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Sunday, October 26, 2025

Grice e Pecori

 Luigi Pecori 


^ 6. 



DELLE ISTITUZIONI 

ELEWmilM 

RETTORICA 



II presente libro è posto sotto la salvaguardi* 
ilella lealtà dei Tipografi c degli Editori Italiani. 



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DELLE ISTITUZIONI 



DI RETTORICA 

PROPOSTO LUIGI PECORI 



3 

f 




FIRENZE 

COI TIPI DI 11. CELLIfil E C. 



AI GIOVINETTI STUDIOSI 



Già da qualche tempo è nata tra gli uomini di 
lettere una lodevole gara di promuovere in ogni ma- 
niera di studj l'istruzion vostra, o Giovinetti , coll'age- 
volarvene la via mercè di ben ordinate opere elemen- 
tari, di dotti e succosi commenti, di accurate edizioni 
di classici ; nel che spendono con indefessa sollecitudine 
ed ottimo intendimento l'ingegno e l'opera. Ma frattanto 
nelle scuole nostre lamentasi il difetto d'un libro di 
precetti rettorie! accomodato all'età vostra ed alla pre- 
sente condizione dei tempi , e d' indole tutta italiana. 
SÌ è cercato, é vero, ora di raffazzonare la Rettorica 
dell'inglese Blair, ora d'ampliarne g d'arricchirne il 
compendio con dotte e sagacissime aggiunte, ora di 
racconciarne altre, ed altre farne di nuovo; ma tut- 
tavia tra i libri di rettorica più comunemente conosciuti 
non se ne riscontra in generale dai savj istitutori vo- 
stri alcuno abbastanza soddisfacente , sia perchè non 
interamente adatto per le scuole d'Italia, sia perchè 
riesca troppo vacuo , sia Analmente perchè troppo ele- 
vato per gli studj elementari dell'arte. 

Per queste e simili altre ragioni ancor io che da 
parecchi anni fo rettorica nelle scuole del mio Comune, 



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6 Al GIOVINETTI STUDIOSI 

non trovandomi abbastanza soddisfatto de' trattati rct- 
torici in uso, me ne doleva e per l'onor nostro e pei 
discenti; e alla fine conoscendo che i discorsi soli a 
nulla approdano, mi posi in animo di provvedere a tal 
difetto come meglio poteva e sapeva. Sentiva ben io 
che a far cosa che pregio avesse , mi mancavano per 
avventura le forze; ma attingendo lena dal buon vo- 
lere, mi sobbarcai ' animosamente alla prova ; se fui 
troppo ardito nel tentarla non so; tuttavia mercè di 
Dio venni a capo di queste istituzioni elementari di ret- 
torica ch'io pur v'offro, o Giovinetti. 

Il dirvi quali esse siano panni superfluo; perocché, 
oltre all' impegnarmi in una prolissa prefazione , che 
voi probabilmente non leggereste, se studiandole vi 
riescono profittevoli , sarà certo argomento della loro 
bontà ; se no, per quanto parole io vi spendessi attorno, 
non mi verrebbe fatto di persuadervi in cent' anni 
ch'elle sono un gran che. Vera cosa è però che se que- 
sto mio lavoro avesse pregio pari all' amore ond' io lo 
conduceva , potrei star sicuro del fatto mio ; ma chi 
non sa 

ti Che molle volle al fallo il dir vien meno? a 

(Dante , Inf. Canio IV). 

Contuttociò se mi richiedete perché dunque io ve l'offra , 
vi risponderò schiettamente e senza lustre d'equivoca 
modestia, che se per coscienza e per fattone speri- 
mento non mi paresse nulla nulla accomodato all'utile 
vostro, non mi ci arrischierei gran fatto; oltre che ini 
solletica una certa lusinga che non sia per riuscirvi 
discaro, riguardando al fine ch'io m'ebbi di far cosa 



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Al GIOVINETTI STUDIOSI 7 

tutta italiana ; di che spero mi saprete buon grado ; 
se poi , avvegnaché in siffatte cose il voluisse sai est 
non vale , non avesse al concetto ben corrisposto l'ese- 
cuzione , mio danno ; chè voi a giusta ragione getterete 
via il libro, e le tarme faranno il resto. 

Qual ordine io abbia dato a queste mie istituzioni 
ret loriche voi lo vedete dall' /ridice ; solo voglio avver- 
tirvi che nel trattare dei componimenti in prosa inco- 
minciai dai più brevi e più facili, perchè mi parve 
più conforme all'età vostra il farvi ascendere a mano 
ti mano dalle cose umili alle più elevale. Nei compo- 
nimenti poetici poi tenni la via opposta, perchè i varj 
generi di poesia comprendendo talora più specie di com- 
ponimeati di natura più o meno umile o elevata, par- 
verni giovare all'ordine e alla chiarezza esporre prima 
le leggi di quelli di grado più nobile , e quindi scen- 
dere a quelli di grado inferiore , le leggi dei quali non 
sono d'ordinario che una modiGcazione delle prime; e 
perchè mi do a credere che dobbiate essere abbastanza 
addestrati nella ragione del comporre, percorsa che 
abbiate l'ardua via dei precelti che a' più gravi com- 
ponimenti in prosa appartengono. 

Debbo però confessarvi ancora eh' io non vi dirò 
cose nuove, dato pure che si potesse dopo quanto si 
è scritto da Aristotele a noi in fatto di lettere ; ma 
'solo mi sono studiato di raccogliere dai sommi scrit- 
tori dell'arte il fiore delle loro dottrine; e queste io 
poneva per lo più a fondamento dei precetti , perchè mi 
avvisava che confortando questi coll'autorità di chi me- 
ritamente è in voce di maestro , riuscir dovessero vie- 
più apprezzati ed efficaci. E notate che i fonti , donde 
ordinariamente ho attimo, sono latini o italiani, che 



g AI GIOVINETTI STUDIOSI 

è tutt'uno, perchè a vero dire la ricchezza di casa 
non mi faceva venir voglia di quella di fuori ; e se in 
ciò ho il torto per il vezzo che corre, pazienza ! a me 
basta aver dalla mia Cicerone il quale soleva dire : 
« Quum essel egregium non quaerere externa, domesticis 
esse contentos (1) ». 

Finalmente perchè più de'precetti valgono gli esem- 
pj , ed io non ne sono stato avaro con voi ; anzi ho 
cercato di esemplificare quando mi era consentito dalla 
natura dell'insegnamento , con bellezze tolte dai classici 
si latini che italiani , perchè mi pareva che ciò, oltre 
al tenervi anche per questo lato sempre più esercitati 
nello studio delle due lingue, vi aprisse il campo 
a'confronli , potesse accrescere e perfezionare il vostro 
gusto , e a un tempo inspirarvi più facilmente l'amore 
per quei sommi esemplari latini, su'quali si formarono 
i nostri grand' italiani. 

Accogliete adunque con benevolo animo , o Giovi- 
netti, se altro non potete, almeno ii buon desiderio 
che fu di giovarvi nel modo che seppi migliore, e se 
non riscontrerete in questo mio lavoro altro merito 
che un po'di diligenza nel raccorre ed ordinare quanto 
da altri si disse intorno all'arte del dire , io vi assicuro 
che ne sono appieno soddisfatto ; e tanto è vero ch'io 
qui vo'far mìe lo stesse parole di Quintiliano : a Sicut 
a ipse piurium in unum confero inventa , ubicwnque iti- 
li genio non erti focus, curae testìmonium promeruisse 
a contentus.... (2) d. Vivete felici. 

(I) Ofiat. ad {frullini. 
(ì) Insti!. , L. Ili, c. 1. 

© 



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DELLE ISTITUZIONI 

ELEUEHTAM 

DI RETTORICA 



PROEMIO. 

1. Promuovere , mediante lo splendore del bello , il culto 
del vero e del buono a perfezionamento religioso , morale e 
civile , è il fine delle lettere ; quindi nobile e venerando n' ò 
il ministero. 

2. A bene e lodevolmente riuscirvi, riebiedesi ingegno 
sveglialo , fantasìa vivace e giudizio retto. Arroge robusta e 
facile memoria, della quale si sa che i Greci con profondo 
avvedimento dissero esser Dea Mnemosine , madre che fu 
delle Muse , le quali a tutto il regno delle ottime arti pre- 
siedevano. Riebiedesi inoltre quell'ingenito sentimento del 
bello, che suole appellarsi Gusto, ondo i pregi e i difetti 
si sentono e si scorgono nelle opere dell'arte. Dall'eccellenza 
e congiunzione poi di tutte queste doti nasco quello che 
chiamasi Genio nel suo più ampio e vero significato; po- 
tenza creatrice che da e vita e affetti e parole ai versi, 
ai marmi, ai dipìnti; scintilla divina ed anima dell'arte. 

3. Questi boi doni di natura però richiedono al loro pieno 
sviluppo, incremento e perfezione , il magistero dell'arte, la 



quale non senza ragione fu detto essere più cerla che la 
stessa natura (1); imperocché col lume dei precetti mostra 
!a via sicura che guida più speditamente al conseguimento 
del fine , e può in certo modo rassomigliarsi a sperlo cava- 
liere, che frenando generoso cavallo ne regola l'impeto senza 
allentarne il corso. 

4. E dovendo il cultore delle lettere farsi sacerdote del 
buono e del vero, gli è d'uopo informare la mente ed il 
cuore alle pure e sublimi dolcezze del bello, addestrare 
l' intelletto nelle morali e logiche discipline , essere non mez- 
zanamente versato nella storia, ricco di soda e molliplice 
doltriua , attento ed instancabile nello studio della natura 
e dui grandi esemplari greci , latini e nostrani. Così , e non 
altrimenti formasi quello squisito e sicuro giudizio che di 
ogni egregia scrittura fu detto principium et fona ( Orazio, 
A. P. v. 109). 

5. Dato un cenno delle doti naturali che si ricercano in 
chi desidera di dedicarsi con lode allo studio delle lettere, 
e detto come quelle si perfezionino per arte . per ottimi 
studj e por diuturno esercizio , a noi che ci proponiamo sol- 
tanto di dare un corso elementare d'Istituzioni Reftoriche , 
non resta che dar mano alla esposizione dei precetti , chè 
il trattare distesamente di quelle appartiene a più sublime 
ammaestramento. 

(li Rhel. ad Berta., Lib. I. 



PARTE PRIMA 



— 3 — 



Capitolo I. Detta Elocuzione. 

1. La Rellorica è l'arie del boti diro. E poiché il discorso 
non è che la manifesta zio ne del pensiero , ne conseguila che 
il ben pensare è il fondamento del ben parlare. Principali 
clementi ne sono il vero e ciò che al vero s'assomiglia , l'or- 
dine, la proporzione e il decoro per le idee; la proprietà 
e l'eleganza per la espressione di queste. 

2. Lode di ben parlante s'avrà pertanto colui che alla 
verità, squisitezza e ordinata disposizione delle materie, 
congiungerà con bell'arte convenienza di stile e d'elocuzione. 

3. E poiché la lingua è di tutto questo principale stru- 
mento , incominceremo dal dire delle doti d'una colla fa- 
vella, che sono: Purità, Proprietà, Chiarezza, Forza ed 
Armonia. 

g. A. Della Purità. 

4. La Purità consiste nell'adoperare non tanto le voci e 
!e frasi schiette e natio della lingua , quanto ancora quei 
collegamenti , costrutti c trapassi che, al diro del Giordani , 
sono la parte viva dell' idioma , e strettamente propria della 
nazione. Molto poi rileva il serbare e parlando e scrivendo 
questa purità; perocché chi la offende, toglie, al dire di 
Cicerone (1), gran parte d'ornatezza al discorso, e accatta 
» sé il tristo biasimo d'ignoranza o di negligenza della più. 
cara delle cose di casa, qual'è la lingua. 

|1) De Orai-, Lib. HI, C. 10-11. 



12 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

5. Si vizia pni in purità della favtìlla ora coi barbarismi 
e neologismi , inirodiiceado cioè vocaboli e modi d'impronta 
forestiera senza bisogno; ora cogli arcaismi, usando locu- 
zioni latino o greche già morte , o nostrali già ranco e ca- 
scanti per troppa elà , e riprovate dall'uso; ora cogl'ùtfo- 
tismi , adoperando goffe maniere raccolte dal fango plebeo; 
finalmente co' solecismi , sgrammaticando. 

6. Non per questo si divieta l'usar nuovo voci por nuove 
idee, massime per l'avanzarsi che fanno le scienze e le arti, 
chiarito elio ve ne sia veramente il difello, purché facciasi 
con avvedimento e sobrietà , e non con quella scapigliata 
licenza , onde per disonesta mania di forestierume si va da 
buon tempo imbrattando di francesismi e peggio , il candore 
del bel nostro idioma , si che lo scamparne è proprio un 
miracolo. È lecito altresì riporre incorso alcune voci d'an- 
tico conio , ornai disusate comecché di buona lega ; vuoisi 
in ciò peraltro non comune perizia della lingua , giudizio 
nella scelta , e parsimonia nell'uso; perocché se il far rivi- 
vere certe voci può renderci più ricchi , il non saperlo fare 
con arte, ci rende oscuri e fastidiosamente affettati ; diretti 
che non seppero del lutto sempre scansare il Cesari e il 
Botta , ed erano elettissimi ingegni. Anche il retto uso di 
certi idiotismi, che formano l'atticismo della lingua, aggiunge 
grazia, venusta ed efficacia alle scritture, massime popo- 
lari , come vedesi tra gli altri , nel Gozzi e nel Giusti. Il 
peccar poi per modi errati e per costrutti, cui i buoni gram- 
matici riprovano, è tal bruttura che non v'è ragione che 
valga a scemarne la vergogna. 

7. Se vorrai dall'abuso delle innovazioni guardarti, e do- 
vrai da buono italiano volerlo, allienli agli scritti del 300 
e del 500, che ti forniranno tal ricchezza di lìngua da non 
desiderare più oltre, studiandovi sopra con quel savio di- 
scernimento che potrai apprendere nel Trattato sugli Scrit- 
tori del Trecento del Perticari. L'attenta osservazione sulla 
lingua viva del popolo, e per noi è il toscano , ti porrli sulla 
buona via per l'uso degl'idiotismi, avvertendo di spargerli 
colla mano e non col sacco , e soprattutto che non discon- 
vengano col tuo subbiotlo ; di che pur si biasima il Davan- 



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DI RETTOIÌICA 13 

iati, quasi abbia nella sua celebre traduzione scemato ta- 
lora co'fìoreotinismi la dignilà delle Storie di Tacito. La pe- 
rizia poi dell'arte grammaticale ti salverà dal resto. 

8. Se a tutto questo porrai ben menle, i tuoi scritti an- 
drai! lodati per limpida purità ; nò ti curare so altri, perchè 
t'ingegni di scrivere in buon toscano , si riderà di te chia- 
. mandoti purista, perchè sappi che sei in buona compagnia, 
avvegnaché lo stesso Tullio negava, nou che altro, il nome 
di uomo a chi avesse in pubblico meno che Ialinamente 
parlalo [De Orai., Lib. Ili, e. 14). 



§. 2. Della Proprietà. 

9. La Proprietà , dote suprema della Elocuzione , nasce 
dalla corrispondenza esatta della parola coll'idea. Tale poi 
n'è la virtù, che colui che parla o scrive con proprietà 
sembra , al dire del Gasa , che mostri- le cose non colle 
parole, ma con esso il dito. 

40. Essa dipende, secondo il Colombo, da tre cose, 
dalla scelta delle parole , dalla loro convenevole unione e 
dal loro opportuno collocamento (1). E qui primieramente 
giova notare col Niccolini, che i vocaboli propri esprimono 
interamente le idee , delle quali sono immagini ; che i meno 
propri le esprimono a metà; gl'impropri, non solo non le 
rappresentano , ma altresì le deformano (2). Sarà giudiziosa 
pertanto la scelta delle parole , ove queste esprimano vera- 
mente nè più nè meno dell'idea che vuoisi significare. Eccone 
un bel riscontro nella seguente terzina di Dante: 

o Come d'un stizzo verde, ch'arso sia 
o Dall'ini de'capi che dall'altro geme , 
a E cigola per vento che va via ». 

( Inf. Canto XIII ). 



(4 ] Della doti d'una colta favella. Le*. IV. 

(2) Intorno alla Proprietà, Voi. IH, pag.197; Eàìz. ài Le Mounier. 



14 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

In luogo di stizzo pongasi ramo , e l'idea non sarà intera: 
invece che cigola, dicasi fa remore, e l'idea non solo non 
è più quella, ma è deformata. 

11. Principale sorgente della improprietà è a comune 
voce de' relori l'uso dei cosi delti Sinonimi , cioè di vocaboli 
aventi in apparenza un medesimo significalo. É stato lu- 
minosamente dimostrato non darsi a rigore fiiologico veri 
Sinonimi in una lingua, i quali altrimenti , come dice ii 
Niccolini , farebbero duo lingue in una. I Greci , e tra i 
Latini Varrone , Tullio e Quintiliano notarono ancb'essi di- 
stinte differenze tra vocabolo e vocabolo, e le Sinonimia 
non essere che gradazioni d'una medesima tinta. Si vide 
pertanto, merefc dell'osservazione sull'elimologia e sull'uso 
comune delle parole lenute per Sinonimi , sibbene rassomi- 
gliarsi queste per un' idea comune , ma differire tra loro per 
un'idea accessoria lotta propria di ciascuna di esse , o al- 
meno differirne per ragione di grado, per esser le une più 
nobili o poetiche delle altre , come sarebbero ora e adesso , 
veglio e vecchio , ed altro siffatte. 

12. Manifesta poi è la differenza in cavallo, destriero >■ 
poledro, invanirà ed ambizione, in timore e paura , in lasciare. 
e abbandonare , in perdere e smarrire, in inventare e scoprire, 
e in altre mille, come chiaro ti mostra il Grassi nel suo Sag- 
gio de' Sinonimi , e più eslesamente nel suo Dizionario il 
Tommaseo. Imperocché cavallo ti rappresenta la specie, de- 
striero t'indica l'uso, poledro l'età. Essendo l'ambizione, cu- 
pidigia d'onori, la vanità boria più o meno ridicola di titoli , 
ben potrai dire che Cesare e Napoleone furono ambiziosi. 
Vani non mai. Il timore è un'apprensione dell'animo non di 
rado ragionevole; la paura per lo pifi è viltà; però ben dirai 
di soldato che fugge che egli ha paura della morte, e niun 
timor dell'infamia. Si lascia una cosa per un certo tempo, o 
per inavvertenza ;s'abbandona per sempre e deliberatamente; 
laonde Virgilio lascia per un po' Dante appresso alla porta di 
Dite, ma questi teme lo abbandoni [ Inf. C. Vili ). Sì perde ciò 
che non vi ha che poca o ninna speranza di riavere ; si spera, 
le cose smarrite di ritrovare. Il Poeta avea smarrito ■ nella 
selva la diritta via , e solo per la paura che ascia dalla vista 



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DI BKTT0B1CA 13 
della lupa perdè la speranza dell'altezza (ivi, C. I). Final- 
mente s'inventa cosa che prima non era in quel tal modo fog- 
giata, si scuopre ciò che era soliamo nascoso; quindi Flavio 
d'Amalfi inventò la bussola, e di questa Colombo s'ajutò a 
scoprire l'America. F. bastino questi pochi esempj a tenerci 
in guardia contro ai pretesi Sinonimi (1), per l'amore che 
dobbiamo a vero lt. indissimo per la proprietà. 

■13. Ad aggiungere intera questa bella dote della favella 
viene oltre la scelta delle parole raccomandata la loro con- 
venevole unione e il loro opportuno collocamento. Richiedesi 
adunque che le idee siano nella debita corrispondenza tra 
loro , perchè ben vi consuonino le parole che le rappresen- 
tano ; la qual coerenza il Colombo non appieno riscontra in 
quel verso del Petrarca ( San. II , P. I) : 

o Com'uom che a nuocer luogo e tempo aspetta o. 

notando che il luogo non si aspetta, si sceglie. Più mani- 
festa poi si pare la disconvenienza dicendo : tracannare il 
cibo , trangugiare il vino, perocché sebbene ambedue le voci 
esprimano propriamente l'ingordigia o nel bere o nel man- 
giare, tuttavia l'una conviensi solo al cibo, l'altra alla be- 
vanda. Finalmente essendo anche la giacitura delle parole 
uno de'lratli della fisonomia propria di ciascuna lingua , e 
ad essa dobbiamo guardare , se non vogliamo offenderne la 
proprietà ; e sebbene la lingua nostra sia tra le moderne 
una delle pi ii libere nei collocamento delle parole , tuttavia 
ha pur essa certi limili , cui non è dato valicare impune- 
mente. Di che viene , forse non a torlo , appuntalo lo stesso 
Boccaccio , che dando talora alle parole una trasposizione 
troppo libera, a mo'de'Lalini cui studiavasi d'imitare, tolse 
alla lingua 'quel non so che di verecondo e d'ingenuo che 
tanto piace negli altri scrittori di quell'aurea eia. Regola ge- 
nerale pertanto si è che le parole si dispongano a un di- 

H) Potòrio peraltro dirsi ver.imenle Sinonimi abbadia e badia , 
cornei/so e consentimene, reso e renduto, vista e veduto, concesso e 
conceduto, e j ochi altri simili. 



10 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

presso secondo l'ordino naturale delle idee , e che nel collo- 
care gli aggellivi, gli avvorbj e le altre parti del discorso . 
póngasi mente soprattutto alla maggiore o minore importanza 
di ciò che hassi ad esprimere (1). E di tutte queste doli della 
proprietà avrai egregi esemplari nei trecentisti, la cui grazia 
ed efficacia nasce appunto dalla proprietà delle voci e dalla 
semplicità dei modi in che sono ancora singolarissimi da tutti. 

S. 3. Dfilla Chiarezza. 

14. Aristotele dirittamente chiamò grande virtù del di- 
scorso la Chiarezza ; prima la diceva Quintiliano , e noi la 
diremo altresì necessaria; perocché sarebbe stoltezza, par- 
lare altrui e non curare di farsi intendere; onde Tullio in- 
segnava : Primum ut pure et latine loqttnmur; deinde utplane 
et dilucide (2). Ora essendo principale effetto della Chiarezza 
che i concelti traspariscano nelle parole, dirò col Poeta, 
come festuca in vetro, ella ha pur questo pregio in sò che, 
siccome i! sole penetra all'occhio ancora di chi non vi mira , 
così essa fa piano ed agevole il discorso eziandio a chi non 
v'attende (3). Aggiungi che lo rende anche piacevole, essendo 
la evidenza nelle scritture uno de'più cari attributi della 
bellezza. 

15. E sebbene molto alla Chiarezza conferiscano, come 
abbiam detto , la purità e la proprietà , nulladimeno a con- 
seguire intera questa si rilevante virlù della Elocuzione , 
fa d'uopo stare attenti altresì alle seguenti regole: 

I. Studiare convenientemente il nostro subìetto a fine di 
acquistarne chiare le idee e bene ordinarle nella mente , 
perocché d'ordinario chi chiaro intende , chiaro ragiona. 

II. Pensar mollo e scriver poco, e soprattutto senza pre- 
cipitazione, chè limpido scorre il ruscelletto, torbido il 
torrente. 



(1) Colombo, op. cil. Lez. IV. 

(2) De Orai. , Lib. IH , c. 32. 

13] Qoim., 7nsl. Lib. Vili , c. 2. 



DI HETT0R1CA i7 

III. Schivare del pari e la siringala parsimonia delle pa- 
role e la lussureggiante ridondanza, chè spesso quella genera 
oscurità , questa confusione. 

IV. Osservare diligentemente !e attinenze grammaticali 
delle parole per la loro retta giacilura, ponendo mente a ben 
collocare gli aggettivi o gli avverbj si che ne apparisca senza 
ambiguità la relazione, al che, come nota il Giordani , non 
bene attese l'Arici ove disse : 

« Onde il versar dei bruti 

e Sacrilego fu il sangue e disonesto s; 

sembrando a prima giunta sacrilego riferibile a sangue (1). 

V. Guardarsi dagl'iperbati troppo ardili e dalle costruzioni 
troppo contorte, quale forse potrebbe sembrar questa dell'Al- 
fieri : 

a Ma il sospettar, natura 

■ Passi in chi regna , sempre. 

( Polin. , AH. IV, bc. I ). 

VI Disporre l'agente in guisa che col paziente non si 
confonda; perocché sei Latini , per la varia desinenza dei 
loro casi , parlavano chiaro dicendo : Antonìum vieti Augu- 
sta* noi non possiam dire col Petrarca : E quel che ancise 
Esisto ovvero: Vincitore Alessandro l'ira vinse, riuscendo 
ambiguo quali siano i soggetti delle due proposizioni , se 
non si sapesse dalla storia essere Agamennone l'ucciso , 
Alessandro il vinto. 

VII. Adoperare aggiustatamente i pronomi personali e 
relativi, scansarne la frequenza e distintamente disporli; 
circa al'qual uso non fu si esatlo l'Alighieri in questo suo 
verso ebe però riesce ambiguo : Lo qual trasse Fotin dalla 
via dritta (Inf, C. XI), dove Io quale è usato in luogo di 
cui al quarto caso. 

Vili. Finalmente studiarsi di ben collocare, e dove pro- 
prio dàn luce, quegl'incisi ed aggiunti che voglionsi alle pro- 
ti] Giorni., T. II , pag. m. La Pastorizia dell'Arici, Ari. II. 



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18 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

posizioni inframetlere , acciocché anzi che d'ajuto , non ser- 
vano d'impaccio al lettore; il che non bene avvertì il Boc- 
caccio quando nella vita di Dante (P. II, c. 3}, scrisse: 
« E come che egli di avere questo libretto fatto negli anni 
« più maturi si vergognasse molto ». Qui è incerto se negli 
anni più maturi scrivesse quel libretto , oppure se ne ver- 
gognasse; la qual' incertezza cessa, posto che sia quell'ag- 
giunto dopo si vergognasse' 'molto , a cui si riferisce. Tali sono 
le principali regole che dai relori s'assegnano per chi ama 
ne' suoi componimenti quella chiarezza che forma il pregio 
più caro delle più lodate scritture. 

fi. 4. Della Forra. 

16. A dare maggior rilievo alla purità , proprietà e chia- 
rezza della Elocuzione, giova assaissimo quella virtù che le 
aggiunge vivezza ed efficacia , e che chiamasi Forza. Nasce 
questa dalla maniera risoluta e scolpita onde comunichiamo 
altrui i nostri concetti ; quindi ogni ridondanza di parole, 
che rallenti il corso delle idee, nuoce alla Forza , perocché, 
siccome ben nota Quintiliano , obstal quod non arfjuvat. 

17. Debbonsi pertanto tenere sgombre le sentenze dagli 
aggiunti ed epiteti vani e insignificanti, schivare le ripeti- 
zioni inutili, non stemperare i concetti tra inopportune pe- 
rifrasi , e non dire più di quel che fa d'uopo. Rimossa per 
tal modo la superfluità che sgagliarda, pongasi studio a ciò 
che dà forza ; e primieramente mirisi alla più stretta unione 
delle idee tra loro; rendansi spiccati i pensieri mercè di 
vocaboli propri e significativi, quanto meglio si può; si 
adoperino opportunamente le ellissi, gl'idiotismi, i modi 
vivi e recisi della lingua parlata; si rappresentino destra- 
mente particolareggiate le cose, e ingegnosamente si collo- 
chino le parole dov'hanno con maggior vibratezza a risal- 
tare , disponendole, per quanto lo comporta la natura della 
lingua , secondo l'ordine delie ideo e i gradi della respetliva 
lor forza, e chiudendo il periodo col verbo, coll'avverbio. 
0 coli'oggi'ttivo , quale di questi più capace si scorga a rin- 
vigorir la sentenza. Eccone gli esempj: 



DI RETTO RICA 19 

« Ambo le mani per dolor mi morsi i>. 

[ DlNIB ). 

([ Ma se piii tarda , avrà da pianger sempre ». 

( Petrarca ). 

« Che furo all'osso , corno d'un can , forti b. 

(Dante). 

18. Se non che accanto alla Forza del discorso è un vi- 
zio che a'men cauti può sembrar quella, ed è lo Sforzo. 
Questo non è che una faticosa ostentazione di quella virtù, 
mercè d'ampollose e forzato espressioni, corno si palesa in 
questi ed altri simigliaci modi: avviarsi con risonanti passi - 
l'urlante possa decorrenti - tremar l'acciaro al fianco ec. Dal 
che nasce effetto contrario, perocché mentre è proprio della 
forza di scuotere e sorprendere, lo sforzo non produce che 
freddezza e disgusto. Cerchisi adunque la forza nella natu- 
ralezza del concetto semplicemente espresso , non nel rim- 
bombo d'altisonanti parole ; e non si dimentichi che grande 
operatrice della Forza è la brevità , come ci dimostrano 
principalmente Tacito c l'Alighieri. 

g. 6, Dell'Armonia. 

19. Le parole son segni d'idee e suoni a un tempo, quindi 
atte a produrre eziandio una certa armonia. Elleno sono ro- 
buste, languide, lente, scorrevoli, soavi , strepitanti o mu- 
tole, secondo il loro accento tonico, la natura eia propor- 
zione delle vocali e delle consonanti che le compongono. Per 
questa si grande varietà di suoni , non avvi genere di ar- 
monia della quale la nostra favella non sia capace ; e poiché 
le parole ove le consonanti prevalgono alle vocali , riescono 
all'orecchio gravi e maestose , ed al contrario riescono tenui 
e soavi quelle che han più vocali, così dall'accorto accop- 
piamento delle une collo altre, risulta quella grata conso- 
nanza che aggiunge grazia e piacevolezza al discorso. 

20. E quanto quest'armonia rilevi, apprendiamolo da 
Tullio. Nulla avvi, ei dice, che abbia si stretta attinenza 
coll'auimo nostro , quanto il suono e la voce, laonde le sen- 



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80 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

tenze per nobili che sieno , ove duramente s'esprimano, of- 
fendono le orecchie, quorum judicium est super bissimum (1); 
e qui , come in sul vestibolo , trovando intoppo , secondochè 
notava Quintiliano, non scendono all'anima. Por la qual cosa 
noi sappiamo essere stali dell'armonia studiosissimi e Iso- 
crate, e Demostene, e Cicerone e Livio tra gli antichi, e tra 
i nostri il Casa, il Firenzuola, il Castiglione, il Giordani ed 
altri non pocbi. 

24. L'armonia suole dai relori distinguersi in generale 
e in particolare. Dicesi generale quella che sempre nel di- 
scorso richiedesi , e che consiste in quella consoniinza nu- 
merosa , facile e piana che in tutto quanto il componimento 
variamente si spande. Essa si ottiene alternando alle parole 
tenui le gravi , alle fluido Te lente, olle languide le robuste, 
alle brevi le lunghe, talché si conlemperino a vicenda i suoni 
dolci ed aspri; mescolando ai brevi i lunghi periodi, bene 
intrecciati tra loro e con giusta cadenza conchiusi. È poi da 
fuggirsi quello che diccsi latinamente iato, il quale nasce 
dall'incontro di troppe vocali, e particolarmente simili, come 
scntesi in questa proposizione del Passavanti : giammai non 
avea avuta alcuna avversità; e in pari modo quella cacofonia 
o bisticcio, clic s'ode per la successione di piìi sillabe somi- 
glianti, o di piti parole di egual desinenza , come nel verso 
dei Petrarca : Dì me medesmo meco mi vergogno, e in questo 
periodetto del Cavalca : sempre confortavate a perseveranza 
et a costanza, per isperanza delVelerna salute. Finalmente, 
debbesi schivare la frequenza dei monosillabi, e il seguito di 
più parole aspre e di dillicil pronunzia , rendendo quelli trop- 
po stentato il periodo, questo duro e sgradevole, come sen- 
lesi in questi due versi dello stesso soavissimo Petrarca: 

o Nè sì fa ben per uom quel che il ciel niega. - 
a E suoi terrier di for , come dentearsi ». 

22. In generale, l'armonia dev'essere adattata ai compo- 
nimenti , cioè maestosa nei gravi, riposata nei mezzani, fa- 
» 

(1) De Orai., et Bruivi de st. Ora!, 



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DI RETTuRICA 21 

cile negli umili. È da guardarsi poi che per troppo amoro di 
essa non cadasi nello sdolcinato e nel lezioso, chè nulla avvi 
di più sazievole d'un periodare a cantilena, dove soverchio 
appaja l'artifizio, come taluna volta intervenne allo Speroni, 
scrittore peraltro valorosissimo, che in una delle sue Ora- 
zioni, così comincia un suo periodo: a Noi Padovani, gene- 
« miniente siamo allegrissimi, non solamente per noi mede- 
« simi, per l'onor nostro particolare ec. », e cosi via via , 
per buon tratto, come nota il Colombo (loc. cit. , Lez. III). 
Spontanea e notevole adunque apparisca in tutto quanto 
il discorso l'armonia , vuoi per la scelta e collocazione delle 
parole , vuoi per la struttura de'periodi, in guisa che l'orec- 
chio, che di cotal dote e giudice supremo, se n'appaghi. In- 
tanto educalo alla richiesta armonia, leggendo a voce alta e 
ben modulala le opere dei migliori, perchè ti sìa guida sicura 
ne'tooi scritti, che in egual modo ti andrai pure leggendo. 

23. L'armonia particolare poi , detta propriamente imita- 
tiva, consiste nell'esprimerc con modi speciali il suono, il 
moto e quasi non dissi la natura delle cose. Questa però 
amano per proprio diritto i poeti , siccome quelli che a vieme- 
glio dilettare mirano piti studiosamente alla imitazione ; tut- 
tavia nè i prosatori la sdegnano, ove la opportunità la ri- 
chieda; quindi secondo la regola dell'arte, la variano col 
variar degli affetti , facendola vivace nella gioja, lugubre nel 
dolore, concitata nell'ira, soave nella calma, scorrevole e 
piana nelle dolci affezioni dell'anima, spezzala e fremente 
nella tempesta di gagliarde passioni. Ecco come Cicerone ci 
fa squisitamente sentire la serenità d'un animo lieto. > Etsi 
a nomini nihil est magis oplandum, quam prospera , aequa- 
« bilis , perpetuaque fortuna , secundo vitae , sine ulla of- 
« fensione , cursu; tamen si mihi tranquilla et pacata omnia 
* fuissent, incredibili quadam et paeue divina, qua nunc ve- 
« stro beneficio fruor, laetitiae voluplate caruissem » (Ad 
Quir. post reditum). 

Frequentissimi poi, com'èda credersi, ne sono gli esempj 
ne'poeti, e fra i mille che ne porge Virgilio, sceglieremo 
questo , ove descrive con suoni dolci e scorrevoli la giocon- 
dità degli Elisi ; 



S8 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

<r Devenerc locos laetos , et amoena vireta 
a Forlunatorum nomorum , sedesque beatas. 
« Largior bic campos aether et lumine vestii 
« Purpureo; solemque suuui, sua sidera norunt ». 

iAm., L. vi). 

Nè men bello è questo di Dante , ove con suoni forti e ga- 
gliardi descrive il rovinio di furiosissimo uragano: 

a Non altrimenti fatto che d'un vento 
a Impetuoso per gli avversi ardori , 
a Che fier la selva , e senz'alcun rallento 

o Li rami schianta, abbatte e porta fori: 
a Dinanzi polveroso va superbo, 
a E fa fuggir le fiere ed i pastori ». 

[Inf.,C. IX !• 

24. Quell'armonia poi che più sottilmente imita il suono , 
il moto e cert'allre particolarità delle cose, non sembra con- 
venga alia prosa quanto alla poesia; onde in questa se ne 
incontrano in buon dato bellissimi esempj. Eccone alcuni ove 
s'imita per parole gravi il moto lento, per tenui il rapido: 

a llii inler sese magna vi brachia tollunt ». 

(Georg-, L. IV j. 
« Ella sen va notando lenta lenta ». 

< Inf. , C. XVII ). 
« Yade, age, nate, voca Zcphyros , et labere pennis ». 

lAen., L. IV). 
« Lieve, lieve per l'aere labendo ». 

[Pahini , Il Heisog.). 

Altri che dipingono luoghi tetri con parole lunghe e cupe, o 
luminosi con vivaci e gaje : 

a Et caligantem nigra formidine lucum ». 

[Georg., L. IV). 
« Oscura, profonderà e nebulosa ». 

{ laf., C. IV ). 



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DI RETTOBICA 23 

« Ducerei apricis io collibus uva colorem ». 

( Bel., IX). 
« Ed "una melodia dolce córreva 
« Per l'aer luminoso d. 

(Pura-, C- XXVII ). 

Odasi negli esempj seguènti il suono che imita lo scalpitare 
di cavallo correlile, lo strepilo d'un cocchio e il clangor della 
tromba : 

« Quadrupedante putrem sonilu quatit ungula campum ». 

( Atn., L. Vili). 

a Gli scommessi cocchi 

« Forte assordanti con stridente ferro n. 

(Pah., Il Mail.). 

« At tuba terribilem sonitum procul aere canoro 
« Increpuit ». 

(Aen., L. IX ). 

Il i-umor cupo di corpo che cade, quanto bene imitavasi dai 
Latini con un monosillabo finale, altrettanto suole dagl'Ita- 
liani imitarsi col verso tronco : 

0 Procumbit bumi bos. 

o Praeruptus aquae mons ». 

a Calossi gorgogliando e s'affondò ». 

E l'Alfieri dipinse con tal forma di verso quella sospensione 
dell'animo che nasce per cosa che ne colpisca : 

« Stupida , immola , spettatrice sta ». 

(Prfin., A. V, so. 11). 

dove tu sentì la felice imitazione del virgiliano arrectisque 
auribus adsiant ( Aen. , L. I }. 

25. All'armonia imitativa finalmente serve altresì la figura 
delta dai retori Onomatopea, per la quale si formano o si 



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24 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

adoperano vocaboli somiglianti nel suono alla cosa , come 

bombarda, schioppo , squillo , fischio e simili. Eccone esempj : 

« Di molte noto fan dolce tintinno ». 

( farad. , C. XIV ). 
« Quest'inno si gorgoglian nella strozza ». 

{Inf., C. VII). 

« Aita , aita 

« Parea dicesse , e dall'arcate volte 
« A lei l'impietosita eco rispose ». 

(Pah., li Meisog.). 

Qui odi proprio il guaire della cagnolina e il risponder 
dell'eco. Avverti però che cosi fatti artific] riescono lodevoli, 
quando non troppo studiati, nè troppo frequenti ricorrono, 
essendo non ultimo dei segreti dell'arte quello dell'opportu- 
nità e della parsimonia. 



Capitolo II. - Del linguaggio figurato. 

\. Distinguesi il linguaggio in proprio e in figurato. Di- 
cesi proprio, quando manifestiamo propriamente e semplice- 
mente idee e concetti; figurato, se questi e quelle signifi- 
chiamo in modi che dall'ordinario si scostano. L'Alighieri 
nell'esempio che qui appresso poniamo, favella propriamente 
nel primo concetto, Gguratamenle nel secondo : 

a Tu lascerai ogni cosa diletta 
<r Più caramente ; e questo è quello strale 
« Che l'arco dell'esilio pria saetta o. 

(ftr.,'C. XVII). 

2. 11 linguaggio figurato dovette precedere il proprio ; im- 
perocché gli uomini sul principio a significar le cose ebbero 
a valersi dei vocaboli tolti da oggetti che avessero con quelle 
alcuna somiglianza o attinenza , e per esempio chiamarono 
dente il ferro dell'aratro , capo il primo della tribù , e cosi va 



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DI RETTOniCA 25 

discorrendo. In seguito dirozzandosi ed ampliandosi la lingua , 
quel dir figuralo che s'usò per bisogno , servi a dare orna- 
mento e vivezza ai discorso, in quella guisa, come ben noia 
Cicerone , che le vesti usate per necessità contro i rigori 
delle stagioni, furono appresso di fregio c di distinzione. Vera 
cosa è però, che alcuno voci originalmente improprie diven- 
nero in forza dell'uso, che n'è l'arbitro e il signore , siccome 
proprie nel linguaggio comune , quali sono capo dì casa , oc- 
chio dì vite, letto di fiume ed altre siffatte. 

3. L'immaginazione , la passione , l'uso e lo stesso amore 
dell'eleganza, generalmente influiscono sul parlar figurato; 
quindi avviene che questo si naturalmente congiungasi col 
proprio che talora neppure ce ne accorgiamo. Ma poiché il 
proprio seco porla chiarezza e precisione , il figuralo orna- 
mento ed efficacia , devesi con arie questo e quello contem- 
pcrare in guisa che a vicenda si giovino , a fine di rendere 
il discorso lucido quanlo animato, e secondo la natura di 
questo, far che l'uno all'altro lodevolmente prevalga. 

4. Dopo accennalo l'origine e la natura del linguaggio 
figurato, diremo degli elementi che lo compongono, dei Tra- 
slati cioè e delle Figure. 

Aut. 1. - DOl Trattimi. 

5. [ Traslati, delti ancora con greco vocabolo Tropi, sono 
trasferì meri li di parole da cosa a cosa. I principali sono la 
Metafora, la Metonimia, la Sineddoche, l'Iperbole, la Peri- 
frasi, l'Ironia, l'Allegoria e l'Enigma. Essi aggiungono tale 
efficacia e leggiadria al discorso, che Tullio li chiamava come 
altrettante slelle che bellamente l'adornano e rischiarano (1). 
E poiché la Metafora è fra i Traslali la prima per l'uso e per 
l'eccellenza, incominceremo da questa. 

5. 1. Della Metafora. 

6. La Metafora viene da S. Agostino definita: De re pro- 
pria ad rem non propriam verbi alicuius usurpata translatio. 

HI De Orai., Lib. Ili, p. 43. 



26 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Fondamento di essa è la somiglianza, e tulli i maestri 
dell'arte la riguardano con Cicerone non altrimenti che una 
breve similitudine. Difallo la Metafora, fiume d'eloquenza, 
non è che il compendio di questa comparazione : eloquenza 
che scorre copiosa a! pari d'un fiume. 

7. Questo trasporta mento di vocabolo da significato pro- 
prio ad improprio si fa o trasferendo il vocabolo da cosa 
animata ad inanimata, come: Ridono or per le piagge erbette 
e fiori ( Petr. 1; e viceversa , come : Io non piangeva: sì den- 
tro impietrai ( Dan. ); ovvero da cosa animata ad altra pure 
animata , per es. : Brulo con Cassio ncll' Inferno latra ( Dan.); 
e per converso , tal è : Tornan d'argento i ruscelletti e i 
fiumi (Alam.)- 

8. Si noverano dai relori altri due Traslali , che possono 
piuttosto riguardarsi siccome due diverse specie di Metafore 
di molto ardila natura , e quindi solo dai poeti , ed eziandio 
con misura , adoperali; tali sono la Metalessi c la Catacresi, 
che talora vengono l'una coll'altra scambiale. La Metalessi, 
o Transunzione , della dai Latini Participatio , consiste ap- 
punto nel fare una cosa partecipe delle qualità d'un'altra , 
come leggesi in Dante luogo d'ogni luce muto, aura morta, 
dove, il sol tace ec. La Catacresi era detta dai Latini Abusio, 
perchè ella è difattì un tal quale abuso o improprietà di vo- 
cabolo , cui può solo scusare o il difetto del proprio , o me- 
glio l'intento di dare maggiore evidenza e forza ai concetto; 
tuttavia s'ode frequente nel popolo che dice sottile malizia, 
mente grossa , e via discorrendo; ma meglio ancora si sente 
negli esempj CDe ne porgono Virgilio e Dante, per tacere di 
altri : 

« Hunc ego si potui tantum sperare dolorem ». 

U«n.,L, IV). 
a Parlare e lagrimar vedrai insieme ». 

(Inf., C. XXXIII). 

9. E poiché Aristotele meritamente esalta la Metafora , 
come principale ornamento della elocuzione, e regina delle 
figure chiamala il Perlicari , è prezzo dell'opera il dire dei 
pregi onde per essa abbellasi il discorso , e mostrare a un 
tempo i difetti che male adoperandola. Io deturpano. 



DI RETTORICA 27 
40. Primiera mento giova alia lingua , perocché la Meta- 
fora l'arricchisce di parole e di frasi , servendo essa non solo 
a bene e brevemente esprimere certe idee che meglio non 
potrebbonsi, come ne chiarisce il comune uso, allorché dice: 
co//o del piede 0 del vaso, dente della ruota 0 della sega, 
ingegni della chiave, uscir dei gangheri, fare d'ogni erba 
un fascio ec. ; ma eziandio a colorire e lumeggiare delle idee 
intellettuali e morali i più leggieri rilievi , ed altresì le più 
sfuggevoli sfumature; al che certo non basterebbero i soli 
vocaboli propri. Vedasi se con questi polrebbonsi esprimere 
1 diversi modi della mente e dell'animo, con pari brevità 
e chiarezza, che colle metafore concepire, riflettere , .discor- 
rere con profondità , con acutezza ec. ; cuor tenero , puro , 
ardente, freddo, inflessibile ce. Vedasi se senza l'ajuto della 
Metafora, avrebbe potuto il poeta spiegare lo stalo d'una 
mente dubbiosa che brama d'esser chiarita , con più. d'evi- 
denza che colla terzina seguente : 

a Ma io veggi'or la tua mente ristretta 

a Di pensiero in pensier dentro ad un nodo, 
a Del qual con gran disio solver s'aspetta 0. 

(Par., C. VII). 

E non solamente giova a rendere più copiosa la elocuzione , 
ma serve altresì a scolpire talmente le idee , che ce le pone 
come dinanzi agli occhi, e come dice il Perticar! , quasi den- 
tro dell'animo ce le conficca (4). Siane argomento l'esempio 
di Dante , ov'accenna al mistero della SS. Trinila : 

« 0 Trina Luce , che in unica stella 

« Scintillando a lor vista si gli appaga » ec. 

( Par. , C. XXXI ). 

U. fnoltre la Metafora e, come nota Aristotele, fonte 
inesauribile di maraviglioso diletto; perocché agii uomini, 



(1; Leit.al Marnimi, Race, di Leti. Precettive, di P.Fanfani, Edi- 
zione Barbèra , p. 34. 



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28 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

al dire di Tullio > piace d'esser tratti dalla mente ad altro 
da quello che suona il vocabolo , o volentieri contemplano a 
un tempo due cose che hanno tra loro qualche analogìa che 
risvegli idee gioconde, o qualche somiglianza non prima 
avvertila , come fiore dell'età , aurora della vita per gioven- 
tù: ovvero odore di santità , parole di buon sapore, febbre 
d'ambizione ec. E grandissimo diletto porgono altresì quelle 
Metafore che tolte pur da cose piacevoli, le si associano a ciò 
che vogliamo significare, come rosea guancia, splendida, 
gloria, ridente campagna e simili; non che quelle che offrono 
l'intelligibile in forma sensibile, come scorgesi nell'esempio 
del Poeta qui sopra addotto, e in quest'altro che tra'suoi 
mille trascelgo, ov'insegna non essere che ignoranza o errore 
ogni altra scienza che non viene da Dio : 

o Lume non è , se non vien dal sereno 
a Che non sì turba mai , anzi è tenèbra , 
a Od ombra della carne , o suo veleno d. 

(Por., C. IX). 

12. Finalmente oltre che all'eleganza , serve anche al de- 
coro, modestamente velandosi per la Metafora ciò che non 
può dirsi aperto senza offendere il pudore e la convenienza. 
La vereconda poesia e la sacra eloquenza se ne giovano 
all'uopo con molto bel garbo, siccome quando questa parla 
di tassa Babilonese, di gìgli maculati, di talami offesi, quella 
dice col Petrarca : 

a Ricordati che fece il peccar nostro 
« Prender Dio per scamparne 
« Umana carne al tuo verginal chiostro ». 

( Canz.a Maria). 

Serve non meno per la sua brevità ed evidenza , non di rado 
alla forza ed efficacia, come sentesi in questa del Poeta: 

« Che se le mie parole esser den seme 

a Che frutti infamia ai traditor ch'i'rodo s. 

( hf., C. XXXIII). 



Dlgilizedby GoOgk 



di rettowca 29 
13. Che se le Metafore bene adoperate aggiungono al 
discorso nobiltà e splendore , ove non s'usino con senno e 
con arte, lo guastano, ed anzi che luce vi spargono fumo. 
Ciò incontra principalmente , quando la Metafora manca del 
suo proprio fondamento che, come sopra si disse, è la somi- 
glianza, o almeno n'è troppo remota; nel primo caso cll'è 
falsa, nel secondo è oscura. Non sapendo io scorgere ana- 
logia tra spada e inebriare, riescemi falso il dire che la spada 
della vittoria inebriò la terra; oscure si parranno per av- 
ventura queste Metafore di conio modernissimo : processi 
dell'intelligenza e del cuore, discendere dalla sfera ideale, 
elasticità di genio ec. , ed altre cotali, fatte calare dallo nu- 
vole del trascendentalismo. 

1 1. Viziosa dipoi si fa la Metafora , 1 se di troppo in- 
grandisce le cose piccole , come chiamando col Marini tesori 
dell'or/ente le lacrime di bella donna ; 2.° se attenua più del 
dovere le grandi , come colui che chiamò le nevi bianchi gì- 
gli delle Alpi, e meglio che non in si balzana Metafora, ap- 
parisce ove per imitare questa bellissima del Poliziano : E le 
biade ondeggiar , come fa il mare , si dicesse : E tremolare 
il mar , come le biade ; 3." Se per isconcia bassezza discon- 
viene alla dignità del discorso, come in quel verso appun- 
tato da Orazio : a Jupiter kiòernas cana nive conspuit alpcs. 
. Del qual difetto non parve a taluno esente il delicato l'e- 
ira rea , ove cantò: Alle Italiche doglie fiero impiastro». 
E più d'una volta pare vi peccasse l'Alighieri , non piacendo 
al Tasso ch'egli chiamasse il sole lucerna del mondo, nò il 
Casa lo loda ove a Beatrice fa dire : 

a L'alto fato di Dio sarebbe rotto 
« Se Lete si passasse, e tal vivanda 
a Fosse gustata , seni" alcuno scotto 

a Di pentimento ». 

[Purg., C. XXX). 

sembrando al primo sentirvi puzza d'olio , di taverna al 
secondo. E se può per il luogo scusarsi la metafora: aver 
brama di tal tigna [ inf. , C. XV } , non pare cosi dell'altra : 



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30 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

iT lascia pur grattar dov'è (a rogna [Par., C. XVII) , essendo 
queste, come dice il Cosfa , immagini sconvenevoli e ple- 
bee: tanto quell'austero ingegno disdegnò talora per l'idea 
fino il decoro della parola. 

15. Nè già sono di buon conio quelle metafore che stanno 
con qualche repugnanza tra lóro. Nè qui citerò quelle strane 
di cbi voleva che i fuochi sudassero a preparar metalli, odi 
chi pretendeva d'avvelenar l'oblio coli' inchiostro , o che l'i'n- 
chiostro illustrasse la porpora, con altre siffatte del secento ; 
ma solo dirò che lo stesso Orazio venne censurato per 
questo verso: 

9 Urit enim fulgore suo qui praegravat artes ». 

(Ep. I, L. li, v. 13) 

dove non ben tra loro concordano le metafore d'abbruciare 
e d'aggravare; che neanche il Petrarca la ove dice che se 
Amore o Morie non gliel impediscono, farà tal lavoro che 
n'andrà fino a Roma la fama , vien lodato per tali metafore 
insieme repugnanti : 

« Se Amore o Morie non da qualche stroppio 
« Alla tela novella ch'ora ordisco, 



« Io farò forse un mio lavor sì doppio 
« Che infino a Roma n'udirai lo scoppio ». 

[San. VII, P. III). 

16. Indire accattano biasimo al loro autore quelle me- 
tafore , le quali si confondono col semplice , come se chia- 
merai stelle gli occhi di bella donna, o fulmine di guerra 
un capitano , e poco di poi aggiungerai che quelle guar- 
dano , che questo trionfò sul carro di gloria : in tal guisa 
ecco guasta tutta la bellezza di quei traslali (1). Dalla qunl 

(1) Una cos'i falla stranezza riscontro nel scguenle Epigramma d'un 
secentista : 

« Deh I Colia alì'om&ra giace I 
« Venga chi veder vuole 
n Giacere all'ombra il sole ». 



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DI BETT0B1CA 3f 
confusione del semplice col figuralo forse non seppe ben 
guardarsi il Tasso medesimo , ove parlando di Silvia da un 
Salirò legala colle slesse sue chiome ad un albero, dice: 

a Già di nodi sì bei non era degno 
a Così ruvido tronco: or che vantaggio 
« Hanno i servi d'amor , se lor comune 
a È con le piante il prezioso laccio? » 

(Am., AH. DI, se. I). 

E di più ; non solo biasimevoli , ma ancora ridicole diven- 
gono, allora che si pretende di trarne conseguenze, come 
se metafore non fossero , ma espressioni di rigorosa pro- 
prietà , attribuendo all'oggetto metaforico le qualità e gli 
effetti slessi del proprio , come nel famoso finale del sonetto 
del Marini per S. Maria Maddalena : 

« Se il crine è un Iago , e son due soli i lumi, 
a Non vide mai maggior prodigio il cielo 
a Bagnar co'soli e rasciugar co fiumi s. 

Ma per non dire di simili mattezzc, che pur frequenti riscon- 
tratisi in certe prose e versi del XVII secolo, accennerò 
solo che di tal difetto trovansi tracce e nel Petrarca, e, 
benché rarissime, nello slesso Ariosto, il quale contando 
d'una lettera ricevuta del suo Ruggiero da Bradamanle, 
dice : 

a Le lacrime vietar che su vi sparse 

a Che con sospiri ardenti ella non l'arse ». 

(Ori. Fur., C. XXX). 

Che se tali vizj si hanno ancora nei grandi autori, tanto 
più noi dobbiamo star sull'avviso per non cadere in mela- 
foro che vuoi per repugnanza , vuoi per confusione col sem- 
plice, stiano fra loro male d'accordo. 

17. Sono ancora da schivarsi , per quanto si può , quelle 
metafore che a temperarne la durezza o l'ardire han biso- 
gno del quasi, dirò coni ed altri tali raddolcimenti , come 
usò Dante: 



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32 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

« Ma passava m la selva tuttavia , 
a La selva, dico, di spiriti spessi ». 

thf.,C. IV). . 

Ove però non si possa fare di meno non si dimentichi , 
secondo il precetto di Tullio , di rammorbidire con alcuno 
di quei modi il traslato: siane questo un esempio: « trarre 
le ragioni dalle viscere , come suol airsi, dell'argomento ». 

18. Non però basta che le metafore vadano immuni da 
tutti questi difetti, perchè veramente dilettino; fa d'uopo 
altresì che siano adattate al componimento , e soprattuilo 
conformi al gusto della nazione. E primieramente distin- 
guendosi L'elocuzione prosaica dalla poetica in gran parte 
per le metafore , ne segue dover queste pur differire tra 
loro ; onde mentre la poesia le ama ardite e rigogliose, ben 
più rimesso le ama la prosa , sebbene ne' generi più elevati 
talvolta usurpi ancora quelle quasi poetiche. Inoltre anche 
la poesia non le ammette tutte indistintamente ; perocché 
la lirica le desidera splendide e vivaci , l'epica lé richiede 
magnifiche , gravi la tragica , castigate la pastorale; quindi 
avviene che certe metafore, che mal convengono ad un ge- 
nere di poesia , riescono dicevolissime ad un altro , e a 
mo' d'esempio , se la metafora impiastro dispiace nel Pe- 
trarca lirico, appar bella nel Rosa ■ satirico , ove dice: 

o A chi la povertà filt'ha nell'ossa 
i Refrigerante impiastro è la speranza ». 

(Sai. II). 

Tanto importa aver l'occhio a' luoghi, come assennatamente 
diceva il Davanzali. 

19. In secondo luogo devesi por monto che le metafore 
siano accomodate all'indole della lingua e al gusto della 
nazione. Ogni clima ed ogni terreno ha i fiori e i fruiti 
suoi propri , che tratti solt'altro cielo non sempre fan buona 
prova; così certe metafore e certi modi di dire che sono 
pieni di naturalezza , di garbo e d'efficacia in una lingua 
e appresso un popolo , in altra riescono o strani , o ridicoli , o 



DI II ET TOH ICA 33 

freddi. La poesia biblica imprime un non so che di grandioso 
e spiccato nelle sue immagini mercè di certe metafore ar- 
ditissime , le quali per noi sonerebbero sconce ed ingraie, 
come per es., inebriato sagittas meas sanguine (/s,, C. XXI) ; 
Domimo excitatus est, tamquam polena crapulatus a vino 
{Sai. LXXVII) ; Anima mea liquefitela est [Cani., C. V). An- 
che tra i Latini se ne riscontrano parecchie, le quali troppo 
fedelmente tradotte per noi riuscirebbero difformi , come : 
hebescere acKffl auctoritatis ; campos talis aere secabant ; 
Cererem corruptam undis; gravem stomachum Pelidae; a te- 
nero lingue, ed altre mille (1). Peggio poi adoperano coloro 
che per malvezzo d'imitazione tolgono immagini e metafore 
dallo opere di oltremonle e d'oltremare , come già fecero gli 
Ossianeschr, che dall'Ossian volgarizzato dal Cesarotti tol- 
sero , quali ghiotte squisitezze, questi ed altri simili modi : 
Figlio del canto, figli dell'acciaro, gran signor de'brandi, ro- 
tola la morte, urlano i torrenti ec. Siffatte metafore son belle 
ove nacquero; per noi riescono ampollose e ridevoli (2), 
e per di più guastano la lìsonomia della lingua e della let- 
teratura italiana. 

20. Finalmente è da notarsi che, sebbene le Metafore 
siano giuste , convenienti ed appropriate , richiedono ancora 
opportunità e parsimonia, perchè non sappiano d'affettazione 
e d'inutile sfoggio. Cicerone diceva: « verecunda debel esse 
« translatio, ut deducta esse in alienimi locum , non ir- 
« ruisse videatur (3) ». E tale è appunto, quando appari- 
sce naturale ed opportuna, cioè richiesta dalla chiarezza, 
dal decoro , dall'eleganza. Al Muratori sapeva d'ostenta- 
zione il vano uso che il Pallavicini fa delle metafore in que- 



lli La descrizione dal corpo umano che leggesi ne] Timeo di Pla- 
tone, e della divina da Longino; eppure vi sono Melafore che per la 
delicatezza della nostra lingua sembrerebbero strane, quali sono : Ca- 
tullo il capo , (Simo il ' cu ll o T'arpioni le vertebre , Sondalo -del le vene 
il cuore , ed altro cotali. - V, ComrcEiIt, Delia losc. RtSquema , Gior- 
nata HI, Disc. % 

(2) Costa, Eloc, P. I. 

(3) De Orai., Lib. Ili, c. 4). 

3 



34 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

sta sentenza: « La corteccia del viaggio fu il visitai' la 
a duchessa , ma la midolla fu il trattar col papa (1) ». Al- 
trettanto diremo del Bartoli, ove dice : « Chiamò a consulla 
i pensieri nella camera della mente ». Siccome la troppa luce 
abbaglia ed offende , cosi le troppe Metafore offuscano il di- 
scorso e lo rendono sazievole ; di qui la ragione del precetto 
di non affastellarle o incrocicchiarle di soverchio, come no- 
tasi aver fatto alcuna volta Orazio stesso e il Petrarca , seb- 
bene ambedue di finissimo gusto. L'abuso delle metafore , 
poi fu strabocchevole nel secento , tanto che il Rosa so ne 
burlava in quel celebre verso della Sat. II: 

« Le Metafore il sole han consumato » ; 

nò il settecento seppe fuggirlo abbastanza , come apparisce 
negli stessi Filicaja, Guidi, Frugoni (per non dire degli Arcadi), 
i quali pure si mostrarono dimentichi del salutare nenimis, 
comecché meglio castigali. A fine di serbare pertanto ancora 
in questo quell'aurea sobrietà che rende s\ cara la elocuzio- 
ne, studiati quanto sai e puoi, di congiungere alla casta 
semplicità del trecento la nobile splendidezza del cinque- 
cento , se non vuoi per troppo amore di eleganza , che a te 
pure sia detto come a colui che dipingendo un'Elena aveala 
sfarzosamente vestita : Non sapesti farla bella , l'hai falla 
ricca { Fifa d'Apelle }. 

21. E qui mi scusi Poinore per le buone lettere italiane, 
se più che non si suole, mi sono traltenuto intorno alla Me- 
tafora. È certo che dal retto uso di questa in grandissima 
parte dipende la buona elocuzione : e difatto le stranezze 
secentistiche null'allro sono per Io più che abusate meta- 
fore; e quel parlar vaporoso, e come diceva il Giusti, tutto 
frasi aeree, che in cerle prose e versi dell'età nostra s'in- 
contrano, non è che un miscuglio di nebulose metafore, che 
nella caligine^avvolgono idee e concelti. Pertanto il mostrare 
pio. ampiamente ai giovani la natura e l'uso della metafora , 
acciocché meglio ne distinguano la bellezza , e fuggendo i 

[*) Slor. del Cene, di Tr. , G. Ut. 



DI RETTO BICA 33 
delirj passali e le fantasticherie presenti , sappiano con di- 
scernimento e buon gusto ad esempio de'grandì scrittori 
adoperarla, parventi far loro utilissima cosa, perchè tengo 
per verissimo ciò ch'allri disse , che chi sa ben usare le Me- 
tafore, sa ancora essere buon poeta e buon oratore (11. 

g. 2. Della Metonimia, dell' Antonomasia o dell'Epiteto. 

22. I Greci chiamarono Metonimia , e i Latini Denominalo 
quel traslato onde nominatisi le cose per qualche loro stretta 
affinità o attinenza; quindi se fondamento della Metafora 
si vide essere la somiglianza , quello della Metonimia è la 
relazione. Colai mutamento di nome poi allarga o ristringe 
il significato delle cose. Essa si fa 1.° nominando la causa 
invece dell'elio, come: ma negli orecchi mi percosse un 
duolo ( Dan. ) , e viceverso ; lai' è : Dopo lunga tenzon ver- 
ranno al sangue (Dan.); 2° ponendo il contenente per il 
contenuto, come: S' Affrica pianse', Italia non ne rise (Petr.); 
o questo per quello, per cs. : Vident simul arma jacerc , Vina 
simul ( Virus.); 3.° nominando il possessore per la cosa pos- 
seduta: Jam proximus ardet Ucalegon (Vinc); o il p7 - o(e(- 
tore per la cosa protetta, come: Ed ha falli suoi dèi non 
Giove e Palla, ma Venere e Bacco (Por. ); o il Fiume per 
la nazione, per es. : Piacemi almen eh' e' miei sospir sien 
quali Spera '1 Tevere e l'Arno (Petti.); o il tempo per gli 
uomini in esso vissuti , come : Il trecento diceva , il quattro- 
cento sgl-ommalicava , il cinquecento chiacchierava, il secento 
delirava , il settecento balbettava (Alf. ); i.° nominando il 
segno per la cosa significata, per cs. : La reverenza delle 
somme chiavi (Dan. ) ; o l'autore per l'opera, come: Non è 
il suo studio nò in Matteo nò in Marco (Amos.) ; ovvero la 
materia ond'ò falla la cosa, o Io stromento che serve alla 
azione, tali sono: Et moestum illacrimat templis ebur, aera- 
que sudan t (Virg,): Ed in sua vita Fece col senno assai 
e colla spada (Dan.); finalmente nominando l'astratto per 
il concreto, come: Sì eh" io fui sesto fra cotanto senno (Dan.). 



[4] leti. Prec, op. clt., p. WS. 



36 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

23. Molto somigliante alla Metonimia e di pari effetto è 
Y Antonomasia , detta dai Latini Pronominatio , che consiste 
nell'adoperare il nome appellativo o patrio , invece del pro- 
prio , come quando dicesi V Apostolo per S. Paolo , il Filosofo 
per Aristotele, il Poeta per Dante, il Venosino per Orazio. 
S'usa talvolta chiamare col nome di quei che fu sommo in 
qualche arte o scienza , chi in quelle pur si distinse , come 
VApelte o il Sofocle italiano per Raffaello e l'Alfieri, il Plinio 
francese per Buffon ; altrettanto dicasi delle virtii e dei vizj, 
chiamando Curj e Fabrìzj gli ottimi cittadini, Mecenati i pro- 
iettori delle lettere e delle arti , e via discorrendo; e molto 
leggiadramente se ne valse il Foscolo Ih dove accennando ai 
Poemetti del Panni, dice: 

a E tu [ Talia ) gli ornavi del tuo riso i canti 
a Che il Lombardo pungean Sardanapalo ». 

2i. Molto affine a queste due forme di traslati e quella 
dell' Epiteto , esprimendosi per questo non solo le qualità 
delle cose , ma altresì ora la causa, come: Cura ambiziosa, 
voglia avaro; ora l'effetto, quale sarebbe: Cupidigia cieca, 
bianca paura ■, ora il modo , per es. : Vegliate o dotte carte ; 
ora finalmente le circosfanjae , come: Dure, illustri porte , 
purpurei tiranni ec. Aggiungi che l'epiteto spesso esprime un 
concetto storico o morale, come: Veterna Roma, la feroce 
Numanzia , V infida Cartagine, la paziente Sparta, la molle 
Capua , lWoja Napoli , la bellicosa Germania ec. Spesso 
ancora esprime l'eccellenza delle cose , designandole per 
qualche particolar luogo o persona; tali sono gli epiteti: Ibe- 
riche lane, Tirio ostro, Ircana tigre , Indica gemma, ,4ra&o 
incenso, Cipria nave, scultura Michelangiolesca, grazia 
Raffaellesca e via discorrendo. 

25. Qui però giova notare che la poesia ne suole esser 
più larga che non la prosa , siccome quella che ama di me- 
glio lumeggiare e immagini e concetti collo splendore degli 
epiteli. Se non che eziandio in poesia fa di mestieri usarli 
con senno e misura, come adoperarono i Greci e i Latini, 
dai quali i nostri pure appreser quest'arte, che consiste pri- 



DI RETTO RICA 



37 



mieromente nella opportunità, perchè non pajano oziosi; 
nella giustezza, perche non riescano oscuri; e soprattutto 
nella sobrietà, perchè colla loro ridondanza ingombrando 
le sentenze, non rendano freddo e pesante il discorso. Senza 
le quali condizioni meglio giova all'efficacia la semplicità 
degli antichi, che il lussureggiar de'moderni, come sentesi 
negli esempj che qui poniamo a riscontro : 

Dahie, hf., C IX. 

« 0 voi che avete gl'intelletti sani , 
« Mirate la dottrina che s'asconde 
« Sotto il velame degli versi strani ». 

Frugoni , Epist. al Bajardi. 

« Ben sordo alle sue note il volgo ignaro 
a Rado intese, o non mai qual sieda, e dentro 
« I sacri ornati carmi alto s'avvolga 
« Saper che ad arte agli occhi suoi si vela ». 

Boccaccio , Giorn. VII. 

« Ogni stella era già delle parti d'oriente fuggita , se 
« uon quella sola la quale noi chiamiamo Lucifero, che an- 
« cor luceva nella biancheggiante aurora. 

Autore secentista riportato dal Ranalli. 

h Non ancora i solleciti galli destata avevano la sonnac- 
« chiosa aurora, nè l'innamorata stella df Venere paventava 
« di essere de'suoi amorosi furti accusata dai risplendenti 
« raggi del rinascente giorno ». 

g. 4. Della Sineddoche. 

26. Altra forma del traslato è la Sineddoche che differisce 
dalla Metafora e dalla Metonimia, in quanto che quelle hanno 
per principal fondamento la somiglianza e la relazione, que- 
sta ha il più e il meno , consistendo Dell'osar vocaboli di si- 
gnificazione particolare in senso generale, e viceversa, come- 
nominando il tutto per la parie, 0 questa per quello; cosi 



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38 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

adoperò il Petrarca freddo anno per verno , e Dante ove dice : 
Risposi lui con vergognosa fronte, invece di volto; ovvero 
ponendo il genere per la specie, o la specie per il genere, 
come appresso Virgilio : Quadrupedemque citum ferrata calce 
fatigat , o dove invece d'ogni vento ei dice : £oco foeta furen- 
tibus austrt's; o finalmente usando il plurale per il singolare 
c viceversa , come Cicerone ove dice : Stultos Curios , Fa- 
bios , Camillos, nosmetipsos eie. : o il Petrarca : Ma se il la- 
ttilo e il Greco Parlaìi di me dopo la morte, è uh vento. 

27. E qui è da avvertire che si la Metonimia come la Si- 
neddoche sono molto comuni al poeta, e l'oratore se ne vale 
anch'egli , ma piii riserbatamente. Inoltre ben c'insegna il 
Costa, che esse addivengono viziose, quando l'immagine 
della cosa da cui toglìesi la parola non ben s'associa alle 
idee che voglionsi in altri risvegliare. Notisi quanto destra- 
mente Virgilio dipinge una nave veieggiante per alto mare , 
della quale da lungi non scorgesi che il gonfiar delle vele e 
lo spumeggiar delle onde, allorché dice: 

« Vela dabant loeti, et Spumas salis aere ruebant (1) ». 

E d'egual tempra sembra a me il verso del nostro Poeta : 

« Secando se ne va l'antica prora ». 

i ktf. , C. vili ). ' 

Cambisi vela e prora, e tosto sparirà il perfetto accordo 
che vi ha tra le idee e l'immagine che ivi si rappresenta. 

g. 4. Della Iperbole. 

28. I Greci chiamarono Iperbole quella forma di trnslato 
che consisto nel dare olle cose un' immagine Iragrandc co» 
colori tolti da ciò che ha in sò del maraviglioso e dello straor- 
dinario , onde può dirsi ancora una Metafora esagerata. Di- 
fatto ella è naturale al pari della slessa Metafora , e si ode 



(1) Eloc, P. r. 



DI RETTORICA 39 

i» bocca del popolo in mille suoi modi proverbiali , che son 
tutti evidenza e vivacità , come : In un baleno, volar come 
il vento, come il pensiero, toccar il cielo con un dito, dello 
fatto , andar co pie di piombo , a passi di formica , esser 
lutt'occhi e tutl'orecchi ec. 

29. L'Iperbole, d'ordinario nasce dalla immaginazione o 
dalla passione vivamente riscaldate , le quali amano di di- 
pingere le cose non quali sono, ma quali in quel concila- 
mento loro appariscono, Non per questo essa distrugge la 
verità , ma come noia il Salvini (1) , è simile alle statue co- 
lossali . che nella loro smisuratezza hanno misura, e nel 
trapassare che fanno la proporzione, la conservano, non 
sfigurando, ma solo ingrandendo le forme. Il perchè può 
stabilirsi per canone dell'arte nostra, esser l'Iperbole una 
fantastica esagerazione del vero, entro i confini d'una certa 
proporzione. I secentisti (salvo sempre i bei nomi d'un Ga- 
lileo, d'un Bartoli, d'un Segncri e d'altri valentuomini che 
pure in quell'età furono delle lettere nostre sostegno e splen- 
dore) per quello slesso famelico che rendevali nelle Melafoijj 
audacissimi, travalicavano pure i giusti limiti dell'Iperbole, 
e colla smania di poggiare per questa via al maraviglioso ed 
al sublime, cadevano nell'ampolloso e nel ridicolo, fino a 
dire che il Campidoglio sudò sotto boschi di palme, che il 
mondo s'accecò ne'lampi degli eroi , che un Mongibello ardente 
di sospiri asciugò il mondo in ogni parte ove fu pianto per la 
morie del Bembo, ed altre tali e si strambe mattezze. 

30. Iperboli sì sperticate originavano da una soverchia 
amplificazione del traslato. Difatto i sospiri, a mo'd'esempio, 
hanno un alcun che di simile al vento e al fuoco; ma se gì' in- 
grandisci fino a dar loro l'azione vera di questi , posi sul 
falso e cadi nel ridicolo. Nella Iperbole adunque allienti 
ad una giusta proporzione; rammenta che lavori su d'un 
traslalo ; che scherzi, quasi non dissi, coll'inverisitnile : 
però va'eauto , non spingerti più del dovere per non dar nel 
freddo o nell'ammanierato ; usala con sobrietà , e dove pro- 
prio si richiede, cioè quando veramente l'immaginazione e 



(*) Lez. I al Son. L'alto Fattore 6C. 



40 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

la passione gagliardamente concitate, la fan parer giusta 
e naturale. Nelle descrizioni , per esempio, di cose che forte 
eccitano la fantasia, come battaglie, tempeste, terremoti, 
possono adoperarsi iperboli alquanto spesso e vive ; nel tu- 
multo di grandi affetti , il cui linguaggio è naturalmente 
iperbolico, ben si convengono quelle ardile e veementi. Cosi 
l'esperienza e l'esempio de' sommi scrittori apertamente c'in- 
segnano. 

Iperbole descrittiva. 

« . . . . Horrificis tonat Aetna ruinis, 
« Interdumque atram prorumpit ad aethera nubem, 
« Turbine fumai) tem piceo et candente favilla 
e Attollitque globos flammarum , et sidera lambii n. 

{Am., L. III). 

Iperbole passionata, 

t Poco sofferse me colai Beatrice, 
« E cominciò , raggiandomi d'un riso 
« Tal, che nel fuoco faria l'uom felice ». 

I Par., C. VII). 

5. 6. Della Perifrasi. 

3). La Perifrasi, o circonlocuzione è una più ampia me- 
tonimia , la quale con un giro di parole descrive la cosa 
senza nominarla, dipingendola pe'caralteri suoi proprj ; 
il perchè vi si richiede somma precisione a fine di cessare 
ogni ambiguità. Il Petrarca che descrive l'Italia con un'esat- 
tezza senza pari, ove dice : II bel paese Che Appennin parte, 
il mar circonda e l'alpe , non mi sembra abbastanza felice 
nella seguente perifrasi : Poi vidi quella che mal vide Troja. 
Qui la mente erra tra Elena e Pentesilea, che questa mal vide 
Troja , perchè vi mori , quella perche fu cagione dell'eslermi- 
nio dell'infelice città. Oltre di ciò vi si ama la brevità , chè 
le troppo stemperate nuocono alla forza del discorso , avver- 
tendo col Colombo che coi vocaboli propri e'si paga, come 
dire , in oro, e in un attimo si dà mollo; colle molte parole 
significanti una sola idea , sì dà lo stesso in men buona mo- 



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DI HETTOIUCA 41 
neta , e ci si mette più ài tempo. Mentre Dante usa il nome 
proprio , dicendo : Facean sonar lo nome di Maria , odasi 
quanto per significar con perifrasi Io stesso nome riesce lan- 
guido il Boccaccio : « Lei nomò del nome di Colei che in sè 
« contenne la redenzione del misero perdimento , che addi- 
« venne dell'ardilo gusto della prima madre ». Finalmente 
oltr'esser brevi e precise, vogliono le Perifrasi esser anche 
opportune , chè ove appariscano esser fatte a sfoggio d'inge- 
gno, sanno d'affettazione; nè piacciono se , anzi che nobili- 
tare l'idea, la sfregiano. Tale a me sembra quella cbe Dante 
fa del Paradiso : . * 

« Che lecito ti fìa l'andare al chiostro 
a Nel quale è Cristo abate del Collegio ». 

( Purg. C. XXVIÌI). 

32. La ben locala Perifrasi poi aggiunge al discorso e 
splendore e decoro. Giova difatto a serbar reverenza alle 
cose, come fa Dante, che invece del Nome Santissimo di Dio, 
si vale a significarlo di bellissime circonlocuzioni , quali tra 
le altre sodo: 

« Colui lo cui saver tutto trascende ». 

« Mi volsi a Quei che volenlier perdona ec. (1) ». 

Per essa si rattempera l'acerbezza delle cose in sè spiacevoli, 
come in Livio si legge che C. Vibio esortasse i compagni a 
bere il veleno, guardandosi dal dire che ne morrebbero, 
ma significando Io stesso con questa ingegnosa Perifrasi : 
« Ea polio corpus ab cruciatu , animum a contumelìis, ocu- 
<t ìos et aures a videndis audiendisque omnibus acerbis in- 
k dignisque, quae manent victos, vindicabtt » {Hist. L. XXVI). 
Serve altresì a mantenere il decoro e il pudore in cose cui 
disconverrebbe esprimere coi vocaboli propri; onde Virgilio 

(1) V. Teooomia Danlesca , ove si registrano 72 modi a significare 
Dio e suoi attributi. Appendice alla Letture di Famiglia , V. II , N." * , 
p. 42. Firenze, Tip. Galileiana. 



■12 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

parlando dello Arpie dice : foedissima ventris proluvie* , 
e Dante con assai di verecondia lutto esprime, dicendo: 

« Ou^ 1 ' è l'anima antica 

a Di Mirra scellerata , che divenne 

a Al padre, fuor del drillo amore, amica ». 

[M/I, C. XXX). 

Giova finalmente a dare maestà alle cose, come fa Virgilio là 
ove canta di Fabio: 

« Tu Maximus ille es 

« Unoa qui nobis cunclando reslituis rem ». 

[Acn., L. VI ). 

non che a dipingere con piii vivi colori le immagini , come 
vedesi nei seguenti esempi : 

Mezzodì d'Eslatc ( Vino., Geor., L. IV ). 

« ,Iam rapidus (orrens sitientcs Sirius Indos 
o Ardebat coelo , et medium Sol igneus orbem 
« Hauserat; arebanl herbae, et cava (lumina siccis 
« Faucibus ad limum radii tepefacta coquebant ». 

Sera d'EstMQ {Inf. , C. XXIV ). 

e Quando il villan che al poggio si riposa, 
a Nel tempo che Colui che 'I mondo schiara, 
« La faccia sua a noi lien meno ascosa, 

a Come la .mosca cede alla zanzara , 
« Vede lucciole giù per la vallea, 
« Forse cola dove vendemmia ed ara ». 

33. Assai frequente è presso i poeti questo traslato che 
tanta vaghezza accresce alla elocuzione; più raro e più ri- 
stretto s'incontra presso gli oratori, avvegnaché di siffatta 
maniera ornamenti meglio si convengano alla splendida 
poesia , che non alla severa oratoria. È da avvertire però , 
che n'è grandemente schiva la poesia del cuore, perchè, 



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1)1 BETTOBiCA 43 
corno noia il Tasso , l'affetto per la parte della elocuzione . 
richiede proprietà e null'altro [Leti. Poet.). 

g. 6. Dell'Ironia e del Sarcasmo. 

3i. Se per le due forme di traslafo ora discorse allargasi 
il concetto, per Y Ironia, per V Allegoria e per l'Enigma di 
cui siamo per trattare , si vela ad arte e si restringe. E di- 
ialto, incominciando dall'Ironia , questa consiste nel valersi 
di parole di lode che vuoi dal tono della voce, vuoi dal con- 
leslo , rivelano un finissimo biasimo sotto di quelle coperto. 
Quando vi si usa invece del mal nome il buono , chiamasi 
ancora Antifrasi, com'è nel saluto Tereuziano al servo che 
aveva fatto mala guardia del figliuolo: Salve , bone vir, cu- 
rasle proiW; e nell'Ariosto, ove Polinesta al comparire di 
vecchio barbogio esclama: Ve' che galante giovine! ed altri 
modi siffatti che odonsi tutlodt nella bocca del popolo. Di tal 
natura sono eziandio le seguenti : 

Giunone a Venero (Vmg. , Ann., L. IV). 

« Egregia™ vero laudem , et spolia ampia refertis , 
« Tuque, puerque luus: magnum et memorabile nomen, 
« Una dolo Divam si foemina vieta duoruui est ». 

A Firenze ( Dante , Purg. , C. V ). 

« Or ti fa lieta, chè tu hai ben onde: 
« Tu ricca, tu con pace, tu con senno, 
o S'io dico ver, l'effetto noi nasconde ». 

3o. L'Ironia poi, nel suo piti ampio significato, appar- 
tiene, com'altri disse, alle ragioni del ridicolo; ma chi l'ado- 
pera , se mostra sulle labbra il sorriso , ha l'ira de'generosì 
nel cuore, null'altro proponendosi che' di riprendere con essa 
il vizio, e scuoterne i viziosi, o se altro non può, segnare 
almeno le codarde brutture d'ogni maniera, col marchio d'un 
disdegnoso dispregio. Socrate ne fu maestro, adoperandola 
condita d'arguto e fino lepore contro i Sofisti; e Tullio la 
chiama genits perelegans , et cum gravitale salsum (Oiut. . 



44 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

L. II, c. 67). Vuoisi però che l'Ironia sia breve, perchè 
Torte colpisca; non maligna , non petulante, e soprattutto 
non 'frequente ; ma onesta, dignitosa, urbana e ben cal- 
zante. Grandmarle adunque abbisognò al Parioi , perchè si 
.bellamente conducesse it suo mìrabil poema delle Parti del 
Giorno, ove dice il Giusti, una fina e tremenda Ironia pas- 
seggia da un capo all'altro. Guai a chi volesse con ìmpari 
forze imitare l'esempio ! Vedasi ora, come Cicerone adoperò 
contro di- Godio l'Ironia, e con quanto sottile acrimonia 
l'usò Dante contro i Capetiogi ( Purg. , C. XX ). 

« Sedstulli sumus, qui Drusum, qui Africa QUO) , Poro- 
si pejum, rtosmelipsos cum P. Clodio conterrò audeamus. 
* Tolerabilia illa fuerunt: Clodii mortem aequo animo ferre 
a nemo potest. Luget senatus , moeret equester ordo ; tota 
n civitas confecta senio est; squalent municipia ; afflictan- 
« tur coloniae: agri denique ipsi tam beneGcum, tam sin- 
a gularem, tam mansuetum civem desiderant » (Pro Milone). 

« Lì cominciò con forza e con menzogna 
« La sua rapina ; e poscia per ammenda 
a Ponti e Normandia preso e Guascogna. 

« Carlo venne in Italia, e per ammenda 
« Vittima fe'di Corradino, e poi 
a Ripinse al ciel Tommaso , per ammenda ». 

Lo stesso Poeta coll'esempio c'insegna che non nelle parole 
soltanto , ma ancora in certi atti della persona , coi quali 
quelle sì accompagnano, s'acchiude un'acerba Ironia, come: 

« Vegna il cavalier sovrano , 

« Che recherà la tasca coi tre becchi ; 
« Quindi storse la bocca , e di fuor trasse 
" « La lingua , c'ome bue che '1 naso lecchi d. 

{h{., C. XVII]. 

. 36. Quando a beffarde parole si rende più beffarda ri- 
sposta , l'Ironia diviene Sarcasmo. Ad Argante che avea 
chiamato Tancredi forte uccisore di donne, questi risponde: 



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DI RETTORICA 45 

a Vieni in disparte pur tu che omicida 
a Sei de'giganli solo e degli eroi: 
< L'uccisor delle femmine li sfida ». 

E sa pure d'amaro Sarcasmo quel verso , ove Dante punge 
l'avarizia di M. Crasso , toccando dell'oro colatogli nella go- 
la, dopo che gli fu recisa la testa » : 

« 0 Crasso , 

« Dicci , chè '1 sai , dì che sapore 6 l'oro ». 

iPurg., C. XX). 

§. 7. Dell'Allegoria e dell'Enigma; 

37. V Allegoria h un sottil velo sotto del quale si na- 
sconde un senso diverso da quello che mostrano le parale; 
tjuindi essa altro non è che una continuata Metafora. L'usano 
poeti ed oratori , ora per prudenti riguardi , ora per legge di 
decoro , ora per semplice ornamento ; perchè né lutto può 
dirsi sempre ed aperto, e perchè talvolta grato riesce il. ve- 
dere una cosa attraverso d'un'altra. L'Allegoria dicesi pura , 
ove ai vocaboli traslati non se ne frammischino de'propri, 
altrimenti dicesi mista; e poiché è della stessa natura della 
Metafora, segue di questa le medesime leggi, richiedendo 
del pari somiglianza , convenienza e misura ; nè può, come 
dice Quintiliano, muovere da una tempesta per andare a 
finire in un incendio ( Lib. Vili , c. 6 ). Ecco esempj d'Alle- 
goria pura. Orazio giustamente riguardoso , rappresentando 
la repubblica sotto la figura di nave malconcia dalla tem- 
pesta , volle esortarla a quietarsi dalle civili discordie: 

« O Navis , referent in mare te novi 
« Fluctus. O quid agis? fortiler occupa 
a Porlum etc. » 

(Od. XIV, L. I). 

Il Perticar!, parlando della lingua italiana, graziosamente 
adorna il suo concetto con questa leggiadra Allegoria. « Cosi 



16 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

it al modo do'saggi coltivatori (gli eccellenti Italiani) fecero 
« più bella e magnifica quesla pianta , levandole d'intorno 
a molte vane frasche e dannose , recidendone i rami già 
« fatti secchi e da fuoco, e innestandovi alcuni altri tolti 
« dai tronchi greci e latini , i quali subito vi si appresero , 
« e tanto felicemente si fecero a! tutto simili al tronco Ìta- 
li liano, che più non parvero rami adottivi , ma naturali (1 ; ». 

A 'quali esempj altri due n'aggiungeremo d'Allegoria mi- 
sta. Cicerone nell'Orazione contro Pisone cosi dice: « Nequo 
« taai fui timidus , ut qui in maxìmis lurbiuibus ac flucti- 
« bus reipublicae navem gubernassern , salvamque in porlu 
« coilocassem, frontis tuae nubeculam, aul collegae tui con- 
« taminolum spiritum per horres cere m. Alios ego vidi ven- 
ti tos; alias perspexi animo proccllas; aliis impendcntibus 
« tempesta tibus non cessi ». li Dante così incomincia la 
Cantica del Purgatorio : 

« Per correr miglior acqua alza le vele 
« Ornai la navicella del mio ingegno, 
« Che lascia dietro a sè mar si crudele ». 

38, Finalmente VEnigma e un'Allegoria più oscura, nella 
quale, come ben nota il Ranalli (2), vogliamo meglio esseri; 
indovinati che intesi ; e cita ad esempio il famoso Veltro di 
Dante. Si riferiscono all'F.nigma quei colali componimenti 
che sotto un velo più o meno denso nascondono d'ordinario 
una semplice idea-, tali sono gl'Indovinelli, ì Logogrifi ec. , 
che per verità poco approdano all'onor delle lettere. ' 

Art. 11. - Dello Figuro. 

39. Abbiamo parlato dei Traslati: resta ora a dire delk; 
Figure, cui i Greci chiamavano schemi, quasigestus orationis, 
come Tullio spiegava. li poiché il gesto aggiunge anima alla 
parola, cosi il parlar figurato accresce efficacia ai pensieri. 

. ii) Degli .scrittori del trecento, Lib. II, c. XI. 
(i; Principi di Bolle Leti., ?. I , c. 2. 



M REI TOBI C A 47 
vivezza alle immagini e calore agli affetti. Se non che come 
il gesto vuol esser naturale, conveniente e sobrio, tale 
pur esser deve l'uso delle figure ; perocché se l'uno e l'altro 
rendono col difetto languido il discorso , coli'eccesso lo de- 
formano. Le figure pertanto sono quelle varie forme di locu- 
zione, che sebbene dettale in certi casi dalla slessa natura , 
tuttavia si scostano dall'uso comune ed ordinario del dire. 
Ve ne sono alcune che semplicemente consistono o nell'ag- 
giunger parole , o nel sopprimerne alcune , o nella loro col- 
locazione', e queste nascono o da un movimento dell'animo, 
o da un certo amor d'eleganza. Tali sono il Pleonasmo, \'El- 
lissi, il Polisindeto, l'Asindeto, la Sinonimia, la Zeugma, 
VApozeugma, V Isocolon, i Parifìnienti , i Pariconsonanti , e la 
Paronomasia. Altre sono vere e proprie figure , delle quali 
la naturai sorgente sono l'immaginazione e la passione, 
e non di rado l'una e l'altra insieme, e queste sono: La Com- 
parazione o Similitudine, l'Esempio, V Antitesi e Parallelo, 
la Ripetizione, la Gradazione e la Congerie, il Dialogismo o 
Sermocinazione , {'Interrogazione e Soggiungimento , la Comu- 
nicazione, la Correzione, la Dubitazione, la Sospensione, la 
Reticenza, la Prolepsi o Preoccupazione , la Concessione, la 
Preterizione, la Preghiera, l' Imprecazione , l'Esclamazioni- 
ed Epifonema, V Enfasi, V Impossibile, Vfpotiposi, la Proso- 
popea, l'Apostrofe, la Visione, l'Accumulazione. Parleremo 
ora in due distinte Sezioni paratamente di tutte queste va- 
rie forme delle figure. 

Sezione I. 

g. I, Del Pleonasmo e dell'Ellissi. 

40. II Pleonasmo è sovrabbondanza di parole, che ben 
usato da vezzo al discorso , e porta seco un esprimer piii al 
vivo. È comune il dire: L'ho veduto con quest'occhi, t'ho udito 
con quest'orecchi ; e chi cosi parla, intende di dar forza al 
concetto, nò male si appone. Ero pei Latini d'efficacia e ve- 
nusta il dire , come fa Virgilio : Sic ore loquutus; voccm his 



48 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

auribus fiatai etc. , com'è per noi: Qual io mista; tu tene 
fai beffe tu ec. Fuggansi però quei pleonasmi dove il di più 
è veramente ozioso , come in. questo del Boccaccio : Muover 
le palpebre degli occhi. 

il. V Ellissi ai contrario è figura d'abbreviamento, con- 
sistendo nel tacere alcuna parola o per impeto di passione, 
come in quel luogo ove Niso esclama: Me, me, odsum qui 
feci, ov'è taciuto occidite {Aen. , L. IX ); o per consiglio 
di verecondia , come io Dante ; 

a Non v'era giunto ancor Sardanapalo 
« A mostrar ciò che in camera si puote ». 

( Par , C. XV ). 

ove si sottintende commettere; o finalmente per isquisitezza 
d'artifizio, come appresso lo stesso: 

« E come quei che con lena all'annata 
« Uscilo fuor del pelago alla riva, 
u Si volge all'acqua perigliosa , e guata ». 

{/»/:, c. i ).. 

Non dice che cosa et guati, e non dicendolo quante idee non 
risveglia in chi legge ? ( Colombo , Lez. II ). 

Il Pleonasmo, siccome prossimo al vizio, non è si fre- 
quente iie'buoni scrittori; rada è ancora l'Ellissi come figura 
reltorica , chè come grammaticale e usilalissima , come ad 
ogni tratto e leggendo, e più ancora parlando, s'incontra. 

§. 2. Del Polislndelo e dell'Asindeto. 

42. Chiamasi grecamente Polisindeto o Asindeto la ripe- 
tizione o soppressione delle copulative. La prima suol farsi 
quando vogliamo porre sotto gli occhi altrui con rapida suc- 
cessione gli oggetti.; la seconda , quando vogliamo fermare 
l'altrui attenzione sopra ciascuno di essi. Sono esempi del 
Polisindeto e questo di Virgilio: 



di rettomca 49 

» RuU oceano nox 

.« lnvolvens umbra magna lerramque, polumque, 
* Jlyrmidonumque dolos. 

(Ann., L. II). 

V. questo del Casa: « I posteri udiranno le opere vostre, 
'i a tutte ad una ad una le sapranno, e. com'io spero, le ap- 
« proveranno tutte, .siccome diritte e pure e ciliare e grandi 
« e meravigliose » [Graz, a Carlo V). Sono esempj dell'Asin- 
deto e il famoso veni, vidi, vici di Cesare , e il verso in cui 
Virgilio descrive Polifemo : a Monslrum horrendum , informe , 
« ingens , cui lumen adempiimi n (Aen. . L. Ili ) , e questa 
sentenza del Guicciardini: « Grandissima è, come ognun sa, 
« in tutte le azioni umane la potesti) della fortuna : ma ine- 
« stimabile , immensa , infinita ne' fatti d'arme e (Star. d'Ita- 
lia ., L. Il ). 

g. 3. Della Sinonimia e della Zeugma ed Apozcugiaa. 

43. Queste tre figure sono molto nelle delizie degli ora- 
tori , siccome quelle die aggiungono spirilo e veemenza al 
discorso. La Sinonimia difatti consiste nell'unire più parole 
quasi. dello slesso significato, in modo peraltro sempre cre- 
scente , come a meglio ribadire il chiodo, li notissima quella 
di Cicerone contro Caldina : Abiti, excessit, evasit, erupit. 
Aggiungo l'esempio che ne porge il Segncri : a Sempre teme, 
sempre palpita, sempre trema (Pred. XXX, n. 10). E Al- 
berto Lollio in lode dell'Eloquenza : <t Senza l'ajuto di que- 
ir sia nobilissima facoltà non è arie alcuna che possa com- 
« piutamentc il suo ufficio eseguire , anzi sono tutte mutole, 
a senza lingua, senza voce e senza spirito ». 

44. La Zeugma si forma coll'apporre a più sentenze un 
solo verbo, come il Casa nell'Orazione alla Repubblica di Ve- 
nezia : « Temo uon le mie laudi sieno da molli reputale lu- 
ti singhe , e la mia verità bugia, e la mia gratitudine in- 
o ganno ». L'uose mi; ma al contrario si fa distinguendo più 
sentenze con opporre a ciascuna di esse un verbo partico- 
lare, quando con un solo e comune potevano conchiudersi; 



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50 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

cosi adopera Cicerone ove dice di Pompeo: a Ut ejus sempei- 
« voluntalibus non modo cìves assenserint, socii ottempera- 
li verini, hostes obedierint, sed etiam venti tem pesta lesque 
« obsecundarint » {Pro lega Manilio,). 

§. 4. Dell'Isocolon , dei Parifìnienti , dei Poricon sonami 
o dello Paronomasia. 

45. A certe squisitezze- d'elocuzione, che i retori riscontra- 
rono di bella efficacia nei grandi oratori , assegnarono un 
luogo tra le figure d'ornamento, e chiamarono fsocolon quella 
che dà a'membretti d'un periodo quasi un'egual misura 
e termine con una certa armonica uniformila ; il perchè assai 
giova al numero dell'orazione, salvo che nè troppo spesso 
ricorra , nè v'appaja ricercatezza. Così il Casa nell'Orazione 
in lode di Venezia: « Ch'io conosca adunque le magnanime 
« virtù della vostra patria, mi dee ciascuno attribuire a 
« ventura; e che io' Io approvi, a bontà; e ch'io presuma 
« di poterle acconciamento narrare altrui, ad onoro; e 
« che in ciò fare mi affatichi , a gratitudine ». 

46. Chiamarono poi Parifìnienti quella figuro , ove ciascun 
membretto delia sentenza, termina con parola dì medesimo 
caso, tempo e persona , come vedesi in questa di Cicerone : 
a Ad hanc amenliam natura peperit, volunlas exercuit, for- 
ti tuna servavit » ( In Catil.); e parimente in questo del Casa: 
« Anzi è il dimorare appo voi a ciascuno chi ch'egli sia per 
« la vostra possanza sicuro , e per la vostra dovizia comodo, 
« e per la vostra mansuetudine dilettevole » (Orazione a 
Carlo V). Dissero Pariconsonanti quella ove ciascun mem- 
bretto chiudesi con parola che termina con egual suono. Ecco- 
ne un esempio tolto dalla Filippica IY di Cicerone: « Hac vir- 
" tute majores vostri primum universam Italiani devicerunt, 
« deinde Chartogincm excùkrunt, potenlissimos reges , bel- 
ìi licosissimas gentes in dilionem hujus imperii redegerunt ». 

47. La Paronomasia, detta ancora Alliterasione , consìste- 
nell'usar parole di suono simile, o solo differente per alcuna 
vocale, com'è in quel verso del Tasso: « Rapido disserra 
a La porta, e porta inaspettata guerra » [C.ervs. , C. XX): 



DI RETTORIE A 51 
e parimente ove Cicerone dice: a En, cur magisler ejus ex 
oratore arator factus sìfc » {Filipp. III). Avverti però d'es- 
ser molto sobrio nell'uso dì queste figure, e specialmente 
le due ultime schivale quanto più. sai, perchè i Pariconso- 
nanti per noi sanno troppo di ritmo poetico, e la Parono- 
masia è un giuoco di parole da usarsi soltanto ov'è luogo 
di facezie. Da quest'ultima difatti par che nasca ciò che 
chiamasi Bisticcìo, che quanto in certe cose da scherzo suol 
riuscire brioso, purché con sobrietà e naturalezza introdotto, 
altrettanto riuscirebbe in coso gravi biasimevole. Sono tol- 
lerabili in Ennio e in Dante, perchè devesi aver riguardo^ 
all'età in cui scrissero, i seguenti: 

« 0 Titc tute Tali, libi lanla lyranne tulisli d. 

(Esmo — ). 

« Io credo ch'ei credclLe ch'io credesse ». 

[ Inf., C. Xlll ). 

Di molta vaghezza poi riesce, perchè usato a tempo e a luogo, 
questo del Lippi : 

« Ben tu puzzi di pazzo , che è un pezzo , 
« Disse Pìuton , bcsliaccia , per bisticcio ». 

IMaimanMe. Canlarc Vi). 

S EZIO. ve II. 

g. 1. Della Comparazione o Similitudine. 

48. La Comparazione o Similitudine si fa paragonando 
una cosa ad un'altra a fine di meglio chiarirla o adornarla (I). 
Ora per l'analogia che questa ha colla Metafora , ne segue 

(1) « . . .. .c queslo fa per ornare il dello suo , o per renderlo più 
- approvato, o per darlo ad intendere meglio, e per farlo sì aperto 
<■ rome ae in presenzia e dinanzi agli occhi dcll'udilore sì il facesse ». 
F. Gcidotti, Fiore di Retiorica , Tr. II, %. M. 



53 



DF.LLI3 ISTITUZIONI ELEMENTARI 



le medesime leggi , la prima delle quali è la somiglianza; 
non sì però che le cose paragonate debbano strettamente 
insieme convenire nella loro esteriore apparenza , bastando 
che convengano negli effetti che nell'altrui mente d'ordina- 
rio producono (1). Tal' è questa di Dante, ove i termini dcllii 
comparazione sono ben mollo diversi ; 

or Chè l'uso de'mortali è come fronda 
t In ramo, che sen va ed altra viene ». 

I Par., C. XXVI). 

49. Conviene però che le comparazioni non si tolgano 
da oggetti che siano o troppo remoti, o consimili, o usati 
soverchiamente; perocché i primi per la debole e mal nota 
attinenza spargono ombra piuttosto che luce; i secondi rap- 
presentando quasi la slessa cosa , non giovano nè alla chia- 
rezza ne al diletto; gli ultimi rendono fredda e poco gra- 
devole la comparazione , perchè da troppi usata , è ornai 
divenula logora, come quella del leone, della tigre, del 
torrente ec. Se non che ove questi stessi oggetti si sappiano 
rappresentare con una cert'ario di novità , possono anch'essi 
formare tuttavia materia a piacevoli similitudini. Tal'è la 
seguente ove Dante dipinge la postura dell'ombra di Sordello : 

o Ella non ci diceva alcuna cosa ; 
' Ma lasciavane gir solo guardando 
« A guisa di leon , quando si posa ». 

[ Purg,, C. VI ]. 

E qui noterò di passala che , siccome lo scorgere le attinenze 
delle cose sotto aspetti non prima osservati è proprio del 
genio , questo appunlosi manifesta nella novità delle com- 
parazioni; quindi Omero e Dante ancora in queste si mo- 
di ■ E non fa bisogno che la similitudine che sì pone, sia per 
« ogni cosa simiglinole alla ro;a a che si assomiglia ; ma solamente a 
(erta cosa, cioè a quella che fa prò ni dicitore che la pone ». F. Goi- 
toTTi, loc. cit. 



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DI RlìTIOaiCA 53 

strano sommi e quasi sempre originali ; perocché se il Gl'eco 
studiò da gran maestro ìa natura , l'Italiano talvolta la sor- 
prese, quasi direi, ne'suoi slessi misteri. Colui pertanto che 
sa accortamente spigolare in così fatto campo, può tuttavia 
irar bella materia a similitudini splendide e nuove. 

òO. Finalmente la comparazione , olire ad essere oppor- 
tuna , perchè non comparisca oziosa , dev'essere adattata al 
subbìelto, tendendoa viepiù magnificarlo, se nobile; a viepiù, 
ingentilirlo, se leggiadro; a farlo più spaventoso, se lerri- 
bile. Quasi ogni genere di componimento se ne adorna e in 
prosa e in verso; solo è da avvertire che , poiché il soffer- 
marsi a riscontrare i varj punti di rassomiglianza fra due 
oggetti è proprio delia mente quand'è in calma, però le 
lunghe e formali comparazioni disdicono, ove la passione 
predomina ; laonde viene appuntalo il Metaslasio d'aver tal- 
volta posto in bocca a persone da gagliardi affetti concitato 
tali comparazioni, leggiadrissime in se stesse, ma 1\ dove 
sono, inverisimili. Dilani la poesia drammatica , e in gene- 
rale la passionata, sta contenta a queste semplici similitudini: 
Come fblgor ratti; or più che tigre mi s'avventa adirata; 
guai uom conscio a sè stesso in core , ed altre simiglianti, 
com'è da vedersi nell'Alfieri. Ora porremo esempj di com- 
parazione formale, a Ut saepe homines aegri morbo gravi 
« cura aeslu feerique jaclanlur, si aquam gelidam bibcrint, 
« primo relevari videntur; deinde multo gravius, vchemen- 
« liusque afflictanlur; sic hic morbus , qui est in republica , 
« relevalus islius poena, vehementius vivis reliquis ingra- 
« vescet » (Cic. , In Calilinam. ). 

* Quale i fioretti dal notturno gelo 

a Chinali e chiusi, poiché 'I sol gl'imbianca, 
o Si drizzan tulli aperti in loro stelo, 

« Tal mi fec'io di mia virtute stanca ». 

[ Iaf., C. 11)- 



Si 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



g. 2. Dell* Esempio. 

51. Questa figura ha qualche affinila colla similitudine,, 
perocché io sostanza s'adduce in esempio il detto o il fatto 
di persona autorevole, applicandolo al caso nostro, a fine 
di trarne argomento a noi favorevole, per l'analogia che 
vi riscontriamo. Gli oratori, massime i sacri , se ne valgono 
assai , come di figura di grande convincimento; nò i poeti 
se ne mostrano schivi , dove faccia loro buon giuoco. Tra ì 
primi vedete quanto destramente se ne vale Cicerone contro 
Catilina : « Etenim si sureimi viri et clarissimi cives Sa- 
li lumini , et Gracchoruin , et Flacci , et superiorum corn- 
ei più riunì sanguine non modo se non contaminarunt , sed 
« eliam honestarunt ; vercndum certe mihi non crat, ne 
a quid hoc parricida civium interfecto, invidiae .mihi in po- 
li sieritatem redundaret t; e tra i secondi Dante: 

t Deh ! or ini di' quanto tesoro volle 
e Nostro Signore in prima da San Pietro 

« Che ponesse le chiavi in sua balia? . 

« Certo non chiese se non : Vienimi dietro, 
e Ne Pier, nè gli altri chiesero a Mattia 

a Oro o argento , quando fu sortito 

« Nel luogo che perde l'anima ria ». 

[Inf., C. XIX). 

g. 3. Dell'Antitesi e del Parallelo. 

52. Come la comparazione e l'esempio si formano pei 
simili , cosi pei conlrarj l'Antitesi, consistendo nel contrap- 
porre o parole a parole, come: privatus illis census erat 
brevis , commune magnum [ Or. Od. 15, L. II ) ; ovvero con- 
cetti a concetti, come Cicerone : « An vero vir aniplissimus 
e P. Scipio, poutifex maximus, Tib. Gracchum, mediocriler 
« labefaclanlem stalum reipublicae privatus inlerfecit : Ca- 
ci lilinam vero, orberei terrae caede atque iucendis vastare 



DI RETT0R1CA 55 

a cupicntem , nos consules perferemus? e; o finalmente 
immagini a immagini, come nell'Alighieri: 

a Li precedeva al benedetto vaso 
« Trescando alzato , l'umile Salmista , 
a E più e men che re era in quel caso. 

a Di conlra effigiala, ad una vista 
« D'un gran palazzo, Nicol ammirava 
a Si come donna dispettosa e trista ». 

[Purg., C. X). 

53. Questa figura , rendendo piii nettamente spiccale 
per ii loro contrapposto le idee, aggiunge forza e vivezza 
al discorso; vuole però esser breve, rada, calzante e na- 
turale , altrimenti ristucca e sa di ricercato, come ogni altra 
cosa ove l'arte s'appalesa. Gli ottimi scrittori ne trassero 
buon effetto, perchè appunto ne furono parchi, e perche 
più che nel contrapposto delle parole, ne riposero la bellezza 
in quello delle immagini e dei concelti ; arie , come già fu 
detto (1), difficilissima, e per cui solo può meritare l'ag- 
giunto che le fu dato di bellissima Ira gli ornamenti della 
eloquenza (2). Ma quelle antitesi di parole , dove apparisce 
più d'ingegno che di giudizio, meritano, come dice il Co- 
lombo, d'esser mentovale a solo fine di screditarle; chè i 
giovani han bisogno di chi li distorni dalle cose la cui ap- 
pariscenza può avere forza di sedurli (3) ; e a porre in mala 
voce questa figura molto valse l'abuso che se ne fece da 
quei secentisti, che idolatri del Pelrarca, non seppero le 
vere bellezze, ma si i di felli , e massime questi, imitarne. 
Dopoché' dalla penna di quest'amabile poeta caddero le an- 
titesi: 0 viva morte, o dilettoso male. Rime aspre e fosche 
far soavi e chiare , ed altre colali ; fu creduta l'antitesi no- 
bile palestra dell'ingegno, e versi e prose ne ridondarono, 
si che talora avevano sembianza del caos ovidiano , dove 

(1) Giusti. Vita del Parini. 
(2; S. Asostino. 
(3,i Lez. cit. 



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56 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

« Frigida pugnabant calidis, humeniia siccis , 

« Mollia cum duris, sine pendere habentia pondus ». 

( Jfe/., L, 1). 

I retori chiamano Parallelo quella figura che consiste nel 
porre in bilancia due cose diverse per rilevarne la diffe- 
renza. Assaissimo se ne giovano gli oralori e gli storici , e ce- 
lebre è quello che i! Machiavelli pone per proemio al Lib. Ili 
delle Istorie: a Le inimicizie che furono nel principio in Roma 
« intra il popolo e i nobili , dispulando, quelle di Firenze 
n combattendo si diflinivano. Quelle di Roma con una legge, 
« quelle di Firenze con l'esilio e con la morte di molti cit- 
« tadini si terminavano. Quelle di Roma sempre la virtù 
« militare accrebbero, quelle di Firenze al tutto la spensero. 
« Quelle di Roma da una ugualità di cittadini in una disu- 
« guaglianza grandissima quella città condussero: quelle 
n di Firenze da una disuguaglianza a una mirabile ugualità 
« l'hanno ridotta n. 

55. Correndo grande affinità Ira V Antitesi e il ParaRelo, 
hanno comuni tra loro alcune regole, cioè che le parole si 
corrispondano in certo modo tra loro , come se dirai : l gio- 
vani amano il linguaggio dell'immaginazione, non soggiun- 
gere : L'età senile preferisce quello della ragione ; ovvero : La 
ricchezza è oggetto d'invidia; i poveri di compassione, dovendo 
contrapporre vecchi a giovani, povertà a ricchezza. Richiedcsi 
puro una certa corrispondenza ne'membretti che stanno in 
contrapposto, si veramente che nasca naturale e senza 
troppo artifizio. Eccone un bell'esempio tolto dall'Orazione 
che M.Rinaldo degli Albizzi , capo de'fuorusciti Fiorentini, 
disse al duca di Milano per indurlo a prender l'armi in fa- 
vore di quelli: « Tu movevi adunque le armi nelle passate 
« guerre contro a tutta una città ; ora contro ad una mi- 
« nima parte di essa le muovi : venivi per torre lo Stato a 
« molli cittadini e buoni ; ora vieni per tórlo a pochi e iri- 
« "sii : venivi per tórre la liberta ad^una città, ora vieni 
« per rendergliene » (Machiavelli. Star. Fior.). 



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m nEiToniCA 



S7 



8 i. Della r.ipetlztona. 

56. Quesla figura , opportuna metile usata , aggiunge 
assai forza al discorso , perocché la stessa voce ripetuta più 
volte è, come dice il Colombo, quasi colpo replicato di mar* 
tello che ficca più addentro il chiodo. Ora si fa raddoppiando 
di seguito la slessa parola, a viemeglio affermare e confor- 
tare, e cosi chiamasi ancora Conduplicazione; e tali sono: 
Nos , nos , dico aperte , consitles desumus ( Cic. }. Non son 
colui , non son colui che credi ( Dante ). Dunque cke è ? 
perchè, perchè ristai? (id). Ora si fa ripetendo la stessa 
parola al principio d'ogni membretto del periodo, come: 
o Nihiine te nocturnum praesidium palati! , nihil urbis 
(r vigiliae, nihil timor populi , nihil consensus honorum 
cr omnium , nihil hic niunifìcenlissimus habendi senatus 
a locus, nihil horum ora, vultusque moverunt? a (ClC. in 
Catti. }. 

57. Alla ripetizione assomigliasi in parto ciò che dicesi 
lìipigliamento , che consiste nel ripigliare al principio d'un 
membretlo della sentenza la stessa parola onde termina il 
precedente, come in quest'esempio di Dante: 

a Luce inlellellual piena d'amore , 
a Amor dì vero ben pien di letizia , 
b Letizia che trascende ogni dolzore e. 

(farad., C. XXX). 



g. 5, Della Gradazione e della Congerie. 

58. La Gradazione , detta dai Greci climas (scala), sale 
o scende, com'è l'occorrenza; dove convien che salga, fa 
d'uopo che delle cose che tu nomini , la seconda sia mag- 
giore della prima, la terza della seconda , e cosi delle altre, 
in modo che l'ultima sta maggiore di tutte. S'adopera al con- 



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58 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

tra rio, se non conviene che scenda. E questa una figura di 
molta forza , e se ne valgono volentieri gli oratori. Siano 
d'esempio quella notissima di Cicerone : a Facinus est vincirc 
» civem romanum; scelus verberare; prope parricidium lie- 
ti care , quid dicam incrucem tollero? » (In Verrcm.). Bella 
è pur questa che usò Calilina presso Sallustio, nell'arringa ai 
soldati , presso ad attaccar la battaglia : i Quapropter vos 
<i moneo uti forti alque parato animo silis, et quum prae- 
a lium inibitis, memincritis vos divilias, decus , glorìam , 
a praeterea liberlatem alque patriam in dexlris portare ». 

59. Molto somigliante a questa figura è quella detta di 
Congerie, che è quell'accumulati che fa l'oratore, special- 
mente in sul chiuder dell'orazione , di più. cose insieme in 
modo sempre crescente, a fine di destar più vivo in altrui 
l'amore o l'odio per qualche cosa o persona. Alberto Lollio 
per farci meglio amare la lingua nostra molto opportuna- 
mente se ne valse dicendo: o Essendo adunque la lingua 
« toscana la piii bella , la più nobile , la più ornata , la più. 
« usata , la meglio intesa e la più perfetta di tutte le altre 
a che vivono , e vedendo voi qualmente non solo tutte le 
« accademie d'Italia, ma eziandio tutti gli uomini di scienza 
n e d'ingegno e di giudizio eccellenti, di lei onoratamente 
« parlando e scrivendo, per tale la conoscono; ed avendo 
e io già manifestamente mostrato in quanto grande errore 
« incorrono tutti quelli che abbandonando lei che è nostra 
« propria c naturai favella, colle straniere espongono i loro 
a pensieri: volgetevi, volgetevi allegramente con acceso 
« desio al bello e prezioso acquisto ». 



g. 6. Del Dialogismo, o Surmocìnaziooc. 

60. Il Dialogismo è quella figura, onde s'introduce altri 
a parlare tra loro o con noi , e perchè meglio che altrove , 
riesce gradilo ne' componimenti familiari, non di rado s'in- 
contra nelle Epistole e nelle Novelle. Eccone duo graziosi 
csempj , d'Orazio l'uno, del Eocaccio l'altro. 



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DI BETrQBICÀ 59 

a Caluber Vescere , Sodes. 

Hospes. Jam satis est. 

Cataber. Al tu quantum vis lolle. 

Hospes. Benigne. 
Calaber. Non invisa feres pueris munuscula parvis. 
Hospes. Tarn teneor dono , quam si dimitlar onuslus. 
Calaber. Utlibct; haec porcis hodio comedendn relinquis; » 

(Ep. VII, Lib. 1 1. 

a 0, disse Calandrino, cotesto è buon paese; ma dimmi: 

n che si fa de'capponi, che cuocon coloro? Rispose Maso : 
Mangiansegli i llaschi tutti. Disse allora Calandrino : Fo- 

« stivi tu mai? a cui Maso rispose: Di' tu s'io vi fu'mai? 

n Sì vi sono stalo cosi una volta come mille. Disse allora 

» Calandrino : E quante miglia ci ha ? Maso rispose: llacce- 

a ne più di millanta o (.Voi;. Ili, Gior. 8). 

§. 7. Delta In [err opzione e del Soggiuneimenlo. 

Gì. Chiaro s'intende non essere la Interrogazione una 
lìgura rellorica , quando non serve che a dimandar per sa- 
pere , come quando Farinata interroga Dante : Chi far li 
maggior lui? ma sibbeno ella e tale, e bellissima ed usiiata 
presso oratori e poeti, quando si adopera a dar anima, 
veemenza e concitazione al discorso. In parecchi casi ricorre 
naturalmente e con molta efficacia questa figura; 1." Quan- 
do l'oratore certo della verità di ciò che dice , vuole altri 
convincerne per via di domanda, quasi, sicuro che chi 
ascolta debba assentirvi ; cosi Cicerone contro Caldina : 
« Quam multos fuisse putatis , qui , quae ego deferrem , 
« non crederent? quam multos , qui propler stullitiam non 
« putarent? quam multos qui etiam defenderent? quam 
'< multos, qui propler improbitatem faverent? » 2." Quan- 
do mira a stringer l'avversario sì che non trovi, o assai 
difficilmente , scampo a difesa ; cosi lo slesso Tullio contro 
Tuberone : « Quid cnim tuus ilio , Tubero , dislrictus In 
a acie Pharsalica gladius agebat? cujus lalus mucro ilio 
« petebat? quis scnsus erat armorum tuorum? quae tua 



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60 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

« mens, oculi , ardor animi? quid cupiebas? quid opta- 
li bas? » 3." Quando s'adopera a mo' di rimprovero.o d'ec- 
citamento, corno Venere a Giove: 

« Hic pietatis bonos? Sic nos in sceptra reponis? » 

{Acn., Lib. 1). 

e Virgilio a D'ante : 

« Dunque che è ? perchè , perchè ristai ? 
« Perche tanta villa nel cor alleile? 
« Perchè ardire e franchezza non hai? n 

ihf., C. 11). 

i.° Quando finalmente sgorga dall'anima da'più gagliardi 
affetti commossa. Odasi con quanta veemenza scoppia la in- 
dignazione del Console contro Caiilìna in queste interroga- 
zioni : « Quousque tandem abulere, Catilina, patientia no- 
« stra ? quamdiu nos eliam furor iste tuus eludei? quem 
« ad fìnem sese effraenala jactabit audacia? » Sentasi 
l'affannosa ansietà d'un padre nelle seguenti : 

« Di subilo drizzato , gridò : come 
a Dicesti egli ebbe? non viv'egli ancora? 
« Non fere gli occhi suoi lo dolce lome? » 

il„f.,C. X). 

Sentasene in ultimo la disperazione. 

a Ahi ! dura terra 1 perchè non t'apristi? » 

llnf.. C. XXX11I]. 

62. Talvolta alla Interrogazione si fa succedere la rispo- 
sta , la quale dicevasi dai Latini Sttbjectio, che vale Soggiun- 
gimento. Un tal modo ha molla forza a convincere; ond'è 
mollo in uso specialmente presso gli oratori e i poeti didasca- 
lici. Eccone gli eseuipj: « Quid tandem ìmpedit te? mosne 
« majorum? at persaepe eliam privati in hac republica per- 
ii niciosos cives morte muliarunt: an leges, quae de eivium 



ti RETTORI CÀ 61 
« romanorum supplicio rogatae sunt? at nunquam in hac 
k urbe ii , qui a Bepublica defecerunt , civium jura lenue- 
« runt: an invidi am posterìtatis limes? praeclaram vero 
'c populo romano rcfers gratiam ce. » (In Catil.). 

« E che , dira lalun , muovi tu pure 
« Sull'orme de' romantici ? su quelle 
« Del gran Torquato io movo. Il suo poema 
« Guardò l'opinion de'padri nostri . 
a E fu maraviglioso : ornar le carie 
« Rivinti di fole antiche? a te noi vieta 
« Lo ragion , pur che tu l'uso ne faccia 
a Che si fa delle fole. Allegorie 

« D'alti pensier sien elle d 

f Cosi*, Serm. IV). 

S. 8. Della Comunicaitone. 

63. Quando l'oratore è intimamente e a buona ragione 
persuaso , che il detto o fatto suo sia secondo giustizia e 
verità , suole appellarsi al giudizio di quelli stessi a cui 
parla, chiedendo loro consiglio o approvazione, e questo 
artifizio oratorio dicesi Comunicazione. Bella e vivace figura, 
ma gran senno ci vuol nell'usarla, acciocché non partorisco 
effetto contrario a quello ricercato. Ecco come l'usa destra- 
mente Cicerone. « Sed quid ego argumentor? quid plura 
« dispulo? te, Q. Petilli , appello, optimum et forlissimum 
« cìvem ; le, M. Calo, testor, quos milii divina quaedain 
•i sors dedit judices d (Pro Mil. ). E Dante pur l'usa, la 
ove Beatrice lo punge rimproverandolo. 

a Di', di', se questo è vero: a tanta accusa 
a Tua confession conviene esser congiunto ». 

\Purg. C. XXXI]. 



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DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



g, 9. Della Correzione. 

64. La Correzione consiste nel far mostra di disdirci , 
per quindi soggiungere di piti , e fare con tal artifizio più 
scolpilo nell'animo altrui la sentenza. Cosi l'adoperò Cice- 
rone contro la impudenza di Catilina : « Hic lamen vivit: 
« vivit? immovero in Senalum venit «. E Dante: 

« E non mi si partia dinanzi al volto, 
a Ami impediva tanto il mio cammino ». 

I taf. c. I ). 

§. 10. Della Dubitazione. 

65. Tra gli artificj oratori evv ' P ur questo , di mostrarsi 
incerti e perplessi intorno a ciò che è da dire o da lacere, 
non meno che per ciò che sia da fare: la qual figura chia- 
masi Dubitazione. Perchè din apparisca spontanea, l'obbielto 
che ci tiene intra due, dev'esser veramente di rilievo, e 
por ogni Iato arduo c scabroso , altrimenti diventa una 
puerilità. Cicerone, de! quale come d'Omero, può dirsi tal 
molitur inepte , mollo a proposito l'usa nella Verrina VII. 
« Quid agam, judices? quo accusationìs meae rationem 
e conferam ? quo me vertam ? ad omnes enim meos impe- 
ti tus , quasi murus quidam , boni nomen imperatoris op- 
ti ponilur ». 

66. E non è solo un artificio oratorio; ma talora ell'ò 
altresì figura di passione, e vcemenlissima; c prende forma 
e linguaggio di disperato dolore dond'ella nasce. Odasi in 
queste parole di C. Gracco: a Quo me miscr conferam? 
« quo me vertam? in Capiloliumne ? at fralris sanguine 
« redundat. An domum ? malremne ut miseraci lamcnlan- 
« lemque vìdeam et abjcclam ? » Parole che strapparono, 
a testimonio di Tullio, le lacrime agli slessi nemici del Tri- 
buno (I). E nota ò pur quella pietosissima che fa Didone 
in mezzo alle smanie del crudele abbandono. 

(I) De ora!., L. Ili, Cap. 5i. 



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DI BETTORlCA 6.1 
a En, quid ago? rursus ne procos irrisa priores 
« Experiar? Nomadumque petam connubia supplex, 
« Quos ego sim toties jam dedignata maritos? 
n Iliacas igìlur classes, atque ultima Teucrum 
« lussa sequar ? . . . . » 

« Quid lum?sola fuga nautas comilabor ovanlcs? 

« An, Tyriis omnique marni stipata meorum 

« Inferar? et, quos Sidonìa vix urbe revelli, 

« Rursus agam pelago, et ventis dare vela jubebo?» 

{Aea,, l, VI). 

g. U. Della Sospensione. 

67. Molto somigliante alla dubitazione è questa figura 
per la quale il dicitore presso a contar cosa per se mara- 
vigliosa ed incredibile, a meglio procacciarsi attenzione e 
fede, mostrasi alquanto incerto se parlar debba o lacere. 
Cos\ Enea presso a dire clic dalla tomba di Polidoro usci- 
rono gemiti e parole, s'interrompo esclamando: 

« (Eloquax, an sileam?) gemitus lacrimabilis imo 
« Auditor tumulo, et vox reddita fertur ad auros ». 

{Aen,, L. 111). 

E il Monti nella Basvilliana : 

« Perocché dal costoro empio furore 

« A gittar strascinato (ahi I parlo o taccio?) 
ti De'ribaldi il capestro al mio signore, 

« Di man mi cadde l'esecrato laccio s. 

[ Can. I ). 

68. La figura di Sospensione poi giova anche più , quando 
e adoperato a toner per alcun tempo sospesi gli animi de- 
gli uditori; accennando loro cosa di molto rilievo, e indu- 
giando a manifestarla, perchè più vivamente sorprenda. 
Gli oratori e t poeti, specialmente drammatici, se ne servono 
con molta efficacia. Ne torremo da quest'ultimi l'esempio, 



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64 BÈLLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

che è quello dell'Alfieri, quando Filippo scaltramente s'in- 
finge d'accusar Carlo innanzi ad Isabella del reato di fellonia. 

a . . Delitto 

n Cotal s'aggiungo a'suoi delitti tanti 

« Tale , appo cui tult'allro è nulla ; la!e 

« Ch'ogni mio dir vien manco. Oltraggio ei fammi, 

a Che par non ha; tal, che da un figlio il padre 

« Mai non l'allende; lai, che agli occhi mici 

« Già non più figlio il fa Ma che? tu slessa 

« Pria di saperlo fremi?... Odilo, e fremi 
a Ben altramente poi ». 

[Alt. Il, Su. 2) 

§. 13. Odia Relicenza. 

69. La Reticenza più. che sospensione, è troncamento 
di discorso , e si fa quando vogliamo che gli uditori imma- 
ginino più di quello che noi diremmo a parole. Ove tal 
ligura nasca proprio dall'animo commosso da qualche grave 
cagione, e non se ne abusi, è di mirabile effetto. Chi può 
dire che cosa mai minacci a'venti Nettuno in quel suo celebre 
« Quos ego.... Se4 motos praestat componerc fluctus » (Aen. , 
L. I). É beue lo imitò il Tasso nella minaccia d'Ismeno 
a'dcmonj : 

« Che sì, che sì... Volea più. dir, ma intanto 
a Conobbe ch'eseguito era l'incanto ». 

I Ger., C. Vili). 

lìellissima poi ■mi sembra la reticenza che Dante usa con- 
tro a'due Frali Gaudenti , che furono nel 4266 potestà di 
Firenze : 

« Io cominciai: 0 frati, i vostri mali... 
<• Ma più non dissi n. 

llaf., C. XX111). 



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DI IlETTORICA 



65 



§. (3. Della Pfeoc cu pallone. 

70. La Preoccupazione, detta dai Greci Prolepsis, consiste 
nel prevenire le obiezioni che altri per avventura potesse 
opporre a' nostri argomenti , ed è, quasi non dissi, un por- 
tar le armi fin dentro alle trincee del nemico; se non che 
molta destrezza si richiede, perocché- quanto ha forza a 
convincere adoperata con senno , altrettanto perde di valore , 
se non imbrocca diritto , potendo esser ritorta contro a chi 
l'usa. Di questa figura, la quale è assai familiare agli ora- 
tori , i veri maestri souo i dialettici ■, i relori non possono 
mostrarne che la forma , la quale può riscontrarsi negli 
esempj che appresso. Il primo è del Segneri che l'usa con- 
tro quei che si rifiutano di perdonare a'nemici. « Odo, ei 
a dice, già la scusa che voi mi voleto addurre. Dite che , 
« se non vi fate voi la giustizia di vostra mano, ne va di 
o sotto la vostra reputazione... Sì? grande opposizione, 
a grandissima, non lo niego. .. Ma donde inferite voi così 
« gran discapito della vostra reputazione? perchè le leggi 
« del mondo gridan cosi? ma se noi ritroviamo che persone 
« anche nobili più di noi han praticato questa legge me- 
li desima del perdono, senza che quindi rimanga conlami- 
a nata la loro chiarezza , anche in faccia allo stesso mondo, 
« ci sdegneremo di pralicarla anche noi ? e che ? chiamerete 
e voi dunque infami i Basilj, infami i Nazianzeni , infami 
a gli Alauagj , infami i Grisoslomi , perchè ci lasciarono 
b esempj sì memorabili di perdono? d (Qìiares. , Pred. Ili, 5). 
L'altro è del Tasso , quando l'oratore Alete così parla a 
Goffredo : 

o Tu che ardilo fin qui ti sei condutto, 
a Onde speri nutrir cavalli e fanti? 
« Dirai : l'armata in mar cura ne prende, 
a Dai venti adunque il viver tuo dipende?... 

( Ger. , CU). 



fi 



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66 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



g. li. Della Concessione. 

71. Alla figura precedente si rassomiglia in parte la 
Concessione, perocché se con quella togliamo di mono all'av- 
versario le armi che uniche gli restavano contro di noi , 
con questa simulando di spontaneamente concedergli alcuna 
cosa , quasi l'obblighiamo a rilasciare a noi quanto deside- 
riamo, a meglio strappargli di pugno la vittoria , come fa 
Tullio nel seguente esempio: <r Tribuo Graecis literas; do 
n multarum artium disciplinam ; non adimo sermonis le- 
ti porem , ingeniorum acumen , dicendi copiam ; denique 
« ctiam si qua sibi alia sumunt, non repugno; lestim'onio- 
« rum religionem et fìdem nunquam ista natio coluit » 
(Pro Fiacco). E benché tal figura sembri più da oratori 
che da poeti, pure nè anche a questi disdice, come vedesi 
in Virgilio, ove Didone nota: 

« Veruni anceps pugnae fuerat fortuna. Fuisset. 
« Quem metui moritura ? . . . . 

(Jm., !.. IV). 

li nell'Alfieri, ove D. Garzia così parla a Cosimo: 

« Ucciderai Salvia ti , 

a Forse non reo: nemici altri verranno: 

« Fian spenti? ed altri insorgeranno. - 11 brando 

« Del dilCdar, la insaz'Sabil punta 

a Ritorce al fin contro chi l'elsa impugna » 

{A". I. BC I). 

g. 15. Della Prelatizi □ni'. 

72. Usasi la figura di Preterizione, quando dicesi di vo- 
ler tacere quello che appunto intendesi maggiormente di 
dire ; il qual ornamento del discorso assai giova sia per 
viemeglio velare l'accusa o il rimprovero contro l'avversa- 



DigìlìzedbyGoOgk^. 



DI IÌETT0R1CA 



67 



rio, sia per ragion di decoro o d'artificioso riguardo, a In 
« tal guisa, dice F. Guidoni, si viene meglio a mettere in 
n suspizione l'uditore, e dargli le cose ad intendere (ad- 
ir tamenle, che specificare le cose alla distesa » (Op. cit., 
Tr. I, §. 16 ). - Se ne incontrano esempj presso gli oratori 
ed i poeti. Così Tullio : a Nam ilia nimis antiqua praetereo, 
quod Q. Servilius Ahala Sp. Melium novis rebus studcntcm 
marni sua occidit » (In Catil.). E parimente il Casa: <r Io 
« voglio tacere la compassionevole storia di quella dolente 
a e mendica Reina di Napoli, che egli ha, secondo i suoi 
« difensori dicono, in cortese, ma sterile e perpetuo car- 
« cere tenuta ». Come pure presso Virgilio e l'Alfieri: 

a Quid repetam exustas Erycino in littore classes? 
ii Quid lempestalum regem, ventosque sonantes 
o Acolia exeilos? aut actam nubibus Irim? » 

{Atn., L. X;. 

« Clit Ah ! non più ; taci ; 

a Una madre l'ascolta 
« Pil. È ver, perdona; 

a Io non dirò , corn'ei di sangue il piano 

n Rigasse , orribilmente strascinato. . . 

a Pilade accorse;... invan; ... fra le sue braccia 

a Spirò l'amico d. 

(Or., Att. IV, se. H ). 

g. 16. Della Preghiera. 

73. La Preghiera, ovvero Ossecrazione, si fa allorché o 
confidando nella bontà della causa , o spinti da vivissimo 
desiderio , o dalle angustie di mali gravissimi che si soffro- 
no , o che almeno si temono, imploriamo la clemenza, la 
liberalità o commiserazione altrui , per quanto v'ha di più 
caro e di più venerando in cielo e in terra. Cosi Cicerone 
per il re Dejotaro: « Hoc nos primum metu, C. Caesar, 
« per fidem, et constantiam, et clementiam tuam libera, 
« ne residere in te ullam partem iracundiae suspicemur. 



68 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

a Per dexteram te islam rogo, quam regi Dejotaro hospes 
a hospiti porrexisli: islam, inquam, dexteram non tam in 
ti bellis et in praeliis, quam in promissis et in fido fìrmio- 
« rem o. E Didone appresso Virgilio , cosi pietosamente 
scongiura Enea a non abbandonarla : 

« Mene fugis? Per ego has lacrimas,dextramque tuam te, 
o (Quando aliud mihi jam miserae nihil ipsa reliqui) 
« Per connubio nostra, per inceplos hymenaeos, 
a Si bone quid do le memi, fuil aul libi quidquam 
' a Dulce meum, miserere domus labentis, et islam , 
<i Oro (si quid adliuc precibus locus) exue meatem ». 

iAci., L. IV}. 

Devotissima poi è la preghiera di S. Bernardo alla Vergine 
per Dante : 

o Ed io che mai per mio veder non arsi 
n Più ch'io fo per lo suo, tutti i miei prieghi 
a Ti porgo , e prego che non siano scarsi , 

o Perchè tu ogni nube gli disleghi 
« Di sua morialilà co'prieghi tuoi , 
« Si che il sommo piacer gli si dispieghi. 

a Ancor li prego, Regina, che puoi 

i> Ciò che tu vuoi, che tu conservi saui, 
h Dopo tanto veder gli affetti suoi. 

n Vinca tua guardia i movimenti umani; 
o Vedi Beatrice con quanti beali 
a Per li miei prieghi li chiudon le mani ». 

(Par., C. XXXIII). 

8- 47. Della Imprecazione. 

74. Quando l'animo e gagliardamente concitato da ira, 
da odio , da brama di terribile vendetta , naturalmente pro- 
rompe in parole di tristo augurio contro cui vorrebbesi ar- 
mato e cielo e terra. Di qui la figura detta d' Imprecazione, 
l'uso della quale può solo scusarsi o per la veemenza della 



DI RETTOKICA 69 

passione, o per il profondo sentimento d'una nobile indi- 
gnazione per fatto atroce ed abominando. Gli stessi Profeti, 
tra'quali il mitissimo David, non di rado l'adoperarono con- 
tro l'empia ingratitudine degli uomini. Riuscir!) pertanto op- 
portuna, grave e veemente, se suggerita da forte ed alta 
passione , o da generoso movimento dell'anima, ed espressa 
in modo ardente sì, ma sempre dignitoso. Nè rari sono gli 
esempj; e ^ Eccone uno del Segneri, il quale infiammato di 
santissimo zelo contro chi nega il perdono, prorompe in si 
terribile imprecazione : « Pera il miserabile, pera chi nega 
a a Cristo una domanda si giusta : e questo Sangue che lo 
n dovea salvare, e questo il condanni. Non trovi pietà, non 
n impetri misericordia. Cada egli: prevalgano i suoi nemi- 
« ci . . . si estermini la sua casa: si dissipi la sua roba : si 
« disperda il suo nome » (Pred. Ili, sul fine). E appresso 
Virgilio, dopo aver Didonc imprecato ad Enea e guerra e 
sterminio dc'suoi , e morte immatura, e privazion di sepol- 
cro, soggiunge : 

c Esodare aliquis noslris ex ossibus ultor, 

« Qui face Dardanios, ferroque sequare colonos. 

a Nunc, olim , quocumque dabunt se tempore vires , 

n Li torà litoribus contraria, fluctibus undas 

« Imprecor, arma armis; pugnent ipsique nepotcs ». 

{Aen., !.. IV). 

Notissima è poi quella nuova e terribile di Dante contro ai 
Pisani. 

« Ahi! Pisa, vituperio delle genti 
« Del pel paese là dove il sì suona ; 
« Poiché i vicini a te punir son lenti ,. 
a Movasi la Capraia e la Gorgona, 

« E faccian siepe ad Arno in su la foce, 
« S\ ch'egli anuieglii in te ogni persona ». 

Utif. C. XXXII!). 
75. Appo i poeti vale ancora come forinola di giura- 
mento. Tal'è l'imprecazione che Didone fa contro sè stessa: 



70 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

« Sed roihi vel lellus oplem prius ima dehiscat, 
n Vel pater omnipotensod'gat me fulmine adumbras, 
« Palientes umbras Èrebi, noclemque profundam, 
« Ante, pudor, quam te violo, aut tua jura resolvo ». 

[Ann., L. IV). 

Così Dante fÌDlamente l'usa con Frale Alberigo : 

« Perch'io a lui: Se vuoi ch'io ti sovvegna, 
a Dimmi chi se', e s'io non ti disbrigo, 
a Al fondo della ghiaccia ir mi convegna ». 

[In/-., G. XXXIII). 

§. 18. Della Esclamazione e dell 'E pi fonema. 

76. L' Esclamazione e l'accento dell'anima commossa o da 
dolore, o da paura , o da maraviglia o da ira, e s'accom- 
pagna d'ordinario con una dì quelle particelle aspirafive 
dette dai grammalici interjezioni. Essa vuol esser breve, 
opportuna e non frequente, perchè non riesca inefficace e 
stanchevole. Molti ne sono gli esempj per entro agli autori, 
e basterà citarne alcuni. Piena di dolore è quella, ond'Enea 
parlando d'Ettore apparsogli tutto lacero e sformato , 
esclama : 

i Hai mihi! qualis erat ! quantum mulatus ab ilio 

e Hectore etc a. 

(Aen., L. II). 

Paurosa è questa di Dante : 

o Omè! vedete l'altro che digrigna o. 

Itof., c. XXJtl. 

Esprime maraviglia , ove il Poeta esclama : 

<t 0 dignitosa coscienza e netta, 

a Come t'è picciol fallo amaro morso! » 

(fttrff., C. IH). 



DI RETT0H1CA 1\ 

Finalmente accenna ira, quando prorompe dicendo: 



a Ahi Pistoia, Pistoia! che non stanzi 
q D'incenerarli, si che più non duri, 
a Poi che in mal far lo seme tuo avanzi? s 

(Par., C. XXV). 

77. L'oratore o il poeta , terminalo che ha la esposizione 
di cose d assai grave momento, suole talvolta conchiudere 
con una semenza enfatica per far meglio rilevare delle cose 
narrate o la grandezza, o l'atrocità, o la maraviglia; la 
qual sentenza chiamasi Epifoncma , figura molto simile alla 
Esclamazione, se non che è molto più veemente, e da 
usarsi solo nelle cose veramente gravi e rilevanti. Così Vir- 
gilio, esposte le ragioni onde Enea tanto sofferse prima di 
por piede in Italia, conchiude : 

a Tanlae molis erat Romanam condere gentem ! » 

( Am. , L. I j, 

E parimente Melibeo presso lo stesso poeta, contate le sue 
disgrazie, esclama : 

n En quo discordia cives 

« Produxit miseros 1 en queis consevimus agrost d 
(Bcl.,I). 

E Dante commosso alla vista dei tormenti de'dannali : 

a 0 vendetta di Dio , quanto lu dei 
a Esser temuta da ciascun che legge 
a Ciò che fu manifesto agii occhi miei! » 

(/»/., C. XIV ). 

S- 19. Dell'Enfasi. 

78. V Enfasi molto s'assomiglia ail'epifomena, consistendo 
essa pure in un parlar sentenzioso; se non che più s'accosta 



72 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

al sublime per la vibratezza e concisione ; il porche molto in 
brevi parole esprimendo, scuote gagliardamente l'anima, si 
scolpisce nella memoria, ed investe il pensiero e la imma- 
ginazione. Tal ò l'esempio che leggcsi nell'Autore ad Eren- 
nio (Lib. IV): <t Noli, Saturnino, nimium populi reverentia 
a frelus esse : inulti jacent Gracchi ». E Danto ne porge au 
bell'esempio, ove indignato allo vista degl'iracondi esclama : 

a Quanti si tengono or lassù gran regi, 
a Che qui staranno come porci in brago, 
ii Di sò lasciando orribili dispregi ! o 

{Inf., c. vni ). 

g. SO. Dell'Impossìbile. 

79. Usano talvolta i poeti, più di rado anche gli oratori, 
a meglio accertare alcuna cosa , una specie dì giuramento 
che consiste nel dare per possibili fenomeni per sò slessi 
impossibili, anzi che sia il contrario di ciò che affermano: 
però tal figura dicesi d'Impossibile. Cicerone l'usa dicendo : 
« Trias undaeet flammae in graliam redeant, quam cum An- 
■ tonioRespublica » (Phil. Hi). E Virgilio cosi /adire aTitiro: 

a Ante leves ergo pascentur in aelhero cervi , 
a Et frela destiluent nudos in littore pisces . . . ., 
« Quam nostro illius labatur pectore vultus b. 

(Ed. I). 

E il Petrarca: 

<r Lasso, le nevi fien tepide e nigre, 
« E '1 mar senz'onda, e per l'alpe ogni pesce: 
t Prima ch'io trovi in ciò pace nè tregua n. 
..... ( San, 37 ). 

$. 21. Della Ipoliposi. 

80. Assai dilettevole e leggiadra riesce quella figura detta 
dai Greci Ipotìposi, che consiste nella descrizione di cose o di 
persone si al vivo pennelleggiate, che al dire di Quintiliano, 
cerni potius Videatur, quam audiri. » (Lib. IX, 2). Infatti non 



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DI RETTOHICA 73 
par di vederlo Farinata noi brevi traiti onde lo dipinse il 
Poeta? 

* Non mutò aspetto, 

« Non mosse collo, nè piegò sua costa ». 

(Inf., C. X). 

SI beli' arte, donde deriva tanta evidenza , e nella quale fu- 
rono sommi i classici d'ogni nazione, è opera di felice fanta- 
sia e di buon gusto, mercè di cui con elementi tolti dall'im- 
menso campo della natura, seppero quelli creare immagini 
di cose e di persone vere e parlanti , dando loro colore, ri- 
lievo e movenza con parole proprie ed elette, con epiteti si- 
gnificativi, e con altri bei tratti di pennellate maestre. 

81. E perchè la Ipoliposi descrive luoghi, tempi, fatti e 
persone, viene distinta in varie specie, le quali sono : I To- 
pografia t II Cronografia, III Prammatografia , IV Prosopo- 
grafia, V Etopeja, ed altre di minor conto. Eccone di ciasche- 
duna gli esempj : 

I. Topografia, o descrizione di luogo. 

a Gerusalem sovra due colli è posta 

« D'impari altezza, e vòlti fronte a fronte: 

a Va per lo mezzo suo valle interposta, 

a Che lei distingue e l'un dall'altro monte: 

a Fuor da tre lati ha malagevol costa: 

a Per l'altro vassi, e non par che si monte ; 

a Ma d'altissime mura è più difesa 

« La parte piana e incontra Borea stesa d. 

{ Geriti. , C. Ili J. 

II— III. Cronografia e Prammatografia, o descrizione 
di tempo e di fatto. 

a In quella parte de! giovinett'anno, 

« Che il Sole i crin sotto l'Aquario tempra , 
« E già le notti ai mezzodì sen vanno: 



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74 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

« Quando la brina io sulla terra assempra 
« L'imagi ti e. di sua sorella bianca, 
« Ma poco dura alla sua penna tempra; 

a Lo villanello , a cui la roba manca, 
a Si leva e guarda , e vede la campagna 
« Biancheggiar tutta, ond'ei si batte l'anca; 

« Ritorna a casa, e qua e Ih si lagna, 
« Comc'l tapin che non sa che si faccia ; 
« Poi riede e la speranza ringavagna, 

« Veggendo il mondo aver cangiato faccia 
a In poco d'ora, e prende suo vincastro, 
a E fuor le pecorelle a pascer caccia ». 

( hf. , C. XXIV). 

IV. Prosapografìa , o descrizhn di persona. 

a Fu questo nostro poeta dì mediocre statura; e poiché 
a alla matura eia fu pervenuto, andò alquanto curvetto; 
a ed era il suo andare grave e mansueto; di onestissimi 
a panni sempre vestito in quello abito che era alla sua ma- 
a turita convenevole. 11 suo volto fu lungo, e '1 naso aquili- 
a no, e gli occhi anzi grossi che piccioli, e lo mascelle gran- 
a di, e dal labbro disotto era quello di sopra avanzato. Il 
a colore era bruno; e i capelli e la barba, spessi, neri e cre- 
« spi; e sempre nella faccia malinconico e pensoso » [BOC- 
CACCIO, Vita di Dante). 

V. Etoppja , o descrizione del costume. 

« L. Catilina nobili genere nalus , fuìt magna vi et animi 
« et corporis , sed ingenio malo , pravoque. Iluic ab adole- 
« scenlia bella intestina , caedes , rapinae , discordia civilis 
i grata fuere , ibique juvcntulem suam exercuit. ... Ani- 
a mus audax, subdolus , varius , cujuslibet rei simulator ac 
a dissimulalor, alieni appctens, sui profusus, ardens in cu- 
a piditatibus, satis loquentiae, sapientiao parum. Vastus 
a animus immoderala, incredibiìia, nimis alta sempercupie- 
o bai » (Sàllust., Bel. Catti.). 



DI 11E1T0RICA 



75 



g. 22. Della Personificazione. 

82. La Personificazione , delta dai Greci Prosopopea, con- 
siste nei dare azione , sentimento e discorso a cose inani- 
mate, o ad enti astratti e fantastici, come so persone fos- 
sero vive e reali. Balla immaginazione , che naturalmente 
ama di trasfondere in tutte le cose il soffio della vita, nasce 
sì leggiadra figura. Ella è comunissima a' poeti, come di 
loro diritto; ma non di rado se ne arrogano l'uso anche 
gli oratori , siccome quella che al diro di Quintiliano, rende 
l'orazione non solo svariata, ma eziandio concitala e vivace. 

83. A ben usare di (juesta figura giova la distinzione 
che giudiziosamente ne fa il Blair (Lcz. XVI). La Prosopopea , 
ei dice , ha tre gradi: il primo ed infimo consiste ncH'attri- 
buire a cose inanimate alcuna proprietà di ciò che è ani- 
mato ; laonde può quasi riguardarsi come una semplice 
metafora ; quindi , e in verso e in prosa può indistintamente 
adoperarsi, come sitiunl herbae, prata rident etc. Del secondo 
grado possono dirsi quelle maniero di discorso, nello quali 
vediamo cose inanimate, o enti di ragione operare come chi 
veramente ha vita ; ed una tale personificazione s'addice ad 
ogni genere di componimento , purché non ricorra con troppa 
frequenza e ricercatezza; e di tal natura sono le seguenti: 
q Aliquando gladius ad occidendum hominem ab ipsis por- 
ci rigitur legibus » (Cu», prò Mii). 

« L'erbetta verde e i fior di color mille 

a Pregan pur che '1 bel piè le prema e tocchi ». 

( Petrarca j. 

Il 3." grado finalmente è quello ov'esseri inanimali o ideali 
operano e parlano, nè più. no meno d'esseri vivi e ragio- 
nevoli. Qui veramente si pare la virtù, animatrice della im- 
maginazione ; perocché se ne' primi due gradi dà prova d'un 
certo ardimento dando vita a cose che non l'hanno, in que- 
sto terzo più audacemente s'innalza, e nel suo fervido entu- 
siasmo non solo dà vita e discorso alle cose inanimate, ma 



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76 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

eziandio crea vivi fantasmi, e sotto sensibili Torme dà loro 
atto e persona. Questa specie di personificazione pertanto, 
sebbene se ne adorna talvolta altresì l'oratoria sublime, pure 
è più specialmente propria della poesia, di cui forma in 
gran parte l'ornamento e la vita. Giova ora recarne alcuni 
esempj , e il primo lo toglieremo dall'oratore. Tullio fa che 
la patria cosi parli a Catiliua: « Nullum jam tot aunos 
a facinus extitil , nisi per te : nullum flagilium sine te. 
« Tibi uni mullorum neces , libi vexatio, direptioque so- 
li ciorum impunita fuit ac libera. ... Superiora ilio , quam- 
« quam ferenda non fuerunt , tamen , ut potui , tuli : nunc 
a vero me totam esso in metu propter te unum , quidquid 
« increpuerit , Calilinam linieri : nullum videri contra me 
« consiliuru iniri posse, quod a tuo scelere abhorreat, non 
« est ferendum. Quamobrem discede , atque hunc mihi ti- 
lt morem eripe: si Ycrus , ne opprima r , sin falsus, ut lan- 
•( dem aliquando limerò desinam » fin Caf il. ). 

Venendo a' poeti, Lucano così dipingo Roma che offre si 
innanzi a Cesare per rattenerlo in sul Rubicone: 

a Ut venlum est parvi Rubiconis ad undas, 

« Ingens visa duci palriae trepidanti^ imago 
« Clara per obscuram vulln moeslissima noctem, 
» Turrigero cunos effundens vertice criocs , 
« Caesarie lacera , nudisque adslare lacerlis , 
e Et gemìtu permixla loqui : quo (euditis ultra? 
a Quo fertis mea signa , viri? si jure venilis, 
k Si cives , hucusque licet ». 

(Phan., Lib. I). 

E il Petrarca : 

« Italia, che suoi guai non par che senta, 
a Vecchia oziosa e lenta , 
« Dormirà sempre, e non fia chi la svegli? 
« Le man l'avess'io avvolte entro a'capegli ». 

( Cnns.lll, P. III). 



DI HETTORICA 



77 



S- 23. Dell'Apostrofe. 

Si. L'Apostrofe ha mollo stretta analogia colla prosopo- 
pea; anzi tal fiala non ha luogo che per questa; imperoc- 
ché non solo consiste nel rivolgere il discorso a persone 
estinte o lontane , ma ancora a cose inanimate; o ad enti 
ideali, a cui l'immaginazione nell'impeto degli affetti attri- 
buisce , come a persone, senso ed intendimento. Quando 
l'animo è commosso da qualche violenta passione, nè pos- 
siamo disacerbarla altrimenti , siamo naturalmente tratti a 
■ disfogarci, parlando a' lontani, agli estinti, a ciò che ne 
circonda , o che ha qualche attinenza con ciò che ci agita 
prò lbnd«im ente. Vero e però che talvolta anco narrando o 
descrivendo, ci rivolgiamo a persona lontana , come se fosso 
presente , e questo si fa o per esornazione , o per rianimare 
il discorso, come quando Virgilio tacendo la rassegna delle 
schiere di Turno, dice: 

a Nec tu carminibus noslris indictus abibis, 
a Oebalc etc. ». 

[Aen., L. VII ). 

Ma l'Apostrofe passionala, perchè sia naturale dev'esser 
dettata , anzi quasi spinta sul labbro da un affetto, vivo 
e gagliardo , altrimenti riesce fredda e mendicata ; perocché 
senza una forte passione non si scusa quel rivolgerci che 
facciamo a chi uon può per distanza , per morie o per na- 
tura propria udirci , e che pure chiamiamo a parte dell'af- 
fetto che ci scuote l'anima , per averne o conforto , o ajuto 
o vendetta. Dal che conseguila: 1." doversi l'apostrofe ado- 
perare , quando proprio la passione c'infiamma; Scusarla 
opportunamente , con parsimonia e con brevità. Cosi que- 
st'animata figura prenderà il linguaggio suo proprio, schi- 
verà l'andar per le lunghe, e dietro a minuzie, e sorpren- 
dendo e commovendo l'uditore , renderà veemente ed ellìcace 
il discorso. 



78 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

8b'. Siano di conferma alle regole gli esempi dei sommi. 
Tullio indignato per la empietà di Clodio , così esclama : 
« Vos enim jam , Albani tumuli , atque luci, vos, inquam, 
« imploro atquo obteslor, vosque, Albanorum obrutoe arae, 
« sacrorum populi romani sociae et aequales , quas ille 
« praeceps amenlia caesis, prostra tìsque sa nclissimis lucis, 
a subslructìonum insanis molibus oppresserat » (Pro MiL). 
Cosi Enea sopraffatto dallo tempesta , o disperando salute, 
esclama : 

« ,...0 terque , quolcrque beali, 
a Queis ante ora palrum , Trojae sub moenibus altis, 
« Contigli oppetere! o Danauro fortissime gentis^ 
« Tydide, mene Iliacis occumbere campis 
« lion potuisse? tuaque animam banc effundere dexlra? » 

[Aen-, L. I]. 

E l'Alighieri commosso da nobile sdegno pei vìzj della sua 
patria, prorompe in questa generosa apostrofe: 

« La gente nuova e i subiti guadagni 
n Orgoglio e dismisura han generata , 
a Fiorenza , in le si che tu già ten piagni ». 

{Inf., C XVI). 

§. Si. Della Visione. 

8fi. La fifone, delta dai Latini Descriptio, consiste nel 
descrivere cosa passala o futura, come se la vedessimo allora 
allora cogli occhi proprj. E qui pure si vuole che l'imma- 
ginazione sia commossa da qualche grave passione, perchè 
quasi da essa lanciali in mezzo alla scena, ne diveniamo 
spettatori e narratori a un lempo. Ancora questa figura trat- 
teggiata con vivi colori , e usata a proposilo , sorprende e 
commuove gli uditori. Cicerone e Dante ce ne forniranno 
gli esempj : « Videor cnim tnihi hanc urbem videre, Iucem 
« orbis terrarum , atque arcem omnium genlium, subito 
a uno incendio concidenlem : cerno animo sepullos in pa- 



DI AliTTOItlCA 79 
a tria miseros, alque insepultos acervos civium : versatur 
« mihi ante oeulos adspeclus Cethegi , el furor, in vostra 
« caede bacchanlis » (In Gatil.). 

« Veggio in Alagna entrar Io fiordaliso, 
« E nel Vicario suo Cristo esser catto. 

« Veggiolo un'altra volta esser deriso ; 
« Veggio rinnovellar l'aceto e 'I fele , 
« E tra'nuovi ladroni essere anciso. 

« Veggio il nuovo Pilato sì crudele, 

« Che ciò noi sazia , ma , senza decreto , 
« Porta ne! tempio le cupide vele ». 

(Purg., C. XX). 

S- 2-'j. DoirAccum unzione. 

87. Avviene talvolta che una splendida immaginazione, 
o un trasporto d'infiammata passione, aggiunga una sopra 
l'altra piìi figure ; al che si da nome d'Accumulazione. Ave- 
vaia già accennata Longino (1), come sommamente efficace a 
commuovere; se non che, come ben nota il Colombo (2), che 
ne riporta ad esempio l'enfatico esordio della Predica XXXIII 
del P. Segneri, un linguaggio dove lo une alle altre figure 
si succedono, s'intrecciano, si mescolano, si che ne formano 
un cumulo, deve solo tenersi dall'oratore, quando atroci e 
compassionevoli casi spingano al colmo il suo entusiasmo , 
e lo traggano quasi fuori di sè. Ove sì gravi cagioni non 
siano, darebbe prova più di vaneggiamento che d'arte. Noi 
staremo contenti a due esempj meglio imitabili , il primo 
de' quali dettato dalla passione ce lo porgo Tullio in una 
delle Verrine: « Quem absentem non modo sino crimine, 
« et sine teste, veruni oliam sine accusatore damnasti? 
« quem hominem ? Dii immorlales 1 non dicam amicum 
<i tuum, quod apud homincs carissimum est, non hospitem, 
a quod sanctissimum est; nihii aliud in eo, quod reprehendi 

H) Mei Sublime; Lvi. XX. 
(Sj Op. cit. , Lei. IL 



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80 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

u possit involilo ; nihil quod homo frugalissimus , atque 
i iutegerrimus, le hominem plenum stupri , flagilii, sceleris 
o domum suam ìnvilavit n. 11 secondo credo le Grazie 
stesse lo dettassero alla innamorata fantasia del Petrarca ; 
tanto le piii care figure vi gareggiano per adornarlo di ve- 
nustà e di delicatezza : 

o Da'be'rami scendea 
a ( Dolce nella memoria ) 
« Una pioggia di fior sopra 'l suo grembo; 
a Ed ella si sedea 
a Umile in tanta gloria , 
a Coverta già dell'amoroso nembo. 
a (inai fior cadea sul lembo, 
« Qual sulle trecce bionde 
« Ch'oro forbito e perle 
« Erau quel di a vederle; 
« Qual si posava iu terra, e qual su l'onde; 
« Qual con un vago errore 
a Girando, parca dir: Qui regna Amore ». 

(Con. XI, P. I). 

8i. Abbiamo Cinqui dichiarato cogli avvertimenti e cogli 
esempj che si seppero migliori , la natura, i pregi , i difetti 
o l'uso dei traslati e delle figure che sogliono avere gran- 
dissima e splendidissima parte nella Elocuzione, secondochò 
vi campeggiano l'immaginazione e l'affetto. Male però si 
apporrebbe chi credesse riposta la vera bellezza del discorso 
unicamente nell'uso a dovizia delle figure. E'parrebbe di- 
menticare avere i Greci dipinte nude le Grazie , ministre 
di Venere. La schietta semplicità è il più caro ornamento 
del dire, e i buoni trecentisti ne sono una prova. La par- 
simonia e l'opportunità del linguaggio figurato , cui natura 
detti , e l'arte senza che appaja , diriga , sono il gran se- 
greto dell'arte , essendo verissimo ciò che soggiunge Quinti- 
liano : a Ego illud de flguris adjiciam breviter, sicut ornant 



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DI RETTO RICA 81 

« orationem opportune posilae, ita ineptissimas esse, ciim 
a immodice petunlur » (Lib. X , c. 1 ), 

89. Inoltre alle avvertenze particolari già date intorno 
all'uso di ciascuna figura , giova altre aggiungerne di gene- 
rale applicazione. E primieramente nell'uso de'Traslali e 
delle Figure, bisogna distinguere il verso dalla prosa, do- 
vendo in questa esserne più parchi e più sobrii che non in 
quello; perocché certe arditezze che piacciono ne'poeli, di- 
sconvengono interamente ne'prosatori. Non basta : anche le 
diverse specie della poesia e della prosa richiedono un par- 
lar figurato diverso , dovendosi nelle umili adoperare tropi 
e figure rimesse e temperate, nelle più nobili quelle ma- 
gnifiche e grandiose , avvertendo pur tuttavia di tenersi 
ne'giusti limiti del prosatore per non invadere i doniinj del 
poeta (1), memori del precello del citalo Autore delle Isti- 
tuzioni : a Non per omnia poetas esse oratori sequendos , 
« non liberiate verborum , non liceutia ngurarum » 
{ L. X , c. 1 ). 

90. In secondo luogo dovesi procurare di comprendere 
bene l'indole e l'importanza del nostro argomento, perchè 
tale essendo da riempirci di sè e la niente ed il cuore , 
agiti e muova l'immaginazione e l'affetto , donde poi scatu- 
riscono tutte quelle acconce figure che . sembrano proprio 
venute da sè nel discorso ; chè quando si mentisce la pas- 
sione , anche lo figure riescono fredde ed insipide. 

91. Finalmente, sebbene derivino queste da legittima sor- 
gente, dobbiamo tuttavia guardarci dal troppo , naturai ne- 
mico del bello. Perocché quel voler dir tutto e sempre in 
modo diverso dall'ordinario , e sia quanto si vuole splen- 
dido , allontana dalla semplicità , toglie la grazia della va- 
rietà , sa d'affettazione e scuopre l'arte. Non dimentichiamo 
in ultimo che le figure non debbono apprendersi dai libri 
de'retori , ma solo dalla natura che u'è la vera e principale 

!1| « Talunile ragioni della poesia e della prosa confondono; quindi 
■ è invalsa a'noslri tempi una prosa la quale somiglia alla poesia , ed 
• una poesia che somiglia alla prosa ». Niccouni , Delle Transizioni in 
Poesia, T. Ili, pag. 8S2. Ed, Le Monnier. 



82 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

maestra. I precetti di quelli giovano a ben regolare.gli slanci 
dell'immaginazione e dell'anello, ma non poLranno giammai 
fare le veci di questa. 



Capitolo Ili. - Della Eleganza. 

1. Polendosi distinguere l'Elocuzione in piana , nitida ed 
elegante, gioverà dir brevemente delle prime duo, per quindi 
meglio intendere la natura di questa che dicesi elegante. 
Si da pertanto il nome di piana a quella elocuzione, hi 
quale procede semplice e dimessa , solo intesa alla chiarezza 
mercè di vocaboli puri e proprj , e della loro più naturale 
collocazione. Ama però di adornarsi qua e la di eerte meta- 
fore e figure temperate che servono a dar luce e vivezza 
alle materie, ed è paga d'un'armonia andante ed eguale. 
È da guardarsi però che non cada nel languido e nel secco; 
vizio che riuscirebbe nocevolissimo anche a scritture di non 
comune dottrina. 

2. D'un grado alquanto più elevalo è quella Elocuzione 
che chiamasi nitida, quasiché modestamente risplenda di 
bella perspicuità, non solo per la purezza e precisione delle 
parole, ma ancora per un certo gusto nella scelta e nella 
graziosa disposizione delle medesime. S'ammirano in essa 
i modi schietti ed ornati d'una colla favella , sparsivi con 
sobrietà e naturalezza. Ammetto tropi e figure tanto quanto 
possono conferire alla grazia e all'efficacia. Inclina piìi alla 
brevità che all'amplificazione , e chiude i suoi periodi con 
isvariata , ma sempre naturale cadenza. Una tale elocuzione , 
che può, come ben noia il Blair, coll'industria e colla di- 
ligente attenzione all'arie di scrivere, ottenersi anche da 
chi non ha grande slancio di fantasia e d'ingegno, procaccia 
però non tenue lode al suo autore. 

3. S'onora poi del nome d'Elegante quella elocuzione la 
quale scevra di difetto, per quanto è dato ad opera umana , 
^a bellamente ornata di tulli i prcgj più splendidi e cari. 



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DI RETTOaiCA 83 

U Eleganza pertanto è quel non so che di grazioso c piacente 
che. si ammira nel discorso , ove si trovano in bell'armonia 
accordate tutte le doti d'una colta favella; dove il parlar 
proprio ottimamente si accoppia e s'attempera col figuralo; 
dove finalmente risplendono semplicità, delicatezza, vernati 
e grazia. 

4. E poiché dicesi appunto Eleganza dallo scegliere {eligere) 
il più bel fiore del dire nel dar forma ai concetti della men- 
te, e vita alle immagini della fantasia, è prezzo dell'opera 
trattar distintamente dei pregj che la compongono. 

5. E primieramente ricerca por la purezza o proprietà 
de'vocaboli ciò che v'ha dì piii schietto, di più espressivo 
e calzante , e s'abbella di quelle squisitezze della lingua che 
ne formano , per dir cosi , l'atticismo (1). Serba in tutte le 
sue parti la convenienza, sia delle parole sia delle forme , 
dando a queste e a quelle nobiltà e splendore coll'usarle op- 
portunamente, e col leggiadramente disporle. Le voci cuoio 
<■ spago sono certo volgari , eppure divengon nobili sotto la 
penna di Danto , quando dice: 

h Vedi Guido Bonatti . vedi Asdente, 
. « Che avere inteso al cuoio ed allo spago 
« Ora vorrebbe , ma tardi si pente ». 

[ fnf., C, XX). 



(1) Ecco alcuno di queste squisitezze (ratte da' buoni trecentisti. 

- Sprovvedutamente gli venne dato nel laccio. - Tener silenzio. - Quello 
grazie che scope maggiori, dei beneficio fatto gli rese. - Usava una 
cortesìa che mai la maggiore. - Usare a chiesa. - Far ragione. - Ac- 
conciarsi dell'anima. - Com'uomini furiosi si dettero ira' Greci, - Mi 
venne fatto di. - Venire a mano degli avversarj. - Veduta la mala parata. 

- Far buona prova. - Fare il viso dell'arme. - Aggiustar fede ad al- 
cuno. - Mandare per alcuno o per alcuna cosa. - Stare a posta d'alcuno. 

- Mi gode l'animo , non mi soffio il cuore di vedere ec. - Di gran cuore. 

- Andare per la maggiore. - Averne in buon dato. - Crederò di essere 
un gran fatto, ed altre mille; chò opera infinita sarebbe volerne regi- 
strare anche una millesima parte. Possa pero questo centellino far venir 
voglia a'giovani di berne largamente alle sorgenti. 



84 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Tanto è vero che non v'ha d'uopo, come ben noia Io Za- 
nolti [Ar. Poet. , Rag. Il), che lo scrittore usi per l'ele- 
ganza tutte le parole sceltissime, quasi che non possa dir 
cosa naturalmente, e cosi appunto come sì direbbe senza 
studio; che anzi è proprio dell'eleganza stessa il fare che 
divengano nobili eziandio le parole plebee, sapule adoperare 
con convenienza e con garbo ; chè al dire di Cicerone , !e 
parole son sempre abbastanza adorne , ove appariscano 
spontanee. 

6. Gran parte dell'eleganza poi consiste nell'ottima scelta 
do'vocaboli e de'inodi semplici e figurali, e nel loro opportuno 
collegamento, si che gii uni agli altri prevalgano, secondo 
che più o meno domina l'immaginazione e l'affetto. Dante 
mostra tutta la calma dell'animo suo , quando si fa a nar- 
rare che : Aìel mezzo del cammin di nostra vita - Si ritrovò 
per una selva oscura, - Chè la diritta via era smarrita. Odile 
naturalezza e semplicità ! Al contrario, eccovi l'accento 
dell'ira in questi versi, ove quasi ogni voce è un traslato: 

« Faccian le beslie Rosolane strame 
« Di lor medesmo , e non tocchin la pianta , 
« S'alcuna sorgo ancor nel lor letame ». 

( Inf. , c. XV ). 

7. Nasce altresì l'eleganza dal significare immagini e con- 
cetti comuni in modo non comune e peregrino , senza però 
scostarsi dalla natura della lingua. Elegantissimo per esem- 
pio è Virgilio, ove per dipingere la voga de'rematorì, dice: 

* Infindunt paritcr sulcos , totumque dehiscit 

« Convulsum remis, rostrisque tridenlibus aequor ». 

{Aen., L. V). 

E altrove per dire che era mezzanotte si vale di questa 
locuzione : 

« Iamque fere mediani coeli nox numida metani 
« Cornigera! », 

[Am., ivi). 



DI BETTORICA 85 

Parimente piena d'eleganza è l'immagine che Dante ci di- 
pinge dell'aurora nascente : 

« L'alba vinceva l'óra matutina, 

« Che fuggia innanzi , sì che di lontano 
o Conobbi il tremolar della marina ». 

£ [ Pvrg. C. I ). 

E in simil modo quando dice , per significare non è morto: 

a Questi non vide mai l'ultima sera »; 

( Pwnff. , e i ). 

ovvero, quando per dire invecchiando, usa tal'espressione : 

« Già discendendo l'arco de'mìei anni ». 

(Purg., C. XIII). 

E di siffatti esempj d'eleganza ne troverai a -dovizia per 
entro a'classici sì antichi che moderni. 

8. Dole somma dell'Eleganza poi è la semplicità, la quale 
consiste in quella fluida e naturale spontaneità di dettalo, 
ove non apparisce ombra d'artifizio. Vi s'incontrano certa- 
mente traslali e figure, ma con tanta sobrietà e naturalez- 
za , che pajono più presto fiori nàtivi da se che trapiantati. 
Prende pure forza ed evidenza dal retto uso dell' iperbato e 
dell'ellissi grammaticale , e tutto con un fare disinvolto e con 
una certa sprezzalura che lanto piace, perchè vela meglio 
la mano dell'arte. Ama finalmente un andamento libero di 
periodo e di numero , in guisa che paia , al dire di Tullio, 
essere opera di chi ha più a cuore le cose che le parole 
Se amerai la bella semplicità , eleggiti a maestri di questa 
tra i Latini Cesare, tra' nostri il Cavalca, il Passavanli e 
gli altri di quell'età, che fu detta dell'oro non pei lussi e 
per le pompe, come dice il Perlicari (2), ma per la molta 
ingenuità e per l'arte pochissima. 

(1) Okàt. ad Brùtum. 

[2) Degli Scrii!, del Trec, L. lì, C. X. 



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86 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

St. Un altro attributo dell'Eleganza è altresì la Delica- 
tezza che sia in gran parte nello scansare tulio ciò che ad 
uomo di fino discernimento e di senso squisito può sembrare 
degno di biasimo e spiacevole; e tale riesce principalmente 
ogn' immagine ed ogni concetto che offende la convenienza e 
il decoro. Cosi parve a molli sconvenevole l'immagine di 
quella sossa e scapigliata fante dipinta dall'Alighieri nel 
C. XVIII dell'Inferno , e sgrazialo giudicò il Colombo il se- 
guente modo del Segneri : « Questo è trattare il Xome divino, 
rome se fosse uno straccio da lavandaia n. 

10. La Eleganza richiede eziandio la Venustà ( Venus pei 
Latini ) , la quale altro non è che la bellezza considerata in 
quanto ella piace , e che in sostanza deriva dal perfetto 
accordo o armonia delle parti , dal cui aggregato risulta un 
indefinibile diletto. A me pare di riscontrare tutto queslo 
nell'immagine d'un angelo così dipinta dall'Alighieri: 

« A noi venia la creatura bella 

« Bianco- vestita , e nella faccia quale 
« Par tremolando matulina stella ». 

ll'urg., c. XII). 

11. Tutte queste doli insieme congiunte formano ciò che 
appellasi Grazia , senza della quale non si dà eleganza com- 
piuta. Questa soavissima prerogativa , onde la elocuzione 
dolcemente alletta e rapisce, menlre pur si sente ovunque 
si trova, non può spiegarsi a parole. Solo può dirsi che 
dove non è semplicità , candore , delicatezza , venustà e 
garbo , ivi non e grazia. Essa ò un felice dono della natura, 
che per arte non si acquista , e solo può ricever da questa 
al pia al piii qualche ajuto. Da chi mai apprese Raffaello 
quella ineffabile grazia che spira dai sembianti dello sue 
Vergini ? e chi mai seppe in questa raggiungerlo? Tuttavia 
ogni buon artefice si studia di seguirlo più da presso che può, 
e ne ha lode; e noi pure ne ritrarrem vantaggio, se ci fa- 
remo a studiare nei classici quella delicatezza di concelti 
ed amabilità d'immagini, ove lutto sembra natura no'suoi 
modi semplici e varj ; di che tanti nobilissimi esempj spesso 



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DI RETTO IUCA 87 

ci porgono. Tra questi scelgo la graziosa immagine che il 
poeta ci dipinge nelle terzine seguenti : 

« E Ih m'apparve 

« Una donna soletta che si già 

<• Cantando , ed iscegliendo fior da fiore , 

a Ond'era pinta tutta la sua via. 
« Deh , bella donna , ch'a'raggi d'amore 

a Ti scaldi, s'i'vo'credere a'sembianli, 

« Che soglion esser lestimon del cuore , 
o degnati voglia di trarreti avanti. 



a Come si volge , con le piante strette 
« A terra ed intra se , donna che balli , 
e E piede innanzi piede appeua mette; 

a Volsesi in su' vermigli ed in su'gialli 
a Fioretti verso me , non altrimenti 
« Che vergine che gli occhi onesti avvalli ». 

[Purg., G. XXVIII J. 

12. Se dunque l'Eleganza consiste nella leggiadria dei 
modi e nella limpidezza delle espressioni , senz 1 artifizio e 
senza mistura di rozzo e di plebeo ; se riunisce in sè i fiori 
della elocuzione semplice e delia figurata, senza eccesso e 
senza difetto, trascegliendo i più vaghi e i più confacenti, 
e dai tesori della immaginazione eleggendo per adornarsene 
le gemme più lucenti e più schiette; se ricerca l'accordo 
de' colori al pari che quello de' suoni , e fa che dalla varietà 
di questi e di quelli risulti un'unita armoniosa e dilettevole; 
se finalmente vuol essere adorna di semplicità , di delica- 
tezza , di venustà e di grazia , non potrà giammai ritro- 
varsi in quella elocuzione tutta fiori e frasche, tutta lisci 
e smorfie , la quale per quel suo volere ad ogni costo parer 
bella ed elegante, riuscirà precisamente tutto il contrario; 
e per la smania appunto di molto piacere, si renderà spia- 
cevolissima. Ciò notino bene i giovinetti, c si tengano per 
avvisati. 



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88 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



Capitolo IV. - Dello Stile. 

1. Abbiamo fin qui discorso della Elocuzione, conside- 
randola sotto il doppio aspello di semplice e di figurata; 
abbiamo dimostrato colla scorta di sommi maestri , che i 
suoi pregj più cari stanno nell'usare parole schiette e pro- 
prie, da tutti intese, e dai migliori scritte e parlate, schi- 
vando del pari [e qui valga l'autorità del Niccolini [1)), e 
l'audacia de' novatori e la gretta affettazione de' pedanti; 
nel dare alle immagini ed ai concelti il loro vero e conve- 
niente colore; finalmente nell'accoppiare con discernimento 
e sobrietà il figuralo col proprio , la forza e l'armonia , la 
.semplicità e l'eleganza , seguendo con bell'arte la natura , 
e apprendendo dai padri della nostra divina favella le 
caste bellezze che le diedero quei' del trecento , e la copia 
e la gentilezza che le aggiunsero quei del cinquecento. Ab- 
biamo adunque a mo'de'pittori ammannite le tinte; resta 
ora a dire del come distenderle ; e perchè comprendon essi 
e concetto e disegno ed esecuzione col vocabolo Stile, e noi 
di questo ragioneremo conformemente al proposito nostro. 

2. E innanzi tratto convien notare che la parola Stile 
non trovasi appo i retori adoperata in un solo e fermo si- 
gnificato. Tolta ad imprestito dall' istrumento onde gli anti- 
chi scrivevano su tavolette incerate, valse sul primo a 
significare per metonimia generalmente scrittura , come 
tuttora usasi pennello per pittura, scarpello per iscultura , 
c vìa discorrendo. E in questo senso da Tullio veniva a 
ragione riguardato Io Stile « optìmus et praestantissimiis <li- 
« cenili effector et magister a {De Orat-LA); chè non v'ha 
dubbio essere l'esercizio dello scrivere di mirabile ajuto a 
scriver bene. E vero altresì che si usò ancora a designare 
la varia forma del dire , onde trovasi : Stylus eoncinnus , 
rudis, negligens eie.; ma quando dagli antichi retori si di- 
fi ) Intorno alla proprietà in fallo di lingua. Voi. Ili , pag. 198, 

Erti, dì I>e Mormier, 



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DI RETTORICA 89 
stingucva lo siile in grave, veemente, o sublime, in medio o 
temperato, in umile o semplice, miravasi alla grandezza o 
lenuità de' pensieri e della loro espressione a un tempo; 
(joando poi dai moderni si distinse io secco, piano, nitido, 
elegante e florido, non solo si fece del pensiero e dello sua 
espressione una sola medesima cosa , ma s'ebbe in vista 
più della sostanza l'estrinseca forma. 

3. Non cosi però la pensarono altri egregj maestri, presso 
de' quali riscontrasi che certo e'ponevano differenza tra Stile 
ed Elocuzione. Il Flaminio, dando precetti sull'arie di scri- 
vere, dico che siccome le materie sono diverse, cqsl richie- 
dono siile e locuzione diversa (i). E il Tasso, dopo avere 
in un luogo dichiarato che per istile non intende l'elocu- 
zione semplicemente, ma quel carattere che dall'elocuzione 
e dai concetti risulta (2), in un allro dice più aperto che 
lo siile nasce principalmente dai concetti; e per ultimo il 
Monti insegnava che non nelle parole esso consiste, ma si 
nel movimento del pensiero per mezzo di quelle (3); le quali 
sentenze mi sembrano comprese nella filosofica definizione 
che il Gioberti da dello siile, chiamandolo l'elemento spiri- 
tuale della parola (4). 

4. Posta in sodo per tali autorità la differenza che pur 
v'è tra siile ed elocuzione , siccome è tra l'intelligibile, che 
è il pensiero, e il sensibile che n'è la forma, può dirsi 
nell'arte nostra esser lo stile l'impronta de'nostri concetti 
mercè dell'elocuzione da cui prende forma e rilievo. 

5- Ma nella stessa guisa che la parola rivela il pensiero, 
così il pensiero rivela l'uomo; laonde fuvvi chi assai acuta- 
mente disse che lo stile è l'uomo ( Buffon). Nè ciò era già 
sfuggito agli antichi , dappoiché appresso Tullio si legge : 
•< Tantum autem efficilur sensu quodam ac ralione dicendi, 
a ut quasi mores oratoris eflìngat oratio > (Ofiat. L.II). E 
Varrone ne accerta che « apud veteres et genera dicendi 

fi) Leti, a Luigi Calino; Race. cit. pag. 8. 

(gj Lea. Sonet. car. 179. 

(3J / Poeti del l tee,; p au s. Ut, 5, S. 

[41 hitrod. olio Stati, della Fitos.; Voi. I, pag. 333. 



Ìli) DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

o characteres vocantur » ( De re rust. L. IH , c. 2 ). Anche 
nei lessici si nota che carattere vale altresì maniera di 
scrivere e di parlare, come pei Lalini Stylus. Dalle quali 
testimonianze apparisce considerarsi lo stile eziandio come 
l'espressione del carattere proprio dello scrittore. 

6. Essendo pertanto lo stile come il riflesso dell'uomo 
interiore, lo che dicesi carattere, ne segue dovere tra que- 
sto e quello sussistere una certa rassomiglianza (1). Ed in- 
vero pongasi attenzione al carattere degl'insigni scrittori, 
tramandatoci dalla storia, e lo stile delle loro opere in verso 
o in prosa, e si vedrà esser l'uno immagine dell'altro. H 
carattere dolce e dignitoso di Virgilio, e quello auslerissimo 
dell'Alighieri si riflettono al vivo nello stile dell'Eneide, e 
della Divina Commedia. Tale rassomiglianza riscontrava il 
Giordani ancora tra lo stile e il carattere del Botta (2i. E la 
ragione si è, perchè l'uomo o parli o scriva, dovrb sempre 
manifestare sè stesso; ed anche nel parlar doppio rivelerà 
il suo carattere doppio. 

7. Ora poiché ciascuno ha il suo carattere proprio, ne 
segue debba ogni scrittore avere uno stile suo proprio, dove 
a differenza di quelli chiamati da Orazio servum pecus , 
pensi colla propria mente, non coll'altrui, avvertendo bene 
a proposito il Perticati che a chi vuole copiare in sè un 
altro innanzi che dipingere sè stesso, le parole non sono 
più. somiglianti all'animo proprio (3). Difalti chi ha scritto 
o detto ciò che ha pensato da sè , o nell'anima propria sen- 
tito, mostra sempre una cerl'aria originale, che tanto più 

(1) « ... Alla Bn fino ognuno imprime nelle sue sciilturo il carat- 
« [eie della sua immaginazione, del suo ingegno c del suo intelletto », 
rLAUPMSDi, lotterò sulta proposta del Monti). E il Sai-ione avea già 
detto: « Gli stili pertanto saranno variali come i tempera mentii i secoli, 
« le professioni, gli sludj » ( Saggio «rifarla storica, C. VI , §. t). E il 
I'ohnaciabi più chiaramente soggiunge : «Lo siile dipende princìpal- 
- mente dalla maniera di sentire e di pensare degli nomini, la quale è 
u varia secondo lo diverse nature ce • ( Dell'uso delle trasposizioni e 
delle parole composte nella poesia italiana ). 

(Sj Leti, al Gritlenzonl, Haccc.il., pag,t30, 

(3: Senti, ilei Trec. , L. », c. IX. 



_■; .1 i :l'"J L 1 .- Ci 



DI RETTORICA 91 

vi campeggia, quanto piti libera si slancia la mente nello 
regioni del pensiero e della immaginazione. 

8. Se non che, siccome usando domesticamente e a lungo 
con alcuno, vien fatto di contemperare col carattere di 
quello il proprio, senza che ne perdiamo la fisonomia, cosi 
l'assiduo studio dei grandi autori giova a perfezionare lo 
siile, come usò Dante con Virgilio, dal quale apprese l'arte 
di dar grandezza alle idee , convenienza e sobrietà al dise- 
gno , verità e colore poetico alle immagini, onde potò con 
ragione chiamarlo maestro 

a Del bello stile che gli ha fallo onore ». 

Aggiungi che le circostanze di tempo, di luogo, di stato odi 
educazione, come influiscono sul carattere dello scrittore , 
cosi sullo stile. Il carattere de' trecentisti schietto ma ruvido 
pe'tcmpi , rifleltesi a maraviglia ne' loro scrini ; altrettanto 
dicasi del forbito ed elegante dei cinquecentisti , del tronfio 
ed esageralo dei secentisti. Immaginoso e il carattere degli 
orientali, e simile n'è lo siile che chiamasi biblico. Dicasi 
lo slesso del carattere delle moderne nazioni , che ben si 
impronta nello stile de' loro grandi autori. Nò forse questa 
('■ l'ultima ragione , perche in Italia non ben provarono le 
imitazioni delle letterature straniere, dove sforzandosi il 
carattere proprio nazionale si dovette necessariamente ca- 
dere nel falso. 

9. Non è men vero finalmente che il più delle volle il 
carattere degli uomini prende un atteggiamento conforme 
alle occasioni senza smentire sè stesso ; e lo stile eziandio 
s'accomoda, serbando sempre l'indole propria, alla natura 
dell'argomento , capace di desiare nell'animo dello scrittore 
sensi ed affolli ora tenui , ora sublimi , come riscontrasi in 
Dante, del quale quanto ò affettuoso lo stile nel dipingere 
la pietà dèdite cognati [Inferno ,C.V), allretlanlo è terribile 
nel pcn nel leggi are la tragica morte del Ghcrardesca { In- 
ferno , C. XXXIII). Di qui in arie il precetto di conformare 
!o stile alla malcria, passando dal tenue al grave, dal piano 
al concitato, secondo la ragione delle cose che vanno nel 



92 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

discorso svolgendosi. Tonio è vero che l'arie è, e dev'esser 
sempre , la fida interprete della Datura. 

10. Stando periamo Io siile nella invenzione, ordine e 
convenienza de' pensieri, ed essendone l'elocuzione la ve- 
ste , la quale può essere più o meno nitida , più o meno 
elegante, secondo che si abbclla di parole schiene, proprie, 
gemili , leggiadre ed armoniose , per l'analogia che abbiamo 
riscontrato sussistere Ira lo stile e il carattere, riuscirà più 
consentaneo alla sua natura, se ne trarremo da questo la 
divisione. Ora poiché avvi pur questo di comune , che seb- 
bene infinita sia la varietà de'caratleri, e come già notava 
Cicerone, infinita sia parimente quella degli siili, tuttavia 
nella loro stessa infinita varietà se ne riscontrano alcuni , 
i quali per de'traltì loro propri più spiccatamente rilevano; 
il perchè prendendo di ciascheduno le note più distinte ed 
appariscenti , come si usa nel distinguere i caratteri , cos'i 
distingueremo gli stili, cioè in nobile, severo, facile, gajo , 
melanconico e scherzevole. Di questi parleremo distintamente ; 
dipoi diremo de'duc generi nei quali lo siile principalmente 
si svolge, e che sono il diffuso e il conciso; finalmente delle 
sue precipue doli , cioè della Perspicuità e del Decoro. 

$. t. Della Siilo Notilo. 

11. Lo Stile Nobile grandeggia con accomodata varietà 
in tutto il discorso per elevatezza di sentimenti , per gravità 
di concelli, per magnificenza d'immagini. Se a tutto questo 
aggiungi copia e semplicità, avrai ciò che chiamasi grandilo- 
quenza. A lato di questa virtù però sta la gonfiezza , secon- 
dochè n'avvisa Orazio: Professus grandia turget (A. P. v. 917); 
e ciò per la sconcezza di pensieri falsi e d'immagini ampol- 
lose, non che per la smania d'amplificare olire il dovere il 
nostro subietlo , valicando i limili del buon senso e della 
ragione. È chiaro pertanto che allo siile nobile si conviene 
altresì nobile argomento (1). 

dì • Grave è della quella favello , la cui materia è di gran fallo, 
« et ha in sé ornate parole e belle sentenze n [Rellor. di F. Guidotto, 
Tnrt. I). 



ni RETT0R1CA . 93 

12. Eleganza di dettato, ornatezza di traslati, sobrio 
uso delle figure più splendide, piena e sostenuta armonia 
è la veste propria dello stile nobile. Ciò che ne guasta la 
bellezza è ogni soverchio , sia no! linguaggio figuralo , sia 
nella pompa di fiori troppo vivaci, sia finalmente nell'uso 
dì vocaboli o troppo vieti o troppo poetici ; perocché nulla 
avvi di più spiacevole della ostentazione d'un lussureggiatile 
ornamento. La Eneide, le Orazioni di Cicerone, le Storie di 
Livio, la Gerusalemme Liherala , le Orazioni del Casa eie 
Storie del Guicciardini porgono bellissimi esempj di siile 
nobile. 

13. Talvolta avviene che lo stilo nobile s'innalzi al grado 
piii elevato, e allora prende un distinto carattere che chia- 
masi Sublime, del quale qui toccherò so! quanto giova al 
mio proposilo. 

li. L'essenza del Sublime è l'infinito (1); quindi i'idea 
di Dio , d'eternità , di mistero, siccome infinita e supcriore 
all'umano intelletto, ò essenzialmente sublime; laonde av- 
viene che lutto ciò che ha in sè dell'infinito , partecipa del 
sublime. Tale sì è la vista dell'Oceano che appar senza li- 
mili , quella del firmamento stellalo privo di luna ; la cima 
d'una montagna che ira le nubi s'asconde ; una paurosa 
voragine , il cui fondo si perde nel bujo, ed altresì un cenno, 
una parola , il silenzio medesimo , siccome cose che tengono 
dell'indeterminato , possono esser sublimi (2). Tarquìuio che 
in risposla al messo del figlio tronca i più alti papaveri; gli 
[Spartani che a Serse chiedente loro la resa delle armi ri- 
spondono : Vieni per esse; il silenzio d'Ajace nel Canio ilei 
Morti in Omero [Odis. , L. SI ) , così bene imitato nel VI del- 
l'Eneide, quando Didone sdegna di pur guardare Enea, 
sono terribilmente sublìmi. 

15. Sorgente grandissima di sublime è pure la straordi- 
naria violenza d'una forza sterminatrice (3), come lo schianto 
del fulmine , il mugghio della tempesta , il fracasso del tur- 



li) Gioberti. De! Serio. 

(2) KtccoLim: Dei Subì, di Michel. T. Ili , ed. oil. 
(lì) Blair. L"z. IV. 



94 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

bine, il rovinio del terremoto, l'eruttar del Vesuvio, In 
scontro di due eserciti tra il fumo ravvolti delle tonanti ar- 
tiglierie. Arroge a ciò la forza morale che si appalesa : 1 nella 
elevatezza del concetto , come la risposta di Scevola a Por- 
sena : « Et facere et pati forila, romanum est »; e il Vir- 
giliano : « Imperium sine fine dedì »; c l'Oraziano: 

« Et cuncta terrarum subacta 

<t Praeler atrocem animum Cotonis ». 

( I-ìb. Il , Od. I), 

2." nell'enfatica vigoria del sentimento , come ii> Livio : 
« Annibal peto pacem ; in Dante : Qual i'fui vivo, tal son mor- 
to ( !nf. , C. XIV ) ; e infinitamente più il biblico : Ego sum 
qui sum; 3.° nella stupenda energia dell'azione ; quindi su- 
blime è Leonida coi trecento alle Termopili, Orazio al ponte, 
Muzio all'ara, Farinata al Congresso d'Empoli, Pier Cap- 
poni in atto di stracciare i capitoli di Carlo Vili. Tutto que- 
sto inchiudo un non so che di tragrande e d'austero che 
leva l'uomo sovra di se (1). 

16. Consistendo pertanto il sublime essenzialmente nel 
concetto , la naturale sua dote è la semplicità. Quanti han 
parlato del Sublime da Longino a noi, tutti hanno a gran 
ragione ammiralo il mosaico fìat lux, et facto, est lux; su- 
blimissimo concetto, che nella sua somma semplicità esprime 
l'onnipotenza di Dio, che con una sola parola crea il più stu- 
pendo spettacolo dell'universo , la luce. L'idea del sublime 
sempre s'associa a tutto ciò che trae da tenui cause effetti 
grandiosi; quindi lutto ciò che vi s'interpone, rallentando 
la forza del concetto, ne distrugge il sublime. Lo slesso 
Fiat lux, ove s'accompagnasse alla descrizione del primo 
lampo che tremolando si stese a coprir la faccia delle cose , 
dipinte in quell'istante di nuovi e maravigliosi colori , non 
più sublime, ma solo polrebbesi dir bello. Siane d'esempio 
l'energico quanto semplice: Quid times? Caesarem vehis , 

U) Lokgiho. Del Sublime, Sez. VII. - Gtob. Del Bello. - tftccc.L- 
Le! Sublime di Michetangiolo. 



DI RETTO RICA 95 

stemperalo com'è in ben 10 versi da Lucano (1), nei quali 
non solo si perde il sublime, ma diventa, al dire del Mura- 
tori , una rodomontata; tanto è vero che breve intervallo 
parte il ridicolo dal sublime, a lato del quale sia il tumido 
e l'ampolloso, per la ragione che gli estremi d'una virtù ra- 
sentano il vizio che ne simula le sembianze. Finalmente il 
sublime non s'insegna ; esso sgorga dall'anima vigorosamente 
temprata a ciò che avvi di più grandioso nel santuario della 
religione e del cuore, perchè solo inspiratici ne sono fede 
e virtù. 

17. Essendo poi proprio del sublime scuoter l'anima 
colla maestà dell'infinito e del terribile, non dilettarlo collo 
splendore del bello, alla semplicità del concetto ama con- 
giunta altresì quella delle parole. Richiede pertanto una 
espressione breve, viva e spiccata, sì che nell'anima si scol- 
pisca, e la fantasia più che non è scritto, vi legga. Omero, 
Dante e principalmente la Bibbia ce ne forniscono esempj e 
locuzioni. E poiché, come insegna il Niccolini, gran danno 
recherebbe all'Eterno che Michelangiolo dipingeva nella Si- 
slina , lo splendido colorito di Tiziano , cosi guasterebbe il 
sublime ogni fiore che pretendesse dì abbellirlo ; invano poi 
si cercherebbe, dove s'affogasse in mezzo alle metafore, alle 
iperboli ed alle sfolgoranti parole , a somiglianza di colui 
del quale Orazio si rideva dicendo : 

« Projicit ampullas et sesquipedalia verba ». 

( a. P., v. 97). 

(41 « Speme minas, inquii, pelagi , venloque furenti 

■ Trade sinura: Italiani si coelo auctore ree li sa s , 
Me pete. Sala libi caussa haeo est jiisla timoris , 

" Veclorcm Don nosse tnum , qiiem numida n iniqua m 
« Destiluunt , de quo male lune fortuna mereiai', 
- Cura post vota verni. Modias perrumpa procellas, 
« Tutela secure mea. Coeli isie , frelique, 

■ Non puppis nostrae labor osi. Hanc Caesare pressare 

• A fluetu defendet ouus...Quid tanla strago paretur 
b Ignorasi quaerìt pelagi , noelique tumulili 

* Quid praestet fortuna mini «. 



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96 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

18. E qui giudico non male a proposilo riportare alcuni 
esempj di sublime , (ralli da classici autori, e per primo il 
famoso cenno di Giove, che descrivesi nella Iliade, L. I, v. 642. 

a Disse , 

a E accennò i neri sopraccigli : al sire 
« Saturnio i crini ambrosii s'agitarono 
« Sulla testa immortale, e dalle vette 
« A'fondamenti n'ondeggiò l'Olimpo ». 

( Trarf. del Foscolo (1) ). 

I seguenti ne sono imitazioni più. o meno felici : 

« Annuit, et totum nutu tremefecit Olympum ». 

( Aen., L. X, v. H5J. 

a Cuncla supercilio moventis ». 

(Or.Od., I , L. Iti ). 

« Se il capo accenni , trema l'universo ». 

( Alf. Saul., A. Iti, s. 4). 

Sublime ò pure Virgilio , dove descrive lo sforzo de'giganti , 
e la facilita onde Giove ne atterra le opere: 

a Ter sunt conati imponcre Pelio Ossam 

« Scilicet, atque Ossae frondosum imponere Olympum: 
a Ter Pater extructos disjecit fulmine monles ». 

(Georg., L. 1 , 281 ). 

E Dante nella terribile scritta della porta d'Inferno: 

« Ed io eterno duro : 

« Lasciate ogni speranza, voi che entrate ». 

( Inf. , C, IH ). 



(1) V. Consideraz ; OGÌ chi Foscolo sul Conno di Giove. 



DI RET CORICA 97 
Non sarà inutile aggiungere a questi un esempio di falso 
sublime, tolto dai versi dei Cesarotti iti lode di Bonaparte: 

« . . . . Alla meonia tromba ■ 

n Le labra accosto, e d'inluonar m'attento 

" Napoleon : di tanto nome ai suono 

« Scoppia Ja tromba , e va spezzala al suolo ». 

§ 2. Dello Siile severo. 

19. Meno grandioso del nobile è' Io Stile severo. Il suo 
autore , mirando piii alla forza che alla eleganza , ama i ro- 
busti pensieri robustamente espressi. Pago della grandezza 
delle cose , poco si cura degli ornamenti , ove non siano 
quelli che Quintiliano chiamava sacri e virili. Vedetelo in 
Tacilo, in Danle, in Machiavelli, in Michelangelo , ingegni 
di tempra uguale , che o trattino la penna o lo scarpello , 
si mostrano sempre e del pari scultori maravigliasi. Pro- 
fondo ne' concetti, grave ne'sentimenti lo scrittore severo 
parla d'ordinario alla ragione. Pieno la mente del suo su- 
bietto, ne lo presenta quasi in rilievo, scolpendolo a tratti 
ruvidi anzi che no, ma sempre spiccali ed energici: quindi 
invano cerchi in lui lunghe digressioni e seguito d'idee ac- 
cessorie, schivo com'è d'ogni minutezza, sia che narri, sia 
che descriva, sia che ragioni. 

20. L'elocuzione dello Stile severo piti che splendida, è 
vigorosa; quindi sue doti principali sono: decoro e pro- 
prietà di vocaboli , nel che appunto consiste la gravita e il 
segreto della evidenza; collocazione di parole ordinala più 
alla forza che al numero ; uso di metafore e di figure che 
meglio si confanno alla efficacia ed alla brevità. Finalmente 
preferisce le parole gravi e robuste alle tenui e deboli , 
non meno che i periodi brevi a' lunghi; tuttavia il tutto 
contempera in giusta proporzione , onde nasce quell'armo- 
nia sua propria che è la sostenuta senza durezza. 

21. Secondochè scema di forza, d'ornatezza e d'armonia, 
la elocuzione dello siile severo prende il nome d'arida, secca 
ed aspra ; sgradevole maniera, e appena tollerabile, cpjando 



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98 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

siavi sodezza d'argomento e di dottrina ; e appunto solo per 
questo vive la Scienza Nuova del Vico che , al dire del Monti , 
ò come la montagna di Golconda , irta di scogli e gravida 
di diamanti (1); tuttavia quanto pochi ne sono i lettori ! 

22- Allo Stile severo solo convengonsi subbielti gravi c 
d'importanza , che coi tenui mal saprebbesi adoperare , 
senza offendere la natura delle cose. Ben acconcio pertanto 
sarà alla trattazione di materie filosofiche , sloriche e mo- 
rali , e procaccerà lode non volgare al suo autore, se questi 
sapra alla profondità e squisitezza della dottrina maestre- 
volmente congiungerlo eoa dignità, senza sforzo e senz'ari- 
dezza. Ci sono maestri di Stile severo nelle loro storie 
Tacito e Machiavello , nel suo poema Lucrezio , nelle sue 
tragedie l'Alfieri. 

S 3. Dello Siile facile. 

93. Facile dicesi quel carattere che nulla avendo in se 
d'aspro e di duro , si mostra soave , e di leggieri a tutto 
pieghevole con modi franchi e disinvolti ; e tale è lo siile 
che ha nome di facile. Nulla avendo di ruvido o di contorto, 
procedo semplice e piano , e a tulle materie ottimamente 
s'accomoda , traendo da esse secondo la loro nalura e con- 
cetti e immagini e sentimenti. Esso pertanto è il riverbero 
ora della mente, ora della fantasia, ora del cuore, secon- 
dochè l'una o l'altra campeggia delle tre. facoltà; quindi 
componesi di pensieri o generosi , o gentili, o ingenui; s'ab- 
bella d'immagini o splendide , o graziose, o modeste; s'espan- 
de finalmente in sentimenti o gravi, o festivi, o affettuosi, 
e singolarmente sinceri, mirando in tulio questo alla con- 
venienza di ciò che forma il suo argomento. 

2i. Lo Stile facile pertanto volentieri si congiunge a 
quella elocuzione che dicesi piana o nitida, e che dai retori 
fu detta ancora mezzana o temperata, la quale appunto sta 
tra il grado elevato e l'umile, e senza esser ne l'uno uè 
l'altro partecipa d'ambedue. Difalli dal primo toglie quegli 

(I) Della necessità delVFAoiwnza, Io (rodili Iona. 



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DI RETTORICA 99 
ornamenti piii rimessi clic danno al discorso vita, splendi- 
dezza od amenità ; dal secondo la ingenuità e la grazia 
dell'atticismo ; e da tale congiungimento nasce quella dizione 
della da Tullio ornata , dipinta e poli la , che non solo di- 
letta , ma «ine satietale deleclat ( De ()rat. , Lib. Ili, c. 26, 27). 

2-j. Dal che conseguila esser dote specialissima dello 
stile facile una certa semplicità di concelti e di forme, che 
è come la tinta generale del quadro. Essa, come ben noia 
il Blair ( Lcz. XIX ) , può andar congiunta col più alto or- 
namento; e in conferma cila qual perfettissime esemplare 
Omero. Una tale semplicità che forma senza dubbio la vera 
eccellenza d'ogni componimento, e che sebbene siavi l'arte 
più fina , tuttavia appare natura , sembra consistere nel 
ben cogliere le pure bellezze naturali , e nel ritraile con 
facile e sottil magistero, tanto che, come diceva Orazio: 

« Sibi quivis 

« Sperei idem, surlel multimi, fruslraque laboret ». 

[A. P. v.ìiO,. 

È da avvenirsi per ultimo che questa si lodala semplicità, 
che 6 da considerarsi coni 'una luminosa orma del genio, ò 
tal virtù che se la natura non ne pone prima il fonda- 
mento , non può colla sola arte raggiungersi: con questa 
bensì può perfezionarsi, semprechè se no nasconda la ma- 
no ; che finalmente ella e tal dote, che senza di essa non si 
dà nò vera grandezza , nè vera bellezza ; chè nulla di più 
contrario a questi pregi avvi dell'artificioso e dell'affettato. 
-Belli esemplari di Siile facile sono principalmente Cicerone 
nelle Epistole , e Ovidio nelle Metamorfosi Ira i Latini ; 
tra'nostri il Cavalca, il Passavanli , l'Ariosto, il Redi e il 
Mclastasio , per tacer d'altri valentissimi. 

. §. V. Dolio Siile g»jo c del melanconico. 

26. Uom di carattere gajo e d'ordinario compagnevole , 
e volentieri usa con sollazzevoli brigale, novellando spiri 
tosamento e con grazia, in cgual modo lo siilo apparisce 



100 DELIE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

50/0, quando componevi di eoncetii e d'immagini geniali ed 
amene , ulte a ricreare lo spirito con qualche ulile e dilet- 
tevole novità, e s'abbandona a quegli affetti nei quali l'ani- 
ma s'espande nel conversare onesto e lieto; quindi ben 
s'adatta alle novelle , ai dialoghi , alle lettere e ad altri com- 
ponimenti di feslevol natura. La sua elocuzione vuol esser 
limpida, e vaga di metafore e figure graziose, ama pro- 
verbi e idiotismi vivaci e spiritosi , modi semplici e fami- 
liari , e un'armonia briosa e andante. Catullo ed Orazio 
in alcuni loro carmi , ed in alcune novelle il Boccaccio e il 
Firenzuola , e in molti tratti i comici si latini che toscani 
no forniscono piacevoli esempj. 

27. Al contrario , siccome il carattere melanconico ama 
la solitudine, e rifuggo da ciò che è festa e riso, cosi Io 
stilo che può da quello denominarsi, s' intesse d'immagini 
pietose e di teneri sentimenti , e aggirandosi tra i cipressi 
dei sepolcri ripete il gemito della sventura, a fine d'ecci- 
tare ne' cuori sensi di pietà, e trasfondervi ancora la miste- 
riosa voluttà della mestizia. Sì veste poi d'un'elocuzione 
grave nelle parole, nei traslati e nelle figure, ed ama in 
generale un'armonia lenta e pietosa, a suoni rotti e brevi. 
Se lo Stile gajo è naturalmente ciarliero, il melanconico a 
rincontro è di poche parole, chè loquace è la gioja , taci- 
turno il dolore. Esso conviene ad ogni componimento al 
quale possa ripetersi : 

« Non fa per te Io star fra gente allegra ». 

[Pelr., C. XI, P. It). 

Ne incontrerai nobili esempj in Tibullo, nel Petrarca, nel 
Foscolo e nel Leopardi. 

§. ti. Dello Siile scherzevole. 

23. Proprio del carattere scherzevole è di muovere pia- 
cevolmente a riso le brigate con motti e con facezie , e tanto 
più quanto lo scherzo apparisce spontaneo e scoccato all'im- 
provviso e con aria disinvolta. Lo Stile scherzevole del pari 



DI RETIOBICA 101 
rallegra con graziose piacevolezze , e con sali ora giocosi, 
ora un tantino pungenti , sparsi con destrezza e con garbo, 
e soprattutto con naturalezza. L'arte di far ridere è piii 
dillìcile che non si crede; e se la natura non ci pone sul 
labbro la parola giocosa , se vi trapela nulla nulla lo studio, 
accade tutto il contrario; e se altri ride, ride di colui che 
voleva far ridere. È vano i! dire che l'elocuzione vuol essere 
facile e spontanea , condita di modi popolareschi c giocosi, 
e d'uti'annonia scorrevole e gaja. Uu così fatto stile ben 
s'adatta a lettere d'amici, a novelle , a capitoli , a tulto ciò 
che mira ad alleviare col riso l'uggia de' figliuoli d'Adamo. 
Orazio in alcune salire ed epistole, in alcune novelle il 
Boccaccio , e generalmente i nostri poeti giocosi ne danno 
spiritosissimi esempj. 



g. 6. Dello Stile diffuso e conciso. 

29. Dalla diversa estensione che chi parla" o scrive dà 
a'suoi pensieri, è 'nata appo i relori la distinzione dello 
siile in diffuso e in conciso. E poiché , generalmente parlan- 
do, l'uno dall'altro differisce nella forma del periodo entro 
la quale sta compresa la sentenza , mi sembra opportuno 
dir prima che cosa e il periodo. 

30. Quel giro pieno e perfello.di sentimenti e di parole, 
nel quale appagati si riposano la mente e l'orecchio, dicesi 
comunemente Periodo. Aristotele lo distingueva in semplice 
e in composto; semplice, quando non ha per entro alcuna 
posala, come: « Assai manifestamente comprcndesi quello 
« esser vero che sogliono i savj dire , che sola la miseria 
« è senza invidia, nelle cose presenti » (Bocc. , G. IV, Inlr. ); 
composto, se non è tutto d'una tirata, ma procede con 
riposi; lai è questo del Guicciardini: ' Io finalmente vi 
a conforto, re cristianissimo, all'accordo; non perchè per 
« sè stesso sia utile e laudabile; ma perchè appartiene a 
« principi savj, nelle deliberazioni difficili e moleste, ap- 
« provare per facile e desiderabile quella che sin necessa- 
« ria, o che sia manco di tutte le altre ripiena di difEcultk 



102 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

» e di pericolo » (Parlala del d'Oranges a Carlo Vili, Sfona 
d'Italia, Lib. II). 

31. Questa maniera di periodi composli , le cui parti 
sono appiccale insieme colle congiunzioni , ma però indi- 
pendenti l'una dall'altra , e che potrebbero adoperarsi da sò 
sole, ciascuna contenendo una perfetta sentenza, molto 
s'addico alle narrazioni, al parlar didascalico, o dovunque 
si ridiede maggiore semplicità. D'un'allra maniera e d'un 
tono più solenne c maestoso, e di cui servonsi volentieri 
gli oratori , specialmente negli esordj , e dovunque ricercasi 
più. magnifica eloquenza , sono quei periodi parimente com- 
posti , le cui parli diconsi membri, incisi ed incidenti. 

32. 1 memon sono quelle proposizioni principali che co- 
stituiscono il principio e il termine del periodo, e si collegano 
fra loro merce dei nessi o particelle correlative siccome.. . 
cos'i , sebbene. . . tuttavia , non solo. . . ma ancora, come che. . . 
non perciò , prima. .. che , ed altre simigliami. Inciti poi di- 
consi le proposizioni subalterne, le quali talvolta ne con- 
tengono altre minori legato per relativi , e quesle si chia- 
mano Incidenti. Cosiffatti periodi riescono talmente disposti 
e concatenali , che in virtù delle parlicelle sospensive o cor- 
relative, non può aversi il senso perfettamente din tornato e 
scolpilo fino al termine del periodo. Tutto ciò ben si riscon- 
tra nell'Esordio di Cicerone , Pro Archia. « Si quid est in 
u me Ingerii! , judices , quod sentio quam sit exiguum ; 
a aul si qua excrcilatio dicendi, in qua me non inficior 
a mediocriler esse versalum ; oul si hujusce rei raiio aliqua 
« ab oplimarum artium studiis ac disciplina profecta , a qua 
or ego nullum confiteor aelalis meae lem pus abhoi ruisse : 
a earora rerum omnium voi in primis hic A. Lìcinius fruclum 
a a me ripetere prope suo jure debet j>. Qui i membri sono 
due; il 1.° da si quid eie. , fino ad abh irrw'sse , il 2." da 
earum rerum eie, fino alla fine. Gl'incisi poi del primo 
membro son Ire : 1." Sì quid est in me ingemi; 2." aut siqua 
exercitalio dicendi; 3.° aut sì hujusce rei ratio etc. Final- 
mente gV incidenti contenuti in ciascuno degli incisi sono : 
Quod sentio quam sit exiguum; in qua me non inficior medio- 
criter esse versatum ; a quo ego nullum confiteor aetatis meae 
tempii s abliorrìtìsse. 



DI HE ITOTI ICA 403 
33. Per ciò che riguarda poi l'estensione del periodo , 
mi piace di riportare il precetto di Tallio che n'avvisa : 
« nec circuitus ipse verborum sit aut brevior quam àures 
t expectent , aut longìor quam vires, aut anima patialur o 
( De Orai. , L. IH ). Quindi soggiunge non dovere il periodo 
composto aver meno di due membri , ne più di quattro : che 
se talvolta havvene di maggior numero , non può chiamarsi 
periodo, ma diceria periodica. Tal' è quella sua dell'esordio 
per l'orazione ad Quirites post reditum : a Quod precatus a 
Jave Optìmo maxima eie. ». Osserveremo in ultimo che a 
fine di spargere per entro all'orazione la varietà congiunta 
all'armonia , e dì togliere a un lempo il fastidio d'un anda- 
mento troppo monotono e grave, ò necessario alternare i 
periodi composti ai semplici, non che i composti della prima 
maniera con quelli della seconda , guardando altresì d'ado- 
perare questi ultimi, dove !a gravita della materia vera- 
mente il richieda. 

3i. Sebbene lo siile diffuso e conciso stia più propria- 
mente Dei concetti e nei sentimenti , ben potendosi , come 
nota il Blair ( Lez. XVIII } , dettare a periodetti staccati , ed 
esser tuttavia estremamente diffusi, quando vi sia vacuità 
di pensieri , come talora riscontrasi in Seneca , e forse più 
ancora in certi moderni scrittori imbrattati di forestierume; 
con tuttociò suole appellarsi stile diffuso quello ove il pen- 
siero grandeggia largo e maestoso in periodi per Io più com- 
posti , e che si aprono e si chiudono con armonia piena e 
sonoro ; conciso poi quello , ove il concetto più ordinaria- 
mente vien ristretto in un periodo semplice, o al più bi- 
membre con poco o nulla d'incisi. 

35. Lo scrittore diffuso pertanto espone i suoi concelti 
con copia e magnificenza ; li presenta sotto varj aspetti , 
vuoi per antecedenti , vuoi per conseguenti, da loro tutto 
il rilievo di che sono capaci , mercè dei chiari-scuri e delie 
mezze-tinte; finalmente gì' invigorisce e gli abbella coll'or- 
natezza di convenienti figure, coll'eleganza delle parole e 
colla leggiadria delle frasi. 

36. Lo scrittore conciso a rincontro chiude i suoi pen- 
sieri in un giro quanto più può ristretto. Schivo d'ogni ri- 



104 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

dondauza , trasceglie tra i concetti i soli opportuni , tra le 
parole le meglio espressive, ed ama, come il Buonarroti, 
gli scorci ardili. Pensa più che non scrive , e scrivendo mira 
piti che all'eleganza alla proprietà ; negli stessi ornamenti 
più che altro ricerca la forza , e nella brevità dei periodi la 
energia. Il Davanzali , gran maestro di siffatto stile , diceva 
che esso afferra il punto e picca (1). Vedasi per cagione di 
esempio lo stesso concetto espresso diffusamente da Cicero- 
ne, concisamente da Cornelio: 

« Sani bellicas laudes solent quidam estenuare verbis, 
« easque delrahere ducibus , communicare cum militìbus , 
« ne propriae sint imperatorum. Et certe in armis militum 
« virlus , locorum opportunitas , auxilia sociorum , classes, 
« commeatus , multum juvant. Maximam vero partem quasi 
o suo jure fortuna sibi vindicat; et quidquid est prospere 
« gestum , id pene omuo ducit suum ». 

( Pi o M. Marcello). 

e Itaque jure suo nonnulla ab imperatore miles , plu- 
« rima vero fortuna vindicat, seque hic plus valuisse, 
« quam ducis prudentinm vere potest praedicare ». 

i Vili Thrasybuli . N.° 4j. 

37. Quantunque lo stile diffuso e conciso dipenda essen- 
zialmente dall'indole dello scrittore , laonde vediamo incli- 
nare al diffuso il carattere nobile , facile ed espansivo , 
quello severo e passionalo al conciso , tuttavia l'arte sug- 
gerisce esser meglio attenersi quanto più sa al diffuso colui 
che parla dalla cattedra sacra o accademica , nell'aula par- 
lamentaria o forense, affinchè sia da tulli meglio e spedita- 
mente inleso. Lo- stile conciso poi può molto lodevolmente 
adattarsi alla espressione degli affetti che amano natural- 
mente brevità e forza , non meno che agli scritti destinati 
alla stampa , sui quali il lettore ha campo di adoperare la 
debita attenzione per intender tutto e bene. È vero peral- 



(1 ) V. Pi voi , Della Vita e delle Opere di Bern. Davamati , p. lini , 
rdiz. Le Monnier. 



DI B. ETTO RICA 405 

tro che la natura dello scrittore sempre apparirà , come 
vedesi in Livio , in Tacilo, nel Guicciardini , nel Machiavelli 
ed in ogni altro valoroso scriltore. 

38. Ambedue questi generi di stile riescono common- 
devoli , si veramente che vengano con misura adoperati. Ma 
allorché la copia del dire trabocchi in ridondanza , e ì pen- 
sieri troppo amplificati galleggino in un mar di parole , o si 
ripetano troppo sott'altra veste, essendo la sinonimia delle 
cose men tollerabile che queila dei vocaboli; allorché al di- 
fetto de'sentimenli e dello immagini vuol sopperirsi coll'am- 
pollosilìi de' lussureggianti ornamenti e col rimbombo dei 
lunghi e sonori periodi , lo stile diviene prolisso, e per con- 
seguenza vario , slombato e stucchevole , quale appunto era 
quello che gli. antichi sfatavano col nome di Asiatico, dove 
par di dir molto e pur si dice pochissimo (1). 

39. Lo scoglio, ove non di rado va od urtare lo stile con- 
ciso , è l'oscurità. È oramai antico dettalo: cumbrevis esse 
laboro , cscurus fio ( Oiuz. , A. P. v. 25 ) ; e anche Cicerone 
l'aveva dello : coìicisaa sententiae, interdum etiam non satis 
apertae (In Brut.). Perocché per la smania di dir mollo in 
poco, talora vien fatto d'esprimere il concetto o non intero 
o per isbieco, o di tralasciare certe idee intermedie, che col- 
legando i pensieri lumeggiano il discorso. Olire a ciò v'è 
rischio dì cadere nell'aspro, nello smilzo, nello spezzato ed 
epigrammatico, e render lo stile, come dice il Gozzi , mi- 
nuzzalo e pestato, e trito in polvere, tanto che il lettore 
nou pare che legga , ma che singhiozzi {%). 

40. Ad evitare pertanto la fastidiosa lungaggine del pri- 
mo genere , e la importuna oscurità del secondo ; gioverà , 

H) Il Barloli accennando al dire profuso, scriveva : « Avete osser- 
n vale le prime lellern dei privilegi scrini in pergamena? Quanti traiti 

■ di penna , quante cifre , quanti scherzi in arabesco concorrono a for- 
« maria 7 e poi in fine ella non è più che un' A , o un B , una lettera 
« come le altre che semplicemente si formano. Questa è la immagino 
• vera dello siile Asiano. In un mondo di parole non vi dice più di 

■ quello che altri vi direbbe in un solo perìodo ». 

;2) Ltlt. al Pasquali, Race. cìt. , p. 



106 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

seguendo sempre la natura propria, sfuggire nel diffuso ogni 
superfluità, nel conciso ogni soverchia stringatezza; atte- 
nersi in quello al largo e al magnifico , in questo al serralo 
e ai sobrio senza difetto ; non cercare finalmente nè brevilà 
nè abbondanza per sistema , ma accomodarsi , per quanto 
è dato, alle materie, a' luoghi e alle persone. Tali ne sono i 
confini, quos ultra cilraque neqtal consistere rectum. 

41. Non sarà fuor di proposito notare che una risposta 
breve , recisa e senlenziosa suo! chiamarsi laconica, cioè a 
mo' degli Spartani che a Filippo che li minacciava di guerra , 
l'isposero : « Gli Spartani a Filippo. Dionigi a Corinto ». Tale 
può dirsi il modo onde presso l'Alfieri Antigone risponde a 
Creonte: 

a Creonte. Scegliesti? 

« Antigone. Ilo scelto. 

« Creonte. Eoion ? 

« Antigone. Morie. 

m Creonte. L'avrai: . . » 

(Antigone, Ali. IV, se. 1). 



42. Il discorso, nel quale risplendc la Perspicuità, è 
simile a limpida acqua a traverso la quale vedonsi le pie- 
(ruzze e le minutissime arene del fondo. Essa nasce prin- 
cipalmente dall'ordine, dalla chiarezza dei pensiero e della 
elocuzione. Della chiarezza che ricercasi nelle parole, di- 
cemmo quanto ci sembrò opportuno al §. 3 , C. I ; di quella 
che vuoisi nel pensiero , poco è a dire; perocché se non lo 
concepisci chiaro, non c'è arie che valga per chiaramente 
significarlo. Al più, al più possiamo dare qualche avverti- 
mento. E primieramente non porre la penna sulla carta , 
senza aver prima buon corredo di dottrina soda e ben 
digesla; sceglili , come dice il Venosino , materia da'tuoi 
omeri; meditala profondamente e in ogni sua parte; stu- 
diane ogni attinenza e relazione; insomma fa' d'averla 
come schierala tutta dinanzi alla mente. Le parole poi ven- 
gon da sè , e te lo dice anche Orazio : Verbaque provìsam 



1)1 RETIORICA 107 

rem non invita tequentur , sempreche (ben s'intende) sappiasi, 
a dovere la lingua. Cos'i la chiarezza de' pensieri , rifletten- 
dosi nella espressione senz'opacità d'ambiguo e d'incerto, 
darà al discorso quella vivida luco che e gran parie della 
Perspicuità. 

13. Questa poi risplendo intera per la retta disposizione 
delle parti che debbono concorrere allo svolgimento della 
materia che trattasi ; la quale disposizione e ciò che chia- 
masi ordine. Questa virtù, senza di cui non può nel discorso 
essere che confusione ed oscurità, ben si consegue da co- 
lui, il quale mercè il diligente studio raccomandato di sopra, 
ha chiara e distinta l' idea del suo argomenlo, sia in gene- 
rale , sia in ciascuna sua parte ed attinenza. Imperocché 
l'intelletto per tal modo facilmente scorgendo qual disegno 
meglio convengo alla trattazione delle materie, qual'csspr 
debba la connessione e l'armonia delle parli , le dispone e 
coordina in guisa che tutto quanto il discorso riesce all'al- 
trui comprensiva facile e chiaro. 

ii. Devesi pertanto in primo luogo far si che le linee 
principali del componimento si corrispondano tra loro in 
modo che il principio guardi il fine, il fine penda dal prin- 
cipio , e il mezzo si conformi e all'uno e all'altro ; seconda- 
riamente che le parti subalterne siano tra loro talmente 
disposte e collegato , che le prime servano a dar luce e 
forza alle seconde , queste alle terze , e così di seguito , in 
quello forma che gli anelli d'uno ealena succedonsi e strin- 
gonsi insieme; finalmente che non s'intralcino tra loro le 
cause e gli effetti , gli antecedenti e i conseguenti , le cir- 
costanze di fatto , di persona , di luogo e di tempo , saltando 
senza nesso logico dall'una cosa all'altra , e ritornando 
su'propri passi con vane ripetizioni e andirivieni. Non per 
questo s'escludono già le opportune digressioni , anzi ven- 
gono in ispccial modo raccomandale, perchè la connessione 
e conformila delle parli non vale uniformiti), la quale reu- 
dendo appunto la trattazione dell'argomento monotona e 
sazievole , devesi con acconcia varietà destramente schivare. 

45. Assaissimo poi conferisce alla perspicuità la scelta 
assennata delle circostanze, guardandosi dal poco come dai 



108 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

troppo, perchè se le moltissime (ronde fan danno alla pianta, 
le pochissime la rendono brulla. Nè meno le giova il serbare 
l'unita delle sentenze , tenendo sempre d'occhio al soggetto 
principale delle medesime; al che non bene mirò it 'Davan- 
zali in questa proposizione: « Lo stigì» il diavolo a spogliare 
a i conventi : dicendoli pieni di rabbie, di lussurie, d'igno- 
« ranza, d'ambizione e di scandali , e scopriensi l'un l'altro, 
« e davali in commende a uomini di conto ». Qui stigò si 
riferisce al diavolo, dicendoli ad Arrigo Vili d'Inghilterra, 
scopriensi a conventi , davali di nuovo ad Arrigo (1). Vuoisi 
inoltre notare che non di rado serve ancoro alla perspicuità 
il disporre le sentenze e le immagini in guisa che crescano 
sempre di forza, facendo precedere le men forti ed animale 
alle più gagliardo e vivaci , quasiché la luce maggiore di 
queste faccia anche quelle meglio rispondere ; e ciò pure 
vedesi spesso dai grandi scrittori molto efficacemente ado- 
peralo. 

46. Dalle quali cose conseguila doversi con ogni studio 
allendere alla chiarezza delle parole e delle idee , e al retto 
ordine delle materie saviamente distribuite, e all'armonia 
del tutto colle sue parli maestrevolmente collegate, se amia- 
mo d'adornare i nostri scrini di quella perspicuità, la quale 
sola può, per dirla col Stentini [A. P. , Lib. 1) salvarli dalla 
polvere e dalle Inrme; perocché ripelerò col Corticelli: t Non 
« basta a un dipintore, che nel suo quadro ciascuna figura 
« sia bella e ben falla , so poi le figuro non son ben dispo- 
« ste , e non hanno fra sè proporzione c convenienza » 
[Della Tose. Eloq., Gior. 1, Dis. VII). 

g S. Del Dot-oro. 

47. Dicevano i Latini: caput artis est decere; il perchè 
appellavano decor quel bello che nasce dalla convenienza 
delle cose in fatto e in dello. Ed anco i pittori chiamano 
decoro quella ragione che ne guida l'intelletto e la mano, 
a fine di non peccare contro la verosimiglianza , sia nel 



H) V. Vita del Umana., pag. ilvi , ediz. eli. 



di itETronicx 409 
rappresentare il subbielto per sè slesso, sia respetlivamenie 
al luogo , al tempo e al costume. Dote necessaria dello stile 
pertanto è altresì il Decoro, nel serbare il quale sta appunto 
il sommo pregio dell'arte. 

48. Nulla avvi , dice Tullio , di più difficile nella vita , 
non meno che nel discorso , che conoscere distintamente 
ciò che convenga e ciò ohe no (\) ; eppure da tal conoscenza 
dipende la vera lode dello scrittore , dicendoci anche Orazio: 

a Dcscriptos servare vices, operumque colores 
« Cur ego si nequeo , ignoroquo, poeta salulor? » 

[A. P., 86). 

Certo ella e opera piti dell'ingegno che non dell'arte ; tut- 
tavia questa può all'ingegno esser d'ajuto, agevolandogli a 
tal conoscenza le vie. 

49. Ogni argomento ha le convenienze. sue proprie ed i 
suoi propri colori , vuoi rispetto alla sua natura , vuoi ri- 
spetto al suo fine. Nell'imprenderne la trattazione adunque., 
innanzi tratto fa d'uopo considerare generalmente la natura 
di esso; vedere sotto qual aspetto torni meglio rappresen- 
tarlo : distinguere a qua! genere di prosa o di verso più 
presto si adatti; aver l'occhio altresì allo persone per le 
quali si tratta , alle circostanze ed alle occasioni, tra le quali 
e per le quali si tratta. In particolare poi devesi por mente 
alla varietà delle parti ondo componesi il tutto , e secondo 
che dominala ragione, la fantasia o il sentimento , o che si 
narri , si descriva , si dimostri o si commuova , adattare 
pensieri , immagini ed affetti a ciascuna dì queste parli , 
passando dal magnifico all'umile, dal concitato al tempe- 
rato, dall'aspro al tenue, e via discorrendo. E tale, se mal 
non avviso, ò il descriplas servare vices d'Orazio. 

30. A rilrar poi fedelmente i colori del nostro tema gio- 
verà pure far uso di un'elocuzione conveniente alla natura 
di esso, al modo onde ci siamo proposti di svolgerlo, alle 
persone, a' tempi e a' luoghi, opportunamente svariandola 



(1J De Orai., Uh. I, C. E!). 



MO DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

secondo la natura delle cose, in quella guisa che il pittore 
stende con belle gradazioni i colori d'ogni più minuta parte 
del quadro, sempre in armonia con quella che n'è la tinta 
generale. Finalmente conviene che anche il 'numero dei pe- 
riodi ora distesi , ora brevi , ora lenti , ora scorrevoli, ora 
spezzati, ora pieni , si accordi con giusta consonanza alla na- 
tura del componimento, ed alla molteplice varietà delle sue 
parli. 

51. A questi sommi capi io credo possa ridursi tutta 
l'opera dell'arte intorno al decoro, senza del quale non solo 
non si dà vera bellezza, ma anzi, come n'avvisa il Perti- 
car! {op. cil. L. Il, e. 8) , ogni piti piccola macchia, comecché 
tenue contro questa virlii guasta ogni più perfetto compo- 
nimento. Essendo adunque il decoro cosa di tanto rilievo, 
ne polendo Tarlo soccorrere che assai incompletamente, 
giudico possa esserne più sicuro maestro l'esempio dei sommi, 
l'assiduo studio dei quali grandemente io raccomando a cui 
non manca ingegno e brama di bella lode, ripetendo col 
Vida : 

« Quid deceat, quid non, tibi nostri oslendere possunt e. 

(A. p. L. li. V. (si) i 



APPENDICE. 

AHTi I. - Della Ini! (aziono. 

1 . I,' imitazione (ì riposta nel ben ritrarre la natura con- 
formemenle al vero, al buono e al bello che sono il fine su- 
premo dell'arte; laonde il Poeta disse che questa quanto 
puote,$egue la natura, come il maestro fa il discente (fnf. C. XIJ ; 
e Quintiliano avea già detto che il più dell' arte consiste 
nella imitazione. Dìfalto quegli artefici, cui l'universale giu- 
dizio tiene per sommi, poggiarono alla perfezione dell'arte 
quanto più dappresso si fecero alla natura, ritraendone con 
verità e leggiadria le inesauribili bellezze. Tal' è la imita- 
zione classica che differisce da quella che copia senza scelta 
ed alla rinfusa qualsivoglia esemplare offre la natura. 



DI KETTOWCA \ \ \ 

2. La imitazione può dirsi di tre sorte. La prima, più 
elevato, e per conseguenza nobilissima, è quella a cui pre- 
siedo il genio guidalo dal guslo. .Essa è l'arie nel suo più 
ampio significato, in quanto che e solo inlesa a farsi fida 
seguace e interprete della natura ; quindi a questa è volto 
il suo studio; da questa prende il bello, il vario, il semplice, 
il sublime, e con vivi e veri colori le sue immagini penncl- 
Jeggia. Di qui quella impronta originale che suggella le opere 
dei grandi autori, dallo studio dei quali deve apprendersi 
l'arto di ben seguir la natura, come ci mostrò l'Alighieri collo 
scegliersi a maestro Virgilio; perocché tale studio lungi dal 
tarpare l'ingegno, anzi l'avviva e rafforza, cosicché segna 
luminoso le proprio orme ancora quando preme lo altrui; 
e a chiarircene basta l'esempio dello stesso nostro Poeta, per 
tacermi di altri. 

3. La seconda maniera d 1 imitazione è d'un grado meno 
elevato, ma di pregio non comune pur essa. Se Omero e 
Dante , ingegni più poderosi di quanti mai onorarono la 
umana sapienza, si mostrarono si originali nel ritrar la na- 
tura, che ne furono sempre riveriti come primi pittori, gli 
altri egregi che se li tolsero a maestri dell'arte di ben imitare, 
ci mostrarono coli' esempio qual debba essere l'imitazione 
degli ottimi modelli. E primieramente anche questa richiede 
non tenue dote d'ingegno e di gusto; consiste poi non già 
netl'usurpare gii altrui pensieri, ma nel saper cogliere, come 
dice Dionigi d'Alicarnasso (1), con gli slessi artifìcj una di- 
versa vena di bello; nell'osservare di quelli in generale il 
disegno e il modo onde dare alle materie il conveniente 
sviluppo, ordine e forma; nello studiarne l'uso e il magi- 
stero degli accessorj a fine di ben congiungere la unita colla 
varietà ; nel far si che senza dipartirsi gran fatto dalla na- 
tura propria, si prenda dai migliori un cerio che di buon 
sapore e di buon colore, con lai dissimulala imitazione che 
neppure si paja; finalmente nel porsi in bella gara con essi 
nella verità dello stile, nella dipintura delle immagini e do- 
gli affetti, nell'eleganza e venuslà delle forme, nella grazia 



(t) Ari. licllor. Cap. X. 



112 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

e nel nitore dell'espressione, nella convenienza e soavità 
dell'armonia. In somma questa seconda maniera d' imitazione 
sta nel trarre, a mo' d' ingegnosa ape, il succo de'fìori più 
leggiadri nel ricco giardino de' Classici, e fattolo nostra so- 
stanza travasarlo ne' nostri pensieri: concludendo col Gozzi 
« che T imitare non è un legame, quando si sa fare; che esso 
« non è altro, che a poco a poco andar dietro alle orme 
« d'uno o di piti che li guidino per un sentiero che non 
« sai; ma come tu sei giunto ad un certo segno, se avrai 
« buon intelletto e forza, puoi prendere un volo; e lasciarti 
« indietro quegli stessi che tu averai imitato » [Difesa di 
Dante, Dio/, il). 

4. La terza maniera poi, che è l'infima , può fino a un 
certo termine procacciar lode, quando nell' imitare un illu- 
stre scrittore, ancora che se ne seguano molto dappresso le 
orine, tutiavia si usa una certa nobile franchezza, non già 
copiandone, ma sì ritraendone le vere bellezze con un fare 
largo e alla libera , chè prova è pur questa di non volgare 
ingegno. Tale non è però quella gretta imitazione che muove 
timida sulle pedate altrui; che se mai se ne scosta un tanti- 
no, fatti pochi passi e incerti vi ritorna sopra; che copiando 
alla rinfusa bellezze e difetti , quelle guasta , questi ingrandi- 
sce. Siffatta è l'imkazion di coloro , cui Orazio stimatizzò col 
marchio di servii pecorume; i quali poiché decipit exemplar 
viiiis imitabile , scambiano per manco d'ingegno i veri pregi 
con quelle mende, qws aut incuria fudit, aut fiumana parum 
cavitnatura ( On. , A. P. v. 352 ) , e credono se non di vin- 
cere , almeno di emulare il loro autore , se di queste sup- 
poste bellezze, quanto più sanno esagerate, le loro cose 
infarciscono. Quel valersi poi alla peggio delle ricchezze 
altrui , a vero dire , non è a chiamarsi imitazione , ma ra- 
pina, e chi non se ne fa coscienza, ricordi la cornacchia 
della favola , la quale furtivi* coloribus, fece di sè non poco 
rider la gente, 

5. Dalla imitazione, quale che sia, nascono quelle ebe 
in arte diconsi scuole. Quando alcuno autore tiene per al- 
tezza d'ingegno il campo o nella prosa o nel verso, molti 
sia per ammirazione, sia per vaghezza di lode, studiansi 



DI lìETTORICA H3 

di calcarne la medesima via. Se le forze valgono loro al 
cimento , noa è ciò senza gloria ; rimangono in breve ora 
nella oscurità quelli cui falliva nell'ardua prova la Iena. 
E qui mi tacerò di Dante, perocché al pari di Hichelangiolo 
nella scultura , non ebbe veri e propri imitatori ; quindi 
mentre fu ed è maestro e duce di lutti, non formò una 
scuola speciale, chè l'arditezza del poderoso suo volo dovette 
sgomentar gli altri dal seguirlo sì allo. Non cosi il Petrarca, - 
tenero e gentil maestro d'amore, la cui scuola fiorì anche 
troppo; e se egli ebbe egregi imitatori, archimandrita dei 
quali fu il Bembo, tanti più n'ebbe che di loro svenevolezze 
fecero assai tempo echeggiare il Parnaso italiano, con poca 
lor gloria , e con minor prò della patria e dell'arte. Ebbe 
imitatori anco il Boccaccio , ma senza le costui grazie riu- 
scendo anzi che no pesanti, ben presto fastidirono. Il Mari- 
ni, uomo d'ingegno immaginoso, sdegnando lo grettezze 
de' Petrarchisti, osò spingersi a libero volo; ma abbando- 
nandosi troppo alla sbrigliata fantasia, diede nel falso e 
nell'esagerato, e capo divenne di quella scuola che rese 
proverbiale il secento. A fine di far in Italia rifiorire il 
buon gusto, s'instiluiva in Boma l'Arcadia, riponendovi^ 
in onore il Petrarca ; e non le mancaron talora bei nomi 
che la illustrarono; tuttavia per lo più traboccò nelle con- 
suete leziosaggini di poeti in amore camuffati da pastori 
della decrepita mitologìa ; le nenie dei quali non erano che 
sbiadile imitazioni, tutl'arte a mera lusinga degli orecchi (1). 
Sorgeva il Frugoni, fecondo e vivace intelletto, e nuova e 
splendida orma segnava all'italica poesia; ed ecco dietro a 
lui ben lunga tratta d'imitatori , i quali non dolati del pari 
di poetica virtù, al pomposo ed al lussureggiante onde il 
maestro talora copriva il vuoto del pensiero, prodighi d'am- 
polle e di parole aggiunsero frasche ed orpello. Alla scuola 
frugoniana succedeva Vossianesca. 1 poemi d'Ossian, bardo 
caledonio, raccolti da Macpherson , siccome e' spacciava, 

01 a Quest'Accademia è adesso degna d'ogni ìorte, e lasciale le 
paslorellerie . nome.il «arenile chiamava, ajuia e promuove ogni piti 
nobile disciplina ■ F anfani , Lettere Prece!!., noia a pag. 288. 



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IH DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

tra i montanari scozzesi , aveva» levalo lai fama, che pa- . 
revano minori al confronto quelli d'Omero, e quasi non 
tlissi la stessa Bibbia. Il Cesarotti, ingegno vasto e polente 
quant'altri mai dell'età sua , e che al dire del Botta , poteva 
essere il restauro delle nostre lettere, e quasi ne fu la ro- 
vina , dopo fattosi campione de' yal/iviz-zanli , prumossc in 
Italia il gusto della poesia ossiauesca colla sua celebre tra- 
duzione d'Ossian in versi splendidissimi. I nostri verseg- 
giatori abbagliati dalla novità di quelle fantasticherie d'im- 
pronta caledonia, ne imitarono a gara le strane immagini, 
i foschi ed esagerati colori, e le forzate ed ampollose espres- 
sioni ; in guisa che per poco l'italica poesia non più forma 
alcuna serbava di se medesima (1). Breve vita però s'ebbero 
gli ossia neschi , ai quali succedettero i romantici, della cui 
scuola altrove diremo. 

6. Delincati i caratteri della imitazione ne' diversi suoi 
gradi, e tracciatene le regole, vedulo come in ogni grado 
di essa può conseguirsi lode più o meno splendida e dura- 
tura, e come la gretta maniera di quegl'imilalori, la cui 
immagine riscontrasi al vivo dipinta nelle pecorelle del Poe- 
ta (2), non tanlo è loro di biasimo, quanto ancora ne resta 
non di rado oscurala la gloria della patria letteratura, è 
prezzo dell'opera dare altresì qualche cenno degli autori 
che debbonsi scegliere a maestri. Nè si tema , giova ripe- 
terlo, che la savia imitazione de' sommi ritenga il libero 
volo della mente; che anzi, come ben noia il Colombo, 
essa ajula a volo piti allo, o almen più sicuro, essendoché 
il porsi a gara con quelli eccita l'ingegno e raffina il gusto 
(Op. ciL, Lez. III). 

7. Serbare l'indole propria e quella delle patrie lettere, 
è gloria d'ogni buono scrittore : a tal fine perLaiiLo gioverà 

U) Dotta. Star, filai. , Lio. L, 4783-1789. - Cantù , Stor. Univ. , 
Ep. XVII, C. 20- 

(2) a E ciò the fa la prima, e l'altre fanno, 
« Addossandosi a lei s'ella s'arresta, 
a Semplici e (juete, e lo 'mperenà non sanno ». 

[Purg. C. 111). 



DI RE T TORI G A 4 1 5 

scegliersi i migliori Ira'grandi che meglio consuonano colla 
nostra natura, e da quelle nazioni il gusto delle quali più 
presto si confa a quello della nostra. E poiché debbono es- 
sere gli ottimi, non saranno in gran numero, chè e'son 
rari dovunque. Si preferiscano quelli , al dire del Gozzi , 
che, come gran corpi, hanno « salde ossa, polpe solide, 
tr molto sangue, nervi potenti, muscoli gagliardi, tutte forti 
<( e proporzionate membra ; i tisicuzzi e i tristanzuoli , con 
« un poco di bel colore sulla pelle , non ci lusinghino. . . . 
a Quelli si abbiano d\ e notte tra mano, e si squadernino 
" e si svolgano ; ma si prenda ad imitarne uno soprattuiti , 
•( non per metterci per sempre in ceppi , ma per volar poi 
« da per noi animosamente , dopo buona scuola ; perocché 
« chi sempre imita è pecora ; chi non ha imitato mai , cer- 
« vel balzano (1) ». 

8. Scelto l'autore che più ne talenta , e studiatolo con 
lungo e grande amore , si vada pure raccogliendo dagli altri 
quell'oro che vi risplende , sempre anteponendo quelli che 
sono in voce di maestri , massime in quel genere di prosa o 
di verso , a cui vogliamo più specialmente porre l'ingegno. 
Fondamento allo studio della bella imitazione, e mezzo onde 
abituare la mente alle cose grandi ed ai grandi pensieri, 
sono Omero e Dante. Dipoi il poeta apprenda l'elevatezza in 
Pindaro , la grazia in Anacreonte , la nobiltà in Sofocle e in 
Euripide , l'eleganza in Terenzio , in Virgilio e in Orazio, la 
delicatezza nel Petrarca , la vivacità del colorito nell'Ariosto 
e la purezza del disegno nel Tasso, la forza, la splendi- 
dezza e la gravità nell'Alfieri , nel Parini , nel Foscolo e nel 
Leopardi. Il prosatore sludj la breviloquenza in Demostene, 
in Tucidide e in Sallustio; la maestà e l'abbondanza in 
Platone, in Plutarco, in Cicerone, in Livio, nel Boccaccio 
e nel Guicciardini; la vibratezza e l'energia in Tacito e 
nel Davanzali ; la naturalezza e il candore in Cesare, nel 
Cavalca o nel Passavanti; la precisione e la facilità nel 



(4) Un. dei Goni a Race, ctt., p. 886. 



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446 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Galilei e nel Redi. E di questi esemplari greci, latini ed ita- 
liani dirò a'giovani studiosi ciò che Orazio diceva a'Pisoni: 

a Noclurna versale manu , versate diurna o. 

(A.P , v. SG9 -J. 

9. Lo studio comparativo declassici fora altresì loro ma- 
nifesto come e quanto Virgilio e Orazio imitassero Omero, 
Pindaro , Anacreonle , Teocrito e Callimaco , come non sde- 
gnassero , massime il primo , di razzolar l'oro in Ennio. Ri- 
scontreranno in Dante e nel Petrarca il loro studio sui poeti 
di Mantova e di Venosa ; nell'Ariosto e nel Tasso , per nulla 
dire del fiore , della vivezza e della grazia che tolsero dalla 
divina Commedia e dal Canzoniere , scorgeranno nel dise- 
gno , nel colorito . negli episodj, nel linguaggio degli affetti 
e nella verità delle descrizioni, la felice imitazione della 
Iliade e della Eneide. Ecco con quali autori dovranno i gio- 
vani vaghi di bella lode , entrare in nobile gara ; e se baste- 
ranno loro le forze dell'ingegno, potranno emularli * e quasi 
non dissi talora anco vincerli, come del Bojardo fece l'Ariosto. 

\0. E poiché tutte le regole da Aristotele fino a noi det- 
tate non formeranno mai un lodalo scrittore , se non vi si 
aggiunga l'esercizio, in quella guisa che tutte le teorie di 
qualsivoglia arte non danno senza la pratica neppure un 
artefice mediocre , viene raccomandato in principal modo 
l'esercizio del comporre. Incominciate pertanto dal prendere 
ad imitare un'immagine o una breve descrizione dell'autore 
da voi scelto , ingegnandovi dì dare o all'una o all'altra ve- 
rità ed eleganza quanto sapete maggiori. Non v'incresca 
quella inferiorità in cui vi troverete sul primo in faccia al 
vostro esemplare; niuno divien maestro in un attimo. Ri- 
tentate piii e piti volte la prova: saepe stylum verlas , di- 
ceva Orazio, cancellale, correggete, rifate; e se non per 
anco raggiungete l'eccellenza di quello , vi sarà dato però di 
andargli più e piò dappresso ; e ciò vi conforti a bene spe- 
rare. In egual modo fatevi ad imitare ora una più estesa 
descrizione, ora una narrazione , e di mano in mano salile 



DI HETTOHICA 117 
a componimenti più lunghi o di maggior lena. Cosi pari a ge- 
nerosi poledri, di buon cibo pasciuti e maestrevolmente ad- 
destrali, vi slancerete a libero corso, e riporterete anche voi 
non igDobili palme. 

H. A fine di dar maggior luce a'precetti , gioverà porre 
a riscontro alcuni esempj d'imitazione tratti dai classici: 

n Qualìs speluuca subito commota columba 

<t Cui domus , et dulces latebroso in pumice nidi , 
a Fertur in arva volans, plausumque exterrita pennis 
■ Dat tecto ingenlem ; mox aere lapsa quieto 
« Radit iter liquidum, celeres neque commovel alas ». 

( Aeri. , L. V). 

« Quali colombe dal desio chiamate 

« Con l'ali aperte e ferme , al dolce nido 
a Volan per l'aer dal voler portate ec. ». 

( ln{. , C. V). 

■j Pone me pigris ubi nulla campìs 
« Arbor aestiva recreatur aura ». 

(On., Od. «2, L. I ). 

a Potnmi ove il sole uccide i fiori e l'erba , 

« 0 dove vince lui '1 ghiaccio e la neve ec. ». 

[ Pbtbabca , Soq. 95, P. I ). 

« Purpureus veluti quum flos succisus aratro 
« Languescit moriens , lassove papavera collo 
« Demisere caput , pluvia quum forte gravantur «. 

[ Aen. , L. IX )• 

« Come purpureo fior languendo muore 

« Che il vomere al passar tagliando lassa , 

« 0 come carco di soperchio umore - 

a II papaver nell'orlo il capo abbassa ec. d. 

[ OH.Fur., C.XVIII]- 



118 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

<t Magno curarum flucluat aeslu », 

\Acn., L. Vili). 

« Che il no e il s\ nel capo mi tenzona ». 

( Inf., G. Vili ). 

« Nè sì nè no nel cor mi sona intero ». 

( Peiu., Son.tlG, P. I). 

« In gran tempesta di pensieri ondeggia-». 

( Gems. Lib., C. X). 

« Iliaci cineres, et Damma extrema meo rum 
a Tester , in occasu veslro nec tela , nec ullas 
« Vilavisse vices Danànm : et, si fata fuissent 
« Ut cadcrem , meruisse manu. . . . ». 

[Ann., L. 11). 

« Voi chiamo in testimonio , o del mio caro 
« Signor sangue ben sparso e nobili ossa, 
« Clie a!!or non fui della mio vita avaro, 
« Nè schivai ferro , nè schivai percossa. 
« E se piaciuto pur fosse !a sopra 
« Ch'io vi perissi, il meritai coll'opra ». 

{ Gtr. ùb., C. Vili). 

Non la finirei si tosto , so volessi riportare di tali csempj 
anche solo i migliori ; tuttavia mi si consenta d'aggiunger 
quello della celebre comparazione omerica del cavallo colle 
sue non meno celebri imitazioni. 

« Come destriero che di largo cibo 
a Ne' presepi pasciuto, ed a lavarsi 
« Del fiume avvezzo alla bell'onda , alfine , 
« Rotti i legami, per l'aperto corre, 
o Stampando con sonante ugna il terreno; 
« Scherzan sul dosso i crini , alta s'estolle 



DI ItETTOTttC.V 



■ « La superba cervice, ed esultando 
« Pi sua bellezza , ai noli paschi ei vola 
« Ove amor d'erbe o di puledre il tira ». 

[Iliud., C. VI, Trad. 
del Monti). 

« Et Liim sicut erjuus , qui de praesepibus aclus 
n Vi n eia suis magnis animis abrupit, el inde 
« Feri se se campi per cacrula , laelaque prata 
a Celso pectore, saepe jubam quassat simul altam, 
« Spiritus ex anima calìda spumas agii albas ». 

( Eknjo, Pram. VI ). 

■< Qualis ubi abruptis fugit praesepia vinclis 

« Tandem liber eqous , campoque potìlus aperto , 
« Aut ille in pastus , armentaque tendil equanim, 
" Aut. assuelus aquae perfundi flumine noto 
« Emical , arreclisque fremii cervicìbus , alte 
« Luxurians, luduntquc jubae per colla , per armos ». 

\Am.,L. XI.) 

a Come destrier , che dalle regie stalle 
« Ove all'uso dell'armo si riserba , 
« Fugge e libero allin per largo calle 
« Va tra gli armenti al fiume usato , o all'erba. 
« Scherzai) sul collo i crini e sulle spalle , 
■ a Si scuote la cervice alla e superba; 
a Suonano i piè nel corso , e par che avvampi 
« DÌ sonori ni triti empiendo i campi ». 

( Gcrus. Lib., C. IX). 

« Deslrier che all'armi usato 
a Fuggi da chiuso albergo , 
« Scorre la selva e il prato , 
a Agita il crin sul tergo , 
e E fa co'suoi nitriti 
a La valle risonar, 



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DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



a Ed ogni suon che ascolta 
« Crede che sia la voce 
« Del cavalier feroce 
« Che l'anima a pugnar ». 

[Mbt*3t., Ales. : , Alt. II, se. 10]. 



Aut. 11. - Dell* Traduilooe. 

ti. Essendo la Traduzione uno de' principali esercizj che 
addestra alla imitazione, ed una piti stretta imitazione ella 
stessa , parmi opportuno esporne qui la natura e le regole. 

13. « La Traduzione consiste nel trasportare un'opera 
« da un'altra favella con fedeltà, mantenendo i lineamenti, 
« i colori, le movenze e lo spirito dell'originale » (1). Ella 
è una copia dell'altrui dipintura, della quale non basta ri- 
portare la composizione e il disegno, se non vi si riproducono 
le stesse finezze dell'arte, si che quasi non sappia distin- 
guersi dall'originale la copia. 

ii. Il tradurre da una lingua ad un'altra un'opera di 
amena letteratura, e specialmente poetica, è appunto, come 
pareva al Gargallo, quasi una lotta tra'due scrittori; laonde 
il Pallavicino richiedeva nel traduttore non minore ingegno 
che nell'autore. E primieramente vuoisi tra essi una certa 
conformità di carattere, acciocché più facilmente riscontran- 
dosi ambedue nel modo di concepire le cose e di sentire gli 
alletti, siavi quella somiglianza di stile, che tanto a ragione 
ricercasi. Difatti il Leopardi voleva ehe il traduttore rappre- 
sentasse tutto il carattere dell'autor suo; lo che non può farsi 
altrimenti che dando, per quanto è possibile, a'suoi concelti 
la impronta medesima che seppe dar loro l'autore. Non 
basta , soggiungeva il Giordani , che il traduttore ci riferisca 
nudamente le sentenze, le quali in tal modo non sono che 
un'eco; vogliamo eriandio tutto quello che d'indole e d'arte 
sua propria in significarle e disporle adoperò l'autore mede- 



(1) Montanti. SuWorte del tradurre. Trallalo aggiunlo al Blair. 



DI RETTO II ICA 1 2) 

simo. ÀI che gioverà assaissimo avere altresì sufficiente con- 
tezza de'tempi, de'costumi, della religione, delle opinioni, 
dell'eia e della condizione di esso autore, siccome cose che 
più o meno influiscono, tutle sull'opera di luf. 

15. In secondo luogo è necessaria una profonda cogni- 
zione della lingua propria e-di quella del lesto; e poiché 
ogn' idioma ha un' indole sua particolare, e per conseguen- 
za alcune proprietà del lutto inalienabili, sta'al precetto 
oraziano: Nec verbum verbo curabis recidere fidus Jnterpres. 
[A.P.v. 135); precello in tutto conforme all'esempio già datone 
da Tullio nella sua traduzione delle due Orazioni di Demo- 
stene ed Eschine, intorno alle (inali dice egli slesso : Non ver- 
bum prò verbo necesse habuì redclere, sed genus omnium verbo- 
rum, vimque servavi [De opt. gen. Orai.) Inteso pertanto che 
avrai il concetto, non li fare schiavo della parola, ma rendilo 
in quel modo che nella tua favella vi corrisponde e per evi- 
denza e per forza. Non cambiare il figuralo del lesto col 
proprio; e quando ancora t'incontri in metafora o in locu- 
zione che volta letteralmente non suoni con pari eleganza 
e proprietà, e tu cerca nell'idioma luo vocaboli e forme figu- 
rate che non la cedano a quelle per vivezza e splendore. 
Gioverà altresì alla forza e all'evidenza serbare talvolta la 
giacitura delle parole e l'armonia del costrutto, per quanto 
la natura della lingua il consente, della quale iraducendo 
serberai sempre schietta la fisonomia. Ricorda finalmente, 
massime nelle traduzioni poetiche, quella verissima sentenza: 
che una grande fedeltà divenla una grande infedeltà (1). 
Te ne sia testimonio nelle sue traduzioni il Salvini. 

16. Inoltre fa di mestieri por mente al genere discrittura 
che imprendesi a tradurre, non che alle diverse parli che la 
compongono , a fine di dare e al tutto e alle parti il con- 
veniente colore. Al che forse non sempre mirò l'Alfieri nella 
traduzione dell'Eneide, dove senti più presto il tono della 
tragedia che non quello dell'epopea; e il Montanari nota che 
se il Caro va talvolta innanzi a Virgilio nel linguaggio pas- 



(1) Delllle, Pcoem.alla Traduzione delle Georgiche. 



122 DULLE ISTITUZIONI E LE MENTA HI 

sionato, molto indietro gli resta dove richiedesi l'eroico. 
Oltre a tutto questo v'ha d'uopo di molto discernimento e 
finissimo gusto a ben distinguere le vere bellezze originali 
per riprodurle con pari venusta e grazia 

1 7. Finalmente perche più s'accosterà alla perfezione quel 
volgarizzamento, che piti fedelmente ritraendo la fisonomia 
dell'originale, farà meno desiderar questo, e indurrà quasi 
a credere che l'autore non avrebbe fatto altrimenti, se r.ella 
lingua del traduttore scriveva, dovrà conservare eziandio 
quelle speciali qualità, fossero anche difetti, le quali 
spiccano nel testo, perchè concorrono esse pure a rendere 
viepiù simigliarne la copia. Dipintore valente riporta nel 
ritratto anche i nèi dell'originale, e per tal via consegue che 
si riconosca tra mille. Si loderà l'ingegnoso ripiego d'Apelle 
nel ritrar di profilo l'effigie del re Antigono, per nasconderne 
i! difetto dell'occhio; ma questo può ad altri sembrare corti- 
gianeria. 

18. lì sotto tale aspetto appunto va meno lodato l'Alfieri 
nella traduzione del Catilinario e del Giugurtino, perchè 
oltre alla forza ed alla compressa maniera che vi scorse, 
c che non di rado ben riprodusse , non vi fece trasparire 
quell'eleganza che un certo colore d'antichità per gli stessi 
arcaismi si studiosamente Sallustio ricercava ; tanto è stretto 
l'obbligo del traduttore di conservare anche i minutissimi li- 
neamenti del testo. Lodalissimo a rincontro va il Davanzati 
per il suo stupendo volgarizzamento, dove, checché no paja 
al Monti, che per alcuni fiorentinismi, non tanti però quan- 
t' altri si avvisa, dice tramutate in commedia le tragedie di 
Tacito, o e la forza e la postura delle semenze e que'lra- 
« getti di lingua, e que' rapidi tratti direi di pennello, a ma- 
li raviglia ritrae, sì che quantunque in altra favella, tu senti 
« di leggere Tacito, e vedi e odi non ali ri che lui » tanto 
ei seppe gareggiare con esso, dice il Tommaseo, in quella 
forza del dire, che dimostra chiaro una forza corrispondente 



(1] Moktas , loc. oli. 



_ . 1 1 ! : l'"J i: ; C 



DI RETTO-RICA 123 

d'animo e d'intelletto (1). Senza le quali doti ogni traduzione 
so non riuscirà fredda e melensa, sarà certamente sbiadita, 
e somigliante alle stampo d'egregio dipinture, dove si ri- 
scontrerà precisione di disegno, esattezza di linee, fedeltà di 
movenze, ma non mai il rilievo e la vivezza del colorito. 

19. Che poi l'esercizio del volgarizzare sia stato in ogni 
tempo riguardato siccome utilissimo alla imitazione declas- 
sici, non credo possa mettersi in dubbio dopo l'esempio di 
Cicerone, assiduo traduttore de'Greci, ed a cui potrei ag- 
giungere molli altri, Ira' quali citerò solo il Caro, >1 Ba- 
gnoli e l'Alfieri; i primi due traduttori di Virgilio, per for- 
marsi uno stile conveniente alla maestà ed eleganza del- 
l'epopea, il terzo di Sallustio, per appararvi la robustezza 
e la breviloquenza della tragedia. 

20. E qui basterà della traduzione; se non che a comodo 
dei giovani citerò i nomi de'più eccellenti traduttori , ri- 
mandando all'opera citata del Montanari chi desiderasse 
do' buoni volgarizzatori più cslesu notizie. Peri trecentisti 
pertanto vanno per la maggiore le traduzioni delle Vite dei 
Santi Padri che abhiamo del Cavalca , del Catilinario e del 
Giugurtino di Fra Bartolommeo da S. Concordio, della Citta 
di Dio di S. Agostino , attribuita a Fra Iacopo Passavanti e 
delle Decade di Tito Livio d'incerto. Del XVI secolo vengono 
celebrati i volgarizzamenti dell'Eneide di Virgilio e della 
Rettorica d'Aristotele per il Caro, delle Storie di Tacito per 
il Davanzali , di quelle di Tito Livio per Iacopo Nardi , di 
Seneca, Trattato de'Benefizj per Benedetto Varchi, de'Com- 
menlarj di Giulio Cesare per il Baldelii. Del secolo seguente 
si loda la versione di Tito Lucrezio Caro per Alessandro 
Marchetti, e quella delle Vite de* pittori antichi per Carlo 
Boberto Dati. Tra i moderni poi che colsero nobili palme nel 

(Il Dteion. Estetico. - Il Leopardi soggiungo: a II Davanzali, pa- 
« drooe assolalo di quella onnipotenle lingua Aorenlina, ci lia dalu hi 
» nervosissima e originalissima traduzione di Tacilo, la quale come pi fi 
'■ l'uomo considera, più dispera d' imitai e ». Disborso promesso alla tra- 
duzione della Titìinomarhta di Esiodo. Voi. Ili, Edi/. Le Uon. pag. 155. 



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124 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

campo de'volgarizzatori, si segnalarono i! Pompei colle vile 
di Plutarco , il Cesarotti colle Orazioni di Demostene , il 
Monti coli' Iliade d'Omero e colle Satire di Persio, il Fo- 
scolo con alcuni canti dell' Iliade , il Pindemonte coli* Odis- 
sea, il Borghi con Pindaro, Felice Bellotti coi tre Tragici 
Greci , il Costa e Giovanni Marchetti con Anacreonte, Giu- 
seppe Arcangeli con Callimaco, Tirteo ed altri Greci , l'Arici 
colla Georgica , Dionigi Slrocchì con Callimaco, colla Bucco- 
lica e la Georgica , Tommaso Gargallo con Orazio e Giovenale, 
l'infaticabile Cesari coll'Epislole di Cicerone e con Teren- 
zio, e per ultimo il Maflei colle nobili sue traduzioni di 
Schiller, di Gesner, di Moore, di Byron e di Milton. 



PARTE SECONDA 



S 

DELLA INVENZIONE. 

Esposto quanto ne sembrò necessario intorno alla Elo- 
cuzione ed allo Stile, acciocché educato il gusto alle squi- 
sitezze delle varie forme del dire, sappiasi adattare bello e 
convenevole abito ai pensieri della mente ed alle immagini 
della fantasia, seguono gli ammaestramenti che intorno alla 
Invenzione vengono dettati dai relori. 

L'Invenzione b il ritrovamento della materia idonea .il 
nostro subbieito; laonde generalmente comprende lutti i 
componimenti si in prosa che in verso, i quali possono di- 
stinguersi in componimenti di genere Umile , Mezzano ed 
Elevato. 

Incominceremo da quelli in prosa di genere untile, ac- 
ciocché andandosi dal più facile al meno, rendasi ai giovani 
in sulle prime mosse più piana la via, per la quale c'in- 
camminiamo. 

Capitolo L - Dei Componimenti in prosa , di genere umile. 

§. 1. Della Favola. 

\. La Favola, o Apologo che dirsi voglia, trovasi da 
tempo antichissimo in uso presso gli Orientali. Da questi 
forse l'ebbero i Greci , i quali si la ingentilirono , che la noia 
raccolta delle Favole Esopiane ha servito di modello in ogni 
eia, e presso ogni nazione. La Favola pertanto può" defi- 
nirsi: un breve e vìvo racconto d'un'azione che fingesi 
fatta da enli animati o inanimati , acconcia a (rame una 



126 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

conseguenza che per la somiglianza renda altrui sensibile, 

e però chiara e spiccata , un"aslratta verità morale. 

1. L'intera natura fornisce al favolista gli attori del pic- 
colo dramma , essendoché v'introduce a dire o a fare, come 
se fossero persone, animali, alberi o che altro mai. Questi 
finti escmpj , ment re dilettano per la novità , sono molto va- 
levoli a persuadere d'una verità la mente di chi per età o 
per condizione è meno atto a dedurre da generali principi 
pratiche conseguenze. Una favolelta capaciterà d'una buona 
massima i fanciulli più. che un lungo sermone; e' per ta- 
cermi reverente delle Parabole del Divino Maestro alle turbe 
della Giudea , solo dirò che la storia ci mostra che meglio 
d'una faconda dicerta valsero per quei d'imera e per la 
plebe romana gli Apologhi di Slesicoro e di Menenio Agrip- 
pa ; tanto è vero che plebrja ingeniti magis exemplis, quam 
ratione capiuntur (1). 

3. A ben condurre la favola pertanto, conviene: 1." Ser- 
bare l'indole degli animali e la natura delle altre coso che 
vi s'introducono, per non offendere la verisimiglianza ; 
2." Porre in chiara analogia l'azione dipinta colla massima 
finale, acciocché sia tosto e facilmente appresa; 3." Che il 
racconto sia breve, in dettato semplice, sparso di nitore e 
di grazia, acciocché l'ammaestramento riesca più efficace, 
mercè del diletto. Se poi in verso o in prosa poco rileva, 
benché in arte preferiscasi il verso. 

4. Dopo le Favole d'Esopo, che i Latini ebbero si ele- 
gantemenle tradotte da Fedro, e che noi pure per varj 
del buon secolo avemmo volgarizzate con dovizia di voci 
e di modi elettissimi, ogni nazione ebbe le sue; l'Italia 
però, come nel resto, precedette le altre, e nel Novellino, 
bel fioretto del trecento, si contano alcune favolette vaghis- 
sime per semplicità e candore. Leggiadri ssi me sono quelle 
che il Firenzuola intrecciò ne'suoi Discorsi degli Animali, e 
per tacer d'altri prosatori di Favole , nominerò per ultimo 
il Gozzi , che per festività e per grazia non ha tra' moderni 
chi lo*pareggi. 

(1) Mìccio, Saturnali, Lib. VII , C. 4. 



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DI RETTOMCA 127 
a. Servir!) per esempio il citalo Apologo del poeto Slesi- 
coro a' suoi concittadini, oliò quello dello Stomaco e delle 
Membra addotto da Menenio, è abbastanza noto nella storia 
romana. 

Del Cavallo. 

<r Stesicoro, avendo gl'Imenei eletto por generale dcll'escr- 
« cito Fai ari lor capitano , e disegnando dargli una guardia 
« per la sua persona , dopo dette le altro cose soggiunse 
(i questa favola. Slavasi prima il cavallo solo a godersi la 
■( prateria : venne un cervo a turbargli il suo pascolo; della 
gì quale ingiuria volendosi vendicar contro al cervo, do- 
■< mandò l'uomo, se potesse insieme con lui darnegli ca- 
' stigo : SI bene (rispose l'uomo) quando tu pigliassi il 
<i freno in bocca, ed io li salissi sopra con una lancia in 
« mano. E consentendo il cavallo a questo; e montandogli 
« l'uomo addosso , il cavallo invece di vendicarsi divenne 
k servo dell'uomo. Ora guardale ancor voi, che volendovi 
ci vendicar de' vostri nemici, non v'avvenga come al eavallo. 
■( Voi vi siete già messo il freno, poiché avete dato l'ini- 
« peno a un capitano. Se gli darete ora la guardia , e la- 
« scereLc che vi cavalchi , sarete già falli servi di Falari » 
[Caro , lìettorica d'Aristotile]. 



§. 3. Dell,-, Lettera. 

6. La Lettera, secondochè bene la definisce Cicerone, 
est mutuus ab&entium sermo , che ò "quanto dire un conversar 
]»er iscritto con chi ci è lontano. E poiché colui che conver- 
sando parla con urbanità, con naturalezza e convenienle- 
niente a'tempi ed alle persone , si ha per costumalo , e con 
piacere s'ascolta, e tali vogliono esser le lettere per meri- 
tare Jode tli belle. La familiarità n'è il principal condimento; 
e questo si consegue scrivendo come si parla , alla disin- 
volta , senza studio e come detta il cuore; perocché, conio 
insegna il Flaminio, lo scriver familiare ha da esser tutl'uno 



428 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

col parlare (11 ; e per questa ragione appunto le furono dette 
familiari. Ma poiché in un modo traUiam cogli amici, in 
un altro con chi è da più di noi , o da meno , così le let- 
tere prendono un ben distinto caraltere, perocché scrivendo 
a'cari nostri, parla l'affetto di padre, di figlio o d'amico, 
con dolce dignità , con amorevole rispetto , con confidente 
dimestichezza ; scrivendo ai dappiù lo penna va più ratte- 
nula per sentimento di modestia e di reverenza; ai da 
meno , si procede con un certo riserbo misto a gravità ; co- 
sicché in questo apparisce non di rado un po'd'arte , in 
quelle di parenti e d'amici , senlesi più facilmente la schietta 
natura, il perchè riscontriamo in generale anche negli ec- 
cellenti scrittori essere Ira le loro lettere migliori quelle in 
cui piii s'espande il cuore. 

7. II line della lettera può essere d'informare alcuno, 
d'interrogarlo, di consultarlo , di pregarlo, di ringraziarlo, 
di esortarlo o riprenderlo, di raccomandargli persona, di scu- 
sarsi , di congratularsi ó condolersi seco , ed altri infiniti atti- 
nenti alle varie contingenze della vita; quindi quello di dare 
opportuna risposta a ciascheduna di siffatte lettere; laonde in 
generale dividonsi in missine e responsive; in particolare di- 
consi d'avviso o di ragguaglio , di domanda, di consulta o di 
preghiera, di ringraziamento, d'esortazione , di riprensione, 
di raccomandazione , di scusa, di congratulazione, di con- 
doglianza, d'augurio, d'invito, di negoy ec. In tutte, come 
in ogni altro eomponimenlo , richiedesi principio, mezzo e 
fine; cioè parole come d'esordio a conciliarci l'altrui grazia 
e benevolenza , esposizione dell'argomento con fatti , motivi 
e ragioni , opportuna conchiusìone, ove d'ordinario primeg- 
gia l'affetto di tenerezza , d'amicizia , di devozione , di con- 
fidenza , di giubbilo o di mesiizia. In tutte, massimamente 
nelle lettere di ragguaglio e di negozj , richiedesi per prin- 
cipale qualità la chiarezza , studiandoci di dare alle nostre 
idee nesso ed ordine; perocché se chi parla confuso, oltre 
al non farsi intendere , esponesi alle beffe , quanto più deve 
cercare di spiegarsi chiaramente chi scrive a persona lontana, 



|1) Liti. a\ Cimbì. ìlacc. cit. p. 50. 



DI R ET COR ICA 129 

per non essere franteso con danno proprio o d'altrui, e senza 
pronto riparo per la non pronta spiegazione ? Arroge che per 
i più la lettera è specchio e misura dell'anima e dell'ingegno 
dello scrivente. 

8. È vano il dire che lo stile epistolare vuole concetti 
semplici , naturali e conformi alla condizione ed età si dello 
scrivente che della persona a cui si scrive ; richiede soprat- 
tutto schiettezza di sentimenti , e venuti proprio dal cuore, 
chè nulla avvi di più nauseante dell'affettazione in una let- 
tera , e che dia più sfavorevole idea del suo autore. Richiede 
del pari elocuzione facile , piana e disinvòlta , e principal- 
mente senz'ombra di ricercatezza ; anzi nelle lettere di più 
confidenza non stara male un po'di quella negligenziuola , 
che celando l'arte meglio rivela la natura; conciosstachè , 
come scrive un moderno , ciò che proprio innamora , sia una 
certa sprezzatura elegante , ed un fare alla mano e casalingo. 

9. Difficile, per non chiamarla impossibile, e forse inutile 
opera è il darò particolari precetti per ciascuna specie di 
lettere, variando all'infinito le occasioni per le quali scri- 
viamo e a cui ben dobbiamo por mento; cosicché migliori 
maestri del cuore e del buon senso non sapremmo additare 
per compor buone lettere , nè per dettarle con eleganza mi- 
gliori esemplari di quelle di Cicerone tra' Latini , tra'nostri 
di quelle del Caro, de'due Tassi, dePiledi , del Bonfadìo , 
del Perticari , del Giordani , e specialmente del feslivissimo 
Gozzi, del quale ci piace di riportarne ima ad esempio, 
dando però la precedenza ad una di quelle di Tullio che ne 
fu a tutti gli altri guida e maestro. 

« Jlf. T. Cicero Papirio Paclo S. D. 

<t Heri veni in Cumanum : cras ad te fortasse : sed , 
« quum certum sciam , faciam te paulo ante cerliorem ; 
a elsi M. Ceparius , quum mihi in silva Gallinaria obviam 
a venisset , quaesissemque quid ageres , dixit te ih letto 
« esse, quod ex pedibus laborares. Tuli sciticet moleste, 
!< ut debili ; sed tamen constitui ad te venire, ut et viderem 
«te, et viserem, et coenarem etiam. Non enim arbitror 
9 



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130 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

« coquum eliam le arlhrilicum babere. Expecta igitur , 
ti hospitem cum minime edacem , tum inimìcum coenis 
« sumpluosis. Vale ». (Ex Lib. IX, Ep. XXIII). 

« Ad Anton. Federigo Seghezzi. 

a Voi siete costà pieni di dogi , di procuratóri , -di ma- 
li schere e di giuochi. Qui il nostro spasso è godere un poco 
« di fresco in sulla sera, che con questi bollori non è- poco 
« utile : e credo che in Venezia non avrete tanta consolazione. 

« Fra la mia pigrizia nello scrivere e la poca voglia che 
« ha lo Storli di pagare , basterà che quel libro si cominci 
« a stampare nella valle di Giosaffà. Non aspettate più quei 
"« denari ch'io vi dissi, perchè il iìltajuolo ci domanda in- 
« dugio fino a S. Martino , essendo stalo disertato dalla gra- 
« gnuola. Datemi qualche notizia del fatto vostro , e quanto 
n sia avanti la raccolta di rime piacevoli che fate pel Co- 
li mino di Padova. I Gozzi riveriscono la signora Daria , c 
« voi e il fanciulletlo. Amatemi e scrivetemi. Addio. 

« Di Vicinale, addi 8 Luglio 1714 ». 

S- 3. Del Dialogo. 

10. Siccome talvolta avviene che per lettere si trattino 
altresì argomenti riguardanti scienze o pubblici negozi , 
onde elevandosi da! genere umile al mezzano, non più let- 
tere familiari , ma scientifiche e politiche sogliono dirsi ; cosi 
il dialogo servendo alla trattazione ora di cose tenui, ora 
di gravi , trovasi appartenere quando al genere umile, quando 
al mezzano. Qui dunque convien parlar del dialogo di piti 
dimessa natura. . . 

H . II dialogo, che s'aggira sopra comuni e modesti argo- 
menti , rappresenta una conversazione di due o più interlo- 
cutori che s'intertengouo ragionando insieme su cose riguar- 
danti per lo più la vita ordinaria e la loro propria condizione. 
E poiché gl'interlocutori sogliono essere o i genitori e i loro 
figliuoli , o il maestro e i suoi discepoli , ovvero due o più 



L'.tj l :>.'"J Lv 



DI RETTORICA 131 
amici, o alcuni del popolo , può riguardarsi una scena, 
come dicesi , di famiglia , o popolare. 

12. Sotto tal forma dialogica è, e dev'esser sempre, un 
fine morule ed istruttivo. Introdottosi con quella naturalezza 
che si sa maggiore il discorso , ciascuno parli secondo il pro- 
prio carattere , età e condizione , e si svolga il toma propo- 
sto, non in aria cattedratica, ma, come suol dirsi, alla 
casalinga, rallegrando ìa trattazione delle cose coll'amenilii 
e col brio del conversare festevole. Lo scrittore pertanto , 
siccome fìnge di nascondersi , si nasconda davvero , e l'arte 
sua sia quella di non mostrar l'arte , dipingendo al naturale 
i suoi interlocutori , s\ che questi o non altri , sembri di 
ascoltar realmente. Siano adunque semplici i concetti , fami- 
liari le immagini , vivo e disinvolto il dialogo , facile e popo- 
lare la elocuzione. I dialoghetti di Pietro Thouar per fanciulli 
ne possono essere un imitabile modello. 



Capitolo II. - Dei Componimenti in Prosa di genere mezzano. 
&. * . Del Dialogo. 

1. Imprendendo a dire de 1 componimenti in prosa di ge- 
nere mezzano, incominceremo da quelli di formo dialogica, 
quasi seguitando la trattazione del paragrafo precedente. 
Ivi dichiarammo appartenere il dialogo al genere umile ed 
al mezzano : del primo dicemmo quanto parvo fosse necessa- 
rio; ora tratlerem del secondo. 

2. Il Dialogo, che per la natura delle cose gravi che vi 
si trattano , ha qui luogo conveniente , è anch'esso una con- 
versazione che fingesi il più delle volle tenuta tra uomini 
autorevoli per eia , per grado e per sapienza, i quali stanno 
ragionando insieme o di scienze , o di lettere , o d'arti , o di 
qualsivoglia altro rilevante argomento. Una tal forma , sic- 
come adattalissima al genere didascalico , fu già adoperata 
da Socrate co'suoi discepoli, onde diecsi ancora Socratica. 
Il Dialogo pertanto ove i personaggi che non di rado lo so- 



132 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

stengono , e !e dottrine che vi si svolgono, s'elevano sull'or- 
dinario, è di natura nobile ; quindi richiede dignità di cose 
e di parole conveniente al carattere degl'interlocutori , non 
senza però quella gioconda urbanità che con tanto diletto 
tra'ben costumati si usa. 

3. 11 Dialogo di tal natura può in due modi condursi , 
o introducendo gl'interlocutori com'in iscena a favellare, 
o riferendone quale istorico le proposte e risposte. Nel primo 
modo l'autore non apparisce ; nel secondo ci è sempre di- 
nanzi ; quello è drammatico, questo uarratìvo ; quello per 
avventura più piacevole e spedito, questo piil grave, ma 
ritardato dall'» disse , eì rispose; finalmente il primo dipinge 
una scena che quasi coll'udìrla si vede ; il secondo la narra, 
come se l'autore ne fosse stato testimonio d'udita. Del primo 
modo si valse ne'suoi Dialoghi Platone , Tullio del secondo, 
l'esempio dc'quali chiarisce abbastanza essere tutti e due 
adatti e belli. 

4. li Dialogo pertanto riesce utile e dilettevole; utile, 
perchè proposta qualsivoglia questione sopra un punto di 
scieuza , di morale , di critica letteraria o artistica , riceve 
pieno il suo sviluppo, mercè le opportune obiezioni e solu- 
zioni che fannosi a vicenda gl'interlocutori ; di qualità che 
veggonsi in bella e naturai forma schierati gli argomenti 
prò e conlra della trattala controversia ; riesce dilettevole, 
perchè mentre pasce l'intelletto di succosa istruzione, reca 
all'animo un dolce sollievo , infiorando eziandio lo più. 
astruse e più aride questioni colla festività d'un'urbana 
conversazione. 

5. La legge del verisimile poi vuole che si tratteggino 
fedelmente i caratteri de'personaggi ; quella dell'onesto , che 
trionfi maisempre il vero , il buono , il bello ; quella, del di- 
letto , che il Dialogo proceda svarialo secondo la natura 
dell'argomento e degl'interlocutori, facile e disinvolto, sparso 
opportunamente d'immagini gaje, di sali e di bei motti po- 
polareschi , e dettato con nitidezza , con venustà e con 
garbo. N'avrai elegantissimi esempj , oltre agli stupendi 
Dialoghi già citati di Platone e di Tullio , in quelli dello spi- 
ritoso Luciano Ira gli antichi, e Ira'moderni nostri nel Pan- 



DI RETTOUICA 133 
dolfini , nel Machiavelli , nel Gelli , nel Castiglione , nel Ga- 
lilei , nel Tasso , nel Gozzi , nel Monti e net Leopardi. Eccone 
ad esempio un tratto di quello del Pandolfini. 

Nipoti. « E quelle altre due spese, cioè le necessarie e 
« le volontarie, con che ragione abbiamo noi a seguire? 

Agnolo, a Le spese necessarie quanto più tosto si può. 

Figliuoli. « Non pensate voi prima qual modo sia il mi- 
<i gliore? 

Agnolo, << Cerio sì; nò credete che in cosa alcuna a me 
« paja da correre a furia , ma fare tutte le cose pensata- 
li mente; perocché quello che è necessario a fare , mi piace 
« subilo averlo fatto, non fosse per allro , che per avermi 
« scarico di quel pensiero ; e però fo le spese necessarie 
« presto ; le volontarie con modo buono e utile. 

Figi, e Vip. « Qual' è ? 

Agnolo. « Indugio parecchi termini ; indugio quanto 
« posso. 

Figliuoli. « E perchè-? 
Agnolo. « Per bene. 

Figliuoli. « Desideriamo saperlo, perchè crediamo buona 
« cagione vi muova. 

Agnolo. « Dicovelo: per vedere se quella voglia ces- 
« sasse in quel mezzo, e, non cessando, pure ho spazio 
» di meglio pensare in che modo spenda meno, e meglio 
<• mi soddisfaccia. 

Nipoti. « Uendiamvi grazie. Ci avete insegnato schi- 
« fare molte spese , le quali , come giovani , non ce ne sa- 
li pevamo raffrenare, e però a' vecchi dobbiamo credere e 
« rendere riverenza, domandare noi giovani, e volerò dai 
a vecchi consiglio » {Trattato del Governo della Famiglia). 

g. 3. Del Ragionamcnlo. 

6. Chiamasi nell'arte nostra liagionamento o Discorso 
quella scrittura , ove l'autore imprende a mettere in chiara 
luce o in sodo una sua dotlrino o teoria ; e poiché suo pre- 
cipuo fine è l'istruzione altrui , gli è d'uopo di grande per- 
spicuità nell'ordine delle idee e degli argomenti ; lo che po- 



134 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

tra procacciarsi col ineditare a lungo il suo tema , e collo 
svolgerlo ponderatamente e con calma. Si leggerà quindi 
non solo con vantaggio, ma ancora con diletto, se vi si dirà 
sol quanto basta e non più , e se alla dottrina ed opportuna 
erudizione si congiungera stile lucido e temperalo non che 
elocuzione pura od elegante qua e là rifiorita di quelle figure 
semplici e caste che detta un'immaginazione guidata dalla 
ragione. Il Discorso prende nomo ancora di Dissertazione se 
vi si dilucida qualche oscuro passo d'autore , o vi s'illustra 
qualche punto di scienza razionale , fisica , slorica , archeo- 
logica ec. ; se poi vi si sostiene qualche opinione controversa, 
o vi si combatte l'altrui, chiamasi Polemica, in quella, ol- 
tre alle doli sopra esposle , ricliiedesi ampio corredo, d'eru- 
dizione, e sana critica ; in questa eziandio molta urbanità, 
perchè non divenga, a cornuti vituperio, seme di gare 
puerili e peggio. I discorsi del Machiavelli su Livio, i Ra- 
gionamenti dello Zanetti sull'Arte Poetica, le dissertazioni 
del Borgbini sull'origine di Firenze ne sono bellissimi mo- 
delli ; se tale ò poi per la lingua , non è certo per la urba- 
nità l'Apologia del Caro, la quale cito, perchè se no fugga 
la vergogna, come appunto mostravasi ebbro l'ilota al fan- 
ciullo spartano. 

g. 3. Del Discorso Accademico. 

7. E l'Accademia un illustre consesso di doni , raccol- 
tisi a fine di conferire colle proprie investigazioni all'incre- 
mento delle scienze , leltcre edarti. Nelle solenni adunanze 
Accademiche pertanto suol farsi lettura di ragionamenti e 
dissertazioni , di lezioni , d'elogi e d'orazioni. É chiaro che 
in ciascuno di questi componimenti l'accademico deve pro- 
porsi di giovare alla scienza o all'arte , o almeno col dipin- 
gerne la nobiltà e l'eccellenza, d'inspirarne sempre più vivo 
nei cultori l'amore. 

8. Dei ragionamenti dicemmo ; solo aggiungerò che de- 
stinandoli a pubblica lettura, l'autore s'attenga ad una giu- 
sta brevità , e si studii di dar loro un abito nuH'afTalto pom- 
poso, ma schiettamente adorno , qual si conviene a chi si fa 



DI RETTORIE! 135 
innanzi a gente culta e civile. Della lezione accademica poi 
dirò che modestamente proposto all'altrui grave senno il 
tema , si svolga con eletta serie d'argomenti e di dottrina, 
con lucido ordine, con sobrietà e senza pretensione, tenendo 
sempre il tono persuasivo , mai il declamatorio , e tanto oieno 
il dittatorio. Materia di siffatte lezioni è d'ordinario o l'espo- 
sizione di qualche scoperta scientifica o letteraria , propria' o 
d'altrui , o l'esame critico d'opere, o l'illustrazione di qualche 
passo d'autor olassico , dal iato storico, ermeneutico, filo- 
logico ec. 

9. L'Elogio, che dicesi anche Memoria, e un'onorevole 
ricordazione della vita e delle opere di cospicui accademici 
o d'altri valentuomini , chè il far ciò è debito verso di essi 
ed utile altrui. Dettone intorno alla vita civile e letteraria 
sol quanto basta in sua lode, mostrisi con critica assen- 
nata l'eccellenza delle opere, e quanto l'autore ben meri- 
tasse per queste della scienza, delle lettere e della patria; se 
ne pongano in chiara luce i pregi, ma non se ne nascondano ì 
difetti, cosi s'aggiungerà fede alla lode, e si gioverà all'arte, 
a cui nulla più nuoce quanto il dissimulare le mende dei 
grandi, le quali possono per l'esempio troppo adescare i 
mediocri. 

1 0. L' Orazione finalmente ha qualche cosa di più elevato. 
S'apre d'ordinario con essa l'adunanza, mostrando o ram- 
mentando lo scopo della medesima; si usa in occasione 
d'innalzare pubblici monumenti, di distribuir premj ono- 
rari, 0 d'altro grande e straordinario avvenimento, sempre 
però dentro alla cerchia accademica. Potrà l'orazione com- 
parire alquanto pili adorna degli altri componimenti sopra 
notali, ma non già meno feconda di succosa dottrina e 
d'utili pensieri , istruendo intorno al magistero delle arti , 
destando coll'escmpio della gloria altrui fiamme d'emula 
virtù e spargendo copia di civile sapienza. Se ti farai a leg- 
gere le belle prose del Giordani, del Niccolini e dell'Arcan- 
geli, vi troverai eccellenti modelli di lezioni, d'elogi e 
d'orazioni accademiche, i quali mostrandoli quanto senno 
e dottrina seppero i loro autori congiungere alla semplicità 
ed alla grazia d'uno stile facile e d'una elocuzione elegan- 



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136 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

lissima, faranno che tu non vorrai imitare quelle prolisse e 
camuffate dicerie accademiche di un Icmpo, gii» di sopo- 
rifera memoria per la loro sonora vacuità. 

g. 4. Della Lezione Cattedratica. 

H. La Cattedra è luogo di grave insegnamento, e chi 
vi siede ha l'obbligo di diffondere negli animi adolescenti 
la luce della scienza e l'amore per questa; di qui la ne- 
cessita di soda e non comune dottrina e di nobile eloquio. 
Le lezioni pertanto del professore sogliono comprendere la 
sposizione piti o meno eslesa della sua scienza, e formano 
un tutto connesso e coordinato allo sviluppo del largo suo 
tema. Il discorso proemiale suol dirsi prolusione; dove toc- 
calo della utilità , necessità ed eccellenza della propria 
disciplina, dichiara l'ordine coi quale divisa procedere 
nel corso delle sue lezioni, affinchè, accennala la meta, 
resti cosi segnata la via a più agevolmente conseguirla. 
Nelle lezioni poi scomparte con savia economia il cibo del 
suo ammaestramento si che i giovani intelletti non n'escano 
giammai aggravali pel troppo, o non ben satolli pel poco; 
e soprattutto guarda che il cibo sia sano; perocché se mal 
nutrisce il non digesto, e non abbastanza lo scarso , il mal- 
sano avvelena. 

12. 11 professore poi che sa di parlare ad amici, anzi a 
figliuoli , spoglio affatto dell'austero sopracciglio della bur- 
banza , ragiona con essi con dignitosa gravità, mista [ad 
amorevole benevolenza. Si guarda dalì'avvolger la scienza 
tra le fosche caligini d'un'aslrusa metafisica, e per quanto 
quella il comporta, la rivela alle menti splendida e chiara. 
Sa che a renderla amabile molto giova un bell'abito , ed 
ei l'adorna non mica con lisci e frastagli , ma qua! s'addice 
a nobile donna, colla grazia della semplicità e colla venustà 
di pura, propria e forbita elocuzione. Ammorbidisce talvolta 
certe ruvidezze e aridità inseparabili dalla scienza con ac- 
comodate immagini tolte dai tesori della natura, della sto- 
ria e della erudizione ; cosi istruisce e diletta i suoi cari 
discenti , che coll'amore alla scienza ed a lui ne ricambiano 



DI RETTORICA 137 

le cure, Sene volete cscmpj , il Monti, il Foscolo, il Parini 
e il Colombo, per tacer d'altri, ce ne forniscono nel loro 
genere in buon dato e pregevolissimi. 

g. 6. Del Trattalo. 

13. Il Trattato è pure diretto alla istruzione, e può con 
esso in qualsivoglia materia ammaestrarsi. Il pregio prin- 
cipale del trattato pertanto non è, ne può esser altro che 
la verità della dottrina che vi si spiega; il secondo n' è la 
distribuzione delle parli, che bene tra loro armonizzando 
ingenerano ordine e chiarezza; l'ultimo n'ò la perspicuità 
del dettato. 

14. Quale che sia la materia , morale , metafisica, fìsica, 
razionale, letteraria , artistica, economica, o qua l'ai Ira mai, 
fa d'uopo stabilirne saldi ed inconcussi i principj, e non 
torcere giammai dalla gran triade dell'umana sapienza, del 
vero cioè, del buono e del bello. Data giusta e compiuta 
definizione del nostro subbietlo, se ne dispongano le pani 
secondo lo divisioni e suddivisioni, che dalla definizione e 
dalla natura di esso deriveranno , di forma che le prime 
servano sempre di luce, di nesso e di passaggio alle se- 
conde, e cosi va discorrendo fino alla fine. Siane l'elocu- 
zione pura, nitida e facile, e soprattutto chiara per bella 
proprietà e giacitura di parole. Pongasi mente eziandio alla 
qualità delle materie di cui fannosi i trattati, e delle per- 
sone per cui fannosi. Nei trattati di cose gravi e pei dotti, 
sia grande e profonda dottrina in stile e dettalo nobile e 
dignitoso ; in quelli scolastici sia idonea e ben ordinala sa- 
pienza sposta iu modo breve , terso e piacevole; finalmente 
in quelli per il popolo, siano utili verità senz'astrattezze, 
e dichiarate nel suo schietto e natio linguaggio. Perfetto mo- 
dello n'è Cicerone negli Vffisj; imitabile è nelle sue Istitu- 
zioni Quintiliano; bello è il Trattalo d'Agricoltura di Pici- 
Crescenzio, volgarizzamento del buon secolo, leggiadrissimo 
per dettato quello del Passavanli sulla Vera Penitenza; 
stupendi quelli di Galileo sulla sua scienza , elegante 
quello del Pallavicini sullo Stile, aurei quelli del Costa 



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138 DELLE ISTITUZIONI FILE (Ili NT AM 

sulla Elocuzione e del Perticar! su' Trecentisti , per passar- 
mi d'altri non meno degni di studio c d'imitazione. 

§. C. Della Novella e del Racconto. 

15. Finquì abbiasi parlato dei componimenti in prosa 
nei quali , essendo per la maggior parte di genere didasca- 
lico, prevale l'utile al diletto; resta ora a dire di quelli 
dove il diletto prevale all'utile, conciossiachè nelle opere 
letterarie questi due elementi debbano necessariamente 
combinarsi , quantunque in grado diverso secondo il line , 
se non vogliamo che l'utile scemi d'efficacia per manco dì 
diletto , e che questo senza di quello non si riduca a un 
vano suono di ciance. 

1G. Incominceremo dalla Novella, siccome quella che può 
dirsi uno dei primi giojelli della nostra letteratura, e alla 
quale va debitrice della sua piti splendida gloria la prosa 
italiana. È la Novella un breve racconto piii o meno fan- 
tastico, dove narrando qualche lieto o pietoso avvenimento, 
o riferendo qualche astuzia, scherzo, pronta ed arguta ri- 
sposta, si cerca d'ammaestrar dilettando. Può la Novella 
slare da se spicciolala , come vediamo nel Firenzuola , e 
possono più novelle collegarsi tra loro , di forma che tutte 
cospirando ad un fine unico , facciano un grande e intero 
componimento (1), come riscontrasi nel Decamerone. Ora è 
l'autore che narra, come usò Franco Sacchetti; più d'ordi- 
nario vengono dal novelliere introdotte sollazzevoli persone, 
che novellando Ira loro piacevolmente inlertengonsi ; cosi 
il Boccaccio, il Firenzuola ed altri. 

47. Il subbietlo della novella può o interamente trarsi 
dalla propria fantasia, ovvero da renli avvenimenti e fatte- 
relli curiosi , i quali se di fresca data , riusciranno ancora 
più piacevoli. Breve anzi che no, o almeno sempre propor- 
zionala al subbietto vuol esser la narrazione; nè ammette 
lunghe digressioni , nò soverchia complicazione d'intreccio, 
essendo uno de'bei pregi della novella l'esser per chi l'ascolta 



il, IUsali.i. Ammaeslrameatì , lib. Ili, r.. 2, K>. 



DI HETTOIUCA 139 
facile a ritenersi. Volentieri però si adorna di pittoresche 
descrizioni e di movimento drammatico, e sopra t Latto ama, 
col tenere alcun tempo intra due l'alimi espilazione, di 
produrrò grata sorpresa con impensato scioglimento. Il fine 
morale poi vi sia sempre , e più eflicace riuscirà , se l'au- 
tore non lo dichiara aperto, ma fa che lo traveda il letto- 
re . ossia che gli dipinga la pura voluttà di chi ben oprando 
a lieto fin si riduce , o la mala fortuna a cui d'ordinario fan 
capitare le umane follie; perocché sembra non molto s'addi- 
ca al novelliere l'affibbiarsi palese la giornea di moralista,. 

18. Convenendo alla novella ogni argomento, dal più 
mesto al piii burlevole, si appropria altresì ogni stile ed 
ogni, colore. Gli svariatissimi subbie Iti delle suo novelle 
dieder agio al Boccaccio, « come ben osserva il Sismondì, 
« di mostrar tutte le ricchezze dello siile più nobile e 

« più grazioso Le novelle che sono variate con arte 

« infinita, in quanto al subbietto e al modo di trattar- 
li lo, dalle più commoventi e più tenere fino alle più 
« facete, e sventuratamente fino allo più licenziose, sono 
o splendido e certo testimonio del suo mirabile ingegno e 
o della sua eccellenza nello scrivere. .. Qui è comico, qua 
« tragico: ora è popolare e familiare a! tutto: ora s'innalza 
« alla più sublime eloquenza: narra, ragiona, descrive, e 
a il suo stile è sempre vario, sempre vivo, sempre natura- 
ti le a (1). Queste giudiziose parole, mentre suonano lode al 
celebre Certaldese, contengono in pari tempo le principali 
regole per ben dettare novelle. E Stringe proprio l'anima, che 
tante gemme siano non di rado avvolte nel fango schifoso 
della oscenità, tanto che- il razzolarvi dentro sia pei ben 
costumali giovinetti perniciosissimo. Se ne guardino adun- 
que per quanto sia loro a cuore il pudore, il cui danno, 
come santamente diceva l'illustro Itosminr, non e compen- 
sato da una montagna d'eleganze; e ben potranno in egual 
modo nelle Novelle di quest'autore, scelte a bella posta per 
essi, apprendere e la fedeltà de 'caratteri , e la freschezza 

11}. Ved. Op. di Qioo. Boccaccio. Edii. di Flr. per P. Pantani, Le 
Mounier , 1857 , p. vi. 



4 40 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

delle dipinture, e la varietà dello siile , e la leggiadra ame- 
nità del colorito; doli inseparabili dalla pregiala novella, 
che di tutte il Boccaccio è pur sempre maestro. I novellieri 
cinquecentisti, tra'quali per ogni conto va primo il Firen- 
zuola , se giunsero a ben imitarne le grazie, lo vinsero per 
avventura nella licenza. Con questi adunque va'eauto del 
pari , e meglio ti approderà la lettura delle novelle che ab- 
biamo del Cesari, del Colombo e del piacevolissimo Gozzi. 

19. Molto affine alla Novella è il Racconto, il quale con- 
siste nel riferire un breve fatto o detto che può essere al- 
trui d'ammacsiramento o d'ammirazione. Pie differisce poi 
non solo nella sua natura più modesta, ma eziandio nella 
sostanza, essendoché la novella s'aggira più ordinariamente 
su cosa finta, o se su vera, molto la rifiorisce e l'avviva 
co'modi suoi l'immaginazione dell'autore; mentre il racconto 
non è che la schietta narrazione d'un fallo vero, o almeno 
per tale ricevuto. Appo gli antichi però n'era comune il 
nome, secondochò riscontrasi nel Libro detto delle Cento 
Novelle, in quelle di Giovanni Fiorentino o di Franco Sac- 
chetti, dove i fatti coniali sono per lo più di ragione sto- 
rica. Questi autori poi ci porgono bei modelli della sempli- 
cità e del candore, onde vogliono esser condotti questi brevi 
componimenti. Siane esempio questo del Sacchetti. 

a Dante Alighieri, sentendo un asinajo cantare il libro 
a suo, e dire: Arri, il percosse, dicendo: Cotesto non vi 
a miss'ìo; e lo rimanente, come dice la Novella ». 

« Andandosi un dì il dello Dante per suo diporto in 
a alcuna parie per la città di Firenze, e portando la gor- 
a giero e la bracciajuola, come allora si facea per usanza, 
a scontrò un asinajo, il quale aveva certe some di spazza- 
o tura innanzi; il quale asinajo andava drieto agli asini, 
a cantando il libro di Dante , e quando avea cantato un 
a pezzo , toccava l'asino e diceva : Arri. Scontrandosi Dante 
a in costui, con la bracciajuola li diede una grande balac- 
a chiala sullo spalle, dicendo: Cotesto arri non vi miss' io. 
a Colui non sapea nè chi fosse Dante, nè per quello che 
« gli desse; se non che tocca gli asini forte, e pur: Arri. 
« Quando fu un poco dilungato, si volge a Dante, cavan- 



01 BETT0R1CA 141 
a doli la lingua, e facendoli con la mano la fica, dicendo: 
« Togli. Dante veduto costui , dice: Io non ti darei una dello 
a mie per cento delle tue ». 

'§. 7. Del Romanzo. 

20. Fu detto esser le lettere l'espressione del secolo: e 
veramente nel trecento si pajono colla ruvida semplicità di 
quel tempo; eleganti e cortigianesche nello splendido cin- 
quecento; tumide o sdolcinate nell'eli» seguente tronfia e 
molle. 11 seco! nostro ambisce al vanto della popolarità, e 
le lettere anch'esse danno la preferenza sull'epopea alla 
poesia del Romanzo, siccome il più atto a ritrarre le più 
svariate scene della vita civile, e ad aggirarsi in mezzo del 
popolo. Del Romanzo adunque che sembra a'nostri di tenere 
il campo nell'amena letteratura, è proposito nostro ora 
trattare. 

21. Il Romanzo è un'estesa narrazione d'avvenimenti o 
del tutto immaginati, o misti più o meno di reale, a fine 
d'istruire e di commuovere dilettando colla leggiadra e viva 
dipintura degli uomini c delle cose, quali poterono essere, 
o veramente furono. Un tal genere di componimento si co- 
nobbe Ira'Greci sul dechinare della loro letteratura, e n'è 
saggio, per non dire d'altri minori, il Dafne e Cloe di Longo 
Sofista. Ne'rozzi tempi dell'era nostra sì favoleggiò in verso 
e in prosa dei Cavalieri della Tavola Rotonda, e dei Pala- 
dini di Carlo Magno, dai Trovatori Provenzali in quella lin- 
gua mista di gallica e di romano, la quale si disse romanza, 
donde venne al racconto, e dì poi piii specialmente a quello 
in prosa, il nome di Romanzo. In tal modo le narrazioni 
più o meno favolose furono in seguito appellate general- 
mente romanzi. 

22. Ora polendo in certa guisa riguardarsi il romanzo 
siccome un poema in prosa, vuol esser condotto a un bel 
circa con quelle stesse regole che governano il vero poema; 
quindi richiede unità d'azioue, si che il subbie Ilo principale 
sopra d'ogni a|lro grandeggi, ne mai si perda interamente di 
vista; orditura naturale nel suo intreccio, altrettanta nel 



■142 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



suo progresso, verisimile, nel suo sviluppo; dipintura d'azio- 
ni grandi per pietà o per maraviglia; verità e varietà nei 
caratteri sempre eguali a sè stessi; proprietà di costume, 
collegamento delle parti accessorie o episodiche col fatto 
principale; movimento d'affetto, ricchezza d'immagini, 
splendidezza e convenienza di dettato. Accoppia peraltro il 
serio al ridicolo, studiandosi di dare un ritratto piti com- 
piuto della vita umana quindi suo gran teatro è la na- 
tura, e le sue scene sono le città, le campagne, i dorati 
palagi , le casupole e le piazze, il sacro silenzio del chiostro, 
lo strepito feroce dc'eampi di guerra, la calma serena di 
limpido lago, il fremito d'un mar tempestoso e la terribile 
maestà delle alpine giogaje. Finalmente la sua forma ora è 
narrativa, ora drammatica, or descrittiva; laonde lo stile 
ora è nobile e disinvolto, ora vivo e popolare, ora florido 
e pittoresco, sempre poi nitido ed evidente (2). 

23. I primi romanzi pertanto furono cavallereschi ed erotici 
come fra gli al tri i lìealìdi Francia, e il Fihcopo del Boccaccio; 
dipoi vi si trattò di lettere e d'educazione, e furono chiamati 
filosofici, come il Candido di Voltaire; letterarj , come i Viaggi 
d'Anacarsi di Barthèlemy, educativi, come il Telemaco di 
SI. Fénélon: fuwi il satirico, qu'al è il ì). Chisciotte dello Spa- 
gnolo Michele Cervantes, il quale col ridicolo frustò e corresse 
l'esagerazione dello spirito cavalleresco, e la romanzomauia 
de'suoi tempi. Finalmente si divise in ideale e storico. 
L'ideale o fantastico che dir si voglia, è un racconto d'av- 
venimenti iateramente immaginati dalla fantasia dell'autore, 
come il Paolo e Virginia di Bernardino di Saint-Pierre. 
Storico dicesi f|uelio che riferisce fatti, la cui sostanza è 
tratia dalla Storia, cornei Promessi Sposi dell' illustre Man- 
zoni. E qui cade in acconcio dire due parole sul Romanzo 
Storico , del quale molto si è parlato prò e contro , e non so se 
debbamì dir con Orazio: Adhuc sub judice lisest»(A. P. v. 78). 
(Il Gioberti, Primato, pag. iOi. 



(21 Lo stesso Giobei li osserva che i romanzi di forma epistolare sono 
meno perfetti , perché non possono per ordinario dipingere la situazione 

dei parlanti , quasi allori sequestrati dalla scena; e il dialogo cade 

facilmente nel languido e nel fastidioso .. Op. citala. 




DI RETTOBICA 1 13 

24. Taluni sì mostrano avversi a questo nuovo genere 
di componimento , tra'quali lo stesso Manzoni che , mentre 
i suoi Promessi Sposi sono per giusto lilolo delizia e gloria 
dell' Italia, si è fatto incontro al Romanzo storico , e coll'arme 
d'una stretta dialettica gli ha contrastalo a palmo a palmo 
il terreno. Le opposizioni pertanto che si mettono in campo 
contro il romanzo storico possono ridursi principalmente a 
due: 1.* sulla invenzione ; 2. 1 siili' ordimento. Esaminiamo 
adunque gli argomenti contrarj , e colla scorta di valentuo- 
mini di lettere [1) studiamoci di dare a questi una risposta 
quanto sapremo più soddisfacente. 

25. Dicesi essere il romanzo storico una narrazione di 
ciò che è nelle storie , e di ciò che è solo portato della im- 
maginativa dell'autore; l'uno coll'altro non di rado mischiarsi 
eziandio io un solo medesimo fatto; esser dunque un com- 
ponimento Ìbrido, dove trovansi alla rinfusa commiste facla 
atque infecta; quindi avvenire che ove le cose inventale, 
siano in modo dipinte, che non differiscano dalle vere che 
per la incomunicabile qualità'di esser tali , qual regola avrà 
il lettore per ben distinguere i! vero dal falso ? E questa 
incertezza non distruggerà quella illusione che è pure sforzo 
e premio dell'arte., nell'atto stesso che quella illusione prc- 
ducesi, essendo repugnanza tra il concetto e l'esecuzione? 
Ed ecco che non aggiungendosi il fine del diletto , quello 
pure ci sfugge della istruzione (2). 

26. Cerio assai poderosi appariscono questi argomenti 
contro un tal genere di componimento. Ma primieramente 
chi scrive romanzi e chi li legge, proponesi forse d'inscgmii'e 
e d'apprendere in essi la Storia propriamente della? Cosif- 

(1) Parlando del Romanzo storico , mi fan giovalo di quanlo no 
(lìce il Niccolini nel suo Discorso | Vedi Voi. Ili, p. 273 , ed. ci!.) , o 
di ciò che il Gotti nella sua lelleia al Ghinozzi , e Adolfo llartoli nel 
suo Dialogo sul medesimo argomento. V. Appendice alle Letture di Fa- 
miglia , Voi. It , p. 436 ; Voi. Ili , p. 6 ; lip. Galileiana, D.ipo di ciò , 
mi credo scusalo dalle frequenti citazioni. 

(2) Manzoni , Del Romanzo Storico. 



1 44- DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

fatta stranezza , nè io nò altri crede. Ciascun sa non essere 
il romando che opera piti o meno di faniasia, e che il ro- 
manziere non vuole, uè (leve altro proporsi che penuelleg- 
giarc con colori tolti fedelmente dalla storia certi tempi ed 
avvenimenti, e trarre mercè della illusione della verisimi- 
glianza il lettore in mezzo a que'lempi e a quegli avveni- 
menti per is traimelo con suo diletto; nè può nè deve il let- 
tore pretendere di più, 11 dir poi che la meschianza del vero 
e del falso, del reale c del fantastico, è madre della confu- 
sione c morie del diletto , è principio che mal s'accorda coi 
canoni dell'amena letteratura, alla quale se logliele l'onni- 
potente soccorso della fantasia, vi muore tisica fra le mani. 
Non si dimentichi giammai che l'arie imita e non copia; e 
l'imitazione non sia nel solo vero, ma nel connubio di que- 
sto col verisimile, non consistendo il fine speciale del poeta 
nel formare una storia semplicemente vera, ma nel vestirla 
verità di quelle forme che la rendono dilettevole. Vedetelo 
nell'Epopea, nella Tragedia, nella Pittura; tutte pili o meno 
han loro fondamento nella storia e nella tradizione ; l'imma- 
ginazione v'aggiunge il rcslo, e tale mischiane del fanta- 
stico col reale lungi dal trarre in inganno il lettore , e dal 
distruggerne la illusione, mirabilmente l'istruisce e dilella. 
La tradizione dava ad Enea il vanto d'aver fondalo una co- 
lonia trojana nel Lazio, e l'epico vi descrive i viaggi e le 
fatiche sostenute dall'eroe con lutti quegli avvenimenti che 
la sua splendida fantasia crear seppe al vero simigliatiti. La 
Storia riferisce che Virginio uccise di coltello la figliuola . 
per ritorla alle oscene voglie di Appio , e il tragico dipinge 
il terribile fatto con tutte quelle circostanze che se non fu- 
rono , poterono essere. Conia la Storia il passaggio dell'Adda 
fatto col suo esercito da Giovanni delle Bande Nere, e il 
pittore ce lo pone solt'occhio con tutto quell'apparato, mo- 
vimento, ardor militare che l'immaginazione gli detta di 
più conforme al vero. Ora potrà dirsi che Virgilio, l'Alfieri 
e il Bezzuoli per la meschianza del vero col falso, tradirono 
l'arte nè istruendo, nè dilettando ? Mainò, perocché, come 
dice il Solviui, tulli andarono a un medesimo fine d'imitare 



DI lì ETTOItlCA 145 
il vero , e perfezionare la natura coll'arle (1) ; nè può esser 
diverso U fine del romanziere , i! quale non differisce dal 
poeta e dal pittore che nella forma o nei mezzi che adope- 
ra ; togliete difatto il verso all'Iliade e all'Odissea, e non 
avrete che due romanzi. Dunque allorquando la storia ci 
fa sapere che nel secolo XVII vi erano certi signori feuda- 
larj , i quali nell'orgoglio della loro prepotenza ogni libito 
faceansi lecito impunemente , e il romanziere ce li concre- 
tizza in quel D. Rodrigo che tutti a maraviglia li rappre- 
senta , non ne trarremo istruzione pari al diletto grandis- 
simo ? Il romanzo storico pertanto non è ohe un'ampliaziono 
della storia ; questa non ci dà contezza che d' una parte 
minima delle cose che diconsi realtà storiche, dalle quali 
necessariamente rampolla una serie infinita di sloriche pos- 
sibilità , che nella mente di chi cerca il vero, compiono la 
storica narrazione , alla quale danno non di rado la vita e 
il colore che dall'altra parLe le mancano. Il romanziere per- 
tanto, sempreebe la sua fantasia venga nelle sue creazioni 
guidata dalla ragione per entro i domìnj della storia , inne- 
sta !e cose possibili alle reali , fattosi interprete della storia 
medesima. La sola cosa che si richiede da esso , dice il ci- 
talo periodico romano , si è di essere illusi con destrezza ; 

10 che vale che , se ama d'inventare , inventi però fatti che 
non si sappia positivamente che non avvenissero. Data per 
vera , come certo fu , !a peste di Milano , quante madri de- 
solate non avran cercalo di meglio comporre sul carro fe- 
rale la esanime spoglia delle loro care creaturine? Ed ecco 
che tutte ve le rappresenta il Manzoni in quella suo del Capi- 
tolo XXXIV sì pietosamente descritta. Il perchè , ove le cose 
inventate che il romanziere intreccia a quelle di ragione 

H) Lettere al Montanti , Race, cil., p. 22. - a II Poeta non dovrà 
n mai sostituire il friso al vero , ina potrà bau congiungore il probabile 
n colla verilà; anzi simboleggia mio, idoleggiando, lanlasticmdo lo ve- 
li rità, le verrà, diremmo quasi, veslendo di carne e di polpa , e sot- 

11 loponendo agli sguardi più ottusi e grossolani, che non le vedi abbai o 
■ altrimenti nella esilissima loro astraiione ». Ciò. Cattai., T. Vili ; 
Ser. Ili, N." 183. Il Cristo , ossia tota Nuova Epopea, pag. 273. 

10 



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146 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

storica sembrino necessariamente concomitanti il fallo ge- 
nerale, giovano grandemente a spargere su questo una più 
viva e limpida luce che piacevolmente rischiara. 

27. Ter ciò che riguarda l'ordimento del romanzo storico, 
quelli che gli fanno mal viso, van dicendo esserne la inven- 
zione libera e senza legge. È questo pure un falso supposto. 
Quello scrittore che si propone di dipingere un tempo qua- 
lunque , si è già prescritto i suoi limiti : guai se li valica ; 
è tosto riconosciuto per falso , perchè inverisimile, e il libro 
si geLta via con dispreizo o con beffe. Il buon romanziere 
adunque ritrae dalla storia le tinte onde colorire il suo qua- 
dro , e fa che le opere , i pensieri , le opinioni , le parole , 
i costumi , le tendenze de'suoi personaggi siano a'ioro tempi 
quanto sa meglio conformi ; perocché sa che sarebbe assai 
ridicolo vestir Bonaparte coll'armatura del Barbarossa, egual- 
mente che far parlar quest'eroe siccome quello, dovendo i 
fatti e i personaggi del romanzo storico , come leggiadra- 
mente dice il Nìccolini , esser fiori i quali non possono na- 
scere che sotto quel cielo e in quella determinata stagione ; 
e lo stesso Gualtiero Scott, che ben doveva intendersene, 
diceva avere il Romanzo e la Storia comune l'origine ; scopo 
del primo essere il mantenere, per quanto lice, l'apparenza 
del vero , e ciò col verisimile che su questo si fonda. Dun- 
que esso ha le sue leggi impreteribili nella storia, onde 
viene meritamente appellato storico. 

28. Finalmente lo pongono altri in mala voce per quel 
ricordare prolisso d'ogni piti frivola cosa ; per quel descri- 
vere per filo e per segno case, giardini, piazze, tempj , 
armi , vesti , masserizie e che so io , tanto da disgradare in 
minuzie un inventario notarieseo; per quello siilo che tal- 
volta per farsi popolare, cade nel gaglioffo e nel plebeo, 
o che per inalzarsi divien turgido e nebuluso ; e più ancora 
per quella pazza mania che ha una certa scuola di colorir 
tutto in nero , e di evocare con compiacenza quasi direi sa- 
tanica , nomi di uomini e memorie di delitti atrocissimi. 
Ma questi veramente sono difetti non già del romanzo, ma 
s\ del romanziere. Che se in dettato elegante, florido e in 
bell'armonia svarialo conformemente alle materie, vi si nar- 



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DI RETTORICA 1 47 

rerìi qualche grande storico avvenimento , adornandolo dei 
fiori più vaghi dell'immaginazione e del sentimento, deco- 
randolo di vere e pittoresche descrizioni di persone, dì fatti 
e di luoghi, con a guida costante la storica verisimiglianza, 
e soprattutto drammatizzandolo a viva scuola di moralità 
religiosa , civile e domestica , io tengo per fermo che possa 
il romanzo storico esercitare in tutte le classi della civil so- 
cietà una non volgare nè tenue parte educatrice. 

29. Padre di questa nuova e fecondissima letteratura , 
come la chiama l'illustre Niccolini , fu Gualtiero Scott , in- 
gegno portentoso dell'Inghilterra. Ebbe in Italia imitatori 
degni di lui , e basti per tutti lo stupendo Manzoni. Per opera 
di altro insigne inglese , il Cardinal Wiseman , il Romanzo 
storico ha d'un nuovo fregio arricchito la letteratura sacra, 
e l'egregio modello della sua Fabiola produrrà , io spero , 
quando che sia il suo Manzoni al Romanzo religioso ita- 
liano (1). 



Capitolo HI. - Dei componimenti in prosa di genere elevato. 

Sezione I. ~ Storia 

g. 1. Origine e progressi della Storia. 

\. La Storia può dirsi nata nel seno della religione. Gli 
uomini naturalmente avidi di tramandare ai futuri la me- 
moria d'insigni avvenimenti , la raccomandarono sul primo 
a un gruppo di pietre, a un'informe colonna , ai simboli , 
cui i sacerdoti dipoi consacravano nei riti e nei geroglifici 
dei tempj. La poesia , che sacra cosa pur era , traeva in- 
spirazione dalle tradizioni, e queste conservava perenni. 
Finalmente la scrittura rese stabili questo stesse tradizioni 

|l) Si è dimostrato che l'abate Giulio Cesare Parolari dì Venezia 
liivàe prima del Wiseman il Romanzo rei ìrìoso all'Italia, colla sua 
Allotti , o Nteue Cristiane. 



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1 48 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

patriarcali e monumentali , e Mosè fa storico divino. L'Egit- 
to , la Grecia, Roma ebbero anch'esse ne'loro sacerdoti e 
pontefici gli scrittori de' loro fasti ed annali. 

2. La Storia lascio le sacre ombre del tempio, forse per 
opera di Cadmo Milesio, certo di Erodoto nella Grecia, e 
e di Q. Fabio Pittore in Roma. Non per questo ella riteneva 
tuttavia della sua infanzia , ed ammise prodigiose tradizioni 
e racconti favolosi più. atti ad appagare la fantasia che la 
ragione , comparendo però nella sua stessa rozzezza piena 
di maschio vigore, e con impronta originale. AI maraviglioso 
sostimi ben tosto il vero, ina nudamente registralo, e solo 
di ciò che più gagliardamente colpiva la immaginazione. Cre- 
sciuta ia civiltà de' popoli , essa pure ne seguiva l'impulso, 
e avvoltasi qual nobile matrona in isplendide vestimenla, di 
severità s'alleggiava e di grandezza. Se non che fatta dipoi 
mula per terrore, o adulatrice per viltà , videsi dalla bar- 
barie astretta a ricoverarsi per entro ai religiosi silenzi del 
chiostro , dove tornala all'aulica semplicità andava in ru- 
vide spoglie accozzando alla meglio ciò che poteva , non 
bastandole in quel fino bujo la vista a ben disccrnerc il vero 
dal falso. Allo spuntare de' primi raggi della nuova civiltà 
tornò a respirare acre più libero , e nelle cronache civili 
serbò quell'aria religiosa e quella ingenua bonarietà che 
dai chiostri ritrasse. Ma non guari andò che memore dell'an- 
tica sua splendidezza , se ne mostrò assai vaga, e quasi 
l'aggiunse. Finalmente strettasi in saldo vincolo d'amistà 
colla critica, indaga con questa il vero nell'ordine di tempo 
e di luogo , scorge nella serie degli umani avvenimenti 
le eterne leggi della Provvidenza, e adorna di matronale 
decoro librando sopra equa lance uomini e cose , stampa 
indelebile nota di gloria o d'infamia in fronte ai re ed alle 
nazioni. 

• g. 2. Ufficio e doti della Sloiia. 

3. La Storia è l'esposizione vera degli umani avveni- 
menti a fine d'istruire i popoli sulla scienza della vita ci- 
vile, e di migliorarli presentando loro come in uno spec- 



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DI RETTO RICA 149 

chio la bellezza della viriti e la turpitudine del vizio mercè 
il racconto delle buone e delle ree azioni. Primo ed essen- 
ziale ufficio della storia adunque è d'essere con tulli e 
sempre nobilmente veridica ed onesta ; sublime sacerdozio 
di civiltà , che rettamente esercitato fa che la storia sia 
come il supremo tribunale dell'opinione , e divenga , al dire 
di Tullio, il testimonio tempi, la luco della verità, la vita 
della memoria, la maestra della vita, l'annunciatrice dell'an- 
tichità ( De Orat. , Lib. II, c. 9 ). Imperocché la storia regi- 
stra nelle eterne "sue pagine le origini , i progressi e le 
permutazioni dei regni , le virtii e i vizj , la sapienza e gli 
errori degli uomini e delle nazioni , seguendo lo svolgimento 
dell'umano intelletto conformemente alla civiltà; quindi e 
la luce del passato che si riverbera nell'avvenire. 

4. La verità è il nerbo , anzi l'anima stessa della Storia. 
Per quanto sa e può, deve adunque lo storico esser ban- 
ditore del vero , in quanto servir può d'ammaestramento 
ai popoli. Guai se per negligenza o per malizia, comecches- 
sia l'adombra o lo tradisce ! è a sè stesso d'infamia , e di 
danno inestimabile ai posteri. Per ben adempire pertanto 
le parti di storico fa di mestieri, come di gè diceva Sallu- 
stio, quod a spe, metu, partibus reipublicae animus liber sii. 
Perocché ove lo scrittore sia allettato da speranza di premj, 
di favori o d'onorificenze, o blandirà, o dissimulerà; ove 
da timore venga rattenuto , dirà il vero , seppur lo dirà , 
ma mozzo o innacquato; peggio poi , ove sia mosso da spi- 
rito di parte ; perocché preoccupalo l'animo suo da amore 
o da odio, giudicherà uomini e cose tutt'a rovescio, tra- 
sformerà il male in bene , il vizio in viriti ed e converso, 
secondo la passione , e non dicendo , com'è suo debito . tutto 
quanto è , e com'è il vero , mentirà ai posteri , tramandando 
loro col marchio dell'infamia il nome di chi fu degno del- 
l'aureola della gloria e viceversa ; e pervertendo le idee di 
giustizia e di moralità, diverrà pernicioso al vivere civile. 

5. Perchè la Storia addivenga sicuro testimonio dei tempi, 
deve lo scrittore raccogliere e disporre gli avvenimenti de- 
gni di memoria con giudizioso ordine cronologico; descriver 
l'indole delle diverse età ; rappresentare i suoi personaggi 



150 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

quali veramente furono , per il carattere , per i costumi , 
per la educazione e per la cultura ; dei popoli riferire la 
religione, le leggi, le istituzioni, !a natura, i pregiudizj, la 
civiltà , finalmente i vizj e le virtii pubbliche e private. 

6'. Perchè poi sia ili fatto la luce della verità , non basta 
che lo scrittore si studii d'essere imparziale , se altresì non 
accerta meglio che sa e può le cose che narra , o per testi- 
moni degni di fede , o per autentici documenti, ed in ispe- 
ziallà col trascegliere sagacemente , . e dirittamente com- 
prendere e questi e quelli. 11 filo della critica sostenuto da 
un ingegno penetrativo , accurato e paziente , potrà ben 
guidarlo per mezzo agl'intricati laberinti delle umane azio- 
ni , e delle testimonianze orali e scritte non di rado oppo- 
ste e conlradiltorie , a ben discernere fra tanto falso quel 
po'di vero che rilucer deve ad ammaestramento delle età 
avvenire. 

7. Perchè finalmente la Storia sia la maestra della vita, 
deve lo scrittore, massime nelle cose piii memorabili, rap- 
presentare I consigli che precedettero i fatti, significare se 
retti o no que'consigli gli paiono alla stregua del giusto e 
dell'onesto; delie opere non solo dichiarare ciò che fu fatto 
o detto, ma eziandio il come ; degli avvenimenti esporre le 
cause e gli effetti , e delle persone illustri per gesta gloriose 
delincare a brevi tratti il carattere e la vita. Deve oltre a 
ciò con ogni studio conoscer l'uomo ne' suoi vizj , nelle sue 
virtù, nelle sue passioni e ne' suoi errori, e distinguere i 
tempi , i luoghi e le circostanze, a fine di giudicare dei fatti 
narrati con dirittura d'animo e d'intelletto, perchè vera- 
mente la Storia delti salutari ammaestramenti di civile 
sapienza. 

8. Alle raccolte materie devo lo storico dar ordine e 
forma. Scòrto il nesso che insieme fra loro collega gli avve- 
nimenti , gli è d'uopo questi seguire nella loro successione, 
come auelii di lunga catena ; dividere' per distinte epoche 
dalla natura e grandezza degli eventi tracciate il suo la- 
voro , e innestarvi con bell'artifizio le parti episodiche per 
quanto v'hanno d'attinenza , schivando le lunghe e non 
ben connesse digressioni, facendoci Tullio sapere che: nihil 



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di hettomca 151 
est in historia , pura et illustri brevitate dulcìm (In Brut.). 
Così studiandosi di dare maggior possibile unità alla mate- 
ria , fare dall'ordine stesso scaturir la chiarezza (1). 

9. La forma poi richiede principalmente gravila e deco- 
ro; quella le cose, questo le parole risguarda. Nella scelta 
dei fatti che sono degni d'esser ricordali e idonei ad utilmente 
istruire , non che dì quelli che sebbene meno rilevanti, pure 
son tali che spargono luce sui primi e li rinlìancano, consiste 
la storica gravità , a cui naturalmente si accompagna uno 
stile nobile e dignitoso (2) : quindi vi disconviene tutto ciò 
che sa di concettoso e d'arguto. Si serberà poi tutto il deco- 
ro, ove si adoperi nitida ed elegante elocuzione, la quale fa- 
cilmente si pieghi insieme collo stile alla varia natura delle 
materie, assumendo da queste ora il carattere narrativo, 
ora il descrittivo , ora l'oratorio , ora il veemente. Il troppo 
basso, il ricercato, il lezioso assai scemano il decoro, men- 
tre ben vi sì addice la facile spontaneità congiunta a un 
certo grado d'ornatezza , e talora anco d'animata vivacità, 
essendoché lo storico è l'immagine del savio ed amorevole 
vecchio, che narrando agl'intenti nipoti gli avvenimenti della 
sua prima età, de' quali fu testimone e gran parte egli 
stesso , in rammemorarli si sente talora infiammato di giove- 
nile caldezza. 

10. Gli ornamenti che assaissimo valgono ad accrescere 
coll'uliiilà il diletto, sono i caratteri e le pitture storiche, 
sembrando per tal modo quasi di vedere co' propri occhi uo- 
mini e cose. La descrizione de' caratteri storici pertanto con- 
siste nel penuelleggiare con traiti vivi e decisi le qualità 
morali , e talvolta anche le fìsiche delle persone. Il pregio 
delle pitture storiche è riposto nella giudiziosa scelta delle 
particolari circostanze dei fatti , e nel tratteggiarle con bella 

(1j Vedi per lutto quello il dotto Saggio sopra Varie slorica di 
G. F. Nahone , Torini) , 1773. 

(2i Non sono perù da rigettarsi certo minute noliiìn o aneddoti, 
die bastano talvolta a far meglio conoscere le cose fi le pKrsone. Vi fu 
chi disse con assai d'acutezza e^cie gli aneddoti le spie segrete della 
Storia. Ove peraltro credasi che l'inserire tali r.ose per enlio alla nar- 
razione possa nuocere alla storica gravità, pongansi in nota. 



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152 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

evidenza. Tutto ciò dà al racconto, anima e calore. Sia de- 
gno però di special nota quello che vuoisi cosi descrivere ; 
perocché non solo riuscirebbe fastidioso, ma anche ridicolo, 
il ritrarre a ogni piò sospinto ogni volgar persona o cosa. Di 
questa difficil'arte sono principali maestri Sallustio, Tacito 
e Livio fra i latini, fra'nostri il Giambullari, il Machiavelli e 
il Guicciardini. Ne siano d'esempio il carattere di Siila di- 
pìnto da Crispo, e la morie di messer Corso Donali descritta 
dal Machiavelli. 

a Sulla gentis patriciae nobilis fuil, familia proptì jam 
a exliueta majorum ignavia: litcris graecis alque latinis 
a juxta alque doctissume erudilus: animo ingenti: cupidus 
o voluplalum, sed gloriae cupidior: otio luxurioso esse: 
» tamen ab negoliis nunquam voluplas remorala , nisi 
« quod de uxore potuit honeslius consuli: facundus , cal- 
li lidus , et amicilia facilis: ad simulanda negotia altitudo 
« ingenii incredibilis: multa rum rerum ac maxumae pecu- 
« niae largilor » {Ilei. Ing. c. XGV). 

« Erano le sue case, c le vie dintorno a quelle, slate 
« sbarrate da lui , e dipoi di uomini suoi partigiani affor- 
« lineate, i quali in modo le difendevano, che il popolo 
a ancora che lusso in gran numero, no» poteva vincerle. 
« La zuffa pertanto fu grande con morte e ferite d'ogni 
« parie. E vedendo il popolo di non potere dai luoghi 
a aperti superarlo, occupò le case che erano alle sue pro- 
li pinque, e quelle rotte, per luoghi inaspettati gli entrò 
« in casa. Messer Corso perlanlo veggendosi dai nemici 
a circondato, ne confidando piii negli ajuti di Uguccione, 
« deliberò, poiché egli era disperato della vittoria, vedere 
n se poteva trovare rimedio alla salute-, e fatla tesla egli 
a e Gherardo Bordoni , con molli altri de'suoi più forti e 
a fidati amici, fecero impeto contro ai nemici, e quelli 
« apersero in maniera , che poterono combattendo passar- 
ci gli , e della cilla per la porta alla Croce si uscirono. Fu- 
a rono nondimeno da molli perseguitati, e Gherardo in sul- 
•< l'Affrico da Boccaccio Cavicciul'ti fu morto. Messer Corso 
a ancora fu a Rovezzano da alcuni cavalli Caldani, sol- 
« dati della Signoria, sopraggiunto e preso. Ma nel venire 



DI RETTORICA 133 

e verso Firenze , per non vedere in viso i suoi nemici vit- 
ti toriosi, ed essere straziato da quelli , si lasciò da cavallo 
e cadere., ed essendo in (erra, fu da uno di quelli che Io 
a menavano, scannalo; il corpo de! quale fu dai monaci 
a di S. Salvi ricollo, e senza alcuno onore sepolto. Onesto 
<• fine ebbe M esser Corso, dal quale la patria e la parte 
e de'Neri molli beni e molli mali riconobbe; e se egli 
e avesse- avuto l'animo più qgielo sarebbe più felice la 
« memoria sua d (Stor. Fior., lib. Il, an. 1308). 

14. Un altro gradevole ed utile abbellimento usavano 
gli antichi , che non va molto a sangue agli odierni , voglio 
dire le descrizioni e le parlale. La descrizione è una più 
estesa e ragguagliala dipintura d'un qualche grande e stre- 
pitoso avvenimento, come di battaglie, di tumulti, di lem- 
peste , di terremoti , di pestilenze , di pubbliche feste e 
spellaceli. Qui grand'arte richiedesi di disegno e di colo- 
rito , sia per la scella e disposizione dc'parlicolari , sia per 
la viva ed animala loro espressione,; tanto clic venga a 
rappresentarsi un quadro distinto nelle parti, e armoniz- 
zante pel tulio. A ciò tanlo conferisce una giusta sobrietà, 
quanto nuoce una minuziosa profusione di cose e di parole. 
Le parlale o concioni che dir si vogliono, sono quelle 
arringhe poste dallo storico in bocca d'alcun personaggio, a 
mo' degli epici e de' tragici. Il Blair ed altri riprendono tal 
uso, come contrario alla veracità storica, essendoché per 
esso formosi un colai misto di reale e d'immaginato; il 
perchò preferiscono il metodo di quei che in persona pro- 
pria espongono per sommi capi la sostanza degli altrui pub- 
blici discorsi. Così adoperò il Machiavelli riportando quello 
da Farinata tenuto nel congresso di Empoli. « A questa sì 
« crudele sentenza (di disfare Firenze) data contro ad una 
« si nobile citlà non fu cittadino nò amico , eccetto che 
o Messer Farinata degli liberti, che si opponesse; il quale 
a apertamente e senz'alcun rispetto la difese, dicendo non 
« avere con tanta fatica corsi tanti pericoli, se non per 
« potere nella sua patria abitare , e che non ora allora 
n per non volere quello che già aveva cerco , nè per rifiu- 
ti tare quello che dalla fortuna gli era sialo dato, anzi per 



154 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

a esser non minor nimico di coloro che disegnassero altri- 
a menli, che si fusse sloto ai Guelfi ; e se di loro alcuno 
« temeva della sua patria, la rovinasse, perchè sperava 
« con quella virtù che ne aveva cacciati i Guelfi difen- 
t derla » (Stor. Fior., lib. II, an. 1260). 

12. E per fermo un tal metodo non è mica biasimevo- 
le, e per avventura maggior fede accatta allo storico; ma 
non per questo io reputo men bello il primo modo, non 
solo perchè adoperalo dagli storici antichi e dai migliori 
nostri recentissimi mantenuto, ma ancora perchè riesce dì 
grande istruzione e diletto, senza reale offesa del vero. E 
difallo ove lo storico faccia parlare i suoi personaggi proprio 
come per il loro carattere, per le loro opinioni , e per la 
natura delle cose è verisimile abbiano parlato, come può re- 
starne adombrato il vero? Guai alla storia, se tali possibilità 
non assumessero sembianza di realtà; ed a questo credo 
mirasse il Manzoni, quando scriveva: anco del verosimile 
la storia si può qualche volta servire {Op. di Ales. Manzoni, 
Milano, p. 487). Giova poi all'istruzione, perchè lo storico, 
senza che paja, porge ammaestramenti e consigli di sa- 
pienza civile , facendoli ancora più autorevoli, corno usciti 
di bocca ad uomini di slorica nominanza. Aggiunge final- 
mente diletto, perchè apre allo scrittore uno svariatissimo 
campo , ove far bella mostra di eloquenza politica, militare 
e popolana, e perchè da con tal forma drammatica un più 
vivace movimento alla storia, il guajo sta soltanto e vera- 
mente nell'abuso che di descrizioni o di parlale si faccia. 

13. Troppo in lungo mi trarrebbe l'addurre esempj 
delle une e delle altre, incontrandosene delle maravigliose 
in Tucidide , in Senofonte , in T. Livio , in Cesare , in Sal- 
lustio e in Tacito tra gli anlichi; e tra i moderni nel Ma- 
chiavelli, nel Guicciardini e ne! Botta. Bastimi tra le mille 
citare le descrizioni della pestilenza d'Atene presso Tuci- 
dide , dei Romani alle Forche Caudine nel lib. IX di 
T. Livio , e del passaggio del gran S. Bernardo per Napo- 
leone nel lib. XX del Botta (1); per Io parlate, vedi in 



il) Storia d'Italia , da! 1739 ni mi. 



DI RETTORICA 1f>0 

Sallustio quelle di Calilina ai congiurati , num. 20 ; ai sol- 
dati, num. 78; nel Machiavelli quella d'uno de'signori al 
Duca d'Atene, nel lib. II delle Storie, anno 1341. 

14. Essendo la Storia un quadro più o meno esteso della 
vita civile, deve di questa porgere una fedele immagine 
nella svariatissima serie de'suoi elementi. Ora mercè il tan- 
to avanzarsi della civiltà, riebiedesi a buon dritto dagli 
scrittori di storie più assai che non. potevasi dagli antichi. 
Agevolate le vie immensamente più che per quelli non 
erano, per acquistare esalta cognizione de'luoghi, delle cose 
e delle persone; ampliata da validissimi soccorsi di acco- 
modate discipline la critica a viemeglio disecrnere e giudica- 
re, corre obbligo allo storico di essere ben versato non solo in 
geografia ed in cronologia, chiamate sapientemente dalVico i 
due occhi della Storia, ma eziandìo nelle religioni, nelle leggi, 
nei costumi , nelle scienze morali , politiche ed economiche. 
Guardisi però dall'ostenlare un tanto corredo; sia corno il 
sangue che non visto scorre nelle vene e da vita. Oltre 
a ciò non apparisca di narrare per filosofarvi su, ma le sue 
osservazioni siano brevi e come spontaneamente dettate 
dalle cose già esposte. Sa troppo di sentenzioso a mo'd'esem- 
pio , quella massima , pur troppo vera , di Tacito : Proprium 
humani ingenti est odisse quem laeseris (1) , mentre questa 
nou men vera di Sallustio par delta quasi non volendo: 
« Terrebat eum natura mortaltum , avida imperii et praeceps 
a ad eccplendam animi cupidinem » (2). lì parimente quest'ai- 
ira del Machiavelli: « Queste esecuzioni alia plebe soddt- 
« sfacevano , perchè sua natura è rallegrarsi del male » (3). 

-13. Peggio poi adopera chi ad ogni tratto sospende il 
racconto per innestarvi a diritto o a torto le sue filosofiche 
meditazioni , valendosi della Storia quasi di pretesto a scio- 
rinar sue sentenze; lo che trae al declamatorio e al falso. 
Non conviene allo storico scambiare ufficio, arrogandosi 
quello della filosofia della Storia; ciascuno deve stare ne'pro- 

(1] VilaAgrieohe. 

(8) Bell. Jugurt., a. 6 

(3) Star., Lib; li , ari. 4 34i. 



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156 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

prj termini, lenendo in ciò per guida il Machiavelli che tra'no- 
stri fu il primo a far buon uso della filosofia nella SLoria, 
ed avvertendo per ultimo che a lo stringer mollo in poco, 
« e in quelle considerazioni che per tal guisa si fanno, 
« esser parco ad un tempo e profondo , non è, dice il Nic- 
<i colini, impresa da tutti » (1). 

16. A conseguir lode non peritura di valente storico 
gioverà oltre lo studio costante e profondo del cuore umano, 
apprendere il segreto dell'arte dall'eloquente Tucidide, dal- 
l'acuto Machiavelli , dal grandioso Guicciardini e dal grave 
Parula ; sccondochè a questo o a quello meglio inchina la na- 
tura dell'animo proprio. Laonde attenendosi giudiziosamente 
al magistero d'alcuno di questi grandi esemplari, e a un 
tempo opportunamente valendosi dell'ampio tesoro della 
scienza moderna, verrà fatto di corrispondere al vanto di 
che l'eia nostra s'onora , di proseguire cioè d'ardenlissimo 
amore gli studj storici, onde forma quasi il suo speciale 
carattere. 

§. 3. Delle varie specie della Sloria. 

47. Occupa per merito e per difficoltà il primo luogo la 
Storia Universale, che comprende tutto quanto il tempo e 
lo spazio finqiu misurato dalla vita del genere umano; opera 
immensa da quasi sgomentare il più poderoso ingegno. Due 
sono i melodi per essa, V Etnografico e il Sincronia tico: col 
primo si procede per popoli o nazioni ; col secondo si narra 
di lutti insieme per ordine cronologico. In quello si par- 
ranno per avventura più distinte le parli, in questo meglio 
armonizzale; nell'uno e nell'altra poi deve guidarne con- 
tinuo il filo che sta in mano della Provvidenza Divina. Essa 
6 un vastissimo quadro dove i falli particolari appariscono 
a gran tratti di mezzo alle masse delle tinte generali. Tra 
le molte Storie Universali che ban grido nell'Europa, ba- 
sterà al nostro scopo citare il Discorso del Bossuet, sulla 

(J) Prose, Voi. Ili, p. a82, edlz. clt. « Disconviene del pari che 
le Storie siano nudi registri o Irallali di politica a [ Napions, Op. cit.). 



DI RETTOfllCA 4.17 
Storia Universale , cui tutto quanto informa una grand' idea 
religiosa, come pure quella recentissima di Cesare Cantù, 
celebre opera italiana. 

18. Ne segue la Storia Particolare, e questa dislinguesi 
in Antica e Moderna , in Nazionale, Provinciale e Municipale. 
La caduta dell'Impero Romano suole assegnarsi siccome 
termine di divisione tra la Storia antica e la moderna. La 
Nazionale comprende i fatti di tutta una nazione , come ia 
Storia d'Italia del Guicciardini: se comprende quei d'una 
sola provincia, come la Fiorentina del Machiavelli, la Ve- 
neziana del Parula ec. può dirsi Provinciale; Municipale poi, 
se registra le memorie d'un solo municipio , come quella di 
Verona di Scipione Maffei. Può inoltre ristringersi a un certo 
determinato tempo, come quella di Firenze del Nardi dal 
1187 al 1552 , e quella dal Segni dal 1">27 al 1555; ovvero 
a un certo tale avvenimento , come Iti Sallustìana della 
Guerra Giugurtina, e quella del Porzio della Congiura de' Ra- 
mni ili Napoli. Prende eziandio un nome speciale dalle mate- 
rie che tratta. Dicesi Storia Sacra, se de'fatii stupendi ragiona 
del popolo di Dio; Ecclesiastica, se spone le glorie della 
Chiesa di Crìslo; Scientifica, Letteraria, Artistica ec, se tratta 
delle origini e progressi delle Scienze, delle Arti ec. 

19. Di più dimessa natura sono 1." gli Annali, ove sono 
descritte le cose avvenute anno por anno, 2.° le Cronache 
che narrano alla buona ciò che di più notevole avviene 
quasi di per di; 3." i Commentar] o Memorie, dove lo scrit- 
tore per utile proprio o per altrui ricorda fatti dì qualche 
rilievo, de'quali fu egli stesso autore o testimonio; i.° le 
Vite, ossia racconto de'coslumi, sludj ed azioni di uomini 
per qualsivoglia titolo famosi; 5." le Genealogie, ossia la de- 
scrizione di famiglie per lo più illustri; 6." gli Aneddoti, ov- 
vero falli o detti curiosi, raccolti per proprio ed altrui 
passatempo. 

20. Ai precetti in generale superiormente esposti per la 
^Storia nel suo "più nobile significato, gioverà qui aggiun- 
gere brevi osservazioni per le minori sue specie. 

E primieramente parlando delle Storie Municipali, sic- 
come quelle che servir debbono di sussidio alla compiuta 



1,18 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Storia nazionale, vogliono essere una dipintura genuina e 
fedele della natura, dei costumi, delle istituzioni e prero- 
gative del popolo che costituiva il municipio. Chiunque 
pertanto a si nell'opera s'accinge , ritolga dalla polvere degli 
archi vj pubblici le molle notizie, e forse preziosissime, che 
vi giacciono sepolte, e inspiri in esse una vita novella. "S'at- 
tenga , finché lo consente un'equa ed assennata critica , alle 
antiche c costanti tradizioni (1). Trascclga giudizioso i fatti, 
e gli esamini scevro da ogni preoccupazione, o nulla lasci 
di ciò che può render più intero la immagine de'tempi e 
delle persone. Sia accurato quanto veridico, e ad uno stile 
facile e piano cougiunga purità e grazia di dettato. Darà bel 
compimento all'opera, se vi aggiungerà ricca copia di do- 
cumenti, di statuti d'iscrizioni ec. 

21. Venendo ora agli Annali che, sebbene per l'esempio 
datocene da Tacilo di poco o nulla differirebbero per gra- 
vila ed elevatezza dalla Storia propriamente delta, tutta- 
via sogliono considerarsi di grado alquanto inferiore, e il 
loro pregio- principale si è un rigoroso ordine cronologico, 
una chiara e precisa narrazione dei falli degni di nota e 
ben accertati, ed una facile e nitida esposizione che riveli 
a un tempo la verità e la schieltezza dell'annalista; il qua- 
le renderà ancora più utile l'opera sua, se qua e là vi 
sparge, senza parere, rapide sentenze e giudizj , quali sa 
deltare una critica sana ed imparziale. Ne abbiamo un no- 
bile esempio negli Annali dell'illustre Muratori. 

22. D'ordine ancor meno elevato di questi tengo risi le 
Cronache, comecché di quella di Dino Compagni possa dirsi 
come degli Annali di Tacito, cioè che per poco non va alla 
pari con quella che strettamente chiamasi Sloria. Sì distin- 
guono pcrtanlo col nome di cronache quei racconti, dove 
lo scrittore apparisce quasi interamente inteso a serbar me- 
moria dei falli giornalieri , vuoi pubblici vuoi privati , senza 

(1) b Talvolta il fondamento di certe tradizioni è storia veridica 
a adornala di circostanze favolose da chi si compiacque d'inlesser fregi 
a al vero ; se poi sono interamente false, si può da esse ricavare il co- 
" slume dell'età a cui appartengono ». (Napkike, Op. eit.J. 



DI RETTORICA 1 59 

porli a troppo severa disamina. Ben si scorge che lasciasi 
guidar dal buon senso, e così come li narrerebbe a voce, 
li scrive. Questa semplicità che tanto si fa ammirare nei 
cronisti antichi, vuol esserne tuttavia il più coro condi- 
mento. Ma la cronaca ora forse tiensi per vieta , dappoiché 
in sua vece sottenlrò il Giornalismo, nel quale non di rado 
si desidera colla schiettezza de' modi l'altra ancora più 
rara delle cose. Laonde se vuoi essere lodato scrittore (li 
effemeridi, congiungi alla buona coscienza ed all'esempio 
degli antichi cronisti per le cose la elegante venusta che 
risplende nell' Osservatore del Gozzi per la forma, e le tue 
scritture, va'certo, non saran quelle d'un giorno. 

23. A quanto abbiam detto per gli /Infiali e per la Cro- 
naca poco più è da aggiungere pei Commentar j , perocché 
non ne differiscono questi che per la estensione di tempo 
e di fatti, standosi conlento lo scrittore o a dare esatto e 
minuto ragguaglio d'un qualche grave speciale avvenimento, 
di cui fu parte o spettatore , o a registrare la memoria 
di persone o di cose che all'età sua abbiau levato alcun 
grido; del resto vi si richiede egualmente ordine, sempli- 
cità e schiettezza. Subliniissimo esemplare sono i Commen- 
tari di Cesare, i quali Cicerone non rifinava mai d'ammirare 
per la ingenuità, venustà e grazia [1); e dove si può ap- 
prendere ancora l'altro bell'artificio di nasconder sè stesso, 
usando la terza persona parlando di sè: imitabil modestia 
d'uomo s\ grande! 

24. Benché lo scriver vite sia men grave ufficio del 
comporre istorie, tuttavia può riuscir non meno utile - , pe- 
rocché può il biografo meglio dello storico porgere in- 
tera la dipintura di quegli uomini che per virtù religio- 
se, politiche, civili e militari, e per altezza d'ingegno 
stamparono orme gloriose nel cammin della vita. Ov'egli 
s'ingegni dì descrivere fedelmente il carattere, l'educazione, 
gli studj, le azioni si pubbliche che private dell'illustre 
cittadino, e di delinearlo qual veramente apparve sacer- 
dote, magistrato, guerriero, sapiente, e quale si fu tra le 



(JJ De CI Orai. Brutta. 



160 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

domestiche mura, ben meriterà delia storia e delia patria: 
della storia , perchè ne compie l'opera , riferendo quei par- 
ticolari che pur giova sapere, e che per la gravita ed indole 
sua essa è costretta a passare sotto silenzio; della patria, 
perchè offerendole più vivo il ritratto di quei che s'illu- 
strarono colle opere, può il loro esempio riuscirle fecondis- 
simo ad incremento di gloria. 

25. Ove il biografo narri di uomo che nel suo secolo 
grandeggiò, ecco aprirglisi amplissimo campo per descrivere 
storicamente que'lempi . secondochè poterono su lui influi- 
re, ed egli a rincontro so vr' essi ; e qui l'opera sua s'eleva 
quasi alla storica dignità : se non che quale che siasi il suo 
subbietlo, sì studii d'esser fedele espositore dei pregi e dei 
difetti del medesimo , nè soverchia affezione gli faccia giam- 
mai smarrire la verità , non dimenticando che scrive una 
vita, non un elogio ; c che i difetti degli uomini grandi non 
sono ai posteri meno profittevoli delle loro virtù ! Accertati 
i fatti e , dove j' uopo il richieda , confortati con documenti , 
ti disponga con ordine di tempo : e detti breve in forma chia- 
ra , nitida ed elegante. Più dei precetti varrà lo studio dei 
grandi esemplari che di vile lasciarono Plutarco tra 'Greci, 
Cornelio Nipote e Tacito tra'Latinij e tra' nostri il Boccaccio, 
il Segni, il Nardi, il Vasari , e ultimamente bell'esempio ne 
diedero pure il Balbo nella vita di Dante, il Giusti in quella 
del Parìni, il Vannucci e l'Arcangeli iu quelle elegantissime 
di alcuni elassici Latini. 

26. La letteratura sacra si adorna anch'essa di questo 
nobile ed utilissimo genere di componimenti. V Agiografia, 
o descrizione delle vite dei santi risale ai primi tempi del 
Cristianesimo. Schiva di sua natura d'ogni vana pompa ed 
ornamento, vuol esser nella forma tutta candore, semplicità 
ed unzione. Null'aUro proponendosi l'agiografo che d'allet- 
tare a virtù il lettore colì'esempio sublime dell'eroe cristia- 
no, attinge la eloquenza dalle cose stesse schiettamente 
narrate, non dalla .squisitezza dell'arte. Richiedesi però 
sobrietà nella scelta dei fatti , ordine nella loro distribuzio- 
ne, religiosa gravità nello stile, dignitosa naturalezza nel 
dettato, e principalmente vivo amoro ad ogni religiosa virtù, 



DI RETTOHICA 161 
per formarsi intero nell'animo il concello della santità , e 
adeguatamente sigili fica rio, essendo certissimo che un santo 
siirh sempre il miglior biografo d'un aliro santo. Eccel- 
lenti modelli ne porsero tra gl'infiniti scrittori ecclesiastici 
latini principalmente S. Atanasio, S. Girolamo, S. Grego- 
rio Magno, e il Venerabil Beda ; tra gl'italiani il Cavalca 
nelle vite dei Santi Padri, gli autori dei Fioretti e della 
Leggenda di S. Francesco , e tra i più moderni il Barloli 
e il Cesari. 

§7. A cui prendesse vaghezza di narrar sè slesso ai 
posteri, innanzi tratto abbia fondata coscienza che questi 
avrebbero di lui parlalo senza che ne parlasse egli stesso; 
di poi nell'anli vedere l'altrui giudizio , guardisi dall'amor 
proprio , pessimo dei cortigiani , e conti quale fu e che fece, 
e non quale vorrebbe parere ; oltre a ciò schivi quelle mi- 
nuzie di sè , che senza renderne più compiuto il ritrailo, 
anzi che istruzione e diletto , recano ai lettori tedio e sian- 
chezza. V Autobiografia finalmente vuol essere genuina, 
attraente, curiosa, e scritta con bella semplicità, brevità 
e grazia. Ne avrai bellissimi esempj nelle autobiografìe pub- 
blicale dal Barbèra nel 1857, nella Vita Nuova di Dante, 
in quella di Vittorio Alfieri , nelle Mie Prigioni di Silvio Pel- 
lico, e particolarmente in quella di Benvenuto Cellini, imi- 
tabile in gran parte e per ischìettezza e per brio. 

Non credo inopportuno notare per ultimo che i filologi 
chiamano Vita quella dislesamente scritta; Mot/rafia, il com- 
pendio o sunto (1); Necrologia quel breve e pietoso racconto 
che del costume , de'principali pregi ed azioni si fa di qual- 
che onorevole persona che scende nel sepolcro meritamente 
compianta. 

28. Dice il Banalli : « Come le Storie descrivono le città 
'( e gli slati , e nelle Vite abbiamo la descrizione degli no- 
ci mini, cosi vollesi anco fare descrizioni di famiglie, che 
« ancor esse rampollando dalle slorie hanno lollo il parti- 
ci colar titolo di Genealogie ». Consistono queste nel dare 
lino dallo stipite la serie ordinata degli uomini d'un 1 illustre 

M) V. Ugolini, Parole e Modi errati ec. 

41 



462 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

casata obel'un dopol'allrosi succedettero , notando il modo 
di lai successione , e dando di ciascheduno esalti cenni bio- 
grafici ; utile lavoro di che può la sloria assaissimo giovarsi, 
ove non si blandisca la boria signorile, e dove il solo vero 
dissepollo dagli archivj animosamente si dica. È vano qui 
ripetere che a illustre maleria si conviene abito illustre; 
solo si raccomanda ordine e brevità. Celebri sono i lavori 
di tal sorta che ci han dato delle Famiglie illustri italiane 
il Lilla, e delle Fiorentine il Passerini, con lode degli au- 
tori grandissima. 

29. Poche parole spenderemo intorno agli Aneddoti, in- 
fima specie della Storia. Consistono essi in raccolto di fatti 
curiosi e di arguzie spiritose d'uomini per lo più di storica 
celebrila , dove spesso il diletto può esser maggiore della 
istruzione. Vogliono quindi esser narrali con bel garbo, con 
facilità e con vivezza. Alcuni piacevoli esempi se Qe riscon- 
trano tra i nostri novellieri antichi. 

30. Quale che sia la specie di storico componimento che 
lo scrittore si elegge , ove desideri di ben provvedere non 
che alla Sloria , a sè stesso , abbia il coraggio di potersi col 
Poeta ripetere : 

« E s'io al vero son timido amico , 
« Temo di perder vita tra coloro 
« Che questo tempo chiameranno antico ». 

(Par , C. XVII). 



APPENDICE. 

Della 1 se ri sfon e. 

1. La Iscrizione è una breve istoria di persone odi cose. 
L'origine può dirsene antica quanto la scrittura , ed ogni 
nazione vanta le sue. Somma n'è l'importanza, e spesso 
, un'Iscrizione a caso scoperta aggiunse luce e certezza alla 



DI RETTOfllCA 163 
Storia, o ne tolse l'errore che, fosso caso o arte, eravisi 
intruso. L'Iscrizione, per la sua pubblicità e per la longe- 
vità che trae dal marmo o dal bronzo ov'è scolpila, assu- 
me un carattere autentico ; di qui la sacra necessità che 
sìa vera. 

2. L'Iscrizione dividesi in monumentale , sepolcrale ed 
onorano. La prima, cosi delta perchè a'monumenli s'appo- 
ne, chiamasi sacra, se fatti o opere sacre ricorda; civile. 
se civiche. Propria de' sepolcri b la seconda , e dicesi ancora 
Epitaffio. La terza si legge impressa negli archi, statue, co- 
lonne , e su qual'altra opera vien destinata ad eternare per- 
sonaggi illustri e gloriosi avvenimenti , ad argomento di 
pubblica onoranza. 

3. Prima ed essenzial dote delle Iscrizioni o Epigrafi, 
come oggi pure si dicono , è la veracità. I posteri han dritto 
a non essere ingannati intorno a ciò che con tanta pompa 
e con perpetue cifre loro si tramanda. Stia lungi adunque 
l'iperbole e l'adulazione dall'epigrafe, e massime dalla se- 
polcrale. Il cimitero è sacro alle ceneri di chi è in luogo di 
verità ; ci pensi chi scrive per quello. 

4. Inestimabil pregio dell'Iscrizione chiama il Ranalli la 
brevità , e dice benissimo , perocché la breve Iscrizione e 
facilmente si legge , e meglio eccita in noi sensi di pietà e 
d'ammirazione. Arrogo a ciò che essa è un ricordo , e que- 
sto bea si ritiene solo quando in poche parole si chiude. 
In ultimo non esca di mente che il nome dei grandi e delle 
grandi cose bastano a sò : è sublime elogio il solo ricordarle; 
e specialmente negli epitaffi, fa'di dire in pochi tratti e 
spiccali il sommo di quel che fu e di quel che fece il tuo 
defunto , e vi parli soprattutto l'affetto. 

5. Le parli dell'Epigrafia , secondo l'illustre Orioli, sono: 
La narrazione e la clausula , e non di rado un ante/isso che 
lieo luogo d'esordio. Vera sempre , e nelle sepolcrali anco 
pietosa , vuol esser la narrazione , morale la clausula. Tal- 
volta all'antefisso si sostituisce una specie di formula , co- 
me : D. 0. M. ( Deo Optimo Maximo ) per le Iscrizioni sacre ; 
Ad perp. rei mem. per le altre monumentali ; per gli Epi- 
taffi l'altra invocatori^ : A ^ () [ Alpha, Chrìslus, Omega), 



46i DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

o il D. M. S. (Biis Manibus Sacrum), usalo dai Gentili, 

e perciò non punto a noi dicevole. 

6. Scopo della Epigrafia e , dice il Silvestri , di accen- 
nare, non già di descrivere le cose; quindi vuoisi evidenza 
e dignità , dì forma che quelle vcggansi di primo intuito nel 
loro aspetto e il più degno e il più alto a farne cara e ono- 
revole la memoria. Nell'epigrafe pertanto si dee parlare a 
tulli , ma non col linguaggio di tutti ; donde la grande dif- 
ficoltà di serbare colla chiarezza il decoro; il perchè vi si 
richiedono voci proprie e nobili , da tulli inlese ed a niuno 
spiacenti vuoi per troppo violo squallore , vuoi per troppo 
audace novità; rare le metafore e con senno introdotte, 
rarissime le perifrasi ; locuzioni e coslrutti per brevità vigo- 
rosi, e splendidi di maestosa semplicità; formule e modi 
che rendano meno frequenti certe voci accessorie , senza le 
quali il discorso italiano non sta , collocandole si che l'occhio 
e l'orecchio non ne siano offesi o aggravali; accorgimento 
grandissimo in disporre le parole in guisa che servano alla 
melodia, e nulla tolgano alla chiarezza, usando di rado, 
e solo con bel garbo l'iperbato; finalmente una singolare 
struttura del periodo, che ben d'ordinario è uno solo che 
tutta l'epigrafe comprende , ove le parti compariscano tra 
loro dislinle e lumeggiate a vicenda le une dalle altre , e 
dove sentasi quel numero lutto suo proprio , cosi rotto e 
spezzalo che opportunamente ne obbliga , sospendendoci ad 
ogni membro, e quasi a ogn'inciso, a meglio percepire e 
fermare nella memoria i concelti del monumento , e che 
meglio serve per avvenlura alla espressìon dell'anello. Il 
metodo ortografico poi vuol essere il comune , non vergen- 
do , dice l'Orioli , buona e filosofica ragione di variarlo. 
Quindi è che a ben riuscire nella epigrafia ricercasi prin- 
cipalmente somma perizia della lingua e non comune squi- 
sitezza di gusto. Che se taluno , come Io stesso Orioli nota, 
credesse che , perchè tali componimenti sono brevi e sem- 
plici , fosse facile farne de'buoni, s'ingannerebbe d'assai, 
perchè, siccomo appunlo l'epigrafe vuol essere semplice e 
breve , non soffre vizj , e perchè non essendo d'ogni ma- 
niera di bellezze capace , è più dillicile il dargliene [ Vedi 



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Silvestri , Disc. Sulle Iscriz. del Muzzi; ed Orioli , Discorsi 
SulFEpigr. Italiana, Bologna, 1826). 

7. Fu questione tra i letterati, se meglio era preferire 
nelle iscrizioni la lingua Ialina all'italiana , siccome di que- 
sta più precisa e maestosa. Per le sacre e monumentali più 
solenni, starei per la latina, perchè appar più veneranda, 
e da'dolti d'ogni nazione c comunemente inlesa ; per le 
altre ed in ispeziaìtà per gli epitaffi vorrei l'italiana, es- 
sendo dal fallo ornai deciso che la lingua di Danle è pur 
capace di brevità e di grandezza. Se ami piii estese notizie 
intorno all'Epigrafìa , consulta per la latina le opere dottis- 
sime del Morcellì c dello Schiassi ; per l'italiana , gli scrini 
del Muzzi, del Silvestri e il ciialo discorso dell'Orioli. Esempj 
bellissimi di Epigrafi latine porge , oltre i notati Morcelli c 
Schiassi , lo slesso Silvestri ; d'italiane il Muzzi che n'e sa- 
lutato padre e maestro, il Contrucci e l'elegantissimo Gior- 
dani. Da ciascuno di questi tre epigrafisti ne torremo una 
ad esempio , notando che la terza va corredala d' Antefisso , 
di Narrazione e di Clausula. 



ANTONIO CANOVA 
STATUARIO 
DOPO LI GRECI ESEMPLARI 
INCOMPARABILE 
GLORIA DI ITALIA 
MARAVIGLIA DELL' EUROPA 
USCITO DELLA VITA MORTALE 
IL DECISIOTERZO DI OTTOBRE DELL'AN. MDCCCXXIL 
STANISLAO ZABRINSKl 
DEVOTO A TASTA VIRTÙ 
E TANTO NOME 
0 M. 
ERESSE 



Mumi- 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



IL 

ANTONIO CESARI VERONESE 
COGLI SCRITTI E COLI-' ESEMPIO MANTENNE GLORIOSAMENTE 
LA FEDE DI CRISTO E LA LINGUA D'ITALIA. 
MDCCCXXX. 

Giordani. 

HI. 

IL TRIONFO MARATONIO 
TURBANDO I SONNI A TEMISTOCLE 
RISCOSSE DAGLI 07.1 IL GIOVINETTO 
LA GLORIA DELL'ARDITO LIGURE 
ACCESE DI EMULO ARDORE 
AMERICO VESPUCCI 
A COMPIERE IL DI5CUOPHIMENTO 
DI QUELL'EMISFERO 
CHE DA LUI TOLSE IL NOME. 
RARI I GRANDI ESEMPJ 
RARISSIMO CHI Li SEGUA E SORPASSI. 

Co UT MICCI. 



Sezioxe II. — Oratoria. 

tur I. — Della Eloquenza In generale. 

). L'Eloquenza , dice il Foscolo , e la facoltà che dà co- 
lorito, disegno e spirilo alla poesia, all'oratoria, alla sto- 
ria (1); quindi può in generale riguardarsi siccome l'ani- 
ma della parola, onde efficacemenie in altri trasfondiamo 
tulio ciò che gagliardamente pensiamo e sentiamo entro 
di noi stessi; ed una tale efficacia è ciò che appellasi per- 
suasione , la quale vuol esser ricercala da chiunque o parli 
o scriva, sia oratore, sia storico, sia poeta, sia filosofo; 
quindi nel fallo persuasore ed eloquente suona lo 'slesso. 

(1) Ln. d' Eioq. Della morale Letteraria , lez. I. 



DI RETTORICA 167 1 

2. Il gran Tullio pose di questa, come d'ogni altra no- 
bile disciplina, per principal fondamento ia sapienza, senza 
di che non più. eloquenza ei la chiama , s\ veramente una 
vacua profusione di voci (4). Aristotele poi voleva che l'ar- 
tifìcio del dire sì deducesse a guisa di rivo, dalla morale e 
dalla civile dottrina. 11 midollo adunque della vera elo- 
quenza in generale è la solidità delle cose. 

3. Che se il sapere è la hase della eloquenza , questa 
aggiunge efficacia al sapere adornandolo, e così a vicenda 
si procacciano ambedue pieno il trionfo sull'animo umano; 
che anzi lo stesso Tullio afferma: « Sapientiam sine elo- 
« quentia parttm prodesse ; eloquentiam vero sine sapientia 
« nimium obesse plerumque , prudesse nunquam » ($). Ed 
ecco perche nei miti greci Calliope, musa dell'Eloquenza, 
vien delta regina tra le sue sorelle ; perchè fu chiamata 
voce divina la eloquenza di Piltagora ; e la lingua dì Pla- 
tone degna di Giove , volendo con tutto questo significare 
l'unione della sapienza e della splendida parola, il perchè 
non è da maravigliarsi se non dico gli oratori ei poeti, ma 
gli storici , i filosofi , ! fisici c gli stessi matematici furono elo- 
quenlissimi nella Grecia , dove da ognuno si reputava l'elo- 
quenza di tutte cose regina. Difallo Tucidide meritò per la 
robustezza del dire che le sue storie servissero d'esempio 
al gran Demostene, il quale dicesi che per ben otto volte 
le trascrivesse; Aristotele fu da Cicerone appellato fiume 
aureo ed immenso; soavissimo Ttjofraslo, Ippocrale emulo 
di Plaione ; e sappiamo che lo stesso matematico Speusippo 
teneva nella sua scuola il gruppo delle Grazie. 

4. La Eloquenza in particolare poi, delta propriamente 
Oratoria, viene da Tullio definita : e Sapientia copiose loqueiis, 
« ad motus animorum, vul<jique sensus accomodata » (3) , la 
quale uel suo magistero è, come la descrisse il Monti , l'arte 

(1) Orai, ad Dr., et de parlinone Orai. 

(8) De hveato.ne , Lib. I. Anche F. Guidoiio dice : ■ La bolla fa- 
<t velia in fé ha tanto d'utilìlade, fe colui che sa ben favellale, ha in 
" sè senno e giustizia ». Fior di Reltor. Piologo. 

(3) Do Portinone Oratoria. 



168 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

di dar persona a! pensiero e colore alla voce ; l'arte d'insi- 
gnorirsi rlel cnare e di forzare !a volnnth , arie nobilissima e 
potentissima (1). Vediamone ora la storia. 

.hit 11. — Origene c progressi dell'Oratoria. 

ì. Sebbene quel l'arringa re al popolo , che s'usa tra i go- 
verni liberi, della per questo eloquenza popolare , avesse 
già nel fóro d'Aleni» risonato, dove acquistarono grido di 
valorosi dicitori c PisisLrato , e prima di lui Solone, e poco 
appresso Temistocle, e sopra ad ognialtro si fosse per robusta 
eloquenza segnalato Pericle , dello però Olimpio , quasi al 
pari di Giove tonasse , sì che per ben quarant'anni resse ar- 
bitro i destini della sua patria ; e dopo di lui ali ri oratori 
pur fiorissero , i quali al dir di Cicerone , « granrfes erant 
« verbis , crebri ssntealiis . compressione rerum breves, et ob 
« eam ipsam causam interdum suboscuri » (De ci. orat. n. 9); 
tuttavia l'arte oratoria propriamenle detta ebbe cuna, a 
teslimonianza dello stesso Aristotele e d'altri greci scrit- 
tori , in Sicilia. Cacciati da Siracusa i tiranni, e istituitosi 
il reggimento a comune, si tennero dai capi del popolo 
pubbliche arringhe ; e Corace e Tisia, accuratamente stu- 
diando la natura del cuore umano, no trassero le princi- 
pali regole della eloquenza , e la ridussero ad arte. Disce- 
polo di quest'ultimo fu Lisia , giudicato dallo stesso Cice- 
rone oratore quasi perfetto , il quale recatosi in Atene 
destò di sè grande maraviglia per la nobiltà e grazia del 
dire, come già prima di lui eravi slato ammiralo Tìsia. 

2. In tal modo istituitasi in quesla città l'arie siracu- 
sana, vi capilo pure dalla Sicilia il celebre Gorgia Leon- 
lino, splendido ingegno, che per ismodata vaghezza di 
novità e d'artificio , alla sobria e robusta eloquenza di 
Lisia sostituì la propria , tutla lisci e smancerie reltoriche, 
ridondante d'anlilesi, d'arguzie e d'ampollosità , che, come 
dice il Foscolo, blandì i vizj e l'ignoranza de! popolo, am- 

MJ Della decessila dell' Eloquenza. Introduzione al corso di queslo 
studio. . 



DI R ETTORI C A 1(Ì9 
roaliandogli l'intelletto colla pompa delie figure, chiuden- 
dogli il cuore alla voce degli affetti e dei vero , lusingan- 
dogli i sensi coll'azione teatrale e colla pompa dc'periodi 
aculeati e sonanti (1 1. Questo luccio mie ed armonioso non- 
nulla inebbrìò. come suole avvenire , talmente gli Atenie- 
si , che tenevano per di solenne quello in cui era dato 
loro d'ascoltare il siciliano oralnrc, e la costui scuola ben 
presto fiorì ; ma fu quella dei Sofisti , genia superba quanto 
vana, che proponevasi arrogantibus sane verbis d'insegnare 
quemadmodum causa ìnferior (ila enim loquebantur) dicendo 
fieri svperior passet (2). Socrate ne ruppe il prestigio, e 
colle armi terribili della sua logica gli ammutolì e disperse. 

3. Ma la eloquenza avea ornai gettalo le sue radici , e 
parecchi non ignobili oratori già conlavansi in Atene, e 
basti per ludi Isocrate, il quale benché talora risenta dei 
difetti di Gorgia suo maestro, tuttavia Cicerone ne loda 
la soavità, e paragona la scuola isocratica al cavallo troja- 
no, feconda di oratori, come questo di guerrieri (3). Ma 
quegli per cui l'arie del dire pervenne a tal grado di eccel- 
lenza che mai la maggiore , fu il gran Demostene, disce- 
polo che fu d'Iseo, valente pur esso. Fornito di ferrea vo- 
lontà valse a correggere gli stessi difetti che nella pronun- 
zia e nella persona t.enea da natura , del resto prodiga 
seco de'inigliori suoi doni; perocché dotato di straordinario 
ingegno e d'un'anima veemente, mostrò che l'eloquenza po- 
teva sul suo labbro ciò che voleva: nè avvi elogio che superi 
quello che ne faceva il grande oratore romano, appellando- 
lo: piane quidem perfectum (4). Alla for/.a dello armi di Filip- 
po egli oppose quella della parola, e se per la prepotenza 
della fortuna non valse a salvare la liberta della Grecia , 
potò animosamente differirne l'ora fatale. Le sue Filippiche 
colle quali smascherava le astute insidie dell'ambizioso Ma- 
cedone , sono il più. sublime monumento di quella fulmi- 



ni Dell' origine e detrufllr.io tlet&i UUemlwa. 

(2: Cic. De CI. Orator. 9. 

(3) 1(1. , De Orai. Lib. II. 

(i) Id,, De CI. Orator. loc. Kit. 



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170 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

uea eloquenza che sgorga da un gran cuore infiammalo 
per santissima causa. Sdegnoso d'ogni le acciaio si slancia 
impetuoso in mezzo all'argomento , e s\ lo svolge colla 
potenza d'una logica dritta quanto stringente, che (rionfa 
dell' intelletto , e quindi coll'accorto maneggio degli anelli 
sicuramente la volontà padroneggia. Egli colla forza dell'in- 
gegno riunir seppe la maschia energia di Pericle e la ro 7 
busta brevità di Tucidide , a quanto di grande appreso 
aveva nella scuola di Platone , e a qnanlo di belìo avea 
riscontrato nell'arie d'Isocrale. Grande fu puro nelle cause 
civili, e lale soprattutto si mostrò in quolla celebralissìma 
della Corona, colla quale porse occasione ad Eschine suo 
emulo di giunger fino a noi per quella orazione onde tentò 
di coulraslare a Demostene stesso la corona civica statagli 
già dal sonalo ateniese decretata. Cosi la greca eloquenza, 
che per il gran cittadino ed oratore si allo poggiò, dopo 
di lui ammutolì , e non ne rimase che il simulacro nelle 
garrule scuole dei retori, tra'quali primeggiò Demetrio Va- 
lereo , che a testimonio di Cicerone , delectabat Athenienses 
magìs quarti inflammabat. 

ì. Quale fu Roma nella sua libertà ruvida e austera , 
(ale esser dovette la eloquenza dei succinti Cetegi e degl'in- 
tonsi Catoni. Rammorbiditasi per le grazie della Grecia do- 
ma la scabra natura dei Romani , l'arte del dire cominciò 
ad aversi in pregio , tanto che C. Gracco teneva dietro a 
sè un flaulisla per la intonazion della voce ; uè guari andò 
che i giovani vaghi dì onori, gareggiarono nello studio della 
eloquenza, siccome quella che dirittamente guidava a 'primi 
seggi della repubblica. Marc'Antonio , avo del Triumviro , e 
L. Crasso, due degl' interlocutori nel dialogo sull'Oratore, 
furono da Tullio celebrati come i più eloquenti tra i Romani ; 
e quando egli slesso montò per la prima volta sui rostri, 
tenevano gloriosamente il campo Colla ed Ortensio. Cicerone 
doveva tutti superare, nò esser dipoi superalo da alcuno. 
Del primo ei si studiò d'imitar l'eleganza, del secondo la 
elevatezza; ma l'ordine, la forza e la veemenza non potè 
apprendere che da Demostene e da sò stesso. Nobile, gran- 
de, maestoso quanto la sua Roma incede il grand'Arpinale, 



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DI HE'ITORICA 171 

e temperando insieme la copia di Platone e la soavità d'Iso- 
crate , ila alle sue orazioni un'armonia piena ed incantevole. 
Insinuatosi dolcemente negli animi , a suo talento li rapisce 
c governa , e trae giudici , popolo e senato dove e com'egli 
vuole. Qual fosse poi la concitazione dell'indignato suo 
animo in faccia alla iniquità ed alla tirannide, il dicono le 
Verrine, le Catilinarie e le fatali Filippiche. Tullio, del 
quale Quintiliano con gran senno diceva: llle se proferisse 
sciai, cui Cicero valile placebit , fu principe della eloquenza 
romana, la quale spirò con esso , e iu Roma i declamatori, 
siccome i relori in Grecia , la composero tra inutili nenie 
entro al sepolcro. 

5. Ma se col cadere della libertà politica cadeva la elo- 
quenza de'roslri, un'altra ne sorgeva piena d'i ni mortai 
giovinezza da quella libertà a cui Cristo ci ha affrancati , 
giusta l'espression dell'Apostolo { Ad Calai. , C. IV, n. 31 ). 
l.'Uomo-Dio la in sii luì va allorquando alla sua Chiesa in- 
giungeva di bandire alle genti la Buona Xovellu; perchè fu 
detta eloquenza sacra ed evangelica. Quella dei tempi apo- 
stolici è di miracol divino, e conviene venerarla silenziosi. 
Diremo di quella dei santi Padri che ne furono i veri c 
sapienli educatori. Nel secolo IV apparve tra i Greci grande 
e copiosa in S. Atanasio, limpida e maestosa in S. Basilio, 
magnifica e adorna ne'due Gregorj di Nazianzo e di Nissa ; 
e nell'età seguente si mostrò degna della sua origine in 
S. Giovanni patriarca di Costantinopoli , che per l'aurea 
copia del dire si appellò Crisostomo o Boccadoro, e perla 
elevatezza, forza e soavità può senza fallo denominarsi il 
Demostene sacro. Nel secolo III tra i Latini si sollevò a bella 
eleganza , e a succosa robustezza ne'due apologisti Minuzio 
l'elice e Tertulliano, e a splendida abbondanza in S. Ci- 
priano. Nel seguente acquistò forza c rapidità per S. Ilario, 
grazia e vivacità per S. Ambrogio, grandezza e tulliana 
vcnusià per S. Girolamo, facilità ed unzione per S. Agostino , 
e soprattutto risplendetle di magnificenza , di robustezza 
odi sostenuta armonia in S. Leone il grande, che merita- 
mente s'appella il Cicerone della Chiesa. Per la qual cosa 
il Perticar! parlando dell'eloquenza che i santi Padri inspi- 



172 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

ratisi nell'ardita e altissima elocuzione defili antichi profeti, 
adoperarono nelle omelie e nelle grandi concioni , non du- 
bita d'appellarla florida, alta e quasi direbbesi equestre (1). 
Vero è però che i tempi di gusto non castigato ne' quali 
vissero i santi Padri, lasciarono nelle costoro opere qua c 
la alcune vestigia; ma ripeterò coll'illustre Arrigoni: * Mi 
« fa mole tutto volte che sento alcuno , che per qualche 
« frase un po'lurgida in S. Cipriano, per qualche metafora 
« troppo forte di Tertulliano , per qualche antitesi un 
« po' troppo sottile di S. Agostino, e. aggiungo io, per un 
« po'di turgidezza e di ricercata armonia in S. Leone, tac- 
« eia come scorretla l'eloquenza tutta de'Padri (2) ». li qui 
dirò: voi che fate gli schifiltosi aristarchi coi sermoni dei 
santi Padri , non scorgete poi alcun neo nello orazioni dei 
classici, vostri e nostri maestri? perchè non dovrà porgli 
uni egualmente che per gli altri valere la risposta che so 
vorrete danni con Orazio : 

« Verum ubi plura nitenl in Carmine, non ego paucis 
« Offendar maculis? 

(A.P., v. 354 ). 

6. Ma la notte barbarica si stese di poi su tutta l'Euro- 
pa, e tenebre secolari ricopersero ogni scienza ed arte. 
11 nuovo giorno dopo lungo crepuscolo alfine risplendetle 
nell'aureo trecenlo, e parve che tutto risorgesse alla vita. 
Poesia, storia, eloquenza profana, per opera specialmente 
dell'Alighieri, del Petrarca, del Villani e del Boccaccio, 
ricomparvero 

o Rinnovellate di novella fronda » 

[Purg,, C. XXXIII) 

La cattedra cristiana però per venerazione verso l'antica 
lingua dei Padri, avea tradizionalmente continuato a riso- 
ti) Sugli Scrittori dal tracexlo, Llb. II. C. P. 
(2) Dtsscrlasinne j U [f a Sacra Eloquenza. 



DI HETTORICA 



nare d'un Ialino ornai rozzo e corrotto, uso sebbene un 
colai poco ringentilito pel restauralo studio declassici, pure 
non interamente dismesso cbe sul terminare del XV seco- 
lo (1). Vera cosa è però che per parlare ad italiani della sola 
sacra eloquenza italiana, il B. Fra Giordano da Rivallo 
aveva dopo il 1300 incomincialo a predicare in volgar lin- 
gua, e le sue Prediche, olire alla cara leggiadria del dei- 
lato, che al dire del Pertica ri , è gemile, polito e gagliar- 
do (2), danno chiaro argomento del nobile ingegno dell'au- 
tore, da merilar giustamente che il Segneri ne facesse, 
siceom'è fama , non lenue studio. Quale del resto in generale 
si fosse la sacra eloquenza, Dante cel dice: 

a Ora si va con molli e con iscede 
« A predicare, e pur cbe ben si rida, 
« Gonfia il cappuccio e piìi non si richiede ». 

(Pur., C. XXIX). 

iNè essa gran fallo progredì nel secolo XV, abbenchè fioris- 
sero in buon dato sacri oratori leuuti anco da'dolli per e!o- 
quenlissimi -, tuttavia - lo storico della noslra letteratura 
apertamente dice non essere le loro orazioni che aridi trat- 
tati di scolastica o di morale teologia , piene di citazioni di 
autori sacri e profani, ove vergiamo accoppiati insieme 
S. Agostino con Virgilio, e il Crisostomo con Giovenale (3); 
per il che egli n'attribuisce la fama e l'efficacia alle doli 
esteriori, e massime in alcuni al santìssimo esempio onde 
accompagnavano la Divina Parola, siccome fu di S. Bernar- 
dino da Siena, e de'suoi allievi Alberlo da Sarziano, Ro- 
berto da Lecce, Gabriello Barletta ed altri. 

7. Ed eziandio l'età seguente, in cui l'eloquenza civile si 
levò a nobile altezza mercè gli storici Panila, Machiavelli 
e Guicciardini, e gli oratori Bartolommeo Cavalcanti, il Gui- 
duccioni e iì Casa, non mollo vide avanzarsi la sacra, se 

Hi Tib*b. Star, della iHler. Hai., Lib. Ili, c. i. 
|2' ScriU. del Trerenlo, Lib. Il, c. VI. 
(3) Op. cit. Lib. HI, e. IV, n. 8. 



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174 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

vero e ciò che diceva ne il Bembo: * Che deggio andarvi a 
« fare (alle prediche), se allro non si ascolla che il Dollor 
« sellile garrire conlro il Dottore angelico, finché non viene 
« in campo Aristotele che termina la questione propo- 
li sia? » (I). E così e , quando per far vana pompa d'umano 
sapere si lascia da parie il Vangelo. Eppure di attenersi 
a questo aveane dato nell'ullimo scorcio del passalo secolo 
l'esempio U Savonarola, la cui eloquenza,, sebbene alquanto 
scompigliata e inelegante, tuttavia era naturale, vivace ed 
immaginosa, e v'era la rara arte di muover gli affetti, onde 
sembra talora non che parli, ma che tuoni, che fulmini, 
che scuota (2). Anzi nella prima meta dello stesso secolo XVI 
avealo pur dato il celebre Egidio da Viterbo , poi cardinale, 
cui il Sadoloto e io stesso Bembo appellavano chiarissimo 
lume del loro tempo; e Paolo Cortese, splendido ornamento 
di questa mia terra natale, ne lodava al sommo la soavità, 
la forza e l'eleganza del ragionare {3 ; nè altri fu in quel- 
l'eia che veramente meritasse qualche lode , quantunque 
levassero di sè grandissimo grido e il Musso e il Fiamma 
e il Panigarola. nei quali qualche traccia già si scorge di 
quel pessimo , usto che segnalò l'età seguente. 

8. E pe- io megliore passandoci di coloro che dal per- 
gamo cr'^.iano facevano indegna e ridicola mostra di strane 
ed ardi e immagini, di concelli iperbolici, di spiritose ar- 
guzie e d'altre puerilità , parleremo del P. Paolo Segncri, che 
della sacra eloquenza meritamente può dirsi illustre restau- 
ratore e principe. Questo celebre gesuita , nato in Nettuno, 
terra della Campagna di Roma, vide la mala via che da 
lunga pezza tenevasi nell'evangelizzare i popoli, e si studiò 
di ripararvi. Allo studio assiduo e profondo della Bibbia e 
de'SS. Padri volle congiungere quello non meno accurato degli 
esemplari greci e latini, e massime di Cicerone, beffandosi 
del pregiudizio già invalso con grave danno dell'apostolica 
scienza, onde tenevasi per disconvenevole a cristiano ora- 



ti) Gatti , Saggio dell' Eioq. S-jcra. 
(2) Idem, Op. cit. 

(3; Tiba». , Voi. VII, Lib. III. C. VI, N. 8. 



DI R ETTORI C A 



17:; 



tore lo studio dì scrittori gentili. Pieno il cuore e la monte 
della grandezza della religione , e delle squisitezze dell'arie 
classica, diede alla eloquenza cristiana quel nerbo, quella 
maestà , quell'unzione e quel colorito che mai , 0 solo ne' Pa- 
dri avea posseduto. Destro nello svolgere por ogni lato il 
suo tema, e nel rinlìanearlo coi più validi ed acconci argo- 
menti per espugnar l'intelletto, quanto accorto nel magi- 
stero dopiti gagliardi affolli per muovere la volontà , strin- 
ge, incalza, assale per ogni lato, finché non crede certo il 
suo Irionfo. Magnifico nello siile per nobiltà di concetti e 
splendidezza d'immagini, l'adorna d'elocuzione chiara, spon- 
lanca, naturale, e l'alleggia, come dice il Giordani, quasi 
amico schiettamente parlante a'suoi lettori; né il Perlicari 
dubitò di dire che il Segneri con facondia smisurata non 
1 raccoglie acque che piovano, ma sgorga interi fiumi da 
« una spalancata sorgente; né con piti veemenza si può 
« inondare, scuotere, aggirare, rapire ». Conlultociò ebbe 
anch'esso i suoi difetii , e non a torto si appunta di qual- 
che paralogismo, 0 non ben posata proposiziono, talora di 
non temperato zelo che lo trasporta in immagini o Talse o 
esagerate, 0 in enfasi declamatoria, e parimente di sover- 
chia copia d'erudizione (e Torse neppure avvedeasene , tanta 
ne possedeva) mista di sacro, di profano ose vuoi, anche 
di mitologico; finalmente di qualche metafora e concettiizzo 
del tempo. Ma olire che, come scriveva il Roberti a Lodo- 
vico Preli, e il Tiraboschi pure l'accenna, egli non giudicò 
conveniente una total riforma tutta in un fiato (I), chi non sa 
essere cosa impossibile respirare un'aria ammorbata, e non 
risentirne in qualche modo i malefici influssi? Ciò nono- 
slante il Segneri tiensi a ragione per maestro della sacra 
eloquenza italiana, il cui studio congiunto ai perfeziona- 
menti della scienza apostolica e dell'arte del bello, addol- 
tivi dai tempi, riuscirà, io penso, sommamente profiilevole 
alla sposizione della divina parola; perocché tengo col Per- 
licari che sia gran danno del pulpito, che del Segneri si 

M) Fon>Ar.uni , E.icmjii di bella scrivere in prosa, nelle noie. 
Tilub. Op. di. Voi. Vii, Vb. \U. S- H. 



17C DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

faccia studio così raro e leggiero; e che la religione perda 
uno de'modi più validi, onde si regnano i cuori, perdendo 
una tanta eloquenza (4). 

9. Tra i pochi che ebbero il senno e la virtù d'imitare il 
Sogneri , contro il dominante malvezzo, Tu il P. Francesco 
Maria Casini , ed ebbe lode d'egregio per robustezza , per 
nobiltà e per grazia , benché talora partii egli pure qualche 
tenue tributo al suo secolo. E mollo valse l'esempio; peroc- 
ché dipoi l'eloquenza sacra risonò su' pergami d'Italia con 
assai di forza , di dignità e d'eleganza ; c tra quelli che me- 
ritamente ebbero grido di valorosi , si distinsero il P. Giacco, 
il Tornielli', il ltossi , il Venini, il Roberti, il Canovai ed 
in ispezial modo il Cesari. Si riprende , è vero , nel Tor- 
nielli , un certo sfoggio di descrizioni , e un'armonia un 
po'lroppo ricercata , la quale pur si nota nel Rossi ; nel Ve- 
nini vorrebbesi talvolta più energia d'affetti , meno lisci e 
meno attillatura nel Roberti , più castigatezza di lingua nel 
Canovai, meno affettazione delle forme trecentistiche nel 
; Cesari; con tutlociò tulli più o meno aggiunsero novello 
decoro alla sacra eloquenza , e le loro orazioni possono riu- 
scire di non lieve utilità agli studiosi di questa santissima 
arte , avvertendo però sempre che a Di lei madre è la Bib- 
bia , e il Vaiu/el padre » { Gozzi , Serm. ). 

Art. III. - Della Oratoria in generale. 

1. L'Oratoria in generale è l'arte d'indurre in altri il 
convincimento e la persuasione, dimostrando e commoveudo 
colla potenza della parola. Il convincimento e vóllo princi- 
palmente all'intelletto, e a ciò richiedesi forza di dialetti- 
ca; la persuasione è diretta alla volontà, e questa padroneg- 
giasi colla savia trattazion degli affetti. L'ima cosa è monca 
senza dell'altra, e debbono tulle e due andar del pari 
congiunte; il perchè Cicerone diceva due essere le prin- 
cipali doti dell'oratore: una subtìliter (ììsputmuii , ad docen- 
dum; altera graviter agendì, ad animos audientium per- 
ii) FOBSAClAtll , toc. eli. 



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DI RETTORICA $77 

movendos (1). Se l'eloquenza adunque sia in una eletta copia 
di vasti e forti pensieri che , come dice il Giordani , nelle 
altrui menti si dilatino, e meltan radici e germoglino; se 
sta in -una forza di raziocinio non repugnabile, e in un 
ardore impetuoso e non resistibile d'affetti (2), solo il buon 
senso ed un cuore bene dalla nalura temprato, educatosi 
quello alle scuole de'fitosofì, questo agli esempi del bello e 
del buono, potranno formare l'eccellente oratore ; onde si 
disse che l'arie può solo far l'uomo facondo, la nalura 
coll'arte ben può farlo eloquente. 

2. E seguendo noi la dottrina degli antichi , i quali in- 
segnavano cinque essere le precipue parli dell'oratoria, 
la Invenzione, la Disposizione, la Elocuzione, la Memoria 
e l'Anione parleremo di ciascuna di quesle in altrettanti 
titoli distinti. 

Titolo ì. - Della Invenzione. 

3. È cerlamente principale ufficio dell'oratore escogitare 
tulio ciò che di vero o dì verisimile può rendere il suo di- 
scorso probabile , attingendo con ogni diligenza ed accurata 
meditazione dai filosofi e dalla natura del proprio argomento 
lo prove cui repula migliori; e questo è ciò che dicesi In- 
venzione (1). A soccorrere pertanto in questa difficil parte 
l'ingegno, i sofisti ritrovarono mollo sottilmente alcuni ar- 
tifìci oralorj che si dissero Topici o luoghi comuni; i quali 
solevano aut ex stia siimi re, aut assumi foris ; quindi dislin- 
guevansi in intrinseci ed estrinseci. I primi erano la Defini- 
zione, l'Etimologia, l'Enumerazione, il Cenere e la Specie, 
le Cause e gli Effetti, la Somiglianza e Dissomiglianza e le 
Circostanze. I secondi riducevansi da Cicerone al Testimonio 
che dividesi in divino ed umano. Il divino era pei Gentili 
ciò che formava la loro divinazione, cioè gli oracof», gu oti- 
gurj, i libri sibillini ec, per noi sono certamente le Sacre 



HI De dar. Oralor. 

(2) Leti, al Capponi , Race. cit. , p. H. 

13) Cic. , De Inoentione ; Lib. II, c. 7. 



\7& DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Scritture; l'umano sono le storie, le leggi, gli statuti, i do- 
cumenti, il giuramento, il deposto testimoniale ec. 

4. Queste norme, alle quali chi troppo strettamente si 
attenesse, ridurrebbe l'oratoria ad un freddo meccanismo, 
e la orazione ad una vuota cicalala, rinchiudendosi da sè 
slesso in un campo angustissimo, non vedo perchè non pos- 
sano all'oratore riuscire profittevoli, purché con senno e 
con destrezza adoperate, quando se ne fecero maestri quei 
sommi che furono Ansimele, Cicerone e Quintiliano. È certù 
che all'oratore fa di mestieri amplificare il suo subbietlo, 
tra per accattarsi fede, tra per commuovere gli animi (1); 
perocché ciò non conseguo, dicendo brevemente e come 
di passaggio le cose, ma diffusamente rappresentandole, 
perchè l'uditore ben le comprenda, se ne convinca e ne 
resti nel debito modo commosso. Di qui la necessiti! dell'am- 
plificazione oratoria. A questa sono di certo sussidio gli ar- 
gomenli che non di rado si attingono dai fonti reiterici; 
laonde non reputo vana cosa il parlare alquanto di questi. 

ìi. Noverasi per primo la Definizione , la quale consiste 
nello spiegare o descrivere una cosa per le sue proprietà, 
a fine di trarne argomento opportuno al nostro assunto. Ci- 
cerone definita la gloria : « illvslris ac pervagata multorum 
■i et mag-norwn vel in suos cives , vel in patriam , vel in omne 
K genus hommum fama meritorum » (Pro M. Marcello), ne 
conclude non aver Cesare peranco alla sua gloria appien 
soddisfallo , se prima non meglio provvede alta salvezza 
della repubblica. 

6. Dalla Etimologia o derivazione della parola si suol 
talvolta trarre prova di ragione ; se non che fa d'uopo in 
ciò andare molto a rilento, sia per non dar ombra di ri- 
cercatezza, sia per non cadere in fallacia; chè l'etimologia 
non è sempre di sicuro argomento. Volendosi pertanto lodare 
la gentilezza e l'onesta delle antiche corti , potrebbesi dir 
con Dante che la cortesia trae origine dalle corti, tanto 
che valse cortesìa, quanlo dire uso di corte. li parimente 
parlando della giustìzia, potrebbesi non senza fondamento 

[<) Cic. De PartiKou. Orai, C. XV. 



di rkttomca 479 
argomentile che ella sta nel diritto {jits stat) serbato saldo 
in chicchessia. 

7. Molto beila e stringente amplificazione sogliono i va- 
lenti oratori trarre dalla enumerazione dello parti le quali 
il tutto compongono. Cicerone ce ne offre un nobile esem- 
pio nell'Orazione prò lege Manilio, dove svolgendo ad una 
ad una le doti d'un ottimo comandante, quali sono scien- 
za militare, virtù, autorità c fortuna, dimostra tutte ri- 
trovarsi in Pompeo, e no conclude doversi adunque eleg- 
gere a capitano della guerra Mitridatica lo stesso Pompeo. 

8. Altro fonte d'amplificazione è il passaggio dal genere 
alla specie, ed e converso. Siccome le qualità del genere 
convengono logicamente anche alla specie, e quelle della 
specie b\V individuo , ne conseguila che la lode o il biasimo 
che si attribuisce al genere o alla specie, competesi ben 
d'ordinario alle singole cose o persone che sono in quello o 
in questa comprese. Cicerone movendo dalla specie con 
queste parole: « Sit igitur sanctum apnd vos humanissi- 
« mos homines hoc poetae nomen , quod nulla unquam 
« barbaries violavit. Saxa et soliludines voci respondeot: 
« besliae saepe immanes cantu flcctunlur alque consistimi: 
a nos instiluti rebus optimis non poetarmi] voce movea- 
« mar? », conclude a favore d'Archia doversi dal popolo 
romauo onorare in esso il poela decorandolo della cittadi- 
nanza (Orat., prò Archia). Qui però giova avvertire che 
per ismania d'amplificare, non troppo si spazii pel genere, 
quasi dimenticando la specie , con discapito di questa e con 
tedio di chi ascolla; che si usi grande accorgimento nella 
conclusione, perchè non involga fallacia , come chi lodando 
la Poesia qual nobilissima arte, pretendesse conchiuderne 
esser pur nobilissimi un Cherilo, unMevio , o qual altro di 
tal conio. 

9. Largo campo all'amplificazione porgono eziandio le 
cause e gli effetti, che molto sono nelle umane cose da con- 
siderarsi. E poiché per la si rettissima attinenza loro si può 
dall' indole degli effetti quella argomentar dello cause , e vi- 
ceversa, l'oratore ne trarrà bel costrutto di valide prove, 
«love sappia, non sofisticando, e questo e quelli con sano 



180 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

e sottile discernimento rintracciare, liceo come il Salvini 
dimostra dagli effetti l'eccellenza dell'Amicizia : « Non ci 
« ha cosa che più alletti e attragga gli umani intendimenti, 
« quanto la considerazione della natura dell'amicizia. Ella 
n fa essere la generazion nostra placida e compagnevole; 
« e non a guisa delle altre greggi, stolida e vile, ma sa- 
« via, civile ed onorata. Mille beneGcj da quella a noi ne 
a vengono, mille soddisfazioni, mille conienti ; ella è fonte 
a d'ogni nostro comodo, d'ogni nostro vanlaggio, d'ogni no- 
li stro bene; nelle prosperila ci accompagna ; nelle infelicità 
a non ci abbandona; partecipe de' nostri beni e de' nostri 
a mali, fa quegli essere maggiori e più cari, questi minori 
a e più lievi a sostenere » (Tom. 1, Diss. 20). 

10. Dalla Somigliamo e Dissomiglianza si trae parimente 
copia di gagliardi argomenti, giovando esse a porre in più 
chiara luce la conformiti) o difformità che intercede tra la 
cosa che trattasi ed altre che trascelgonsi al paragone. Ve- 
dasi quanto opportunamente Tullio sì vale della somiglianza : 
a Quis nostrum tam animo agresti ac duro fuit, ut Roscii 
« morte nuper non co m movere l ur ? qui cum esset senex 
a mortuus, tamen propter excellentem artem ac venustatem, 
« videbatur omnino mori non debuisse. Ergo ille corporis 
« motu tantum amorem sibi conciliarat a nobis omnibus: 
« nos animorum incredibiles molus, celerilatemque inge- 
« niorum negligemus? » (Orat. Pro Archia Poeta). Dalla 
dissomiglianza poi balza per la legge dei contrapposti più 
spiccala la ragione della lode o del biasimo. Appare mani- 
festo nell'esempio dello stesso Cicerone: a Nara caelerae 
a arles neque temporum sunt, neque aelalum omnium, 
<r neque locorum. Haec studia lilerarum ndolescenliam alunt, 
a seneclulem obleclant, secundas res ornanl, adversis per- 
a fugium et solalìum praebenl, delectant domi, non im- 
a pediunt foris, pernoelant nobiscum , peregrinantur , rusti- 
t cantur n (Orat. Pro Archia). E a tal classe possono pure 
riferirsi que'modi d'argomentare che diconsi a minori ad 
majiis, come: « Hajorcs nostri saepe, mercaioribus ac navt- 
a culaloribus injuriosius tractatis, bella gesserunt: vos tot 
« civium romauorum millibus uno nunlioatque uno tem- 



DI RETTO RICA 481 

« pore necatis, quo tandem animo esse debclìs ? » (Orat. 
Pro Lege Man. ). Ovvero a majori ad mimts , del quale un 
breve ma chiaro esempio ce l'offre Terenzio, ove dice: 
« Quem feret, sìparentem non fert suum? » Quindi ancora quel- 
l'altro modo che dicesi de'contrarj, che sono ciò che in pit- 
tura i chiaroscuri. Vuoisi lodar la pace 7 le si contrappongano 
gli orrori della guerra. Ci giova esaltare gli ameni ozj della 
campagna? si dipingano !e nnje e i tumulti della citta. Amasi 
di mostrare la tristizia de'tempi presenti? si tratteggino 
al vivo le severe viriti di quell'eia che si disse sobria e 
pudica. Da siffatti contrasti ridonda al discorso luce e vi- 
vezza, come apparisce nei grandi autori. Vedasi quanto 
efficacemente Tullio argomenta pei repugnanti a favor di 
Milone: « Quem igitur cum omnium gralia noluit, hunc 
« voluit cum aliquorum querela: quem jure, quem loco, 
n quem tempore, quem impune non estausus, hunc inju- 
« ria, iniquo loco, alieno tempore, periculo capitis non 
■< dubitavit occidere? s. 

H. Finalmente l'oratore suole magnificare a gran prò 
della sua causa ciò che no forma il subbietto, schierandone 
in istretlo ordine dinanzi agli uditori gli aggiunti e le cir- 
costanze, affinchè da ciò che precedette, accompagnò e seguì 
il fatto, si chiariscano sulla natura del fatto medesimo. La 
Miloniana n'è un esempio quasi continuo. Allorché l'oratore 
vuol persuadere a'giudici essere slato Clodio l'insidiatore,'; 
incomincia dall'esporre gli antecedenti, dicendo: « llle erat, 
« ut odissel primum defensorem salutis meae, deinde 
« vexatorem furoris , domitorem armorum suorum. . . Palam 
e agere coepit, et aperte dicere, occidendum Milonem ». 
Quindi novera ad una ad una le circostanze di tempo , di 
luogo, di persona, di mezzi ec: e finalmente moslra i 
conseguenti, dipingendo a vivi colori il ritorno di Milone 
a Roma con ne! volto la sicurezza dell'animo, a testimo- 
nio di sua innocenza, concludendo: « Magna vis est con- 
fi scientiae, judices, et magna in ulramque parlem, ut 
« neque timeant , qui nihil commiserint, et poenam sem- 
« per ante oculos versari pulent, qui peccarint ». Le cir- 
costanze poi le quali sogliono essere relative o all'agen- 



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482 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

te, o al luogo dell'azione, o ai cooperatori, o al numero 
delle volle, o al fine, o al modo, o al tempo in cui venne 
l'azione compiuta, si leggono comprese nel seguente esa- 
metro: 

« Quia, quid, ubi, per quos, quoties,cur, quomodo, quando ». 

12. I luoghi topici altresì, che si dissero estrinseci, for- 
niscono, a chi sa ben usarli , larga sorgente di -prove, e tanto 
più valide, quanto maggiore è l'autorità donde si traggono. 
Irrepugnabili pertauto sono gli argomenti di testimonio di- 
vino attinti dai libri rivelati; poderosi quelli di testimonio 
umano o desunti dalle scritture di coloro che sono univer- 
salmente tenuti per sommi in divinità e in filosofia, o tratti 
da carie d'indubitata autenticità; autorevoli quelli che ne 
somministrano le leggi, gli slatini e le storie, che lengonsi 
ornai per fededegne; gravi sarebbero eziandio le prove de' de- 
posti giurali, se l'umana malizia non osasse talora per la 
esecranda sete dell'oro, o per abominevole empietà profanare 
la sanlilà del giuramento per gli stessi Gentili inviolabile; 
onde- il Tragico nostro non senza ragione esclamava: 

o A giurar prcsli i menlilor son sempre ». 

Da tutto ciò pertanto si fa manifesto, come maneggiando 
sagacemente i fonti intrinseci ed estrinseci degli argomenti, 
può l'oratore valersene siccome d'armi di offesa e di difesa; 
ma guardisi dai crearsi delle regole dell'arte altrettante 
pastoje, tra le quali resii compressa la molla eccitatrice della 
vera e grande eloquenza. Non dimentichi che questi luoghi 
suggeriti da'retori, appunto perchè comuni, possono com- 
parir troppo logori, se l'arte non ben lì nasconde, o non 
dà loro una cerl'aria di novità. Lo che gli verrà falto, se 
saprà valersene come di guida nello studio del suo argo- 
mento, tanto che ne senta ripiena la mente ed infiammato 
il cuore, essendo vero l'antico assioma che dice: Pechts est 
quod disertos (aeil et vis mentis ». 



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DI RETTOMCA 



183 



Titolo II. - Della Dispothimie. 

13. Siccome la forza d'un esercito in battaglia non sta 
nel solo numero de'soldali, ma nel sagace ordinamento delle 
schiere; nè il bello archi tettonico d'un edificio consiste giìi 
nell'ornatezza delle parti, ma sì nella loro simmetrìa; così la 
potenza d'un discorso oratorio non è riposta soltanto nella 
sodezza de'rilrovali argomenti, nella verità delle immagini 
e nella energìa del sentimento, ma sibbcne nella ordinata 
distribuzione delle parti, donde nasce appunto la chiarez- 
za, il vigore, la durevole ed efficace persuasione. Per la 
qual cosa ritrovalo che avrà l'oratore ciò che gli gioverà 
dire intorno al suo tema , gli è d'uopo dare convenevole or- 
dine alle parli che formar debbono il suo discorso; lo che 
chiamasi Disposizione. 

44. E poiché la nalurà c'insegna , e l'arte ne ha perciò 
fatto precetto , che chiunque vuole persuadere altri di una 
cosa , incomincia dal cattivarsene comecchessia l'animo ; 
quindi espone l'obbietto suo, lo svolge nelle sue circostanze , 
lo conforta con ragioni , all'uopo ne rimuove le opposizioni, 
finalmente conchiude o pregando, o promettendo, o esor- 
tando, o minacciando, secondo che giudica piti opportuno; 
così le parti del discorso oratorio sono: 1.' Esordio; ì.' Pro- 
posizione; 3.' Narrazione; 4.' Dimostrazione; Perorazione; 
le quali tutte gli antichi comprendevano, a fine di giovarne 
la memoria , nel seguente esametro : 

« Exorsus , seco , narro , firmo , refello , peroro »'. ■ 

15. Nella stessa guisa cho di tulle le ritrovate cose deb- 
bonsi le piti convenevoli al nostro assunto Irascegliere , ri- 
gettando le meno salde , le meno proprie , le meno oppor- 
tune; così non sempre fa di mestieri ordire l'orazione nè 
con tutte quelle parti, nè precisamente con quell'ordine 
che sopra indicammo. Sta al savio oratore il discernere 
quando e dove richiedasi la narrazione, quando la confuta- 
zione, quando lo stesso esordio , e via discorrendo. Nel com- 



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4 84 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

porre il suo discorso abbia sempre volta la mente agli udi- 
tori , e se vuol questi a sè benevoli , sia ei primo di sè stesso 
rigido censore , correggendo o repudiando tutto che spiace- 
rebbegli in altri. Sludii soprattutto la opportunità delle cose 
da dirsi , acciocché, secondo il precetto oraziano, esponga 
quelle che deve , a proposito , altre ad altro tempo differi- 
sca, altre tralasci [A.P., v. 42), essendoché derivi prin- 
cipalmente dall'ordine l'efficacia e la venusta d'ogni com- 
ponimento. Premesse queste brevi avvertenze in generale, 
tratteremo ad una ad una delle varie parli dell'Orazione. 

Dell'Esordio ti della Proposizione. 

\ 6. L' Esordio, detto dai Greci Proemio, è la introduzione 
del discorso, o come lo definiva Tullio: Aditus ad causata. 
- Siccome buon citarista suole con grato preludio apparec- 
chiare favorevolmente gli animi alle sue melodie (1); così 
prestante oratore esordisce con accomodale parole la sua 
orazione , a fine di procacciare alla sua causa uditori do- 
cili , benevoli ed aiterai. 

17. Gli antichi chiamarono principium quell'esordio , nel 
quale l'oratore per via breve e spedila entra nel suo subbiel- 
to, come d'ordinario usava Demostene; esempio imitabile da 
chi a ragione si affida nella giustizia della propria causa. Di- 
cevasi poi insinuatio quell'esordio, col quale l'oratore studia- 
vasi con bello e dignitoso artificio volgere gli animi a favore di 
sè e della sua causa; e questo principalmente giova, quando 
si tema negli uditori una qualche sinistra preoccupazione. 
Egregio maestro n'ò Tullio , come si vede Ira gli altri nel- 
l'esordio- dell'orazione per la Legge Agraria contro di Rullo. 
Egli console popolare doveva contro il tribuno del popolo 
oppugnar quella legge che il popolo lusingava. Il punto era 
assai scabroso per l'oratore. Innanzi tratto adunque protesta 
sè esser di lutto debitore al popolo ; non mirare che al mag- 
gior bene di esso ; non avversare egli tal legge, anzi lodarne 
i Gracchi ; averla sul primo vagheggiata ei pure, ma esa- 
li) Qointil. , inU,, L. IV, c 4. 



DI RETTORICA 185 
minatala piii a fondo averla riscontrala non veramente al 
popolo vanlaggiosa ; che ne odano pertanto le ragioni : se 
giuste , rigettino la legge; se no , ei primo stara col popolo 
per quella. - L'oratore parlò , e la legge fu a pieni voli ri- 
gettata dal popolo ! Questi esordj , che diconsi ancora tem- 
perati , sono altresì i piii comuni. 

18. Talvolta avviene che l'oratore concitato da qualche 
rilevante e straordinaria cagione , incomincia improvviso 
con viva ed infiammata enfasi, sia per atterrire, sia per 
incoraggiare , sia per trasfondere in altri la gioja ond'è ri- 
colmo egli stesso. Siffalli esordj chiamansi veementi ed ex 
abrupto , i quali però vogliono essere brevi e adoperali solo 
da chi sentesi sicuro di sè , e quando la gravità della ma- 
teria o delle circostanze veramente lo esiga ; chè sarebbe 
fuor di proposilo per cosa di picciol momento levarsi a dire 
si allo. Cosi adoperò Cicerone, quando ei console mentre 
slava consultando il senato intorno alla minacciata repub- 
blica, vide entrar nella curia Io stesso Gaiilina. A tanta 
audacia e i padri e lo stesso console allibivano ; ma succe- 
duta in questo allo sgomento rapida una vampa di nobile 
indignazione , avventandosi colla veemenza del fulmine sul 
comune nemico , proruppe in quel notissimo; Quousque tan- 
dem abutere, Caldina, palientia nostra eie. Esempj di esordj 
di tal maniera ci lasciò anche il Segneri nelle Prediche del 
Giudizio, della Passione e del Paradiso. 

19. Tullio insegna dovere l'esordio essere all'orazione 
talmente congiunto , che paja membro attaccato a tutto il 
corpo (1), e come dice altrove: Penitus ex ea causa, quae 
tum agatur, ejfloruisse.. - Potrà pertanto ricavarsi dalle 
circostanze o del subbielto, o della persona, o del luogo, 
o del tempo, o anche dello stesso oratore; ovvero da qual- 
che fatto o dello storico , come non di rado usa il Segneri. 
Ma, come nota il Corticclli , « il più artificioso si è quello prò- 
« posto da Ermogcne ( PelClnvens. , L. I, c. 1 ) che lo chia- 
« ma proemio dell'opinione. Consiste in questo , che l'oratore 
« conosca la disposizione degli uditori per rispetto alla ma- 
li) De Orai., L, 11, C. 80. 



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486 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

u teria , della quale si traila , e secondo quella (!* s'insinui a 
a parlare o lietamente, o mestamente, o cen altro movi- 
ti mento di passione, conforme alla presente contingenza » (1). 
In somma ciò che veramente rileva si è che l'esordio abbia 
stretta attinenza col subbietlo ; il perchè fa d'uopo diligen- 
temente pensar' prima a ciò che è da dirsi , per quindi 
trarre argomento d'esordio ; e benché Cicerone avesse già 
avuto in costume di tenerne apparecchiati alcuni per ogni 
caso, riconosciutone per le avvertenze di Attico l'errore, 
stette dipoi col fatto saldo al precetto di far che l'esordio 
sbocci veramente dall'argomento. Difalti non avvi soggetto 
che, rigorosamente parlando , non abbia un colore lutto suo 
proprio; queslo deve naturalmente riverberare nell'esordio: 
dunque l'appiccare alla meglio un proemio comune a qual- 
sivoglia discorso è contro ogni regola di ragione. Anche l'ar- 
chitetto che sa bene dell'arte sua , fa che la facciala indi- 
chi a prima giunta la natura dell'edilìzio (2). 

20. E continuando nel paragone dirò che siccome dalla 
facciala sogliono d'ordinario i risgtiardanli giudicare del- 
l'edilìzio , cosi spesse volte avviene dell'orazione, e perchè 
l'uditore è naturalmente più attento , e perchè formasi più 
favorevole concetto dell'oratore che fino dalle mosse appaga 
il cuore e la mente. Devesi adunque nell'esordio usaro no- 
biltà e limpidezza di siile, leggiadria d'immagini e aggiu- 
statezza di concetti; bella, elegante e fiorita la elocuzione; 
sostenuta con grazia e con soavità l'armonia; e ciò che prin- 
cipalmente rileva, lutto sia conveniente alle circostanze ed 
alla natura dell'argomento. Agli esordj di ragion tempera- 
ta, i quali secondo Cicerone vogliono essere verecunda, non 
elatis incensa verbìs, sed acuta sententiis , ben si adattano le 
figure splendide e vivaci; le ardenti e gagliarde a quelli 
veementi , abbenchò qui pure non siavi miglior maestro 

Mi DtlVEloq. Tose, Giov. Viti, DIs. ì. 

(2) ■ ...Il dicitore faccia il sua proemio bene e breve e di poche 
■ parole ; e che il faccia ch'aro e aperto, ... e che il faccia Dio , che 
« si accordi col fatto che vuole dire. » F. fìuidotlo. Fior di Rettor. 
Tr. 1 , g. 13. 



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di retorica <87 
del cuore. Finalmente conchiuderò con Cicerone: « Oportet 
« ut aedìbus ac templis vestitala et aditus , sic causò prin- 
cipia proportione rerum praeponere [De Orat., Lib. II, §. 79). 
Cosi l'esordio congiungendo dignità, verecondia, convenien- 
za, proporzione ad un non so che dì nuovo e di elegante, 
senza che l'arte per grande che siavi , null'affatto apparisca, 
renderà gli uditori docili e benevoli; ne richiamerà poi in- 
tera l'attenzione la proposta del tema , colla quale d'ordi- 
nario chiudesi l'esordio. 

21. La Proposizione pertanto è la sposizione dell'assunto. 
Questa sia breve , chiara e distinta. Oltre a ciò comparisca 
naturale alla mente dell'uditore; perocché se sa d'artifizio, 
ei tosto teme di sorpresa, ponesi in guardia, e cosi addi- 
viene più restìo alla persuasione. Ecciterà più viva l'atten- 
zione, ov'abbia eziandio bell'apparenza di novità , guardan- 
dosi però di non cadere, per amore di questa, nello strano 
e nel paradossaslico; difetto secentistico, cui lo slesso Se- 
gneri non tulle le volte seppe schivare. La proposizione, il 
cut oggetto è di fissare il punto della questione, o è d'un 
solo membro, o di due, o di tre, i quali si chiamano i punti 
dell'orazione. Ove la materia da trattarsi possa bene in un 
solo punto comprendersi, gioverà attenersi, secondo Cicero- 
ne (1), alla proposizione semplice, siccome quella che celando 
i punti degli argomenti, meno ancora ne discuopre l'artifi- 
cio. Quando poi l'argomento lo consenta, siccome una sa- 
via divisione assai approda e a chi parla e a chi ascolta, 
potrà bene adoperarsi sull'esempio degli antichi e de'mo- 
derni. Al contrario perchè riuscirebbe di confusione un 
numero maggiore di punti , savio è il precello di chi a 
soli tre li ristringe. Sia la proposizione semplice, duplice o 
triplice, deve sempre comprendere intera la questione; i 
punti debbono essere l'uno dall'altro dislinfi ; progressivi 
tra loro; espressi in proprie e semplici parole. Eccone al- 
cuni esempj a conferma de'precetti. 

(0 De Orat., Lib. Il , e. 4t. 



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188 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



Proposizione Semplice. 

« Non è mai utile quello che non è onesto » (1). 

Proposaime Duplice. 

o Nelle occasioni prossime di peccare enlriamo soli, ed 
entriamo già vinti o (2). 

Proposizione Triplice. 

« Primum mibi videtur de genere belli; deinde de ma- 
il gniludine ; tum de imperatore deligendo esse dicen- 
<r dum d (3). 

g. 2. Della Narrazioni*. 

22. Poiché il savio e prestante oratore ha saputo con- 
ciliarsi l'altrui benevolenza ed attenzione con accomodato 
esordio e coll'opportuna proposta del suo tema, scende nel 
campo delle prove, mercè delle quali si studia d'insinuar 
negli animi il convincimento che gli deve agevolar la via 
alla persuasione (ine precipuo ed unico della eloquenza ora- 
toria. Non di rado avviene, e massime nelle orazioni giu- 
diziali, che l'oratore trattar deve per prima arme di prova 
la narrativa de' fa Iti , donde l'esito finale della sua causa 
in grandissima parte dipende. Per questo i maestri asse- 
gnarono alla narrazione il primo luogo nella parie dimo- 
strativa. 

23. La narrazione è la storia dei fatti relativi all'argo- 
mento, quali veramente, o verisi mi I mente avvennero. Essa, 
secondo Tullio, vuol essere breve, chiara, probabile (*). 

M) Segnem, Predico sulla falsa politica. 
(2; Sacro Oratore cilato dal Corticelli. 
13} Oc, Pro Lege Manilio. 
De Inventine, Lib. I. 



DI HETTORICA 189 

Sarà breve, se s'incomincia, non a gemino ovo, come 
scherzevolmente dice Orazio (1), ma donde veramente si 
dee; se si conta ciò cbe è necessario a sapersi, e si tra- 
lascia ciò ohe, se non nuoce, neppur giova; e se pari- 
niente si resta, quando si deve; ove si descrivano i fatti 
secondo l'ordine dei tempi e dei luoghi , ove sì lumeggino 
con tutte quelle circostanze atte a sparger luce sovr'essi , 
e non s'ingombrino d' inutili frasche e d'intralciato digres- 
sioni; probabile, quando la spedizione delie cose sia con- 
forme al vero , tanto che se in quel modo non avvennero 
realmente , tuttavia potevano o dovevano essere cosi av- 
venute; quando si ponga ben mente a serbare la dignità 
e il carattere delle persone, e la natura delle cose, e si 
cerchi di seguir più dappresso che si può, la fama e l'opi- 
nion dei savj. 

24. E poiché siamo sulla narrazione, piacerai d'avver- 
tire qui col Fornaciari (2) coso opportunissinia ai discenti. 
Narra lo storico, narra l'oratore; ma v'fe divario tra loro. 
11 cronista , come pur vedemmo a suo luogo, riferisce sec- 
camente i fatti; l'autore di commentar] largheggia di più, 
nè è schivo di fiori; lo storico propriamente detto ama 
piti o meno di grandeggiare ia dipinture, in descrizio- 
ni, in arringhe, in filosofiche digressioni; ciascun altro 
narra secondo che vuole istruire o dilettare ; lutti poi se- 
condo la nota legge del decoro. E l'oratore altresì ha nella 
narrazione un'arte tutta sua propria ; imperocché presenta 
il fatto nell'aspetto che giova al suo fine; trasceglie e ri- 
leva quelle circostanze che meglio gli approdano; anche 
in narrando volge talvolta la parola direttamente agli udi- 
tori ed a'giudici; desta la maraviglia e la curiosità, e poi 
a non pensato fine riesce ; ora colloqui di persone intro- 
duce, e muove doglianze, sdegni, letizie, cupidità, e insi- 
nua frattanto la persuasione , gettando i semi di quegli 
affetti che intende di eccitarvi a suo tempo ; nè raro è 
che chiuda con apostrofi, o con epifonemi la narrazione. 

(1) Art. Poe*, v. 147. 

(S] Es. di bel. str. inprota. - Narrazioni, noia (. 



190 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

2!i. Inoltro la brevità che richiedesi nella narrazione 
oratoria non consiste nelle poche parole, ma nel giudizio- 
samente schivare la superfluità delle cose. Ciò chiaro appa- 
risce dall'esempio che in prova n'adduce Bartolommeo Ca- 
valcanti nella sua Retlorica. « Io andni a cercarlo in corte; 
« domandai di lui; risposemi un servitore ch'egli era altro- 
o ve ; parliimi di quivi e tornai in piazza n. La narrazione 
è breve nella forma, lunga nella sostanza. Certi particolari, 
certe digressioncelle, certe circostanze o artificiosamente ve- 
late, o pcnnellcggiate con vivezza di colori, danno alla nar- 
razione verità, forza ed evidenza : tutto sta nella scelta , 
per la quale richiedesi gusto e discernimento, e questo e 
quello s'invigoriscono e si perfezionano collo studio dei 
sommi esemplari. Leggete Tacito, Livio, e principalmente 
Cicerone fra i Latini , fra i nostri in sfrigolar modo il Boc- 
caccio e il Segneri; congiungete alla lettura lungo e fre- 
quente esercizio, e riuscirete assai felicemente nelle vostre 
narrazioni. 

26. Ove la natura dell'argomento non richieda la nar- 
razione per prova principale, spesso avviene che l'oratore 
debba or qua or la nel corso della sua orazione qualche 
fatto narrare sia per prova secondaria, sia per istruzione, 
sia per vie meglio eccitare gli affetti a cui mira, sia final- 
mente per solo diletto. Una tal narrazione , fatta non troppo 
di sovente, ma sibbene con opportunità, e giusta le regole 
superiormente assegnate, riesce di grande e bell'ornamento, 
al quale un altro pur se n'aggiunge, ed è la descrizione o 
ipotiposi di persona, di cosa, di tempo o di luogo. Questa 
sorta d'amplificazione assai giova, perchè ponendo quasi 
sot t'occhio le cose, e molto valevole a vivamente commuo- 
vere ; se non che vuoisi ancora in questo grandissima so- 
brietà, adoperando l'ingegno descrittivo solo quando il 
richieda l' importanza della cosa, e l'effetto finale dell'ora- 
zione, disconvenendo alla dignità oratoria ì'inlertenersi ad 
ogni piè sospinto a dipinger minutamente turbini, rovine, 
pestilenze, battaglie e che so io; imperocché descrivere 
non è persuadere, e il giudizio della causa, dirò con Dio- 
nigi d'Alìcarnasso, non pende dal ben descrivere una lem- 



pesta ; onde queste non sono talvolta clic vane pompe e 
prodigalità dell' ingegno (fieffor., p. 452, ed. cit.). 

27. Ben d'ordinario alla narrazione viene soslituiia la 
spiegazione o definizione oratoria del soggetto, o una ben 
distinta sposizione dello stato della controversia. Molto rileva 
al successo della causa il por bene fino' dalle mosse la 
questione; [>er la qual cosa fa d'uopo studiarla a fondo ed 
in ciascuna sua parte, e premerne, come suol dirsi, il succo 
a fine di giitar salde le fondamenta. Questa importantis- 
sima parte dev'esser del pari breve, chiara , spiccata ed 
espressa in parole semplici e proprie per cessare ogni falsa 
intelligenza ed anfibologia. 

$. 3 Dulia Dhuosl t'aziono. 

28. Esposto che ha l'oratore per via di narrazione o di 
spiegazione quanto repula opportuno al proprio assunto, gli 
corre strettissimo obbligo a ben convincerne gli uditori, di 
provare la verità di quanto afferma o nega, con argomenti 
sodi, probabili e concludenti , nel che consiste appunto ciò 
che chiamasi Dimostrazione. A tal uopo adunque richiedesi 
principalmente ampia suppellettile di non comune dottrina, 
lucid'ordine d'idee, giudizio logico, grande sagacità e sot- 
tile accorgimento. E poiché l'oratore devo provare ora la 
verità e giustizia del proprio asserto , ora la falsila ed in- 
giustizia dell'altrui, la dimostrazione dislinguesi in Confer- 
mazione ed in Confutazione. 

29. La confermazione , secondo Tullio, e quella che dà 
all'orazìon nostra fede, autorità e fermezza (1). Essa è tutta 
quanta riposta nell'ordine e validità delle prove , le quali 
tanto più avranno efficacia di convincere, quanto più ap- 
pariranno onesLe, vere, legillime, spontanee, tratte dalle 
stesse viscere dell'argomento e dai fonti d'una sana filo- 
sofia, oltre a quelle opportunamente desunte dai luoghi 
reltorici superiormente notati. L'ordine in cui vogliono gli 
argomenti esser disposti, non può ricevere regola certa, se 



(1) De Invsn. L, k I. 



192 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

non dalla prudenza dell'oratore; imperocché ora gioverà se- 
guire il precetto di Tullio , che stima doversi collocare i più. 
poderosi nel princìpio e nel fine, i men forti nel mezzo , 
essendoché le impressioni prime e le ultime scolpendosi più 
addentro negli animi, meglio ne accertano la vittoria; ora 
converrà attenersi all'avviso di coloro che reputano mi- 
glior disposizione essere quella, ove le prove vanno fino 
alla fine crescendo di forza e di valore , perocché anelan- 
do , direbbe il Pari ni , con colpi ognor più gagliardi l'altrui 
volontà, questa alfine cede alla forza irresistibile d'un'elo- 
quenza die più e più da ogni parie stringe ed incalza. 
Ed in questo, ben nota il Corlicelli, « è mirabile il P. Se- 
a gneri , il quale distribuisce si acconciamente le sue 
« prove, che non solamente cresce l'orazione, ma acquista 
a sempre forza maggiore , » come il torcolo che quanto 
più cammina, più strigne. per valermi delle espressioni 
dello stesso grand'oratore. Oltre a ciò talvolta gioverà inco- 
minciare da generali proposizioni , per indi destramente di- 
scendere ai particolari; tal'altra varrà meglio il contrario. 
In somma la natura dell'argomento, la qualità e le dispo- 
sizioni degli uditori, la condizione dei tempi, dei luoghi e 
dell'oratore medesimo, pUranno meglio d'ogni precetto ad- 
ditare la via più sicura nella disposizione degli argomenti^ 
30. La confutazione, che in sostanza altro non è come 
nota Cicerone, che un vie meglio confermare la nostra sen- 
tenza , oppugnando l'altrui, consiste appunto nel chiarire 
con dimostrazioni dialettiche la falsità degli altrui argo- 
menti o nel disvelare il sofisma 'delle addotte obiezioni ; e 
se tanto non si può, nell' indebolirne almeno le prove, mo- 
strandole nè salde, uè legittime abbastanza , e meno delle 
nostre probabili ; indirettamente poi, dissimulandole col si- 
lenzio, quasi le ragioni dell'avversario poco o nulla meri- 
tino di risposta. Per questa confutazione indiretta però, fa 
di mestieri che l'oratore sia ben sicuro delle proprie ragio- 
ni , e apparisca patente la debolezza delle altrui. Gagliarda 
sopra tutto è la ritorsione, onde si rivolgono contro l'av- 
versario i suoi stessi argomenti , quasi strappandogli di 
mano le armi per ritorcergliele contro. Fa bel giuoco altresì 



DI nr.TTOiiiCA ^93 
nella confutazione una spiritosa inattesa domanda, un molto 
arguto, con bel garbo lanciato in mezzo alla (juestione, es- 
sendo pur vero che 

o Ridiculum acri 

u Fortius et melius magnas plerumque secai res » [1 ) ; 

se non che devesi ciò usare dove convenga, a proposilo 
e assai raramente. 

31. La confutazione dalla quale, com'è manifesto, dipen- 
de il più delle volte il trionfo (iella causa , e di grandissimo 
momento, e forse è la parte più scabrosa dell'orazione. Vi 
si richiede pertanto somma acutezza di giudizio, non ordi- 
naria destrezza , piena cognizione della causa, e diritto ar- 
gomentare, per assalir con vantaggio, prevedere a tempo 
i colpi dell'avversario, stringerlo sì, che più schermo non 
abbia, oltre a non porgere mai scoperto alle offese il fianco. 
Al discernimento poi dell'oratore sia la scelta del luogo, dirò 
cosi, del combattimento-, perocché ora gioverà ribattere sul 
bel principio le opposizioni , come fa Cicerone nella Milo- 
niana ; ora provar prima la nostra proposizione, per ribat- 
ter l'altrui, come lo slesso Tullio fa nell'orazione per la 
legge Manilia ; finalmente, ove cada in acconcio, eziandio 
qua e là per l'orazione medesima. Più dei precetti qui 
pure varranno gli esempi che no diedero nelle loro orazioni 
l'Oratore romano c il P. Segueri. 

32. Resta a dire della espressione degli argomenti dello 
due parti della Dimostrazione. I retori tolsero dai dia- 
lettici le forme □ maniere di argomentare, le quali si di- 
cono: Sillogismo, Entimema, Dilemma, Sort'te, Induzione ed 
Esempio. 

Il Sillogismo si compone di Ire proposizioni , la prima 
generale, la seconda particolare, la terza illativa. Esempio 
di sillogismo logico : 

1." Nihil est quod ralione et numero moveri possil sine 
Consilio ; 

ID Or**., Sai. X, L. I. 



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1 94 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

2. " Constans ordo siderum neque naturate, neque for- 

lunam significai ; 

3. " Ergo dividiate moventur. 

L'oratore ben di rado si vale di questa maniera secca e 
recisa; ma la dilata, la spiega e la illustra con addurre le 
prove delle sue premesse; laonde cambia il sillogismo in 
Epickerema. Tale sarebbe il testé addotto esempio, espresso 
come loggesi in Cicerone: 

« 1. Piihil est quod ratione et numero moveri possit sine 
« Consilio, in quo nibil est temerarium, nihil vanum , ni- 
« liil forluilum ». 

a II. Orilo aulem siderum, et omni aeternitale conslanti3, 
« ncque naturam significai ; est enim piena rationis : neque 
« forlunam, quae amica varietati constantiam respuit e : 

« III. Sequitur ergo, ut ipsa sua sponle, suo sensu, ac 
« diviuilale moveaniur ». {De Nat. Deorum, Lib. II). 

V Entimema è lo stesso sillogismo con di meno la propo- 
sizione generale che si tace, perchè facile a sottintendersi, 
come : 

a 1. Animi atque ingenii celeres quidam motus, qui el 
« ad exeogitandum acuii, et ad explicandum ornandum- 
« que sint uberes, sunt naturae dona»; 

« 2. Ergo inseri quidem et donari ab arie non pos- 
« sunt » [Oc. de Orat. I, I). 

Il Dilemma consta di due proposizioni opposte, ciascuna 
delle quali è sempre al nostro assunto favorevole. Tal è il 
seguente di Cicerone : i Confìteor eos (gli uccisori di Cesa- 
li re), nisi libcralores populi romani, conservaloresque rei- 
« publicae sint, plus quam sicarios , plus quam homicidas, 
« plus etiam quam parricidas esse: siquidem est alrocius 
« palriae parentem , quam suum occidere. Tu homo sa- 
« piens , et considerale, quid dicis? Si parricidae , cur 
fi honoris causa a te sunt, et in hoc ordine, et apud po- 
«■ pulutn romanum, semper appellali ? cur M. Brutus, le 
« referente legibus est solutus ?.... cur provinciae Cassio et 

« Bruto dalae? cur quaestorcs additi ?..... atque haec 

a acla per te; non igitur homicidae; sequilur ul liberato- 
li res tuo judicio sint [Phii. II). 



DI RETTO RICA 195 

Il Sartie è una catena di più proposizioni tra loro con- 
nesse in guisa che l'ima dall'altra dipende; a questo può 
in cotal modo rassomigliarsi la progressione oratoria, qoal'è 
a rao' d'esempio la seguente :« Neque vero se populo solum, 
« sed etiam senatui Iradidit; neque senatui modo, sed etiam 
a publicis praesidiis et armis; neque his tantum, veruni 
o etiam ejus potestali, cui senalus tolam rempuhlicam . 
a omnem Italiae pubem, cuncla populi romani arma com- 
a miserai « (1). 

L' Induzione b l'enumerazione di più cose certe e indu- 
bitate , per quindi inferire dalla certezza di ciascheduna 
una massima certa del pari e indubitata. Ne tolgo da Ci- 
cerone l'esempio : « Domus ea quae ratione regitur, omni- 
o bus instruclior est rebus et apparaiior, quam ea quae 
« temere et nullo Consilio adminisiratur; exercitus is, cui 
« praeposilus est sapiens et callidus imperalor , omnibus 
« partibus commodius regitur, quam is, qui slultitia et te- 
« meritate alicujus administralur. Eadem navigii ratio est, 
« nam navis optime cursum conficil ea, quae smentissimo 
« gubernatore utilur. Ergomelius accuranlur, quae Consilio 
« geruntur , quam quae sine Consilio administrantur » [2). 

L'Esempio argomenta da un particolare ad altro pari- 
mente particolare , come : a Ilomerum Colophonii civem esse 
a dicunt suum, Chii suum vindicant, Salamini] repelunt, 
a Smyrnaei vero suum esse confimi ant.... Ergo illi alienunij 
a quia poeta fuit , post mortem etiam expetunt: nos hunc 
o vivum, qui et volunlale et legibus noster est, repudia- 
ci bimus ? a (3}. 

33. Ogni argomentazione oratoria può per via d'analisi 
ridursi sempre ad alcune forme, dialettiche, le quali sono 
al discorso ciò che al corpo umano i nervi e le ossa, d'onde 
all' uno e all'altro la saldezza e la forza. Ma poiché la bel- 
lezza al corpo deriva dalla polpa e da! sangue che per le 
vene scorrendo traspare nel vivo incarnalo , cosi all'ora- 
zione viene mirabil leggiadria dalla copia e dalla freschezza 

(1) Oh*t , Pio MiIbtw. 
<2j De Invcnt., Lib. I. 
(3] Orat., prò Architi, 



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196 DELLE ISTITUZIONI El.lv 11 ESTÀ Iti 

delle tinte che a larga mano l'eloquenza vi spande, mercè 
di quell'artificio che noi chiamiamo Esumazione. E qui ba- 
sti delle forme dialettiche, di cui non abbiamo dato che 
cenni, essendo ufficio delle logiche discipline guidare l'in- 
telletto per tutte le vie del diritto ragionare, e a queste noi 
rimandiamo gli studiosi che alla nobiltà del dire amano, 
come debbono, di congiungere la giustezza dell'argomenta- 
re , risi Tinnendomi ad avvenirli con Tullio che: line re 
nulla vis verbi est (1). Riprendiamo adunque il filo dei pre- 
celti che all'arte nostra convengono, e trattiamo alquanto 
della Esornazione. 

34. Al filosofo basta di convincere; non così all'oratore: 
quindi l'argomentazione filosofica è d'ordinario nuda e con- 
cisa ; adorna e distesa e per lo più l'oratoria, per il che 
dal preco Zenone venne quella paragonata alla mano chiusa, 
questa all'aperta. L'esornazione , che dai Latini dicevasi an- 
che Fxpositio, consiste pertanto nell'esleiidere ed amplifi- 
care ciascuna proposizione del nostro argomento con tutte 
quelle prove e aggiunti che meglio valgono a dar loro ri- 
lievo , forza ed efficacia. Siccome il pittore traccia le linee 
del quadro, e poi sotto l' impasto dei colori all'occhio altrui 
le nasconde, così l'oratore forma nella sua mente il sillo- 
gismo, e quindi lo distende, lo colora, lo abbella si che la 
struttura dialettica di quello quasi sparisce. Difalto le tre 
parti del sillogismo si racchiudono più o meno distesamente 
e ordinalamenle nelle precipue parli della esornazione, le 
quali dai retori vengono denominate Proposizione, Confer- 
mazione, Complessione. Colla prima, che rappresenta la pre- 
messa generale logica, si espone ciò che vuoisi dimostrare : 
colla seconda , che in sostanza è la premessa particolare, 
si rafferma e si stabilisce col ragionamento, coll'aulorilà , 
cogli esempi, la proposizione; coll'ultima che può dirsi la 
illazione , si raccolgono le parli dell'argomentazione a fine 
di conchiudere con brevità e con forza il discorso. E sic- 
come nò anco il filosofo ragiona sempre sillogizzando nelle 
forme e uell'ordine logico, anche meno si lega a tali regole 

(4) Orai ad M. Brutum. 



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PI BETT0B1CA 197 
l'oratore, tanto all'uno e all'altro sta a cuore la varietà del 
dire, facendo ambedue, come torna lor meglio, scaturire ta- 
lora la proposizione dà dimostrarsi dalle ragioni e prove 
che le si premettono. 

35. L' Esornazione poi entra, com'è chiaro, in tutto il 
discorso, ma particolarmente in quelle parli che meglio deb- 
bono scolpirsi nella mente degli uditori ; quindi su queste 
l'oratore insiste presentando la stessa proposizione sotto più 
aspetti , e dichirandola e con figure e con immagini e con 
ogni maniera d'amplificazione che crede più valida. Uno fra 
i tanti esempj che porge Cicerone, basterà a ciò compro- 
vare. Ecco iì suo sillogismo: a È da giudicarsi insidiatore 
« colui a prò del quale torna la morte dell'ucciso; ma la 
« morte di Milone era grandemente utile a Clodio ; dunque' 
a Clodio fu l' insidiatore ». Ora vedasi come l'oratore adorna 
ed amplifica la sua proposizione: « Quonam iaitur pacto 
a prohari potest, insidias Miloni fecisse Clodium ? Salis est 
« quidem, in ilia tam audaci , tam nefaria bellua , docere 
« magnam ei causam, magnam spem in Milonis morte pro- 
li posilam, magnas utilitales fuisse. Itaque illud Cassiauum 
a cui borio fuerit, in his personis valeat ; etsi boni nullo 
« emolumento impelluntur in fraudem, improbi saepe par- 
ti vo. Atqui, Milone interfeelo, Clodius bnc assequehalnr , 
a non modo, ut praetor esset, non eo consule , quo sceleris 
« nihil facere posset : sed eliam ut his consulibus praetor 
i esset , quibus si non adjuvantibus, at connivenlibus certe , 
« sperasset se posse rempublicam eludere in illis suis cogi- 
n tatis furoribus etc. Ergo etc. » (1). 

36. Finalmente consistendo l'esornazione nell'amplificare 
cogli splendidi colori dell'eloquenza gli argomenti dialettici 
d'ogni specie, e pregio dell'opera avvertire, che questi non 
si stemperino entro a un mar di parole, acciocché non per- 
dano di loro efficacia ; che si usi veramente l'amplificazione 
per rilevare e porre nella più chiara luce lo cose sia per 
la loro grandezza, sia per il loro contrario, tanto però 
quanto lo meritano e non più; che essa in fine si adoperi 

(1j Orai. Pro Milone. 



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198 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

come vuol Cicerone, in guisa che divenendo una più grave 
affermazione del nostra assunto , viemeglio fede procacci 
all'oratore, attragga gli animi degli uditori, e meglio li di- 
sponga alla persuasione. 

§. 4. Della Perorazione. 

37. È molto il ben cominciare; mollo più l'esporre chia- 
ramente lo stalo della questione , nitidamente spiegarla , 
con validi argomenti stabilirla; ma se tulio ciò basta al 
convincimenlo , non basta al vero e pieno Irionfo dell'ora- 
zione: questo è riposto nella grande e diffìcil'arle di muover 
gli affetti, donde la persuasione, pregio e fine principalis- 
simo della eloquenza ; per la qual cosa lo stesso Quintiliano 
diceva : <t Non enim solum oratoris est (lacere , sed plus elo- 
« quentia circa movendum valet » (1). 

38. Qucsla parte di si gran rilievo periamo fu della 
Perorazione, quasi dir si volesse il sommo dell'arie (2). Essa 
consiste nell'accorta trattazione degli affetti ; e comecché 
l'oratore cerchi per questa via d'insinuarsi negli animi de- 
gli uditori dovunque meglio gli torna, anzi quando gli viene 
dallo stesso argomento suggerito; nulladimeno la Perora- 
zione veramente grandeugia in lulta la sua potenza dopo la 
parte dimoslrativa , acciocché la volontà si pieghi a seguir 
quello cui approvò già l' intelletto. E poiché due sono le cose 
che, secondo Tullio, rendono ammirabile l'eloquenza, il 
costume cioè, e Y affetto , in quo uno, siccome egli dice, re- 
gnai oratio (3) , dello sol quanto basta del primo , ci sludie- 
remo di dire quanto giova e si può del secondo. 

39. Ripetiamo qui pure : Caput artis est decere. E il de- 
coro che qui si ricerca si è quello di adattare il discorso alle 
persone e aìempi. Devesi adunque dall'oratore por mente 
alla diversa condizione degli uditori , e secondo il costume 
di questi adattare cose e parole. 

Mi /«il». , L. IV, c. 5. 

(2) Peroro, verbo composto da oro e dalla prep. per, che dai La- 
lini si apponeva ad esprimere perfezione, compimento ee. 
.31 Orai, ad Brutui». 



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DI HETIOHICA 199 
Ai grandi pertanto , il cui costume io generale è l'ambi- 
zione e l'alterezza , l'oratore parlerà della gloria d'illustri 
imprese, e dell'almo splendore della virtù , serbando diguilà. 
nella lode e nel biasimo , senza blandizie del pari che senza 

Ai dotti, che per costumo sono avidi di fama e di scien- 
za , parlerà con nobile modestia, sponendo con gravila di 
argomenti e con dovizia dì dottrina le cose , in dettato suc- 
coso e corretto. 

Ai plebei, il cui carattere è grossolano, superstizioso, 
facile ad ogn' impressione, parlerà istruendoli per via d'im- 
magini e d esempj C0H amorevolezza e con semplicità , e so- 
prattutto quasi nel loro proprio linguaggio. 

Coi vecchi, iì costume de'quali è lento, guardingo, ti- 
mido , recessivo , tenace negli slessi pregiudizj, si mostrerà 
l'oratore debitamente rispettoso, prudente ne' consigli , so- 
brio nelle figure, parco di parole; e mostrando di non voler 
far da mueslro a chi può insegnare a lui , si studierà di de- 
stramente condurli al suo fine, inspirando in essi b giuste 
speranze o giusti timori. 

Coi giovani, il costume de'quali è immaginoso , ardente, 
cupido di novità, passionato, l'oratore userà splendide im- 
magini , e generosi sentimenti , eccitandoli alla emulazione 
delle lodevoli opere, colla speranza d'onore c di gloria , e ri- 
traendoli dai pericoli della lusinghevole eia col candore 
d'una pacala dolcezza. 

Colle donne, finalmente, il cui costume e la pietà, il 
sentimento , la leggerezza , userà il linguaggio del cuore e 
della fantasia , chiaro e forbito , e colle vivaci dipinture del 
bello e colla gentilezza dei modi , spiegherà loro il buono e 
l'onesto, e le vie di s' abilmente conseguirlo. 

Olire a ciò a ben serbare il costume in generale fa d'uopo 
di profonda ed eslesa cognizione del cuore umano , la quale 
si acquisla soltanto nel gran libro della esperienza ; gioverà 
tuttavia non poco lo studio delle morali discipline, siccome 
insegna a tal proposito il Venosino : 



200 



DliLLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



a Rem tibi Socraticae poterunt oslendere chartae » (1). 

40. Tracciatele vie che meglio guidano al cuore, dicia- 
mo delle armi, sole valevoli ad espugnarlo; e queste sono 
gli affetti, nella cui trattazione si pare quanto può l'elo- 
quenza. L'affetto, o passione che voglia dirsi, è quel movi- 
mento, o come dicevano i Latini, quella perturbazione 
dell'animo, che investendo tutto quanto l'uomo ne signo- 
reggia il pensiero e l'opera. Ogni affetto s'ingenera dal pia- 
cere o dal dolore. Nascono da quello Vamore, la speranza, 
la gioia, la maraviglia; da questo Vodio, il timore, la (ri- 
stezza, Vinvidia; in generale rie deriva ogni aspirazione 
dell'anima verso tulio ciò che l'appaga, ed ogni repugnanza 
verso tutto ciò che l'attrista; e a questa e a quella essa 
d'ordinario vien traila più che dal giudizio, dal senlimenlo; 
donde l'errore che non di rado la delude nelle sue brame, 
e la devia dal giusto e dal retto. Ma lutto questo piti co- 
piosamente si altinga ai fonti dell'Elica che di suo proprio 
diritto ne tratta alla dislesa. 

41. Si sa che vana opera farebbe chi presumesse di 
dettare regole certe a ciò che naluralmenle all'arte repu- 
gna , quali appunto in sommo grado sono gli affetti. Con- 
tullociò se non vani riescono certi generali principj in logica 
e in poesia a chi buon senso e felice ingegno da natura 
sorlt, nò meno saranno da reputarsi inutili certe generali 
avvertenze alle ad agevolare la trattazione degli affetti me- 
desimi per chi nacque con un cuore capace di gagliarda- 
mente sentirli; in caso diverso sappiamo benissimo che a 
nulla gioveranno, come appunto mille dialettiche e mille 
poetiche non faranno mai un buon pensatore nè un buon 
poela , se prima la natura non ve ne ha posto i semi. 

42. Perchè adunque l'oratore infonda, per dirla con Dio- 
nigi d'Alicarnasso, come nel corpo l'anima, nelle cose l'af- 
fetto (2;, fa di mestieri che primo lo senta profondamente 

(i] Ari. Poe!., v. 3i0. 
it) Art. Rettor. 



DI HETT0B1CA -. 201 
dentro se stesso; e ciò gli avverrà, se Tarassi o considerar 
rettamente por ogni verso il suo suhbietlo , e così scorgen- 
done tutta quanta la giustìzia o la iniquità, la bellezza o la 
turpitudine, l'utile o il danno, la nobiltà o l'abiezione, e va 
dicendo, si ecciteranno nell'animo suo movimenli d'entu- 
siasmo per tutto ciò che è retto e glorioso, d'indignazione 
pel suo contrario, e il cuore per tal modo agitato gli porrà 
sulle labbra il suo ardente linguaggio. 

43. Ora quelle stesse cagioni per le quali si sonte viva- 
mente commosso egli medesimo, ponga altrui dinanzi agli 
occhi, e negli animi desterà a un dipresso simili movimenti. 
L'amore è il primo degli umani affetti. Tutto ciò ebe piace, 
che lusinga , che impromctle felicità, eccita l'amore , e vie- 
più vivo ed ardente, quanto più rari, più splendidi c più 
perfetti ne appariscono i pregi di bellezza , di grazia e di 
bontà. Dipingere adunque con animati colori siffatte doli , 
esaltarne l'eccellenza, magnificarne i beni o già conseguili 
o che se ne sperano, sono mezzi ben otti a risvegliare in 
altri l'amore e gli affetti a questo affini, voglio dire, l'ami- 
cizia, la gratitudine e la benevolenza. Vedeto come Virgi- 
lio dipinge la sua Didone, a fine di scusare nel suo eroe 
quell'amore che fu per ritrarlo dal cammin della gloria. 
Essa bellissima , tenera , generosa , ospitale; quasi direi che 
Amore cosi la delincò nel cuore del poeta, e questi la colori 
colla magia de'suoi versi. 

4i. VOdio e l'affetto contrario; quindi si eccita cogli argo- 
menti contrari a quelli , onde muovesi l'amore. Il rappresen- 
tare pertanto al vivo la sozza immagine del vizio orgoglioso, 
iniquo ed abbietto; i mali già sofferti, o che pur si soffrono o 
che si temono, è mezzo attissimo ad accendere contro l'autore 
di questi giusto odio ed abominio profondo. I.e tinte del quadro 
però siano forti e gagliarde, ma non troppo cariche si che non 
tolgano fede al vero. Bellissimo è il celebre esempio che ne 
porge Tacilo nella Vita d'Agricola, dove Galgaco eccita i suoi 
all'odio de' Romani , cosi dipingendoli: « Raplores orbis, 
o postquain cuncta vastantibus defuere terrae, et mare scru- 
a tanlur : si locuples hoslis est, avari: si pauper, ambitiosi: 
« quos nonOriens, non Occidens satiaverit: soli omnium, 
o opes atque inopiam pari affeclu concupiscunt. Auferre, 



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202 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

i( trucidare, raperà falsis nominibus imperium: alque ubi 
e solitudinem faciunt, paeem appcllant. Liberos euique ac 
a propiuquos suos natura carissimos esse voluit: hi per 
e delectus alibi sorviluli aufcmnlur. Conjuges, sororesque 
« et si hostilem libidinem effugiant, nomine amicorum alque 
« hospiLum polluuniur. Bona, fnrlunasque in Iributum 
« egerunt; in annonam, frumenlum. Corpora ipsa ac manus, 
o silvis ac paludibus emunicndis, verbera intcr ac contu- 
a melias, conlerunt. Nola sorviluli mancipia semel veneunt, 
« alque ullroa dominis alunlur. Brilannia sorvitulem suam 
e quotidie emit, quoLÌdie pascil o. 

45. La Pietà, soave affetto d'ogn'anima gentile, sì desia 
in noi allo spettacolo della sventura, e se altro non pos- 
siamo, spargiam per essa una lacrima a conforto dell'infe- 
lice; e tanto più, se questi è innocente, debole, ridotlo io 
basso stato, vittima dell'umana ingiustizia, e meritevole di 
sorte migliore. Si ponga pictosamenle sotto gli ocelli al- 
trui la grandezza dell' inforiunio sotto cui geme il misero, 
se ne mostri lo squallore e l'avvilimento, se ne additino! 
modi di sollevarlo, o almeno si muova per esso l'altrui com- 
miserazione, che è pure un sollievo in mezzo al peso de'ma- 
li. Quanta pietà inspira presso Tacilo Agrippina quando 
dopo la morte di Germanico se ne ritorna a Roma : « Agrippi- 
e na, quamquam defessa luctu, et torpore aegro, omnium 
n tamen quae ultionem morarenlur iniolerans, ascendit 
a classem curi) cineribus Germanici, et liberis, miseranli- 
« bus cunctis, quod feminn nobilitate princeps, pnlcher- 
a rimo modo matrimonio intcr venerantcs, gralantesque 
a aspici solila, lune ferales relìquias sinu ferret, incerta 
o ullionis, anxia sui, et infelici foccundilate forluoae 
« tolics obnoxia» {Ann. 1. II). Per la via della pietà s'ecci- 
tano ancora sensi di mansuetudine e di clemenza verso 
chi peccò per malizia, e pentito iì proprio fallo confessa, 
o verso chi fu trailo al delitto da sconsigliatezza, da igno- 
ranza, o da fatali circostanze. Vedasi con quanl'arte Tul- 
lio piega a clemenza per H. Marcello l'animo di Cesare. 

46. Vira è breve furore, a cui ne sospinge sentita 
tristizia, e ne infiamma l'anima d'ardeniissima brama di 
vendetta. Ad aizzarla in altri giova dipingere al "vivo e 



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DI RETT0R1CA 203 
conci latamente l'ingiùria sofferta e il mal talento di chi 
l'arrecava. Vedasi con quant'arte Abner presso l'Alfieri si 
studia malignamene di ridestare l'ingiusta ira di Saul contro 
David [AL II, se. 1). - Più nobile, e quindi più convenevole 
all'oratore, è la Indignazione che nasce all'aspetto dell'altrui 
malvagità ed impudenza, ed c virtù generosa e d'animo 
grande, ed altresì necessaria a difesa della inerme ragione, 
della quale perciò S. Tommaso chiamò satellite lo sdegno, 
e il Tasso cantò: 

" Sdegno guerrier della region feroce » [1). 

Dipingete adu nque con animose parole l'arroganza e la sfron- 
tatezza congiunto alla malizia ed alla viltà, e sdegnosi come 
Tullio alla visla di Catilina in Sonalo, e corno Danio dinanzi 
all'Argenti (2), trasfonderete il vostro magnanimo affetto in 
quanti han cuore retto ed elevalo. 

47. V Allegrezza desiosi iti noi per gioconda novella di 
lieto evento, o per cessazione d'alcun male, o per inaspet- 
tato conseguimento di una qualche felicità. La ecciteremo 
adunque del pari in altri, se rappresenteremo loro con vera 
espansione di animo il fausto avvenimento, e la grandezza 
dei beni conseguili; e tanto più , se al grande desiderio di 
essi non era congiunta che poca o ninna speranza. Vede- 
telo in Tullio come da ogni parola espande nei padri l'al- 
legrezza sua, per la partita o fuga di Catilina (31. La tristezza 
all'opposto discende nell'anima, e di grave accoramento la 
stringe, al duro annunzio di pubbliche o private sciagure, 
di rovine e di morti. La vìva dipintura , espressa a (ratti 
brevi e risentiti, dell'infortunio che ne colpi, ricolmerà 
per tanto di grave costernazione gli animi altrui, e l'ora- 
tore li volgerà a sua posta per le vie del retto e dell'one- 
sto, e ad ogni bell'opera di umanità e di religione. Chi può 
ridire i salutari effetti clic dovette a'suoi tempi ritrarre il 



(1; Gers. Lib. C. XVI si, 34. 
{% Taf., C. Vili. 
(3) Calili"., II. Esor. 



204 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Segneri dalla sua bella predica pel dì delle Ceneri sulla 
morte? 

48. II Coraggio nasce dal senlimento del proprio valore, 
della propria dignità, del proprio dovere; l'accende la fiam- 
ma della emulazione, la speranza di gloria e di beni cui 
l'immaginazione dipinge facili a conseguirsi; l'addoppia tal- 
volta la slessa grandezza del pericolo fino a convertirlo in 
audacia. Con questi ed altri simili argomenti Galgaco infonde 
ne' suoi questo vita! sentimento, spesso cagione a non spe- 
rala salvezza. « Sublala spe veniae, tandem stimile ani- 
« mum, tato quibus salus , quam qitibus gloria carissima 
i( est. Briganles. femina duce, exurere coloniam, expugnare 
a castra: ac nisi felicitas in secordium vertisset, exuere 

« jugum potuere . Àn eamdem Romanis in bello virtulem, 

a quam in pace lascivia») adesse creditis? nostris illi disces- 
« sionibus ac discordiis clari, vitia hoslium in gloriam 
« exercitus sui vertunt. .. Omnia victoriae incitamenta prò 
« nobis sunt: nullae Romauos conjuges accendunt: nulli 
« parentes fugam exprobraluri sunt: aut nulla plerisque 

o patria, aut alia est Ne terreat vauas aspeclus: et auri 

<i fulgor atquc argenti , quodneque legit, neque vulnerai. . . 
« Hic dux, hic exercitus: ibi tributa etmetalla, et ceterae 
« servientium poenae: quas in aeternum proferre, aut stalim 
« ulcisci , in hoc campo est. Proiude iiuri in aciem et majo- 
* res veslros , et posteros cogitale (1). 

49. Il Timore ci preoccupa all'idea di un male futuro, 
e se il pericolo veramente sovrasta, o la immaginazione Io 
ingrandisce e lo ravvicina, il timore può spesso divenir 
paura, affetto che turba e sgagliarda l'animo, stringe il 
cuore e intorpidisce lutla la persona. Ora animai che più 
teme e il piit aito alla fuga; quindi quanto saprem meglio 
inspirar timore, dipingendo minaccioso e grave di tristis- 
simi mali il pericolo, tanto più lo schiveranno gli «omini, 
sia colla fuga, sia col coraggio, e quando l'uopo lo richieda, 
eziandio con quel timore che per poco non è paura. Talvolta 
magnificando l'eccellenza, la grandezza, il potere che eia- 
fi) Tacito , Vita di Agric. fi. Zi. 



DI ItETTORICA 205 

scuuo in altri riconosce ed onora, giova ad infondere quel 
timore di reverenza e di religione, che nu rende ossequenti 
verso chi n'è degno, e ciò che più. monta, devoti a Dio. 
Quanto bene Orazio inspira timore nella sua Gala tea , per- 
chè non s'affidi all'instabile oceano (V. Ode XXI, L. III). Ma 
oh! come veramente ricolmano d'un santo timore le imma- 
gini enfatiche dei Profeti che cantano l'onnipotenza e la 
terribile giustizia dell'Elenio. La qual'enfasi ben imitò l'Al- 
fieri, dove il sacerdote Achimelch tenta di risvegliare in 
Saul un salutare timore (V. At. IV se. 4). 

50. La Maraviglia nasce in noi alla visla del grande, 
del raro e dello straordinario , laonde quasi rimanga per 
essa l'anima assorta , ne restiamo stupefatti ed attoniti. Ove 
torni bene eccitare in altri un simile affetto, si tratteg- 
gino ai vivo alti di magnanimità e d'eroismo , o si sorprenda 
l'immaginazione con grandiose novità , o si scuota la mente 
con verità nascoste e sublimi. Così Livio descrive l'ammira- 
bile intrepidezza di Orazio Coclite , nel Lib. II , c. 10 delle 
sue storie ; cosi Dante dipinge la stupenda visione del carro 
trionfale de! Grifone misterioso tra il celestiale corteggio nel 
C. XXIX del Purgatorio; cosi finalmente il Segneri rappre- 
senta la vision de' Bea li. « Veggendo Dio (ei dice) , non vi 
a pensate di vedere veruno di questi oggetti che vedete fuori 
k di Lui. Questi sono creali , ed' Egli increato; questi mate- 
a riali . ed Egli semplicissimo; questi dipendenti, ed Egli 
<i assoluto; questi limitati, ed Egli infinito; questi cadu- 
« chi , ed Egli immortale ; questi difettosi , ed Egli perielio, 
« E pure tutto ciò che vedete fuori di Luì , immaginatevi 
<t che voi tosto vedrele, vedendo Lui. Lui vedrete come 
a solo opera in tutte le creature senza stanchezza, anzi 
« come tulle in Luì sono per eminenza , nessuna per pro- 
le prietà.... Vedrete in Lui le perfezioni di tulte le cose , 
« non vedrele in Lui l'essere di veruna , e però in Lui non 
a vedrete verun difetlo. In Lui vedrele candore , ma non 
a tinto di macchia ; in Lui belili , ma non soggetta a scoto- 
li rimento ; in Lui potenza , ma non ombreggiata da emolo; 
a in Lui sapere , ma non dipendente da magistero; in Lui 
« bontà, ma non sottoposta a passione; in Lui sostanza, 



806 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

« ma non mescolata con accidenti; in Lui vita, ma non do- 
« minata da morie. Che pi ti ? Vedrete Din (oh voi mille volte 
« beali!) vedrete Dio » (Pred. X, sul Paradiso, N." 40). 

54, Tali sono i principali affetti de'quali suo! esser po- 
tente eccitatrice quella eloquenza che meritò dagli anti- 
chi il titolo di flexanima , àtque omnium regina rerum 
(De Orai. , L. Il, c. 44). Ma la principal regola per la loro 
trattazione sta nel sentirli veramente e profonda ni ente. 
Summit, diceva Quintiliano, circa movendas affeclus in hoc 
posila est, ut movmmur ip&i ( fast. , L. VII, c. 26 ). Convien 
poi che la loro espressione sia quale la natura detta all'uo- 
mo passionalo , sul cui labbro odi dogliose parole , so egli e 
a (Hit lo , festevoli se allegro, veementi se corrucciato; e pa- 
rimente vi riscontrerai figure ora pietose, ora gagliarde, ora 
gaje, or aspre, sccoiidoche l'anima gli trabocca d'amore o d'ira, 
di gioja o di tristezza. E tu di leggieri ne imiterai il linguaggio, 
se da simili affetti bai veramente il cuore commosso, perchè 

« ....format natura prius nos inlus ad omnem 
« Fortunarum habiuim ». 

(Ob.A.P., v. 199 e *Sgi}« 

e in lai guisa teco si commoverà l'uditore , essendo naturai 
legge che 

a Ut ridentibus arrident , ita flenlibus adsunt 
a Humani vullus ». 

(Oa. A.P., v. 404 }. 

Soprattutto è da guardarsi però che non vi si scorgano fiori 
d'arte , non lisci , non raffinatezze , vuoi di parole , vuoi di 
concetti , bastando talvolta a desiare maggior pietà un'im- 
magine semplice e breve, ma vera, qual'è questa compas- 
sionevole della morte dell'Argivo Antere presso Virgilio : 

« Stemi tur infelix alieno vulnere , coelumque 

« Adspicit , et dulces moriens reminiscilur Argos a. 

( Am., L. X). 



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DI RETfORICA 207 

Finalmente il linguaggio dell'affetto , essendo in generale 
animato ed ardente , è parco di parole , vago d'ellissi e di 
brevi periodi, e (Tu n'armoni a spesso rolla e concitata. Ap- 
parirà poi maggiorili e nte vera la passione , quando non sia 
spìnta olire i giusti e naturali suoi limiti ; imperocché, come 
nota il Blair , i moli fervidi essendo troppo violenti , non 
possono esser durevoli. - li qui basti intorno agli affetti , 
de'quali il solo e miglior maestro è il cuore , e certo nè 
Aristolele insegnò a Virgilio il pietoso lomento della madre 
d'Eurialo (Aen. , L. IX, c. 484 ), ne Brunello Latini inse- 
gnò all'Alighieri la terribile scena del Conto Ugolino ( In- 
ferno , C. XXXIII ]. 

32. Se molt'arle richiedesi all'oratore a ben incominciare 
il suo discorso , non meno certamente gliene fa d'uopo a 
ben concluderlo; imperocché da ciò in gran parte dipende 
il buon esilo della sua causa. Siano pertanto dalla esposi- 
zione delle cose e dalla forza degli argomenti appieno con- 
vinti della sua ragiono gli uditori ; ne siano del pari com- 
mossi gli animi per l'ardore e per la veemenza del senti- 
mento ; tuttavia non ne trionferà pienamente l'orazione , 
se non li siringe e li preme con una ben adattata conchiu- 
sione. Questa può farsi o continuatamente per perorazione, 
o per epìlogo. Se l'oratore , dalla cui prudenza solo dipende 
la scelta , giudica quella più opportuna , rìserba per il fine 
la mozione di quell'affetto che tiene per più gagliardo ed ef- 
ficace , ed assale con questo gli animi degli uditori, riem- 
piendoli di piela, di terrore, di maraviglia, di costernazio- 
ne , siccome meglio gli approda ; se poi o per lo circostanze, 
o per la natura della causa alla quale più del sentimento 
giovi il retto giudizio degli uditori, stimi meglio rivolgersi 
ancora alla ragione, rianderà per sommi capi l'assunto e gli 
argomenti principali del suo discorso , nel che appunto con- 
siste l'epilogo. In quesla enumerazione pertanto, in cui si 
raccoglie in poco ciò che distesamente fu dello , si richiede 
chiarezza, brevità, ornala eleganza ed armonia, acciocché 
meglio nella mente si raffermi il convincimento, e l'animo 
ben disposto rimanga mercè la dolcezza delle ultime impres- 
sioni. Ove poi breve sia l'orazione , o semplice nella testura 



208 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

delle sue parli, si può di siffatto epilogo fare di meno , e 
tornerà meglio concbiudere con parole o sentenziose , o con- 
fidenti , o laudative , secondo l'opportunità , sempre digni- 
tosamente e con grazia. 

Titolo HI, - Delia elocuzione Oratoria. 

53. Della Elocuzione in generalo assai fu detto a suo 
luogo; qui dunque basterà poche cose notare che special- 
mente riguardano il discorso oratorio. 

il l'oratore o apostolo dell'eterna verità, o maestro di 
civile sapienza, o assertore della giustizia - , solenni ulDcj, 
che mostrano con qual dignità comparir debba la parola 
sul labbro di chi gli assumo. Questa adunque, secondo Ci- 
cerone, vuol esser grave insieme ed ornala , ed ai sensi ed 
alle menti degli uomini convenevole ()}. Grave nelle sen- 
tenze, nelle immagini e quindi nelle parole, nelle metafore 
e nel periodo, perche tale per fermo s'addice a chi parla 
e a chi ascolla, del pari che alle materie e a' luoghi ; ornata 
dì quella maestosa semplicilà che ben si marita al sobrio 
uso di nobili figure di parole, illustri, eleganti e per dirla 
con Tullio, prope poetarum [2), perchè il diletto apre alla 
persuasione il cuore eziandio de' più. schivi; adattata alle 
persone mercè della chiarezza, delia grazia, del serbalo co- 
stume, perchè si parla per altri ammaestrare con efficacia, 
e perchè tal' è la legge indeclinabile del decoro. 

54. Oltre a ciò deve l'elocuzione oratoria riuscire gra- 
dita per varietà ed armonia; imperocché la stessa grandi- 
loquenza incresce per la pesatilo e monoioua gravità ; laonde 
il Retore d' Alicarnasso ne avvertiva che: a l'allettar dap- 
a perlullo gli ascoltatori, lo sceglierei più canori ed eletti 
o vocaboli, il voler tutti i periodi conchiudere in leggiadra 
« armonia , e con pompose figure abbellir la dizione , non 
a è sempre il meglio » (3). 11 segrelo dell'arte qui pure con- 



ni De Orai., L \, c. ti 
(8. Ibi. e. SS. 

[3) Dionigi d'Auc. Della polenta dei dire di Ilemostem; c.17,ed. Cit. 



DI BETT0B1CA 809 
sisle nella savia distribuzione degli ornamenti ; e l'oratore 
che . ben apprese quest'arto, non dà mostra di voler piacere 
per essi, ma si gli usa, come se nel discorso gli cadessero 
spontanei, quasi unicamente sollecito delle cose e non delle 
parole. E benché sembri, come insegna Cicerone, che, mas- 
sime nel linguaggio degli anelli, sia da adoperarsi una certa 
maniera di dire più viva e più splendida, tuttavia andrebbe 
lungi dal vero chi si avvisasse doversi attingere da altre 
fonti che dal cuore, di cui la semplicità è appunto la sola 
vera e genuina espressione; e tanto è vero che il Tasso di- 
ceva : « I soverchi lumi ed ornamenti di stile non solo adom- 
a brano, ma impediscono e smorzano l'affètto» (i). 

S5. Finalmente quiinto all'armonia, dirò che se non vale 
un bel concetto ove di bella dizione non si adorni, neppur 
si rende appieno efficace ove non si accompagni ancora col- 
l'ornamenlo convenevole del numero. L'armonia in generale, 
che può riguardarsi come il tono de' colori in un quadro, 
fa d'uopo sia grandiosa ed austera, piegando secondo l'op- 
portuniià ora al piano, ora al forte, ora al paletico, ora al 
concitalo e veemente. [I periodo pertanto formisi pieno e 
rotondo, e chiuda in bella e adattata cadenza; prevalga 
il lungo al breve, ma con grata varietà si alternino fra 
loro. É da guardarsi però che per amore soverchio dell'ar- 
monia non si cada nel lezioso, dando al perìodo un numero 
poetico, come vedemmo aver fatto lo Speroni, e riscontria- 
mo eziandio nel Panigaroin e nel Tondelli troppo vaghi, il 
primo degli endecasilhibi, il secondo dei settenari, con danno 
non lieve della sacra Eloquenza. 

06. Concludiamo: grandiosità, gravità, magnificenza dan- 
no robustezza all'oratoria elocuzione; chiarezza, eleganza 
e colorilo proprio dellu cose, la fanno risplendere per gra- 
zia e dignità; armonia svariala secondo l'immagine e l 'af- 
follo le aggiunge decoro ed eflieacia; le quali doli di bella 
elocuzione si studierà di accompagnare convenientemente 
alla copia ed alla elevatezza delle materie chiunque aspira 
alla lode d'egregio oratore, lenendo nella mente scolpito 

(1) Art. Poet, , Disc III. 

li 



240 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

questo avvertimento di Tullio: a !s enim est eloquens, qui 
« et humilia subtiliter , et magna graviter, et mediocria tem- 
k perule palesi dicere » (i). 

Titolo IV. — Della if smorto. 

57. La Memoria , questa tesoriera e custode di tutte 
cose , o da noi inventate o da altri apprese, è dote dell'ora- 
tore essenzialissima, tanio che Tullio non dubitò chiamarla 
quasi fondamento dell'oratoria (2). Che gli vale difatti l'aver 
dedalo perfetta la sua orazione, se poi non può recitarla 
qual'è dinanzi a cui deve? qual pena è, non dirò per l'ora- 
tore, che ciò ben s'iniende, ma per lo slesso uditore, quel 
titubare incerto ch'ei fa per manco di memoria? e se ciò 
nuoce al diletto , quanto più non sarà alla persuasione dan- 
noso? Ma a rincontro a questa e a quello immensamente 
Conferisce un dire franco e spedito per memoria facile e fe- 
dele; imperocché cosi l'oratore da ad ogni concetto e ad 
ogni parola quel gesto che appunto lor si conviene di forma 
che sembra parli non per isludio, ma come dettano spon- 
tanei la mente ed il cuore. 

58. Eppure questa facoltà, da cui cotanto dipende il 
buon successo di un'orazione, oh ! quanto di leggieri ne 
tradisce I E ben avventuralo può dirsi quell'oratore cui 
non sia giammai fallila la memoria , quando sappiamo che 
allo stesso Demoslene , per non dire dei Bourdaloue e dei 
Massillon , si mostrò infedele dinanzi a Filippo. E ciò che " 
mollo ancora rileva si è che a queslo special dono della 
natura può l'arie ben poco soccorrere; e se cosa avvi che 
valga a renderla alquanto più pronta e più sicura è l'assi- 
duo esercizio, massimamente fino dai teneri anni incomin- 
ciato. Questo è l'unico precetto che davvero possa tornare 
utile ai giovinetti. Quanto alla memoria artificiale, così detta 
per ceni artifici, che a sussidio di essa vengono proposti, 
non reputo del mio proposito tener discorso, siccome quelli 

U) C.K., Ad Brutum. 

|2j Id, De opt, flen. Orai. 



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DI RETTORICA 214 
che poco o nulla approdano ; tanto mono poi erodo debito 
mio l'interlenermt sui luoghi , immagini, caratteristiche, ed 
altre simili forme del Sistema mnemonico, basato sul princi- 
pio psicologico dell'associazione delle idee, perchè i suoi de- 
cantati prodigj sono anch'oggi tenuti a un dipresso in quel 
conto in che già toneali Bacone, di cose cioè da prestigia- 
tori. 

Titolo V. - Dell'Aitane. , ■ 

59. Se Tullio chiamò la Memoria quasi fondamento del- 
l'eloquenza , disse l'Azione esserne il lume fi); i mediocri 
oratori vincer talvolta per questa i sommi ; di che fu prova 
tra noi lo slesso Segneri che di doti esteriori sfornito vide 
sovente radi gli uditori, che si affollavano intorno a'meno 
valenti, perchè lui in quest'arte vincevano (2;. Ed invero 
per beo tre volte addimandalo Demostene che cosa fosse 
più necessario all'oratore, e per ben tre volte rispose: 
razione. Se questa adunque tanto rileva, vediamo in che so- 
prattutto è riposta , e diamone in breve esposizione i prin- 
cipali precetti. 

60. L'azione consiste nell'aggradevole governo della voce 
e della persona conformemente alle parole ; quindi sono sue 
parli Pronunzia e Gesto. Dal tono della voce o della sua in- 
flessione dipende la pronunzia. E primieramente si desidera 
nell'oratore voce limpida, piena, armoniosa, pieghevole, ac- 
ciocché ben riesca a colorire il discorso. Precipua dote della 
pronunzia si è la chiarezza, a conseguir la quale giova in 
singoiar modo il profferire intere le parole, non Sminuz- 
zandole , non appannandole, fuggendo del pari la precipi- 
tazione c la stentatezza. E so in lutto devesi l'affettazione 
schivare, ben si deve nella pronunzia, serbando quella fa- 
cilita e schiettezza naturale che tanto giova e piace; e ciò 
sia detto per noi Toscani ; per quelli il cui accento natio 
suona scuro, stretto e smozzicato, sarà cosa di sommo 

H) De opt. gen. Orat. 

(2| Tihab., Slot.. della Utter. Hai. Voi. Vili, Lih. Ili, g, 11. 



212 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

vantaggio il dar opera d'avvicinarsi quanto più sanno all'ac- 
cento toscano chiaro, scorrevole ed aperto. Oltre a ciò per 
riuscire quanto basta chiari a tutti, è bene intonare lìmi 
dal principio il discorso tra l'alio e il basso, evitando a 
tulio potere lo sforzo ; e diriger la voce in modo da farsi 
intendere distintamente da quegli uditori che più distanti 
ci appariscono: così il tono della voce si alzerà naturalmente 
a quel grado di forza che meglio richiedesi. 

61. La grazia e la [orza del recitare poi dipende perla 
massima parte dalla inflessione della voce, onde si colorisce 
colle pause, colle enfasi, co" toni alti e bassi tutta quanta la 
orazione. Conviene pertanto sostenere fino alla fine il periodo, 
con tempera odo al sentimento la voce, e modulandola a giusta 
cadenza . senza cantilena non meno che senza languore, e 
soprattutto schivando il modo declamatorio. Fa d'uopo inol- 
tre giudiziosamente distribuire le pause a fine di ben di- 
stinguere i sentimenti , smorzando a tempo e rilevando la 
voce; quindi adoperare quel snono pieno e gagliardo , che 
chiamasi enfasi, in quei traili dell'orazione cui vogliamo me- 
glio scolpiti nell'animo degli uditori e che spirilo aggiun- 
gono ed efficacia alle parole. Finalmente assaissimo rileva 
■prendere ora il tono pulelico, ora il grave, ora il placido, 
ora il veemente, secondo l'indole degli affetti; nel che 
avrai per maestra la natura. Guardati però dell'esagerare 
1 affetto medesimo, e nel fervore della passione non dimen- 
ticare quanto di dignità devi a to slesso, al luogo ed alle 
persone. 

«2. L'altra parte dell'azione è il Gesto, che 6 quel mo- 
vimento del volto e della persona, che alle parole alle quali 
si accompagna, aggiunge vivacità ed evidenza. Quale debba 
essere lo sguardo e il volto è inutile a dirsi, chè specchio 
come sono dell'anima, da per sè stessi si atteggiano secondo 
gl'interni movimenti di questa. Quanto alla persona discon- 
viene ogni movenza men grave e il leatrico gesticolare. Unii 
maniera composta , naturale, e senza studio aggraziata pia- 
ce e sul pulpito, e sulla tribuna e nel fóro; e quando 
ancora ne infiamma gagliardo affetto , l'oratore serbando 
mai sempre nobile maestà e decoro, mostri al di fuori il 



DI RETTO li ICA 213 

predominio che pur serba dì sè dentro sè si esso, quantun- 
que c negli occhi e nel volto e negli alti del corpo e delle 
mani tutta apparisca la veemenza di quello: perocché gli 
affetti che elevali sempre esser debbono in pubblico dicitore, 
hao pure dignitosa e gravo la loro espressione. 

63. Poco per avventura sembrerà il già detto in cosa 
di tanto rilievo; ma penso che luitavia bastar possa a cui 
natura fu liberale altresì de'suoi doni esteriori, ove a que- 
sti esso aggiunga attenta e giudiziosa osservazione sui mi- 
gliori dell'arie, lungo e provalo esercizio sia per ben tem- 
prare la voce, sia per moderar bene ti gesto, come sappiamo 
che con grande sforzo fece, e non invano, Demostene; final- 
mente ov'abbia piena coscienza de! suo solenne ministero. 

Aut. IV, - Dell'Oratoria In particolare. 

1. Ci siamo finqu\ studiali, per quanto ne valevano le 
forze, di esporre con quella brevità che ci parve piti con- 
sentanea ad un libro elementare, i prìncipi dell'Oratoria 
in generale ; ora ci proponiamo di dichiararne in pari modo 
l'applicazione all'Oratoria in particolare. E poiché l'elo- 
quenza ora è volta a lode , ora a biasimo; ora a persuadere 
o a dissuadere; ora ad accusare o a difendere , gli antichi 
distinguevano l'oratoria in dimostrativa , in deliberativa e 
in giudiziale. Ma noi intendendo di seguir più dappresso le 
islituzioni della moderna civiltà; per le quali l'eloquenza 
sostiene ora le ragioni religiose , ora le civili , laonde il Pul- 
pito j la Tribuna e il Tòro sono i suoi tre grandi teatri, 
crediamo piii conforme alla sua presente applicazione il divi- 
derla in Sacra ed in Civile, e suddivider quesla io Par- 
lamentaria e in Forense. 

■ jff :.) joy 

Titolo l. — Dell'Eloquenza Sacra. 

V .fiVrf-V 

2. Il fine della Eloquenza Sacra è di persuadere i cri- 
stiani alla Tuga del peccalo ed alla pratica delle evangeli- 
che virtù. Essa è dunque di genere Deliberativo. Quando 
poi imprende a celebrare le gesta gloriose dei Celesti, è di 



214 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

genere Dimostrativo; so ad istruire soltanto, è di genere 

Didascalico. 

3 II fondamento della Eloquenza Sacra è necessaria- 
mente il Vangelo; le guide sicure i SS. Padri ; i fonti della 
inspirazione la fede e il cuore; quindi le sono inseparabili 
compagne verità, magnificenza e semplicità, per le quali 
si procaccia ossequio, inspira venerazione e si rende a tutti 
comune. Perchè poi la verità s'insinui profondamente nel- 
l'animo, e lo muova e a sè lo attragga, e ne forzi la volontà 
a seguirla, l'Eloquenza Sacra si vale anch'essa degli argo- 
menti che l'arte umana le fornisce nella filosofia e nella 
reltorica, mercè di cui dà nervo ed ornamento al suo ra- 
gionare. Ma siccome severa matrona, se ama le gemme 
tanto quanto le accrescono maestà e splendore, si guarda 
da ogni soperchio, e disdegna i lisci e le gale; così la Socra 
Eloquenza, se alla santità e sodezza delle dottrine vuol 
congiunte nobiltà e leggiadria di forme, perchè come riflet- 
teva il Segneri, non può mai capirsi che la ruggine giovi 
alle armi, rifiuta a un tempo per la sua slessa origine, 
uso e fine santissimi, ogni eccessivo abbigliamento e lusin- 
gherà , perchè , corno dice S. Paolo, lutto ciò che titilla le 
orecchie ritrae dalla verità. Laonde coneluderò col Rollin; 
« Conciones, ubi verluntur gravissima rerum aeternarum 
« momenta , quae aut puerilibus senlenliolis lasciviant, 
« auicasuris, si leviter excutiautur, flosculis niteant, sunt 
<i velut aes soriana, aut cymbalum tinniens a (1). 

4. Dallo quali cose conseguila dovere primieramente 
l'oralor sacro mirare all'importantissimo fine del suo augu- 
sto ministero, tenendo come dette a sè stesso le parole in- 
dirizzale al Profeta: « Ecce constilui te hodie super gentes 
« et super regna , ut eveìlas , et destruas , et disper- 
a dns. et dissipes , el aedijices , et pìantes » (Gerem. C. Il) ; 
quasi a lui sia commesso di sradicare dal cuore umano i 
rei semi del vizio , ed erigervi un tempio alla virtù. Al 
qua! fine prenda egli pure il libro grande, il Vangelo, e 
delti styh hominìs, come fu imposto ad Isaia (C. Vili, 1), 



(1) Praef. od QuiniUioaum. 



DI RETT0R1CA 215 

bellamente accoppiando sanlilà di dottrina a semplicità 
d'esposizione per l'unico e vero bene di tulio quanlo il po- 
polo di Cristo. Si proponga quindi, siccome il Segneri, di 
provare ogni volta una verila , non solamente cristiana , ma 
pratica, e di provarla davvero (i), e da esso pure apprenda 
ad attenere a sè e ad altri la promessa, prima col non esser 
troppo vago d'assunti teologici e speculativi, per la sma- 
nia di mostrarsi ben versalo in divinila; ina col conformare 
i propri lemi a quelli del Vangelo; di poi col valersi dei 
testi limpidi e genuini della Scritturi» e de'sanli Padri, e 
coll'astenersi da quelle ragioni più vivaci che sode, più va- 
ghe che sussistenti, ricordando il precetto di Cristo: Vias 
Dei invertiate doces (S. Lue., C. XX, 21); inoltre col parco 
uso di svariata erudizione; coli 'a do pera re ad esempio d'un 
Crisostomo un'elocuzione purgala ed elegante, perchè il 
parlar nitido a nessuno antico oratore scemò credenza ; in 
ultimo col portare sul pergamo digniiosa gravila, affettuoso 
calore, conlìdenza sincera. Pie quesie leggi fo io; ma a sè 
le prescrisse il Segneri (V. Pref cit). e da esso quasi tutte 
le ho tolte, non solo per l'auiorilà di chi le dettava , ma 
principalmente per la loro profonda sapienza, onde penso 
possano dì grande milita riuscire e alla religione e all'arte. 

5. Delineale colla guida di colanlo maestro le orme sulle 
quali può sicuramente incamminarsi il Sacro Oratore, trat- 
liamo specialmente della Predica e delle sue parli. 

g. I. Della Predica. 

G. L'Orazione sacra d'ordinario s'aggira sovra un lema 
morale. Qui o si dimosira la turpezza d'un vizio per inna- 
morare della virtù opposta , o si pone sotl'occhio la bellezza 
d'una virtù per richiamare dal vizio contrario. Ciò a 
cui principalmente mirar deve l'eraior sacro sì è d'accon- 
ciare ì lemi delie sue prediche meglio che sa e può, ai lempi 
ed alle persone , prendendo a comballere in ispezialtà quei 
vizj che vi predominano, e a riaccendere ne'cuori la sacra 

(1j Segneri, Prefai. al Quaresimale. 



Digiiizcd t>y Cciogle 



216 DELLE ISTITUZIONI BLEMKNTAHI 

favilla di quello virili clic piti v'illanguidiscono; chè dove 
la piaga più incrudisce , v'ha d'uopo di rimedj pronti , ga- 
gliardi e ripetuti. Ne ni Tuie riescono gran fatto profittevoli 
quei lenii die troppo sulle generali si tengono, elle qu=i.ito 
all'eHeiio assomigliar si possono a certi farmachi che colla 
pretensione di lui Lo guarire, lasciano il tempo che trovano. 

7. Nè meno vani e inopportuni sono da dirsi quei temi 
di metafisica c dì teologia speculativa , da'quali il Segneri , 
come vedemmo, si fe'leg!;e di astenersi , perchè conlrarj al 
fine propostosi d'inculcare pratiche verità, siccome meglio 
addieesi all'apostolico ufficio. Colui perla nlo che siffatti 
lenii s'elegge, va senz avvedersene ben lungi dal segno; 
imperocché per ehi mai propone coleste tesi scientifiche? 
pei dolli ? ma oltre che questi sono i meno , o le ammettono 
e non hanno bisogno di prove; o non le ammettono, ed è 
ben dolce lusinga il pretendere che per una predica , dove 
tulio il vantaggio è di chi parla , si spoglino deila loro opi- 
nione. Forse le propone per gì' indotti che d'ordinario sono i 
più? ma sarebbe pure il dabben uomo se credesse in manco 
d'u n'ora addottrinare grossi intelletti intorno a cose su cui 
egli , com'altri , sudavit et atsit; dunque la scella di tali ar- 
gomenti muove o da storio giudizio o da vanagloria di scio- 
rinare rara suppellettile di sottili dottrine, e in tal modo 
sentirsi dar lode di gran teologo da chi meno lo intese. Ep- 
pure S. Gregorio Magno, da quel gran maestro che era, 
diceva: Infìrmìs meiitibus non thbetit alta praedicari; uè i 
santi Padri adoperavano altrimenti. 

8. Il sacro Oratore deve per fermo essere più che mez- 
zanamente versalo in divinila e in filosofia , ma deve altresì 
conoscere la grand'arte d'usarne sobriamente ed a propo- 
sito; a rincalzo delle sue dimostrazioni, non a vana osten- 
tazione , guardandosi dal convertire la cattedra apostolica 
in accademica. Se non che essendo pure verissimo che chi 
ben crede ben opera , non sarà fuor di proposilo , quando 
i tempi veramente lo richiedano , il cercare di raccendere 
nei popoli la fede, dimostrandone con nobile semplicità di 
solide ragioni il fondamenlo, la santità e la bellezza, ac- 
ciocché scendendo spesso e opportunamente alla pratica , 



DigFfceO ByGoogls 



DI RETTORICA 217 
tolga argomento d'insistere sulla necessità del costume in 
armonia colla fede. 

9. Non pertanto da ciò s'inferisca essere utile cosa la 
trattazione di lenii contro la incredulità e l'eresia. Che anzi 
l'oratore che parla a uditorio caliolico può e deve crederne 
in generale pura e retta la fede; perocché questo per lo più. 
si compone di dotti, di semidotti e d'illetterati. Quanto ai 
primi , è ornai dimostrato che la vera sapienza va unita a 
religione salda e sincera. Il guajo e ne'secondi; tra'quali 
v'ha chi pretende al folle .vanto di Spìrito forte, o chi per 
lo meno tentenna. Ma oltreché costoro non usano a predica , 
ove non ve li tragga curiosità per oratore di nomea , nella 
presunzione di saper lutto, si tengon certi del fatto loro; 
dileggiano Scritture e santi Padri ; solo ammettono la pura 
ragione, e ove anche questa un po'lroppo li stringa, scivo- 
lano per la scappatoja del sofisma : ora costoro per le loro 
preoccupazioni naturalmente caparbj si lasceranno persua- 
dere in poco più di mezz'ora da un semplice discorso , e sia 
qual volete? Per miracolo della Grazia divina lo concedo; 
per arte umana no. Fra gl'illetterati poi ne troverete forse 
uno su mille , di fede un po'dubbia ; sicché nè questi abbi- 
sognano di polemiche, nè sono in grado di capirle; oltre a 
ciò vi è ancora del pericolo, non forse qualche leggiera nu- 
voletta s'alzi ad appannare la serenità della loro fede , tanto 
che v'ha tra' precelti della sacra Eloquenza questo pruden- 
tissimo del Card. Valerio: fncredulorum argumenta ne com- 
memorent , ne forte simplicium mentìbus scrupulum ìnjiciant. 
( Lib. Il , c. 45 }. Ed in vero il precetto resta altresì confor- 
tato dall'esempio del Segneri e d'altri sommi , i quali non 
mai trattarono di proposilo cotesti lemi conlro gl'increduli; 
e alcuni credettero d'assai il sorprender questi per isbieco 
e di passaggio , e qua e là con bella e nascosa arte attac- 
carli, chè talvolta contro l'orgoglioso Filisteo vai meglio delle 
poderose armi di Saul la fionda di David. 

40. Non per questo dovrà il sacro Oratore restarsene 
muto in faccia agli errori correnti , e lasciare che la zizania 
dell'uomo perverso cresca nel campo del Signore a danno 
del buon frumento. È anzi stringente debito suo accorrere, 



2)8 DELLK ISTITUZIONI BLEHEKTABI 

ad esempio de'santi Padri, a' pericoli della scallrila sedu- 
zione, e far accorti i fedeli del veleno e della mala semen- 
za , purché sii errori correnii siano o ne'tuoqhì e ricompi* 
in cui predica. E in simigliami casi fa d'uopo non solo di 
grande dottrina, ma ancora di non minore prudenza per 
non Inciprignire la piaga ; inoltro o necessario adattarsi alla 
capacita dcj piti , e guadagnarsene gli animi rolla semplicità 
e coU'aflc.lo Quoll'inveiro eia tanta acerbità ed acrimonia; 
quei lanciare vilipendi e sarcasmi , oltre che disconviene alla 
buona creanza, e tanlo più a chi bandisce la lepge dell'amore, 
scema fèlle alla verità , essendo que'modi per lo piti propri 
di chi ha il Iorio , e l'errore che volevasi combattere , se ne 
avvantaggia; e tarilo e vero che S. Francesco di Sales dice- 
va, andargli più a sangue la predica che mostra amore, che 
quella che s'arma di sdegno, fosse anche per gli Ugonotti [1). 

11. Assegnalo il campo entro cui deve e può spaziare 
la Predica per aggiunger direttamente il line, veniamo alle 
sue parli. 

Vuole il Segneri che lino dalla prima parola si serva alla 
causa con una foggia uon mai dissimile di tessuto, lasciando 
pure a chi vuole sfogar l' ingegno in proemj disparatissimi, 
in principi di dire cosi pomposi, che vincano di beltà le pe- 
rorazioni {$). Se nulla vale l'autorità di sì gran maestro, è 
chiaro dover l'esordio esser congiuntissimo al tema, e adorno 
di quella nobile modestia che lanlo l'altrui benevolenza 
concilia. Giova eziandio un cerio giro ingegnoso che dando 
aria di novità all'esordio, piacevolmente s'attira l'atten- 
zione , si veramente che troppo non sappia d'arte. Proceda 
poi con bella c nobile maestria, splendido per elevatezza 
di cancelli e d'immagini, e adorno di elocuzione elegante, 
magnifica c soave. Che se chi ascolla ben s' impromette 
d'oratore che pacatamente e con grazia incomincia , non. 
però interamente s'appaga di chi questo fa con troppo lusso 
d'arte, e con isfoggio di vocaboli sonori. L'aurea semplicilà 
periamo h la grand'arte di piacere a tulli e sempre. 

(ti Leti. Spiri!., L. I. 
(2, Pref cit. 



DI REI TUR ICA 319 
1$. Fatta al chiudersi dell'esordio la proposizione dell'as- 
sumo facile e chiara , ossia dì partizione tripla , ossia di 
dupla, siccome molti qual più adattata al pergamo prefe- 
riscono, ossia semplice, come più spesso adoperava il Se- 
gncri , sempre conformemente alla natura dell'argomento, 
si dia mano alla dimostrazione , confermando con prove di 
ragione e di fatto l'assunto, e ribattendo le asserzioni con- 
trarie, chiarendone la falsità ed il sofisma. E ciò che prin- 
cipalmente rileva si 6 di por rnenle alla unita del discorso 
collo svolgere e dichiarare nelle precipue sue parli l'argo- 
mento, e coll'insislere a lumeggiare tutto quanl'è il vero, 
ed a conquidere fino ne' più reconditi recessi del cuore 
umano Terrore, smascherandolo senza tema e senza lusinga 
in tutta la sua proteiforme natura. 

13. Il sacro Oratore, forte nell'evangelico principio che 
Verbum Dei non est alligatum , faccia sue le ammonizioni 
dell'Apostolo a Timoteo: Argue, obsecra, increpa in orniti 
patientia et doctrina (1), e congiungendo soda sapienza a 
zelo sincero ed illuminato, si mostri non timido amico della 
verità che bandisce, e di null'allro sollecito che dell'eterna 
salute de'fìglìuoli di Cristo. Quindi non si smarrisca in vane 
digressioni o in episodj che nulla rilevano, perocché disviano 
l'attenzione , raffreddano il cuore, e nuocono all'effetto , o 
almeno lo ritardano. Oltre a ciò non stia sulle generali, 
ma delinealo il vizio o la virtù scenda alla pratica, e per 
la figura che i retori chiamano individuazione , percorra le 
diverse fasi e condizioni della vita umana; applichi a cia- 
scuna di esse spicciolatamente le cose già deLte , e vada, 
come avverte il Fornaciari (2) , a trovare per dir cosi in- 
dividualmente gli uditori , i quali credendosi quasi come 
chiamati per nome, vedendo descritto se a sè, sentendosi 
frugati nei segreti della coscienza non bau luogo a tergi- 
versare , sicchò trovansi stretti dalia forza della verità e 
della evidenza a confessare a sè stessi che mala via ten- 
gono; ed è questo il primo passo nella salutar via del bene. 



Hi II. ad Tim. C. IV, 8. 

(2) Es. di Sello scrivere in prosa , pag. 30G noia. 



320 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Tal è il gran magistero della parie dimostrativa del Padre 
Segneri, onde assale, preme, incalza, stringe e conquide 
l'intelletto:, e si fa strada al cuore. 

14. E poiché l'arme più poderosa del sacro Oratore 
esser dee la Scrittura , qui torna in acconcio spendere al- 
cuna parola sul modo di ben maneggiarla. Il Libro divino 
è il principio dell'autorità, la sorgente del vero, il car- 
dine della eloquenza de! pulpito , e a dir tutto in breve, 
esso è la voce di Dio. Ma la voce di Dio spezza i cedri e 
scuole il deserto ()); ciò avverta l'oratore, e l'usi a spez- 
zare la durezza dei cuori, e a scuotere le anime dal soffio 
del vizio inaridite; non già a infiorarne la predica a vano 
solletico delle orecchie. L'usi, come già i santi Padri, non 
a lusso, ma a prova ineluttabile del vero, a infondere un 
alito divino nella sua parola. L'usi eziandio opportuna- 
mente , quando la gravità del concetto la richiede a rin- 
calzo; quando vuol ridurre l'argomento al grado d'irrepu- 
gnabile certezza; quando giovi a dare al discorso peso ed 
unzione. Oltre a ciò le allusioni scritturali vengano facili 
e spontanee, non trattevi a forza nò ricercate, e soprat- 
tutto , o si usi per via di citazione o d'esempj, si faccia 
maisempre nella sua maestosa semplicità, e nel senso 
unicamente cattolico , e chiaramente spiegandola ove ab- 
bisogni. Così adoperando , renderà grave ed autorevole 
l'orazione, magnifico e veemente il suo dire, e l'augusta 
verità, meglio scolendo i cuori, vi resterà efficacemente 
scolpila. . - 

E-Ì8. All'autorità divina quella succedo dei Padri della 
Chiesa. Siccome depositar] delle tradizioni del cristianesimo, 
e sicuri interpreti dello spirilo di questo, porgono essi alla 
sacra Eloquenza lume , forza e sostegno. A questi limpi- 
dissimi fonti pertanto fa di mestieri che si disseti a lungo 
il predicatore , a fine d'acquistare la precisione e la ener- 
gia delle parole conveniente a'misteri che tratta, mercè 
di quella sicurezza di principi, di quella nettezza d'inse- 
gnamento e di quella fermezza di espressione, di cui essi 



11) Salmo XSVHI. 



DI HKTTODICA 221 

sono siali i regolatori e i modelli (1). Svolga adunque 
quanto più sa i venerabili esemplari di questi grandi dot- 
tori , e in ispecial modo del magnifico Crisostomo , del 
grande Agostino, del soave Bernardo, non che di S. Tom- 
maso di Villanuova , cui il Card. Maury chiama miniera 
feconda di ricchi tesori. 

16. Può talvolta esser di qualche peso all'argomento che 
vuoisi dimostrare, l'addurre qualche sentenza d'autore pro- 
fano , b il riferire esempj di storie parimente profane , pur- 
ché non facciasi por inulile pompa e a sfoggio d'erudizione. 
Lo slesso S. Basilio provò in un trattalo essere per l'ora- 
tore utile e legittima la lettura e l'uso di libri pagani, per- 
ciocché è la slessa ragione che di per sè senza lume dal- 
l'alto , rendo testimonianza ed omaggio alla verila. Solo se 
ne raccomanda la opportunità e la parsimonia, cui non 
interamente valse a serbare lo stesso Segneri , forse indul- 
gendo in ciò all'uso che in quella eia stranamente correva. 

17. Di rado, diceva il Gozzi, le sacre orazioni fanno 
effetto, e ciò avviene, perchè l'eloquenza d'oggidì 'viene 
alla lingua dal cervello e non dal cuore. Io non so se dir 
si possa lo slesso a'giorni nostri ; solo io so col citato au- 
tore , che il grande apparecchio degli argomenti e il fiore 
del parlare melte in sospetto, non tocca; fa maraviglia, 
non muove; e so altresì che poco è fallo , se non si vìnce 
il cuore , e che questo solo può vincersi da quella eloquenza 
che sgorga viva e copiosa dall'anima ; laonde tutia l'arte 
di muover gli affetti è riposta in questa breve formula di 
Cicerone: Ardeal , si vult incendere. Arda adunque l'oratore 
di purissimo zelo per le auguste verilà che bandisce; arda 
di sublime carila per il ben verace dei popoli ; arda di san- 
tissima fiamma per la gloria di Dio e della sua Chiesa; e 
nei tesori d'una fede sincera e d'una ferma speranza nei 
doni della grazia divina , ritroverà il fuoco di quella elo- 
quenza , che dolcemente commovendo o irresistibilmente 
sfolgorando , gli animi attrae , gli scuote , li penetra , gl'in- 
lìamma e a sua posta li padroneggia. E bastino queste ge- 



li) Micar, sur VEloq. de la Chaire , N.° 70. 



222 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

nerali avvertenze intorno alta sacra perorazione , che assai 
per !a inozion degli affetti fu detto a suo luogo. 

18. A rendere sempre più persuasiva la predica giova 
assaissimo quel calore patetico che tutta quanta la governa, 
e che dicesi unzione. Questa nasce dal cuore dell'oratore per 
profondo convincimento e religiosa pietà, c fa che la parola 
di lui , o dimostri , o riprenda , o esorli , scenda sempre 
soave all'anima degli uditori , e vi s'insinui , e li commova 
sino alle lacrime di compunzione verace. Questo bel trionfo 
della eloquenza cristiana non già si conseguo per grandezza 
di concetti o per leggiadria d'immagini, ma per quell'ar- 
dente carità che dall'anima dell'oratore si diffonde nelle sue 
parole, e pietosamente nc'eunri trapassa di chi ascolta. Chi 
questa eloquenza di senti munto possiede (e nasce da zelo 
e si nutre del succo d'ascetiche letture ) tiene amho le chiavi 
di tulli i cuori, e soavemente gli attrae, come ne fan fede 
e l'universale attenzione e commovimento, e dipoi quella 
salutare (ristez/.a onde ciascuno dalla predica si parte, e 
che forma il più vero e il più solenne elogio dell'oratore (1). 
Com'è chiaro , la unzione va ben distinta dalla mozion de- 
gli alfetli, ed è un certo quid calore che un'eloquenza af- 
feltuosa e soave stendo su tulio i! discorso, ora amorosa- 
menlo stringendo cogli argonienli , ora con patetiche im- 
magini commovendo, ora con sentimenti compungendo 
naturali e pietosi. Siffatti oratori si valgono mirabilmente 
ancora delia parafrasi d'alcuno de'salmi più affettuosi, onde 
spesso spunla la lacrima sul ciglio più inaridito. E qui m'è 
d'uouo avverine che troppo lungi andrebbe dal vero chi 
confondesse questa prerogativa con quella sensibilità super- 
ficiale che s'arresta all'accento delle pai ole. Questo non è 
che un suon della voce, il quale giunge solo all'orecchio , 
ma non mai al fondo penelra del cuore. « Non simitlacra, 
ti diceva il gran Tullio, incitamento, doloris , sed luctus ve- 
« rus, atgue lamenta vera et spirantia » (2). lìffelli intera- 

(1) Diceva S. Giioliimo a Nepoziano : n Dlconlc le in Ecclesia, non 
- clamor popoli , sed gemilus suscitentur ; laciimae audilorum laude; 

(!) Riportalo di] Madst, op. ci!., p. Ti. 



DI R ETTORI CA 223 
mente contrarj a quelli della vera unzione produconsi dalla 
simulala sia nei concelli e nelle parole con ombra di ricer- 
catezza , sia nella voce e nel gesto studiosamente di lene- 
rezza alleggiali. 

19. La gravila e l'importanza delle materie che tratta 
il sacro oratore , la sua slessa dignità , la santità del luogo 
ove parla, e la reverenza ad ogni uditorio dovuta, dicono 
aperto qual esser debba lo stile e la elocuzione della Elo- 
quenza del pulpito. Di qui s'annunzia la parola di Dio, la 
quale ha in sè maestà e grandezza , non meno che candore 
e semplicità , e tale deve risonare sul labbro del suo ban- 
ditore. Nobile lo siile per gravilà di pensieri, per conve- 
nienza d'immagini , per verità di sentimenti , e soprattutto 
illuslre per naturale ingenuità , s'accompagni ad elocuzione 
nitida, elegante, facile ed armoniosa, e ciò che assai rileva, 
sempre al subbiello ed agli udilori adattata. 

20. Posti tali principj , vediamo in quali opposti- scogli 
vada non di rado a urlare la navicella dell'ingegno d'ine- 
sperto oratore. V'ha chi crede disconvenire ogni arte ed ogni 
fregio alla eloquenza del pulpito; doversi predicare Cristo 
e queslo Crocifisso; semplice essere il Vangelo; la verità 
non abbisognare d'artificj; solo essere utile a lutti parlare 
col linguaggio a lutti comune. Al tri all'opposito crede riposta 
ogni bellezza di quella nel mostrarla ben attillala e linda 
che mai di piti. Ma ne femmina rozza e sciatta, nè fan- 
ciulla cascame di vezzi e di lisci daranno mai l'idea di no- 
bile regina. E taf è l'Eloquenza, e in ispecial modo la sacra. 
Fuggasi adunque da chi ha senno quella maniera di predicar 
grossolana e scomposta, volgare nc'concetii, gretta nelle 
immagini e negli afTelli, bassa e scorretta nella lingua, nel 
tono de' periodi sgarbata e fastidiosa, che citazioni a cita- 
zioni affastella, che grida, che si agita , che spaventa , ma 
non fa fruito. Eppur sappiamo che ben altrimenti adope- 
rarono i SS. Padri , e lo slesso Segneri ci avvisa che egli 
studiavasi di accordare alla gravita della materia lo siile e 
la lingua , guardandosi dal violarla quale Italiano ingiurioso 
con voci che non godano (vedi scrupolo d'allora!) credito 
di sincere presso la Crusca (1). 

£<] Pref. di. 



Digiiizod &/ Google 



224 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

21. Nè meno è nocevole alla vera eloquenza l'altro scon- 
cio , Innlo difficile a schivarsi, quanto e più abbagliante 
e lusinghiero- Nulla più nuoce al convincimento e all'affetto 
che i soverchi ornamenti cui ad ogni tratto il fiorito oratore 
ti pone dinanzi , quasi , dice il Muratori , più aliagli a cuore 
dì pòrti in moslra la ricca vena del suo ingegno , che di 
spiegarti la verità (1). Tieni per Termo che ciò che tende a 
solleticare l'orecchio, non tocca il cuore, e seppure qualche 
volta lo tocca, non è che una breve oscillazione che cessa 
in un col suono che la produsse. « Se senli, dice molto a 
« proposito l'Arrigo ni , che è tulio inlento solo a cogliere 
« il più bel fiore dell'idioma gentil, sonante e puro, che 
« tulio il sermone va a finire in a urelle leggieri che spi- 
ci rano, in augellelli che volano di fronda in fronda, in 
« rigagnoli che serpeggiano con dolce mormorio, in selve 
« fronzute, al tulio in piccole miniature leggermente sfa- 
ti male, gaje, ridenti, ne proverai sdegno, perchè abusi cosi 
n Tangusio ministero che la Religione gli commetteva » [4), 
e porche por somieri sparsi di gigli e di rose non si rimena 
il peccatore a coscienza. 

22. Concludiamo: Sia splendido lo siile e ornata la lo- 
cuzione, ma quanto il decoro il consente; vi siano i fiori 
dc'relori , ma quanto si addice alla digitila d'apostolo del 
vero; vi siano le grazie delle forme, ma solo per rendere 
più gustoso il vital nutrimento del gregge del Signore, se 
non vuoisi clic troppo s'avveri la grave sentenza del Poeta: 

« Si che le pecorelle , che non sanno , 
« Tornan dal pasco pasciule di vento, 
a E non le scusa non veder lor danno * (3). 

g 2. Del Panegirico. 

23. Le orazioni laudative , onde nello solenni adunanze 
delle Panèyire per le feste quinquennali d'Atene, celebra- 
li; Muratori , Delta Pgrf. Poes., L, UT, c. 17. 

(2] Della Sacra Elnq. Di.sscrl. p. 17. 
[3j Purorf. c. XXIX. 



DI RETTORICA 225 

vansi numi, eroi c città, secondo che attesta Dionigi d'Ali- 
carnasso (1 ) , furono però dette Panegiriche. Ci resta presso 
Tucidide la memoria di quella che Pericle recitò dinanzi 
alia Grecia in lode degli eroi morti nella guerra Pelopon- 
nesiaca ; celebre è il Panegirico d'Isocrate per Elena, sul 
quale adoperò la lima per ben dieci anni. Esempio di esor- 
nazion panegirica ci lasciò Cicerone nella orazione per In 
legge Manilla dove celebra le grandi viriti di Pompeo; a 
quale ultimo lampo della Eloquenza latina vieu riguardato 
il Panegirico di Piinio a Trajano. 

24. Era riserbalo alla Eloquenza cristiana il sollevare 
il Panegirico al di sopra delle meschine ambizioni umane, 
perchè non appannato dai vapori dell'adulazione , puro ri- 
splendesse nella celebrazione di maraviglie vere ed elerne. 1 
Padri della Chiesa . e basti qui citare il Crisostomo e il gran 
Leone, nelle loro Omelie giunsero non di rado al sublime, 
esaltando le eroiche gesta dei gloriosi Atleti di Cristo , e 
cèsi resero sacra l'orazione Panegirica della quale furono a 
un tempo e maestri ed esemplari. 

2o. Il fine adunque del Panegirico ora è la esaltazione 
della gloria della Religione ne'suoi augusti misteri e nelle 
virtù de'suoi santi , a edificazione dei fedeli , per mezzo 
della più nobile eloquenza. 

26. Il panegirista pertanto o si proponga di celebrare i 
porlenti dell'Amore Divino e le ineffabili prerogative della 
Vergine , o di magnificare le inclite gesta dei Santi , ecciti 
negli animi l'ammirazione, la gratitudine e l'amore, e v'in- 
spiri per le belle virtù dei beati colla devozione il vivo 
desiderio d'imitarli, inculcando con S. Agostino questo 
grand'avviso : imitari non pigeat quoti celebrare delectat; 
perocché, com'andava ripetendo Bourdaloue : « La regola 
n pid sicura per lodare i Santi è di proporci la loro san- 
« tità come modello della nostra n (2). 

27. Se de'venerandi misteri , o de'più gran fatti della 
nostra Redenzione deve il panegirista nella sua orazione 



li) Art. Bell,, ci. 

{2; Madht, Op. cit., c. XXVIII. 



226 DELLE ISTITUZIONI E LE MENTA W 

trattare , esposto che avrà con iscienza teologica , e con 
quella semplicità e chiarezza che può meglio , sol quanto 
basta alla necessaria intelligenza dell'argomento, volga ogni 
studio a trarne copia di morale edificazione , sollevando la 
mente degli uditori ai portenti della religione, infiamman- 
done i cuori di teneri e devoti affetti , ed incitandoli a 
corrisponder fedeli agli amorosi disegni della Sapienza di- 
vina che nei misteri sublimemente grandeggia. '■■ ><> 

28. Ove imprenda le lodi a intessere d'un Santo , pri- 
mieramente tra ìe gesta e virtii di esso , ricerchi quale 
sulle altre è più eminente, e questa sia come il pernio del- 
l'encomio, e il centro a cui si appuntano tutte le altre sue 
viriti. Se poi non rimangono del Santo che poche ed incerte 
notizie, nè sufficienti a porgerne un carattere proprio e 
distinto, tragga argomento di lode dal genere della vita o 
della morte, magnificando ad esempio de'santi Padri, i 
pregi della verginità , se trattasi d'una vergine , le dol- 
cezze della solitudine, se d'un cenobita, i prodigj della 
costanza , se d'un martire, e va discorrendo. Se final- 
mente s'incontra in caratteri simili a più Santi, ne rilevi 
dalle circostanze della età , della condizione e dei tempi 
quanto basta a renderli tra loro meglio spiccali, chè infini- 
tamente molliplice è lo copia dei doni celesti. Così forma- 
tosi pieno il concetto del suo eroe , formuli la proposizione 
che tutlo e lui solo comprenda, e che lo presenti, per 
quanto è dato , sotto un aspetto novello. Non di rado a 
questa si prepone un testo scritturale che l'accenna , e 
quando non forzata n'è l'applicazione, la rende più grave 
ed autorevole. 

29. Che se ncll'orazion panegirica si desidera a buon 
dritto distinta per lineamenti propri l'immagine dell'eroe, 
anche l'esordio vuol esser proprio e distinto , acciocché ben 
si colleghi col resto; e tale sarà, ove si tragga veramente 
dal subbietto, e miri sempre per diretto o per obliquo alla 
proposizione cui intendiamo di stabilire. Rechiamoci a mente 
che abito che a tutti s'adatta, non torna bene ad alcuno. 

30. Ed eccoci alla parte dimostrativa, donde trae il nome 
il genere di siffatta eloquenza , e che dal Salvini vorreb- 



DI RETTORICA 



'•lì! 



besi detta più acconciamente esornativa {\}. Qui il pane- 
girista pone in chiarissima luce per via di narrazioni e di 
descrizioni le gesta e le virtù del Santo , e le bellezze al 
vivo ritraendone , e lumeggiandolo di tutto il loro splen- 
dore , apro gli animi alla maraviglia. E poiché se ingiuriosa 
fu mai sempre ai magnanimi l'adulazione, è cerio che im- 
mensamente più ingiuriosa ai santi riuscirà quella lode esa- 
gerala , che uno zelo malavveduto talvolta loro comparte; 
per la qual cosa il pruderne oratore religiosamente se ne 
guardi, riflettendo che le virtù degli amici di Dio , essendo 
a chi le mira cogli occhi della fede, sempre grandi per se 
stesse , non han bisogno di frangia , e che massime nel fatto 
nostro , solo è bello ciò che solo è vero , e che nulla più 
scema credenza quanto la sforzala iperbole. Nè credo che 
meno sgradita riesca agli uomini pii ed assennali quell'al- 
tro sconcio per avventura assai comune, cioè di adombra- 
re , dirò così , le virtù degli altri santi, per far viemeglio 
spiccare quella del proprio elogiato (2). Rammenti l'oratore 
che i Celesti ornai 

« Sciolti di tutte qualitadi umane » 

s'affissano nell'eterno Vero; e riserbinsi, se si vuoto, tali 
piacenterie a'mondani. Ove poi veramente la virtù del no- 
stro eroe sia per sè slessa in sommo grado eminente, con- 
viene che nel confronto si proceda sempre con ogni studio 
di riserbo e di venerazione. 

31. E continuando ancora a dire della parte narrativa, 
toccherò de'miracoli , i quali siccome quelli che sono di gio- 
ii | Prose Tus., I , 334. 

(2] Sul qual proposilo diceva il Roberti: « Anche ai di nostri noi 
<r Panegirici dei nostri santi veri, i quali ricusano l'adulazione, si af- 
« fasciano, si animonlicchiano , si rigonfiano, si esagerano in cumuli 
« amplissimi tante virtù, taoli eroismi, tante profezie, tanli prodigi, 
v che alla fine del Panegirico ogni P. Concionatore vuole che il santo 
• del suo Ordine, specialmenle se è fondatore , sia il primo santo del 
■ Paradiso, né trova seggio così allo da porvelo a sedere». 



228 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

ria a Dio, di testimonio de'veri suoi santi, d'incremento 
alla devozione dei fedeli, formano e sono parte di legit- 
timo encomio. SÌ scelgano pertanto quei più luminosi ed 
autentici sia per suprema sanzione della Chiesa , sia per 
iintica e costante tradizione; si riferiscano con opportunità 
e parsimonia, e massimo con semplicità, principaì dote 
del vero. 

32. Ma soprattutto è da insistere nel vivamente rappre- 
sentare quelle virtù delle quali si vuole inculcare !a imita- 
zione , prendendone argomento da quanto fece, disse ed amò 
l'eroe cristiano , e facendo in mezzo alle morali riflessioni 
sempre comparire la sua immagine adorna di splendida luce. 
E qui sarà bello il dipingere i gaudj dell'anima che a Dio 
si rimarita, la speranza dei premj eterni, la copia de'cele- 
sti favorì , la costanza nel dispregiare i beni mondani , la 
sagacia nel conoscerne le false lusinghe , le pie industrie nel 
domare le passioni , e finalmente di questi gloriosi atleti ri- 
trarre a vivi colori le dure battaglie e i nobili trionfi , per 
innamorarne i fedeli, o almeno per destare in essi una santa 
e profittevole emulazione. Se non che qui pure è un limite; 
imperocché se il panegirico non è unicamente insliluito a 
sfoggio di fiorita eloquenza , neppure è diretto a mera istru- 
zione ascetica, e se disgusta ove olezzano i troppi fiori, 
noppur piace , ove s'incontri soverchia aridezza. Sia adun- 
que il panegirico una corona di gemme da porsi sul capo 
ai santi , e un monile di preziose viriti da renderne avido 
il cuor de' cristiani. 

33. Goncludesi pertanto che ben si conviene all'orazion 
panegirica quel carattere di dire spleadido e pomposo , che 
di grandiosi concetti , di peregrine immagini e di eletta fa- 
vella si adorna. Qui ben vale un certo slancio di fantasia , 
ed un pennelleggiare quasi poetico; laonde il chiaro Muratori 
diceva che se gli oratori vorranno far mostra d'ingegno, 
potranno riserbare questo loro talento ne'panegirici , ove 
senza fallo è conceduta maggior liberta. Se non che poco ap- 
presso soggiunge: <r Ila tuttavia questo magnifico ornamento 
« de' panegirici da esser virile, chiaro e nobile, e non già 
« spirare un'effe min inala leggerezza di colori giovenili , o 



Di RETTO R1C A 229 

« un'affettata oscurità d'espressioni (i) ». Àuree parole eh <ì 
non vorrebbonsi mai dimenticate , massime dai giovani ora- 
tori , ai quali meglio sorridendo l' immaginazione , colgono a 
piene mani di questa i fiori , poco dei frutti della ragione 
curandosi; e tolga Dio che talvolta l'elogio del santo non 
tolgasi qual mezzo per accattarsi una frivola Inde , come se 
un bel panegirico meglio che una bella predica decidesse 
del merito oratorio. Ma qui basii , perche non paja il pre- 
cetto convertirsi in censura. 

g. 3. Dell Oraziori funebre. 

34. Diconsi Orazioni Funebri quegli encnmj ohe si reci- 
tano nei solenni funerali o anniversarj d'illustri defunti a 
debita lode delle loro gesta e virtù , e a conforto e ad ec- 
citamento dei superstiti. Antichissimo n'è l'uso; ed i Greci 
ed i Romani onoravano i parentali dei grandi cittadini con 
sacrifizi ed orazioni laudative ; e Dionigi d'Alicarnasso nella 
sua Arte Reltorica ne dà savj ed estesi precelti (2). Era ben 
giusto che ancora nella cristiana civillà coloro che posero 
l'animo e l'ingegno in opero proficue alla religione ed alla 
patria , avessero parole di Inde e di compianto , dopo che 
il sacerdote avea pregalo loro l'eterno riposo, e per primi 
si citano ì Padri S. Ambrogio e S. Gregorio di Nazianzo , 
avendo quegli onorato delPorazion funebre l'imperator Teo- 
dosio, questi le umili virtù di Gorgonia sua sorella. 

35. E poiché la morte dell'uom virtuoso è sempre una 
calamità, deve l'nrazione fino dalle mosse atteggiarsi di 
mestizia, e far sacro il dolore dell'anima che si dipinge a 
ciascuno nel volto. L'oratore poi ricordi senza raffinato 
artifizio di volgare adulazione, ma sì con candore e vcrtlà, 
le azioni e le prerogative del defunto , lumeggiando in 
ispecial modo quelle che più strettamente si attenevano 
alla sua condizione , grado e dignità , e che gli meritarono 



(t) Della Pcr.f. Poesia, Lib. 11', c. 1". 
(2) Op. cit., Gap. VI. 



330 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

l'alimi ammirazione, i nal ali , l'educazione , gli sludj , io 
ricchezze , lo doli dell'animo e del corpo , i prcmj e gli 
onori conseguili , il genere stesso della morie , aprono 
larghissimo campo all'encomio, essendoché tornagli sempre 
a lode o il retto uso che far seppe in vita de'doni onde 
gli fu largo il cielo , o la costanza colla quale vinse il di- 
fello di quelli ; in ultimo anche la morie o incontrala per 
il pubblico bene, o sostenuta con rassegnazione cristiana 
dà a! quadro il suo più nobile compimento. 

3G. E perchè l'orazione laudativa non riesca a un vano 
suono di parole , cerchi l'oralore di spargere a tempo e 
luogo in mezzo alle lodi di chi fu, savie e morali riflessioni 
a prò di chi rimase ; e ciò con destrezza e brcviia ; che 
anzi ove alla virtù dell'elogialo fosse in qualche caso man- 
cata alquanto ìa lena , ne prenda occasione a meglio chia- 
rirci di nostra fiacchezza, quando troviamo dei punii 
oscuri là dove tanta luce appariva. La ingenua confes- 
sione che mostra l'uomo qual fu, e non quale nella melile 
si foggia, falla con delicatezza d'arie, è un omaggio al 
vero, rende vieppiù degne di fede lo cose encomiale, e 
fa che l'orazione riesca profittevole a chi l'ascolta. Può in. 
ultimo temperarsi il commi dolore col pensiero che 1 J illu- 
si ro defunto non tulio mori , che la sloria ne ha già 
registrato nelle sue pagine il nome ; e , ciò che meglio 
rileva , che io spirilo immortalo il vero premio già 
coglie delle sue virtù dov' è silenzio e tenebre la gloria che 
passò. 

37. In tal genere d'elogi richiedesi gravila di concetti e 
moltissimo affetto, elocuzione animala ed elegante senza 
ricercatezza ; temperali eji ornamenti e quali si addicono 
al lullo; finalmente un'armonia patetica e religiosa, che 
accompagnata ad un'azione composta e ad uu tono dì 
voce mesto e sostenuto, spremerà più d'una lacrima, 
con degno tributo alla memoria del virtuoso ed illustre 
cittadino. 



Digiiized by Coogli 



DI RKTT0H1CA 



231 



§. 4. Delle Omelie, delle Lezioni Scritturali e Galee hi slip, he, 

38. Quella parlo d'Eloquenza sacra che mira quasi uni- 
camente alla istruzione , e che può dirsi didascalica , com- 
prende le Omelie o Sermoni, le Lezioni Scritturali e le Ca- 
techistiche. 

39. I sermoni coi quali nell'antica Chiesa i santi Padri 
parlavano al Clero e al popolo degli augusti misteri della 
Religione, e dichiaravano le divine verità del Vangelo, si 
dissero Omelie. Queste che dir si possono ancora Istruzioni 
Pastorali, sogliono conservare la loro ingenua semplicità 
primitiva , congiungendo a forme facili e piane gran fondo 
d'evangelica dottrina e caldissimo affetto. I) line dell'Ome- 
lia è di sempre più accrescere nel cuore dei fedeli la de- 
vozione e la reverenza verso le cose della Religione, dichia- 
randone la grandezza e la santità , e d' infondervi ognor 
più vivo Io spirilo del Vangelo , decifrando i grandi principi 
temporali ed eterni che vi si acchiudono a specchio e guida 
della vita cristiana. Per la qual cosa vi si richiede dovizia 
di scienza evangelica , assennata applicazione delle imma- 
gini e figure bibliche , profonda cognizione dei teologi 
e degli apologisti , lungi però da ogni scolastica aridità e 
sottigliezza. Arroge a ciò quello stile caldo e persuasivo 
de'santi Padri , che animato da fede viva e da zelo sin- 
cero comunica alle parole quella efficacia ed unzione che 
eccitano nei cuori una santa pietà ed una salutar compun- 
zione. Sebbene l'Omelia non serbi il rigoroso ordine delle 
parti d'una formale orazione, tuttavia stabilita la propo- 
sizione, conserva l'unità dell'assunto, commentando a con- 
ferma di esso il testo evangelico , e lumeggiando quelle ve- 
rità che scaturiscono direttamente da questo. 

40. Le Lezioni Scritturali consistono nella interpreta- 
zione dei Libri Sacri, specialmente per il lato storico, li- 
turgico e profetico, ad istruzione non meno che a' edifi- 
cazione del popolo. E poiché la Sacra Scrittura, libro di- 
vino , è in un colla tradizione la regola della fede , de'co- 
stumi e della religione, colui che imprende ad ammaestrare 



232 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

intorno ad essa dalla cattedra i fedeli, deve con quella 
chiarezza ette solo può alla comune intelligenza adattarsi , 

dimostrare per quali sapientissime vie la Divina Provvi- 
denza regge e governa il inondo, dilucidando i falli, i riti 
e le profezie dell'Antico Testamento in attinenza col Nuovo, 
ravvicinando i simboli e le ligure alla loro reale manifesta- 
zione nel Tipo Divino, e nell'esplicamenlo della Religione 
cristiana, e percorrendo la lunga serie dei tempi proseguire 
il fine della Creazione e della Redenzione rispetto alla 
finale perfezione dell'uomo, È chiaro da ciò qual ampio 
corredo di scienza biblica, storica e morale richiedesi nel 
Lettore delle Sacre Scritture; e ciò che principalmente al 
caso nostro rileva , è necessario che nell'uso di tanta eru- 
dizione sia parchissimo , ben diversa essendo la lezione cat- 
tedratica dell'aula accademica da quella della Chiesa. Quanto 
là possono riuscir belle e convenevoli le illustrazioni apolo- 
getiche ed ermeneutiche, altrettanto qui divengono fredde 
e inopportune ; ma posta in sodo con brevi , chiare e con- 
cludenti ragioni una massima scritturale, fa d'uopo confor- 
tarla senza più coi fatti e colle autorità della Chiesa e dei 
santi Padri, e dedurne a vantaggio altrui le necessarie 
morali conseguenze. A rendere a se e ad altri piii giocondo 
ed agevole il cammino , gioverà spargerlo di qualche fiore 
d'erudizione profana , e d'una certa vivezza di colorito nel 
descrivere e narrare, congiungendo alla faciliti) l'eleganza. 

44. Lezioni Catechistiche , o Istruzioni Parrocchiali sano 
quei discorsi che il Parroco volge dall'altare nei di festivi 
al suo popolo, e che diconsi ancora Spiegazioni del Vangelo. 
E poiché la Chiesa Cattolica nelle sue auguste cerimonie e 
feste dell'anno ricorda ai fedeli i grandi misteri e le eterneve- 
rilà che ne debbono tener viva la fede e infiammare la carità, 
la voce del Parroco vi si unisce, ora mostrando la sanliih 
dei misteri . ora spiegando le Parabole Evangeliche, a fine 
di viemeglio imprimere e rassodare nella mente e nel cuore 
de'popoli i principj religiosi e morali. Dovendo adunque lo 
zelante pastore istruire il suo gregge intorno a ciò che fc 
necessario a sapersi per la vita elcrna , proporgli a nome 
di Gesù Cristo premj o gaslighi immortali , secondo che 



DI H ETTO UIC A 233 
tengasi la via della virlù o del vizio; avvisarlo finalmente 
dei retativi doveri che ne stringono verso Dio e verso gli 
uomini, fa di mestieri di grande chiarezza e semplicità, 
adattandosi unicamente a! grado d'intelligenza dc'paroc- 
cbiani. In somma sia la voce del padre e dell'amico che 
parla al cuore del figliuolo , e la forza dell'affetto sopperi- 
sca all'altezza della dottrina, memore che il divino Maestro 
e gli Apostoli parlavano alle turbe non in sublimitate ser- 
monis (1) , e che tuttavia confusero l'orgoglio della mon- 
dana sapienza. 

42. Porremo termine a questi cenni sulla Sacra Elo- 
quenza col citare alcuni di quelli che ne furono salutati 
maestri e duci , e le cui orazioni nel genere loro possono 
fornirei utilissimi esemplari. I Francesi a buon dritto si 
gloriano dei loro grandi oratori quali furono Bourdaloue, 
Massillon , Bossuel , Flechier , De la Rue e per ultimo il 
P. Lacordaire. I loro Quaresimali studiati con senno e col 
fine d'adornarne, sol quanto si conviene, la Eloquenza sa- 
cra italiana , possono riuscire di non tenue profitto. Del 
P. Segnerì e degli altri che ne fecero fiorire la bella scuola 
in Italia, non ripeterò quanto a suo luogo fu detto per 
l' Eloquenza sacra in generale. Solo credo di dover qui 
notare che nelle Orazioni Panegiriche vanno distinti il Se- 
gnerì , il Pellegrini , e il Canovai , per le Funebri il Bos- 
suet, il Flechier, il Valsecchi , il Giordani, il Contrucci e 
il P. Ventura; nelle Omelie il Turchi ; nelle Lezioni Scrittu- 
rali il Niccolai, il Cesari, il Granelli e Io Zucconi, e nelle Ca- 
techistiche Michele Piano. E qui basti; chè troppo in lungo 
mi trarrebbe il novero di quelli che in sì santa opera poser 
l'ingegno, se io volessi tutti riferire i nomi di quei che vi 
si distinsero. 

Titolo li. - Doli Eloquenza Parlamtmtaria. 

43. V Eloquenza Parlamentaria ha luogo suo proprio in 
quelle adunanze politiche , dove il Senato o i rappresen- 



ti) I ad Cori», c. II , i. 



234 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

tanti della nazione consultano intorno alla cosa pubblica. 
La parola dell'oratore pertanto è diretta a persuadere il 
nobile consesso, perchè deliberi prò o co atra sulla proposta, 
della quale si prendo consiglio. Tal'eloquenza adunque è 
di genere Deliberativo. 

44. Oltre alle regole già. esposte intorno alla oratoria in 
generale, ha la parlamentaria i suoi precelti particolari. 
É primieramente trae la vera sua forza dalla solidità del 
ragionamento. Qui convincere vale quasi persuadere , e 
gli uomini di senno speculativo e pratico non si convin- 
cono declamando, ma ragionando. L'onesto poi sia indecli- 
nabilmente il pernio su cui s'aggiri ogni dimostrazione di 
pubblico bene (1 ) ; perocché tutto ciò che non si conforma 
alle eterne leggi del giusto , non sarà , nò può esser mai 
veramente utile , e tanto meno glorioso; quindi un consi- 
glio non interamente onesto offende la dignità della nazione, 
la probità de'suoi rappresentanti , e disonora chi lo dà e 
propugna. Qual uomo di virtù vorrebbe il luogo di Temi- 
stocle che consigliava cosa soltanto utile, e non piuttosto 
quello di Aristide che rigettava il consiglio , perchè onesto 
non era? lì se non ogni popolo sempre applaude, come 
l'Ateniese , ad Aristide , e segue i Temistocli , la coscienza 
del genere umano, cui pur volevano abolire, se avessero 
potuto, i despoti di Roma imperiale (2) , starà pur sempre 
per Aristide. 

45. Perchè le parole dell'oratore suonino eziandio gravi 
ed autorevoli , fa di mestieri che alla eloquenza et congiun- 
ga fama d'integerrimo, e sia in lui ciò che richiedeva 
Sallustio , Q7iimus in considendo liber. Quando l'onesto e 
probo cittadino persuade o dissuade , è di prova egli stesso 
al suo assunto ; e l'adunanza è mossa a seguirne il consi- 
glio non tanto per le ragioni, quanto per l'autorità dell'ora- 
li Gherone diceva : n In deliberativo aulem Aristoteli placet linei» 

« esse utilitalem , nobis et hoocstalcm , et utili tatem <•. De Inveì. Mei., 
Lib. II. 

(2) Conscienlia generis humani [impera tores) abolere arbitrabaniur. 
Tue, Ann. 



D) RETTORICA 235 
lore. La sua parola poi prorompa da un animo libero e 
franco da lusinghe non meno che da timori , e sia la sua 
divisa: Amicus Pialo, sed magis amica veritas. Cos\ tenendo 
in cima de'suoi pensieri unicamente il vero bene della 
nazione, ascenda animoso la tribuna non senza speranza 
di gloria. 

46. Se non che alle elette qualità dell'animo uopo è si 
congiungano quelle deli' intelletto: scienza somma delle leggi, 
istituzioni e costumanze patrie , profonda cognizione della 
storia, non comune perizia delle discipline morali, econo- 
miche e diplomatiche, sperienza del cuore umano, e sa- 
gace perspicacia nel giudicare delle cose, de' tempi e delle 
persone. Oltre a ciò deve l'oratore conoscere a fondo in 
ispecial modo la materia che imprende a trattare : laonde 
prima ha da esaminare per ogni suo lato la questione, 
ponderarne i principj , misurarne le conseguenze, rilevarne 
le ragioni , antivederne le objczioni , in una parola deve 
padroneggiare il subbictto. E qui calza a capello la sentenza 
di Tullio: a Diccndi enim virlus , nisi ei qui dici t , ea de 
« quibus dicit , percepla sint, exstare non potest o (1). 

47. La tribuna poi se richiede lata e profonda medita- 
zione intorno alle cose , non così intorno alle parole. Un'ar- 
ringa studiosamente preparata può riuscire per lo meno 
inutile, per il diverso corso che può, sènza aspettarselo, 
prendere la discussione. Basterà raccogliere nella mente 
alcuni periodi d'introduzione, e quindi gioverà seguire 
l'ordine delie idee e degli argomenti , secondocbè procederà 
la quistionc. In tal modo la spontaneità delle parole darà 
maggior forza e calore alle cose. Ove peraltro l'oratore s'ac- 
cinga a fare all'adunanza la. proposta di cosa rilevante e da 
discutersi , potrà , aprendosi da se stesso il campo , quasi 
interamente apparecchiare la sua diceria (2); nel rimanente 
poi la via più spedila e sicura è lo studio pieno ed accu- 
rato della materia. Il riandare spesso poi nella mente le 
cose da dirsi per farsele veramente sue e presenti , gioverà 



MI Do Orat., Uh. I, C. 41. 
i2) V. Bum, P. Il, Lez. Iti. 



236 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

assaissimo , massimo ciò praticando ad esempio di Demo- 
stene , per luoghi di clamoroso frastuono. 

48. « Entrale in materia , insegna il Cormenin , con 
a semplicità, non affettando falsa modestia, nè ostentando 
u superbo disdegno. Siate netto , variato , attraente nel- 
a l'esporre, e nell'ordine dei fatti quello si scorga de'vo- 
u stri argomenti. Guardatevi dalle lunghe digressioni; non 
« cercate di dir lutto , ma di dir bene , con chiarezza , con 
k precisione e con forza. Padroneggiale le vostre passioni 
« per governare le altrui; e tende sempre dinanzi al pen- 
tì siero che da'voslri consigli dipende la felicità o la rovina, 
« la gloria o l'avvilimento della vostra nazione n (f). 

19. Chiara distribuzione di parli , stretto nesso di argo- 
menti ed esalto ordine di fatti , ecconc il metodo profitte- 
vole sì a chi parla che a chi ascolla ; profondo convinci- 
mento del proprio assunto e passione veracemente sentita, 
ecco i fondamenti della eloquenza persuasiva , rapida e 
calda, per il nolo aforismo : vivae voces ab imo pectore; 
uno stile nobile, opportuna mente o secondo le leggi del 
decoro , adorno di vive e gagliarde figure , svariato nella 
struttura de' periodi, di elocuzione piana, franca e senza 
ricercatezza elegante , congiuntamente ad un'azione facile 
e dignitosa , ecco i pregi che rendono compiuta questa elo- 
quenza non di rado si prepolente nella vita delle nazioni. 
Le arringhe di Demostene agli Ateniesi , e di Cicerone a! 
Senato e al Popolo sono i sommi esemplari di questa nobi- 
lissima arte. L'Inghilterra e la Francia a ragione vantano 
^non pochi oratori pubblici di splendida rinomanza, e l'Italia, 
massime per la forma, vanta i suoi nel Bembo, nel Gui- 
diccioni , nel Nardi, nel Cavalcanti, e principalmente nel 
Casa per la sua stupenda orazione delta nel senato vene- 
ziano per la lega contro Carlo V, la quale sembra al Forna- 
ciai piena di dcmoslenica eloquenza. 

(1) Siili); sulla Eloq. Partam., del sig. Cormehin , Firenze 1841. 



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1)1 I1ETT0RICA 



237 



Titolo 111. — Dell Eloquenza Forenu. 

50. Eloquenza Forense dicesi quella che si usa nel fóro 
dinanzi ai giudici a difesa o ad accusa , e però gli antichi 
la chiamarono di genere giudiziale, siccome quella che nei 
giudizi delle cause civili e criminali ha per fine speciale la 
giustizia e 1' equità. Per questa pure vengono dai relori as- 
segnate alcune regole particolari. 

51. a 11 fine, dice il Blair, onde si arringa nel fóro e nelle 
« pubbliche adunanze politiche, comunemente e diverso. In 
« queste il grande oggetto è la persuasione, in quello il 
-( convincimento. L'ufficio dell'avvocato non ò il persuadere 
« a' giudici quello che è buono e vantaggioso , ma il dimo- 
« strare quel che è vero e giusto; e per conseguenza non al 
« cuore, ma all'intelletto soltanto, o almeno principalmente, 
« la sua eloquenza e diretta » (1). Quindi a ragione osserva 
esserne assai più ristretto il campo, dovendo per lo più con- 
tenersi entro la cerchia delle leggi e degli statuti, dove non 
solo non può aver luogo l' immaginazione o l'affetto, ma po- 
trebbe eziandio riuscire pregiudicevole, adombrando per 
avventura i giudici , non forse l'oratore cercasse di sopraf- 
farne l'animo colle destrezze dell'arte, non potendo colia so- 
dezza delle ragioni vincerne l'intelletto. Non per questo 
resta affatto preclusa all'oratore forense la via del cuore; 
perocché ov'egli abbia con valide ragioni di diritto e con 
prove non dubbie di fatto, poste in sodo la giustizia e la 
verità della sua causa, non vedo come nuocer gli debba 
ima conclusione gagliarda e commotiva, a fine dì renderne 
l'esito più certo e più completo. 

52. E per questo lato una troppo stretta imitazione 
delle orazioni giudiziali di Demostene e di Tullio, sarebbe 
non dirò inopportuna, ma pressoché ridicola. Quanto profit- 
tevole ne riuscirà sempre lo studio nella finezza degli esordj. 
nel porre saldamente la questione, nella deslerilà delle nar- 
razioni, nella compatta maniera dell'argomentarej nell'aggi li- 



ti) Pari, II, Lez, IV. 



235 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

slatezza del dire, altretlanto ma! atto esemplare sarebbero 
nella parte commotiva ; tanto diverse da quelle degli anti- 
chi sono le forme de' moderni giudizj. Si sa che nei tribunali 
d'Alene e di Roma sedevano numerosi i giudici, e dicesi che 
contro Socrate votassero 280, e che 51 fossero nella celebre 
causa di Milone ; laonde quelle potevano dirsi vere adu- 
nanze, e ben vi si addiceva quell'eloquenza animata che per 
la via del sentimento si studia d'insignorirsi dei cuori per 
trarli a sensi di compassione e di mitezza. Ora ben ristretto 
è il numero dei giudici; quindi a grave rischio porrebbesi 
di esser beffato colui che colla pompa della eloquenza in- 
fiammata di Tullio si sforzasse di eccitarne le passioni a 
prò della sua causa. 

53. Nel fóro pertanto ora richiedesi quell'eloquenza che 
principalmente mira al convincimento, e le doti che meglio 
distinguono l'avvocato sono : profonda ed estesa cognizione 
dello leggi, acutezza di discernimento e soprattutto probità, 
essendo verissima l'osservazione di Quintiliano che per 
questa non sludium advocali videatur afferre , sed pene testis 
fìdem[\). Deve inoltre studiare per ogni suo Iato la questio- 
ne, esaminare con somma diligenza i fatti e i documenti , 
ed accuratamente ricercare nel lesto della legge, e ne'suoi 
interpreti il saldo fondamento delle proprie ragioni. Arroge 
a ciò quel conversare paziente che Cicerone adoprava coi 
suoi clienti, e che come grandemente proficuo, raccomanda 
eziandio agli altri. Son uso , ei dice , star col cliente a quat- 
tr'occhi, perchè m'informi di tutto per filo e per segno; 
io sostengo le ragioni dell'avversario , perchè egli sostenga 
le proprie come sa meglio, chè ciascuno in causa propria è 
sempre eloquente; andatosene, peso pacatamente le ragioni 
prò e contro, e fo da avvocalo, da contradittorc e da giu- 
dice. Quindi conclude : cum rem penitus, causamque cognovi, 
statim decurrit animo , quae sii causa ambigui (2). 

54. Investigalo che ha l'oratore forense con questi ed 
altri simili modi lo sialo della questione, vuoi di diritto, 
-irjWthfi .■■m:>'.-v, U-?L.'.:->ii c'J.-nnH» eft9!WÌOS?B!W 



(1] Llb.IV, C. I. 

&) De Orai., Lib. II, C, 2i. 



di rettorica' 239 
vuoi di fallo, o come gli amichi dicevano : siine, quid sìt: 
an factum sii, an jure, quo nomine, e conseguentemente sta- 
bilito nell'animo ciò che 6 da dire, resla che si occupi della 
forma. E primamente fa di mestieri di fino accorgimento 
nell'esordio, per disporre fino dalle mosse gli animi dei giu- 
dici a docilità e benevolenza, giovando a ciò quel colore di 
nobile modestia che nasce da animo ingenuo e da sicurezza 
della propria causa; rimuovere con bella destrezza ogni 
sfavorevole preoccupazione; mostrarsi sommamente fidenti 
non solo nella sapienza e dottrina dei giudici, ma ancora 
nella loro integrità e giustizia. Di siffatti esordj è Cicerone 
un perfetto esemplare. 

55. Fermato l'assunto, e posto lo stato della questione, 
è ufficio dell'oratore informare i giudici di tutto ciò che 
risguarda il diritto o il fatto. E qui ò da avvertire che la 
narrazione deve avere verisimiglianza, chiarezza e brevità. 
Molto rileva questa parte dell'orazione, da cui ben d'ordi- 
nario dipende l'esito delia causa ; per lo che molto senno 
richiedesi nella scelta delle circostanze a fine di distinguere 
le superflue dalle opportune, ancora che minori elle sieno, 
sopprimere le pregiudiciali , o non potendolo, attenuarle 
con sottile velatura, senza offesa del vero, tutte disporli; 
con distinto ordine, perchè offrano la immagine del fatto 
chiara e scolpita , e tale nell'animo dei giudici rimanga. 
Guai se in tutto ciò trasparisce un'ombra anco leggiera di 
inverosimiglianza ; questo sarebbe il tarlo che trarrebbe 
tutto l'edifizio a certa rovina. Finalmeate la parsimonia 
delle parole, oltre a produr chiarezza, giova a tener viva 
senza tedio l'altrui attenzione. Le narrazioni tulliane sono 
per ogni lato degne di studio e d'imitazione; tra le quali 
stupenda è quella della Miloniana. 

56. Dopo di che l'Oratore suol venire alle prove. Ed ecco 
il campo ove gli conviene trattare le armi della sua scien- 
za; qui , come Cicerone parlando di Cotta diceva : a haeret 
a in causa semper; et quid judici probandum sii , cum 
o acutissime vìdit , omissis celeris argumenlis , in eo men- 
« lem, orationemque defigit » (4); e a tal fine svolgendo 

;i. De Q.-ju, lib HI, e 10. 



DigiiizGd &/ Google 



240 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

per ogni lato la questione, allega e leggi, e decisioni, e de- 
creti, e islrumenti, e patti, e convenzioni, c la buona e mala 
feile delle parti, e quanto insomma gli approda, finché con- 
fermando, spiegando, confutando, strìngendo, non s'avvisa 
d'aver ogni dubbio dilegualo dall'animo dei giudici, ed avervi 
indotto un saldo e ragionevole convincimento. 

57. E poiché le cause giudici ali altre sano civili i altre 
criminali; in quelle si difende o. si oppugna un diritto, in 
queste si accusa o si difende alcuno d'un fallo , i retori 
hanno indicato per !e linee perle altre alcuni fonti parti- 
colari d'argomenti. Quanto alle cause civili, ben sanno i 
giureconsulti che il diritto si fonda o sulle leggi e sugli statu- 
ti, o sulle consuetudini, sulle prescrizioni, o sui privilegi ce.: 
laonde quando ne prendono le difese , ne mostrano per que- 
sic vie l'esistenza e l'autenticità : se lo combattono , negano 
l'una e l'altra con prove contrarie. E questo sei sanno i giu- 
risti senza che i retori ne siano loro i maestri. Piii opportuni 
riusciranno per avventura i costoro insegnamenti intorno 
alla cause criminali. L'accusatore pertanto deve, secondo 
che a ragione essi dicono , provare l'accusato essere vera- 
mente reo dell'appostogli delitto, traendone le prove o da 
ciò che dicesi corpo del delitto , quali per l'omicida sono le 
armi o le vesti intinte di sangue; per il ladro le coso deru- 
bate o gli arnesi del mestiero; o dal deposto dei tcstimonj , 
o dalla confessione del reo. In difetto di tali prove, possono 
sopperirvi quello d'indizio o di congettura, onde lo stato 
della causa dicesi congetturale; le quali pure Iraggonsi da- 
gli antecedenti , dai conseguenti e dalle circostanze; final- 
mente dimostrando niun altro aver avuto sì farle mo- 
tivo al malelkia, niun altro sì grande e si opportuna la 
occasione. Piacenti qui riportare l'esempio di causa congettu- 
rale , siccomu ritrovasi nella Kellorica ad Erennio: t Aj'i.r 
■■■■ in Silva , poslquam rcscivil iptae fccisset per irisaniam , 
" gladio ùteubit. t lysses inlerveuit , ocasum coiispicatur , 
» c carpare telum erneutum educit. Tcucer intervenit , cwn 
d fralrem occisum , et ìnimicum fratn's cum gladio cruento 
'• viitet, capiti* arecssit » [V,. Dopo provato il fatto, deve 

(1) Ub. 11. 



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DI RETT0H1CA 241 
l'accusatore rilevare la natura e gravila del delitto , e qual 
pena la legge prescrive, 

58. Il difensore a rincontro rimoverh dal suo cliente 
l'accusa , dimostrando essere tale il delitto che troppo si op- 
poneva alla sua ìndole ed alle sue note abitudini ; che per 
consumarlo gli mancavano affatto le forze ; che in lui man- 
cava la causa impellente ; finalmente ( c questo è decisivo ) 
che egli all'ora del commesso delitto trovavasi aìtrove. Quando 
non possa negare il fatto, o porlo almeno in dubbio, si sludii 
d'attenuarlo nelle sue circostanze, attribuendolo, ove si tratti 
d'omicidio, o al caso, o a un tratto d'imprudenza o d'ira ; 
o meglio ancora a ciò che chiamasi incolpata tutela , come 
fe' Tullio per Milone; in ogni caso indebolendole prove, o 
col mostrare troppo arrischiate le congetture, o deboli o con- 
tradittorie, e perciò false le deposizioni testimoniali. Dalle 
quali cose si fa manifesto quanto sia sacro l'ufficio dell'avvo- 
cato, dipendendo da esso le sostanze, l'onore, la libertà e la 
vita dei cittadini. Del resto guardisi , secondo l'avviso di 
Quintiliano, per quanto sa e può, dall'accettare cause aper- 
tamene ingiuste ovvero odiose; e strettovi dall'ufficio, si 
studii di porre in accordo la voce della umanità con quella 
della giustizia, perchè non paja che l'arie sua sia di schermo 
ai tristi ed ai ribaldi a danno degli onesti e dei dabbene. 

59. All'ampio corredo della scienza legale , all'acutezza 
dell'ingegno, al caldo amore por il giusto, per il vero e 
per l'onesto congiunga l'oratore forense la splendidezza delle 
forme, e da queste le altre egregie sue doti riceveranno 
tutta la loro forza , vivacità e rilievo. L'eloquenza del foro 
suole , e forse non a torto e non senza suo danno, appun- 
tarsi di verbosità; questa adunque fa di mestieri a lui l'uomo 
fuggire, e a ciò gioverà sommamente l'accurato studio dei 
grandi oralori, storici e poeti; l'assiduo e diligente eserci- 
zio del comporre negli anni del tirocinio; e principalmente 
farsi una legge di non dire più di quello che la causa ri- 
chiede. Si studii pertanto la proprietà e la precisione, gran 
parte della chiarezza; s'adoperi uno siile placido e tempe- 
rato, e talvolta condito d'opportuna erudizione a rattempe- 
rare l'aridità delle materie, e ove ben torni , anche di qual- 



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242 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

che piacevolezza a esilararne la serietà. L'elocuzione sia fa- 
cile e piana , e anch'essa sobriamente abbellita dei fiori più. 
modesti della immaginazione. Nè anco disconviene all'ora- 
tore forense un certo grado di calore nell'arringare , e per- 
chè è argomento della convinzione della sua causa , e per- 
chè nell'arringo scese campione della giustizia e della verità, 
acciocché non gl'intervenga come a quel M. Callidio che 
freddo freddo sponeva una sua accusa, di sentirsi ripetere 
con Tullio: « Ari tu, M. Callìdi, nisi fingeres, sic ageres? 

E qui basti dei componimenti in prosa. 



PARTE TERZA 



DELLA POESIA. 
INT R 0 DOZION E . 
§. I. Origino e progressi dalla Poesia. 

1. La Poesia fu presso gli antichi popoli tenuta maisem- 
pre in voce di cosa celeste , e saeri furono delti i poeti. 
L'inno alla divinità, la canzono alla patria ed a'suoi eroi, 
l'epicedio agli estinti furono i primi slanci dell'anima sulle 
ali dell'immaginazione e del sentimento, e cosi nacque la 
Poesia. Quindi non cerimonia religiosa , non festa o sven- 
tura pubblica senza il canto del poeta ; e questi dicevasi 
caro al nume , e invaso del suo sacro furore , ed egli slesso 
rapito da incognita forza lo credeva , e andava ripetendo : 

« Est Deus in nobis; agitante calescimus ilio ». 

2. E Dio veramente era ne'poeti Ebrei, che per raggio 
divino vedevano le cose avvenire , ed impirati quelle canta- 
vano , ond' ebbero nome di veggenti e di vati. Mosè, legislatore 
e duce, da magnifica idea del sublime di Dio, e ne dipinge la 
onnipolenza nell'enfatico Cantemus (4). David, re e Salmi- 
sta sposa alle note dell'arpa il canlo della magnificenza , della 
pietà, dell'ira d'Iehova, e del suo santo entusiasmo l'anima 
ti riempie. Geremia, di slirpe sacerdotale, piange sulle rovine 
della patria, e quel pianto ti spreme lacrime generose dal 
ciglio. Ezeccbiello, sangue di sacerdoti pur esso, ti rapisce 
nell'infinito per le sue stupende visioni, e ti ricolma di 

H) Exod, C. XV. 



244 DELIE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

maraviglia terribile e sacra. Isaia della casa di David, ap- 
pellato da Dio stesso Profeta grande (Ecdes. C. XLVHI, 25), 
non ha pari in grandiosità e in robustezza. Ma il canto 
profetico desìi Ebrei taceva sulle sponde de'fiumi Babilo- 
nesi; pendevano dai salci le arpe, perchè lungi dal tempio 
e dalla patria, non doveva nella terra straniera risonare 
che il pianto [Sai CXXXVl, 1, 2). Così la Poesia, la vera 
figlia di Dio , stette appo gli Ebrei tra il vestibolo e l'altare. 

3. Appresso i Gentili per quella alterazione del vero, la 
quale sì spesso riscontrasi nei principj delle loro teogonie, 
esageratasi l'idea d'inspirazione divina, i loro primi poeti 
furono tielli prole di numi, e si venerarono come figliuole 
di Giove le Muso. L'egizio Ermete, l'indiano Manu , il trace 
Orfeo, il teba.no Annone, i greci Lino e Museo furono sa- 
cerdoti e poeti: o tenuti come d'origino celeste facilmente 
furono capi e dirozzato™ di nazioni, e nei loro versi le leggi, 
nei loro inni la religione conipendiavasi. Iu versi pure si 
rendevano i pretesi oracoli sibillini; coi versi s'eccitava il 
coraggio guerriero e si consacrava il trionfo o la morte degli 
eroi; coi versi dei poeti gnomici infine vilae monstrata via 
est [Or. A. P. v. 41(4). Vennero le età piti civili, e la Poesia 
si alzò per Omero e per Pindaro allo splendore della gran- 
dezza nazionale. Ma poiché per Anacreonle ritrasse le vo- 
luttà d'una raffinala mollezza, di vergine pudibonda apparve 
putta sfacciata. Così a grado a grado venne meno per essa 
la venerazione de'popoli, e fu in nome della filosofia da 
Platone sbandeggiala. E come nella Grecia, così nel Lazio. 
Sulle prime grave ed austera per Ennio, di poi nobile e 
maestosa per Virgilio, e pei tempi schiva, quanta più. sa; 
por Orazio passa con continua vicenda dal tempio alla su- 
burra , e dalla suburra alla reggia, finché diviene quale 
fu in ultimo nella Grecia. 

4. Tuttavia sì rigenerò col Vangelo, e gì Itati da se i 
fiori e i lisci, rientrò nel tempio, e colla fede nel cuore 
sciolse la voce all'inno sacro. Dipoi, sorta una nuova civil- 
tà, ne assimilò l'elemento cavalleresco, clic bandiva l'onore 
della religione e della donna, e dell'una e dell'altra cantò 
nell'entusiasmo della fede e dell'amore. Quindi educata dal 



DI RETT0R1CA 2i5 

portentoso ingegno dell'Alighieri seco levossi a tal volo che 
non mai il maggiore; e pei tre regni della vita futura s'in- 
nalzò lino al trono inaccessibile di Dio. Ma non andò guari 
che smarrite le orme di tanto maestro, e ristabilitosi il 
regno delle arti antiche, si riadornò della greca splendidezza, 
e comecché si studiasse ancora di nascondere sotto velo 
pudico un amore ridivenuto terreno, tuttavia ne traspariva 
la cambiata indole. Accolta nei palagi signorili si compo- 
neva ora allo scherzo, ora all'adulazione, e se con Torquato 
rientrava nel tempio, col cuore era pur sempre alla corte. 
Fuvvi tempo che vaga di stranezze e di follie, parve in 
delirio, quando quasi vergognandosene, tentò di sollevarsi 
a virile grandezza , ma non era che una abbagliante appa- 
renza. Finalmente per buona ventura alcuni eletti ingegni 
luit' inlesi a far rifiorire la vera poesia, si studiarono di ri- 
temprarla alla scuola del gran padre Alighieri, onde novel- 
lamente rinvigorita riprese a cantare di Dio e della Patria, 
e in tal guisa cercò di ridestare amore per sè e per l'an- 
tico maestro. Se non che talora avida di novità svolazza 
per regioni non sue; e per un cerio tal vezzo d'imitazione 
ama di aggirarsi avvolta in aerea caligine, tra le ombro 
dei sepolcri, trattar pugnali, veleni ed altre tristizie e ma- 
linconie, e in un baleno passare dal gemilo alla maledizione. 
Ma la luce che brilla ogni di piìi viva dalla fronte dell'Ali- 
ghieri, alla perfine le persuaderà che nel cielo d'Italia esso 
è pur l'astro 

« Che mena dritto altrui per ogni calle » 

C i). 

c per esso ritornala quandoebessia degna della sua origine, 
ridiverrà qual'era , maestra e duce dei popoli e delle nazioni. 

g. 9. Natura della Poesia. 

5. La Poesia è l'arte d'esprimere in versi tulio ciò che 
l'anima senlee crea, a fine di megliorar l'uomo commoven- 
dolo e dilettandolo. 



246 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

6. Gli elementi ne sono, come ben nota il Foscolo, le 
immagini, la passione e lo stile (1). La imitazione, madre 
delle arti belle, n'è la regola suprema, e la bella natura 
n'è il tipo; se non che il gusto deve guidare l'occhio e la 
mano nello scegliere e nel penne! leggiare ; perocché avvi tal 
vero che è morte della poesia. La passione poi dà spirito 
e vita alle immagini della fanlasia, e la parola le incarna 
e le colorisce. 

7. Fu detto che i poeti nascono, ed è cosi veramente; 
ma non per questo deve inferirsene che la natura faccia 
lutto per essi, sì che nulla resti da fare all'arte. Difatto 
quella facilita d'intelletto, quella prontezza di memoria, 
quella vivacità di fantasia, quella squisitezza di sentimento, 
che costituiscono l'ingegno poetico, e quell'aura quasi di- 
rei divina, che investe il cuore e la menle del poeta, 
nascono senza fallo con esso; ma se l'arte non può dar 
tali doli, le invigorisce però e le perfeziona , e secondando 
la natura ne agevola l'uso, e le dirige a meta piùcerla. 
Per la qual cosa anche Cicerone dopo aver detto: a Poetam 
a bonum neminem sine inflammatione anìmorum exsistere pos- 
m se, et sine quodam afflato quasi furoris » (De Orat. L. Il), 
soggiungeva: « At cum ad naluram eximiam et Ulustrem 
« acccsserit ratio quaedam , conformatioquc doctrinae , 
e tum illud nescio quid praeclarum ac singulara exsistit ». 
« (Pro Areh. Poe.) ». E poi, come ben nota lo Zanotti, che 
sono mai le regole dettate da Aristotele sino a noi sulla 
Poetica, se non ciò che è stalo osservato alla natura con- 
forme? cosicché trovatele quali erano nel fondo della 
natura medesima, i maestri le significarono altrui, e ne 
fecero un'arte, a cui chi non obbedisce, non obbedisce alla 
natura (2). Dunque l'arte non è, come vorrebbesi far cre- 
dere, una tiranna, nè i suoi precetti le si temute pastoje, 

H ) Discorso sull'Origine e ufficio della Letteratura. 

l2i <■ È chiaro, dice lo stesso Zanolli, che qui vuoisi intendere dei 
■ precelti generali, e non di quelli particolari che non hanno per ra- 
« gione l'uso, il quale variando , fa che questi pur varino b. Sull'Art. 
Poet. Ragion. I. 



DI B ETTORI Ci 847 
ma sono redini che salvano dai precipizj, e menano per 
più sicuro cammino, eia storia della Poesia d'ogni età e 
d'ogni nazione cene rende testimonianza. Diasi, che è ben 
ragione, alla natura il primato; ma non si ricusino i consi- 
gli dell'arie, perocché, siccome ben nota un moderno valente 
critico, conosciamo nella a letteratura italiana lodali scrit- 
« lori di versi e di prose che riuscirono tali colì'arle, e con 
« ricca vena ; ma con ricca vena e con arte scarsa nes- 
« suno ». 

In somma persuadiamoci della verità di quel gran ca- 
none cui stabiliva il Venosino , or fa venti secoli , ripetuto 
quale oracolo da quanti furono sapienti nell'arie , e che mi 
giova di qui porre a suggello: 

« Natura fieret laudabile carmen , an arte , 
« Quaesitum est; ego nec studium sine divite vena, 
« Nec rude quid prosit video ingenium : alterius sic 
a Altera poscit opem res , et conjurat amice ». 

Mrt. P. v. 408). 

8. Lo stesso Orazio insegna: 

h Aut prodesse volunt, aut delectare poelae , 
« Aut simul et jucunda et idonea dicere vitae ». 

[Ivi, v. 333j. 

e conclude. 

« Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci, 
a Lectores delectando , pariterque monendo ». 

[JM, v. 313). 

Sul che primieramente è da nolare che non intero consegue 
il fine della poesìa colui che canta solo perchè altri dilet- 
tisi : l'utile vuoisi temperato al ditello, e l'ufficio del poeta 
allora soltanto può dirsi compiuto. Si vide essere stata la 
poesia ministra di religione e di civiltà , e i popoli venerarla 
come cosa divina ; il richiamarla adunque a'suoi principj è 
opera di civile sapienza , e mezzo certissimo, perchè venga 
riposta nell'antica onoranza. Ecco perchè doveva Orazio chia- 



g48 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

mare ciance canore que'versi che vuoti erano di concetti , e 
il Foscolo dire : 

« Odio il verso che suona e che non crea ». 

Ora che dovrem dire di chi prostituisce al favore e all'oro 
la Poesia , o la vitupera in cantar laide e scouce cose, onde 
il pudore arrossendo rifugge? tristo abuso d'ingegno e la- 
crimevole violazione di santissima cosa ! Intera lode adun- 
que conseguirà il dettatore di versi, quando leggiadri per 
abito gentile e per soave armonia, li congiungerà a dicevole 
dottrina, seguendo meglio che sa l'insegnamento dell'illustre 
Muratori: * dovere la Poesia com'arte imitatrice dilettare, 
<r com'arte subordinata alla mora! filosofia, istruire (1) n. 

9. A raggiungere pertanto il duplice fine dell'arte sono, 
come scriveva Bernardo Tasso al Davila , necessarie al poeta 
tre parti principali, invenzione, disposizione, ed elocuzio- 
ne (2). Laonde prima di tutto gli è d'uopo sceglier con senno 
argomento a'suoi versi alto allo scopo , ai tempi ed al pro- 
prio ingegno ; lavorarvi sopra con tutte le forze dell' intel- 
letto e della fantasia per discoprire le parti più elette della 
materia; disporne in bello e lucido ordine le parli mede- 
sime ben tra loro proporzionate e corrispondenti ; quindi 
svolgerle ed csornarlc con copia di concetti, d'immagini e 
di sentimenti , secondochè spontanei dettano e la mente e 
il cuore , ognora mirando per diretto o per obliquo a in- 
gentilire gli uomini inspirando loro l'amore d'ogni leggiadra 
virtù , e ritraendo!! da lutto ciò che men nobili e men pii li 
rende. Spargerà quindi dolce diletto nell'anima, se renderà 
piìi belle le immagini sue colle grazie vereconde del linguag- 
gio poetico e colla ben temprata armonia del verso, di forma 
che il vero si piacevolmente condito , allettando, come dice 
Torquato, anco i più schivi, oe li renda altresì persuasi. 

40. E poiché gran parte del diletto deriva appunto dal 
linguaggio poetico, non sari» fuor di proposito il dirne al- 
di Balla Perf. Poesia. 
(2) Race, di Leu. di. p, )8i. 



W RETT0R1CA 249 
cuoa parola. I Greci si ebbero una elocuzione per la prosa, 
un'altra per la poesia, onde Tullio parlando de'loro poeti 
diceva: alia prope lingua locuti videntur. I Latini ne segui- 
rono l'esempio, e i sommi poeti italiani lo imitarono, seb- 
bene ora altro s'insegni e si faccia da certi moderni Ari- 
stoteli e Maroni ; perocché tutti erano persuasi che l'arte, 
l'ufficio e il fine del poeta dipartendosi da quelli del pro- 
satore, doveasene anco il linguaggio dipartire. Per la qual 
cosa fa d'uopo che il poeta sia veramente signore della sua 
favella , perchè sappia conoscerne tutte le proprietà , distin- 
guerne le più elette bellezze , convenientemente adoperarle, 
e sceverare con senno le voci e le forme poetiche dalle pro- 
saiche. GÌU a suo luogo mostrammo come la retta forma- 
zione e l'uso della metafora , fonte d'evidenza e di splen- 
dore, conferiscono ad aggiungere un carattere d'eleganza 
tutta propria della poesia. Conviene inoltre leggiadramente 
adornare un tal linguaggio delle squisitezze declassici greci', 
latini ed italiani , e convenevolmente adoperare la metoni- 
mia , la sineddoche, l'iperbole, la perifrasi e quale altro 
ornamento fornisce l'elocuzion figurata; nobilitare con forme 
nuove e gentili i concetti e le immagini trite o comuni , e 
troppo per se stesse umili; spargervi opportunamente e 
senza sazietà epiteti pittoreschi e significativi , e finalmente 
all'armonia generale aggiungere a tempo e luogo eziandio 
quella particolare cui dicemmo di espressione. 

H. Importa poi assaissimo por mente al genere di poesia 
che trattiamo , a fine di dare a ciascuno il suo proprio co- 
lore, conciossiachè la poesia lirica ammetta arditezza di 
traslati e di figure ; l'epica voglia elocuzione magnifica ed 
illustre : la tragica richieda severità , e via discorrendo ; 
quindi conviene studiosamente guardarsi dal confondere 
l'un genere coll'altro , adoperando a mo' d'esempio nella 
poesia drammatica metafore e locuzioni solo dicevoli alla 
lirica , e viceversa ; lo che in pittura direbbesi stonare. 
Finalmente chi aspira ad esser salutalo poeta dell'età sua 
e delle future , non riponga l'arte nel miniare concettuzzi 
e vocaboli , ma si nello scolpire sensi ed immagini, e fa- 
cendosi succo e sangue della sostanza poetica dei grandi 



350 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

maestri che furono i Greci, i Latini, l'Alighieri, e pochi altri 

della bella scuola, sentirà pur esso nell'anima lena bastante 

« Forti cose a pensar , mettere in versi- ». 

\Purg., C. XXIX). 

g. 3. Delle Transizioni. 

12. Tra i principali artifizj onde la poesia acquista quel- 
l'ardore ed impelo suo proprio , e che dalla prosa si la di- 
slingue , è, come insegna l'illustre Kiccolini fi), l'accorto 
uso de' trapassi , o com'ora dicesi, delle transizioni. Con- 
sistono queste in ceni modi nuovi, varj e inaspettati onde 
si collegano i. periodi e le sentenze , scostandosi da quel- 
l'ordine logico che tiene là prosa nella connessione de'suoi 
antecedenti coi conseguenti. Il difetto di siffatte transizioni 
rende languida e fredda la poesia, e facilmente le dà sem- 
bianza di prosa. Se non che difficile assai n'è l'artificio, 
dovendo il trapasso farsi con naturale disinvoltura, e richie- 
dendo facile il- ligamento, chè ove sia troppo ingegnoso, e 
non nasconda ben l'arte , addiviene una sconcia deformità. 
Di queste finezze poetiche sono egregi maestri i classici 
antichi , e più di tutti la vera inspirazione del genio. 

13. 11 sopraccitato autore insegna inoltre potersi in due 
maniere continuare in poesia il discorso , e formarsene le 
connessioni, colla progressione cioè e colla egressione. La 
prima si fa mercè dell'amplificazione, dell'antitesi e talvolta 
della ritrattazione ; la seconda ricorre alle esclamazioni , 
alle apostrofi , alle similitudini , alle visioni e ad altre sif- 
fatte ligure ; quella e comune anche alla prosa , e in poesia 
l'uso vuol esserne più sobrio; non cosi dell'altra. Quale ne 
sia l'effetto vedasi ne'seguenfi esempj , dove sditesi l'una e 
l'altra maniera : 

. « Esoriare aliquis noslris ex ossibus ullor, 
« Qui face Dardanios ferroque sequare colonos. 



11 J Delle Transizioni in poesia, lezione eo. - Ediz. cil. v. Ili, i>. 221. 



DI RETT0B1CA 251 
a Nane, olim , quocumque dabunt se tempore vires, 
« Litora liloribus contraria, flucLiuus undas 
« Imprecor , arma armis, pugneut ipsique nepoles ». 

iAen., Lib. IV). 

e La casa di che nacque il vostro fleto , 
« Per lo giusto disdegno che v'ha morii , 
a li posto fine al vostro viver lieto, 

« Era onorata essa e i suoi consorti. 
« 0 Buondelmonte , quanto mal fuggisti 
« Le nozze sue per gli alimi conforti! 

« Molli sarebber lieti, che soh tristi, 
« Se Dio t'avesse conceduto ad Ema 
« La prima volta che a città venisti ». 

I Farad. , C. XVI ). 

$. 4. Del Melrtr. 

M. Grandissima parte poi del diletto che viene dalla 
poesia, nasce dal verso; laonde il Metastasio dubitava che 
senza questo fossevi poesia , e Goethe voleva che si trat- 
tasse in versi tutto ciò che e poetico; e veramente e i 
Greci e i Latini, e bene spesso anche gl'Italiani scrissero 
in versi non che altro , le stesse commedie. 11 Sannazzaro 
introdusse nella sua Arcadia la prosa poetica, esempio, per 
quanto io mi sappia, restato lunga pezza senza imitatori. 
I Francesi, tra'quali il primo tu Fénéìon, l'usarono e l'usa- 
no, e bene sta per quei che hanno lingua meglio alla prosa 
disposta; ma a quei popoli a cui dedit ore rotando Musa 
loqui , grandemente disdice spogliare del verso la poesia, 
■della quale è il più amabile fregio; e ciò non tornerebbe 
loro a lode, ma sarebbe indizio di smarrito sentimento poe- 
tico. Volere o no, la poesia è un canto , e il canto vuole 
ordinata misura. La rima è ornai la prerogativa del verso 
moderno , e ne chiami pure il Gravina grossolana , e come 
dovuta a' tempi di rozza barbarie, la invenzione (1); ed 



Hi Ragion Poet., Lib. U. 



252 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

eco puerile ed inetto la dimmi il Gargallo, benché la ri- 
spelli, siccome consacrata dall'uso (1) ; tuttavia meglio ne 
giudica, a parer mio , il Niccolini , dicendo; « esser quella 
« che pone in armonia le parti d'un componimento , accre- 
<t sce valore al suono , dà colore alle parole , e ridestando 
« una sensazione passata e creando il desiderio d'una nuo- 
« va, si rivolge ad un tempo e alla memoria e alla spe- 
li ranza (2) ». E se mal non avviso , verranno non pochi 
nella sentenza dell'illustre poeta. Se non che la rima è 
d'ornamento al verso, quando vi cade facile e spontanea; 
è deformità , se sbalestra e non imbrocca bene il segno, e 
vi apparisce arie o sforzo. Ella deve obbedire qual docil 
destriero , c obbediente l'avrai mercè d'un lungo esercizio; 
se poi questo non li vale , e quella li si serberà tuttavìa 
ritrosa e schiva , e tu rinunzia a far versi , invita Minerva, 
nec auspice Musa. 

<5. V'è, dirai, il verso sciolto che francato dal fastidioso 
freno della rima, lascia libero il volo agli slanci della fan- 
tasia. È verissimo: ma donde avviene che versi sciolti ne 
abbiamo assai, pochi de'bellissimi? diffìcile più che non ere- 
desi è tal sorta di versi , perchè sostenuti senza gonfiezza e 
naturali senza bassezza non meritino al loro aulore qualcuna 
di quelle sante frustate che il Barelli accocca ai Versi- scrollai. 
Ove tu lì appigli pertanto agli sciolti, ricordali che richiedono 
un'artificiosa e delicata struttura negli accenti, nelle pose, 
ne'ligamenti e nelle spezzature, s\ che ne resulti un'armo- 
nia svariala, or grave, or tenue, sempre accomodala al 
periodo, all'espressione ed all'orecchio; tutte cose facili a 
dirsi, ad ottenersi poi hoc opus, hic labor est. Di grande 
soccorso però ti sarà la lettura diligente ed accurata degli 
sciolti del Parini e del Foscolo , e delle traduzioni epiche , 
per le quali il verso sciolio è preferibile al rimato, del Caro, 
del Monti, dì Andrea Malici e d'alcun altro che va per 
la maggiore. 



U] Proem. alla Tradux. £ Oro zio. 
12) Op. cit. 



DI RETTO RICA 



253 



g. S. Dei Classici e dei Romantici. 

16. Dopo accennato quanto parve opportuno intorno alla 
natura, fine e mezzi della poesia, gioverà quasi a comple- 
mento della generale trattazione del subietto dire alcuna 
cosa intorno al Romanticismo che al vanto ambisce dì scuola 
novella in poesia (1). S'arrogano il nome di Romantici coloro 
i quali poetando sdegnano ogni regola d'arte ed ogni auto- 
rità d'esempio, proclamando il principio della ragione come 
l'unica norma in letteratura; che smaniami pel medio evo 
fanno loro delizia il melanconico, il tetro, lo strano, l'orri- 
bile, il deforme; che ora seguendo della Bibbia ardimenti 
e locuzioni, affettano il sublime; ora tutt' intesi in minuzie 
strisciano al suolo ; che sdegnosi d'ogni più. lieve allusione 
mitologica, ammettono poi i Genj, le streghe, i vampiri ed 
altri simili enti immaginari; che schiavi di ciò che essi 
chiamano materialismo dell'arte, si avvolgono in metafisiche 
astrattezze ed in immagini sfuggevoli ed aeree che, al dire 
dell'Arcangeli, non tramandano che luce fosforica, senza 
calore; arroge confusione di lutti gli stili come di tutti i 
metri; elocuzione ingioiellata di metafore tumide o false, 
lardellata di forestierumi, mista di poetico e di prosaico, 
di nobile e di plebeo , perchè, e'dicono, così meglio imitasi 
la natura. - Si usa al contrario di dar nome di Classici a 
coloro che schiavi delle leggi aristoteliche , e idolatri d'ogni 
autorità, si fau coscienza di dar passo fuori delle orme 
de'loro maestri; che condannano come nè allo nè dicevole 
all'arte ogni altro soprannaturale che non sia mito greco; che 
guardano , se pur la guardano, la natura a traverso del 
prisma degli antichi, sicché per essi ella diviene un libro 
chiuso a sette sigilli; le cose cento volte cantate ricantano, 
lutto foggiando, usi , costumi ed affetti alla greca o alla 
latina, e guardandosi dal dir cosa con parola che non sia 
petrarchesca o boccaccevole. Tali suppergiù sono i Roman- 
di V. La lettera del Monti a Carlo Tedaldi Fores , Race. cit. di 
P. Fanfxm. V. La lettera del Costa alla Signora degli Anioni. 



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254 delle Istituzioni elementari 

tiri e i Classici, i quali esagerando i loro principi, quelli 
colla licenza, questi colla servilità nuocono, per la ragion 
degli oppositi , del pari all'arie. 

47. Ma incominciamo dal togliere il prestigio de'nomi. 
Classico un tempo valeva ottimo; romantico non so,chè non 
è vocabolo nostro; ora è chiaro che classico qui vale per 
antifrasi pedante; che romantico arieggia a nona/ore, e il 
vocabolo ci venne insiem coli' idea d'oltremoute; dunque 
se vogliamo chiamare pane il pane, convien dare alla scuola 
de'così detti classici l'appellativo di pedantesca, alla quale 
Dio conceda leggiera la terra e riposo sempiterno; all'altra 
quello di settentrionale; e sia lode e gloria all'Italia e a 
chi spasima per quella. Ma diciamo un po': le scuole antica 
e moderna non salutano esse per corifei Omero e Dante? 
Ebbene; Omero dipinse la natura fisica e morale quale ve- 
dea.sela dinanzi , o poco discosto, e Dante non ne fu dipin- 
tore meno fedele; Omero tratteggiò il bello, il grandioso, il 
terribile, il sublime co'loro propri colori, e Dante non li 
ritrasse altrimenti; Omero descrisse la Grecia ne' suoi eroi, 
ritraendo dell'eia sua costumi, vizj e virtù, e Dante nel 
descriver fondo a tutto l'universo, vi delineò più particolar- 
mente l'Italia de'suoi tempi, colla sua religione, colla sua 
storia, co'suoì vizj e colle sue discordie; in somma l'uno e 
l'altro commosse col verisimile più spesso che col vero, e 
rispettarono ambeduo le leggi del decoro, vuoi nel disegna- 
re, vuoi nel colorire le loro stupende epopee. Se dunque non 
tennero essi una via diversa, non sarà più classico l'uno 
dell'altro, e i romantici han torto a fare della loro scuola 
Dante e non Omero, co nei ossia chè non siano ambedue meno 
classici che romantici. Per la qual cosa se scrittore roman- 
tico vale a significare, come dice il Gioberti, artefice di 
concelli confusi, vaghi, sfumati, di guazzabugli, di tenebre 
e di simile dottrina, indegna di noi Italiani (1), uè l'Alighieri 
nò altri della sua scuola consentiranno di esser posti nel 
novero de'romantici; ma ove per romanticismo s'intenda 
l'arte di scrivere opere che ritraendo passioni, credenze ed 



(1| V. I. Pag. «. Edlz. Bruì, I8Ì3. 



DI RETT0R1CA 255 

usi convenienti all'età dell'autore, riescano utili e dilette- 
voli, furono romantici, conclude il Nìccolini, gli scrittori 
della Grecki e del Lazio, non meno che i tre padri della 
nostra letteratura (1); quindi mi sembra che in questi ter- 
mini la questione non sia che di nome. 

18. Che il poeta settentrionale, inspirandosi sotto d'un 
cielo cui il sole appena saluta d'un languido raggio , dipinga 
di foschi colori le sue melanconiche immagini , bene sta ; 
ritrae la natura che ha dinanzi , e nella quale la sua fan- 
tasia si specchia; ma non così può dirsi di chi inebriandosi 
nell'immenso sorriso d'un cielo cui allieta 

e Dolce color d'orientai zaffiro » , 

( Purg., C. I ). 

corre coli' immaginazione a cercar le cupe sue tinte tra le 
nubi caledonie e tra le aurore boreali. Sbandile le gaje 
Driadi e Napee , qual prò per la poesia l'aver loro sostituito 
le luride streghe e gli schifosi vampiri? L'errore sta nel 
presumere di tenere in piè l'Olimpo d'Omero , ornai scas- 
sinato per sempre ; ma ove la mitologia , siccome in se rac- 
chiude verità fisiche e morali , si adoperi ad esempio di 
Dante con sobrietà e con senno per allusioni allegoriche, 
per simboli di umane passioni , per ingentilire idee volgari, 
per dar persona alle astratte , per illeggiadrire con un lin- 
guaggio poetico ornai noto ciò che ò naturalmente schivo di 
poesia, sarà sempre fonte perenne d'immagini gentili al 
poeta e di bello ideale alle arti , senza che ne rimanga of- 
feso il costume , il buon senso e il buon gusto d'una na- 
zione. Schiller e Tiyron , i più gran poeti dell'età moderna , 
e splendidissima gloria del Romanticismo, rimpiangevano, 
quegli la espulsione degli Dèi della Grecia dal regno delle 
Muse , in un'ode che era una delle sue predilette (2) ; questi 
l'abbandono dei grandi maestri che noi teniamo per clas- 
sici, e scriveva: e Siamo lutti, Moorc, Scott, Soulhey , 

(I) SuU'Imilaz. delFArte Dramm. , Voi. Ili, Ediz isti, p. 815. 
&) V. L' Odo : Gli Dèi della Grecfr. 



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256 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



e Campbell e io in una via falsa.... sono sbalordito e mor- 
ii lificato dall'immensa distanza che in materia di senti- 
li mento , di sapere , di effetto e anco di fantasia , di pas- 
ce sione e d'invenzione, corre fra Pope e noialtri del basso 
a impero.... Tutto era Orazio allora , tutto è Claudiano og- 
a gidl ; e se dovessi ricominciare la carriera , m'impron- 
ti lerei d'un altro stampo » (1). 

* E questo sia suggel ch'ogn'uomo sganni ». 

[/«/., c. XIX ). 



Capitolo [. - Della Poetia Lirica. 

1. La Poesia Lirica, cosi denominata perchè soleva can- 
tarsi al suon della lira , nacque dal sentimento religioso e 
patrio, e decorava i riti sacerdotali e le feste cittadine; 
laonde la poesia propriamente lirica , vien definita quella 
che canta con entusiasmo di Dio e della patria. 

2. Il canto lirico, che sonò tra i popoli il primo, fu 
dunque sacro ed eroico; dipoi si cantò in forma lirica di 
virtù , d'amore e di sventure , perchè la Lirica suole distin- 
guersi in Sacra, Eroica, Morale, Melica o Erotica ed Ele- 
giaca; delle quali specie parleremo ad una ad una distin- 
tamente. 

Ibi. I. - Della Lirica Sacra* 

3. Primo per età e per eccellenza è nella poesia lirica 
l'Inno. Questo canta le lodi di Dio e de'Santi suoi , amplis- 
simo campo di maraviglia e d'affetti d'ogni maniera , e per 

|1) Lei. di varia Lelleral. ài Pier Ales. Paravia , Torino , 1856 ; 
ISei. I, p. H2. - Credendo bene di non esporre in un trattalo elemen- 
tare eho i principi certo esagerali i quali dalla due Scuole ai professano 
in arie, non reputo opportuno d'entrare in discorso sull'intendimento 
dei Romantici, il quale viene luminosamente dimostrato nelle Memorie 
che di Giuseppe Sfontani scriveva l'egregio Vannucci. 



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DI RETTORI Ci 257 

questo appunto lirico di somma ragione , essendoché l'entu- 
siasmo che n'è l'anima e il nerbo , si desta al maraviglioso 
e al passionato , e di qui sgorgando con impeto il canto dal 
cuore del poeta, scuote vivamente l'immaginazione e l'ani- 
mo di quei che l'ascoltano, e della sacra fiamma parteci- 
pano dell'inspirato cantore. 

4. Dove più viva è la fede, anche l'inno più s'eleva al 
sublime. Ciò si fa manifesto nei Cantici e Salmi degli Ebrei 
e negl'Inni della Chiesa , e massime in quelli che vanno 
sotto il nome di S. Ambrogio (1) , di Venanzio Fortunato (2), 
di S. Tommaso d'Aquino (3) , di S. Gregorio Magno (4) , di 
F. lacopone da Todi (5) , e di Paolo Diacono (6). Ebbero inni 
sacri ancora i Greci , de'quali non restano che frammenti, 
quali sono gli Orfici ; rimangono però quelli di Cleante a 
Giove , di Saffo a Venere , e parecchi di Callimaco. I Latini 
sul primo non ebbero di poesia sacra che i carmi Saliari di 
Numa; dipoi l'Inno a Diana di Catullo e gli altri che fan 
parte della Lirica Oraziana , tra'quali il Secolare ad Apollo 
e a Diana. Se gl'inni della Grecia e del Lazio vincono per 
la splendidezza della forma quelli della Chiesa , questi 
L vanno di lungo tratto loro innanzi per quella misteriosa 
pietà che nasce da fede profonda e sincera. Quanto lustro 
avrebbe aggiunto alia poesia italiana la lirica sacra abba- 
stanza lo mostrano e Dante nel C. XXXIII del Paradiso , 
e il Petrarca nell'unica sua Canzone alla Vergine , se fosse 
stata, come doveasi, coltivala. Ma sebbene abbiamo poesie 
sacre e di F. lacopone , e di Feo Belcari , e di Lorenzo dei 
Medici, e del Benivieni , e del Liguori e d'altri, tuttavia 

11) Jesu «Adempier Omnium e eli altri per il S. Natale; quelli del- 
l'Ascensione e della Pentente ; Iste Confessor; /«su, corona yirginum; 
quelli della Sacra , ed allri moltissimi. 

[2] Ave Maris Stella ec, e gli altri della Vergine ; Ventila regi* 
prodewtt , e gli allri della Passione. 

(3) Pange lingua gloriosi , e gli altri del Corpus Domini. 

(I Creator alme siderttp», ed altri molli. 

[5! Siabat Maler dolorosa. 

(6) Quelli per l'Uffizio di S. Gio. Batista. 

17 



258 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

sono ben lungi dalla lirica propriamente della , e tanto e 
vero che vanno coniente del lilolo di Laudi o di Canzonelle 
spirituali, dove incontri più presto il devoto che il poela. 
Toccarono l'arpa sacra anche il Poliziano, il Menzini , il 
Lemene, il Mazza ed il Tornielli , ed alcuni assai lodati 
concerni ne trassero. Il Me tastaste loccolla anche più soa- 
vemente , e al sublime della religione uni le grazie greche. 
II Manzoni tentò con felice ardimento d'innalzare alla lirica 
maestà l'Inno sacro, e con ali invigorite dallo studio dei 
grandi poeti e della Bibbia , e principalmente da una fede 
viva e intemerata , spiegò sicuro il volo ; e se gli si rim- 
provera qualche difetto d'oscurità che per avventura rende 
meu popolari i suoi Inni , niuno per fermo può negargli li- 
rico slancio. Ebbe imitatori , tra'quali primeggia il Borghi 
più semplice, ma forse meno originale. 

5. L'Inno sacro può essere encomiastico , eucaristico, o 
supplicatorio , secondo che si loda , si ringrazia o si prega. 
Richiede poi di sua natura immagini grandiose , profondis- 
simo affetto, veneranda maestà e semplicità nc'eoncetti , e 
principalmente l'entusiasmo della fede ; di qui quel calore 
e quella rapidità che formano il carattere lirico. La forma 
poi sia nobile, quanlo casta e semplice, dignitosa l'armo- 
nia , e il metro sempre conveniente al soggetto , e per 
quanto si può, adattabile al canto popolare , acciocché 
l'Inno sacro suoni ancora sulle bocche del popolo ad incre- 
mento di religione e di pietà. 

Art. II, - Della Lirica Eroi». 

6. La Lirica eroica scioglie il fervido canto o a eccila- 
menlo di opere magnanime , o a lode degli eroi che col 
senno o colla mano la patria illustrarono. Questa, che pur 
fu detta poesia slorica e face illuminatrice dell'antichità, 
si desia al suono di fatti massimi e straordinarj; ed elementi 
principali ne sono entusiasmo nazionale e cuor che s'in- 
fiamma a lullo ciò che ha sembianza dì grande, donde na- 
sce quel fremito di tempestosi affetti . ai quali i! poeta quasi 
schivo d'ogni legge , pare si abbandoni. Vuoisi qui però col 



IH RETTURICA 9^9 

Mamiani avvertire « che cotesto rapimento di fantasia , co- 
ti testa , a parlar con Orazio , amabilis insania, è specie 
« difficilissima di poesia , e procede sempre con gran pe- 
« ricolo di dar nel tronfio , nello esagerato e nello sma- 
« nioso » [1], 

7. Le imprese guerriere , gli atti di civile e militare virtù , 
gli uomini di maraviglioso ardimento, sedendo gagliarda- 
mente l'animo del poeta , eccitano a volo sublime la sua 
immaginazione, e si scolpiscono per la immortalità nel suo 
canto. Quanti grandi nomi di cose e di persone vissero 
nella memoria de' popoli, che senza il canto di Pindaro e 
d'Orazio giacerebbero ignoti ! Tal'è la materia , tale l'uf- 
ficio della lirica eroica. 

8. Tirteo d'Alene , fallino d'Efeso e Alceo di Lesbo tem- 
prarono la lira a canti eroici e guerreschi , nei quali fremo 
tutto l'ardore dello battaglie (2). Ma sovra gli altri, com'aqui- 
la , vola Pindaro immenso , inimitabile. Ei tolse a soggetto 
delle sue odi i vincitori dei giuochi Olimpici. Pitii, Cernei ed 
limici, donde quelle han nome. Poeta d'immaginazione ar- 
dente si slancia ad arditissimi voli , senza che mai gli fal- 
lisca la lena , cosicché ti rapisce e ti sorprende a un tempo. 
Amplifica le lodi del suo eroe con quelle della patria e degli 
avi di lui; lo che per difetto di notizie precise di questi e 
di quella fa che talora ci appaja alquanto oscuro; ma qui 
appunto ci è gran maestro della difficil'arte dei trapassi e 
voli lirici. Solo a Pindaro è secondo Orazio, il quale nelle 
sue sei odi eroiche (3), se non emulò il tebano poeta nel- 
l'arditezza dei voli , gli andò mollo dappresso nella gran- 
diosità e pienezza delle immagini , dei concetti e dei modi. 
Apersero il campo della lirica eroica italiana l'Alighieri e 
il Petrarca, quegli colla canzone: 0 patria degna di trionfai 
fama, questi colle sue aWItalia e a Cola di Rienzo. Tentò 
percuotere le corde pindariche il Chiabrcra celebrando le 

(t) Poesia. L'Autore a'Lpliori, pag. x, ediz. Le Monnier , 18S7, 
(2) De' primi due , vedi le stupende traduzioni dell'Arcangeli; di 
Pindaro quella bellissima del Borghi. - 

;3j V. Lil>. I , Oif.8, 6, 12; Llb. Pf, Oi. 2, i, 15. 



260 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Vittorie delle Galere toscane sui Turchi, aìcuai Principi ita- 
liani , e il Giuoco del pallone ; ma talora lo incolse la disgra- 
zia d'Icaro sii* vaticinata dal Venosino. Maestosa, e qual- 
che volta forse troppo rellorica , è !a musa del Filicaja, 
quando canta delle vittorie dei Cristiani sui Turchi; imma- 
ginosa m;i tumida quella del Frugoni. E per tacermi d'al- 
tri , solo dirò che la musa dove veramente spira tutta l'an- 
tica grandezza , è quella del Leopardi nei celebri canti 
a\V Italia , ad Angelo Mai, e per il Monumento di Dante in 
Firenze. II bell'esempio dì queslo poela che si educò sui 
Greci, sui Latini e su' padri nostri , fu ben seguilo da Gio- 
vanni Marchetti nelle sue odi per morte di Ennio Quirino Vi- 
sconti, del Perticari e del Figlio di Napoleone. Altri pure 
lo seguano cantando Ì tanti eroi della patria nostra, molli 
de' quali : 

« Illacrimabiles 

a tlrgentur , ignotique longa 

« Nocte , careni quia vale sacro ». 

(Ov., Od. 9, Llb. IV). 



akt. ni. - nell» Lirica Morale. 

9. L'Ode morate bea diversa dalla impetuosa ode eroica 
o pindarica, che cosi pure si chiama, procede con tempe- 
rata regolarità , congiunta sempre a nobiltà e decoro. Essa 
canta le virtù domestiche e civili, l'amicizia, la pieia e la ret- 
titudine, dalle quali attinge quelle immagini onde si abbella, 
ora grandiose, ora gentili , ora commoventi , or gravi , a 
fine d'ispirare di quelle virtù col diletto l'amore. Sebbene 
sia schiva delle arditezze dell'ode eroica , tuttavia ama un 
certo calore onde s'esalta all'aspetto della virtù, e di ge- 
nerosa ira s'accende in faccia" al vizio, sia pure quella io 
luridi cenci , e questo in abito gemmato. Si compiace essa 
pure dei trapassi e delle brevi digressioni , e se detta 
precelli di civile sapienza, non sillogizza da loico, né sot- 
tilizza da metafisico, e tanto meno cammina sulle orme 



Dlgriizod by Cucigli; 



DI BRTTORICÀ 261 

dell'oratore , perchè non vuol sentirsi giustamente ripetere 
col Costa: 

<( Del Filicaja le canzoni io lascio , 

« E leggo Tullio n 

{ A, P. , Serm. II). 

10. Orazio è sommo maestro dell'ode morale, sia per 
l'orditura e per il ben regolato slancio poetico, sia per la 
verità delle immagini, e per la nobiltà de'sentimenti; sia 
finalmente per il decoro dello stile e per la evidenza della 
elocuzione. Il Petrarca nella canzone: 

, a Una donna più bella assai che 'i sole » 

diede l'esempio della lirica morale , e dietro a lui corsero 
parecchi. Il Testi nelle sue odi morali segui con molla sua 
lode Orazio, al quale ancor più dappresso andò il Fantoni 
o Labindo. Ma quegli che in tal genere recò nuovo lustro 
all' Italia fu il Pariui , nelle cui odi , servendomi delle espres- 
sioni del Giusti, è un cerio « piglio alto, schietto, auste- 
« ro , maschio anco nella dolcezza , che ti scuole e lì 
« esalta. ... Le ritrovi lutto splendide di varia bellezza; 
« gravi di senno e di dignità ; ricche di sentenze, d'imma- 
t gini, d'afTello, e di tulli gl'impeli e di tutte le nobili aspì- 
« razioni d'un animo caldo del vero e del bello poetico » (1). 
V'iucontri finalmente i veri e precipui caratteri che aver 
deve la lirica morale, quando sgorga dal cuore, e non è 
già un reverbero degli altrui pensieri. Forse vi si desidera 
talvolta maggioro speditezza nel verso e nella costruzione, 
e più velata l'arte, ma quesli nèì rendono più vivo lo splen- 
dore delle sue molle bellezze. Egregia lode raccolse nelle sue 
odi morali anche il Marchetti. 

Airi IV. - Dell» l.iricu Melica o Erotica, ed F.lcgiac*- 

1 1 . La Poesia lirica , dice il Foscolo [2), come fu prima a 
nascere, cos\ pare che ancora sia stata la prima a dege- 

(<) Vita del Parini, p»g. mi, ed. cit. 
(2) Considerazioni sulla Poesia lirica. 



262 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

nerare. E veramente cangiò natura , quando alla religione , 
alla patria ed alla virtù volle sostituito ciò che alletta al 
piacere de'sensì. Scrittori di poetiche e poeti, segue lo stesso 
;iulore, la confusero coWamorosa, trascurando l'essenza, e 
solo badando alla forma esteriore; e sembra che il Tassoni 
fosse il primo a distinguer questa dalla lirica propriamente 
delta , dandole il nome di Melica dalla melodia del canto, 
e che più dislìntamenle appellasi Erotica, perchè d'ordina- 
rio sua materia è l'amore. Per siffatte considerazioni per- 
tanto Eliceva il Giordani aver noi maggior penuria di poesie 
liriche che altri non crede (1); e prima di lui aveva notato 
il Foscolo che appena un mediocre volume avremmo ritratto 
di poesie veramente liriche dall'infinita copia che vantiamo 
da Dante sino all'Alfieri. Dopo di che non fa maraviglia se 
il Costa esclama, parlando di Pindaro: 

« Nell'alto tempio della Fama appeso 

o Sta il costui serto ancora. Itali ingegni , 

a Ergete i vanni al glorioso acquisto ». 

[Art. Post., Sor. II]. 

12. Distinta adunque la vera Lirica dalla Erotica , dirò 
che questa comprende varie specie , e le principali sono 
VOde, la Canzone Petrarchesca , V Elegia, Y Anacreontica , la 
Romanza e la Ballata. 

g. 4. Dell'Ode. 

^3. L'Ode, che in greco significa canto, rilenendone il 
nome vuole altresì essere adorna di venusta ed eleganza 
greca. L'amore n'e l'anima , e la leggiadria delle immagini, 
la soavità dei sentimenti , ora lieti, ora pietosi , secondochè 
gioisce o piange il cuore , ed una passionata armonia che 
tutta la governa , formano il carattere e il pregio dell'ode 
che canta i dolci sdegni, le dolci paci e le amabili repulse. 
Vera vuol esser la passione, perchè da questa e non 
dall'arte appariscano dettale quelle metafore , quelle iper- 



(1) i-H. a Gino Capponi, Race. cit. 



DI RF.TTORICA 263 

boli , quelle ardile figure e quei rapidi passaggi che appar- 
tengono alla elocuzione erotica. Ama finalmente una gra- 
ziosa facililà e dolcezza di metro, preferendo le brevi strofe 
alie lunghe, e alireitanlo dicasi dei versi. 

14. Sull'orme di Saffo e degli altri poeti greci Orazio 
trattò l'Ode erotica con brio, vivacità ed eleganza somma. 
Ne composero assai anche i poeti italiani , tra'quali il Chia- 
brera, il Frugoni, il Mctastasio, il Monti, il Foscolo e il 
Fantoni; i quali io suggerisco per maestri della forma, che 
della sostanza non può nò deve esser maestro che il cuore. 

§. 2. Della Canzone Petra rcLesca. 

15. Non pertanto più assai dell'Ode piacque ai poeti no- 
stri la Canzone Petrarchesca, cos\ delta non perchè ne fosse 
inventore il Petrarca, che prima di luì avevaala usata, fra 
gli altri , il Guinicelli , Cino da Pistoia e Dante , ma perchè 
ne fu il perfeziona lore. Il gentil cantore di Laura adunque, 

a ... . Quel dolce di Calliope labro 

a Che Amore in Grecia nudo e nudo iti Roma 

« D'un velo candidissimo adornando 

« Rendea nel grembo a Venere celeste » (1) 

narrò con pianto soave la passione universale del cuore , 
c la pennelleggiò in tante e sì svariate guise, e tutte te- 
nere, e tutte amabili, che fu sempre la delizia di quanti 
ebbero in Italia intelletto d'amore. La fantasia gli delineava 
le più delicate immagini, il cuore gli dettava i piti teneri 
sensi d'una dolce melanconia, e le Grazio gli porgevano i 
più. vaghi e leggiadri colori. Adornano eziandio la sua can- 
zone nobiltà e verecondia di sentenze, naturali digressioni, 
vere dipinture , grata e sostenuta armonio. E si fatti pregi 
della canzone petrarchesca congiuntamente alla esteriore 
struttura ne divennero le leggi ; perocché si compone di 
stanze di proporzionata lunghezza, in versi endecasillabi e 



(1) Carme, dei Sepolcri, v. 476. 



264 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

settenari piii o meno alternali, e tulli rimati con quell'or- 
dine stesso nella prima stanza fissalo. La chiude poi una 
più breve stanza con rima più libera, che dicesi commiato. 

16. É vano il ricordare la mimila quanto non felice 
schiera degl' imitatori del Petrarca, da' quali debbonsi però 
sceverare il Bembo, l'Ariosto, il Casa, il Tasso, Giusto 
de' Conti e pochi altri. La struttura dell'ode siccome fu 
conservala dal Petrarca eziandio per le canzoni d'altro ge- 
nere, così venne da altri poeti usala nelle canzoni eroiche 
morali. Se non che taluni, come il Guidi, usarono la Can- 
zone libera, ponendo a lor talento la rima o lasciandola, nè 
facendosi loppe della prima stanza per le altre. La canzone 
ledala o libera sembra modernamente non tanto seguita ; 
e in quei molli metri de* quali è capace la lingua nostra, 
si preferisce l'ode, quale che sia il nome, onde per va- 
ghezza di novità piace talora di appellarla. Credo però che 
per gli argomenti di grave natura la forma deila Canzone 
Leopardiana possa molto conferire alla sostenutezza dello 
Stile. 

jj. 3. Delta Elegia. 

17. La Elegia, ben nota ai Greci, come rilevasi da al- 
cuni frammenti ancora superstiti , e dalla certa notizia con- 
servataci da Orazio intorno ai Treni o poesie lugubri di 
Pindaro, era il canto del dolore, e si meritò l'appellativo 
di flebile. Ma se piango tra i sepolcri, non sdegna pure di 
cantare i lunghi affanni e le brevi gioje degli amami. Più 
dimessa dell'ode , procede però con dignitoso decoro, e scen- 
dendo teneramente al cuore, ama di eccitarvi affetti gen- 
tili e pietosi-, quindi fa d'uopo che il suo canto nasca da 
dolore o da amore veracemente sentito. L'arte non può dare 
che fiori di stufa; la natura li produce olezzanti e sparsi 
delle lacrime che vi stillò l'aurora. Talvolta fu inlesa can- 
tare altresì le lodi degli eroi , onde il Menzini dice che 

unisce insieme 

« Col verde mirto il trionfale alloro ». 

{Ari. Poel. L. Iti). 



DI RETTOMCA 265 
Tali possono riguardarsi le Eroidi, o Epistole Eroiche, di 
cui ci porse bell'esempio Ovidio, e tra'nostri il Mamiani ; 
nei quali componimenti inlroduconsi eroi o eroine che disa- 
cerbano per lettere il loro dolore, e dipingono la propria 
sventura iu teneri versi, ove la dignità è pari all'affetto 
grandissimo. Del resto io penso che ove al sospiro dell'amo- 
re e del dolore si sostituisca il tono della grandezza o delia 
gloria, anzi che Elegia debbasi dire Canto Eroico, chè la 
forma non ne fa mica variar la sostanza. Ma checché aitri 
ne pensi, dirò che Tibullo, per tacermi degli altri Elegiaci 
latini, per la verità dell'affetto e per la gentilezza de'mo- 
di, ne è egregio modello. Molle canzoni del Petrarca, giusta 
ì'osservazione del Foscolo, sono vere elegie; ed elegie che 
poco o nulla differiscono da quelle di Ovidio e di Proper- 
zio, sono gli Amori del Savioli, adorni di fluidità, ma so- 
praccarichi dì allusioni mitologiche. Il metro più. comune- 
mente scelto dagli Elegiaci Italiani è la terza rima, come 
vedesi nell'Ariosto, nell'Alamanni, nel Menzini ed in Salo- 
mon Fiorentino. 

g. i. Dell'Anacreontica. 

18. Da Anacreonte, feslivissimo poeta greco, trae il 
nome di Anacreontica quella breve ode o canzonetta, ove 
cantasi di soggetti teneri e delicati. Un fonte, un'ape, un 
fiore ne fornisce materia, ma più specialmente Amore e 
Bacco. Delicatezza di concetti, brio e semplicità d' immagi- 
ni, grazia e facilità di rime in versi brevi, e greca elegan- 
za di voci, sono i colori che debbono dipingere questo vago 
fiorellino, si che sembri colto dalle stesse Grazie nel più 
aprico giardino della natura. Chi da vivace e festivo inge- 
gno sentesi eccitalo a tal genere di poesia, ajuti il naturale 
estro^ollo studio di Anacreonte (1), e di Orazio tra gli 
antichi, del Chiabrera, del Rolli, del Mctastasip, del Vitto- 
relli e del Marchetti tra i- moderni, benché in alcuni di 

(1) Ne abbiamo buone Iraduzioni del Cosla e di Giovanni Mar- 
chetti. 



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S66 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

questi autori vadano sotto il nome di odi o di qua! altro, 
ma che pure son vere e proprie Anacreontiche. Tal'è la 
Canzonetta che prendiamo per esempio dal Cbiabrera, e 
della quale il Salvini non rifinava d'ammirare la grazia, 
e il Cesari diceva essere un vero riso di poesia celeste. 



<i Se bel rio, se bell'aurelta 
t Tra l'erbetla 

« Sul mnltin mormorando erra ; 
o Se di fiori un praticello 
<• Si fa bello, 

» Noi diciam : ride la terra. 
« Quando avvien che un zeflìrello 
a Per diletto 

a Bagni il piè nell'onde chiare, 
« Si che l'acqua in sull'arena 
« Scherzi appena , 
« Noi diciam che ride il mare. 
« Se giammai tra fior vermigli, 
a Se Ira gigli 

« Veste l'alba un aureo velo, 
« E su rote di zaffiro 
« Move in giro; 
« Noi diciam che ride il cielo. 
« Ben è ver : quando è giocondo 
a Itide il mondo, 
a Hide il ciel quand'è gioioso : 
a Tten è ver: ma non san poi 
a Come voi 

« Fare un riso grazioso ». 

g. 5. Della Ballata , della Romanza e del Madrigale. 

49. Diremo brevemente di queste specie minori della 
Lirica. La Ballata, così delta, perchè si cantava ballando, 
fu molto in uso presso i nostri antichi poeti, e d'ordinario 



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DI RETTO RICA 267 
conteneva un gentile e affettuoso pensiero d'amorfi. La Ro- 
manza di nome tutto moderno, è pure un'imitazione di quelle 
degli antichi Trovatori Provenzali , ed essa ancora parla 
d'amore o di pietose storie d'amanti, o di qual altro deli- 
cato affetto dell'animo. Se breve e di versi scorrevoli vo- 
leva esser la prima , perchè accompagnavasi alla danza , 
breve , tenera ed armoniosa vuol esser pur la seconda , 
perchè s'accompagna alla musica. Ciò che rende e l'ima e 
l'altra specialmenfe graziosa , è la ingenuità e la delicatezza 
del sentimento. Tal' è tra' moderni la Romanza del Grossi 
intitolata La Itoniineìla. 

20. Il Madrigale poi ben nolo anche agli antichi, è il 
più breve de' componimenti lirici , e bene si adatta a sub- 
bietti umili e più specialmente amorosi. Deve in picciol nu- 
mero di versi . che sogliono per lo più essere endecasillabi 
alternali con settenarj liberamente rimati tra loro , com- 
prendere un pensiero che nuovo, gentile o spiritoso ne 
renda la chiusa vivace ed amena. Grazioso è questo del 
Petrarca : 

« Nova angelella sovra l'ale accorta 
« Scese dal cielo in su la fresca riva 
o La ond'io passava sol per mio destino. 
« Poi che senza compagna e senza scorta 
« Mi vide, un laccio che di seta ordiva, 
« Tese fra l'erba ond' è verde il cammino. 
« Allor fui preso; e non mi spiacque poi; 
« SI dolce lume usc'ia degli occhi suoi ». 

Vaghi per semplicità ed eleganza greca sono quelli del 
Lemcne, tra'quali scelgo il seguente: 

« Offesa verginella 
« Piangendo il suo destino , ■ . 
o Tutta dolente e bella 
« Fu cangiala da Giove in augellino 
« Che canta dolcemente e spiega il volo- 
a In verde colle ud'i con suo diletto 



268 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

« Cantar un giorno Amor quell'augelletto, 

« £ del canto invaghilo, 

« Con miracol gentil prese di Giove 

b Ad emular le prove. 

* Onde poich'ebbe udito 

« Quel musico usignuol che s\ soave 

« Canta, gorgheggia e trilla, 

« Cangiollo in verginella ; e questa è Lilla ». 

§. 6. Del Ditirambo. 

21. Sebbene niuno ornai più si curi di poesia ditiram- 
bica , dappoiché più non vuol sapersi di Bacco , tuttavia 
per non tacere che i nostri antichi solevano talvolta ecci- 
tarsi Tra le tazze al canto, dirò alcuna cosa di quella loro 
ebbrifestante poesia ; che se non è strettamente erotica , 
vi ha pure una qualche attinenza, mescolandosi non di 
rado al brio de'bicchieri lo scherzo dell'amore. 

11 Ditirambo adunque era un canto in lode del Dio del 
vino, per conseguenza un inno sacro, donde derivò, come 
a suo luogo diremo , quel canto illustre che è la Tragedia. 
I poeti a fine di meglio imitare il furore brioso del nume, 
dovettero si nella forma che nei pensieri essere sbrigliati a 
sembianza di ebbri, e coniare parole a capriccio, e unirne 
duo o tre in una sola (I). Ripieni dello spirito bacchico, si 
abbandonavano ai voli della fantasia , e sembravano d'in- 
solito estro infiammali. Anacreonle , per nou dire di Pin- 
daro i cui ditirambi furono preda del tempo , ci lasciò vi- 
vacissime odi dilirambiche ; una ne abbiamo d'Orazio (2), 
che si tiene tra le sue migliori ; il Chiabrera in questa spe- 
cie di Odi tiene il primato tra i poeti italiani , e finalmente 
il Redi nel suo Bacco in Toscana diede tal esempio dì Poe- 
fi) V. Bihdi, Comm. a Oras,, Od. II, L. IV. Di parole composle 
poi dà l'esempio lo stesso Orazio nella voce : Satyrorvm capripedum ; 
e il Redi pure chiamò: 7 Satiri capribarli cornipede famiglia. Anche il 
Chiabrera usa erooso , serpentoso , oricrinito ec. 
12) Oli. XIX, Lib. II. 



DI RE1T0RICA 269 

metto ditirambico che può dirsi l'unico di sì fatto genere; 
tal è il fuoco , la vivacità , l'arditezza e il brio che con istu- 
pendo artifizio lutto quanto l'adornano , e che sono i pregi 
essenziali della Poesia ditirambica. Ma basti di questa , a 
cui non molto sorridono i tempi. 



Capitolo IL - Delia Poesia Epica. 

i. L'Epopea è un poema narrativo di fatti illustri e ve- 
risimile a fine di dilettare colla maraviglia e di commuovere 
colla pietà , e si distingue in Sacra, in Eroica ed in Roman- 
zesca. 

Aut. I. - Della Epica Saera. 

2- L'Epica Sacra imprende a narrare in verso le opere 
maravigltose dì Dio e le gesta dei Santi, e abbraccia l'Inno 
e il Poema. 

g. 1. Dell'Inno Epico. 

3. L' fatto Epico, a differenza del lirico, incede con una cer- 
ta regolarità, essendoché entra a mo'd'esordio , con un'apo- 
strofe o invocazione a cui è diretto , ed eziandio con una 
grave sentenza; dipoi scende alla narrazione, magnificando 
con lodi le gesta gloriose del Nume o del Santo che n'è il 
subbietto; infino chiude con sensi di esaltazione o di pre- 
ghiera. Comecché qui richieda più temperalo entusiasmo che 
non nel lirico , tuttavia fa or qua or là sentire un'aura 
d'enfasi religiosa, che rende drammatica la narrazione, e 
l'anima commuove a pia reverenza, non senza aggiungervi 
un certo non so che di lirico che rapisce , ed eccita a un 
tempo la maraviglia. 

4. Esempio sublimissimo dell'inno epico 6 il Cantemus 
Domino di Mose (4), dove coi più vivi colori dipinge nar- 
rando il prodigio da Dio operalo per il Popolo Israelitico nel 

(J) Ex. C. XV. 



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270 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

passaggio dell'Eritreo. Enfatico n'è l'esordio, magnifica la 
dipintura del sommerso esercito Egiziano, sublimi gli slanci 
lirici che qua e la vi s'incontrano , e la chiusa nella sua 
schietta semplicità ti riempie di maraviglia e di terrore. 
Con questo non sostengono di lunga mano il paragone nep- 
pure i bellissimi inni epici di Omero, di Bacchilide e di 
Callimaco (1), che tuttavia ne sono ottimi modelli; classico 
n'è pure quello che il Montanari propone ad esempio, e 
che leggesi nel Libro Vili dell'Eneide dal v. 285 al 302 (2), 
non che l'altro che nel C. XI del Paradiso , Dante scioglie 
in lodo di S. Francesco. Ne) secolo XVI il Vida ed altri non 
volgari poeti scrissero in eleganti esametri latini di tal sorta 
inni, la cui lettura può all'Innodia nostra di non lieve 
utilità riuscire. D'inni epici italiani ci lasciarono egregi 
esemplari e Torquato Tasso (3) , e il Chiabrera (4), e il Leo- 
pardi (5) , e il Mamiani (6). 

5. Siccome riscontriamo avere i Greci e i Latini scello 
per l'inno epico l'esametro per la sua maestosa gravila , 
cosi , quantunque l'esempio di Dante dimostri potersi adat- 
tare all'inno epico italiano anco la terza rima, tuttavia 
viene comunemente giudicato più idoneo il verso sciolto , 
tra perchè può con assai di dignità sostenersi , tra perchè 
è capace di lutti i poetici colori, non che di tutte le più 
svariale armonie. 

g 8. Del Poema Sacro. 

6. Il Poema epico sacro narra anch'esso, ma con mag- 
giore ampiezza ed ordine di parti qualche gran fatto di 
religione. Nell'orditura , nell'azione principale, negli epi- 
sodj , ne'caratleri e nello sviluppo segue le leggi della 

[11 Vedine le belle Traduzioni di Dionigi Stronchi e di Giuseppe 
Arcangeli. 

(8; Aggiunta al Blair , C. IV. Dell'Inno. Dì qui pure ho (olio alcuni 
principj del co. Autore. 

(3) Le Lacrime di Maria , il M. Otieelo , la Disperazione di Giuda ec. 
[4] La Disfida di Golia, il Leone di David, il Dt lutto ec. V. Poemetti. 
(5j Canio ai Patriarchi. 

(6) All'Are. Raffaele, alle Sanie Gcllruie , Agnese , Cecilia ec. 



DI RE1T0BICA 



27! 



epopea in generale , delle quali qui appresso tradiamo. Il 
fine poi del poema sacro essendo quello dì scolpire mercè 
del diletto più profonda negli animi la idea della onnipo- 
tenza , della giustizia e dell'amore di Dio, o della grandezza 
de'suoi santi , celebrandone con altissimo canto le mirabili 
opere, fa di mestieri che il poeta si sollevi sull'ali della 
fede all'altezza conseguibile del subbiello , e ne tragga quel 
maraviglioso che formar deve il carattere. generale del suo 
lavoro. Dee fare che il verisimile scaturisca per esso dal 
vero teologico, storico e tradizionale, e che le sue imma- 
gini o allegoriche o fantastiche, si accordino colla natura 
della credenza religiosa , dalla trascuranza del qua! canone 
deriva quella difformità che si riscontra in qualche poema 
sacro per la mischianza del teologico col mitologico, come 
a cagion d'esempio in quello De Partu Virgim's del Sannaz- 
zaro. 1 caratteri, sia che simboleggino la virtù, sia che il 
vizio, non trascorrano giammai oltre i limiti del decoro, 
e gli affetti siano grandi , dignitosi e schivi d'ogni volgare 
bassezza. II poema sì nelle parti che nel tutto miri ad in- 
spirare negli animi sensi di maraviglia , d'amore e di reli- 
giosa pietà. Lo siile in generale grandeggi per magnificenza 
e nobiltà ; sostenuto ed elegante il dettalo ; grave l'armonia 
cui può l'italiano certamente raggiungere mercè dell'ottava 
rima, o, benché più difficilmente, anche. col verso sciolto 
magistralmente temperato. 

7. L' Epopea sacra offre di sè il più sublime modello 
ne! libro di Giobbe, nel quale avvi chi riscontra strettis- 
sima rassomiglianza col Poema Dantesco. Giobbe e Dante i 
protagonisti ; nella prima parte quinci e quindi farinosi sen- 
tire le dolenti noie ; nella seconda sembra del pari risorga 
la metta poesia; nell'ultima si ascendo co'due poeti alla 
gloria di Colui che tutto muove. Il poema dell'uno e dell'al- 
tro è ripieno di dispute sugli umani errori , sulla vera e 
falsa felicità , sulla giustizia divina , sulla Provvidenza , 
sulle maraviglie della creazione, e via discorrendo (1). Ma 

(4) Leti, di «berlo Giordani ad Evasio Leone sui Traduttori del 
Libro di Giobbe. 



272 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

checché ciò sia, è certo che il libro di Giobbe è una vera 
Epopea Sacra, Tale è appo i Greci la Teogonia o genealo- 
gia degli Dei , di Esiodo d'Ascra. Se anche i Romani non 
ebbero poema epico sacro , la loro letteratura però risorta 
con bella splendidezza nel secolo XVI , sì adornò eziandio 
di questo nobile fregio per l'opera di due poeti Italiani , ai 
quali la religione cristiana porse argomento ben degno 
della maestà del latino idioma. E' furono Iacopo Sannazzaro 
di Napoli e Girolamo Vida Cremonese, i quali ambedue in 
versi degnissimi dell'aureo secolo d'Augusto cantarono il 
primo in Ire libri il Parto della Vergine, il secondo in sei 
la Cristiade; i quali poemi furono a buon drillo grande- 
mente celebrati, e massime quello del Vida, da cui lo 
slesso Torqualo imilò il Concilio infernale e la parlata di 
Lucifero nel Caulo IV della sua Gerusalemme (1). Va lodalo 



I) « Prolinus acciri diros ad regia fralres 

■ Limina, concilium horrendum , et geous o 

* Imperai. I ■ igilur dedil vi- buccina 

■ Ouo subito intonali eeecta domili alla cav 
« Undiquo opaca , iug°ns, anlra ialonuerc p 
« A'rjue procul gravida tremefucta osi corpi 
e Coalia oo ruil ad portas gens onjnis 

» Horgooas hi, S;>hy«ga-que ob'roeno corpi 

■ Cenlautosque bydrasquai ini igniv«ma-qu< 
o Cenlum alti Srjrlla? , se foed.fteas Harpyia 
« lit ijnae molta horniaea mmulacra horreot 

- ot Tartarei procrea, con'.o %cm Olla sereno , 

• v : - otim bue superi raecum loclemenlia 
o Aelbere duictlu* flagranti fulmine «dogli . 



■ Peimeiuit, np- 
« - i ii ot-nio , quibi 
< Sit cerlatum od'is, Do 

• Illa astrls polltur 

« Nobis senta silu loca i 
a Reddtdll .... 
a 11 11: : supnrae aspirare 
Chnsdadof, Ub. 1 , v 133 i 



WRETTORICA 273 
per naturalezza d' immagini e di sentimenti , e per isqui- 
sitezza di lingua anche il poema Ialino De Ptiero Jesu del 
gesuita Tommaso Ceva milanese, morto nel 1737 (V. Murai., 
della Perf. Poet.). Poemi epici sacri sono pure e il celebre 
Paradiso Perduto dell'inglese Milton, e la sublime Messiade 
del tedesco Klopstock: del primo, e di parte del secondo 
poema ha testé arricchito le lettere italiane colla sua stu- 
penda versione Andrea Maffei. Finalmente decorarono la 
letteratura italiana anche di questo genere di poesia e 
Torquato Tasso colle Sette Giornate, e Luigi Tansillo colle 
Lacrime di S. Pietro, e colle loro Messiadì il Ghelfucci, il 
Gaudenzi , il Manni , il Gaioni , l'Agnelli , il Bertolotli non 
senza lode della Epopea sacra Italiana (I). 

Aut. II. - nell'Epico Eroica. 

8. L' Epopea Eroica narra con altissimo verso un'azione 
grande ed illustre, condotta a termine da un eroe, a fine 
di eccitare colla maraviglia e col diletto gli animi umani 
ad ogni egregia virtù. 

9. Le parti essenziali dell'Epopea sono il Subbietlo , la 
Favola, il Costume, gli Affetti e lo Stile. Diremo di ciasche- 
duna paratamente. 

§. I. Del Subbietlo. 

10. Il Snbbietto della Epopea eroica esser deve un'azio- 
ne grande, storica e d'importante rilievo. E primieramente 
intorno all'azione mollo si è disputalo se debba essere una 
in sè stessa, o, come dice il Tasso, una di molti che cojì- 
corrano insieme ad un fine (2V La tmila d'azione e senza 
fallo non solo per sè efficacissima a desiar maggiore il mo- 
vimento dell'animo, ma è necessaria eziandio a eoncenlrare 

(1) Il Lodigiano Cesare Pczzani pubblicava noi <RS5uti nuovo Pos- 
ola , Il Crtsto, in XXII canli in oli* va irai : ne ha parlalo la Giri!» 
Cattolica, N.° 18W84, 111 Serie. V»!. Vili, pa?. 257-403. 

(2) Leu. a Luca Scalabrino , Race. di. pag. «13. 



274 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

iu sè piii viva l'attenzione dei lettori , dal che specialmente 
dipende il conseguimento del fine. E che sia vero, soggiunge 
il citato autore , la ragione con cui Aristotele prova l'unità, 
è tolta dal fine ; cfaè il fine dee esser uno , e le cose deb- 
bono tendere ad un fine. Se non che l'uni là dell'epopea 
deve esser più mista della tragica, testimonio l'Iliade, es- 
sendoché l'adunanza di molti in uno è un principio solo, 
sebben composto e non semplice (1). E certo Achille ed 
Agamennone, Goffredo e Rinaldo cospirano ad un fine, nè 
l'esser due distrugge l'unità dell'azione ; dunque può que- 
sta esser una di molti in uno. 

11. Richiedesi in secondo luogo che l'azione sia grande, 
cioè conveniente alla maestà dell'epopea, per la nobiltà 
del principio, per la natura de'mezzi , e per l'altezza del 
fine; perocché solo da ciò che dal volgar modo si scevera, 
suole la maraviglia desiarsi , carattere essenziale del poema 
eroico. 

12. Più vera e più reale sarà poi la maraviglia, ove 
l'azione venga tratta dalla Storia, o anche da una costante 
tradizione; imperocché si ammira veramente ciò che di 
grande si sa , o si crede avvenuto , laddove in un'azione 
fantastica non si potrà ammirare che la felice immagina- 
zion del poeta. Oltre a ciò l'azione storica porta seco la 
verisimiglianza, principili dote dell'epopea, essendoché, come 
ben noia il Tasso , un'azione illustre e degna di poema non 
può non esser registrata nelle storie scritte o tradizionali 
de'popoli. Tali sono per Omero la guerra Trojana , per 
Virgilio la venuta d'Enea in Italia, per Torquato la prima 
Crociata. 

13. Deve finalmente avere in sè rilevante importanza, 
cioè dev'essere strettamente congiunta alla gloria, alle cre- 
denze, alle tradizioni ed agli stessi interessi della nazione, 
acciocché muova direttamente ed efficacemente il cuore dei 
lettori; chè , come profondamente osserva il Ranalli, poe- 
sia non sentita manca del più vital nutrimento (2). A tal 

- . H) Leti. cit. 

|3j Ammaeslr. L. IV , C. II , fi. 6. 



DI RETTORICÀ 875 
uopo adunque converrà scegliere l'argomento da tempi 
eroici, o prossimi a questi, perchè la lunga età circonda 
di reverenza le cose , e più facilmente dischiude i fonti 
del maraviglioso ; ma non si che quelli siano di natura 
affatto difformi da'nostri per credente, per istituzioni, per 
usi e per costumi , perchè non molto varrebbero ad ispi- 
rare il poeta , e molto meno ad attrar vivamente i lettori, 
come di leggieri riscontrasi, nonostante l'eleganza delle 
forme e alcuni tratti di bello assoluto, nel Cadmo del Ba- 
gnoli. Non cosi per Omero, per Virgilio e per Torquato, i 
quali cantarono tempi che in sè contenevano il fondo di 
quella civiltà gentilesca o cristiana , la quale dipoi non ne 
differiva che per maggiore raffinatezza ; laonde e la Gre- 
cia, e Roma o la intera cristianità parteciparono dell'en- 
tusiasmo del poeta che celebrava con altissimo canto i loro 
più splendidi fasli militari , civili e religiosi. E in bea 
angusto cerchio si chiude altresì quell'epico che sceglie 
dalla storia d'età non molto a lui distante il subbietto, 
tra perchè la mano del tempo non ancora vi sparse so- 
pra quella tinta che tanto conferisce a far comparire 
viepiù eroici uomini e cose , e perchè restano d' assai 
tarpate le ali alla poetica fantasia , come notarono già i 
critici intorno a Lucano per la Guerra Farsalica, ed a 
Voltaire per la Enriade. Laonde conchiuderò coll'autore- 
vole quanto sapiente ammaestramento del Tasso, doversi 
l'epica attenere alle storie de' « tempi nè molto moderni, 
« nè molto remoti, come quelli che non recano la spiace- 
« volezza di costumi diversi , nè della licenza di fingere 
« ci privano >;. 

li. Non però basta che l'azione sia una, grande, storica ed 
importante; deve altresì mirare ad un fine non meno nobile. 
Sta allo storico il narrare per altrui istruzione ; all'epico , 
se vuole che vana non torni l'opera sua , conviene studiarsi 
d'allettare, mercè della poetica narrazione, gli animi alle 
attrattive d'una grand' idea che in sè porti i germi d'un 
real bene sociale e religioso, come insegna lo stesso Ranalli 
{loc. cit.). Omero a fine di stringere i Greci in nodi di santa 
concordia, donde la vera nazionale grandezza, e di rasso- 



276 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

darla colle civili virtù, prima si studiò colla viva dipintura 
della Iliade di persuaderli di questa gran verità , che 

« Quidquid delirant reges , plectuntur Acuivi o ; 

e colle immagini leggiadre dell'Odissea : 

a Rursus quid virlus, et quid sapientia possit 
« Utile proposuit nobis esemplar Ulyssem » (1). 

Virgilio vedendo ogni dì piti declinare per vizj politici e 
civili i suoi 

« Romanos rerum dominos , gentemque togatam i , 
(Aen., L. I, v. 886). 

ne cantò la divina origine e l' impero senza fine assegnato 
loro da Giove, acciocché riconoscendo i loro alti destini, 
alla cote si ritemprassero delle antiche virtù militari e civili. 
Faceasi sempre più formidabile alla cristianità la potenza 
Ollomanna; e il Tasso ricorda ai principi ed ai popoli 
cristiani le stupende opere e i trionfi de' Crociati , acciocché 
richiamino l'antico valore in difesa della civiltà del Van- 
gelo contro la barbarie del Corano. Laonde la grand' idea 
de' tre poeti informa e governa da cima a fondo le loro 
epopee, e si scolpisce in Achille, in Enea ed in Goffredo, 
tipo questi dell'eroismo cristiano , quelli dei gentilesco. 

g. ?. Della Favola. 

15. Scelto il subbietto, conviene ordirlo nelle sue parti , 
che sono la Pro/osi , V intreccio e la Catastrofe , la quale 
orditura chiamasi Favola. 

16. La Protasi comprende la proposizione del subbietto, 
V invocazione d'ajulo soprannaturale, chè ben ve n'ha 



[*} Oux,, Epis, I! , L. T. 



DI BETT0B1CA 277 
d'uopo Dell'Epopea, cui Dante definì l'altissima canto, e qual- 
che volta la Dedica a illustre signore. Omero con sublime 
semplicità riunì invocazione e proposta nel solo primo verso. 

a L' ira , o Dea , canta del Pelide Achille ». 

llliad. L. L, Trad. de] Foscolo). 

Nella Eneide è il poeta che canta l'armi e l'eroe Trojano , 
e quindi si volge a pregar d'ajuto la Musa : esempio dai 
migliori poscia imitato, siccome quello che modestamente 
parea prometter poco per poi attener mollo , a differenza 
di quelli che rimbombando lontano mille miglia , ci tentano 
ad esclamar con Orazio : 

a Quid dignum tanto feret hic promissor hiatu? » 

(A. P. v. I3S). 

E di tale ampollosità venne difatti appuntato Lucano che 
incomincia : 

« Bella per Emathios plusquam civilia campos , 
« Iusque dalum sceleri canimus ». 

(Phars., L. L). 

Nè forse a torto , benché in parie ne lo scusi il genere 
diverso della poesia, vien ripreso l'Ariosto di quel suo in- 
cominciare lutto a un fiato (1) : 

« Le donne, i cavalier , l'armi, gli amori, 
« Le cortesie , le audaci imprese io canto ». 

(Or. Fur. C. I.). 

17. Grande dovendo esser l'azione, ne conseguita che 
esser pur deve di grandi e mirabili accidenti composta. 
Ed invero lo scopo a cui mira ogni narrazione epica si è 
di signoreggiare ora sulla mente colla nobiltà de' pensieri , 



[i) Menimi, Ari. PoeU, L. II. 



278 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

ora sulla fantasia colla vivezza delle immagini, ora sul 
cuore colla energia degli affetti , dalle quali cose insieme 
congiunte ed ordinate nasce la maraviglia e la pietà , e 
conseguentemente il diletto. A ciò conseguire la fantasia 
del poeta Don solo amplifica e rabbellisce quegli accidenti 
cui somministra la Storia, ma altri ne crea ora pietosi, ed 
ora terribili , e con taTarle ve l'innesta, che gli animi son 
vólti con alterna vicenda e alla speranza e al timore , e alla 
pietà e alla maraviglia , ondeggiante tuttavia sull'evento 
finale ; lo che chiamasi intreccio. Perchè questo veramente 
attragga e commuova , conviene soprattutto che sia verisi- 
mile ; che l'uno avvenimento scaturisca dall'altro natural- 
mente , e proporzìonalaniente alla sua causa , e che si 
succedano cou importanza sempre crescente, apparec- 
chiando a grado a grado lo scioglimento dell'azion princi- 
pale. Arroge a ciò che tutte queste parli siano nella loro 
varietà strettamente congiunte col subbietto del poema , 
come altrettante rama d'un solo albero , tanto che 

a Varia sia la materia, un l'argomento, 

(Menz. loc. cit.}- 

18. E acciocché l'azione sia, contesser deve . una, fa 
d'uopo che sia ancora continuata non solo per il collega- 
mento dei molti varj avvenimenti della favola , ma ancora 
per il rapido e quasi non interrotto succedersi dei mede- 
simi, al che molto conferisce quello slanciarsi, giusta il 
precello oraziano, in medias res non secus oc notas {A. P., 
v. 448), come fa Omero che cantando il decenne assedio 
di Troja 

« Non gemino bcllum Trojanum ordilur ab ovo s : 
[Ibi. v. IH). 

ma trasporta di balzo il lettore nel campo greco sotto l'as- 
sediata citta ; spone la causa della grand' ira d'Achille che 
riuscir doveva si funesta agli Achei , e nel termine di 
47 giorni l'azione dell' Iliade si compie. Nel corso del poema 



DI RETTORICA. 379 
poi si fa cenno per via di brevi e naturali digressioni e del 
ratto di Elena, e de' duri casi d'Aulide, e di quanto avvenne 
prima della fatale ira del Pelide. Parimenle Virgilio fa più 
continuata l'azione , incominciandola dalla tempesta che 
sbalza Enea alle coste dell'Affrica , conducendola fino alla 
morte di Turno; il qual tempo suol computarsi poco più 
oltre d'un anno, mentre ne inchiude circa a sei dall'in- 
cendio di Troja, ponendo in bocca dello stesso eroe la nar- 
razione dei casi gravi e pietosi che precedettero. Ancora 
il Tasso ristrinse a tre o quattro mesi la sua azione, che 
dal Concilio di Clermont alla presa di Gerusalemme com- 
prendeva cinque anni incirca (1095-4100). Un altro van- 
taggio ha in sè quest'artifizio , che facendo ai principali 
eroi narrare quei fatti de' quali essi furon gran parte, ed 
aggiungono fede ai medesimi , ed acquistano calore dram- 
matico , ed eccitano più viva l'attenzione e la pietà (1). 

i9. Dissi nascere la continuità dell'azione dal quasi non 
interrotto succedersi dei fatti; imperocché l'epico ama di 
frammettervi a quando a quando la narrazione d'alcuni 
avvenimenti che non hanno un legame diretto coli'azìon 
principale. Queste digressioni vengono dai retori chiamate 
Episodj, i quali e servono come di sollievo alla mente, e 
aggiungono ornamento , e recando varietà grandemente 
dilettano. Differiscono dagli altri avvenimenti in quanto 
che quelli compongono la favola , gli episodj l'abbelliscono; 
senza di quelli non può l'azione al suo termine condursi , 
ben si può senza di questi; quelli sono le colonne, gli 
archi e le altre parti architettoniche dell'edilizio , questi ne 
sono i bassirilievi e le statue. Di fatti togliete dall' Eneide 
la Storia di Niso e d'Eurialo, dalla Geruselemme la pietosa 
avventura d'Olindo e di Sofronia, voi ne staccate due 
vaghi giojelli , ma l'azione nonostante si compie egual- 
mente in ambedue i poemi. Le regole poi dell'episodio sono: 
1." Che nasca dalle cose precedenti, e quasi dalla favola 
stessa occasionato o suggerito; 2." Che serva in cerio modo 
all'intreccio, non già necessariamente, ma accidentalmente; 



W Vedi anche BmmìU, op. eli. L. IV, C II, N.° 25. 



280 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

3.° Che sia bello per purezza di disegno e per eleganza di 
colorito , rammentando che vi è quasi non per altro che per 
abbellimento; e i sommi epici ce lo mostrano, comparendo 
ne'loro episodj squisitamente adorni. 

20. Nè è da passarsi sotto silenzio che talvolta al veri- 
simile , bene spesso al maraviglioso , doti essenziali dell'epo- 
pea, conferisce l'intromettere nel poema l'opera di enti 
soprannaturali ; lo che dicesi macchina. Fu sempre comune 
credenza che alcune forme, o nature, o intelligenze, o forze 
comunque si nominino, superiori allo nostre, tra le cose 
degli uomini si avvolgano, e per un certo comune vincolo 
con loro si leghino; ciò posto per indubitato, la interposi- 
zione delle nature superiori non toglie, come nota lo Za- 
notti (4), ma anzi accresce il verisimile a certi fatti che 
tengono del prodigioso. È certo poi che questa congiunzione 
o intreccio del mondo corporeo e dello spirituale, oltre ad 
essere larghissima sorgente di poesia, è ancora fonte ine- 
sauribile della maraviglia , la quale nasce o da caso inat- 
teso, o contrario alla espellanone , o di sua natura straor- 
dinario ; al che di leggieri comprendesi quanto giovar possa 
il retto uso del soprannaturale , che noi possiamo ben trarre 
dalla scienza cho ci dà la fede intorno agii angeli ed ai 
demonj. Omero, e massime Virgilio, benché questi dettasse 
in tempi di raffinatissimo scetticismo , trassero gran parte 
del maraviglioso dall'Olimpo de' loro diti falsi e bugiardi ; 
lo trasse dulia Religione nostra e dalle popolari credenze il 
Tasso, e non ne sdegnò l'esempio lo stesso Voltaire. Inoltro 
un sobrio uso di esseri allegorici o astratti , come i Genj , 
la Fama, la Discordia, il Silenzio ec, può riuscire, come 
riscootriamo in Virgilio e nell'Ariosto , di piacevole abbelli- 
mento, dando però loro fisonomia ed atto qual si richiede 
dalla natura di essi. Ma dove si attribuisca loro più di quello 
che ad esseri astraiti può convenire, formerebbero, come 
nota il Blair, la peggior macchina del poema, troppo al 
verisimile ripugnando che operino a lungo , come se proprio 
fossero persone , enti di pura astrazion della mente , e per 

(1) Dell'Art. Post., Bagionam. IV. 



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DI RETTO RICA 



tali considerati Ono dalla loro prima comparsa nel poema 
da ogni discreto lettore (1). , 

21- Ora resta a dire della Catastrofe o scioglimento della 
favola. Siccome essa risveglia fino dalle mosse l'altrui espet- 
tazione , fa d'uopo che vi corrisponda pienamente. E in 
primo luogo vuol essere alquanto innanzi in certo modo 
apparecchiata; secondariamente dev'essere naturale effetto 
d'un'azione grande e finale, ove concorrano prodigi di senno, 
di coraggio, di valore, d'eroismo; in ultimo che sia di iieto 
fine per l'eroe celebrato, chè suggello di vera grandezza 
suole reputarsi dagli uomini la felicita del successo (2); 
tanto che si scorga trionfante il principio che persuase 
all'epico canto il poeta. 

§. 3. Del Costumo. 

22. Essendo il poema eroico il racconto d'un'azione eroi- 
ca, se ne inferisce facilmente dover questa esser condotta 
dal principio al termine dii personaggi che tengano più o 
meno dell'eroico; quindi la naturai distribuzione d'eroi 
principali e secondarj. Essendo poi che ogni grande azione 
suppone necessariamente un capo che la dirige co! senno 
e col consiglio, tra gli eroi principali uno se ne distingue 
prìncipalissimo , il quale però chiamasi Protagonista, che b 
quanto dire primo attore. Delineare per tanto il carattere 
o costume di questo e degli altri personaggi del poema ella 
è importantissima cosa. E incominciando dall'eroe che a tutti 
gli altri sovrasta , siccome quegli che naturalmente richia- 
ma sovra di sè gli occhi di lutti , e che più vivi eccitar 
deve nel lettore i sentimenti dell'amore , della reverenza 
e della maraviglia, conviene che si mostri fornito di tutto 
le virtù d'animo e di corpo che il vero eroe costituiscono. 
Risplendano in esso adunque in grado non comune e pru- 
denza e pietà e fermezza e valore e magnanimità ; alle 
doti morali aggiunga Te intellettive , nobile facondia , idonea 

(1) V. Rasalli, op. cit. , llb. IV, C. ti, N°. (4. 
[Si Id , loc. cii. 



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282 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

dottrina ed esatta cognizione degli uomini e delle cose; 
venga finalmente lodato per vigoria di membra, per egregie 
forme della persona e dell'aspetto, non che per illustre li- 
gnaggio. Nè Achille ed Enea sono soltanto prodi e animosi, 
ma eziandio magnanimi , leggiadri e di sangue divino; nè 
Goffredo è meo principe di gran cuore , che capitano di 
valore e di senno. Non è però, come ben nota lo Zanotti, 
che l'eroe non possa cader talvolta in qualche colpa, o per 
impeto di violenta passione, o per umana imperfezione; 
solo conviene che ciò sia di rado, e per potenza di circo- 
stanze superiori alla sua stessa virtù , e presto accortosi 
del fallo, facilissimamente se ne ritragga , vincendo se slesso: 
così, conclude il citato autore: a essendo l'eroe soggetto 
« allo passioni, e sentendone gl'impeti, piacerà il vedere 
« com'egli le vinca ; e piaceranno i suoi pericoli , i suoi 
« timori e i suoi travagli , che egli però non avrebbe , se 
a non gli sentisse b (1). 

23. Dato lutto il convcnevol rilievo al primo eroe, gli 
altri a lui solo secondi debbono anch'essi grandeggiare per 
nobiltà ed altezza di carattere , e per opere guerresche o di 
consiglio. È chiaro però dover ciascuno andar distinto per 
fìsonomia propria , lumeggiandosi con tinte più gagliarde di 
chi la forza, di chi l'ardimento, di chi il valore, di chi la 
destrezza , di chi la facondia e va discorrendo , non senza 
alquanto partecipare eziandio delle altre virtù, quantunque 
appariscan men forti incontro all'ardore delle passioni, mas- 
simamente dell'amore e . dell' ira. Gli eroi secondarj poi deb- 
bono anch'essi tali mostrarsi per mirabili opere di coraggio 
e di valore, di forma però che al paragon de'primarj di 
minor luce risplendano. Difalti in Omero riscontransi Aga- 
mennone e Diomede minori d'Achille, maggiori però di 
Stenelo e di Sarpedonte; in Virgilio Ascanio e Pallante ec- 
clissati da Enea , ma essi ecclissano Acale e Lauso ; nel 
Tasso Rinaldo e Tancredi la cedono a Goffredo , ad essi poi. 
Dudone e Boemondo. Cosi del resto. E queste gradazioni 
di tinte, con bell'arte distribuite nel quadro, e accrescono 

(1) Dell Arte Posi., Ragion. IV. 



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DI RETT0R1CA 



28U 



la verisimiglianza , e recano per la varietà diletto, e fanno 
spiccar meglio la figura principale. 

2i. E poiché le opere e gli eroi più sono degni di epo- 
pea , quanto maggiori furono i pericoli corsi e superati , 
cosi più somma apparirà la virtù , e per conseguenza la 
gloria del primo eroe e degli altri, se staranno loro a fronte 
campioni quasi di non minor prodezza ed ardimento. Di 
qui l'artifizio de'sommi epici di pennelleggiare gli eroi con- 
trari co - n t' nte cne talvolta più risentite si pajonodi quelle 
onde gli altri vedonsi coloriti. L'Ettore Omerico è di tal 
grandezza che per poco ti sembra it primo eroe dell'Iliade, 
ma viene a tenzone con Achille , e giace spento sul campo; 
il Turno Virgiliano getta talora si vivida luce, che fa per- 
der di vista lo stesso Enea ; ma alfine scontratosi coll'eroe 
Trojano ne rimane ucciso ; nel Tasso è Solimano il [errore 
dei cristiani , ma cade sotto la spada di Rinaldo: così di- 
casi di Patroclo a fronte con Ettore , di Pallante con Turno, 
d'Argante con Tancredi. 

S5_ Finalmente devesi nel costume di qualsivoglia per- 
sonaggio serbare il decoro, il quale consiste primieramente 
nel dare a ciascuno quel carattere che la storia o la fama 
ne porge ; in secondo luogo , se il carattere è ideale , nel 
fare che ben convenga ai tempi , all'età , alla condizione , 
alla patria dell'eroe , 

■ Colchus , an Assyrius , Thebis nulritus, an Argis ». 

(On., A. P. v. mj. 

Finalmente consiste nel conservare l'eguaglianza del carat- 
tere , cosicché Achille dal principio al fine sia iracundus, 
inexorabilis , acer ; arda d'amor forsennato Didone fino sul 
rogo ; qua! visse , lai muoja Argante , e sia magnanimo e 
pio Goffredo da Tortosa fin là dove : 



« II gran sepolcro adora , e scioglie il volo » ; 

( tìerus. C. XX). 



284 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

essendo fondalo sullo leggi del verosimile il canone Ora- 
ziano: 

o servetur tidimum n 

« Qualis ab incepto processerit, et sibi constet ». 

{4, P. v. m}. 

§. 4. Degli affeili. 

26. Dovendo l'Epopea commuovere gli animi mercè dei 
varj affetti che possono in esso aver luogo, giova dare an- 
che di questi alcun cenno. È certo per le leggi del decoro 
che alla poesia eroica non può convenire se non ciò. che è 
di eroica natura : laonde anche gli affetti debbono essera 
alti e virili , e desìi non meno da forti cagioni. Sara per- 
tanto affettuosa la favola , allorquando per la dipintura di 
scene ora terribili, ora pietose, ora sublimi, ora crudeli, 
riempirà il cuore d'orrore, di compassione, di maraviglia, 
di sdegno , e d'ogni altra commozione forte e veemente, in 
guisa che il letfore pianga al pianlo degl'infelici, e s'in- 
fiammi dell'ira de'generosi. Ed in vero cbi non raccapric- 
cia all'eccidio di Troja ? Chi non piange colla misera Bi- 
done ? chi stringer non si sente di maraviglia e di terrore 
all'acerbo fato di Laocoonte? chi non freme alla immanità 
di Mezenzio ? Oltre a ciò degno dell'altissimo canto è l'amore 
di figlio come in Enea; di amico, come in Niso ed in 
Eurialo, degnissimo quello di patria e di marito, come in 
Ettore. Non cosi l'amore comune , se non quanto esser può 
scintilla, cui gran fiamma secondi; e in ogni caso riuscirà 
più conveniente all'eroica dignilii l'accennarlo appena, come 
Omero fa di quello d'Achille e di Briseide, o tragicamente 
terminarlo, come usò Virgilio. Per la qual cosa viene ri- 
preso il Tasso d'avere forse di soverchio tratlenulo il suo 
canto intorno a questa passione; imperocché gli affetti del- 
l'epopea debbono ritrarre gli animi da ciò che è fiacco e 
lezioso , e ritemprarli a sensi generosi e gagliardi. È vano il 
dire che qui disconviene il rìso; nè vien lodato Virgilio per 
averlo una sola volta destato nel tristo caso di Menete (1). 

(0 Aen., LIb. V, v. 173. - V. Basalli e ZikoTti , op. cit. 



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di hettorica 



288 



5. 5. Dello Stile. 

27. Si pregia sommamente in un poema eroico la no- 
biltà del (ine, la regolarità del disegno , l'ordine e la pro- 
porzione delle parti , la verità e varietà dei caratteri , la 
felice trattazione degli affetti ; ma tutte queste belle prero- 
gative non bastano ad improntar l'opera del suggello del- 
l'immortalila , se non aggiunge loro splendidezza e leggia- 
dria il magistero dello stile e della elocuzione. E poiché 
abbiam veduto quale sia la natura del poema eroico , da 
ciò facilmente s' inferisce che nobile e dignitoso esser pure 
ne debba lo stile , opportunamente contemperato al vario 
carattere delle sue parli, magnifico e dilettevole cioè nelle 
narrazioni , pittoresco e immaginoso nelle descrizioni, pate- 
tico, veemente e concitalo nelle grandi passioni, in una 
parola convenevole sempre alle materie. Inoltre s'unisca , 
per quanto n'è dato, all'abbondanza la brevità, la vivacità 
alla robustezza , sempre e poi sempre il decoro , schivando 
quelle che il Perticari chiamava puerili bellezze E poi- 
ché non di rado incontra che , mirando all'epica maestà, 
si cada nell'affettato e nel tumido, raccomandiamo nelle 
immagini e nei concelti soprattutto la schietta semplicità, 
dote bellissima d'ogni poesia. Splendida e grandiosa poi 
per ogni bel fiore di metafora e d'altri traslati , e per pa- 
role . leggiadre , alte, piene, elette, sonanti vuol essere la 
elocuzione, schiva del pari dell'arditezza lìrica e della bas- 
sezza pedestre. Arroge una scella assennala e prudente 
degli aggiunti ed epiteti, un vestire di vive immagini 
l'astratto , e mercè della favella propriamente poetica un 
significare le idee si che sembrino sempre pennelleggiate, 
e talvolta anco scolpile. Finalmente vi si richiede un'ar- 
monia svariata , limpida e grave e per il verso pieno e 
melodioso, e per la ottava fluida e adorna di quella mae- 
stosa semplicità , onde a buon dritto vien riguardata come 
il metro più. convenevole e proprio dell'Epopea Italiana. 

W Scrittori del Tree., Lib. 11, c. U. 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



§. 6. Poeti Eroici. 

28. Principe della poesia Eroica fu in ogni tempo e 
presso ogni nazione celebrato Omero, creduto pia comune- 
mente dì Smirne, nato circa 900 anni avanti Gesù Cristo. 
Canio nell'Iliade la guerra Trojana, e Dell'Odiami viaggi 
d'Ulisse, i quali due poemi per la originalità e per la sa- 
pienza gli meritarono a buon dritto il titolo di divino -. 
Apollonio da Rodi , nato verso l'anno 250 avanti Gesù Cri- 
sto, cantò nella sua Argonautica la spedizione de'Greci nella 
Colchide per il vello d'oro. 

29. Padre del Poema Eroico Latino fu dagli antichi 
salutato Ennio che celebrò ne'suoi Annali le più gloriose 
gesta de'Romani. I pochi versi che ci rimangono de'suoi 
poemi, dove sappiamo che pur attinse Marone, ben ci 
chiariscono quanto esaltamente lo descrivesse Ovidio là 
ove cantò: , 

a Ennius ingenio maximus , arte rudis » [1). 

Virgilio, la cui fama durerà quanto il mondo lontana, nei 
versi della sua Eneide espresse , come dice il Giordani , 
tutta la maestà romana con la più squisita eleganza gre- 
ca. - Gli sta appresso tra i Latini Lucano, il quale nella 
sua Farsaglia , ha nobiltà di sentimenti e grandiosità di 
concetti, benché infelice nella scelta del tema, e alquanto 
tumido nello siile. - Stazio scrisse il poema della Teòat'de, 
ossia il fratricidio d'Eteocle e Polinice, tristo argomento! 
Poeta d'immaginazione seguì troppo i difetti di Lucano. - 
Canlò epicamente la seconda Guerra Ptmica Silio Italico ; 
ma nella favola riuscì come il cantore della Farsaglia, più 
storico che poeta ; nello stile arieggia a Virgilio. - Lo stesso 
subbietto trattò il Petrarca nel suo Poema dell'Affrica , che 
quantunque gli meritasse gli onori del Campidoglio, ora è j 
noto solo agli storici della letteratura. 

(1) IViil., ELI, Lib. II. 



DI RETT0R1CA 287 

30. Primo a tentare il canto eroico italiano fu il Boccac- 
cio. Ei volle alla corona di novelliere aggiunger anco l'epico 
alloro, cantando nella Teseide, la guerra di Teseo contro le 
Amazzoni-, e per avventura sarebbevi riuscito, se i pregi 

che adornano quel poema di venusta d' immagini, di forbi- 
tezza di dettato, e massime delle sue belle ottave, spende- 
vali attorno ad un soggetto migliore. - Nel secolo XVI il 
Trissino, nutrito di tutte squisitezze greche e Ialine, tentò 
il poema eroico nazionale, cantando V Italia liberata dai Goti 
per Belisario, studiandosi d'avvicinarsi nell'invenzione ad 
Omero; ma le leggi di severa temperanza impostea sèstes- 
so, e il languore del suo verso sciolto resero assai freddo 
il poema , onde accollo con poco plauso , cadde in brev'ora. 
quasi dimenticato, dopo spesivi ben veo l'anni. - Quegli che 
veramente fece dono all'Italia del Poema Eroico fu Torquato 
Tasso colla Gerusalemme Liberata, delizia d'ogni anima gen- 
tile, illustre gloria della nazione, oggetto di maraviglia e 
d'invidia agli stranieri. - Di genere eroico son pure le ele- 
gantissime Stanze che Angiolo Poliziano componeva per la 
giostra di Giuliano do'Medici ; breve saggio di nobilissima 
poesia che sebbene opera incompleta, piacque allo stesso Tor- 
quato che non poco vi apprese, c che ancora si studia e si 
sludiera, finché l'amore del bello animerà i petti italiani. 
-Merita certamente uno deprimi luoghi Ira gli eroici il 
Poema della Croce racquietata, ossia la spedizione di Eraclio 
contro Cosroe, del Bracciolini, che fiori nel secolo XVII, e 
accanto gli siede il Graziani suo contemporaneo che cantò il 
Conquisto di Granala per Ferdinando ed Isabella re di Spa- 
gna, contro i Mori; se non che non pochi difetti di stile 
esageralo secondo il mal vezzo dell'eia sua , scemano d'as- 
sai il pregio di non poche pellegrine bellezze che pur vi ri- 
splendono. E qui, passandomi di parecchi altri poeti epici 
italiani, solo dirò che ebbero Colombo ed Amerigo i loro 
cantori ; quegli, per tacermi di altri, nel Costa, questi nella 
Rosellini, e l'ebbero in Tommaso Grossi i Lombardi alla prima 
Crociata: e conchiudendo noterò che il Poema Omerico ebbe 
ai tempi nostri un'eco, cui non ben risposo per troppa dif- 
formità l'eia nostra, nel Teseo della Bandellinì, c nel Cadmo 



288 DELLE I=T1H;Z10NI ELEMENTARI 

di Pietro Bagnoli, quantunque nell'uno e nell'altro si riscon- 
trino molti bei tratti di squisita invenzione e di stile. 

3t. Il Portogallo e la Francia vantano pure il loro poe- 
ma eroico, questa nella Enriade di Valtaire, quello nella 
Lusiade di Camòens, ambedue ricchi di pregi poetici, non 
però senza gravi difelli, massimo per la natura del sub- 
bielto nel francese, per l'abuso della mitologia nel Portoghese, 
senza di che questi sarebbe a pochi secondo. 

S. 7. Dei Poemetti e delle Novelle. 

32. Gemili rampolli del poema eroico sono i Poemetti e 
le Novelle Poetiche, dove in pio. breve tela dipingonsi illu- 
stri o pietose istorie. Questi componimenti hanno, benché 
in forma assai più ristretta, le stesse regole .dell'eroico ; se 
non che richiedono uno stile men nobile e maestoso, ma 
ricco di venusta e d'affetto. Tale si è il Poemetto tutto spi- 
rante greca leggiadria che scrisse Catullo sulle Noxse di Teti 
e di Pelea. Ne abbiamo esempj anco in italiano; e per tacer- 
mi dei poemetti sbiadili del Chiabrera in versi sciolti, solo 
citerò le Cantiche di Vincenzo Monti e di Giovanni Marchetti 
in elegantissime terzine, e 1 ' lUkgonda di Tommaso Grossi, 
e la Pia de'Tolomei di Bartolommeo Sestini; novelle ambe- 
due leggiadrissime in ottave piene di facilità e di grazia. 



,iht. III. Dell'Epica Romance»». 

33. Comune al Romanzo ebbe l'origine l'Epopea roman- 
zesca , colla sola differenza che quello era in prosa , questa 
in versi, come riscontrasi dagli antichi romanzi provenzali, 
o poemi romanzeschi che voglionsi dire, noli col nome di 
Giranlo di Rossiglione, e Gìoffredo figlio di Dovone (1). Quindi 
le avventure cavalleresche dei Paladini di Carlo Magno , 
secondo che conlavasi dal supposto Tarpino Arcivescovo di 
Reims, e quelle degli eroi della Tavola Rotonda d'Arturo 

(*) G. G»lvìji, Suda Poesia Provenzale, C. XLVl. 



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di rettorica 289 

re d'Inghilterra, porsero, come notava il Tasso, soggetto 
di poetare a infiniti romanzatoli (1). 

3i. Sebbene il Poema romanzesco ami, come l'eroico, di 
cantaro azioni illustri d'eroi a fine di destare dilettosa ma- 
raviglia, e scelga esso pure grande il subbiello, tuttavia 
ne differisce nella regolarità, ammettendo maggiore intreccio 
e libertk d'episodj, innestando armi ed amori, cortesìe e 
audaci imprese, come della la fantasia, purché ne nasca 
varietà e diletto, scendendo, come il romanzo, dal tempio 
e dalia reggia alla piazza ed alla taverna, e movendo con 
pari facilita gli affetti più nobili del canto eroico, e il riso 
e lo scherzo della commedia-, quindi a' caratteri nobili mesco- 
la gl'ignobili e i volgari, né trasceglie dalla natura il solo 
bello, ma benché piti di rado, anche il suo contrario, e 
tutto dipinge con colori vaghi e vivaci, sempre però alle 
svariate materie adattati; laonde in se con leggiadra arte 
contempero l'andamento epico colla festività comica, tanto 
che il lettore trapassa con alterna vicenda dall'ammirazione 
alla ilarità. Non pertanto essendo il poema romanzesco esso 
pure un'imitazione, non può andare sciolto dalle leggi del 
verisimile; se non che le allarga assai liberamente, salvandole 
col mezzo delle arti magiche e d'altri volgari pregiudizi, 
mirando appunto al nascoso fine di combatterli colla più 
efficace quanto meno sospetta arme del ridicolo. 

35. Per le quali cose mi sembra il poema romanzesco 
potersi col Montanari deGnire: a Una imitazione di una o 
« più azioni illustri, miranti ad un solo fine, e fatta nar- 
« rando diversi e svariati casi, ora con elevatezza eroica, 
« ora anche con comica piacevolezza, a fine di muovere gli 
« animi a maraviglia colla novità e colla varietà; e più 
•< che col l'eccellenza de'caratteri, colla verità, de'medesi- 
« mi (2) ». A conferma dì quanto sopra esponemmo , pren- 
diamo dal Foscolo alcune avvertenze cui egli dettava intorno 
alle forme particolari della poesia romanzesca, a La narra- 
« zionc, ei dice, è di natura complessa: storia si annoda 

(1) Disc, t, Del Poema Eroico. 

(2,i Aggiunta ai Blair, P. Ili, C. X. 



290 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

« a sforin , ed il filo del soggetto principale e sempre iu- 
« tcrroito da episodj, introdotti per tenere gli uditori in 
k sospeso, e invitarli a riunirsi ne' giorni vegnenti per 
« ascoltare la fine. ... I varj modi che l'uomo usa narrando , 
« lutti trovano luogo nella poesia romanzesca, valendosi di 
« certo tramandate invenzioni; la religione vi predomina, 
« benché il poeta ammassi le assurdità più solenni; e le 
ti riflessioni suggeritegli dalle cose già dette, o da quelle 
a da dirsi, gli aprono la strada o a ripigliare la narrazione 
« interrotta, o a tórre dall'udienza commiato [\] ». 

36. Notate colla scorta dei maestri dell'arte le principali 
differenze che intercedono tra il poema eroico c il roman- 
zesco, differenze che dimostrano la incongruenza del con- 
fronto che far si volle tra l'Ariosto e il Tasso, concluderò 
collo Zanolti, non dovere il poeta romanzesco mai piegare 
alle bassezze, se non quanto ciò non disdica all'argomento 
principale che egli ha preso a trattare; nel resto doversi 
attenere alle regole generali dell'epopea, nel formare la fa- 
vola verisimile , maravigliosa e affettuosa . senza di che non 
polrh giammai porger diletto, fine precipuo di tal genere 
di poesia (2). 

37. Sul principio del secolo XV fu da alcuni oscuri 
poeti riposta in voga la poesia romanzesca, e comecché 
disadorna nello siile e nel versò, tuttavia piaceva per 
le avventure, per gl'incantamenti e per le azioni miracolose. 
Fioriva in quel tempo in Firenze Luigi Pulci, il quale rial- 
zò la scaduta poesia romanzesca, componendo per piacevole 
interteni mento di Madonna Lucrezia de'Medici , madre che 
fu di Lorenzo il Magnifico, il suo celebre Stergante Maggiore. 
togliendo anch'esso per tema le imprese favolose di Orlando 
e degli altri antichi paladini. Egli si attenne, dice il Foscolo 
(loc. ci t.), all'orditura originale dei cantastorie; e se chi venne 
dopo rabbellì quei racconti per modo che appena possono 
essere riconosciuti, egli è certo che in veruno altro poema 
si trovano cosi genuini e incorrotti come per entro il Mor- 
ti} Sui Poemi narrativi e romanzeschi italiani. 

(8) Ari. Poti., Rag. IV. 



Oigiisod byCoogle 



di rettorica 291 
gante. Inoltre si loda nel Pulci la fluidità del verso, e la 
vaghezza e purità dèlta lingua. - Poc'apprcsso comparve 
l'Orlando Innamoralo di Matteo Maria Boiardo, il quale puro 
trasse materia al suo canto dai Paladini di Carlo Magno, ma 
rabbellendo talmente la sua tela con sì ricca e nuova im- 
maginazione, clic destò la maraviglia de'suoi tempi. Se non 
che la morte gl'impedl di trarlo a termino e a pulimento; 
lo che diede occasiono a Francesco Berni di rifare l'Orlan- 
do Innamorato, e d' illeggiadrirlo colla gajezza delle descri- 
zioni , colla festività dell'elegante suo stile, e colla naturale 
scorrevolezza del verso, come oggi appunto si legge, chè 
ben raro è quello originale del Boiardo. - Quegli peraltro 
che oscurò la gloria dei poeti romanzeschi e prima e poi fu 
Lodovico Ariosto, il quale riprendendo le fila del Boiardo 
continuò il Poema col titolo d'Orlando Furioso. E qui io non 
so se più' debbasene lodare la ricchissima vena o la splen- 
didezza dello siile. Solo dirò che al suo poema fu dato a 
buon diritto il titolo di divino , e che egli tiene il seggio 
sovrano e quasi non dissi, per sempre tra i poeti roman- 
zeschi. -Bernardo Tasso, padre del gran Torquato , scrisse 
anch'egli VAmadigi di Cauta, tratto da un romanzo Spagnuo- 
lo; poema tentilo in gran conto dai letterati di quel secolo, 
abbondando e di belle sentenze e di vaghe comparazioni, 
e riscontrandovisi nobile arie di verseggiare. Ed egli stesso 
rendendo ragione della preferenza che dava al poema ro- 
manzesco, così scriveva al Giraldi: « Non è dubbio alcuno 
a che il fine e l'eccellenza del poeta deve esser nel giova- 
« re e nel dilettare: ma come, per la imperfezione degli 
« animi nostri, molto più la dilettazione che l'utile si suol 
ci desiderare; e senza dubbio alcuno assai più diletta 
« questa nuova maniera di scriver de' romanzi, che quell'an- 
« tica non farebbe, forse è meglio, ad imitazione di que- 
o sti scrivendo, dilettare, che di quelli, i lettori saziare 
« e fastidire (1) Parole savissime, e che per certo cose 
toma mollo bene a proposilo il ripetere anch'oggi. - E qui 
mi lacerò di altri poemi di minor conio, per trattare al- 
ti) Lelt. al Giratili, Race, cìt., p. <88. 



292 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

quanto de'Poemi Eroicomici, che dir si possono derivati 

dai Romanzeschi. 

38. li Poema Eroicomico è come una contraffa ttura 
dell'eroico a fine di meglio rilevare il ridicolo del tema 
a più scherzevole diletto. 11 poeta di fatti sceglie a sub- 
bietlo un'azione volgare e degna di riso; ma intuona il 
canto come da senno , e pare che tratti l'azione come 
eroica , e quali eroi i suoi personaggi ; se non che tra- 
sparisce bentosto la fìoa ironia a traverso della grandezza 
epica che studiasi di dare a troppo umile ed abbietto 
argomento. Oltre a ciò le descrizioni falle sul serio d'av- 
venimenti e battaglie da lilliputli, le situazioni comiche 
de'suoi principali personaggi, certe arguzie e lepidezze che 
qua e là vi sparge, e l'intrecciare con gioconda sorpresa 
lo stile eroico al faceto, coti mille altre piacevolezze di con- 
cetto e dì lingua, tutto mostra che il poeta scherza; e noi 
ridiamo al suo grazioso artifizio. 

30. Egli è certo che ancora il poema eroicomico richiede, 
come l'eroico, intreccio, costume ed affetti; ma se da que- 
sti là nasce la maraviglia, qui deve scaturirne il ridicolo; 
e questo , siccome è il principal carattere di tal genere di 
poesia, cosi dev'essere piacevole , gajo e soprattutto spon- 
taneo, schivando del pari la ricercatezza e la scurrilità. 
Siffatti componimenti richiedono più arte che non si crede, 
e sono da tentarsi solo da chi sorti da natura ingegno ame- 
no e festivo. E perchè , dice il proverbio , ogni bel giuoco 
dura poco, anche il poema eroicomico non vuol esser di 
lunga durata, acciocché il riso non si converta in fastidio. 
Lo stile, siccome è detto, dev'esser misto del nobile e del 
gajo; e le grazie dell'atticismo toscano ne infieriranno la 
elocuzione, che nitida ed elegante unir si deve alla scorre- 
volezza del verso ed alla spontaneità della rima. 

40. Primo esempio della poesia eroicomica è la Batra- 
comiomachia attribuita ad Omero, dove epicamente si canta 
certa guerra di ranocchi e di topi, che dovette essere una 
satirica allegoria. Piacque al Tassoni, egregio poeta che fiori 
sull'ultimo scorcio del secolo XVf f prenderne l'idea per il suo 
celebre poema della Secchia rapita, che com'Elena pei Greci, 



DI RETI OR ICA 293 

fu pei Bolognesi cagione di guerra nel 1249 contro i Modauesi, 
nella cui citlìi lultor si conserva nella torre della la Chir- 
laudino.. I! poema è pieno di sali elelli e delicati , d'imma- 
gini lepide e grazioso, e condilo d'attica eleganza, tanto 
che nella poesia eroicomica tiene senza fallo il primo seggio. 
Sta a lato al Tassoni il Bracciolini col suo poema Lo scherno 
degli Gei. Il costoro esempio , e il plauso onde quo' loro 
poemi vennero accolli, invogliarono molli altri a seguirne 
le orme; e nel secolo XVII si videro sorgere parecchi poemi 
eroicomici, ira' quali mi ristringerò a citare il Malmantile 
racquistato di Lorenzo Lippi, ove sovrabbondano vivaci mo- 
di proverbiali e idiotismi fiorentini sparsivi con molto lepore 
e garbo, e la Presa di Samminiato d'Ippolito Neri, ove si 
lodano tratti di felice fantasia e di festivo ingegno. 



Capitolo III. - Della Poesia Drammatica. 

1. La poesia Drammatica, a differenza della lirica e del- 
l'epica, nelle quali si mostra quasi sempre il poeta, o canti 
o narri mirabili cose, consiste nel rappresentare con grande 
imitazione del vero un avvenimento acconcio a commuovere, 
ad istruire e a dilettare, introducendo a fare e a dire quei 
medesimi personaggi che veramente in quello ebbero parte, 
o che almeno si finge, come se l'avvenimento cadesse pro- 
prio allora in essi sotto i nostri occhi, discomparendo al tutto 
la persona del poeta. Quindi Dramma in generale significa 

2. La Drammatica pertanto, essendo, come ben insegna 
il Bindi, uno specchio dei varj casi della vita, e potendo 
questi essere o lieti o tristi, e cadere in persone illustri, 
o volgari, partesi in più rami, due de'quali sono principa- 
lissirni e opposti, la Tragedia e la Commedia (t). 



(0 Tratt, sul Teatro comico di' Latini, premeiso al Commtnlo alle 
Comm. di Tertn., T. I, p. Vili, Prato, «863. 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



Art. I. - velia Tragedia. 

3. La Tragedia è la rappresentanza, o imitazione d'un 
avvenimento illustre ed infausto, atto a destare pietà e 
terrore. 

4. La tragedia che or grave s'aggira tra le aule de'grandi 
e ne ritrae l'alte sventure, ebbe ben diversa origine. Essa 
in principio non era che un ditirambo o un inno a fiacca, 
laonde nota il Gravina che la immagine della tragedia, come 
rosa entro il guscio, s'ascondeva dentro la poesia ditiram- 
bica (1}, e perchè il cantore che vinceva la prova nel cele- 
brare le lodi del nume, riportava in premio un capro che 
pure era sacro al Dio, il carme fu detto Tragedia che si- 
gnificava canto del capro. Originò dunque dalle feste Bac- 
chiche dai Greci appellale Dionisie. Per Tespi d'Icaria nel- 
l'Attica, il quale fioriva circa il 536 avanti Gesù Cristo, 
tolse forma drammatica, avendo il poeta mescolato al coro 
attori che dipinti di mosto la faccia, gesticolando narravano 
le imprese di Bacco o d'altri eroi, su d'un teatro mobile. 
Un mezzo secolo appresso Eschilo d'Atene le diede quel re- 
golare andamento che poi s'ebbo la vera Tragedia greca; 
rese stabile il palco, ed inventò il sirma ed il coturno per 
divisa degli attori tragici ; laonde fu meritamente salutato 
padre di quella. Ad Eschilo succedettero Sofocle ed Euripide, 
dai qualità tragedia fu levala a si grande altezza, che dopo 
costoro non so se mai l'aggiungesse maggiore. 

5. Il fine morale della Tragedia si è d'educare, mercè 
della compassione e del terrore, il popolo a civiltà nobile e 
gagliarda, svolgendo negli animi i germi d'ogni generoso 
sentimento a prò della sventura , e d'odio per la iniquità, 
ammaestrandolo della volubilità delle umane grandezze , 
sia a temperarne l'orgoglio , sia ad infondergli costanza ; in 
somma purgandone lo sregolamento delle passioni vuoisi 
così inspirare in esso rettitudine e magnanimità. E poiché 
la Drammatica più d'ogni altro genere di poesia , è un'imi- 

t<ij Della Tragedia, Libro Uno, fr i. 



DI HETTOMCA 295 
tazione più reale e più viva , comparendo in essa il fatto 
come vero e presente, solo al poeta drammatico è dato 
commuovere ed infiammare gli animi per ciò che si ode 
non meno che per ciò che si vede ; quindi merita sovra di 
ogni altro il titolo di poeta civile. Se non che guai s'egli 
sbusa della sua nobilissima arte, perocché se d'un gran 
bene egli può esser cagione, può essere altresì incentivo ad 
un male inestimabilmente più grande. Non si dimentichi 
adunque giammai dal drammatico che il teatro esser deve 
scuola di civiltà, non di ferocia e di corruttela. 

6. AI pari che nell'epopea sono da considerarsi nella tra- 
gedia il Subbielto , la Favola, il Costume, gli Affetti e lo 
Stile. 

§. i. Del Subbielto. 

7. Il Subbielto , o argomento della tragedia deve , come 
nell'epopea , esser grande ed illustre , ed oltre a ciò pietoso 
e terribile. E perchè meglio commuove ed attrae un av- 
venimento reale e sentilo , gioverà attingerlo da fonti sto- 
riche o tradizionali , nè si smisuratamente discosto per reli- 
gione e per usi ; quindi potrà ricercarsi nei tempi della greca 
e romana grandezza , o in quella de'popolì delia moderna 
civiltà , e forse più utilmente ancora tra i fasti biblici e na- 
zionali. Grande poi , e come diceva l'Alfieri , tragediabile è 
da dirsi il subbielto , quando il fatto quasi uscendo dalla 
cerchia della reggia o del palazzo signorile, seco si trasse 
grandi e pubbliche conseguenze. Nè si scambi il terribile 
coll'atroce e collo schifoso , siccome pare che da una certa 
scuola talvolta si faccia. Melpomene rappresenti sulla scena 
ì truci effetti dell'odio , della vendetta , della gelosia , del- 
l'ambizione nel cuore de'grandi , e tratti pure contro il de- 
bole oppresso il pugnale ed il veleno; ma non già vi esponga 
passioni vilmente crudeli e fuor di natura , nè la faccia da 
boia colla mannaia sempre in alto; chè in tal guisa ecciterà 
non il terrore , ma il raccapriccio , e a poco a poco abituando 
il popolo a tutti gli orrori , anzi che purgar le passioni , 



296 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

com'è suo scopo, le renderà furiose e sanguinarie. Non sì 
dimentichi di grazia dai drammatici quello che con gran 
senno cantava delle antiche Romane il Farmi : 

« Quindi perversa l'indole 
« E fatto il cor più fiero , 
« Dal finto duol , già sazie 
« Corser sfrenate al vero » (1). 

g. 2. Della Favola. 

8. La Femia che , come dice il Gravina , è lo spirilo 
della tragedia, n'è altresì la parte più ardua. Scello giu- 
diziosamente il subbielto , vuole anche più giudiziosamente 
essere svolto nella Favola, che n'è l'orditura , il disegno ge- 
nerale. I caratteri essenziali della Favola pertanto sono unità 
e verisimiglianza. 

9. Quella unita drammatica che l'Alfieri chiama prìnci- 
palissitna e sola vera, perchè posta nel cuore dell'uomo, 
consiste nel rappresentare un'azione sola, siccome quella che 
è necessaria all'unita di sentimento (2) , il quale altrimenti , 
come ben nota lo Zanotti , distraendosi in più parti si smi- 
nuirebbe. Quantunque però voglia l'azione esser una , non 
dee tuttavia esser semplice , ma composta di molte che ne 
formino uoa sola. Ora la grand'arte del tragico sta appunto 
nel connettere le azioni subalterne alla principale, ìn guisa 
che sì raccolgano quasi in un solo concetto , e un solo pro- 
fondo affetto risveglino ; perocché , siccome avverte il Nic- 
colini , quando un'opera contiene più d'un avvenimento 
principale , non possiamo provare che impressioni deboli , 
incoerenti , e nello spirilo nascer deve più confusione che 
diletto , perchè in nessuna cosa più potè riposarsi , e da 
nessuna fu signoreggialo ; e Io stesso Goéthe notò che la 
tragedia non può essere una lanterna magica : non le basta 

(1) Ode XVII a Silvia, sul vestire alla Ghigliottina. 

(2) Parere sulle sue Tragedie, sceneggiatura. 



Di bettobica 297 
la successione , 'ma vuole la connessione ; tanto è fondamen- 
tale il canone Oraziano: 

a Denique sit quodvis simplex dumtaxat, et unum » (1). 

10. Alla unità d'azione vanno eziandio congiunte le altre 
due di tempo e di luogo, per le quali si vuole intendere che 
l'azìoue comprenda nn solo giorno o poco più, e che si man- 
tenga la scena più che si può dove quella ebbe ìncomin- 
ciamento. Queste tre unità diconsi Aristoteliche, perchè si 
pretendono prescritte dallo Stagirita come canoni imprete- 
ribili. La prima unita non è più legge d'Aristotele che di 
natura, come crediamo aver con valide autorità dimostrato; 
delle altre due v'è controversia fra gl'interpreti del filosofo, 
e il Niccolìni osserva che dell'unità di luogo non fa parola; 
che quanto a quella di tempo , narra un fatto , non pre- 
scrive una legge. Checché sia di ciò , soggiunge : « Bandite 
« dal teatro queste convenzioni dell'arte, e l'imitazione 
« drammatica non sarà più nè separata nè distinta dalla 
« maniera di essere positiva delle cose nel corso ordinario 
e della vita » (3). Tutto vuoisi intendere con discrezione ; 
quindi la superstiziosa osservanza delle due unità da un 
lato, e il licenzioso disprezzo delle medesime dall'altro, 
sono esagerazioni del pari all'arte dannose, derivate egual- 
mente dal confondere il vero col verisimile , essenzial fon- 
damento della imitazione. Per la qual cosa lungi dalla so- 
verchia restrizione che di leggieri trae allo smilzo, non meno 
che dalla sbrigliata licenza che spesso ingenera noia e lan- 
guore, si mantenga la illusione drammatica più che si può 
conformemente alle leggi della veri si migli anza , e s'otterrà 
l'effetto scenico , e per conseguenza il fine d'eccitare in altrui 
gagliardo e durevole il sentimento; perocché, dirò con lo Za- 
netti : « Io non veggo perchè l'azione dovesse essere meno 
a compassionevole , men bella , quando seguisse in due 
o giorni o in tre , e anche più ; e , cosi portando la varietà 

H) Dell'imitazione nell'Arte Drammatica, Edli. cit., Voi. Ili, p.206. 
(t) DelVimitasùme nell'Arte Drammatica , Voi. cit. 



298 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

k degli accidenti, passasse da un luogo ad uu altro » (1). 
E qui credo opportuno notare che lo Zanotli parla di giorni 
e non di mesi o d'anni , e quindi dicendo da un luogo ad 
un altro, non vorrà certo intendere di luoghi distanti tra 
loro mille miglia. A fine di tenersi adunque nei giusti li- 
mili , gioverà por mente prima alla scelta del subbielto, 
dipoi a quella del punto donde muover dee l'azione , affin- 
chè tutta la serie degli avvenimenti si comprenda in giusto 
spazio di tempo e di luogo, siccome vediamo nei sommi 
tragici greci, francesi ed italiani. 

H. Che so la unità d'azione tanto importa all'effetto del 
dramma, slrellamento essenziale altresì n'è la verisimi- 
glianza , principal fonte della illusione e del diletto. Egli è 
certo che l'aziono drammatica ò una imitazione de'successi 
reali, onde avviene, come dice il Gravina (2) , che gli ottimi 
poeti, scolpendo il vero sopra i personaggi antichi, fuori 
della loro intenzione colpiscono nelle cose presenti, perchè 
il vero non invecchia nè muore , ed ò il medesimo in tutte 
le stagioni. La verisimiglianza drammatica pertanto consi- 
ste nel far si che possa credersi , quell'avvenimento che pi- 
gliasi a rappresentare essere veramente una volta acca- 
duto (3). A ciò vale grandemente la giudiziosa connessione 
delle parti, la succession dei fatti logicamente collegata colle 
cause e cogli effetti; il serbare gli usi e le credenze dei 
tempi e dei luoghi , donde è tratto il subbietto; dare ai per- 
sonaggi affetti , idee ed azioni secondo il loro tempo e la 
loro nazione. Ove in alcuna di tulle queste cose trasparisca 
alcun che d'incoerenza , di raffinamento, di strano o di esa- 
gerato, si rompe l'incauto dell'illusione, e in luogo della 
pietà e del terrore si eccila o la noia o il riso. 

42. Insegnano i retori doversi al verisimile accoppiare 
eziandio il maraviglioso, per il più sicuro effetto del dram- 
ma. I tragici greci lo trassero di leggieri dal soprannalu- 
rale, e l'Alfieri pure ne lo trasse per il Saul; ma in ciò 

MI Art pm., Ragion. II. 
(8) Della Trag., fi. II. 
(3j Z&NOTTI , op. cìt. 



PVtad &* Google 



di rettorica 299 

bisogna andare a rilente , e per la reverenza alla nostra 
religione, e per la sì cambiata natura de' tempi; tuttavia 
in subbielli biblici e sacri non disconverrà, io credo, alle 
leggi del verisimile attingere, a ma' dell'Astigiano , dai fonti 
del soprannaturale il maravigli oso , chè non e spenta affatto 
nel popolo la fede. Del resto si cerchi il maraviglioso o nel 
dipingere qualche grande e straordinaria virtù, che pure ha 
potenza di destare negli animi salutar maraviglia, o nel 
rappresentare qualche sublime ed eroica azione per un fine 
non meno grande e sauto ; o finalmente come rileva lo Za- 
notti [loc. cil.) nell'intrecciare « molli accidenti in guisa 
ic che quando da quelle cause onde parrebbe che dovesse 
<t uscire un effetto , con bella maniera se ne fa uscire lutto 
« il contrario. Come nell'Edipo, dove le ricerche che il re 
« prende a fare delì'assassiuo di Lajo, pare che debban 
« condurlo ad una somma felicità , e son pur desse che 
a lo traggono in un'estrema miseria ». 

13. Ora dicasi delle parti che costituiscono la sparli tura 
della favola, le quali dislinguonsi in scene ed atti. Chiamansi 
scene quei mutamenti che avvengono dal comparire in sul 
palco , o dal ritirarsene che fa uno o più personaggi , senza 
interrompimento detrazione. Atti diconsi quei compartimenti 
in cui per certe pause viene distribuita la favola. A bene e 
verisimilmenlo condurre le scene fa di mestieri che ciascuna 
di esse sia , come diceva l'Alfieri , motivala (1) ; cioè che la 
comparsa d'ogni personaggio abbia in so una giusta e pro- 
babile ragione, lauto che paja condotto dalla cosa stessa, 
non dal poeta ; che il ritirarsene sia pur naturale , dopo 
detto e fatto nè più , nè meno di ciò che doveva. Conviene 
inoltre, siccome saviamente n'avverte Io Zanolti , che le 
scene si attacchino luna all'altra per modo che le persone 
che son nell'una , non mai partano tutte ad un tempo , 
sicché resti vacuo il palco , ma sempre alcuna ne rimanga, 
la quale entri nella scena che segue , e così fino alla fine 
di ciascun atto. Fa d'uopo in ultimo porre c collegare le 
scene di forma che vi si riscontri la necessaria congruenza, 



il j Parere sulla su* tragedie , loc. r.ii. 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARE 



acciocché per manco dì vcrisimiglianza non se ne distrugga 
l'effetto; e a un tempo schivare la frequenza dei soliloqui . 
di che venne appuntalo lo stesso tragico nostro , il quale 
benché a drillo se ne difendesse, pure riconobbe in qual- 
che parte il difetto (1). 

14. Lo spartimenlo della favola in cinque alti non è 
legge assoluta , essendovi ancora tragedie greche , le quali 
ne contano più o meno , come V Antigone che ne ha sette, e 
il Fiiottete che ne ha tre , ambedue di Sofocle ; e lo stesso 
precetto oraziano fS] viene giudiziosamente spiegalo dal Me- 
tastasio per un avvertimento ai drammatici d'accomodarsi 
alla consuetudine oramai stabilita nel teatro romano. Altret- 
tanto però credo debbasi dire per noi , potendosi oramai 
tener per legge un uso pressoché costante e universale , 
ove peraltro la natura e l'intreccio del dramma tale vera- 
mente non sìa che richieda d'esser diversamente spartito ; 
essendoché cotal regola assolula in arte, come riflette il Nic- 
colini , non altrimenti che il letto di Proclisie, sforzerebbe 
a stendere o a raccorciare i corpi più. belli , per assogget- 
tarli ad una tirannica misura (3). Del resto chiara vi appa- 
risca la necessità , non il comodo del poeta. 

15. Nei cinque atti pertanto conliensi tutto il disegno 
delta favola , il quale formasi della protasì , dell 'epiteli o 
nodo , e della catastrofe. Fino dalla prima scena dell'alto 1 , 
che è come il prologo degli antichi , incomincio la protasi 
o esposizion del subbietto. Nel II si dispongono a grado a 
grado le fila dell'intreccio; nel III si avviluppa ragionevol- 
mente il nodo ; nel IV si preparano con occulta arte le vie 
alla catastrofe o scioglimento ; nel V si corre allo sviluppo 
finale della catastrofe slessa. Non v'è, nò può stabilirsi 
legge intorno ai riposi che distinguono gli alti ; dipende inte- 
ramente dal subbietto e dall'ingegno del poeta il collocarli 



(1) Parere sulle sue tragedie, loc. cit. 

(2) « Neve minor , nen sit quieto prodnclior actu 
a Fabula qiiae posci vult, et spedata reponi » 

(Ari. Pool., v. «*), 
l3) Della Trag. greca , T. I , P. LXVlll , ed!». oiL 



DI BETT0H1CA 301 
e a tempo e a luogo , avvertendo tuttavia di tener sempre 
desta l'altrui curiositi), e d'accrescerla ed infiammarla ognor 
più ; tenendola fino alla fine sospesa mercè di nuovi e ina- 
spettati accidenti. ;Il j ■.':}.;!, i-jinil . 

16. La tragedia, siccome poema natum rebus agendis , 
ottiene la sua principale efficacia dall'azione , la quale vuol 
essere una e continuata, e avente, come dice Aristotele, 
principio, mezzo e fine. I Greci, la cui tragedia pacatamente 
procede con grande armonia nel totale e con debita pro- 
porzione nelle parti , cercarono di congiungere la varietà 
alia semplicità dell'azione, intrecciando le azioni subalterne 
ed episodiche con sì sottil* magistero, che il concello arti- 
stico ne risultava intero e spiccato. L'Alfieri si studiò d'imi- 
tarli , e spesso vi riuscì. L'azione principale pertanto, infor- 
mando tutto quanto il dramma con calore sempre crescente, 
invigorita ed incalzata altresì dalle azioni subalterne, at- 
tragga per se slessa gli animi , e gli volga con alterna vi- 
cenda ora al timore , ora alla speranza , ora all'odio, finché 
al suo scioglimento non li ricolmi di pietà e di terrore. H 
quale intento finale meglio raggiungerà il poeta con quella 
semplicità che si loda nei Greci , che non colla moltiplicità 
degli accidenti , o peggio ancora colle situazioni singolari, 
strane e ricercate , chè quella concentra l'attenzione , que- 
ste la disperdono e il sentimento illanguidiscono. 

17. Lo scioglimento della tragedia è d'ordinario pietoso 
e terribile. 11 ferro o il veleno sogliono essere i ferali stro- 
menti della catastrofe , nella quale appunto si pare tutto 
l' ingegno e tutta l'arte del poeta. Siccome non si viene al 
sangue che per lungo e concentrato odio , o per bruta! sete 
di vendetta , o per febbre di cieca e grande passione , o 
per disperalo consiglio , così fa d'uopo che ciò si apparec- 
chi nel corso dell'azione a grado a grado sì che apparisca 
naturalmente da questa scaturir la catastrofe ; nè monta 
che quasi in ombra la traveda lo spettatore, basta che 
giungagli inatteso il modo dello sviluppo , e se si può, vinca 
eziandio la sua aspettazione. Tra i mezzi atli a ciò, etnea-- 
cissimo è quello detto dagli antichi Agnizione, e si adope- 
ra , allorché si scuopre esser la persona di condizione e di 



302 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

grado ben diverso da quello che appariva; dal che facil- 
mente nascono accidenti quali non mai s'aspettavano (i). 
Se non che a rendere naturale , verisimile e dirò ancora 
tragica l'agnizione , lungi dall'adoperare quelli cui l'Alfieri 
chiamava mezzucci, come biglietti, croci, roghi, capelli, 
spade ec, (2) , fa d'uopo derivarla da segni certi del corpo 
e meglio ancora , come nota lo Za notti (loc. cit.) , dall'argo- 
meniamone , che è quando comunicando insieme molte per- 
sona , e scoprendosi a poco a poco quello che ognun sa, 
giungono per mezzo a mille ansietà e timori , che tanto 
piacciono nella tragedia, ad un inaspettato riconoscimento, 
che in modo meraviglioso e non preveduto affretta e com- 
pie la catastrofe , come nell'Edipo di Sofocle , nella Merope 
e nell'Oreste d'Alfieri. 

18. Finalmente a render tutta intera la favola quanto 
fa d'uopo attraente, maravigìiosa e veramente tragica, si 
offrano agli occhi dello spettatore , il più che si pub, i fatti 
più rilevanti del dramma: o almeno facondo narratore, e 
non uno degli ultimi dei personaggi , gli esponga sì che 
sembri meglio vederli che udirli; e ciò vale principalmente 
per la catastrofe; del che ben a ragione compiacisi il Tra- 
gico noslro , il quale dice non aver egli , ove si polea senza 
punto offendere il verisimile o la teatrale decenza, mai fatto 
narrare ciò che potea presentarsi agli occhi , e che operato 
in palco dai soli personaggi importanti , dovea ben altra- 
mente commuovere gli spettatori (3), memore dell'oraziano 
avvertimento : 

* Segni us irritant animos demissa per aurem 
a Quam quac sunt oculis subiecta Meli bus ». 

(Ari. Paci., v. 480 J. 

Vera cosa è però che sonovi tali atrocità che non compas- 
sione ma ribrezzo , non terrore ma raccapriccio possono 

H) Zanotii, loc. Cjt. 

(2, Parere sulle sue Treg. , Lmenxi me. 

(3j Parere ec, loc. cit, 



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DI RETTORICA 



303 



solo inspirare , e queste voglionsi dalla scena interamente 
proscritte, non consentendo il decoro, nè Io stesso fine 
della tragedia, che è di far grande e non feroce il cuore 
umano, che Medea trucidi alla vista del popolo i suoi- 
figliuoli , nè che Edipo si svelga gli occhi di fronte , con 
altre siffatte mostruosità, non rare sciaguratamente in cer- 
ti drammi di conio moderno. E qui basterà della favola , 
solo avvertendo in ultimo , che riuscirà non solo più gra- 
to , ma ancora più morale , se trionferà sull' iniquità la 
virtù, se non per il fatto materiale, non consentendolo 
spesso il subietlo , almeno per lo psicologico, bastando talora 
l' idea dell'infamia, o il rimorso a vendicare il delitto, che 
sebben fortunato, è pur sempre infelice. 

g. 3. Del Costume. 

19. Parte rilevantissima della tragedia e il costume . 
L'azione drammatica si sviluppa e si compie da personaggi 
i quali aver debbono il costume loro proprio , e questo 
vuol esser coordinato all'effetto generalo della Tragedia , 
essendoché il carattere d'un uomo è , come dice Io Schle- 
gel , la vera cagione della sua condotta. I personaggi poi 
altri sono principali , altri secondar; ; questi concorrono in 
modo più o meno diretto al compimento dell'aziono; quelli 
ne sono i primi e veri autori ; e colui che tra questi pre- 
vale diecsi Protagonista , quantunque , come ben nota il 
Ranalli , talvolta avviene che niuno tra i principali perso- 
naggi talmente sovrasta , che più l'uno che l'altro dir ve- 
ramente si possa protagonista , ancora che da esso prenda 

'il nome la tragedia, come l' Ippolito d'Euripide, e il Fi- 
lippo d'Alfieri , che potevano in cgual modo intitolarsi la 
Fedra e il D. Carlo, come trattando gli slessi soggetti ado- 
perarono Bacine e Schiller , laonde il vero protagonista ad- 
diviene il fatto stesso (4). 

20. E primieramente fa d'uopo che i personaggi prin- 
cipali siano illustri , tale pure esser dovendo l'azione ; ed 



(1) àmmatslrammli or., Lib. IV, c. I» , g. 30. 



304 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

eziandio i secondari' conviene siano distinti , benché di 
grado inferiore , a fine di non. recare offesa alla tragica 
dignità , per amor della quale l'Alfieri gli escluse dalla sua 
tragedia, -a rischio altresì di renderla troppo nuda e talora 
alquanto ammanierala. Nè interamente empio, nè di somma 
e perfetta virtù richiedesi da Aristotele il protagonista, o 
se vuoi meglio , quegli che destinato è alla final peripezia; 
perocché se empio, non ne commuovo la sventura, se som- 
mamente virtuoso, sarebbe a questa superiore, e non si 
infelice da destare piota, o troppa indignazione ecciterebbe 
la vista di persona cotanto valorosa e immeritamenle ap- 
pressa (4); vuoisi adunque di mezzana virtù, di forma 
che tutto senta il peso della sua sciagura, e se ne dolga, 
senza però troppo meritarla (2). La quale avvertenza in 
generale giova a rendere veramente tragediabili i caratteri, 
essendoché da questi nascer dee la pietà , come dalla cata- 
strofe il terrore , affetti finali della tragedia. 

21. Gli altri personaggi siano in diverso grado e sempre 
mezzanamente pur essi , alcuni buoni , alcuni malvagi, ac- 
ciocché ne derivi varietà , contrasto e movimento di pas- 
sioni , concorrendo ciascuno secondo il proprio costume a 
rendere pietosa e terribile a un tempo l'azione. Dei perso- 
naggi secondarj , quali sono confidenti , ancelle , capitani di 
guardie , messaggi e simili , il cui uso bene è sia parco as- 
sai , e veramente dalla favola richiesto, poco o nulla è da 
dirsi, mostrandosi d'ordinario buoni co' buoni e viceversa, 
o apparendo appena sulla scena da non spiegar carattere ; 
ciò che importa si ò , che parlino ed operino anch'essi con- 
venientemente alla nobiltà della tragedia. 11 poeta pertanto , 
per non offendere il costume , e dipingerlo coi colori veri e 
propri della natura, deve attentamente svolgere i dotti vo- 
lumi de'Glosofi morali e dei sommi tragici, e soprattutto 
studiar l'uomo nell'uomo , discendendo, come dice il Nicco- 
lini , negli abissi'della sua coscienza per trarne in luce, per 

[1) Tulio questo però non ò da prendersi si strettamente, che non 
abbia le sue eccezioni , massime trattandosi d'eroi cristiani. 

(2) Zanotti , loc. cit. 



DI RETTO RICA 305 

quanto è dato , i misteri , ciò che pensa la mente , ciò che 
eseguisce il volere, e fa dell'uomo la gloria, la vergogna, 
il destino [i). 

22. Aristotele, o dirò meglio , lo legge del verosimile, 
vuole nel costume convenevolezza ed eguaglianza. Di que- 
sta si disse quanto basta parlando dell'Epopea al n.° 24. 
Della convenevolezza pure si parlò; ma perchè altro si è il 
descrivere , come d'ordinario fa l'epico , le cesia degli eroi, 
altro il rappresentare , come fa il tragico , persone parlanti 
ed operanti sulla scena , è prezzo dell'opera aggiungere 
alcun che. La convenienza de! costume è quando si attri- 
buisce alla persona quello che le si addice appunto per l'età , 
per il sesso , per la nascita . per la condizione . per la patria , 
per l'indole , per la passione , e perfino per il grado più o 
meno violento di questa. Fa di mestieri pertanto che cia- 
scun personaggio o parli , o operi , o anche accenni , espri- 
ma sè stesso nò altri che sè stesso , in quel modo e in 
quel grado ond'è mosso da amore, da odio, da tristezza 
o da ira; ossia che vigoreggi iti lui giovenile fierezza o 
canuto consiglio; o che sia re, sacerdote o guerriero; 
sia infine d'Asia, di Grecia o di Roma dell'antica età, ov- 
vero di Francia, di Spagna o d'Italia della moderna; il 
quaì ultimo pregio chiaro riscontri nell'Astigiano, nei tragici 
francesi non sempre. Grandemente disconviene altresì attri- 
buire ai personaggi del dramma affetti , idee ed azioni che nel 
tempo in cui vissero non potevano aver luogo. Finalmente fa 
d'uopo serbare in tutti la tragica dignità, cosicché l'amante 
sia tenero, ma non svenevole, il tiranno sia crudele , ma non 
volgare , l'oppresso sia grande , ma non stoico , nè troppo 
piangoloso, la donna come figlia, come sposa, come ma- 
dre , sia sensibile e affettuosa , non mai , come dice l'Alfieri, 
donnicciuola; in somma dirò col Poeta: 

. a Ogni viltà convien che qui sia morta u 
; tnf. , C. Ili ]. 



Hi Sulla Trag. greca , T. I , P. I.XXXVI , ed. ci(. 



L i J ll_L'"J ì.'.' 



306 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



g. 4. Degli Affetti. 

23. Passando ora a dir degli affetti della Tragedia, è fa- 
cile dal sin qui detto inferire che ogni grande azione dram- 
matica è l'effetto d'una passione alla e veemente. Fuvvi un 
tempo che non si conosceva altra passione per la tragedia 
che l'amore, o almeno, quasi non se ne potesse far senza, 
vi s'intrecciava per via d'episodj, V'erano anche prima 
dell'Alfieri alcune tragedie donde cotale affetto vedessi esclu- 
so ; ma quegli che veramente mostrò col fatto che pote- 
vano farsi beile tragedie anche senz'amori fu desso, e in- 
segnò a un tempo che se l'amore s'introduce sulle scene, 
dev'essere per far vedere fin dove quella passione terribile 
in chi la conosce per prova, possa estendere i suoi funesti 
effetti (1J. Bene sta adunque che l'amore, quando è intrin- 
seco al subbielto, eolri nella tragedia, ma sia però degno 
del coturno, educando non a mollezza, sibbene a magna- 
nima virtù. 

24. Le altre passioni proprie della tragedia sono l'am- 
bizione, la liberta, la vendetta, la gelosia, il furore ed al- 
tre di tal fatta, spesso trista cagione d'orribili e sanguinosi 
delitti. Nel tratteggiare adunque coleste funeste passioni 
nella loro crudele ferocia, nel contrappor loro teneri ed in- 
nocenti affetti di spose, di madri, di figli, d'amici, nel su- 
blime contrasto infine d'una truce e profonda malizia con 
una leale e generosa bonlà, debbono naluralmente nascere 
situazioni e accidenti varj e pietosi da eccitare negli animi 
degli speltalori ansietà, speranza, timore, indignazione, 
odio, amore, maraviglia; i quali affetti preparano la via ai 
due supremi e (inali deila tragedia , la pietà e il terrore. 
E dove la favola sia intessula con bell'arie e con senno in 
guisa che quelle commozioni svariatamente si destino e cre- 
scano di scena in scena, la tragedia sarà, quale dev'essere, 
appassionata e commovente. Se non che il grande e diffi- 
cile magistero di commuovere è tale che non si apprende 

[1) Risposta alla leti, del Calsabigi, p. lxxii. Ed. d'Italia , 4807. 



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DI RETTO RIC A 307 
se non dal cuore, nè industria di retore, dice il Niccoliui, 
condurrà inai i drammatici alia sacra ed arcana origine 
del pianto; ebe anzi questo al palesarsi dell'arte s'inaridi- 
sce sul ciglio ; e solo l'affetto che sgorga spontaneo dall'ani- 
ma ba forza di scuoter l'altrui, e di desiarvi a sua voglia 
o la pietà o l' ira ; nè qui può mai abbastanza ripetersi la 
verissima sentenza d' Orazio : 

a Si vis me Aere, dolendum est 

« Primum ipsi tibi ; lune tua me infortunia laedent, 

« Teiephe, vel Peleu ». 

àt. Poe. v. 102. 



25. Resta a dir dello stile conveniente alla tragedia. Es- 
sendo questo uu componimento poetico distinto dal lirico 
e dall'epico , ne conseguita che pur distinto richiede Io stile. 
La splendida arditezza della lirica, e la solenne maestà 
dell'epopea non ben si confanno alia tragedia, che desti- 
nata più a fare ebe a dire, e nella quale il poeta come non 
deve vedersi, cosi, quasi direi, neppur sentirsi, deve ac- 
costarsi al favellare comune ; e poiché introduce persone 
illustri e da grandi passioni commosse, richiede uno stile 
«obile, sentenzioso, energico ne' concelti , vivo uelle imma- 
gini, caldo e concitalo nei sentimenti, breve nella espres- 
sione, che è necessariamente a dialogo, non essendo in so- 
stanza anche il soliloquio che un dialogo che la persona fa 
con se stessa. E il dialogo della tragedia dev'essere grave, 
rapido , secondo la natura delle cose e degli affetti che vi 
si svolgono. Nulla avvi in esso di piti ingrato delle parlate 
prolisse di personaggi che pretendono di farla da sapuli , 
sillogizzando in tono declamatorio intorno a scienze politiche 
e morali, come ex cathedra; nelle quali parlate non piti 
l'attore , ma si scorge il poeta , e poeta accademico. Oltre 
a ciò vi si debbono studiosamente schivare le raffinatezze 
dei concelli, la turgidezza delle immagini ampollose, gli 
erotici piagnistei in frasario arcadico, ed altre simili qui- 



308 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

squillile sconvenevoli di troppo alla severa nobiltà dalla 
tragedia. In somma il dialogo vuol esser vero, animato, 
incalzante , come di chi sente nell'anima il fremilo d'aite e 
gagliarde passioni. 

26. Nè meno fa di mestieri che il colorito armonizzi col 
tinto e con ogni sua parte, dovendo la elocuzione in gene- 
rale essere dignitosa e forbita senz'affettazione, e risplen- 
dere per proprietà, forza ed efficacia. E propria della tra- 
gedia si dirli quella che andrà adorna di parole, di meta- 
fore e di modi nobili , vivi e calzanti , schiva di quelli troppo 
splendidi e arditi della lirica , non meno che di quelli trop- 
po umili e volgari della commedia ; riuscirà quindi forte ed 
efficace, se lo scrittore guarderà al giudizioso collocamento 
delle parole, e al retto uso di quel linguaggio figuralo cui 
detta la vera passione; se si studicra di essere conciso e 
vibrato senza slento e ricercatezza ; se finalmente saprà 
astenersi dalie frequenti e stemperale perifrasi , dalle pa- 
role inutili e dagli epiteli oziosi. 

27. Aggiungerà in ultimo a lutti gli altri pregi grandis- 
sima bellezza l'armonia, la quale esser deve grave e so- 
stenuta, e non cantabile, come nella poesia lirica ed epica; 
ed in vero i Greci ed i Latini adoperavano nel dialogo sce- 
nico il verso giambico, ben differente dai metri lirici e 
dall'eroico; e gl'Italiani saggiamente elessero per la trage- 
dia il variabilissimo sciolto endecasillabo, che al giambico 
in gran parte assomigliasi, accostandosi molto l'uno e l'al- 
tro al discorso familiare. L'armonia tragica adunque, scrì- 
veva l'Alfieri (e l'autorità sua io tengo qui per assai) aver 
dee la nobiltà e grandiloquenza dell'epica, senz'averne il 
canto continuato; e avere di tempo in tempo de' fiori lìrici, 
ma con giudizio sparsi e sempre disposti con giacitura di- 
versa (t). Laonde per dare allo stile della tragedia, anche 
per il lato dell'armonia, quella nobil fierezza che gli si ad- 
dice, gioverà nel verso una lai quale severità, per certe 
spezzaiuree svariata trasposizione di accenti; lo che men- 
tre scansa la soverchia scorrevolezza e melodia, riuscirà 



fi] Risp. al Calsabigi , Ed. et li 



DI RETTORICA 



non poco profittevole alla recitazione e all'effetto. E il poeta 
potrà e dovrà giudicarne, recitando ei primo a se stesso, 
non come autore, ma sibbene come attore, i versi della sua 
tragedia. 

5. 6. Poeti Tragiri. 

28. Nata e mirabilmente perfezionatasi nella Grecia la 
tragedia per opera d' Eschilo, d'Euripide e massime di 
Sofocle, che le diedero splendore d'immagini, ardimento 
di pensieri, concitamene di affetti, ìmpeto di stile, non la 
vediamo, nè possiamo dirne con sicurezza il perchè, così 
bella di gloria in Roma. Forse piii favorevole potremmo far- 
ne il giudizio, se il tempo non c'invidiava le tragedie di 
L. Vario c di C. Asinio Pollione, si lodate da Orazio e da 
Virgilio, non che quelle di Ovidio, Ci restano solo le tra- 
gedie che vanno sotto il nome di Seneca , ed è questione 
fra i dotti se debbano veramente tutte 0 in parte attri- 
buirsi al retore M. Anneo, o a L. Anneo suo figliuolo me- 
glio nolo qual filosofo morale, 0 ad altri ancora. Checché 
ne sia, vi si riscontra spesso lo scolastico e l'ammanierato, 
di rado la verità della passione, e il fuoco e l'ardimento 
tragico. 

29. Risorti gli studj in Italia , e specialmente delle opere 
dei Greci , si tentò sull'esempio di questi grandi maestri la 
tragedia; e il Trissino compose la Soiìofisba, alla quale 
tennero dietro la Canace dello Speroni, l'Oreste e la lìo~ 
smunda del Rucellai , la Tullia del Martelli , 1' Edipo del- 
l'Anguillara , il Torrismondo del Tasso , la Giocasta e il 
Tieste del Dolce ec; ma troppo superstiziosi verso i loro 
modelli , non ne diedero che una sbiadita immagine , che 
d' italiano aveva appena la forma esteriore in miserissimi 
versi. Già la Francia nel secolo XVII andava altera di 
Corneille e di Racine sommi tragici , ammiratori e disce- 
poli dei Greci, e l'Inghilterra giganteggiava dì già col suo 
terribile Shakespeare , quando il nostro buon Gravina pres- 
so al secolo XVIII scriveva tragedie di stampa greca che 
pur erano una miseria. Cresceva la gloria del teatro fran- 



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310 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

cese per Crebillon , e meglio ancora per Voltaire, e l'Italia 
appena vantava una tragedia degna di cotal nome nella 
Merope del Maffei; e comecché- dappoi l'abate Conti scri- 
vesse il G. Bruto, il Cesare e il Dritso , il Lazzarini l'Ulisse, 
Gian Pietro Zanolti la Didone e il Corioìano, i! Varano il 
Giovanni da Giscala e il Demetrio, il Granelli il Dione, il 
Sedecia e il Manasse, il Bettinelli il Serse e Luigi Scevola 
l' Erode , tuttavia il teatro tragico italiano giaceva in 
assai basso stato dinanzi a quello di altre nazioni. Final- 
mente una mano poderosa e salda lo sollevò lutto ad un 
tratto a tal sublime altezza che non più ebbe che invidiare 
altrui , ma si da essere invidiato ; e tanto operò a gloria 
dell'Italia lo stupendo Vittorio Alfieri , di Aslì, dandole una 
tragedia , siccome dice egli slesso a di 5 atti, pieni , quanto 
o il soggetto dà, del solo soggetto, dialogizzata dai soli 
« personaggi attori , e non consullori o spettatori; una Ira- 
o gedia d'un solo filo ordita , rapida per quanto si può ser- 
ci vendo alle passioni , che tutte più o meno vogliono pur 
e dilungarsi, semplice per quanto uso d'arte il comporti; 
« tetra e feroce , per quanto la natura lo soffre , calda 
« quant'era in luì. ...» (I). Nuovi fregi accrebbero dipoi 
all'italiana Melpomene il Monti co\V Aristodemo, col C. Gracco 
e con Galeotto Manfredi , il Pindemonte coW Arminio , il Duca 
di Venlignano colla Medea , il Foscolo col Tieste, coWAjace e 
colla lìicciarda , il Benedetti col Telenono e col Drusa ed altre 
lodate tragedie e il Pellico colla Francesca; il Niccolini poi 
le aggiunse la piit nobile gemma splendida di luce immor- 
tale. Tal'è la bella scuola che dai Greci , veri e grandi 
maestri della tragica poesia, derivò ad ornamento e gloria 
della Francia e dell'Italia. 

30. Gli Alemanni si tolsero a maestro della tragedia 
l'immenso Shakespeare , padre del lealro inglese. Questo 
straordinario ingegno fe'm ara vigliare la sua nazione che lo 
salutò àttimo . colla originalità de'suoi drammi , colla terri- 
bile energia de'suoi caratteri , colla sublime dipintura delle 
umane passioni, se non che schivo d'ogn'arte, alla mae- 

(4) Risposili al Calsabigì, p. il, odili, cit. 



DI B.ETT0R1CÀ 314 
sta tragica intrecciò volgari bassezze , al grandioso il fan- 
tastico, alte orrende atrocità stravaganze ridicole , alla na- 
tia semplicità il gonfio e il concettoso; "niun limite di tempo, 
niuno di luogo ; principi e volgo i suoi attori ; sola sua re- 
gola il gran d'effetto drammatico. Imitatori della tragedia 
Shakesperiana furono Dryden , Lee , Otwai , Thomson , 
Byron ed altri suoi connazionali ; tra gli Alemanni Wer- 
ner, Goethe e principalmente Schiller , i quali se ammor- 
bidirono la grossolana ruvidezza del maestro, non ne schi- 
varono le nauseanti atrocità. La tragedia romantica signoreg- 
giò anche troppo fastosamente eziandio sulle scene francesi 
dove, dirò col Niccoli ni , con pazzi e scellerati argomenti , 
con stile ditirambico e convulsioni in tutto , si fece oltrag- 
gio al buon gusto , e quel che è peggio , si va abituando 
il popolo a tutti gli orrori (1). Finalmente furono anche in 
Italia i seguaci della nuova tragedia, i quali d'assai la tem- 
perarono a viemeglio adattarla al gusto della nazione; ma 
come pianta esotica non molto bene perora attecchì nel 
suolo d'Alfieri (2). 

aut. il, - Della Commedia. 

31. Come la Tragedia originò dalle feste Dionisio, così 
vuoisi la Commedia; perocché essendo nei bacchici inni 
misto il serio col faceto , quello formò l'elemento particolare 
della prima , questo della seconda. Solevasi appo i Greci 
concorrere al premio drammatico con una Tetralogia , con- 
sistente in tre tragedie o Trilogia , e un dramma satirico, 
a onore di Bacco. Si vuole che Sofocle fosse il primo ad 
esporre una tragedia per volta; laonde se ne sequestrò il 
dramma satirico , che dovette dappoi formare un compo- 
nimento a parte , unicamente destinalo a sollazzare con 
sali e con arguzie la rozza plebe dei villaggi { tuv nu^uv ) , 
donde gli venne per avventura il nome di Commedia, quasi 
canto vìllesco , della quale però si vuole inventore il Sici- 

(1) Sullo Trog Greca , Ediz. e loc. oir. 

|2ì Vedan=i il Corife di Carmagnola e l'Adelchi d'Alessandro Man- 
zoni, e il Teatro Tragico di Carlo Mariìiico da Ceva. 



312 ' DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

liano Epicarmo che primo v' introdusse attori , dialogo ed 

azione propriamente drammatica (1). 

32. Ed invero sembra dare qualche sostegno a queste 
congetture degli eruditi , quella che si disse Commedia an- 
tica de'Greci , la quale non fu che una Satira in forma 
drammatica , ove non sine multa laude (2) si pungeva, a fino 
di correggerlo, il vizio pubblico e privato. Come però tra- 
passasse in brev'ora od ogni invereconda scurrilità ed in- 
solenza contro le cose e le persone più venerande , cel 
mostrano le Commedie di Aristofane che uon arrossi di 
esporre alle risa degli Ateniesi Socrate stesso. A tanta sver- 
gognata licenza s'interpose l'autorità della legge; ma Tu 
invano: si tacque il nome dei cittadini fatti segno ai mot- 
teggi , rilraendoli del resto cosi al naturale , che come prima 
il popolo ne rise. Tale fu la commedia da alcuni chiamala 
dimezzo , ma che veramente non fu che il trapasso dall'an- 
tica alla nuova. La commedia nuova pertanto , principe 
della quale dìcesi l'ateniese Menandro, fu a un dipresso 
quale l'abbiamo al presente , gastigatrice dei vizj popolari, 
rappresentati con vivacità e gajezza , condita di sali e di 
tutte amabili piacevolezze, e soprattutto non disgiunta da 
decenza di caratteri e di costumi. 

33. Tale dai Greci la ereditarono i Romani per opera 
di Plauto e di Terenzio , i quali camminando sulle orme di 
Epicarmo e di Menandro divennero modelli il primo di forza 
e verità comica , il secondo d'attica urbanità ed eleganza. 
Al risorgere delle buone arti nel XVI secolo , anche la com- 
media rifiorì, esemplando la forma della plautina e della 
tereiiztaoa nel rappresentare amorazzi di giovani, astuzie di 
femmine, gherminelle di servi , come chiaro riscontrasi nelle 
commedie del Machiavelli , dell'Ariosto , del Firenzuola , del 
Getti, del Varchi, del Cocchi, del Lasca e degli altri co- 
mici fiorentini, che vorremmo poter commendare egual- 
mente per purità di costume e di facezie, come gli ammi- 
riamo per grazia, vivacità e squisitezza di stile e di lin- 
di Tirab., Sfar, della Lettor, v. I , p. Il , c. II, g. 13. 

(2] Ob*t., Ar. Poet. v. 28t. 



DI RETTORICA 313 

glia , di che sono veri ed egregi maestri. Anche il padre 
delia Commedia francese, il celebre Molière ingagliardì !e 
ali dei suo nobile ingegno colio studio di Plauto , di Teren- 
zio e dei comici italiani , e con franco ed animoso pennello 
dipinse gli uomini quali vedeasegli attorno , e fu, com'è 
sempre, la maraviglia ed il vanto della sua nazione. Nè guari 
andò che in egual modo colia potenza dell' ingegno avvalo- 
rata da simili studj diede all'Italia la vera commedia l'in- 
comparabile Goldoni. A lui succedettero non senza gloria 
il Gozzi, iì Giraud ed il Nota , ed ora sembra che non 
senza lode ne premano le orme il Gherardi del Testa e 
Paolo Ferrari. 

34. Benché d'indole del tutto diversa sia il teatro comi- 
co spagnuolo , tuttavia merita se ne porga un cenno per la 
sua prodigiosa abbondanza, essendo di oltre duemila dram- 
mi arricchito solo dalla inesauribile vena di Calderon e di 
Lopez de Vega , per lacere d'altri minori. Dicemmo pensata- 
mente d'indole tutta diversa, perocché quei drammi sono 
mostruósamente irregolari , non dirò soltanto per difetto 
d'osservanza delle tre unita , passandosi di Spagna in Italia 
e quindi in Affrica , e non di rado comprendendosi in un 
solo dramma la intera vita di un uomo, ma si per la strana 
accozzaglia dell'eroico col buffonesco, del terribile col ridi- 
colo , e peggio ancora del religioso col mitologico. Non di 
rado però si adornano di sorprendenti situazioni, di carat- 
teri superbamente pennelleggiati e di slanci di splendida 
immaginazione. Vantano originalità ed effetto drammatico 
eziandio le commedie dei teatri inglese e tedesco, ornamento 
precipuo do' quali sono Dryden e Kolzebue; se non che ai 
molti pregi comici va non dì rado congiunta , e principal- 
mente nel primo, quella invereconda licenza che reca ol- 
traggio al pudore ed alla moralità. E a questa scuola si 
ascrissero per avventura Victor Hugo ed altri, pei quali 
non so quanto siasi avvantaggiato il teatro francese per 
l'arte e per il costume ; eppure sulle scene italiane , per 
nostro danno e vergogna , si sono non dirò tollerate, ma 
anche applaudite le opere drammatiche di cotali scrittori , 
tradotte poi come , vel dica Iddio. - Per molli argomenti 



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314 DELLE ISTITUZIONI E LE .MI". NT A HI 

or sembra aver l'Italia meglio a cuore il suo decoro , e 
abbiam veduto che già non le mancano ingegni che lodate 
prove tutlora porgono nella bell'arte di che si ragiona. 

35. Dalo un cenno dell'origine e dei progressi della com- 
media , spieghiamone la natura e il fine. La Commedia è 
una viva rappresentazione della vita domestica nelle sue 
ordinarie vicende e sconvenevolezze, non che ne' suoi vizj 
ed errori , ritraendo per mezzo d'avvenimenli ideali il ridi- 
colo delle debolezze , follie e brutture umane , affinchè altri 
se ne guardi , altri se ne corregga , per le beffe che le ac- 
compagnano ; laonde chi disse della commedia ridendo casti- 
gai mores , n'espresse a maraviglia il mezzo e il fine. 

36. Come nella tragedia, cosi nella commedia ricercasi 
il subbietto , la favola , il costume , gli affetti e lo stile. Delle 
quali cose trattando , diremo solo quanto alla commedia in 
particolare si riferisce, rimettendoci nel resto a quanto fu 
già avvertito su ciò parlando della tragedia. 



g. t- Del Subbietto. 

37. Essendo la commedia un'immagine della vita pri- 
vata , il subbietto o l'argomento che dir si voglia , conviene 
sia tolto di mezzo al viver comune. Non basta ; essendo 
diretta al riso ed alla correzion del costume , deve rappre- 
sentare non solo quelle sconcezze comuni che sono di lutti i 
luoghi e di tulle le età , ma ancora quelle goffaggini e follie 
che più specialmente appartengono al proprio tempoe paese; 
quindi se la tragedia ama soggetti di storia e di lontana 
età , la commedia al contrario ama meglio ritrarre in fan- 
tastici avvenimenti ciò che in generale vede e ode intorno 
a sè di strano e di sconvenevole ; laonde sono materia 
propria del socco le galanterie ed i capricci del mondo mu- 
liebre e le leziosaggini de'suoi adoratori , le smanie e le 
gelosie degli amanti , le sordidezze e g'agliouerie degli avari , 
i tranelli e le astuzie dei servi , le eleganti frivolezze della 
gente di moda , le giunterie degl'ipocriti e dei bugiardi , con 
altre tali laidezze ed infamie camuffale in guisa da parer 



DI RETTORICA 



ai5 



virtù. Frattanto il popolo, che riconosce come in uno spec- 
chio l'immagine delle comuni sconcezze, ne ride, e quel 
riso o corregge chi e tinto della mala pece , o preserva chi 
n'è mondo. 

S- 2. Della Favola. 

38. Parte precipua della commedia è , come della trage- 
dia , la Favola, che consiste, come a suo luogo fu detto, 
nell'orditura e disegno generale onde si prepara , s' intreccia 
e si svolge l'argomento; e perchè l'orditura è pure in atti 
che sogliono essere nè più di cinque nè meno di due , e in 
scene delle quali a ragione si biasimano le oziose e le vuole, 
perciò valgono qui le stesse regole che per la tragedia. 

39. Siccome la commedia o si avviluppa per varj e cu- 
riosi accidenti intorno ad un segreto raggiro per conseguire 
un fino qualunque a traverso a difficolta e contrasti ; o im- 
prende a tratteggiare un carattere speciale , come l'avaro , 
il bugiardo e via discorrendo; cosi nel primo modo chia- 
masi d'intrigo , nel secondo di carattere, sebbene, come 
nota opportunamente il Dindi, questa distinzione non è 
cosi assoluta » che i viluppi e i caratteri possano star se- 
« parati , perocché ogni buona commedia , se vuole aver 
a soggetto e movimento, debbe giovarsi d'ambedue i mezzi, 
« e solo le sarà concesso di porre o l'uno o l'altro in prima 
a vista , e pigliar nome da quello che più trionfa » (1). 

40. Quanto a disegno poi , è qui pure essenziale che 
l'azione vi si tratteggi una e verisimile, e in modo che pia- 
cevolmente tenga sospeso ed incerto del fine lo spettatore. 
Saravvi pertanto unita d'azione, quando gli accidenti si 
succederanno l'un dopo l'altro , o s'intrecceranno in guisa 
che mirino al fine che si è proposto l'autore. « Non però, 
a come avverte lo Zanotli (2) , debbono gli accidenti succe- 
« dersi l'uno all'altro con tanta fretta , nè così stringersi 

(t) Cenni pre limino ri jii/ Teatro vomirò de' Latini, [ii emessi al Comm. 
a Teren., p. x\ , ed. cil. 

12; Art Poel., Ragionano. III. 



316 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

« Ira loro che non lascino luogo agli episodj , vale a dire 
« a certi accidenti che si frappongono , e non nascono ve- 
« ramente dalle cose precedenti , ma pur servono o a 
« condur l'azione al suo fine , o ad accrescerne il ridicolo ». 
Conviene ancora che le parli episodiche nè siano troppe, 
nè troppo sconnesse dall'azion principale , .acciocché non 
nuocano alla unita, e conseguentemente all'effetto principale, 
distraendo l'attenzione. Finalmente sia nella commedia di 
Carattere, sia in quella d'intreccio, fa di mestieri che la 
favola conchiuda o si disgroppi con naturalezza e verisimi- 
ghanza ; e ancora pare più consentaneo all'indole della com- 
media , ritrovata a rallegrare l'animo umano , che abbia 
altresì prospero e lieto fine , non mai però contro alle leggi 
del retto e dell'onesto, che non consentono al vizio l' im- 
punità neppur sulla scena. 

41. Riuscirà poi assai gradevole lo scioglimento della 
commedia, quando giunga inaspettato, o diverso mollo da 
quello che parea dovesse essere; o quando si ottenga per 
la via dell'agnizione , come si disse trattando della trage- 
dia , purché si paja naturale e dalle stesse circostanze facil- 
menle condotta ; e lo Zanotlì mollo saviamente osserva, ohe 
rade volte o non mai trovasi che l'agnizione si stenda per 
un lungo tratto della commedia, com'è nell'Andria , ove 
l'agnizion di Pasibula non comincia a farsi che nell'ultimo, 
e con molla fretta si compie : lo che vedesi in altri sommi 
comici pure adoperato. Nè bello è il valersi , come fa il 
Federici, troppo frequen lem ente dell'agnizione, perocché, 
oltre al non dar ciò grande argomento di feconda inventiva 
nel poeta, scema facilmente negli spettatori la maraviglia. 

$ 3. Del Costumo. 

42. Anche della commedia è dote essenzialissima il co- 
stume; laonde a quanto sopra esponemmo parlando della 
tragedia , qui aggiungeremo che a ben serbarlo nella com- 
media , giova ricordare esser questa un quadro della vita 
domestica , quale più o meno giornalmente ci si svolge sotto 
degli occhi. E poiché nel vivere familiare è naturai cosa ve- 



DI BETT0R1CA 317 

dere in reciproche attinenze nobili e popolani d'ogni condi- 
zione ed eia , anche la commedia ama di porre sulla scena 
d'ogni maniera personaggi , rilraendone al vivo i caratteri, 
quali glieli offre ne'varj suoi tipi la umana famiglia , con- 
tentandosi solo di caricare alquanto le tinte su quelli cui 
mira a fare più spiccatamente segno al ridicolo ed all'altrui 
ammaestramento , salvo che dove i costumi fossero per loro 
stessi tanto ridicoli , che per far ridere non avesser bisogno 
d'aggiunta. Dissi alquanto , perchè se dipingendo i caratteri 
quali comunemente sono, troppo sbiadili riescono, esage- 
randoli soverchiamente, coìlo scemare la verosimiglianza, 
rompono l'illusione, ed all'effetto comico nuocon del pari. 

43. Siccome la tragedia vuol esser grave e severa , la 
commedia vivace e briosa , e tali conseguentemente esser 
ne debbono in generale i caratteri ; perocché se Ih si ha da 
piangere, qua si vuol ridere, e come in tragedia il socco, 
così in commedia disconviene il coturno. Le sono pertanto 
personnggi propri il cosi detto caratterista per le parli del 
ridicolo; il padre e la madre nobile, Vamoroso e l'amorosa 
per il grave e l'affettuoso ; il brillante, ¥ ingenuo, la servetta 
ed al tri cotali per il brioso ed il festivo. Se non che, come 
giudiziosamente nota il Ranalli , nò il caratterista dee riu- 
scire buffone , nè il brillante affettato , nè il padre nobile 
gravoso, nè la servetta pettegola (1). Che se richiedesi per 
dritta condizione che i caratteri siano convenienti e verosi- 
mili , vuoisi non meno che siano coerenti ; e l'avaro , il bu- 
giardo, il maldicente, l'ipocrita, il vanaglorioso e che so io, 
tali in fatti ed in parole vengano fino da ultimo penne! leggi ati, 
senza mai smentire sè slessi. Alla fedcl dipintura dei ca- 
ratteri mollo gioverà lo studio accurato e profondo di Plauto, 
di Terenzio, di Molière .e del Goldoni; infinitamente poi di 
più l'assidua e diligente osservazione degli uomini nelle 
loro passioni , tendenze usi e pregiudizi i incominciando dalle 
sale dei grandi e giù giù fino alla casupola del pigionale ed 
alla bettola plebea. 

(1) Principi! di Beile LaiL, P. II, C. VII, §. 



318 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



S- *. Degli Affetti. 

44. L'affetto che più . d'ordinario nella commedia cam- 
peggia , ò l'amore , il quale se qui ha da folleggiare colle 
sue smanie , gelosie ed altre leziosaggini , guardisi però 
che non trascorra a licenza con danno infinito dell'onesto 
costume. Si avvicenda ancora colla gioja il dolore , colla 
gajezza l'afflizione fino ad eccitare sensi di pietà , benché 
sempre conformemente alla natura gioconda della commedia , 
e a fine di condurre ira questi ed altri simili affetti a più 
vivo rallegramento gli spettatori. Ma l'affetto cui più dirit- 
tamente mira a destare in altrui la commedia è senza fallo 
il riso. Questo nasce facilmente da una certa festività comica 
che risiede o nelle parole o nelle cose , e della quale pos- 
siamo dare non già precelti , ma solo alcun cenno , essen- 
doché n'è maestra sol la natura. E primieramente condi- 
scono d'urbana festività la commedia quelle che chiamansi 
facezie , e che consistono in certi delti brevi ed arguti mollo 
acconci a muovere il l iso , purché improvvisamente cadano 
opportuni e senza ricercatezza , chè niente avvi , dice lo 
Zanotti (loc. cit. ), che più guasti le facezie che lo studio, 
ove apparisca. Conviene però ben guardarsi da quelle che 
offendono la religione e il buon costume, che coi santi non 
si scherza , e mal si ride a scapilo del pudore. Nè molto sì 
apprezzano quelle facezie che consistono in parola dette a 
sproposito, o stranamente alterate, che se una volta o due 
fan ridere , a lungo andare , stuccano ; sono poi degne di 
grandissimo biasimo quelle che han troppo dello scurrile e 
del buffonesco , le quali se piacciono al volgo degli spellaio- 
ri, alle persone costumale fami' ira. Di tali pecche non vanno 
esenti i comici del cinquecento, benché nel rimanente ab- 
bondino di giocondità e di lepore per aleutissime facezie, 
delle quali possono servire d'esempio , seppur vale l'esempio, 
ove benigna non arrida natura. Solo concluderò avvertendo 
col sopraccitato autore, che la giocondità delle facezie par che 
nasca generalmente da un ingegnoso ed improvviso accop- 
piamento dì due cose disparale tra loro e disconvenienti. 



DI SETTO RICA 3*9 

15. La festività poi che risiede nelle cose nasce e da inci- 
denti curiosi, e da cerle burle o beffe che destramente fannosi 
ad alcuno della brigata senza grave incomodo o molestia, 
facendo Aristotele saviamente consistere il ridicolo in un 
difetto o in una sconcezza che non rechi a chi l'ha dolore 
o distruzione. Comica pertanto, dice lo Zanotti, è <r cer- 
« tamenle quella burla che consiste in un inganno inaspet- 
« tato , perocché colui che è ingannato si maraviglia di 
a esserlo , e quei che il veggono, godono dell'inganno e ma- 
li raviglia di lui, e talvolta si maravigliano eglino stessi, 
« veggendo la burla riuscire a quel fine cui nè essi pure 
a aspettavano. E certo la burla tanto sarà più gioconda , 
a quanto avrà più del maraviglioso a {1). Di che bellissimi 
esempj riscontransi ne'comici latini e nei padri della com- 
media francese ed italiana , lo studio dei quali varrà per 
mille precetti. 

g. 5. Dello Siile. 

16. Procaccerà finalmente bella fama al suo poeta quella 
commedia che alla opportuna scelta del subbietlo , alla re- 
golare orditura della favola , alla fedele rappresentazione 
de'caralleri , ed al vivo colorir degli affetti congiungerà 
stile e dizion convenevoli. Lo stile comico pertanto conviene 
che sia semplice, naturale, g;>jo e disinvolto, si che paja 
il parlar domestico ed improvviso; che soprattutto sia acco- 
modato all'età , all'indole diversa , alla condizione e fortuna 
degl'interlocutori , che questo è tal pregio dal quale in gran 
parte il verisimile dipende della commedia. È vano il dire 
che la forma è a dialogo , il quale vuol esser pieno di movi- 
mento e d'azione, franco e spoulaneo , senz'ombra d'affet- 
tazione e di studio. Richiede tutta la grazia e l'atticismo 
della lingua , ammettendo a tempo e luogo e i modi pro- 
verbiali e gl'idiotismi e i motti e i sali più eletti che usa la 
nostra plebe in Toscana; e ne avrai degli elettissimi in buon 
dato, massime nella fiorentina e ne'suoi comici antichi, il 



(1) Ari. Poe!., (oc. CU. 



320 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

cui studio li mostrerà meglio che non i precetti , quanta è 
la proprietà , il brio e la svariata ricchezza di questa cara fa- 
vella toscana da ingemmarne la commedia italiana, a decoro 
e vantaggio inestimabile del teatro e della lingua nazionale. 

47. Mnllo già si contese intorno al imetro conveniente 
alla commedia, altri volendola in verso, altri in prosa. E 
in vero ella è componimento che di poetico non mancale 
che la forma, e questa pur s'ebbe presso i Greci ed i La- 
tini per quel loro verso giambico la cui infinita varietà 
dava lai' impronta al dettato che scambiavasì colla prosa 
più familiare. L'Ariosto e il Occhi s'ingegnarono di dar 
forma metrica alle loro commedie, quegli col verso sciolto 
sdrucciolo, questi col piano ,- accentandolo ambedue si che 
quasi paresse prosa. Anche il Goldoni , per altro meno fe- 
licemente , scrissene alcune in verso martelliano che per 
quanta arte v'adoperi il recitante , riuscirà sempre mono- 
tono e disaggradevole. Sembra però avere ornai sciolta la 
questione a favor della prosa l'uso che tanto sulle umane 
cose signoreggia, e non già la ragione di chi tiene la prosa 
più conforme alla natura del parlar familiare cui la natura 
vuole e dee ritrarre, potendoglisi ripeter col Costa: 

« Sappia costui che l'arte nostra imita 

« Il ver, noi copia a 

{Art. Post. Sar. III.) 

g. 0. Della Tragicommedia. 

48. A quanto si è detto della commedia sarà prezzo 
dell'opera aggiungere alcuni cenni della Tragicommedia, o 
dramma semplice. S'incontrano nel corso delle cose umane, 
o leggonsi nelle storie avvenimenti degni dell'onoro della 
scena , ma che per tragedia son poco , e per commedia 
troppo; laonde si trovò un componimento che stesse tra 
l'una e l'altra , che fu chiamalo Tragicommedia , la quale 
siccome partecipa del nome d'ambedue, cosi della natura 
e de! fioe. Difatto richiede subbietto nobile ed illustre, ma 
privato; mira ad eccitare un certo terrore ed una certa 



DI H ETTORI C A 32* 
pietà , ma raddolcendo questi movimenti dell'animo con 
dei traili di giocondezza e talora anco di riso. La condotta 
generale del dramma tiene pure della tragedia e della 
commedia; i personaggi principali, che il più delle volte 
si traggono dalle storie civili, letterarie ed artistiche, 
donde possono trarsi bellissimi casi d'uomini celebri a gran 
diletto ed istruzione altrui , vogliono essere pennelleggiati 
secondo il loro carattere storico, sì che lo spettatore creda 
quasi di vivere tra essi e nella loro età. Lo stile conviene 
che sia tra 'I nobile e il facile, grave o vivace, secondo 
la qualità e lo slato di colui che favella; nella dizione, 
sia che si usi la forma metrica o no, richiedesi grazia e 
nitidezza , e a tempo e luogo forza e amenità. Ciò che in 
siffatti componimenti è difficile a raggiungersi , si è l'ag- 
giustala e convenevole unione dell'elemento tragico e co- 
mico , sì che l'uno l'altro contemperi , abbenchè con asso- 
luta prevalenza del primo. Guardimi il cielo dal proporre 
per esempio certi drammi moderni di trista memoria, dei 
quali ripelerò col Ranalli mostruosa è la forma , disonesta la 
materia, barbaro il dettato Bastimi solo di notare che 
esempj di tragicommedia possono riscontrarsi in Aristofane, 
ed in Plauto tra gli antichi, e fiè porqè 325 baissimi nel 
jsuo Molière e nel Tasso tra i moderni il Goldoni , per ta- 
-cermi di altri. 

g. 7- Della Farsa. 

49. Poche cose ora restano a dire della Farsa , infima 
specie dei componimenti drammatici. La Farsa che in gran 
parte assomigliasi alla satira o satiro dei Greci ed alle Atei- 
lane dei Lalini, destinala come quei drammi, a ricreare 
gli spettatori rattristali e commossi dai fieri casi della tra- 
gedia, trasse per avventura il nome dall'essere una breve 
rappresentazione scenica tulla quania ordinariamente ói- 
farcita (8j di sconcezze, di motti, di facezie e di riboboli 

1*1 Ammaest. di Letter., Uh. IV, C. Ili, m. 

[2| I Francesi hanno Farcer , far miscuglio d'erbe, donde Farce, 
miscuglio d'erbe e di carni tritate ; e Farse, commedia buffonesca. 

21 



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322 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

da far ridere io ispecial modo la plebe. Essa è uaa com- 
mediuola di un atto o a! più di due, distinti parimente in 
iscene, ove si rappresenta un curioso o ridicolo accidente,, 
una burla o un carattere strano e atto a destar riso. I suoi 
personaggi sono per lo più di condizione volgare; il suo dia- 
logo vuol essere tutto brio, ilarità e naturalezza, ritraente 
al vivo i modi popolari con lutto il loro lepore, festività e 
sale; ama i lazzi buffoneschi, purché oon scurrili, ed al- 
tresì i graziosi equivoci , sempre che non offendano, come 
pur troppo sciaguratamente spesso avviene, la modestia ed 
il pudore. 

50. A me pare che la Farsa potrebbe essere più spe- 
cialmente destinala a quegli scherzi drammatici, nei quali 
s'introducono Stenterello, Arlecchino, Brighella, Rotjantino, 
ed allre cosi dette maschere , parlanti il dialetto loro pro- 
prio; perocché mentre per tal via si ritraggono certi sog- 
getti e costumi proprj d'uno o d'altro paese, ed inoltre in 
quel linguaggio che ha un certo tal lepore nano e che è 
il meglio inteso e gustato dal popolo minuto, la commedia 
liberala do quegl' insipidi personaggi, serberebbe lutto il 
suo decoro, e assumerebbe sempre più una fisonomia na- 
zionale. Ma qui non pretendo di dare un consiglio , e tanto 
meno un precetto; solo espongo un'idea, o un desiderio: 
altri ne giudichi a sua posta. 

JUi. 111. - Del Melodramma. 

54. II più pomposo e lusinghiero spettacolo della età 
moderna, e che quasi a significarne sovra d'ogn'altro la ec- 
cellenza, viene denominato col titolo orgoglioso di Opera, è 
il Melodramma, che in sostanza è una tragedia, una com- 
media o un dramma iu musica ; laonde distinguesi in opera 
seria, burlesca, e semiseria. 

52. Volgeva al suo termine il XVI secolo , e due citta- 
dini di Firenze , Ottavio Rio acci ni poeta , e Iacopo Peri mu- 
sico , diedero origine al dramma musicale, che dipoi tanto 
e si svariatamente influir doveva sulla musica , sulla poesia 
drammatica e sulla civiltà. Il primo sperimento ne fu fatto 



M H ET? OR ICA 323 
in privato colla Dafne, e riempì dì maraviglioso diletto gli 
spettatori. Poco stante festeggiandosi nel 1600 le nozze tra 
Enrico IV di Francia e Maria de*Hedici , si rappresentò la 
Euridice, secondo dramma del Rìnuccini , musicalo egual- 
mente dal Peri , con quella grandiosità che era propria della 
splendidissima Casa Medicea In brev'ora non furonvi feste 
nuziali nelle corti d'Italia, di Francia e di Spagna , ove non 
si rappresentasse il dramma in musica , smaniosamente ga- 
reggiandovisi in isfoggiaia magnificenza (1). Dai sontuosi tea- 
tri principeschi presto discese il dramma in quei cittadini, 
e tra lo sfarzo degli scenici apparati e tra il gusto strava- 
gante dell'età si corruppe, corrompendo a un tempo colla 
sua mollezza i popoli. SÌ oppose al torbido torrente il ve- 
neto Apostolo Zeno, invitato nel 1748 dall'imperatore Car- 
lo VI a Vienna col titolo di Poeta Cesareo , dove intese con 
grand'animo alla riforma del dramma musicale, non solo 
dandogli maggiore regolarità e castigatezza , ma eziandio 
forbendolo dalle giullerie e turpitudini ond'era sozzo , e ri- 
traendolo a dignità con trattare nobili e degni subbielti di 
storia , e con dipingere atti di magnanime e civili virtù. 

53. Fu questo un gran passo che agevolò quello smisu- 
rato che dipoi fece il dramma per Pietro Trapassi romano, 
meglio noto sotto quel cognome grecizzato di Metastasio. 
Questo illustre e benamato allievo del celebre Gravina, e 
de^o successore dello Zeno nella Corte viennese sollevò il 
drarona a quell'altezza dì cut era capace , adornandolo di 
tulle le grazie della più leggiadra e soave poesia, vestendolo 
di tutta la eleganza delle forme liriche , e. dandogli affetto, 
■varielà , magnificenza e grandezza di civile concello. I som- 
mi maestri Pergolese e Cimarosa sposarono alle note musi- 
cali quei tesori d'impareggiabile melodia, che di leggieri 
formarono l'amore e ia delizia d'ogn'anima temprata all'ar- 
monia del bello , e che tuttora anche leggendoli rapiscono 
d'ineffabile diletto. Chi può rammentare senza un molo dì 
compiacenza verso l'amabilissimo poeta la Zenabia , V Attilio 
Regolo, il Temistocle , l'Olimpiade, il Demofoonle , per non 



(1J Tlbab., Storia delia Letto:, V. VII , Lib. IH, g. 10. 



324 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

diro degli altri ? chi ricordando la grazia e la varietà de'suoi 
recitativi , la greca soavità delle sue ariette , il dolce tu- 
multo degli affetti , la nobile grandezza delle sentenze, quella 
che il Barelli chiama inarrivabile sua facilità di verseggiare, 
non vorrà perdonargli alcuno imperfezioni negl'intrecci, nella 
duplicità degli amori , nella dipintura di caratteri troppo ef- 
feminati e inveriseli , massime riflettendo al gusto dell'età 
in cui scriveva ed a certe esigeuze del melodramma ? Vero 
è però che tanto squisito magistero non valse a tórre alla 
musica, per rendersi alla poesia, quel seggio che a questa 
era pure dovuto , e dolevasene talora il valoroso poeta , co- 
me d'una barbara usurpazione, e con esso lui ripeteva in- 
dignato l'illustre Muratori che laddove la musica una volta 
era serva e ministra della poesia , ora sia usi scambiate stra- 
namente le parli (1 ). E questi valentuomini che direbbero ai 
tempi nostri , in cui la vergogna e il danno sonosi a mille 
colanti accresciuti? Fattoslà che la poesia drammatica giunta 
pressoché alia sua perfezione per l'imtnortal Melastasio, 
venne meno con esso , mandando quasi non dissi l'ultimo 
fioco anelilo per Felice Romani , poeta del melodioso Bellini', 
dopo del quale ella è cailula in si miseranda mostruosità e 
turpitudine da doverne arrossire fino a'capelli. Del qual vi- 
tuperio ricade in gran parie la colpa sulla musica moderna, 
che vaga di dominare senza rivali colla pompa delle sue 
studiale armonie e col ricco apparato de'suoi fragoros^ru- 
menli , alloga nel suo frastuono la voce della poesìtr^he 
fatta ornai serva umilissima dei musicanti, degl'impresari 
e dell'oro , bela un'accozzaglia di versi sguaiati , alla quale 
ninno osando di dare il nome di dramma , s'arrischia appena 
a chiamarla con quello assai modesto di Libretto. 

54 Ove miglior astro risplenda al teatro melodrammatico 
d'Italia , si che il maestro di musica ardisca non ricever 
leggi dal gusto predominante , riformandolo anzi col proprio 
assennalo esempio, e non pretenda farla da dittatore al 
poeta , ritornando cosi nell'antico suo onore la poesia , non 
mancheranno a gloria d'Italia eletti ingegni che recheran- 



(!) Della Perf. Poes., I. [II, c. I. 



DI RETT0R1CA 325 
nosi a progio di trattare il Melodramma , nel quale sì glo- 
riosi allori coglieva il Metastasio che può certamente dirsene 
il vero ed unico modello. 

55. E poiché il Melodramma non è che un componimento 
tragico o comico in versi lirici, richiede al pari della tra- 
gedia e della commedia soggetto quale a questa o a quella 
s'addice, unità d'azione, verisimiglianza , convenienza ed 
egualità di caratteri , intreccio e catastrofe. Ciò posto , ve- 
diamo quello che gli è proprio. E primieramente se ne sco- 
sta alquanto nell'orditura ed intrecciamento della favola ; 
imperocché per non dire che più volentieri preferisce i tre 
ai cinque atti , apre la scena con grandioso e brillante spet- 
tacolo dove tra le armonie musicali il coro prepara gli animi 
al subbietlo dell'azione. Conviene che non tanto avvilup- 
pato ne sia il nodo , nò difficile a prevedersene lo sciogli- 
mento , non potendo lo spettatore troppo inlertenervisì so- 
pra , rapito com'è dalle attrattive della musica; e poiché 
questa è naturalmente nemica della lentezza , donde le ver- 
rebbe tedioso languore , è necessario che la favola melo- 
drammatica proceda rapida e spedita nel suo corso , senza 
grande viluppo d'accidenti che di troppo la rilardino . es- 
sendo l'essenziale suo pregio la semplicità e l'affetto. Dipoi 
attenendomi alle regole che il Bareni dà per l'orditura del 
melodramma , come indispensabili , e che possono dirsi di- 
scretissime al paragone delle moderne esigenze musicali , 
aggiungerò dover ogni scena terminar con un'aria ; che non 
ne canti due di seguito lo stesso personaggio , né che due 
arie dello stesso carattere si seguano immediatamente -, che 
brevi ed alternati siano ì recitativi ; brevissimi i soliloqui ; che 
il primo ed il secondo atto finiscano con un'aria di maggiore 
impegno che non le allre , e che nel secondo e nel terzo si 
trovino due belle nicchie , una per un recitativo seguito da 
un'aria di trambusto , e l'altra per un duetto o un terzetto 
pei principali personaggi , ben inteso che tra questi dev'es- 
ser la donna (1). Ai quali duetti, terzetti e anche quartetti 
il poeta deve con molla destrezza preparare l'azione , tal- 



li) Fruì. Leu,, Voi. J , p. 82 ec. 



326 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTABI 

chè appnja verisimile che in tulli egualmente divampi il 
calore degli affetti , procacciando, come ben avverte il Ra- 
nalli (1), che i personaggi prima fra loro s'accordino nel re- 
citativo , e poi , come rivolti al cielo in allo di esclamazione, 
lascino il loro affetto disfogare. Finalmente vi si richiedono 
situazioni inaspettale, grandiose, commoventi e svariale, 
affinchè possa la musica largheggiare nella molliplice espres- 
sione d'ogni maniera d'affetti , e segnalarsi nei cori oppor- 
tunnmenle e con bell'arte disposti. 

56. L'affetto che d'ordinario predomina ne! Melodramma 
serio e semiserio è l'amore , non grave ed austero qua! 
meglio alla tragedia s'addice, ma tenero, gentile, elevato 
e veemente sempre con esaltamento dell'anima, a seconda 
dei casi or Iristi or lieti di questa espansiva passione. La 
pietà filiale , l'amicizia , l'amor della patria e quello santis- 
simo della religione , non solo al melodramma benissimo 
convengono , ma sublimano eziandio la musica e con que- 
sta il cuore. Gli affetti poi che sono di loro natura freddi 
e compressivi, come l'odio, la ferocia, il terrore ed altri 
cotali , estinguono sul labbro la voce , e come fu saggia- 
mente detto, escono dal dominio del canto (2). Eppure di 
tali enormezze van pieni i drammi moderni, ove con isqui- 
sitezza di senno si preferisce al delicato ed al pietoso lo 
strano ed il. terribile! Nel melodramma burlesco poi, dove 
pure l'amore tenero si , ma più dimesso suole aver luogo, 
l'affetto che primeggia è il ridicolo delle cose più che delle 
parole; nel che però deve schivarsi il grottesco ed il goffo 
oltre a ciò che fu detto intorno al ridicolo della commedia. 

57. Siccome della poesia melodrammatica sovrano mae- 
stro è il Metastasio , così egli è modello unico e solo ezian- 
dio dello siile che le si conviene , laonde assai più d'ogni 
precetto vale l'assiduo studio de' suoi nobilissimi drammi, 
ove non manchi anima capace di sentirne le impareggiabili 
bellezze per poterle imitare, sfuggendone le macchie che 

11] Ammattì,, Lib. IV. C. Ili , $. 133. 

ì2] Bozzelli. — V. Discorso in commemorazione del Melasi., dello 
Scartabelli. 



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DI RETTOHICA 327 
pur talvolta l'adombrano. Conluttociò non sarà vano il no- 
tare che nel melodramma si richiede uno stile nobile o 
faceto secondo la natura di quello , convenendo al serio 
concetti or passionati, ora gagliardi, e talvolta anco su- 
blimi; im magici ora delicate, ora splendide; e soprattutto 
lirico slancio di sentimento. Al burlesco s'addicono pensieri 
tutti grazia e brio , ed immagini piene di vivacità e gio- 
condezza. Il semiserio delle une e delle altre qualità più 

0 meno partecipa. L'elocuzione melodrammatica , oltre 
all'essere adorna di tutte le più leggiadre eleganze , vuol 
esser limpida , svariata, scorrevole e principalmente armo- 
niosa , siccome quella che deve sposarsi alle musicali me- 
lodie , avendo cura di schivare non solo le voci non poe- 
tiche , ma quelle ancora che per troppe vocali o consonanti 
mal possono congiungersi alle note del canto (1). Altret- 
tanto facile , naturale ed armoniosa esser ne deve la ver- 
sificazione , nella quale pei recitativi eleggesi l'endecasillabo 
alternato col settenario con rima libera; per lo ariette ed 

1 cori convengon lutti i metri lirici dal decasillabo al qui- 
nario, dove il fuoco di Pindaro, la maestà d'Alceo, la te- 
nerezza di Saffo , la grazia e venustà d'Anacreonte possono 
andar congiunte alla proprietà , forza ed eleganza della 
lingua in cui s\ maravigliosamente poetarono l'Alighieri , 
il Petrarca , l'Ariosto e il delicatissimo Metastasio. Solo 
per questa vìa si cesserà , se mal non mi appongo , la 
vergogna di che i melodrammi d'oggidì tristamente ricuo- 
prono l'Italia e la sua poetica favella , rimanendo assai dif- 
ficile a spiegarsi come la musica trar possa ispirazioni da 
sì barbara e scipita poesìa. 

58. Resta a dire degli Oratotj e delle Cantate. I primi 
non sono che drammi in due parli divisi , di soggetto sacro; 
quindi nell'orditura ai melodrammi serj s'assomigliano ; se 
non che amano solenne, non pomposo apparalo, nell'in- 
treccio anche maggiore la semplicità , grande il decoro nei 

(1) L'acuto Barelli giustamente lodando la piena e precisa espres- 
sione del Metastasio , osserva che delle Untila parole della lingua no- 
stra la mucina sarta non adolla , e non ne può adottare per suo uso 
più di sei in settemila. — Fruì. Leu., toc cit. 



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328 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

personaggi, patetico e religioso l'affetto , casto e dignitoso Io 
stile , la frase ed il metro. Le Cantate poi sono pure com- 
ponimenti melodrammatici d'una o due parti , ad una o a 
più voci. Quelle a due parti non differiscono dagli Oratorj 
che per la maggior brevità e per la natura del soggetto , 
polendo essere tanto sacro quanto profano. In quelle di 
forma più ristretta anche l'azione vuol esser più semplice 
e più breve; nell'uno e nell'altro modo però nchiedesi non 
solo ordine e sviluppo nell'azione , ma novità e nobiltà di 
concetto e di sentimento nella materia , acciocché riesca 
dilettosa. Finalmente fa' che nulla vi appaja di negletto, 
studiando di riunire alla purezza del disegno l'eleganza 
del colorilo , la varietà e l'armonia del verso e del metro. 
Di tutlo questo avrai nobilissimi esemplari negli Oratorj e 
nelle Cantate dell'ammirabile Metastasio. 

Aut. IV. Della Poesia Pastorale. 

59. Nella Sicilia ebbe, secondo gli eruditi (1) , incomin- 
ciamento la Poesia Pastorale, ed a Stesicoro d'Imera se ne 
attribuisce il vanto , il quale allettato dalla dolcezza del 
clima , dall'amenità dei campi e dalla natura degli abitanti 
che molto ancora ritenevano della gajezza e semplicità 
della vita primitiva degli antichi pastori , ne ritrasse in 
versi i miti costumi e gì' innocenti piaceri. Molto tempo 
appresso un altro Siciliano, Teocrito da Siracusa, ne rin- 
novò l'esempio in Alessandria alla magnifica reggia di To- 
lomeo ; e perchè fu notato che la poesia pastorale risonò 
pure in Roma per Virgilio nelle trionfali aule palatine di 
Augusto , e nei tempi moderni nelle splendide corti di Na- 
poli e di Ferrara per opera del Sannazzaro e del Tasso, 
fa detto che quasi infastiditi i poeti del pomposo raffina- 
mento della città, crearono un nuovo genere di poesia, che 
fu quasi un rimpianto della immaginazione che abbellisce 
ciò che ha perduto. Per la qual cosa essi volarono colla fan- 
tasia in grembo ai campi ed alie selve, e slesi all'ombra 



(1) Tinse , Slor, della Lettor., T. I, C. II, & 2. 



DI RETTORI CA ' 329 

dei faggi , sul fiorito margine di garrulo ruscelletto , can- 
tarono io mezzo ai greggi, alle ninfe ed ai paslori le pure 
dolcezze campestri, a fine di richiamar gli uomini all'amore 
della semplice natura, ove ritroverebbero quella beala fe- 
licità che invano tra i superbi portici vagheggiavano degli 
aurei palagi. Ma se per un singolare riscontro si udì tra le 
pompe principesche l'umile zampogna, non vi tacquero perù 
le allere trombe e le cetre ; che anzi il cantore di Galatea 
era a un tempo ii cantore dei Tolomei, come quelli di Ti- 
tiro e d'Aminta cantarono altresì d'Enea e di Goffredo. Ri- 
mane perciò assai dubbio, se la poesia pastorale nascesse 
-veramente per un escogitato contrapposto al viver molle e 
raffinato, o non piuttosto" il Poeia siracusano sentendosi fe- 
licemente inspiralo a cantare greggi e pastori, anzi che 
cavalli e guerrieri, maestrevolmente ne ritraesse ad esem- 
pio del suo connazionale, gli usi, gli affetti e il linguaggio, 
e perfino il luogo natio, come appunto l'arte richiedeva ; e 
cosi riti novellasse questo gajo genere di poesia. Degno imi- 
tatore di Teocrito fu dipoi Virgilio, il quale fu pure degli 
altri maestro; e in quella guisa che nella pittura il paesag- 
gio di già trattalo come accessorio dai dipintori, costituì in 
seguito per Claudio Lorenese , per Salvator Rosa e per al- 
tri un genere vaghissimo e degno di adornare le sale de'prio- 
cipi, cosi la poesia pastorale, dì cui rinvengonsi tracce ne- 
gli esempj ed episodj de' poeti, formò da sè un genere 
novello che può convenire allo stesso splendor delle corti. 

60. Accennata in cofal modo l'origine della poesia pa- 
storale, che Buccolica altresì vien delta, noteremo che seb- 
bene sia talvolta descrittiva, più ordinariamente però ha 
movimento, azione e dialogo; laonde merita, secondochè 
già avvertiva il Gravina fi), d'esser riposta tra le specie 
della Drammatica. I componimenti poi che le si riferiscono 
sono V Idillio o Egloga e il Dramma Pastorale. 

(1) Delia flanim, p oe i., Lib. II, g. SS. 



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330 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



g. I. Dell' Idillio o Egloga. 

61. V Idillio , che si chiamò ancora Egloga , dacché Vir- 
gilio ebbe cosi chiamalo i suoi , quasi scelti tra altri com- 
ponimenti, ha per subbielto particolare la campestre natura 
e i tranquilli abitatori della villa. Quindi il poeta buccolico 
si trasporta coli' immaginazinne in mezzo a costoro, e ce 
ne fa gustare le pacifiche gioje , dipingendocene le ordina- 
rie faccende, i costumi, gli affetti , le feste e i riti religiosi, 
e per lo pi «i introducendo essi medesimi a parlare e ad 
operare , come se proprio ce li vedessimo dinanzi agli oc- 
chi. Per la qua! cosa richìedesi nell'Idillio scena, caratteri 
ed azione. 

62. E primieramente conviene scegliere il luogo alla 
scena , il quale dev'essere conforme alla natura del sub- 
bietto , cioè lieto ed ameno , o melanconico e solenne , e 
quindi siffattamente dipingerlo che il pittore possa di leg- 
gieri copiarlo; inoltre giova , a mo' Ao'paesisti , trascegliere 
e vagamente pennelleggiare quei tratti che meglio si offro- 
no alla vista , e destano maraviglia e diletto; finalmente 
non basta descrivere in generale l'aprica collinetta , il prato 
variopinto, il limpido lago, la selva dalle annose querci, 
l'antro dalla sacrata ombra ; fa d'uopo altresì determinare 
la scena con qualche distinta particolarità o d'un fiume, 
o d'un fonte, o d'un villaggio, o d'una chiesetta, o di 
quai'allra cosa ben nota, per cui all'immaginazione paja 
riconoscere il luogo , e diletlosamente per entro vi spazii. 
Alcune scene delle Egloghe virgiliane dovevano dai Manto- 
vani cosi bene riconoscersi, comeLìcida s'accorgeva di essere 
a mezza via dalla citta, dall'apparir che facevagli il sepol- 
cro di Bianore [Ecl. 1X1. 

63. I personaggi dell'Idillio poi sogliono essere pastori, 
pastorelle , bifolchi , castaidi e cotal gente di villa, dei quali 
è da imitarsi il carattere nei concelti , nelle immagini , nei 
sentimenti e nella semplicità del dire. Se non che devesi 
con ogn' ingegno schivare il duplice sconcio di rappre- 
sentarli o quali per avventura tuttodì lì vediamo zotici , 



DI RBTT0H1CA 834 

rozzi , e sgarbati ; o troppo ingentiliti , sapmi ed elegan- 
ti , che sotto il primo aspetto escono fuori della ragion 
poetica, sotto il secondo fnori del verisimile: quindi spia- 
cevoli sempre. Vogliono adunque esser dipinti tra il vero 
e l'ideale, semplici, aperti, gai, facili agli amori ed ai 
piaceri e ad un tempo laboriosi e pii , senza gnffaggiuo del 
pari clic scnz'auVllazioue, quali può l' immaginazione veri- 
similmente supporli in quei (empi , cui noi diremmo pa- 
triarcali , quando cotesti uomini vivevano tuli' inlesi alla 
custodia dei greggi ed alla cultura d^i campi , ove ira gli 
ozj e lo delizie della villa traevano semplice e modesta la 
vita. Il rivivere col pensiero in quei tempi , di cui in al- 
cuni privilegiati angoli della terra non è per avventura 
perduto ogni vestigio, 6 di dolce sollievo all'anima che 
sente levarsi al di sopra dei guasti vapori citladineschi. 

6i. Materia d' Idillio furono per lungo tempo gare di 
alterno canto tra due pastori, gelosie per amata pastorella, 
lamenta nze o vanti d'amore variamente corrisposti, o gioje 
di feste campestri. Quando i versi cantali a vicenda come 
all'improvviso, non siano, siccome dice il Mamiani {i], i 
più belli che mai scrivesse appensatamente nessun poeta , ma 
umili e semplici di concello e di forma , nò troppo squisi- 
tamente ingegnosi , una tal gara non esce del verisimile tra 
pastorelli toscani , i cui rispetti o canti campagnuoli ne 
sono una prova. L'amore poi quale ne' loro petti l'accende 
natura, vivo, schietto e sincero, formò e formerà mai 
sempre subbietto d'egloga, essendo forse questa l'unica 
cura che più li slimola c punge in mezzo a' loro ozj nel- 
l'amena solitudine dei campi. Essendo pertanto l'amore , 
come ben osserva il Ranalli, la sola e gradita loro occupa- 
zione, non altrimenti lo intendono che conforme alla natura 
primitiva e campestre ; quindi senza malizia e quasi senza 
vergogna compiacciono naturalmente a loro stessi (2|. 
Gessner però ha saputo con lodevolissimo esempio allargare 
la materia all' idillio, e dirigerlo a fine sommamente morale, 

H) Poesie , ec. - L'aiilore Di lettore . p. su , Erlfz. Le Moti. 1857. 
121 Ammaestramenti, ec. Liti. IV, c. Ili , UO. 



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338 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

rappresentandovi con immagini tutta grazia e candore i 
più santi e cari affetti domestici, come l'amicizia, l'amor 
conjugale e paterno, la tenerezza filiale , la pietà religiosa 
e va discorrendo , cosicché la vita pastorale dello svizzero 
poeta ti rapisce e t'incanta , e ciò che più vale , ti rende 
migliore. 

65. Sebbene possa l'Egloga talora elevarsi al grandioso, 
come vediamo nella IV di Virgilio, tanto che il poeta in- 
vita le muse siciliane a canto più nobile , acciocché silvae 
sint consuìe dìg-nae, tuttavia per la sua natura umile e tempe- 
rata tale richiede lo stile per naturalezza , verità e grazia vuoi 
ne'pensieri, vuoi nelle immagini e negli anelli, nel che Virgilio 
spesso non la cede a Teocrito. Lungi per tanto dallo stile buc- 
colico ogni ricercata squisitezza ed ogni raffinato sottilizzare, 
e di sotlo al sajo del pastore non trasparisca troppo l'elegante 
poeta , scambiando la zampogna nella cetra. Comecché nei 
personaggi dell'egloga si voglia certamente e buon senso e 
bel garbo, tuttavia ciò non piace senza una cara ingenui- 
tà, che non si apprende dai retori, ma sì dalla natura, 
la cui a poesia, dirò col Mamiani , vera e semplice vi gira 
k per casa , scherza e passeggia ne'vostri orlicelli , accom- 
n pagnasi agli ordinarj sollazzi , ìnlromeltesì nelle brigate 
« d'amici , sorride dai nostri colli e dal nostro cielo con 
n tale avvenenza che è sempre nuova e sempre inesausta 
a a chi bene la studia e la intende » (1). E qui è vano il 
dire che la elocuzione della poesia pastorale vuol essere 
altresì nitida , facile e gioconda , come l'olezzo cbe spira 
sull'ali de'venticelli dai boschetti e dai prati ; quale infine 
ce la descrive il Costa ove dice: 

« Esce dal casolar la villanella 

« Il d\ festivo , acconcia il crine e monda 

a Come colei , che desiala e cara 

o Esser vuole al garzon che l'innamora ». 

( Art. Poet., Ser. fi . 



(1) Poe»., e loc. dt. 



di rettorica 333 
66. Finalmente la forma poetica dell'Idillio, oltre ad 
essere semplicissima e breve nella tessitura, potendo essere 
un dialogo o un soliloquio di campagnuolì , e talora non 
senza una parte descrittiva detta dal poeta medesimo, può 
essere a versi rimali o sciolti , e questi o tutti endecasil- 
labi , o alternati con settenarj , con in fine un'arietta a 
mo'di cantala ; e dove introduconsi pastori a gara di canto 
non disconverrà in questa la terza rima ; nè meno piacevole 
può riuscire eziandio la forma dell'antica ballala , come 
ha adoperalo il Mamiani a imitazione di quella graziosis- 
sima che abbiamo di genere pastorale presso Franco Sac- 
chetti (f). Il verso poi vuol esser facile , naturale e gajo, e 
d'armonia in generale alquanto dimessa: a tempo e luogo 
poi imitativa e conveniente al subietto. 

07. A Teocrito, principe de'Buccolici , succedettero Mo- 
sco pur da Siracusa e Rione da Smirne , delicati ed inge- 
gnosi , se non semplici quanto il primo. Di questi Greci fu 
imitatore, ed unico Ira'Latini , Virgilio il cui ornato poetico 
non sempre giova alla semplicità pastorale. Tra gl'Italiani 
aveane fatta una mollo bella prova Io stesso Sacchetti in 
quel vaghissimo componimento da lui chiamato la Caccia, 
e che al Perticar! sembrò un Ditirambo , dove descrivesi n una 
a schiera di fanciulle che colgon fiori ed erbe in un pralo: 
a poi viene la tempesta, ed elle fuggono sotto la pioggia, 
a la qnal pittura è cosi viva , che vede il simile chi vede il 
a vero » (2). Dalle sue stesse parole sembrami però che ap- 
parisca meglio poesia buccolica che ditirambica, e come gra- 
ziosa gemma di quella l'adduco in esempio : 

Io Caccia o le Ricoglilrici di fiori. * 

Il Poeta, t Passando con pensier per un boschetto , 
a Donne per quello givan fior cogliendo 
a. Con diletto , co'quel , co'quel dicendo (3). 

[1) a Vaghe monlan'ne e pasl orette , 

« Donde venite si leggiadre e belle 7 ». Boi/. I. 
{%) Apologia di Dante. 
(3j Co', apocope di coffii , come te' di tieni. 



334 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

1. ' Fanciulla. « Eccol , eccol : 

2. ' Fano. a Che è ? 

1. " Fano. « È fior d'aliso. 

2. " Fano. « Va la per le viole : 

« Più colà per le rose. Cole, cóle 

1. " Fanc. a Vaghe! amorose! oime che '1 prua mi punge! 

« Quell'altra me'v'aggiunge. 

2. ' Fanc. « Ve', ve' che è quel che salta? 

4.' Fanc. « Un grillo, un grillo. 

2." Fanc. « Venite qua , correte : 
a Raponzoli cogliete. 

1. ' Fanc. « Eh ! non son essi ! 

2. ' Fanc. « SI son. - Colei , o colei ! 

. <t Vieti qua, vien qua per funghi: un micolino 
ir Più cola , più colà per sermollìno. 

1. ' Fanc. a Noi siarem troppo, che 'I tempo si turba: 

« Ve', che balena e tuona , 

« E m'indovino che vespero suona. 

2. * Fanc. « Paurosa ! non è egli ancor nona: 

a E vedi et odi l'usignuol che canta 
« Più bel ve', più bel ve'.... 

1. ' Fanc. n I'senio, e non so che. 

2. * Fané. ' ' « 0 dove è ? dove è ? 

I." Fanc. « In quel cespuglio. 

ti Poeta. a Ognun qui picchia , 

« Tócca e ritocca : 

a E mentre il bussar cresce 

0 Una gran serpe n'esce. 

1 Oimè trista ! oimè lassa ! oimè ! oimè ! 
« Gridati fuggendo di paura piene: 

« Ed ecco che una folta pioggia viene, 
a Timidetta già l'ima all'altra urtando, 
« E stridendo s'avanza : 
« Via fuggendo e gridando, 
a Qual sdrucciola, qual cade, 
a A caso l'una appone Io ginocchio 



(4) Cole, sìncope di coglile. 



di nETroHiCA 335 
« La 'u reggea lo frettoloso piede : 
« E la mano e la vesla , 
a Questa di fango lorda ne divene , 
<ì Quella è di più calpesta. 
« Ciò che han collo ir si lassa, 
o Nè piti si sprezza e pel bosco si spande. 
« De'fìori a terra vanno le ghirlande , 
« Nè si sdimelte per tinquanco il corso. 
« In colai fuga e ripetute roto 
« Tiensì beala chi più correr potè. 
« S\ fiso sleilì 'I dì ch'io le mirai, 
a Ch'i'non m'avvidi, e tulio mi bagnai ». 

68. Dipoi nel secolo XV sì tentò l'egloga virgiliana da 
Bernardo Pulci, da Iacopo Buoniusegni e da pochi altri, 
ed appresso si ebbero fama di poeti buccolici particolarmente 
il Rota , il Baldi , il Menzini ed altri , che lutti più o meno 
risenlono d'affettazione , siccome quelli che più Marone che 
la natura studiarono. Primeggia però sovra d'ogn'altro Ia- 
copo Sannazzaro , il quale nella sua celebre Arcadia , me- 
scolanza di verso e di prosa , fìngesi tra gli Arcadi Pastori, 
dei quali descrivendo i costumi , le occupazioni , gli amori, 
i giuochi , le feste e i sacrifizi , coglie facilmente occasione 
di canto, o solo o alterno. Quantunque si riscontri si nella 
prosa che nel verso alcun che di studialo e di troppo forbi- 
to, e i terzetti a rima sdrucciola, ed altre difficoltà metri- 
che sappiano d'affettazione , tuttavia le leggiadre immagini 
de'suoi prati c de'suoi boschetti , gl'ingenui caratteri de'suoi 
pastori, la naturalezza de'pensieri e degli affetti, espressi 
in una lingua tutta venustà e candore, rendono la sua Ar- 
cadia un assai pregevole esempio di poesia pastorale. Com- 
pose ancora Egloghe Pescatorie in latino , sostiluendo ai 
campi il mare , ed ai pastori i marinari ; ma essendo questa 
forse materia non abbaslanza atta alla poesia, non v'ebbe 
molli nè valenti seguaci. Di Gessner assai fu detto di sopra , 
perchè si tenga per egregio maestro dell'Idillio, alia cui bella 
scuola molto appresero per ultimo tra nói e il Scstini e il 
Mamiani. É se l'Italia gusla ed ammira le care bellezze 



336 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

del poeta svizzero, n'è debitrice alla stupenda versione che 
ne diede l'illustre Andrea Maffei. 

§. Si Del Dramma Pastorale. 

69. Poco è da dire intorno al Dramma Pastorale , imper- 
ciocché siccome dramma ne segue le regole nell'orditura , 
nella favola e nei caratteri; siccome pasturale richiede la 
stessa semplicità e naturalezza che l'Idillio, dei quale non 
è che una forma più ampliala e distesa. La Poesia italiana 
va debitrice di questo gìojello, ignoto a'Greci ed ai Latini, 
al gentilissimo Tasso, il quale col suo Aminta abbellì la poe- 
sia pastorale di tutta quella grazia , venustà e candore di 
cui era capace la nostra soavissima favella. E comecché ta- 
lora ne adombri lo splendore poetico qualche inverisimi- 
glianza , qualche raro giuoco di parole (4) , o qualche con- 
cetto più ingegnoso che bello , nei che fan presagire vi- 
cino il secolo XVII , pure vi senti una soavità d'afletio , una 
cara ingenuità di costumi che dolcemente ti attrae in mezzo 
ai casi or tristi or lieti ilegl'innamorali pastori. Al grido che 
levò di sè meritamente V A minta , presero ad emularlo altri 
poeti, tra'quali Giovan Battista Guarnii da Ferrara col suo 
Pastor Fido, ed Antonio Ongaro col suo Alceo; ma questi non 
fu del Tasso che timido copiatore , quegli alterò le semplici 
forme del Dramma buccolico, trasportando, come dice il 
Gravina (2), nelle capanne anche le corti, e facendo de'suoi 
paslori altrettanti politici , e delle sue ninfe altrettante spu- 
tasentenze , non lasciando loro di pastorale che la pelliccia 
e il dardo, per nulla dire della prolissità della favola e dello 
stile concettoso ed epigrammatico. 

70. Come dall'Idillio nacque un genere di poesia rozzo 
e contadinesco, qual'è la Nencia da Barberino di Lorenzo 
de' Medici, e por non dire di altri, il celebre Lamento di 
Cecco da Varlungo del Baldovini, dove ambedue in lingua 

Hi Tale Bl è questo di Silvia ripreso dal Cesia nel suo Seim. II: 

" S ei moria per la mia morta 

• Dee per la vila mia restare in vita». 

(2, Della Ragion PoeC, Lib. II, c, XXII. 



di rettokica 337 
rusticale del contado fiorentino, graziosamente dipinsero il 
costume della gente villereccia in amore ; cos\ dal dramma 
pastorale derivo la commedia rustica, della quale mi con- 
tenterò di citare ad esempio la Fiera e la Tancia di Miche- 
langiolo Buonarroti il giovine, morto nel 1646 , dove con 
tanta fedeltà e leggiadria ritrasse la vita dei contadini tosca- 
ni colle loro arguzie e riboboli , che il Bianchini diceva 
aver egli nobilitalo la contadinesca poesia, mostrando come 
la lingua rustica del contado di Firenze fosse capace di 
vestirsi di tutte le bellezze di Plauto e di Terenzio. 



Capitolo IV. - Della Poesia Didascalica. 

i. Canone generale della poesia è di dilettare istruendo; 
se non che o celebri la religione, l'eroismo o le civili vir- 
tù come nella lirica, o narri fatti gloriosi come nell'epica, 
o rappresenti tristi o lieti avvenimenti come nella dram- 
matica, occulta più o meno io scopo morale tra le attrat- 
tive delle sue forme. Evvi però un tal genere di poesia 
che apertamente professa d'istruire dilettando , onde si ebbe 
nome di Didascalica o insegnativa ; e i principali suoi com- 
ponimenti sono il Poema di scienza o d'arte, la Satira, il 
Sermone, l'Epistola, la Novella e la Favola. 



2. È fama che pur dalla Sicilia originasse la Poesia di- 
dascalica, dandosene per primo autore Empedocle d'Agri- 
gento, al quale se rimari dubbio fra i dotti se debbasì at- 
tribuire il poemetto astronomico sulla Sfera, è certo che 
scrìsse quello sulla Natura, ove in tre libri dichiarava la 
formazione dell'universo, e l'altro delle Purgazioni, dove 
sponeva precetti morali; i cui versi, de' quali non restano 
che pochi frammenti, cantavansi in Olimpia con immenso 



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338 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

plauso di tutta quanta la Grecia (1). Il poema didascalico 
fiorì per tempo anche tra'Greci per l'antichissimo Esiodo 
d'Ascra , il quale in versi di rara dolcezza cantò dei lana- 
re' e de'Giorni, opera agli agricoltori profittevole. Ancora 
Arato ebbe fama per due poemi astronomici , l'uno intito- 
lato / Prognostici, l'altro / Fenomeni, che meritò d'esser 
volto in esametri latini da Cicerone. 

3. In Roma coltivò por il primo questa sorta di poema 
Ennio che nella sua Phagetica cantò di cibi ; ma quegli che 
ne raccolse fronda d' immortale alloro fu T. Lucrezio Caro, 
il quale ad esempio d' Empedocle, dettò il Poema De. natura 
rerum, insegnandovi il tristo sistema d'Epicuro che si malo 
sentiva dell'anima e degli Dei. Benché si appunti di una 
certa tinta che tiene dell'arcaismo (2), tuttavia a pochi o 
a niuno la cede per forza e proprietà di colorito, per ele- 
ganza e verità di espressione: peccato, che in tanto tesoro 
di poesia s'acchiuda la fantasima d'una laida e scarna filo- 
sofia! Se non che Virgilio andò innanzi a tutti, ed alio stesso 
Esiodo, che gliene porse l' idea, col suo impareggiabil poema 
della Gcorgica ove lavorò ben sett'anni, trattandovi della 
cultura delle biade, della piantagione degli alberi, della cura 
della greggia e della educazione delle api. Qui tu hai copia 
e varietà di dottrina, leggiadria d' immagini, squisitezza 
di descrizioni e di episodj, maravigliosa eleganza di splen- 
didissima poesia, sparsa da per tutto di fiorì che, come egre- 
giamente dice P illustre Arcangeli, « tanto sono più vaghi e 
« dì odorosa freschezza quanto che non sembrano ivi per 
« effetto d'arte ammassati, ma spuntano come spontanei dal 
« fondo islesso dell'argomento » (3). Modello perfettissimo di 
poesia insegnativa , dove il poeta non che gli altri vinse 
sè stesso, nè da chicchessia fu vinto dappoi. Anche Orazio 
trattò da pari suo la didascalica nella sua Arie Poetica, o 
Epistola ai Pisoui: e checché ne potisi l'arcigno Scaligero 



[4) Tibab., Storia delta Letler., Voi. I, Par. I[ , g XI. Memorie 
sulla vita d'Empedocle di Don. Soni, Palermo 4343. 

(2) Fic»EB, Quadro delta Letler. latina, Par. UT , g. 9. 

(3) Virgilio e le sue opere. Discorsa premesso al Commento ec. 



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DI RETTO RICA 339 
chiamandola Arte senz'arte, queslo è cerio che ben venti 
secoli Don bastarono, a renderne vieti i precetti con tanto 
senno ed ottimo gusto e con si bel garbo ivi dettati; e 
credo che ben s'apponga il Bindi, dicendola cosa stupenda, 
e soggiungendo esser peccato da non perdonare il non sa- 
perla a memoria (1). Tra i poeti didascalici latini noverasi 
anche Ovidio che nelle sue Metamorfosi espose il sistema 
della pagana teologia, e nei Fasti dottamente descrisse la 
liturgia della religione romana, con quella spontaneità di 
forma, se non sempre elegante, pur facile, varia ed ab- 
bondante, colla quale nei versi dell'uno e dell'altro poema 
caramente ti sorprende e rapisce. Tiene un assai orrevol 
luogo tra i didascalici latini ancora Columella da Cadice 
col suo Poemetto sull'arte de 'Giardini, che servir dovea di 
complemento alla Georgica (2). 

4. Passando ora ai poemi didascalici d'autori italiani, 
preterirò l'Arte Poetica, la Scaccheide e il Baco da seta del 
Vida, e la Sifilide del Fracastoro, perchè dettati in verso 
forbitissimo latino, e solo ricorderò, siccome il piii antico, il 
Dittamondo di Fazio degli liberti, ove dice il Villani che 
imitando Dante, descrisse in modo assai grato e piacevole 
il sito e l' investigazione del mondo. Ma quegli che vera- 
mente diede all' Italia il primo regolar poema di tal genere 
fu l'Alamanni colla sua Coltivazione si celebrata per giu- 
stezza ed opportunità di precetti non meno che per grazia 
e venusta di forme, per vivezza di descrizioni, per fluidità 
e svariata armonia di verso. Tiensi per leggiadrissimo il 
poemetto del Rucellai Sulle Api; v'ha chi prepone, e non 
senza fondamento, alla stessa Coltivazione dell'Alamanni la 
Rìseide dello Spolverini; lodasi per sapere e per artificio 
poetico la Nautica del Baldi, e Y franto a Lesbia del Masche- 
roni; e tutti qual più qual meno ormeggiano Virgilio, ben- 
ché, come dice il Ranalli, niuno di essi aggiunga alla ma- 
gnificenza del gran Mantovano (3). Più che altri però gli si 



li) Avvertimento premesso al Comm. dell'Art. Poel. 

|2) Fic»eh. Op. Cit., P. IV, g 47. 

(3) AmmamramoMi ec. Lib. IV, C. Ili , g. 160. 



340 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

accosta io perfezione e in magistero di stile, di lingua e 
di verso colla sua Pastorizia e cogli altri suoi poemetti Ce- 
sare Arici, del quale il Giordani meritamente non rifìnadi 
ammirare la squisita dottrina, l'ordine e l'armonia delle 
parli, la felicità dei trapassi, la peregrina verità delle de- 
scrizioni, la gentilezza delle immagini, la ricchezza poeti- 
ca della frase e il raro artificio del verseggiare; cose tutte 
che, tranne alcune piccolissime mende, rendono soprattut- 
to la Pastorizia e le Fonti opere classiche, e presso a toc- 
care la cima della perfezione, e che chiariscono l'autore 
per grande e singolare poeta (<). 

5. Venendo ora a trattare del poema didascalico, dirò 
che esso distinguevi in scientifico, filosofico o artistico, se- 
condo che vi si svolgono sistemi di scienze naturali o di 
filosofia, come il Poema di Lucrezio e riposta della Saluzzc— 
Roero; o vi si danno precetti di qunlsi voglia arto, quali 
sooo i sopraccennali. Qualunque pertanto ne sia la natura, 
è prezzo dell'opera che innanzi trailo biavi ordine, dispo- 
nendo le varie parli della materia non già col rigore logico 
d'uD trattalo, ma per un filo segreto che mentre insieme le 
congmnge, non apparisca, come Virgilio e, ad esempio suo, 
l'Arici con bell'ani ficio adoperarono. Elettosi il subbielto , 
che conviene sia utile ed opportuno, perchè non paja di 
far per fare, come sarei tentalo a dire facesse il Vida colla 
Scaccheide, è bello non semplicemente enunciarlo come si 
fa nel poema epico, ma mostrarlo sul bel principio tutto 
qual è già nella menle, siccome è da vedersi in sulle pri- 
me mosse della Georgica; lo che serve a maraviglia come 
di specchio a rilevarvi tutta l'orditura dell'opera, fn quella 
guisa che l' Epopea vuoi essere informata d'azione una e 
grande, il poema didascalico richiede un concetto uno ed 
utile, come in tutta quanta la Georgica quello vi trasparisce 
di rimettere in onore l'aratro abbandonato e spregiato con 
tanto danno della nazione (8). Lo svolgimento poi della mate- 
ria conviene sia ordinalo e debitamente spartito, e non sal- 
ii] Disc, sulla Fast. dell'Arici, Voi. U. 
(2) V. AmIWìili , Disc. cit. 



DI RETTO BICA 341 
tare, come suol dirsi, di palo in frasca, di che si accusa 
nella sua Poetica Orazio, forse non dirittamente, scrivendo 
egli un'epistola c non un poema; e poiché l'autore didasca- 
lico dichiara apertamente di volerla fare da maestro, lo 
stringe obbligo di sporre di sua scienza o arte il fiore piii eletto 
de' precetti che lungo studio e sperionza seppero per quelle 
rinvenire; di che oppuntoqunnto lodansi l'Alamanni e l'Arici, 
altrettanto si fa carico al Rucellai , non sempre dettatore del 
meglio dell'arte. Deve inoltre schivare per quanto può, d'av- 
vilupparsi in controversie, perocché non essendogli consen- 
tito come allo scienziato, il discutere senza offesa della ra- 
gion poetica e fastidio del lettore, gli è di mestieri attenersi 
al sicuro e al meglio chiarito intorno al suo tema. Finalmente 
memore dell'antico dettato: quìdquid praecipies , esto brevìs , 
dica dol suo argomento solo e quanto e proprio richiesto a 
bene e compiutamente svolgerlo, esporlo ed illustrarlo; che 
qui specialmente ogni soperchio nuoce, rendendo se non fa- 
stidito il lettore, certo men docile e men fedele nel ritenere 
ì precetti contro il principal fine del libro , che presto come 
cosa vana rimane dimenticalo cibo alle tarme. Ed in vero 
Lucrezio racchiuse in soli sei libri l'amplissimo campo della 
natura delle cose; in quattro Virgilio e in sei l'Alamanni 
tutta l'arte dell'agricoltore , e in sei pure l'Arici la sua Pasto- 
rizia, e cosi gli altri a proporzion del subbielto. 

6. E poiché a rendere piacevole e popolare la scienza , 
la poesia ne soccorse appunto dell'arte sua , perché colla 
lusinga del diletto temperandone l'asperità e l'aridezza , 
anche i più ritrosi le facesser buon viso , il poeta faccia di 
potere al suo lettore ripetere con Lucrezio : 

« ....... Volui libi suaviloquenti 

« Carmine Pierio rationem exponere nostrum , 
« Et quasi museo, dulci contingere mede » 
[ Lib. [;. 

E primieramente a fare che dilettoso ed utile l'ammaestra- 
mento riesca , è d'uopo ritrarlo dalle nebbie delle astratlez- 



342 DELLE ISTITUZIONI LLEMEXTARI 

ze, e quasi porlo solt'occhio mercè d'immagini chiare, vive 
e sensibili; le scabrezze del cammino rammorbidire con 
sopra spargervi i fiori dell'arte; la vilezza delle cose na- 
scondere o col nobilitarne le origini, o col rivestirle di splen- 
dide forme , come ne hai spesso l'esempio in Virgilio ; la 
secchezza dei precetti rianimare colla vivacità di pittoresche 
descrizioni , ed abbellire colla varietà e squisitezza d'oppor- 
tuna erudizione ; finalmente lutto lumeggiare con chiarezza 
e con grazia , congiungere con sotti! magistero la sobrietà 
e l'abbondanza, e nella distribuzione dell'opera acconcia- 
mente spartire ed intrecciare la parte inseguativa alla esor- 
nativa. 

7. E in verità non essendo dato al poeta didascalico di 
lasciar libero ii volo alla fantasia , nè finger come l'epico , 
amori , audaci imprese e cortesie , a fine di cessare la fasti- 
diosaggine e la sazietà dei precetti , e dì ravvivar l'atten- 
zione del lettore colle attrattive della novità e del diletto, 
ei suole assai giudiziosamente rifiorire l'ispida natura del 
suo tema coli' abbellimento delle, digressioni o episodj. Se non 
che fa di mestieri che questi talmente colla materia si con- 
nettano , che sembrino veramente come nati da essa, quali 
fioretti dal suolo, e non tirativi, come dice il Giordani, 
dalla voglia dell'autore, che ciò toglie lor grazia; al che 
non sempre avvertì con suo biasimo il Rucellai , nè del 
tutto esente n'andò forse l'Alamanni , anzi neppur lo stesso 
Virgilio per quel suo, del resto bellissimo, episodio sulla 
morte di Cesare ( Geor., Lib. I). E poiché , come si è detto, 
è sovrammodo necessaria al poema didascalico la digres- 
sione, perchè riesca veramente ad ornamento e non a vano 
ripieno, fa d'uopo spianarsi per quella con tal'arte la via , 
che paja proprio naturale e spontaneo il trapasso , come 
coll'esempio c'insegna Lucrezio, particolarmente nel pietoso 
sacrifizio d'Ifigenia e nella descrizione della peste d'Alene. 
An'oge a queste le belle e felici digressioni di Virgilio per 
celebrare le Iodi d'Italia e la felicità della vita campestre, 
e per descrivere la corsa de' cavalli e l'industria favolosa 
del buon Arisleo. Anche all'Arici giustamente si dà lode 



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DI RETTORICÀ 343 
per naturalezza di trapassi , e specialmente per quello bel- 
lissimo del 

« Cereal pomo che sotterra ha loco » (1) , 

e per l'altro, ove paragona il cielo d'Italia all'orrido set- 
tenlrioue (ivi). Da così fatti maestri è da apprendersi adunque 
la difEcil'artc delle digressioni, che sono , per dirla colle pa- 
role del citalo scrittore a parte in lutti i poemi , e più spe- 
« cialmente negl'insegnativi, molto notabile; laonde tanto 
« questi sogliono essere graditi , quanto abbiano di leggia- 
<( clria e di valore ne'trapassi » (2). Ciò ponga in sull'avviso 
chi vuol meritar lode nel didascalico poema. 

8. Essendoché in tal sorla poemi ora umili, ora gravi 
materie si trattano , è chiaro che tale altresì loro si con- 
viene Io stile , conlemperato però tra il nobile e il facile 
per serbare il decoro e conseguir la chiarezza. Richiedesi 
poi vivacità e freschezza di colorilo , vario al variar delle 
materie ; inoltre precisione , splendidezza e verità nelle de- 
scrizioni , che di quelli sono parte principalissima ; ricca 
suppellettile di linguaggio poetico, per dare bella e sensi- 
bile forma a quanto vi ha dì scabro o d'astrailo nella scien- 
za, ed ingentilire quanto s'incontra di volgare e d'abbietto 
nella ragione dell'arte. Imperciocché se l'eccellenza del poeta 
non già consiste nello schivare i concetti comuni, ma sib- 
bene, come dice il Flaminio, nel saperli dir con forme e 
maniere non comuni (3) , nella poesia didascalica , più che 
altrove questa difficil'arte abbisogna , come n'è continuo 
modello nella Georgìca Virgilio, dal quale tra i mille esempj 
scelgo il seguente dell'innesto , dal Lib. II della Georgica : 

« Inseritur vero ex foelu nucis arbulus horrida, 
« Et steriles platani malos gessere valentes, 
« Castaneae fagus , ornusque incanuit albo 

(1) La Palata, Lib. II. 

(2) Giono Ani, Op. ci!. Ari. II. 

(3) Race, di Lett. cif., p. 197. 



344 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

i Flore pyri : glandemque sues fregere sub ulmis. 

« Nec modus inserere atque oculos imponere simplex, 

a Nam qua se medio Irudunt de corticc gemmae, 

a Et teuues rumpunt lunicas , angustus in ipso 

« Fit nodo sinus; huc aliena ex arbore germen 

a. Includunt , udoque doccnt inolescere libro, 

e Aut rursum enodes trunci reseeanlur, et alte 

« Finditur in solidum cuneis via : deinde feraces 

« Plantao immittuntur. Nec longum lem pus, et ingens 

« Exiit ad coelum ramis lelicibus arbos , 

« Miralurque novas frondes , et non sua poma ». 

Finalmente alla proprietà , nitidezza ed eleganza della frase 
vuoisi congiunta una facile e bella versificazione, che libera 
da rima scorni con isvariata armonia , a fine d'accrescere 
nel poema soavità e diletto. 

Aut. 11. - Della Satira. 

9. La Satira ò un componimento poetico che mordendo 
ora con piglio acerbo , ora con burlevole sogghigno i vizj 
e i diretti degli uomini mira a correggerueli e a migliorarne 
i costumi ; quindi è di natura or grave , ora comica , e 
come maestra del retto vivere appartiene al genere dida- 
scalico. È vero che a levare efficacemente alta la voce 
contro del vizio , v' ha d'uopo d'una coscienza difesa 
dall'usbergo dei sentirsi pura; tuttavia essendo nella vita 
comune tali vituperj e magagne che scivolano di mano alla 
legge, la satira saettando della sua sferza le umane brut- 
ture , o ricoprendole d'un acre ridicolo, serve alla legge di 
supplemento, o se non altro, è un'aperta protesta contro 
la tristizia de' tempi. 

■ 3^1. Origine e progressi della Satira. 

10. La Satira, cosi denominata o dai Soffri dicaci (1) 
per la sua mordacità , o quasi poesis satura , ìdest quae res 

M] On., Ari. Poti., v. 22S. 



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DI RETTO RIC A ' 345 

multas ac varìas continet, onde anche Cicerone la chiamò 
poema varium et elegans, differì fino dal suo bel principio 
dal dramma satirico dei Greci e dalle Alellane dei Remimi, 
essendo queste opere destinale alla teatrale rappresenta- 
zione, quella solo alla lettura, e di forma per lo più descrit- 
tiva; anzi i Greci la ignoravano affatto , e Orazio la chiama 
graecis intaclum genus; e Quintiliano afferma: Satyra qui* 
detn tota nostra est (1). Ennio trovatala uno zibaldone di 
motti e di villane scurrilità in rozzi versi e d'ogni melro, 
le si pose attorno e alquanto la raffazzonò ; ma quegli che 
le diede convenevole ordine e forma fu Lucilio , che se- 
guendo Cratino , Aristofane e gli altri poeti dell'antica com- 
media , nel frustare comecché fosse il vizio , meritò che 
Orazio l'appellasse inventor della Satira. Ne scrisse ben 
trenta libri, ma ci rimangono appena de'frammenti. Sap- 
piamo che per il primo vi adoperò l'esametro , nel quale 
parve al nostro Fiacco un po'duro; quanto poi alla sostanza 
e' diceva , che sebbene flueret lululentus , tuttavia eral quod 
tollere vclles ; lo che torna a molta lode di Lucilio [Sai. IV, 
lìb. I). Sovrano perfezionatore e maestro di siffatta poesia 
fu però indubitatamente Orazio, onde lo stesso Alighieri 

10 chiamò Satiro [Inf., C. IV}, ed a lui succedettero Aulo 
Persio Fiacco da Volterra , e D. Giunio Giovenale d'Aquino. 

H, E dappoiché, come fu già bene osservato, non avvi 
poesia che meglio della Satira ritragga i tempi , in quella 
dei tre satirici Ialini scorgesi ritratta al vivo l'immagine 
dell'età loro variamente corrotta. Cortigianesca ed epicurea 
quella d'Orazio, tale si pare nella sua satira; infami per 
vizj abbietti e bestiali i tempi di Persio sotto Nerone , e di 
Giovenale, imperante Domiziano, e quegli nella sua Satira 

11 dipinge esecrandoli con stoica virtù , unico argine che 
pur rimanesse contro al torrente di si laide brutture; questi 
al dire dello Scaligero , ardui , instai, juqulat col fremito di 
profondissima ira contro gli svergognati vituperj e le mo- 
struose libidini, non essendo quelli tempi da beffa, ma sì 
da gogna. Il Venosino, d'ingegno in piacevoleggiare argu- 



ii] Insl., Lib. X. 



34C DELLE ISTITUZIONI E LE ME NT AHI 

tissiuio , non si arma , al dire del Monti , del pungolo della 
Satira, che por ridere e trastullarsi a spese del vizio (}}; 
e, aggiungerò col Vannucci, non si ferina che a dipingere 
le ridicolezze e contradizioni degli uomini (2). II Volterrano, 
d' indole intemerata e vereconda , e della virtù, caldeggiatone 
sincero, maledice al vizio col generoso disdegno d'un'anima 
pura. L'Aquinate lutto bile , e nausealo dal lezzo delle tur- 
pitudini umane, (juesle Dagella con ferro arroventato, e 
dove percuote, leva la galla, e fa che la piaga per lunga 
pezza strida. Orazio possiede finissima l'arte del ridicolo, e 
l'adopera con tutta la grazia d'uno siile gajo e disinvolto; 
ed alla giocondczza della narrazione, alla urbanità de' con- 
cetti ed all'attico sale unisce ii piti eletto fiore di lingua , 
ed una certa meditata trascuratezza d'esametro da facil- 
mente rassomigliare spesso ai numero della prosa , che 
rende le sue salire leggiadrissime , piane e popolari, onde 
si hanno altresì il nome di Sermoni. Persio non fa mai 
mostra dì ridere, uè sa comporsi allo scherzo; non nini 
sacrifica alle grazie , e la sua Satira è simile ad austera e 
nobile matrona. Ei procede chiuso, rapido e compatto, e pili 
che non dice, accenna e oscuramente, verseggia però grave 
ed armonioso, e talora vi senti la maestà virgiliana. Gio- 
venale li sta sempre in cipiglio , o se qualche volta si com- 
pone alla beffa , il suo riso ti morde e ti strazia. Nello stile 
è veemente , benché non di rado tu vi senta il tono decla- 
matorio, il tumido e lo sforzato. Finalmente concluderò col 
Monti , a'cui giudizj su' tre poeti parvemi bene attenermi, 
che riguardando alle sentenze Orazio è il più. amabile; 
Persio il più saggio , Giovenale il più splendido ; dal prime 
s'impara a beffarsi del vizio, dal secondo ad amare la virtù, 
dal terzo a sdegnarci contro il delitto. 

\% Padre della satira italiana può a buon dritto chia- 
marsi l'Ariosto, giocondo e piacevole ingegno più che altri 
mai fosse; quindi com'era ben naturale, ormò il Venosino, 
e con quella sua inimitabile facilità, e con quel brio pieno 

(1) Noie alle Sat. di Perito , Sat. V. 
[8) Vita d' Orazio. 



Di RKTT0R1CA 347 
di festività e di sale di che sì bene la sua poesia condisco, 
diede lai bellezza alle sue salire, che tengono il primo 
luogo tra le migliori ; se non che sciaguratamente non guar- 
dasi di valicare, anche troppo spesso, i limiti della decenza 
e dell'onesto costume. Il mclro da esso adoperalo è la 
terza rima, e la maggior parie de' satirici italiani ne 
seguirono l'esempio, tra'uuali piacemi citare, per tacer dì 
altri molli, Ercole Beniivoglio a'suoi tempi secondo solo 
all'Ariosto, Luigi Alamanni, e piti lardi il celebre pittore 
Salvator Rosa napoletano, sovrammodo acre ed acerbo a 
mo'di Giovenale , a cui pure andò mollo dappresso Bene- 
detto Manzini fiorentino, che si studiò d'avvicinarsi a Per- 
sio, e per l'ultimo l'Alfieri. II D'Elei però, delle cui satire 
il Niccolini suo biografo parlò con lodi amplissime, adope- 
rò, e assai felicemente, l'ottava. Il Cozzi ed il Perini poi si 
elessero per la loro salirà il verso sciolto, e con quanto 
felice successo non starò a dire, che tutli sei sanno; solo 
ripeterò col Barelli che il Conte Gasparo Gozzi si è stu- 
diato ne'suoi dodici Sermoni di far parlare Orazio al modo 
nostro, e vi è maravigliosamente riuscito {1). 

13. Ma ora è tempo di parlare più dislesamente della 
Satira Parhiìum, la quale forma un genere novissimo ed 
originale di satira ironica, di cui va giustamente altera 
l'Italia; e se questa specie di poesia è, e non dev'essere 
altrimenti, figliuola de'suoi tempi, la satira del Parini si è 
quella. Popolo non v'era, dice il Giusti; cittadini, di no- 
me; i nobili, nulli, boriosi, molli, fastosi, pieni d'ozio e 
di vizj (2); quelli tratti dall'uso e dal prestigio delle ric- 
chezze ne veneravano il sangue glorioso, questi su letto 
di rose dormivano sibaritico sonno; assennare i primi, e 
svegliare i secondi colla sferza di Giovenale era opera vana 
e rischiosa, ed il poeta un'allra via trovò certa e sicura, 
e questa fu l'ironia, che quanto più carezza, tanto più 
punge a guajo. Ei compose adunque un poema diviso in 
quattro partì intitolato il Mattino , il Mezzogiorno, il Vespro, 

(t) Fonia Leti. V. I , sul (ine. 

(ì. V,ta dot Parili'. Ediz. cii Lemon. 



348 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

e la Notte, dove argutissimamente descrive tutta quanta 
la vita del giovine signore, fingendosi di lui maestro nei 
riti dell'amabile mondo. Di qui coglie l'occasione di parti- 
colareggiare le infinite nullaggini e le vane pomposità del 
vivere signoresco ; e quindi di pungere e disvelare a un 
tempo le storture, le inezie e le falsità di tutto il seco- 
lo XVIll", line morale ed altissimo, se altro fu mai dopo 
quello della divina Commedia. Sovrabbonda poi di t ale bel- 
lezza di forma, che nulla hai a desiderare; semplice e natu- 
rale l'orditura; varie e magnifiche le scene; vere, nuove 
e pittoresche le descrizioni ; felici e spontanei i trapassi e 
gli episodj; nobile e dignitoso Io stile, splendidissime le 
immagini ; arguti , facili ed aggiustati i contrapposti ; felice 
quasi sempre nel condurre per s\ lunga opera la più fina 
e beffarda ironia ; vivace e veramente poetico il colorito; 
venustà ed eleganza di lingua ; bellezza ed armonia di 
verso opportunamente svariato. Fra tanti pregi chi mai 
vorrà rimproverare al poeta alcuni rari e piccoli nei, 
tra' quali il soverchio di mitologia, pensando altresì che a 
quel tempo erano in tanta voga gli Dei d' Esiodo e d' Omero? 

14. Finalmente a'noslri giorni sorgeva il toscano Giu- 
seppe Giusti che nutrito della midolla dell'Alighieri stam- 
pava sulla via del Parini orme alle e nuove, dando alla 
satira civile una forma nuova e popolare, adattandovi con 
bellissim'arte i metri lirici e il fiore della lingua vernacola. 
Temprando l'ardilo ingegno alla cittadina carità tentò colla 
faccia levata le profonde piaghe e disoneste dell'età sua , 
e trasse dallo sdegno il mesto riso (1), che ora si palesa tra 
il brio della scherzevole mordacità oraziana, ora nell'onda 
poetica, com'ei la diceva, delio stile Virgiliano, sempre 
nella difficil'arte di dire in povere parole altissime cose. 
Gos\ la satira italiana per opera del Parini e del Giusti 
mirò a intendimento sovrammodo civile ; e se la poesia non 
potè per essi celebrare al suon della lira le eroiche gesta e 
le magnanime virtù, con pari comune utilità però scherni 
colla sdegnosa ironia la stupida inerzia degli animi infiac- 

[1] Poesie di G. Giusti. - Ad una giovinetta. 



DI RETTOMCA 



319 



chili, e la bassezza di vizj svergognati; perocché, come 
appunto cantò il Giusti medesimo: 

« .... Gl'inni di lode e il fiero scherno 
< a Che del vizio si fa ludibrio e scena , 
a Muovon da occulta idea del bello eterno; 
<r Come due rivi d'una stessa vena (1) ». 

§. 2. Avvertenza intorno ai modi della Satira. 

15. Da quanto ci siamo studiati di esporre con quella 
brevità che potemmo maggiore, intorno all'origine ed ai 
progressi della satira , è facile comprendere che regole certe 
e precise non possono assegnarsi , perocché si è veduto che 
ogni grande poeta satirico ha fatto a sè regola sè slesso o 
l'età sua , donde l'assioma letterario non potere la satira 
essere universale; cioè nè di tulli i tempi, uè di lutti i luoghi, 
simile in ciò alla commedia nella dipintura dei costumi ; per 
la qual cosa il Giuslì scriveva esser lutti i satirici abbarbi- 
cati ai loro tempi come l'edera al muro, e la satira dover 
esser fatta non alla misura dell'uomo, ma a quella del vizio 
secondo le forme che di mano in mano assume (2). 

16. Primieramente ricerca in te qual tempra ti diede 
natura, se irosa, beffarda o acremente ironica; quindi studia 
i temi, e se lì senti da ciò, adatta alla natura di questi o 
la satira acerba di Giovenale , o la grave di Persio, o la 
comica e piacevole d'Orazio, o la nobile ed indiretta del 
Parini, o ia popolare ed arguta del Giusti. In ogni modo 
deridi, pungi, flagella il vizio, ma rispetta religiosamente 
i veri nomi dei viziosi, che la salirà esser deve censura 
che corregga , Don libello d' infamia che esasperi. Essa poi 
richiede, come ogni componimento, la unita di concetto, 
uon sì però che 'non ami eziandio d'essere abbellita H'ac- 
conco digressioni, di storielle e d'apologhi, come riscon- 
triamo in Orazio, nell'Ariosto e uel Gozzi. Desidera rzìan- 

M) Ivi. - II sospiro dell'anima. 
i2j Fifa di Giù. Parini, Ed. cit. 



350 DELL ti ISTITDZrOMI ELEUEN1AB1 

dìo d'andare adorna di vive dipinture di caratteri con 
franco pennello disegnati, e ammette sentenze morali, o 
spezialmente proverbj e modi popolareschi , e vuol esser 
condita di tratti comici, di pungenti arguzie e di festiva 
urbanità, abborrente poi da ogni buffonesca scurrilità; e 
soprattutto dalla nuda oscenità del disonesto costume , e 
dalle bestemmie della irreligione. 

17. Quanto allo stile della satira, e' può esser nobile, 
severo, facile o gajo, secondo la natura che di quella li 
eleggerai; sempre però breve, chè in ciò sta meglio ri- 
posta la efficacia della satira, il cui spirito nelle lungag- 
gini svapora. Sia proprietà e grazia nella lingua , cui ren- 
derà più vivace ed espressiva il giudizioso innesto di voci 
e d' idiotismi tolti di mezzo al volgo: e quale che sia il me- 
tro a cui ti appiglierai , procedi dimesso, tranne la satira 
giovenalesca o pariniana ; potrai talora però sollevarti , co- 
me fanno Orazio e il Giusti. Ti siano poi duci e maestri il 
sommo Alighieri e i grandi satirici, do'quali abbiamo discor- 
so, e principalmente un santo disdegno contro del vizio. 

§. 3. Dell' Epigramma. 

18. Quantunque in origine YEpigramma non fosse, co- 
me suona il vocabolo, che un'Epigrafe o Iscrizione poeti- 
ca, composta per ricordare cosa, persona o fatto notevole, 
ovvero un breve componimento per rendere più vivo e du- 
revole, quanto più solo, un concetto, tuttavia essendo <i 
poco a poco divenuto soprammodo acre o pungente, può 
reputarsi, come appunto lo definisce il Ranalli uno ristretta 
essenza della satira (I), e tanto più veemente, quanto dì 
questa più breve ; laonde ornai tiene suo luogo proprio tra 
i componimenti sattrici , avendo le auliche sue ragioni ce- 
duto all' Epitaffio e al Madrigale. 

19. L'Epigramma pertanto è di due generi , siccome la 
satira, uno tutto fiele ed aculei, l'altro tutto brio, delizie 
e amenità; a questo presiede la musa di Catullo e d'Ora- 



li) Ammansir., Llb. IV, C. Ili , g. m. 



DI RETTORICA 351 

zio, a quello la musa di Giovenale e di Marziale. Il suo 
pregio migliore riponesi per l'uno e per l'altro genere nella 
brevità e nell'argutezza del concetto ; chè ove non sia lutto 
pepe e sale, o non scherzi con comica gajezza ed urbana 
festività, riesce insipido e freddo; ove poi vada per le lun- 
ghe, illanguidisce e casca (1). Inoltre il concetto dell' Epi- 
gramma vuol essere spontaneo, acuto, non puerile o me- 
lenso, espresso spiccatamente, senz'ombra di ricercatezza 
ed in leggiadro e facile modo. E qui nota il Niccolini che 
sebbene non v'abbia uomo per « mediocre ch'ei sia , il quale 
a non possa, facendo tesoro di un detto faceto , o d'un su- 
« blime pensiero, e chiudendolo in pochi versi, comporre 
« un epigramma , tuttavia scriverne molli con elegante bro- 
li vita di stile accomodato all'argomento, è opera di non 
o piccolo ingegno (2) ». Ne avrai esempi piacevoli e graziosi 
nell'Antologia greca , nell'elegantissimo Catullo, alcuni in 
Marziale presso gli antichi ; Ira'nostri lodansi quelli dell'Ala- 
manni, del Rolli, del Cerrelti, del D'Elei, per tacere di 
quelli cui musa troppo licenziosa ispirava. 

20. Ecco ad esempio alcuni epigrammi di natura diversa. 
Il primo è del Buonarroti , celebrato per l'altezza di generoso 
concetto. 

a Mi è grato il sonno, e più Tesser di sasso, 
« Infin che il danno e la vergogna dura : 
« Non udir, non veder m'è gran ventura; 
« Però non mi destar: deb! parla basso ». 

Il secondo è del Pananti, ed è saporito. 

a Va un medico in carrozza, e l'altro a piedi. 
« Pagan questo i malati, e quel gli eredi u. 

(1; ■ Versiculos epigramma duos sibi postulai. Addis 
« Hoc allquid? Carmen, non epigramma facis *. 

AnloUigla, Lib. I, 44. 
(2) Delta vita 0 dille optre d'Angiolo D EM , Memoria di G. IUtish 
Niccoli»] , Fir. , 1827 per Piatii. 



352 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Il terzo è del D' Elei , ed è argutamente grazioso. 

« Se è ver che la bella prendesse Apelle, 
a Per farne una, da tolte, o Argia, le beile; 

a Or a lui, per far donna appien deforme, 
a Sariao bastanti, o Argia, sol le lue forme «. 

Quest'altro dello stesso è pieno di brio , nè è meno 
pungente. 

« Invan consumi , - Vana fanciulla , 
i Tanti profumi : - Non sai di nulla >. 

Art. III. - Del Sermone c dell' E piatola. 

ti. Talvolta il poeta affibbiatasi la giornea d'Aristotele, 
di Quintiliano , o di Vitruvio , imprende a dettare intorno 
a scienze, lettere ed arti, brevi componimenti a mo'di 
trattateli!, cui egli intitola Sermoni , ad unico fine di vie- 
meglio trasfondere colla magia del verso nelle menti altrui 
la sostanza ed il fiore della propostasi materia. Tali sono i 
sermoni del Costa e del Missirini. Ove però il poeta vi di- 
scorra della morale filosofia e del viver civile, e si apra 
con bel garbo la via a dipingere le debolezze e i difetti 
degli uomini , non senza spruzzarvi sopra buona dose di 
sale ridendo, i sermoni appartengono al genere della Sa- 
tira , com' è di quelli di Orazio e del Gozzi ; se poi sono di- 
retti o intitolati ad alcuno chiamansi Epistole. 

22. Pei sermoni semplicemente didascalici valgono le 
stesse regole dettate per il poema di questo genere, salvo 
che si serbino le proporzioni delle parti , quali a breve 
componimento convengonsi; inoltre non solo vi sì richiede 
squisitezza di massime e di precetti , ma ancora somma 
chiarezza e precisione congiunte ad eleganti forme d'eletta 
poesia, chè il neo nel grande impicciolisce , ed è converso. 
Quanto a quei satirici, ci sembra avere assai detto qui 
sopra. Resta a dire un colai poco dei sermoni che vanno 
sotto il nome di Epistole. 



DI nETTORICA 353 
23. Queslo componimento poetico non e che una lotterà 
in versi , quindi ama di mostrarsi in aria semplice c fami- 
liare. S'adatta , è vero , ad ogni argomento morale , filoso- 
fico, letterario ec, come riscontrasi in Orazio, e qui richiede 
rettitudine di giudizio , franchezza di stile e precisione di 
forme ; ma gli è forse più grato piacevoleggiare inlorno a cose 
più tenui , e inlertenersi cogli amici scherzando con amabile 
urbanità, e lepidezza , e contando loro dilettevoli tose rifio- 
rite ora di brevi novellette, ora di savie o argute sentenze. 
Vuol essere l'Epistola adorna altresì d'un abito polito o da 
festa, ma schietto senza tanti ciondoli e frastagli, come 
per avventura ti parranno quelle della scuola frugoniana. 
Anche nel verso che ordinariamente è lo sciolto, e qualche 
volta anche la terza rima , richiede quell'aurea facilita e 
naturale sprezzalura che dai Latini appellavasi appunto 
musa pedeslris. Ne sono esempio nobilissimo le Epistole 
d'Orazio, e quelle veramente oraziane del Gozzi, per ta- 
cermi di quelle del Torli . del Pindemonte e di altri ele- 
ganti scrittori. 

«ni- IV. - Dell» HOTclla c della Favata. 

24. La corona della poesia didascalica vagamente sì 
adorna di due leggiadri fioretti , quali sono la Novella e la 
Favola. Quale he sia la natura , quali le leggi fu largamente 
chiarito nella Parie II dei componimenti in prosa, ove al 
Gap. I, §. 1 , parlammo della Favola, ed al <Jap. Il, §.6, 
ove trattasi della Novella ; e a ciò che ivi fu dello richia- 
misi l'attenzione, bastando aggiunger qui poche cose in- 
torno alla forma , che poco per la sostanza rileva , se favole 
e novelle si dettino in prosa o in verso. 

25. Ma poiché proprio della poesia è di tulio render 
piii gradevole col suo linguaggio ornato e soave, non è a 
dirsi quanlo sene possano avvantaggiare il novelliere e il 
favolista ; e se anche la novella poetica è slata spesse volte 
finquì adoperala a sconcezze, sia interamente rivolta a 
morale ammaeslramenlo , e riuscirà profittevole quanlo 
gradila. A ciò conseguire pifct facilmente , eleggasi prima di 



35Ì DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

tutto il subbietto vero o fantastico, che attragga per novità , 
per avvenimenti slraordinarj, affettuosi , liiìii o tristi, verisi- 
mili sempre; si accresca l'attrattiva con bello ed ingegnoso 
intreccio e col tenere gli animi dolcemente sospesi ; si desti 
con fine inaspettato la pietà, o la maraviglia, e in ultimo 
se ne tragga opportuna e morale semenza. Arroga a ciò 
splendidezza d'immagini, vaghezza di descrizioni , verità di 
caratteri e d'affetti , leggiadria di colorilo , facilità di siile 
e d'espressione limpida e pura , e soprattutto brevità. È vano 
il dire che il verso , e può ben convenire la terza rima , 
la sestina o lo sciolto , vuol essere scorrevole ed armonioso. 
Cosi la novella poetica ritornerà in vera onoranza , a gloria 
sua e di chi a onesto fine dirigevate. 

26. Anche la Favola, come testé accennava, può con 
suo mollo vantaggio adornarsi di veste poetica, si veramente 
che sia semplice e schietta, qual si conviene a fan Giulietta 
del popolo. Ama principalmente d'esser breve, e si adatta 
ad ogni metro, benché si mostra un cotal poco schifiltosa 
del verso sciolto, molto più poi dell'ottava, che per l'aria 
alquanto grave non sembra che le si confaccia gran fatto. 
Di favole poetiche l' Italia ne possiede in buon dato, e vanno 
per la maggiore quelle del Roberti , del Pignoni , del Ber- 
tòla, e le notissime di Luigi Fiacchi meglio conosciuto 
sotto il nome di Clasio, benché tutte pia o meno facciano 
desiderare una più naturale eleganza. 

27. Noterò per ultimo che l'Apologo fu innalzato alla 
dignilà di poema dall' Ab. Giovan Battista Casti co'suoi Ani- 
mali Parlanti, dove in XX Canti descrive assai bellamente, 
se non elegantemente, l'indole e i costumi di diverse be- 
stie , facendo sotto il velo allegorico della favola una satira 
mordacissima delle corti principesche. Il poema è ingegnoso 
e vivace, forse un po'lungo. 



Lì BETT0B1CA 



355 



Capitolo. V. - Della Poesia Giocosa. 

1. Se i vnrj generi dì poesia Cinqui discorsi mirano al 
nobile intendimento di educare ad ogni religiosa c civile 
virtù gli uomini, a v vene un altro che si propone unica- 
mente di sollevarli dalle noje della vita, eccitandoli piace- 
volmente al riso; e questa è la Poesia Giocosa. Della quale 
ora vogliamo trattare specialmente, passandoci di leggieri 
di quel burlesco di che condiva i suoi mimi il siracusano 
Sofrone che gl' inventava (1), dello scherzevole poemetto 
della Batracomiomachia , del ridicolo della commedia , del 
faceto della satira ed epistola oraziana , siccome cose di 
natura alquanto diversa dalla Poesia Giocosa , com'oggi co- 
munemente s'intende. 

2. I Fiorentini, popolo u cui la fama db meritamente il 
vanto di spiritosa gajelà e piacevolezza, ritrovarono pei 
primi la poesia detta propriamente giocosa , della quale ab- 
biamo un elegante riscontro nei canti carnascialeschi di 
Lorenzo de' Medici , onde si accompagnavano le magnifiche 
e briose mascherate di che in quel secolo s'allietava Firen- 
ze (2). In questo nuovo genere di poesia tra gli altri fioren- 
tini si distinsero Anton Francesco Grazzini detto il Lasca, 
e Gio. Battista Gelli. Quegli però che meglio l'adornava di 
squisita amenità e di lepore fu Francesco Berni da Bib- 
biena, onde dal nome di lui fu ancora chiamata Bernesca. 
I Capitoli e i Sonetti di questo capriccioso poeta risplendono 
di piacevoli fantasie , di facilità e di brio, mentre olezzano 
di tutta la grazia ed urbanità del sermon fiorentino ; e ben- 
ché per la loro naturalezza sembrino dettati cosi alla car- 
lona , tuttavia da'suoi manoscritti rilevasi quanto gli costa- 
vano; tante sono le correzioni anche d'un solo medesimo 
verso (3). Amico ed imitatore valoroso del Berni fu Gio- 
ii) Tirab. Stor. della Lettor. T. [, P. II, C. II, g. XIV. 

Bt H. T. VI, P. Ili, L. Iti, C. Ili, g. VI. 
(3J U., T. VII, P. V, C. HI, §. 26. 



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356 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

vanni Mauro d'Arcano, e dappoi piti o meno felicemente 
ne seguirono la scuola il Molila, il Casa, il Firenzuola ed 
altri molli, Ira'quali va distinto Cesare Caporali per la sua 
lepidissima vita di Mecenate , e più tardi Gio. Batista Fa- 
giuoli per le sue Rime piacevoli , cui però il Baretti chiama 
insulsamente facili (1 ). Fra i moderni piacemi di ricordare a 
titolo d'onore l'amenissimo Gu ad agnoli , le cui poesie giocose 
spirano gioconda festività non senza il pregio di Qne argu- 
zie e di sali. 

3. La poesia bernesca che a prima vista sembra cosa da 
tutti, è in sè slessa difficilissima , e da trattarsi solo da chi 
ebbe da natura sortito un umore allegro, piacevole e faceto; 
senza di che v'e rischio ebe altri purtroppo rida, ma sibbene 
della nostra sciocchezza. Fa di mestieri pertanto che gli 
scherzi, le facezie, i motti lepidi o arguti, sembri cadano 
giù da sè slessi e impensata meni e ; che sgorghino come da 
vena d'una ridente fantasia, immagini capricciose e bizzarre: 
ebe da per lutto traspaja la facilità del sentimento e della 
parola; perocché fondandosi il riso unicamente su cose pia- 
cevoli, questo muore sul labbro, se da'luoi versi trapela 
che per far ridere sudasti; idea che ridesta disgustosa sen- 
sazione. E qui mi giova riferire queste savissime parole del- 
l'acuto Baretti: « Per far ridere le genti colte d'un ragio- 
cc nevole riso bisogna avere una padronanza assolulissima 
et di lingua, e saperne ogni parola e ogni frase tanto nobile 
« e seria , quanto burlesca e plebea, per poter vestire in 
<t modo nuovo e bizzarro, e tuttavia sempre naturalissimo, 
« tutli i nostri pensieri (2) ». 

4. Comecché i fonti artificiali del ridicolo riescano vanì 
al pari degli altri, ove manchi la vena naturale, tuttavia 
dai retori se ne assegnano parecchi (3), tra' quali 1." La 
dipintura delle stranezze e coutradizioni umnne, chè il riso 
facilmente si desta per l'accoppiamento di cose tra loro di- 
sconvenienti , come vecchio barbogio che vuol far lo zer- 



di Frutta Leti. T. I, p. 295. 
[«, li. T. il, p. S57. 

(3) V. Mostikahi, Agg. al Blair, P. Ili, C. 14. 



DI RETTO RICA 357 

bino, Tersilo che tuttoché tremi, vuole apparire Achille, e 
simili. 2." L'equivoco , onde nasce una mala intelligenza , 
come in una scena dellM»aro eli Molière , dove Valerio parla 
della figliuola d'Arpagone , e questi crede che parli sempre 
della cassetta involatagli ; il qual ridicolo non è raro nei 
comici, che quando è alquanto continuato, muove proprio 
a riso. Aggiungi altresì quei giuochi di parole che diconsi 
alliterazioni , purché non frequenti, acciocché non ingene- 
rino sazietà. Tale sarebbe' quello di chi dicesse: traditore 
per traduttore, ovvero : « E cadde come porco morto cade o 
ed altri siffatti. 3." Certe azioni che producono l'effetto con- 
trario a quello che uno proponesi, come chi corca di scusarsi 
e più si accusa, di placare l'altrui collera e piii l' irrita, di 
acquistare l'altrui e perde il proprio, come il cane della 
favola; e parimente certi inganni orditi contro chi vantasi 
accorto, e che quando meno vi pensa, pur vi casca; e 
meglio ancora se dà nella rete lo stesso che la tendeva; 
dei quali tranelli n'hai bellissimi esempj appo Terenzio 
nell'Andria tra il servo Davo e il vecchio Simone. 4." Il 
dare grande importanza a piccole cose , come il Tassoni 
nella Secchia rapita; o il cominciare da cose gravi e con 
islile magnifico per terminare in cose da nulla , come il 
Berni che in quel suo sonetto gravemente comincia: 

« Dal più profondo tenebroso centro, 
« Ove Dante ha locato i Bruti e i Cassi 

per concludere: 

« Fa , Florimonte mio , nascere i sassi 
« La mula vostra per urtarci dentro a ; 

ovvero l'accoppiare cose nobili e vili , o leggiadre e deformi 
tutte in un sol fascio, con serietà e seguitatamele, come 
il Tassoni che descrivendo la primavera, termina : 

« E s'udivan gli augelli al primo albore, 
a E gli asini cantar versi d'amore ». 



Di ].Ii:l'"J 



358 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

b.° Finalmente cede ironie velale sotlo ingegnose metafore 
che sono veri biasimi, benché sembrino lodi ; come adopera 
il Berni in quel sonetto, dove ungendo di lodar la sua donna, 
fra le altre cose dice : 

« Chiome d'argento fino irle ed attorte 

« Senz'arte intorno ad un bel viso d'oro 

a Labbra di latte, bocca ampia celeste, 
« Denti d'ebano rari e pellegrini..., 
a Son le bellezze della donna mia ». 

Ed ecco che te la dipinge canuta, ni Sbuffata, grinza, goffa, 
sparuta, sgrignata, bavosa, e che so io. 

5. Avvegnaché natura propria della poesia giocosa sia 
la giocondità e il buon umore , non per questo in mezzo 
alle arguzie, ai motti, agli scherzi, alle iperboli, ad ogni 
maniera piacevolezze, non deve, quando ne capili il destro, 
dimenticare eziandio l'utile, e spargere in mezzo al riso, 
quasi non parendo , qualche buona sentenza, qualche savio 
consiglio , qualche pratica verità ; imperciocché ripeterò col 
Venosino : 

« Ridentem dicere verum 

« Quid vctat?. » 

( Sat., 1, L. 1). 

Il decoro dell'arte vieta però di scambiare il giocoso col 
buffonesco e collo scurrile, e peggio altresì coll'osceno e col 
licenzioso, chè, giova ripeterlo , troppo male si ride a spese 
del buon costume; al che non sempre posero mente i poeti 
berneschi del cinquecento, ed alcuni d'età più moderna che 
per lo migliore mi taccio. 

6. La poesia giocosa tratta i suoi subbietli, che debbono 
essere d'ordinario lepidi o strani, piacevoli sempre, ora in 
poemetti in ottava rima, o meglio in sestine, com'usa il 
Guadagno!!, ora in capitoli in terza rima, o in sonetti cau- 
dati, come fecero i piii de' cinquecentisti, ora in sonetti 
regolari, ora in componimenti anacreontici in versi ottonarj 
o quinarj, come spesso riscontrasi nelle poesie dello stesso 



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DI RETTO RIC A 359 

Guadagno!!. Molto libera è l'orditura di siffatti componi- 
memi, dipendendo dall'estro bizzarro del poeta, come può 
rilevarsi dagli esempj lasciatici dai migliori. Conviene però 
che si serbi un cert'ordine, e che non si vada troppo per 
le lunghe, perocché oltre esser difficile mantenere per non 
breve tratto viva ed attraente la burla , non è bello l'in- 
tertenere di troppo con baje gente eulta ed assennala; 
quindi v'ha rischio che sottentri al riso la noja. Richiedesi 
finalmente stilo facile e gajo con elocuzione pura ed ele- 
gante, avvivata da modi popolareschi, da proverbj, da idio- 
1Ìsmi e da tutle le antiche grazie del parlare festevole. 11 
verso vuol essere d'armonia dimessa e svariata, e di tale 
scorrevolezza e spontaneità di rime, che sembri debba a 
tutti esser agevole il poetare in quel modo; niuno però l'osi, 
niji auspice Thalia. 

7. Mezzo molto ben acconcio ad aggiungere un certo 
ridicolo grazioso e talvolta anco mordace, è la Parodia, la 
quale consiste nel valersi de'versi o componimenti altrui , 
di serj rendendoli burleschi. Nel quale scherzevole plagio è 
da guardarsi però che non si usurpino versi o componimenti 
sacri e per ogni altro titolo venerandi; del che a buon dritto 
si riprende tra i latini il Centone Nuziale d'Ausonio, il 
quale coi versi del castissimo Virgilio vi descrive cose onde 
le vergini muse esser vorrebbon sorde; imperciocché con 
abusi siffatti anzi che il riso si eccita facilmente lo sdegno, 
apparendoci piuttosto una irreverente profanazione. Per la 
qual cosa evvi a cui non va pienamente a sangue la Eneide 
travestila del Lalli, comecché sia giudicala esempio di spon- 
taneità piuttosto unico che raro, e per la piacevolezza degli 
scherzi e per la facilita del verso e per la naturalezza delle 
ottave; e quantunque egli slesso vi s'inducesse , affinchè, 
sono sue parole, traducendo il gran poema in dilettevole stile 
giocoso, il gusto ne fosse più universale (1). a Ma checché sia 
di ciò , noi ci staremo contenli ad un esempio ingegnoso ed 
arguto di parodia, che credesi fatta dal Carrer sul celebre 



H) V. Opere varie di G. B. Lalli- 



360 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Cinque Maggio del Manzoni , per la morte della famosa can- 
tante Malibran: 

. Il Trenta Settembre. 

•r La fu; siccome tacita, 

« Il suono ultimo dato , 

(i Stette la gola armonica 

■ Orba di tanto fiato ; 

i Così balorda, stupida 

a La terra al nunzio stà , 
« Pensando al trillo magico 

i Che un zero piti non vaie ; 

a Nè sa quando una simile 

a Pedala a questa eguale 

" La tealral sua polvere 

« A calpestar verrà ec. 

E cosi di seguilo sino alla fine. 

8. Vorrei per onor dell'arte passarmi di certe specie di 
poesia giocosa, che mi sembrano merifevoli ornai di riporsi 
tra le cose viele e slanlie, quali sono i versi Burchielleschi, 
Fidenziàni, Maccheronici e simili inezie; ma perche udendone 
il nome, sappiano i giovani che cosa mai furono , ne dirò sol 
quanlo basia. E incominciando dalla poesia Burchiellesca 
così delta dal Burchiello, barbiere fiorentino, dirò null'altro 
essere che un gergo in rima , zeppo di riboboli e di modi 
plebei (siano pure giojelli di lingua), donde se cavi costrutto, 
eri* mihi magnus Apollo; di forma che come non fu mai 
intesa, cosi non fu imitata , nè è imitabile. Eccovene un 
brandellino, ed è de' più gustosi: 

a Vedendo questo messer ciambellotto 
« Stillar si fece trespoli e predelle; 
« E fece racconciar molte frittelle, 
« Per acquistar la torre di Nembrolto » (1). 



(1) Sonsllo di Giov. Burchiello. 



DI BETT0B1CA 361 

9. La Fidcnziana o Pedantesca che voglia dirsi, e un 
affettato miscuglio di parole italiane e di ridicoli latinismi, 
e dicesi la inventasse il conte Cammillo Scrofa vicentino 
circa la metà del secolo XVI , sotto il nome di Fìdenzio 
Glottocrisio Ludimagistro , per porre in beffa la pecoraggine 
di quei pedanti che con gran prosopopea ti sciorinano ad 
ogni tratto una rancida erudizione grammaticale lardellata 
di latino. Se tale fu il fine del conte, benedicalo Iddio. - Ma 
ecco alcuni terzetti d'uno de'suoi cantici, ove maestro Fiden- 
zio racconta un suo viaggio. 

a Audace ascesi un equo conductitìo. 

« Pendea dai lati la mia toga labile 
a Ed io vibrando il magislral mio baculo 
n Equitava con gaudio incomparabile. 

« Indi trahendo il mio Mar od dal saculo, 
i Passai quel giorno onestamente il tedio, 
« Ne cosa al mio piacer mi fece obstaculo. 

« 0 quanto fu diverso il fine e il medio 
<t Dal bel principio ! o gaudio transitorio ! 
« 0 duol più longo del Trojano assedio ! 

- Cedea già Febo al bel lume sororio , 
« Quand'io per l'aer noxio de'crepusculi 
« Giunsi defesso a un empio diversorio. 

« Il caupone con alti blandiusculi 
a Prese la stapia, et m'ajutò a descendere, 
« Coprendo fel con melliti verbusculi ». 

10. La Hfacckeronica, inventata da Teofilo Folengo sotto 
il nome di Merlin Coccajo , il quale , come dice il Gravina, 
volle piuttosto esser solo in una poesia giocosa, che secondo 
nel serio , come quegli che era riccamente fornito di dot- 
trina, d' invenzione e di fantasia, è il contrapposto della 
Fidenziana, poiché siccome questa inserisce parole latine 
nella composizione italiana, cosi quella dà forma latina alle 
italiane che frammette alle latine, adattandole tutte egual- 
mente alle leggi metriche del Lazio. Vedine un esempio 
ne'seguenti esametri : . 



362 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

« Tunc de calcagnis suspirum grande cavavit 
« Tognazzus dicens: cordojurn , Berta, dedisti. 
o Quarn pulcros oculos habuit sua testa ficatos, 
« Alter gazolus, niger alter, sguerzus uterque ». 



Capitolo VI. - Del Sonetto. 

1. Il Sonetto, come fu già da altri notalo, e dipoi con 
csempj largamente chiarito dal Montanari (1), può a tutti i 
generi di poesia appartenere, dalla lirica più sublime scen- 
dendo fino all'ultimo gradino della giocosa. Ed ecco perchè 
mi sembrò conveniente tenerne discorso qui e non altrove. 

2- Dai Provenzali originò la voce Sonetto ( Sonnet), quasi 
vezzeggiativo di suono, e su! primo valse per essi la into- 
nata del canto ; dipoi con tal nome appellaronsi le loro ariette 
e brevi canzoni, come noi diciamo Canzonette (2). Si sa come 
i primi poeti nostri ormeggiarono quelli, togliendone collo 
spirito altresì le forme, ed alle loro Consoni, Ballate e Ser- 
ventesi diedero essi pure il nome di Sonetti in senso generico, 
come Dante medesimo usò nella Vita Nuova (3), quantunque 
già da qualche tempo cotal voce fosse slata in Italia ristretta 
a significare soliamo un certo breve componimento di genere 
affatto ignoto ai Trovatori Provenzali. Il Sonetto adunque è 
invenzione tutta italiana, sebbene tale non ne sia il nome, 
e secondochè osserva l'Affò e con esso il Galvani , se ne attri- 
buisce il pregio a Lodovico della Vernaccia , che sin dal 1 200 J 
compose il Sonetto al modo nostro; senza di che quel Pier 
delle Vigne si celeralo da Dante (Inf. , C. XIII), gliene con- 
ili Aggiunta al Blair, P. Ili , C. V. 
[2j Galvani, Osservazioni sulla Poesia OS Trovatori , C. IX. 

(3j e allora dissi questo Sonetto: 

■ 0 voi che per la via d'amor passale , 
. . « Atleodele e guardate ec. *. 

ed è tra le sue poesìe aniurose la Ballata I. 



DI HETT0R1CA 363 
basterebbe l'invenzione (1). Poco appresso Guido Guinicelli, 
padre e maestro di quanti migliori 

« Rime d'amor usàr dolci e leegiadre », 

iPurg.. C. XXVI], 

e Guitton d'Arezzo s'adoperarono in dare al sonetto una mag- 
gior grazia ed ornatezza, finché l'Alighieri e il Petrarca lo 
condussero a perfezione. Cotesti primi poeti però non detta- 
rono che Sonetti d'amore, non sapendo, come ben nota il 
Vannucci , a motivo del dominante spirito cavalleresco cele- 
brare altro che la donna de'loro pensieri, nè vedendo al 
mondo cosa più degna d'esser cantata. Al leggiadro Poeta 
della bella Avignonese tennero dietro anche troppi ; ma tut- 
tavia vi furono dipoi que'magnanimi che richiamarono l'arte 
a più nobile scopo, come ne fan prova tra le altre poesie 
anche i Sonetti del Guidiccioni , dell'Alamanni, del Fiiicaja , 
del Chiabrera, de! Mazza, del Parini , del Foscolo e di pochi 
altri valorosi (2). 

3. Dacché il Vernaccia regalò l'Italia di questo nuovo ge- 
nere di poesia fino a'nostri di, non fuvvi, quasi non dissi, 
poeta che più o meno non dettasse Sonetti , in guisa che se 
i! numero facesse ricchezza, saremmo arciricchissimi, si quello 
è tragrande da caricarne parecchie caria , senza che appa- 
risse lo scemo. Eppure, debbo dirlo? appena se ne ricava un 
centinaio de' veramente buoni da porsi in mano per esem- 
plari ai giovinetti , e le raccolte fatte con tale intendimento 
parlan' chiaro. Donde mai ciò? è forse vero quanto ne dice 
nella sua Poetica il Boileau che Apollo inventasse il Sonetto 
per farne la disperazione dei poeti? [3] o nou piuttosto la sua 
apparente facilita lusingando i veri poeti e i poetastri fa che 
quelli non vi spendano abbastanza d'ingegno, di tempo e di 
cura, questi senza pure addarsi non esser soma per loro, di 
leggieri vi si sobbarchino? Chi è tra noi che non voglia fare 



(4) Galvam, Op. cit. 

(Sj Sior, del Smetto Italiano. Avvertenza. 

(3) Art. Poet., C. ir. 



364 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

il suo sonetlino amoroso, o almeno per predicatore , per feste 
o per occasioni altre colali? Mi pare che quadri proprio a 
capello ciò che ne dico il Costa : 

i( Va zittella a nozze ? 

« Si chiude in cella? è chi la toga indossi? 
« Sana un informo? canta Frine? balla 
« Narciso? vince palio un corridore? 
« Ecco Sonetti , ecco Sonetti a josa ». 

(Art. Post., Serra. II). 

Ora qual maraviglia se in si sterminato numero di Sonetti 
pochissimi sono gli ottimi , quando chi tali può farli , non 
sempre vuole , e chi forse vorrebbe non può ? Concludiamo : 
questo breve componimento , che del resto per la sua leggia- 
dra natura Ò il più vago giojello della poesia italiana , è di 
grandissima difficolta, potendosi rassomigliare aduna deli- 
cata miniatura in avorio , dove ogni più. picciolo neo dà facil- 
mente negli occhi. 

4. E cagione non ultima della rarità di Sonetti senza 
mende , è stala per avventura la non vera idea che per lun- 
ghissimo tempo si ebbe della natura del Sonetto. V'era chi 
credendo non diverso dall'epigramma greco e latino; chi de- 
finivalo un picciol poema che in sò riunisse la nobiltà del- 
l'ode , l'acutezza dell'epigramma , l'aura delicata ed elegante 
del madrigale (1); i primi, e forse erano i più, volevano 
nella chiusa sentenze, o concetti spiritosi, o altro di appa- 
riscente; gli altri confondendo i varj generi, ne resero im- 
possibile la perfezione; imperocché quasi la forma fosse 
tutto, non si pose mente alla sostanza ; quindi qual che si 
fosse il subbietto, gli si davano le tinte e le movenze me- 
desime. Ora potendo il Sonetto sotto la sua forma compren- 
dere tutti i generi di poesia eziandio nello loro specie , sic- 
come quello col quale può trattarsi la lirica dall'inno a Dio, 
fino allo scherzo anacreontico; che ora s'innalza alla maestà 
epica, ora alla fierezza tragica, ora alla gravità didascalica; 



(1) MoriTAN., loc. cit. 



DI RETTOIUCA 365 

che volentieri esprime il sospiro dell'amore , il pianto della 
elegia, l'acrimonia della satira , la festività della commedia; 
che si piace di dipingere i sublimi furori della folgore, del 
vulcano e dell'oceano del pari che le grazie ridenti dell'ame- 
na natura, e la maestosa melanconia dei silenzio della notte 
c dei sepolcri , si fa manifesto richiedere andamento e co- 
lore convenienfe alla natura del suo subbie Ito. Per le quali 
cose io credo che se scemeranno in numero i Sonetti, cre- 
sceranno in perfezione, quando avuto riguardo alla difficolta 
del componimento, vi si spenda attorno quanta riehiedesi 
cura e diligenza ; studiata la natura del tema , debitamente 
si svolga e si colorisca colle tinte sue proprie ; soprattutto 
poi quando sentasi in noi ingegno veramente poetico , senza 
di che pongasi giù bonariamente il ticchio di soneltare , ri- 
cordando il salutevole avviso che dice: 

« In questo di Procuste orrido letto 

o Chi ti sforza a giacer? forse in rovina 

o Andrà '1 Parnaso senza il tuo sonetto? « (1), 

5. Dovendosi pertanto regolare il Sonetto secondo le 
norme prescritte a quella specie a cui esso appartiene, fa'che 
l'affetto, le immagini, lostilee le frasi consuonino fra loro 
in bella armonia ; tutto questo sia lirico nel sonetto lìri- 
co, sia epico nell'epico, scherzevole nel giocoso. Ricordali 
che il Tasso il quale sen intendeva, lasciò scritto nella sua 
poetica: ogni genere di poesia essere cosi geloso della 
elocuzione sua propria da non cederla ad alcun altro , uè 
volerne da altri prestanza (2j; precetto che vale eziandio per 
gli affetti, per le immagini, per tutta quanta la condotta 
del componimento. Il principio deve armonizzare col mez- 
zo , e questo col fine. Se muovi liricamente, e cosi conti- 
nua e termina, se non vuoi cader nel difetto che il Foscolo 
notava ne! celebre Sonetto del Minzoni: 

a Quando Gesù coll'ultimo lamento » 

Hi Meseihi, Art. Poe!., L. IV. 
(2) Moni. Op. cit. 



366 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI . 

dove il poela comincia descrivendo, e termina narrando. 
È cosa pure sconvenevole intrecciare insieme tra loro affetti 
ed immagini epiche, drammatiche e va'discorrendo, nè 6 
meno riprensibile l'uso di frasi e di metafore che non si 
accordano col resto, come appunto vien censurato (i) nel 
notissimo Sonetto del Filicaja all'Italia il concello e più la 
frase: chi del tuo belìo arai Par che si strugga ec, perchè 
dall'eroico qui si scende all'arcadico sdolcinato. 

6. Come in ogni altro componimento, fa di mestieri 
sia nel Sonetto unitb di concetto che tutto lo comprenda 
e Io informi ; ed ove racchiuda in sè un epigramma o una 
sentenza morale , gioverà che nella chiusa comparisca in 
tutta la sua argutezza, forza e gravità: a rincontro poi 
se nasce dal cuore o dalla fantasia , riuscirà per avven- 
tura più gradito, se chiude ne! tono onde incominciò, 
ben poco curandosi di eccitare la sorpresa o la mara- 
viglia , purché diletti e commuova. Tal era il gran se- 
greto dell'arte degli antichi, nei quali ciò che appunto ne 
sorprende è la semplicità. Leggi , e facilmente le ne con- 
vincerai, tra gli altri il Sonetto di Dante: 

n Tanto gentile e tanto onesta pare ec. » 

e questi del Petrarca 

« Gli angeli eletti e l'anime beate ec. 

a Nè mai pietosa madre al caro figlio ec. 

« Ripensando a quel ch'oggi il cielo onora ce. 

« Levommi il mio pensiero in parte ov'era ec. 

ed altri, chè parecchi ve ne ha di simile stampa; da per 
tutto sentirai la delicatezza dell'affetto , la venustà delle 
immagini e la grazia d'una cara armonia che da capo a 
fondo li governa. La nausea che la fredda imitazione 
dei tanti petrarchisti ingenerò, persuase gl'ingegni di mi- 
ti) Montanari, Op. eit. 



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DI RKTTOMCA 



367 



glior levatura a tenere altra via , e nacque per il Casa e 
per il Giudiccioni il Sonetto concettoso; poc'appresso Ga- 
leazzo di Tarsia ed Angiolo Costanzo l'accostarono maggior- 
mente alla forma epigrammatica; per il Tasso assunse 
gravità epica ; per il Frugoni si elevò alla nobiltà eroica , 
e dal Cassiani s'ebbe carattere descrittivo , pittoresco e 
grandioso (1). Per la qual cosa adattando queste forme di- 
verse alla diversa natura de' subbietli , e principalmente 
richiamando l'arte a'suoi principi mercè lo studio e il gran- 
d'amoro verso gli antichi nostri padri, il Sonetto tornerà 
a risplendere qual gemma di tutte leggi ad rissi ma nel bel 
monile dell'italica poesia, e farà degno il suo autore del 
ramoscel d'alloro che già per il Menzini Apollo in dono ne 
prometteva [Art. Pont. L. IV). 

7. Le leggi prescritte alla forma esteriore di questo com- 
ponimento che suol dirsi, ed è la pietra del paragone dei 
buoni poeti, sono in si bel modo e con tanto senno indicale 
dal Costa nel il Sermone della sua Poetica, che nulla la- 
sciano a desiderare; ed io penso di non poter far meglio 
che riportarle negli aurei suoi versi, raccomandando per ogni 
restante ai giovani la diligente osservazione su quanto intor- 
no a ciò praticarono i più lodati maestri del Sonetto italiano : 

v Sia in due parti diviso: abbia la prima 

« Due membra in otto versi: a quattro a quattro 

« Vi si alternin le rime: in due terzetti 

« Si chiuda il rimanente: ogni licenza 

« Sia negata al poeta: alcun negletto 

« Verso non delti: non parola alcuna 

« 0 ripetuta od aspra: in ogni parte 

« Guardi proporz'ion: faccia che il tutto 

« Facile, chiaro, armonioso e grave 

<t Splenda di tal beltà, che maraviglia 

« Desti , e di sè l'altrui memoria invogli ». 

8. Quantunque la misura regolare del Sonetto sia di 
quattordici versi endecasillabi (vi sono peraltro esempi di 

(4) Mchvakam, loc. cit. 



368 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Sonetti anacreontici in versi oltonarj e settenarj), tuttavia 
nella poesia bernesca se ne incontrano di quelli che hanno 
uno strascico di piìi terzetti , il primo verso de'qaali è set- 
tenario e fa rima col suo antecedente, gli altri due sono 
endecasillabi e rimano fra loro, e cosi di seguito ; la quale 
appendice chiamasi coda o ritornello , e il Sonetto caudato 
o lamellata. Badisi bene però che ogni terzetto aggiunto 
non sia una vana superfluità, e che arrogo veramente sale 
e brio al Sonetto; elio inoltre la coda non si allunghi di 
troppo, chè potrebbe anzi che no riuscir fastidiosa. 

9. Quasi il sonetto non avesse in sé stesso abbastanza 
di difficoltà, s'andò arzigogolando per aggi ungerveue altre 
e si trovarono i sonetti a corona e gli acrostici. Diconsi 
a corona alcuni sonetti continuali sopra un solo argomen- 
to , de'quali, come insegna il Quadrio, perchè si le rime 
come le sentenze vengon tra loro in guisa legale che un sol 
componimento ne nasce, e chiuse vengon come in figura ro- 
tonda, poiché anche l'ultimo si lega col primo , perciò corono 
volgarmente son detti, e fatti a corona. Vi si osservano poi 
le seguenti regole : \.' Che il secondo sonetto cominci dal ri- 
petere l'ultimo verso del primo, e cosi dicasi degli altri fino 
all'ultimo di tutti, il cui ultimo verso debb'essere il primo 
del primo sonetto ; 2/ Che la cadenza usala nelle terzine ri- 
petasi ne'quadernarj, ma non si che si riprenda la stessa 
parola, tranne l'ultima per necessità, dovendosi ripetere 
l'ultimo verso; 3.' Che in niuno de' sonetti della corona si 
ripetano !e rime adoperate nell'ultime di essi, salvo quella 
dell'ultimo verso per la soprallegata ragione ; 4.* Che si 
serbi si ne'quadernarj che nelle terzine inalterabile l'ordine 
delle rime tenuto nel sonetto primo. 

10. Non v'ora sul principio numero fisso pei sonetti d'una 
corona, ed una trovasene nel Petrarca di tro, una di nove 
nelle rime del Caro, ed una bellissima di dodici , composta 
già dal Tasso nelle nozze d'Alfonso d'Esle. Piacque poi agli 
Accadamici Intronali di Pisa di stabilirne il numero di quin- 
dici, il primo de'quali chiamasi magistrale, ed è tessuto di 
versi, ciascun de'quali possa far da sè solo un breve senti- 
mento capace di continuazione, e con tali rime che possano, 



DI RETTORICA 



senza ripeter le stesse parole , esser ripetute altre quattro 
volte. Ciò fatto, si tessono altri quattordici sonetti con que- 
sta regola, che il primo verso del sonetto magistrale sia il 
cominciamento del primo dei quattordici e il secondo verso 
di esso magistrale che lo chiuda; dipoi con questo s'inco- 
minci il sonetto secondo, e il terzo verso del magistrale ne 
formi parimente la chiusa; e con tal ordine si seguitino gli 
altri fino all'ultimo, che si chiuderà col primo verso di tutto 
il coronale Siccome questa specie di componimento è tutta 
legata, cosi dovrà avvolgersi intorno alle stesse cose (1). 

11. Sonetto Acrostico poi dicesi quello in cui le iniziali 
di ciascun verso unite insieme compongono o il nome della 
persona acuì è diretto, o l'argomento che vi si tratta, o 
qualche altra parola significante. In componimenti festevoli 
e da giuoco non disdirà qucst' ingegnoso ripiego ; non loderei 
però chi l'usasse sul serio, avendo per me piuttosto un'aria 
di scherzo; peggio poi chi imitasse il Boccaccio che compose 
il suo poema dell'amoroso Visione prendendo per ogni terzi- 
na una lettera dei tre sonetti che precedono i capitoli nei 
quali è diviso il Poema. Queste ed altre simili ricercatezze , 
cui Marziale chiamava a buon diritto difficile* mtgas, accen- 
nano a gusto non sano; e se da un Iato apparisce ingegnoso 
il vincere tali propostesi difficoltà, dall'altro si dà sospetto 
che non sapendo raggiungere il bello , tengasi dietro al 
diffìcile, contro la natura dell'arte che è l'espressione della 
bellezza per mezzo della semplicità. 

12. Ora a conferma delle dette cose addurremo alcuni 
esempj delle specie principali del sonetto. 



« Dio che infinito in infinito movi - 

<■ Non mosso; ed increato e festi e fai; 

a Dio che 'n abisso e 'n terra e 'n ciel ti trovi: 

« E 'n te cielo, e 'n te terra, e 'n le abiss'hai; 

M) V. il Quadrio riportato anche da] Montanari al luogo cit. 

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« Dio, che mai non invecchi, e innovi mai, 
a E quei che è, quel che fu, quei che ha, provi; 
a Nè mai soggetto a tempi o vecchi o novi, 
« Te slesso contemplando, il tutto sai; 

« lueffabil virtù, splendore interno, 

« Ch'empi ed allumi il benedetto chiostro ; 
« Sol che riscaldi e infiammi e buoni e rei ; 

« Tanto più grande all'intelletto nostro, 
« Immortale, invisibile ed eterno, 
a Quanto che , non compreso, il tutto sei- ». 

Di Lodovico Palerno Napoletano. 



Venezia. 



« Costei che scalza pescatrìce un giorno 
a Per fuggir servitole, in grembo a Teti 
a Sotto povere canne ebbe soggiorno, 
a E in quest'acque trattò l'amo e le reti ; 

a Fatta poi grande a tutti i mari intorno 
a L'ali spiegò dì fulminanti abeti, 
a E far li vide a' lidi suoi ritorno 
« Di barbariche spoglie onusti e lieti. 

a Nè saggia in pace men che forte in guerra, 
« D'Astrea seguendo le santissim'arti , 
o Quinci il mar moderò, quinci la terra. 

<• Or più quella non è. Di tante glorie 

a Altro, Donna Rea! (4), non può mostrarti 

a Che i prischi fasti in logri marmi e in storie ». 

Del Card. Monico Patriarca di Venezia. 



M) Per l'ingresso in Venezia della vice-regina del Regno Lombardo- 
Veneto. 



Di ].Ii:c-"J 



DI RETTO RICA 



371 



Sonetto Epico. 

A Carlo V. 

Di sostener, qual nuovo Atlante, il mondo 
« 11 magnanimo Carlo era già stanco: 
« Vinto ho, dicea , genti non viste unquanco, 
a Corso la terra, e corso il mar profondo: 
Fatto il gran re de' Traci a me secondo; 
a Preso e domalo l'Affrica no e '1 Franco ; 
« Sopposlo al ciel l'omero destro e '1 manco, 
a Portando il peso a cui debbo esser pondo. 
Quinci al fratel rivolto, al figlio quindi: 
* Tuo l'alto imperio, dice, e tua la prisca 
« Podestà sia sovra Germania e Roma. 
E tu sostien l'ereditaria soma 
« Di tanti regni, e sia monarca agi' Indi; 
« E quel che fra voi parto, amore unisca ». 

Di Torquato Tasso. 

Sonetto Drammatico. 

La Purificazione di Maria Vergine, 

Io noi vedrò, poiché il cangiato aspetto 

b E la vita che sento venir meno 

« Mi diparte dal dolce aere sereno, 

« Nè mi riserha al sanguinoso obbietto : 

Ma tu, Donna, il vedrai questo diletto 

a Figlio che stringi vezzeggiando al seno, 

a D'onte, di strazj e d'amarezza pieno, 

« Spieiatamente lacerato il petto. 

Che fia allor, che fia, quando tal fruito 

« Còrrai dall'arbor sospirata? Oh quanto 

t Si prepara per le dolore e lutto! 

Così, largo versando amaro pianto, 

« II buon vecchio dicea. Con ciglio asciutto 

« Maria si stava ad ascoltarlo intanto ». 

Di Quirlco Bossi. 



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37S 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



Sonetto Elegiaco. 

Per morte di madonna Laura. 

n Che fai? che pensi ? che pur dietro guardi 

0 Nel tempo che tornar non punte ornai , 
« Anima sconsolata, che pur vai 

« Grugnendo legne al foco ove tu ardi? 

« Le soavi parole e i dolci sguardi , 
a Che ad un ad un descritti e dipint'hai, 
« Son levati da terra, ed è, ben sai, 
« Qui ricercarli intempestivo e tardi. 

« Deh! non rinnovellar quel che n'ancide, 
« Non seguir più pensier vago fallace, 
n Ma saldo e certo, che a buon fin ne guide. 

a Cerchiamo il ciel, se qui nulla ne piace; 

1 Che mal per noi quella bella si vide, 
« Se viva e morta ne dovea tor pace ». 

Di Francesco Petrarca. 

Nonotto Anacreontico. 

* Scioglie Eurilla dal lido. Io corro, e stolto 
" Grido all'onde : che fate? una risponde : 
« Io che la prima ho il tuo bel nume accolto, 
« Graia di si bel don bacio le sponde. 

« Dimando all'altra : Allor che il pin fu sciolto 
e Mostrò le luci al dipartir gioconde? 
e E l'altra dice : Anzi serena il volto 
« Fece tacer il vento e rider l'onde. 

« Viene un'altra e m'afferma: Or la vid'io 
« Empier dì gelosia le ninfe algose, 
« Mentre sul mare i suoi begli occhi aprio. 

o Dico a questa: E per me nulla t'impose? 
» Disse almen la crudel di dirmi, addio? 
« Passò l'onda villana, e non rispose s. 

Di Carlo Maria Maggi. 



DI BETTOHICA 



373 



«oiie* lo Allegorica. 

SuW Italia. 

Lungi vedete il torbido torrente 

« Ch'urta i ripari, e le campagne inonda, 

« E, delle stragi altrui gonfio e crescente, 

« Torce sui vostri campi i sassi e l'onda. 

E pur altri di voi sta negligente 

« Su i disarmati lidi, altri il seconda, 

« Sperando che in passar l'onda nocente 

« Qualche sterpo s'accresca alla sua sponda. 

Apprestategli pur la spiaggia amica ; 

« Tosto piena infedel fla che vi guasti 

« I nuovi acquisti, e poi la riva antica. 

Or che oppor si dovrìan saldi contrasti, 

« Accusando si sta sorte nimica: 

« Par che nel mal comune il pianger basti ». 

Di Carlo Maria Maggi. 

Sonetto Didascalico. 

La scuota d'Amore. 

Lunga è l'arie d'Amor, la vita è breve, 

« Perigliosa la prova, aspro il cimento, 

« Difficile il giudizio, e a par del vento 

« Precipitosa l'occasione e lieve. 

Siede in la scuola il fiero mastro, e greve 

« Flagello impugna al crudo uffizio intento; 

« Non per via del piacer, ma del tormento 

« Ogni discepol suo vuol che s'alleve. 

Mesce i premj al castigo, e sempre amari 

« I premj sono e tra le pene involli, 

e E tra gli stenti, e sempre scarsi e rari. 

E pur fiorita è l'empia scuola, e molti 

« Vi son già vecchi, e pur non v'è chi impari; 

« Anzi imparano tutti a farsi stolti ». 

Di Francesco Redi. 



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374 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



Monello Epistolare. 

A Tommaso Stigliani. 

a. Stigliao , quel canto, onde ad Orfeo simile 
u Puoi placar l'ombre dello sLigio regno , 
« Suona tal, che ascoltando ebro ne veguo,_ 
« Ed aggio ogn'altro e più il mio stesso a vile. 

» E se autunno risponde ai fior d'aprile, 
a Come promette il tuo felice ingegno, 
et Varcherai chiaro, ov'erse Alcide il segno, 
« Ed alle sponde dell'estrema Tile. 

a Poggia pur dall'umil vulgo diviso 

« L'aspro Elicona, a cui se' in guisa appresso, 
« Che non ti può più il calle esser preciso : 

« Ivi pende mia cetra ad un cipresso : 
« Salutala in mio nome, e dalle avviso, 
a Ch' io son dagli anni e da fortuna oppresso ». 

Di Torquato Tasso. 

Sane Ilo Pastorale. 

t'ultimo voto del Pastore. 

« Questo candido agnel che ancor dal seno 
« Materno il latte è di succhiare usato, 
e E tra i partì novelli il primo è nato, 
« A te, Nume del ciel, vittima io sveno. 

« A te, da cui questo mio campo ameno 
« E questo gregge a custodir m'è dato; 
<t Gregge che tranquillissimo e beato 
« Rende il tenor del viver mio sereno. 

a Ed ecco ei cade o moribondo giace, 
« Nè mostra già del suo destìn dolore : 
o Forse vittima tua morir gli piace. 

« Deh! tu, Signor, come innocente ei muore, 
a Così, quando sia tempo, i lumi in pace 
o Fa'che chiuda innocente anco il pastore ». 

Di Luigi Clasio. 



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DI RETTORICA 



375 



Sonetto Satirico. 

Contra Filippo da Narni. 

Questa mummia col fiato, in cui natura 

« L'arte imitò d'un uom di carta pesta, 

« Che par muover le mani e i piedi a sesta 

« Per forza d'ingegnosa architettura; 

Di Filippo da Narni è la figura, 

« Che non portò giammai scarpa nè vesta 

« Che fosser nuove, e cappel nuovo in testa; 

ir E cento mila scudi ha sull'usura. 

Vedilo col mantel spelalo e rotto 

a Ch'ei stesso di fil bianco ha ricucito, 

« È la gonnella del piovano Arlotto. 

Chi volesse saper di ch'è il vestito 

« Che già quattordici anni ei porta sotto, 

« Non troverìa del primo drappo un dito a. 



Cancheri, e beccafichi magri arrosto, 
« E mangiar carbonata senza bere: 
u Essere stracco, e non poter sedere, 
« Avere il fuoco presso e il vin discosto : 
Riscuotere a bell'agio, e pagar tosto, 
a E dare ad altri per avere a avere : 
« Essere ad una festa, e non vedere, 
a Di gennaio sudar come d'agosto: 
Avere un sassolin 'n una scarpetta, 
« Ed una pulce dentro ad una calza, 
a Che vada in giù e 'n su per is la (Tetta : 
Una mano imbrattata, ed una netta : 
« Una gamba calzata ed una scalza: 
ft Esser fatto aspettare, ed aver fretta: 

« Chi piti n'ha , più ne metta, 
« E conti tutti i dispetti e le doglie, 
a Che la maggior di tutte 6 l'aver moglie a. 

Di FraDcesco Borni. 



DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 



APPENDICE 
DELLA DIVINA COMMEDIA 



f. Se , come beo osserva il Gravina , la poesia è nell'ori- 
gin sua la scienza delle umane e divine cose, questa ve- 
rità meglio che altrove , manifesta apparisce nella Divina 
Commedia di Dante (1), la quale, siccome immensa opera 
che compone fra loro insieme ad un fine le due vite contem- 
plativa e civile in atto, è stata con profondità di senno e 
di dottrina appellata la storia dì tutta quanta l'umanità, 
e nel tempo e Dell' infinito (2). È prezzo dell'opera adunque , 
dichiarato quanto era d'uopo intorno alla poesia in generale, 
dire alcun che della poesia dantesca , secondo il lodevolis- 
sìmo esempio che prima il Montanari nelle sue aggiunte al 
Blair, dipoi più ampiamente ne' suoi ammaestramenti il 
Banalli, con gran senno ne porsero. Laonde restringendoci 
noi nei termini che alle ragioni del nostro libro convengonsi, 
esporremo per sommi capi la natura e l'eccellenza del Poema 
sacro , e la nuova e stupenda esecuzione del gigantesco 
disegno ; poche parole aggiungeremo in ultimo de'pib distinti 
imitatori del massimo Poeta. 

2. La Commedia di Dante Alighieri, alla quale eziandio 
i meno benevoli al suo autore non han saputo negare il 
titolo di divina che le aggiunsero i posteri , è l'opera più 
sublime dell'umano ingegno, vuoi per la maraviglia dell'in- 
fo Rag. Post., t. II, §. 4. 

(2) V. Discorso di FnAnceac.0 Palbbho , premesso alle itima di Conia 
AUghitHadi Giannotto Sacchetti , p. ini. Firenze, Tip. Galileiana, 4857. 



»1 RETTORICA 377 

venaione, vuoi per l'arditezza della pittura, e per la forza 
del colorilo, vuoi infine per la nobiltà e grandezza del con- 
cetto che trasparisce costante attraverso il velo sublime di 
sapientissima allegorìa. 

3. E innanzi tratto noteremo con quanti si fecero con 
lungo studio e grande amore a cercare il sublime poema, 
che questo non appartiene veramente ad alcuno de'noti 
generi di poesia, ma tutti in sè mirabilmente gli acchiude, 
di forma che ora assume lo slancio dell'ode, l'epica maestà, 
il terrore della tragedia , ora è comico , ora è didascalico , 
piii spesso poi, e quando meno lei pensi, vi senti la iraconda 
fierezza della satira vendicatrice; laonde il Foscolo esclama : 
Tale si è il vero carattere di questo lavoro ammirabile: 
dramma, sermone, satira, epopea ed inno insieme (1). Che 
se al suo autore piacque d' intitolarla a. Commedia, e' fu, 
« com'egli stesso diceva , perchè è scritta in umile modo , 
« e per aver usato il parlar volgare, in cui comunicano i 
a loro sensi anche le donnicciuole ». 

4. Semplice e regolare, quanto maravigliosa , n'è l'or- 
ditura. Smarritosi il poeta in una selva , ed impedito da 
tre fiere dì salire al simbolico monte della gloria, s'incon- 
tra in Virgilio (2) che riconfortatolo lo invita al viaggio de'tre 
regni eterni , manifestandogli tale essere il decreto di Dio. 
Fatto da ciò animoso il poeta entra guidato dallo stesso 

(1) Dante Alighieri e il suo Secolo. 

[2) Qui ho credulo dovermi attenere alla esposizione comune ; gio- 
vami però accennare come se ne scosti il Palermo, il quale sollevando 
alquanto più il velo allegorico , scorge nel Poema, sacro un sistema pro- 
fondissimo di sapienza sublimemente cristiana. Nell'opera citala, a 
p. list, e segg. in sostanza et dice: ■ La doltrina dell'Alighieri, in 
« profonda altezza intellettuale. rUp'ende ciò nondimeno con l'apparen- 

■ za, la quale è tulta una luce di poesia, reflessa nel personaggio alle- 

■ goricn di Virgilio che si appalesa a Dante, simbolo della umanità, 
« alla quale impedita nel suo cammino, e respinta a morte, impro- 
« mette il racquislo della propria altezza e beatitudine non in naturai 

■ modo, ma sovrumano per opera di Beatrice, simbolo della Divina 
' Sapienza bea liticante, mercè della quale rigenerala, ritornerebbe 

n Rinnovellala di novella fronda ». 



378 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Virgilio, che qui simboleggia la sapienza umana, nel regno 
della moria gente, e passando di cerchio io cerchio ove 
incontra fra diverse pene peccatori diversi , discende al 
fonilo ov'è sommerso Lucifero, per i velli del quale salendo 
passa il centro della terra e riesce all'altro emisfero. Qui 
egli immagina il monte del Purgatorio distinlo parimente 
in varj gironi, nei quali diverse anime in diverse guise 
penano per farsi belle e salire a Dio. In cima al monte 
è il Paradiso terreslre, sede di liberta e d'innocenza, dove 
giunta il poeta viene accolto da Beatrice, simbolo della Scien- 
za divina, e quindi da essa guidalo s'innalza di cielo 
in cielo fino all'empireo dove contempla 

« La gloria di Colui che tutlo muove ». 

(Pur. C. 1.) 

5. Quale e quanta poi sia l'eccellenza del Poema Dan- 
tesco: 

« Al quale ha posto mano e cielo e terra s 

(Pur. C. XXV.) 

non è facile a dirsi; tanta è la profondità della sapienza , 
tale il magistero che lutto quanto lo compenelra e l'infor- 
ma, che l'intelletto vi si smarrisce per la maraviglia, n Di- 
ti scendere, sono parole di Vincenzo Monti , per un'im- 
« mensa spirale al centro dell'abisso, e di là spiccare il 
a volo e salire al santuario de'cieli; innalzarsi dall'estrema 
a miseria alla suprema beatitudine, percorrendo la doppia 
a slrada infinita de'vizj e delle virtù; abbracciare il tem- 
« po e l'eternità ; dipingere con sicuro pennello l'uomo e 
« Dio, quale ardilo disegno! qual vigore dì fantasia per 
a immaginarlo ! qual pienezza di sapere e d' ingegno per 
n'eseguirlo! s (1). 

6. E nulla mancò al suo autore; e primieramente un 
portentoso carattere originale può dirsene il pregio sovra- 



ni 1 Poeli Aprimi secoli, Pausa IH, se. 2. 



DI RETTO il ICA 379 

no. L'Alighieri una nuova gran tela si svolse dinanzi ove 
penneileggiò a gran traili le visibili ed invisibili cose; ri- 
trasse popoli e nazioni, eroi d'ogni eia e d'ogni gente, 
re, imperatori e pontefici; dove le tetre ombre d'abisso 
fanno mirabil contrasto coi celestiali splendori dei santi. 
E pieno il peno di quello spirilo che tolse dulie sacre 
carte ,e priucipaluienle dai Profeti, rese quasi direi tribu- 
tarie al suo grandioso concetto e la teologia , e la filosofia, 
e l'astronomia, e la fisica , e la storia, e la tradizione, e 
la favola, e gli stessi idiomi de'popoli, meulrechè delia lin- 
gua e poesia nazionale faceasi creatore. Il suo divino poema, 
per la fantasia e per l'affetto può dirsi l'enciclopedia della 
mente e del cuore; esso e una gran piramide la quale com- 
prendendo scienza, patria e religione tiene sulla terra la 
base e colla punta s'inciela fino al trono di Dio. Il fine, nobi- 
lissimo del poeta, checché ne dicano taluni che non sanno 
o non vogliono ravvisarvelo, è morale nel trionfo della vir- 
tù, politico nelle aspirazioni alla grandezza d'Italia, religioso 
nella esaltazione della idea cattolica (1). 

7. A un disegno si vasto ed ardito ben si conveniva 
una non meno grandiosa e franca esecuzione; nella quale 
lungi dal venir meno la lena al poeta , quanto più avanza, 
più ingagliardisce. Fattosi ei primo attore del mirabile dram- 
ma in compagnia prima di Virgilio, poi di Beatrice , s'ag- 
gira pei tre regni della vita futura, e nel suo fatale viag- 
gio imprende ad interrogare gli uomini più celebri d'ogni 
età, e in ispecial modo i contemporanei; e così porge a 
sè stesso il destro ora di scolpire come in diamante i grandi 
avvenimenti, massime dell'età sua , ora di ritrarre al vivo i 
caratteri di quei che grandi virtù ebbero o grandi vizj, 

MI • La dottrina cattolica o maestosa, celata principalmente nel 
a Poema , è Iddio verace fina all'amor dell'uomo, fattosi all'anima ma- 
• nifesto nel sentimento, essere da cercare con l'intelletto : in questo 

■ la salvezza del Cristianesimo, l'appetito razionale signoreggiante , 
« armonizzati! cosi la ragione e la fede, il sapere e le opere, il tempo 

■ e l'eterno : in questo la pace quaggiù nel mondo e la immortale 
« beatitudine ■. Paiehbo, Appendici all'Op. Cit. , p. m. Tip. Gali- 
. leìana 4 SOS ». 



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380 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

imprimendo loro in fronte con sicuro ardimento nota dì 
lode o d'infamia immortale; ora di prorompere in generose 
ed acerbe apostrofi contro i mali d'Italia e i loro autori; ora 
di richiamare in sul retto cammino le traviate italiche genti. 
Fattosi quasi interprete dell'eterna Giustizia , pesa sovr'equa 
lance vizj e virtù, e inflessibile quanto imparziale, siccome 
comparte ad ogui virtù il debito premio, cosi ha per ogni 
vizio adeguato gastigo; anzi vi è siffatta convenienza tra 
la colpa e la pena , che come dice egli medesimo, vi si os- 
serva ben lo contrappasso [Inf., C. XXIII); laonde a ragione 
fu detto il poeta della rettitudine (\). Finalmente dotto in 
divinità non meno che in filosofia, su questa al pari che 
su quella disputa e ragiona , e per entro alle sue brevi 
sentenze ritrovi i germi di quel vero, di quel buono e di 
quel bello onde crebbe e si diffuse per tutta quanta l'Eu- 
ropa l'italica civiltà (2)! 

8. E se alla vera perfezione delle opere dell'arte neces- 
sariamente richiedesi, come diceva Michela ngiolo, 

« Che la mano obbedisca all'intelletto », 

e questo mirabile accordo si pare in tutta la sua potenza 
tra il gran concetto dantesco e la sua estrinseca forma. Lo 
stile di Dante è d'ogni genere come il suo poema; nobile, 
maestoso e bene spesso sublime nelle parti epiche e liriche, 
pietoso e terribile nelle tragiche, festivo nelle comiche, acre 
e veemente nelle satiriche, piano e trasparente per quanto 
lo consentono le materie , nelle didascaliche ; poetico sempre, 
siccome colui che da Virgilio aveva appreso la sobrietà delle 
cose e delle parole , la evidenza e felice brevità dell'espres- 
sione; anzi dirò meglio col Monti, vi appreso l'arte di vestire 
poeticamente i concetti, « l'arte di esprimere con decoro e 

(1] Perticar!, Apologia di Dante. 

(2] « Quella civiltà che stupenda nel suo Ideale, e sotto il bello e 
" le allegorie del gran - Poema, che miracolo di bellezza , profondo 
■ tesoro di verilà, fu viln e perfezione ai popoli tutti e por Ogni tem- 
« po ». Palermo , Discorso cit. , p. czxu. 



DI li ETTO RlC A 384 

o veracità idee le più schive d'ogni fiore di favella: arte 
a princip.il issi ra a. senza la quale la poesia non è ebe misera 
>< prosa (I) e; ond'ei bea polè dire: 

a Lo bello stile che m'ha fallo onore ». 

9. Lungo poi sarebbe a dirsi di quali splendidi artifici 
ornò e colorì il suo magnifico quadro, dove tutto ha rilievo, 
anima e vita. Congiungendo mirabilmente insieme con isva- 
riata armonia la semplicità e l'eleganza, la forza e la dol- 
cezza, si fe'crealore di una forma poetica nuova ed origi- 
nale , e a suo talento padroneggiando la lingua ora ne trasse 
gemiti d'amore, fulmini d'ira e onda di celeste melodia; 
ora ne compose modi ed espressioni di si pittoresca evidenza, 
che nulla invidia al sicuro pennello di Michelangelo; laonde 
il Foscolo diceva bastare all'Alighieri un solo tratto per 
dipingere un uomo, un solo colore a rammentare un fat- 
to (2). Se tu, quando ci dipinge Farinata (3), Capaneo (i), 
Ugolino (5), Lucifero (6) ed altri siffatti, vi riscontri la fie- 
rezza del terribile Buonarroti, nella dipintura di France- 
sca (71, di Pia de'Tolomei (8), di Matilde (9), di Beatrice HO) 
e degli Angeli (11), vi senti spirare la semplicità di Gioito 
e la grazia di Raffaello. Originale nelle similitudini, vero 
nelle descrizioni, nuovo nelle perifrasi, maraviglioso nella 
slessa arditezza delle metafore, spande ovunque un'inesau- 
ribile vena d'ingegno poetico, e con tal magia di colorilo 



(1) Loc. cit. P. Iti. S. II. 

;2 Ounle Aligh. e il suo »ec. 

(3 I»f.,C. X. 

(4; Inf., C. XIV. 

(5, Inf., C. XXXUI. 

(«| Inf., C. XXXIV. 

[li Inf., C. V. 

I8i i'urg . C. V. 

(9. Purg, C. XXVIII. 

[iO, Inf., G. II. Parg. C. XXX. Farad, passim. 
MI) Inf., C. IX-, Pura. C. Il, IX. Parad. jwiwim. 



382 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

che li sorprende e t'incacia. Adorna poi di si eletti fiorile 
cose pi ii aride e scabre, che noa ti appaion più quelle. 

10. A conferma delle quali cose, e massimamente ad 
esempio dei giovanetti , vorrei qui riportare alcuni di quei 
modi originali e pittoreschi onde la poesia dantesca si stu- 
pendamente s'abbclla ; se non che sapendo che l'Alfieri ed 
altri studiosissimi della Divina Commedia propostisi di no- 
tarne le principali bellezze, giunti al termine s'avvidero 
d'avere quasi ogni verso ed ogni frase segnato, temo di non 
sapere fra tanta dovizia scegliere fior da flore, per comporne 
un mazzetto de' più rari ed olezzanti. Tuttavia mi studierò 
d'andare qua e Ih raccogliendone alcuni, persuaso che quale 
che sia, non sarà mai opera vana. 

Altrove accennammo (1) che il poeta ricorda in 72 modi 
DIO, tra'quali per la profonda sapienza mi sembra notabile il 
seguente : 

« Nel Vero in che si queta ogn' intelletto » 
(Par. C. XXVill). 

Quanto bene chiama il Vangelo 

« La verità che tanto ci sublima ! s 

(Por. C. XXII). 

E giusto più che non sembra è il dire del Paradiso 

<i Là dove agi' innocenti si risponde » 

( Purg. C. VtU ). 

Qual'idea più sublime potea dar di Lucifero, che chia- 
mandolo 

a Il primo superbo 

« Che fu la somma d'ogni creatura ? » 

{Par. C. XIX). 



W Par. I. C. Il, art 1. 



DI RETTO RICA 38Ì 
Ecco nuova e gentile definizione dell'uomo : 

« La creatura ch'ha intelletto ed amore a 
[Par c. I, ). 

Ne chiama poi l'anima l'angelica farfalla (Purg. C. X); la 
vita , picciola vigilia de'sensi (Inf. C. XXVI ). 

Quanto chiara idea dà della Teologia, ove la dice: 

« Lume tra'l vero e l'intelletto ! » 

{Purg. C. VI ). 



Giusta quanto poetica è la frase onde definisce la contrizione 

« Il buon dolor che a Dio ne rimarita ». 

(Purg. C. XXIII). 



Bel modo è pure il seguente ove parla del poeta : 

« Il nome che più dura e più: onora ». 

{ Purg. C. XXI ). 



Chiama la incolpata coscienza 

« La buona compagnia che l'uom francheggia 
« Sotto l'usbergo del sentirsi pura ». 

[taf, C. XXVIll ). 

VeWesperienza dice con tanta verità e bellezza 

(f Ch'esser suol fonte a'rivi di vostr'arte ». 

(Par. C. ■ 



Chiama egregiamente il sole ' 

a II ministro maggior della natura ». 

(Par. C.X.). 



384 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

Con quanta poesia ed evidenza a un tempo non descrive 
il raggio riflesso ? 'i 

« E sì come secondo raggio suole 
a Uscir del primo, e risalire insuso, 
« Pur come peregria che tornar vuole ». 

(ftr. 0. 1). 

E parimente il fulmine : 

a Come fuoco di nube si disserra 

« Per dilatarsi s\ che non vi cape , 

« E fuor di sua natura in giù s'atterra ». 

(•ibi, C. XXVlllj. 

Ed anche dalla mitologia sa trarre le sue bellezze ; ed 
ecco che descrive l'ora di mezzogiorno, dicendo: 

o Vedi ebe torna 

a Dal servizio del di l'ancella sesta ». 

< Pwg, C. XII ). 

Cosi chiama VEclittica 

« La strada 

« La qual nou seppe carreggiar Feton ». 

(K C. IV). 

E parimente ove dice : 

* Certo non si scotea si forte Delo 
a Pria che Latona in lei facesse 'I nido 
« A partorir li due occhi del cielo ». 

( Ivi, C. XX ). 

E parlando della Luna e della sua corona , o alone , dice : 

« Trivla ride tra le Ninfe eterne » 

[Par. C. XXUI). 



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UI RETTORI C.t 385 

« In quei colori 

« Onde fa l'arco il sole e Delia il cinto ». 

(Purg. c. XXIX i. 

Traendo una comparazione dall'Eco, pur dice: 

« A guisa del parlar di quella vaga 

« Che amor consunse , come sol vapore ». 

I Par. C. X ì. 

Ed altre mille di simil natura. Vedasi altresì di quanta gra- 
zia originale sono i modi seguenti : 

a Sicché il piè fermo sempre era il più basso ». 

( hf. C. l ). 

« Io son colui che tenni ambo le chiavi 

a Del cor di Federico. » 

[ lui c. XIII ). 

a Che con gli occhi e col naso facea zuffa ». 

(Ivi C. XVIII). 

* Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe ». 

{Ivi C. XXVI ), 

« Questi non vide mai l'ultima sera ». 

(Pur?. C. i). 

« Mentre che la speranza ha fior di verde ». 

( Ivi c. III). 

a Quand' io che meco avea di quel d'Adamo ». 

( Ivi C. IX ). 

n E quanto l'occhio mio potea trar d'ale ». 

{Ivi C. X|. 



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386 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

a Senz'arme n'esce, e solo con la lancia 
« Con la qual giostrò Giuda » 

[foie. XX}! 

a . .- Coloro 

a Che questo tempo chiameranno antico a (1) 
[Par. C. XVII ). 

Oltre a ciò notisi quanto enfaticamente usa in grembo a 
Dio per dire in chiesa ; con quanta novità e giustezza chiama 
mal seme d'Adamo i cattivi ; morire neW ira di Dio, cioè nel 
peccalo; mal dare e mal tenere, la prodigalità e l'avarìzia; 
uomo di sangue e di corrucci, un violento e rissoso; carro 
della luce, il sole; i buoni sospiri, il pentimento; visibile par- 
lare, la scultura e la pittura; l'accusa del peccato, il ros- 
sore; il ver primo che l'uom crede, l'assioma ; l'uomo che non 
nacque, Adamo; In specchio di Narciso, l'acqua ; il bel nido di 
Leda, i Gemini ; e cosi d'altri infiniti. 

Finalmente non meno s'ammira in Dante l'originale bel- 
lezza delle comparazioni ; il perchè sembrami conveniente 
al proposito nostro darne così di passata un breve saggio. 
E pretermettendo le più celebrate, come quella del nau- 
frago {Inf. C. I), dei fioretti (C. II) dell'uragano e delle 
rane ( G. IX ) dello stizzo ( C. XIII ) , àeU'arsenal di Venezia 
(C. XXI), del villanella ( C. XXIV), dei colombi (Purg. C. II), 
delle pecorelle ( C. IH ) , del giuoco della zara ( C. VI ) , del 

(1) A questi esempj piacemi d'aggiungere il seguente : 

■ Fidandomi del tuo parlare onesto 

■ Che onora te e quei che udito I' hanno ». 

[Inf. C. il). 

A me pare che il poeti qui accenni in modo novissimo l'onore che Vir- 
gilio reco a jé, all'era sua ed alla patria ; laonde anche Sordello lo saluta 
«0 pregio eterno dal loco ond' io fui » 

{Purg. C. VII). 

Questa interpretazione , non so se data da altri, la terrei per molto sem- 
plice e nalurale, e mi vi conferma il verbo : che odilo VhannO. La pongo 
innanti agli studiosi del poeta, così senza pretensione, e solo per araoro 
delle cose dantesche. 



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DI HKTTOMCA 3* 
montanaro [ C. XXVI ), dell'orologio ( Par. C. X }, dell'arcoba- 
leno {G. XI( ), dell'augello (C. XX}, del roffjio (C. XXIX), 
ed altre non poche , riporterò le seguenti. 

« Con quel furore e con quella tempesta 
« Ch'escono i cani addosso al poverello , 
a Che di subito chiede ove s'arresta. 

l/n/. C. XXI). 

" Come il ramarro sotto la gran fersa 
« De 'di canicular, cangiando siepe 
« Folgore pare, se la via attraversa ». 

[lai, C. XXV). 

h E come a messaggier che porta olivo 
« Tragge la genie per udir novella , 
a E di calcar nessun si mostra schivo «. 

IPurjf. CU). 

« Maggiore aperta mille volte impruna 
« Con una forcalella di sue spine 
« L'uora della villa , quando l'uva imbruna ». 

(lui, G. IV). 

« Cos\ li ciechi a cui la roba falla 

« Stanno a'perdoni a chieder lor bisogna, 
* E l'uno il capo sopra l'altro avvalla ». 

(Ivi, C. XIII). 

« Quali i fanciulli vergognando muti, 
n Con gli occhi a terra , stannosi ascoltando . 
« E sè riconoscendo e ripentuti ». 

{lei, C. XXXI). 

« Qual lodoletta che in aere si spazia 
« Prima cantando , e poi tace contenta 
a Dell'ultima dolcezza che la sazia ». 

(Pai-., C. XX). 



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388 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

» E come a buon canto r buon citarista 
a Fa seguitar lo guizzo della corda , 
« In che più di piacer lo canto acquista ». 

(JW). 

« Come la fronda che flette' la cima 
« Nel transito del vento , e poi si leva 
« Per la propria virtù che la sublima n. 

( lui , C. XXVI (, 

« La cieca cupidigia che v'ammalia , 
<! Simili Tatti v'ha al fantolino 
« Che muor di fame , e caccia via la balia ». 

< lui , C. XXX). 

E qui basti ; chè invaghito del bel tema , nel quale di 
leggieri riusciremmo infiniti, temo d'aver forse valicati i 
propostimi confini ; di che mi scusi l'amore per il sacro 
Poema. Contuttociò queste poche bellezze che ira le altre 
mille mi venne fatto di irascegliere , mi sembrano pur suf- 
ficienti a pienamente chiarire che alla grandiosa tela del 
poeta non mancò quella vigorosa vivezza di colorito che ben 
si richiedeva. Se non che meglio d'ogni rellorica analisi 
varrà a dimostrare della Divina Commedia l'altezza del 
concetto e l'eccellenza della esecuzione , il profondo studio 
di essa ; per il che si farà manifesto , come già notava il 
Gravina , esser l'Alighieri giunto a sì alto segno d'intendere 
e di profferire , perchè egli dedusse la sua scienza dalla 
cognizione delle cose divine , in cui le naturali , e le umane 
e civili, come in terso cristallo riflettono (1). 

i 1 . Data cosi un' idea generale del poema dantesco , gio- 
verà riferire succintamente ciò che in vari, tempi ne pen- 
sarono certi accigliati aristarchi. Taccio di quei di fuori, i 
quali chiamarono la Divina Commedia un'amplificazione stu- 
pidamente barbara (Voltaire) , un'assurda rapsodia (La Harpe), 
e a' di nostri, una gazzetta ove per nove decimi non è che 



Hj Rag. Poe/., I.lb. Il, §. i. 



DI RETTO BICA 




grossolana trivialità e cinismo (Lamarline). A'quali giudizj 
fu gin debitamente risposto o col silenzio o col riso. Solo 
diremo de'nostrani, e per tacermi di quel Cecco d'Ascoli, 
coetaneo dei poeta , che osò con stolta malignità sparlare della 
Divina Commedia nel suo poema l'Acerba (1), ornai dimen- 
ticalo, non che di altri del pari oscuri, mi duole di dover 
citare tra ì censori dell'Alighieri l'illustre Tiraboschi, il quale 
dopo aver lodato in esso l'elevatezza dell'ingegno e la viva- 
cità della fantasia , lo appunta d'inverisìmiglianza , dì lan- 
guore, di durezza per voci aspre e rime sforzate, benché di 
queste, discreto com'è, lo scusi per la ragione dei tempi (2). 
Anche il Barelli, uomo peraltro d'ingegno aculo e sagace, 
avea sentenziato essere la Divina Commedia ornai divenuta 
oscura , nojosa e seccantissima , da richiedere nel lettore 
buona dose di risolutezza e di pazienza (3;. Il P. Bettinelli, 
celebre per la trista fama delle Lettere Pseudovirgiliane, 
chiamò il poela duro , rugginoso , strano , vacuo , e che se 
ti prende talora la mente, non ti tocca il cuore. E lo. cre- 
do , quando siamo avvezzi alle sdolcinate smancerie dell'Ar- 
cadia. Finalmente anche l'autore della Storia Universale 
ricanta la trita accusa d'oscurità, di locuzioni stentale ed 
improprie, di voci e frasi ìuzeppale per la rima, e cose 
altre siffatte [*). 

42. Ed a questi archimandriti pochi altri, de' quali è 
bello il lacere, tennero bordone; perocché in ogni elà , ri- 
peterò col Palermo, infinito è il numero degl'insensati cui 
piace chiamar tenebra il sole, ed a'quali non altro è da 
dire che: oh! veri ciechi! Nulladimeno con tutta questa bat- 
taglia Dante sì rimase, dirò col Gozzi, in piede saldo e 
gagliardo sempre più, e ha viso di durare, finche ci sarà 
sapore di buone lettere (5). Alle censure del Bettinelli nulla 
dirò, che il giudizio dell'Italia pesa grave sovr'esso, è già 

(11 Tira»., Star, della Letter., Voi. V, p. [, lib. II, § XVIII. 
R] Slor. della Lettor. Hai., Lib. Ili , C. Il, g. 9. 
(3) Frusta letler., T. Ili , p. *1 
(4 Cahto, Star. Unìvers., Voi. XIII. 
(5,. Difesa di Datile, Prof. 



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390 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

buon tempo. Alle alire risponderò brevemente altresì col- 
l'autorità di non men gravi autori. E primieramente cade 
l'accusa d'inverisimiglianza , ammessa come poeticamente 
vera la prodigiosa visione del poeta. L'oscurità che riscon- 
trasi nel poema sacro, è men colpa del suo cantore, che 
del tempo che sopra vi è corso, e forse è anche colpa di 
noi, come riflette l'Ozanam studiosissimo di Dante , dicendo: 
Noi moviamo lamento della oscurità, quando avremmo a 
lagnarci della debolezza della nostra vista (1), perchè forse, 
come Io stesso poeta n'avvisava (Gonv. Ili, 6), viviamo in 
tanta cechita, non levando gli occhi suso a queste cose, e 
piuttosto tenendoli fisi nel fango della nostra stoltezza. E di- 
fatto della popolarità del poema , argomento non dubbio di 
chiarezza, fanno bella testimonianza le due graziose novelle 
del Fabbro e àeW'Asinajo, narrate dal trecentista Franco Sac- 
chetti. Spiacenti che al Barelli debba rispondere per me il 
(edesco Enrico Leo , il quale nella sua Storia d'Italia lasciò 
scritto: a Quegli a cui la lettura di Danle può venire in 
a fastidio, si mostra manifestamente incapace d'intenderlo »; 
e il nostro Borghini aveva già detto: « In Danto ò spasso 
<i e diletto per ogni sorte d' uomini, e può ogni idiota pas- 
o sarvt il suo tempo gentilmente, e sudarvi ugui eccel- 
li lente ingegno Perocché la sua |>oesÌa ha bellezza e hon- 
« la e. Finalmente se alle delicate orecchie dei moderni il 
verso e la frase dantesca suonano talora duri, aspri o sten- 
tati , questo pure è da attribuirsi ai tempi ed ai cangiamenti 
ordioarj alle lingue, cssemWhè cene voci, specialmente 
di nomi proprj, e molle desinenze di verbi e di plurali, 
ora dismesse o ammollite, erano allora d'uso comune, come 
riscontrasi nelle cronache del Villani , e come il valoroso 
Nannucci ha nella sua faticosa opera filologica ampiamente 
dimostrato. L'accusa poi d'improprietà lanciala da un lom- 
bardo del secolo XIX a Danle fiorentino , ha un non so che 
di strano, quando sappiamo dal poeta stesso che il bello 
stile aveagli giò fatto onore ; e quando leggiamo ne! Villani 
che l'Aligheri fu nobilissimo dicitore, in rima sommo, o che 



(li Origine della Divina Commedia. 



DI RETTORICA 39! 
scrisse col più pulito e bello stile che mai fosse in nostra 
lingua al suo tempo e più innanzi (1) ; nè so comprendere 
come uno stile inzeppato di locuzioni stentate e di voci 
improprie possa da senno chiamarsi bello e pulito. Conchiu- 
diamo piuttosto col Mazzoni e col Segni , che se dure e 
acerbe pajono alcune voci del poeta a quanti non hanno 
contratto con esso fratellanza e consuetudine , si lo tengano 
essi mollo per mano, finché divenga loro amico e dome- 
stico, e lo troveranno chiaro e dolcissimo (2) ; essendoché, 
come aggiunge il Monti (3) , la sua poesia tieu mollo di 
quelle piante che hanno amara la radice e dolcissimo il 
frutto. 

13. Non ultima fra le ragioni delle patrie speranze è, 
dice il Balbo , il veder redivivo il culto e Io studio dell'Ali- 
ghieri (4) , conciossiachè sia impossibile con esso sentire , 
operare, scrivere e parlare bassamente e fiaccamente. E 
l'età nostra, la Diomercè, mostrasi sovra d'ogni altra profon- 
damente studiosa del poema divino. Restauratori della bella 
scuola furono il Gravina, il Gozzi , il Varano, l'Alfieri , il 
Lagrangia , il Dionisi , il Foscolo, il Cesari, il Monti, il 
Perticar] , il Niccolini ed altri valentuomini , che cogli scrit- 
ti, coll'esempio e colla voce ridestarono nei petti italiani 
l'amore per l'altissimo poeta. 

4 4. E per finire interamente il compilo nostro, giova 
qui brevemente discorrere de' suoi imitatori, affinchè resti 
per l'esempio altrui dimostralo qual via più sicura tener si 
debba nello studio e nella imitazione della poesia Dantesca. 
Siccome fonte inesausta fu pei pittori ed i poeti Omero , cosi 
Dante; e siccome Fidia in quello inspiravasi, cosi Michelan- 
gelo in questo. Dicasi Io stesso di Virgilio e degli altri anti- 
chi per il primo , dell'Ariosto , del Tasso e d'altri eccellenti 
italiani per il secondo. Quale studio però conviene si fac- 
cia sul poema Dantesco a bene imitarlo , il Montanari 

(I) Cron. Fior., Lib. IX, C. 137. 
(fcj Uiuikini, Vita di Dante. 

(3) Op. CU., Pausa 111, S. 2. 

(4) Pila di Dante, Lib. C. I. 



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392 DELLE ISTITUZIONI ELEMENTARI 

ottimamente lo 'insegna: come Dante ha imitato Virgilio 
e non altrimenti (1). Imperocché lungi dall'artifìcio della 
bella imitazione andrebbe colui che affettasse di ritrarne 
nella sua poesia a mo'di centone e frasi e versi e immagini 
e concetti; peggio ancora se andasse studiosamente ricer- 
cando quegli arcaismi, quelle asprezze, quella cerl'ombra 
d'oscurità che pur talora s' incontrano nel sacro Poema , 
colpa, come si disse, de'tempi, non del suo autore. Non in 
queste quisquilie , non nelle visioni , non nelle discese oltra- 
mondtali soltanto consiste la vera imitazione dantesca , ma 
sibbene nello spirilo delle sue creazioni, nell'altezza de'con- 
cetti e del fine, nella grandiosità del disegno, nella sobrietà 
delle cose e delle parole, nel cogliere nel vero suo bello la 
natura, nel colorire poeticamente e con una cert'aria ori- 
ginale tutto quello che fa di mestieri ritrarre, e soprattutto 
nel sentimento profondo d'un affetto vivo e reale, acciocché 
si possa col Poeta ripetere 

« Io mi son un che, quando 

a Amore spira, noto, ed a quel modo 
a Che delta dentro, vo significando ». 

iPurg. , C, XXIV). 

15. Tale pertanto essendo la vera imitazione del gran 
poema, come polrem dire col Barelli avere il Frezzi nel 
suo Quadriregio una buona quantità di terzine che sono 
sputate dantesche (2), quando non avvi che un'affettata 
asprezza di verso? Più felice imitatore apparve il Monti nelle 
sue celebri cantiche per la morte del Basville e del Masche- 
roni ; ma come ben nota il Balbo, l'imitazione non fu che 
esterna; nella forma sola e nelle immagini (3). Quella imi- 
tazione intrinseca che ne forma quasi il midollo, e che 
lungi dal tarpare le ali dell'ingegno, le ingrandisce e le 
afforza , sta nel gran segreto di quell'arte che tulio fa e nulla 



(J) Agg. al Blair, P. HI, C. XII. 

(2) Frutta Leti. V. I. pag 83. 

(3) Vita dì Dante, Lib. II. C. il. 



DI RETTORICA 393 
si scuopre, quale appunto si fu quella che adoperarono 
imitando il poeta e l'Ariosto e il Tasso nella verità e vivezza 
del colorito , il Davanzali nella nervosa breviloquenza , 
l'Alfieri e il Foscolo nella robustezza dei concetti e nella 
energia della espressione, il Varano nella grandezza delle 
sentenze e nella sublimità delle immagini, Giovanni Marchet- 
ti nella dipintura dei caratteri o nella numerosa sostenu- 
tezza del verso, il Niccolini nell'intendimento civile; tutti 
più o meno nello splendore poetico e nella convenienza 
ed armonia delle partì. Alle quali cose tutte ponendo mente 
nello studio dell'Alighieri coloro che poetando sei faranno 
duce e maestro, non più l'Italia udrà canti piangolosi, o 
aerei , ma vedrà mercè loro riposta in seggio qual magna- 
nima regina, la Poesia nazionale, sola atta a ritemprare ad 
alti sensi ed affetti gli spiriti. E concludendo , piacemi 
coli' illustre Palermo ripetere : « Sopra Danto e il Petrarca 
« sappia la nazione italiana addirizzar degnamente le let- 
ti: ture, gli ordini e dello scibile e della vita (1) a; con- 
gi ungendo in bel nodo d'amore sapienza e virtute, fine san- 
tissimo dell' immortale Poema che per più anni fe' macro 
quel Divino, al quale e l'Italia e il mondo debbono reve- 
renti ripetere: 

« Tu se' lo mio maestro e il mio autore n. 



(li jpp. e»., p. 83fi. 



INDICE 



Ai Giovanetti studiasi Pag. 5 

Proemio 9 

PARTE PRIMA. 

C * p .. l . nella Elocuglnim . ■ 19 

1. Prilla purità . . » iyi 

2. Della proprietà . » li 

3. Dalla chiarezza - - . . » l£ 

4. Dulia forza . » 13 

6. Dell'armonia . , . , . « 12 

CAP. II. Pel UatWMffiS nguralo . . . . . n 24 

Art. L - Dei traslali. . . . . . . . n 25 

j . lìnlla mel.nfnra . , j jyj 

2. Della metonimia, dell'antonomasia 9 

dall'epiteto. . ■ . ■ 35 

3. Pelli sineddoche . » 37 

i. Della iperboli: 38 

5. Dalla perifrasi . . . . . .... - 10 

7. Dell'allegri.! e lidi' eui-ma .... 1. 45 
Art. II. - Delle figure a. 46 

Sezione I. 

1. Del pleonasmo e dell'ellissi .... » 47 

2. Del polisindeto e dell'asindeto ...» 48 

3. Della sinonimia 0 della zeugma ed opo- 

zeugma n 49 

4. Dell'isoeolon, dei pariflnienli, dei pari- 

consonanti e della paronomasia . . » 50 



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396 



INDICE 



Sezione II. 

t. !)m'I' . .in; mutiline o sinv.lìludmo . Pag. 51 

2 Dell'esempl o - • » 

3 Del l'ani ilei n del parallelo .... » '*> 

4. Della ripeiitiooe ° 

5. Dulia gradazione e della congerie . , » ivi 

6. Del dialogismo □ sermoni! azione . • 08 

7. Della ioterrognzione e del soggiungi- ^ 

ti. Deilp <:omunicaziooe » 61 

9. Della correzione . . » 62 

(1. Della sospensione " ™ 

(2. Della relicenza . « 

13. Della preornipaziooe » 65 

14. Delia concessione ■ 66 

(li. Delia preieuziooe Ivi 

Ili Della preghiera • 67 

17. Della Interazione ■ 68 

(8. Della esclamazione a dell'epifooeojs . • 70 

19. Dell'enfasi • 71 

20. Dell'impossibile. . - « 72 

21. Delia ipotlposi » i*. 

22. Dei'.a per so n : fica z ione. . . . ■ ■ . ■ 75 

41. Dellapustiofe • 77 

24- Della vislooe . • >8 

25. De'i'srcuiDoiaiione ■ 79 

Cip. 111. Boll» «legane» * 82 

Cip. IV. Dello attle » 88 

4. Dello siile nobile * 92 

2. Dello siile severo « 97 

3. Dello sfilo focile ........ » 98 

4. Dello siile gajo n del melanconico. . ■ 99 
S> Dello stile scberzenole ■ 100. 

6. Dello «me diffuso e conciso .... » 101 

7. Della perspii-ullì » 106 

8. Del decoro • *08 



APPENDICE. 



INDICE 397 

PARTE SECONDA. 

Della Invenzione. 

Caf. I. Del componimenti la prosa di ge- 
nere umile. 

4. Della favola Pag. 125 

8. Polla lettera . » 121 

3. Del dialogo . . » Ufl 



Cap. II. Del campo ni menti la prona di ge- 
nere mcuBno. 

1. Del dialogo » 131 

3. Del ragionamento ■ 133 

3. Del discorso accademico » 134 

4. Della lezione cattedratica » 13C> 

5. Del Imitato ■ 137 

6. Della novella e del racconto .... » 138 

7. Del romanzo. * IH 

Cap. III. Del componimenti In pronti di ge- 

Sezionc I. - Storia. 

- 1. Origine e progressi della sloria . . . « 14" 

9. (Juicio e doti della storia n 448 

3. Delle varie specie della storia ... n 1SG 

APPENDICE. 

Della Iscrizione. 

Sezione II. - Oratoria. 

Art. I. - Dello eloougnsa ingeneralo . * 166 

\v\. Il - Ondine, f prntjresii <!eM oratoria » 1ti8 

Art. 111. - Delloraloria iti generale . . <> 17G 

Titolo I. - - Della invenzione ... fi 177 

Titolo II. - Della dispostone ... n 183 

1. Dell' esordio e della proposiziona . . n 184 

3. Dalla riimrnlrflT.mnn . . . , , . . ■ 19( 

4. Della perorazion e fi 198 

Titolo Ili. - Della elocuzione ^oratoria. ■ 508 

Tit olo IV. - Della memoria . ... n 210 

Titolo V. - Dell'aziono ■ . . . . « SU 



Dlgilizefl Of GrtOglc 



398 INDICE 

Art. VI. - Dell'oratoria in particolare. . Pafi. 213 

Titolo I - Dell'eloquenza sacra . . o ivJ 

h. Delia predica » 215 

ì. Del panegirico » 221 

3. Dall'orazion funebre 229 

l. Dell'omelie, delle lezioni scritturali e 

calech' aliene » 231 

Titolo II. Del l'eloquenza pari a ine alari a a 233 

Titolo III. Dell'eloquenza forense ... • 2Li7 

PARTE TERZA. 

Dell* Poesu. 
/n frodai imi e. 

1. QriRinn e p rogressi della poesia . . . n 243 

2. Nniont della poesia » 245 

3. polle transizioni * 200 

4. Del metro • 251 

5. Del classici e dei romantici .... » 2.Ì3 

Cap. I. Della pocal» linea » 256 

Ari. I. - Dalia lirica tacra ■ . . . . » ivi 

Art. II. - Dulia lirica arnica. .... » 258 

Art. 111. - Della lirica morate ■ . . . . 200 
Art. IV. - Della lirica melica o erotica, ed 

elegiaca. . . « 201 

1. Delibile ■ 262 

2. Delta canzone petrarchesca .... a 203 

3. Della eieg<a ■ 264 

4. Dell'anacreontica 26li 

5. Della ballala, delia romanza e del ma : 

drlgaie » 266 

6. Dei djtiraoibo • 208 



Cur 11. Della pocal» epha. . • 269 

Ari. I. - Delia epica (atra; » Ivi 

4. Dell'inno epico. . . » ivi 

2. Dui poema sacro » 210 

Art. IL ' Dell'epica eroica ■ 273 

t. Del » ivi 

g. Della favola ... o 276 

3. Del costume • 281 

4. Degli affetti » 284 



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INDICE 399 

5. Dello stile Pag. 2SS 

6. Poeti eroici » 886 

7. Dei poemetti e delle novelle .... ■ 888 
Art. 111. - Dell'epica romanzesca. ... » ivi 

CtP. III. Della poesia drammatico. » 294 

Art. I. - Della tragedia » 293 

1. Del subbiello a 295 

2. Della favola » 296 

3. Del costume ■ 303 

4. Degli afTetli a 306 

5. Dello stile » 307 

6. Poeti tragici » 309 

Art. Il, - Della commedia » 311 

1. Del subbietto » 314 

5. Della favola • 315 

3. Del costume a 316 

4. Degli affetti » 318 

3. Dello stile » 319 

6. Della tragicommedia » 320 

7. Della farsa 321 

Art. III. - Del melodramma ... ■• 3S2 

Ari, IV. - Delia poesia pastorale. . a 328 

1. Dell'idillio o egloga » 330 

2. Del dramma pastorale • 336 

CAP. IV. - Bella poeala didascalica .... » 337 

Art. I. - Del poema didascalico ...» ivi 

Art II. - Della satira » 344 

1. Origina e progressi della satira ...» ivi 

2. Avvertenza intorno ai modi della satira » 349 

3. Dell'epigramma » 350 

Art. III. - Del sermone e dell'epistola . . - 352 

Art. IV. - Della notielia e delia favola . . » 353 

Cap. V. - Della pnesio giocosa » 353 

Cap. VI. - Dei sonelio » 362 

APPENDICE. 

Bella Divina Commedia B 370 



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