantaggi , che dal
possederlo derivano , e soprattutto i mezzi
facili, e sicuri per giungerne al godimento,
e al possesso . L' istesso pure per conseguen-
za sarà il linguaggio * con cui esprimer si
potrà il desiderio, le stesse le figure* che
quelle da me in parlando delf amore accen-
tiate. E primieramente dagli esempi che io
sono per addurvi , comprenderete agevolmen-
te, quanto opportuna sia , e conforme alla
natura di questo affetto la figura d' Escla-
mazione. Di questa usa Cicerone nel libro
della vecchiezza per esprimere il desiderio,
che in conseguenza della sua persuasione
dell' immortalità dello spirito aveva di rive-
der dopo la sua morte ed il suo Catone , ed
atltri distinti personaggi della Romana, Re-
pubblica : » Oh ! praeclarian illuni diem , cum
ad illud divinimi ammarum concilium 9 coe-
tuinque projìciscar , cumque ex hac turba , et
t alluvione di s ce dain ! Projiciscar enimnon ad eos
solum viras , de quibus ante dìxi v sed edam ad Ca-
toritm nieiiM,quo nemo vir melior natiis est, nemo
pietate praestarrtior n . Di questa pure usa il
Petrarca in quel Sonetto , che comincia :
» Giuri-
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*9«
' „ Giunto Alessandro alla famosa tonibd
Del fero Achille sospirando disse :
0 fortunato, che sì chiara tromba
Avesti, e chi di te sì alto scrisse!
Virgilio inoltre ci fa chiaramente conosce-
re , quanto di forza abbia per esprimere il
desiderio l'Apostrofe, quando nel libro Vi.
dell'Eneide introduce la Sibilla a pregar
Museo, e gli altri, che con lui si trovava-
no , perchè indicar le volessero il soggiorna
d'Anchise negli Elisj :
r Diche ,felices animae , tuque , optime vates ,
Quae reg io Anchisen.quis habet locusì Illius erga
Venimus, et magnos Èrebi tranavimus amnes.
Quanto sia ancora efficace per accendere il
desiderio d' una qualche cosa la naturale , e
viva descrizione d'essa, ò la figura d' Ipo-
tiposi, ben lo dimostra Ovidio nel!' Elegìa
12. del libro III. de Tristi, nella quale ri-
chiamate alla sua mente, e descritte le fe-
ste , e gli spettacoli , che in quel tempo ce-
lebravansi in Roma, passa quindi ad espri-
mere anche con la figura d' Esclamazione T
ardente desiderio, che una tal memoria in
lui eccitava , di ritrovarvisi egli pure pre-
sente : i
, 5 Otta nunc istic , junctisque ex ordine ludis
Cedunt verbosi garrula bella fori .
Usus equi nunc est ,levibus nunc luditur armisf
Nunc pila , nunc celeri votvitur orbe trochus .
Nunc ubi perfusà est oleo lab ente Juventus <%
Defessos àrtus virgine tingit aqua.
■ Scena viget , studiisquc favor distantibus ardet f
Pro-
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199
Proque tribus resonant terna theatrajbris .
0 quater, o quoties non est numerare beatum y
Non interdicta cui licei urbe fruì !
C' insegna inoltre il medesimo Poeta nel li-
bro III. de Ponto Epist. I. , quanto naturai-*
mente avvenga d' usare la figura d' Interro-
gazione neir esprimere il desiderio:
„ Aequor Iasonio pulsatimi remige primum ,
Quaeque nec hoste fero, necnive, terra ,cares 9
Ecquod erit tempus,quo vos cgoNaso relinquam
In minus hostilem jussus abire locum ?
Ma vaglia per tutti l'esempio, che Cicero-
ne ne somministra nell* Orazione in favor
di Milone, in cui troverete riunite molte
di quelle figure, che proprie sono di quest*
affetto , T Interrogazione , il Soggiungimento ,
r Apostrofe, l'Esclamazione, e 1 Enfasi, men-
tre esprime il suo desiderio, e si studia d*
eccitarlo anche nei giudici di difendere, e
di salvare Milone: £ Oh! me miserimi! Oh
inf elicetti ! Revocare tu me in patriam potui-
sti per hos ; ego te in patria per eosdem reti-
nere non poterò? Quid respondebo liberis meis ,
qui te parentali alterimi pittanti Quid tibi %
Quinte frater , qui mine abes , consorti mecum
temporum illorum ? Me non potuisse Milonis
salutem tueri per eosdem-, per quos nostrani
ille scrvasset? At in qua causa non potuisse?
Quac est grata gentibus . A quibus non potuis*
sei Ab iis, qui maxime P. Clodii morte acquie-.
runt. Quo deprecante? Me.... Hiccine vir pa-
triae natus usquam nisi in patria tnorietur ?•
Hujus vos animi monumenta rctincbiiis > cor-i
«<SÒ
foris in Italia nullunt sepulcrum esse patié*
<rnini ? Mine sua qvisqùam sententia ex hac
Urbe expellet , quem urbes otnnes expulsum d
vobis ad se vocabuntì O terram Ulani beatami
<}uae hunc virum exceperit, hànc ingrata m , si
-ejecerity miserarne si amiserit n !
-
ARTICOLO Vt
Della Speranza.
La Speranza è uri movimento dell* ani-
ino, ò un' inclinazione verso d'un bene, ché
attualmente non si possiede , ma che ci^ lu-
singhiamo di possedere , ravvisandone come
facile l'acquisto, ò come superabili almeno
le difficolta, che per procacciarlo s'incon-
trano. Dovete qui peraltro osservare , esser-
vi alcuni affetti , che aver possono per og-
getto sì il male, che il bene. Tali appun-
to sono in primo luogo il desiderio , e Jal
speranza. Infatti non solo si spera, e si de-
sidera il bene, che non s' ha, ma si desi-
dera ancora, e si spera la liberazione dal
male, che si soffre. A fine pertanto di rav-
vivare negli altrui cuori la speranza, se
questa riguarda il bene , oltre al dimostra-
re dello stesso bene là grandezza , faremo
ancora vedere , esserne facile l'acquisto, ed
i mezzi sicuri additeremo per arrivarvi . Se
poi riguarda il male, procureremo d'inspirar
có-
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201
coràggio, e costanza nel. soffrirlo in vista
della sicura liberaziorie dal medesimo', e
del bene grande, che né aspetta, dopoché
iie saremo interamente liberati. Non vi hi
inoltre cosa alcuna, che tanto incoraggisci
à superare il mal presente , quanto il ram-
mentare la gravezza de' mali, che già si
son superati. Questo è l'artifizio, con cui
Ènea presso Virgilio nel libro I. dell'Enei-
de anima i suoi Trojani a sostenere
le sventure, in mezzo alle quali si ritrova-
vano, rammentando i mali più gravi, ché
àvean sofferti , facendo loro sperare d'esser-
ne finalmente liberati , e mettendo loro* ia
vista la felicita , che avrebbero goduta *
?;iunti che fossero nel Lazio a tenore dei-'
e promesse degli Dei. Ivi osserverete anco-
ra, quanto le figure d'Apostrofe, d'Escla-
mazione, e d' Epilbnema efficaci sienó pef
muovere uri simile affetto :
g 0 SociU(ncque eniiri ignari sumus ante rriaìorum)
O pasòi gràviofa , dabit Deus his quoque Jinem .
Vos et Scyllaeam rabieni , penitusque sonanies
slccestis scopulos , vos et Cyciopea saxd
Èxperti , revocate animos, moestumquetiniorcni
Mittite,Jbrsàn et haecoliin memìnissejuv abiti
Per varius casus , per tot discrimina rerum
Tehdimus in l.atium , sedes ubi fata quieias
Ostenduntj illicjas regna resurgere Trojae:
Durdte , et vosmei rebus servate secundis .
Dalla seconda Catilinaria rileverete ancora,
quanto abbiano di forza per eccitar la spe-
ranza le figure d'Interrogazione, d' Ipofìpo*
ti
202
si, e d' Etopeja. Avendo Cicerone espresso
il carattere de' seguaci di Catilina, e de*
cittadini Romani suoi nemici trae quindi
un forte motivo di sperare una sicura vit-
toria , quando contro di essi si fosse dovuto
combattere : » Ex hoc enim parte pudor pu-
gnat, Mine petulantia; fiinc pudiehia , Mine
stuprum ; hinc fides , Mine fraudatio ; lune
pietas, Mine scelus; hinc constantia, Mine fu-
ror ; hinc honestas , Mine turpitudo\ hinc con-
tinentia , Mine libido ; denique aequitas , tem-
peranza , Jbrtitudo , pr udenti a , virtutes omnes
certant cum iniquitate , eum luxuria , cum
ignavia, cum vitiis omnibus; postremo copiai
cum necessitate , bona spes cum rerum om-
nium desperatione confligit . In hujusmodi ccr-
tamzne , ac praelio nonne etiam si hominuni
studia deficiant, Dii ipsi immortalcs cogant
db his praeclarissimis virtutibus tot, ac tan-
ta vhza supcrari „? Siccome poi tanto la li-
bertà, con cui l'Oratore parla, quanto il
concedere alcuna cosa all' avversario, ò agli
uditori , ed il mostrare di voler passar sot-
to silenzio molte di quelle cose, che prò*
vano a meraviglia l'assunto, sono manife-
sti contrassegni della speranza, e della fidu-
cia , che ha I' Oratore nella sua causa , per-
ciò anche le figure di Concessione , di Licen-
za, e di Preterizione sono opportunissime:
per maneggiar quest' affetto. Ciò agevolmen-
te comprender potete digli esempi da me
addotti in parlando ci tali figure. Io mi
contenterò d'accennare soltanto quello, che
xi-
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tiguardo alla figura di Concessione ne som*
ministra il Casa nella tante volte da me ci*
tata Orazione per la restituzione di Piacen-
za : ,5 Ma posto ancora quello , che non è da
concedersi, nè da consentire in alcun modo,
cioè che i Principi , postergata la ràgiorié , va-
dano dietro alla cupidìgia, , ed all'avarizia,
ancor ciò presupposto * dico io , che Vostra
Maestà non dovrebbe negare Piacenza al Du-
ca suo genero, ed ai suoi Nipoti n .
»
i
ARTICOLO VH.
L* Allegrezza ,
L Allegrezza è uri movimento dell'anima
eccitato dair apprensione d'un bene nuovo,
e presente, ò dalla cessazione d'un male*
d'una sventura, d'un pericolo, che ne af-
fliggeva . L' ilarità del volto , la sereniti
della fronte, la vivacità del guardo, il riso,
ed altri movimenti straordinarj del còrpo,
talvolta le lacrime istesse, come rilevasida
Virgilio nell'incontro d'Enea con Anchise?
ne' campi Eiisj :
ftìsque ubi tendentem adversum pergramihd yidit
Aenean , alàcris palmas utrasque tetendit ,
Effns acque genis lacrymae,
sono indizj manifesti, e conseguenze del
piacere, e del traspòrto, che pfjva lo spiri-
to nella contemplazione dell' oggetto, che
I
204
è cagione della sua allegrezza. Esprime 1 at
meraviglia il Tasso gli effetti di questa pas-
sione y quando racconta; l'allegrezza dell"
esercito Cristiano al primo scoprir da lungi
la città di Gerusalemme :
» Ali ha ciascuno al cuore, ed ali al piede,
JVe del suo ratto andar però s' accorge ,
Ma quando il sol gli aridi campi jiede
Con raggi assai ferventi, e in alto sorge v
liceo apparir Gerusalern si vede?
Ecco additar' Gerusalern si scorge,
Ecco da: mille' voci unitamente
Gerusalemme salutar si sente \
imitando^ in ciò Virgilio medesimo, che nel
Libro III dell' Eneide esprime nell' istessa
guisa T allegrezza de* Trojani , quando do-
po tante sventure scoprirono finalmente le
spiagge d' Italia, unico oggetto, e bramata
meta de* loro lunghi, e penosi viaggi:
njamque rubescebat stellis Aurora fugatis ,
Cum procul obscitroscolles, humilemque videmus
Italiani, Italiani primus conclamat Achates ,
Italiani laeto sodi clamore salutant .
L! Esclamazioni per le quali si esprime per
così dire il trasporto, e V estasi dello spi-
rito nella- contemplazione delle 1 nuove feli-
cità r le interrogazioni, per le quali talvolta
mostrasi di dubitare se sia verità, ò in-
ganno ciò, che di tanto piacer ci ricolma,
i soggiungimenti , per cui volentieri con se
medesimo deir acquistato bene si parla, le
Ipotiposi, per cui e a se, e a gli altri si
dipinge in tutta la sua estensione , l'apostrofe
o:>
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30$
onde rivolgesi il discorso all' oggetto che
ci rallegra, ed altri s' invitano a goderne
insieme con noi, e molte altre figure sono
il linguaggio, con cui naturalmente questo
affetto s' esprime, come dagli esempj po-
trero meglio rilevare. Infatti quanto bene
ìnmiiiesta con una esclamazione il Petrarca
il contento, ed il giubilo, che provava-,
'q-u.ivido finge» che essendogli comparsa do-
po la di lei morte M. Laura gli parli , e lo
prenda per mano:
Dehl perchè tacque, ed allargò la manol
Che al suon di detti sì pietosi , e casti
Poco marnò, chi io non rimasi in Cielo.
Osservate inoltre, quanto bene per mezzo
della figura d' interrogazione esprime An-
chise presso Virgilio il suo contento nel ri-
vedere il suo figlio Enea negli Elisi! :
» Venisti tandem , tuaque expectata parenti
Vicit iter durum pietas ? Datar ora tueri,
frate, tua , et notas audire, et redderevoceìì
Nè con minore energìa per mezzo della fi-
gura d* interrogazione e di soggiungimelo
ancora esprime Orazio il suo contento nelV
Ode IV. del Libro III. immaginandosi dive-
dere, e d' ascoltar la Musa Calliope per
gli ameni boschi sacri alle muse:
,5 Auditis ? An me ludit amabilis
Insania? Audire, et videor pios
Errare per lucos amoenae
Quos et aquac subeunt, et aurae.
Ma i più belli esempj delle figure proprie
d' un tale affetto incontrerete, leggendo f
Ora-
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zo6
Orazione di Cicerone ai Romani dopo il suo
ritorno dall' esilio, nella quale Y allegrez-
za d' aver riveduta la sua Patria, e V Ita-
lia, è il principale affetto, che in tutta T
Orazione con i più vivi tratti d' Eloquenza
si studia d* esprimere . Quanto è bella V
Ipotiposi, ò la descrizione della sua patria,
e dell' Italia dalle più tenere, e patetiche
espressioni ravvivata! , 5 Ipsa autem patria ,
( DU immortales ! ) dici vix potest , quid cha-
ritatis, quid voluptatis habeatl Quae species
Jtaliae! Quae celebritas oppidorum! Quae for-
ma regionum l Qui agri! quae Jrugesl quae
fulchritudo urbis ! Quae humariitas civium !
Quae Reipublicae dignitas ! Quae vestra ma-
jestas » \ E continuando con una specie d'
Epifonema :»Quibus ego omnibus antea rebus
sic fruebar , ut memo magi* . Sed tamquam bo-
na valetudo jucundior est iis , qui e gravi
morbo recreati sunt , quam qui nunquam aegro
corpore fuerunt ; sic ca omnia desiderata ma-
gts, quam assidue percepta delectant »; pro-
segue quindi con le figure di soggiungimene
to , e d" Enfasi : » Quorsum igitur haec di-
Sputo ì Ut intelligcre possiiis , neminem un-
quam tanta eloquentia Juisse , ncque tam di-
vino, atque incredibili genere dibendi , qui ve*
strorum magnitudinem , multitudinemque be*
neficìorum 9 quae in me , fratremque meum ,
et lìberos nostros contulistis , non modo ali-
gere, et ornare oratione , sed enumerare, aut
QQìisequi possft . 79 E prima di ciò così espres-
sa aveva per mezzo della %ura d' interro-
ga-
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gazione la ma allegrezza: » Quid dulciti*
hominum generi a natura datum, quam sui
caline liberi} Milli vero et propter zndulgen-
tiam medili , et propter cxceUens eorum inge-
nium vita sunt mea cariores . Tamen non tan-
ta voluptate crant suscepti, quanta mine sunt
restituti 95 . Tralascio per brevità tutti gli
altri esempj- che dalla medesima Orazione
non solo , ina dall' altra ancora detta da
Cicerone dopo il suo ritorno in Senato, e
dalla seconda Catilinaria ricavar potrei, e
che le medesime orazioni leggendo può
ciascuno di voi di per se facilmente osser-
vare .
M L ,, hi i i • _ . _
ARTICOLO Vili.
V Odioy e lo Sdegno,
nisco a bella posta insieme queste due
passioni , e stimo opportuno il trattare nell'
istesso tempo d' ambedue, poiché a consi-
derarne direttamente la natura, non trovo
fra esse una notabile diversità, che anzi
una grandissima uniformità osservo di genio,
d' origine, e d' effetti. Infatti dopo aver
Cicerone- nel Libro IV. delle Tusculane Que-
stioni definita 1' ira un desiderio violento
di punir colui, che sembra averne con qual-
chè ingiuria offeso: » Ira sit libido puniendi
>eju$, qui videatur laesisse infamia », venen-
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a ©8
fio quindi a spiegare la natura dell'odio , pe£
pn vero sdegno lo caratterizza, nè dallo
Sdegno per altra ragione io distingue, se
non per la lunga durata del tempo, che 1*
odio si conserva neir animo: » Odium ira
inveterata; n Laddove lo sdegno, come be-
ne lo definì Orazio nella seconda Epistola
del Libro I. è un breve furore, che in un
cubito accende, e commuove lo spirito, ma
che ben presto si calma:
„ Ira furor brcvis est».
Siccome dunque V odio giustamente si di-
un' ira invecchiata, così può appellarsi
Jo sdegno un odio violento, che ci porta
alla vendetta, e se possibile fosse, alla di-
struzione dell' oggetto, che si odia e si
aborre. Per concepire di questi due affetti
una più chiari idea potrebbesi paragonar lo
sdegno a quelle furiose tempeste , che nelT esti-
va stagione ad un trattosi suscitano, e dopo
un breve spazio di tempo si dissipano; l f
odio dir si potrebbe simile a quelle, ond' è
accompagnato il tristo e rigido inverno, le
quali d* ordinario non sono nè sì gagliarde 9
nè sì precipitose, ma per molti giorni con-
tinuano per altro ad accrescer V orrore, e
T asprezza della molesta stagione . Tutta
ciò 5 che si oppone ai nostri disegni, a' no-
stri voleri e vantaggj, che offende ò sem-
bra offendere il nostro onore, la nostra vi-
ta» i nostri beni, che in una parola sotto
un aspetto di male ci si presenta, è capa-
ce di nsvegiiare in noi quts:e passioni , te
qua-
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quali quanto sono lodevoli, quando han-
no per oggetto quello , che è veramente ma-
le , e da fuggirsi , perchè alla natura ed al-
la retta ragione contrario, altrettanto sono
detestabili e brutali, quando nello sfogo di
esse, come per lo più addiviene, offendesi
la verità, 1 umanità, la giustizia.
Essendo pertanto di natura, e di ge-
nio sì uniformi e somiglianti fra loro que-
ste due passioni, con lo stesso linguaggio e
con le medesime figure, onde esprimesi 1*
una, esprimer si potrà V altra. E perciò
dagli stessi esempj , che io sono per addur-
vi, imparar potrete la maniera, e 1' arte
di maneggiarle. E primieramente così per
mezzo d' una bella Ipotiposi descrivendo,
ed enumerando i perniciosi effetti del pia-
cere, studiasi Catone d' inspirarne V odio pres-
so Cicerone nell' elegantissimo Libro della,
vecchiezza, riportando il discorso intorno ai
piacere tenuto dal celebre Filosofo Archita:
nHinc Patriae proditiones, hinc Rerumpublica-
rum eversiones , hinc cum hostibus clandesti-
na colloquia nasci. Nullum denique scelus ,
mdlum malum facinus esse, ad quod susci-
piendum non libido voluptatis impelleret » . Nè
minor odio inspira contro 1' avarizia la vi-
va descrizione, che ne fà T Ariosto sotto
T allegorìa d' un orribil mostro : N
v Quivi una bestia uscir dalla foresta,
Parea, di crudel vista, odiosa e brutta.
Che avea V orecchie d 1 asino , e la testa
Di lupo, e i denti , e per gran fame asciutta-,
P gran-
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aio
Branche avea di leon, V altro che resta ?
Tutto era volpe, e parea scorrer tutta
E Francia , e Italia , e Spagna , ed Inghilterra ,
V Europa, e V Asia, e alfin tutta la terra.
Par, che dinanzi a questa bestia orrenda
Cada ogni muro , ogni ripar , che tocca ,
Non si vede città, che si difenda,
Le s'apre incontro ogni castello, e rocca;
Par, che agli onor divini anco s* estenda,
E sia adorata dalla gente sciocca,
E che le chiavi s' arroghi d' avere
Del Cielo, e dell 9 abisso in suo potere.
Nella parlata , che fa la furia Aletto sotto
la mentita sembianza di Calibe vecchia Sa-
cerdotessa di Giunone a Turno Rè de* Ru-
tuli nel libro VII. dell' Eneide , osservar po-
tete quanto a risvegliare nell'altrui animo
r odio , c lo sdegno atte sieno le figure d'
Interrogazione, d'Ironìa, e d'Enfasi:
w Turne tot incassumfusos patiere laborcs ,
Et tua Dardaniis transcribi sceptra colonis ?
Ecco la figura d'Interrogazione. I due ver-
si seguenti tengono luogo d'ipotiposi, espo-
nendo l'affronto, che veniva fatto a Turno
dal Rè Latino; ma giudiziosamente s'astie-
ne il Poeta dal farne una lunga descrizio-
ne, poiché stata sarebbe questa poco con-
forme al genio , ed alla natura dell' ira , la
quale ama, e parla naturalmente un lin-
guaggio forte, vibrato, e conciso:
.,5 Rex tibi conjugium,et quaesitas sanguine dotcs
Abnegat , externusque in regnimi qiteritur hcrcs .
Proseguendo quindi con la figura d'Ironìa
ce : /
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V
211
»I nunc, ingratis offer te, irrise., periclis
Tyrrhenas, i, sterne acies: tege pace Latinos..
E dopo averlo esortato ad armarsi contro i
Trojani , aggiunge questi versi pieni d' En-
fasi , e di forza:
Coelestiun vis magna jubet . Rex ipse Latinus
.Ni dare conjugium, et dicto parere fatetur ,
Sentiat , et tandem Turnum experiatur in armis .
Dall' orazione di Monsignor Giovanni Gui-
diccioni Nobile Lucchese, e Vescovo di Fos-
sombrone, nella quale parla contro i disor-
dini , che regnavano nella Repubblica di
Lucca, apprenderete ancora con qual forza
per mezzo delle figure d' Interrogazione , di
Dubitazione, e d'Esclamazione esprima il suo
giusto odio e sdegno , e si studi d' accen-
derne i suoi Cittadini contro Tempie mas-
sime, ed i pessimi costumi, che si erano
nella Citta introdotti : » Ma come giudichia-
mo noi esser tolerahili nella possessione di que-
sta nostra Repubblica coloro* i quali nella Cri-
stiana non possono non manifestare la loro
empietà ? Io non sò , d' onde possa dar prin-
cipio a raccontare i sentimenti , e /' opere perr
fide di alcuni di quelli, che siccome dall'ol-
tramontane Nazioni hanno riportate le ricchez-
ze , così ancora hanno appreso i costumi bar-
bari, e V eretiche discipline di quello, il qua-
le io non sò se V ho a chiamare velenosa pe-
ste, mostro infernale, pessimo Lutero — In-
sieme adunque con quella furia rabbiosa avran-
no ardimento gii uomini della Repubblica Luc-
chese di spargere i semi della discordia nei
: * cam-
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campi Cristiani , di fabbricare nuove opinioni
contra le santissime istituzioni divinamente
ordinate , ed approvate da tanti ccncilj, e d*
oppugnare , ed annullare la verità di Cristo...
Oh ! incredibile , e scelerata audacia ! Oh ! inau*
dita perfidia! Oh! diabolico insegnamento
Leggete finalmente le orazioni di Cicerone
contro Verre, contro Catilina, le sue Filip-
piche , e molte altre , ed infiniti esempj in-
contrerete, dai quali vi sarà facile il cono-
scere, quale siav il linguaggio e l'arte, on»
de esprimere e maneggiar si debbono que-
ste due passioni. Due soli basterà accennar-
ne a fine d'intendere, con quanta ragione
alle nominate figure aggiunger si possono
quelle di Preterizione e d'Etopeja. Eccovi
iL primo tratto dalla quarta orazione contro
CVerre : » Ac jam illa omitto , quae disperse
a m* multis locis dicentur, ac dieta sunt y fo-
rum Siracusanorum , quod introitu Marcelli pu-
ritm a caede servatum est , id adventu V er-
ris Siculorum innocentium sanguine redundas-
se ; portum Siracusanorum , qui tum et nostris
' classibus 9 et Carthaginiensium clausus fuisset ,
eum, isto Praetore Cilicum myoparoni 9 prae-
donibusque patuisse . Mìtto adhibitam vim in-
genuis , Matres faanilias violatas , quae tum
urbe capta commissa non sunt, ncque odio
hostili, neque licentia militari > neque more bel-
li , neque jure victoriae ; mitto , inquam , haec
omnia , quae ab isto per triennium perfecta
sunt ». Leggesi l'altro nell'orazione in fa-
vor di P. Sestio, nella quale a line di ren-
der-
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derlo odioso» così esprime il carattere di Pi-
sone: w Alter ( o Dii boni ] ) quam teter m-
cedebatl quàtrt truculenta s ! quam terribilis a-
spectu! Unum aliquem te ex barbatis illis
excmplum imperii veteris , imaginem antiquita-
tis , collimai Reipublicae diceres intueri . Vesti-
na asper nostra hac purpura plebeja, ac pe-
ne f usca , capillo ita horrido, ut Capua, in
qua ipse tum imaginis ornandae causa Duum-
viratum gerebat , Sepia Siam sublaturus videre-
tur* Num quid ego de su percilio dicami Quod
tum hominibus non supcrcilium* sed pignus
Reipublicae videbaiur\ tanta erat gravitas in
oculo , tanta contractio Jrontis , ut ilio super-
cilio , tanquam Atlante Caelum , filiti videre-
tur Ego autem ( vere hoc dicam % judices )
tantum esse in homine sceleris , audaciae , crii-
delitatisi quantum ipse cum Republica sensi,
nunquam putavi ec. »
ARTICOLO IX.
// Timore*
1 1 timore , al dire d' Aristotele , è una per-
turbazione, ò dolore dell'animo, che nasce
dall'apprensione d'un male, che ci sovra-
sta, e che recar ci può qualche grave dan-
no ò molestia, la perdita d'un qualche be-
ne , la morte . Non ogni male secondo la
dottrina del medesimi antico Retore, e Fi-
lo-
1214
losofo eccita nell'uomo il timore. Poco S
nulla si teme d' ordinario il male , 'quando
è lontano. Tutti sanno per esempio d' esser
mortali, pure non temesi la morte, se non;
quando ò ne sovrasta il pericolo , ò per mez^
zo della riflessione, e dell' immaginazione"
si figura vicina, ò presente. Perchè adun-
que il male di timore e di spavento ci
riempia, oltre al presentatisi per ufi male
grande, e di gravi danni cagione, bisogna
ancora, che vicino ed imminente si scor-
ga . Tanto più grande poi è il timore, quan-
to il male, ò il pericolo ci giunge pià ina-
spettato . La stupidezza , e Io sbigottimento y
T immobilità del gtòtì^; il tremore in tut-
te le membra, là- fÉSlidezza del volto, il
freddo sudore^ «Peltri simili effetti sono
prodotti dal'gfMde spavento , quali narra
Virgilio itel libro VII. dell' Eneide aver ca-»
gionat&tìt Turno la vkta improvvisa della
fuf#*Aletto: '?
n&t juvcni oranti subitus tremor occupat artusf
Diriguerc oculi; tot Erymnis sibilat hydris
Tantaque se facies aperit ;
E poco dopo:
ffllli somnum ingens rupit pavor.ossaque.eì artus 9
«Pcrfudit toto proruptus corpore siidor.
Nè con minor vivezza espressi fai ono dall'
Ariosto narrando lo spavento d'un nocchie-
ro in tempo di fiera burrasca :
95 Quel , che siede al governo alto sospira
Pallido, e sbigottito nella faccia ,
E grida invano , e ftvan con mano accenna *
Or
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2IS
Or di voltare, or di calar V antenna.
Ma andiamo rintracciando nei migliori scrit-
tori alcuni jesempj, dai quali meglio rilevar
sì possa la maniera d'eccitare negli altrui
animi un tale affetto. Uno ce ne presenta
il Casa riguardo alle figura .Ài ^Soggiungi-
mento, e d'Esclamazione nella' prima par-
te della sua orazione per la Lega, la quale
tutta consiste nel risvegliare nei Veneziani
il timore, dimostrando il pencolo grande»*
che loro sovrastava per parte dell' Imperato-
re : 9) Vera cosa è, che egli in tanta fiamma
di desiderio, e d'avarizia a voi perdonerà, e
struggendo, ed ardendo i membri, e l'ossa,
della sconsolata , e dolente Italia ad uno ad
uno , V onorata sua testa , cioè questa regal
Città, ed egregia risparmierà forse} Ohimè !
che ella Jìi;na già, e sfavilla, e voi soli pa-
re, che V arsura non sentiate ». C'insegna,
inoltre Orazio nell'Ode 27. del libro III.
quanto ad inspirare il timore adattata sia la
figura d'Interrogazione: «
, 5 Sed vides, quanto trepidet tumulai
Promis Orioni Ego quid sic ater
Adriae novi sinus , et quid albus
Pece et Japix.
Ma poiché niente è più efficace a risveglia-
re il timore, quanto il nastrare nel suo
più terribile aspetto il male che sovrasta ,
niuna figura perciò sarà più opportuna dell* 1
Ipotiposi. Un più beli' esempio non saprei!
addurvene di quello, che ne somministra
Cicerone» nell' orazione in favor di Murena;
/ enu-
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&x6
enumerando i mali, che per parte di Ca-
tilina sovrastavano alla Repubblica, esempio
da cui rileverete sempre più , quanta forza
aggiunge per la mozione di quest' affetto
la figura d' Interrogazione: n Sed quid tàn-
dem jiety si haec elapsa de manibus nostris
in euitt annum qui consequitur redundarintì . . .
Illa pestis, immanisi importuna Càtilinae pro-
rumpet * qua poterà , et jam Populo Romano
jninatur, in agros suburbanos repente advola-
bity versabitur in castris furor , in Curia ti-
mor , in foro conjuratio , in Campo exercitus ,
in agris vastitas , omni autem in sede ac lo-
co ferrum , flammamqae metuemus n * Non
posso a meno di non aggiungere a questo
un altro esempio d* un' Ipotiposi accom-
pagnata da una bella Apostrofe, ed anima-
ta dalle più forti , ed enfatiche espressioni
ricavata dalla IV. Catilinaria, ove Cicerone
esorta i Senatori a provvedere con tanto
maggiore impegno alla salute della Repub-
blica, ed a punire i seguaci della congiura,
quanto maggiore era il pericolo, che per
parte di loro alla Repubblica sovrastava :
r Quare , P. C incumbite ad Reipublicae ód*
bitettl* circumspicite omnes procellas , quae
impendent. Nisi provideatis , non Tib< Grac-
chus , qui iterum . Tribunus Pleb. fieri voluit >
non C. Gracchusy qui agrarios concitare conatus
est , non L. Saturninus , qui C. Memmium oc-
cidity in discrimen aliquod, atque in vestrae
severitatis judicium adducitur. Tenentur ii,qui
ad urbis incendium, ad. vestrum omnium cae-
dem
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defili ad Catilitiam accipiendum Kotnac're-
stiteruat. Tenentur llteràé+signa , mamis,de-
fitjueuniuscujusquc confessi** Sollicitantur Al-
lobrogcs, scrvitia excitantur , Catilina accer-
sitnr . id est inituin consilium , ut interfectis
omnibus nemo ne ad dcplorandum quidam Rei-
publtcae nomea* ac lamcntandam tanti Impe-
rli calamitatali relinquatur , 5 . Tralascio per
brevità le figure di dubitazione , di comu-
nicazione, di Reticenza, ed altre, che alla
natura di questo affetto sono molto confor-
mi» e solo aggiungo un esempio, onde veg-
giate, quanto naturalmente chi teme un
qualche male, con le preghiere si rivolga a
colui, che può liberamelo. V esempio è di
Cicerone istesso, il quale nell' Orazione in
favor del Rè Dejotaro prega in tal guisa
Cesare: » Quare hoc nos primum meta* C.
Càesdt, per fiderà r per constaatiam , et clemea-
tiam tuam libera, ne residere ia te ullampar-
tem iracundìae suspicemur . Per dexteram te
ipsam oro, quam Regi Dejotaro hospes ho-
spiti porrexisti, istam, inquarti, dexteram
non tam in bellis , et in praeliis , quam in
promissis , et fide firmiorern .
ARTICOLO X.
// Dolore.
c
*J e il male è lontano , ma ne sovrasta so*
te
10 il pericolo, risveglia in noi il timore*
Dal male presente, c che attualmente si
soffre, s'eccita quella passione nell'animo,
che dolore s'appella. Ciò, che ad accresce-
re in noi il timore può contribuire, rende
ancora più grave il dolore. Cresce infatti
11 dolore a proporzione , che è più grande ,
ò come più grande s'apprende il mal che
si soffre. Se il male consiste nella perdita
d'un qualche bene, tanto più una tal per-
dita ci affligge, quanto maggiore è il bene,
di cui rimasti piani privi, quanto più gran-
di, e singolari sono i pregi della cosa, ò
della persona perduta . tf acerbità del dolo-
re corrisponde in tal caso alla grandezza [
dell'affetto, che alla medesima si portava.
Noi vediamo infatti, che Orazio nell'Ode
XXV. del libro l. trae motivo di maggior
dolore per la morte di fhiintilio dall' affet-
to , che aveva verso di lui, e dall'ottime
qualità, che l'adornavano:
9 ; Quis desiderio sit pudor , aut modus
Tarn cari capitisi Prototipe lugubres
Cari tu s , Melpomene , cui liquidavi Pater
Voccm cuni cit/iara dedit .
Ergo Quintilium pcrpetuus sopor
Urget? Cui pudor, et justitiae sor or
Jncorrupta fides , nudaque veritas
Quando ullivn invenicnt parenti
Cresce anche il dolore, se ci pare di soffri-
re ingiustamente , e senza averlo meritato
il male che ne affligge, ed in tal caso can-
giasi sovente il dolore in sdegno, e furore
* • con-
fcòntro di chi ne è la cagione . Da questi
due affetti ci rappresenta Virgilio agitata z.
vicenda Didone. La partenza d'Enea da Car-
tagine la riempie di dolore, perchè perde
colui, che ama, la mette in furore, perchè
si vede ingiustamente abbandonata da colui,
che ella aveva tanto beneficato :
n Saevit inops animijotamque incensa per urbem
Bacchettar *
E poco SOttO!
I) Ire iterimi in lacrymas , iterum tèntare preCàniò
Cogitur , et supplex animum submittere amori \
Ne quid itiexpertumjrustra moritura relinquat.
Àlolti sono i segni esterni di questa passio-
ne , i- sospiri, i clamori, le lacrime, lo scom-
porsi il crine, il lacerarsi le vesti, il per-
cuotersi il petto, ed altri* Diversi però essi
sono secondo la maggiore , ò minore inten-
sità del dolore i II dolore grande, e inaspet-
tato rende stupido l'uomo, e lo getta in un
estremo languore. La pallidezza del volto,
il silenzio, l'immobilita del guardò ne sono
i contrassegni. Tale ci viene dall'Ariosto
rappresentato Orlando presso il feretro, ove
giaceva il corpo di Brandimarte suo amico *
e compagno :
n Senza parlar stette a mirarlo alquanta
Pallido i come colto al mattutina
E da sera il ligustro $ ò il molle Ìtcant0 f
E dopo gran sos^ir tenendo fisse
Sempre Le luci in lui così gli disse,
tri diverso aspetto poco dopo lo rapprèsfitf-
ta, poiché ebbe v dato qualche sfogo al Suo"
dolore : Poi
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s
220
» Poi seguìa Orlando, e ad or ad or suffìisi
Di lacrime avea gli occhi , e rossi, e mesti .
Non vi ha forse figura, che direnir non
possa il linguaggio di questa passione . A
fine però di non rendermi a voi troppo mo-
lesto con una lunga serie d'esempi, che mi
converrebbe addurre, se ciascuna figura pro-
pria di quest'affetto volessi accennarvi, ne
andrò ora uno, ora un altro qua e là rac-
cogliendo per non tralasciare almeno quel
le, che più frequenti sono nella bocca di
coloro , che esprimono , ò destar vogliono .
in altri questa, che per la misera condizio-
ne dell'uomo è la passione, che più frequen-
temente ci agita, e ci molesta. E primie-
ramente leggete quel Sonetto del Petrarca
pieno di patetiche esclamazioni , e nel qua-
le per mezzo d'una viva Ipotiposi, ò Eto-
peja , narrando le qualità di M. Laura sfo-
ga così il sua acerbo dolore per la morte
di lei:
» Ohimè! il bel viso, ohimè! il soave sguardo ,
Ohimè ! il leggiadro portamento altero,
Ohimè! il parlar, che ogni aspro ingegno , efero
Faceva umil r ed ogni uom vii gagliardo ;
Ed ohimè! il dolce riso r onde uscio il dardo >
Di che morte altra bene ornai non spero,
Alma real degnissima d'impero,
. Se non Jbssi fra noi scesa sì tardo .
Con la figura di Dubitazione dà principio
il medesimo Poeta a quella Canzone:
» Che debbo io far ? Che mi consigli amore?
Tempo è ben di morirei
Ed
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231
Ed ho tardato pià , eh* io non vorrei .
Quanta forza aggiunge la figura d' Interro-
gazione a quel Sonetto :
„ Ov è la fronte-, che con piccol cenno
Volgea U mio cuore in questa parte , e in quella}
Ov è il bel ciglio , e V una , e /' altra stella ,
Che al corso del mio viver lume dennoì
Ov 1 è il valor, la conoscenza, il senno.
L'accorta, onesta, umil , dolce favella ?
Ove son le bellezze accolte in ella,
Che gran tempo di me lor voglia fanno?
Quanto beila , ed affettuosa è T Apostrofe ,
che forma il soggetto di tutto quel Sonetto:
„ Falle, che de lamenti miei se piena,
Fiume, che spesso del mio pianger cresci,
Fere silvestri, vaghi augelli, e pesci,
Che funa, e l'altra verde riva ajfrena ;
Aria de' miei sospir calda, e serena,
Dolce scntier , che sì amaro riesci,
Colle, che mi piacesti, or mi rincresci,
Ove ancor per usanza amor mi mena -,
Ben riconosco in -voi V usate forme ,
Non, lasso! in me, che da sì lieta vita,
Son fatto albergo d! infinita doglia .
I detti ancora gravi, e sentenziosi, quali
sono l'Enfasi, e gli Epifonemi sono assai
naturali a questa passione , come ben dimo-
stra questo Poeta nell' ultima terzina del
Sonetto, che comincia: » Quel rusignol , che
sì soave piagne ec.
p Or conosctìio, che mia fera ventura
Vuol, che vivendo, e lacrimando impari,
Come nulla quaggiù diletta, e dura.
la
Z 32
V invettiva inoltre, che è una specie d'im-
precazione frequentemente si usa nello sfo-
go del dolore , rivolgendoci sdegnati contro
chi è stato la cagione del nostro male. Op-
portunamente perciò il mentovato Poeta
nelle sestine, che cominciano: » Mia beni-
gn a fortuna , e viver lieto ec. » rivolgendosi
nella seconda contro la morte, dice:
» Crudele, acerba, inesorabil morte',
Cagion mi dai di mai non esser lieto,
Ala di menar tutta mia vita in pianto >
E i giorni oscuri, e le dogliose notti.
Tralascio tutte le altre figure, che voi po-
trete osservare leggendo lo stesso Poeta , dal
quale in parlando di questa passione non
ho voluto allontanarmi, non vi essendo sta-
to forse, chi con maggior vivezza, e con
più ammirabjl varietà V abbia espressa , che
questo Principe della nostra Toscana Lirica
Poesm nella seconda parte delle sue Rime.
ARTICOLO XI
„ La Compassione .
A vendovi nelT Articolo antecedente spie-
gato in che cosa consista il dolore , per dar-
vi una qualche idea anche della compassio-
ne, altro non mi resta che farvi riflettere,
essere ella una cosa medesima, che il do-
lore, e la diversità , che tra V uno e Tal-
f tra
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223
.tra passa, consìstere unicamente nel sog-
getto, che soffre il male. 11 dolore infatti
è dal proprio male risvegliato, dal male
che gli altri soffrono, la compassione. Am-
bedue dall' amore la sua origine riconosco-
no. Si duole 1 uomo del proprio male,
perchè ama se stesso e la propria felicità -,
si duole, e prova compassione del siale al-
trui, perchè ama naturalmente i suoi simi-
li. Questo dolore però, che dalla natura
viene nell' uomo eccitato alla vista dell'
altrui male, cresce non solo a proporzione
della grandezza del male, per cui gemer
veggiamo alcuno, ma ancora a propoizione
delle qualità , e relazioni della persona
che soffre. Un congiunto, un amico, uno
dotato delle più singolari doti , ed indegno
di soffrir quel male, che lo affligge, deste-
* ra in noi maggior compassione, che una
persona sconosciuta, straniera, per niuna
qualità rispettabile, e che soffre in conse-
guenza di qualche sua colpa . Quanto mag-
giore adunque si dimostrerà il male da al-
tri sofferto, quanto più indegna di soffrirlo
si farà vedere la persona, che ne è angu-
stiata , e per dir tutto in una parola, quan-
to maggiori si proverà esser le ragioni fi*
amarla, tanto più facilmente muover potre-
mo gli animi altrui a compassione di essa.
Meglio che dalle mie parole , impari po-
trete dagli esempj l'arte di maneggiar quest'
affetto, ed il lingua Sirio ò le figure > cne
Ubar conviene per esprimerlo con quella
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224
za, che sia capace di risvegliarlo nell'ani-
mo di chi ascolta . Leggete soprattutto la
bella perorazione dell'orazione del Casa a
Carlo V. per la restituzione di Piacenza al
Duca Ottavio suo genero: » Vuole adunque
V. M. dal nobilissimo stuolo dell'altre sue
magnifiche laudi scompagnar questa difficile, e
rara virtù ? E se ella non vuole y che la sua
gloria scemi , ed impoverisca di tanto , dove
potrà ella inai impiegare la sua misericordia
con maggior commendazione degli uomini , e
con più mento verso Dìo , che nel lìtica Otta-
vio , il quale per la disposizione delle leggi è
vostro figliuolo , e per la vostra genero , e per
la sua vostro servidore? E voi, la cui usan-
za è stata fino a qui di render gli Stati non
solo a Principi strani, ma eziandìo barbari,
e Saracini, sosterrete, che egli vada disperso
e sbandito e vagabondo, e comporterete, che
quella vita , la quale pur dianzi ne' suoi tene-
ri anni si pose combattendo per voi in tanti
pericoli, ora per voi medesimo tapinando sia
cotanto misera , ed infelice » ? Chi non vede
da ciò, quanto sia opportuna per risvegliar
quest'affetto la figura d'Interrogazione? Udi-
te adesso con quanta forza prosegua con le
figure d' Apostrofe, di Prosopopeja, e di Sog-
giungimelo: , 5 0 gloriose, o ben nate, o be-
ne avventurose anime, che nella perigliosa
guerra della Magna seguiste il Duca, e di
sua milizia foste , e le quali per la gloria, e
la salute d' Cesare i vostri corpi abbandonan-
do, ed alla Tedesca fierezza del proprio san-
glie
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I J
gue 9 e di quel di lei tinti lasciandoli , dalle
fatiche , e dalle miserie del mondo vi diparti-
ste , vedete voi ora in che dolente stato il
vostro Signore è posto ? Io son certo , che sì ;
e come quelle, che lo amaste, e da lui foste
sommamente amate, tengo per fermo, che mi-
sericordia, c dolore de suoi duri, ed indegni
affanni sentite ». Quale impressione non fa
ciò , che segue espresso per mezzo della fi-
gura di Preghiera, unita a quelle di Proso-
popeja, d'Enfasi, di Concessione, ed alle
più vive Ipotiposi : 55 Ecco i vostri soldati ,
Sacra Maestà, e la vostra fortissima milizia
fin dal Cielo vi mostra le piaghe, che ella per
voi ricevette , e vi prega ora , che il vostro
grave sdegno per V altrui forse non vera col-
pa conceputo , per la costui innocente gioventù •
si ammollisca, e che voi non al Duca, ma
ai vostri nipoti, non rendiate come loro, ma.
doniate come vostra quella città, la quale voi
possedete ora, se non con biasimo, almeno
senza commendazione — Di ciò pietosamente ,
e con le mani in croce vi prega Madama II-
lustrissima vostra umile serva, e figliuola,
la quale voi donaste all' Italia, e con sì nobil
presente, e magnifico degnaste farne parteci-
pi del vostro chiarissimo sangue Ella non
puote in alcun modo esser infelice, essendo
vostra figliuola . Ma come può ella senza mor-
tai dolore veder colui , cui ella affettuosamen-
te, come suo, e come da voi datole ama, ca-
duto in disgrazia di Vostra Maestà vivere in
doglia, e in esilio? Ma se ella pure depones-
O se
2l6
se V animo £ ardente mogliera , come può el-
la deporre quello di tenera madre, ed il suo
doppio parto sopra ogni altra cosa vaghissi-
mo , delicato, ed amabile non amare tenerissi-
mamente? Questi le tenere braccia , ed innocen-
ti distende verso V. NI. timido e lacrimoso,
e con la lingua ancora non ferma mercè le
chiede. Perciocché le prime novelle, che il suo
puerile animo ha potuto per V orecchie riceve
re, sono state e morte, e sangue, ed esilio,
ed i primi vestimenti, con i quali egli ha do-
po le fasce ricoperto le sue piccole membra*
sono stati bruni , e di duolo ; e le feste e le
carezze , che egli ha primieramente dalla scon-
solata madre ricevute , sono state lacrime e
singhiozzi, e pietoso pianto e dirotto. Questi
• dunque al suo avolo chiede misericordia e
mercè, ed Italia al suo Signore chiama pace
€ quiete, e V afflitta Cristianità di pace, e di
concordia il suo magnanimo Principe priega ,
e grava ; ed io da celato divino spirito com-
mosso, oltre a quello, che al mio stato si
converrebbe , fatto ardito , e presontuoso la sua
antica magnanimità a Carlo V. richieggo , e la
sua carità usata gli addimando ». Io spero >
che questi esempj dalla medesima perora-
zione qua e là separatamente raccolti, in-
vogliar vi debbano a leggerla interamente,
c per ordine . Simili figure voi troverete in
q-uella tenera parlata : che fa presso Virgi-
lio nel libro VI. Palinuro ad Enea per muo-
verlo a compassione del suo stato infelice ,
ed a procurargli un sollecito passaggio nei
cani-
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campi Elìsj. Proseguendo egli a narrare la
sua lacrimevole avventura, dice:
„ Paidatim adnabam terrae, et jam tuta tenebam ,
iVi gens crudelis madida cum veste gravatimi
Prensantemq. uncis manibus capita aspera montis
Ferro invasisset , praedamque ig naraputasset .
Nunc mefluctus habet , versantque in littore venti.
Quod te per coeli jucundum lumen , et auras ,
Per genitorem oro , per spem surgentis Juli ,
Eripe me his, invicte, malis . Aut tu mihi terram
Injice , namque potes , portusque require Velinos ,
Aut tu si qua via est , si quani tibi Diva creatrice
Ostendit , (neque enim credo sine mimine Divum
Flumina tanta paras, Stygiamque innare paludem)
Da dextram misero , et tecum mctolle per undas*
Sedibus ut tandem placidis in morte quiescam » .
A tutti questi esempi aggiungerò la viva
e patetica descrizione , che presso Dante nel
Canto XXXIII. dell' Inferno fa Ugolino de*
mali estremi da lui, e da' suoi figlj nella
prigione sofferti:
» Quando fui desto innanzi la dimane
Pianger sentii fra 7 sonno i miei figliuoli,
Che eran con meco, e dimandar del pane.
Ben se crudele se tu già non ti duoli
Pensando ciò , che al mio cuor s* annunziava ,
E se non piangi, di che pianger suoli?...
t non piangeva, sì dentro impietrai:
Piangevan elli, ed Anselmuccio mio
Disse: Tu guardi sì, Padre, che hai?
Però non lacrimai , nè rispos* io
Tutto quel giorno, nè la notte appresso, •
Infin che V altro sol nel Mondo uscio.
Co-
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328
Come un poco di raggio si fu messo '
Nel doloroso carcere, ed io scorsi.
Per quattro visi il mio aspetto istesso,
Ambo le mani per dolor mi morsi ,
E que pensando, ch y io 7 fessi per vaglici
Di manicar, di subito levorsi,
E disser: Padre, assai ci fia meri doglia.
Se tu mangi di noi \ tu ne vestisti
Queste misere carni , e tu ne spoglia .
Quetami allor per non farli più tristi;
Quel dì, e V altro stemmo tutti muti,
Ahil dura terra, perchè non i apristi*.
Poscia, che fummo al quarto dì venuti
' Caddo mi si gettò disteso a piedi
Dicendo: Padre mio, che non m aiuti ì
Quivi morì , e come tu mi vedi
Vi£ io cascar li tre ad uno ad uno
Tra *l quinto dì, e *l sesto, on£ io mi diedi
Già cieco a brancolar sopra ciascuno,
E tre dì li chiamai , poi eh' e* fur morti ;
Poscia più -che il dolor potè il digiuno.
ARTICOLO XII.
*
V Emulazione,
Io darò fine a questo Trattato intorno agli
affetti, parlandovi brevemente dell' Emula-
zione . u Emulazione secondo la definizione
datane da Aristotele nel Capitolo 24. del
Libro II. della sua Rettorica altro non è,
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£29
che quel dolore, ò rincrescimento, che pro-
viamo dell' altrui bene , non perchè in al-
tri lo veggiamo ritrovarsi, ma perchè ne
conosciamo privi noi stessi, e noi pure ne
bramiamo 1' acquisto. Voi perciò ben vede-
te, quanto diversa sia 1* emulazione dalla,
malvagia, ed inumana passione dell' invi-
dia, la quale del bene altrui si rattrista,
perchè non vorrebbe, che altri ne godesse.
Quanto adunque da biasimarsi sarebbe colui
che col suo dire ad invidia accendesse gli
animi altrui, altrettanto di lode degna è
queir Eloquenza, che impiegasi nel risve-
gliare negli uditori i moti più ardenti di
virtuosa, e nobile emulazione. Ella infatti
ha. per oggetto la virtù , la sapienza , gli
ottimi costumi, le gloriose imprese, e tut-
to ciò, che può condurne all'acquisto della
gloria, e della felicita. Qnal cosa adunque
più onesta, e più lodevole immaginar si
può, che 1' eccitare una passione sì bella,
e nel tempo stesso sì necessaria, niente es-
sendovi,. che tanto ecciti 1' uomo ad intra-
prendere cose grandi, ed illustri, quanto V
esempio d' altri, che le hanno con corag-
gio intraprese , e con somma felicità ese-
guite? A fine adunque di risvegliare effica-
cemente quest'affetto negli uditori, bisogna
propor loro ssempj d'uomini illustri, dimo-
strarli proporzionati alle loro forze, e con-
formi al loro grado ed alla loro condizio-
ne , e mettere in vista il vantaggio, e l'ono-
re pubblico e privato, che dall' imitarli de-
rir
43°
riva . Così appunto fa Cicerone nella pera-
razione dell'orazione in favor di Sestio, esor-
tando i giovani Romani a seguir l'esempio
de' suoi maggiori nella difesa della Repub-
blica: » Vosque adolescentes , et qui nobiles
estis , ad majorum vestrorum imitationem ex*
cùaboy et qui ingenio, et virtute nobilitatevi
potesti-: consequi, ad eam rationem, in qua
multi homines novi et honore , et gloria fio-
rucrunty cohortabor w . E dopo aver rammen-
tati alcuni personaggi Greci, i quali si di-
stinsero nel difendere la loro patria a fron-
te de' più gravi pericoli, venendo ai Ro-
mani dice: y> Quare imitemur nostros Brutos,
Camillos, Ahalasy Decios , Furios, Fabricios ,
Maximos, Scipiones , Lentulos , Aemilios, in-
numerabiles alios , qui hanc Retnpublicam sta-
biliverunt, quos equidem in Deorum immor-
talium coetu , ac numero repono . Amemus pa-
triam , pareamus senatui , consulamus boris*
praesentes fructus negligamus , postergati ser-
viamus , id esse optimum putemusy quod exit
rectissimum y speremus , quae volumus , se<t
quod acciderit , feramus ; cogitemus denique
corpus virorum fortium , magnorumque homi"
num esse mortale , animi vero motus et vir-
tutis gloriam sempiternam
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»3i
ARTICOLO XIII.
■«
Riflessioni generali intorno agli affetti.
li nutile sarebbe V avervi fin qui a lungo
spiegata la natura degli affetti, e mostrato
il linguaggio , con cui naturalmente s' espri-
mono, se tralasciassi d'accennarvi i mezzi
più efficaci, onde giunger possa l'oratore al
movimento di essi, che è l'oggetto princi-
pale della vera eloquenza. Non basta, che»
un' orazione sia elegantemente scritta , ma
fa d'uopo, che ella sia ancora insinuante
e patetica , e ovunque vuole, gli animi de-
gli uditori l'oratore rivolga, potendosi con
ragione all'arte Oratoria adattare il precet-
to dato da Orazio riguardo alla Poesìa:
99 Non satis est pule hr a esse poemata^dulcia sunto.
Et quocunquevolenty animum auditoris agunto .
Ciò, che per acquistare un tal dominio so-
pra gli altrui animi principalmente richie-.
desi giusta l' insegnamento dello stesso Poe-
ta si è, che l'oratore, ò il poeta sia da que-
gli affetti medesimi agitato, e commosso 7
che ei vuol risvegliare negli altri: (a)
Si
* . - -rzz - . 1 ■ ■ — *
(a) // me zzo di bette eseguire la parte patetica
( dice anche il Sig. Blair Lea. XXXII. ) fi è il di-
pìnger V oggetto di quella passione, che vuoisi de*
stare, nella più naturale, e piò forte maniera, il
descriverlo con tali circostanze , che facilmente pos-
sano eccitarla negli altri . Ogni passione più facil-
mente si sveglia per una sensazione attuale , comt
lo
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,j Si vis me fiere , dolendiim
Primum ipsi tili , tunc tua me infortunio, laedent .
Non è possibile infatti, dice Cicerone nel
libro II. dell' Oratore , che gli uditori con-
cepiscano dolore, odio, e timore d'una qual-
che cosa , che si muovano alla compassione
ed al pianto , se tutti questi movimenti ,
che eccitar vuol l'oratore nell'animo dei
giudici, neir oratore istesso non compariran-
no, come stampati ed impressi: » Ncque
fieri poteste ut doleat is, qui auditi ut odé-
riti ut pertimescat aliquid, ut ad fletam^ mi-
scricordiamque deducatur , nisi omnes ii mo-
tus , quos oratot adhibere volet Judiciyin ipso
oratore impressi essd atque inusti videbuntur .
Non è questo possibile, dice Quintiliano,
come non può giammai avvenire, che al-
cun' altra cosa ci riscaldi e c'infiammi, se
non il fuoco, altra cosa ci bagni se non V
umore, e che una cosa dia e comunichi
ad
Io sdegno al ricevere d > un' offesa * ò al presentarsi
de IP offensore . Dee perciò V oratore cercar di feri'
re V immaginazione degli uditori con circostanze ,
che nella vivezza , e nella forza somiglino a Quelle
della sensazione , e della memoria . A tal fine il
mezzo più efficace si è . . . che l oratori medesima
sia viva m ente commosso . Mille circostanze interes-
santi vengono suggerite da una passione reale , che
ni un' arte pub imitare, e con nitiu raffinamento sup-
plir si possono . . . « V interna commozione del dici»
tore aggiunge alle sue parole , a 1 suoi sguardi, a 9
suoi gesti , a tutte le sue maniere un patetico , che
esercita un potere quasi irresistibile su tutti quei ,
che l' ascoltano .
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I
ad un'altra quel colore, che ella non ha:
3, j\ec incendit, nisi ignis , ned madescimus 9
nUi humore, ncc res lilla dat àlteri colotem ,
quetii ipsa non habet », La ragione di tutto
ciò è al dire d'Orazio nella stessa natura
dell'uomo riposta, imperocché l'uniati voi*
to al riso con chi ride , al pianto si compo»
ne con chi piange :
w Ut rìdentibus adrident, ita flentìbus àdflent
Humani vulias.
Perchè adunque l'uditore concepisca una
passione, fa d'uopo, che la veda impressa,
sensibilmente nei sentimenti > nell' espressi©*
ni, nel gesto, nella voce, nel volto, e ne-
gli occhj dell'oratore; poiché come le cor-
de d'una cetra rendono diverso suono, se-
condo che sono diversamente toccatt, così
il gesto, la voce, il volto, e tutto quanto
il corpo dell'uomo resta diversamente mo-
dificato' secondo la diversità delle passioni f
ond' è agitato lo spirito; ^ Omnis motus
animi ( son parole di Cicerone ) suum quem-
datti a natura habet vultum , et sonimi , et
ge.stuni; totumque corpus hominis , et ejus om-
7>is vultus , omncsque Voces , ut nervi in fidi~
bus , ita sonant , ut a mota animi sunt puU
sac v . Ala come risveglerà in se medesimo
l'oratore queste passioni? Per lo più tratta
egli di cose, che non riguardano la sua stes-
sa persona, ma gli uditori, ò altri > di cui
ha preso a perorare la causa . Se di se stes-
so, e delle cose sue favellar dovesse, il fa-
rebbe certamente in guisa, che all'interes-
se
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*34
se , che egli ha per la causa, corrispóndesse
la forza dell'orazione. Tutta la difficoltà
adunque nel muover gli affetti, quando si
tratta la causa altrui, consiste nel prender
di essa quell'interesse , che della propria si
prenderebbe, e nel considerare come appar-
tenente a se ciò, che gli altri unicamente
riguarda. Tanto c'insegna Quintiliano nel
capitolo II. del libro VI. dove parlando egli
in particolare dell' affetto di cani passione av-
verte > che l'oratore creder dee, e persua-
dersi intimamente, essere avvenuto a se
stesso ciò, di cui si duole, e considerar co-
me sue le disgrazie , e le miserie di quel-
li, verso de' quali eccitar vuole gli uditori
a compassione : » Uhi vero miscr adone opus
erity Jwbis ea, de quilms qucrimur , accidisse
credamus , atque id animo persuadeamus . Nos?
UH simus , quos gravici , indigna , tristia pas-
so* qucramur, me agamus rem quasi dlienam *
sed assumamus parumper ilium dolorem. Ita
dkemus quae in simili nostro casa dicturi es~
seimis Ajficiamur , antequam afficerc cone-
mur n . E quello , che egli insegna in que-
sto luogo riguardo all'affetto di compassio-
ne,, di qualunque- altro affetto intender si
dee, poiché nella stessa guisa non potcà V
oratore mostrare, per esempio, tutta l'alle-
grezza dc4 bene altrui , se come suo proprio
non lo riguarda. Da tutto ci& chiaramente
com prendesi, che la mozione degli affetti è
una conseguenza , ed un effetto dell' imma-
ginazione detta dai Greci fantasìa . Per la
for-
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2 3S
forza di questa l'animo nostro come pre-
denti considera le cose lontane, e come sue
quelle, che agli altri appartengono, ed in
qualche modo si trasfonde nella persona de-
gli altri , rivestendosi del medesimo loro ca-
rattere, dei loro sentimenti, de' loro affet-
ti; cgsicchè quei, che sono d'immaginazio-
ne più vivace, e più forte, sono ancora al
dire di Quintiliano più capaci di concepir©
gli affetti , e di risvegliarli per conseguen-
za anche negli altri: , 5 Quas phantasias Grac-
ci vocanty nos saiic visiones appellcmus , per
quas imagines rerum absentium ita repraesen-
tantur animo, ut eas cernere oculis vidcamur*
Has qui bene conceperit , is erit in affcctibils
potentissimi^ 55 . Non è certamente possibile,
che il bene, ò il male presente, ò questo
noi medesimi, ò gli altri riguardi, non ci
commuova. Perchè adunque una tale im-
pressione in noi pur faccia, quando è lon-
tano, fa d'uopo, che l' immaginazione a
noi sì vivamente lo dipinga , e quindi sì vi-
vamente agli altri lo rappresentiamo, che
sembri presente. Leggete l orazione di Cice-
rone contro Verre , e specialmente la VII.
nella quale con i più vivi colori descrive x
mali per la crudeltà di Verre dai Romani
Cittadini, e dagli Alleati nella Sicilia sof-
ferti, e spero, che rimarrete serflprepiù per-
suasi di ciò, che io dando fine al mio ra-
gionamento intorno agli affetti vi Uo fatto
brevemente osservare: » Ipse ( Verres ) in-
Jlammatus sedere, et furore in Jbnim tenti*
#
■
236
Ardcbant oculi ; tota ex ore crudelitas emine*
lat. Exspectabant omnes, quo tandem progress
suriis, aut quidnam acturus csset; cum repen-
te hominem ( Gavium ) proripi, atque in fo-
ro medio nudar i , ac deligari, et virgas expe*
diri jubet Caedebatur virgis in medio foro
Messanae civis Romanus , Judices; cum* inte-
rea nullus gemitus , nulla vox alia istius mi-
seri inter dolorem-, crepitumque plagarum au-
dicbatur, nisi haec: Civis Romanus sum. Hac
se commemoratane civitatis omnia verbera de-
pulsurum , cruciatumque a corpore dejecturum
arbitrabatur . Is non modo hoc non perfecit,
ut virgarum vim deprecaretur y sed cum ini-
ploraret saepius, usurparetque nomen civitatis ,
crux , cruxy inquam , infelici, et aerumnoso >
qui nunquam istam potestatem viderat, com-
parabatur . 0 nomen' dui ce libertatis ! & jus
exjmium civitatis! 0 lex Porcia , legesque Sem-
proniacl 0 graviter desiderata , et aliquando
reddita plebi Romanae Tribunicia potestas ! ce,
FINE
DELLA PRIMA P ARTH-
4
PAR-
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I
I
PARTE SECONDA.
Della disposizione Oratoria.
D alla scelta del soggetto, che imprende
T Oratore a trattare, accompagnata dal ri-
trovamento , e dai pieno possesso delle ra- '
gioni , e degli argomenti al medesimo sog-
getto adattati deriva (giusta T insegna-
mento d' Orazio, che all' arte Oratoria si
può con tutta ragione estendere ) la facon-
dia , e quel beli' ordine, che sparge d' un'
ammirabil chiarezza , e splendore il discorso :
n Cui lecta potenter crit res ,
Nec facundia deserei Juuic , nec lucidus ordo.
Quest* ordine, e questa disposizione è ali*
Oratore così necessaria, che giungere ei
non potrebbe giammai ad istruire , e dilet-
tare e muovere gli uditori, se la sua ora-
zione, per quanto esser possa altronde ele-
gante ed ornata, di questo pregio man-
casse. L' ordine, la simctria , ò la retta di-
sposizione delle parti, cosicché ciascuna oc-
cupi quel luogo, che le si adatta e con-
viene , forma certamente di tutte le opere
la bellezza , ed il pregio . Un mostro sa-
rebbe, anziché un oggetto degno dei nostri
sguardi il corpo umano , se le membra tut-
te non fossero in esso al suo luogo disposte .
Ed
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23»
Ed a che altro mai servirebbe» se non che
a se medseimo d' imbarazzo, e d' ostacolo
un esercito disordinato, e scomposto? Da
queste e molte altre riflessioni, che ag-
giunger potrei, ognun di voi agevolmente
comprende, che 1' Oratore limitar non dee
la sua fatica , ed industria ad ammassare
in gran copia la materia del suo favellare,
ma dopo averla ritrovata, tutta 1' arte, co-
me insegna Quintiliano, gli è d' uopo im-
piegare nell* ordinarla, imitando in ciò gli
esperti artefici, i quali, messi insieme, e
preparati i materiali alla costruzione d*
una fabbrica necessarj, si studiano in ap-
presso di collocarli, e disporli in guisa, che
sorgendo V opera secondo la bene intesa,
e già concepita idea, grato spettacolo pre-
senti agli occhj de' riguardanti : » Ut opera
exstruentibas satis non est sax a , et materiam
et caetera' aedificanti utilia congerere, nisi
disponendis iis , collocandisque artificum ;na-
nus adhìbeatur; sic in dicendo quamlibet abun-
dans rerum copia cumulum tantum habeat ,
atque congestum , nisi Mas easdem disposino
in oniinem digest as , atque inter se commis-
sas devinxcrit ». Conviene adunque, che
dopo avere nella prima parte di queste Ret-
toriche ^istituzioni parlato dell' Invenzione,
indicati i fonti , onde attinger si possono
gli argomenti, e la materia per formare un.
discorso, insegnate le maniere diverse di
esporre i medesimi argomenti, e di ampli-
ficarli; dopo aver finalmente considerato il
cuo-
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cuore umano, ed esaminati gli affetti, nel-
la mozione dei quali la vera Eloquenza
consiste, ed insieme trattato del linguaggio
proprio ad esprimerli con tutta la forza ed
energìa, conviene, io dico, che della di-
sposizione Oratoria adesso vi parli.
CAPITOLO PRIMO .
In cui si dà un idea generale delia
disposizione Oratoria, e delle parti
dell' Orazione.
E rifacendomi per maggior chiarezza dalla
definizione , quanto breve , altrettanto giu-
sta mi sembra quella , che ne dà Cicerone
dicendo esser la disposizione Oratoria un*
ordinata distribuzione della materia, che
per compor la sua Orazione ha V Oratore
già ritrovata (a). Apprenderemo poi da
Orazio , in che cosa consista questa ordina-
ta distribuzione, insegnando egli nella sua
Poetica, questo essere il pregio, questa la
bellezza dell* ordine v che V Oratore metta
fuori a suo tempo, ed a suo luogo le cose
già ritrovate, cosicché dica prima quello,
che prima dir si conviene , e ad esporre si
riserbi in appresso ciò, che detto in altro
luo-
- ■ -*
(a) DispQsitio est rerum ìnventarum tu ordinem
distribu::o . De Invent. lib. I.
&4°
luogo, e posteriormente può dar maggior
grazia e bellezza al discorso, e far mag-
giore impressione nell'animo degli uditori (a) .
Distribuire adunque ordinatamente la
materia d' un discorso non consiste in al-
tro , che , diviso in alcune parti il discorso
medesimo, neli' esporre ordinatamente in
ciascuna quello, che a ciascuna più 9Ì
adatta e conviene. E siccome a fine di per-
suadere gli uditori ( lo che è dell' Oratore
il principale ufizio, ed oggetto ) fa d' uopo
che prima di tutto gli uditori medesimi di-
sponga ad ascoltarlo con piacere , ed atten-
zione , spieghi in appresso lo stato della
questione, quindi con forti, e convincenti
ragioni dimostri la verità del suo assunto,
6 nel tempo medesimo, quando fia d'uopo,
confutile objezioni degli avversari , e fi-
nalmente si adopri nell' espugnare il cuore
degli uditori già persuasi, e convinti della
verità col movimento degli affetti; ne se-
gue, potersi V Orazione in quattro parti
principalmente distinguere > che sono 1*
Esordio, la Proposizione, e talvolta an-
che la Narrazione, la Confermazione, cui
va bene spesso congiunta la Confutazio-
ne, la Perorazione, alla quale s'unisce
anche 1' Epilogo, quando la lunghezza
dei discordo il richieda. Imparata che avre-
mo
• : : , ; ,, — *
{a) Ordìnis bnec virtus erit , et vettus , aut ego fallir ,
Ut jam nane dìcat jam huhc dtbentia dici ,
Pltraquc differat , et praeseus tu temptts omìttat .
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ino adunque T arce di discernere ciò , che in
ciascuna di queste parti dir si convenga , e
con qua!' ordine, appreso avremo ancora
tutto ciò, che alla disposizione Oratoria ap-
partiene. E perciò 1' intraprender V esame
delle diverse parti dell' Orazione lo stesso
sarà > che studiar T arte di ben disporre • ed
ordinare la materia, che avremo eoa tutta
la diligenza, e con tutto il giudizio ritro-
vata, e scelta.
CAPITOLO II.
Dell* Esordio.
L
Esordio secondo la definizione che ne
dà Cicerone è quella parte dell' Orazione f
che acconciamente dispone V animo degli
uditori ad ascoltare Attentamente ciò, che
t Oratore è per dire in appresso (a). Da
questa definizione voi ben comprendete , che
T Oratore non si propone in questa parte
altro oggetto, che quello di rendersi docile,
benevolo, ed attento 1' uditore. Se in tali
dispo*izioni di per se si trovassero gli udito-
ri, potrebbesi dall' Oratore tralasciar que-
sta parte, e proposto e spiegato in breve il
R sog-
{a) Exordtum est ovatto animum auditori* ido»
nee compartii* ad reliquam dittiontm . De Invent,
lib. I.
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«oggetto del suo favellare , passar subito al-
la dimostrazione, ed alle prove. Così co-
fitumavasi infatti nel celebre consiglio dell'
Areopago in Atene, ove leggesi, che era
come inutile sbandito qualunque Esordio,
poiché trattandosi d' un Assemblea di sag-
gi uomini composta bisogno non v' era a
eccitarli alla docilità, ed all' attenzione .
Ma siccome per lo più favellar conviene a
persone d' ordinaria, e comune capacità, e
non sempre ad ascoltar ben disposte, è ne-
cessario , che T Oratore faccia uso di tutta
la sua arte ed industria, per guadagnarsi
fino dal bel principio della sua orazione l*
animo degli uditori . Io non avrei anzi dif-
ficoltà d' asserire , dover' egli maggiore stu-
dio, e diligenza impiegare in questa parte
che nelle altre , che la seguono . La mag-
giore difficoltà neir espugnazione , e nella
presa d' un campo, ò d' una piazza con-
siste nell' aprirsi in essa V ingresso. Una
volta che il nemico vi abbia posto il piede ,
ed introdotti alcuni soldati , facile se ne
rende V intera cònquista. Lo stesso pare
che dirsi debba dell' Oratore , cui se avvie-
ne di cattivarsi fin da principio la benevo-
lenza , e attenzione degli uditori, può con
tutto il fondamento sperare un esito felice
della 6ua causa. Tutto il contrario avverreb-
be, se dall' ascoltarlo fossero affatto alieni,
e contro la causa, ò contro l* Oratore me-
desimo mal prevenuti. Un ben tessuto, ed
elegante Esordii è capace d' incantare a
se-
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segno gli animi degli ascoltanti» che facil
perdono trovino presso di essi anche i di-
fetti, che esser potessero nell'altre parti dell'
orazione; in quella guisa appunto, che in-
contra sempre il genio , e r approvazione
de' riguardanti quell' edifizio nella sua pri-
ma facciata , e nel suo ingresso vago e ma-
gnifico , benché non senza difetto nell'inter-
ne sue parti . Conosciuta pertanto la neces-
sita di lavorar con tutto l'artifizio, e di reitt-
der perfetta questa prima parte dell'orazio-
ne , con tutto T impegno ci applicheremo ad
esaminare le qualità, onde esser dee accom-
pagnata, e i difetti, che debbonsi in essa
evitare. Ma per meglio discoprire l'artifizio,
con cui esser dee l'Esordio composto, piac-
ciavi d' osservare le diverse maniere , onde
si può dare all' orazione principio , e che io
andrò accennandovi , procurando nel tempo
stesso d'illustrarle, e d'autorizzarle con op-
portuni esempj tratti da' più eccellenti ora-
tori . A due si possono queste principalmen-
te ridurre, dalle quali altrettante specie d*
Esordj risultano Imperocché ò V oratore pren-
de nell' Esordio a rimuovere , e sgombrare
dall'animo degli uditori qualunque contra-
ria prevenzione, e allora dicesi Esordio d'
Insinuazione; ò entrando subito nel soggetto
della sua orazione senza più si studia di
conciliarsi l'attenzione, e la benevolenza
degli uditori , ed un tale Esordio vien chia-
mato da Cicerone Principio . L' uno , e V al-
tro però , secondo il precetto di Cicerone ,
de-
*44
deve esser tratto dalle viscere della causa
medesima , e non approva , pare anzi , che
altamente condanni quegli Esordj , che sono
alla materia, di cui si tratta, affatto stra-
nieri, e da essa disgiunti (a). Nel che sem-
bra esser Cicerone contrario ad Aristotele,
il quale ammette talvolta anche quegli Esor-
dj, che si dipartono da cose, le quali niu-
na relazione hanno col soggetto dell' orazio-
ne. Ma forse Cicerone non ha preteso, che
di biasimar gli: Esordj dal soggetto principa-
le separati , ma non già quelli, i quali» seb-
bene dedotti sieno da cose alla causa del
tutto estrinseche, pure in questi con tutta
la facilità a poco a poco V oratore s' insi-
nua, e si conduce nella materia, di cui si
è proposto di favellare, e così conciliarsi
potrebbe il sentimento dell' uno , e dell' al-
tro Retore . Opportuno è V Esordio d' Insi-
nuazione, quando l'oratore sappia, ò tema,
che gli uditori sieno mal prevenuti e di-
sposti, ò contro il soggetto, che prende a
trattare , ò contro la sua stessa persona , e
se si tratta d' orazioni in genere giudiciale ,
prevenuti contro la causa , ò i Clienti , che
ha intrapreso a difendere, ò in favore de-
gli avversar j. In tal caso a fine di conciliar-
ci la benevolenza e l'attenzione loro, bi-
sogna, che .a poco a poco s'insinui ne* lo-
ro
■-!
(a) Haec aupem in dicendo non extv'tnucus ottun-
de quaerenda , sed ex ipsis visceribus causae sutnen-
da sunP. De Orat. Lib. II.
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US
fo animi , procurando di toglier dai essi tut*
ti quegli ostacoli, che render potrebbero mo-
lesto , vano, ed inefficace il suo favellare.
Possono poi gli uditori esser contro la cau-
sa mal prevenuti * ed alieni dall'ascoltar
volentieri, ò per esser di sentimenti, e d*
opinioni contrarie imbevuti , ò perchè appren-
der possono come arduo, e malagevole ad
eseguirsi ciò , che vien loro proposto, ò per-
chè la materia è al loro genio* ed alle lo-
ro inclinazioni contraria , e per altre simili
ragioni, che io per brevità tralascio. Quan-
do ciò sia, conviene, che l'oratore si ado-
pn per disingannare gli uditori, e rimuo-
verli dalla persuasione , in cui sono % pro-
mettendo di far loro conoscere 1 e toccar
con mano la verità, e la rettitudine di ciò»
che vuole ad essi proporre ; conviene preve-
nirli, ò dimostrando che la cosa non ha in
se quella difficoltà * che si vanno immagi-
nando, ò se pur l'abbia, trattandosi di co-
sa importante e necessaria , devesi da ognu-
no superare; fa d'uopo finalmente, che 1*
oratore diminuisca riversione, che aver pos-
sono contro la verità, facendo loro- vedere
la necessita d' abbracciarli , ed i vantaggi
che ne derivano, hi simil guisa procurerà
di togliere dall'animo loro tutte le preven-
zioni i che avessero contro di lui concepito
ò per T età , ò per la patria , ò per la na-
scita, ò per lo stato e ministero , ò per al-
tre ragioni, che render potessero meno au-
torevole il suo parlare. Diverranno essi bc-
s.
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• nevoli verso i clienti, se venga loro dimo-
strata l'innocenza, il merito, e lo stato in-
felice di essi. Potrà finalmente dall'avver-
sario renderli alieni, facendo loro conce-
pirne un'idea totalmente diversa da quella,
che prima ne aveano. Ma per via d' esem-
pj 1' artifizio d' un tale Esordio si renderà a
voi più manifesto . Leggete quello dell' ora-
zione, che fa Monsignor della Casa per in-
durre i Veneziani ad entrare in lega col Rè
di Francia , e col Papa contro V Imperatore ,
e vedrete con qual' arte egli procura di to-
gliere qualunque prevenzione, che aver po-
tevano e contr© il soggetto , che prendeva
a trattare, e contro la sua stessa persona,
Erano i Veneziani del tutto alieni dall' ab-
bracciare questo partito, amanti della pace,
e nemici della guerra. Da questa persuasio-
ne si studia egli di rimuoverli, proponendo
di dimostrar loro , che non potevano in al-
tra maniera aver pace , e difender la liber-
tà, senza resistere all' Imperatore coli' armi :
Se alla violenza si potesse resistere in al-
-cun modo fuori che con le armi, io temerei v
.Serenissimo Principe , ed eccellentissimi Signo-
ri , di poter essere ripreso da voi meritameli-'
te di . ciò f che io son costretto ad esporvi net
mio presente ragionamento; e stimerei , chela
nateria, della quale io favello, fosse alla
mia condizione, ed al mio presente abito del
-tatto contraria , e difforme . Ma siccome dal-
la forza non può V uomo altramente difender-
*i, che col vigore delV animo, con le armi, e
con .
•
Digitized b^Googl
■con la guerra y io vredo; che nessuno- possa- <%.
buona equità biasimarmi, se io parlerò non
volentieri , maiper forza,* non di quello , c/ie
7?:z piacerebbe di dire, ma &>quello> che è ne-
cessario di Ja/e non meno a\$uesto eccelso, e
magnifico donymo,.che al fjpa, e ad altri,
cioè di procacciar difesa, e scàiripo_ alla, co*
mun salute^ alla comun vita \ alla comnn li-
bertà w . Era egli Ecclesiastico , e perfr tesjè-
va di non essere volentieri ascoltato favài?
lar di cosa, che sembrava dal suo sta»
troppo difforme e lontana, ed una tal pre-
venzione procura di togliere dall' animo lo-
ro, esortandoli in tal guisa a considerare
non chi egli era, ma la verità e l'impor-
tanza di ciò, che loro proponeva: » Sia
dunque V animo vostro alle mie parole aperta,
ed inteso, ne per voi si miri ciò, chtm.M&y,
di che abito vestito , ma odasi ciò, cfte jQ^di-
co; perchè io non chiedo, che la mia autorità
vi muova, ma le mie ragioni , le quali: ^àr-
ie saranno ò false, o scarse , non le. renda fa
persona mia, nè quella d' alcun altro ne mi-
gliori, nè più gravi, ma sieno ricusate , e non
ratificate da voi; ma se elle avranno il lar
debito valore, e il lor legittimo peso , accettar-
tele per buone, e per tali le usate, ncn guar-
dando, che noi abbiamo grande, e giusta, ca-
gione di sdegno, e d y odio contro C Imperato-
re, nè ad alcun altra condizione, ò qualità
nostra riguardando ^ . E poco dopo scggimv-
ge : » jCome voi leggereste p dunque un tibrx>
non sapendo chi se ne fosse V autore: cosivi
-
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jpre^o ora za, c/ic vai ascoltiate me • e<£ it mid
ragionamento con quelV equità i riceviate nel?
animo , cAe #e egtf <£<z nascosa, e da voi non
conosciuta persona vi fosse porto, è dettato w .
Lo stesso artifizio voi scorger potete neh*
Esordio dell 5 orazione da quésto medesimo
oratore indirizzati all' Imperitor Carlo V.
per indurlo aliai restituzione di Piacenza,
che tolta aveva al Duci Ottavio suo gene-
ro* a fronte del contrario sentimento dei
Ministri Imperiali* é del di lui medesimo
interesse . Non vi ha forse? in Cicerone ora-
zione i dalla quale -non possiate? 1 inoltre im-
parare, come l'oratore possi irridere? nell'
Esordio i giudici, €?%li uditori benevoli ver-
so i clienti, <hé prende a difendere, e muo-
verli: ad iversióne , ed ad odio contro i rei,
e coàtro gli avversar). Leggete l'Esordio
dsliforizione m favore del Re Dejotaro,
dèli? orazione in difesi di Quinzio , V al-
tro dell'orazione ai- Pontefici irf difesi del-
la sua casa, nelli quale orazione' per* poter
più facilmente render vani i tentiti vi di
Clodio studiasi primi di renderlo odioso ii
'Pontefici, mettendo nelli pift chiari veduti
il di lui pessimo ciratfere,
. - Venendo poi atf altri specie d' Esordii *
cfce vien chiamiti di Cicerone principio »■, ^ in-
torno i questui* ittenzione vostra deesi prin-
cipalmeiillf impiegare , quello essendo, di
cui 4ri# comune, e frequente è l'uso ne' no-
sapr tempi . Di rado addiviene (a), che gli
Ora-
W Esser dovrebbe almeno così , quando di sacri
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Aratòri òcctipàr si debbano in rimuoverci al-
cun pregiudizio , ò alcuna prevenzione dall'
ànimo degli uditori, i quali sospettar non
si pnà, che sièno contrari aile materie, che
loro si trattano, mentre si raggirano queste
per lo più intorno a verità pràtiche , ò spe-
cu-
* - ! ! —
ragionamenti si tratta . Non dovrebbero aver biso-
gno i Cristiani d'esser preparati ad ascoltar volen-
tieri le verità, the vengono loro dai ministri del-
la Divina parola annunziate. Figli èssendodi Dio ,
dovrebbero sempre con santa avidità , con attenzio-
ne , con rispetto ascoltare la Vote del loro Celesté
Padre. Ma poiché la verità , e le regole d'una sa-
na morate , se non trovano opposizione neli' intel-
letto degli uditori, avviene pur troppo, che He'
loro cuori la incontrino, ed hanrto pur troppo de'
nemici , che se non le combattono in teorica , le
negano , e le combattono co' tatti , onde riesce as-
sai molesto l'ascoltare tali verità, a chi è dispósto
a secondare lé proprie passioni, ed il guasto, libe- c
fo , e dissipata viver del mondo , cui le medesime
Verità sono irfeconciìraDilmente contrarie", e nemi-
che ; si rende perciò bene spesso necessario anche
sul Pergamo l'Esordio d' Insinuazione per* allettare
Con le maniere più soavi insieme , éd energiche t
più Schivi ad ascoltarle. Con tali maniere ed arti
si studia di conciliarsi l'attenzione degli uditori il
P. Segneri parlar volendo nella terzi sua Predici
della dilezióne de' nemici , contro il qual precetto
la debolezza* la superbia umana, e 1' amor proprio
Oppone tante difficoltà. Tale è pure l' Esordio del-
la Predica, in cui fa Vedere, che il mondo è un
traditore , ed altri , corhe veder potete leggendo
Questo sacro Oratore , il quale se talvolta non vi
alletterà con la maggiore eleganza delta stile , vi
toccherà peraltro il cuore con le più forti» e pa*
tetiche dimostrazioni «
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25°
culative . Che se presso gli antichi oratori
%rovansi più frequenti esempi d' Esordj d' In-
sinuazione , che di Principio, rifletter dob-
biamo , esser le loro orazioni per la maggior
parte in genere giudiciale, nel qual genere,
come facil cosa è, che quelli, dai quali la
decisione della causa dipende , abbiano ò
contro la causa, ò contro l'oratore, ò con-
tro ì clienti , ò finalmente in favor degli
avversar) qualche prevenzione, così rendesi
bene spesso necessario l'Esordio d'Insinua-
zione. In altri generi d'orazioni poi tutto
lo studio, e l'impegno dell'oratore ordina-
riamente ristringesi a cattivarci per mezzo
d'un ben tessuto Esordio l'attenzione, la
docilità, e la benevolenza dègli uditori, al-
le quali disposizioni facilmente piegar potrà,
l'animo loro, e col parlare modestamente
di se , e col mostrare verso di loro tutta la
fiducia e tutto il rispetto, e con esporre
con brevità e chiarezza il soggetto del suo
ragionamento, e principalmente col rileva-
re la nobiltà, la grandezza, l'utilità, e T
importanza del soggetto medesimo. E riguar-
do all'attenzione può non poco contribuire
a conciliarla il chiederla nella più solleci-
ta , modesta, e rispettosa maniera, lo che
far si può non solo nell'Esordio, ma ripe-
tere nel corpo stesso dell'orazione, e spe-
cialmente , quando alcun punto si tocca più
interessanti, cui l'oratore desidera 7 , che bel-
ile inteso sia dagli uditori , e resti ne' loro
animi altamente impresso quando *i può
t
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temere , che per la lunghezza del suo discor-
so sieno oramai gli uditori alquanto anno-
fati , e stanchi dall' ascoltarlo . Cosi appun-
to nell* orazione in favore di Cluenzio fa
Cicerone , il quale dogo aver sul bel prin-
cipio di lor benigna attenzione richiesti x
giudici: Quamobrem dura multórum antiorun^
accusationi breviter , dilucideque respondeo,
quaeso , ut me, judices, sicuti facere instimi»
stis, benignò, attenteque audiatis; nel decoj-
so poi della medesima orazione rinnuoya
,così la stessa dimanda : Vos quaeso , ut me
adhuc attente audistis , item quae reliqua sunt,
audiatis. Prqfecto niliil a me dicetur, quod
non dignum hoc convenni, et silentio , dignutn
vestris studiis, atque auribus esse vidcatur.
Tanti poi esser possono i fonti, dai quali
si può ricavar la materia dell' Esordio , quan-
ti sono gli aggiuntile le circostanze e del
luogo e del tempo*, in cui l'oratore dee
favellare, e delle persone, alle quali è di-
retta la sua orazione , e del line c delle
ragioni, che mosso lo hanno a comparir lo-
ro davanti per tenere sopra d'alcun soggetto
ragionamento, ed altre simili circostanze,
che accompagnar possono la càusa, ed alle
quali ponendo mente V oratore può da al-
cuna di esse, e da molte insieme riunite
prendere opportunamente occasione di dare
al suo discorso principio. Molti esempj di
tali Esord) incontrerete presso Cicerone* e
tralasciando quello dell'orazione in favor di
Celio, e dell'orazione in favor di Dejctaro,
ci
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ed altri, che voi stessi legger potete 1 quel-
lo piacemi di farvi brevemente osservare,
che nelf orazione in favor di Milone si leg-
ge. E' questo quasi interamente tratto dal-
le circostanze e dello stra ordinario giudi-
zìo , che si faceva della causa di Milone , e
della persona: di Pompeo, che presedeva a
questa causa, e del luogo, ove doveva Ci-
cerone difenderla circondato per ogni parte
d'armati: » Etsi vereor, judices, ne turpe sit
prò fortissimo viro dicere incipientem timer e*
jiìinimeque deceat tamen haec novi judicii
nova forma terret oculos , qui quocumque inci-
derintr veterem consuetudinem fori , et prisii-
num morem judìciorum requirunt . Non eniin
corona conscssus vester cinctus est-, ut sole-
bat , non usuata frequentia stipati sumus.
Nam Ma praesidia, quae prò templis omni-
bus cernitisi etsi contra vim collocata sunt f
non ajfcrunt tamen oratori alìquid r utinforo 9
et in Judith r quamquam praesidiis salutaribus
septi sumus y tamen ne non timere quidem si-
ne aliquo timore possimus Sed me recreat,
et reficit Gn. Pompeii sapientissimi , et justis-
simi viri consiliuni w -. Sebbene però abbia il
suo pregio un tal* Esordio* dalle diverse cir-
costanze , che accompagnano la causa dedot-
to, attesa quella semplicità, che in esso si
scorge, e fa sì, che studiato innanzi, e me-
ditato non sembri dall' oratore, ma nato flelT
atto stesso, che incomincia a parlare, e dal-
le medesime circostanze del luogo, del tem-
po, e delle persone a lui quasi inspirato
353
e dettato; non è però a mio parere da pa-
ragonarsi con quello, che dall' inrima natu-
ra, ò per usare la comun frase de Pretori,
dalle viscere della causa si trae . E* questo
infatti d'ogni altro più atto a conciliarsi la
benevolenza, e l'attenzione degli uditori,
perchè più grave, più nobile, più interessan-
te, perchè dì maggior lume e chiarezza al
soggetto dell' orazione , perchè comune non
sembra, nè adattabile ad altri soggetti (a).
A fine però di bene riuscire nella composi-
zione d'un tale Esordio, uopo è aver pri-
ma ben meditata , e compresa in tutte le
sue parti la materia , che si prende a trat-
tare (b) , poiché richiedendo principalmente
un tal' Esordio , che in esso gettati sieno i
fondamenti, e sparsi i semi delle prove, e
degli affetti , che 1* oratore dee poi sviluppa-
re , e maneggiare nel progresso dell* orazio-
ne
*■ : 1 '■■ ■ ■ a . . »
(a) Ita et momenti aliquid afferente cum erunt
pene ex intima definitone depromptae , et apparebit ,
eas non modo non esse communes, nec in alias causai
fosse transferri , sed penitus ex ea causa , quae tur»
agatur , effloruisse . Cic. de Orat. Lib. II.
{b) Non è da condannarsi perciò il costume di
coloro, che all'Esordio non pensano , che dopo aver
lavorata, e distesa Finterà orazione. Un tal me-
todo sembra approvato dall' esempio di Cicerone
istesso , il quale nella sua Opera intorno aìT orato-
re così si esprime: Omnibus rebus consideratis ,tum
denique t d , quo A primum est dicendum , postremum
soleo cogitare , quo utar exordio . Nam si quatto
id primum invenire volui , nullum occurrit nisi aut
exile , aut nugatorium , aut vulgate .
ne, talché dell'orazione medesima scorga 1*
uditore in un colpo d'occhio delineato il
piano e il disegno, come insegna nel sud-
detto libro Cicerone (a) , non può farsi que-
sto se non da chi ha un pieno possesso del-
la materia, che imprende a trattare. Fra i
molti Esordj, che addur vi potrei per esem-
pio, onde più agevole vi sia il comprende-
re, come esser debba lavorato e tessuto 1*
Esordio, che nasce dalle viscere della cau-
sa, quello vi esorto a richiamarvi alla men-
te dell'orazione del Commendatore Cassiano
dal Pozzo da me citato parlando del Gene-
re, e della Specie. Molti ne ritroverete anr
cora presso Cicerone, ma di tutti gli altri
più opportuni mi sembrano, e quello dell'
orazione in favor del Poeta Archia, e 1' al-
tro, deli' orazione in favor di Marcello.
Ma ripetiamo in breve tutto ciò, che
dell'Esordio finora si è detto, parlando del-
le qualità, che lo debbono accompagnare,
e nel tempo stesso i difetti accennando, che
debbonsi in esso evitare . Sono queste prin-
cipalmente la Proprietà, l'Accuratezza, la
Verecondia, e la Brevità. La Proprietà con-
siste nell' unione e nella connessione , che
aver dee l' Esordio con il restante dell' ora-
zione , cosicché dir si possa , che le sia pro-
prio , e le appartenga. Non mancherà ali*
Esordio una tal connessione, qualora nasca
dal-
(a) Rei tot i us , quac figetur , significai io nem ha*
lere debebit .
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dalla materia stessa che si tratta, e sìa de-
dotto dalle viscere della causa. Difettoso
adunque dir si dovrà quel!' Esordio , che è
volgare e comune , che dalla causa è af-
fatto separato e sconnesso, e che ad altri
soggetti si può facilmente adattare. L'Ac-
curatezza poi richiede , che nelT Esordio 1*
oratore impieghi tutta l'arte, tutto lo stu-
dio, e tutta l'industria, cosicché scorgasi
nell'Esordio, siccome Cicerone insegna, no-
biltà, e gravità di sentenze, ed eleganza
d'espressioni (a). E' sì necessaria all'Esor-
dio questa qualità, che da essa, direi qua-
si, dipende l'esito della causa. Può infatti
tutto sperare quell' oratore , il quale ha sa-
puto per mezzo d' un ingegnoso , ed elegan-
te Esordio allettare, e guadagnarsi l'animo
degli uditori. E perciò se in ogni parte dell'
orazione esser dee accurato e diligente , ta-
le principalmente è necessario ch'egli sia
nell'Esordio (b). Viziosa però sarebbe la
troppa accuratezza, il troppo artifizio, ed
una troppo ricercata ed ornata eloquenza.
Ammette anche l'Esordio la- sua argomen-
tazione, ed il suo raziocinio, ammette le
sue figure, e la mozione degli affetti, ma
ri-
& . - ... ~ , *■ — %
(a) Principia autem dicendi semper cum accura-
ta y et acuta , et instructa sententiis , opta verbi* ,
tum vero causarum propria esse debent .
(b) Prima est cairn quasi cojtjitio , et commenda-
tio oration'ts in principio , quae continuo eum qui
audit ptrmulcere , atque alitcere debet .
rigetta un raziocinio troppo sottile £ diffii*
so , esclude le troppo gagliarde , e vivaci fi-
gure , e richiede un movimento d* affetti
placido e moderalo . Altrimenti facendo ,
oltreché inutile, e molesto si rende il restan-
te dell'orazione per gli uditori, che fin dal
principio rimasti sono persuasi e commossi,
troppo è facile il cadere nel difetto accen-
nato dg. Orazio nella sua Poetica, di spar?
ger cioè sui principio i più bei lampi di lu-
ce, e far succedere a questi il fumo e le
tenebre; quando tutto all'opposto far si do-
vrebbe passando dal fumo *lla luce per sor-
prendere T animo degli uditori co' più bei trat-
ti d* eloquenza nel progresso dell' orazione (a) .
Intendo però d* eccettuar quegli Esordj ,
cliQ detti sono dai Retori ex abrupto, per
queir impeto, e per queir entusiasmo, con
cui dà. V oratore principio ai suo ragiona-
mento, se pure Esordi dir si debbono que-
sti» e non piuttosto s^inplicemente principj
dell' orazione. Tale è quello della prima
Catilinaria presso Cicerone : w Quousque tan-
4emabutere,Catilina, patientia nostra? Quam-
diu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem
ad finem sese effroenata jactabit audacia ? 9
Os
r
{a) ffec sic iucipies , ut scriptor cyclicus oltm :
Fortunam P riami cantato, et nobile bellum .
Suinto rectius bic , qui //il molitur inepte ;
He mibiy Musa, virum captae post tempora Trojae,
Dui morti bomhum multarti™ vidit , ft urbes .
No» fumum ex fulgore , sed ex fumo dare lucem
Cogita? , ut speciosa de hi ne miracttla prono? .
Digitized by CjO
>
Osservate Imitato egregiamente un tal' esor-
dio da Paolo Segneri nella sua quinta Pre-
dica sul giudizio universale: » E fino a quan-
do ardirassi più d'abusare tanta pietà, quan-
ta Dio finquì si è degnato dimostrarci} Ha.
egli finor taciuto non altrimenti , che se sta-
to fosse insensibile ad ogni oltraggio. Ma che
per questo? Aon sappiamo noi bene, che la
pazienza lungamente irritata divien furore ?
Su , date fiato alle vostre trombe , o voi Angeli
destinati per banditori del giorno orrendo, t
dimostrate a' protervi, s'io dica il vero. Os-
curatevi , o Cieli , e lor negate spaventosi o-
gni luce, fuor che di folgori ; piovete, o fiam*
me , e loro incenerite voraci le possessioni ;
apriti , o terra , e loro ingoja famelica gii edi~
fi z J «-Da questo esempio apprenderete, che
in tali Esordj, ò si tratti di sfogare qual-
che grave sdegno , e dolore , ò qualche
jStraordinaria allegrezza e consolazione , han-
no luogo le più forti , e vivaci figure d"
interrogazione, di ripetizione, d' apostrofe,
d' esclamazione , e per conseguenza il più
gagliardo movimento delle passioni. Quan-
to poi sia necessaria nel principio dell'ora-
zione la verecondia , la quale non consiste
in altro, che nel dimostrare basso sentimen-
to di se medesimo, diffidenza nelle proprie
forze, stima, e rispetto per gli uditori, ognu-
no può facilmente comprenderlo, rifletten-
do con quanto piacere si ascolta un discor-
so , dal quale lontana sia V animosità, T
alterezza» e la stima di se medesimo. Ci-
S ce-
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cerone perciò > il quale confessa di se me-
desimo, che da tremore in tutte le membra
e da timore straordinario nell' animo veni-
va assalito, quando compariva neir adu-
nanza per favellare , fa con ragione un ma-
gnifico elogio dell' Oratore Crasso rilevando
in lui questa proprietà, come la più atta a
conciliare T attenzione, e la benevolenza
degli uditori: r> Fuit enim in L. Crasso pu-
dor quidam, qui non modo non obesset ejus
crationi, sci etiam probitatis commendatone
prodesset. # Quando adunque ci converrà di
parlare di noi medesimi , ci studieremo <T
imitare lo stesso Cicerone, il quale senza
negare assolutamente la sua abilità, e le
sue doti, con tutta la modestia così si espri-
me neir esordio dell' Ofazione in favore
del Poeta Archia: » Si quid est in ine inge-
nti , judices , quod sentio , quam sit exiguum,
aut si qua exercitatio diccndi, in qua me non
injicior mediocriter esse versatum, aut si
hujusce rei ratio aliqua ab optimarum artium
studiiSy ac disciplina profccta-, a qua ego nul-
lum confiteor aetatis meae tempus abhorruisse ,
corum omnium vel in primis hic A. Licinius
fructum a me repetere prope suo jurc debct».
Se la brevità, (di quella brevità intendo di
favellare, che niente diminuisce la forza, e
la chiarezza del discorso ) suol' essere or-
dinariamente grata a chi ascolta, più op-
portuna , e più grata ella riesce nell' esor-
dio, godendo gli uditori di veder presto ap-
pagata la brama , che hanno di sapere qual
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s 59
sia Il «oggetto dell'orazione, e di sentirne
.la dimostrazione, e le prove. Consiste la
brevità nel fare l'esordio proporzionato alT
orazione. Non si possono perciò prescrivere
determinate regole intorno alla sua brevità,
ò lunghezza ; poiché come conviene ad una
breve orazione un breve principio > così si
potrà ad un lungo ragionamento un alquan-
to più lungo esordio adattare . Quegli poi a
mio parere non oltrepasserà i limiti d' urna
giusta brevità, il quale contento d' aver con
chiarezza esposto nell' esordio un generale
disegno della *ua orazione, non verrà ad
una troppo minuta enumerazione di ciò ,
che dir vuole in progresso del suo discorso ,
enumerazione non solo difettosa, perchè ren-
derebbe troppo esteso 1' esordio, ma perchè
diverrebbe il restante dell' orazione una ri-
petizione molesta , ed inutile di ciò , che fin
dal principio è stato detto .
CAPITOLO III
Della Proposizione, ' x
jA 11' esordio và unita sempre quella par-
te dell' orazione , che Proposizione si appel-
la . Infatti altro non essendo ella , che una
semplice, e breve esposizione di ciò, che T
oratore ha in animo di trattare, pare che
andar non debbp, dall'esordio disgiunta, ren-
dei
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dendosi specialmente per mezzo di cs6a at-
tento, e benevolo l'uditore. Chi mai lusin-
gar si potrebbe di esser volentieri , ed atten-
tamente da coloro ascoltato, che ignorano
il punto principale, intorno a cui si raggi-
ra il discorso? Tanto maggior forza avrà
poi la proposizione a conciliarsi l'attenzio-
ne degli uditori, quanto più si studierà V
oratore di presentarla > quando specialmente
sia troppo comune, in una cercaria di no-
vità, che li sorprenda, e li metta in curio-
sità d'udirne la dimostrazione. L'unità, la
Jwrevità, la chiarezza sono le altre qualità
principali , che accompagnar debbono la Pro-
posizione. Siccome unico esser dee, secondo
il precetto d'Orazio, il soggetto di qualun-
que componimento, cosicché tutto ridur si
possa ad una semplice sentenza (a); così
unica esser dee la Proposizione , la quale
altro' oggetto non ha, se non che di far ben
comprendere agli uditori , qual sia dell' ora-
zione il principale argomento. La Proposi-
zione è nel discorso ciò, che è il punto di
prospettiva nei quadri, che presentano la
vista d'un qualche edifizio, ò d'un qual-
che paese . E siccome in questi è necessa-
rio principalmente un punto , in cui si riu~
niscano tutte le linee, che tirar si possono
dalle diyerse parti del luogo, ò delK edifi-
zio medesimo; così nell' orazione dalla Pro-
po-
* - — ; = ; - -&
(a) Penique sit quodvis simplex dumtaxat'* tt
unum .
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<z6t
posizione nascer debbono, ed alla Proposi-
iione debbono potersi riferire tutte le cose,
che nel decorso dell' orazione si dicono. Non
otterrebbe ptrò l'oratore il suo intento, che
è di rendersi attenti gli uditori , se la Pro-
posizione mancasse dell'altre due accennate
qualità* vale a dire della chiarezza,^ del-
la brevità . La Proposizione dee esser talmen-
te chiara, che non possa non esser da tutti
intesa ; e tale sarà , quando sia espressa con
semplici, e note parole, e accompagnata
dalia brevità. Affinchè adunque ella riman-
ga facilriiente impressa nell' animo degli udi-
tori , cosicché non la perdano mai di vista,
si contenterà l'oratore di accennare, ef ri-
stringere 1' argomento della sua orazione in
una semplice sentenza , senza individuare?
minutamente le cose, che egli è per dire.
Importa molto , che gli uditori fino dal prin-
cipio- acquistino una chiara idea della ma-
teria , cne l'oratore prende a trattare. In-
tesa bene , e bene impressa nella mente la
Proposizione del discorso, con facilità inten-
deranno gli uditori ciò che sentiranno in
appresso. Al contrario oscuro , ed inutile sa*
rà per essi l'intero ragionamento, se non
hanno* potuto comprendere fino dal princi^
pio, quale ne sia il soggetto.
Nè all' unità della Proposizione è quel-
la divisione contraria , che ordinariamente
far si suole al termine dell' Esordio, ò do-
po la narrazione, in quella maniera che non
togliesi T unità al corpo con la distinzione,
e
I
e divisione di esso nelle diverse parti, &
membra , che lo compongono . Deesi perà
osservare, che le parti, nelle quali l'orazio-
ne si divide, sieno tutte nella Proposizione
comprese, e da essa derivino, e che l'una
sia dall'altra distinta, talché non sieno una
medesima cosa diversamente espressa, ed una
confonder non si possa con, 1' altra . E sicco-
me la divisione non meno , che la Proposi-
zione servir dee alla chiarezza, ed alla me-
moria degli ascoltanti, così fa d'uopo, che
ella sia fatta fon tutta la semplicità , e pre-
cisione. E per maggiormente evitare la con-
fusione e l'oscurità prescriver sogliono i Re-
tori, che la Proposizione non si divida più-
che in due ó tre parti, per la ragione che
difficilmente dagli uditori apprender si po-
trebbe, e tenere a memoria ùria divisione,
che un riamerò maggiore di parti cómpren*
da (a) . Ma V arte , e T abilità dell' oratore
spiccar dee principalmente nella disposizio-
ne , e nel!' ordine delle parti stesse dell' ora-
zione . Se queste hanno una tal connessio-
ne fra loro j come aver la debbono, che una
' na-
(a) A ragióne perciò il chiarissimo Traduttore
Italiano di Blair condanna il éoStume di coloro , !
quali alla divisione della proposizione principale
aggiungono tante divisioni, e suddivisioni defun-
ti, ne' quali è Stata quella divisa, riflettendo sa-
viamente, che oltre al generare oscurità, e cari-
car la memoria degli ascoltanti danno esse al di-
scorso un'aria più d' uri trattato scolastico, che e?
un'orazione.
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nasca , e dipenda dall' altra , dar si dovrà
sempre il primo luogo a quella, che serve
ali* altra di base e di fondamento , e di cui
questa sia come un effetto, ed una conse-
guenza . Debbonsi inoltre distribuire in mo-
do queste parti , che V orazione „ vada sem-
pre crescendo,' e perciò quelle debbono ali*
altre succedere , le quali porgon motivo , ed
occasione di metter fuori cose sempre >piit
forti, ed interessanti. Di tutti questi precet-
ti fin qui brevemente accennati scorgerete
manifestamente la pratica nei seguenti esem-
pi. Sia il primo quello, che ne dà Cicero-
ne nell'orazione in difesa della legge Ma-
nilla, nella quale dopo la narrazione divi-
de così brevemente, e con tutta la sempli-
cità la sua orazione : » Primum mihi videtuf
de genere belli, deinde de magnitudine , tum
de Imperatore deligendo esse die endum 55. N bri
metto semplice , chiara , ed ordinata è la di-
visione , che fa nel!' orazione in favor del
foeta Archia: »Quod si miài a voiis tribui v
concedile sentiam , perficiam prqfecto , ut hunc
A. Licinium non modo non segregandnm , cum
sit civis , a numero civiiun , verum enarri si
non esset , putetis adsciscendum juisse » . Ser-
va finalmente per tutti gli altri, che addur
potrei , V esempio del Casa nell' orazione ai
Veneziani per la lega: n Nel qnal ragiona-
mento , acciocché le mie parole con qualche
ordine procedano , io dirò prima del grave , e
mortai pericolo, che sovrasta, anzi che tocca,
e percuote la misera Italia e voi per la so-
ver z
*64
pèrchia potenza dell* Imperatore; ed appressò
dichiarerò, die a schivare, e fuggire sì fatto
pericolo non si pub trovare altro scampo, nè
altro ricovero fuorché un solo senza più , cioè
se voi collegherete le forze vostre, e V armi
vostre congiungerete con S. Chiesa, e con il
Eè Cristianissimo di Francia; e dopo a que-
sto proverò , che se voi accetterete la lega , e
la compagnia dei suddetti Principi , voi pren-
derete buono , ed opportuno scampo alla vo-
stra salute, il quale scampo ò gii basterà a
fermare il corso, e V impeto del comune av^
versano, ò avremo ozio, e sicura paca sic-
come io spero, e desidero; e se ciò non potrà
essere , egli sia sicuramente atto d sconfigger-
lo, ed abbatterlo, ed avremo gloriosa vitto-
ria , e certa , e sai dà. libertà (a) .
CÀ-
* " ■ f 1 : =2*
(a) A fronte di questo esempio , che ci presen-
ta la più fiella imitazione di Cicerone nell'orazio-
ne in difesa della legge Manilia , non so con quaf
fondamento asserisca il più volte citato Traduttore
di Blair, dopo aver detto esser ben rare le formi-
li divisioni in Demostene, e in Cicerone, che le
orazioni del Casa pur ne va» senta . Cori tutta ra-
gione poi egli s' unisce con Blair a non approvare
il sentimento di Monsignor Fenelon , i( quale rie*
suoi Dialoghi su V Eloquenza si dichiara contro il
metodo di fissar nelle Prediche i punti della divi-
sione. L'esempio di Demostene, di Cicerone, del
Segneri , nell'orazioni de' quali fcen rare sono , co-
me egli dice, le divisioni formali, dimostra al più,
non essere assolutamente necessaria la divisione*
rendersi talvolta anzi opportuno il tralasciarla , co-
ine quando di breve ragionamento si tratta , ò/tfftw
do
— ■
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*
CAPÌTOLO ÌV.
f
Dèlia Narrazioni.
Là Narrazione è 1' esposizione di fatti, ò
feàlìiiehte avvenuti , ò tali almeno , che sia*
vi tutta la verisimiglianza, che potessero
Avvenire : » Narratio est rerum gestarum , aut
ut géstarum expositio „ . Così la definì Cice-
rone nel I. dell' Invenzione. Definizione è
questa, come voi beh vedete * universale,
che
# - - v — • — — -fr
do r oratore per fare una grata sorpresa agli udito-
ti giudica meglio di non prevenirli nè riguardo al
metodo , che vuol tenere , nè riguardo alla conclu-
sione i a cui ha ideato di Condurli *, ma poco ag-
giunge di peso air opinione dell'Arcivescovo di
Cambray • Perchè infatti escluder affatto dall'ora-
zione quello, che può molto giovare è all'oratore
rispetto air ordine, e alla disposizione, e agli udì-*
tori rispetto non solo siila più facile intelligenia ,
e memoria di ciò che ascoltano, ma riguardo an-
cora al piacere , che provano , come avverte sag-
giamente Quintiliano, nel prevedete vicino il ter-
mine dell* orazione insieme , e della lor sofferenza ,
disponendosi così ad ascoltar più volentieri quello,
che ancora rimane , tome con maggior coraggio
prosegue il suo cammino quel viandante che dalle
miglia notate nelle lapide rileva , quanta strada ha
percorsa, e quanta a percorrere ancor gliene resta
per giùngere al termine destinato? „ tkeficit *»-
dientern certo singularium partitivi fine . non a/iter
quam facientibus iter tnultum dctrabnnf foiigafkh
nis notata spatia inscriptis lapìdibus ? nam et ex-
haitstì laborit nosse tnensuram voluptatis est, et
bortatur ad reliqua fottius exequenda sette , quan*
tum supersit „ ,
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266
che qualunque narrazione abbraccia, ó ve-
ra sia, quale è la narrazione istorica, ó
verisimile, qual' è T Oratoria , ò nè vera,
nè verisimile, qual' è la narrazione poeti-
ca, e favolosa. Della Narrazione Oratoria,
come parte dell' Orazione considerata con-
verrebbe > che qui facessi soltanto parola ;
ma nè inopportuna, nè inucil cosa sarà,
che anche della Narrazione istorica bre-
vemente vi parli, tralasciando tutto quello,
che alla Narrazione poetica , e favolosa ap-
partiene , per non ripeter ciò che della me-
desima nella Poetica abbiamo già detto .Pri-
,ma però di quello io giudico dover favellare,
che a tutte le accennate specie di Narra-
zione è comune, delle qualità cioè, da
cui qualunque buona Narrazione debbe es-
sere accompagnata. Queste voi troverete
chiaramente spiegate nel citato Libro dell"
Invenzione, e sono la brevità, la chiarez-
za, la probabilità (a); alle quali un' altra
nelle sue partizioni Oratorie Cicerone ne
aggiunge, ed è la soavità; ed Aristotele
nel ni. Libro della sua Ilettorica insegna f
* che in ogni narrazione un' altra qualità
scorger si dee , ed è la costumatezza . Ed
ecco la maniera, eon la quale secondo Ci-
cerone, da cui nel darvi di queste una giu-
sta e chiara idea, non mi dipartirò-, ren-
der si può breve la narrazione. Non deesi
que-
9z ■' -t
(a) Oportet igìtur eam tres balere res , ut (ne-
vi: , ut aperta , ut proba bi ti s sit .
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i di
Questa da più alto principio ripetere > che
dall' origine stessa del fatto, nò più oltre
estender di quello , che il fatto stesso ri-
chieda; e ci guarderemo dall' imitar colui,
il quale , come dice Orazio nella sua Poe-
tica, narrar \ olendo la guerra di Troia in-
cominciò dall' ovo di Leda, da cui nacque
anche Elena cagione principale della me-
desima guerra. Fuggir si debbono inoltre le
inutili digressioni , che troppo dallo scopo
principale ne allontanano, come pure le
ripetizioni delle medesime cose. Niente in-
somma dicasi più di quello , che è neces-
sario per una chiara, e distinti cognizione -
di ciò che si narra > e fuggasi la moltitu-
dine non meno delle cose > che delle paro-
le non necessarie (a). Là chiarezza,' che di
qualunque discorso al dire di Quintiliano
è il pregio principale (b) , non mancherà cer-
tamente alla narrazione , quando si fugga il
parlare equivoco ed ambiguo, si adoprino
parole proprie, e dà tutti intese ed usate *
si notino distintamente, e si spieghino tin-
te le necessarie circostanze dei fatti , e nel
narrarli si segua 1' ordine dei fatti mede-
simi e de' tempi e de' luoghi, in cui so-
no avvenuti ; quando finalmente alla nar-
razione quella dote non manchi, che si è
di sopra accennata , cioè la brevità , la qua-
le
(a) Noti vììhus rerum non necessariarttm i quam
verborum multiiudine supersedeudum est .
{b) Prima autem Oratiòuis virtù* est perspicuità!:
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2Ó8
;lc più d* ogni altra cosa ne rende fàcile i*
intelligenza (a). Probabile poi, ò •verisimile
sa rà quella Narrazione , nella* quale sem-
brerà , che nulla manchi di ciò, che in uri
fatto vero suol ritrovarsi (b) . Perchè adun-
que sia tale , fa d' uopo conservare i ca-
ratteri delle persone , cosicché non s intro-
ducano a dire, ò far cose, le quali esser
non possono nè dette ne fatte . Bisogna espor-
re i motivi, e le ragioni del fatto, e nel
tempo stesso neir autore del fatto la pos-
sibilità, e la forza d' effettuare quanto
narrasi essere stato da lui operato. \J op-
portunità del tempo e del luogo, in cui è
stata fatta V azione , sempre più probabile
renderà la narrazione, alla quale aggiun-
gerà nuovi gradi di probabilità, e di ve-
risimiglianza la voce, e la fama comune ,
T altrui testimonianza, ed autorità, la sem-
plicità ed il candore dello stile, la cono-
sciuta probità dell' aurore medesimo della
narrazione-. I quali precetti se osservar si
debbono in una vera Narrazione , insegna 1'
autore della Rettorica ad Erennio, tanto più
doversi ciò fare in una Narrazione finta e
favolosa , per darle tutta V aspetto- possibi-
le
» . . : - ■ r- ~= — ==r *
(a) Qttae praecepta de itevi tate sunt hoc quoque
iti genere sunt conservando , nam scmper res par uni
est intellecto longitudine magis , qua-m obscuritate
narra t ioni s ,
(b) Probabili^ erit narrati» , si in ea videèuntur
inette , quae solent apparere in ventate .
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269
le <U verisimiglianza (a) . La soavità della
Narrazione da due cose principalmente de-
riva , dalla qualità cioè di quel che si
narra, e dalla maniera, onde si narra. Le
cose grandi, nobili, nuove, ed inaspettate
render sogliono soave la narrazione. Ma
tanto più soave, e grata addiviene, quan-
do le cose per se stesse grandi, e singolari
espresse sono con uno purgato ed elegan-
te stile, con una frase scelta ed esprimen-
te, con una semplice e naturale, ma nel
tempo stesso armoniosa, e piacevole dispo-
sizione di parole. I Dialogismi inoltre, ò
sia i discorsi, che taluno tiene, ò finge di
tenere con se stesso, ò con altri , esprimen-
do le vicendevoli interrogazioni, e risposte,
le figure, colle quali conviene adornare, o
ravvivare di tanto in tanto la narrazione,
gli affetti diversi, che in essa si possono
opportunamente esprimere, ( specialmente
se della narrazione Poetica , ed Oratoria si
parli) più d' ogni altra cosa secondo T in*
segnamento di Cicerone contribuiscono alla
soavità della narrazione (b). Finalmente la
probità, sincerità, il buon nome del dicito-
re, la decenza, e l'onestà sì delle parole, co-
me
* ■■ ■ ■■ ~ ==«
{a) Si vera res erit , baec omnia conservando , eo
m a gis , si fi et a .
(b) Suavis antem varrai io est , quae habet ad-
tniratioues , exspectat'iones , exittts inopiuatos , in-
terpositos mot us auimorum, colloquia per sonar um ,
More$ , ir oc un di a$ , metus , laetitias , cupiditates .
Partit. Orator.
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*ne de sentimenti, V esattezza tìelf espiri-»
niere, e conservare i costumi, ed i carat»
teri delle persone, che s' introducono a par-
lare , rendono, secondo 1* insegnamento d'
■^Aristotele, costumata la narrazione.
Esposte le qualità, ed i pregj d' un'ot-
tima narrazione, conviene adesso, che dopo
avere alcuna cosa opportunamente accenna-
ta in questo luogo intorno alia narrazione
istorica, ci affrqttiamo a parlare di quella
narrazione , che forma una parte del discor-
so . La narrazione istorica quella essendo ,
che segue sempre per scorta la verità non
può allontanarsi da quelle leggi , che nel IL
jLibro dell' Oratore sono da Cicerone giu-
diziósamente prescritte La prima legge , che
osservar dee un Istoiico quella si è, di non
dir cosa, che vera non sia, e di non tacer
quello , che è realmente avvenuto (a) . Li-
bero esser dee da qualunque passione, che
indur lo potesse a favorir piuttosto un par-
tito che un altro, e per conseguenza dallo
spirito d'uno smoderato amor della patria,
da ogni parziale riguardo per la parentela,
ò per r amicizia, da ogni prevenzione con-
traria , ò favorevole , che per alcuni potes-
se aver concepita , essendo queste le prin-
cipali cagioni, che impediscono di scoprire,
e distinguere la verità > e con sincerità ma-
ni-
4r ' • - ~T-~ • — n . t *• *
(a) Quis nescit primsm esse historiae legem , ue
fluid falsi dicere audeat , 4*i*4t »f veri
fi uba | ;
■
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infestarla, quando anche siasi riconosciuta
(a). E distinguendo, come fa Cicerone, ri-
guardo all' Istoria i fatti, che si racconta-
no, e lo stile» onde si debbono narrare, ri-
spetto ai primi dee seguirsi esattamente
dallo storico V ordine de* tempi, nei quali
sono avvenuti , e non è lecito ad esso , come
al Poeta, il variarlo . E se si tratta di fatti ce-
lebri, e rilevanti, si debbono distintamente
esporre le mire, ed i motivi, per cui furo-
no intrapresi, la maniera, onde furono ese*
guiti, e le conseguenze, che ne derivarono,
facendo vedere, se effetti furono della pru-
denza, ò del caso, ò dell'inconsideratezza,
e della temerità. Conviene ancora, che di-
ligentemente descriva i luoghi , ove sono le
cose avvenute, e dia una cognizione chiara
specialmente delle persone illustri, e famo-
se, che gran parte ebbero nei fatti, eh' ei
narra {b) . Riguardo poi allo stile, che richiede la
nar-
gz=:=: . $
(a) Ncque stupido sit gretta* in scribeudo , ne-
que simultatis .
(b) Rerum ratio ordinerà temporum desiderai , re-
gionum descriptionem; vult etiam ( quoniam in re-
bus m agni s , memoriaque diguis Consilia primum ,
deinde tieta , postea eventus exspectantur) et de con-
siliis significari , quid scriptor probet , et in rebus
gestis decUrari , non solum , quod acuivi , aut di-
etimi sit , sed etiam quomodo , et cum de eventu di-
catur , ut catfsae explicentur omnes vcl casus , vel
sapicutiae, vel temeritatis , hominttmque ipsorum
non solum res gestae , sed etiam qui fama , ac no-
mine ex celi uni] de cttjusque vita, ac natura.
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narrazione Istoria » il medesimo Cicerone
insegna dover esser questo elegante sì, ma
nel tempo stesso piano» semplice» e mode-
rato» lontano dagli ornamenti dello stile
oratorio , e molto più dallo stile pungente,
ed aspro dei foro (a).
Della narrazione Oratoria, la quale
forma il nostro principale scopo, parlando,
fa d* uopo distinguere la narrazione , che i*
oratore premette alla causa, dall'altre nar*
razioni che nel suo discorso inserisce, e ch$
dalle descrizioni non si distinguono. La pri-
ma, che è quella* di cui principalmente si
tratta, quando come parte dell'orazione la
narrazione si considera» in altro non consi-»
gte, che in una chiara esposizione del tat-
to, da cui nasce la questione, che serve di
fondamento alla causa. Così nell'orazione
in favor di Milone racconta Cicerone 1' uc-
cisione di Godio con tutte le circostanze,
chela precedettero, e l'accompagnarono,
per poter quindi dal fatto stesso rilevare ra-
gioni bastanti a dimostrare , che Clodio te»
«e insidie a Milons» e che per conseguenza
Milone uccidendo Clodio altro non fece che
rispingere la forza con la forza , ed uccide-
re l'ingiusto aggressore. Così nell'orazione
in favor della legge Manilia dopo l'esordio
per
{a) Getius Qratìonis fusum , atque tractum , ac cum
lenitati quadam aequabili profluenf , fine bac judi*
fiali asferitate , et sìne settfenfìaruffiforenfiumac**
Uh persefucndum est ,
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»
per mezzo d' una breve , e chiara narrazio-
ne mette al fatto il popolo Romano della
guerra mossagli da Mitridate, e da Tigra-
ne, e con ciò si fa strada a dimostrare la
necessità d'armarsi contro questi nemici, e
d* affidare a Pompeo T amministrazione
delia guerra . Questi , e molti altri e*
sempj , che per brevità tralascio leg-
ger potete presso il medesimo Cicerone.
1/ Oratore però, come può vedersi leggen-
do le orazioni di Cicerone , fa servir sempre
la narrazione al suo intento, cosicché òdel
tutto la tralascia, quando non è alla causa»
che tratta , opportuna e necessaria , ò quel-
le cose espone soltanto, che far possono a
suo favore, ed accrescer peso, e forza alla
sua orazione . Nè in questo soltanto si al-
lontana T Oratore dalla semplicità , e fe-
deltà della narrazione istorica, ma le cose
stesse eh' ei narra, quanto più può, colle
sue riflessioni e raziocini ingrandisce, e in
queir aspetto pone, che più gli è favore-
vole» ravvivando le sue narrazioni coir uso
delle figure , e colla mozione degli affetti .
Rifletter dovete intanto , che una tale nar-
razione, sebbene abbia luogo specialmente
neir orazioni in genere Giudiciale, raggi-
randosi questo intorno ai fatti, dai quali
nascono le questioni civili e criminali , el-
la è opportuna però in ogni Orazione, a
qualunque genere ne appartenga V argomen-
to. Sono le orazioni in genere dimostrativo,
ed esornativo una quasi continua narrazio*
T ne.
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e . Ma oltre ali esposizione dei fatti , che
servono di materia alla dimostrazione, ed
alle prove , può aver luogo sui principio la
narrazione di qualche fatto, ò di qualche
circostanza particolare, che apra V ingresso
alla confermazione , e le serva di principio
e di fondamento . Lo stesso dicasi dell' ora-
zioni in genere deliberativo , nelle quali
terrà luogo di narrazione una chiara espo-
sizione del fatto, ò della materia, che ser-
ve di soggetto all' orazione. L* esempio ri-
ferito della narrazione, che Cicerone pre-
mette, della guerra, che sovrastava all' im-
pero Romano per parte di Mitridate , e di Ti-
grane nell' orazione in difesa della legge
Manilia, la prima parte della quale riguar-
dante la qualità , e t importanza della guer-
ra, è in genere deliberativo, basta per con-
fermare , e schiarire quanto vi dico . Questa
spiegazione del soggetto , sul quale s' ha da
ragionare, è opportuna non solo, ma anche
necessaria ne' sacri , e morali ragionamenti .
^ Lo spiegar con proprietà la dottrina del
testo ( dice il Signor Blair ) il dare una piena
e chiara contezza della virtù , b del dovere ,
che forma il soggetto del discorso, è propria-
mente la parte didattica, ò istruttiva del
predicare, e dalla retta esecuzione di questa
parte assai dipende la persuasione, che viene
in appresso. La grand* arte di ben riuscirvi
consiste nel meditare profondamente il sogget-
to, onde poterlo mettere in un chiaro, e viva
punto di vista Sia il Predicatore ben per-
saa-
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a?5
sliaso, che con un opportuno , e distinto schia-
rimento delle conosciute verità della Religio-
ne ei potrà non solo mostrar gran merito
nel comporre-, ma quel che più importa, ren-
dere i suoi discorsi robusti, istruttivi, e pro-
ficui n . Presso i più insigni Oratori osservar
potete la pratica d'un sì importante precet-
to. Leggete la Predica XXIII. del P. Segne-
ri , e vedrete come si fa strada a dimo-
strar 1a gravezza del delitto di chi profa-
na le Chiese , con lo stabilir prima , e spie-
gare il principio, e la massima riguardo al
culto , con cui Iddio , benché si trovi in
ogni luogo presente, e si possa, e debbasi
in ogni luogo riconoscere, e rispettare li.
sua adorabile presenza, vuole però esser
nelle Chiese particolarmente riconosciuto,
ed onorato.
CAPITOLO V.
Della Confermazione.
Le parti dell' Orazione , delle quali vi ho
finora parlato , non riguardano propriamen-
te l'orazione medesima. Altro non hanno
esse per oggetto, come ognun di voi ha po-
tuto facilmente comprendere, che di prepa-
rare l'animo degli uditori ad ascoltare con
piacere ed attenzione, e con facilità in-
tender ciò, dre l'orat or e è per dire. Rani-
men-
men-
jnentar vi dovete quello, che fin dal prin-
cipio di queste Rettoriche Istituzioni accen-
nai, che il fine, cui l'oratore propor si dee,
quello si è di convincere, e di persuader
gli uditori; il qual fine ottener non poten-.
dosi, che per mezzo d'una forte e ben ra-
gionata dimostrazione, ne segue, che in-
torno a questa debba in special modo l'ora-
tore con tutta l'arte, e con tutto l'impe-
gno occuparsi. Quanto io dico vien confer-
mato da Quintiliano, il quale nel libro V.
delle sue Istituzioni Oratorie , introducendo-
si a parlare delia Confermazione dice : » Nani
neque proemii, ncque narrationis est alius
usus , qnam ut judicem praeparet , et status
nosse , et ea 9 de quibus supra scripsimus , m-
tueri supervacuum Jorety nisi ad liane perve-
nir emus ». Tempo è adunque, che di questa
parte dell' oraziane da noi pure si parli , la
quale forma il principale scopo del discor-
so. La Confermazione pertanto è quella
parte dell'orazione, nella quale con chiare
e convincenti prove studiasi l' oratore di
persuadere gli uditori della verità di ciò,
che fino dai principio si è proposto di di*
mostrare . Ma* siccome restar non potrebbe-
ro gli uditori pienamente persuasi, e con-
vinti, se dileguate non fossero l'opposizioni
degli avversari, e le difficoltà, che nascer
potessero nell'animo degli uditori medesimi
contro quello, che l'oratore dice; due par-
ti perciò comprende la Confermazione, nel-
la prima delle quali dimostra l'oratore di-
re t-
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rettamente la verità del suo assunto, indi-
rettamente nell'altra, confutando, e dimo-
strando false le ragioni degli avversar^ e
sciogliendo le giudiziosamente prevenute
difficoltà, che potrebbero essergli fatte da-
gli uditori. Della prima parte della Confer-
mazione , ò della dimostrazione diretta del-
le proposizioni converrebbe, ch'io vi par-
lassi. Ma qual cosa mai aggiunger potrei a
ciò, che intorno a questo proposito avete
già ascoltato? Ed in che altro consiste la
Confermazione Oratoria, che nel persuade-
re gli uditori della verità proposta per via
di moiteb en ordinate, e adorne ragioni?
Ma di questo ho già nella prima parte am-
piamente favellato , accennando i fonti sì
esterni che interni, dai quali gli argomen-
ti si traggono, parlando delie diverse ma-
niere d'esporli, ò delle diverse specie d'ar->
gomentazione , dimostrando l'uso, che di
queste fanno gli oratori, e finalmente addi-
tandovi il modo cf amplificare , e adornare
gli argomenti stessi e le prove, onde com-
pariscano in tutta la sua forza, ed atti si
rendano ad espugnare, e convincere l'ani-
mo degli uditori . Tutto ciò richiamate alla
vostra mente, e nulla vi rimarrà da desi-
derare intorno alla prima parte della Con-
fermazione. Io mi contenterò d'aggiunger
soltanto in questo luogo qualche osserva-
zione intorno alla disposizione ed all'ordi-
ne, che dar si dee alle prove Oratorie, tri
diverse opinioni trovo divisi intorno a que-
sto
sto proposito i Retori, mentre stimano al-
cuni, che dovendo l'orazione andar sem-
pre crescendo, dispor si debbono in tal gui-
sa le prove, che sempre alle più deboli le
più forti, e le più convincenti succedano.
Altri sul riflesso, che molto importa guada-
gnare fino dal bel principio, e lasciar pie-
namente persuaso , e convinto V uditore , so-
no di parere , che i più forti argomenti aver
debbano luogo sul principio , e nel fine dell*
orazione , e i meno forti nel mezzo (a) . Ma
6enza esaminare quale di queste opinioni
meriti d'esser preferita, potremo, a parere
del medesimo Quintiliano, dare alle prove
queir ordine , che sia più conforme alla na-
tura della causa, che presa abbiamo a trat-
tare , purché per altro V orazione da' più
forti argomenti partendosi, non venga a
languire , passando ai più deboli . (b)
La Confutazione, che col nome di Ri-
prensione viene da Cicerone chiamata, quel-
la è, per cui dall'oratore si ribattono argo-
mentando, e si rendono vane, ed inutili le
^ ^r- — - ■ 1 ■ 1 1 — g
(a) Quaesitum etiam potentissima argumenta pri-
gione ponendo sint loco , ut occupent anima* , art
summo, ut dimittant y an partita primo, sammo-
$ue , ut in medio sint infirma , an a minimis ere-
scant . Quinti!. Inst. Orat. lib. IV.
(b) Quare prout ratio causae cujusque postulabit ,
ordin abuntur , uno , Ut ego censeo , tantum exce-
pto , ne a potentìssìmis *d hvissima decrescat ara-
tio ,
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ragioni degli avversari (a\> oppure si sciol-
gono le obiezioni , e le difficoltà , che da-
gli uditori, ò da altri che>$ono di contras-
rio sentimento, far si potrebbero contro la
causa che si tratta. In divèrse maniere
poi far si può questa Confutazioae > ò di-
mostrando assolutamente falso ciòcche da-
gli avversari si dice , ò quando sia genial-
mente vero, dimostrandolo falso nel caso
particolare, di cui si tratta; alle forti, e
vere ragioni degli, avversar) altre opponen-
done non meno forti, nè meno convincenti , ò
viziosi ed ingannevoli dimostrando i loro
raziocinj, e vani gli sforzi degli avversar}.
Ma tra le maniere di confutare niuna ve
ne ha più forte di quella , con cui V orato-
re rivolge contro gli avversari quell* armi
istesse, ò con quelle stesse ragioni li con-
fonde e gli abbatte , di cui essi si sono
serviti contro di lui. Dall'attenta lettura
dell' orazioni di Cicerone meglio assai che
dalld regole imparar potrete l'artifizio, la
sottigliezza, ed i sali della Confutazione.
Osservar dovete intanto, non esser questa
necessaria , se non quando si tratta di ri-
muover qualche ostacolo, che impedir po-
tesse la piena persuasione degli ascoltanti,
ed esser anzi affatto inutile, quando la ve-
rità del proposto argomento non è da al-
cu-
(a) Repvehetìsio est , per quam argument*ndo ad'
versar iorum confinasti* diluitnr , «ut infirmatur ,
aut adfevatur.
a8o
«uno contrastata , ed è sì evidente , che dì
ftiuno può revocarsi in dubbio. Può essa
farsi avanti ò dopo la Confermazione ò la
dimostrazione diretta, come si rileva dair
esempio de' più celebri oratori. Ma e ri-
guardo al luogo opportuno per la Confuta-
zione , e riguardo al modo di farla prescri-
ver non si possono regole universali, di-
pendendo tutto dal criterio* e dai buon di-
scernimento dell'oratore, il quale deve sa-
per distinguere ciò, che pòssa più contri-
buire all'esita felice della sua causa.
CAPITOLO VI.
Delia Perorazione.
D opo avervi bastantemente spiegata la
jiatura della confermazione Oratoria, e del-
le altre parti dell' Orazione y che ia prece-
dono* conviene, che io mi affretti versò li
conclusione ed il termine di quésta parte
delle nostre Istituzioni Oratorie, favellando-
vi della Perorazione, che è 1' ultima parte,
e forsé la più interessante . In questa infat-
ti trionfa principalmente V arte dell' ora-
tore, é la forza dell' eloquenza, ed è, per
cosi dire , il colpo , é 1' assalto , che décide
della vittoria, e del buon esitò della causa.
É' molto 1' avere per mezzo d' una bén ra-
gionata, e forte dimostrazione conviriti, e'
per-
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28l
persuasagli uditori. Ma se dalla persuasio-
ne dell' intelletto non passa 1' oratore àlli
mozione degli affetti, e non giunge a gua-
dagnarsi il cuore, e la volontà déglt udi-
tori , ed a trionfarne , vano ed inutile ri-
marrebbe in gran parte il |uó discórso . Li
Perorazione dunque è un àrti£ttìds8 terminò
dell' Orazione ; ò quella parte, nella quale*
T Oratore riepiloga, é compendiósslmenté
ripete le cose principali nel decorse* dèli*
orazione diffusamente esposte j e cori mag-
giore veemenza , é calore si studia di ot-
tenere quei fine; che si era in tutta T ora-
zione proposto. Due parti però distinguersi
debbono nella Perorazione, come nelle sue
partizioni Oratorie insegna Cicerone, ì' enu-
merazione cioè , ò vogliàni dire V epiloga ;
è r amplificazione . L'epilogo, che far si
può ò avanti* ò dopo r amplificazione,* cotir
éiste nella breve ripetizione de' punti prin-
cipali , e de principali, e più forti argo-
menti nel decorso dell' orazione àmpiàhiéii-* x
te trattati, ripetizione, la quale altro nòti
avendo in vista, che d' ajutare la memoria
degli uditori, inutile addiviene, quando bre-
ve sia il ragionamento , e dubitar non si
pòssa ; che sia rimasto bene impresso'
neir animo degli uditori. Che se al contrà- ,
fio di lunga orazione si tratti , ella è , co^
me insegna Quintiliano, non solamente op-
portuna al termine dell' orazione, ma ari-
cora di qualunque dei punti principali , nei
quali ti è V orazione' divisa. Due redole
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$82
debbonsi secondo il medesimo Quintiliano
osservar nelT Epilogo. La prima è, che
non sia troppo minuto, e non si ripeta in
esso tutto ciò che si è detto , poiché al-
trimenti non un epilogo , ma un' altra ora-
zione dirsi dovrebbe (a) ; la seconda , che
V epilogo non sia tanto semplice, nè tanto
spogliato d' ornamenti, quanto la proposi-
zione, e la divisione di essa , ma ravvivato,
sostenuto da gravi sentenze, e dalle più
belle figure variato, ed ornato (b). Di tut-
te queste regole voi scorgerete manifesta-
mente la pratica, e l'uso nell'orazioni de*
più illustri tra gli antichi,e moderni oratori . Op*
portuno mi sembra addurvi qui per esempio la
Perorazione dell' orazione di Cicerone in
favor del Poeta Ardua, nella quale non so-
lo si vedono brevemente ripetuti i due pun-
ti principali, nei quali ha divisa sul prin-
cipio la sua orazione, ma giudiziosamente
toccate, ed enumerate le principali prove
per dimostrare, che Archia era cittadino
Romano, e che quando tale stato non fosse
meritava V onore della Romana Cittadinan-
za: 95 Quare conservate, judiccs , hominem
f udore eo, quem amicorum studiis vidctis
comprolari, tum dignitate, tum edam verni-
sta-
* Z = — #
(a) In bac quae repetemus , brevissime dicendo
sunt .... nam si morabimur , non jam enumeratio ,
sed altera quasi fiet oratìo .
(b) Quae autem enumerando videutur , cum fon»
dete aliquo dicendo sunt , et aptis excitanda sen*
tentiis , et figuris utique variando .
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state, ingenio autem tanto, quantum td con-
venti existimari, quod summorum hominum
ìngeniis expetitum esse videa tis ; causa vero
ejusmodi, quae benefìcio legis , auctoritatc mu-
nicipii, testimonio Luculli, tabulis Metellicom-
probetur Nè meno bello è T epilogo, »
che fa neir orazione in favore della legge
Manilia, in cui si propone di parlare della
necessità della guerra contro Mitridate, del-
la di lei importanza e grandezza , deU*
elezione d' un buon Generale atto a soste-
nerla con buon esito; e dopo avere di ciò
ampiamente trattato, prima di passare alla
confutazione delle ragioni, che gli avver-
sari adducevano contro 1' elezione di Pom-
peo all' amministrazione della guerra, così
riepiloga i capi principali della sua orazio-
ne ; » Quare cum et bellum ita necessariurn
slt , ut negligi non possiti ita magnum , ut
accuratissime sit administrandum , et cum ei
imperatorem praeficere possitis , in quo sit
eximia belli scientia, singularis virtus, eia-
rissima auctoritas , egregia fortuna; dubita-
bitis 9 Quirites, quin hoc tantum boni, quod a
Diis immortalibus oblatum , et datum est, in
rempubl. conservandam , atque amplificandam
conferatisì » Per tutti gli altri esempj, che
addur potrei serva finalmente quello , che
Monsignor della Casa somministra nella
sua prima orazione per la Lega, nella qua-
le essendosi proposto di favellare prima del
pericolo, che ai Veneziani per parte dell'
Imperatore sovrastava, quindi del mezzo à*
evi-
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Ì84
cavitario collegandosi col Re di Francia, e
col Papa , finalmente dell' esito felice di
questa lega, riduce così in ultimo alla me-
moria degli ascoltanti i punti principali del-
la sua orazione : » II Papa adunque , e il
Cristianissimo Fè di Francia , e la magnani-
ma, e forte , e fedele nazione degli Svizzeri
questa elettissima città con la mia lingua ad
alta voce ora chiamano, ed invocano a difen-
dere la libertà d* Italia , e la sua , e a par-
tire fra noi le guardie , e le vigilie, sicché
noi possiamo resistere agli assalti dell' Impe-
ratore* e da' suoi agguati difenderci . Non
tardate adunque, e bene avventurosamente le
virtuose armi con sì forte, e fedel compagnia
prendete-, imperocché il pericolo, e la tempe-
sta, ove la vostra salute vacilla e sommcr-
gcsiy è grandissima ed inestimabile, e niuno
argomento abbiamo e in ninna parte ne terra ,
ne porto prender possiamo per salvarne, se
non quest'uno di raccozzare le nostre forze
divise, e un corpo farne, e all' onde opporlo 95 .
In che cosa consista poi la seconda
parte della Perorazione, che , come avete
udito, viene da Cicerone Amplificazione chia-
mata, imparar lo potete dal medesimo Re-
tore , il quale nel libro II. dell'oratore in-
segna, che se tutto nell'orazione conchiu-
der si dee con amplificare le cose, infiam-
mare ò calmare giusta l'opportunità della,
causa l' animo degli uditori , e tutto adope-
rar si dee , e dirigere a muovere le loro
menti, * disporle ia nostro favore* e- ai no-
stri
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285
stri sentimenti richiamarle, ciò far si dee
specialmente, e con maggior forza ed im-
pegno al termine dell'orazione (a). Nella
Perorazione adunque ha luogo principalmen-
te la mozione degli affetti, e di quello in
particolare, che richiede la causa, e da cui
della causa medesima l' esito felice dipende .
In essa perciò più che in altra parte dell*
orazione opportuni sono i più vivi, e i più
sublimi tratti d'eloquenza, le più belle, e
le più energiche figure. Ma e degli affetti,
e delle figure atte ad esprimere con tutta
la vivezza gli affetti medesimi , avendovi
nella prima parte diffusamente parlato-, nul-
la mi rimane da aggiungere a questo pro-
posito. Solo vi esorto a leggere con atten-
zione le belle, e forti Perorazioni, che pres-
so Cicerone specialmente incontrerete, e
presso il più insigne fra' Toscani oratori
Monsignor della Casa e nell' orazione a Car-
lo V. per la restituzione di Piacenza ( la di
cui Perorazione ho interamente riportata , e
come il più bel saggio di soda, ornata, e
patetica eloquenza proposta , dell' affetto di
compassione favellando) e nelle due ora-
zioni per la lega, della seconda delle qua-
li mi ristringo soltanto a proporvi per esem-
pio
*——==== = , — == *
(j) Omnia autem concludenda pUrumque rehus
augendis , vel infiammando judìce vel mitigando ,
omniaque , ettm superioribus orationis locis , tum
maxime extiemo ad mentes judicum quam maxime
permovendas , et ad ut aitatevi nostrani voeandas
conferenda .
ag6
pio r energica, ed elegante Perorazione. Ri-
volgendosi egli adunque sul, fine del suo
ragionamento ai Veneziani, così a prender
T armi contro l'Imperatore, e a difender
la patria gì* incoraggisce, e gli esorta: n Non
vogliamo noi dunque un poco gli occhi apri-
re , e alla salute della nostra nobile , e vene-
randa patria rivolgerli, la quale le sue mara-
vigliose bellezze, e le sue virginali membra
miW anni e più intatte, pure, e monde sco-
prendoci, mercè ne chiede, e le reti e le in-
sidie alla virginità di lei da potente, e sfre-
nato adultero tese lacrimosa, c dolente ne
dimostra? La Religione, Vanni, gl'inganni,
le lusinghe, le minacce, i prieghi, la violen-
za* V Impero , la Germania, e la Spagna, e
V Italia sono in punto , ed in assetto contro
di noi , e schiera , e stuolo contro a questo
Stato fanno, e muovono-, e ciò vede ciancino
fuori che noi soli, cui il soverchio desiderio
di pace ha gii occhi velati, e rinchiusi. Apria-
moli adunque , e questa fredda pigrizia da
noi cacciamo , e dell* accidiosa morbidezza
spogliamoci, e virile animo prendiamo, poiché
riè tempo ornai, Serenissimo Principe . Ricor-
diamoci , che i savj , prudenti e magnanimi
nostri passati renderono questo Stato di picco-
lo, e dimesso ch'egli era, grande, ed eleva-
to, e tale a noi lo lasciarono, quale la Sere-
nità vostra lo possiede oggi, bello, ricco, e
forte, è glorioso, non colla pigrizia e col
sonno e con V ozio , ma con V industria , e
«
col travaglio, e con la virtù. E fermamente »
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se le felici anime loro sono in parte, che es-
se la. nostra lentezza, e la nostra tardanza
mirino , e Z' amore , che i valorosi uomini di
qua alle patrie loro portarono, dura eziandìo
dopo la morte, come fa certo, essi sono ma-
linconiosi, e dolenti, e solleciti delle Imperia*
li forze , senza modo , e senza misura alcu-
na cresciute, e moltiplicate. Anzi son io cer-
to, che essi fra noi ora si seggono, e i salu-
tiferi suffragi , ond y eglino nei loro tempi que-
sta Repubblica a Reale altezza sollevarono,
a noi ora tacitamente porgono , forte , e aspra-
mente della nostra pericolosa tiepidezza, e
della nostra viltà cotanto dal loro vigore , e
dalla loro virtù traviata riprendendoci . Piglia-
moli adunque, e i passi nostri con più solle-
cito studio a quel cammino, ove segnati sono
i gloriosi vestigj loro , rivolgiamo , e questa
poderosa lega accettando, studiamoci di trar-
re la nostra inclita Venezia di questa tacita
servitù , e di recarla in suo stato, libero , e
franco, acciocché, quale noi dalV onorarissime
mani de nostri antichi Avoli la ricevemmo ,
tale ai futuri loro , e nostri discendenti ren-
dere la possiamo ».
CAPITOLO VII.
Dei diversi generi di Cause, e d* Orazioni-
t* ine daranno a questa seconda parte al-
ca-
a«3
enne brevi osservazioni, che andremo fa»
Cendo intorno ai diversi generi, ai quali
jridur si possono tutte le cause. Il fine del
nostro instituto e 1' ordine delle cose ri-
chiede infatti, che dopo avere dell' Orazio^
ne e delle sue ditverse parti trattato , bre-
vemente io vi parli de* diversi generi d*
orazione derivanti dalla diversità delle co-
se , che a trattare si prendono dall' oratore .
Ed essendo dovere dell' Oratore di parlare
acconciamente, ed ornatamente di qualun-
que cosa , che vengagli proposta , voi veden-
te , che più vasto esser non può il campo
dell' eloquenza, e che tutto può esser sog-
getto dell' arte Oratoria. Ma sì V orazioni,
come le cose, che in esse si trattano, atre
generi si riducono Giudiciale , Dimostrativo 7
e Deliberativo,
Le cause forensi ò criminali quali so-
no le accuse 5 e le difese di coloro, che ò
realmente sono rei di qualche colpa. , ò
come tali vengono falsamente supposti, ò
cìviliy come quando si tratta di difendere,
ò d' impugnare un diritto, un possesso, un
credito, e simili , formano siccome Cicerone
insegna nel primo libro dell' Invenzione , la
materia- per Je orazioni di quei genere, che
giudiciale si appella (<*)• Tali sono per la
maggior parte le orazioni del medesimo Ci-
ce-
S '- — 1 i- ■ ' " i — -
(#) Jttdiciale est, quod pusitum in judicio hnbet in
Se fiCCUSatÌQHtm , et d*fen$ÌQfjem , (tilt petit ione !h 9
9t rgeusatìonem »
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cerone , il quale in esse ha messo in pra«
tica rutti quei precetti , che ci dà intorno
alla maniera di comporre orazioni di que-
sto genere. Dalla lettura adunque di esse
apprender potete , quale artifizio usar deb-
ba T oratore, e per guadagnarsi fin dal
principio T animo dei Giùdici, e per com-
parire unicamente difensore della verità , e
della giustizia, senza che scorgasi in lui
spirito d* odio , ò di vendetta contro il reo
che accusa, ò troppa parzialità verso colui
che difende, e per dimostrare con eviden-
za la reità, ò 1 innocenza dell' accusato,
e finalmente nel confutare tutte le ragioni
contro la causa addotte dagli avversar) (a) .
Le cause del foro, come vi ho fatto più
V voi-
»=s = ■ = *
{a) Osservi per altro con molto giudizio il Sig.
Blair , che sebbene anche ai dì nostri non debbasi
da un legale , e da un avvocato trascurare la let-
tura di Cicerone , pure attesa la maniera diversa ,
onde si trattavano un tempo , e si trattano adesso
le cause del foro , inopportuno , e forse anche ri-
dicolo sarebbe di presente lo strepito , e V ardore
di quella eloquenza , che domina nelle orazioni di
Demostene, e di Cicerone. Parlavano essi alla pre-
senza d* un intero popolo, 6 in adunanze di mol-
ti giudici composte , e si rendeva necessaria un*
eloquenza , che agisse anche sul cuore degli ascol-
tanti , e ne infiammasse gli affetti. Ora parlano
gli avvocati ad uno, ò a pochi giudici, e basta
convincerli della giustizia , e della verità . per
altro una scuola anche per questi l'eloquenza, V
ordine, la forza, il raziocinio, che regna nell*
orazioni degli antichi oratori .
■
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volte osservare, erano un tempo presso i
Greci» e presso i Romani il soggetto, intor-
no a cui d* ordinario s' occupava 1* elo-
quenza, e una sola e medesima professio-
ne era quella d' avvocato, e d' Oratore.
Sembra adesso, che una sia dall' altra af-
fatto disgiunta, e che l'arte Oratoria abbia
quasi del tutto presso di noi abbandonate le
cause del foro, ed in tutt' altro, che in
queste s' impieghi. Poiché adunque ò non
mai, ò di rado vi avverrà di dover com-
porre orazioni di questo genere , stimo su-
perfluo , ed inutile il trattenermi di più nell'
csporvi minutamente tutti i precetti , e tut-
te le regole riguardanti lo stesso genere , di
cui piene sono le opere di Cicerone, di Quin-
tiliano e degli altri antichi Retori intorno
all' arte Oratoria .
Il genere dimostrativo abbraccia tutte
quelle orazioni , che intorno alla lode , ò
al biasimo si raggirano, quali sono i Pane-
girici , le orazioni funebri , le orazioni gra-
tulatorie, T eucaristiche, ò di ringraziamen-
to, ed altre simili orazioni, che uno stile
più elevato, più fiorito, più elegante richie-
dono che le altre , e nelle quali è neces-
sario maneggiar bene quell'affetto, che, al-
la natura stessa dell'orazione è più confor-
me; l'ammirazione, e il desiderio della
virtù nelle orazioni panegiriche , il dolore
e la compassione nelle funebri, la gratitu-
dine e l'amore nell'orazioni di ringrazia-
mento, l'allegrezza nelle gratulatorie. I
fon-
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fonti poi , dai quali trar si può la materia
di lode, distinguer si possono in interni, ed
esterni. Gl'interni sono le virtù istesse , e
le gloriose azioni del personaggio, che si
prende a lodare; gli esterni poi sono la no-
biltà della stirpe , la patria , le ricchezze ,
le dignità, gli onorevoli impieghi, e si-
mili altre cose : e quando di persona si par-
Ji, che tali esterne qualità non possegga,
dalla stesja mancanza, e dal virtuoso di-
sprezzo delle medesime trar si può argo-
mento di lode , dimostrando , come senza
questi esterni, e luminosi ornamenti, e con
la sola virtù saputo abbia meritarsi la sti-
ma , e la venerazione degli uomini . Benché
poi condannar non si possa come vizioso il
metodo di coloro, che nel fare L'elogio di
qualche insigne personaggio seguono I" ordi-
ne istorico de' fatti ; più oratorio per al-
tro, più sublime, e più ragionato riesce 1*
elogio medesimo, quando ad una sola pro-
posizione , che della persona lodata conten-
ga, ed esprima il vero e distintivo carat-
tere , tutta la serie delle sue virtù , ed a-
zioni si riduce, in due ò tre parti dividen-
do, quando sia d'uopo, la proposizione me-
desima, e disponendo in guisa le virtù, e
X illustri azioni , le quali in tali ragiona-
menti servono di prove, che ne dimostrino
con forza , ed evidenza Ja verità . Con tut-
ta ragione poi al genere dimostrativo , ò
esornativo, oltre le orazioni panegiriche det-
to abbiamo, potersi ridurre le orazioni di
nn-
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ringraziamento, le gratulatoria, le funebri,
mentre se di queste ancora esaminar e;
piaccia la natura, ritroveremo, che esse pu-
re contengon sempre l'elogio delie persone,
che sono 1' oggetto delle nostre congratula-
zioni , de* nostri ringraziamenti, delle no-
stre lacrime. E' da avvertirsi ancora, che
non le persone soltanto, ma i tempi, e i
luoghi, le virtù possono essere oggetto di
lode, come per esempio chi intraprendesse
a far V elogio della giustizia , delia filosofia ,
dell' eloquenza , della pittura , dell' Italia ,
della lingua Toscana ec. Gli stessi poi so-
no i fonti, che di biasimare alcuno mate-
ria ne porgono, vale a dire l'interne, e V
esterne qualità delle persone, contro le
quali si parla. Delle orazioni sì di lode,
che di biasimo possono servirci d'esempio
quelle di Cicerone in favor di Marcello, e
del Poeta Archia, contro Catiiina , contro
Verre, contro Pisone, contro d'Antonio.
Al genere deliberativo riduconsi tutte
quelle orazioni, nelle quali si tratta di per-
suader gli uditori a fare una qualche cosa,
ò di dissuaderli, e rimuoverli dall' intra-
prenderla. Queste sono al dir di Cicerone le
più difficili orazioni, e che un oratore ri-
chieggono, in cui alla dottrina, ed all*elo-
quenza vada congiunta 1' onestà, e la pro-
bità della vita, e per conseguenza una buo-
na opinione, un gran credito, ed una sin-
golare autorità presso le persone , a cui par-
la (a) . E poiché in tutte le azioni altro
non
- — „ - 1
(*) Sunt enim plernque commutila , sed tamensu-
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293
non si propongono gli uomini, che il van-
taggio e la glona, affine di persuaderli a
fare una qualche cosa, è necessario dimo-
strare, quanto riuscir possa loro ed utile,
ed onorevole. Ed all' opposto volendoli dal
fare alcuna cosa rimuovere, d* uopo sarà 1*
esporre con la maggior forza, ed evidenza
il disonore, e i danni gravissimi, che de-
riverebbero dall' intraprenderla, additando
insieme i mezzi più facili , onde alcuna co-
sa eseguire, ò evitare si possa, e procuran-
do di togliere dai loro animi la prevenzio-
ne, per cui aver potessero come troppo ma-
lagevole appreso, quanto loro si propone.
A questo genere come voi ben vedete ap*
partengono per lo più i ragionamenti sacri ,
e morali, (a) nei quali d' altro non si trat-
ta
» =-. - - n
adere ali quid , sed fame» dissuadere gravissimae
fjjf.br vi de tur esse personae . Nani et sapientis est
cousilium explicare sttum de maximis rebus, et bone-
iti, et diserti, ut mente provi de te , auctoritate prò*
bare , oratione persuadere possit . De orat. Lib. If.
{a) Non so , con qual fondamento, parlando il
Sig. Blair dell' eloquenza del Pulpito, decisivamen-
te asserisca , esser ella d'una natura affatto distin-
ta , e non potersi ridurre propriamente sotto veru-
no de* tre capi dell 1 antica divisione. Ripete pur
egli in più luoghi , che la Predicazione esser do-
vrebbe V arte della persuasione , e che il fine, cui
propor si dee un sacro Oratore , quello è di per-
suader gli uomini ad esser buoni , di dissuaderli
dall' esser cattivi . E non è a questa analoga , e
conforme V idea, che gli antichi Retori ci danno
delle orazioni in genere deliberativo , insegnando ,
che la persuasicne, e la dissuasione ne sono le par-
Digitized by Google
294
ca, che d' istruire gli uditori intorno alle
verità importanti di nostra Santa Religione *
e all' esercizio d' una qualche virtù, ò al-
la fuga d' un qualche vizio eccitarli. Ecco
l' importantissimo oggetto , che un sacro Ora-
tore non dee perder di vista giammai. A
questo anzi gli è d' uopo rivolgere tutta la
sua sollecitudine, il suo zelo, la sua elo-
quenza. Ed io non credo inopportuno V ac-
cennare in questo luogo tra le molte cose ,
che a conseguirlo richiedonsi, almeno le
principali, e le più necessarie. Riguardano
queste e la persona stessa dell' oratore , e
quei che lo ascoltano, e gli argomenti che
tratta, e lo stile, con cui conviene trattarli.
Se in qualunque siasi oratore è neces-
saria , ct>me si è detto, la probità, tanto
più richiedesi questa in colui , il quale al-
tro non predica , che la pratica della virtù
e la fuga del vizio. Vivo, sincero, profon-
do dee essere in lui il sentimento della fe-
de riguardo alla verità de' principi, che
agli altri inculca. Darà questo alle sue esor-
tazioni un calore, e una forza superiore ne*
suoi effetti a tutte tg; arti della pii dotta, ed
elaborata eloquenza ;'tx) spirito di pietà par-
lerà al cuore degli ascoltanti con madore
ef-
* =S ! — ■ *
ti, e gli oggetti principali? Ci sia adunque per-
messo con pace di sì eccellente scrittore di riferi-
re a questo genere i sacri ragionamenti , quelli
specialmente, che diretti sono alla morale istruzio-
ne del popolo .
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... .
efficacia, che uno spirito illuminato, ma
non riscaldato dall'amore di Dio, dallo ze-
lo per la sua gloria , per la difesa della ve-
rità , per T altrui eterna salute, non pur-
gato dal fuoco celeste, che arde suir altare
di Dio . Non mancherà al suo favellare
quella , che unzione comunemente si ap-
pella, e per la quale altro non sembra do*
versi intendere, che un parlar tenero, toc-
cante, persuasivo, che nasce nell* oratore da
una viva sensibilità per la verità, che in-
culca, e da un puro ed ardente desiderio,
che ne restino mossi , e penetrati del pari
i tuoi ascoltanti . Faci! cosa è il compren-
der da ciò, quanto necessario sia ad un sa-
cro Oratore, come ho già nella prima par-
te dimostrato , non solo uno studio esteso
e profondo della Religione, ma una piena
cognizione dell' uomo eziandio, per adat-
tare alle diverse età, alle diverse condizio-
ni, ai diversi caratteri le sue istruzioni, ed
i suoi ragionamenti, e per interessar gli
uditori, penetrando nei nascondigli del loro
cuore, scoprendoli a se medesimi, quali es-
si sono , e mettendoli così in istato di con-
frontare con le regole del Vangelo , e della
ragione la propria condotta, di correggerla,
se è viziosa, di migliorarla, se buona. Un
oratore, che abbia a tali cose diligentemen-
te riguardo , lungi dal parlare di teatri ai
contadini, di giuochi, di conversazioni, di
domestici doveri alle Religiose, di frodi nel-
la mercatura agli Ecclesiastici, riflettendo,
eh'
*9 6
ài ei parla ad un popolo composto per la
maggior parte di persone non illuminate ,
uè dotte, si studierà di rendersi popolare,
adattando alla loro capacità e le parole, e
i pensieri , e perciò non solo sfuggirà le
Sottigliezze scolastiche, ma aborrirà ancora
la vanità , che alcuni hanno di comparire
istrutti nella moderna Filosofa , e d' intro-
durre ne' loro ragionamenti la Fisica , la
Chimica, la storia naturale. » La stessa
Logica , e Metafisica troppo raffinata ( dice in
una sua nota il Traduttore di Blair ) è con-
traria al vero fine dclV Eloquenza del Perga-
mo y ò perchè non intesa dal comune degli
uditori, ò perchè non abbastanza conducente
alle pratiche verità, che più importa d' insi-
nuare... Poco conforme al vero fine, che aver
dee di mira il Predicatore, è la stessa Teo-
logia speculativa... massimamente quella, che
aggirasi sopra alle questioni scolastiche', e al-
le dispute de' partiti ». Termina le sue sa-
vie riflessioni con dire, che neppure ha mai
sapuro approvar gran fatto le Prediche, che
negli ultimi tempi son venute di moda con-
tro gli spiriti fora, è gl'increduli , mentre
nel popolo che accolta , neppur uno forse
6i traverà, che metta in dubbio le verità
della Religione, e quando anche per caso
vi si trovasse, ne troppo utile forse per lui,
ed inutile sarebbe il discorso per la molti-
tudine, e quasi direi ingiurioso per il so-
spetto, che mostra, d'incredulità anche in
-essa. Cura adunque del Predicatore esser
dee
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-9?
dee solamente lo spiegar con chiarezza 1
doveri, che imposti ci sono dalla Religione,
e con tutta la forza dell'eloquenza persua-
der gli uditori ail adempirli. Userà a tal*
uopo -di tutto il discernimento nella scelta
de' soggetti, su i quali vuol ragionare, e
quelli preferirà, che riescir possono più
fruttuosi, e più adattati sono alle circostan-
ze degli ascoltanti. Niuno dir si può elo-
quente ( dice il più volte citato Inglese
Scrittore ) il quale in un 1 adunanza di ta-
li cose, e in tal modo favelli, che niuno
ò pochi l'intendano. Il buon senso, e la
probità s'uniscono nel persuadere il disprez-
zo degli applausi insensati , che gì' ignoran-
ti fanno a tutto ciò, che supera la loro ca-
pacità . L'eloquenza va sempre accompagna-
ta con l'utile*, e niuno può lungamente es-
ser tenuto per buon Predicatore, quando
non faccia alcun frutto. Coerentemente a
questi principi meno s' occuperà egli d' uri
sottile, e prolungato raziocinio, e più sol-
lecito di persuadere , che di convincere i ■
suoi uditori, con maggior calore insisterà
nella pratica, e à questo fine dopo un di*
screto numero di prove le più utili t t lm
più convincenti farà succedere gli esempi f
e i fatti, di cui abondano le" sacre Scritta-*
re, e gli annali della Chiesa * e mettendo
con 'questi nel maggior lume le verità * e
facendo del costume una viva pittura, è si*
curo di fare ancora una maggiore impres-
sione nell'animo de<jli uditori, che con 1*
più
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2p8
più sottile, e studiata dimostrazione. Quan-
to sarebbe ancora il discorsa più insinuan-
te, più energico, e di più. facile intelligen-
za, se preparato non fosse in iscritto, ma
dettato estemporaneamente dalla mente e
dal cuore , da una mente però , che si è in- .
nanzi formata un'ordinata selva delle cose
almen principali che si vogliono esporre,
da un cuore riscaldato, e vivamente pene-
trato e commosso dalla premessa, e seria
meditazione delle medesime ì Ma una gran
fecondità di cognizioni e d'idee, una gran
fluidità e prontezza d'espressioni, un grand'
esercizio abbisogna per ben riuscirvi .
Non è lo stile l'ultimo oggetto da
prendersi in considerazione da un sacro ora-
tore. Dee questo soprattutto esser chiarissi-
mo . Le parole inusitate , un linguaggio ri-
cercato, poetico, e filosofico troppo è con-
trario a quella chiarezza, che in modo par-
ticolare richiede una tal sorta Ai ragiona-
menti. Sarebbe desiderabile, che piacessero
• per l'eleganza alle persone dotte, piacesse-
ro per la chiarezza agl'ignoranti. Ma quan-
do non potessero trovar»! insieme uniti que-
sti due vantaggi , si sacrifichi , dice S. Ago-
stino, il primo al secondo , si trascuri T or-
namento, e la stessa purità della lingua,
purché non ci rendiamo non intelligibili srl
popolo: 95 Melius est, repre/iendant nos gram-
matici, quam non intelìigant pvpuli » . Esser
non dee il parlare rozzo ed incolto, ma
neppure troppo fiorito ed ©legante- Gli
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Studiati concetti, le arguzie, le sottigliezze *
le oscure ed ardite metafore» la ridondan-
za delle similitudini, le frasi ricercate dan-
no al discorso un'aria d'attillatura, e d*
affettazione, che troppo disdice in un sacro
Oratore . L' eloquenza sacra richiede sempli-
cità insieme, e dignità, dignità senz* gon-
fiezza , semplicità senza bassezza . Quanta
bène perciò ha espressi i caratteri di que-
sta eloquenza S. Ambrogio nei I. libro -de-
gli Ufizj , dicendo : » Oratio stt pura , sim*
plex, dilucida, atque manifesta, piena gravi-- '
talis, et ponderis , non affectata degantia , sei
non intermissa grada m. Osservateli eerreffia-
niente , e più distintamente ancora accen-
nati da S. Isidoro nel libro IL degli Ufizj ;
r> Hujus sermo debet esse purtis, simplex,
apertus , plenus gravitati*, et honestatis , pie-
tius suavitatis , et gratiac .... unùmqueinqiie
admonens diversa exhortationc juxta profes-
sionem, morumque qnalitatcm , sciliect ut prae*
noscat, quid, cui, quando, vel quomodo pro-
Jerat Tale è appunto il linguaggio, e la
stile delle Sante Scritture . La Santa Scrit-
tura, come saggiamente riflette il Rollili
nella sua Opera delle belle Lettere, non ci.
è data per una scuola d'eloquenza, ma di
virtù, e di santità. Pure quanto semplice
e nobile insieme, quanta sublime, quanta
patetica, quanto ricca di vive descrizioni ,
e d'energiche figure è l'eloquenza de sa-
cri libri, e specialmente de' Profetici, de ?
Cantici, de' Salmi! A questa scuola adunv
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t
3°° .
que, c a quella de' Padri impari un sacro
Oratore il linguaggio, e lo stile, che usar
debbe ne' suoi ragionamenti . Guardisi però
dal difetto di coloro, i quali per far pom-
pa d' un fraseggiar scritturale scelgono dal-
la Scrittura appunto quelle espressioni , che
dal comune degli uditori son meno intese,
ò per mostrar possesso della Scrittura, e de*
Padri ad ogni proposizione ancor più chia-
ra, ed evidente applicano un testo per con-
fermarla, che è lo stesso che in Geometria
dimostrar gli assiomi . Neppure sono da imi-
tarsi coloro, che empiono le loro Prediche
di tali testi recati in latino senza darne la
spiegazione . Non son queste parole gettate
al vento per la maggior parte degli udito-
ri, che non intendono un tal linguaggio?
Senza parlar di quelli, che seguendo il co-
stume di premettere nelle Prediche special-
mente della Quaresima un qualche testo
preso dal Vangelo della Domenica , ò Feria,
corrente lo perdono affatto di vista, e non
lo applican punto al soggetto della Predica,
più riprensibile mi sembra, chi stravolge i
passi della Sacra Scrittura con applicazioni ,
ed allusioni stiracchiate, e lontane dal ve-
ro senso, non esponendo la parola di Dio,
ma facendola servire alle proprie idee . Non
prolungo le mie riflessioni intorno alla sa-
cra eloquenza , adattandosi anche a questa
la maggior parte delle regole, che l'arte
Oratoria generalmente riguardano .
FINE DELLA. SECONDA PAKTE .
TER- •
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3©i
TERZA PARTE
Dell' Elocuzione.
D ue sono le cose, dalle quali, al dire
di Cicerone qualunque discorso risulta, le
sentenze cioè, e le parole, nè una può an-
dare nel discorso disgiunta dall' altra. Un
vano suono senza soggetto son le parole,
se niun sentimento esprimono. Privi d' or-
namento, e di forza sono i sentimenti, se
da un elegante parlare non siano accompa-
gnati , ed espressi (a) . Niuno adunque aspirar
potrebbe alla gloria della vera eloquenza,
se contento d' avere con grande studio, e
fatica ritrovate, e disposte con beli' ordine
le cose, che servono di soggetto, e di ma-
teria al discorso, niuna cura si prendesse
d* esporle con quella eleganza, che si ri-
chiede, perchè il discorso sia non spio con
persuasione, ma con piacere ancora ascol-
tato . Ne io avrei che in .parte al dovere
di dirigervi nello studio della vera eloquen-
za sodisfatto , se dopo avervi dell' Invenzio-
ne, e della Disposizione Oratoria parlato,
niente io vi dicessi dell' Elocuzione, e co-
sì
# ■ ~ — T zn z irz *
(a) Nam cum omnis ex re, et verbis constet ora-
tìo , ncque verba sedem balere post UH t , si rem sul?-
traxt ìis, ncque res lumen, si verba submoveris .
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gì quella parte tralasciassi, la quale se va
del pari con le altre nella necessità , le su-
pera però nella estensione , mentre propria
non è ella soltanto degli oratori, ma si ri-
chiede egualmente ne' poeti, negli istorici f
ed in qualunque genere di composizione,
che non dalla sola gravita, e sublimità. de %
pensieri, nè dalla loro buona disposizione ,
ma dall' eleganza , e dalla proprietà, e-
ziandio dell' espressioni riconosce il suo
pregio. L' Elocuzione è quella parte, nella
quale più, che in ogni altra spicca 1* abi-
lità d' un eccellente oratore. L' Invenzio-
ne, e la Disposizione, dice Quintili no all'
autorità di Cicerone appoggiato marrano
un uomo illuminato, e filosofo; ma Elocu-
zione è per così dire la pietra del parago-
ne, per cui si conosce qual sia il valore,
ed il pregio d* un oratore (a). Ella è però
nel tèmpo stesso a giudizio di tutti la par-
te più difficile, e quando altra prova non
avessimo della sua difficoltà, lo scarso nu-
mero dei veramente eloquenti oratori basta
per rendercene pienamente persuasi . Soleva
dire M. Antonio, come dopo Cicerone ri-
ferisce il medesimo Quintiliano, se aver ve-
duti moki uomini facondi, ma niuno aver-
ne giammai trovato, che dir si potesse elo-
quente ; n Nam & M. Antonias . . . . ait, a se
di-
* n — — rzzz^- ■ TTfr
(a) Et M. TuU'uts inveutionem qttidem , tic di~
$positionem prudenti* bominis futat , ehjuctttiam
Oratori* ,
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3°3
disertos visos esse multos, eloqucntcm omnino
nemineni » . Sebbene poi la scarsezza de*
buoni oratori, e la difficoltà di ritrovarne
tra essi alcuno veramente eloquente , deri-
vi in gran parte dalla moltiplichi delle co-
se , che ignorar non si debbono da un ora-
tore, T esperienza pur troppo ci fa conosce-
re, scarso essere il numero di coloro , i qua-
li benché di somma dottrina, e d' erudizio-
ne forniti esprimano con tale eleganza , pro-
prietà, e ornamento i loro pensieri, che
meritino il nome d' eloquenti. Ma se lu-
singare non ci possiamo di giungere al gra-
do della più perfetta eloquenza , studiamo-
ci d' avvicinarci ad esso per quanto è pos-
sibile , e con tutto T impegno applichiamo-
ci a quei precetti, che specialmente Cicero-
ne ci ha lasciati intorno a Cmest* arte , da
lui più che ogni altra ampiamente , e con
diligenza trattata. L' elocuzione adunque
secondo esso, ò qualunque altri sia V autore
della Rettorica ad Erennio, in altro non
consiste, che in adattar parole, e senten-
ze proprie' a ciò, che si è ritrovato: 55 Elocu-
tio est idoncorum v erborimi , et sententiarum
ad inventionem accommodatio^ ,ò come più chia-
ramente dice Quintiliano, n^ll* esprimere,
ed all' orecchie degli ascoltanti esporre tut-
to ciò, che si è concepito, ed immaginato
neir animo, paragonando per darcene una
più chiara idea V Elocuzione con V Inven-
♦ zione e con la disposizione , e dicendo, po-
tersi quella ad una spada nuda , queste ad
• una- r
una spada riposta nel fodero assomigliare:,, Elò-
qui enim est omnia , quae mente conceperis , pro-
jnerc, atque ad audientes perferre , sine quo super-
vacua sunt priora ( 1 invenzione cioè ,
e la Disposizione ) et similia gladio condito
atque intra vaginam haerenti Tre parti,
secondo Cicerone abbraccia V Elocuzione,
V Eleganza cioè , la Composizione , la Di-
gnità. L' Eleganza consiste nel!' ottima
scelta delle parole, la Composizione nell*
artificiosa collocazione delle medesime, la
Dignità nel giudizioso uso dei traslati, e
delle figure (a). Ed eccovi in breve esposto
tutto ciò, che andremo in questa parte del-
le nostre Istituzioni con la solita brevità,
e chiarezza esaminando .
CAPITOLO PRIMO
DelV Eleganza.
I-> a «celta delle parole , nella quale si è
detto consistere V Eleganza, richiede prin-
cipalmente» che le parole sieno proprie di
queir
4 ~~ =■ ' r— — »
(a) E he ut io commoda , et perfecta tres res In se
balere iìebet , F.legantiam , Composttionem , Digni-
tatem . Eleganti* est , quae factt , ut unumquod-
que pure et aperte dici debeat Compositio est ver-
korum constructio , quae facit omnes partes Ora"
jionis perfolitas . Digvitas est , quae reddit orna-
ta* Orattones varietatè disùn^uens .
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305
quella lingua, in cui si parla, ò si scrive,
ed esprimano con chiarezza i sentimenti, e
le idee, che si vogliono altrui comunicare,
e neir usarle tutte quelle leggi si osservi-
no, che proprie sono delia, lingua . Al chq
sebbene giungasi specialmente applicandosi
con tutto T impegno allo studio della lin-
gua per apprendere tutte le regole ^ed i'
modi usati di parlare, che di essa sonipiQ*?
prj , e per evitare ogni incolta , e viziosa
locuzione, viene per altro mirabilmente ac-
cresciuta T Eleganza , secondo che insegna
Cicerone nel Libro III. dell' Oratore , dalla
lettura de' buoni, ed antichi scrittori Sed
omnis loquendi elegamia quamquam cxpolitur
scientia literarum, tamen augetur legendisOra-
toribus , et Poetis . Sunt enim UH veteres , qui
ornare nondum poter ant , quod dicebant ,omne$
prope praeclare locuti, quorum sermoni assue-
facti qui erunt, ne cupientes quidem poterunt
nisi latine loqui n . Quello che del latino lin-
guaggio Cicerone insegna, dicasi ancora della
nostra soave, e leggiadra Toscana favella,
la quale non potremo a meno di parlare,
quando anche noi volessimo , con tutta
la grazia, e con tutta 1' eleganza, se per
mezzo d' una continua , ed attenta lettura
assuefatti ci saremo ai semplici, tersi, ed
armoniosi modi di parlare, che in Dante,
nel Petrarca , nel Boccaccio s' incontrano .
Ecco però come riguardo alla nostra lingua
si esprime Benedetto Menzini nel primo Li-
bro della sua Poetica:
X Sic-
, ? Siccome son degli edifizj tstrutti
Prime le fondamenta , il parlar bene
Ha miti* altri bei pregj in un ridutti .
Pria conoscer bisogna il puro argento
Del Toscano Parnaso, e il pronto acume
Fissar più che al difuori, al bel eli è drento .
Dolce d' ambrosia, e d'eloquenza un fiume
Scorrer vedrai dell 1 umil Sorga in riva*,
Per quei , che è de poeti onore e lume .
Nè chieder devi, onde egli eterno viva,
Perchè il vivere eterno a quel si debbe
Stil puro , e terso , che per lui fioriva .
Perchè per poetar non ti propóni
L'esempio di coloro, ond' e, che in pregio
Italia vince V Europee nazioni ? «
E perchè tutti i vocaboli ò sono proprj , e-
sprimono cioè quell'idea, ò quella cos^» a
significar la quale furono instituiti , ò sono
traslati , esprimono cioè idee , ò cose diver-
se da quelle , a significar le quali furono
primieramente adattati, e per dare una mag-
gior chiarezza , e colore al discorso si ado-
prano, quali sarebbero per esempio questi:
i prati ridono, i lieti campi, i detti mordaci*
non essendo proprio nè de' prati il riso,
uè de' campi la letizia , nè dei detti il mor-
so, ma soltanto degli uomini, e degli ani-
mali; tra i vocaboli proprj quelli, dice Ci-
cerone, sceglier conviene ,che sono più adat-
tati, ò sia più nobili, più esprimenti , ed
al favellare delle persone colte, e civili,
non
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non già a quel della plebe conformi ; ri-
guardo poi ai traslati quelli adoperare si
debbono, che hanno una maggior somiglian-
za con le cose , che voglionsi rappresenta-
re , e che sono comunemente ricevuti , ed
intesi, l'uso troppo frequente anche di que-
sti, e soprattutto quelli, che fossero troppo
arditi , studiandosi d' evitare (a) . Guardar ci
dobbiamo inoltre non solo dall'espressioni
sordide e vili, ma ancora dalle antiquate,
e ornai rigettate dall'uso, cui riguardar con-
viene con Orazio, come l'arbitro, e la nor-
ma del ben parlare, riflettendo esser le lin-
gue a continui cangiamenti soggette, come
abbiamo già in altro luogo osservato, e per-
ciò biasimevole addiviene V uso d' alcuni
vocaboli, che un tempo fiorivano, come ne*
tempi avvenire lo sarà forse di molti tra
quelli , che ben suonano adesso nella bocca
di tutti. Non deesi tralasciare certamente
la lettura de' primi, e più antichi Scrittori,
ma come dice il Menzini nella sua Poeti-
ca, a guisa d'api industriose fa d'uopo co-
glier da essi quel che v' ha d' elegante , e
di bello, e tralasciare le aspre, ed incolte
espressioni. E come sarebbe stato degno di
biasimo chi a' tempi di Cicerone, d'Orazio,
e di Cesare adoperato avesse il linguaggio
d' Ennio ; così renderebbesi del pah ridicolo ,
chi ne' suoi scritti a bella posta inserisse
tut-
: ■ . ■■ — *
(a) I» propriis (iptissima eltgamus , in fransi atis
sìmilitudìncm sccttti vereconde utamur alieuis .
S o8
tutte l'estranee espressioni, che a. motivo
della rozzezza, e povertà della nostra ancor
nascente Toscana favella s'incontrano in
Dante. Abbiasi perciò sempre presente 1'
avvertimento , che fece per testimonianza
di A. Gellio nelle Notti Attiche il Filosofo
Favorino ad un giovane , che affettava il
rozzo ed antico linguaggio: » Vive moribus
p'aetcritis , loqucre verbis pniesentibus , 5 .
Un altro difetto , che deesi con tutta
la cautela fuggire, a mio giudizio, quello
si è d'usare con troppa facilità voci, e ma-
niere di dire nuove, ed alla nostra lingua
ò a qualunque altra , di cui in parlando
ò scrivendo facciamo uso, affatto straniere:
difetto, che forse a danno della purezza,
e maestà soave della Toscana favella si è
reso tanto comune, che non di rado addi-
viene, che invece del puro idioma Italiano
si ascolti , e si legga non senza nausea un
linguaggio oltramontano toscanizzato (a).
e
(a) Non è, che troppo nccessa»ia ai giovani una
tal riflessione , pershè non si lascino abbagliare
dall'aria seducente di novità, che hanno certe fra -
si coniate altrove, ed introdotte pur troppo anche
fra noi da Ufi genio, che si vanta rigeneratore fino
de' tempi, e delle lingue. Si preparino i' tordi]
per V edizione d'un nuovo Dizionario , il quale
serva di schiarimento all'amico, che presto p»ù
non s'intenderà. S" eriga una nuova cattedre, eie
s'imponga il penoso, e difficile impegno di deter-
minare, e spiegare il significato di certe strane
voci , che si sentono risuonare a scapito ancora
del-
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3°9
Ni penso io già, come neppure il pensava
Orazio, che vietare si debba l'inventare,
ed introdurre nella nostra lingua nuovi vo-
caboli :
v Licuit, semperque licebit
Signatum praesente nota producere nomert.
Sarebbe questo un voler chiudere affatto la
via a nuove ricchezze, ed all'acquisto di
nuovi pregj, di cui esser può ella capace ,
perchè ancora viva , e dominante . Ma ero-
do altresì troppo necessario l'osservare in
ciò le regole da Orazio medesimo prescrit-
te, e sì. rigorosamente ai suoi tempi riguar-
do alla lingua del Lazio osservate, che a
picco! numero riducevansi le voci da Ceci-
lio, da Terenzio, da Cicerone, • da altri
per lo spazio di quasi tre secoli introdotte.
Ecco tutte queste regole in pochi versi rac-
chiuse :
r> In verbi* etiam tcmiis, cautusque serendis ;
E poco dopo:
Si forte necesse est
Indiciis monstrare reccntibus abdita rerum
Fingere cinctutis non exaudita Cethegis
Continget , dabiturque licentia sumpta pudenter.
Dalle quali parole facilmente rilevasi, che
per formare, ed introdurre nuovi vocaboli
in
» — 1 = ■ - »
della buona pietica armonìa . Presto vedremo for-
se alla luce dell'opere, che imploreranno, e mo-
veranno la pazienza d'alcuno ad illustrarne il lin-
guaggio con cementi più lunghi di quello , che fe-
te il Landino a tinta la divina Commedia di Dante .
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iti una lingua si richiede primieramente Uri
gusto fino, e delicato: tenuis, un gusto for- \
jnato e dalla lettura de* buoni Scrittori e
dalla piena cognizione della lingua, e dall*
uso delle persone colte, e civili, che me-
glio la parlano. Richiede in secondo luogo
Orazio una gran cautela per non lasciarsi
sorprendere dalle lusinghe della novità* tal-
ché prima d'avanzare nuove espressioni,
ben sarà l'aspettare almeno, che sieno ap-
provate dall'uso delle persone sagge, ed il-
luminate: cautus . Non permette inoltre T
uso di nuove voci, se non quando la neces-
sità lo richiede, quando cioè manchi la lin-
gua di termini per esprimere una qualche
cosa per T avanti ignota, e recentemente
scoperta (a) , e lo permette a condizione i
che
* - ' — 1 " *
(a) A tal fine prima d'usare un termine stranie-
ro , è necessario saper bene, se la propria lingua non
somministri V equivalente ; il che non fanno gli
Scrittori trascurati , i quali si valgono delle stra-
niere locuzioni per ignoranza delle proprie . Anche
quando alla nostra lingua realmente manchi il ter"
mine equivalente non si dee tosto adottar lo stra-
niero , qualora con un diverso giro di frase , ò con
qualche aggiunto supplir si possa agevolmente al di-
fetto . ,, Così il traduttore Italiano di Blair . Afa
perchè in tal caso non far uso' del termine stra-
niero , scrivendolo, e pronunziandolo , come Io pro-
nunziano, e lo scrivono le persone di quella lin-
gua, dalla quale si prende in prestiro, ed aspet-
tando intanto, che l'uso l'approvi, e lo conii se-
condo il senio, e carattere della nostra, come os-
serviamo aver fatto Cicerone riguardo a tanti vo--
caboli Greci ?
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3*t
che s' adopri «empre moderazione, e riser-
va nell'uso di una tale libertà:
0 Si forte necesse est
Indiciis monstrare recentibus abdita rerum
Fingere cinctutis non exaudita Cethegis,
Continget, dabiturque licentia sumpta pudenter .
Ma per qualunque regola servit ci può il
beli' avvertimento di Quintiliano: » Usitatis
tutius utimur , nova non sine quodam pericuto
fingimus n . Deesi inoltre osservar nel di-
scorso la brevità , e la naturalezza . La bre-
vità consiste in questo, che più non dicaii
di quello che è necessario , e perciò anche
ad un lungo ragionamento non mancherà
il pregio della brevità, quando niente con-
tenga di superfluo, si fuggano le inutili ri-
petizioni» nè si moltiplichino le parole, che
hanno un istesso significato, e niente ag-
giungono di bellezza, e di forza al discor-
go. La naturalezza poi del parlare richiede,
che in esso non comparisca troppo l'arte,
e lo studio. Conviene perciò distinguere il
linguaggio poetico dal prosaico, ò dall'ora-
torio. Parlando i poeti come dalle Muse in*
«pirati , e ripieni di un quasi divino furore
s'innalzano sopra il parlar comune, e ado-
prano espressioni pellegrine, grandiosi tra-
slati, e vocaboli pomposi, e magnifici. Ma
non altro essendo la prosa, al dir d'Ari-
stotele, che una imitazione del comune, e
familiare discorso, ad essa convengono sol-
tanto quei vocaboli, e quelle maniere di
dire, che in ogni familiare ragionamento-
so-
v »
goglionsi adoperare. Troppo opportuno era
il far qui una tal distinzione per non ca-
dere nel difetto di coloro , i quali ignoran-
do forse, che quasi tutte le lingue hanno
. dell'espressioni soltanto alla Poesìa consa-
crate, imitano a bella posta anche nella
prosa il linguaggio de' Poeti, ed allora si
lusingano d'aver composta un' elegante ora-
zione, quando di tutte le poetiche bellezze
l'hanno arricchita. Dicendo io però, che la.
prosa esser dee una imitazione della lingua
comune e familiare, di quella lingua in-
tendo di parlare usata dalle persone colte
e civili, non dalle ignoranti e volgari , do- •
vendosi sempre imitare la natura in ciò,
che ella ha di più puro, e di più perfetto,
non già nelle sue imperfezioni . Finalmente
guardar ci dobbiamo da un vano studio di
parole, nè affaticarci tanto intorno alla
Scelta di esse, quasiché in ciò solamente il
' ben parlare consista . Le parole esser fiori
debbono nè troppo comuni, nè troppo dot-
te e ricercate. La fecondità de' pensieri,
la gravità, e l'aggiustatezza dei sentimenti
dee soprattutto é occuparci, non vi essendo
cosa più stolta, al dir di Cicerone, d'un
vano strepito di parole, benché eleganti,
che niun sentimento contengono, nè alcu-
na cognizione ci somministrano (a). Quan-
do
y. - T"" --- ■
(a) Quid est eiiim tam furìosum , quam verbo-
rum vt l op timor um sonitus inanis , nulla fubjecta
setj te /itia 9 et scieutiaì
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do si sono concepite bene, ed in tutta la
* sua estensione e vivezza le cose, che t- 1
sprimer vogliamo, le idee medesime ci met-
teranno naturalmente in bocca * secondo V
insegnamento d'Orazio, le più adattate e-
spressioni :
H Vevhaque provisam rem non invita sequciitur . n
CAPITOLO It
«
Della Composizione.
N on deesi però la diligenza nostri ri-»
stringere alla scelta delle parole, le quali
per quanto esprimenti , e leggiadre essef
possano, capaci non sono di render grato ali*
orecchie degli ascoltanti il discorso, se non
sieno fra loro ben coliegate , e con beli' or-
dine disposte. L' ordine, e la disposizione
delle parole è uno de' più bei pregj dell'
eloquenza, e come non basta ad un dipin-
tore, che nel suo quadro tutte le figure sie-
no ben formate, e con vivi e naturali co-
lori espresse , ma è necessario che sieno
àncora ben disposte, ed abbiano tra loro
una giusta proporzione ; così non basta ad
un dicitore, che il suo discorso sia pieno
di belle parole, e di scelte frasi, ma sarà
sempre lontano dal meritarsi il nome d r
eloquente , se le parole e le frasi non sie-
no in guisa tale collocate e disposte, che
giuri*
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I
giungano con la loro armonìa ad appagare
1' orecchie degli ascoltanti. Necessaria, ed
util cosa sarà adunque, che dopo aver noi
parlato della Eleganza, ò della scelta delle
parole , 1* arte apprendiamo di ben collocar-
le, e disporle , nel che consiste quella, che
da' Retori chiamasi Composizione . E primie-
ramente osservar dobbiamo con Quintiliano,
tre cose esser necessarie in ogni buona Com-
posizione, l'Ordine, la Connessione, e l'Ar-
monìa : 55 Iti omni compositione tria sunt neces-
saria* ardo* junctnra, et numerus.^ Di que-
ste andremo 1 in seguito , e con la solita bre-
vità favellando.
»
§. I.
DeiV Ordine.
(Considerar si può l'ordine, dice il mede**
simo Quintiliano, e relativamente a ciasche-
dun vocabolo, e relativamente ai concetti r
e sentimenti espressi con più parole Ejus
olscrvatio est mvtrbis singnlis , et. contextis».
Riguardo alle parole semplici, staccate, e
che sole esprimono una qualche idea , deb-
bono esser queste ( come abbiam detto de*
sentimenti, alla disposizione de' quali quel-
la delle parole dee corrispondere ) in tal
guisa ordinate, che le meno forti, le men*
belle, le meno nobili e grandiose preceda-
no
i
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ho quelle, che hanno maggior bellezza,
maggior forza, e maggior nobiltà, cosicché
il discorso vada sempre crescendo , e da un'
idea grande e sublime a più grandi, e più
sublimi idee la mente degli uditori condu-
ca , e sollevi (a). E tanto importante èque-
sta regola, che da tutti i buoni scrittori si
vede esattamente osservata , e sembra , che
dall' uso di essa tutta là sua gtazia , e ro-
bustezza riconosca la loró eloquenza . Per
non parlare de' poeti > presso de* qUàlinon
dico frequenti, ma quasi continui se ne in-
contrano gli esempj , una s'ola orazione di
Cicerone prendete, e questa con attenzione
leggendo comprenderete, quanto per la pra-
tica, e per 1' uso di questa règola si rènda
il suo stile ammirabile, ornato, e sublime.
Un solo periodo tratto dall' orazione in fa-
vor di Marcello a considerar vi propongo,
nel quale quanti sono i membri, quanti
gì' incisi, tanti sonò gli esempi della pra-
tica di questo precetto i » Domuisti gentes im*
manitate barbaras , multitudine inniuhcrabilcs
locis infinitasy omni copiar atri genere abutì-
dantes ; sed tameti ea vicisti , quae et nàta*
ram , et conditionem , ut vinci possente have*
bant . Nulla est enim tanta vis , qttac non Jer-*
ro, oc viribus debilitarli frangiqucpossìt . Ani*
munì vincere, iracundiam cohibere, Vittoriani
temperare , adversarium ingenio, vinate prdt-
stati*
(a) In bis cavendutn est , ne decrcsc. $ ora ti 9, fp
fortìori ìufytngatur aliquid infirtpiuf ,
3i6
Stantem non modo cxtollerc jaccntem , sed t~
iiam amplificare ejus pristìnam dignitatem v
haec quifacit, cum non ego cuni summis vi-
ri. s comparo , sed simillimum Deo judico w . A
voi lascio il farvi le opportune riflessioni .
Non deesi inoltre tralasciar V altra regola»
benché meno importante, che intorno all'
ordine delle parole viene da Quintiliano
prescritta, ed è, che trattandosi di rammen-
tar cose, delle quali alcune sono per con-
dizione dell' altre più nobili, diasi col pri-
mo luogo la preferenza alle più nobili ,
e non si dica per esempio : il suddito e il
Principe ; il popolo e il Senato ; la notte e il
giorno, ma bensì; il principe, e il suddito,
il Senato ed il popolo; il giorno e la notte ,
/' uomo e la donna (a) . Con maggior di-
ligenza deesi a mio parere nella disposizio-
ne delle parole osservare, che non diven-
gano alcune inutili, perchè posteriormente
all' altre collocate. Può questo avvenire
specialmente riguardo agli epiteti, quando
al nome sostantivo succedono. V arte di
chi compone, consiste nel tener sospesi gli
animi degli uditori con V espettazione , e
la curiosità d* udir quello , che si dice in
appresso, e non soggiungere idee, le quali
da ciò che hanno ascoltato, possono avere
già concepite . A queste due cose si oppone
il
» - . . " — — ~- ~ #
(a) Est alias ordo naturali* , ut viro* et foe-
mìnas , diem ac noctem , oitum cioccatimi dicas r
fotìus quam rctrorsum .
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S 1 ?
il collocare gli epiteti, ò |ìa i vocaboli di
qualità dopo quelli esprimenti cose ò so-
stanze, poiché, udito che hanno questi,
possono nel tempo stesso avere appresa V
idea delle qualità per mezzo degli epiteti
posteriormente espresse, ed in tal caso di-
vengono gli epiteti superflui, e V uditore
non ne fa oggetto di sua particolare atten-
zione. Non è però sì generale, e sì rigoro-
sa una tal legge , che non ammetta ec-
cezione. Spesso vi avverrà d' incontrare
anche ne' migliori scrittori epiteti posti do-
po i loro sostantivi . Osserverete per altro ,
che essi allora specialmente ciò fanno , quan-
do T idea per mezzo dell' epiteto espressa
è egualmente grande, ed importante, che
quella dal nome di sostanza indicata.
Per quello poi, che riguarda il conte-
sto, ò le parole, che insieme unite forma-
no un sentimento, tale dee essere il loro
ordine, e la loro disposizione i che non so-
lo rendano un grato suono all' orecchie ,
ma quello che più importa, esprimano il
sentimento medesimo con tutta la chiarez-
za, cosicché niuno equivoco, e niun dubbio
nasca nell' animo degli uditori, e non pos-
sa non essere inteso . Perchè adunque di
questa chiarezza non manchino i nostri di-
scorsi , ò i nostri scritti , con tutta la di-
ligenza procureremo, che non sia dalla in-
terposizione d' altri vocaboli turbata , e scpn-
nesta la relazione, che hanno fra loro i vo-
caboli stessi; che per esempio non sia dal
suo
Sii
«no nome principile troppo lontano T epi-
teto, e il verbo; che più vicini che sia
possibile ai verbo» ed al nome, di cui mo-
dificano diversamente il significato, accre-
scendone, ò diminuendone la forza, sieno
collocati gli avverbj; che tra le parole, che
formano un sentimento, altre voci non s*
inseriscano appartenenti ad un altro sen-
timento già espresso, ò da esprimersi po-
steriormente; ed altre cautele, e diligenze?
si adoprino per fuggire le trasposizioni trop-
po lontane dal parlar semplice e naturale,
[fi) le trasposizioni strane e ricercate, le
qua-
» — — z=== —
(a) V uso di questa osservazione rendesi molto
più necessario nella nostra lingua, ed in quasi tutte le
lingue moderne. La natura di queste accorda nel-
le trasposizioni una mincr libertà di quella , che
scorgesi usata da' Latini, c da' Greci. Il pregio,
che ha la lingua Greca, e la Latina di variare
quasi in ogni caso la terminnzione de' nomi, di
dare in ogni modo, in ogni tempo, in ogni per-
sona una diversa desinenza ai verbi, fa sì, che a
prima vista si distingua la relazione, che hanno
fra loro i vocaboli , benché posti a qualche distan-
za gli uni dagli altri , gli epiteti da' sostantivi , i
verbi dalle persone che pli reggono, dalle cose, o
c^alle persone , sulle quali cade V azione espressi
fìa* verbi . Simili trasposizioni giudiziosamente fat-
te rendono in tali lingue leggiadramente, e con-
venientemente armoniosi i periodi senza scapito
d'ella chiarezza . Mancherebbe questa ai nostri di-
scorsi , quando volessimo nel giro, e nella dispo-
sizione delle parole imitare V esempio de 1 Greci,
* de* Latini, .come hanno facto i primi scrittori
• del-
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quali tolgono al discorso il più bel pregio f
che è la chiarezza.
§• IL
Della Connessione.
Ma „ i v«,M, , tó
bono in guisa tale disporsi , che ben colle-
gati essendo, e dipendendogli uni dagli al-
tri vengano a formare un giro pieno, e
perfetto , che appaghi , e diletti V orecchie
insieme, e la mente degli uditori: » Collo-
cabuntur igitur verba, ut inter se quam apris-
simo cohaereant extrema cutn primis, eaque
àint quam suavissimis vocibus, ut forma ipsa*
con-
•= — = «
della nostra lingua, il Boccaccio, il Bembo, ed al-
tri , che gli hanno preceduti , ò seguiti . Convien
rammentarsi, che la nostra lingua, benché fra tut-
te le moderne la più leggiadra, ella pure non ha
nelle sue voci , che quelle terminazioni , le quali
servono a distinguere i numeri , e i generi , ed ha
bisogno delle non molto soavi , ed armoniose par-
ticelle degli articoli, de* segna -casi, de* pronomi
per indicare la relazione, che hanno le voci fra
loro nel discorso . Questo ci obbliga a seguitare
nella collocazione di esse un ordine più semplice ,
e più naturale per non renderci oscuri , e spe*
cialmcnte nella prosa , accordandosi una maggior
libertà d* inversione , ed un giro più artificioso e
studiato nella poesia, la quale anche in questo può
alquanto sopra lo stile ordinaria innalzarsi .
320
concinnità sque verborum conjlciat orbcm suum n
fix questo giro pieno, e perfetto di senti-'
nienti, e di parole consiste quello, che pe-
riodo comunemente si appella, e dicesi giro
pieno di parole, e di sentimento, perchè il
concetto, e il sentimento, che in esso rac-
chiudevi, dee essere talmente intero e per-
fetto, che nulla rimanga da desiderarsi ne
dalia mente, ne dall' orecchie degli udito-
ri. Se il periodo non ha per entro alcuna
posata, ed è d* una sola e semplice pro-
posizione composto, semplice vien chiamato
da Aristotele anche il periodo . Tale sareb-
be quel del Boccaccio: „ Ninna gloria e ad
un aquila V aver vinta una colomba „ . Tali
pure son questi di Cicerone; „ Nullum vffi-
ciiitn reverenda grada magis est nccessa-
rium Ac belli quidem aequitas sanctissime
Feciali populi Romani jure praescripta est „ .
Se poi il perìodo non è tutto d una tirata,
ma ha i suoi riposi, ed è distinto in più
proposizioni 6 parti, chiamasi allora campo- -
sto, e queste parti diconsi membri, ò incisi.
Membri dei periodo sono quelle parti per
mezzo di due punti, ò del punto e della
virgola distinte, che in se contengono uri
sentimento preso separatamente perfetta,
ma imperfetto relativamente a tutto il pe-
riodo, perchè ancora sospeso, e non piena-
mente dimostrato (a) . Più chiara ne acqui*
ste-
*K-» ~- > — ' $
(a) Mtwbrum orationis appellatili* res brevìter
risoluta sì ne totius sententiae demoni trattone >#tiap
denuo alio membro orationis excipìtur .
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filerete l'idea per via d'esempi. Osservate
questo periodo di Monsignor della Casa :
Perocché come i figliuoli con troppa tene-
rezza dalle madri allevati crescono per lo più,
poco sani , e poco valorosi', ( eccovi un mem-
bro del periodo, ed un sentimento in se
medesimo perfetto, al fine del quale si può
prendere un breve riposo, ma ancora soppe-
so ; ) aggiungete V altro membro , che ne se-
gue: ?5 Così la pace, con troppo amore dalle
città ritenuta poco J) anca, e poco sicura es-
ser suole Ed eccovi il sentimento in tut-
te le parti spiegato, e perfetto, eccori l'in-
tero, e ben chiuso periodo; il quale non
di due membri soltanto, come è l'accenna-
to, ma di tre, e di quattro eziandìo può
esser talvolta composto, come voi stessi le
altrui opere leggendo potete continuamente
osservare ; ed allora vizioso addiviene , quan-
do con la sua troppa lunghezza arriva a
stancare ed il petto del dicitore, e la men-
te e l' orecchie degli ascoltanti . Incisi poi
diconsi quelle parole , ò unioni di parole ,
che sole non racchiudono un sentimento
perfetto , e quantunque fra loro distinte da
alcuni intervalli ò virgole, sono però sì
strettamente unite , che tutte insieme un
solo sentimento formano, ed un solo mem-
bro , e non ammettono posa se non in fi-
ne . A schiarirvene meglio la natura serva
per qualunque altro esempio questo periodo
del mentovato Toscano Oratore: » Percioc-
ché se noi vogliamo alt altezza dell'animo
Y suo
3 2a
4110 , e durOf e pensoso, e faticoso suo costila
me riguardare , noi troveremo lui essere sem-
pre sollecito, sempre desto, se7iipre armato ,
sempre intento; le quali cose, serenissimo
Principe, annunziano a questo Stato, e a cia-
scun altro non ozio, nè tranquillità, ne pace*
ma tumulto, ed affanno, e guerra , e servi-
tù w . Osservar dovete intanto, che quella
parte d'uno, ò di più membri composta,
nella quale resta ancor nel periodo sospeso,
e non ben dimostrato il sentimento, vien
chiamata da Aristotele principio del perio-
do, e da Ermogene sospensione; fine poi,
ò scioglimento del periodo dicesi l'altra,
in cui va a terminare, ed in cui si scio-
glie, e si perfeziona il sentimento medesi-
mo , come dagli addotti esempi rendesi chia-
ro e manifesto. Un' altra osservazione più
importante quella si è, che in alcuni pe-
riodi , i membri , onde sono composti , han-
no tra loro una connessione tale, e gli uni
dagli altri talmente dipendono, che a\er
non si può un senso pieno e perfetto, se
non al termine del periodo. Tali periodi
riescono magnifici e maestosi , e perciò ne
è opportuno l'uso, qualunque volta avven-
ga di dovere esprimere qualche sublime , e
grandioso pensiero, purché, come insegna
Cicerone, nè sieno più brevi di quello che
1* orecchio richiede, nè più lunghi di quel-
lo che il petto comporta (a). Può servire
d'
4^:= ta
(<t) Sec circuii** ips€ verborum sit aut hrevìor ,
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3-3
d'esemplo questo periodo di Cicerone me-
desimo nell'orazione in favore del Poeta Ar~
ch ia , ad altro proposito ancora da me riportato :
v Quae cnm ita sint , petimus a vobis , judi-
ccs , si qua non modo fiumana, verum etiam
divina in tantis negotiis commendatio dcbcù
esse, ut tutti 9 qui vos , qui vcstros imperato-
res , qui populi Romani res gestas semper or-
navity qui eliamhis recentibus nostris , vestris-
que domesticis periculis aeternum se testimi**
nium laudum daturum esse profitetur, quique
est eo numero, qui semper apud omnes sancti
sunt habiti, atque dicti, sic in vestram acci-
piatis fidem , ut humanitatc vestra levatus po*
tius, quam acerbitate* violatus esse videatur „ .
Leggete anche l'altro, con cui da principio
alla sua orazione dopo il ritorno dall' esi-
gi io. Altri periodi troverete di varj mem-
bri composti , ma questi membri sono indi-
pendenti l'uno dall'altro, e ciascuno con-
tiene una sentenza piena e perfetta, cosic-
ché si potrebbero ancor separare, e formar-
ne altrettanti periodi. Tali periodi, sicco-
me oono semplici e senza artifizio, hanno
luogo specialmente nelle narrazioni, e nel-
le descrizioni, nelle quali debbonsi esporre
le cose con tutta la semplicità. Eccovene
un esempio tratto dall' orazione in difesa
della legge Manilia , ove trattasi della qua-
lità della guerra, che far si dovea contrp
quam aures èxspectent , cut hn%ior , quam vires
aut anima patUtur
Mitridate: # Genus est enuh hujusmodi,
quod maxime vestros animos eccitare, atque
infiammare debct, in quo agitar populi Roma-
ni gloria, quae vobis a majoribus cani ma-
gna in rebus omnibus , tum summa in re mi-
litari tradita est; agitur salus sociorum , at-
que amicorum, prò qua multa majores vostri
magna, et gravia bella gesscrunt; aguntur
certissima populi Romani vectigalia, et maxi-
ma , quibus amissis et pacis ornamenta 1 , et
subsidia belli requirtfìs ; aguntur bona multo-
rum civium , quibus est a vobis, et ipsorutn ,
et Reipublicac causa consulendum Final-
mente nelle confutazioni , nel parlar senten-
zioso, e quando si tratta d'esprimere qual-
che gagliardo affetto, danno non poca bel-
lezza, e forza al discorso 1 periodi compo-
sti d* incisi. Ciò manifestamente di que-
sto energico, e concitato periodo del Casa
nella tante volte da me citata orazione per
la Lega apparisce: » Perocché non è da aver
di lei , ( della fortuna ) molta considerazio-
ne , non perchè ella non abbia forza , e potè-
re sopra di noi, ma perchè noi sopra di lei
nè forza abbiamo, nè potere alcuno, ne in-
tendere , nè persuadere , nè reggere la possia-
mo; ò se pure noi vogliamo fare de' futuri
accidenti alcuna stima, molto più convenevole
cosa è, che noi crediamo, che+omai le mise-
rie di tanti afflitti popoli, e U lacrime di tan-
ti innocenti fanciulli , e le strida disperate di
tante madri, di tante pulzelle, di tante vedo-
ve, e ta7iti santi luoghi ripieni di sangue, di
ra-
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rapina, e di sceleratezza , c /a misera Cri-
stianità guasta, e deserta^ ed in ciascuna
parte per le costui mani piagata e sanguino-
sa, e le persecuzioni, che egli fa ora a Santa
Chiesa, h\divina giustizia abbiano mossa a
frenare, ed abbattere tanto, e sì frenato, e
sì incomparabile orgoglio » . Da tutto ciò voi
ben comprendete, che secondo la diversa
natura e qualità delle cose , c dei pensie-
ri, che debbonsi esprimere, e secondo i di-
versi affetti, clic eccitar vogliamo, diversi
ancora esser debbono i periodi. Ai pensieri
grandi, e sublimi adattar conviene periodi
sostenuti e magnifici T alle cose semplici
e piane, piani e semplici periodi, ad un
parlar veemente, ed appassionato periodi
vibrati, e concisi, ò periodi di molti senti-
menti insieme aggruppati , i quali espressi
con tutta la precisione, e senza interrom-
pimento gli uni agli altri succedendosi ren-
dono il periodo concitato ed impetuoso, co-
me il richiede l'impeto, e l'ardor dell'af-
fetto- , cui sfogar si vuole, e risvegliare nell*
animo degli ascoltanti. Che questa sia l'ar-
re maravigliosa praticata da tutti i più ec-
cellenti oratori , e poeti , leggendo con at-
tenzione le loro opere , e sopra di essi le
più diligenti osservazioni facendo, rimaner
ne potrete appieno persuasi. Voi avete fra
mano l'orazione di Cicerone in difesa di
Milone. Osservate meco, quanto è sostenu-
to, pieno, armonioso, e perciò adattato al-
la grandezza del pensiero,, c del sentimen-
to
3*6
to, che racchiude, e che è quello d'ani-
mare i giudici a difendere , e sostenere
la causa de' buoni nella persona sua, ed
in quella di Milone, quel periodo .- „ Nam
si vnquam de bonis, et Jbrtibus viris, si un-
quam de benemeritis civibus potestas vobis ju-
dicandi Jìiit, si denique unquam locus amplisi
simorum orditili m delectis viris datus est, ubi
sua studia erga Jones 9 et bonos cives , quaa
vultiii et verbis saepe significa ssent, re, et
sententiis declararent; hoc projecto tempore
eam potestatem omnern vos habetis, ut sta-
tuatis 7 utrum nos , qui semper vestrae aucto-r
ritaii dediti fuimus , semper miseri lugeamus ,
an dià vexati a perditissimis civibus ali-
quando per vos, ac vestram fidem, virtutem ,
sapientiamque recreemur ». Piano, semplice,
naturale è all'opposto quello, in cui per
modo di sentenza esprime il carattere del
popolo, e dei cittadini: » Nihil est emiri
tam molle, tatti tenerum, tam autjr agile , aut
fiexibile , quam volunlas erga nos, sensusquc
civium , qui non modo improbitati irascuntur
candidatorum , sed edam in recte Jactis sae-*
pe fastidiunt ». Tali sono i periodi, eh©
compongono la narrazione dell' uccisione di
Clodio. Quanto esprimon bene l'affetto del
dolore provato da tutta Roma nella morte
di Scipione Affricano quei periodi vibrati
e concisi, con i quali ne accompagna la ri-
membranza: » Quantum luctum in hac urbe
Juisse a nostris patribus accepimus , cum P.
Africano domi suae quiescenti Ma notturna
vis
»' , Digitized by GoogI
vis esset illata! Quis tura non gemuitì Quis
tum non arsit dolore} Quem immortalem , si
fieri posset , omnes esse cuperent, ejus ne ne-
cessariam quidem exspectatamjlùsse mortem n ?
Nè meno ammirabile è Orazio nell'adatta-
re diversi periodi alla diversa qualità de*
pensieri, e delle immagini. Poteasi per e-
sempio con un periodo più sonoro, e mae-
stoso esprimere la grandezza di Giove, co-
me egli fa nell'ode IV. del libro Ut?
n Scimus , ut impios
Titanas , immanemque turmam ,
Fulmine sustukrit caduco,
Qui tcrram inertem y qui mare temperai
Ventosum , et umbras , regnaque trislia ,
Divosque , mortalcsque turbas
Imperio regit unus aequo .
Trattandosi poi d' esprimere una sempli-
ce sentenza , niun periodo sembra più a-
dattato di questo:
„ Vis consili expers mole ruit sua-;
Firn temperatam Dii quoque provehunt
In majus , iidem odere vires
Ojnne ntfas animo moventes.
Lascio a voi il fare altre riflessioni , leg-
gendo questo giudizioso, ed inimitabil Poeta,
in cui quante sono le Odi, tante esser pos-
sono le prove, tanti gli esempi della rego-
la da me accennata.
§• nr.
c
Dell' Armonìa.
ome nella musica altro non è 1 armo-
nìa , che quella grata impressione , o quel
sentimento, che in noi viene eccitato dal
rapporto, che hanno i . diversi tuoni fra
loro, ò questi si facciano sentire nel tem-
po stesso ed insieme uniti , e formino quel-
lo che dicesi accordo e concerto, ò sepa-
ratamente e successivamente, e producano
il casto ò la melodìa; altro pure essa non
è riguarlo al discorso che quel piacerete
queir allettamento, che porge all' orecchie
il suono distinto, e particolare degli scelti
ed eleganti vocaboli, e V ottima disposi-
zione, e soave unione dei medesimi, allet-
tamento e piacere, senza del quale mole-
sto, ed ingrato addiviene qualunque anche
più. erudito discorso , e che forma perciò il
più bel carattere, ed il pregio più singolare
e necessario d' un buono scrittore . Due
sono le cose al dire di Cicerone, che ren-
dono armonioso, e grato all' orecchie il di-
scorso, il suono cioè, ed il numero (a). Il
suono risulta dalla qualità stessa de* voca-
boli, ò delle voci, il numero poi, ò vogliam
dire la cadenza, la misura, la consonanza
dalla buona, loro disposizione . Per quello
che
(a) Dune rcs t qua e pcvmulcc.it àUYCS , souus , et
*ì timer u s\
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che riguarda il suono,- due còse si debbono
parimente osservare , il tuona cioè delle
lettere, e delle sillabe, dalle quali risulta
il vocabolo, e la relazione del medesimo
tuono all' idea dal vocabolo stesso espressa
ed eccitata neil' animo. Una 1 proprietà co-
mune a tutte le lingue quella* si è di espri-
mer cose di diversa natura , e quàlitàv con
diversi tuoni di lettere, e di sillabe . .Que-
ste! tuono diverso deriva nelle' vocali dalla
maggiore, ò minore apertura della bocca
nel pronunziarle . Un tuono aperto , e sonòro'
ha la vocale /4, e perciò ricorrendo essa nel
discorso e nelle parole , non solo è atta ad
esprimere le cose grandi, maestose, e ter-
ribili, come in quel verso di Virgilio:
g Horrcndas canit ambage* , antroque remugit,
ed in quello d' Orazio :
# Dextera sacras jaculatus arce* ;
ma ancora le cose liete, leggiadre, ed ame-
ne, come nel verso di Virgilio :
n Molila lutcola pingiù vaccinici cattha ;
ed in quello:
V Quid neinora Aethiopum molli cancntut lana ,
e ncll' altro :
V Italiani, Italiani primus conclamai Achates',
come pure in quello d' Orazio :
,5 Aniocnac
Quos et aqttac s ubarne , et attrae .
La lettera 0 hit un suono grave, e mae-
stoso, ma meno aperto e chiaro de il' A -
ed è perciò adattata ad esprimere c o- e gran-
di >■ c maestose. Tale è V effetto 7 che la sua
n-
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33°.
ricorrenza produce in quel verso cT Orazio z
„ Regina longum Calliope melos,
ed in quel di Virgilio;
» O nimium Cado , et Pelago confise sereno .
La lettera U pronunziandosi piuttosto con
stringimento di labbra , e chiudimento di
bocca, ha un suono oscuro, ed è perciò op-
portuna, quando si tratta d' esprimere spa-
vento, ululato, mormorio , e tumulto, co-
me osservar si può in quel verso di Virgilio r
» Tom plausiufremituq. virimi 9 $tudiisq.favcntum,
ed in quello d* Orazio ;
v JSccvespertinus circttmgcnut ursns ovile.
Le vocali £, ed / hanno un suono dolce ,
benché più delicato è forse quello della
lettera is, perchè si pronunzia con una
inedia apertura di bocca; tenue, e schiac-
ciato è il tuono della lettera 7. Ne osser-
verete T effetto in quel verso d' Orazio:
» Sublimi Jeriam sidcra vertice*
inopportunamente, e senza fondamento can-
giato dallo Scaligero in questa guisa,
„ Sublimi Jcriam vertice sidcra ,
per la ragione, dice egli, che la lettera A
in fine del verso lo rende (forse alle sue
orecchie) più sonoro, e maestoso.
Lo stesso dicasi delle lettere consonan-
ti, delle quali altre sono più dolci, altre più
aspre, e dal concorso delle quali dipende
un vario suono nelle parole. Che se il suo-
no delle parole corrisponde alla qualità dell'
idee, e delle imagini , che con esse si espri-
mono, e giunge a rappresentavle con tanta
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vivezza, ette quasi le renda sensibili ali
Orecchie ed al guardo, tanta armonìa , tan-
ta grazia, e tanta forza acquista il discorso,
che rapisce, e incantagli animi degli ascol-
tanti. Soilo ammirabili in ciò specialmente
i poeti , i quali sanno variare così bene 1*
elocuzione, e la rendono sì convenevole, e
adattata alle cose, che ne esprimono rni-
labilmente la natura e lo spirito, imitan-
do col basso e delicato suono delle parola
la bassezza e la mediocrità, e la soavità
de' sentimenti, e tuonando col metro, comé
dice Un modèrno scrittore, e lampeggiando
con le parole , quando grandi , e sublimi inal-
bano lo stile. 1/ attenta lettura di Virgilio
può sola convincerci d* una tale verini .
Quanto opportunamente ricorre la Ietterà
F, che non si pronunzia senza spinger fuori
una parte d* aria, e formare una specie di
vento in quel verso dello stesso poetai
3 Ceu fiamma furentìlms austri$>
e nell'altro simile:
)3 Loca Jbeta Jìirentibus austris,
La lettera 5, la di cui pronunzia è accompa-
gnata sempre da una specie di sibilo , ed è
perciò da Persio chiamata Serpentina , non
potevasi più acconciamente dà lui adopràre
che in quel verso:
, 5 Tot Efinhys àibilat hyXrié f
imitando col suono ripetuto di questa lette-
ra il sibilo dei serpenti attorti al capo della
furia.
La lettefa R , che pe '1 Silo aspro suono
è
è chiamata <Ia Ovidio canina, è adattatisi-
ma ad esprimere il fremito, ed il furore
degli uomini, e degli animali:
n Fremit fwrridus ore cruento r
qualunque strepito, come per esempio quel-
lo , che fa nel suo cadere la grandine:
^ Crepitans salit horrida gran do r
ed il mormorio, specialmente quando è uni-
ta alla lettera M, ed U , come in quel ver-
so di Virgilio :
„ Nemorum increbrescere murmur ,
e nell'altro;
,ì Map.no cum murmurc montis
Gratin chmstra fremunt .
Dovete però osservare, che quanto di bel-
lezza ha la ripetizione delle medesime let-
tere, quando imita col suono il senso delle
parole, altrettanto è per lo più difettosa, e
perciò da 'evitarsi con tutta la diligenza,
perchè produce un suono spiacente , ed in-
grato. L'orecchio formato all'armonìa de*
buoni Scrittori debbe esserne il giudice . Ap-
pena si può pronunziare quel verso di Plau-
to per T ingrata ricorrenza della lettera P :
v Non potuti paucis plura piane prohqui ,
ed io con buona pace del Vossio non lode-
rò mai , come uno de' versi più felici di
Virgilio quello del libro IX.
» Ceti septery. surgens sedettis amnibus altus
Per tacitum Ganges ,
nel quale la ricorrenza della lettera S norr
solo non ha alcuna bellezza, ma produce
una poco grata armonìa. Da tutti questi
esem-
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. , 333
! serapj, e da altri che pei* brevità trala-
i io, comprender potete, che l' armonìa del
discorso dipende non solo dal suono delle
parole, ma anche dalla loro collocazione , e
che perciò adoperar sl dee tutto il giudizio ,
e tutto il discernimento nello scegliere quel-
le , che sono più adattate, e nel collocarle
in guisa, che rendano col suono quasi sen-
sibili le cose, che si esprimono.
Io non credo, che ad alcuno di voi
sembrar possa superflua cosa, ed inutile il
favellare più a lungo di quell'armonìa , che
aver deve il discorso, perchè piaccia e di-
letti, riflettendo con Cicerone, e con Quin-
tiliano , esser noi dalla natura stessa invi-
tati , e mossi a ricercarla (a). Nella verità,
nella nobiltà, e grandezza dei sentimenti,
nella forza delle ragioni, nell'ordine delle
cose trova, e vero, principalmente il suo
pascolo, e il suo diletto la niente, ma do-
vendosi tutto per mezzo dell' udito comuni-
care, uopo è, che una grata impressione
faccia neir orecchie il discorso per mezzo
dell* armonìa , senza la quale i sentimenti
medesimi per quanto sublimi, e leggiadri
sieno, anziché dilettare l'animo degli udi-
tori divengono loro in guisa tale molesti
ed ingrati, che ricusano ancor d'ascoltarli.
Che se, come avete fin qui veduto, è ne-
ces-
{a) Natura ducimur ad modos . Auiviadverten»
thtm est, cadevi tintura admonente , esse qttosdam
cortes cursus , conclusiouisque verùortim .
334
cessarla una particolare attenzione riguarda
al suono delle parole per isceglier quelle ,
che non solo più. grate all' orecchio riesco-
no , ma col vario loro suono esprimono me-
glio i sentimenti e l'idee, non minore es-
ser dee la nostra diligenza nel collocarle,
e disporle in guisa, che abbiano i periodi
quel numero, quella misura, e quella ca-
denza, che renda pienamente pago e con-
tento l'orecchio. Di questa disposizione di
parole sì necessaria per rendere numerosi,
e sonori i periodi, hanno con tanta accu-
ratezza parlato gli antichi Retori, che giun-
ti sono a prescrivere riguardo alla prosa
quelle medesime leggi di Dattili, di Spon-
dei, e d' altre sorte di piedi, ò misure, che
nel verso si osservano, purché non si ven-
ga a formare il verso medesimo, il quale
pome vizioso viene nella prosa riputato da
Cicerone : » Versus enini in oratione si e$-
citur , vitium est n . Senza trattenersi nella
minuta osservazione di tali precetti, panni,
che un solo bastar possa per tutti. Consiste
questo nell'avere un orecchio così squisito
e delicato, che capace sia di distinguere
quel che può render soave ed armonicso,
ovvero aspro- ed ingrato il periodo. E ben-
ché dipenda questo da una certa armonica
organizzazione, e disposizione naturale, mol-
to per altro può contribuire a formarlo, e
perfezionarlo l'arte e lo studio. Quest'ar-
te e questo studio consiste nell'attenta let-
tura de 1 migliori, e più eleganti scrittori.
Ab-
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^ *
Abbiate sempre fra mano gli esemplari La-
tini, e Toscani, questi giorno e notte leg-
gete, recitatene ancora ad alta voce i pe-
riodi, sicuri, che quando assuefatto avrete
1* orecchio all'armoniosa cadenza de' perio-
di di Cicerone , del Boccaccio , e del Casa ,
senza fatica imparerete il modo di stende-
re, e di chiudere i vostri periodi con quelf
armonìa, e con quella varietà, che rechi
piacere e diletto agli ascoltanti. Io dissi
ancora con varietà, perche difetto grandis-
simo sarebbe il terminar sempre con la stes-
sa cadenza, e con parole d 1 eguai misura i
periodi, i quali benché armoniosi e soavi
offenderebbero però con la loro continuazio-
ne l'orecchio, non meno che l'unisono
continuo nella musica. Questa varietà os-
serverete ne' buoni scrittori , presso i quali
i periodi ora vanno a terminare con parole
quadrisillabe, ora con trisillabe, ora con
dissillabe, e talvolta ancora con monosilla-
be . A questa ragione aggiungete 1' altra an-
che più importante, per cu: tanto più ne-
cessaria si scorge la varietà ne* periodi , per-
chè si tratta di adattarli sempre alia varie-
tà de' sentimenti, e degli affetti, che suc-
cessivamente si vanno esprimendo, come
parlando della Connessione ho già con va-
xj esempj ancor dimostrato.
t
CA-
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CAPITOLO IH
/
Della dignità delV Elocuzione . .
Fra le cose, dalle quali, come fin dal pria»
cipio dicemmo, la buona elocuzione risulta,
quella, di cui mi resta ancora a parlare,
non è certamente meno necessaria, e la me-
no atta a render leggiadro, nobile, e mae-
stoso il discorso. Da essa ricevono anzi le al-
tre ornamento, c bellezza. Infatti per quan-
to scelti ad eleganti sieno i vocaboli , armo-
nica, e dilettevole la loro disposizione, ri-
marrebbe sempre oscura, e senza quella gra-
zia, che rapisce V animo degli ascoltanti,
queir orazione, che fosse priva di dignità.
Condiste questa ne' più vaghi , ed ornati mo-
di di dire, dal comune ed ordinario favellare
degli nomini alquanto lontani, quali sono
appunto i traslati, e le iìgure . Io non saprei
meglio esporvi la natura , e nel tempo stes-
so la necessita di tali ornamenti , che con la
bellissima similitudine da Quintiliano adope-
rata . Qual bellezza avrebbe mai una statua ,
in cui ben formate, e disposte fossero le par-
ti tutte , ma si vedesse poi tutta piana, tutta
d' un pezzo da cima a fondo, col capo dirit-
to, e senza alcuna piegatura, con le braccia
stese, e pendenti lungo il corpo, con i piedi
insieme uniti? Tale appunto sarebbe un'ora-
zione spogliata degli ornamenti, che danno
anima e vita al discorso non meno, che al-
lo statue gli atteggiamenti de' pi<?di, delle
ma*
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frani, del volto, del capo, in mille guise va-
riati, secondo la diversità de' soggetti (a).
Da queste ultime parole di Quintiliano rile-
var potete, di due sorte essere i traslati e
le figure, di parole cioè, e di sentenze - In
tatti nelle parole, e nelle sentenze tutta
raggirandosi I' eloquenza, tanto a queste»
che a quelle convien dare quelT ornamen-
to, di cui possono esser capaci . L' ornamen-
to delle parole dalle parole stesse , e dalla
loro disposizione deriva, dai traslati cioè»
e dalle figure di parole, cosicché tolte, ò
mutate le parole ogni ornamento svanisce.
Le sentenze poi riconoscono il loro orna-
mento dalla sua medesima qualità , e na-
tura, e dall' aria, ò modo, onde sono per
mezzo delle figure espresse , talché quando
anche si mutino le parole, non si muta pe-
rò la figura di sentimento, ma sempre ri-
mane la stessa (b) . Delle figure di senten-
ze avendo io nella prima parte a lungo>, e
forse più opportunamente parlato, resta so-
Z lo
Nam recti quidem cor por ts vel mìnima gra-
tta est , nempe e Htm adversa sit facies , et bracbia
demiss a , et juncti pedet , et a Summit ad ima ri-
peti* opus . Flexus Me , et ut dixerim mottis dat
actum quemdam effictis , quatti quidem grattarti af-
feruut figurai % quaeque in sensibus , quaeque in
verbi s Su ut .
{b) Inter conformationem vertorum , et senten-
tiarttm hr>c interest , quod verborum toltitur , siver-
ba mutaveris )Sententiarum permauet, quibusque verbi s
ut: yelis f
la, che dei traslati, e delle figure di paro*
le in questo luogo ragioni. Facile vi sarà
poi il comprendere, qual differenza passi
tra i traslati, e le figure, qualora vi piac-
cia riflettere, che sebbene tanto queste, che
quelli altro non sieno, come dicono i Re-
tori, che modi di parlare lontani dall' uso
comune, i traslati per altro detti con gre-
ca voce Tropi, consistono in un trasporto
d* un vocabolo dal proprio in un altro
significato fatto con qualche leggiadrìa ; lad-
dove le figure, le quali più nella colloca-
zione , e vario uso de' vocaboli , che ne' vo-
caboli stessi consistono, si fanno ancora con
vocaboli proprii, 6enza punto cangiare il lo-
ro significato, come meglio vedrete da quel-
lo, che trattando in particolare di ciascun
tropo , e di ciascheduna figura dirò in ap-
presso.
ARTICOLO PRIMO.
Dei Tropi, b Traslati,
E per meglio intendere la natura dei Tro-
pi, ò de' traslati, conviene rintracciarne
con più d'accuratezza l'origine. Voi ben
sapete, ( ed io già nella prima parte l'ho
abbastanza spiegato ) che altro non sono i
vocaboli, che segni, per mezzo dè' quali
scambievolmente si manifestano gli uomini
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Videe, ed i pensieri conceputi' nell' animo.
Allora dunque dicesi usato in senso proprio
un vocabolo, quando esprime queir idea, a
significar la quale fu dagli uomini istituito,
e da essi comunemente si usa. Che se ado-
pransi i vocaboli per esprimere idee diver-
se da quelle, a significar le quali furono
istituiti, un tale uso dei vocaboli chiamasi
col nome di tropo, ò di traslato, essendo-
ché si fanno passare dal proprio significato
in un altro. Così il vocabolo Riflessione fa
dagli uomini adoperato per esprimere il
moto d'un corpo, che in un altro urtando
ritorna indietro . Ma di questo vocabolo ci
serviamo ancora per spiegare l'attenzione
della mente, la quale si porta a considera-
re un oggetto, e da questo poi ritorna in
qualche modo indietro, e ad altro oggetto
«i volge. Nel primo caso la voce Riflessio-
ne in senso proprio è usata, in un senso
non proprio, ò traslato nel secondo. Fre-
quentissimo è l'uso, che si fa dei tropi an-
che ne' discorsi familiari, ed ordinai) degli
uomini. Tali sono quasi tutti i vocaboli,
da' quali ci serviamo per esprimere idee a-
stratte, e idee di cose non soggette ai sen-
si, per significar le quali quelli stessi vo-
caboli si adoprano, che nella sua origine
sono stati dati alle cose sensibili, e mate-
riali, rendendo in qualche modo sensibili,
ed intelligibili agli altri le interne opera-
zioni, ed affezioni dell'animo con i voca-
boli di cose sensibili e corporee, le quali
han-
hanno con le operazioni, ed affezioni stes-
se dell' animo qualche analogìa, e somiglian-
za. Così per significare la sostanza spiritua-
le, che anima ed informa il nostro corpo,
ci serviamo delle voci anima, spirito, che
in origine altro non significano, che un
soffio; ed un'aura sottiliss.ma, e diciamo
inoltre profondità, estensione , capacità , li-
mitazione di mente, inclinazioni* e movi-
menti dell'animo, voci tutte, ed espressioni,
che si adoprano per significare le diverse
proprietà, ò 1 diversi stati dei corpi. Da
ciò' voi ben potete comprendere, che la ne-
cessita è stata la prima cagione , ed origi-
ne dei traslati, poiché non avendo gli uo-
mini tanta copia di vocaboli , che servir po-
tesse ad esprimere tutte le loro idee, prese-
ro per così dire in prestito vocaboli a si-
gnificare altre idee già destinati, e si ser-
virono d' immagini, e di similitudini ricava-
te da cose sensibili, e materiali per spie-
gare le co e invisibili, e spirituali. Da quel-
lo che si dira in appresso osserverete in-
fatti, che i traslati sempre racchiudono in
se l'immagine, ò la similitudine. Ma ciò,
che fece :o sul principio gli uomini per ne-
cessita, e per scarsezza di termini, si fece
poi ( dice Cicerone nel libro IH. dell' Orat. )
per ornamento lei parlare, e per diletto de-
gli uditori; in quella guisa appunto, che fu-
rono sul principio per difesa solo del corpo
ritrovate le vesti, e quindi per aggiungere
Sii medesimo ornamento, e bellezza adope-
... , ...» » j * -
_ ' ra-
> / «
. *
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rate (a)> Tale è il sentimento di Cicerone,
cui quando adottar non si voglia in tutte le
parti, e ci piaccia piuttosto non senza fon-
damento pensare, che non già dalla necessi-
ta derivante dalla scarsezza, e povertà del-
le lingue abbiano avuto origine £ traslati,
ina dalla natura medesima (b), dalla fervi-
da immaginazione cioè, e dalla passione,
la quale ci mette in bocca tali modi di par-
lare, quando avviene di dovere esprimere
qual-
_ ' r=r — — — :*
{a) Modus transfer elidi ve' hi late patet , quem
iieCiSSitas gei.uit tno'pia ccacta , et angustia, post
aut<m dclcctatio , jucurditasqùe celebravit . ham
ut vestis frigo ìs it pei feudi causa reperto primo
fast adhiberi coepta est ad ori atum etiam corpòris,
et di'. luì tate vi ; sic verbi trans/atto insti tuta est
itjcpiae causa ^frequentata delectatiovis .
{ù) Nel principio delle Società le lingue sì tro-
vano più povere di voci . Non alla sola scarsezza
di queste peraltro, ma alla forte immaginazione,
ed alle ^nginirde passioni de' popoli ancora incol-
ti , e selvaggi dee attribuirsi in gran parte l'uso
più frequente d'un linguaggio metaforico, è figu-
rato. Tale , erme dice il Sig. Blair, e il carattere
delle lingue Americane, e Indiane, ardite, pittore-
sche, metaforiche , piene di forti allusioni alle
qualità sensibili di quegli oggetti , che più li feri-
scono nella loro selvatica , e solitaria vita . Un Ca- \
po degli Indiani tarla alla sua Tribù con più for»
ti metafore , che un Europeo non userebbe in un
poema . Che tale fosse anche V antica lingua de*
Celti, sembra, che i poemi d'Ossian chiaramente
il dimostrino ; e se non fossero 'abbastanza cauti i
giovani nella lcttuia di essi, potrebbero facilmen-
te bevervi lo stile ardito, e misterioso de' Secen-
• ••
tisti .
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34*
qualche Oggetto nuovo, e sublime da cui sla-
mo 6tati altamente sorpresile commossi; sa-
rà sempre vero peraltro, che molte volte la
necessità è quella, che ci obbliga a fare
uso de' traslati, mentre molte cose, quali
sono tutte le insensibili , e spirituali , espri-
mer non si possono dall'uomo, che con im-
magini sensibili , e con similitudini . Gran-
de è la forza, e l'ornamento, che aggiun-
gono al discorso i traslati . Hanno essi deli*
ingegnoso, dipingono sì vivamente le cose,
che ci sembra averle presenti allo sguardo ,
e T uditore ha piacere di vedersi trasporta-
to fuori di ciò che. si tratta, senza smar-
rirsi. Ci offrono il piacere di vederci presen-
tati insieme due oggetti senza confusione , va-
le a dire Videa principale, che è il soggetto
del discorso , e V accessoria , che ne è l' orna-
mento. Noi veggiamo, come dice Aristotele,
una cosa nell'altra, il the sempre alla, men-
te è di diletto. Niente più appaga, e intertic-
ne V immaginazione, che il confronto, e la
somiglianza degli oggetti , e tutti i tropi sono
appunto fondati su qualche relazione , ò aria-
logia d! una cosa con V altra (a). Molto a-
dunque importa l'esaminare attentamente
le diverse maniere, onde usar si possono i
traslati. E per andare con la maggior chia-
rezza, ed ordine, due specie di traslati di-
stingueremo , quelli cioè , che nel variato
senso d'un sol vocabolo consistono, e quel-
ir
W Bhit T. I. Lez. XIV.
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343
li, che si fanno in più parole, e talvolta
in un intero discorso. Questa distinzione di
traslati accennò Quintiliano medesimo nel
definirli un cangiamento, ò trasporto d'una
parola, ò d'un discorso dal proprio in altro
significato fatto con giudizio , e con leggia-
drìa : » Tropus est verbi , vel sermonis a prò*
pria signific adone in aliam cum vi r tute muta-*
' tio n . Alla prima specie riduconsi la Meta-
fora , la Sineddoche, la Metonimia, la Ca-
tecresi, la Metalepsi; alla seconda l' Alle-
gorìa , l' Ironìa , V Iperbole , e la Perifrasi .
§. I.
Bella Metafora.
La Metafora, Greco vocabolo, che fnx-
sferimento significa, allora si fa, quando il-
nom,e d' una cosa ad un' altra si adatta, che
ha con quella qualche somiglianza, ò rap-
porto: 5> Translatio est 9 cum verbum in quam*
dam rem transfertur ex alia re, quod pro-
pter similitudinem recte videtur posse trans-
ferri w . Dicesi per esempio: Argentei umo-
ri in vece d' acque; acceso, ed infiammato di
furore, in vece di furibondo, essendovi qual-
che somiglianza tra l'ardore del fuoco, e
quello, che eccita nell'uomo il furore, tra
la lucentezza dell'acqua, q quella dell'ar-
gento. In quattro diversi modi può adope-
rar-
344
farsi questo traslato; t. Quando una voce
propria d'una cosa animata ad un altra pa-
rimente animata si adatta. Così nel Canto
VI. del 1 aradiso adatta il Poeta Dante il
verbo latrare proprio sola dei cani a Bruto,
e Cassio , dicendo :
» H ritto con Cassio nelV Inferno latra ,
É nel canto V. dell' Inferno adatta a Mi-
nosse il verbo ringhiare t che è parimente
proprio de' cani:
£ Stavvi Minosse, e orribilmente ringhia.
Quanto bene col verbo advolat, che è pro-
prio sol degli augelli esprime Virgilio la ve-
locita d' un leone, che precipita dall' alto
d' una montagna per far preda d' un toro,
clie ha scorto nel piano:
$ Utque leo specula cu ni vidit ab alta
Stare procul campis medvantem prtfia taìirum ,
Advolat-,
• ■
d. Quando un nome di cosa inanimata , si
usa per esprimere un' altra cosa parimente
inanimata, come quando dicesi: splendor
dei natali fiamma a" amore ; ed il Petrarca
disse; Amor, quando fioria mia speme: ben-
ché sia proprio solo lo splendor della luce,'
la fiamma del fuoco, il fiorir delle piante'.
3. Quando una cosa animata coi nome di
cosa inanimata s' esprime . Tale è la metafo-
ra di Cicerone in q ielle parole : r> Hujus
lucrosissimi belli semen tu fuisti », tale è'
quella di Catullo :
» 0 qui flosculus es juvcnculorum ?
tale quella del Petrarca; * -
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t
• 345
0 E due folgori secondi battaglia
11 maggior, e il minor Scipio africano;
presa dai libro VI, dell' Eneide di Virgilio,'
dove parlando de' due Scipìoni ini siimi
guisa 1' Epico Latino s' espresse:
„ Oeminos duo fulmina belli*
Scipiadas , claaem Lybiae.
4. Finalmente quando un nome di cosa ani-
mata ad una inanimata si adatta, ed è que-
sta la più frequente metàfora specialmente
presso 1 poeti, e quella che più d' ogni al-
tra ravviva, ed abbellisce il discorso, dan-
do vita, ed azione alle cose stesse inani-
mate, ed inerti. Per esprimere un luo;ro ,
dove non penetrano i raggi del sole, adat-
ta il Poeta Dante Rei primo Canto dell'
inferno il verbo tacere , che è proprio solo 5
degli animali, al. sole medesimo:
„ Tal mi fece là bestia senza pace,
Che venendomi incontro a poco a poco,
Mi rispingeva là, dove il sol tace;
éà usa la, stessa metafora nel Canto V. di-
cendo :
, 5 Io venni in luogo d' ogni luce muto.
Quanto son belle le metafore contenute in
è|uei versi di Virgilio:
55 Fior rida per latos acies Vulcania campos
Ille sedens Victor fl-im mas despectat ovante* i
ne' quali versi ci rappresenta al vivo la
qualità delle fiamme, che producono l'in-
cendio coli' idea d' un numeróso esercito ,»
ecl anima le fiamme* stesse rapide tentandole'
liete, e trionfanti, come un vincitore. Si-
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nriìi metafore voi scorgerete pure in queste
•spressioni dello stesso poeta : » Omnia nunc
rident . . Vitio moriens sitit aerU herba . . .
Stratum silet aequor Pontem indignatus
Araxes» .Affinchè però sia d' ornamento al
discorso la metafora, e non degeneri in ri-
dicole, e troppo stravaganti, e ardite imma-
gini , molte cose prescriver sogliono i Re-
tori intorno all' uso di essa. Io osservo pe-
lò che tutte si riducono a questa semplice
regola dedotta dalla natura stessa della me-
tafora, che tra le cose, dalle quali pren-
donsi come in prestito i nomi, e quelle,
alle quali si trasferiscono r e si adattano,
deve esservi somiglianza e proporzione, e
sarà sempre aggiustata, e degna d' appro-
vazione la metafora, se di questa propor-
zione, e - somiglianza non manchi. Infatti
voi ben vedete, che una tal regola, come
viziose rigetta e condanna le metafore dure,
e forzate , lontane , e difficili a scoprirsi ,
come chi dicesse:» Syrtim patrimoni^ Carybdim
honorum; scorse tutto lo zodiaco degli onori w ;
come pure le metafore che hanno troppo
dell' ardito , e del gonfio , quali sarebbero
queste: montes belli fabricatus èst y ai bronzi
tuoi serve di palla il mondo ; le metafore
troppo vili, e nauseanti ,qual' è quella notata
da Orazio: /àM$*^
n Juppiter hybernas cana nive conspuit alpes ;
e Cicerone biasima un oratore del suo tem-
po per aver chiamato stercus curiae vm suo
nemico; Quamvis sit simile , dice egli, tamert
est
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est defbrmis cogitano similltudinis . Viziosa
è pure la metafora , se è troppo oscura , e
ripugnante) quale dal Muratoti vien giu-
dicata, e condannata quella d' un poeta,
che parlando di S. Maria Maddalena, che asciu-
gò con i suoi capelli i piedi del Salvatore
dal di lei pianto bagnati, e paragonando il
suo crine al Tago, ed i suoi òcchj al sole,
dice :
» Se U crine è un Tago, e sotidue soli i lumi)
Non vide mai più bel prodigio il Cielo,
Bagnar co* soli , ed asciugar co* fiumi .
Simile a questa è la metafora del P. Ghir-
landi , il quale in un sonetto sopra una mo-
naca , che entrò nel Convento degli Angeli
di questa Città, seguendo V immagine d* un
leone , e d* una lionessa ? conchiude il sonet-
to così:
„ Onde appo me raro prodigio è questo*
Che gentil lionessa senza sprone
Fra gli angiol corrale un ahgiol sia sì presto.
Nè meno insulse, fredde, e stravaganti so-
no altre sue espressioni, come quando chia*
ma se stesso farfalla d y Apollo, ò dice:
a Inalzò contro Lete argin 4* ambrosia.
imbalsamò col miele del canto, espressioni,
che s' incontrano spesso specialmente in
quegli autori , che Secentisti vengono ordi-
nariamente appellati, tra i quali non è
mancato chi ha chiamato Davidde scettro
penitente , un S. Luca pennello Evangelia^ ,
ed ha paragonato un S. Carlo Borromeo ali 9
ovo sodo benedetto . E qual giudizio far dovremo
4*
di queste espressioni: / nitrei sdegni dei
ghiaccio: I sogni pargoleggiano; j^ibai le tazze
degli achei precetti, e molte altre usate da
un moderno Poeta ?
§. ir.
Cella Sineddoche,
La S^aocUe * U*U c«. M «
lectio è quel traslato , per cui nominandosi
una parte di qualche cosa si vuole, che in-
tendasi nominato il tutto, e nominandosi il
tutto prendasi come detto d' una parte sol-
tanto: ^ Intellectio est, cum res tota parva
de parte cognoschur , aut de toto pars w . In
molte guise trovasi usato questo tropo . Tal-
volta si nomina una parte per significare il
tutto, come quando Virgilio nomina la Ger-
mania, e i Parti soltanto per denotare qua-
lunque dei popoli Orientali, ed Occiden-
tali:
% Aut Ararìm Parthus bibct,aut Germania Tigrim ;
ed all' opposto si nomina il tutto per signi-
ficare sólamente una parte, come quando
lo stesso Virgilio nomina un bosco, ò una '
selva , volendo intender soltanto alcune
piante :
„ Viridemque ab humo convellere sylvam.
Così troverete bene spesso nominata la pop-
pa, e la carena d'una nave, l'antenne, ò
le
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le v^le per significare tutta intera la nave.
Inoltre per denotare una cosa si nomina
soltanto la ma ter a , onde ella è composta .
Cesi il Petrarca in vece delle navi nomina
s. Lauto 1 legni, onde son costruite:
n Ni per tranquillo mar legni spalmati;
c per significare il sepolcro di Madonna
Laura nomina il sasso, ond' era fabbricato,
e chiuso il sepolcro medesimo:
p Ite rime dolenti al duro sasso,
Che il mio caro tesoro in terra asconde.
Così troverete presso Virgilio, e gli altri
Poeti in mille luoghi in vece delle navi no-
minati i pini e gli abeti, onde sono for-
mate , nominato l'oro in vece delle tazze di
questo metallo. Ordinario è -ancora presso
efi essi il nominare la specie per il genere,
ed il genere per la specie . Così si nomina
il vento Euro, V Austro, l'Aquilone, lo Ze-
firo per qualunque vento impetuoso , ò leg-
giero: ^ Loca foeta furentibus Austris
55 Zephyro putris se gleba resolvit Così
troverete nominato generalmente un augel-
lo, sebbene si parli dell'aquila, ò d'un au-
gello particolare: » Album mutor in aUtem»i
55 qualem ministrimi fulminis alitem w . Spes-
so trovasi il singolare per il plurale , come
in questo verso di Virgilio:
9 5 Depresso incipiat jam tum mihi vomere taurus
In gemere ,
ed all'opposto il plurale per il singolare,
come fa il Salvini nell' orazione in morte
di Benedetto Averani: 55 Ecco in breve giro
di
di tempo , i/i questi cinque anni i Viviani, £
Bellini, i Corsini, i Filicaia, che io qui d % elo-
gj non fregio, perchè sufficiente elogio si è il
rammentarli, sono da questa nobile adunan-
za , e da questa vita spariti » . Finalmente
in vece degli antecedenti si pongono i con*
seguenti , come fa in quei versi Virgilio 9
dove per il declinar del giorno, ò per la
sera, esprime di questa declinazione , ò del-
la sera i segni, e gli effetti:
nEtjam stimma procul villarum culmina fumante
Majoresque cadunt aids e montibus umbrae >
ed all' opposto in vece de' conseguenti si e-
sprimono gli antecedenti, come fa il Pe-
trarca :
„ Quando il pianeta *, che distingue V ore
Ad albergar col Tauro si ritorna ,
Cade virtù dall' infiammate corna ,
Che veste il mondo di novel colore.
■
§• in.
9
Della Metonimia, ò fpallage*
D icesi da Greci Metonimia, ò Ipallage,
e dai Latini denominano quel traslato, per
cui i. in vece dell'effetto, ò di qualche ope-
ra', ò ritróvamento si esprime la causa , V
autore, e V inventore del medesimo, come
quando si nomina Marte cagione, e princi-
pio della guerra per la guerra medesima ;
quan-
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qùando si nomina Bacco , Cerere, l'albero
di Pallade , e Pallade stessa in vece del vi-
no, del grano, dell'olivo, dell'arti, e del-
le scienze, delle quali cose tali Dei furono
secondo la favola gli inventori; quàndo si
nomina Platone, Aristotele ce, in vece del-
le opere da essi composte ; a. in vece della
causa si esprime l'effetto, come quando si
nomina il pallore dei volto, il tremor del-
le membra effetti di timore e di spavento,
per significare il timore, e lo spavento me-
desimo, il vigor delle forze, la prima la-
nugine , che comincia ad ombrare le guan-
ce, per significare l'età giovanile; il crine
canuto e la rugosa fronte, per denotar la
vecchiezza; 3. quando si nomina il conti-
nente in vece del contenuto , come le tazze
in vece del liquore, onde son piene, la cit-
tà in vece dei cittadini , l' Italia , e la Gre-
cia in vece degli abitanti di queste Provin-
cie; quando all'opposto si prende il conte-
nuto per il continente , come le acque sal-
se per il mare, le stelle per il Cielo, i na-
viganti per la nave ; 4- in vece della cosa
posseduta si nomina il possessore, come fa
Virgilio nel II. libro dell' Eneide, dove in
vece della Casa d'Ucalegonte nomina Uca-
legonte medesimo: » Jam proximus ardet
Ucalegon w ; ò come farebbe chi dicesse, spo-
gliare 9 ò dilapidare Apollo, o Marte , o Dia-
na, in vece dei templi loro consacrati; 5. in
vece degli uomini virtuosi, ò viziosi si no-
mina il vizio, ò la virtù. Così perciò si e-
spri-
aprirne Cicerone: n r »w ignavia, cum Incu-
ria, cimi amcntia decertandum est , 5 ; e Fe-
dirò in una delle sue favole dice:
35 rerum est aviiitas dives , et pauper pudor - f
6. finalmente si nomina il segno in vece
della cosa da esso significata, come i fasci,
e le scuri per il consolato, ò generalmente
per la pubblica autorità, l'olivo per la pa-
ce, l'aquila per l'impero. Dalle q-.iaU cose
manifestamente si scorge, che la Metoni-
mia, come insegna l'autore della R erronea
ad Erennio, altro non è che un traslato,
per cui nominandosi una co*a un'altra se
ne vuole denotare, che ha con quella qual-
che affinità, ò relazione: Denomriario est,
quae a propinqui* , et finiti rebus tra hit
prationem qua passit vitellini rcs, quae non
suo vocabulo sit appellata 9) .
§ iv.
■
Della Catacresi.
Cj^uando per significare una cosa ci ser-
viamo d'un nome, che non le può conve-
nire, ma è proprio d' un altra, cosicché sem-
bra un abuso, e un parlare improprio, un
simile tramato si appella Catacresi, che al
Latino vocabolo abusio corrisponde (j) . Cor
' _
U) Abusio est , quae verho simili, et propinquo
fro certo , et probrio abutitur .
> *
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si chiamò Virgilio cavallo quella macchina,
che fabbricarono i Greci sotto le mura di
Troja , quantunque cavallo non fosse , ma
ne avesse sol la figura: » Equum divina Pai*
ladis arte aedificant », ed Orazio si servì
del verbo equitare sì per esprimere il tra-
stullo de' fanciulli nel correre sopra una
canna , ò un bastone , come se fosse un ca-
vallo : equitare in arundine longa, che lo
scorrere impetuoso, e furibondo delle fiam-
me per un bosco , ò dell* turo per il
mare :
» Ceu fiamma per taedas , vel Eurus
Per icitlas equitavit undas .
Così abusivamente dicevasi dai Latini par*
ridda anche uno, che ucciso avesse il fra-
tello, ò la madre, sebbene ali'uccisor del
padre un tal nome solo convenga, trovan-
dosi di rado usati i nomi di matricida, e
ài fratricida* A questo traslato riducesi an-
cora T uso improprio , che si fa talvolta da*
poeti d'alcune espressioni, le quali hanno
un significato totalmente diverso , come
quando Virgilio adopra il verbo sperare,
sebbene di cosa parli , che piuttosto temere
si suole, ed aborrire, dicendo:
» Hunc ego si potui tantum sperare dolor em?
A a §.
334
L
§. V.
Della Metalepsi.
a Metalepsi detta dai Latini participatio ,
si fa, quando una proprietà, che ad una
cosa conviene, si attribuisce ad un'altra,
come quando «i dice dell'effetto ciò, che è
propriò sol della causa . Chiamò infatti Vir-
gilio opaco il freddo: » Frìgtts captamus opa-
cum £, epiteto, che conviene solo all' om-
bra, ò al luogo ombroso, cagione del fre-
sco; chiamò atro, ò nero il terrore: « Ca-
ligantem nigra Jbrmidine lucum w , epiteto,
che è proprio solo del* bosco, che con la
sua oscurità cagiona terrore. Si usa ancora
questo traslato , quando per significare una
cosa un'altra se ne nomina, ma così lonta-
na, che conviene passare come per diversi
gradi prima di giungere all' intelligenza di
ciò, che si vuole significare. Ne abbiamo
un chiarissimo esempio in Virgilio nell*
Ecloga prima , dove per dire secondo qual-
che interprete, che dopo alcuni anni torna-
to sarebbe a rivedere i suoi campi , si espri-
me così:
9) Post aliquot mea regna vidcns mirabor arisths .
Ognun vede, che per giungere all'intelli-
genza di questo passo bisogna far tutto que-
sto discorso: Per le spighe s'intende la mes-
se, per la messe l'estate, per Testate ( pren-
dendosi la parte pe '1 tatto ) s' intende l 1
anno, ed in tal guisa si giunge a compren-
de-
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3oS
dere , che per le spighe altro non ha volu-
to esprimer Virgilio, che gli anni, dopo i
quali tornato sarebbe ai proprj campi. Neil*
istessa guisa, sebbene in una maniera me-
no lontana dal vero significato , si dice : do-
po molti soli: dopo molte lune-, per significa-
re gli anni , ed i me«i > e con i vocaboli
desiderium, desideror esprimevano i Latini
la morte di qualche persona cara, la per-
dita, e la mancanza di qualche cosa.
i
i
§. VI.
Dell' Antonomasia .
T '
V-j Antonomasia poi è quel traslato, per
cui irt vece d'usare il fiome proprio d'una
persona , s' adopra un nome comune , come
quello della nazione , quello della professio-
ne, in cui taluno si è reso eccellente, ò
quello, che per qualche illustre impresa ta-
luno si è meritato. Dicesi per esempio Poe-
nus , ò il Cartaginese in vece d'Annibale;
Citerea , Nume Delio in vece di Venere , e
d'Apollo, il Poeta in luogo d' Omero, ò
di Virgilio , ò di Dante , V Oratore d! Arpi-
no , ò il Principe della Romana Eloquenza
per Cicerone , il Legislatore d' Mene , ò di
Sparta per Solone , e Licurgo; il disrruttor
di Cartagine, e di Numanzia per il secon-
do Scipione Affricano. E4 all'opposto si usa
un
un nome proprio per un nome comune, e
dicesi per esempio un Aristarco per signifi-
care generalmente un critico ò un censo-
re , un òardanapalo per denorare un uomo
voluttuoso i un Iroy ed un Creso per un uo-
mo ò estremamente povero, ò sommamente
ricco, un Mecenate per un protettor dell'
arri, e delle scienze, un Catone per un uo-
mo di vita austera» e d'uno spinto Repub-
blicano , e simili .
§. VII.
Deli' Allegorìa.
T>
icesi Allegoria da' Greci, e da' Latini
Permutatiti quella metafora, per cui 1' ora-
tore , ò il poeta esprime colle parole una
cosa, e vuole, che un' altra se ne inten-
di (a). In due maniere trovasi questa dagli
oratori, e da' poeti adoperata. Talvolta el-
la e di metaforiche espressioni tutta com-
posta, talvolta di parole in parte metafo-
riche, e in parte usate nel suo senso pro-
prio, e cornane. Della prima specie d' Al-
legorìa due bellissimi esempi abbiamo da Ora-
zio noli' odi XV. e XVI. del libro primo, nella
prima delle quali sotto l'allegorìa d'una na-
ve
*=— - j — *
(a) Perwutr.tìo est ovatto aliud veròii , aliti J se u-
tentici significati* .
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ve annunzia ai Romani i pericoli , e' le
calamità, cui di nuovo sarebbero stati sog-
getti , se sofferto avessero , che Augusto dal
governo di Roma si dimettesse: 0 navi.s re-
Jerent in mare te novi fluctus . Nella secon-
da con T esempio di Paride , che forma ìL
soggetto di tutta 1' ode, si studia di ri-
muovere Antonio dalle sue corrispondenze
con Cleopatra, e dalle guerre civili
„ Pastor cum traheret per j reta navibus
Idaeis Helenam perfidus hospitam ec.
Il sentimento di Quintiliano, che riconosce
in queste due odi una continuata allegoria
e le propone per esempio della medesima,
sembra doversi preferire a quello di M. Da-
cier, che non le vuole allegoriche, e ca-
ratterizza, come un mostro, un' allegorìa
che occupi un' intera composizione . Nè me-
no belle sono le allegorie , onde è compo-
sta quella canzone del Petrarca, che co-
mincia: Standomi un giorno solo alla finestra ,
nella quale sotto 1* immagine d* una fiera
da due veltri inseguita , e morsa , <T una
nave ricca di merci, e da una tempesta
sommersa, d' un bel lauro fulminato, e
svelto dal suolo , d' un chiaro fonte ad un
tratto in profondo speco assorbito , d* una
vaga Fenice , che vedendo disseccato il fon-
te, e svelto il lauro volse contro se stes-
sa il rostro, e sparì, d* una leggiadra don-
na, che punta da un serpente nel piede
languisce finalmente, e muore, sotto que-
ste immaginilo dico , leggiadramente espres-
se
358
ie parla della morte di Madonna Laura «
Ma poiché troppo lungo sarebbe riportarla
qui intera, a leggerla di per voi stessi vi
esorto, e vi pongo intanto sotto degli oc-
chi un altro esempio non meno bello, che
il medesimo Poeta ne somministra nel pri-
mo capitolo del Trionfo d'Amore, dove sot-
to V immagine d' un trionfante Duce Amo-
re descrivendo, dice:
„ Vidi un vittorioso, e sommo Duce
Pur come un di color , che in Campidoglio
Trionfai carro a gran gloria conduce,
Quattro destrier viepiù che neve bianchi,
Sopra un carro di Jìtoco un garzon crudo ,
Con arco in mano , e con saette ai fianchi*
Contro lo qual non vale elmo, nè scudo,
Sopra gli omeri avea sol due grand' ali
Di color mille, e tutto V altro ignudo,
intorno innumeràbili mortali,
Parte presi in battaglia , e parte uccisi ,
Parte feriti da pungenti strali.
In sim il guisa sotto V immagine d' una lonza, d*
un leone , e d' una lupa descrive Dante
nel 1. Canto dell' Inferno i tre vizj princi-
pali, che maggior guerra fanno all' noma
nel suo cammino per V oscura , ed aspra sei-'
va del Mondo, la lussuria cioè, la superbia,
e T avarizia , e parlando di (Juest' ultimo
vizio sotto V immagine d* una lupa, dice :
55 Ed una lupa, che di tutte brame
Sembrava carca con la sua magrezza,
E molte genti già fe viver grame -,
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\
359
E poco sotto:
w Ed ha natura sì malvaggia, e ria,
Che inai non empie la bramosa voglia ,
E dopo il pasto ha più fame , che pria .
D' un'allegorìa mista servir possono d' esem-
pio . e la prima strofe dell' ode XV. del li-
bro TV. in Orazio:
n Phoebus volente m praelia me loqui >
Victas et urbes increpuit lyra,
Ne parva Tyrrhenum per aequor
V eia darem ;
e tutta l f Ode VI. del Libro V., che co*
mincia :
w Quid immerentes hospites vexas canis » ;
e tra le molte, che presso Cicerone &' in-
contrano, quella dell' Orazione contro Pi-
Sone : » Neque iam fui timidus , qui cum in
maximis turbinibus , 'ac fluctibus Reipublicae
navetn gubcrnasscm , salvamque in portu col-
locasscm , frontis tuae nubeculam , aut colle-
gae tui contaminatnm spiritum perhorrescerem.
Alios ego vidi ventos , alias perspexi animo
procellas , aliis impendentibus tempestatibus non
cessi ». Un grande ornamento 1 del discorso
sono le allegorìe,' dice Cicerone, ma perchè
tali sieno fuggir si dee 1' oscurità , e pro-
curare, che 1' allegorìa non divenga un e-
nimma(rt). Nè meno importante c T osser-
va-
*
* — = , ssa — •. 1 ■: ■ «
{a) Intendasi qui dell' enimma , che per la su 1
troppa oscurità non intelligibil si rende , e non di
quegli enimrai , ò indovinelli fatti con ingegno, e
con
▼azione , che fa Quintiliano , insegnando #
che comin> iato con un' allegorìa un senti-
mento , ò un discorso, nella medesima al-
legorìa si dee continuare e finire , e non
pa-sare per esempio dall' allegorìa d* un in-
cendio a quella d* una tempesta -Ma soprat-
tutto guardar ci dobbiamo dalle ridicole ,
troppo lunghe, male adattate, ed insulse al-
legorìe, che si trovano specialmente negli
scrittori , che detti sono del Secento , tra i
quali il nostro P. Momigno sull' allegorìa
<f un giardino lavora tutto il suo Panegi-
rico dell* annunziazione di Maria , impie-
gando la prima parte nel parlare delle fon-
damenta di questo giardino , e chiamando
da diverse provincie della terra diversi santi
Scrittori , altri per gettarne da abili archi-
tetti le prime pietre, ed altri ad alzarne le
facciate , proponendosi nella seconda parte
di volerne odorare il fiore, che è fa vergi-
nità d: Maria , e di gustarne nella terza
il frutto , che è il Verbo incarnato.
g— === *
co«i giudizio, ne' quali il srnso trasparisce f:cil-
rot-nte a traverso la figura adoprata per adombrar-
lo, e che sono tante allegorìe. Tante allegorìe
erano pure ne' tempi antichi le istruzioni, come
x flette il Sig. Blair, e quelle, che noi chiamiamo
favole , v Ò parabole , nelle quali per mezzo di pa-
role, ò d'azioni attribuite alle bestie*, ò alle cose
inanimate fìguransi le operazioni degli uomini, e
cuelh che dicesi moralità, è il senso letterale
d ir allegorìa .
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$. viti.
Dell' fperbote *
N lente sembrami di dovere aggiunger*
in questo luogo riguardo ali* Ironìa , aven-
done già nella prima parte bastantemente
trattato. Passo perciò senza più a spiegarvi
che cosa sia l'Iperbole, e la Perifrasi, giac-
ché tanto T una che V altra viene da* Re-
tori fra 1 traslari comunemente risposta, quan-
tunque rigorosamente parlando non fra i
traslari, ma piuttosto tra le figure annove-
rar si dovrebbero, mentre in esse non segue
àlcun trasferimento di parole dai proprio in
un altro significato, ma da parole risaltano
prese nel svio senso proprio , e naturale L*
Iperbole infatti, nome che al latino super*
latto corrisponde , quella è , che ingrandisce
ed esagera , ò estenua ed avvilisce taimen*
te le cose, che più grandi, ò minori com-
pariscano di quello, che sono in realtà : #
Superiamo est orati) superati s ventatali ali*
cuj u s augtiiìdL minuendique causa .Questo è ciò,
che si la anche negli ordinar) discorsi degli
uomini , i quali quando d* oggetti si trat-
ta, che sorprendono per la loro singolare
bontà e grandezza, ò per la loro bassez-
za e deformità , si abbandonano ali* im-
maginazione, ed alla passione , e sembra lo-
ro di non presentarli mai abbastanza in quelL*
appetto , in cui li dipinge alla loro mente
la. passione , e 1' immaginazione medesima,
e
e perciò si studiano d* ingrandire quanto
più possono, e di portare all' eccesso 1' og-
getto , che li ha gagliardamente colpiti . Tan-
to si scorge , come in molte altre , in quelle
espressioni del Petrarca :
95 Le stelle, e il Cielo, e gli elementi a prova
Tutte lor arti, ed ogni estrema cura s
Poser nel vivo lume , in cui natura
Si specchia , e il sol , che altrove par non trova.
Iperbolico è pure V intero Sonetto, che co-
mincia : » Io vidi in terra angelici costumi n -, ma
specialmente la seconda quartina :
55 E vidi lacrimar que duo be lumi ,
Ch* han fatto mille volte invidia al sole f
E vidi sospirando dir parole,
Che Jariaru gire i monti , e stare i fiumi .
Molte iperboli troverete pure in Virgilio si-
mili a quella del Libro X. dell' Eneide:
0 Fert ingens toto connixus corpore saxum ,
- Haud partem exiguam montis .
Molte ne troverete in Cicerone, di cui per
non prolungarmi di troppo tralascio di ri-
portar qui gli opportuni esempi • Bisogna pe-
rò con gran giudizio, e non frequentemen-
te far uso dell' iperbole, cosa facile essen-
do cadere in difetti (a) . Convien riflettere , che
r
(a) Come troppo stravagante, ed ardirò viene
con ragione censurato Lucano. Chi non ravvisa Fa
stravaganza, e l'arditezza di quel poeta Spagnolo
in quel distico sopra Cario V.
Pro tumulo popas orbem , prò tegmine eaehim «
Siderei pio facibus , prò lacrymts marini
Tale troverete essere stato il gusto degli Scrittori
'etti del Secento .
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1* aggiustatezza dell' iperbole consiste nel
far credere, che la cosa sia, quale si dipin-
ge, ò si descrive. Se ciò, che si dice, ben-
ché falso, non eccede l'idea, che se ne ha,
ò aver se ne può, sarà giusta l'iperbole;
ina se dicesi più di quello, che naturalmen-
te pensar si dovrebbe, diviene allora falsa,
e ridicola; e voi avrete bene spesso osser-
vato, che i buoni, e più giudiziosi scritto-
ri per mezzo di certi particolari aggiunti,
ò circostanze si studiano di render credibi-
le , e probabile ciò, che altrimenti sarebbe
ad ogni probabilità, e ad ogni credenza su-
periore .
Dtila Perifrasi .
\J no de' più belli ornamenti del discorso
è certamente la Perifrasi, per cui non so-
lo si amplificano, e si pongono nella più
chiava luce le cose per se stesse grandi, e
dilettevoli, ma non ingrate, e meno orri-
de si rendono quelle, che nominate senza
alcuna circollocuzione offender potrebbero
le orecchie, e la modestia, ed ispirare or-*
rore. Consiste adunque la Perifrasi nello
spiegare con più parole quello, che con
una fola parola potrebbesi esprimere. Quan-
to è bella la Perifrasi, di cui si serve il
Pe-
Petrarca, allorché in vece di nominare sem-
plicemente Iddio, dice*
»Quel, che infinita provvidenza, ed arte
Mostrò nel suo mirabil magistero,
E creo questo, e queir altro 1 emisfèro ,
E mansueto più Giove, che Marte ec.
e nei Trionfo della Fama in vece di nomi-
nare la Fama istessa, così noòj/mente la
descrive:
v Quando mirando intorno sopra Inerba
Vidi dalV altra parte giunger quella ,
Che trae Vuoili dal sepolcro, e in vita il serba ;
e nel medesimo Canto in vece di nominare
M. Popilio, Manlio Capitolino, Orazio Cor
elite , e Muzio Scevola , così s* esprime :
,5 Eravi quel , che il Rè di Siria cinse
D' un magnanimo cerchio, e con la fronte*
E con la lingua a suo voler lo strinse ;
£ quel* che armato sol difese il monte* .
Onde fu poi sospinto , e quel , che solo
Contro tutta Toscana tenne il ponte v
E quel ' 9 che in mezzo del nemico stuolo
Mosse la mano indarno , e poscia V arse
Sì seco irato, che non sentì il duolo ..
Nè meno leggiadramente vien descritto da.
Dante nel I. Canto dell' Inferno il Sole per
mezzo di questa figura :
n Guarda 1 in alto, e vidi le sue spalle
Vestite già dai raggi del Pianeta ,
Che mena dritto altrui per ogni calle;,
E poco sotto invece di nominare il tempo di
Primavera , in cui credesi da alcuni essere
stato da Dio creato il Mondo , dice :
E
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r E il sol montava in su con quelle stelle,
Cli eran con lui , quando V amor divino
Movea da prima quelle cose belle.
Son sempre difettose quelle perifrasi , che non
presentano nuove idee, ma esprimono in di-
versa maniera un' idea già espressa, quelle ,
che niente contribuiscono alla chiarezza , ed
air ornamento del discorso , quelle , che in
vece d' esprimere con maggior forza, e no-
biltà un pensiero, lo presentano più snerva-
to e più langaido , che se fosse espresso con
semplici parole.
ARTICOLO II.
Delle figure di parole.
Tn che cosa consistano principalmente le
. figure di parole , e qual differenza passi tra
esse, ed i traslati, lo abbiamo già sii prin-
cipio di questo capitolo osservato . Altro a-
dunque a fare non mi resta, che parlare-
particolarmente di ciascheduna, perchè niuo
no da voi s'ignori di quegli ornamenti, eh,
abbellir possono il discorso, e render grata -
e leggiadra l'elocuzione. E per meglio di- .
stinguerne la natura, a tre classi le ridurci
remo, riponendo nella prima quelle, che
fanno per via d' aggiungimento, nella se-
conda quelle, che si fannp per discioglimen-
to, nella ter; a quelle , che si fanno per si- n
mi-
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5 66
miUtudine. Figure fatte per via d* aggiun-
gimene si dicon quelle, che consistono nel
ripetere per puro vezzo, ed ornamento al-
cune parole, le quali possono ancora mu-
rarsi , ò tralasciarsi , e 6ono la Ripetizione ,
la Conversione, la Complessione, la Condu*
plicazione, la Traduzione, la Sinonimia, la
Gradazione , il Polisindeto , V Apozeugma .
Diversa è la natura delle figure fatte per
discioglimento, consistendo esse nel trala-
sciare nel discorso alcune voci, ò parole,
che facilmente si sottintendono. Sono que-
ste la Disgiunzione , lo' Zeugma ? e la fleti*
cenza. Quattro sono finalmente le figure
fatte per similitudine, la Paronomasia, i
Pari'finienti, i Pari-condonanti, e 1' Isocolon ,
ò uguaglianza di membri; e diconsi fatte
per similitudine, perchè consistono in un
certo scherzo, che nasce da due, ò più pa-
role somiglianti nel suono, e diverse nel si-
gnificato, ò da un suono eguale, e da una
stessa, ed eguale terminazione delle parole
medesime .
§. I.
>
Della Ripetizione.
1^ a Ripetizione è quella figura , la quale
consiste nel cominciare alcuni brevi senti-
menti , alcuni membri , ò periodi del discor-
so
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so con la medesima parola . Dagli esempj,
che io vi porrò sotto degli occhi, e che fre-
quenti s'incontrano negli Oratori, e ne* Poe-
ti, facile vi sarà il comprendere, quanta gra-
zia, e quanta forza essa aggiunga ai discor-
so. Di questa, figura usò Gatulio nel suo
Poema delle nozze di Teti, e di Peleo:
» Tum Thetidis Peleus incensus fertur amore,
Tum Thetis humanos nondespexit Hymenaeos ,
Tum Thetidi pater ipsejugandum Pelea sensit,
E poco sotto:
aliene t Thetis, temdt pulcherrima Ncptunine,
Tene suam Thctys concessit ducere neptem
Oceanusque mari, totum qui amplectitur orbem ?
Con questa figura dà principio Dante al can-
to III. dell' Inferno :
» Per me si và nella città dolente ,
Per me si và nelV eterno doloro ,
Per me si và fra la perduta gente.
E lasciando tra i molti altri esempj , che ne
somministra il Petrarca , e nel Sonetto , che
comincia: y> Nè per sereno Cielo ir vaghe
stelle », e nell'altro: » Onde tolse amor V
oro, e di qual vena w , quello piacemi di ri-
portare, che dice:
n Ponmi, ove il sole uccide i fiori, e V erba,
E dove vince luVl ghiaccio, e la neve,
Ponmi , ov è il carro suo temprato , e lieve
E dov è chi ce'L rende, e chi ce'L serba
Ponmi in umil fortuna , od in superba ce . ,
imitando egregiamente il Lirico di Venosa,
il quale non meno leggiadramente di lui
così s' espresse nell' Ode' 23. del libro I.
Po-
„ Pone me pigris uh nulla campi*
Arbor aestiva recreatur aura,
Quod latus mundi nebulae, uialusque
Jupptter vrget:
Pone sub curru ni ninni propinqui
Soli* in terra domibus negata;
Dulce ridentem lalagen amabo,
Lutee Icquentem.
Questa figura è anche usata da Cicerone
xieir orazione in favor della legge Maniha,
allor quando dice : » Testis est Itali. i qua:n
We victor L. Siila hu us vi tute, et sub ilio
confessus est Uberatam . Testis -Lilia 9
quam multis undijue pericuhs c:.;.ij,'i n m
terrore belli, sed celeritate con. iliì exp-^a-
vit . Testis est africa, quae m*: : p:L< < yyr^sa,
hostium copiis eorum ipsorum sai^uinn re-.uui-
davit. Testis esc Gallia ec. »
r *
- - '
§ II.
Della Conversione.
a uando all' opposto con la medesima pa-
rola si chiudono varj merabretti » ò perio-
di del discorso, chiamasi questa figura di
Conversione . Ne avete un esempio chiaris-
simo nella seconda Filippica di Cicerone:
9 ; Doletis > tres ma.xi nos exercitus P. Roma-
iti interfectosì Interfecit Antonius . Desidera-
tU Uarissimos civesì Los quoque eripuit vo-
4
3<*9
bis Antonius . Auctoritas hujus ordinis affli-
età est} afflixit Antonius » Un altro esem-
pio ne somministra Catullo in quell'Epi-
gramma a Quinzio:
n Quinci i, si tibi vis oculos debere Catullum,
Aut aliud , si quid ca>ius est oculis*
Eripere ei noli , multo quod carius UH
Est oculis , seu quid carius est oculis.
E tra i molti, che re' suoi lepidi Epigram-
mi ne somministra Marziale, quello piace-
mi di riportare dell'Epigramma contro un
certo Gauro, che così comincia:
» Quod nimio gaudes noctem producere vino ,
Jgnosco ; vitium » Oaun» , Catonis habes .
Carmina quod scribis Musis , et Apolline nullo ,
Laudari aebes ; hoc Ciceronis habes .
§. IH.
Della Complessione,
Se negli stessi membretti, ò periodi riu>
nite si trovano le nominate figure , cosicché
essi da una medesima parola incomii\cino,
e da una stessa parola siano terminati, que-
sto è ciò, che figura di Complessione si ap-
pella. Di tal figura usa Alberto Lollio nell*
orazione in lode dell'Eloquenza: » Chi spin-
se gli Ateniesi a sottoporsi ali impero di Pi"
Bistrato t se^non la facondia? Chi fece riuscir
Temistocle superiore al giusto Aristide , se non
B b U -
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3?*
la facondia* Chi salvò la vita al medesimo
condotto al cospetto del Ri de' Persi , se non
la facondia} Leggiadri ssimo poi è l'esempio,
che ne abbiamo presso Marziale nell'epi-
gramma XCV1II., in cui indirizzandosi a
Giulio, ed inveendo contro un suo rivale,
ed invidioso, così gli dice:
g Rumpitur invidia quidam, carissime Juli 7
Quod me Roma legit, rumpitur invidia
E così continua il suo Epigramma, che chiu-
de poi con questo distico:
n Rumpitur invidia quod amamur.quodq. probamur
Rumpatur, quisquis rumpitur invidia.
§. IV.
Della Conduplicazione .
La figura di Conduplicazione si fa ripe-
tendo immediatamente due » ò tre volte la
6tessa parola per dar maggior forza, e bel-
lezza al discorso . Piena di tali esempi è la
prima orazione di Cicerone contro Catihna;
55 Fuit,fuit ista quondam in hac Republica
virtus 55, e poco sotto: 55 Nos , nos, dico a-?
pene y consules , desumus 55, ed in altro luo-»
go: 55 Hic , hic sunt in nostro numero P. C.
ec. 55 Con una tale figura chiude Eustachio
Manfredi il suo Sonetto, che comincia:
55 Vidi V Italia col enn sparso , e incolto , ec.
5? E s* udia V Apenmn per ogni lato
So-
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Sonar d' applausi, e di festosi gridi:
' Italia , Italia, il tuo soccorso è nato-,
e comincia T altro:
9> E tu pur fremi, e tu pur gonfi , e spumi
Ruscel malnato, e a questo colle il piede i
A questo colie, ove Filippo ha. sede,
Scuoter rodendo, ed atterrar presumi}
§. V.
>
Della Traduzione.
JLa Traduzione è quella figura, per cui si
ripete talvolta la stessa parola con qualche
-variazione, cosicché frèw una tale ripeti-
zione in vece di recar noja, ed offender V
animo, e T orecchio degli ascoltanti, rende
più vago, e più dilettevole il discorso: » Tran?
ductio est , quae facit , ut , cum idem verbum
crebrius ponatur, non modo non offendat anf-
rnum, sed edam concinniorem orationem red~
dat ». Un esempio di tal figura è quel pas-
so di Cicerone nella prima Catilinaria:
99 Quamdiu fuisquam trit , qui te defndere
audeat, vives , tt vives ita, ut mine visis mul~
tis meis , et firmis praesidiis obsessus 9) . Un
-altro esempio ne somministrano quei versi
di Virgilio neirEcloga X :
» Omnia vincit amor, et nos cedamus amori,
Surgamus, solet essegravis cantantibus umbra.
ì Juniperigravis umbra,nocent etjrugibus umbre?.
Di questa figura usa leggiadramente il Pe-
trarca, e nei Sonetto, che comincia: » O
giorno, o ora, o ultimo momento » :
„ Ma innanzi agli occhi m era posto un velo ,
Che mifea non veder quel ch'io veiea ,
Per far mia vita subito più trista ;
E nella Canzone: » Solea dalla fontana di
mia vita » alla strofe IV. :
„ Bello, e dolce morire era allor , quando
Morendo io, non morìa mia vita insiem€ f
Anzi vivea di me V ottima parte .
■
■ - •
§. vi.
Della Sinonimia .
Chiamasi Sinonimia quella figura, la qua-
le unisce insieme molte parole , che hanno
quasi lo stesso significato. Il bello però di
questa figura consiste in far sì, che una
parola esprima la medesima cosa con mag-
gior forza dell'altra. Un tale artifizio scor-
gerete nell'uso di questa figura presso Cice-
rone, e nella prima Catilinaria, quando di-
ce: » Quàé cum ita sint, Catiliha, perge, quo
coesisti, egredere aliquando tx urbe, putent
portae, proficiscere » ; e sul principio della
seconda: n Abiit, excessit* évasit , erupit
Molti esempi di questa figura troverete in-
sieme riuniti in questi versi di Catullo rrat-
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Sii
ti dal iuo Poema sulle nozre di Teti, e di
Peleo:
n Deseritur Scyros , linquunt Phthiotica Tempe,
Qrajugenasque domos , ac ntoenia Larissaea\
Pharsalon coeunt,Pharsalia tecta frequentanti
Rura colit nemo , mollescunt colla juvencis ,
Non humilis curvis purgatur vinea rastris,
Non glebam prono convella vomere taurus,
Nonjalx attenuatfrondatorum arboris umbram^
Squallida desertis rvbigo infertur aratris.
Ma si danno eglino in una lingua vocaboli
sinonimi? Questa è la questione mossa, e
trattata dal Girard nella sua opera dell' ag-
giustatezza della lingua Francesce che sul-
le tracce di esso promuove ancora M. de
Marsais nel suo eccellente libro intorno ai
Tropi , questione , che egli scioglie facendo
una tal distinzione: Se il termine di Sino-
nimo si prende in un senso esteso per una
semplice somiglianza di significato, si dan-
no questi vocaboli sinonimi, vocaboli cioè,
che esprimono una stessa idea principale,
come Jerre, bajulare> portare , tollere 9 susti-
nere , gerere, gestore; ma se per sinonimi in-
tender si vogliono parole, che hanno una
sì perfetta somiglianza di significato, eh©
una dica nè più, nè meno dell'altra, e che
per conseguenza sia indifferente l' adoprar
piuttosto questa, che quella, in questo sen-
so non si danno sinonimi. Ferre per esem-
pio significa portare, questa è l'idea prin-
cipale; bajulare è il portare sul collo, ò
sulle spalle, portare .significa il trasporto»
che
374 ,
the si fa sulle bestie da soma, sopra d'un
carro ec tollere significa portare in alto ;
mstinere significa portare per impedire, che
una cosa non cada ; gerire vuol dire porta-
re in dosso; gettare far pompa di ciò, che
si porta . Lo stesso si dica dei vocaboli nex
e mors, che sembrano sinonimi, ma il pri-
mo significa una aorte violenta» il secondo
setnolicememe la morte. Molte altre osser-
vazioni far si potrebbero in questo genere
iul-la scorta di giudiziosi, e dotti scrittori.
Le poche per altro, che abbiamo accenna-
te, bastano per farci comprendere, qual giu-
dizio adoperar si dee nell 7 interpetrare , e
tradurre i latini Autori, e nello scegliere
scrivendo tra i vocaboli di simile significa-
to quelli» che esprimono meglio un idea, e
sono più adattati alle diverse circostanze
della medesima*
§. VII.
Della Gradazione*
L a figura di Gradazione si fa , quando nel
discorso si va sempre dalle piccole alle più
grandi cose crescendo, in modo però, che
passando da una proposizione ad un'altra
si ripiglia qualche parola, ò una parte del-
la proposizione antecedente. Eccovene un
esempio presso Cicerone neir orazione in
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373
favor della legge Manilla: „ Sed ab Uh tem-
pore annum jam tertium , et vigesimum ré-
gnat, et ita regnat , ut se non Ponto, nequt
Cappadociae latebris occultare velit „. Usa
pure di questa figura Dante nel Canto III.
del Paradiso :
» Noi semo usciti fuor e
Del maggior corpo al del, eh* è pura luce*,
Luce intellettual piena d'amore,
Amor di vero ben pien di letizia ,
Letizia , che trascende ogni dolore ;
èd il Tasso nel < anto IX.
,3 Non cala il ferro mai, che appien non colga,
Non coglie appien, che piaga anco non faccia,
Nè piaga fa , che V alma altrui non tolga .
§. VIII.
-
Del polisindeto,
I a figura detta Polisindeto, parola, che
in greco unione di molte congiunzioni si-
gnifica, si fa, quando molte cose insiemte
*i nominano, distinguendole per mezzo di
particelle copulative, ò disgiuntive. Una tal
figura ravviserete in quelle parole di Cice-
rone contro Verre : „ Ncque privati^ ncque
publici, nzque profani, neque sacri tota in Si-
cilia quidquam reliquzsse „. Come pure in
quelle del Casa nelT orazione per la Lega:
» Queste medesime lusinghe per il fraterno
ospi-
-
bspizio del #è Cristianissimo Francisco, che
e lle"avean trovato lietissimo, ed abbondante
di lealtà, e di fede, e di magnanima ^benevo-
lenza, renderono incontinente pieno di tuba-
zione , pieno di pericolo , pieno di strida , e di
duolo, e di sangue, e di veleno , e di mone » .
Un esempio ancora ne abbiamo in quel ver-
so di Virgilio, in cui nomina i Ciclopi:
„ rrontesq- Steropesq. et nudus membra Pyragmon;
Ed in quei versi del Petrarca nella bellissi-
ma Canzone alla SS. Vergine :
w Vergine io sacro , e purgo _
" Al tuo nome, e pensieri, e ingegno, e sul» ,
La lingua, il cuor, le lacrime, i sospiri.
Con questa medesima figura dà pure il me-
desimo Poeta principio a quel Sonetto:
„ Anima, che diverse cose tante
Vedi , odi , e leggi , e parli , e scrivi , e pensi .
J
§ IX.
DelV Apozeugma*
L Apozeugma è quella figura, la quale a
ciascheduna delle molte cose, o sentenze,
che si esprimono, adatta il suo verbo par-
ticolare, le quali per altro riunir si potreb-
bero, cosicché fossero da un sol verbo re-
golate . Serva per esempio di questa figura
Cicerone, il quale nell'orazione per Ja ìt g-
gc Maailia potendo con un sol verbo dire ,
\
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$7?
che »! voleri di Pompeo non solo i cittadi-
ni, gli alleati, ed i nemici, ma i venti
stessi, e le tempeste obbedirono, così si e-
sprime: » Ut e,<us temper voluntntibus non
modo cives a<senserint 9 sodi obtemperaverint ,
hostes obedierinty sed etiam venti > tempesta-
tesque obsecundarint (a) ».
Jl J iversa dal Polisindeto è la figura di
Disgiunzione, nominandosi per essa molte
cose insieme senza distinguerle con alcuna
delle particelle copulative, ò disgiuntive.
Eccovene un bellissimo esempio presso Ci-
(*) Dal l'aver' io d<tto, che riunir poteva Cice-
rone sotto un so! verbo le diverse immagini , che
ha qui leggiadramente riunite, ed espresse, niuno
prenda motivo di credere, che io riguardi, come
totalmente sinonimi , e perciò come superflui i
quattro verbi , che quel celebre Oratore ha giudi*
ziosamente a ciascheduna immagine adattati , men-
tre proprio essendo de' cittadini il libero consen-
timento , degli alleati la deferenza, de' nemici V
obbedienza e la soggezione , de* venti , delle tem-
peste , c de' varj srati dell'atmosfera, e del mare
una certa opportunità nè volontaria, n« forzata,
ma accidentale per qualche impresa , tutte que-
ste cose mi sembrano ne' quattro divisati verbi a
ce-
maraviglia caratterizzate .
Nerone nell* orazione prò domo sua ad Poh-
'tificcs: » Quod si ullo tempore magna causa
Sacerdotali Popidi R ju.ùcio , ac potestate
versata est, kaec profecto tahta est, ut omnis
Reipublicae dignitas , omnium civium salus ,
"l'ira, libertas, arae,foci, Dii penates, bona %
fortunati domicilia vestrae sapientiae, fidez,
potcstatique commissa, creditaque esse videati-
iur v>- Usa di questa figura il Petrarca, co-
me in moltissimi luoghi , così nel principio
di quel Sonetto: » Fresco, ombroso , fiorito ,
e verde colle ec. e dell'altro:
w Real naturà, angelico intelletto ,
Chiar alma, pronta vista, occhio cervero,
Provvidenza veloce , alto penserò,
E veramente degno di quel petto, (a)
§•
. - &
(a) Iiispetto alle dne figure di Polisindeto, e di
Disgiunzione , di cui abbiamo parlato , giova il ri-
portar qui le giudiziose osservazioni di Blair nella
Lez. XI T. , nella quile prosegue a parlare della
struttura delle sentenze: E* uva particolarità ri*
warchevole del linguaggio , dice egli , che /' omis-
sione delle particelle copulative serva qualche volt*
a render gli oggetti piti strett aulente connessi , e la
ripetizione di' esse serva per lo contrario a distin-
guerli , e separarli f uno dall' altro y sicché /' omis-
sione s'adoperi a mostrare rapidità, la ripetizione
a dinotare ritardo . La ragione di ciò sembra esse"
re , che nel primo caso la mente si suppone correte
con tanta fretta nella rapida successione degli og-
getti , che non ha tempo di segnarne le connessioni,
e lasciando da parte nel suo impeto- le copulative
stringe insieme tutta la serie , come se fosse un og-
gezto solo. Laddove quando si fa un e numerazioni*
per
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L
£*9
§ xr.
Dello Zeugma»
a figura detta con Greco vocabolo Zeu-
gma , che congiungimento , ò connessione
significa, è quella, che con un sol verbo
posto in principio, ò in fine , e talvolta an-
che nel mezzo unisce insieme, e regge va-
ri concetti . Frequentissimo tanto presso gii
oratori, che i poeti è l'uso di questa figu-
ra . Voi la ravviserete in quel periodo deli*
orazione del Casa a Carlo V. » Sì fatto pri-
vilegio hanno , Sacra Maestà, le giuste opere*
€ magnanime ) che esse sono nell'avversità,
felici , e nelle perdite utili , e nei dolori liete
e conti nte riflettendo, che il verbo sono
regge anche gli altri due membretti, né*
squali intendesi ripetuto. Due esempj ne
somministra Orazio, e nell'Ode XVII. del
libro V. in quel verso:
» Vrget d'iem nox> et dies noctem,
ed in quella strofe dell'Inno Secolare;
55 Dii , probos mores docili Juventae 9
Lii , scnectuti placidac quietem ,
Rotnulae genti date remque prolemque »
Et
* — — — - — - . »
per dare alle cose vie maggior peso , allor si sup-
pone , che la mente proceda con passo più grave e
posato , osservi pienamente la relazione di ciascun
Oggetto con quello , che gli succede, e insieme u+
nendcli con varie copulative faccia votare , che gli
oggetti , sebfon connessi , sono però fra loro distin-
ti i soao molti , e non uno „ .
I
Et decus omne.
Questa figura troverete usata dal Costanza
in quel Sonetto:
n Mancheran prima al mare i pesci , e V onde 9
Al Ciel tutte le stelle, alt aria i venti ,
. Al sole i raggi tuoi rivi, e lucenti,
E di Maggio alla terra erbette, e fronde:
e dal Filicaja nella Canzone a Giovanni III.
Rè di Polonia, chiudendo così la IV. strofe:
i> E quei* eli ai venti le grand 1 ali im penna ,
Quei la spada a te regge , a me la penna ;
e nella Canzone, che comincia: » Dal bal-
zo d % Oriente ? > termina in questa guisa la
strofe X :
9) Serva V Russino , e dalla vostra mano
Giogo abbia il Az7o, e libertà U Giordano.
§. XII.
Della Reticenza .
s
i fa la figura di Reticenza , chiamata dai
Greci Ellipsi, quando nel discorso qualche
parola si tralascia , la quale per altro dal
contesto facilmente si sottintende. Così per-
ciò disse Cicerone nell'orazione in favor di
Rabirio: » An pietas tua major quam Grac-
chi? an ammusì an consiliumì an opesì
an auctoritasì an eloquentia „.?nel qual luo-
go voi ben vedete , che oltre air esser ta-
ciuto nel primo membretto il verbo est, .«i
sot-
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*
sottintendono ripetute nei seguenti molte
altre parole, come per esempio: ,> an ani-
mus tuus major est, quam Gracchi , 3 . ? E' co-
la frequentissima tanto in prosa, che in
verso il tralasciare i verbi cocpit , dixit, iti*
quit ec. Infatti T. Livio lascia il primo ver-
bo , quando dice: n Ad ea Ruwanus , se in
praesidio positum esse dicere ab Imperatore
suo » ; e poco dopo tralasciando il verbo
inquit , così assolutamente s'esprime: Tum
Pinarius : at UH si ad consulcm ire grava-
rentur w . Lo stesso fa il Petrarca nel primo
capitolo del Trionfo d'Amore, tralasciando
il verbo disse, ò rispose:
?j Ona" io maravigliando disti: or come
Conosci me, eli io te non riconosca?
Ed ei: questo mi avvien per /' aspre some*
Dei legami, ch'io porto.
Il Frugoni finalmente in quel suo Poemet-
to in verso sciolto al Conte Bajardi, così
dice :
* Dalla sempre frondosa arbor vivace ,
Già dolce pena , ed or sott* altre forme *
Cara al divino Apollo ombra, e ghirlanda ,
la qtiale fu cioè un tempo dolce pena, ed
ora è sotto altre forme ec.
WL<èteiè>lfifltl/e<l/l ? ? è TvTv v 7 > 'i 1 1 ri (iti*
§. XIII
Della Paronomasia .
M a per venire a parlare di quelle figu-
re
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3**
jre, che per similitudine si fanno , la prunài
ài queste detta Paronomasia dai Greci , e
da' Latini Adnominatio consiste ò nel porre
in vicinanza fra loro due voci simili nel
suono , ma diverse nel significato , come fa
Cicerone nella Filippica III.: » kn cuti //ja-
gister ejus ex oratore aratur Jactus sit »; e
come fa il Tasso:
r> Rapido disserra
La porta, e porta inaspettata guerra;
& nel ripetere la stesha parola con qualche
cangiamento , del che oltre gli esempi , che
frequentissimi incontrerete specialmente ne-
gli endecasillabi di Catullo , uno ne som-
ministra il Chiahrera, quando parlando d*
Ercole dice:
9 , t le tre fauci immense,
Alta guardia di ulte, inclito mena
Mostro immortai sotto mortai catena;
ed il Filicaja:
, 3 Vedrei la Jcrhrice Asia ferita ;
ed in altro luo'*o :
w Muovi or tu nova guerra, e co tuoi strali
L % assalitore assali .
/ . §. XIV.
IL a
Le Pari-finienti .
figura detta de* Pari-finienti allora si
fa , quando neil' istesso periodo due , ò più
pa-
parole concorrono poste nel nredeslmo tem-
po, nel medesimo caso, nella stessa perso-
na , ancorché non abbiano la medesima ter-
minazione, nè facciano rima. Ne abbiamo
un esempio presso Monsignor della Casa
nell'orazione, che è a noi pervenuta sol-
tanto imperfetta sulle lodi della Repubbli-
ca di Venezia: n Anzi è il dimorare appo
voi a ciascuno citiceli egli si si i per la vo-
stra possanza sicuro , e per la vostra dovi-
zia comodo, e per la vostra mansuetudine Ji-
lettevole w ; e presso Cicerone nell'orazione
in d.fesa della legge Manilia: » Hunc in il-
io timore , et fuga Tigranes Pex Armenius
excepit, diffidentcmque rebus suis confirmavit*
afflictiun erexit, perdkumque recreavit »,
§. XV.
»
Ee Pari-consonanti.
>
(iuando poi le parole, che si trovano
nello stesso periodo, quantunque diverse di
caso, di tempo, e di persona hanno però
un istessa terminazione, e formano in fine
un istesso suono , una tal fi rura dicesi de*
Pa,ri-consonanti. Questa osserverete in quel
periodo di Cicerone nella IV. Filippica:
w Hoc virtute major es vestri primum univerr
sam Italiam devicerunt , d£Ìnde Carthaginem
exscideriint, Numanliam everter unt , poteritis*.
simos Peges, beUicosissimas gentes in ditio*
nem huus Impirii redegerunt come anco-
ra neir orazione d' Alberto Lollio in difesa
di M Orazio : 15 Q u *l co*a si può pensare ,
non che dire, più brutta, e più biasimevole »
che attristare chi ci ha consolato, vituperare
chi ci ha esaltato, affliggere chi ci ha libera-
to, dar la morte a chi ci ha dato la vita »?
§. XVI
DeW hocolon .
JLj Isocolon, parola, che uguaglianza cV mem-
bri significa , allora si fa > quando i mem-
bri d' un periodo sono quasi d' una stessa
misura, e terminano ion una eguale ar-
monìa . Eccone l esempio presso Cicerone
neir Orazione per la Legge Maniha : Bel-
lum extrema hyeme apparavit , ineunte vere
suscepit, media aestate corifee it : » ed un al-
tro presso il Casa neli* Orazione in lode
della Repubblica Veneta: „ Ch* io conosca
adunque le magnanime virtù della vostra pa-
tria , mi dee ciascuno attribuire a ventura , e
che io le approvi, a bontà , e eh 9 io presuma
di poterle acconcia mente narrare altrui > v ad.
onore, e che in ciò j are io mi affatichi , a.
gratitudine » .
Io porrò fine a questo Capitolo col ge-
nerale avvertimento, che intorno a questi
fi-
V
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8^3
fi dure ci da 1' autore della RettOrìca ad E-
rennio, e che ciascuno dee nella sua mente
imprimere, ed è , che quanto di bellezza
hanno queste figure, quando sono con natu-
ralezza» e di rado usate, altrettanto puerili
divengono , ed a chi ascolta nojose , e mole-
ste, se compariscono a bello studio ricerca-
te, e nel discorso sono troppo frequenti ;
„ Chiomoso igitur si crebro his generibus ute-
ir 'ir y puerili videblnur elocutione delectfLrijita
ci raro lias inferemus exornationes , et in cau-
ò tota varie asper genius , comode luminibus
diitinctis illustraUmiLs orationem ». Le figu-
ro hon belle , quando son figlie della fanta-
£ a, e della passione. Nascer debbono spon-
vincamente, e derivare da una mente ri-
scaldata dall'oggetto, eh* ella cerca di de-
scrivere, nè mai interromper si dee il cor-
so de' pensieri per andare in traccia delle
figure. La studiata ricerca degli ornamenti
è un gran difetto. La condannò anche in
Isocrate Dionigi d' Alicarnasso . Quando gli
ornati cosran fatica, la fatica sempre si ma-
nifesta; e quando non ne costassero alcu-
na , la cop t a eccessiva in vece di dilettare
disgusta chi legge ò ascolta, scorgendo in
essa uno spirito vano , e leggiero , che lus-
sureggia in foglie inutili , ed è povero di
frutti. Bisogna, dice Quintiliano medesimo,
adattare gli ornamenti , e le figure ai luo-
ghi , ai tempi, alle persone. Il fine loro è
il diletto . Ma quando è tempo di destar 1*
orrore, lo sdegno, la compassione, chi può
goffrire, che un uomo adirato > ò piangente,
ò supplichevole perdasi in rintracciare a
bella posta le antitesi , i pari-finienti , i pa-
ri-consonanti? In questi casi la cura sover-
chia delle parole toglie ogni fede alle pas-
sioni, e dove si fa pompa dell'arte, lonta-
na credesi la verità: » Sciendum in primis
est , quid quisque postulet locus , quid perso-
na, quid tempus . Major eniin pars harum fi-
gurarutn posita est in delectatione . Ubi vsro
atrocitate, invidia, miser adone pugnandum
est, quis ferat verbis contrapositis , et consi-
milibus , et pariter cadentibus irascentem ,
fientem, rogantem, cum in his rebus cura ver-
borum dcroget affèctibus fidem, et ubicumque
ars ostentatur, vcritas abesse videatur u? Lo
stesso insegna pure Dionisio citato, e tra-
dotto in una sua nota dal Retore Inglese.-
„ Quando uno s" alza, dice egli, a dar pub-
blico consiglio intorno alta guerra, e alla pa-
ce, b piglia a difendere ne tribunali un uo-
mo, che è in pericolo della vita, queste deco-
razioni studiate, queste grazie teatrali , que-
sti fiori giovanili son fuor di luogo . In vece
di giovare pregiudicano alla causa . Allorché
la contesa è di genere serio, gli ornamenti ,
che in altre occasioni avrebbero avvenenza »
sconvengono, e apertamente s'oppongono a
quegli affetti, che cerchiamo destare negli udi-
tori , 5 . Cniaderò queste brevi, ma necessa-
rie , ed utili osservazioni con quelle parole
di Quintiliano : „ Ego illud de iis figuris ,
quae vere fiunty adjiciani breviter , sicui or*
nant
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J
3«?
nant orationem opportune positae, ita ineptis*
simas esse, ^um immodice petuntur „,
■
CAPITOLO IV.
DeZ/o SrzVe.
(guanto finora intorno ai precetti dell* ar-
te Oratoria , e dell Eloquenza vi ho espo-
sto, ottimi giovani, riguardar si può come
una introduzione a quella materia, di cui
sono adesso per parlare, materia importan-
tissima, la quale se da voi- sarà bene inte-
sa, e messa in pratica, certo son :, che il
frutto raccoglierete di tutte le da me fin
qui spiegate regole , e d' eloquenti Scritto-
ri conseguirete il nome, e la giona. Io deb-
bo dello stile ragionarvi, il quale altro non
essendo, che la maniera d' esprimere i pro-
prj pensieri, chi non vede, che questa di-
pende dal retto uso de' precetti , che avete
finora ascoltati, ed appresi specialmente in-
torno all'elocuzione? Non solo dalla quali-
tà dell'immagini, e de' pensieri, ma dalla
scelta delle parole ancora, dalla varia ar-
monìa , e tessitura de' periodi , dall' uso del-
le figure, e delle metafore nasce l'ottimo
stile Quegli lusingar si può d' essersi il buo-
no stile formato, e di essere per conseguen-
za veramente eloquente, il quale ha appre-
sa l'arte d'adoperare opportunamente i va-
r) ornamenti , e di saperli «;lla diversa na-
tura delle cose, che tratta, adattare, cosic-
ché e le paiole, ed i periodi, e le figure,
e le metafore con il suono, e con Ja loro
armonìa, con la loro varia bellezza imitino
la semplicità, la mediocrità, la sublimità
de' pensieri . » Ts enim est eloqucns ( dice
Cicerone nel suo libro intitolato il Bruto )
qui et humilLx subtiliter , et magna graviter,
et mediocria temperate possit dicere „ . A que^
st* effetto io mi studierò di darvi la più giu-
sta, e chiara idea, che mi sarà possibile
de' diversi stili, perche avendo voi le pro-
prietà di ciascheduno conosciute, voi pure
usar ne possiate, come conviene, e secon-
do la diversa natura della materia, che im-
prenderete a trattare . Ben vi rammenterete ,
che tre sono d'un ottimo Oratore gli essen-
ziali doveri, l'istruire cioè, il dilettare, ed
il muovere. Da questi derivano ancora tre
diversi generi di parlare," ò tre stili, il sem-
plice, il mediocre, e il sublime , proprio es-
sendo particolarmente di chi istruisce lo sti-
le semplice , di chi vuol dilettare il medio-
cre, opportuno, e necessario specialmente
alla mozione degli affetti il sublime.
ARTICOLO PRIMO
■«
Dello stile semplice , ò infimo.
I
stile semplice è quello, che neli espri-
me-
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mere i concetti , ò i pensieri poco si disco-
sta dal comune, e familiare discorso delle
persone colte, e civili. Se in qualunque ge-
nere di composizione deesi conservare la
semplicità, e la naturalezza, cosicché nien-
te comparisca l'arte, e lo studio, tanto più
è ciò necessario in quelle, le quali intorno
a cose semplici, e familiari raggirandosi,
con semplice, ed infimo stile richiedono d* #
esser trattate. Tali sono i dialoghi, le let-
tere, le narrazioni, e tali ancora quelle
parti dell'orazione, in cui l'oratore si pro-
pone soltanto d'istruire, e di convincere gli
uditori . Sembra a prima vista , che le com-
posizioni di questo genere sieno dell'altre
più facili, e ciascuno lusingar si possa di
riuscirvi con buon esito. Tali però, dice Ci-
cerone, sembrano soltanto a chi ne giudi-
ca, quando le ascolta , ò le legge scritte da
altri, ira non così "la pensa chiunque s'ac-
cinge a farne la prova: „ Orationis subtili-
tas imitabilis Ma quldem videtur esse existi-
nuvuì, scd nihil est experienti minus ». Ci
fa anzi 1' esperienza conoscere, che niente
vi ha ranto difficile, quanto lo scriver be-
ne, ed il comporre in questo stile. E' vero,
che esso imita i modi più semplici, e fa-
miliari, che comunemente si usano in parlan-
do dagli uomini; ma chi vi ha, che possa
conservare questa semplicità, e questa na-
turalezza , e nel tempo stesso sparga nel
suo discorso tutti quei vezzi, rutti quei sa-
li, e tutti quegli ornamenti; di cui capaci
so-
I
39°
sono anche i familiari discorsi? E* cosà dif-
ficile il far sì, che non troppo ricercati, ma
nel tempo stesso sodi , e giusti sieno i peri-
sieri, l'accoppiare con una certa negligen-
za, che piace ed alletta, un parlar pulito
ed eloquente, l'evitare i periodi troppo la-
vorati, sonori, e maestosi, ma renderli in-
sieme dolci, grati, e soavi, il rigettare le
« figure i ed i traslati troppo forti e grandio-
si, ed insieme far usò di tutti quegli orna-
menti, che anche a familiare discórso non
disconvengono: , 5 Sermo purus erti et Lati-
nus ( dice Cicerone parlando delle proprie*
tà di questo stile ) dilucide, planeque dice-
tur . Kemovebitur omnis insigni* ornatus qua-
si ir argarit arimi > ne calamistri quidem adhìhe-
buntur ; elegantia , et muniìitia remanebit . . . be-
rutti quaesitae venustates, ne elaboratd concinni-
tas , et quoddam aucupiiuh delcctatiunis manifeste
dcprehensnm appareat r>. Quanto pòchi infat-
ti sono stati 1 buoni imitatori di Cicerone
nelle sue lettere, e ne' suoi libri Filosofici,
del Boccaccio nelle sue novelle, del Casa,
nel suo Galateo , di Virgilio nelle sue Eclo-
ghe, d'Orazio ne' suoi Sermoni , e nelle sue
Epistole? Sono per altro questi gli esempla-
ri , che dobbiamo giorno, e notte studiare,
poiché la lettura di essi , T attenta osserva-
zione intorno alla naturalezza., che 1 vi si
scorge, unita alla pura e schietta elocuzione
potrà metterci in grado di superare la di£-
ricolta, che nello scrivere irt tale stile s'in-
contra, e renderci non infelici imitatori di
essi . AR-
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!
3£i
ARTICOLO II
Dello Stil sublime.
!Per formarsi una giusta idea dello Stil
sublime , uopo sarebbe , che da tutti voi si
leggesse l'aureo trattato, che ne scrisse Lon-
gino, trattato veramente ammirabile, pie-
no delle più sane regole d'una vera e so-
da eloquenza, ed il più atto a formare il
gusto dei giovani, cosicché sarebbe vera-
mente desiderabile, che non fosse a noi per-
venuto imperfetto . Affinchè però non restia-
te del tutto defraudati di quel vantaggio,
ch« dalla lettura del molto, che ancor ne
rimane, rilevar potreste, altro io non farà
nel parlarvi di questo Stile, che seguire le
sue tracce, ed esporvi in compendio quan-
to egli diffusamente ne ha detto. Troppo
facile essendo il confondere la vera gran-
dezza con la falsa ed apparente, ed il pren-
dere uno stile gonfio per uno stile vera-
mente sublime, e magnifico, dà egli prin-
cipio alla sua opera additando i segni, ed
i caratteri , dai quali distinguer si possa il
vero sublime dal falso, ed insegnando, che
il vero sublime è quello, che con un pro-
fondo sentimento tocca, e rapisce l'animo,
e lascia considerare più di quello che si
dice , quello , che per cesi dire non smonta
giammai, nè mai decade, nè punto' perde
della sua natia bellezza, ma quanto più si
considera, sempre più piace, ed a tutti. Coe-
ren-
fentemente a questo principio osserva il Cor-
ticelli nelle sue dieci giornate intorno alla
Toscana eloquenza * che sublimi dir si deb-
bono senza dubbio il i etrarca , ed ii Boc-
caccio ( aggiungiamo a questi Omero , Vir-
gilio, Orazio, e gli altri Scrittori de' bdcni
tempi ) mentre da tanti secoli in quà sono
stare le loro opere sempre nelle mani de*
dotti , e semp.e ne hanno formata , e ne 1
formeranno la delizia. Passa quindi Longi-
no ad additare i fonti del sublime, e cin-
que ne assegna; 1. la matura y giusta,- ed
alta felicità di pensare, e d' immaginare ; 2.
gli affetti gagliardi, ed entusiastici ; 3. uri
certo modellamento di figure sì di senten-
ze, che di parole; 4. la frase nobile , ed
elegante; 5. finalmente la composizione ele-
vata > ed armoniosa (a). La sublimità dei
* : ~ *
(a Parlando il Sig. Blair nella Lez. IV. dello'
Stil sublime, benché si protesti di non conoscere
critico , uè antico, uè moderno, che meglio di Lon-
gino mostri di gustar le finezze dello scrivere nel
suo Trattato dei Sublime, benché lo chiami Scrii*>
tore ecce Unite \ pure non approva in tutte le sue
parti V iò a, che il medesimo dà del sublime; e
quanto volentieri con lui s'accorda nel riconosce-
re , come fonti del sublime , i pensieri grandi , eòi
elevati,- ed il patetico, ò la gagliarda espressione,
e pittura delle passioni, altrettanto lo condanna
per aver riposto tra i fonti del sublime le figure ,
le frasi nobili, ed eleganti, i ben tessuti, ed ar-
moniosi periodi , dicendo , che il suo piano sarebbe
acconcio per chi avesse a formare un Trattato di
Ret-
uigitizeo uy
. - i 393
pensieri nàsce primieramente dall elevatez-
za
# — ~ — ; . - — »
JXettbrica , i/o» per chi voglia particolarmente
trattar del sublime *, che i tropi , le figure , e f ar-
monìa de periodi non hanno maggior rapporto al
sublime , che a qualunque altro genere di bellezza ,
e forse a quello meno che ad ogni alt ro , perche mi-
nore ajuto richiede dagli ornamenti . Troppo ardi*
to io sarei» se pretendessi d'alzar qùì tribunale,
e di citarvi un sì rispettabile, e savio censore.
Bisogna convenire con lui , che la sublimità delle*
stile ha il suo piincipal fondamento nella grandez-
73 à( o]\ i.agetti , che si descrivono , o sia che
Questi orsetti sieno grandi per la loro illimitata,
estensione , come l'altezza , e là vastità de' Cieli,
lMrvuta, e dirupata cima d'un monte, la profon-
dità d'un abisso, d'un precipizio, d'una caverna,
d'una voragine; ò per qualche forza straordinaria
messa in r.-.ione, e cagione per conseguenza dì
Strepitosi tn\tri, quali sono i terremoti, /' eruzio-
ni de' Vulcani, gl'incendi, le vaste inondazioni,
il nmre in tempesta, ia furia de' venti, i tuoni,
i fulmini ; ò per il terrore, che ispirano, qual'i-
spirnr «noie per lo più l'oscurità, il silenzio, la
solitudine ; ò per tacer molte altre cause per la
Sublimità s?ntimcntale consistente in alcuni pen-
sieri ispirati da una certa grandezza d'animo, ò
da qualche forte, e gagliarda passione, quale è il
rimprovero fatto da. Cesare al Nocchiero atterrito*
dalla tempesta.- Quid tintesi Caesarem vehis ,, j
la risposta di Poro ad Alessandro, che lo richiese
Come bramava d'esser trattato, dicendo solo: da
Rè, ed altri simili dotti pieni di sentimento, e
di forza, e perciò sublimi. Ma non è egli vero,
che ai grandi oggetti, ai sublimi, e nobili pensie-
ri dee andar del pari Li nobiltà dello stile? Lo in-
segna pure egli stesso dicendo nella sua IV. lèzio*
iìc: Nop basta pero , che l'oggetto sia sublime itt
394
za, e generosità dello spirito avvedo a con-
cepire, ed immaginare cose grandi, e ad-
duce per esempio di tali sublimi pensieri ,
e Mosè, il quale non potea più nobilmen-
te esprimere la grandézza, e l'onnipotenza
di Dio nella creazione delle cose, che di-
cendo soltanto: w Parlò Iddio: sia la luce y
e fu la luce ; sia la terra , e fu la terra ; e
tutta r Iliade d'Omero, 'a confronto della
quale dice essere l'Odissea opera della vec-
chiezza, ma però della vecchiezza d'Ome^-
ro, simile al sole, che tramonta, un Ocea-
no, che rientra, e ringorga in se medesi-
mo, e da' suoi termini si ritira. Nasce an-
co-
g ,, „ r r— — $
se stessa , dee anche esserci presentato in quel lu-
me . eie possa farci una chiara, e piena impressio-
ne . dee esserci descritto con forza , con semplicità,
coi.' rapidità , e concisione . Ma questi colori , co*
quili dee lo scrittore dipingere gli oggetti , non
sono eglino le metafore » le figure, le nobili, ed
cU^antt tscressioni , la varia armonìa de' periodi?
T li ragione, che tali colori , ò qualità proprie so-
ro ancora di qualunque siasi genere di parlare, ò
di scrivere, sarà ella bastante, per escluderli af-
fatto da un trattato intorno al sublime? Sembra
che lo Scrittore fngtese trovato avendo uniforme
al suo sentimento quello di Longino nel fissare co-
me vere , e principali sorgenti del sublime la gran-
dezza , e nobiltà di pensare, e il patetico, non
avesse poi dovuto così di leggieri riprenderlo, se
come secondarie sorgenti del sublime h come aju-
tt • che lo debbono accompagnare, ha riguardato le
figure, le scelte frasi, l'armoniose sentenze, e ha
dato loco fra le medesime sorgenti almeno un po-
sto inferiore .
uiguizGO uy
Google
fcòra da un retto giudizio nello scegliere tra
le circostanze, che un fatto accompagnano,
le grandi, e nel tralasciare le frivole, ed
inutili i nasce dall' ampi ideazione > la quale
dice essere dalla prosa diversa, poiché que-
sta semplicemente dimostra , quella ricchig-
simamente come un mare si diffonde in un*
aperta , è dispiegata grandezza, e facendo
a questo proposito il paragone di Demoste-
ne, e di Cicerone, assomiglia il primo per
il suo dire vibrato, e conciso ad un fulmi-
ne, che tutto rapisce, arde, ed abbatte eoa
impeto, il secondo ad un vasto incendio,
che ovunque trova pascolo, ed ovunque cori
molto ardore, e sempre costante si volge.
Ripete finalmente la sublimità, dei pensieri
dall' imitazione degli antichi Scrittori, pa-
ragonandola al Tripode dell i Pitia; e come
questa accostandosi al Tripode restava in-
vasa dalla virtù divina, così dalla sublimi-
tà degli antichi nèM' animo di quelli, che
gì' imitano, si trasmettono certi effluvj, da
cui ispirati anche quelli , che non sono mol-
to dispósti ad essere agitati dal furore di
Febo, concepiscono l'entusiasmo. Insegna
poi, che nell' imitarli bisogna figurarci, co-
me si sarebbe espresso quell'autore, che
prendiamo per modello, se avesse dovuto
dire la medesima cosa , e quasi al di lui
tribunale presentandoci , e sottoponendo al»
la sua censura i nostri scritti, figurarsi,
qual giudizio ne formerebbe (a) . Passando
quin-
4=^=r: — : =- - — ; , ■ , #
(a) Daremo a tali principi tma maggiore estea
quindi alla seconda cagione del sublime,
che è la fantasìa, ò l'immaginazione, dice
alrro non essere ella, che un certo entu-
siasmo, ed una certa passione, la quale di-
pinge alla mente dello Scrittore in sì fatta
guisa le cose, che gli pare di vederle, e
tali poi egli pure le rappresenta agli occhi
degli uditori. Distingue la fantasìa, ò T im-
maginazione in Poetica, ed in Oratoria, di-
cendo esser proprio di questa lo schiarire - e
T illustrare le cose, di quella il sorprende-
re, e sì dell'una, che dell'altra il muove-
re . Avverte però, non dover l'Oratore avan-
zare , come i Poeti, la sua immaginazione
a favolosi infingimenti, ma limitarla a quel-
lo, che è verace, e fattibile. In luogo d*
Euripide r d' Eschilo, e di Sofocle, che egli
adduce per modelli della sublimita, la qua-
le nasce dagli affetti ardenti , e gagliardi >
io vi esorterò a leggere la parlata d'Arian-
na abbandonata da Teseo presso Catullo nel
Poemetto sulle nozze di Teti, e di Peleo,
quella di Didone contro Enea presso Virgi-
lio nel libro IV. dell'Eneide, quelle di Ve-
nere cóntro di Giunone , e di Giunone con-
tro di Venere' nel X., conteatandomi di qui
riferire soltanto la pittura , 'che nel libro
IX. fa lo stesso Poeta della Madre d' Euria-
lo, quando riceve la nuova della morte di
suo figlio , e il discorgo patetico , che le
mette in bocca:. .sNun-
sione, parlando espressamente dell'imitazione nel
seguente Capitolo.
»
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^Nunciafama ruìt% matrisque adlabitur a re*
Furiali, ac subitus miserae calor ossa reliquie 9
Excussi manibus radii, revolutaque p^nsa .
Evvlat vfelix , et foeminco ululata
Scissa comam , muros amens , atqueagmina cursiL
Prima petit* non illa virimi, non illa perieli
Telorumvc memor,C$lum dehinc questibus implet :
Unric ego te, Euryale , aspicio ? Tune illa senectae
Sera meae requies ? Pontisti linquere solam
Crii del is? Nec te sub tanta pericula missum
Affari extremum miserae data copia Mairiì
Heu ! terra ignota canibus data praeda Latinis 9
Alitibusquc jaces , nec te tua funera mater
Produxi, prcssive oculos , aut vulnera lavi
Veste tegens , tibi quam noctes Jestina diesquv
Urgebam , et tela curas solabar aniles .
Quo sequar? ec.
Con quanta ragione poi tra le cagioni, ed
i fonti del sublime egli riponga le metafo-
re, e le figure sì di sentenze, che di paro-
le, ( le quali per altro vuole, che non com-
pariscano fatte a bella posta, e studiate»
ma ne resti coperto l'artifizio dalla subli-
mità de' pensieri ) la frase scelta, nobile»
ed elegante, la buona composizione, ò la
buona tessitura, e collegazione dei membri,
ed il giro armonioso, e grato de* periodi»
il potete agevolmente comprender da ciò»
che di tali materie ragionando vi ho già
esposto, senza che io mi trattenga nell' ac-
cennarvi minutamente quanto egli dice in
particolare intorno a ciascheduno di tali
soggetti . Non voglio però tralasciare il dub-
bio, che egli muove nella Sezione XXXIIT.»
se migliore riputar si debba la sublimità con
qualche difetto, ò la mediocrità in tutte le
sue parti perfetta. Decide egli in favore dei-
la sublimità non esente da qualche bassez-
za ò difetto , e lo prova con 1' esempio di
moiri, dicendo, che sempre sarà più stima-
to Omero con i suoi difetti che Apollonio»
più Archiloco che l' irreprensibile Poemetto
d' Eratostene intitolato V Erigane, più Pin-
daro che Bacchilide, più Sofocle che lo-
tte, e Chio. Molte erano le qualità, che ren-
devano Iperide superiore a Demostene , pu-
re la sublimi- à del suo stile a fronte de*
suoi difetti ebbe sopra tutti la preferenza.
Lo stesso dice di Lisia rispetto a Platone,
e dalla natura stessa dell'uomo traendo 1*
ragione della preferenza , che si dà alla su-
blimità in qualche parte imperfetta, dice»
che l'uomo suole ammirar più le cose ina-
spettate, e grandi, sebbene imperfette, che
e le piccole, sebbene nel suo
^ v j^é-| tratti sublimi e gran-
iosi ricudpróno ; e 1fèn%ó ti , che non si av-
vertano, ò non si valutino i piccoli difetti»
che T emendato non si vitupera, ma il gran-
de s'ammira, che l'esatto, ed il perfetto è
0 proprio dell' arte , ma il grande della natu-
ra . Dopo avere per altro così espresso, e
confermato il suo sentimento intorno alla
preposta questione, lascia a ciascuno la li-
bertà di pensare ciò, che gli piace.
AR-
uigitizeo uy
399
ARTICOLO III.
Dello stile mediocre , e temperato .
I^ra i due stili diversi, de' quali ho fin
qui ragionato, un altro stile tiene il luogo
di mezzo, e dell'uno e dell'altro parteci-
pa; non s'innalza, non grandeggia, non
tuona, non rapisce, come il sublime, nè al
basso, al semplice, al familiare discende,,
come lo stile infimo , ma prende dal subli-
me tutti gli ornamenti, e tutte le figure
più. moderate e soavi, e le forti e gran-
diose rigetta; adotta tutti i vezzi, tutte le
grazie s ed i sali propri dello stile infimo,
allontanandosi nel tempo stesso da ciò, che
ha troppo del familiare, e dicesi per que-
sto stile mediocre, e temperato. Cicerone
lo chiami ancora fiorito ed ornato, poiché
proprio essendo di esso principalmente il di-
lettare, ammette tutti gli ornamenti dell'
arte, tutti i fiori dell'eloquenza, i pensieri,
e le immagini più brillanti, le più terse e-
spressioni, i periodi più armoniosi e soavi.
E se ad impetuoso torrente , che con gran
strepito scorre, e quanto incontra svelle,
abbatte, e porta seco, dir si può simile lo
. stile sublime, a picciol ruscello, che in mez-
zo a fiorito, ed ameno giardino placidamen-
te muove, l'infimo, ed il semplice; a ric-
co, e limpido fiume, che per ampia, e ver-
deggiante campagna si aggira con le sue
acque, potrà io stile temperato e mediocre
as-
4 00
&6sojniglia.rfcì. Le Storie di Cesare, di Sallu-
stio, di T. Livio, gli Ufizj di Cicerone i
suoi Paradossi, il sogno di Scip one, ed al-
tre sue opere, la Georgica di Virgilio, la
maggior parte dell'Elegìe di Tibullo, e di
Properzio, TEroidi d'Ovidio, gli Ufizj del
Casa, la Fiammetta del Boccaccio posson
servirci di modelli nelT uso di questo stile .
Ma quale dei tre accennati stili dovre-
mo piuttosto imitare, e quale agli altri an-
teporre ? Senza dare ad alcuno sopra dell'
altro la preferenza, quello riputar dobbia-
mo il migliore, che più si adatta alla na-
tura delle cose, che trattar vogliamo. Qua-
lunque composizione ammetter può dentro
di se tutti i tre accennati stili; anzi dalla
-varietà dello stile, che alla varietà dell' im-
magini , e de' pensieri dee corrispondere,
riceve ella il suo più beli' ornamento . An-
che la Commedia, disse perciò Orazio»' al-
za talvolta il tuono, e lo stile, e s' ode con-
trastare sdegnato Cremete; ed all'opposto
depone alquanto di gravità la Tragedia, e
talvolta in stile familiare stoga il suo pianto:
„ Interdum tamen, et vocem Comoedia talli t y
Iratusque Chremes tumida delitigat ore,
Et Tragicus plerumque dalet scrinane pedestri.
In qualunque composizione le cose grandi
debbonsi, al dire di Cicerone, esprimere con
sublimità, e grandezza, le piccole con stile
semplice» e familiare, ori uno stile tempe-
rato le mediocri; e quegli non può, dice
Orazio , il nome di Poeta arrogarsi , che
usar
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tisar non sa opportunamente di ciascheduna
stile, e conservare i colori, che a ciascun
sog-euo convengono:
9) Lcscriplas servare vfces , operumque colores
Curerò, si nequeo , ignuroque, Poeta salutur}
Io vi esorto in ultimo ad aver sempre pre-
sente l'insegnamento dell' isresso Orazio, il
quale ci avverte di sfuggire con tutta la.
premura, e cautela il difetto di coloro, che
volendosi sollevare danno in gonfiezza , e si
perdono tra le nuvole ; volendo far pompa
dei fiori, e degli ornamenti dello stile me-
diocre, divengono freddi, e snervati; volen-
do per timore di sollevarsi , seguire lo stile
semplice, ed infimo, si abbassano di troppo
e radono il suolo;
„ Sectantem lenia nervi
Deficiunt, animique, pnrfessus grandia target,
Serpit hami pulus nimiiim 9 timidu$que prucellae.
La distinzione , che sulle tracce degli anti'
chi Retori abbiamo fatta finquì dello stile
in semplice, sublime, e temperato, è a dir
vero più fondata su la diversità delle im-
magini , e de' pensieri , che sulla maniera
d esprimerli, la quale per altro debbe sem-
pre, per quanto è possibile , esser confor-
me , e corrispondere alla qualità de* senti-
menti, cosicché 1 elocuzione col suo diver-
so tenore , e con i varii suoi ornamenti ne
esprima la semplicità , la mediocrità , la gran-
dezza. Che se riguardar si volesse lo stile
relativamente al genio di chi scrive, in va-
no si tenterebbe di ridurne la moltiplicità
P d ad
402
*d un* esatta, e generale divisione , tanti
potendo essere giusta V osservazione di Ci-
cerone gli stili, quanti son gli scrittori. O-
gnuno in fatti secondo il naturale suo ge-
nio ha una maniera sua propria Ài pensare
e di parlare , ò di vedere e di sentire le
cose, e di dipingerle con le parole . Da essa
prende un colore ed un carattere talmen-
te proprio anche lo stile, che sebbene uno
•crittore dalla diversa qualità delle cose ,
che tratta , sia obbligato a cangiare anche
lo stile ( come quando T. Livio, e Tacito
dalla narrazione istorica passano al tuono
delle concioni ) pure ne' diversi tratti dell*
opera scorgesi sempre la stessa mano, ed il
carattere proprio dello scrittore . Infatti an-
che nelle concioni distingnesi lo stile dif-
fuso, e magnifico di T. Livio, il conciso di
Tacito . Dove anzi non vedcsi questo carat-
tere, e questi impronta d' un gènio parti-
colare , si concluda pure , dice il Sig. Blair,
che coperà d'uno Scrittore triviale, d'uno,
che scrive non per proprio genio, ma per
una servile , e stentata imitazione.
Sonovi per altro alcune proprietà gene-
rali dello stile, delle quali altri più, altri meno
partecipano , ed a cui ridur si può se non
in tutto , almeno in gran parte lo stile pro-
prio di ciascheduno. Vi ha, chi esprime in
poche parole i suoi pensieri , tra le parole
ii*a le più espressive, rigetta come ridon-
dante, e superflua qualunque frase, che
niun peso, e ni una forza aggiunge al sen-
ti-
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timento, studiasi di presentar la prima vol-
ta gli oggetti nel più vivo lume» fa uso
degli ornamenti, ma in questi cerca più la
forza, che la leggiadrìa, dà a le sentenze» ò
a periodi un giro più stretto , che armo-
nioso e soave, segue in tutto la precisio-
ne, ed ama di dire alla mente di chi W-
ge, più di quello, che esprime . E' questo lo
stile conciso, questo lo stile di Demostene,
questo lo stile di Tacito. *ltri all' opposto
espongono in tutta la loro estensione i senti-
menti , li presentano in diversi aspetti , gli am-
plificano , gli adornano , li dispongono in perio-
di per lo più estesi ,e magnifici .Questo è lo sti-
le diffuso , e Cicerone ne è il più luminoso mo-
dello .E' difettoso il primo, quando la troppa
precisione genera oscurità , quando per la man-
canza totale d' ornamenti diviene lo stile arido*
e secco . E* difettoso il second- , quando è ecces-
siva , smoderata , e troppo lussureggiante la co-
pia degli ornamenti ( quale d' ordinario s* osser-
va ne' giovani , ne* quali per altro è più deside-
rabile che la sterilita , più facile essendo il to-
gliere in essi quello che abonda , che il supplire
a quello che manca ) e quando V estensione che
si dà ai sentimenti , ne snerva la forza , e si cad©
in uno stile debole e languido, capace di
stancar piuttosto , che di dilettare chi ascol-
ta , ò chi lejge. Lo stile conciso impegnan-
do più con la rapidità de ? pensieti, che si
succedono, V attenzione, è più opportuno nell*
opere a leggersi soltanto destinate, come
pure ne' tratti patetici, perchè più confor-
me
me al genio degli aderti', i quali amano la
precisione, la forza, la brevità. Ne' com-
ponimenti poi, che debbonsi ascoltare, e
quando s: tratta d'istruire, di dimostrare, e
di parlare più alla mente, che al cuore de-
gli ascoltanti, senlbra, che si richieda, e si
desideri piuttosto lo stile diffuso. La natu-
ra , ò sia il genio particolare degli scrittori
saKi sempre la misura del grado, per cui
uno s accosta più a questo che a quello , più
d^lT uno, che dell' altro partecipa. Io cre-
do però potcr.-i non senza fondamento os-
servare, maggiore essere il numero de' buo-
ni modelli ne.lo stile diffuso che nel conci-
so, e la ragione principale, come io penso,
si è, che lo stil conciso richiede un genio
singolare, rapidità, elevatezza , penetrazione
di mente, viva e forte immaginazione, un
cuore sensibile, ardente, impetuoso, dispo-
sinoli, che non così spesso, nè facilmente
in molti si trovano. Questa osservazione per
altro n:enre diminuisce il mento del mag-
g,or n un^ro degli scrittori , che non men
volenrien si ledono, b*nohè lo stile dif-
fuso sia qujllo, che domini nelle loro ope-
re, sì perchè lo sonteugono se nure con no-
biltà, sì perchè sanno ancora opportunamen-
te esser concisi , e sono per conseguenza
più degni d' ammirazione e di lode, per-
chè riuniscono 1 pregj dell'uno e dell' altro sti-
le. Orazio, Virgilio, Cicerone, il Casa, il
Petrarca , il Tasso , e molti altri di simil
merito formeranno sempre la delizia de' dot-
ti
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ti/ Il genio medesimo dellt lingua può
avervi gran parte, e questa ancora può es-
ier non 1 ultima delle ragioni per cui so-
no per ìo p:ù diffusi gì* Italiani scrittori,
concisi i Francesi.
Ma vi è una proprietà comune a qua-
lunque sorta di stile, e che di qualunque
stile forma il pregio più bello, ed è que-
sta, come avverte il Sig. Blair, la sempli-
cità, presa nel senso d' uno stile naturale,
d' uno stile, che ci presenta i più sublimi
pensieri, le più vive pitture, i più nobili,
e più leggiadri ornamenti, Y espressioni
più eleganti, ed energiche, i più armonio-
si, e soavi periodi, in una parola tutto il
bello dell' eloquenza senza ombra d' arti-
fizio, di studio, di fatica, di sforzo-. Nien-
te di più dilettevole d* un opera, in cui
si scorga questa maniera facile , e sponta-
nea, quali sono le opere di tutti gli eccel-
lenti scrittori. Niente di più ingrato dell'af-
fettazione, che a questa naturalezza, ed
aurea semplicità è contraria r tutto compa-
rendo per essa ricercato, studiato, artificio-
so, forzato; e la ragione si è, dice il Sig.
lUair , perchè le maniere di scrivere più
studiate ed artificiose , quantunque belle
han sempre questo difetto, che presentano
un autore sotto la forma d'un cortigiano,
in cui lo splendor delle vesti , ed il con-
tegno cerimonioso nascondono quelle parti-
colari qualità, che distinguono un uomo da
im altro. Ma il leggere un autore» che scri-
ve
406
<*e con semplicità, e coli naturalezza, èco*
me conversare con una persona ragguardevole
in casa sua» e a beli* agio, dove si ravvi-*
gano in essa le naturali maniere, ed il suo
distinto carattere. Nel capitolo, che segue*
m' afTretro a farvi vedere, quanto sia utile
per 1* acquisto del buon gusto, e del buono
«ile il conversare spesso con tali scrittori*
e la maniera di trar profitto da una sì fat*
ta conversazione.
♦
CAPITOLO V.
Dell 9 Imitazione.
M a come arriveremo iioi a fuggire tali
difetti, e facile ci renderemo la vìa all'ac*
quisto, ed all'uso' d' un buono stile in
qualunque genere di composizionè, che da
noi s' intraprenda ? Questo è ciò, che sono
in dovere di mostrarvi, passando dai pre-
cetti * «-he a ete finora ascoltati, alla prati-
ca ed ali esecuzione di essi, senza di che
sterili in voi rimarrebbero, ed infruttuosi.
LUmita/ione* e l'esercizio sono pertanto i
due mezzi, per cui il buono stile nello scri-
vere * e nel parlare si apprende. Nell'imi--
razione, dice Quintiliano, fondate sono in
gran parte le arti tutte, e da essa in gran
parte i loro avanzamenti , e la lor perfe-
a- • • •
zione riconoscono (a). E se questo principia
non
»— __^ ==== *
l«J Ntque enim dubitati potest , f */» artis pars
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non è che troppo vero per rispetto alla pit-
tura , alla scultura , alla musica , e a qual-
sivoglia arte ò meccanica, ò liberale » non
è meno vero, nè di minor uso, e vantag-
gio riguardo all' eloquenza . Richiamate alla
vostra mente gli scrittori più celebri d' ogni
secolo , e d* ogni nazione . Che sono eglino
mai? Non v* ingannerete al certo, se tutti
li riguarderete come eccellenti, e industrio-
si imitatori, i quali studiando i migliori
esemplari, e di ritrarne una somigliantissi-
ma copia affaticandosi , a tal pregio , e per-
fezione condussero i proprj scritti, che me-
ritaron poi di passare essi pure per altret-
tanti originali degni dello studio, e dell*
ammirazione de* posteri. Non si sa, quali
esemplari servissero di scorta ad Omero ne*
• suoi maraviglisi poemi ; ma non senza fon-
damento si crede , che questi a lui pure non
mancassero , benché ignoti ne siano a noi i
nomi, e le opere, e venga considerato Ome-
ro come il padre, ed il maestro di tutte le
arti. L' Iliade, o l'Odissea divennero la scuo-
la di tutti i Greci, che gareggiarono chi in
una, chi in un altra professione, d' imitarlo.
Lo stesso fecero i Latini riguardo ad Ome-
ro, ed agli altri Greci di lui imitatori. Dei
Latini, e de' Greci calcarono gloriosamente
le orme tutti gì' Italiani , e tra gì' Italiani
i più moderni non poco si sono affaticati
per emulare con una talvolta nobile, e non
ser-
mngna contincatur imitatiiiic .
servile imitazione gli antichi. E chi dopo di
ciò lusingar mai si potrebbe di giungere al-
la gloria d'ottimo, e d'eloquente scrittori
senza lo studio, e senza V imitazióne di ta.-
li esemplari? Giorno, e nòtte abbiate nelle
mani, e leggete le opere de Greci poeti,
dice a Orazio ai Pisoni:
„ Vos exemphiria Graecd
Notturna venate manu , versate diurna -,
avvertimento, che io non saprei giammài
à voi pure abbastanza ripetere, ben cono-
scendo* che dall' uso di questo dipendono
in gran parte i progressi < che far potrebbe
ciascuno nell'eloquenza. Ma perchè più fa-
cile, e più fruttuosa ai voi si renda una ral-
le imitazione, troppo necessario, ed oppor-
tuno mi sembra I'esporvi, quali regole do-
vete in essa seguire.
REGOLA PRIMA .
\ a prima, e la nori meno intéressante di
oneste redole è certamente la scelta giudi-
ziosa de Vioni Scrittori. Quelli, che sorio-
si oramai formato il buono stile, possono
impnntvriente spaziare nella lettura anche
di scr 'rr^ri , ne' quali regna uri cattivo gu-
«to. Ouclli poi, che hanno bisogno di for-
marlo, e a quest'oggetto s'applicano; allo
gridio delle lettere, quali appunto voi sie-
te , por debbono un qualche freno al desi-
.... de*
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4^9
derio di lecere, per non incontrarsi in cer*
te opere, nelle quali in vece di succhiare il
fiore d'una soda, e vera eloquenza, contrar
possono tutti i diretti d' un' eloquenza falsa,
e corrotta. Non meno importa ai giovani
ancor principianti ed inesperti l'istruzione,
e l'esempio de* buoni scrittori, che a tene*
ro barn inello di fresco nato il nutrimento
d'un latte sostanzioso e salubre. Conviene
perciò nella moltitudine immensa de' libri,
onde siamo assediati j scegliere i buoni, é
tra i buoni sempre i migliori, e nella let-
tura di questi impiegare tutto lo studio.
Non c' inganneremo in questa scelta , se tra
gli esemplari preferiremo sempre i più an»
iichi, quelli cioè, che hanno il favorevol
giudizio di tutti i secoli, e* di tutte le na-
zioni, e come veri maestri sono stati sem-
pre riconosciuti. Che giova ( dice però il
chiarissimo Bettinelli ) cercare Francesi (a),
ed
#:
[ai Tanto è lontano il Sig. Bettinelli dal mo-
strare con t-ile espressione poca stima per gli scrit-
tori delle due eulte da lui nominate nazioni , che
pillando degli Oratori Piancesi nell'appendice If.
su li Predic.i?ione , ò sacra Eloquenza non ha dif-
ficoltà d'asserire, che. non può altra scuola emù*
lar quelle di Grecia , e di Roma, come il può quél-
la di Francia co' suoi Hossuet , e Bordaloue, Mah
sii! on , e Qbcmlndh $ La-Tute e Flecbier , t* tant' al*
tri ( anche non sacri ) e noi medesimi dobbiamo
àrder la pnlw a in quel genere , come quella del
Teatro. Dal non averli io giammai citati nel cor*
so di questa Operetta -muno vi sia, che argomenti.
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ed Inglesi, «e abbiamo I nostri; e perchè
prefiggerci i nostri soltanto, se abbiamo i
loro esemplari, e maestri dell'antichità?
Giusto è dunque incominciare dagli antichi ,
e sopra di essi gettare i sodi fondamenti
del gusto, e del comporre. Ed ecco perchè
sì pochi fra tanti oratori, e poeti veggiam
riuscire a qualche eccellenza; perchè non
si vk alle sorgenti, ma si beve ai ruscelli,
ne* quali assai spesso nè limpide, nè abbon-
danti sono le acque.
Giudizioso, ed utile è ancora T avver-
timento di Quintiliano, il quale dice, che
non
a — , — z — : , . „ ... .
che :« non m' unisco con lui ad ammirarne la so-
da eloquenza. Ho scritto principalmente per gV
Italiani E* ella cosa opportuna , ed utile il pro-
porre <* questi per esemplari , e modelli . per quan-
to siroo eccellenti* gli Oratori Francesi? Io mi ri-
stringerei ad invitare la nostra studiosa gioventù
ali», lettura di essi . quando si fossero già formati
i! buon gusto nello scrivere la propria- lingua , c
fossero ben premuniti contro la facilità d' introdur-
re io essa, come da molti si fa, un gusto, ed uno
stile tutto Francese . Per questa ragione , ed anche
per non moltiplicare di troppo gli esempi io mi so-
no astenuto dal far uso di tanti chiarissimi stranie-
ri scrittori . Per la medesima ragione di provvede-
re alla brevità ho tralasciati tant'insigni Oratori
Italiani , il Casini, il Tornielli , il Bassani , Quiri-
co Rossi, il Terzi, il Venini , il Vanini , il Tur-
chi , ed altri , i quali tutti, dice in una sua nota
y Traduttore di Blair, chi piti , chi meno, ò per
Evangelica libertà, ò per coltura ili stile, • per
dottrina, ò per forza d'argomenti, ò per woziout
d % affetti hanno un merito assai distinto .
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non consiglierebbe mal alcuno a limitare il
fcuo studio, e la sua imitazione ad un solo
scrittore (a) Perchè infatti render ci dob-
biamo sch/avi d'un solo, e questo sì rigo»
irosamente seguire, che in parlando, ò scri-
vendo tutto sia da noi perfettamente lavo-
rato secondo lo stile . e la norma di quello
scrittore, che preso avessimo per nostro e-
semplare, 6 ci facciamo scrupolo di usar
frasi , e vocaboli, che non sieno stati dal
medesimo adoperati ? A questa schiavitù tan»
ti, è vero - s' assoggettarono , e tanti pur s*
assoggettano , lusingati del vano onore di
comparire chi Ciceroniano, chi Petrarchesco*
e chi Dantesco. Ma qua!' esito ebbo mai*
ed ha una cosi servile", e ristretta imitazio-
ne? Non ci dobbiamo maravigliare sé tan-
to inferiori sono ai loro esemplari questi
troppo superstiziosi, ed idolatri imitatori.
La perfetta somiglianzà di chi imita cori ì*
esemplare non solo è difficile , ma direi qua-
si affatto impossibile . E* ordinariamente più
facile il Fare più di quello, che altri ha
fatto, come avverte Quintiliano, chd il fare
appunto quello, che ha fatto (b). Quello*
fcnzi , che vi ha di più nobile , e di più in-
teressante negli scrittori , rìorl è punto imi-
tabile , come T ingegno , la fantasìa , la pd*
detrazione, la facilità, e tutte le àltre di-*
spo-
(a) Ne hoc quidem s un s trita , uni se alieni prò*
frfè, quem per omnia seqtiatur , addico?,
{b) Facili us est plus fa cere , quam idem ,
spedizioni, che dalla natura, e flou dall' af*
te dipendono (<z). Bisognerebbe avere nel
medesimo grado tutte queste disposizioni »
"bisognerebbe averle egualmente coltivare
per giungere alla medesima perfeziore dell*
esemplare. Oltre di che il prendere ad imi-
tare un solo è lo stesso , che por freno a
quella libertà d* ingegno , che è troppo ne-
cessaria per avanzarsi nella camera delle
lettere, è un limitare i progredì , che far
si potrebbero ai di là ancora dei confini, ai
quali è giunto quel dato scrittore . Con la
sola imitazione , dice il medesimo Quinti- .
liano , non si fanno progressi (b) Il vero ,
e saggio imitatore non dee appagarsi di ciò»
che altri ha fatto , ma dee avanzare più ol-
tre le sue mire, e tentare quello ancora »
che non è stato tentato. Se così fatto non
avessero tanti antichi, ed eccellenti imita-
tori, quali progressi mai fatto avrebbero le
Lettere (e)? Quali ricchi fonti finalmente non
si chiude chi gì dà servilmente allo studio»
ed ali* imitazione d' un solo ? Miglior con-
siglio adunque sarà lo studiar molti, ma
sempre ottimi modelli , e come le api con
l'umore da molti, e diversi fiori succhiato
compongono il miele, così per mezzo di va-
*= — r- : — *
' (a) Ad de fuod e a , quàe in oratore maxima sunt 9
ìmitabilia non stinta ivgcuium , inventi* , vis , faci'
iitas ' , et quidquid arte non traditur .
(*> NiM crescit sola imttattone •
(<? Quid futururn erat , si nemo plus effe ci s set e$ r
***** sequebatur ?
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4*3
rj pregi raccolti da varj Scrittori formar ci
dobbiamo, e adornare uno stile proprio,
uno stile, che ci distingua, e ci faccia coni-
par re non semplici imitatori, ma originali.
Ls. uno per conseguenza si prenda Telocu-
7!' • e, da un altro le immagini, da questo
la forza, da quello la grazia, da Demoste-
ne un parlar vibrato e conciso, da Cicero-
ne la copia , dall' Ariosto il colorito , dal
Tas>o il disegno, da Tibullo, e da Ovidio
la fluidità e la copia, da Virgilio, e da
Properzio la maestà, e la robustezza. Bella
è però la risposta, che dà Quintiliano ad
uno, che detto avesse: Non basta parlare,
come ha parlato Cicerone? » Mihi quidetn
satis es*et, ( dice egli ) ri omnia consequi
possem , quii tamen nocet vim Caesaris , aspe*
ritatem Caecilìi , duigentiam Pollionis , judi-
Ctum f alvi quibusdam in L>cis assumere »?
E' opportuno per altro avvertire , che quan-
do s'intraprende una qualche opera, ò coni-,
ponimento, conviene più,ò unicamente stu-
diare quegli Autori, che sono in quel ge-
nere i migliori esemplari. Dobbiamo per con-
iejuenza studiare Omero, e Virgilio, se ten-
tiamo un poema Epico; Sofocle, Euripide,
Corneille, Racine , Voltaire, il MarTei, f
Alfieri, se compor vogliamo una Tragedia;
Teocrito, e Virgilio, se ci piace scriver
Ecloghe ; proporci per esemplari Tibul-
lo , e Properzio nell Elegìe , Orazio nclT
Odi, e ne' Sermoni, il Petrarca ne' Sonet-
ti , e nelle Canzoni ; e così del resto .
RE-
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4*4-
REGOLA n.
D
alla scelta degli scrittori passar dob-
biamo alla continua, ed attenta lettura .te*
medesimi, senza la quale non ne sarebbe
mai a noi possibile V imitazione. Ad altro
infatti non tende V imitazione, che a ren-
derci simili agli esemplari, ò per dir me-
glio a trasformarci tutti ne* medesimi, co-
sicché nella stessa guisa pensiamo, nella
stessa guisa parliamo, ed in noi passi, e si
trasfonda il loro spirito, la loro forza, la
lor leggiadrìa . A ciò voi ben comprende-
te, non potere alcuno arrivare senza vive-
re , e conversare giorno e notte con essi ,
senza averli sempre fra mano, senza torna-
re più e più volte a rileggere in essi quel
che più volte vi ha letto, senza esaminarli
con attenzione, senza internarsi profonda-
mente nei loro spinto, senza famigliarla-,
zarsi talmente con essi, che finalmente lo
loro immagini, le loro espressioni divengano
quasi per abito sue proprie espressioni, ed
immagini. Di ciò persuaso Orazio non cessa-
va d' insinuare ai Pisoni questa continua,
attenta, e diligente lettura de' Greci Poeti,
con le parole, che poco sopra hò riportate;
» Vos exemplaria (ìraeca.
Notturna versate marni, vergate diurna.
Ma perchè questa sì necessaria lettura de*
buoni scrittori produca in noi un sì van-
taggioso, e nobile effetto, diportar ci dob-
biamo in. essa, come un industrioso peroro
nel
uigitizeo uy
nel tentare la copia di qualche beli' origi-
nale. Qual cosa vi ha in esso, che sfuggì
alla sua attenzione? Ne osserva diligen-
temente il disegno, T armonìa e la gius a.
proporzione delle parti, V ottima disposi-
zione , la varietà , la vivacità , la soavità , le de-
gradazioni , i passaggi de' colori, i difetti me-
desimi anche i più piecoli, tutto esamina,
sopra tutto fissa con lo sguardo la sua
attenzione . Nella stessa guisa tutto noi
pure esaminar dobbiamo in leggendo le ope-
re altrui, e tanto più saremo in grado d*
intraprendere un simile esame, quanto più
ci avanzeremo nell' intelligenza delle me-
desime. E siccome T imitazione esser non
dee alle sole parole ristretta , così contentar
non ci dobbia no d' osservare, quanto uno
scrittore sia elegante, vivace, e giudizioso
nell* espressioni, armonioso, e soave ne* pe-
riodi ; ma internandoci nell' argomento , che
tratta , scoprirne il disegno , conoscerne V
ordine* e la connessione delle parti, la pro-
gressione, la condotta, i passaggi, notare la
varietà , la copia , la forza , 1' amplificazio-
ne , e la disposizione delle prove , rilevare
la bellezza delle figure, la proprietà delle
similitudini, l'accuratezza delle narrazioni,
la sublimità de' pensieri, i caratteri ben con-
servati delle persone, e delle cose , 1' arte
di maneggiare gli affetti, e quanti altri pre-
gi lo rendono commendabile, e degno d*
imitazione (a). Non ci lasciamo però se-
dur-
: : — ^ =r=»
{a) Imitati» autem non sit tantum in verbi s ,
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durre intanto da una troppo parziale ge-
nerazione per X autore, che leghamo, co-
sicché non ne conoschiamo, e condannia-
mo nei tempo stesso i piccoli difetti , dai
quali non vanno esenti anche le opere de
più grandi incesi». e che destare non ci
debbono, ne ^ahenare da lui m graz.a delle
tante, e maggiori bellezze, che in lui si
ravvisano, (a)* da questi medesimi difetti tra-
endo anzi prefitto, con farli se vire alia nostra
maggiore istruzione Ma più d' una sem-
plice, ed attenta lettura ci condurra a di- #
scoprir meglio tutte queste cose negli scrit-
tori, e per conseguenza
ne V esercizio di tradurre nella nostra lin-
gua le loro opere . Questo è 1' esercizio,
che soprattutto raccomanda Quintiliano sull
esempio di L. Crasso, di Cicerone, di Mes-
sala, i quali traducendo in latino le opere
de Greci, tanto profitto ne trassero, che
se non gli superarono, giunsero almeno ad
emularli, ed aggiungendo di questo suo Si
utile, ed opportuno avvertimento le pia
:i ragioni: „ Quid quod (dice egli) auctQ^
res
llluc tute idenda mens > quantum f<u rit ìllis viris de-
foris tu rebus , et in per soni s , quod con si li um , quae
dispoutio , . . . . quid ava tur proemio., quae ratio ,
et quaw farfa narrati di , quae vis probandi , ac
reft llendi , quanta in affectibus omnis generis mo-
Vendi* teienùa . Quintil.
ia I Ret urn ubi plttra nttent in Carmine , non ego paucit
Offt„à*r waculis , quas aut incuria fudit ,
Aut bumana parum cavit Natura . . . Horat.
i
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res maxitn'r sic diligcntius cognoscuntur? Aon
enini scripta Ustione secura tfan$currimus 9
sed tracta; us singul&i et necessario iniro-
spicimu.* , et quantum vinutis habeant, vel hoc
ipso cognoscimus auodimitari non possumus »
Niuno ancora vi sia, che non reputi di gran-
dissimo vantaggio 1 impararne a mente i
y ù l*ei tratti, le più nobili sentenze, le fra-»
si più eleganti, sui rifesso i he tanto mag-
giore avanzamento dir potremo d' aver tat-
to nello studio e nella cognizione d' una
lingua, quanto maggiore ^ark il numero
delle voci, e delle maniere di dire, che
avremo presenti alla mente ,
REGOLA III.
IVJ a qui non s' arresti lo studio, che far
deggiamo de* buoni crittori, se bramiamo
d* emularli. Alla lettura di essi succeda,
e vada unito il continuo esercizio dello scri-
vere, e del comporre. Frutto della lettura
non dee esser soltanto il fecondar la me-
moria d' idee, d' erudizione, e di frasi . Bi-
sogna tentare lo stile, bisogna gareggiare
imitando con gli esemplari, bisogna con-
vertire in suo sangue, ed in propria sostan-
za ciò che leggiamo. Si cominci adunque
dall' esprimere qualche sentimento simile
a quello d' un qualche buono scrittore fiu-
tando alcune poche parole , ò frasi ; si pas-
E e s;
4*8
si a dare ai sentimenti, ed all' immagini al-
trui un diverso aspetto, servendoci di voci/^
di maniere di dire, e di figure diverse; si
tenti d* amplificare ciò , che altri ha espres-
so con precisione, e brevità; vi si aggiun-
ga qualche cosa del proprio-, gli si dia, se-
è possibile, un maggior lume, ed una mag-
gior bellezza, si seguano ancora in un di-
verso argomento le sue tracce , imitandone il
disegno, V ordine, e la condotta, ed in
questa guisa diverremo a poco a poco per
1' imitazione simili ai più eccellenti mo-
delli , giungeremo anzi ad emularli . Questo
è ciò, che hanno tatto tutti coloro, che go-
dono il nome, e la fama d* eccellenti scrit-
tori. Rammentatevi quel sonetto del Pe-
trarca :
« (Jiunto Alessandro alla famosa tomba
Del fero Achille, sospirando disse:
0 fortunato, che si chiara tromba
Avesti, e chi di te sì alto scrisse.
Il pensiero ed il sentimento è preso, come
sapete, da Cicerone nell' Orazione prò Ar-
dua Poeta: ,5 Is tamen ( Alexander ) cum
in Sio-aeo ad Achilli* tumulimi adstitissct: 0
fortunate, inquit, adolcscens , qui tuae virtù-
tis Homerum pracconem inveneris . » Come
però lo ha bene non solo imitato, ma no-
bilitato ancora, ed abbellito il PoeralRim-
mentatevi la bella sentenza d' Orazio nelL
Ode terza del Libro I.
p Illi robur , et acs triplex
Circa pectus c/\U, qui fragile m truci
Com-
f
419
Commisti pelago ratem -,
e poi dare uno sguardo a quel Sonetto del
Manfredi :
p Ben ha di doppio acciar tempre possenti
Intorno al petto, ò adamantina pietra,
Se alcun v ha, cui no 'l frange , e non lo spetra ,
Doleva , il suon de* tuoi divini accenti ;
ed al principio di queir Elegia del Sana-
zaro : 1
v> Q ai pfrimuf potuit patrios liquisse Penates ,
Et marisy et longae taedia ferre viae;(tes>
Quem non inasta domus>quem non revocare pareri-
Non potuit fusis blanda puella comis ,
Impius et scopulis, et duro robore natus
Atque inter tigres editus ille fuit .
Non mihi circumstat circum praecordiajerrum ,
Nec riget in nostro pectore dura silex ,
Vtpossim dulcesque lares, limenque puellae
Linquere, et ignoto quaerere in orbe domum .
E' egli possibile distinguere tali copie dall'
originale ? Per non ripeter quello che nella
Poetica ho detto riguardo ai poemi Epici d*
Omero, e di Virgilio, una bella imitazione
di Teocrito, e degli altri Buccolici Greci
sono T Ecloghe di Virgilio, una bella imita-
zione di quelle di Virgilio sono le scritte
dal Sanazaro, dal Giannettasio , e dal Vi-
da . E non sembra , che Monsignor della
Casa avesse avanti gli occhi Y orazione di
Cicerone in favor della Legge Manilia quan-
do fece il piano, e V orditura di quella^
che per la Lega compose? Riducetevi alla
memoria gli esempi, che ne ho riporrà ti ^
par-
4M
parlandovi della proposizione, e della di*
Visione di essa in un ragionamento . Questi
csempj, ed altri innumerabili, che voi stes-
si incontrerete in leggendo i buoni scritto-
ri , mentre ci d mostrano, come tanti han*
no saputo emulare i pregi , e la gloria dei
grand' ingegni, sono una pratica scuola,
alla quale noi pure apprender possiamo 1'
arre di ben imitarli ne' nostri componimenti.
Non è quesr arte .senza le sue grandi dif-
ficoltà, ma q ìesre sgomentar non ci debbo-
no, nò desister dobbiamo dallo scrivere per
T esito infjlice delle prime nostre produzio-
ni . Al buono , al granJe , al perfetto non
si £Ìunjre che a poco a poco, e per gradi,
e dopo molti tentativi (a). Soffriamo adun-
que in pace le nostre medesime imperfezio-
ni; non c'incresca la fatica, ci animi la si-
cura speranza , che il continuo , e diligente
esercizio correggerà i nostri difetti, c racco-
glier ci farà delle nostre fatiche , e del no-
stro studio frutti sempre più abbondanti e
migliori. Bisogna scrivere con somma dili-
genza, bisogna scrivere moltissimo; io vi
parlerò con i medesimi sentimenti di Quin-
tiliano per. non defraudarvi dell' ottime re-
gole intorno all' esercizio del comporre da
— =! — -~ ^ ~ ' ' " in*
\a) N'bìl f erutti ìpsa natura voluit subito w#-
gtìunt affici, prtìcposuirqnc pttlcherrìmo cuiqne operi
difficili taf em , (fune nascondi quoque b me fecerit A*-
gem , ut may.ra anim it i diutias visceribus pareti-
tur» contiuercntur . Quintdian.
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42 T
esso con la maggiore accuratezza prescritte.
Sia pure sul principio quanto si vuole tar-» i
do lo stile, purché non manchi di diligen-
za (<i) . Non ci compiacciamo troppo delle
prime idee, e delle prrne espressioni, che
ci si pre.^ent.no. Facciamone giudiziosamen-
te là scelta, e adottiamo le migliori. A.
quest'effetto esaminiamo la forza delle pa-
role, studiamo la maniera di collocarle al
*uo luogo, nè sia l'ultimo oggetto di no-
stra attenzione, e premura la varia, ed ar«-
moniosa tessitura, e cadenza de periodi*
unita alla chiarezza, e ad una semplice, e
naturale disposizione. Rispetto poi all'idee,
ò alle cose, che sono il pnncipal fonda-
mento del discorso, alcuni vi hanno, che
senza esaminare, se proprie sono della ma-
teria che trattano, e al suo luogo disposte,
prendono subito in mano la penna, e la-
sciando libero il corso alla riscaldata fanta-
sìa , scrivono, come si direbbe, ad un fiato,
ed ex terpure tuttociò, che loro s'offre al-
la mente, quel confuso ammasso di cose
formando , che chiamano selva . Riprendo-
no, è vero, ciò che hanno scritto, e ritor-
nando su i loro medesimi passi si studiano
di dargli una forma migliore. Ma per la
più la correzione si ristringe alle parole,
ed al suono, e le cose intanto senza giudi-
rio, ed a caso ammassare rimangono, qua-
li erano prima, disordinate , frivole ,. ed ; im-
per-
— " - *
iaj &t priiho vtl tardus , dum diligens st)lus.
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fette (a). Meglio adunque sarà prima >
che a scrivere incominciamo, esaminare pro-
fondamente T argomento , concepirne il piag-
no, e il disegno, dividerlo, se bisogna, nel-
le sue parti, immaginare, e ritrovare al-
meno le cose principali, che sul principio *
nel mezzo, e sul fine diremo, cosicché nel-
lo scrivere non vi sia bisogno di comporre
interamente 1' opera , ma sol d' adornarla (b) .
Tutte queste, ed altre diligenze dovendosi
soel comporre da noi adoperare , maravigliar
non ci dobbiamo, se sul principio special-
mente saremo nello scrivere alquanto tar-
di. Rammentar ci dobbiamo, che il nostro
principale scopo, ed impegno * quello e^ser
dee di scriver bene. Lo scrive^ presto non
fa sì> che bene si scriva; itia con lo seri*
ver bene s'acquista nello scrivete prontez-
za, e facilità (c). La facilità, e la prontez-
za sarà conseguenza dell' esercizio , e dell'
uso (d). A poco a poco ci si presenteranno
più facilmente le idee* più pronte ci ver-
ranno T espressioni, più facile ci si renderà
il dare a 1 1* u ne> aU* altre quella connes-
sione, e qud£!§MM^ ^ello
del-
Verha èiktudantur , et numeri ; manct in re
hus temere congesti s quac fuit levitas .
.{li) ProtinuS ergo adbibere curam rectii/s erit ,
ut^ue ab initio sic opus ducere , ut ctretandum , non
ex integro fabricdndum sit .
(c) Cito scribendo non jìt , ut bene Scribatnrì he"
rie scribendo fit , ut cito .
(</) Qeleritatcm dabit consactudo .
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della composizione. Intanto a fronte di tut-
te le difficol à si geriva. La diligenza, che
nello scrivete adopreremo , le renderà sem-
pre minori, e finalmente a pieno ne trion-
ferà . Guardiamoci però dal crearci da noi
medesimi questa difficoltà. Io non saprei de-
cidere, dice Quintiliano, se manchino più,
ò sieno più degni di riprensione coloro, ai
quali rutte piacciono le proprie cose, ò quel-
li, ai quali nulla piace di ciò, che scrivo-
no, di nulla son contenti, tutto voglion
mutare, tutto esprimere in diversa maniera
da quella , onde la prima volta sonosi espres*
si; si sdegnano con se medesimi, si consu-
mano con la fatica, e per l'eccessiva bra-
ma di dir bene si riducono a non dir nul-
la, simili perciò ad un certo Giulio, il qua-
le, come Quintiliano stesso racconta, si di-
sperava, perche in tre giorni, non a vea po-
tuto trovare un bell'esordio al suo discorso ,
e fu con ragione ripreso da Floro con quel-
le parole: » Quid tu melius dicere vis 9 quam.
potes , 5 ? Nostra premura esser dee di dir
meglio, che sia possibile, ma pure bisogna
dire, come possiamo (a).
A tutte queste giudiziosissime, e ben
fondate regole , ha tutta la ragione di uni-
re il medesimo Retore , per un tratto della
consueta sua , e singolare accuratezza in
tutte le cose, alcuni altri avvertimenti i l'uso
de'
— — ^ — *
(a) Curati invi est , ut quam §ptime dicawus*, ...
dietndum ramai prò facilitate *
4*4
de' quali è molto utile, ed opportuno ri eif
atto che si compone. Ed in primo luogo non
Senza motivo condanna il costume di colò-
fo, i quali dettano, e si servono dell opera
altrui per scriver ciò, che compongono. Di
qual distrazione infatti * di qual disturbo,
ed ostacolo ali attenzióne, ed alla liberta
dello spirito riuscir non dee ó la lentezza
di chi scrive, ò il rossore di chi compone
di comparir neL dettar troppo tardo ; ò il
timore di divenir troppo molesto col farsi
p ù vol-e leggere le cose già scritte, col tor-
, nare più e pifi volte a mutarle, ed a cor-
reggerle, di rendersi tal olta anche ridicolo
per certi arti, che nel calore detta fanta-
sìa inavvedutamente si fanno? Osserva an-
cora, che questo costume ci toglie da quel
ritiro, da quella solitudine ì da quella quie-
te e liberta, che è troppo necessaria per
chi compone (.1). E siccome a nulla giove-
rebbe la quiete, e la solitudine esterna,
quando fosse agitato lo spirito; così si ren-
de principalmente necessaria la tranquillità
di questo , cosicché riori vi sia alcuno estra-
neo pensiero r : 00^^0^f<^e £ affligga,
che lo ài8^0^Sm^^ér& ' di Quintiliano
espressa ttV$$*èjj?^te mente Ovidio la neces-
sità di ^vf&tk quiete sì esterna, che inter-
na in quel verso: Car^
*=J^==Z=Z = r'-Z=zr~*
(a) Deniqui' ti{ scm l quod est potentissimtim di"
enm , sccrctum , qund dictando perii , ne libertini
trhhrn hettm , et quam altitsimttm si lenti wh seri*
ivntibus maxime convenire verno dubitaverit <
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9, Carmina secessum scribehtis , et oti a qua frìttiti
Finalmente per non tralasciare alcuna d'i
quelle co.se, che esser possono di vantaggio
ai giovani studiosi, all' istruzione de' quali
tutta è direna l'opera di Quintiliano, gli
avverte il medesimo a lasciare nelle carte,
ove scrivono, qualche spazio nel margine
per le correzioni, e per 1 aggiunte t che con-
venisse di fare, e d'avere ancora a parte
un fogl.o per notarci subito quelle idee *
che nel comporre vengono in mente , ma
che allora non sono opportune, per poter-
ne a suo luogo far u»o .
Ma di tutte le regole, che intorno ali*
esercizio del comporre prescrive, non sono
certamente le meno importanti quelle, che
riguardano l'emendazione di ciò, che si è
scritto. Bisogna però confessarci esser que-
ste le Dreno dai giovani attese, ed osserva-
te. 0' sia l'amor proprio, che loro nascon-
de i difetti 4 e le imperfezioni de' suoi scrit-
ti, ò sia l' intolleranza della fatica , si sfug-
go e .si ricusa d' emendarli con tutta la di-
ligenza. Eppure dalia diligente emendazio-
ne deriva iri gran parte non solo il profittò
particolare di chi scrive, ma il felice pro-
gresso ancora delle lettere; ed Orazio- non
ha difficolta d'asserire, che i Romani cedu-
to non avrebbero ai Greci nella gloria del*
le lettere, coinè non la cedevano loro lift
quella dell'anni, se i lo;ò poeti sdegnate?
non avessero la fatica di limare, e correg>
gore i proprj componimenti.:-
4*6
m Isiec virtute foret , clarisve potcntius armis
Quatti lingua Iatium, si non offènderet unum*
Quemque poelarum limae labor, et mora;
ed ha tutta la ragione d' avvertire i Pisoni
a non giudicar degno della loro approvazio-
ne quel componimento, il quale non sia
«tato più e più volte con tutto il rigore
emendato, e ridotto all'ultima perfezione:
» 0 vos,
Pompilius sanguisycarmen reprehenditc,quod non
Multa dies, et multa litura cocrcuit , atque
Praesectum decies non castigavit ad unguetn .
Consiste poi l' emendazione nelT aggiungere
nel togliere, nel mutare Non è , dice Quin-
tiliano, molto difficile la prima, e la secon*
da di queste tre cose . Più difficile assai è
la terza , la quale consiste nel moderare la
troppa gonfiezza, nei ravvivare e sollevare
le cose troppo languide, e basse, nel tron-
care le ridondanti, ordinar le scomposte, le*
gar le sconnesse, frenar le troppo libere;
questa anzi seco porta una doppia difficoltà,
mentre si tratta e di condannar ciò , che a
noi prima piaceva , e di ritrovare quello,
che ci era dalla mente sfuggito. A fine poi
di premunirsi contro l'inganno, che produr
sogliono naturalmente i proprj parti di fre-
sco nati, e per metterci in istato di giudi-
carne più rettamente, e senza passione, sa-
rà molto a proposito il riporre per qualche
tempo ì propri scritti, per riprenderne quin-
di con mente libera, e disappassionata l'esa-
me il più diligente, e scrupoloso. Sebbene-
fi-
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non ci dobbiamo totalmente del no*
stro giudizio, ma di buon animo sottoporre-
mo i nostri scritti al giudizio , ed alla cen-
sura di qualche onesta, e saggia persona,
la quale, come dice Orazio:
„ Versus rcprchendct incrtcs ,
Culpabit duros , incomptis ali ine t atrum
Transverso calamo signum, ambuiosa recidet
Ornamenta , paruni claris lucem dare coget ,
Arguet ambigue dictum, mutando, notabit,
Fiet Aristar chus ;
ed a questo giudizio sottometter ci dob-
biamo con tutta la docilità, persuasi, che
gli altri conoscono meglio di noi i nostri
difetti . Questo è ciò che Orazio medesimo
raccomandava a' Pisoni:
« Si quid tamen olim
Scripseris in Metti desccndat judicis aures ,
Et patris,ct nostras,nonumquc prematur in annum\
Membranis intus positis ,
CAPITOLO Vt
Lei buon Gusto.
ì
m-j a scelta, la lettura, 1 imitazione prati-*
ca de' buoni Scrittori non solo produrrà in
noi il prezioso frutto d* un buono stile nello
scrivere, e liei comporre, ma molto ancora
à noi gioverà per formarci a quello, che
comunemente si chiama buon gusto, e che
non
428
non bisogna col buono stile confondere,po<i
tendo almeno una parte dics.so, quella par-
te cioè che consiste nel conoscere il buono,
ed il bello dell* opere altrui, ritrovaci an-
che in persone altronde saggie, ed intelli-
genti , ma che tentato , ed esercitato non
hanro nel comporre il proprio srile . Di ciò
re.-tercte molto r ù ^ersna*: , quando avrete
compreso » quai' è .a \ era idea, che formar
ci debbiamo del Inori grsro. Se all' elo-
quenza, alia pre-ìa , ed a tutte le beile ar-
ti il b *on g 'sro si riferisca ella è questa,
come sa^giamenre avveri e il Muratori, un'
espressione ai, arto me»afor >a, mentre nel
suo proprio significato aìtro non impiega,
che la iacoltà, ò la naturale disposizione a
distinguere, e sentire il buono ò cattivo
gaoore ne' cibi, e nelle bevande. Questa
idea però ci conduce mirabilmente ad in-
tendere, che cosa sia il buon gusto rela-
tivamente alle produzioni dell' ingegno, e
dell' arte. In. quella guisa adunque, che
colui dicesi esser d' un gusto delicato, e
squisito, che nei cibi, e nelle bevande di-
stingue perfettamente-^ faggEtìi sapori; cosi
dir si potrà il buon giste» ritrovarsi in co-
loro, che nel|s- produzioni specialmente del-
lo spirito- um$io sanno discernere il buono
dal cattivo £if bello dal deforme, e retta-
mente ire- giudkano-. Il buono, ed il bello
infatti è la sorgente , e la materia del buon
Susto, poiché il buono, ed il bello in noi,
lo risveglia,, intorno al buono, ed al bello
si
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si rasura. E come il gusto nei sanori vien
prodotto da quella impressione, onde i cibi
e le bevande scuotono diversamente i nervi,
de' quali ha tessuto mirabilmente la natu-
ra la lingua, ed il palaro; co4 il bion gu-
sto nel!' opere dell* ingegno nas e da juella
varia impressione, che eccita nell' animo
riostro la cognizione del buono» e del bel-
lo, che in quelle si trova. E* questa una ne-
cessaria conseguenza dell* inclina/ o ii , che
la natura medesima ha in noi inserite - Ta-
le infatti è la nostra naturale costituzione»
che non possiamo non amare il bello, ed il
buono, e non sentirci verso di esso gagliar-
damente rapiti, cualunque volta al nostro
spirito con assai chiara luce si rappresenti;
non possiamo non aborrire, e disapprovar
quelle cose, nelle quali questa bellezza , e
questa bontà non si scorge. Non piò me-
glio definirsi il gusto, che la facoltà di ri-
cever piacere dalle bellezze della natura,
e dell' arre. Questa ficoltà è comune a
tutti quanti gli uomini. Ella si manifesta
negli stessi fanciulli, nelle persone idiote,
ne' popoli incolti , e selvaggi per quel prin-
cipio di, discernimento, che tutti hanno del
buono, e del bello . Ma in tutti non si trova nel
medesima grado . Ne hanno alcuni un picco!
barlume, e non son tocchi, che dalle più.
sensibili, e grossolane bellezze In altri ne
è così vìva, e sottile la percezione, che
giunge alle bellezze più fine. Infiniti sono
i gradi di mezzo tra V uno, e 1' altro di
que-
43°
questi due estrèmi. La cognizione adunque
del buono , e del bello , come pure la man-
canza di esso , e la cognizione del contrario
produr dee in tutti un sentimento. Secon-
do questo sentimento lo spirito ne giudica ,
ed in questo giudizio se è retto, vale a di-
re se lo spirito vede, e sente il buono ed il
bello, dov' è, se ve£e, e sente, dove non
è , consiste appunto quello , che si chiama
buon gusto. Secondo questi principi biso-
gnerà adunque il vero gusto dal falso di-
stinguere. Il vero gusto consiste nel ravvi-
sare il bello, ed il buono, il cattivo e il
deforme, dove realmente si trova; gustd
falso si dira ali* opposto quello, che vede-
il bello, ed il buono, il tristo, e il deforme,
dove non è. Non v' ha dubbio, che questo
falso gusto deriva dal non saper conoscere
il buono, ed il bello, ò dipenda ciò da
ignoranza, ò da un animo non suscettibile
dell' impressioni del buono, e del bello, ò:
da una- seduzione cagionata da qualche ap-
parett«**di bontà, e di bellezza, ò final-
mente da qualche prevenzione, e passione,
che e' impedisca di ravvisare il buono, ò
il cattivo, che nell' altrui opere si trova.
Nè meno necessaria per bsiie intendere,
che cosa sia. il buon gusto , è la distinzio-
ne , che il mentovato Muratori ne fa in
universale, e particolare. Il buon gusto
universale non si distingue dalla generale
idea dei buono, e del bello, qualunque sia
l'oggetto, che in noi la risveglia, e la ri-*
*ve-
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sveglia, qualunque volta si vede in esso be-
ne imitata la natura, essendo che il buono
ed il bello dell* arri nell' eccellenti imita-
zioni della natura stessa è riposto. E sic-
come il buono, ed il bello naturale è un
solo, un solo è parimente questo buon gu-
sto universale. Ma benché unico, ha però
tanta estensione, quanta ne ha V idea ge-
nerale del buono, e del bello , ed ab-
braccia tu ti i gusti particolari , i quali
perciò a lui come a principio, e a regola
universale debbono essere subordinati . Que-
sti gusti particolari poi tanti esser possono,
quante sono le menti degli uomini. Se im-
prendessimo a fare un attento , e profondo
esame sù tutti quanti gli scrittori, a fronte
di quella somiglianza, che V imitazione
avesse indotta fra loro, ci avverrebbe di
discoprire un gusto particolare, che gli uni
dagli altri distingue. Ritroveremmo Virgilio
diverso in molte cose da Omero, da Esiodo
da Teocrito; Cicerone da Demostene, Ora*
zio da Pindaro, e da Anacreonte, T. Livio
da Cesare, da Cino il Petrarca, dal Petrarca
il Costanzo, e gli altri di lui imitatori.
Questa diversità di gusto non meno si scor-
ge in coloro, che dell' opere altrui diver-
samente la pensano. Taluno vi sarà per
esempio così trasportato per Omero, per
Virgilio, e per Orazio, che soffrir non po-
trà, ò almeno valuterà poco la lettura d'
Ovidio. Altri all' opposto allettato dalla fa-
cilità, e fecondità di questo Poeta non si
com-
*3S
compiacerà che del suo stile. Uno innamo*
rato del Dante, ò del Petrarca non avrà
gusto, che per questi poeti * e per coloro,
che li seppero con qualche felicità imitare.
Gli appassionati per i' Ariosto muna, ò po-
ca .stima faranno del Tas>o. In una parola
quanti sono gli Scrittori, altrettanti sono
quasi gli stili, ed i gusti, ripeterò con Ci-
cerone: 9) ( uot or.ttores, tpt idem, pene repe-
riuntur genera dicen.d. » Quanti sono gi in-
gegni umani, altretrante sono quasi 1* idee
e le opinioni intorno all' onere a^li altri
composte: Miad allis videtur optimum ( dice
il medesimo Cicerone nel Libro dell' Ora-
tore a Brut') ) Ennio detector , ah quispiam ;
Pacuvio, inqiiit alias * Ma d' onde nasce que-
sta sì grande diversità? Una ragione io ne
georgo primieramente nella natura me lesi-
ma, della quale sebbene unico sia univer-
salmente il buono, ed il bello. pure diver-
si sono gli oggetti, nei quali questo b iono,
e questo beilo diversamente si mostra; di-
verse sono per conseguenza le v : e, per le
quali si giunge al buono, ed al bello uni-
versale. Una seconda ragiono ci si mani-
festa nella diversità non solo degli organi ò
de' sensi, ma dell' ingegno ancora degli
uomini. Non tutti vedono nella stessa gui-
sa, e con la stessa estensione il buono, ed
\\ bello, ne in tutti fa il buono, ed il bel-
\o la stessa impressione . Qua! maraviglia
adunque i se secondando ciascuno la sjana-»
turale disposinone, alcuni amano piuttosto
a
433
\\ maestoso, ed il sublime, altri il semplice,
e il temperato, questi il leggiadro, ed il
piacevole, quegli il serio, ed il grave, po-
tendosi anche a questo proposito ripetere
quel verso d' Orazio :
n Denique non omnes eadem mirantur, amantqne- 9
e parlando specialmente di produzioni let-
terarie non può essere questa diversità an-
che un effetto di queir abito, che ciascuno
a poco a poco si forma, applicandosi alla,
lettura, ed allo studio piuttosto d' uno che
d' un altro Scrittore ? Chi studia , e legge più
Virgilio, che Orazio si formerà un gusto
più conforme, allo stile dei primo, che del
secondo. Chi legge, e studia più il Petrar-
ca , che Dante , un gusto maggiore acqui-
sterà per lo stile del primo, che del secon-
do, e questo gusto dimostrerà poi sì nel
comporre , che nel giudicare dell' opere al-
trui . E chi può dubitare, che da questo amo-
re di preferenza, ò da questa passione più
per alcuni, che per altri Scrittori sia deri-
vato in gran parte il buono, ò cattivo gu-
sto , che si è veduto in diversi secoli domi-
nare nelT arte oratoria non meno, che nel-
la poesia? Ha regnato, ò è risorto il buon
gusto , quando si è tenuto dietro ai buoni
scrittori, ed in questi si è impiegato lo stu-
dio . Al buon gusto è succeduto sempre il
cattivo, quando abbandonati i migliori esem-
plari si son lasciati gli uomini sedurre da
una perniciosa novità , e trasportare alla
lettura, ed all' imitazione di quelli Hcritto-
F f rj
434 ...
fi » che per rendersi singolari tentarono una
via diversa da quella calcata dai buoni, ed
alle vere bellezze dell* Eloquenza, e della
Poesìa sostituirono un bello falso, ed appa-
rente. Rammentatevi ciò, che di Seneca, e
del Cavalier Marino , e di tutti i loro ap-
passionati ammiratori , e seguaci vi ho già
nella Poetica accennato. Basti averlo qui
notato sol di passaggio. Passiamo piuttosto
a fare col citato Muratori un' altra distin-
zione del buon gusto. Avvi secondo esso un
buon gusto sterile, ed un buongusto fecon-
do (a) . Consiste il primo nel conoscere , e
nel
#=±=i- . — :
(a) Non la pensa diversamente dal Muratori il
Sig. Blair, quando distingue col nome di Critica
quello, che il Murarorì chiama gusto sterile , col
nome di Genio quello, che il Muratori dice gu-
sto fecondo. La eritrea applica il buon gusto, e
il buon senso alle belle arti col distinguere in ogni
opera ciò che vi ha di bello, ò di difettoso) e col*
giudicarne rettamente; piantando sull' osservazioni
fatte sopra V opere degli scrittori alcuni principi,
ed alcune regole , le quali giovano non poco per
ben decidere del merito, òdel demerito delle me-
desime. In questa cognizione, e in questo giudi-
zio consiste appunto il gusto chiamato sterile dal
Muratori. Se la critica giudica , il Genio eseguisce .
Il Genio è quella disposizione, che riceviamo dalli
natura , e a riuscire eccellenti in qualche cosa .
Questa c l'idea, che ci dà il Muratori del gusto
fecondo. Con qualunque nome distinguasi il gusto,
benché nel suo principio si riduca ad una sensibi-
lità naturale, saggiamente insegna l'Inglese scrit-
tore, che può esser perfezionato dalla iasione,
dal-
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43S
ne! gustare le bellezze, che sono sparse neli*
opere altrui; il secondo nell' arricchire del
buono, e del bello le nostre medesime pro-
duzioni , in quella guisa appunto, che può
un dipintore dimostrare il buon gusto ò coi
fare egli stesso eccellenti pitture, ò col giu-
dicare rettamente di quelle, che sono d'altri
pittori invenzione, e lavoro. Merita lode
chi sa distinguere il bello ne^ii scritti de-
gli altri; ma di maggior lode degno è co-
lui, che con buon gusto scrive, e compone,
non
#
dallo studio attento de' buoni modelli, dalT eserci-
zio . ,, Le prime volte, egli dice, che uno pren-
i) de ad esaminare , e conoscere le opere de' mi-
gliori scrittori, il scncimenro , che prò va , è oscu-
,, ro , e confuso. Non sà indicare i varj pregi dell'
il opera , che và scorrendo y non sà » dove fermare
il suo giudizio. Tutto quello che può da lui
,, aspettarsi è, che dica, se gli piace, ò nò. Ma
», lasciamogli prendere esperienza nell'opere di
i» questo genere , e vedremo il suo gusto divenire
», più esatto, e più sagace. Comincerà a rilevare
i» non solamente il carattere del totale , ma i pre-
i» gj , e i difetti di ciascuna parte , e saprà indi-
fi care, e descrivere le particolari qualità, eh' ci
ii biasima , ò loda . Si dissipa allora la nebbia , che
ti pareagli coprire l'oggetto, e giunge finalmente
ii a pronunziar fermamente, e senza esitazione il
,» suo giudizio. Tal' è il miglioramento, che il gu-
«» sto anche considerato, come mera sensibilità,
9i trae, dall' esercizio ,, . Gli stessi progressi fari
Per via dell'esercizio, chi tenta» di che cosa sia
capace il suo genio, come abbiamo osservato nel
capitolo antecedente. Rozze , e meschine saranno
sul principio le sue produzioni , ma ir. seguito con
U facilità crescerà il raifinamenro , e la deiit'uC-.Zia ,
non solo, perchè una tale impresa k accon\*-
pagnata da maggior faticale difficolta, mg,
perchè chi è capace di scriver bene, atto è
ancora a gustare il buono, e il , bello degli
altrui componimenti, e perciò riunisce in
se T uno,, e V altro buon gusto , lo sterile
ed il fecondo . Non è per altro piccol pre-
gio del primo T aprirci , e facilitarci la stra-
da al secondo. Bisogna infatti incdnnnciare
dall' assaporare il bello, ed il buono negli
altrui scritti, prima di tentare di che cosa
è capace il nostro ingegno. Un gran passo,
dir potrà d' aver fatto nell' arte di scrive-
re, chi per mezzo d' uno studio profondo,
ed attento, degli ecceduti Scrittori , : è. arri r .
vato a discoprirne, e gustarne le vere bel-
lezze, e a saperne formare un retto, giudi-
zio. Un ingegno infatti, che ha succhiato
il buon gusto nell'opere altrui, porrà facil-
mente spargerlo negli 6tessi suoi scritti.
Ma che cosa è mai quel bello, e quel
buono, intorno a cui, fco;ne si è detto, si
raggira il buon gusto? Trattandosi qui del
buon gusto per rispetto: «oj tanto alle pro-
duzioni dell' ingegnO£,^t£.ptfò avervi luogo,
che una bontà , ei ^Std bellezza conforme
alia natuf.aj^elló spfirito umano. Ora non
vi è, $h^4I vero , ed il bene, di cui lo
spirito iipstro. si appaghi, oggetto il primo
'dell'intelletto, il secondo della volontà. La
cognizione del vero, e il godimento della
felicità sono quel bello, e qtiel buono, di
cui soavemente si pasc$ l'anima nostra,
- — _ quan-
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qualità *.u.* rfia ne suoi pensieri , e ne' suoi
voleri guasta, e viziosa. Queiti appunto so-
no gli oggetti principali dell'Eloquenza, e
della Poesìa. Dee 1' Oratore mostrare il ve-
ro per persuaderlo, il vero, ò verisimile ha.
per oggetto il Poeta per dipingerlo, e per
rappresentarlo; l'uno, e l'altro esser dee
maestro di virtù, e di buoni costumi, e co-
ti additare la via , che al vero bene condu-
ce . Ma perchè la verità, e la virtù diletti,
non basta , che in qualunque modo al no-
stro spirito venga rappresentata. Bisogna ve-
stirla d' un lume , e d'un sembiante , che ca-
gioni dentro di noi un dolcissimo piacere»
un gratissimo movimento. Ecco il lavoro
particolare dell' Eloquenza , e molto più del-
la Poesìa. Brevità, chiarezza, energìa, no-
vità, grandezza, ordine, eleganza, armo-
nìa, ed altri simili ornamenti, ecco ciò , che
dà al vero, ed al buòno quell'aspetto lumi-
noso, che diletta, che rapisce, che incanta.
Chi sa così rappresentar ne' suoi scritti il
vero, ed il buono , chi lo sà scorgere $ e
gustare così rappresentato negli altri, può
con ragione gloriarsi di possedere il buon
gustò .
FINE
• *
DELLA TERZA PARTE;
PAR'
«8 ,
PARTE IV. É V.
CAPITOLO UiNICO ED ULTIMO.
/
Della Memoria, e della ProtvXhziazione .
I~ ccovi condotti al termine di questo miò
qualunque siasi trattato , in cui studiato mi
sono non già di rintracciar nuove regole in-
torno alla difficilissima , e nel tempo stesso
amena, e piacevole arte del parlare elegan-
te, ed ornato, ma quelle nel miglior mo-
do, e con la maggior chiarezza, che mi è
stato possibile, esporvi, che da' più eccel-
lenti Maestri di quest'arte .furono già sa-
viamente prescritte, ed insegnate. Altro orà
a far non mi resta, che poche cose aggiun-
gere intorno all'ultime due parti dell'arte
Oratoria nella general divisione fin dal prin-
cipio accennate , che sono la Memoria , é
la Pronunziazione , parti, che suppongono 1'
Oratore bene istruito, e formato, ed altro
non hanno per oggetto, che di renderlo in
stato di produrre nella miglior maniera
quanto ha già con studio , e con arté'idea-
to, e composto. Quando adunque osservan-
do tutti i precetti , che e per ritrovar la ma-
teria, e per ben disporla, e per esprimerla
con una scelta, elegante, ed ornata elocu-
zione si danno ; giunto sarà al termine del-
la
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439
la sua Composizione, altro fare egli noti
dee , che imprimerla bene nella sua memo-
ria, e quindi recitarla alla presenza degli
ascoltatori. Molte sono ie regole, che per
bene riuscirvi si debbono osservare. Io non
farò , che accennarvi sol di passaggio le prin-
cipali f rimettendovi piuttosto a Cicerone ro
a Quintiliano, presso de' quali ampiamente,
e minutamente esposte le ritroverete ;
E riguardo alla Memoria lascio ai Fi-
losoli r esaminare, d' onde abbia in noi ori-
gine, e come si formi, e si eserciti questa
facoltà, che pure in noi tutto giorno speri-
mentiamo, di conservare, ò per dir meglio,
di richiamare alla mente queir idee, che
anche da lungo tempo si sono acquistate , e
che sembravano ornai del tutto cancellate
dall' animo nostro. Quintiliano stesso dopo
d'avere accennata la ridicola, e falsa opi-
nione degli antichi Filosofi, 1 quali diceva-
no , altro non esser l' idee , che certi segni ,
e certe orme , ò figure nel cervello come
sulla cera impresse, cosicché per ricordarsi
delle cose altro non fa lo spirito, che rian-
dare, ed osservare queste figure, che sem-
pre indelebili nel cervello sussistono , si ri-
stringe ad ammirar piuttosto, che a spiega-
re questa facoltà, che non meno dell'al-
tre, di cui è la mente nostra dotata, è in-
vero degna d'ammirazione. Non poco in-
fluisce nella memoria l'ottima struttura dei
bensì, l'irritabilità del cervello, e soprattut-
to la buona asscciazione ; e il buon ordine
dell'
.44®
dell' idee , per cui risvegliatasi nella menté
un' idea percorre ella con facilita, e pron-
tezza tutta la catena , e la serie dell' altre
idee, che hanno con quella qualche rela-
zione, e che insieme con essa s'acquistaro-
no . Ma benché dalla natura riconosca la.
sua origine una tal facoltà, può non ostan-
te ricevere un gran soccorso dall'arte. Con-
siste quest'arte, al dire dello stesso Quinti*
liano, neir esercizio. Bisogna imparare à
mente molte cose , e fino dalL gioventù a
questa fatica assuefarsi. E' questa una po-
tenza, che si accrésce, e si rende più pron-
ta, ed attiva col coltivarla. E venendo lo
stesso Quintiliano a parlarne riguardo all'
Oratore dice, che quando la memoria lo as-
sista, quando ne abbia il tempo dee tal pos-
sesso acquistare di ciò, che ha compostò,
che neppure una sillaba gli sfugga. Ma per-
chè mai in ve e di darsi la pena d' impa-
rare a memoria le nostre composizioni > non
leggonsi piuttosto, quali le abbiamo già scrit-
te ? Io rispondo con Quintiliano, che oltre
la fama, ed il credito di pronto, e vivace
ingegno , ché là buona memoria concilia al-
la persona dell'Oratore, non poco giova al-
la causa stessa, mentre sembrando, ché 1,
Oratore non venga già preparato, ina nelf
atto stesso mediti, e dica quello, che dice»
non solo a maraviglia * ma ad una mag-
giore attenzione, e persuasione dispone, è
tnuove l'animo degli uditori (a). Ma sò-
JMt"
j =^=z==z*
{*) Memoria autem facit etiam prompù ingenti
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prattutto necessaria ali Oratore è la buona
pronunziazione, ò sia V arte di produrre, e
di recitare con grazia , e con espressione lè
proprie composizioni. Di ciò fcht talmente
persuaso il più gràhde Oratore della Grecià
Demostene, che interrogato y qttal còsa prin-
cipalmente considerare, e più d'dgit altra
valutar si dovéssé heir Eloquenza , non *b*
be difficoltà di dare alla pronunzia* ione il
primo y il secondo, ed il terzo luogo, quasi
che a suó giudizio Fosse questa non solo la.
più importante , ma in qualche senso V uni-
ca prerogativa d'un Oratore. Intatti qua!
composizione vi ha benché mediocre , e di-
fettosa, cui la buona maniera di recitarla
capace non sia di far comparir tale , che
riscuota gli applàusi degli^éio0^ati ? Date-
mi all'opposto una compo*izio&à T ^fo*cui
regni l'eleganza* l ordine, il buon gusto,
sia in una parola in tutte le sue parti per-
fetta y non awien forse sovente y che perda
se non affatto, almeno in gran parte pres-
so di chi l'ascolta il suo pregio, e la sua
bellezza per la cattiva rrianiera'di recitarla?
Non sarà duncjue ne inutile, ne inopportu-
no, che in parlando d'una cosà sì necessa-
ria, ed importante alcun poco ci tratten*
ghiamo. A due cose riducesi la Pronunzia-
mone * alia voce ed al gesto * ò vogliattt
di-
famarn , ut Ma quae dirimili , non domo attilline t
Sed ibi proti nus suwpsisse videa wur , quod et Ora»
Uri , et ipsi causa* piurimum conj.rt »
/
442
dire al linguaggio di voce, e a quello d'
azione, due linguaggi, per mezzo de' quali
gli uomini si comunicano scambievolmente
i proprj pensieri, e per cui si manifestano,
e si trasfondono nel cuore degli altri que-
gli affetti medesimi, da cui noi siamo agi-
iati, e commossi. La voce esser dee pri-
. mieramente chiara, e distinta; bisogna arti-
colar bene tutte le sillabe, e battere spe-
cialmente quelle, in cui termina la parola,
e il periodo . Ma più bisogna calcare , e pro-
nunziare con forza, e con enfasi alcune pa-
role, le quali siccome sono le più rimar-
chevoli > ed hanno una maggior forza dell*
altre nel periodo , ò nella sentenza , così
con la stessa maniera di pronunziarle dob-
biamo fissare sopra di esse l'attenzione de-
gli uditori. Non può esser più bello T esem-
pio scelto da Blair per schiarimento d'una
regola tanto importante: # Tu tradisci con
n un bacio il Figliuol dell'uomo? Facendo
95 forza sul tu si mostra, dice egli, l'ingra-
55 tinnirne di Giuda per la relazione che
55 avea col suo Divino maestro ; facendola
55 sul tradisci risalta 1' enormità del delitto
55 del tradimento; facendola sulle parole
55 con un bacio si rileva l' indegnità del mez-
,5 zo adoperato, rivolgendo ad offesa un se-
^5 gno d'amicizia, e di benevolenza; facen-
„ dola sul Figliuol dclC uomo 8 indica la
„ gravita dell'oltraggio per la dignità dcl-
53 la persona oltraggiata 55. Nè sono mena
ne-
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necessarie nel recitare le pause (a) , ed i re-
spiri, per cui vengono a staccarsi, e distin-
guersi gli uni dagli altri i membri, i perio-
di, e i sentimenti, cheli compong<J^!llè^>E , dun-
que un gran difetto il recitare coilfcjtroppa
velocità i cosicché vengano a., mangiarsi , ò
sopprimersi molte sillabe, e si fatti arto per-
dere all' orecchie degli uditori molte parole^
e molti sentimenti. In uri difetto a questd
con-
* — ■ ' • — -
(ti) Oltre le pause , ò le fermate , che fa Talvol-
ta l'Oratore per rissare l'attenzione dell'udienza
su qualche cosa particolare, vi sono quelle, dice
il medesimo Blair, che servono a distinguere i sen-
si . Sono esse d'un gran giovimcnto per l'Orato-
re, il quale .prende fiato * e può senza stanchezza,
e senza confusione di sentimenti continuare ì più
funghi periodi *, giovano non meno agli uditori per
ìa chiarezza, purché sieno regolate dal senso,, e
stacchino un senso dall'altro ora con una maggio-
re , ora r con una minor sospensione di voce , ora
con più lur.gi , ora con più breve fermata ai debi-
ti luoghj . Applica il non mai abbastanza lodate*
Inglese scrittore una tal regola al modo di leggere
ò recitare i versi , ed olrre alle pause, ò fermare,
che distinguono il senso, comuni anche alla prosa,
altre sorte di pause dice esser necessarie nella re-
cita specialmente de' versi sciolti , alla fine del
versò cioè per renderne sensibile all'orecchio là
misura, e il passaggio da un Verso all'altro senza
però dare alla pausa un'aria di cadenza finale, ma
di semplice, e breve sospensione, e nel me? 7.0 del
verso, dove ricorrdno gli accenti, da 1 quali ricono-
sce il verso il suo flujdd, ed armonioso andamen-
to, avvertendo, che all'armonia, ed al suono de*
Versi non decsi mai sacrificare la chiarezaa de 5 seri*
timenti .
contrario cadon coloro, i quali sono nel re*
citare sì lenti, che pare, che vadano nume-
rando tutte le sillabe. E la troppa velocità,
e la troppa lentezza dee dunque da noi e-
gualmente evitarsi. Dee la voce essere an-
cora tacile, flessibile, ferma, dolce, e sono-
ra; ma la varietà di essa principalmente
contribuisce alla grata prónunziazione. Nien-
te vi ha di più disgustévole, e nojoso all'o-
recchie, quanto la monotonìa, e .1* unisono.
Siccome per mezzo della voce si manifesta-
no i pensieri, e gli affetti dell'animo, va-
ria esser dee secondo la diversità de' pen-
sieri» e degli affetti medesimi. I pensieri
grandi , e sublimi richiedono un tuono di
voce più alto , e più sostenuto ; un tuono
basso, e temperato i pensieri mediocri. Il
tuono di voce, che è più atto ad esprime-
re la compassione, è diverso da quello, che
richiedono gli affetti dell'odio, e dello sde-
gno. Altre sono le voci d'allegrezza, altro
quelle di dolore. Questa varietà di voce dee
anche comparire nelle diverse parti dell' ora-
zione. Placida, e moderata sia nell'esordio,
e nelle narrazioni, un poco più forte, e
gagliarda nelle prove, concitata nella con-
futazione, alta, e sonora nelle perorazioni-
Sempre però guardiamoci dalla cantilena.
Ogni difetto si eviterà da noi, se prendere-
mo per scorta la natura, e procureremo,
clie niente d'artificioso, e d'affettato com-
parisca nella modulazione della voce. Dee
darsi al discorso il tuono d'una sensibile,
ed
$d animata, conversazione Neil' istesso mo-
ciò, con cui si parlerebbe in questa di qual-
che serio, ed imporrante soggetto, decsi par-
lare al pubblico , fuggendo ogni forzata , c
studiata declamazione, la quale riesce sem-
pre al sommo noiosa a chi ascolta . E quan-
do anche il discorso alzi lo stile, e richie-
da una modulazione più grave, e più ro-
tonda di voce, dee questa aver sempre per
base i tuoni naturali d'una seria, e digni-
tosa conversazione.
Non è però la voce, come si è detto,
il solo mezzo, per cui l'Oratore manifesta,
e nelT animo degli uditori studiasi d' insi-
nuare , ed imprimere i proprii sentimenti
ed affetti . Tutto in lui parla , parla il vol-
to, e la fronte, parlano gli occhi, parlano
le mani, parla il corpo tutto con i diversi
suoi movimenti, e con un linguaggio, che
con maggiore chiarezza , ed energìa talvol-
ta, si esprime, che quello della voce. E per
ciò, che riguarda specialmente gli occhj ,
ed il volto, non vi è bisogno d' arte, ò di
studio per renderli espressivi, e parlanti.
Tali la natura stessa gli rende. Basta, che
1' animo sia veramente agitato da qualche
afletto, perchè se ne veggano tosto nel vol-
to, e negli occhi dipinti i più sensibili se-
gni. L' allegrezza rende gli occhj brillanti,
e vivaci, ridente e sereno il volto; per il
dolore comparisce questo pallido, e smorto,
quelli quasi da una nube velati, e quello,
e questi infiammati , ed accesi , quando T
ani-
44$
animo è dall' odio, dal furore, ò da altra,
simile violenta passione commosso. Col vol-
to, e con gli occhj in una parola 1* Orato-,
re minaccia, accarezza, supplica, intima, co-
manda, è mesto ed allegro , % è umile ed
altero , ed ora mostra tenerezza , amore , e
compassione, ora aversione e sdegno, é so-
vente dice più , eh' e' non direbbe col più
eloquente discorso (a). Languida sarebbe, di-
ce Quintiliano medesimo, f azione, ò sia
la pronunziazione, se ajutata, e ravvivata
non fosse dal gesto delle mani. Di quanti
movimenti non sono elleno capaci? Con
queste affermiamo, ò neghiamo, ricusiamo
ò accettiamo , si accennano le cose , si mi-
sura T altezza, la lunghezza, e la profon-
dita, si esterna l'allegrezza, la meravi-
glia, il dolore» e qualunque altro affetto.
Tutti questi movimenti però far si debbono
a tempo, debbonsi cominciare, e finire col
sentimento, debbono essere sostenuti , gravi,
e decenti, cosicché niente abbiano del co-
-jnico, e dell* effemminato , Siccome però al
giù-
(a Dominatur autem maxime vultus Hoc supplì-
(es :, hoc minaces , hoc blandi , hoc triste? , hocbila-
res , hoc erecti , hoc submissi sumtts . Hoc pendent
homineSs hufic intuentur , huuc spjcta/it etìam a ti te
guani dicimus \ hoc quosddm ama mas , hoc \odimus ,
toc plurima intelligimus , hìc est sa epe prò omni-
bus verbi* . . . Sed in ipso vulth plttrimum valent
oc uìi , per quos maxime animus emanati ut atra
moduia quoque et hilaritate etiitescant , et tristi-,
fia auoddam uubitum dticant .
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giusto regolamento di essi contribuisce più
T esercizio, e V uso, che i precetti, e dar
non si possono inoltre a giudizio di Quin-
tiliano intorno a questo proposito regole
universali, e costanti, mentre quel che ad
uno conviene, disconviene ad un altro,
quello, che in uno è grazia, è deformità
in- un altro , io mi astengo dui riferirvi
minutamente tutte le regole prescritte dai
Retori , e solo vi rammento anche riguardo
al gesto delle mani, e agli altri movimen-
ti del corpo la regola più importante, che
osservar si dee nell' azione, e che consiste
ncir imitar la natura, e nel fuggir tutto
ciò, che comparir potesse troppo artificioso,
e studiato (a). Non potrei meglio dar fine
alle mie riflessioni intorno ali azione, che
mettendovi sotto degli occhi una giudiziosa
Nota , -che il Sig. Blair aggiunge alla sua
bellissima lezione intorno a questo propo-
sito . Ecco come riunisce, ed accenna in
essa le più, importanti regole da osservarsi
riguardo al gesto: 9? Chi parla in pubblico
55 (dice egli) dee studiarsi di conservare la
55 maggior possibile dignità in tutta V at-
55 titudine del corpo . Dee sceglier general-
55 mente una positura diritta, e piantarsi
,5 fermamente , sicché abbia una franca , e
55 piena padronanza di tutti i suoi moti.
Ogni
(a) Q tiare fiorii se quisque , '.eque tantum ex
cQwwunibus piajccpns, sed tiam ex untava sua
fiat toast lium format da e acthttis.
p Ogni inclinazione-» che adoperi (leve eg-
r ser all' innanzi verso gli uditori, che è
95 T espressione naturale delist premura .
v Quanto al contegno la principal regola si
» è * che dee corrispondere alla natura del
3 discorso, e ove non f' abbia ad esprime-
„ re una particolar commozione, un conte-
, 5 gno serio, e virile è sempre il migliore.
95 Gli occh; non debbono mai esser fissi so-
„ pra d' un solo oggetto, ma placidamente
,5 girare su tutta T udienza. La parte prin-
„ cipale del gesto consiste nel movimento
w delle mani . Gli antichi condannavano
^ tutti i movimenti fatti con la sinistra;
55 ma io non veggo, che questi abbiano sem-
,5 pre ad offendere, quantunque sia na,t"ra-
„ le, che la destra abbia più frequer.temen-.
,5 te ad usarsi. I caldi affetti richieggono,
,5 che il moto d' ambe le mani unita ne .-ire
,5 si corrisponda.. Ma ò si gestisca eoa la
9 5 destra, ò con la sinistra, ò con ambed le,
9, ella è regola essenziale, che tutti i lor
,5 movimenti sien liberi, e facili. I moti
w ristretti, e legati han' poca grazia; deb-
99 bono perciò derivare dalia spalla piuttosto,
95 che dai gomito. Anche i movimenti verticali
95 dall' alto al basso, cui Shakespeare nelT
95 Hamlet chiama salutar V aria con le ma-
,5 niy di rado* sono gradevoli. I moti obbli-
,5 qui generalmente son pLÙ graziosi. Schi-
95 var si debbono parimente i moti troppp
9 9 subitanei, e rapidi. La premura si può;
99 mostrar benissimo senza di quelli. I sug-
ge-
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449
» ferimenti di Shakespeare su questo par-
» ticolare son pieni di buon senso. Fa tut-
5) to, dice egli, soavemente , ed anche nel
v torrente e nella tempesta della passione sap-
a pi usare un temperamento , che la raddol-%
a cisca*
\
IN-
Ai ° INDICE
JLtettera Dedicatoria - - Pag. UL.
Avviso al Lettore • Vili.
Lettere di due celebri Professori - xiv. e XV.
Prefazione - - L
Che cosa sia la Rettorica, quale ne sia
il fine, la materia, V ufizio, le parti il.
P RTE PRIMA.
Dell* Invenzione - * '«•. *
Capitolo Primo
o 2-
O
De* Luoghi Oratorii - - -
§. L De/'/a Definizione - - # - 3?:
IL De//' enumerazione delle parti -
§: III. Della Similitudine y e della Dissi*
militudine - - ~ " 55:
IV. De/ Genere , e cfeZ/a Specie - ^8.
§. V. Del/a Comparazione - - - 6^
§. VI. De#ti Aggiunti - j - - ófr
§. VII. De#Zz Antecedenti, e de Conseguenti
^ Vili. D' a/càrti a/tri Zzzog/u Oratorii
intrinseci - - ' Zii
§. IX. Ve Luoghi Oratorii estrinseci - 7fr
Capitolo Secondo
Dell' Argomentazione - - - ra.
§. L Della Percezione * 82»
§. II. De/ Giudizio * - 2L
§. ili. De/ Raziocinio, e della prima spe-
cie d* Argomentazione i ò del Sillogismo mz.
45Ì A
§. IV. Veti Entimema, ~ - - 108.
§. V. Del Sor ite - i io.
§. VI. Dei Lilemma - 112.
VII. De// 1 induzione %• e délV Esempio ng.
§. Vili. Ì)cW u-so <ie//' Argomentazione
presso gii Oratori - 1
Capitolo Terzo.
DeZ? Amplificazione - - 130»
Capitolo Quakto.
Deg/i ometti - - - ijS*
Are L DcZ/a natura, e divisioni degli
affetti - - - - - 141»
Art II. TeZ linguaggio degli Affetti ò
sia delle figure di Sentenze - - 149.
§. L Figura dL Interrogazione •* - 153.
§. II. Figura di Sàbjezione, ò Soggiungi-
mento - 154.
§. III. Figura di Prolepsi, ò sia d* occu-
pazione - - - - - Igg.
IV. Figura di Correzione - - 156.
§. V. Figura di Dubitazione - - 157»
§. VI. Figura di Comunicazione - 159.
§. VI r . Figura di Prosopopcja , ò di Per-
sonificazione - i6d.
§; Vili. Figura ii' Apostrofe - - 162.
§. IX. Figura d 1 Jpotiposi - - 164.
X. Figura d! Etopcja - - 166.
§. XI. Figura £ Aposiopcsi - - 168.
§. XIÌ. Figura <f Enfasi - - 169.
XIII. Figura di Sospensione - i~o.
§. XIV. JFigura di Preterizione - 17-2,
§. xv.
§. XV. JFfcara di Ticenza . - - 174;
§. XVI. figura di Concessione, e di Per-
missione - - - - 1^5*
§. X\V. figura d' Irovìà - - 1^.
§. XVIII figura d y Interruzione - 179.
§. XIX figura di Distribuzione - i8t.
§. XX. Figura di Preghiera - -
§. XXL figura d Imprecazione - 1 84.
§ XXII Figura d' tptfbnetr.a - i8,y
§. XXIII. figura <t Esclamazione - 186.
Art. ULL Degli Affetti in particolare, e
pr intieramente delV Ammirazione. - 187.
Art. IV. V Amore - - - 193-
Art. V. // Desiderio - - - 19^
Art. VI. La Speranza - - - "QQ.
Art. VII. I* Allegrezza - - 203.
Art Vili. L' Odio, e lo Sdegno - 20£
Art. IX. /Z Timore . - - 213,
Art. X. // Dolore - - - 212,
Art. XI. La Compassione • - 2^
Art. Xll. L' Emulazione - - - 2iì8.
Art. XIII. Riflessioni generali intorno agli
Affetti - - - - sai
- PARTE SECONDA
DeZZa Disposizione Oratoria - - 237.
Capitolo pr.mo
In cui si dà un idea generale della Disposi-
zione Oratoria , e delle parti delC Ora-
zione - - - 2 39»
Capitolo Secondo
DelV Esordio - ML
Ca-
453
Capitolo Terzo
bella Proposizione - S59.
Capitolo Quarto
Della Narrazione i g6g.
Capitolo Quinto
DriZa Confermazione a i £ 275.
Capitolo Sesto
DeZZa Perorazione * llfìo.
Cap tolo Settimo
/V diversi generi di cause > òi' orazioni 287.
PARTE TERZA
De//' Elocuzione * 301.
Capitolo Primo
DeZZ' Eleganza - - * * 304.
Capitolo Slcondo
JPeZZa Composizione - - - . 313.
§. L De//* Orctae - . - - - 314.
IT. DeZZd Connessione - - - 3x9.
III. De/Z' Armonia - 328.
Capitolo Terzo
Della Dignità dell' Elocuzione - 33^-
Art L /V Tropi, ò Traslati - - 3.j8.
g. L DeZZtf Metafora - 343.
Il De//a Sineddoche - 348.
§. HI. DaZZa Metonimia , ò Ipallage - 35°-
<$. IV. Della Catccresi - 352.
§. V. Della Metalepsi- - - - 354.
VI. Dell' Antonomasia - - 355.
VII. Lei'/ 1 Allegorìa - - 356,
§. VIIL Dell' Iperbole - • - - 361,
§. IX. DeZ/fl Per if rad - - - 363.
Art. IL «e//c di Parole - - 365.
§. L £>e//a Ripetizione - 366.
II. DeZ/a Conversione . - - 368.
Ut Ce//a Complessione - - 369.
^ IV. Dc//a Conduplic azione - - 370.
|y V. Delta Traduzione - - - 371.
^. VI. De/fo Sinonimia - 372.
5! VII. Della Gradazione - - 374.
Vili. Del Polisindeto - - 375.
§. IX. ' elC Apozeugma - - 376.
§; X. DefZa Dwgiimzicme - - 377.
£ XI. Detfo Zeugma - - 379.
§. XII. Della Reticenza - - - 380.
<J. XIII. Della Paronomasia - - 381.
§. XIV. De Pari-finienti - - - 382
XV. De' Pari-consonanti - - 383.
§. XVL DeW Isocolon - 384,
Capitolo Quarto
DcHo Stófe' - *' - 3 9 T-
Arr. L Dello Stile semplice, ò infimo - 388.
Art. II- Dello Stile sublime <- - 391.
Art- III- Dello Stile mediocre, ò tempe-
rato - 322:
Capitolo Quinto
DeW Imitazione - 4 0 &'
a 0 m
45 a
Regola I. - 4°8-
Regola IL - - - - 414.
Regola III. - - - - - 417.
Capitolo Sesto
Del buon Gusto - - - • - . 42^
PARTE QUARTA E QUINTA
Capitolo unico ed ult.mo
Pella Memoria, e della Pronunziazione 438.
AVVISO.
I* imettendo al benigno Lettore gli sbagli
pù piccoli, e di facile correzione, ci limi-
tiamo ad avvertirlo soltanto, che alla pa-
gina 50. in vece di subsaltare legga subsul-
tare ; alla pag. 131. osservi doversi dire mo-
tti, non motum; alla pag. 167. sostituisca
all' avverbio tunc il pronome personale uni-
to alla particella d' interrogazione urne , leg-
gendo inoltre alla pag. 251. prendere in ve-
ce prenlcre, alla pag. 252. turpe in vece di
urpe, e ovunque occorre, in vece di Aga-
mennoniae , d' Ecloga , e di Demonsthenes , A-
gamemnoniae , Esloga, Demosthenes , alla pag.
375. Ca;?io ATATX in vece di HI. dolzore in
vece di dolore, e così facendo in altri luo-
ghi, dove manca, ò è variata qualche let-
tera, come è troppo tacile ad avvenire a
fronte di tutta l'attenzione, e diligenza de'
Revisori, e degli Stampatori.
•
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7
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