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Saturday, October 25, 2025

Grice e Pessina

 pppw^'i^wf 


BIBLIOTECA NAZ-, 

Vittorio Emanuele III 


<v/// 


xx\:ilr 

F 

7 Ó 


NAPOLI 



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I 

COMPILATI 

DA LUIGI PESSINA 

SOPRA VARII AUTORI, 

PER USO DEL SUO PRIVATO ISTITUTO. 

______ l 

TCfUOtiioi Ss ssriy q P'tifopixi) , S(» r« ro ^ast siyx( 
xpstrriuy rt(Xir)d)i x«( r« 8ix«t» r«y gyayriojy.. . . . 
srt Ss stpos <yiou;, ov8’st T>)y axpijSsarArtjy 
sirt<rnniti)y , pfStoy «xr* sxsiyi)! ies!a»i \sffovxxu 

Utilis vero est Rhetòrica, propterea quod na- 
tura sunt meliora vera et iuata conlrariis.,.. 
praelerea apud nonnulloa, nec si exquisitis- 
simam haòeremus scientiam , facile est pet 
illant solam dicendo persuadere. 

Aristot. Rhet. I. i. 



DALLA STAMPERIA FRANCESE. 



1829. 


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t 



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Al 

DELL’ISTITBTO. 


^teccW'Otej 


Io vi aveva promesso, miei amatissimi 
giovani, un transunto di precetti oratorii' ' 
dal quale voi poteste raccogliere quanto 
si è detto di più utile da’ grandi Re- 
tòri, senza darvi la pena di leggerne 
e di meditarne le voluminose opere. In- 
considerata fu questa mia promessa ; 
dappoiché distratto dalle cure dell’edu- 
cazione di quelli che misono stati in- 
teramente confidati dai loro genitori , e 
dalle varie lezioni diarie, che sono ob- 
bligato di dettare nelle scuole annesse 
all’ Istituto da me diretto, ove risecar 
tempo da spendere in questo lavoro? 

Come sperare una certa tranquillità 
di mente per leggerò attentamente in- 
numerevoli precetti , esaminare le di- 
verse teorie e distaccarne poi quello 


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IV 

che, secondo i mici scarsi lumi , esser 
potesse più confacente ad istruirvi in 
questa parte ? Ma ho riflettuto per al- 
tro esser meglio mostrarvi 1’ ansietà di 
secondare il vostro desiderio, che man- 
care all’ intuito alla promessa, deluden- 
do le vostre speranze. Quindi profittan- 
do de’pochi giorni di vacanze, che vi ho 
accordate in compenso dell’esame da voi 
sostenuto al cader dell’ anno scolastico, 
mi sono accinto all’ opera. 

Deggio intanto ricordarvi, come già 
vi dissi più volte col vivo della voce , 
non essermi affatto proposto per iscopo 
di presentarvi un nuovo trattato di Ret- 
torica , dopo quelli di Aristotile, di Ci- 
cerone , di Quintiliano , di Rollin, di 
Ratteux e di tanti illustri retori. La 
scarsezza de’ miei lumi, c le mie po- 
chissime letterarie cognizioni sono de- 
gli ostacoli insuperabili , i quali non 
ini possono giammai far aspirare all’o- 
nore di questa palma. D’ altronde , che 
altro avrei potuto soggiungere di nuovo 
dopo quello che con tanta maestria si 
è trattato da questi insigni personaggi? 
Aristotile , Tullio e Quintiliano inimi- 
tabili per l’argomentazione, e per l’or- 
dine ; Rollin e Ratteux diligentissimi pel 
gusto , per lo stile , per gli ornamenti, 
eJ infine per la locuzione. Considerando 


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A 

itdaiique che faticosissimo ed incompali- 
tfeile per la vostra età sarebbe il leggere 
accuratameate tatti questi ed akri trat- 
tati oratorii, ha pensato farvi cosa gra- 
ta , riassomendo da essi quel tanto elio 
possa servirvi ad acquistare cog,nizioni 
teoriche e pratiche dell’ arte oratoria. 
Nella maggior parte delle cose sono 
stato o un semplice traduttore, o tutto 
al più un mediocre ristauratorc ; e se 
col volger degli armi vi darete la pena 
di rileggere questo mio abbozzo, ed al- 
cuno degli autori da me citati, voi vi 
ermvincerete della verità di quanto vi 
dissi. State sani. 






V 


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PRECETTI DI RETTORICA. 


, NOZIONI PRELIMINARI 
Etimologia e Definizione della ReUoriea. 

I\ettorica deriva dal Greco pYiropwn , eh’ è 
formalo da ^é<x > , dico ; onde c quindi venuto 
pyjrfflp , Oratore. 

Aristotile definisce la’ Retiorica: « Ecttoj 5’ 
pYiropwri 3upa,ais 'Kepi exadrov lou tvcprflcu to 6V- 
Se^opLiVov 'Kidxvoy. — Sit autem Rhetorica fa- 
cullas in quoque re videndi quod contingit 
^sse idoneurn adfaciendamfidein.{^^ixei-lÀhX. 
Gap. a. ) 

E Vossio: Facultae videndi in unoquoque 
quod contingal ad persuadendum conducere. 
( OuAT. Inst. Lib. I. Gap. a. ) 

E Cicerone : ìvVms {^civilis rationis) quae- 
dam magna et ampia pars est , artificiosa 
eloquentia , quam Rheloricam vocont... Of- 
ficium autem eius facultalis videtur esse di- 
cere apposite ad persuadendum : finis per- 
suadere dictione. ( De Invent. Lib. 1. Gap. 5. ) 
Quintiliano finalmente : Dic.im non utique 
quae incenero , sed quae placebunt : sicut 
hoc Rhetoricen esse bene dicendi scientiam. 
( Inst. orai. Lib, II. Gap. i5. ) 


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8 


NOZIONI FRELIMINAHI. 


Le quali defìnizioui , ad eccezione di quella 
data da Quintiliano , e che sembrami non es- 
sere stata da alcuno seguita, possono tutte aggi- 
rarsi a questa « Arte di favellare in modo ac- 
j) concio a persuadere ». E seguendo siffatta defi- 
nizione , è opportuno considerare , che ogni 
arte dipende da regole e tla precetti , segui- 
ti i quali , il lavoro riesce perfetto : ma per 
servirsi di queste regole e di questi precetti , 
bisogna d’ altronde , che l’ artefice abbia il ma- 
teriale e’I disegno su cui deve eseguire le pro- 

S orzioni. Ora è da sapersi che così avviene 
ella rettorica : essa in altro non si aggira che 
in una teorica di precetti e di regole , che 
molto possono contribuire ad illustrare il di- 
scorso , ma che non contengono poi il mate- 
riale , ossia i pensieri. E siccome il gran se- 
greto di persuadere è riposto nella forza de’ pen-. 
sieri , nell’ eloquenza , e non mai nella ser- 
vile pratica de^ precetti ; così è d’ uopo che 
premettiamo una differenza tra i due vocaboli 
rettorica ed eloquenza : differenza, che non da 
tutt’ i retori essendo stata presa di mira , molti 
giovani han credulo , che menando a memo- 
ria un indice stei’ile di precetti , una farragi- 
ne di tropi e di figure, fossero già al caso di 
possedere il gran talento di persuadere. 

L’ eloquenza adunque è il talento e 1’ arte 
di persuadere , e la rettorica è la teoria di 
quest’arte. Quella addita le sorgenti , questa vi 
attinge; quella preparai materiali, questa gli as- 
sortisce , ne fa la scelta e li mette in opera. 
L’ eloquenza è nata prima delle regole della 
rettorica, come le lingue si sono formate pri- 
ma della gramatica. 


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NOZIONI pnErilAirNARI. 


9 


La natura stessa rende gli uomini' eloquenti 
ne’ grandi interessi , nelle grandi passioni . 
Chiunque è vivamente commosso , vede le cose 
diversamente da quello che non veggonsi da- 
gli altri uomini. Tutto è per lui oggetto di pa- 
ragone rapido , di metafora; e senza accorger- 
sene egli anima lutto , comunicando in quelli 
che lo ascoltano una parte del suo entusiasmo. 
Un filosofo rischiaratissimo ha osservato , che 
anche la plebe si esprime con ligure ; che nul- 
la è più comune , più naturale , quanto i tro- 
pi. In fatti , in tutte le lingue ed in lutt’ i ceti 
il cuore s’ infiamma , s’ accende il coraggio , 
scintillano gli occhi , è oppresso lo spirito , il 
sangue si gela , l’orgoglio divampa , *la ven- 
detta inebria. 

La natura si dipinge da per tutto con que- 
ste immagini forti , divenute ordinarie. £ dessa 
il cui istinto insegna a prendere da principio 
un tuono modesto verso quelli cui imploriamo 
il soccorso. La natura fa dunque I’ eloquenza; 
e se pur si è detto che i poeti nascono , e che 
gli oratori si formano , ciò è stato qnando 1’ e- 
loquenza fu obbligata di studiare le leggi , il 
genio de’ giudici , il metodo del tempo. 

1 precetti sono sempre venuti dopo P arte. 
Tisia fu il primo che raccolse le leggi della 
eloquenza , ma la natura ne dà le prime regole. 

E intanto indispensabile di studiarsi ijucsti 
precetti ; ^poiché quantunque la natura dia ad 
un oratore quel genio attivo che slanciasi fuori 
della comune sfera , quella vivezza d’ ingegno, 
che sente ed esprime con un vigore che sor- 
prende ; pure egli troverà più campo e più 
mezzi di un altro ne’ precetti dell’ arte quan- 
to più gli approfondirà , e gli avvicinerà ai 


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IO NOZIONI PUEriMINARl. 

grandi modelli; e tanto maggiormente sarh con- 
vimo che quello che chiamasi arte , altro non 
è che il risultamcnto della ragione c dell’ espc- 
liciiza messe in pratica. 

Le qualità fondamentali d’ ogni specie d’elo- 
quenza sono solidità nel ragionamento , forza 
nelle prove , chiarezza nel metodo , ed una 
apparenza almeno di sincerità nell’ oratore. 

Ma ciò non basta ; è necessario ancora che 
lo stile sia capace di cattivare , di comandare 
qualche volta 1' attenzione degli uditori. Il gran- 
de ed il principale scopo dell’ oratore è di 
persuadere ; ma per persuadere un uditorio com- 
posto d’ uomini sensati , Insogna prima convin- 
cerli. Convincere c persuadere sono adunque due 
cose assolutamente distinte. 11 filosofo convince 
della verità pe ’l numero e per la forza delle 
prove ; ma 1’ oratore strascina la nostra volontà, 
fissa la nostra irresoluzione , e ci forza final- 
mente a volere ciò eh’ ei vuole , mettendo nei 
nostri cuori gli stessi suoi sentimenti. La con- 
vizionc intanto è un mezzo , che 1’ oratore non 
deve trascurare , essendo una strada che con- 
duce più presto al cuore ; poiché noi non restia- 
mo per nulla persuasi d’ una verità , di cui non 
siamo stati prima convinti. Si deduce adunque, 
che per essere veramente eloquente , bisogna es- 
sere filosofò ed oratore. Gli antichi perciò non 
separarono adatto 1’ eloquenza dalla filosofia , 
ed i veri maestri dell’ eloquenza furono prèsso 
di essi filosofi. Lo stesso Cicerone confessa 
che egli divenne oratore più nelle passeggiate 
delle aceademie , che nelle scuole de’ retori. • 

Fateor me oratorem , ai modo aim aut etiam 
quicumque sim , non ex r/ieioram qfficinis , 
sed ex accademiae spatiis extitiase, ( Ora- 


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9 

NOZIONI PBETIMINAni. Il 

tor. ad M. Brut. cap. 3 .) — Positmn sii 

tur in primis , sine philosophia non ' 

posse tfficl quem quaerimus t loqueniem. ( lùi- 
dem, cap. 4. ) Nou basta poi all’oratore di con- 
vincere gli animi per mezzo della forza e delia 
giustezza del ragionamento 5 1’ clo(|ncnza ha 
non solamente 1’ opinione, ma le afiezioni , le 
passioni da combattere e da soggiogare. In quo- 
slo è riposto il suo trionfo : quindi il carattere 
distintivo dell’ eloquenza è un’ azione piena di 
calore , più o meno veemente, secondo la na- 
tura e la forza degli ostacoli che deve rovescia- 
re ; ed ecco per qual motivo essa con una fles- 
sibilità ingegnosa piegasi a luti’ i tuoni, abbrac- 
cia tutt’ i generi , parla ogni linguaggio che 
possa farsi intendere dal cuore umano. Ora si 
ristringe ad allettare gli uditori con le grazie 
dello stile, e la vivezza de’ pensieri: e que- 
sta è 1’ eloquenza de’ panegirici , delle orazioni 
funebri , de’ discorsi diretti a’ grandi , e pro- 
nunziati nelle pubbliche cerimonie. Questo ge- 
nere di composizione offre allo spirito un sol- 
lievo piacevole , e può d’altronde , anzi deve 
lasciare sfuggire per intervalli i tratti d’ una 
morale utile , e d’un sentimento piacevole. Ora 
1’ oratore non cerca unicamente di piacere , ma 
sforzasi d’ istruire e di convincere: ed allora im- 
piega tutta la sua arte , riunisce tutte le sue 
forze per distruggere le prevenzioni che pos- 
sono suscitarsi contro lui o contro la sua causa, 
per riunire le sue pruove, e disporle nella ma- 
niera più favorevole alla sua difesa. Ma il ter- 
zo , ed il più allo grado della composizione 
oratoria è quello che irresistibilmente s’ impa- 
dronisce dell’uditorio, che porla la convizioiie 
negli spiriti, una veemente commozione negli 


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12 NOZIONI PRELIMINARI. 

animi , ^trascinandoli in balia dell’ oratore, il 
quale fa dividere le sue passioni , i suoi sen- 
timenti , amare , odiare , risolvere , volere , 
detestare come lui. Nelle popolari assemblee 
ba luogo questo genere d’ eloquenza , e qual- 
che volta il pulpito ancora lo richiede. Ed 
osservisi perciò, che in questo ultimo grado 
agisce quasi assolutamente la passione , la quale 
delFiniamo c( Uno stato dell’ anima fortemente 
)) agitata da un oggetto che interamente la in- 
y> veste ». E da ciò dipende 1’ influenza general- 
mente riconosciuta dell’ entusiasmo dell’ oratore 
sopra quelli che lo ascoltano. Da ciò si deduce 
ancora, che ogni ornamento studiato , sia nelle 
cose , sia nello stile , è incompatibile con l’ elo- 
quenza dell’ animo e del sentimento ; e che 
l’oratore per riuscire a persuadere gli altri, de- 
v’essere, o almeno parere esso stesso persuaso. 

Queste sono le idee generali che abbiam cre- 
duto dover dare della eloquenza. Sarebbe ora il 
momento di far conoscere i suoi progressi presso 
i Greci , presso i Romani e presso i moderni; 
vale a dire, tracciarne il quadro isterico. Ma 
poiché molti autori hanno ciò fatto con felice 
successo, essendoci noi proposto di compilare 
delle lezioni , anziché fare un’ opera per cui , 
non abbastanza ripetendolo, confessiamo la scar- 
sezza de’ nostri lumi , abbiamo creduto trala- 
sciare questa parte , inculcando a quelli de’ no- 
stri allievi , cne fossero vaghi di conoscerla , 
di leggere i trattati di Blaire , di Amar e di 
Falconieri , i quali sebbene con sistemi diver- 
i , pure ne han fatto un cenno. 

Prenaesse adunque queste notizie , consistendo 
lo scopo dell’ eloquenza nella persuasione , e 
non jx)tendosi persuadere alcuno senza pensieri 


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NOZIONI PRELIMINARI. 


l3 

robusti, senza una certa disposizione nelP assor- 
timento di essi , un certo abbellimento ed una 
certa scelta di parole nel manifestarli , e final- 
mente (se il discorso esser debba pronunziato 
in pubblico ) una decenza ed una forza nel 
pronunziarlo , onde gli uditori rimangano vie 
maggiormente colpiti ; noi divideremo questo 
nostro trattato in quattro parti, cioè Invenzione, 
Deposizione, Elocuzione , e Pronuncia. 


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j5 

PARTE PRIMA. 

In venzione (i). 

Articolo I. 

Parti' deir oratore, e quali sieno 
le più importanti. 

Q iTANTUNQUE tiuia la forza dell’ oratore , c 
lima la facoltà oratoria trovisi distribuita iu 
quattro parli, che sono l’invenzione, la dispo- 
sizione, l’elocuzione e la pronuncia ; di queste 
le prime due sono le più importanti, e nelle quali 
sta riposta l’arte del persuadere. L’invenzione 
è la ricerca e la scelta de’ pensieri , delle ra- 
gioni , di cui 1’ oratore dee servirsi , e questo 
è il primo suo dovere. Ma essa non consi- 
ste nel trovare facilmente i pensieri che pos- 
sono entrare in un discorso. Ciò rendesi quasi 
comune a tutti , purché abbiasi un fondo di 
lettura ; e bene spesso peccasi nell’ eccesso an- 


(i) Oportel igitur esse in oratore inventionem , dì s- 
posilionem , etocuUonem , menioriam , et pronuntìa- 
tionem. Inventio est excogilalio rerum verarum , aul 
verisimitium , quae cauisam prohabilem redàant. Dis- 
positio est orda et distribuiio rerum ; quae demon- 
slrat quid quibus in tocis sit coltocandum. Eloca- 
iio est idoneorum verborum et sententiarum ad in- 
ventiouem accommodalio. Memoria est firma animi 
reruni et verborum et dispositionis perceptio. Pro- 
nuntiatio est vocis , vulliis , geslus moderatio cum 
venustate, Rhet. ad Heren. Lib. I. cap. i. 


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l6 PARTE I. — INVENZIONE. 

zichè nella deGcienza. L’ invenzione propria 
consiste nella scelta de’ pensieri che presen- 
tansi alla mente, cioè quelli più idonei al sog- 
getto che trattasi , più nobili e più solidi , to- 
gliendo i falsi , i frivoli ed i triviali, e con- 
siderando il tempo e ^1 luogo in cui si parla. 
L’invenzione unita alla disposizione sono rispetto 
all’ oratore, quello che è ,il corpo e 1’ anima 
rispetto all’ uomo. L’ elocuzione poi è il vesti- 
mento della persona ; quindi colui che pos- 
siede la sola elocuzione sarà appena un oratore 
ornato, e non arriverà giammai ad ottenere lo 
scopo dell’ eloquenza (i). 

ArticoIìO II 

UJ/icii deir oratore^ e quistioni delle quali deve 
occuparsi. 

Tre sono gli uffizi! dell’ oratore , cioè pro- 
vare, dilettare e muovere. Diligente nel pro- 
vare , parco nel dilettare , e veemente nel muo- 
vere. Dal che si scorge, che 1’ ufficio della vera 
e soda eloquenza non consiste in una lussureg- 
giante elocuzione ; ma nella forza del convin- 
cere , e nella veemenza del muovere. E Tul- 
lio , numerando le cose che rendono prin- 
cipalmente ammirabile e del tutto prodi- 
giosa i’ eloquenza, dice che sono queste due, 
cioè r arte del conciliare gli animi , e quella 


(i) Ex rerum cognitione effloresccU , et redundet 
oporlet oralio : quae nisi aubest , rea ab oratore per- 
cepta et Cognita , inanem quandam habet eloculio- 
nem puerilem, Cic. de Orai. Lib. 1. cap. 6. 


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PARTE I. — INVENZtONE. 


17 


del mnovere le affezioni ; soggiungendo che nel 
muovere regnai oratio: che questo è partico- 
larmente quello che strappa a viva forza dalle 
mani de’ giudici i decreti favorevoli , e che in 
se ha tanta possanza , che niun petto trovasi 
così duro , che non arrendasi e non diasi per 
vinto : Hec vehemervì , intensum , incitatum^ 
qan caussae eripiunlur quod cum rapide fer- 
tur suslinp.ri nullo poeto potest. 

Le vere quisiioni dell’ oratore sono de justo 
et inìquo , de honesio et turpi , de utili et 
inutili. Laonde s’ ingannano gran fatto que- 
gli oratori i quali fanno pompa di descrivere 
minutamente le cose a|)partenenti agli anota- 
raici, a’ medici, a’ semplicisti. Quindi Aristotile 
iusegna (1) che opus est omnem prohationem 
et orationem a comunibus ducere ; mentre gli 
oratori parlano dinanzi a uditori i quali per 
multas rationes acute rem inlelligere non pos- 
sunt. Devono adunque gli oratori , e tutti co- 
loro che bramano incamminarsi a quest’ arte pro- 
curar di conoscere le azioni della natura uma- 
na , perchè sopra queste fa d’ uopo principal- 
mente discorrere.' Queste in vero somministrano 
i materiali del lavoro; in queste cercasi il giu- 
sto o l’ingiusto , r utile o il danno , il lo- 
devole 0 ’l biasimevole : e perciò devono i gio- 
vani studiare la Glosofla morale , perchè que- 
s%a rendesi molto necessaria all’ oratoria. 


( 1 ) Liù, /. Hhet. c. Q. t. 64. 


a 


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rAim^ I. — T^vl:^zIo^•E. 


A n T I c o 1.0 III. 

De^ Generi (i). 

Sono da dislinguersi nella rettoriea ire ge- 
neri , il deliLeiaiivo , il giudiziale, e’I dimostra- 
tivo. Il primo riguarda le/delilicrazioni , e l’ora- 
tore o consiglia , o sconsiglia , prevalendosi deJ- 
r utile o del danno, congeiturando per via 
di raziocinio o di esempio il futuro ; e le ora- 
zioni di lai genere sono ordinate ad attaccare 
la facoltà appeiiiiva. Il secondo riguarda i giu- 
dizj , e 1’ oratore assume le parti o d’ accasa- 
re o di difendere , prevalendosi del giusto 
o dell’ ingiusto , congetturando per via di ve- 
risiniili il passalo ; e le orazioni di questo ge- 
nere sono ordinate ad assalire 1’ irascibile. 11 
terzo riguarda 1’ ammirazione, e l’oratore o loda 
o Liasima, prevalendosi dell’ onesto o del Lriil- 
to , argomentando dall’avvenire lo stato pre- 
sente del soggetto di cui discorre ; c le orazioni 
di questo genere sono ordinate ad illuminare 
la potenza ragionevole. Potrebbe avvenire an- 
cora che nella stessa orazione l’oratore con- 
s'gliasse il giusto, dil'endesse 1’ onesto , e lodasse , 
1’ utile; questa orazione allora direbbesi del ge- 
nere misto. Tultavolta per bene intendere a qual 
genere sjreiti un’ orazione , basta considerare 
la pane sotto cui 1’ oratore tratta quella pro- 
posizione. L’ utile per esempio sarà del genere 


(i) Tria su nt genera cnusiarum, judicii ^delibem- 
iiouis , laiidaiionis. Cic. Topic. cap. 34. 


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PARTE I. — INVENZIONE. ig 

deliberativo se consiglisi , e del dimostrativo 
se lodisi : il giusto, del genere giudiziale quando 
si difende , del dimostrativo se lodisi : 1’ onesto 
sarà del genere dimostrativo se verrà lodalo , 
se consigliato, è del deliberativo , e se difeso è 
del giudiziale. Con questa regola riuscirà fa- 
cile l’intendere a qual genere debbansi ridurre 
le onizioni. 


Articolo IV. 

Degli strumenti de' quali V oratore serpesi in 
ogni genere dC orazione. 

L’ entimema è il principale strumento di cui si 
servono tutti e tre i generi dell’ orazione , il 
quale dicesi esempio, se vien composto di esem- 
pii ; se di ragioni , ritiene il suo nome d’ en- 
timema ; se dilatato, dicesi amplificazione. La 
ragione per cui il solo entimema sia 1’ unico 
strumento per formare qualunque prova è per- 
chè l’ orazione è un discorso , per cui 1’ oratore 
vuol dimostrare o 1’ utile o il danno ,'o il giu- 
sto o 1’ ingiusto, o l’onesto o il turpe. Quindi 
se è un discorso , ed è discorso diretto all’ udi- 
tore , acciocché resti persuaso o dissuaso della 
proposizione presa per assunto , converrà dire , 
che il migliore strumento per provare in qua- 
lunque genere , sia l’entimema ; perchè posto 
1’ entimema, vi è discorso , tolto l’ entimema , 
non vi è più discorso. 

L’ entimema , che ha per antecedente l’esem- 
pio, è più adattato al genere deliberativo, che 
a qualunque altro genere ; e questo , perchè 
in tal genere persuade più a ^re una cosa , 
che non persuada 1’ entimema , che ha per an- 



GO l’AnTE I. — INVENZIONE. 

tcredclite un principio di ragione : 
iìcUheralivo generi maxime canveniunt , n<.m 
VX proeterilis futura conjicieutes , quid sit 
agendiiin statuimus (i). 

entimema poi , che ha per antecedente un 
principio di ragione, è più adattato al genere 
giudiziale , perchè in tal genere serve più la 
ragione, che l’esempio. Quindi gli. entimemi 
nelle, orazioni del genere giudiziale si formano 
o da congettuit; o da ragioni , che dimostrano 
il fatto o giusto o ingiusto. 

L’entimema dilatato, detto amplificazione, vie- 
ne più appropriato al genere dimostrativo, per- 
chè in questo 1’ oratore non prova 1’ assunto 
in quel modo eh’ è solito provarlo negli altri 
due generi. Quindi non provando , altro a lui 
non rimane, che amplificare; e questa è la ra- 
gione per cui r ampiificazioue comune a tuit’i 
generi , viene appropriala al dimostrativo. Ma 
la migliore c più oratoria disposizione dell’en- 
timema si è rpiella insegnata da Cornificio , c 
che chiamasi collezione , la quale ha cinque 
parti ; La prima è la proposizione, con cui l’ora- 
tore Ijrevcmcnte espone agli uditori ciò ch’ei 
vuol ])rovare. La seconda è la ragione, con la 
quale provasi la verità della proposizione. La 
terza è la confermazione, con cui l’addotta ra- 
gione, con altre ragioni e con 1’ autorità si raf- 
ferma c si stabilisce. La quarta è quella , che 
i retori chiamano csornazione , e che può an- 
cora dirsi ripidimento , di cui 1’ oratore ser- 
vesi per dicliiarare , illustrare ed arricchire il 
suo assunto; e ciò con maniera graziosa, ed or- 


{^\') .4rist. Liò, I. Rhct. c. 34. t. 4op. 


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fAIlTC I. INVENZIONE. 21 

nata, per diletlarc e per muovere 1’ uditore- 
Jaj quinta, cliianiala complessione, oppure coin- 
jdicazionc , eoa cui l’ oratore raccogliendo le 
|>arti dell’ argomentazione , con brevità e con 
lorza il suo ragionamento conchiude. Questa dis- 
posizione dell’ entimema non è necessario che 
facciasi interamente, poiché talvolta in un breve 
discorso si tralascia la complic<izione , talvolta 
nelle materie non punto adattate all’ amplifi- 
cazione lasciasi il ripulimento , e finalmente se 
r argomentazione sarà breve , o la materia te- 
nue , si omettono- del parila complica/done c ’l 
ripulimento. Si avverta eziandio che non è ne- 
cessario disporsi esattamente le cinque parli della 
collezione, ma come torna bene. 

Articolo V. 

Delle Controversie oratorie,. 

La controversia oratoria altro non è, che il 
eouiras o di due proposizioni , una afFermiti- 
va, per esempio , fecisti , non feci ; jiire feci, 
non jure fecisti. E;l in materia morale, la glo- 
ria è un bene sommo , essa non lo è ; il rigore 
è giusto , il rigore noa è giusto. Onde chiara- 
mente ap[)arisce che la controversia non con- 
siste in altro, se non che in un contrasto di 
due proposizioni, nell’ una, delle quali si aller- 
lua ciò che si nega nell’ altra; 

Lo stato oratorio è poi il genere che na- 
sco dalla precedente controversia. Dunque la 
controversia est conjlictla caussarum -, lo stato 
est genus ([uceitionis , qaod' ex conjlictione 
resultat. Mi avendo Tullio ed i primi rotoli 



29 PARTE I. — INVENZIOSE. 

dclFinito lo staio con quella dciTinizione con cui 
dclliniscesi la controversia, e viceversa avendo 
dcdinila la controversia con quella dcQini- 
zione con cui dclliniscesi lo stato; noi pren- 
deremo in lutto questo riepilogo la contro- 
versia per la medasima cosa , che lo stato ; 
c delTmendo e dividendo gli stati , intendere- 
mo dellinire e dividere la controversia. 

Tre sono adunque gli stati oralorj , o siano 
controversie ; c questo perchè tre egualmente 
sono le cose dubbie (i;. 11 primo è di con- 
gettura, Jtn sit. Il secondo è di deflinizione, 
Quid sit. Il terzo di qualità ; Quale siL Ed ' 
in fatti tutt’i dubbj riduconsi a tre soli, cioè 
se la cosa sia ( an sii ) ; se le si adatti quel 
nome . e quella propricù ( quid sit ) ; se le 
convenga quella qualità ( qualis sit ). Così 
venendo uno incolpato d’ aver fatta la tale azio- 
ne, se risponde : non feci, nasce lo stato con- 
getturale; se risponde, quod feci non est hoc , 
nasce lo stato delTinitivo ; se risponde, quod 
feci,jure factum est , nasce lo stalo di qualità. 

Cominciando adunque dallo stato Congettu- 
rale, in esso la cosa conlrovericsi per tre tempi, 

(in sii, an fai, an futura sit: onde lo stato 
congetturale risultar deve dal precedente con- 
trasto sopra qualche fallo o passalo , o pre- 
sente , o futuro. Le sue quislioni sono tre : an 
sit ; qua caussa id ejfecerit ; an res ab eo 
quod est , mutari possit in aliud. La prima 


(i) Quaestiones tripartitae sunt , curri an sit ; aut 
guid si/ : aut , quale sit, guaeriiur. TJarum primum 
ronjecitira , secundam, deiìnilione,' tertium ,\a\\se\. 
injuiiae disiinclione explicatur. — Cicer. Topic. cap 3. 


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rARTE L — INVENOTONE. 2^ 

qmsiionc congetlurale riguarda il passato il 

presente , c ’l futuro ^ come anche il possibile; 
La seconda quistione non si muove sul latto, 
già certo , ma sulla sua origine ; per esem- 
pio , certa t la morte d’Alessandro , ma se nfr 
cerca 1’ origine. La terxa quistione non >nuo- 
vesi sopra una cosa certa per la 'sua origine, 
ma solamente se possa cangiarsi j per esempio,, 
certo è che Pietro- è vizioso nw cercasi se 
lo stesso possa cangiarsi dt vizioso. in. virtuoso. 

Lo statoDeflìnitivo è quello in cui contro- 
vertesi il nome del fatto.. Varie sono le sue 
divisioni, ma noi le tralasceremo,. limitando^ 
ci a dire che altro k semplice ^ ed altro è 
doppio. Il semplice è quello in cui si con- 
troverte se ad un fatto si adatti un nome , 
come se 1’ ambire un posto debbasi chiamare 
ambizione. Il doppio è quello in. cui si con- 
troverte se allo stesso fatto , oltre quel nome , 
gliene competa un’ altro, come nel citato csem- 
])io , se oltre il nome d’ambizione , gli com- 
peta quello di superbia. 

Lo stato Qualitativo è quello in cui contro- 
vertesi la qualità del fitto.Le qualità sono sei : 
Giusto , Ingiusto , Onesto , Turpe, Utile, Dan- 
noso, alle quali si |)nò. aggiungere il facile , 
e ’l possibile. Questo stato «lividesi in negozialo 
e giuridiziale. Il JNcgoziale è quello, che na- 
sce dalla precedente controversia sopra la qua- 
lità della cosa fumra , o sia della cosa di farsi. 
Per esempio, cercasi, se dehbansi seppellire i 
Barbari ,■ che nella battaglia di iMaraiona fu- 
rono trucidati. Questa è una cosa futura , di 
cui cercandosi se sia utile, se giusta, se one- 
■sla ; P utilità, la giustizia c l’ onestà sono quali- 
tà negoziali, su cui appoggiasi lo sialo negoziale 


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S4 PARTE I. — INVENZIONE. 

detto con altro nome stato prammatico. Lo stato 
Giuridiziale è quello che nasce dalla precederne 
controversia sopra la qualità della cosa fatta, 
come nell’ esempio arrecato , cercandosi se il 
fatto d’ essersi sepellili sia stato j>iusto , utile , 
ed onesto ; quindi la giustizia , 1’ onestà e 1’ 
utilità diconsi qualità gjuridiziali su di cui è 
fondato lo stato Giuridiziale , il quale divi- 
desi in assoluto ed in aasuntivo. 

Lo stato Giuridiziale assoluto è quello na- 
scente dalla precedente controversia sopra la 
qualità, per la quale confessasi il fatto volon- 
tario , ma si controverte che il fatto sia giu- 
sto : per esempio , Milone confessa d’aver ucciso 
Clodio , ma dice jure occidi. 

Lo stato Giuridiziale assuntivo è quello che 
nasce dalla precedente controversia sopra la 
qualità per la quale si giustifica non il eseguito, 
ma la volontà e 1’ animo con cui è stalo fiuto. 
Quattro poi sono gli stati assuntivi , cioè di 
Compensazione, di Recriminazione, di Tra- 
slazione , c di Concessione. Il primo , che ad- 
dimandasi anche di Comparazione , è quello 
nascente da una precedente controversia sopra 
la qualità della comparazione, la quale serve 
di colore per iscusare un fatto che per se stesso 
sarebbe ingiusto : per esempio, Sanile accusalo 
di non aver esterminate tutte le sostanze de- 
gli Ameliciii , si scusa dicendo , d’ aver ciò 
fatto , perchè restasse una parte della preda 
pc ’l sacrifizio. Il secondo nasce da una pre- 
cedente controversiar sopra la qualità dell’ offeso 
o di qualche altra persona appartenente al- 
1’ offeso , e serve di motivo e di colore per 
iscusare e giustificare 1’ offesa. Così Gioabbo 
si scusa d’ aver ucciso Assalonne , dicendo 


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INVENZIONE. 


25 


parte I. 

cbe era un fij'llo traditore. 11 terzo nasce da 
una precederne controversia o 'sopra qualche 
cosa , in cui tr isferiscesi la culpa , .c ciò 
in due maniere. Nell’ una attribuendo la ca- 
f^ione del delitto o ad altra persona o ad al- 
tra cosa. Come fece Adamo , il quale si scusò 
con incolpar la moglie , e questa il serpente. 
Nell’ altra dimostrando , che la cosa imputa- 
tagli a delitto non è s|)ettanle nè a se , nè 
alla sua autorità , nè al suo ulTieio ; come fece 
Caino, allorché ricercato del. fratello ucciso, 
rispose non essere suouQicio il tener diradi lui. 
Il quarto nasce da una precedente controversia 
sulla qualità dell’animo, con cui uno confessa d’a- 
ver commesso un fatto : e questo stato ha due 
parli, una è la Purgazione , poiché con essa jmr- 
gasi il delitto , attribuendolo alla necessità , 
al caso , alla imprudenza ; come fece Davidde 
allorché , incolpato di aver numeralo il po- 
polo , disse d’ aver peccato per ignoranza. L’al- 
tra è la Deprecazione, con cui non si purga 
il delitto , ma solamente domandasi perdo- 
no ; ed a questo capo di controversia ricorse 
lo stesso Davide per Uria. 

Avvertiamo inoltre che lo stato di qualità, altro 
è di qualità semplice , ed è quando si coniro- 
troverte una sola qualità o ai giustizia o di 
oaesià o di utilità , ed altro è di qualità com- 
parata (i) , la qual comparazione può farsi o 
nelle persone o nc’ fatti , cercandosi se una 
persona sia o per merito o per altra qua- 


(i) Curri autern quaeritur q tiare quid sii, ani 
sim/j/iciter quaeritur , aut comparaie. Cicero, Topic. 

Clip. su. 


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l’ARTE I. — INVENZIONI’. 


sG 

lilà maggiore di un’ altra ^ e di azione se si i 
jiiìt giusta , se più utile se più onesta d’ un’ 
altra. 

Finalmente, oltre le sin ora spiegate contro- 
versie , se ne danno alcune , che chiamaiisi 
controversie d’ azione , nelle quali i litiganti 
lianno per fine d’ intraprendere o di lasciare 
alcuna azione. Per esempio, se debbasi invadere 
l’ impero Turco ; se Cicerone sia da eleggersi 
accusatore di G,Verre;se debbansi fuggire le 
occa.sioni pericolose; se debbansi rimettere le 
ingiurie ricevute Tutte questesono quisiioni di 
azioni, per trattare le quali conviene preva- 
lersi destre stati , cioè Congetturale , Defliniti- 
vo , e Qualitativo , i quali tre stati da’ retori 
chiamansi stati di cognizione- Per esempio, nella 
quistione di azione : Se debbasi invadere l’ im- 
pero Turco; per manifestar il dubbio di que- 
sta controvexsia , conviene servirsi degli stati 
di cognizione , e quindi : Se possa farsi ? Come 
s’ invaderà quello impero ? Che quantità di 
soldati vi necessiteranno? Quali ostacoli sono 
da superarsi ? Queste sono tutte controversie 
congetturali per mezzo delle quali si può trat- 
tare lo stato principale detto di azione. Mede- 
simamente si possono muovere per lo stesso fi- 
ne altre controversie di qualità, e cercare se 
sia utile invadere P impero Turco; se giusto, 
se lodevole ec. ]Nè può darsi controversia di 
azione nella r|uale non vi sia sempre mai in- 
clusa una qualche controversia di cognizione ; 
e questa è 1’ unica ragione , per cui la qui- 
stione d’ Azione, non costituisce uno stato di- 
verso dai tre stati di cognizione. 


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PARTI'. I. — INVENZIONE. 


27 


Articoi-o vi. 

Ogni proposizione aseunta da un oratore 
deve avere stato , ed esser soggetta a con- 
troversia. 

Indarno parlerebbe un oratore se assumesse 
a provare una proposizione non soggiacente ad 
alcuni controversia: così, per esempio, se l’ac- 
cusatore di iMiloue avesse assunto a provare 
che Milone avesse ticciso Clodio , la sua fa- 
tica sarebbe stata inutile, dappoicliè Tullio non 
negava che il suo cliente avesse ucciso Clodio , 
ma sosteneva d’ averlo giustamente ucciso. Quin- 
di, per parlare con profitto, doveva Taccusatore 
di Milone prendere per assunto ciò eh’ era 
per negare Tullio. In conseguenza ogni oratore 
deve prendere assunti controversi , e contrasta- 
ti , o che suppone contrastarsi dagli uditori; 
altrimenti parlerà senza interessare nè punto , 
nè poco coloro eh’ ci vuol trarre al suo partito. 

Per eseguirsi questo importantissimo inscgJia- 
mento , uopo è die 1’ oratore prevegga i punti 
die potranno essergli contrastali, e sopra que- 
sti distenda i suoi argomenti , i quali debbono 
eliminare ogni ostacolo dall’ animo degli ascol- 
tanti. 

Questo artiflzro è stato praticato da Cicerone, 
da Demostene , e da tanti altri valenti ora- 
tori. Demostene , per esempio, nella prima ora- 
zione contro Filippo il Macedone vuol persua- 
dere agli Ateniesi di preparare la guerra con- 
tro quel Re ; e per arrivare a tanto, prende 
per assunto quello appunto che veniva con- 
trastato da’ suoi avversar). Costoro dicevano , 


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28 TAIITE I. — INVENZIONE. 

che per una tale guerra richiede vasi un grjn- 
de apparato , che superava Jo stato jircscntc 
della jRepuhLlica; che vi volevano soldati molto 
più , che la Repubblica non fos-c in isialo di 
arrollare; che in fine abbisognava gran de- 
naro mollo più di quello che la Rc|)ubblica 
avesse il comodo di accumulare. Demostene 
adunque si propone di voler dimostrare , che 
nè per la grandezza dell’ apparalo , nè per la 
moltitudine de’ soldati, nè per la provvisione 
del denaro debbano, gli Ateniesi ritirarsi dal 
muovere guerra a Filippo , e prende questo 
assunto. Quanto facile sia 1’ apparato della guer- 
ra , quanto facile il mettere in campo un suf- 
ficiente numero di soldati, e quanto facile in 
fine il ritrovar danaro. 

Avvertasi, che l’insegnamento finora dato non 
può aver luogo nè nei panegirici, nè nelle ora- 
zioni il cui oggetto sia la lode ; ma gli assunti 
di tali orazioni esser debbono sempre fondati 
su qualche qualith comparata , ovvero sull’ ec- 
cesso. E sebbene in simili discorsi non sievi al- 
cuno che contenda la .sostanza delle cose o la 

a ualiià delle medesime, nulladimeno la gran- 
ezza , o sia 1’ eccesso , il quale ordinariamente 
suole assumersi a provare dall’ oratore , è ciò 
che superando 1’ opinione degli uditori , fa che 
tutti questi assunti abbiano eziandio stato detto 
da Aristotile di quan/ìlà , e da Quintiliano di 
qualità de summo genere. 


I 


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PAUTE I. — INTENZIONE. 


29 


Articolo VII. 

Quale orazione possa aver due stati y 
e quale non possa averli. 

L’ orazione può costare d’ un capo solo , o 
di più. Se d’ uno , diccsi Caussa simplex ; 
se di più capi, Caussa copulata o sia con- 
juncta. Per esempio proponendosi a parlare del 
furto latto da V'erre a Leonida , sarebbe causa 
semplice ; se poi si parlasse de’ furti fatti dallo 
stesso Verre a Leonida , a’Mameriini e ad Apol- 
lonio , sarebbe causa congiunta In conseguenza 
la causa sem[)Iice ba un solo stato; quella com- 
posta ha tanti stati principali , quanti sono i 
punti che si contrastano. Quindi, se 1’ oratore 
si proponesse di dimostrare che Verre non- ha 
ricevuto denaro nè da Leonida , nè da’ Mamer- 
tini, nè da Apollonio, l’orazione avrebbe tre 
stali congetturali diversi , perchè tre falli ven- 
gono contrastati. Nelle orazioni esornative vi 
sono tanti stati , quante sono le virtù che si 
propongono ; perciò 1’ oratore il quale volesse 
discorrere sopra la l'ortczza , la clemenza , 1’ in- 
gegno di qualche Eroe, costituirebbe tanti stati 
quante sono le virtù ( 1 ). 


( 1 ) Sarebbe qui il luogo di doversi parlare degli 
arlilizj cui devcsi 1’ oratore servire in ogni sialo, per- 
chè 1’ ordine delle cose il richiederebbe; ma noi però 
abbiamo credulo dover prima additare le varie lonti 
ove debbansi aiiiiigerc gli argomenti per facilitare la 
pratica di questo artiGzio. 


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parte I. — INVENZIONE. 


oo 

Articolo Vili. 

De luoghi onde si prendono gli argomenti 
per provare le prupo'iizioni , sieno di qua- 
, lunque controversia si vogliano. 

Questi luo^bi sono quattro , cioè Generali , 
di Comparazioni., Circostanze, e Rimoti. 

Art I c o l o IX. 

Dei luoghi Generali. 


Pi ima luogo: delle Cause. 

Quattro sono le cause ; una dicesi Mate- 
riale, 1’ altra Formale, la terza Eflicicnte , e 
la quarta Finale. La Materiale è quella , ex 
qua aliquid fil. Lattanzio prova dalla causa 
Materiale che il mondo ebbe principio , e che 
debbe avere il suo fine ; il che dimostra dal- 
r esser questo composto d’una materia ,la quale 
soijjjiace a mutazione ed a corruzione. iSelle 
iodi può servir molto F argomento preso dalla 
causa materiale , potendosi ogni opera lodare 
dalla qualità e preziosità della materia di cui 
è composta : lo stesso dicasi de’ biasimi. Per 
esempio , Cicerone servesi di questo luogo per 
esagerare sopra i furti di C. \erre, e ciò con 
rilevare il valore della materia di cui eran com- 
poste le coso rubate. Notisi , che quando si 


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PAnTE I. — INVENZIONE. 5l 

1( ciano le scien7.e dall’ ogf^ello intorno a cui 
vcilono , l’ argomento dicesi preso dalla materia. 

La causa Formale è quella , per mezzo della 
quale le cose acquistano il loro perl’etiivo e di- 
stintivo dalle altre. £ quando dalla materia non 
si può trovare argomento pc’l nostro proposito, 
si può ricorrere alla forma. Se si volesse pro- 
vare che noa devesi temere la morte , si può 
provare dall’essere 1’ anima , eh’ è forma dell’uo- 
mo , immortale. Gli oratori però ordinariamente 
non argomentano dalle forme intrinseche ed 
occulte ; ma dalle estrinseche ed accidentali , 
come dall’ estrinseca formazione dell’uomo, delle 
statue , e di qualunque altra cosa naturale o 
artifìziale. 

La causa Elficiente è un principio attivo 
di qualche cosa : e questo principio o è crea- 
tivo , come Dio, o cotìservativo , come l’aria e 
r alimento , che nell’ ordine da Dio stabilito 
conservano gli animali, e le leggi che conser- 
vano gli stati ; 0 distruttivo , come le febbri , 
le intemperanze, che cagionano la morte; ov- 
vero cllictentc , il quale o è libero, come l’uomo, 
che opera , o è necessario , come il fuoco , 
che riscalda. Nell’ orazione prò Marcello Tullio 
prova , che Cesare è più glorioso per la sua 
clemenza , che pel suo valore ; perchè delle 
opere di clemenza egli solo è la causa effi- 
ciente , non COSI in quelle che riguardano il 
suo valore , alle quali hanno avuto parte e i 
soldati e gli altri capitani subalterni. 

La causa Finale è quella , in grazia della 
quale si opera ; e di questa causa sarà fatta 
parola nel luogo detto Circostanze. 


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PARTE I. — INVENZIONE.' 




Secondo, luogo : degli Efieui. 

Sorto gli Effeili quelli , die traggono la pro- 
pria origine dalle cause, senza le quali non si 
possono trovare : così Cicerone nell’ottava filip- 
])ica prova , die la contesa che passava tra 
ÀJarco Antonio e la Repubblica , era una vera 
guerra, e lo dimostra dagli effetti della guerra: 
che però espone la oppressione di Bruto Con- 
sole designato ; 1’ assedio di Modena, colonia del 
Popolo Romano , il saccheggio della Gallia , 
provincia soggetta alla Repubblica. Tutt’ i vizj, 
le virtù , e le passioni umane si possono esporre 
da’ loro effetti. Poirehbcsi, per esempio, lodare 
la sapienza esponendola da’ suoi effetti, col dire: 
Essa è quella che tempera 1’ ira , che frena 
la lingua mordace, che governa la mente, che 
mantiene la pace. 

Terzo luogo : de’ Conscguenti. 

t Conspgtienti , a differenza degli effetti, so- 
gliono essere estranei alla cosa cui diconsi con- 
seguenti. Come per esempio; la superbia è con- 
scguente della potenza , la lussuria è conse- 
guente dell’ozio, la gelosia dell’amore, la lode 
della virtù , il premio di un giusto giu- 
dice, conscguente delle opere virtuose. Or tutti 
questi diconsi conseguenti c non effetti, perchè 
non provengono' dall’ intrinseca natura delle 
cose. Se uii oratore volesse provare che dalla 
dottrina provviene del bene , potrebbe pro- 
varlo dal conscguente * eh’ è l’invidia. Non v’è 
cosa che non possa provarsi per mezzo de’ con- 
scguenti , r uso de’ quali è poco dissimile da 


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PARTE I. — INVENZIONE. 35 

quello dogli cffelli , i quali molte volle con- 
siderati sotto varii riguardi possono ad un tempo 
stesso chiamarsi effetti e insieme conseguenti. 

Da questo spiegalo luogo è facile intendere 
r altro degli antecedenti e de’coneomiianti, per- 
chè quelli diconsi anlccedentii, quali precedono la 
cosa , c quelli diconsi concomitanti , che ac- 
compagnano la cosa; ma poiché siffatti ante- 
cedenti e concomitanti prendonsi ordinaria- 
mente dalle cii costanze o della persona o della 
cosa , lasciamo di farne menzione in questo 
articolo, in cui parliamo solo dei luoghi ge- 
nerali . 

Quarto luogo : del Genere. 

Ciò eh’ è più universale c più comune di- 
ecsi genere, l'cr esempio, la virtù è un genere, 
perchè tiene sotto di se la giustizia , la tempe- 
ranza , la fortezza. Si argomenterebbe pari- 
mente dal genere, se volendo lodare la fortezza 
di Catone Uticense , 1’ oratore si fermasse a 
lodare la fortezza considerata in se stessa. Ma 
bisogna intanto osservare che molli a’ quali non 
riesce il rinvenire prove immediate del soggetto 
su cui discorrono, hanno ricorso a questo luogo, 
e tanto vi si fermano , che stancano la pazien- 
za di chi legge o di chi ascolta. Devesi discor- 
rere, per cagion d’ esempio, della castilù di Su- 
sanna , adunque a che serve trattenersi tanto 
sulle lodi della castità in generale , e poco o 
quasi nulla occuparsi dell’ eroismo di Susanna 
in particolare ? 

Cicerone prò Roselo A merino argomenta dal 
genere , quando mettcsi a rilevare 1’ orridezza 
del parricidio ; e ciò per potere da quella de- 
durre 1’ invcrisimililudine , che un tal delitto 

3 


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54 PARTE I. — invenzione. 

Stato fosse commesso da Sesto Roselo , giovane 
da lui descritto d’ ottimi costumi. 

• Quinto luogo : de’ Repugnanli. 

Sono i repugnanti quelli che non possono 
stare insieme, e sono molto propri! a convin- 
cere l’ avversario. Se uno, per esempio , si van- 
tasse d' essere virtuoso , e che poi le sue 
azibni non fossero tali ; 1’ oratore argo men- 
tando da queste azioni, verrebbe ad argomen- 
tare da’ repugnanli. 

Sesto luogo : dell’ Autorità , o sia Hei judicalae. 

Quando 1’ oratore in prova , o in conferma di 
qualche sua proposizione arreca il giudizio , 
il parere , il sentimento degli uomini dotti , e 
versati nelle scienze e nelle arti , allora egli 
argomenta da questo luogo. Per esempio, dal- 
1’ avere Marco Marcello, capitano valorosissimo 
e religiosissimo, giudicato che i tempii di Si- 
racusa, città nemica espugnata a forza d’ ar- 
mi , non dovessero spogliarsi degli ornamenti 
loro, conchiude Cicerone quanto empio sia G. 
Verre, che fece togliere da’ medesimi tempii di 
Siracusa tutti gli ornamenti in tempo di pace, 
ed in tempo che i Siracusani erano amici. Os- 
serviamo, prima di chiudere questo articolo, che 
gli argomenti tratti da’ luoghi soprindicati ven- 
gono chiamali da’ varii retori , Argomenti apo- 
dittici, dal Greco a.voSstKXtMs , e da’ Latini , 
argumenti ad probandum , cui docendum , ad 
confirmandurn. 


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rA«TE I. — INVENZIONE. 


35 


Articolo X. 

De' luoghi di comparazione. 


Dell’ Esempio. ' 

L’ Esempio altro è vero, altro è immagi- 
nato. L’ esempio vero contiene cose da noi fatte 
quo res gestas narramus ; e degli esempj veri 
sono piene le storie. L’ esempio immaginario 
contiene cose finte da noi, quo nos ipsi fingi- 
mUs , aìiquid perinde ut gestum^ come la fa 
vola. L’ apologo più frequentato dall’ orato- 
re, è la finzione. Questa si definisce esse- 
re una proposizione certamente falsa , la quale 
si assume come vera nel caso possibile. Quindi 
nella finzione la cosa attualmente non c , ma 
si finge che sia . o perchè poteva essere , o 
perchè potrebbe essere diversamente. 

Ermogene chiama la finzione anche suddivi- 
sione , im quanto che considerando la cosa in 
altri tempi , in altre circostanze , la considera- 
zione nel caso attuale c fiilsa , ma è vera nel 
caso possibile. Come dicendo , se Achille si fosse 
ritrovato a’ tempi di Alessandro , avrebbe tolta 
la gloria a questo Eroe. Se Giulio Cesare ora 
vivesse, non sarebbe maggiore de’ nostri Im- 
peratori. Veniamo ad un altro esempio : Se uno 
volesse persuadere a’ Romani d’ ergere in Cam- 
pidoglio una statua a Cesare , potrebbe ciò ese- 
guire con questa ed altre simili finzionit Se 
Cesare fosse uomo già morto da 5oo anni , ed 
io vi narrassi che ha fatte per la Repubblica 


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36 PATITE i. — INVENZIONE. 

queste ed altre bravure , voi giudichereste 
<lie gli si dovj-sse alzare una statua in Cam- 
, pidoglio ; ed ora , perchè vive , non giudiche- 
iclc, che per cagione delie stesse gesta gli 
si debba alzare la statua ? Questo è quel grande 
artifizio , con cui si possono illustrare tutte le 
proposizioni , e per mezzo di cui si possono ren- 
dere vive , sensibili e popolari j nel che con- 
siste l’ artifìcio maggiore dell’ oratoria : ma nelle 
illustrazioni, ciò sarà più spiegato distintamente. 

Artifizio di servirsi dell’ esempio per argomentare a 
Miijori ad Minus , a Minori, ad Majus , a pari 
contrariia. 

Prima di far conoscere questo artificio, con- 
viene spiegare in che consistono le quattro ar- 
gomentazioni dette comunemente di compara- 
zione. L’ argomentazione per tanto a majori ad 
minus è quella in cui da una cosa più pro- 
■ bahile , inferiscesi la proposizione negativa meno 
probabile. Per esempio , se non abbiano potuto 
sopportare Cesare uomo di tanta virtù, soppor- 
teremo ]>oi Marco Antonio abbandonalo ad ogni 
sorta d’ iniquità ? L’ argomentazione a minori 
ad majus è quando si . argomenta da una pro- 
posizione meno probabile ad un’ altra più pro- 
babile. Per esempio, i Romani per una piccola 
ingiuria si sono vendicati della città di Corin- 
to ; dunque costoro per una maggiore ingiuria 
debbono vendicarsi di Mitridate. 

L’argomentazione a pari è .alFatto simile all’ argomenta- 
zione ai exemplo. 

L’ argomentazione a contrariis è ancb’ essa 
simile all'argomentazione ab exemplo. Se l’o- 


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PARTE I. — mVENZIONE. 37 

ratorc volesse, per cagion d’ esempio, provare 
«he dalla guerra nascono tuli’ i mali , potrcMie 
provare la proposizione da’ conlrar j , cioè , dalla 

5 are contraria alla guerra , dimostrando che 
alla pace nascono luti’ i LenL Vedute le ar-. 
gomeutazioui di comparazione , veniamo ora alla 
spiegazione dell' artifizio di sapersi prevalere del- 
r esempio per riuscire nelle dette argomenta- 
zioni. Questo artifizio per tanto consiste nel ri- 
trovare il più , il meno , l’ eguale , il contra- 
rio , e di poi nel riflettere alla proposizione che 
v’ è nella circostanza , che serve d’ antecedente 
all’ esempio. 

Pongasi questa argomentazione ab exemplo. 
Alessandro, ) resa ch’ebbe la Grecia , s’ impos- 
sessò della Persia ; dunque se i Persiani lasce- 
lanno che il re di Macedonia prenda la Gre- 
cia, presa la Grecia , prenderà anche la Persia. 


Dal Minore al Maggiore. 

Aggiungasi all’ antecedente qualche circo- 
stanza per cui diventi proposizione del meno 
e qualche altra circostanza al conscguente , per 
cui diventi proposizione del più : per esempio. 
Se Alessandro con pochi soldati e con picco- 
lo equipaggio , quand’ ebbe presa la Grecia , 
conquistò la Persia ; dunque tanto più il re 
di Macedonia con moltitudine di soldati c 
con grande equipaggio, presa che avrà la Gre- 
cia, conquisterà la Persia. 


Dal Maggiore al Minore. 

Aggiungasi una circostanza allo antecedente 
per cui diventi proposizione del j)iù , cd una 



38 . PARTE I. — INVENZION.E. 

circostanza al conseguente , per cui diventi pro- 
posizione del meno : per esempio , Se presa che 
fu la Grecia non si potè far resistenza ad Ales- 
sandro, uomo di mediocre valore , cd egli poi 
s’ impossessò della Persia; dunque presa che 
ora sarà la Grecia , molto meno si potrà resi- 
stere al re di Macedonia , uomo valoroso , sic- 
ché non s’ impadronisca della Persia. 

Dal Pari. 

una eguale circostanza all’ ante- 
ai conseguente : per esempio , Se 
Alessandro, con ottantamila cavalli e seicento- 
mila fami , presa eh’ ebbe la Grecia s’ impos- 
sesso della Persia ; non è da dubitarsi che il 
re di Macedonia con cgnal numero di soldati, 
preso che avrà la Grecia s’ impadronirà della 
Persia. 


Aggiungasi 
cedente ed 


Da’ Contrarii. 

Conviene esaminare 1’ aniccedenle in modo 
contrario, figurando l’effetto contrario, se si 
fosse posta la cosa contraria , indi ricavarne 
la conchiusione come ricavasi dall’ argomento 
ad esempio. Eccolo: Se i Persiani avessero im- 
pedito cne Alessandro non si fosse impadronito 
della Grecia , non si sarebbe di poi questo 
Duce impossessato della Persia ; Dunque se i 
medesimi Persiani non impediranno che il re 
di Macedonia s’ impadronisca della Grecia , que- 
sti s’ impadronirà di poi della Persia. 

Siffatta maniera .d’ argomentare facendo cre- 
scere e decrescere una proposizione, è subli- 
me c conducente alla persuasione ; per cui co- 


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PARTE L — INVENZIONE. 3y 

loro i quali vogliono aspirare all’ eloquenza , 
debbono rendersene padroni. 

Articolo XI. 

I 

De' Luoghi delle circostanze , che ’^sono 
proprj dell* oratore , e della controversia 
Congetturale. 

' Della Gircostanza della cagione. , 

Cagione è lutto ciò per T cIGcacia della qua- 
le una cosa avviene , ma qui però intendiamo, 
parlare del motivo impellente, che determina 
.r Agente ad un’-azionej 

Cicerone la chiama cireostanza inseparabile 
dal fatto , c per conseguenza continente il fatto: 
perchè provato ; che essa vi sia, si prova an- 
cora il fatto, provato che essa non vi sia, si 
prova non esserv’ il fatto. 

La cagione si divide in. cagione d’ impulso, 
cd in cagione di raziocinio^ 

La prima è quella , che muove ad un fatto 
senza piena precedente riflessione , delibera- 
zione : e può essere di due sorti , interna 
ed esterna. L’ interna è quella eh’ è dentro 
di noi , come l’ ira 1’ odio , 1’ amore , e per 
dir breve , c^ni passione e perturbazione 
dell’ animo , che ci muove ad intrapren- 
dere qualche fatto. L’ esterna è quella eh’ è 
fuori di noi , qual’ è la potenza de’ grandi la 
forza , il comando , il dominio altrui , che 
ci violenta ad eseguire qualche fallo. — 'La se- 
conda è quella , che muove ad un fatto in 


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4o PARTE I. — INVENZIONE. 

virtù d' una piena precedente deliberazione ; c 
questa consiste nella speranza di conseguir 
qualche bene, o d’ accrescerlo , e di conser- 
varlo , o di fuggire qualche male : onde 

1’ utile , e ’l danno sono ordinariamente gli 
oggetti da cui costituisccsi questa cagione. 
È da riflettersi , che i motivi d^ impulso , 
o di raziocinio si possono argomentare da 
tutte le circostanze personali, di cui faremo ap- 
presso parola , a motivo che uno può muo- 
versi a qualche cosa o per educazione , o 

{ >er patria , o per lo stalo ec. Inoltre tutte 
e circostanze attribuite ad un fatto , possono 
essere cagioni d^ impulso , o di raziocinio ; per 
esempio , una ingiuria fatta in luogo pubblico 
può essere motivo di risentimento , e questa 
circostanza del luogo può essere ancora motivo 
di raziocinio, perchè 1’ ingiuriato può riflet- 
tere all’ onore e all’ utile che gli risulterebbe 
dal reclamare contro una ingiuria fallagli in 
un luogo pubblico. Similmente il modo può 
essere motivo d’ impulso e di raziocinio , per- 
chè da una ingiuria futa in presenza altrui 
uno può muoversi ad ira ad odio per lo scorno, 
o pensare a provocarne vendetta dalla giustizia 
per soddisfare al suo onore ; e così pure il me- 
desimo dicasi di tulle le altre circostanze at- 
tribuite a’ falli. . t 

Si noli che questa fonte d’argomenti appar- 
tiene a quella che da’ retori vicn detta Apo- 
diltici-Pratici , Intrinseci. 

rtelle circosiauze della persona 

Le persone altre sono quelle ch’entrano mi 
soggetto di cui si discorre , le quali sono 1’ ora- 
tore , il reo , il clieniolo, il giudice , i icslinio- 


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parte I. — rNVESZTONE. 4l 

nj; ed altre quelle che sono separate dal siij;- 
{^etto , dal giudizio , in lode o biasimo , 
delle quali i giudici muovonsi. Ma sia qualun- 
que la persona, le sue circostanze sono dieci: 
nome, natura, vitto, fortuna, abito , alTezionc 
studio, fatti, casi, detti. 

11 nome è quello eh’ è proprio della cosa 
cui quel vocabolo è attribuito , o sia uomo , o 
sia città, o sia provincia. Così dicesi: Tito Cle- 
mente, Scipione Invitto, Roma Guerriera, Sparta 
Sapiente. 

La natura è quella la quale fa che una per- 
sona ci paja più atta d' un altra a fare qualche 
cosa. Sei sono le sue parti : età , sesso , forza, 
figura , nazione , proprietà. 

II vitto è quel diletto di vita , con cui ognuno 
0 vive o visse, e dividesi in educazione , uso , c 
costume. 

La fortuna è una mutazione delle cose o di 
prospere in avverse, o di avverse in prospere, 
in cui si considerano la ricchezza, la potenza , 
gli onori , ed i loro contrari. 

L’ abito è una perfezione di animo o di corpo 
acquistala conio studio, o con l’industria. l'Iel- 
1’ abito si considera no tutte le virtù e tuli’ i 
vizj acquistati , che difficilmente possono sepa- 
rarsi o dall’animo o dal corpo. Gli abili dell’ ani- 
mo sono le arti, le scienze, come anche le virtù, 
le quali sono prudenza,- giustizia , fortezza, c 
temperanza ec. Gli abili del corpo sono l’arto 
di correre , di cavalcare , di portar pesi oc. 

L’ affezione disiinguesi dall’ abito in quanto 
che l’ abito difficilmente si rimuove dal corpo , 
o dall’ anima , c l’aft’czione facilmente. 

Lo studio è un’ occujiazione veemente di qual- 
che cosa , che si fa con sommo diletto. Sotto 


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43 PARTB 1. XNVENZfONE. 

questa circostanza si considerano tutte le oc- 
cupazioni nelle arti, nelle scienze, ne’ giuochi, 
ne’ piaceri; e non solamente le occupazioni reali, 
ma quelle che sono di sola immaginazione 
c di sola opinione. 

1 fatti, i casi, i detti si considerano in ordine 
a tre tempi, al passato , al presente , ed al- 
l’ avvenire. 

Alle circostanze della persona si possono ag- 
giungere gli otto luoghi insegnate da Aristotile 
i quali sono : Si solus , si primus , si cum 
paucis , si praecipue , si tempore opportuno, 
si crebro . si novos honores sit consequutus, 
si comparatus praeponatur. 

Tutti questi otto luoghi possonsi applicare 
alle sopra dichiarate circostanze. Per esempio 
se dicessimo; Socrate è saggio, saggio sarebbe 
circostanza del nome , potrebbe cercarsi se sia 
saggio con pochi , se sia egli principalmente 
saggio, se siasi meritato questo nome, per es- 
sere stato in tempo opportuno , se per avere 
molte volte dimostrata la sua sapienza , se per 
esser saggio abbia .'tequistato nuovi onori , se 
in questo nome debba preferirsi ad ogni altro. 

èssendosi spiegate le circostanze personali , le 
quali sono un campo vastissimo per 1’ oratore, 
uopo è che veggiaino come l’ oratore possa av- 
valersene nelle congetture. 

1.” Dal nome di raro si congettura la po- 
tenza, la volontà, ed il fatto: pure quando 
il nome proviene da qualche azione spettante 
a vizio o a virtù , in tal caso serve anch’ essa 
per congetturare. Per esempio , colui che a ca- 
gione di eroiche azioni avrà meritato il nome 
di Saggio di Grande , è probabile che abbia 
potuto c voluto fare , e che abbia fatto qual- 
che cosa da grande , da saggio- 


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PARTE I. — INVENzroNE. 45 

2." Dalla natura e prima dall’ età si cavano 
le congetture per argomentare la potenza , la 
volontà ed il fatto ; e si distingue in giova- 
nezza j in virilità , ed in vecchiezza , e da cia- 
scuna età si possono trarre le congetture, per- 
chè altrimenti opra un giovane , che un vec - 
chio, 6' diversamente uno di età virile , che 
ì vecchi ed i giovani. Secondo, dal sesso si con- 
gettura , che sia più facile in un uomo il furto, 
che in una donna , ed al contrario il venefizio 
più facile in una donna , che in un uomo. 
Medesimamente si congettura che la donna sia 
più incostante dell’ uomo , e che facilmente muti 
opinione. Terzo, dalla forza si congettura che 
il forte non sia stato assalito dal debole. Quarto, 
dalla figura si congettura , che di pessima fì- 
sonomia abbia commesso il delitto , di cui è 
accusato. Quinto, dalla nazione si congettura , 
che quello eh'’ è probabile in un Barbaro non 
sia vcrisimile in un incivilito. Sesto, dalla pro- 
prietà, col qual nome intendonsi tutt’ i comodi 
e gl’incomodi che abbiamo dalla natura, come 
sarebbe l’essere uno robusto o gracile, grande 
o piccolo, bello o brutto , veloce o lento ; e da 
tutte queste circostanze si argomenta se la per- 
sona abbia potuto , abbia voluto , abbia fatto. 

3.0 Dal vitto. In questo si considerano 1’ e- 
ducazione, i genitori, i maestri, i consiglieri, 
gli amici , la maniera del vestire il costume . 

4.“ Dalla fortuna. E si congettura il fatto 
ed il non fatto, perchè i ricchi, i potenti, i 
nobili hanno adottali costumi diversi da quelli 
de’ plebei, de’ poveri, degli abietti e de’ mi- 
seri ; che perù operando diversamente un ricco 
da un povero , si congettura che un fatto il quale 
sia di un povero , non possa essere di un ricco. 


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44 PARTE I. INVENZIONE. 

5 . ® Dall’ abito si congettura che colui il quale 
ha avuto un abito , lo abbia c sia per durar- 
gli sino alla morte. Così, un uomo abituato sì 
ad una virtù , che ad un vizio , si congettu- 
rerà ragionevolmente che quell’ uomo voglia es- 
sere per continuare negli atti dell’ abito. 

6. ® Dall’ afiezione , e prima dall’ ira si con- 
gettura la vendetta, dalla mansuetudine il per- 
dono , dall’ audacia l’assalire, dal timore l’es- 
sere assalito , dalla speranza 1’ intraprendere , 
dalla disperazione un fatto precipitoso. 

7. ® Dallo studio. Per congetturare dalla circo- 
stanza dello studio conviene considerare quali 
sieno i costumi che ricevonsi dalle arti , dalle 
scienze , da’ giuochi , da’ piaceri : quali sieno , 
per esempio i costumi de’ poeti, de’ pittori, dei 
iìlosoG , degli oratori ec. lìitrovata 1’ occupa- 
zione della persona , è facile congetturare an, 
potuerit , an voluerit , an fecerit , perchè 
un fatto verisimile in un filosofo , non è tale 
in un contadino ; uno verisimile jn un soldato, 
non è tale in un ecclesiastico. Unendo poi 
alla circostanza dello studio la circostanza 
della cagione , può congetturarsi che uno , per 
esempio , occupalo cd applicalo nell’ arte mi- 
litare , se riceva ingiuria , die possa e voglia 
vendicarsi, assalendo aperiamenic l’ ingiurialorc. 

8. ° Da’ fatti le- 1 I 

g o j St prendono le congetture , 

Ì icrchò da un fatto passalo , si congettura un 
alto presente , cd il fatto che |)uò avvenire. 

10.“ Dagli accidenti , o sia da’ casi. Qui gli 
accidenti non si ]irendono per gli effetti cau- 
sali e Ibrtuiti , che non hanno origine dalle 
passioni dell’animo, perchè questi non servono 
a provare , ma solo ad esagerare. Per esem- 


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PATITE I. — INVENZrONE. 4$ 

pio, se una vergine accusasse colui che le rapì 
^ ioleniementc 1' onore , cd in quel mentre il 
ciclo tuonasse , potrebbe l’ oratore che prende 
le sue parti , esagerare sopra 1’ accidente se- 
guito , e trarne molte illazioni contro il reo. 
Quindi intendiamo quegli accidenti , che ca- 
gionano mutazioni nel corpo e nell’ animo del- 
la persona , durante il fatto , o prima , o dopo, 
c uà cui si possono ricavare molte congetture. 

Delle circostanze del latto. 

Il fatto è un complesso di tutto il negozio 
di cui si tratta , il quale suol essere congiunto 
a qualche segno o indizio , che serva di con- 
gettura per argomentare il fatto ; e 1’ artifizio 
di vincere nella controversia consiste nel dare 
verisimilitudine a quel segno o indizio. - 

Le circostanze che si considerano nell’ at- 
tuale esecuzione del fatto, c che sono inse- 
parabili dall’azione, sono cinque: luogo, tempo, 
occasione, modo e facoltà. Il luogo è un certo 
spazio comodo o incomodo per fare o non fare 
qualche cosa; e questo dividasi in due, nel 
naturale , e nell’ artifizialc. Il primo è uno spa- 
zio , che .sempre fu così , come Mare , Monte, 
Pianura , Fiume. Il secondo è uno spazio, che 
non sempre fu così, come Città , Casa ec : Il 
naturale dividesi in due, cioè nella quantità , 
nella qualità. Nella quantità si considera se lo spa- 
zio sia angusto, se ampio, se grande , se piccolo : 
e nella qualità si considera, se lo spazio sia decli- 
ve, se arduo, se aspro, se sassoso, se pieno d’al- 
beri ec. L’ aitifiziulc si divide in otto : nel pub- 
blico; come teatro , piazza; nel privato , come 
casa , villa ; nel sacro , come tempio ; nel pro- 
fano , come lupanare; nel religioso , come i se- 


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46 PARTE 1. — INVENZIONE. 

f tolcri de' maggiori ; nell’ intervallo , come se 
ontano , se vicino ; nella posizione , come se 
davanti se dopo ; nell’ abitazione, se frequentalo 
se deserto. E da tulle queste cose potrà con- 
getturarsi se un luogo sia stato opportuno per 
eseguirvi un fatto. 

11 tempo è uno spazio opportuno che con- * 
siderasi o per fare , o per non fare una cosa , 
come sarebbe giorno , mese ed anno. E da 
questa circostanza considerasi se la cosa si è 
latta o tardi o presto , se è antica , se è fa- 
volosa , se presente , se lontana. L’ occasione , 
è 1’ idonea comodità di fare o non fare una 
cosa ; e questa dividesi in tre cioè nella Na- 
turale , la quale è quella , che addiviene a tutti 
quasi nello stesso tempo , come notte , giorno , 
mietitura , vendemmia , caldo freddo. Nella 
statuita , la quale è quella che addiviene coi 
consiglio di un certo tempo determinato ; come 
in giorno festivo , in tempo di nozze etc. Nel- 
1’ accidentale, la quale è quella che addiviene 
a caso , come sarebbe in tempo di peste , di 
assedio, di fame etc. 

Il modo è quello per cui si considera in 
qual maniera sia fatta la cosa , ed ha due par- 
li : la prinia è prudenza , la seconda impru- 
denza ; le quali si congetturano o da’ motivi 
di raziocinio , ed allora il fatto è seguito con 
prudenza , o da molivi d’ impulso , ed allora 
è seguito con imprudenza. 

La facoltà considera la materia con cui la 
cosa poteva facilmente farsi ; come sarebbe se 
si cercasse come sia stato ucciso un uomo , o 
con la fune , o col ferro , o col laccio , o col 
veleno. In questa circostanza si considera tutto 
CIÒ che può concorrere 'a farcii fallo o asso- 


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PARTE I. — INVENZIONE. 4y 

Jutamcntc , o più facilmente. Quindi compren- 
desi la cagione efllciente ausiliaria istrumentalc, 
comprendesi tutta 1’ attività del reo ; cioè si 
comprendono gli amici, i servi, le ricchezze ; 
e per dir breve, tutt’ i l3eni di fortuna i quali 
anche servono di facoltà, o di fare assofuta- 
inente , o di fare più facilmente un fatto. 

Si avverta che queste due altre fonti d’ ar- 
gomenti appartengono eziandio a quelli che dai 
retori vengono chiamati Apodittici Pratici In- 
trinseci. 

Artico 1,0 XII. 

De' luoghi rimoti. 

I luoghi rimoli , ossiano gli argomenti ri- 
nioti, detti extrinseca ed assumpta da’Latini , 
secondo Quintiliano riduconsi a sei capi , leggi, 
fama , scritture , giuramento , tormenti , tesii- 
monj. Questi servono principalmente nel genere 
giudiziale. 

Leggi sono tutti gli statuti , i decreti , le 

prammatiche di un popolo per 

governarsi. L’ oratore le farà valere in maniera , 
che se ne vegga tutta la forza e lo spirito. Se 
poi queste leggi saranno contrarie al fatto , 
])otranno indebolirsi col confronto di altre leggi 
opposte , o colla contrarietà della consuetudi- 
ne, o con r ambiguità del loro senso. 

Fama , o sia la voce pubblica, si potrà con- 
fermare , dicendo esser come un oracolo che 
non s’ inganna così facilmente. 

Tavole , sono le scritture di qualunque sorta , 
come se fossero lettere , testamenti , donazioni , 
contratti , cessioni, da cui P oratore potrà trarre 
pruove per avvolorare il suo assunto, e ciò scm-r- ' 
pre in coerenza de’ codici di procedure, o ci- 
vili , o criminali. 


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48 PARTE I. — invenzione. 

Giuramento è 1’ alTermazionc o la negazione 
il' una cosa , convalidata col chiamare Dio in 
testimonio. È desso di grandissima forza , attesa 
la sua santità ; ma si ricordi però 1’ oratore 
del detto di iialviani plures inv-nies , qui sae- 
pius perjnrent y quam qui omnino non jurenL 

Tormenti, detti quaestiones o tormenta , sono 
que’ patimenti a’ quali si sottopongono gli ac- 
cusati per trarre la confe.ssione nel fatto. Que- 
sti sarebbero di grandissimo peso per far as- 
solvere o condannare un uomo : ma poiché si 
è veduto che alcuni innocenti per non .soDTrire 
mille sevizie si sono confessati rei d’ un misfat- 
to ; e molti altri , che quantunque rei , per 
la loro valida costituzione fìsica, avendo resi- 
stito alla forza de’ tormenti , si sono poi libe- 
rati dalla pena del giudizio ; così sono ormai 
•State tolte da’ tribunali dell’ Italia siffatte bar- 
bare usanze. 

Testimoni sono le persone , clic vengono 
chiamate in giudizio per attestare' col loro 
detto la verità su qualche delitto, L’ oratore 
adunque potrà servirsi delle dichiarazioni di 
tali testimoni per avvalorare la prova , ricor- 
dandosi però, che la lede da doversi prestare 
a’ testimoni è sempre proporzionata alla pro- 
bità , al disinteresse , al grado di cognizio- 
ne , c ad altre circostanze , che richiedonsi nella 
persona che depone , su di cui non ci di- 
lunghiamo , persuasi , che colui il quale as- 
sume le funzioni o di avvocato o di accusatore , 
avrà studiato i precetti delia Logica. 


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Parte I. — invenzione. 


49 


Articolo XIII. 

Artlfizii cui deve V oratore prevalersi in 
ciascuna controversia. 

Essendosi data la definizione c divisione di 
tulle Je controversie oratorie , qui altro non fa- 
remo che additare gli artifizj cui l’oratore ser- 
vir devesi in 'ciascuna controversia j sia conget- 
turale , sia qualitativa , sia deffinitiva. 

Stato Congetturale. 


Come rcndonsi verUimili le congetture. 

Si dev’ esporre sempre un fatto con qualche 
sogno , il quale dia motivo di fare che una 
persona venga chiamata in giudizio , il qual 
segno chiamasi colore. 

In conseguenza cerchiamo come dar si possa 
vcrisiraililudine a tuli’ i colori , o sieno segni , 
da cui d.ipendono le congetture. Ogni qualun- 
que segno pertanto, il quale serve di conget- 
tura, rendesi prima verisimile dalla circostanza 
di cagione. Volendosi perciò congetturare , che 
una persona sia rea di un fatto , convien cer- 
care se aveva ragione di farlo. È seguito l’omi- 
cidio di Ajace; cercasi se Ulisse ne sia l’ucci- 
sore , il quale lo ha sepellito nella selva di 
notte, il che serve di segno e di colore. Onde 
perdarvisi verisimìli indine, dee cercarsi se Ulisse 
avesse avuto motivo d’impulso per ucciderlo: 
per esempio , se ira , se odio contro Ajace j o 

4 


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5o PARTE I. — INVENZIONE. 

motivo di raziocinio, cioè se speranza di conseguir 
qualche onore , o favorire qualche amico eie. 

Quindi la circostanza della cagione è quella 
senza cui non può rendersi verisiniile alcuna 
congettura , o che riguardi il fatto, o che ri- 
guardi il possibile. 

Volendo dar poi verisimilitudine alla cagione, 
è da considerarsi l’ animo della persona , ossia 
la volontà, mentre potrebbe avvenire, che un 
uomo ricevesse una ingiuria , la quale sarebbe 
motivo di vendetta , ma che non avesse 1’ ani- 
mo di vendicarsi. L’ animo e la volontà si ar- 
gomentano dalle circostanze personali , e pro- 

I inamente da’ fatti passati , da delti , dal vitto, 
all’abito, e dallo studio. In questa guisa unen- 
dosi le circostanze della cagione, con quelle 
della volontà , il fitto della vendetta rendesi 
verisimile o inverisimile . 

Intanto non perdasi di mira il precetto di 
Cicerone e di (^intiliano, che per congettu- 
rare l’animo, conviene prevalersi di circostanze 
personali affini al fatto , come in un furto , la 
circostanza dell’ avarizia , in un fatto atroce, la 
circostanza della crudeltà , in un fatto d’ a- 
dulicrio , la circostanza dell’ età giovanile. 

Dopo essersi considerato 1’ animo , conviene 
considerare la potenza , potendo avvenire , che 
uno abbia avuto cagione ed animo di vendicarsi, 
e che poi gli sia mancata la potenza. Onde per 
congetturare la potenza , servono le circosianze 
della fortuna , dell’ età , del luogo, del tempo 
dell’ occasione. E qui avvertasi , che in tutte le 
circostanze da cui argomentasi la volontà e la 
potenza; devesi considerare il modo , esaminando 
se il modo col quale sia seguito un fatto , cor- 
risponda alle altre circostanze della persona , 


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PARTE Y — INVENZIONE. 5l 

perchè se un fatto per esempio sarà eseguilo con 
prudenza , con precauzione, con raziocinamento , 
e Ja persona accusata sarà rozza , ignorante , 
rustica , non è per avventura verisimilc che 
da una persona di tale sfera siesi eseguita un’a- 
zione con tanta prudenza. ' 

Lo stalo Congetturale 'è il proprio dell’ oratore. 

ISeir invenzione che è la parte più interes- 
sante deir eloquenza, lo stato congetturale è 
il proprio dell’ oratore , poiché da questo stato 
dipende il saper provare le controversie della 
cosa e del fatto , e la sottigliezza dell’ ingegno ; 
dappoiché dipendendo le congetture dalla in- 
venzione dell’ oratore , il quale da un indizio , 
da un segno inferir deve questa, e non quella 
conchiusione, ne siegue, che nelle congetture 
conoscesi 1’ acume , la mente , la facondia , 
la dottrina , 1’ eloquenza ■dell’ oratore. Tizio, 
per esempio, ha un coltello nelle mani; una 
parte congettura che abbia ucciso il nemico , 
ì’ altra coògeitura dall’ animo , dall’ indole , 
dallo studio e da altre cose personali , che 
quel coltello era per difesa , e non per of- 
foa ec. 

Noi adunque avveniamo , che senza questo 
artifizio, non è possibile ad un oratore di co- 
minciare , proseguire, ed ultimare qualunque 
orazione ; e questa è quella controversia sì uni- 
versale , che entra in tutte le altre. Può , è 
vero , un oratore formare un’ orazione senza la 
controversia di qualità , senza quella deffini- 
tiva ; ma non potrà giammai darsi il caso, che 
possa comporre un’ orazione giudiziale senza la 
controversia congetturale. 


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PARTE — I. INVEN7JONB. 


62 


Stalo di qualità negoziale. Luoghi dello stato negoziale. 

Le qualità più essenziali per cui propongonsi 
>e deliberazioni sono , 1’ utile, il possibile, Tone- 
sto , 1’ evento. L’ utilità è il motivo che , al 
dire di Aristotile , muove più a deliberare , che 
non farebbe la stessa giustizia ; e benché gli 
uditori dimostrino apertamente di muoversi 
jter cagione dell’ onesto , e per giustizia , in- 
ternamente però si muovono per cagione del- 
1’ utile. Quindi i motivi principalissimi , che 
servono per le cause deliberative sono 1’ utile , 
e’I danno ; questi sono que’ motivi ai quali si 
ajtpigliano più universalmente le persone popo- 
lari , che però sono più efficaci di qualunque 
altro motivo. 

La possibilità non è propriamente motivo per 
làr deliberare una cosa, ma è condizione , senza 
cui 1’ utile non sarebbe sufficiente motivo , per 
cui è anche da prendersi di mira. L’ onestà e 
la gloria è il motivo apparentemente più atto 
per far deliberare una cosa che non è l’utile. 

' Quindi dice Aristotile , che ognuno onestamente 
si muove più per la gloria, che per l’utile; 
laddove internamente ognuno si muove più 

f )er 1’ utile , che per la gloria. Ben è vero che 
e persone nobili soglionsi muovere più per 
r onestà e por la gloria, che per 1’ utile ; ed 
all’ incontro le jiersone plebee più per 1’ u- 
tile che per la gloria : che però se proponesi 
una cosa al popolo , devesi rappresentare più 
r utile, che la gloria; se si propone a’ nobili 
si deve rappresentare più la gloria, che l’utile. 

L’ evento fa che la quislione di qualità si 
raccolga pervia di congetture, perchè nell’evento 




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PARTE I. — INVENZIONE. 53 

si considera quid futurum sit , e ciò in due 
maniere. 

j.° Che qualunque sia per essere l’evento, 
fortunato o infelice , seguirà utile e gloria alla 
Repubblica. Per esempio, debbono i Romani 
muover guerra a Mitridate , sia che perdano , 
sia che vincano, sarà sempre utile e glorioso 
alla Repubblica l’aver intrapresa questa guerra; 
e qui non si controverte altra cosa se non che; 
Se da qualunque sarà per essere 1’ Evento , 
come la Repubblica sarà per conseguire utile 
e gloria. 

a." Che da tale evento seguirà il tale utile, 
è tale gloria , e dall’ evento contrario , il tale 
danno , la tale ignominia. Gli eventi sono 
quattro. 

1 . Se conserveremo i beni ; > ; . 

2 . Se acquisteremo i beni , che non al>- 
hiamo; 

5. Se ci libereremo da’ mali in cui ci tro- 
viamo ; 

4- Se fuggiremo i mali , da cui non siamo 
anche oppressi . 

Per fare adunque deliberare una cosa, deve 
1’ oratore servirsi d’ una delle sopraccennate 
qualità , la quale servirà di motivo per far 
intraprendere un’ azione, e qui dee considerare 
quella , che sia più elBcace per ottenere Tin- 
tento, osservando piuttosto la qualità che pre- 
vale nell’ opinione degli uditori , come 1’ uti-r 
Jità , e di. questa servesi per ridurre i mede- 
simi uditori ad intraprendere 1’ azione. Che se 
volesse prevalersi delle altre qualità e degli 
altri motivi , procuri l’oratore che in essi ap- 
paja inai sempre qualche molino derivante dal- 
V opinione degli uditori. 


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54 parte I. — INVENZIONE. 

Questa premura non sarebbe poi tanto ne- 
cessaria , quando si parlasse ad un’ adunanza 
di uomini illustri , o in dottrina , o in no- 
biltà di sangue , perchè con questi prevale 
r onesto , la giustiza e 1’ equità. 

Se la cosa da farsi è facile, debbonsi allora 
congiungere i motivi dell’ utile , e dell’ one- 
sto a questa condizione , e fermarsi nell’ am- 
plificazione della facilità , dimostrando per 
esempio in' questa proposizione : jitn Caeaar 
Brittaniam impugnata con quanta poca gente, 
con quanto poco denaro si possa effettuare l’im- 
presa ; come abbondi la repubblica di tutte 
quelle cose che servono per effettuarla ; quale 
sia il valore de’ soldati , quale sia il desiderio 
di combattere, in quali altri cimenti siensi ri- 
trovali : e quindi congiungendo lu facilità ai 
motivi dell’ utile e della gloria , tutti si risol- 
veranno a deliberare l’ impresa. 

Se la cosa da farsi sarà difficile, parlisi poco 
della difficoltà, e si ampliGchi l’uiile, l’onore- 
vole, l'onesto, congetturando dalla persona, dalla 
cagione, e dal fatto. Introdurrà 1’ oratore le 
suddivisioni d’ Ermogene, cioè che cosa seguirà 
non deliberando l' impresa ; che cosa sarebbe 
succeduto , se altri in un caso simile non avesse 
deliberata la cosa stessa ; da quali altre per- 
sone potrebbe disperarsi dell’impresa , in quale 
altro tempo , in quale altro luogo non dovreb- 
bes’ intraprendere ; ma che in questo tempo , 
in questo luogo, con queste persone vada in- 
trapresa . 


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■ l’ARTB I. — INTENZIONE. 


55 


AiiiCzj (li esporre le proposizioni , che hanno stato 
Negoziale. 

Il primo artifizio d’ esporre le proposizioni 
che himno stato negoziale consiste nel consi- 
derare tutte le cose alle (juali Tazione può essere 
relativa , eh’ è quanto a dire , lo circostan- 
ze delle persone j delle cagioni, e del fatto , 
ed amplificare quelle circostanze precise , le 
quali sono più adattate al motivo, da cui gli 
uditori debbono più indursi all’ azione, cioè a 
deliberare. Per esempio, se un oratore volesse 
persuadere Davide atl- intraprendere la batta- 
glia contro i Filistei , la battaglia sarebbe la 
cosa da persuadersi : converrebbe per tanto 
eh’ egli considerasse le persone , le cagioni a cui 
riferiscesi la battaglia, e poi le circostanze della 
stessa battaglia, in qual luogo , in qual tempo, 
in qual modo , con quali ajuli sia facile o 
difficile. Per ordine alle persone, i Filistei sono 
1. nemici implacabili degli Ebrei , a. oltraggia- 
tori del nome di Dio d’ Israel lo, 3. Confidano 
nella virtù menzognera d’ idoli insensati, 4- di' 
sprezzano la religione di Mosè, 5. Non ad altro 

t iensano che a rendere soggetta la nazione israe- 
itica . 

Quindi succederà e riputazione e gloria a 
lutti coloro che combatteranno conira simili 
empii e superbi nemici. Per ordine alla ca- 
gione , vanterà il premio proposto dal Re Sa- 
ul le di dare la sua figlia per moglie al cam- 
pione. Il secondo artifizio consiste nel conget- 
turare 1’ evento, cioè nel congetturare che cosi 
appunto la cosa seguirà. L’ evento è cosa dub- 
bia , la cosa dubbia devesi congetturare con 
qualche segno chiaro , manifesto , e conceduto. 


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56 PARTE I. — INVENZIONE. 

Quindi r ariifìzio di congetturare che Davide 
vincerà , il che è dubbio ed oscuro , consiste 
nel considerare s’egli abbia altre volte com- 
battuto con vantaggio , se persone o inferiori 
o eguali a lui abbiit vinto , e da questi se- 
gni certi inferire la proposizione dubbia ed 
oscura. 

Talora si rende all’ oratore proflitevole, prima 
di congetturare l’ evento , il dimostrare che l’a- 
zione e così onesta , così giusta , e di tale uti- 
lità , che si deve in ogni modo determinare , 
o che 1’ evento succeda , o che non succeda 
con prospera o con avversa fortuna , come sa- 
rebbe : per la patria si deve combattere , o 
che si vinca , o che si muoja. E per rendere 
il suo dire più atto a persuadere , potrà 1’ ora- 
xore rinvenire una condizione austera, tremen- 
da , e orribile, che in niun conto si può eleg- 
gere , e tuttavia una delle due dee eleggersi, 
o la cosa proposta , o la condizione ; e così se- 
guirà che l’uditore elegga la cosa e non la con- 
dizione. Per esempio, se uno vuol persuadere 
il perdono de’ nemici , e dice che devesi per- 
donare, che che ne avvenga alla riputazione 
umana , altrimenti ( ecco la condizione austera ) 
avrassi Dio Onnipotente per sempre nimico. 
Supposto .adunque, che i vendicativi non si fos- 
sero mossi a dar il perdono , nè per cagione 
del giusto , nè dell’ onesto , forse si muoveranuo 
per cagione dalla condizione austera. Quando 
gli uditori sono persuasi , che la cosa devesi eleg- 
gere per cagione d’ una condizione austera , tre- 
menda ed inseparabile , in tal caso congetturan- 
dosi poi l’ evento felice , la congettura oltre il 
credere diletta e piace. 


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PARTE I. — invenzione. 


67 


Stato Giaridiziale assoluto. 

Quanto si è detto in proposito di questo stalo, 
è sufficiente per sostenere una controversia ad 
esso spettante; si avverta intanto che 1’ oratore 
dovrà argomentare in esso dal dritto di natura, 
dal dritto pubblico , dalla consuetudine , dal- 
r equità, dal giudicato, e dal patto, serven- 
dosi degli stessi artifìzj della persona , della ca- 
gione , e del fatto ; le quali cose sarebbero no- 
iose a ripetersi. 

Stalo Giaridiziale assunlivo. 

Questo stato esser può o di comparazione, o di 
recriminazione , o di traslazione , o di conces- 
sione; quindi l'arfilìzio per poter confutare le 
scuse fondate sopra questi quattro diversi stali 
devesi attingere dalle congetture delle cagioni 
delle persone , de’ fatti , e da altre fonti che 
si offriranno all’ oratore per abbattere ogni pre- 
testo. 

Stato De£GiDÌtÌTo. 

Essendosi già fatta menzione di questo stato, 
qui altro non faremo , che additarne gli artifizj. 

Primo artifizio di deffinire e confermare 
la deffinizione. 

11 primo artifizio di deffinire, è di deffinire 
dal iàllo precisamente , e non dalle circostanze. 
Per esempio, un capitano con minori forze as- 
sale il nemico , ed ottiene vittoria ; 1’ oratore, 
che prende le parti d’ accusatore non considera 


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58 DARTE 1. — INVENZIONE. 

il fatto con la circostanza della vittoria , ma il 
fatto preciso d’aver assalito un nemico pifi forte, 
e dice ohe un capitano è stato temerario ; per- 
chè temerario è colui che assalisce un nemico 
più forte. Questa definizione la chiameremo di- 
minuta , perchè fondata- sul fatto , e non sulle 
circostanze. Per confermare simile deffinizione, 
conviene trovare la médesimezza ossia identità 
tra la cosa fatta, considerata secondo se stessa, 
e la stessa cosa fatta considerata con le circo- 
stanze : per e.sem[)io , il capitano che ha assa- 
lito il nemico con minori forze, ed ha ottenuto 
vittoria, è stato accusato per temerario, perchè 
temerario è colui che assalisce il nemico più 
forte. 

Con 1* artifizio fin ad ora dichiarato si risol- 
vono luti’ i p.aradossi , perchè dimostrando che 
da una diflìnizione sieguono gli stessi eiTctii , 
gli stessi conseguenti che sieguono dall’ altra, 
s’ inferisce subito , che una cosa lontana diventi 
prossima, e che l’azione incredibile, diventi 
verisimili. Cicerone, nella prima Filippica, di- 
mostra che tutt’ i cittadini , anzi tutt' i popo- 
lari possono dirsi Ottimati della città , e aef- 
finisce gli Ottimati dal fatto , cioè che gli Ot- 
timati sono quelli, i quali desiderano la pace 
e la quiete de’ cittadini. 

Secondo artifizio. 

L’ altro artifizio dì deffinire è deffinire dal 
fatto, e insieme dalle circostanze lasciate nella 
sua definizione da qualche altro oratore. Così 
invece di dire : Sacrilego è colui che ruba uii 
uomo in chiesa , dirà : Sacrilego è colui che 
ruba in chiesa cose sacre. E Cicerone nell’ o- 


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TAUTE I. — INVENZIONE. 5() 

razione contro Pisone, vuol defilnire, che cosa sia 
Console, e lo dcffinisce primieramente dal fatto 
solo , secondo P opinione dell’avversario, e dice; 
Stimi tu che il consolato si contenga ne’ lit- 
tori , nella toga, e nella pretesta? Poi lo def- 
finisce dal fatto con tutte le sue circostanze , 
secondo l’ opinione propria , e dice che bisogna 
essere Console con 1’ animo e coi consiglio , con 
la fede , con la gravità , e finalmente con ogni 
uffizio , che convenga al consolato. Indi fa ve- 
dere da tutte le azioni di Pisone, che non fu 
Console , perchè non è la stessa cosa la deffi- 
nizione dei fatto solo , e del fatto con tutte le 
circostanze ; non è la stessa cosa avere la toga 
pretesta, e le guardie senz’ altra dote dell’ ani- 
mo , ad avere la toga , la pretesta , le guar- 
die con l’ animo , col consiglio con la fede , 
con la gravità con la vigilanza, con tutte le 
perfezioni di colui ch’esercita il consolato. Di- 
mostra adunque che la deffinizione del conso- 
lato dal fatto solo , qual è la deffinizione di 
Pisone, è falsa, ed è tnrpe, perchè deffinire 
il Consolo dalla toga , dalia pretesta , e dai 
littori , è lo stesso , come volere nella toga , 
nella pretesta , e ne' littori uniti P animo , 
il consiglio , la fede , la gravità , la vigilanza 
del Console , che è non solo falso , ma turpe, 
perchè in simili cose se consistesse l’ essere Con- 
solo , seguirebbe che i ladri ed i nemici po- 
trebbero dirsi Consoli , potendo le altre cose ri- 
trovarsi ne’ ladri e ne’ nemici. 



Co PAUTE I. — INVENZIONE. 

ARTICOLO XIV. 

Uso delle controversie oratorie nelle orazioni 
esornative, ed accademiche. 

Orazioni esornative. 

Le orazioni esornative, che appartengono al 
genere dimostrativo, non di altro si costituti- 
scono , che di narrazioni e di amplificazioni ; 
poiché non si loda e non si biasima propriamente 
altra cosa, che l’azione derivante dalla virtù 
e dal vizio : conseguentemente ogni qualunque 
oratore , o sacro o profano , tanto nella lode, 
quanto nel biasimo , ha da narrar prima le 
azioni, e poi dev’entrare nelle loro amplifi- 
cazioni. La narrazione esser deve chiara , per- 
spicua, non <liminuta, non superflua, e sopra 
tutto verisimile , da cui 1’ uditore sia infor- 
mato perfettamente che Res sit. Onde pria 
d’ amplificare , e di far vedere la difficoltà del- 
1’ azione , l’ oratore ha necessariamente da far 
precedere la perspicua narrazione di essa. Con- 
viene inoltre , che distribuisca la narrazione 
de’ fatti in modo, che dopo la narrazione d’un 
fatto, passi all’ amplificazione , e così prose- 
guendo , onde tutto il discorso sia distribuito , 
e compartito di narrazioni e di amplificazioni, 
consistendo il giudizio dell’ oratore nel narrare, 
e 1’ eloquenza nell’ amplificare. Tulle le cose 
poi, generalmente parlando; possono lodarsi dal - 
1’ onestà , unica Ionie di tutte le lodi , come 
per lo contrario, possono vituperarsi dalla di- 
sonestà. Gli uomini posson lodarsi generalmente 
dalla nobiltà della loro anima , e dalla sor- 
prendente struttura del loro corpo. 


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PATIT13 I. — INVENZIONE. 6l 

Se poi volesse pariicolarmente lodarsi qualche 
personaggio, in due maniere, far ciò si potrebbe 
o seguendo 1’ ordine artificiale , o il naturale. 

L’ artifizialc si ba quando riduconsi tutte 
le lodi d’ una persona a determinati capi. Que- 
st’ ordine nel descrivere le lodi di alcuno , è 
il migliore , e più proprio per un oratore , 
come quello nel quale può campeggiare l’ elo- 
quenza , ed è suscettibile di rillessioni brillan- 
ti. Ad oggetto però che quello che si dice sia 
proprio , e ben adattato , ed anche ben pro- 
vato , è necessario che l’oratore percorra bene 
la storia del personaggio che prende a lo- 
dare , sì per assumere quelle virtù nelle quali 
si è più segnalato e distinto il suo Eroe , 
come per procurarsi 1’ apparato de’ fatti da por- 
tare in comprova del suo assunto. E questo 
r ordine seguito da Cicerone prò lege Manilia 
nel descrivere le Iodi di Pompeo , che riduce 
tutte alla scienza militare, al valore, all’ au- 
torità , cd alla facilità. 

11 naturale poi si ha quando descrivonsi le 
lodi di alcuno , seguendo la storia della sua 
vita. Acciocché però non degeneri in una sec- 
cantissima storia , bisogna avere l’ avvertenza 
di amplificare, di far delle digressioni. Ed af- 
finchè in questa seconda maniera andar possa 
con più ordine la cosa , è ben fatto dividere 
tutta la storia del personaggio che prendesi a 
lodare, in tre tempi, i. Avanti la nascita, a. Du- 
rante la vita , 3. Dopo la morte. 

Si avverta che in ciò l’oratore dev’ essere saga- 
ce , perchè incontrandosi nell’ Eroe delle cose 
che gli facciano poco onore, è d’ uopo o tacerle, 
o colorirle in modo che gli diano piuttosto lode, 
che biasimo. 


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Gì parte I. — INVEN'ZIONE. 

Nel tempo avanti la naseita eonsidcransi i 
portenti , la patria , i natali. Nel tempo della 
vita , le doti del corpo, come sanità, bellezza , 
forza, ricchezze , onori , cariche sosienute. Le 
doti dell animo conte la beneficenza, la giustizia , 
la religione , la fortezza. Nel momento della 
morte, il genere di morte, se placida , se dolce, 
se violente. Nel tempo dopo la morte, il pianto 
c ’l dolore de’ buoni , la felicità eterna che 
succede alla vita mortale , e tutto ciò che va 
in conto di virtù. 

Pe’ bruti , essi possono essere lodati per la 
grandezza , per la fortezza , per la fedeltà. 

, Le cose poi devono diversamente lodarsi, secondo 
la loro diversità. Abbiasi, per esempio, a lodare 
la religione. L’ artifizio a esporre e di ampli- 
ficare le qualità della religione in genere con- 
siste nel considerare il suo oggetto , ed ampli- 
ficarlo. L’ oggetto dunque della religione è Dio 
è tutto ciò che a Lui riferiscesi. Volendosi di- 
mostrare inoltre quanto più eccellente sia la 
nostra religione da quella de’ gentili, si esporrà 
che r oggetto della nostra è Dio , e gli og- 
getti delle altre sono le pietre , i genii ec. Oltre 
1’ esporre l’oggetto, potrassi considerare la sua 
origine , cioè donde essa nacque , da’ quali po- 
poli fu coltivata, di quale virtù, di quale in- 
dole, di quale rettitudine , di quale fedeltà 
sicno stati coloro che hanno operato secondo 
i principi della religione. Come la religione 
regoli gli uomini per ordine a Dio , per or- 
dine alla società, per ordine a se stessi. Cer- 
care i conseguenti che derivano dalla religione, 
cioè la felicità , la gloria , c tutt’ i beni utili 
e giocondi. Cercare ancora che cosa sarebbono 
gli uomini senza religione , ({ual divario pas- 


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PaIITE I. — INVENZIONE. 63 

serebbc fra essi e le fiere , quale trai boschi 
e le città popolate. 

Fatta così parola della religione in generale, 
■può passarsi a lodarla in ispecie, mercè un fatto 
particolare. In questo poi considerisi la fonte 
delle circostanze, cioè cagioni, persone e fatti. 
Scelgasi, per esempio, il sacrifizio di Jefte. Dalla 
persona. Le qualità della figliuola , e quelle 
del padre , il che offre un campo vastissimo 
per argomentare ed amplificare nello stesso 
tempo. 

Dalla cagione. La fedeltà dovuta a Dio, mo- 
strandosi quanto essa abbia preponderato sulla 
tenerezza paterna. 

Dal fatto. Le lagrime del padre , le lagrime 
de’ circostanti, l’ apparato del sacrifizio , ed altre 
infinite cose, che 1’ oratore potrà scegliere per 
dar risalto al suo assunto. 

Ciò che si è detto della religione, può fa- 
cilmente aprire la strada a lodare le altre cose. 
E sicuramente per le cose viziose potrassi con 
eguale successo argomentare prima in genere, e 
poi in ispecie, e dalle persone , e dalla cagione 
e dal fatto. 

AETICOIiO XV. 

Uso della controversia congetturale , deffini- 
Uva nelle orazioni accademiche. 

Le orazioni accademiche servono per lodarsi 
le scienze, o per risolversi de’ problemi morali 
atti ad esercitare i giovani nel comporre. 

In queste orazioni , quando si propone la 
controversia , ossia il problema , senza dubbio 
1’ assunto tanto dell’ uno, (Juanto dell’ altro ac- 



64 PARTE I. — invenzione. 

cademico deve avere stato. Per esempio , si 
propone , se allo stato sieno utili o i capitani, 
o gli oratori ; questo è problema cbe contie- 
ne lo stato d’ ulta controversia , sopra cui l’uno* 
degli accademici sostiene , che i capitani sieno 
più utili, l’altro sostiene l’opposto, che sieno 
più utili gli oratori ; e questa controversia ha 
stato di qualità comparata, e per provarla de- 
vesi dall’ una e dall’ altra parte ricorrere al- 
1’ utile. Ma tutta l’ utilità deve inferirsi da’luo- 
ghi dello statò congetturale, e dalle congetture. 
Quindi se una parte sostiene che 1’ utilità mag- 
giore derivi da’ capitani , deve ciò inferire 
dalle congetture prese dalle cagioni, dalle per- 
sone , e da’ fatti ; e quanto maggiori saran- 
no le congetture , tanto più renderassi ve- 
risimile che sieno ])iù utili i capitani , e cosi 
vadasi discorrendo, se si sosterrà dall’altra parte; 
di modo che tutta la materia dell’ utilità si 
prende dal genere deliberativo : ma tutto l’ar- 
tilizio d’ inferire la quistione di qualità dipende 
dallo stato congetturale, per mezzo di cui s’ 
inferisce o che i capitani , o che gli oratori sieno 
più utili. 

Succede alle volte, che nelle accademie, in 
cui si fanno discorsi sopra qualche parte della 
felicità, come sarebbe dell’ amicizia, della bel— 
le'i,za, dell’ avvenenza ec. si prendano assunti i 
quali hanno stato diffinitivo. Se l’oratore vorrà 
allora sostenere , che l’amicizia sia questa cosa 
e non quella, che la bellezza non sia cosa 
reale, ma opinativa ; in tal caso deve ricorrere 
agli artifizj insegnati nel capitolo dello stato dif— 
finitivo. Di ciò non istiamo a dare degli esempi!, 
essendosene a suo luogo soverchiamente discorso. 


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PARTE I. — INVENZIONE. 


65 


Come ti lodino >le Scienze. 

• 

• Le scienze , o speculative o pratiche , lodatisi 
dagli oggetti e da’ loro principj, e secondo la 
preferenza degli oggetti e de’principj una scien- 
za è all’ altra preferita. Chi vuol sapere se la 
Giurisprudenza sia preferibile alle altre scien- 
ze, deve considerare se la giustizia eh’ è il 
suo oggetto sia preferiia a tutte le altre virtù. 
Nella scienza s[>ecuiativa puossi considerare la 
dignità dell’ oggetto secondo se stesso , I’ uti- 
lità e ’l bene che ne possono derivare , l’ uni- 
versalità, r indipendenza de’prim ipj. Nella scien- 
za pratica si considera, 'oltre la dignità dell’og- 
getto e la fermezza de’ principj, anche la di- 
rezione della virtù , per cui la volontà è di- 
retta all’ azione che si riferisce al proprio og- 
getto. 

Se un oratore, per esempio, voglia lodare 
le _ Matematiche, che formano una scienza spe- 
culativa , deve riflettere all’ oggetto, eh’ è la 
quantità; alla certezza de’ princi|)j , come sa- 
rebbe , che il tutto è maggiore della parte ; 
alla universalità, come da questa sieno dipcn- 
' denti l’ astronomia , la musica , 1’ architettura ; 
alla utilità : ma non può già estendersi per ordi- 
ne alla direzione delia volontà , perchè di que- 
sta potenza essa non ha direzione alcuna. 

Per lo contrario , se un oratore voglia lo- 
dare la scienza cavalleresca, eh’ è scienza pra- 
tica , non solamente riQeiter deve all’ onore «h’è 
il suo oggetto; a’ principj , che sono quegli stes- 
si della civile e della morale; ed all’utile, 
cioè al benefìcio universale di tutte le città, 
di tutti i popoli , di tutte le nazioni , di tuitoi 

5 



66 • rAHTE I. — INVENZIONE. 

il mondo , da cui tolto 1’ onore nulla più è 
bastevole per la conservazione della perfetta so..- 
cietà umana : ma si ba stendere ancora alla 
direzione della volontà , in quanto che questa * 
scienza la dirige per via di giustizia , e di va- 
lore alle azioni convenevoli air oggetto suo, eh’ è 
r onore. 


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67 


PARTE II. 

JDisposlzione (i). 


La. disposizione oratoria, secondo Cicerone, 
altro • non è, che un’ ordinata distribuzione delle 
cose trovate , o pure, secondo Gorniiicio , un 
certo ordine , il quale dimostra come debbano 
collocarsi le parti dell’orazione. £d in fatti, a 
che servirebbe 1’ aver rinvenuta, una quantità 
di ragioni per provare un assunto , se un or- 
dine non si desse a queste ragioni ? Qual ca- 
pitano non amerebbe meglio di avere un’armata 
non molto numerosa, ma bene ordinata e di- 
sposta , che d’ avere un esercito immenso di 
forti soldati composto, ma indisciplinato e senza 
ordine? Ora per una simigliante ragione torna 
meglio un’ orazione non tanto ricca d’ orna- 
menti e di prove, ma ordinatamente disposta , 
che un’assai copiosa ed elegante, ma distesa 
alla rinfusa , e senza la' convenevole distribu- 
zione. 

Ciò posto , è da sapersi che due sono le 
parti essenziali dell’ orazione, cioè proposizio- 
ne , e prova : ma siccome potrebbero gli udi- 
tori inmtidirsi nell’udire la nuda proposizione, 
e poi la prova , così è stato inventato il proe- 
mio , o sia l’ esordio. Inoltre poiché tutti non 


(i) jépla rerum inventarum in ordinem dislribu- 
n'o. — Cicer. de ìnvent. Lib. I. cap. j. 


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« V 


68 PARTE II. — DISPOSIZIONE. 

restano espugnali dalle prove per approvare , 
e che 1’ uomo è soggetto a passioni ; così per 
iscuolerle si è avuto ricorso alla perorazione', 
la quale chiamasi anche mozione degli affetti, 
ed in altri casi Epilogo, come a suo luogo ve- 
dremo. Circa la narrazione , nel genere giudi- 
ziario è sempre necessaria , ma nel deliberativo 
e nel dimostrativo non ha luogo. In conse- 
guenza diremo esser cinque le pani d’uua ora- 
zione, vale a dire, esordio, proposizione, nar- 
razione, prova ( detta ancora argomentazione, 
ed in questa parte è compresa similmente la 
confutazione , fa quale non è che una prova ) , 
epilogo , o pérorazione. Ma non tutte queste 
parli sono nocessarie in ogni orazione , dipen- 
dendo ciò dal genere in cui parla o scrive l’ora- 
tore , e dalla materia che ha per le mani 

ARTICODO PRIMO. 

' Deir Esordio. 

L’ esordio è quella parte dell’ orazione per 
la quale c’ introduciamo .id esporre qualche cosa, 
preparando con ciò l’ animo dell’ uqitore al resto 
del discorso , ed è perciò che i maestri dell’arte 
vogliono che 1’ esordio sia ingegnoso , modesto , 
corto, e ricavato dalla essenza dell’orazione. 

Si propone 1’ esordio tre lini , cioè la bene- 
volenza, l’attenzione e la docilità. Per conci- 
liarsi la benevolenza degli uditori è d’uopo che 
lor mostri 1’ oratore che il suo oggetto è inti- 
mamente ligato con gl’interessi loro : come, per 
esempio , un pubblico parlatore , che mostrasse 
a’ suoi concittadini il pericolo in cui trovasi la 


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PARTE II. — DISPOSIZIONE. 69 

patria ; un oratore del pergamo , che intra- 
prendesse a dimostrare quanto la carità sia accet- 
ta a Dio , e finalmente tutt’ altra materia a cui 
partecipano i circostanlL Per destare l’ atten- 
zione può farsi qualche cenno dell’ imporuinza 
della dignità e della novità del soggetto^ dando 
qualche indizio della chiarezza e della preci- 
sione^ con cui vogliamo trattarlo, e della bre- 
vità in cui intendiamo di contenerci. Per ren- 
dere finalmente docili gli uditori o sia disposti 
a lasciarsi persuadere, converrà prima distrug- 
gere ogni prevenzione che possano aver con- 
cetta contro la causa o contro la parte che 
noi abbracciamo. Ma non in tutti gii esord^ 
è d’ uopo conciliarsi la benevolenza , 1’ atten- 
zione, e la docilità ; ciò dipende dui soggetto 
elle P oratore avrà per le mani. 

Sarà poi l’esordio ingegnoso quando farà co- 
noscere moderatamente il talento , il genio , il 
buon senso dell’ oratore , in modo , che faccia 
travedere ciò che debba seguire , e decida 
l’uditore ad ascoltare con attenzione. 

Sarà modesto se P oratore avrà l’ arte di non 
far campeggiare ad un tratto tutto il suo ta- 
lento , e tutta la sua dottrina ; dappoiché Pamor 
proprio degli ascoltanti è soggetto ad esser fe- 
rito, ed in conseguenza bisogna molta sagacilà per 
fare i primi passi senza dispiacere. Si distinguono 
due esordj , cioè generale ossia principio , c 
particolare ossia insinuazione. Il generale, dice 
Tullio, è quello in cui l’oratore chiaramente, 
e subito rende P uditore affezionato , docile, at- 
tento, e nel quale espone pienamente l’oggetto 
del suo discorso. Il particolare è quello in cui 
P oratóre con giri di parole , e dissimulata- 
mente procura d’ entrare nell’animo delPudi- 


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rjo PAUTB IL — DISPOSIZIONE. 

tore; come fece Cicerone contro Rullo in pro- 
posito dalla le{>{>e Agraria. Traitavasi d’una legge 
proposta dal Tribuno Rullo, la quale favoriva 
il popolo, c pure Tullio usa tanto artifizio, 
impugnando questa legge, che strascina la mol- 
titudine, anche prima di addurre le prove per 
rigettarla. Negli esordj particolari comprendesi 
ancora l’esordio detto exabrupto , ed è quando 
r oratore essendo investito da un vivo dolore, 
da una grande gioja , o dallo sdegno violente, 

0 da qualche cosa nuova che si presenti alla sua 
mente, al suo sguardo, ad un tratto prorompe 
con una invettiva, con una esclamazione, o con 
altra figura veemente , come fece Cicerone al- 
lorché stando in senato , e disponendosi a par- 
lare contro L. Catilina , entra colà Catilina. 

1 senatori sono spaventati , l’oratore stesso trema 
dapprima; ma quindi investito dal furore, in- 
drizzàndo la parola al traditore, gli dice : Quo 
usque tandem , Catilina , abutere patientia 
nostra ? £ fino a quando o Catilina , abuse- 
rai tu della nostra sofferenza ? 

De’ luoghi , onde «i ricavano gli Esordj generali. 

Gli esordj generali si possono licavare da 
quattro luoghi, cioè 

1 . Dall’ oratore. 

a. Dal cliente. 

3. Dall’avversario. 

4> Dalla stessa causa. 


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PARTE IL — DfSPOSIZrOSE. 


71 


Dall’ Oratore. 

Dimostrando essere tale il suo dovere , la 
sua gratitudine ( 1 ). 

а . Esponendo senza arroganza ed ostentazione 
quali sìeno sta.li i suoi uQizi verso lo stato ( 2 ). 

5 . Protestando essersi mosso ad intraprendere 
la causa per vero zelo delia salute pubblica y 
e del bene comune (5). . 

4. Dimostrandosi premuroso del bene degli 
uditori. 

5. Esponendo i ptoprj incomodi^ cioè pover- 
tà , solitudine y miseria ( 4 )> 

б . Facendo valere le diOicoltà incontrate nel- 
r assumere la causa (5). 

7 . Implorando 1’ altrtii sovvenimcnto , con 
protestarsi y che ne’ giudici è- riposta tutta la 
nostra speranza > e che abbandonati da loro non 
sappiamo a chi far ricorso ( 6 j.. 

Dagli Avversar^. 

Procacciando contro gli avversar] 1* odio , il 
disprezzo , r invidia d^li uditori. Rendonsi 
poi odiosi gli avversar] , esponendo qual- 
che loro fatto , che sia ributtante , superbo , 
perfido , crudele , temerario , malizioso , scel-^ 
lerato ( 7 ). 


f i) Pro tirchia. 

1) Pro Fiacco. 

(2) Pro C. Rabisio. 

^4) Pro Pub. Sylla. 

( 5 ) Pro Pub. Quintio. 

(6Ì Pro Milone. 

(7) Pro Roscoo AruerirìO: 


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79 rAIlTB n. — BISFOSTSnOME. 

Si rendono invidiati , esponendo la forza , la 

f iotenza , il rarlito , la ricchezza , la nobiltà , 
e aderenze, le protezioni, le amicizie ,le paren-^ 
tele , facendo vedere che gli avversarii assai 
pili confidano in queste coso , che nella ve- 
rità della causa. Si rendono finalmente spre- 
gevoli esponendo la loro pigrizia, negligenza, 
come anche un certo modo di vivere assai vile 
ed indegno. 


Dagli Uditori. 

1. Commendando senza adulazione le cose da 
essi fatte con valore e sapere , con magnifi- 
cenza e mansuetudine (i). 

s. Amplificando i bcnelizj da loro ottenuti (i). 

3 . Esponendo in quanta stima sieno presso 
la società , e come tutti sieno in aspettazione 
della loro rettitudine. 

Dalla Causa. 

Con rilevare dalla propria causa quello che 
v’ è d’ onesto e d’ utile , dimostrando all’ in- 
contro la causa dell' avversario del tutto iniqua, 
turpe , e sommamente pregiudizievole al bene 
pubblico. 

Oltre i luoghi surriferiti, awene degli altri, , 
i quali servono per formare gli csordj in que- 
ste tre circostanze di tempo. 

1. Quando di già la causa ha alienato dal» 
r oratore gli animi degli uditori. 


(ij Pro Quinùo, 
{Sì) Pro Milane, 


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PARTB II. — ; JDISPOSIZIONB. ^5 

a. Quando scorgesi , che gli uditori sono già 
stati persuasi dall’ oratore contrario , che ha fa- 
vellato in primo luogo. 

5. Quando sono gli uditori già stanchi di 

f »ìù ascoltare. Nel primo caso per procacciarsi 
a loro benevolenza ed attenzione , si può ri- 
correre a’ seguenti luoghi. 

Se il pregiudizio della causa nasce dal fatto, 
si può far ricorso alla persona , la quale per 
essere stata per io passato di tanto giovamento 
alla Repubblica , non merita ora a essere ri- 
dotta a pericolo della vita. Se il pregiudizio 
nasce dalla persona , come avverreobe , se si 
pretendesse , che ad una persona vile si ergesse 
una statua , in tal caso potrebbe 1’ oratore in- 
sinuarsi negli animi degli uditori , rilevando la 
cosa , c dimostrandola di tal condizione , che 
porti di sua natura il non doversi avere riguardo 
alla vile condizione della persona , ma bensì 
alla grandezza del benefìzio per suo mezzo ot- 
tenuto. 

Quando finalmente 1’ orazione dell’ avversa- 
rio ha già retiduti persuasi gli uditori, e per 
tali cagioni sono con l’animo da noi alieni, 
devesi procacciare la benevolenza e l’atten- 
zione. 

, 1 . Con promettere di voler rispondere esat- 
tamente a quell’ argomento su cui 1’ avversa- 
rio ha fondato la sua causa. 

a. Prevalendosi della dubitazione , e dicendo 
di non sapere a che appigliarsi , e ciò che ri- 
spondere. Quando gli uditori sono stanchi di 
più ascoltare , e sono per tal cagione non di- 
sposti ad udire il nostro discorso , farà l’ ora- 
tore ricorso a qualche apologo o favola per 
eccitare il riso. 



74 


PARTE II. DISPOSIZIONE. 


Articolo II. 

Artifizio di formare gli Esordj particolari. 

L’ esordio particolare da noi già defHnito , 
essendo stato da alcuni retori diviso in quat> 
Irò classi , cioè Insinuazione , Exabrupto , Di- 
retto, ed Indiretto; e trovando noi questa divisio- 
ne utilissima , per vie maggiormente spianare 
la strada a’ giovani compositori , a questa un 
poco ci arrestiamo. Dell’esordio per Insinuazione 
e di quello Exabrupto abbiamo già fatto cenno: 
quindi diremo qualche cosa degli altri due , e 
prima del Diretto. 

Dicesi esordio particolare Diretto quando ciò 
che in ispecie trattasi nella proposizione di as- 
sunto , in genere se ne discorre nell’ esordio : 
per esempio, avendo a lodarsi la castità di Su- 
sanna , nell’ esordio mi metto a- lodare la ca- 
stità in generale , oppure la virtù nella quale, 
come nel suo genere è compresa la castità. Di- 
cesi poi esordio particolare Indiretto , quando 
ciò che nel genere, assume l’oratore nella pro- 
posizione , in ispecie lo tratta nell’esordio: sic- 
ché avendo a discorrere sull’ amore della pa- 
tria, nell’ esordio si riferisse con arte oratoria 
il fatto di Muzio. Scevola , o di Orazio Coelite. 
Bisogna però por mente a ben congiungere il 
proemio con la proposizione , perchè da que- 
sta congiunzione dipende il maraviglioso effetto 
di questi esordj. E quando Cicerone biasima gli 
esordj separati , egli intende parlar di quelli 
che non sono con maestrìa uniti all’ assunto , 
ma non già di quelli , che qn.-mtnnque sepa- 


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PARTE 11. — DISPOSIZIONE. 'j5 

Tali, vengono dall’ oratoro uniti alla proposi - 
z one con feliciti ; e di questi secondi pirla con 
vantaggio Aàsiotile , adducendo 1’ esempio del- 
l’esordio d’ Isocrate nella orazione in lode di Et 
lena. 11 voler poi determinare quale esordio aver 
debba un’orazione del genere deliberativo, quale 
quella del giudiziale , e quale quella del di- ‘ 
mostraiivo , sarebbe lo stesso d’ inceppar la 
mente di colui che deve formarlo , onde lo 
lasciamo in piena libertà dell’ oratore , il quale 
dopo aver tracciatò il suo assunto , gìudicberà 
quale più gli convenga di dover porre in prin- 
cipio della sua orazione. 

Arte di formare gli Esordj preoccapando. 

L’oratore deve bene immaginare eguale sia l’o- 
pinione dell’uditorio, quale l’ opinione che ha 
della materia ; se pensi che sia ardua, non giu- 
sta , odiosa. Quale opinione del tempo , del luo- 
go, delle persone , se pensi che la materia sia 
da trattarsi in altro luogo , in altro tempo , o 
avanti ad altre persone. Quale opinione abbia 
di lui , che parla , se pensi eh’ egli non sia 
di quella età , di quella prudenza , di quel 
consiglio , di quella sapienza , che necessite- 
rebbe in colui che avesse a trattare e a discor- 
rere sopra siffatta materia. Preceduta 1’ opi- 
nione dell’ uditorio , bisogna colpirlo con qual- 
che forma di cominciare , mediante la quale 
esso conosca d’ essere stato prevenuto j il che 
farà che gli uditori rimangano tosto guadagnati 
dalla prudenza e dall’accortezza dell’oratore. 
Quando l’oratore si serve delle forme del preoc- 
cupare , può dimostrare qualche sua passione 
secondo che porta la qualità della' materia su 


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76 PARTI! If. — DISPOSIZIONE. 

cui discorre. Se la materia è ardua , odiosa , 
pregiudicata, potrà servirsi di quelle forme di 
preoccupare , che manifestino il suo timore , se' 
la materia sarà utile, grata, piacevole, potrà ser- 
virsi di quelle forme di dire, che manifestino 
la sua letizia. L’ artifizio del preoccupare serve 
dal princìpio del discorso sino alla fine , pei>> 
chè sempre fa bisogno in qualche luogo un pic- 
colo preambolo prima d’ entrare nel discorso 
Questa preoccupazione poi può aver luogo. 

1 . Per passare con grazia da una considera- 
zione ad un’ altra ; 

а. Per togliere un pregiudizio; 

3. Per togliere 1’ odiosità ; 

4. Per dire qualche cosa strana ; 

б. Fingendo timore d’aver a espugnare le ra- 
gioni degli avversar]. 

Questo è quel grande artifizio col quale l’o- 
ratore tende insidie a’ suoi uditori , onde muo- 
verli secondo voglia. Da questo grande artifi- 
zio dipende il farsi conoscere uomo saggio e pru- 
dente , di buon costume, di buona indole. 

Precetti da osservarsi io ogni sorta d’ Esordio. 

Perchè un esordio qualunque sia fatto se- 
condo le regole dell’ arte oratoria bisogna por 
mente alle seguenti cose : 

1 . Non dev’ essere 1’ Esordio volgare , e co- 
mune, vale a dire che sia cosi proprio ed unito 
con lutto il resto dell’ orazione , che non possa 
adattarsi ad altri; ed il miglior mezzo è di aver 
presente questo precetto di Cicerone : « Con- 
j) siderate tutte le cose , allora finalmente bi- 
J> sogna pensare a quello che deve prima dir- 
y> si , cioè di quale esordio debba servirini. E se 


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PARTE IL — DISPOSIZIONE. 77 

li qualche volta ho voluto cercarlo a principio, 

» non mi si è presentato nulla' che non fosse 
» o esile, o frivole, o volgare ». 

3 . Devesi usare nell’ esordio ogni accura- 
tezza nel dire , e le espressioni più ricercate 
<]ui hanno il loro luogo ; poiché essendo gli 
uditori in questo momento più disposti a cri- 
ticare , non potendosi ancora occupare del sog> 
getto , che punto non conoscono , la loro at- 
tenzione è tutta ri volta alio stile , ed alla ma- 
niera di dire. Adunque una corretta natura- 
lezza , una elegante semplicità , sono il con- 
venevole carattere di un esordio. 

3 . Una moderata umiltà , la quale deve a 
principio mostrare 1 ’ oratore non solamente nel- 
r espressione, ma in tutte le sue maniere , negli 
sguardi, e nel tuono della voce. Ma questa umiltà 
non vuol essere bassezza cd abjezione ; poiché 
deve l’oratore accoppiare all’ umiltà una certa 
dignità procedente dalla persuasione, della giu- , 
stizia ed importanza del soggetto che è per 
trattare. In qualche circostanza potrà prorom- 
pere con un tuono alto ed ardito, come quando 
si levi a difendere una causa già molto scre- 
ditata nel pubblico , dove un cominciamento 
troppo modesto potrebbe prendersi come con- 
fessione di colpa. Con 1’ ardimento , o con la 
robustezza dell’esordio dev’egli allora sforzarsi 
d’ arrestare la taccia che ha contro di se , e 
rimuovere le prevenzioni , affrontandole senza 
timore. 

4 . Comùnemente però 1’ esordio vuol es- 
essere condotto in una maniera placida , e pa- 
rata, e ben di rado la veemenza e la passione 
vi può aver luogo , eccetto se il soggetto sia 
tale , che il ricordarla solamente desti qualche 


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PARTE II. _ m.SPOSIZlONE. 

gagliardo loovinieiiio ed aSetto , e I’ ioaspel- 
tata presenza di qualche persona , o di qual- 
che cosa faccia prorompere 1' oratore in una 
invettiva , come si disse per 1’ Exabrupto. 

6. Non devesi introdurre nello esordio veruna 
parte sostanziale del soggetto ; alirimcnii ver- 
rebbe a trattarsi un argomento due volte. 

6. Finalmente , vogliono essere gli esordj pro- 
porzionati all’orazione, e non farsi che ad una 
statuetta mettasi una grossa testa, che ne op- 
prima il busto. 

i." Modo di formare l’Esordio. 

Ermogene dice , che tre partì principali aver 
deve 1’ esordio , cioè la proposizione , fa quale 
è come la base del proemio^ l’assunzione, ossia 
Teddizione , con- cui 1’ oratore in virtù della 
prima proposizione , ne ripiglia e ne assume 
un’ altra ; e l’esito, che è una conclusione , 
mediante la quale il proemio si unisce al- 
1’ assunto principale dell’orazione. Alla propo- 
sizione , ed all’ assunzione si può aggiungere 
la loro ragione , ma le parti principali sono 
le tre accennate. 

Esempio (Boccaccio). 

Ogni vizio può in gravissima noja tornare di 
colui che 1’ usa ; e molte volte d’ altrui : 

E‘ tra gli altri , che con più abbandonate 
redini ne trasporta ne’ nostri pericoli , mi pare 
che l’ ira sia quello. 

La quale ni un’ altra cosa è, che un movi- 
mento subito ed inconsiderato , da sentita tri- 
stizia sospinto , il quale ogni ragione cacciata , 


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parte I. — INVENZIONE. 

e glij occhi della meme avendo di tenebre of- 
fuscali , in ferventissimo furore accende l’anima 
nostra ec. ec. ec. 

Acciocché da quella con più forte petto ci 
guardiamo , il caso di tre giovani , e di al- 
trettante donne, per l’ira a’ una di loro di- 
venuto infelicissimo , intendo di mostrarvi. 

2 .° Modo. 

Considerala , e riflettuta la proposizione del- 
la quale 1’ oratore far deve la sua orazione, 
ne caverà ia ragione , formandone lEniime- 
ma , facendo andare avanti 1' antecedente , e 
dopo la sua prova con qualche illustrazione , 
se vi cadrà a proposito ; e dopo conchiudendo 
col conseguente , che conterrà la proposizione 
dell’ orazione. Alle volte 1’ oratore fa seguire 
alla proposizione certe proprie digressioni; il 
che e molto lodevole, facendo semprepiù cam- 
peggiare 1’ eloquenza. £ finalmente potrebbe 
anche farsi 1’ esordio in un Sillogismo Ora- 
torio. 


Articoi. 0 IlL 
Della Proposizione. 

La proposizione è quella nella quale 1’ ora- 
tore assume qualche cosa da provare, ed è quella 
in cui tanquam in cardine tota vertitur ora- 
tib. Va essa dopo l’esordio, e talvolta nelle 
cause fornite di narrazione dopo di questa , ac- 
ciocché meglio si vegga quello che cade in 
quistione , e che si assume a provare. La pro- 
posizione vuol essere espressa in poche e sem- 



8o PARPE II. — DISPOSIZIONE. 

plici parole, senza la minima afTcttazione , con 
una certa aria di novità , la quale ecciti negli 
ascoltanti sospensione di animo , e curiosità di 
vedere , come 1’ oratore riuscirà a dimostrare 
il suo proposto assunto. 

Due specie di proposizioni vi sono cioè la 
semplice , e la distributa , ovvero composta. 
La semplice è quella , che propone una soia 
cosa , come quella di Cicerone prò rege De- 
jotaro'. a. Is igiiur modo a te pericolo liberatus, 
» sed etiam bonorc amplissimo ornalus arguiiur 
3) domi te suae interliccre voluisse: quod tu nisi 
y> eum fedriosissimum iudicas , suspicari profecto 
3) non potes ». Questi adunque che tu hai libe- 
rato da’ gravi perìcoli, e fornito di estesissimi 
onori, viene accusato d’aver attentato alla tua 
vita in sua magione , e perciò se non lo sti- 
mi folle, al certo non potrai dubitare della sua 
fede. — La proposizione composta è quella , che 
divide tutta la cosa in due o tre parti , secondo 
che si crederà necessario ; le quali parti for- 
meranno altrettanti punti particolari dell’ ora- 
zione , i quali richieggono ognuno una prova 
particolare , come quest’ altra dello stesso Ci- 
cerone pe ’l poeta Archia: E ingiusto di ne- 
garsi il diritto di cittadino Romano; 

1. Perchè è realmente citudino Romano ; 
a Perchè se non lo fosse, il meriterebbe. 
Bisogna poi osservare nella proposizione : 

. 1. Che le varie parti in cui dividesi il sog- 
getto , debbano essere realmente distinte fra lo- 
ro , sicché r una non sia nell’ altra compresa. 

a. Nella divisione deve proccurarsi di seguire 
r ordine naturale, incominciando da’ punti più 
facili, e quindi discendere a quelli più intrU 
gali , che sono appoggiali su’ primi. 


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PABTE IL — DISPOSrzrONE. 8 v 

3. 1 varj membri dalla divisione dovranno riem- 
pire tutto il so;,'getto , altrimenti la divisione 
sarà imperfetia. 

4 . Fuggasi la troppa moltiplicità de’ punti. 
Due o tre bastano , altrimenti faticoso riuscirà 
all’ oratore di dimostrare moltissime parti , e 
penoso sarà all’ uditore di ascoltarl e e ritenerle. 

ArticoIìO IV. 

Della Narrazione. 

La Narrazione è 1’ esposizione d’ un fatto qua- 
lunque , e potrà aver luogo in ogni sorte di 
orazione ; poiché in ognuna occorre di descri- 
vere de’ falli; ma è necessaria specialmente nel 
genere giudiziale, essendone una parte rilevan- 
tissima insieme e difficilissima J^er più riguar- 
di. L’ oratore deve dire il vero , ma nello stesso 
tempo non cose che pregiudichino la sua cau- 
sa, essendo i fatti ch’ei riferisce la base di tutta 
la sua futura argomentazione : e perciò il rac- 
contare le cose , che sieno strettamente ne’ li- 
mili della verità, presentale co’ colori più favo- 
revoli alla propria causa , mettendo in luce ogni 
vantaggiosa circostanza , e temperando ed inde- 
bolendo le contrarie ; richiede non poca dose 
di sagacità e destrezza. La narrazione può es- 
sere o intercisa , o continua, secondo che rac- 
contasi un fatto con digressioni, riflessioni mo- 
rali inerenti al soggetto , o pure senza queste 
cose. Essa poi esige Chiarezza , Distinzione , Pro- 
babilità e Concisione. 

Si avrà la chiarezza e la distinzione facendo 
particolare attenzione alle persone, a’ tempi, ai 


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8i tARTE li- — DISPOSIZIONE. 

]uogliì , e ad ogni altra rilevante drcostaneadel 
fallo rlie si racconta. 

Si avrà la probabilità , mostrando nel carat- 
tere delle persone di cui si parla , che le azioni 
loro soli procedute da motivi naturali , e fa- 
cilmente credibili. 

. Si avrà la concisione , quando si lasciano da 
parte le circostanze superflue , ritenendo le sole 
importanti. 

^el genere dimostrativo poi è da sapersi, che 
la narrazione non si fa tutta in una volta , ma 
sparti lamenle , altrimenti non sarebbe discorso, 
ma storia. 

Conviene adunque, che 1’ oratore sotto bella 
e plausibile idea distribuisca i fatti della per- 
sona ch’egli vuol lodare o biasimare, che li vada 
amplificando in maniera, ebe ne risulti la lode, 
o il biasimo. Quindi è che nel genere dimo- 
strativo la narrazione è l’unica prova , e l’ am- 
plificazione serve a darle risalto. Ricordisi ezian- 
dio , che le narrazioni di cjuesto genere poggiate 
sono sulle persone , sulle cagioni e su fatti, 
onde conviene far rilevare alcuni particolari, 
che dar possono risalto allo assunto. 

Si consulti Cicerone nella settima Verrina 
quando narra il supplicio di Gavio Cosano , 
e veggasi con quale maestria questo insigne 
oratore fa rilevare tutte le circostanze , con 
quale artifizio fa giungere l’esito d’un racconto 
nuovo ed inaspettato. 


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Parte II. — disposiziomb. 


85 


A B TICOliO V. 

Della Prova y o Argomentazione (i). 

Cicerone definisce la Prova rationem , quae 
rei diibiae faciat Jidem: la manifestazione 
della cosa dubbia per mezzo di una certa. 
Per esempio , Davidde è padre , dunqne noa 
vorri , che Assalonne suo figliuolo sia ucci- 
so ; questa è ima prova, perchè la cosa dub- 
bia , cioè se Davidde voglia che Assalonne 
rubcllo sia, o non sia ucciso , si manifesta da 
cosa certa, cioè dall’ esser padre. Questa prova 
si manifesta per mezzo degli argomenti tratti 
da’ luoghi generali , da’ luoghi di Comparazio- 
ne , e dalle circosunze di persona , cagione e 
fatto , come da noi già si è accennato nelle 
Controversie. 

Quindi, per procedere con esattezza l’ orato- 
re considerata bene la proposizione , vedrà a 
quale facoltà appartenga , se al diritto natu- 
rale , se al civile, se al canonico, se alla po- 
litica . e quali sieno le controversie che deve 
porre in campo. 

Dopo questo apparato , disporrà le sue ra- 
gioni nel modo che crede il più confacente, 
dividendo le forti e convincenti dalle deboli 
e piccole. Quintiliano insegna una maniera di 
distribuire le prove , da lui detta economica, 
ed è quando 1’ oratore avendo qualche par- 
ticolare riguardo agli uditori , dispone F o-* 


(i) Per argomento s’iotende una dimostrazione. Qne. 
sto vocabolo deriva da Arguo che significa dimostro. 


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T?4 PARTE II. — DIsrOSraTONE. 

razione in modo , che possa ad essi piacere ; 
onde talvolta tornerà bene il cominciare, o il 
finire con qualche ragione per altro di non 
molta forza , ma che per conto della patria , 
dello stalo , degli uditori , di qualche celebre 
avvenimento, o di altra circostanza, sia per 
essere da essi gradila. E que.sia disposizione 
totalmente dalla prudenza dell’ Oratore di- 

l 

ArticoIìO VL 

Esposizione degli Argomenti , ovvero Con- 
fermazione. 

Non basta trovare gli argomenti opportuni , 
e disporli nell’ordine più acconcio; ma è d’uopo 
che sieno esposti in modo , che abbiano nell’ a- 
nimo degli uditori tutta la loro forza , e chiamasi 
esposizione degli argomenti o delle prove. 

I Dialettici hanno inventato otto maniere di 
esporre gli argomenti , cioè 

Sillogismo 

Entimema 

Epicherema 

Dilemma 

Sorile 

Prosillogismo 

Induzione 

Esempio. 

Ma al parere di Aristotile, la confermazione 
esser deve varia, ed adattata al genere delle 
cause. 

Nel dimostrativo bisognano qualche volta i 



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PARTE H. — DISPOSIZIONE. 8& 

siila^isini e {{U eatimemi , per lo lare o bia- 
simare, ma la priatiipal cura essere di es- 
porre , e mettere sotto gli occhi le azioni del 
sof^getto con l’ ampliQeaaione. Nel genere de- 
liberativo gli entimemi, che hanno per ante- 
cedente un esempio, sono molta al caso per in- 
durre gli animi. Il genere giudiziale poi esige 
entimemi , perchè in esso trattasi di provare 
concludememcnie l'asiunto. Anzi qualche volta 
per incalzar maggior niente la prova, potrà 1 o- 
ratore , come di passaggio , servirsi del sillo- 
gismo, e della indiiaione. E però da usare, dice 
il principe de’ Peripatetici , moderazione negli 
entimemi, cioè non debbonsi raunare tutti in 
un luogo, altrimenti per la loro moltitudine 
s’ impediscono fra loro , cioè non fanno il loro 
spicco , e lo stile non riesce oratorio , ma mi- 
nuto e scolastico. Conviene adunque fra gli en- 
timemi frammischiare altre cose , le quali ab- 
biano dell’ oratorio. 

Ciò posto , fissando il nostro sguardo sull’ en- 
timema, sull’esempio e sull’amplificazione , di 
questi prendiamo a discorrere , essendo essi gli 
strumenti più comuni cui gli oratori si ser- 
vono por esporre le loro prove. E finalmente 
prima di terminare P esposizione de’ precetti da 
seguirsi nell’argomentazione , noi faremo cenno 
del ripulimento , e della illustrazione , ondo 
abbiansi sotto P occhio i varii materiali di cni- 
potrà servirsi 1’ oratore nel trattare un argo- 
mento. 


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PARTE II. — DISPOSIZIONE. 


Ahticodo vii. 

' DeU uso deir Entimema. . 

U oratore può servirsi dell’ Eniiinema in due 
maniere; o naturalmente, o alteratamente. Con 
maniera naturale , se la precedere 1’ antece- 
dente , inferendone di poi il conseguente; come 
sarebbe , Clodio fu insidiatore : dunque fu giu- 
stamente ucciso. Con maniera alterata , se fu 

f (recedere la conclusione , soggiungendo di poi 
’ antecedente ; come sarebbe, Cilodio è stato giu- 
stamcnse ucciso , perchè insidiatore. L’oratore, 
a differenza del filosofo , si serve delle maniere 
alterate , primo perchè per mezzo di esse tiirne 
l’arte più ascosa; secondo, perchè gli entimemi 
alterati hanno forza maggiore di muovere gli 
affetti, per la ragione, che la conclusione posta 
subito in principio , dà maggior vivezza e mag- 
gior energia al discorso. Quell’ udir subito: Clo- 
dio è stato giustamente ucciso , mette in at- 
tenzione 1’ uditore d’ intendere 1’ antecedente 
da cui s’ inferisce. In tre circostanze di tempo 
si usa r Entimema : primieramente per istahi'- 
lire la pro|)osizioiie in modo , che l’ orazione 
fondata sull’ argomentazione entimematica abbia 
molo progressivo; secondariamente deve l’ora- 
tore servirsi dell’ Entimema ; quando l’orazione 
è talmente sensibile , che pare che per la trop- 

f )a sensibilità sia vile e bassa ; quindi sebbene 
a specie sensibile sia sempremai più applau- 
dita dell’ arie, ad ogni modo in quelle circo- 
stanze , nelle quali 1’ oratore si accorge d’ es- 
sere troppo sensibile , deve sollevare la sua ora- 
zione con 1’ uso dell’ Entimema ; che vale a dire 


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PARTE li. ■— DTSPOZIZIONE. 8,f 

con r USO dell’ esempio deve valersi delle ra- 
gioni e delle congetture* Ultimamente l’ora- 
tore può servirsi dell’ Entimema , quando gli 
cale che 1’ uditore non prenda tempo a risol- 
vere , perchè P Entimema è un parlar corto , 
che viene alle strette , e che mette 1’ uditore 
in uno stato quasi di violenza , per la forma 
del dire. 


Articolo Vili. 

Deir uso detr Esempio. 

Può 1’ oratore in due maniere servirsi dell’ & 
sempio , cioè o per confermare le ragioni, o per 
illustrarle. Quando l’oratore servesi dell’Elsem- 
pioper confermare le proposizioni, deve disporlo 
nelP orazione entimematicamente con la forma 
dell’ induzione , mettendo molti esempii , che 
servono d’ antecedente, per inferirne la conclu-. 
sione , come fa Cicerone nell’ orazione Pro Mil- 
ione. Egli vuol confermare questa conclusione, 
che sia lecito uccidere un uomo scellerato , e 
porta r esempio di Servilio e di Pubblio Mas- 
sica , di Caio Mario , ed il suo stesso , coi 
quali esempi fa vedere non essere cosa ingiu- 
sta 1’ uccidere uno scelleraito; e un siffatto modo 
d’ argomentare chiamasi da’ Dialettici a par- 
iibus sufficienter enumeratis. Quando poi l’O- 
ratore si serve dell’ esempio per illustrare e 
ripulire qualche proposizione , allora dove di- 
sporlo senza forma enlimematica, e piuttosto nar- 
rando, che provando ; cioè in modo , in cui pre- 
ceda la narrazione dell’ esempio e di poi segna 
l’applicazione della proposizione, la quale da quel* 
r esempio che precede, ed in cui essa si .con- 


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88 PARTE II. — DrsPOSiZIONE. 

tiene, viene illustrata; ed in questo caso l’ esem- 
pio più proprio per illustrare, e rendere sen- 
sibile la proporzione, è 1’ esempio finto , cioè 
o la similitudine o 1’ apologo , non negando 
però che anche i’ esempio vero non sia a ciò 
valevole. 

Notisi che quando 1’ Oratore si serve dell’e- 
sempio , o sìa ]ier confermare , o sia per il- 
lustrare , ha sempre campo di passare alle ar- 
gomentazioni a minori ad minus, a majori ad 
minus , a pari, a contrariis , come si è già 
spiegato. 

ArticoIìO IX. 

DelV Amplificazione, e suo uso. 

L’Amplificazione può(i)prendersi in due modi, 
o formalmente , o materialmente : amplificazione 
formale, che i Retori chiamano delle cose, si trae 
da’ luoghi onde prendonsi le prove, ed è quella 
per cui il discorso riceve maggior vigore tanto 
nel persuadere , che nel muovere. L’ amplifi- 
cazione materiale , o sia delle sole parole, si 
trae, dalle figure , ed è quella per cui il di- 
scorso riceve maggior vaghezza. Le figure che 
campeggiar vi deggiono sono la Metafora, Rlper- 
hole , r Antonomasia, la Ripetizione , la Peri- 
frasi, e la Sinonimia. Di questo genere è quella 
di Cicerone nell’ orazione per Ligario : 
enim , Tubero , dislriclus ille tuus in acie 
Pharsalica gladius agebat ? cujus latus ille 


(i) Gntvior quaedam affirmatio quae mola ani- 
moTurn conciliai in dicendo fidem. Cic. 


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PARTE II. — DISPOSIZIONE, 89 

mucro petehat ? qui sensus erat armorum iuo- 
rum'ì quae tua mensl oculi'ì manuel ardor 
animi ? quid cupitbas ? quid opiabas ? Che 
faceva, o Tuherone , quella tua spada impu- 
gnata nella battaglia farsalica V II fianco di chi 
ricercava quella punta ? quale era l’ intenzione 
delle tue armi? quale la tua mente? gli occhi? 
le mani? l’ ardor dell’animo? che bramavi? 
che desideravi ? L’ una e l’ altra amplificazione; 
ma principalmente quella delle cose , si può 
prendere in due altre maniere , o per una esten- 
sione di prova, o per una esagerazione della 
cosa provala. 

L’amplificazione che serve principalmente ad 
estendere le prove, è ordinata quasi più a far 
fède, che a muovere. L’ amplificazione che serve 
ad esagerare sopra la cosa, è quella che usasi 
nelle Narrazioni , per cui l’oratore intende di 
muovere gli affetti , e negli epiloghi delle prove, 
e principalmente in quella di tutta 1’ orazione 
dove suol essere il trionfo degli afietti stessi. 

L’ amplificazione, allorché serve per estendere 
la pruova , si fa con una forma contenziosa ; 
ma quando serve per esagerare, e per recar ma- 
raviglia agli uditori della cosa provala, allora 
si suol mettere sotto una forma lontana affatto 
dal contenzioso ; e quantunque 1’ oratore si di- 
stingua mai sempre dal filosofo appunto dal- 
l’ amplificare l’argomento, dal dilatarlo; ad ogni 
modo , quando prova , non discostasi tanto 
dal filosofo , come quando esagera : quindi nel 
Proemio , nelle Narrazioni , nelle Perorazioni , 
dove 1’ ampIifie.azione serve a recar maraviglia, 
e far vedere quam niaffna res sii , 1’ oratore 
è affatto distinto dal filosofo , il quale non si 
serve nè di Proemj, nè di Narrazioni, nè di Pe- 



go PARTE II. — DISPOSIZIONE. 

rorazioni. Parlando dell’ amplificazione formale, 
varj sono gli artifizj. 11 primo prendesi dalle 
circostanze , e consiste neli’unire più circostanze 
insieme, perchè' da una circostanza sola si forma 
la prova ^ ma se alia prima circostanza si 
aggiunge un’ altra, ed alla seconda la terza ec. 
ogni circostanza 'aggiunta servirà per amplifi- 
care. Per esempio, se Tullio avesse detto: Quem 
jure non est ausus , hunc injuria potuit oc- 
cidere. Da questa sola circostanza avrebbe in- 
ferita la conclusione ; ma perchè ha detto , 
quem jure , quem loco , quem impune non est 
ausua , hunc injuria , iniquo loco , periculo 
capitis non dubitavit occiderel 

Questo aver aggiunto alla prima altre cir- 
costanze, è stato un amplificare. 

Il secondo artifizio si prende dalle comparazio- 
ni, e consiste nel comparare le circostanze della 
cosa comparata, con le circostanze della prò- 
posizione di cui si discorre. Per esempio, Cice- 
rone nell’ orazione cantra Pisonem fa la com- 
parazione tra il consolato di Pisene, c’I suo, 
e dice: Pisene fu fatto console , ma in qual 
tempo ? impeditis Reipublicae temporibus. Con 
quale unione di voli? dissidentihus Cons. Cae- 
aare et Bibulo ( ne’ tempi lorb'di della Re- 
pubblica ) ( allorché discordavano i consoli Ce- 
sare , e Bibolo ) ; ma io fui fatto in tempo 
congruo , non prius tabula , quam voce. 
Fui fatto console ce’voti di tutta l’Italia, di tutti 
gli ordini, di tutta la città. 

Il terzo artifizio consiste nel dividere un 
qualche tutto nelle sue parti , come sopra nel 
apportato esempio. Tullio poteva dire che tutti 
lo elessero console ; ma egli divide quella voce 
tutti nelle sue psrti , e dice : Me cuncta Jta- 


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'PARTE IL — DtsPOSrzroNE. 91 

/{(I, me omnea or dine à , me universa chi taa 
priorem consulum declaravit, 

L’ uso dell’ amplificazione può aver luogo ri- 
spetto alla parte più propria dell’ orazione. Circa 
la prova , deve amplificarsi quella cbe diccsi 
principale , e che serve alla fine del discorso , 
non |)retendendosi però che non dchhansi am- 
plilìcare le altre. Circa il tempo , deve amplifi- 
carsi la cosa dopo che è provata , e sarebbe 
ridicolo 1’ amplificare una prova che anche 
fosse posta in dubbio. 

Intorno al luogo dell’orazione deve amplificarsi 
precipuamente la Perorazione ; essendo questa 
la parte propria in cui trionfar deve 1’ Amplifi- 


A RTICOIiO 


Del Ripulimento. 

Il Ripulimento è quello in cui l’oratore non 
si avanza punto nella sua orazione , ma si sta 
fermo in una cosa , 1’ orna , la ripulisce , e la 
spiega. Questo ripulimento non ha luogo determi- 
nato nell’ orazione , ma entra negli entimemi , e 
può farsi in qualunque parte del discorso ; sin- 
golarmente in quella cosa , dice Coruificio , la 
quale preme all’ oratore , che resti bene im- 
pressa nell’ animo degli uditori. Il modo più 
ovvio di fare il ripulimento ’ è il. ripetere la 
stessa cosa in varie maniere ; così presso il Boc- 
caccio, Tito acceso di Sofronia , seco discorre: 
Cile dunque ami ? Dove ti lasci trasportare dal- 
1’ ingannevole amore? Dove dulia lusinghevole 
speranza ? Apri gli occhi dello ’ntelletto , e te 
medesimo , 0 misero , riconosci. Dà luogo alla 


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03 parte II. — DISPOSIZIONE. 

ragione , raffrena il concupiscibile appetito, tem- 
pera i desideri non sani , e ad altro dirizza ì 
tuoi pensieri; contrasta in questo momento alla 
tua libidine , e vinci te medesimo mentrccliè 
tu bai tempo. 

Ma per far illustrare il ripulimcnto con- 
vien ricorrere alle figure , e singolarnjcnte alle 
interrogazioni, ai dialoglietti , alle ripetizioni , 
alle antitesi , alle ipotesi, e a qualunque al- 
tro modo d’ esporre una cosa , che la renda vi- 
vamente quasi presente, e .sotto gii occhi del— 
r uditore. Ecco altri esempj. Che se parrà 'che 
tu, che giudice sei , non porga il tuo patro- 
cinio contro la potenza ed i favori , a coloro che 
di favori e di forze abbandonati si trovano ; 
e se presso di questo consiglio si misurerà la 
causa dal potere che altri hanno , e non dal- 
1’ onestà eVessa contiene ec. (i) 

Ma se altro in ciò non si tratta, se non che 
ninna cosa manchi a coloro , a’ quali ninna cosa 
è bastevole : se ora di altro non si contende , 
se non che per colmo di questa opima e no- 
bilissima preda , s’ aggiunga la cond.mnagione 
del medesimo Sesto Koscio (a). Che tratta ora 
Sesto Nevio ? Di che cosa è la controversia ? 
Che giudizio è questo nel quale sono due anni 
già che dimoriamo ? Di che negozio si agita, 
in cui egli affatica tanti e si segnalati uomini? (3) 


fi) Pro P. Quinciio. 
(a) Pro R. jimerino, 
(3) Pro P. Quinclio. 


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FARTE IL — DISPOSIZIONE. 


93 


Articolo XI. 

Dalle Illustrazioni. 

Le Illustrazioni altro non sono che un ador- 
namento , che si dà alle prove , o sia agli ar- 
gomenti. 

Può un argomento essere illustrato in varie 
maniere: 

1.” Con l’ induzione, la quale si ha (quando, 
per rendere vieppiù sensibile la prova, si ag- 
giungono due,o più fatti adattali, presi dal fondo 
della storia sacra o profana. > 

S2.“ Co’ paragoni , i quali sono o di Simili- 
tudine , o di Uissimiliiudine. 

. I riguardi che aver si debbono nella simi- 
litudine sono : 1. Che si prenda da cose note, 
e non già troppo recondite; 2. Che sia bene 
adattata alla cosa ; 3 . Che convenga con la qua- 
lità delle persone. 

Per la Dissimilitudine, questa di Ovidio, nella 
quale- paragona se stesso ad Ulisse , in ciò eh’ e- 
rano differenti , per far rilevare più chiaramente 
la grandezza de^ suoi mali , è suiHcientissima 
a darne un’ idea. 

file habuit fidamque manum , sociosque Ji- 
deles : 

Me profugum comite s deseruere mei : 

Ille sUam laetus patriam , victorque pete- 
bat : patria fugio vie tua ^ et exul'ego. 

llli corpus erat durum patìensque laborum : 
Invalidae vires , ingeniumque mihi. 

Ille erat assidue saevis agitatus in armisi 
uissuetus studiis mollihus ipse fui. 

5.° .Con gli apologi , i quali sono racconti 


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StSFOSIZIONE. 


g4 PAHTE II. — 

di cose, che afiutto esser non possono, come 
quelli di Fedro e di Esopo ; ma di cui gli 
oratori valgonsi per allettare e persuadere gli 
uditori. 

4 “ Con le parabole , o sia racconti di cose, 
che non furono , ma che poterono , o potreb- 
bero essere. 

5 . ° Con le favole, che sono que’racconti il cui 
principio è vero, ma la fine falsa. 

6. “ Co’tesù de’ grandi scrittori ; ed il loro uso 
è si frequente , che appena trovasi proposizio- 
ne, la* quale non ne sia abbastanza fornita. 

7. ® Cou le sentenze , ossia riflessioni morali, 
che si cavano dalla considerazione di varj og- 
getti particolari. 

8. ' Con gli adagi , o sia que’ detti volgari , 
che contengono qualche concetto utile alla vita. 

Articolo XII. 

J)ella Confutazione. 

Cicerone delHnisce la Confutazione, esser quella 
con la quale , argomentando , si scioglie , s’in- 
deboljsoe , e si toglie via la confermazione degli 
avversar}. Grand’ e l’utilità che reca agli ora- 
tori il saper confutare ; ma grande e somma 
di (licolta s incontra nel farla acconciamente e 
cou forza. 

Il suo luogo nell’ orazione non è stabilito ; 
ma ordinariamente nelle accuse siegue la Con- 
fermazione , e nelle difese la precede. Ma l’o- 
ratore la fara dove la crederà più necessaria. . 
In fatti Cicerone prò Milane , dopo 1 ’ esor- 
dio, pianta l’ argomento teoretico : Esser lecito 
uccidere 1 insidiatore j e ciò per togliere sul 


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PAKTB If. — DISPOSIZIONE. 95 

Lei principio dal cuor de’ giudici la massima ' 
tanto promossa da'* contrarj , che non doveva 
vivere chi confessava d’aver ucciso un uomo. 

Tre sono pertanto i modi per confutare : l’u- 
no è per via di riprensione, l’altro è per via 
di contenzione, e’I terzo per via di simulazio- 
ne. La Riprensione è specie di confutazione, per 
mezzo della quale si mostra , che la proposi- 
zione dell’ avversario non è universalmente vera, 
o secondo qualche sua parte non è vera. Per 
esempio, nell’orazione prò Roselo Amarino, Eru- 
zio vuol dimostrare , che Roscio fosse odialo 
dal padre, e porta per sua prova l’averlo il 
padre sempremai tenuto in villa. Cicerone ri- 
prende la proposizione , e dimostra non essere 
universalmente vero , che il mantenersi un fi- 
gliuolo in villa sia segno d’odio paterno. 

La Contenzione è specie di conlutazìone, per 
mezzo della quale non si dimostra che la pro- 
posizione dell‘ avversario sia falsa , ma solamen- 
te che la nostra sia più probabile; quindi il 
contendere non è altro , che dimostrare più ve- 
risimile e più probabile la nostra proposizione, 
che quella dell’ avversario ; e questo si fa (con 
aggiungere ad una ragione altre ragioni , ad un 
esempio altri esempi , di modo che il conten- 
dere non consiste in altro se non che nell’ ag- 
giungere ad una ragione , ad un esempio , con 
cui si è ripresa la proposizione dell’avversa rio, 
più ragioni e più esempi , come nella citata 
orazione fa Tullio , il quale dalla qualità delle 
possessioni date a coltivare al figliuolo, ripren- 
de la proposizione dell’ avversario , e fa vedere 
che 1’ averlo destinato alla coltura de’carapi, 
non fu per odio , ma per amore. Ad una tale 
congettura altre ne aggiunge, prese dall’amore 



96 PARTE li. —1 DISPOSIZIONE. 

del padre , il eguale , mentre era in vita , la» 
sciava a suo ligliuolo libere le rendite d’ al- 
cune possessioni ; dal costume che in que’tem- 
pi correva , mentre i padri di famiglia erano 
solili d’ impiegare nell’ agricoltura i figliuoli 
loro più amati : e ciò chiamasi contendere, 
perchè è un far vedere più verisimile che 
oesto Roscio fosse dal padre amato , che 
odiato. 

La Dissimulazione è specie di confutazione 
per mezzo della quale nè si contende che una 
proposizione sia più vcrisimile dell’ altra , nè 
si riprende che la proposizione dell’ avver- 
sario non sia universalmente vera ; solo si dis- 
simula , si sfugge , si scansa la difficoltà : ma 
le maniere di sfuggire la difficoltà e gli ar- 
gomenti degli avvcrs irj sono senza numero , 
e r invenzione di essi dipende più dal giudi- 
zio dell’oratore , che da’ luoghi additati a que- 
sto proposilo da’ vani retori. 

Avvertasi che sebbene non possa chiamarsi 
vera confutazione quella , nella quale non si 
scioglie la difficoltà, ma si dissimula , con tutto 
ciò sarà mai sempre da perfetto oratore il sa- 
perla sfuggire , massimamente quando o la dif- 
ficoltà lo dovesse far dare nelle acutezze e nelle 
sottigliezze , o quando fosse indissolubile di sua 
natura perchè 1’ oratore cercar deve di vin- 
cere gli uditori in tutte le maniere , in cui 
è possibile di riportar vittoria; e giacché non 
si può riportar vittoria d’ un argomento che 
non si può sciorre col discioglimcnto reale, si 
ha da cercare di riportarla con lo scioglimento 
apparente, quale è quello appunto del dissi- 
mularla e dello sfuggirla. 

Oltre i hnqui spiegati artifìzj di confutare , 


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PARTE n. — DISPOSIZIONE. 97 

i retori ne insegnano un altro, che consiste nel- 
lo sciorre tutte le opposizioni , ricorrendo alla 
divisione, la quale mette subito sotto gli 00 
chi , quale delie due parti sia vera, quale falsa, 
quale verisiraile, quale più verisimile. 

Occorre talvolta finalmente, che rigettar deh-, 
basi qualche motto acuto e pungente. In tale 
circostanza una lunga e ben ridettuta rispo- 
sta riesce fredda e di nessun effetto. 11 solo 
mezzo di bene uscirne si è di ricorrere a’motti 
acuti. Così Cicerone , quando di cendogli Or- 
tensio neU’orazione perVerre: Ciceronis aenig- 
mata non infelligo j tosto rispose: Aiqui de- 
bea cum aphingem domi habeaa\ alludendo 
ad una sfinge di bronzo di gran valore , che 
aveva ricevuta da Verre. 

Articolo XIIlI. 

Perorazione. 

Due sono le parti della Perorazione , 1’ una 
chiamasi enumerazione , epilogo , o sia repli- 
cazione de’ capi principali di tutti gli argo- 
menti addotti nella prova e nella confuta-r 
zione ; e 1’ altra chiamasi mozione degli affetti. 
Noi adunque ci occupereino prima della se- 
conda parte , il che ci darà agio di fare un 
cenno sulle passioni oratorie ; e poscia della 

I irima , e così porremo fine a quanto possa 
'oratoria disposizione. 

Delle passioni oratorie. 

Indarno alcuni troppo austeri metafisici si 
sono fatti a condannare F uso delle passioni 

7 


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g8' PARTE 11. — msrosTXiose. 

nell’ eloquenta. È necessario prendere gli no- 
mini come sono, e non quali esser dovrebbe- 
ro. Che la Glosofia li guidi al punto d’ amare 
la verità per sè stessa, e senza nuli altro m’ 
teresse, ed allora l’eloquenza non avrà piu 
ricorso alle passioni. Ma intanto essa fara bene 
di seguir sempre lo stesso piano, armando in 
favore della virtù, quanto avvi nell’ uomo per 
mantenere e vendicare la virtù. Le passioni 
sono un istrumento pericoloso , quando “on ® 
dalla ragione governalo ; ma è molto piu elti- 
cace della stessa ragione quando accompagna e 
serve essa ragione. Per le passioni 1 eloquenza 
trionfa, e regna ne’ cuori : e chiunque ^prà 
eccitarle opportunamente, dispone della volouta 
degli altri a suo bell’ agio, fa passare gii 
mini dalla tristizia alla S>oja , dalla pietà alla 

collera. . , . 

Ma per far comprendere , che intendasi per 

la parola passione, bisogna che entria.no in qual- 
che dilucidazione sulle facoltà ed operazioni 

dell’ anima. _ , . 

Quantunque l’anima nostra sia una ed lu- 
divisibile, pure vi si possono distiuguere due 
cose. Dicesi , io concepisco ciò che mi dite; 
ma non voglio farlo. Quindi questa maniera di 
discorrere significa che P anima concepisce e 
vuole, ma che concepire non è lo stessto che 

La facoltà che concepisce chiamasi intelletto, 
quella che vuole , volontà. Un uomo avra molto 
intelletto , o pure molla intelligenza, quando 
concepirà bene, presto, e facilmente ciò , che 
eli verrà proposto. La funzione dello intelletto 
è dunque di vedere , conoscere , comprende - 
y 0 j e quella della volontà e di amare, odiare , 
approvare , disapprovare. 


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Ì^ARtÉ II. — blsiPoSrizitìNE. gg 

l?er l’ intima relazione che avvi ira la vo- 
lontà e r intelletto , tutto ciò che apparisce 
agli ocelli di quello, fa su di questa impressio- 
ne. Se l’impressione è piacevole, la volontà appro- 
va l’ oggetto che ne è l’occasione, e per lo con- 
trario disapprova se l’impressione è dispiacevole. 

Quando queste impressioni sono leggieri, pro- 
ducono sentimenti, moli, passioni dolci, comé 
r amicizia ^ P allegria , il gusto. Non è allora 
l’anima turbata da quelle violente scosse, che 
le fan perdere il suo equilibrio. Quando poi 
l’ impressioni sono vive , violente , allora chia- 
tnansi propriamente passioni^ Onde sono moti 
impetuosi che ci strascinano , o ci allontanano 
da un oggetto! Del pari , considerando la ma- 
niera cui la mente agisce sugli oggetti , essa 
prende il nome di genio, di giudizio, d’im- 
maginazione, di memoria; e perciò anche ri- 
spetto alla volontà , considerando la manicira 
cui si determina per un oggetto , acquista di- 
verse denominazioni. Se la volontà vuoisi unire 
all’ oggetto che l’è presente , è amore. Per ec- 
citarsi questa passione bisogna dipingere l’og- 
getto con qualità piacevoli ed utili a quelli a* 
quali si parla. Se la volontà tende d’ allonta- 
narsi dall’ oggetto, è odio ; e si eccita con op- 
posti mezzi a quelli die servono p^r 1’ amore; 
cosi X^ilho nelle Verrine nelle filippiche) nelle 
catilinarie. 

Queste due passioni) ambre ed odlo) soilo i 
cardini di tutte le altre , perchè compren- 
dono i due rapporti dell’ anima col bene é 
col male. Se il male è presente) chiamasi tri- 
stezza ) dolore ; se assente con apparenta di 
potersi evitare , è timore, se non potrassi evi^ 
tare è disperazione ; se è negli altri , ma chd 


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lOO PARTE n. — disposizione. 

potrebbe anche ricader su d i noi , è compas- 
sione. Lo stesso avviene del bene: se presente , 
è gioja ; se assente con mezzo d’ ottenerlo , è 
speranza ; se in altri , con nostro pregiudizio, 
invidia ; se si volesse strapparcelo allorché il 
possediamo, è collera. Ma intanto se l'oratore 
voglia ispirare questi affetti, è d’ uopo eh’ esso 
stesso li senta (i). 

Articolo XIV. 

Della Mozione degli affetti. 

Diconsi affetti alcune commozioni d’ animo , 
surte dall’ opinione d’ alcun bene o male. Questi 
sono chiamati da alcuni retori argomenti Pa- 
tetici. Essi sono importantissimi nell’ arte ora- 
toria, perchè sono come l’anima del discorso,, 
poiché somministrano una impetuosità, una vee- 
menza che rapisce e trae o forza il tutto , 
e perchè 1’ oratore esercita con essi sopra gli 
uditori un imperio assoluto , e loro ispira que* 
sentimenti che più gli piace. 

L’oratore adunque che si determina a fare 
la perorazione per mezzo della mozione de- 
gli affetti; tre cose, dice Aristotile, deve pra- 
ticare 1. Disporre gli uditori a sentir bene di 
se, e male dell’ avversario ; q ciò egli fa col 
mostrare la sua probità , 1’ animosità dell’ av- 
versario , e l’equità della causa, a. Accrescere 
o diminuire ciò di che si tratta , secondochè 


( I ) Si vis me fiere : dolendum est primum ipsi Ubi, 
lune tua me infortunia laedent. 

Orat. À.rt. poet. v. loa. 


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PARTE ir. — DISPOSIZIONE. JOl 

più è all' oratore opportuno. 3. Muovere ne^li 
uditori quell’affetto che viene più all’ oratore 
in acconcio. Deve inoltre essere nella mozione 
degli affetti ùno stile conciso , e non periòdi- 
co , j>erchò questo toglierebbe la forza del par- 
lare. Usar deve moderazione e varietà negli 
affetti , perchè 1’ affetto iropM lungo stanca , 
e conviene perciò desistere da esso , o mode- 
rarlo con affetto di diversa natura ; e talvolta 
torna Lene il mescolar gli affetti dolci coi forti, 
per così toglier via la noia con la varietà. 

Gli affetti che muover si devono sono vari 
secondo la varietà delle controversie j ma i prin- 
cij)ali sono 1’ amore , 1’ odio , il timore , ed 
altri , che indicheremo qui appresso insegnando 
nello stesso tempo gli artilizj per muoverli. 

Artifizio per muovere T amore. 

L’ amore è quella volontà per cui deside- 
riamo del bene ad altrui nouper noi, ma per 
lui stesso , e aiamo pronti a farglielo. 

Per muovere, per esempio, gli uditori ad amare 
un benefattore, l’ artifizio consiste nell’ esporre 
i suoi benefizii, amplificandoli dalle circostanze 
delle persone del beneficante e del beneficalo 

Per muoverli ad amare un uonao liberale , 
è parimente necessaria la considerazione della 
persona liberale , e di quella che ha speri- 
mentata la libertà. Per moverli all’amore di 
un amico, 1’ artifizio consiste nel dar grandezza 
all’ amicizia dalle circostanze della persona a- 
mante , e di quella amata. Per muoverli ad 
amare le persone grate, devesi dare grandezza 
alla gratitudine con le circostanze delle perso- 
ne. A queste circostanze delle persone , si ag- 


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yARTE li, BISPOSISIONB, 

giungeranno sempre quelle del tempo, del lua. 
gq , de’ fatti. 

Artifizio per muovere T odia 

L* odio è 1’ opposto dell’ amore ; esso non è cck 
sa lodevole , ma qui non si la che insegnare i 
motivi thè possono eccitarlo. Debbesi , per esem- 

S io , muover 1’ odio contro un ladro; diesi gran-; 

ezza al fatto con le circostanze di persona y, 
di luogo , di tempo , di cagione , di fatto. 

Cosi , in un fatto di tirannia , per muovere 
gli uditori ad odio contro il tiranno , devest 
dare grandezza alla tirannia con le circostanze 
personali del tiranno, e di coloro a cui ^ usata 
la tirannia. 

Artifizio per muovere U timore. 

Il timore è un disturbo , che reca un male 
imminente. Dunque per muovere . gli uditori a 
timore , conviene esporre qualche fatto in cui 
opparisca , che la persona descritta possa to- 
gliere agli uditori le cose da loro amate e 
desiderate, come sarebbe che può lor cagio- 
nar la morte o qualche gravissima molestia , 
che già di queste cose fa precedere i segni. Circa 
poi la persona che sarà per incutere questo 
timore, conviene che l’ oratore amplifichi la di 
lei potenza , amplifichi i beni che ci può to- 
gliere , che sarà quella per conculcare le no- 
stre leggi , i nostri costumi , che profanerà i 
nostri tempi , i nostri altari , le tombe dei 
nostri maggiori , e finalmente descriverà 1’ ora- 
tore tali rovine con caratteri così vivi, che ecciti 
nel cuore degli uditori timore non solo , m^t 
sdegno nello stesso tempio. 


/ 


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FARTE IL — DrSPOstZrOSE. 


ICK> 


Àrlifizio per muovere la confidenza. i: . 

Cicerone dice esser la coofidenza quella di- 
sposizione per la quale , in cose di rilievo ed 
oneste , uno fida molta in se stesso, L’ artifizio 
dunque per muovere questa afiictto consiste nel ' 
dar grandezza a quel mezzo prossimo salutare 
per cui possiamo sfuggire la calamità che ci 
sovrasta. Se H mezzo ritrovato è facile , pronto,, 
prossimo , valevole a tener lontano ciò che 
ci reca terrore , conte .se fossero gli amici , i 
compagni, i parenti, i denari, le armi, ed 
altri simili , che conosconsi proprii ad' allonta- 
nare il male eh’ è minaccialo , servono per ec- 
citare cofidenza e 1’ artificio di muoverla deva 
consistere nel dar grandezza al mezzó facile 
ritrovato, con le circostanze delle persone, dando 
grandezza all’ amicizia , alla parentela , alla 
compagnia , alla ricchezza , alle armi , e di- 
minuendo tutte sifiaite cose in persona di co- 
lui eh’ è temuto , e qui elegantemente potrà 
l’ oratore servirsi della Dissimiliitudine. 

1 

Artifizio per maevers la misericordia. 

La misericordia , secondo Tullio, è .quel dis- 
piacere , che si sente per le sventure di al> 
cuno , che sia a torto travagliato. 

Aristotile poi dichiara quali siexro ì mali per 
cagione di cui noi ci muaviamo a misericordia , 
e dice che sono quelli che apportar sposso no. 
o la morte o qualche grave dolore. Si psen- 
dono eziandio per mali tutte quelle cose che 
ne sono i segm , come le vesti insanguinate 
di qualche nostro amico , i segni che appa- 



lo4 PAnTB n. — DISPOSIZTOIfE. 

riscono nella terra , e da’ quali possonsi argo- 
mentare gra\i sventure. Si deve però sempre 
rappresentare come se quel male fosse vicino, 
il che si fa esponendo i conseguenti, gli effetti ec. 

Si noti esser altra cosa , che un oggetto mi- 
sero muova a misericordia , ed altra poi che 
quell’oggetto misero interessi gli uditori ad usar- 
la. Per muovere a misericordia , basta rappresen- 
tare l’oggetto , ed ingrandirlo con le circostanze 
delle persone e del fatto; ma per muovere gli u- 
ditori ad usare misericordia , devesi procurare 
di addurre anche qualche motivo utile , per 
mezzo del quale diesi 1’ ultimo compimento al 
movimento dell’ affetto. 

Artifizio per muovere l’ ira. 

L’ ira è il dolore d’ un affronto col deside- 
rio di vendicarsi. Questo affronto, secondo Ari- 
stotile, può esser cagionato o da qualche vio- 
lenza , o da qualche contumelia ; onde l’ arti- 
fizio di muovere l’ira consiste nell’ amplificare 
queste tre cose, vale a dire, nell’ ingrandire 
le circostanze delle persone agenti o pazien- 
ti , e le circostanze del fatto stesso , ossia del 
disprezzo , della violenza , della contumelia. 

Se la persona che riceve il disprezzo è molto 
eccellente in nobiltà , in ricchezza , in sape- 
re , e la persona che il fa è plebea , povera , 
ignorante, cresce la quantità e qualità del di- 
sprezzo. Se fosse la persona disprezzata un be-> 
nefattore , e quella disprezzantc un beneficalo, 
sempre più crescerebbe il disprezzo , e 1’ ora- 
tore avrebbe campo vastissimo da poter ampli- 
ficare. 


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PAnTB II. — DrsPOSIZlOME. 


io5 


Artifizio per muovere la lenità. 

La lenità , ossia piacevolezza è la stessa cal- 
ma dell’ ira. Quindi per farsi calmare l’ ira con- 
viene ascondere il disprezzo , la violenza , la 
contumelia. Ogni dimostrazione adunque per cui 
si conosca che 1’ azione ingiuriosa non fu vo- 
lontaria , fa che l’ azione non si riceva come 
disprezzo , e conseguentemente che invece di 
muovere all’ ira , la sedi e 1’ accheti. E per- 
ciò la confessione d’aver fatto male , il penti- 
mento , le dimostrazioni di stima , 1’ impulso 
altrui, l’altrui autorità, l’impulso delfira , 
sono tutte circostanze con cui si scuserà il di- 
sprezzo , la violenza , la contumelia , facendo 
conoscere che ciò non fu volontario. 


Artifizio per muovere la vergogna. 


Aristotile deffinisce la vergogna, un dispiacere 
una perturbazione per conto di que’mali, o pre- 
senti o passati o futuri , i quali a noi pare 
che ci apportino disonore ed infamia. 

L’arliiizio per muovere negli uditori la ver- 
gogna consiste nell’ esporre qualche fatto o a- 
zionc turpe da cui sia svergognato il suo au- 
tore , e non solo debbonsi manifestare i vizj 
turpi e sordidi per eccitare vergogna , ma an- 
cora debbonsi manifestare i segni stessi indi- 
canti que’ vizj ; come sarebbe , non solamente 
è cosa vergognosa il timore in battaglia , ma i 
segni ancora del timore, come la fuga ec. , sono 
vergognosi. Quindi , tulli i segni che sono in- 
dizj d' intemperanza , d’avarizia, d’ ingiustizia, 
di fcllouia , di tradimento , sono tutti vergo- 


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106 parte II. « DISPOSIZIONE.' 

gnosi; e l’oratore, che es[>onendo qualche 
fatto per muovere vergogna , ampltiica i sogni 
de’ vizj turpi , viene a dire quelle tose che 
sono atte a muovere confusione. 

Per amplificare il mal turpe , che è 1’ og- 
getto eccitante questa passione , si ri( orrerà alle 
circostanze della persona in presenza delia quale 
è stata commessa. E finalmente, ogni circostan- 
za , la quale fa che maggiormente si perda 
la buona stima , viene ad aggravare il motivo 
turpe eccitante vergogna. 

Oltre queste passioni vi sarebbero l’ emula- 
zione , il disprezzo, l’indignazione, e molte 
altre, il cui artifizio per muoverle riesce no- 
ioso a dischiararsi in questo ristretto. Onde l’a- 
ratore il quale avrà studiala la morale filoso- 
fia, conoscendo bene le cause dell’ emulazione, 
del disprezzo ec. , potrà nelle occasioni ricor- 
rervi per ottenere 1’ intento che sarà per pro- 
porsi nella perorazione. 

Articolo XV. 

Deir Enumeraziorie ovvero dell'Epilogo^ 

L’ Enumerazione , che chiamasi anche Epi- 
logo dal Greco effiXsty , è una breve ricapitola- 
zione delle cose dette , la quale si fa per rin- 
frescare la memoria di tutto quello che nel- 
1’ orazione si è detto. Aristotile e Cicerone dan- 
no r ultimo luogo all’ enumerazione , facendo 
precedere la mozione degli alfeiti. In conse- 
guenza per quelle orazioni le quali avranno bi- 
sogno di tntt’ e due le parti della perorazione, 
rimarrà in arbitrio dell’ oratore , e secondo che 
vedrà gli animi disposti , di far precedere o 


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PARTE II. — DISPOSIZIONE. IO7 

la mozione degli affetti , o 1’ epilogò. Grca poi 
la maniera di farsi 1’ epilogo, e da sapersi non 
esser mestieri il riepilogare tutta quanta 1’ o- 
razione , altramente si farebbe pompa d' una 
faciliià di memoria , la quale annoierebbe gli 
ascoltanti ; e perciò si deve solamente toccare 
1' assunto , ed i tfapi principali delle prove. 
Due cose , secondo il Yosio , debbono farsi in 
tale enumerazione : la prima si è di ripetere 
solamente quelle cose nelle quali consiste il 
forte deir orazione , e le quali bramiamo che 
restino impresse nell’ animo degli uditori ; la 
seconda è che l’ enumerazione sia breve bensì, 
ma non pero sterile e senza ornamento ; anzi 
deve farsi con parole scelte , e con energiche 
espressioni , ed essere con sentenze e con fi-« 
gurc avvisata, 

6i noti che non è sempre necessario di farsi 
qnesta enumerazione , perchè nelle brevi ora-» 
zioni , ed in quelle che sono di tessitura fa- 
cile e chiara , 1’ enumerazione si trasanda. La 
perorazione di Cicerone nell’ orazione prò Mi^ 
Ione , e l’enumerazione di Buonaccorso da Mon- 
temagno , nell’ orazione eh’ ei fa fare a Catilina 
contro il console Qccrone ( 1 ), possono servir di 
esempio a quanto abbiamo detto in ordine al-» 
1’ ultima parte d’ una orazione. 


(i) Antologia italiana ad uso delle scuole d’ uma-» 
tlità maggiore. 



Elocuzione. 


Eixjctjzione viene dal latino eloqui^ parlare: 
sicnlGca propriamente il carattere del discorso; 
ed è nel linguaggio de’ retori quella parte della 
rettorica, che tratta della dizione e dello stile 
dell’ oratore. E quantunque la forza de’ pensieri, 
e la scelta di essi sia l’anima del discorso, pure 
l’arte di esprimerli dà un maggiore risalto al- 
r oratore , ed alletta nello siecso tempo gli ani- 
mi degli ascoltanti. 

Noi dunque ridurremo quanto abbiamo a dire 
sulla elocuzione a due capi, cioè Gusto e Stile . 

AiITICOIiO I. 

Zfel Gusto . 

Possiamo dei&nirc il Gusto una facoltà di 
ricevere le impressioni piacevoli o noiose pro- 
dotte in noi dalle bellezze o dalle difformità 
della natura. Questa facoltà è, sino ad un certo 
punto , comune a tutti gli uomini. In fatti ciò 
ch’è bello, grande armonioso, nuovo, brillante, 

S reduce generalmente piacere; al contrario il 
isarmonico, il difettoso, il rozzo, produce dis- 
gusto. Questo gusto naturale si sviluppa di buon’ 
ora ne’ragazzi , e manifestasi per la loro pre- 
mura e per la loro propensione , almeno mo- 
mentanea, per tutto ciò che li colpisce per no- 
vità e per maraviglia. 


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PARTE III. — ELOCUZIONE. ÌOg 

Il pià Stupido contadino prova un certo pia- 
cere nei racconti che gli si fanno ; e non è 
d’ altronde insensibile a’ grandi fenomeni della 
natura. Ne’ deserti dell’America, ove sterile la 
natura offresi , i selvaggi hanno i loro adorna- 
menti, i loro cantici guerrieri, i loro inni fu- 
nebri, i loro oratori. Dunque i principj gene- 
rali del gusto sono profondamente nell’ uomo 
scolpili , e ’l sentimento del bello gli è tanto 
naturale , quanto la facoltà di parlare e di ra- 
gionare. 

IN i uno è privo di questa facoltà: ma non è in 
tutti nella stessa intensità , essendo in ragione 
composta de’ temperamenti varii , della supe- 
riorità degli organi , e delle intellettuali fa- 
coltà. 11 gusto però è il più suscettibile di per- 
fezione; e ce ne possiamo convincere osservan- 
do l’ incalcolabile superiorità che l’educazione 
dà all’ uomo incivilito su’ popoli barbari. 

La ragione e ’l buon senso hanno sulle ope- 
razioni e sulle decisioni del gusto un’ influenza 
cosi diretta , che un gusto completamente puro 
può e dev’ essere riguardato come una facoltà 
risultante dall’ amor naturale dell’ uomo per 
tutto ciò eh’ è bello , e dal suo intelletto per- 
fezionalo. Ed infatti, le produzioni del genio 
non sono per la maggior parte , che imitazioni 
della natura , pitture del carattere , azioni e 
costumi degli uomini : quindi , il piacere che 
ne arrecano queste produzioni e queste pit- 
ture è unicamente fondato sul gusto. Ma se 
trattasi poi di pronunziare sul merito dell’ ese- 
cuzione del lavoro , qui comincia ad agire il 
giudizio , che avvicina la copia al suo ori- 
ginale. 

Leggendo, per esempio, la Gerusalemme e 



Ilo l»ArtTB Iti. — Et.OCtJZtÓNÉi 

1* Eneide , una porzione considerevole del pia- 
cere che ci cagionano questi bei poemi è fon- 
data sulla saggezza del piano , sulla condotta 
dell’ opera , sulla concatenazione sorprendente 
delle parti col grado di verisimiglianza neces- 
sario all’ illusione , sulla scelta de’ caratteri fé- 
delmente imprestati dalla natura, e sull’ accordo 
finalmente de’ sentimenti co’ caratteri dello stile^. 
Il piacere che risulta da opere così condotte , 
è ricevuto e sentito dal gusto, come un senso 
interno ; ma la scovcrta di questa condotta ^ 
che ci alletta e ci rapisce , è dovuta alla ra- 
gione; e più la ragione ci rende capaci di scoprire 
il merito d’un simile piano, piu troveremo pia- 
cere alla lettura dell’opera. 

I caratteri distintivi del gusto si possono a 
due principalmente ridurre , delicatezza e pu- 
rità. La delicatezza del gusto consiste princi- 
palmente nella perfezione di quella naturale 
sensibilità, eh’ è la base di esso gusto: essa 
suppone quella finezza d’ organi che ci rende 
capaci di scovrire alcune bellezze , che sfug- 
gono all’ occhio volgare. 

L’ eccellenza del gusto tton consiste in altro 
che nel grado di superiorità’ che acquista 
dalla sua unione col giudizio. Colui il cui gusto 
Q sicuro, non lascia, giammai sorprendersi da 
bellezze fattizie , ha continuamente innanzi a 
se la regola invariabile del buon senso, che 
deve guidarlo in tutto ciò che vuole giudica- 
re ; egli valuta esattamente il merito relativo 
delle diverse bellezze che gli offrono le opere 
di genio , le classifica con ordine, ed assegna 
la sorgente, da cui attingono la forza di allet-- 
tarci. 

II giusto non è già un principio arbitrario 


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JPAHTE III. — nrocUZICNE. Iti 

soltomesso alla fantasia d’ ogni uomo, e sprov- 
veduto d’ una regola certa , che determina la 
giustezza o la falsità delle sue decisioni. La 
sua base è assolutamente la stessa in tutti gli 
animi : essa è ne’ sentimenti e nelle percezioni 
inseparabili dalla nostra natura ; i quali agiscono 
generalmente con tanta uniformità , quanto gli 
altri nostri principii intellettuali. Se questi sen^ 
tìmenti sono stati pervertiti dall’ ignoranza , o 
adulterati da’ pregiudizj , la ragione può rei-* 
tifìcarli , paragonandoli col gusto generale' per 
giudicare se siano nella loso purità naturale. 
È inutile adunque il declamare sui capricci 
e sull’ incertezza del gusto, poiché l’esperienza 
ha da lunga pezza dimostrato, che avvi un cer- 
t’ ordine di bellezze che collocate nella loro 
sfera , comandano la universale e durevole 
ammirazione. In ogni composizione , ciò che 
interessa 1’ immaginazione, e muove il cuore, 
è certo che piace in tutt’ i tempi ed in tut-» 
t’ i paesi , per la ragione che avvi nel cuore 
umano una certa corda , che mossa con giu- 
stezza non può non produrre il senso che l’è 
proprio. Da ciò proviene quello attestato di 
stima quasi generale , che i più illuminati po- 
poli han dato da tanti secoli a’ capi d’ opera 
d’ ingegno. 

Esaminiamo ora le sorgenti donde derivano 
ì piaceri del gusto. 

Qui s’ offre un campo vastissimo , che rac- 
chiude tutt’ i piaceri dell’ immaginazione , o ri- 
sultanti dagli oggetti che la natura presenta, 
o dalla imitazione e dalla descrizione di que- 
sti oggetti. Ma non è necessario di percorrerli 
tutti ; considereremo solamente i piaceri che 
derivano dalle produzioni letterarie , insistendo 


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Ila PARTE IFI. — EIX)CUZIONE< 

parti colarmeme sul bello e sul sublime nelle 
opere d’ ingegno. 

Pochi passi si sono fatti in questa parte della 
filosofia critica; e ciò devesi attribuire alP estre- 
ma sottigliezza di tutt’ i sentimenti del gusto. 
E diiiicile il noverare i diversi oggetti che 
possono proccurare de’ piaceri al gusto , ed è 
più diiiicile ancora deffinire quelli che l’ espe- 
rienza ha scoverti , e collocarli nel loro vero si- 
to ; e quando vogliamo innoltrarci a cercare le 
cause efficaci del piacere che ne procurano sif- 
fatti oggetti , sentiamo allora la nostra insuffi- 
cienza. L’ esperienza s’insegna che certe figure 
del corpo ci sembrano più belle di altre ; e 

I irogredendo I’ esame , scopriamo che la rego- 
ariu'i d’ altre figure e la piacevole loro varietà 
sono il principio delle bellezze che vi trovia- 
mo. Ma volendo poi render conto a . noi stessi 
di quella regolarità , e di quella varietà che 
cagionano in noi le sensazioni del bello tutte 
le ragioni che ne possiamo assegnare sono sem- 

E re imperfettissime. E Montesquieu , il quale 
a preteso di spiegare i fenomeni del gusto eoa 
ragioni tratte dalia metafisica , non ha fatto , 
a. parer mio, che un metafisico romanzo. Sem- 
bra che la natura abbia avvolto fra dense nubi 
questi primarii principii del senso interno. Ma 
se la cagione prima di queste sensazioni è per 
noi oscura , la loro causa finale è poi facile a 
colpirsi ; il che deve consolarci. 

Del sublime nelle cose. 

\ 

Il piacere che risulta dal sublime o dal 
grande esige una particolare attenzione. Il suo 
carattere infatti è più preciso , più facile a col- 


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PARTE III, — ELOCUZIONE. Il5 

firsi di quello dogli altri piaceri dell’ imma- 
ginazione , ed ha col nostro oggetto un rap- 
porto più diretto. La grandezza presentasi a noi 
sotto la più semplice forma nel vasto ed im- 
menso quadro della natura. Tali sono quelle 

S ianure ove la vista non ravvisa limiti , la volta 
cl cielo , r illimitata estensione dell’ oceano. 
Tutto ciò , che presenta grande estensione , 
produce generalmente 1’ idea del sublime , per- 
chè la nostra anima sembra estendersi , innal- 
zarsi , ingrandirsi per trovars’ in armonia con 
questi stessi oggetti. Una immensa pianura ci 
colpisce , una montagna , di cui 1’ occhio mi- 
sura appena l’ altezza , un precipizio , una torre 
elevata , dalla quale la vista abbraccia una va- 
sta circonferenza , eccitano sensazioni tanto più 
vive in quanto che sono involontarie. La gran- 
dezza del firmamento risulta per noi dalla sua 
elevazione ed estensione ; quella dell’ oceano 
proviene non solo dalla sua estensione , ma dal 
moto continuo , e dalla irresistibile impetuo- 
sità delle acque. Allorché trattasi di spazio, una 
sorta d’eccesso delia sua estensione, in qua- 
lunque senso , è inseparabile dall’ idea della 
grandezza che vi si unisce. Ed ecco perchè 
ì’ immensità dolio spazio, l’aggregato immenso 
de’ numeri, c la durata eterna riempiono 1’ a- 
nima di si grandi idee. 

La sorgente più feconda delle idee sublimi 
deriva dall’ azione d’ un gran potere, o d’una 
forza superiore ; e perciò viemaggiormente col- 
pisce la grandezza dei tremuoti , de’ vulcani , 
delle grandi conflagrazioni, dell’oceano solle- 
valo dalla tempesta , e d’un urto qualunque tra 
gli elementi. Un fiume, che scorre tranquil- 
lamente tra le due sponde, è indubitatamente 

8 


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ii4 pAnTE III. _ nrocussTONE. 

un bello spettacolo ; ma che si precipiti poi 
con 1’ impetuosità e’I l'ragore tl’ un lorrente , 
il quadro diverrà sublime. Le tenebre, la so- 
litudine , il silenzio , e tutte le idre fìnal- 
mente che partecipano del solenne e del reli- 
gioso , assai contribuiscono a produrre il su- 
blime. La volta azzurra che scintilla di stelle 
con ricca prolusione seminate , ci dà forse una 
idea più giusta delia grandezza, che non lo sa- 
rebbe allorché risplende per mezzo de’ fuochi 
solari. 

Osserviamo egualmente , che 1’ oscurità è 
favorevolissima al sublime. Tutte le descrizioni 
ebe hanno per oggetto l’ apparizioni di esseri 
soprannaturali, presentano ael maestoso, quan- 
tunque noi ne avessimo idea confusa; ma questo 
genere d’ impressione risulta dalla idea d’ un 

S otere , d’ una forza superiore che circondasi 
’ una maestosa oscurità. Nulla di più sublime 
quanto 1’ idea che ci formiamo della divinità; 
e questo è il meno cognito, quantunque il più 
grande di tutti gli oggetti. L’ infinito di sua 
natura , 1’ eternità della sua durala , la sua 
onnipotenza sono cose che oltre|iassano la sfera 
delle nostre idee , ma esse le innalzano al più 
alto punto a cui possano attingere. E facil- 
mente comprendesi non essere con lo spirito solo 
che noi c’innalziamo e che arriviamo a queste 
sorte di bellezze. Esse parlano eloquentemente 
alle sole menti già penetrate dalla sublimità 
morale di questi grandi oggetti. E qui cade 
in acconcio spiegare che intendiamo per mo- 
rale del sublime. Esso ha. la sua sorgente in 
alcune operazioni della mente umana , ed in 
certe affezioni o azioni de’ nostri simili , che 
si conoscono sotto i vocaboli di magnanimità, 


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PARTE III, — EtiOCUZtONB. Il5 

eroismo / producendo su di noi un efietlo si- 
mile a quello eccitato dallo spettacolo de’ grandi 
oggetti della natura : 1’ anima riempìesi d’am- 
mirazione, ed innalzasi al di sopra della sua sfera. 
Ogni volta cbe in una critica situazione noi 
veggiaino un uomo spiegare un coraggio straor- 
dinario , fidarsi solo di se stesso , essere im- 
perterrito , disprczzare 1’ opinione dei volgo , 
il suo personale interesse, e per fine la morte 
che il minaccia ; 1’ elevatezza del suo animo 
si trasfonde nel nostro , ed allora troviamo il 
sentimento del sublime. Poro è fatto prigio- 
niero da Alessandro , dopo essersi valorosa- 
mente difeso. II figlio di Filippo gli domanda 
come voglia esser trattato. Da re, risponde Poro. 
Il piloto che portava Cesare, trema all’ aspetto 
delia procella. ' 

Che temi , ei disse ? Caesarem vehis\ tu porti 
Cesare. 

Ecco gli esempi del sublime di sentimento 
Del sublime nelle letterarie composizioni. 

Nella natura del soggetto descritto è d’uopo 
ricercare la base del sublime nelle letterarie com- 
posizioni. Per elegante che sia una descrizio- 
ne , essa non apparterrà al genere sublime , 
se r oggetto cbe descrivesi non sarà capace di 
produrre idee grandi , e inaravigliose : e ciò 
cb’ è bello , piacevole ed elegante solamente, 
viene ad esserne escluso. Non basta d’altron- 
de , ch’il soggetto sia sublinae, dev’ essere an- 
cora presentalo nella maniera più atta a fare 
una impressione viva ; e questa impressione 
dovrà essere forte concisa e semplice. Ma tutto 
ciò dipende principalmente dall’ impressione più 


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llG VARTE III, — Er,OCL'z*ONB. 

o meno folle, che l’ojjgeito descriuo ovrà fall* 
sul j’oeta o sull’oratore. Se hanno deLolniente 
sentilo , non potranno giammai eccitare ne’ let- 
tori una ben profonda emozione. 

Gli esempi proveranno chiaramente l’ impor- 
tanza c la necessità di quanto si esige dallo 
scrittore. 

Chiama gli ahitator dell’ ombre eterne 
11 rauco suon della tarlarea tromba: 

Treman le spaziose atre caverne , 

£ l’aer cieco a quel rumor rimbomba. 

Nè si stridente mai dalle superne 
Begìuni del cielo il folgor piomba: 

Ne riscossa girimniai ireiiia la terra. 

Quando i vapori io sen gravida serra. 

Tasso Ger. lib. IV . 3. 


L’Enfer s’èmeut an bruit de Neplune cn fureur. 
Plulon sort de son tióne, il pàlit, il s’ ccric , 

11 a peur que ce dirli, daiiscet alTreux séjour , 
B’un coup de son tridrnt, ne fasse entrer le jour. 
Et, par le centre ouvert de la terre èbralée , 

Ne lasse voir du Stix la rive désolée, 

Ne dccouvre aux raortels cet empire odieux, 
Abhorré des mortels, et crainl méme des Dieux. 

Boileau. 


'..... Namque Diespiter, 

Igni corusco nubila dividens 
Plcrumque per purum lonantes 
Egit equos, volucremque enrrum. 

Horat. Ode 34 lib. I. 

La concisione e la semplicità sono essenziali 
al sublime , e la ragione è evidente. L’ emo- 
zione che la grandezza e la nobiltà d’un og- 
getto eccita nella nostra anima , 1’ innalza al di 
so]>ra di se stessa , produccndo non so quale 


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PARTE IH. — EliOCUZIOKE. II7 

eniiusiasmo ^ che ci alletta sin oh' esiste , ma 
non si mantienie l’anima lungo tempo in (jue- 
sto allo grado d’ elevazione , e tende a rica- 
dere nel suo stato ordinaria Quindi se 1’ au- 
loie moltiplica le parole senza necessità , se 
offusca d’ ornamenti la descrizione d’un oggetto 
sublime, snerva la forza dell’ emozione , cd al- 
lora la descrizione potrà essere bella, ma non più 
sublime. Cosi Virgilio ci rappresenta Giove scuo- 
tendo l’Olimpo con un cenno del suo capo.. 

Annuii^ et lotum nuU* trem^ìfefiit Olimpum. 

Eneid. IX, to6. 

Rvavinoiy ofp-J3i vt^ias K^ovlAiy. 

..... (/.s'/xy S' o/.’j(jwroi». 

J/iad. I. 5sì8 e 53o. 

. . . J.0V1», 

Cuncta supercilio moventis. 

Horat., Ode 4 > 

Oltre la semplicità e la concisione , Iji forza 
è una delle qualità indispensabili del sublime. 
La forza d’una descrizione consiste in gran parte 
nella sua concisione , ma essa comporta qual- 
che cosa di più , ed è principalnaente una scelta 
giudiziosa di circostanze capaci di mettere l’og- 
getto descritto nel lume ptu favorevole. In ciò. 
consiste la grand’arte dello scrittore , la grande 
difficoltà d’ una descrizione sublime. Una tem- 
pesta, per esempio , è un oggetto naturalmente 
sublime; ma per farne una descrizione subli- 
me , basterà forse di sopraccaricare a caso e 
senza gusto tutti gli effetti che può produr- 
re , e tutte le circostanze che 1’ accompagna- 
no ? No certamente , è d’ uopo scegliere in 
quell’aggregato di cose quelle che possono fare 



Il8 PARTE III. — ELOCUZIONE. 

•una più profonda impressione. Virgilio si è pe- 
netrato di tutte queste cose nella descrizione 
della tempesta. 

Sifpe eliam irvmensum coe/o venit agmen aquarum, 
MI foedam glonierant tvmpeslalern imbribua altria tic. 

Geuig. 1 > 3- 3:23 e teg. 

Ariosto descrive il rumore dell’ archibugio. 

Dietro lampeggia a guisa di baleno , 

Dinniizi scoppia , e nian'ia in aria il tuono ; 

Treman le mura , e sotto i piè il terreno , 

11 ciel rimbomba al paventoso tuono. 

Ori. far. IX , y5. 

Del bello e dei piaceri del gusto. 

Il Lello è dopo il sublime, ed è quello che 
procura all’ immaginazione i ])iù vivi piaceri ; 
ma r emozione eh’ eccita , facilmente distin^jucsi 
da quella prodotta dal sublime. Es a è d’ un 
genere più dolce, ha del più amabile , del piu 
seducente , non innalza tanto 1’ anima , e v’ in- 
troduce una certa serenità. Il sublime cagiona 
sensazioni troppo forti per essere durevoli; quelle 
che risultano dal bello sono suscettibili d’ una 
più lunga durata. 11 suo dominio è molto più 
esteso , e la varietà degli oggetti che abbrac- 
cia è sì grande , che le sensazioni che pro- 
duce hanno tra esse diversi distintivi. Niente 
di |ùù astratto quanto la parola bello; appli- 
casi quasi a tutti gii oggetti ebe appagano is- 
chio ed allettano l’ orecchio ; alle grazie dello 
stile, a parecchie disposizioni dello spirilo, ed 
a cose anche che sono 1’ oggetto delie scienze 
puramente astratte. 


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PARTE III. — BI.OCU'ZfOMS. tig 

11 colorn y secondo Blair , somministra il ca> 
ratiere più semplice della bellezza. £ proba- 
bile che 1’ associazione delle idee inlLuisca in 
qualche maniera sul piacere che ci danno i co- 
lori. Il verde, per esempio, può sembrarci bello, 

{ )ercliè si liga nella nostra immaginazione con 
e idee di scene campestri, di prospettive ec : il 
bianco ci dipinge la innocenza. Indipendente- 
mente da quest’ associazione d’idee, tutto ciò che 
possiamo considerare di più circa i colori è, che 
sono i più delicati , e non già quelli più sor- 
prendenti , che diconsi ordinariaincnie i più 
belli , come le piume d’ alcuni augèlli , It fo- 
glie de’4iori, e r ammirabile varietà che spie- 
ga il ciclo al levarsi ed al tramontar dell’ a- 
stro benefico. 

Le figure ci presentano il bello sotto le for- 
me più varie e più complicale. La regolarità 
s’offre da principio all’ osservatore come una 
delle sorgenti principali della bellezza! Una 
figura è regolare quando tutte le sue parti sono 
formale dietro una regola certa che nulla am- 
mette di vano, di arbitraria, nè conosce ec- 
cezioni. Così un cerchio , un quadrato, un tri- 
angolo appagano 1’ occhio, perchè sono esse fi- 
gure regolari , ed ecco la loro bellezza. Inlanta 
una felice varietà è una sorgente di bellezze 
molto più feconda. La regolarità stessa allora 
ci alletta , quando legasi naturalmente alle idee 
di giustezza, convenienza, unità , le quali hanno 
un rapporto più diretto con le figure esatta- 
mente proporzionale , che non lo abbiano con 
quelle il cui aggregalo non è stato soggetto 
ad alcuna regola certa. La natura , il più abile 
degli artisti , ha ricercato la varietà in tuit’ i 
suoi ornamenti j ed essa afielta una specie di 



130 parte III. — BliOCUZIONB. 

disprezEo per la regolaritJi. Quale prodigiosa va- 
rietà nelle piante , nei fiori e nelle stesse foglie? 

' Il moto è un’ altra sorgente del bello ; è per 
se stesso piacevole , e tutte le cose in moto sono 
generalmente preferite a quelle che sono nel- 
1’ inerzia. 

Il moto dolce appartiene solamente al bello; 
il violente e rapido, come sarebbe un torren- 
te , appartiene al sublime. 11 moto d’ un uc- 
cello che equabilmente fende lo spazio, è bel- 
lissimo; ma la velocità del lampo che solca 
i cicli, è imponente e magnifica. Quindi il su- 
blime e’ 1 bello sono sovente separati da .una 
nube leggiera , e qualche volta si approssimano 
quasi al punto d’ incontrarsi. 

il colore, la figura ed il moto, considerati se- 
paratamente, sono adunque le sorgenti del bello; 
s’incontrano intanto in una quantità d’oggetti, 
che improntano allora da questa riunione il 
carattere della più perfcita bellezza. I fiori , 
gli alberi , gli animali offrono a gara la deli- 
catezza de’ colori , la grazia delia figura, e spesso 
ancora il moto dell’oggetto. L’aggregato più 
completo di bellezze, che possa presentarci lo 
spettacolo della natura , è indubitatamente la 
veduta d’ un paesetto , arricchito d’ una suf- 
ficiente varietà di oggetti; qui un tappeto di 
verdura , più lungi alcuni alberi sparsi , un 
ruscello che serpeggia , armenti che pascolano. 
Che r arte aggiunga a questa bella scena or- 
namenti analoghi al colorito del quadro, come 
per esempio , un ponte gettalo sul fiume , il 
fumo che a globi esala dalle capanne traver- 
sando gli alberi , allora si che proveremo tutto 
ciò che hanno di più dolce , di più soave le 
sensazioni che caratterizzano il bello. 


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PARTE IlL ELOCUZIONE. 121 

La beltà della Gsonomia è più. variata , e 
più complicala di tutto ciò cb’ è stalo sioora 
oggetto del nostro esame. 

tt I suoi capelli eran crespi, lunghi e d’oro, 
j> e sopra gli candidi e delicati omeri rica- 
» denti ; e’ 1 viso ritondetlo , con un color vero 
» di bianchi gigli, e di vermiglie rose mesco - 
)) lati, tutto splendido, con due occhi in te- 
n sta , che parevano d’ un falcon pellegrino ; 
j> e con una boccuccia piccolina , le cui labbra 
» parevano due rubinetti. » ( Bocc. Novel. ) 
Ma la bellezza principale della Gsonomia 
consiste in quella espressione sincera dei mo- 
ti deir animo , della vivacità , del candore , 
della benevolenza , e di tutte le altre ama- 
bili qualità. Ed avvi di certe qualità dell’ a- 
nimo , che espresse co’ lineamenti del viso , o 
con le parole , o con le azioni , ci fanno pro- 
vare una sensazione eguale a quella della bel- 
lezza. Le qualità morali possono ridursi a due 
grandi classi. 

La prima contiene quelle alte ed eminenti 
virtù, eh’ eccitano granai sforzi, ed espongono 
a grandi pericoli , o a grandi calamità ; come 
1’ eroismo , la magnanimità , 1’ avversione del 
piacere e ’l disprezzo della morte. L’altra classe 
comprende le virtù sociali , ovvero la comp.is- 
sione , la dolcezza , 1’ amicizia , la generosità, 
e (inai mente tutte le virtù dolci. Esse eccitano 
nell’animo dell’ osservatore una sensazione di 

J tiacere simile a quella della bellezza esteriore 
[egli òggctli , che quantunque d’una sfera molto 
più elevata , si può , senza degradarla collo- 
care nella stessa classe. 

Nelle letterarie composizioni il bello è un 
termine astratto, di cui è diUicile determinare il 


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193 PATITE III. — elocuzione. 

senso. Applicasi indistintamente a tutto ciò 
cbe piace sia nello stile , sia ne* pensieri. È 
un genere particolare , eh’ eccita nell’ animo del 
lettore una emozione dolce e piacevole , simile 
poco presso a quella che risulta dall’ aspetto 
della bellezza nelle opere della natura- 
li bello dunque^ dopo il sublime, è la sor- 
gente più feconda de’ piaceri del gusto. 

Ma non solamente per la bellezza e per la 
sublimità gli oggetti ci appagano : essi investono 
altri caratteri , come la novità e l’imitazione 
per cui anche ci allettano. Un oggetto il quale 
altro merito non ha che quello d’ essere nuovo 
o poco comune , eccita per questo solo una sen- 
sazione tanto viva quanto piacevole ; e da ciò 
deriva quella passione della curiosità sì natu- 
rale a tutti gli uomini. 

Gli oggetti , le idee con le quali siamo fa- 
migliarizzaii da lungo tempo , lasciano una im- 
pressione debolissima, che non può dare alle 
nostre facoltà un esercizio ben piacevole ; ma 
oggetti nuovi e straordinarj tolgono , per cosi 
dire, lo spirito dall’ apatìa dandogli un impulso 
repente e piacevole. 

L’ emozione prodotta dalla novità è più viva, 
più intima di quella che produce il bello , 
ma è di minore durala , perchè se l’ oggetto 
non contenga cosa cbe possa fissare l’attenzio- 
ne , il diletto prodotto dalla novità , subito sva- 
nisce. 

L’imitazione presenta al gusto un’ altra sor- 
gente di piacere , ed essa entra in tutte le 
arti d’ ingegno. I piaceri della melodia e del- 
r armonia appartengono del pari al gusto. Non 
avvi deliziosa sensazione , risultante dal bello 
e dal sublime , la quale non sia poi suscetti- 


r 


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PARTE III. — EliOCUZrONE. ia3 

bile di ricevere un maggior diletto dal magico 
poterex de’ sensi. Da questa sorgente proviene 
il piacere del metro poetico , e di quella spe- 
cie d’ armonia , che trovasi, quantunque meno 
sensibile , nella prosa un poco ricercata. 

Se uno dimandasse ora a quale classe di pia- 
ceri , delle quali abbiamo fatto parola, debba 
riferirsi quello risultante da una bel’ opera 
di poesia, e di eloqunza ; gli si risponderebbe 
di non appartenere nè alla tale o alla tale 
altra classe in particolare , ma generalmente 
a tutte. Questo e il vantaggio particolare de’di- 
scorsi eloquenti, e delle composizioni accurate : 
il campo che percorrono è tanto vasto quanto 
fecondo, presentando nel loro aspetto tutti gli 
oggetti capaci di sedurre il gusto e l’ immagi- 
nazione , o che il piacere nasca dal sublime', 
o da qualunque genere di bellezza. 

Articolo II. 

Dello Stile. 

Passando ora a discorrere dello Stile, noi di- 
videremo la materia in tre Sezioni: nella prima 
accenneremo i suoi particolari caraueri ; nella 
seconda ci occuperemo degli ornamenti; e nella 
terza , delia struttiira oratoria del discorso. 


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134 


PARTE IH. — EliOCUZrONB. 


Sezioite 1 . 

Dello Stile in generale , e di suoi particolari 
caratteri. 

Lo Siile (i) è la maniera con cui esprimia- 
mo per mezzo del linguaggio , ciò che conce- 
piamo col raziocinio; è il quadro fedele delle 
nosire idee , e dell’ ordine col quale sono li- 
gate nella nostra mente. In qualunque soggetto 
che si tratti lo stile aver deve due qualiia es- 
senziali , la chiarezza e la purità. Scriviamo per 
farci intendere; è neces.sario adunque di comin- 
ciare dall’(intenderci noi stessi , onde moslarci 
chiari e facili verso coloro che ci ascoltano (2). 

Questo (irìncipìo è così naturale, e d’ un uso 
COSI indispensabile^ che parrebbe quasi inutile di 
qui ricordarlo , ed intanto è trascurato da’ gio- 
vani.*. La premura di produrre , il desiderio di 
godere e di far godere agli altri delle nostre 
produzioni, fa prendere la penna prima d’es- 


(1) Siile signiGcava un tempo l’ago di coi si servi- 
v.vno per iscrivere sulle tavoleite incerate ; il quale da 
un estremo era puntuto , e dall’altro ammaccato, ^er 
cancellare , nel bisogno , ciò eh’ crasi scritto. Saepe 
atylum veriaa. Hor. 

(2) Ipaae rea verba rapiunt. Cic. fin. III. c. 17. 

F"erbaque proviaam rem non invita aequentur. 

Hor. Art. poet. v. 3 ti. 

Selon que notre idée' est plus ou moins obscure 
L’expression la suit , ou moins nette , ou plus pure. 

Ce que I' on concoit bien s’énonce clairement , 

Et les mols pour le dire arrivent aisément. 

Boiuav. 


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PARTE III. — . ELOCUZIONE. 125 

sersi ordinalo il filo delle idre , d’ aver ricer- 
cato , e messo tra esse quel legamento, quel* 
l’ armonia , senza cui lo stile più abboncTante 
d’ ornamenti stanca in vece d’ inienssare il let- 
tore. E se bisogna continuamente ritornare in 
dietro , rileggere più volle quello clic già s’ è 
letto per arrivare a capirlo, la mente si stanca, 
ed abbandona l’ opera. L’ uomo d’ altronde è 
naturalmente indolente ; sicché schiva un’ im- 
presa tanto laboriosa: e qualunque siesi l’elogio 
che possa darsi ad un autore profondo , cui si 
sono finalmente squarciate le tenebre , ben dì 
rado sarebbe uno inclinato a leggerlo per la 
seconda volta. 

L’ oscurità dello stile nasce principalmente 
dalla confusione delle parole, e dalla inesatta 
costruzione di esse ; e questo è il difetto più 
inescusabile in tutte le lingue. Una sovrabbon- 
danza di parole e di circostanze inutili , una 
precisione affettata contribuiscono egualmente 
all’oscurità dello stile. Delle volle dicendo molto, 
nulla si dice ; delle altre per non dir tutto , 
non si dice abbastanza; c finalmente per timore 
d’essere troppo semplice uno diviene oscuro. Ma 
non pretendiamo con ciò inferire esser mestiere 
il rinunziare di esprìmersi in una maniera in- 
gegnosa, nuova e penetrante, interdicendo una 
certa acutezza di stile ; noi vogliamo soltanto 
premunire i giovani contro gli scogli d’ un ge- 
nere di scrìvere, che li seduce facilmente col 
suo momentaneo splendore, facendo lor mettere 
in non cale tutto il resto : vogliamo loro inse- 
gnare, eh’ il gran segreto dello scrivere è ripo- 
sto nel conciliare la finezza dello stile eoa 
la chiarezza ; e che tutti que’ tratti che par- 
ranno brillanti oscurando poi quell’iudispensa- 

» 


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ia6 PAfiTB Ilf. — elocuzione. 

bile biforme qualità , non potranno lunga.- 
mente brillare. 

La chiarezza dipende dalla scelta delle pa- 
role , dalla costruzione delle frasi , e dal liga - 
mento delle idee. Considerata poi sotto il rap- 
porto delle parole e delle frasi , esige purità 
e proprietà ne’ termini , e precisione nelle frasi. 

Sovenie si confonde la purità e la proprietà 
grammaticali : queste due qualità si toccauo in- 
fatti da vicino ; ma è facile di penetrarne la 
differenza. La purità del linguaggio consiste nel- 
r impiegare i termini e le costruzioni che ap- 
partengono all’ idioma cui ci serviamo , in pre- 
ferenza di quelli improntati dalle altre lingue, 
o non più usati nella nostra , o troppo muovi 
e non ancora autorizzati. La proprietà poi con- 
siste nel irascegliere per esprimerci i termini 
più convenevoli e più generalmente adattati 
alle idee che ci proponiamo di manifestare. Lo 
stile esser può puro , e lasciare intanto mo'to a 
desiderare circa la proprietà. Le parole esser 
possono malamente scelte , mal adattate al sog- 
getto , e presentare sotto un falso lume il pen- 
siero dell’ autore. Egli forse le avrà tutte at- 
tinte nella massa generale de' vocaboli ricevuti, 
ma non è stato nè felice , nè abile nella scel- 
ta. Lo stile nulladimeno è difettoso nella pro- 

S rietà , quando pecca contro la purità 5 e quindi 
alla riunione di queste due qualità ne risul- 
tano le grazie e la chiarezza. In tre maniere 
possiamo offendere la purità: 1.° impiegando pa- 
role non italiane, se in questo idioma scrivia- 
mo , e ciò dicesi barbarismo ; 2®. facendo una 
costruzione non italiana , il che dicesi solecis- 
mo (1) j 3 “. finalmente le parole e le frasi pos- 
(i) Solecismo trae la sua origiue della città di SoXo' 


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parte III. — ELOCUZIONE. 137 

sono essere scelte e disposte in modo da non si- 
gnificare ciò che ordinariamente significano, e 
ciò dicesi improprietà. 

Oltre la purità , lo stile esser può conside- 
rato , come avendo per oggetto 1’ intelletto^ 
clx’ esso vuol rischiarare ; P immaginazione ,.che 
vuol colpire ; le passioni , che si propone di 
eccitare ; e 1’ orecchio finalmente , che non deve 
mai trascurare : or dunque in questi varii rap- 

f iorti lo stile dovrà esser chiaco per l’ intel- 
etto , forte e veemente per le passioni , ed ai> 
monioso per l’orecchio. Non basta però d’ essere 
chiaro , bisogna essere ancora preciso. Anzi è 
difficile il concepire la chiarezza senza la pre-« 
cisione. La grand’ arte dello scrittore è di con- 
ciliar queste due qualità , e potrà ottenerlo ba- 
dando alla purità ed alia precisione del lin- 
guaggio. 

La precisione ha due scogli da evitare : la pro- 
lissità, che degenera in un abbondanza di pa- 
role insignificanti , e la estrema concisione , 
che conduce spesso nell’ oscurità. La strada 
da scegliersi in questi due eccessi , è di sfron- 
dare 1’ albero senza mutilarlo. Ecco l’immagine 
della precisione ; nulla deve dirsi di superfluo, 
e non ommettere ciò eh’ è necessario. Ma la 
precisione è qualche volta nel pensiero , e qual- 


fondala da Solonc. Vi si accurse in folla per popo- 
larla ; e gli Ateniesi vi andarono in gran numero. 
Ed essendosi confusi con gli antichi abitanti , per- 
dettero nel loro commercio la purità e la civiltà del 
loro linguaggio , e parlarono come i barbari. Da que- 
sto ^oìouo) gli abitanti di <oXoi vennero chiamati , e 
4oXotKi'{;siy parlare una cattiva lingua , fare de’ sole- 
cismi. 


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laB pAnTE III. — elocuztone. 

che volta nell’espressione. Quando Cesare scorge 
Bruto fra suoi assassini , ed esclama dolorosamen- 
te: Tu quoque , Brute ^fili mi = E tu ancora , o 
Bruto, mio figlio (i) , 1’ espressione è semplice, 
e la precisione del pensiero ha del sublime 

Ma , lo ripetiamo ancora , la precisione non 
può produrre un buon efiFetto , che quando 
e unita alla chiarezza. 

Litlora tum patriae lacryjnans porlusque 
reli n quo , 

Et carnpos ubi Troja fuit. 

ÈnEIO. ut j T. IO. 

Qui la precisione somiglia ad un solo e me- 
desimo tratto ; tutto ciò che poteva esprimere 
un gran pensiero , e tutte le particolarità pos- 
sibili, non darebbero un’idea più giusta e più. 
compieta della distruzione totale a una città 
celebre. Lucano , volendo dipingere 1’ abbat- 
timento e la costernazione profonda che re- 
gnava in Roma all’approssimarsi della guerra 
civile, impiega un tratto solo, eh’ è sublime 
per la sua precisione. 

Erravil sine voce dolor. 

Phar. a , v. af. 

Questi caratteri generali dello stile sono in- 
dispensabili allo scrittore in qualunque genere 
eh’ egli scriva ; ma avvene molti altri che di- 
pendono più particolarmente dalla natura del 
soggetto , e eh’ è d’ uopo conoscere e saper 
distinguere. 

È verità incontrastabile, che soggetti diversi 
esigono stili diversi , e che lo stile oratorio, per 
esempio , non può essere quello d’ un trattato 
filosofico. Ma ciò che deve maggiormente fis- 


(i) K»i' oJ, rsHvov. Plut. in Brut. XP' II. 


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PARTE III. — ELOCUZIONE. ] 2g 

sare l’ attenzione de’ giovani è che malgrado 
la varietà degli stili , essi debbono conoscere la 
maniera di scrivere d’ un autore in tutte le sue 
^eie. Per esempio , la Divina commedia del 
Dante e le prose di qtjesto autore , la Gerusa- 
lemme del Tasso e le sue lettere, lo Spirito delle 
leggi di Montesquieu e le sue Lettere Persiane, 
L’ Éneidi di Virgilio e le Buccolicbe sono su- 
periormente trattate nel loro genere ; eppure 
si scorge in essi la penna dello stesso au- 
tore. Dunque uno scrittore di genio deve avere 
uno stile , ed una maniera d’ esprimersi tutta 
propria; e quando le sue composizioni non offrono 
un particolare carattere , ei sarà sempre uno 
scrittore mediocre , che lavora d’ imitazione , e. 
che non proverà giammai l’ impulso del genio 

Dionigi Alicarnasseo divide in tre specie i ca- 
ratteri generali dello stile , cioè stile austero , 
stile fiorito, e stile medio. Cicerone e Quinti- 
liano lo sieguono nella divisione , ma con certe 
distinzioni delle loro qualità rispettive : e que- 
ste distinzioni sono state adottate da’ moderni 
retori ; ma cosi astrattamente trattate , eh’ è 
impossibile 1’ aver idee giuste dello stile in ge- 
nerale, e delle sue particolarità. Noi procure- 
remo di supplirvi. 

La prima c la più interessante distinzione 
degli stili risulta dal maggiore o minore svi- 
luppo che dà 1’ autore ai suo pensiero. Da ciò 
risulta lo stile conciso e’I diffuso. Lo scrittore 
conciso rinchiude le idee nel minor numero pos- 
sibile di parole , impiega le più espressivej 
rigettando tutto ciò , che non aggiunge sen- 
sibilmente al pensiero. Si permette qualche or- 
namento , ma serve per fortificare , e non mai 
per abbellire la frase : tutto insomma tende 

9 



)5o PAUTE III. — elocuzione. 

alla precisione, cercando piuUoslo di la r pen- 
sare il lettore , che completamente soddisfare 
la sua immaginazione. 

Lo scrittore diffuso al contrario non crede 
giammai d’essersi abbastanza spiegato, e sembra 
dubitare talmente dell’ intelligenza del lettore, 
che nel presentare il suo pensiero sotto varie 
forme, stanca. Non cura di farsi capire a primo 
aspetto, perchè s’ è proposto di ritornare sulle 
sue idee ; c ciò che perde in forza, cerca di 
guadagnarlo in abliondanza ed in varietà. I suoi 

f ieriodi sono naturalmente lunghi ; e ben vo- 
ontieri profonde gli ornamenti che crede adat- 
tali. Onde lo stile diffuso è snervato ; e quando 
manca di robustezza è poi snervato senza essere 
diffuso. 

Lo stile prolisso non è già il diffuso : quello 
estendendosi sulla superficie degli oggetti, s’arrc- 
sta sulle idee accessorie; questo si trascina d’in- 
duzione in induzione, di conseguenza in con- 
seguenza, stanca la mente, e ricalcitra l’at- 
tenzione , quando la vuole soggettare alla sua 
penosa lentezza. 

Lo stile debole , e lo stile nervoso sono so- 
vente confusi con lo stile conciso c ’l diffuso ; 
e la nube che li separa è infatti difficile a sco- 
prirsi. Trovansi intanto degli scrittori molto com- 
mendevoli per la forza, e per 1’ abbondanza 
dello stile ; e tra gli antichi si possono cita- 
re Platone, Plutarco , Tito Livio ed altri 
scrittori. 

La forza o la debolezza dello stile dipende 
dalia maniera con cui un autore vede il suo sog- 
getto. Se con forzalo concepisce, tale lo e.spri- 
merà. Ne ha un’ idea vaga e confusa ? il suo 
stile Io scoprirà. Ma lo scrittore robusto , o che 


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l’AIlTE III. — ELOCUZIONE. l5l 

sia conciso o diffuso , ci lascerà sempre una 
impressione di quello ch’e’ ha voluto dire. Sem- 
pre pieno del suo soggetto ; le sue espressioni 
saranno tutte egualmeute caratterizzate , ogni 
frase, ogni figura contribuirà a rendere il quadro 
più commovente e più completo. 

Cuniiauaziune della stessa materia. 

Fin qui abbiamo parlato dello stile circa l’im- 
pressione del pensiero, lo considereremo ora circa 
gli ornamenti de’quali esser può suscettibile. Sotto 
questo punto di vista adunque sarà lo stile 
Secco, Semplice, Conciso , Elegante e Florido. 

Lo stile secco non ammette vcrun ornamento. 
Contento d’ essere inteso lo scrittore , non cerca 
nè di cattivar l’ orecchio , nè d’ appagare l’im- 
maginazione. 

Questo genere di scrivere è solo tollerabile 
nelle opere didattiche j ma esser deve sostenuto 
dalia solidità della materia, e dalla più grande 
chiarezza nella espressione. 

Lo stile semplice ammette piccolo numero 
d’ ornamenti ; e se da una parte non ci alletta 
per le grazie e per le finezze della composi- 
zione , non ci disgusta però dall’ altra con la 
sterilità e la durezza della sua maniera d’espri- 
mersi. E indipendentemente dalla più felice 
chiarezza, esige una severa proprietà , purità e 
precisione. Avvi questa dinerenza tra lo stile 
secco ed il semplice ; quello non è suscetti- 
bile d’ ornamenti , questo volontariamente li 
rifiuta. 

L’ autore che adotta lo stile conciso , non 
isdegna le bellezze del linguaggio , ma le fa 

consistere nella sola scelta e disposizione delle 

* 


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132 PARTIJ ih. — ETiOCUZlONE. 

parole. 11 giro (delle frasi esser deve naturale, i 
periodi variati, senza affeltazionc, senza una ricer- 
« ata armonia; le sue figure, quando nè ini|jiegas- 
se , sono vive, anziché ardite o brillanti. Kè 
molto génio,nè molta immaginazione è necessa- 
ria per attingere a questo stile , ma con la di- 
ligenza e con l’attenzione possiamo arrivarvi. 
Questo è quello stile che bisogna assolutamente 
studiare, perchè conviene in qualunque sogget- 
to, ed in molti è indispensabile. 

L’ eleganza dello stile vuole la correzione , 
la giustezza e la purezza della dizione. Ma 
questi requisiti non bastano ; esige ancora una 
nobile libertà, Una maniera facile c naturale, 
che senza nuocere alla correzione nasconde lo 
studio e la riservatezza. Il punto essenziale 
e ditlicile è di conciliare l’ eleganza con la na- 
turalezza : due mezzi vi sono per riuscir- 
vi la scelta nelle idee e delle cose , e l’ arte 
di collocare le parole. Ma qualche volta la ma- 
teria presenta assolutamente oggetti spiacevoli 
a descriversi, cose vili e triviali. Che farà al- 
lora lo scrittore per essere elegante ? Dovrà 
porre in opera tutto il suo artifizio, per non 
trasandate le circostanze, che possono interes- 
sare e muovere il lettore, accennare alla sfug- 
gita quelle che, spargendo la chiarezza, sareb- 
bero in ."lira occasione da tacersi perchè di- 
spiacevoli. Maravigliosa è in questo genere la 
descrizione che fa Dante della crudel morte 
di fame, alla quale fu condannato dagli Ubal- 
dini Ugolino della Gherardesca , con quat- 
tro figliuoli , tutti rinchiusi nella torre di 
Pisa : 

Già cran desti > e l’ ora s’ appressava 

Che il cibo ne soleva essere addotto. 




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PARTE III. — ELOCUZIONE. l55 

E per luo (ogno ciascun dubitava, cc. 

Jnfer. Canio 33. 

Il padre Segneri descrive mirabilmenie le 
orribili penitenze de’ Solilarj veduti da S. Gio- 
vanni Cliinaco, i quali penetrati da una viva 
considerazione delle pene acerrime da Dio pre- 
parate a’ peecalori nell’ altra vita , seco propo- 
sero di volersi rinchiudere in un luogo soli- 
tario , che chiamossi carcere de’ penitenti , e 
quivi praticare tutti le possibili asprezze, amando 
meglio di menare in questo mondo una pe- 
nosissima vita, che d’ incontrare nell’altro l’eter- 
na morte. 

a Stavano alcuni, dice, tutta la notte diritti oran- 
do al sereno , altri ginocchioni, altricurvi; ma 
per lo più con le mani tutti legate dietro le 
spalle a guisa di rei , perpetuamente tenevano i 
lumi bassi , nè si riputavan degni di mirar cielo. 
Sedevano altri in terra aspersi di cenere, sor- 
diti , scarmigliati , e fra le ginocchia tenendo 
celato il volto ; ululavano sopra 1’ anima loro^ 
e la deploravano. Altri percuotevans’il petto, 
altri svellevano i crini, ^ altri putrefatte mi- 
randosi le lor carni , per gli alti strazii , co’ 
quali le avevjino macerale, pareva che solo in 
quella vista trovassero alcun sollievo, e si con- 
fortassero ec. ec. Pred. rii. n. y. 

La languidezza e la mollezza dello stile sono 
gli scogli prossimi all’eleganza ; e noi non lo 
diremmo giammai abbastanza con Tullio, quante 
sieno le cure che aver deve uno scrittore per 
riunire nella migliore maniera possibile la forza 
de’ pensieri con l’eleganza continua dello stile. 
Il Gladiatore e 1’ Atleta , die’ egli , non eser- 
citansi solamente a parare ed a ferire con de- 
strezza ; ma a muoversi con grazia . Cosi nel 



104 


PARTE in. — ET.OCrZtONE. 


discorso, bisogna occuparsi nello stesso tempo 
a dare solidità a’pensieri, e piacevolezza e de- 
cenza air elocuzione (i). 

Lo stile fiorito è abbondante di pensieri 

f )iù piacevoli che for;i , d’ immagini più bril- 
nnti che sublimi , di termini più ricercati 
eh’ energici, e la metafora da cui impronta il suo 
nome è ragionevolmente presa da’ fiori , i quali 
offrono più vaghezza che solidità. Le bellezze 
passaggiere qui trovano il loro sito , quando 
non si hanno cose solide da esprimere. 

Ma questo stile sarebbe molto inconsidera- 
tamente impiegato ne’ sermoni e nelle orazioni 
forensi: esso conviene alle composizioni di puro 
allettamento, agl’idilìii, all’ egloghe, alle de- 
scrizioni delle stagioni. Questo è quello stile 
che più seduce i giovani, ed al quale ben vo- 
lentieri s’abbandonano. È raro che le loro prime 
composizioni non pecchino nella profusione degli 
ornamenti, la cui scelta eia distribuzione non 
hanno potute essere regolate dalla saggezza d’un 
gusto severo e rischiarato. E plausibile però che 
i giovani abbiano un genio ardito ed invento- 
re , e che i loro primi saggi abbiano della 
vanità : facilmente si toglie il superfluo e’I di- 
fettoso nell’ abbondanza : ma al contrario la ste- 
rilità è un vizio quasi irreparabile. Questo fu 
anche il sentimento di Cicerone, il quale bra- 


(i) Quemadmodum qui uluntur arniis aul palae- 
atra , non so/nm sibi vitandi ani feriendi ralionern 
esse habendam putant , sed edam ut cuin venustate 
moveaniur ; sic verbis r/ttidem ad aptam compositiv- 
nem et decentiam , senlenliis vero ad gravitalem ora- 
iionis utatur oraior. De orat. III. lao- 


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PARTE III. — EI,OCU5CtOME. l55 

inava , che la gioventù s’ abbandonasse alla lo- 
condilà del dire (i). 

Dell’ Armonia dello siile. 

Oltre quell’armonia’ cliiamata imitativa, per- 
chè dipinge ed imita con la stessa combina- 
zione de’ suoni, come il vedremo nel seguente 
capitolo, avvi un’armonia generale dello stile, 
la quale abbraccia tutte le parti del discorso; 
non si attacca alle particolari circostanze ; e 
tende all’effetto generale del quadro. Questa è 
una delle più grandi difficoltà , ma però una 
delle prime bellezze dell’ arte dello scrivere (2). 

Ciò che i filosofi grammaticali hanno detto 
della formazione , e de’ principj fisici del lin- 
guaggio', deve far comprendere che ogni lin- 
gua è più o meno capace dell’ armonia cui ora 
ci occupiamo. Appartiene poi al poeta , all’ i- 
storico , all’oratore di bene studiare l’essenza 
e ’l genio della lingua in cui scrive per rica- 
varne il miglior frutto. Ma non deve d’ altronde 

a uesto studio degenerare in una puerile ricerca 
i minuzie. Tullio vuole che il giovane oratore 
dia alle sue frasi un giro armonioso ; fiat quasi 
structura quaeda/n ; ma non vuole che il la- 
voro e la ricerca appariscano » nec tamen fìat 
operose , percliè sarebbe lavoro frivolo ed im- 
menso « nam esset ^.quam infinitus, tam pue- 
rilis labor. » 


' • . 

( 1 ) P^olo se efferat in adolescente facandilas. De 
orai. Il, 88. 

( 2 ) Quae siint res permitloenf aures ; sonus et nii- 

merus. Cif. ' 



l56 PARTB III. — Er,OCUzrONE. 

Il primo orgiino da cattivarsi è l’ orecchio , 
eh’ è naturalmente sensibile all’ armonia. 

Ma esso è superbo c sdegnoso, ed il giu- 
dizio suo è severo. Il minimo suono duro , una 
costruzione alquanto equivoca ; una chiusura 
disarmonica ne urtano la sensibilità. 11 pensiero 
più maschio e ’l più piacevole ferirà 1’ orecchio, 
se l’armonia della frase non lo alletta. Quam- 
vis enim suaves gravesque sententiae , tamen 
si inconditis vorhis efferuntur offendunt au- 
•res,quarum superbissimum est judicium. Cic. 

Quintilmno per esprimere lo stesso pensiero 
servesi del seguente paragone : Nihil intrare 
potest in affeclum , quod in aure , velut quo- 
dam vestibulo , statim offendit. Tun’i generi 
di letteratura non domandano uno stile egual- 
mente metrico; ma tutti vogliono uno stile grato 
all’ orecchio. Questi principj dell’ armonia sono 
dunque essenzialmente nella natura , la quale 
è tutta armonica , nè potrebbe un momento 
esistere questo ammirabile aggregato di cose 
senza il portentoso concento delle sue parti. 
Ogni pensiero ha la sua estensione , ogni im- 
magine il suo carattere , ogni movimento dcl- 
1’ anima il suo grado di forza e di rapidità. Ora 
il pensiero dimanda lo sviluppo del periodo; 
ora i tratti di luce da cui lo spirito è col- 
pito sono tanti baleni , che succedonsi rapida- 
mente 1’ uno dopo l’ altro. Lo stile interciso 
conviene a’inmultuarii moti dell’animo; esso è il 
linguaggio del patetico veemente ed appassio- 
nato. Tutte le lingue hanno delle sìllabe più 
o meno lunghe o rapide ; e ciò è suiliciente per 
la prosa. Ma quello che possiamo dire intorno 
a questo, per rischiarare!’ inesperienza de’ gio- 
vani nelle loro composizioni e nello studio de- 


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PARTE III. — EjXXJtrjgtONE. l57 

gli autori è che avvi armonia nello stile , che 
è rapido o lento , conciso o poriodico , stretto 
o sviluppato, secondo che trattisi di provare , 
o dipingere, muovere o ragionare. 

Esempio d’ uno stile rapido. 

nacqui sul Gange ; 

Vissi fra r armi : Asbite bo noltae. Ancor 
non so , che sia timor : piìi dilla vita 
Amar la gloria è mio costume amico : 

Son di Poro seguace , e tuo nemico. 

Met. ^les. nelUt Ind. AU. I. Se. 5. 

Altro esempio di Cicerone prò Milane. 

a Egli ( P. Clodio ) con lo stupro macchiato 
j» aveva le santissime religioni , rotti i gravis- 
» simi decreti del senato , erasi col denaro li- 
» herato apertamente da’ giudici , oltraggiato 
» aveva nel suo tribunato il senato , annullate 
n le cose latte da tutti gli ordini , me cacciato 
» dalla patria , bruciata la m'a casa , lacerati 
» i figliuoli e la consorte mia , intimata sccl- 
)) lerata guerra a Gneo Pompeo , fatte stragi 
» di magistrati e di privati , arsa la casa del 
» fratei mio , dato il guasto alla Toscana , cac- 
» ciati molti dalle case e da’ beni , c’ era sem - 
j) pre sulle spalle e premeva : non potevano 
» inCne le città , l’ Italia, le provincie e i re- 
p gni capir la costui pazzìa ec. » 

\ 

Esempio d’ uno siile vivo ed incalzante. 

Cic. Pbo. Mix.. Pehobsz. 

« Quest’uomo dunque nato alla patria morrà 
» in altro luogo che nella patria ? O se per 



l38 PARTE 111. — ELOCUZIONE. 

» avventura per la patria riterrete le memorie 
» dell’ animo suo , e sasierrete che il suo corpo 
» non abbia sepoltura nell’ Italia? Scaccerà cia- 
3) scuno costui da questa città con la sua scu- 
» lenza , il quale tutte le città, da voi scac- 
» ciatO; a se chiameranno? O beata quella tcr- 
» ra , che riceverà questo cittadino : questa in- 
» grata , se lo scaccerà , misera , se lo avrà 
» perduto! » *, 

Esempio distile vivoe rapido in una progressione tinaie. 

Se 1’ odio ti consiglia , 

L’ odio sospendi un breve istante e pensa , 

Che vana è la mina 

D’un nemico impotente , uiil l’acquisto 

D’ un amico fede! ; die Re tu sei, 

Ch’esule io soli; che fido in le, che vengo 
'Vittima volontaria a questi lidi : 

Pensaci, e poi del mio destili decidi. 

Met. in Xeni. 

Armonia imitativa. 

I suoni senza essere figurati, possono som- 
ministrare, ed hanno somministralo all’ uomo, 
sia per la loro natura , sia per la loro durala, 
una specie di linguaggio inarticolato , per espri- 
mere almeno sino ad un certo punto un nu- 
mero di cose. Gli uomini non avendo da prin- 
cipio eh’ il gesto per comunicarsi le idee , imi- 
tarono la figura, il moto degli oggetti che vo- 
levano rappresentare. Ma quando questo lin- 
guaggio de’ segni si è trovato iusulficienie, è stalo 
mestieri ricorrere ad un linguaggio più espres- 
sivo: allora 1’ organo della voce ha necessaria- 
mente agito con più forza , cd ha fallo init-n- 


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PARTE III. ~ ELOCUZIONE. l3g 

dere de’ suoni rapidi, penetranti, forti , so- 
nori ec. tutti figurati dalle impressioni diffe- 
renti , che dall’ aria ricevevano , diversamente 
modificata dagli organi della parola. Questi suoni 
imitativi trovansi in tutte le lingue , di cui 
sono divenuti , per così dire , la base fondamen- 
tale. Ma la poesia che consiste nella fedele imi- 
tazione della natura , e che adattasi a dipin- 
gere lutto ciò eh’ è suscettibile d’ essere di- 
pinto per mezzo de’ suoni , ha ritenuto e per- 
fezionalo il linguaggio imitativo , ed è uno dei 
suoi caratteri distintivi: ed ogni poesia che nulla 
dipinge pe ’l moto del verso , e per la verità 
dell’ espressione imitativa , cadrà tosto in un 
eterno oblìo. Il che non si saprebbe troppo rl- 

S etere a quelli che aspirano alla riputazione 
i poeti , per aver semplicemente riunito alla 
rinfusa alcune linee d’ una prosa mal concepita, 
e che altro non tiene del poetico , che il me- 
tro monotono d’una rima situata macchinalmente 
all’ estremità di un certo numero di sillabe. Al 
contrario, aprite Omero, e da per tutto gli ren- 
derete quella giustizia che gli rendeva Virgi- 
lio , il quale riconobbe che Omero e la na- 
tura eran una sola e medesima cosa. La na- 
tura aveva appreso ad Omero che per distin- 
guere la bellezza , bisognava scegliere le più 
dolci vocali. Se voglionsi degli esempj dell’ ar- 
monia imitativa , non ne mancano in Virgilio 
in Tasso, ed anche nell’ Ariosto. 



t4o PARTE IH. — ELOCUZroUB. 

Sezione li. 

Degli ornamenti. 

§. L Delle ^figure in generale. 

Cicerone c Quintiliano hanno definito le li- 
gure « certi giri di parole , certe maniere d’ e- 
)» sprimersi, che allontanansi dalla comune ma- 
» nieradi parlare.» Nell’infanzia delle lingue gli 
uomini incominciarono a dare de’ nomi agli og- 
getti che colpivano piu frequcn temente la loro 
vista ; e questa nomenclatura fu lunga pezza li- 
mitata; ma a misura che acquistarono cognizioni 
di un più gran numero d’ oggetti e che le loro 
idee molliplicaronsi , la quantità de’ nomi pro- 
porzionalmente s’ estese. Or dunque era , ed è 
tuttavia impossibile , che una lìngua sommini- 
stri de’ termini differenti per tutte le idee , e 

{ )er tutti gli oggetti. Cercossi perciò d’evitare 
’ imbarazzo di trovare incessantemente nuove 

f tarole , e per alleviare nello stesso tempo il 
avoro alla memoria, servirsi d’ una parola già 
adattata ad una cosa conosciuta per esprimerne 
una che non lo fosse ancora ; ma avendo con 
la prima una sensibile analogia. Ecco 1’ origine 
delle figure in generale ; le quali promanano 
dalla penuria , dalla necessità e dalla sterilità 
del linguaggio; ma poscia, quantunque le lìu- 

f ue si fossero accresciute ; si continuò 1’ uso 
elle figure , perchè allettavano l’ immagina- 
zione (ij. E facile il vedere perchè il liiiguag- 


(i) Modus tras/erendi verbi late palei, quem ne- 


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PARTE HI. — ELOCUZIONE, l4l 

gio sia Stato più figurato ne* primi tempi della 
formazione delle lingue , e perchè si trovi co- 
munemente iu bocca di quelli , che la loro 
nascita ha situato lungi dalla sorgente dell’ i- 
struzione. Si fanno più figure fra gl’ idioti , che 
fra gli accademici. 

Ma sccondocbè le lingue si sono perfezio- 
nate ed arricchite , gl’ ingegni osservatori han 
considerato il vantaggio che può ritrarsi dal lin- 
guaggio figurato , tanto comune ne’ primi tem- 
pi. Hanno veduto , che le figure contribui- 
scono alle grazie ed alla bellezza dello stile , 
quando sono diligentemente impiegate ; eh’ esse 
arricchiscono una lingua , rendendola più ab- 
bondante ; che moltiplicano le parole , le frasi ; 
e che facilitano perciò 1’ espressione d’un gran 
numero d’ idee. Venne allora la classificazione 
delle figure, ricevettero de’ nomi , se ne li- 
mitò 1’ uso ; ed i retori le distinsero in figure 
di parole , ed in figure di pensiero. Ed infatti 
avvi una sensibilissima differenza tra le figure 
di pensiero , e quelle di parole. Le figure di' 

S ensiero , dice Tullio , dipendono unicamente 
a uno slancio dell’ immaginazione , e consistono 
in una maniera particolare di pensare , o di sen- 
tire, in modo che la figura rimane sempre la 
stessa , quantunque si combinassero le parole, 
che r esprimono. Ma per le figure di parole, se 
voi cangiate le parole, la %ura svanisce (i). 


cessilas genuit , inopia concia et angustiis ; post autem 
delectatio , jucundilasque ceUbraoit. 

Cic. de Orat. hi , 38. 

’ (i) Ltter confermalionem verborum et sententiarum 
hoc interest , quod verborum toUitur , ai verba mu- 


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l43 PABTE III. — ELOCUZrOfJE. 

II. Figure di parole. 

Nelle figure di p irolc conviene fare una di- 
stinzione, che r uso stesso di queste esi‘>e , ed 
è quella di figure semplici di parole , e di tro- 
pi , che noi separatamente verremo a trattare. 

Figure semplici di parole. 

Le figure semplici di parole sono quelle per 
cui cercasi dare al discorso una maggior forza, 
ed una maggior vivacità e vaghezza ; ora ac- 
crescendo le parole , ed ora diminuendole senza 
punto cangiarne il significalo ; ed in ciò dif- 
feriscono da’ tropi la cui definizione daremo nel- 
r articolo seguente. Le principali figure sem- 
plici di parole sono i.“ la duplicazione , che 
prende ancora i nomi di Anafora Avjtpopx , di 
Epistrofe Eiriorpo^ri, di Simploce SuaTrXoxiri , di 
£ pana 1 epse E'7ray*XYi4-is, di Anadi piosi AvaJ tirXcBcn 
di Epizeussi secondochè si ripete una 

parola ne’ principj , nella fine ; nel principio 
del precedente membro , e nella fine del se- 
guente ; nella fine del membro precedente , e 
nel principio del seguente ; o quando finalmete 
la ripetizione è continua. Così Plinio il Vecchio 
dopo aver rappresentata la terra come un pic- 
ciol punto quasi indivisibile in paragone del- 
l’ Universo , soggiunge : 

(C Ecco ove noi cerchiamo a stabilirci , ed 
» arricchirci j Ecco ove noi vogliamo essere i 


tarìs ; aenienliarum , permansi , quiòusctimque ver-, 
bis uti velia. Dz Okàt. 


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PARTE III. — ELOCUZIONE. 145 

» despoii , i denominatori ; Ecco ciò che agita 
» r uman genero ; Ecco ciò eh’ è 1’ oggetto della 
y> nostra ambizione , la materia delle nostre di- 
» spute, la cagione di tante guerre tra cittadini, 
» e tra fratelli ». 

E Gcerone prò Quin. 

Quid haec amentia , quid haec festinatio, 
quid haec maturitas tanta significai ? Non 
vini ? Non scelus ? Non latrocinium ? Non 
donique omnia potius , quam jus^ quam offi- 
cium , quam pudorem. 

E lo stesso nella seconda Filippica. Doletis 
tres exercitus popoli romani interf eclos'ì in- 
terfecit Anlonius. Desideratis clarissimos ci- 
ves ? eos quoque vobis eripuit Antonius. Au-~ 
ctoritas hujus ordinis qfflicta osti afflixit An- 
tonius (i). 

a.° La replica e la soppressione della con- 


(/) Altri esempli . 


Dai bei rami scendea , 

Dolce nella memoria, 

Una pioggia di fior sopra il suo grembo: ' 

£d ella si sedea 

Umile in tanta gloria 

Coperta già dell’amoroso nembo 

Qual fior cadea sul lembo. 

Qual sulle trecce bionde , 

Ch’oro forbito e perle 
Kran quel di a vederle. 

Qual si posava in terra e qual sull’ onde, 

Qual con un vago errore 

Girando, parca dir, qui regna amore; 

PzTBasca. 



l44 PARTE III. — ELOCUZIONE. 

giunzione copulativa. E, che chiamasi ancora 
Asindeto o Polisindeto, AawSerov, IIoXutfuyJgToy, 
Così un autore « Che stragi inaudite ! S''uc— 
» cide nel tempo stesso il fanciullo , il vec— 
» cbio, la sorella, il fratello, la figlia, la. ma— 
» dre , il figlio nelle braccia del genitore. » 

Le donne , i cavalier, l’arme, gli amori, 

Le corteaie , 1’ audaci imprese io canto. 

ÀBJOSTO. 


Ed il Tasso , C. IV. st. 5. 

Qui mille immonde Arpie vedresti , e mille 


Più cbe Palle mura 
Piace a te il campo e 1’ erbe 
Piace l’ intatta Vergine natura. 

Pindemonte , alla Salute. 

È risorto : or come a morte 
La sua preda fu ritolta? 

Come ha vinte 1’ atre porle , 

Come è salvo un’ altra volta 
Quei <he giacque in forza altrui ? 

10 lo giuro per Colui 
Cbe dai morti il suscitò ; 

È risorta : il capo santo , 

Più non posa nel sudario : 

£ risorto : dal 1’ un canto 
De 1’ avello .solitario 
Sta il coperchio rovesciato ; 

Come un forte inebriato ^ 

11 Signor si risvegliò. , 

Manzoni , La Risurrezione 

È dunque in van ch’io scampo 
Amor , dalla tua mano , 

Ed io qui fuggo invano 
Della tua face il lampo. 

PÌQdefflOQte f La Giovinezua. 


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Ut EtiOCUlZrONB. 


14 $ 

Centauri , e Sfingi , e pallide Gorgoni } 

Molle e molte latrar voraci Scille, 

E fischiar Idre , e sibilar Piloni : 

£ Vomitar Chimeré atre faville ^ 

E Polifemi orrendi , e Gerioui ; 

£ in nuovi mostri non piu intesi , o visti 
Diversi aspetti in un confusi , e misti. 

5 . La Sinonimìa "XyvcùmtfMX consiste nell^espri- 
mere la stessa cosa con piu parole , aventi urt 
significato bensì analogo ^ ma con qualche dif- 
ferenza che. vieppiù 1’ accresca e rinforzi. Viene 
chiamata ancora Esposizione; ma allora il suo 
ullicio è di riunire insieme più sentimenti. Così 
Cicerone. « A voi ed al popolo Romano ar- 
» rechi pace , tranquillità , ozio , concordiak 
y> Ed in altro luogo : Abiit^ evasiti erupit eCi 

Lo stesso , prò Rasoio Amerino : 

» Tito Roselo non ha offeso un compagno nel 
» maneggio de’ danari ec. ma nove uomini ono-^ 
7) ratissimi , compagni d’ un medesimo ordine^ 
» d’ una medesima ambasceria , d’ un medesi-^ 
» mo uQicìo , e d’ un medesimo carico « se-“ 
» dusse, ingannò , abbandonò , diede in mano 
» degli avversar ] , e gli gabò con ogni maniera 
» di frode. » 

Oltre queste figure semplici di parole ^ vtì 
ne sarebbero delle altre le quali o apparten- 
gono alla grammatica ^ o sono poco in uso ^ e 
perciò crediamo bene di non farne parola* 

Tropii 

Tropo viene dal Crcco tpoifos, la cui radice h 
Tpe-ìTiM, latino verta : conversione , transkto, tra- 
sposizione. Dunque i tropi altro non sono chd 

IO 


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i 46 l'AllTe 111. — ELOCUZIONli. 

parole le quali alioiuanandosi dalla siguinca— 
zioiie primitiva, ne prendono altra aliena. Così 
il Tasso , Canto III. st. 45- 

Cade, e gli occhi , eh’ appena aprir si ponno , 

Dura quiete preme, e ferreo sonno. 

I principali tropi sono la Metafora, l’ Allego- 
ria , la Sineddoche j la Metonimia , 1’ Ironia, 
il Sarcasmo, TI perJiole , la Perifrasi, e la Ca- 
tacresi , de’ quali parleremo particolarmente. 

Mctaibra. 

La Metafora, da /seraupep*, /retn^ro, è upa fi- 
gura per la quale trasportasi la significazione 
propria di uno o più nomi , ad un’ altra si- 
gnificazione , dietro un |)aragone che si fa nella 
mente. La metafora differisce dal paragone per 
la sola forma, perchè nel senso e sempre lo 
stesso. Se io dico, per esempio, parlando di Ora- 
zio Coelite, eh’ et sostiene l’urto del nemico 
come una quercia gli sforzi d’ Aquilone , fo una 
similitudine , perchè stabilisco uu rapporto sen- 
sibile tra due oggetti. E se dico : Come una 
quercia immobile contro gli sforzi d’ Aquilone, 
Orazio sul ponte sostiene l’ impeto delle ne- 
miche schiere, fo un paragone , perchè esprimo 
tntt’ i punti del rapporto de’ due oggetti pa- 
ragonati. Ma se poi dico semplicemente: Questo 
Orazio Coelite è una im monile quercia , ecco 
una metafora la quale altro non è che un pa- 
ragone abbreviato, a cui l’ immaginazione sup- 
plisce. 

Questa figura , la più ricca di tutte , deve 
ia sua origine alla nostra disposizione abitua- 
le di rilerire le affezioni morali alle nostre fisi- 
clie impressioni , ed a far servire le une a for- - 

c 


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PARTE III. — ELOCUZIOMH. l47 

lificare l’espressione delle ahre. Quintiliano dice 
che la Metafora brilla col suo proprio lume 
ne’^discorsi del genere elevato ; getta una gran 
variazione ne’ concetti , innalza e nobilita le 
cose più comuni , illude lo spirito , mostran- 
dogli una cosa e nascondendogliene un’ altra. 

Le metafore si possono prendere 

1. " Dalle cose animate alle inanimate. 

2 . ° Dalle inanimate alle animale. 

3. " Dalle animate alle animate. 

4/ Dalle inanimate alle inanimate. 

Perchè le metafore poi non sieno difettose 
bisogna por mente a’ seguenti avvertimenti : 

1 . Non debbono essere prese da soggetti bassi 
e triviali , come quella di Tertulliano natu- 
rae generale lixiviun , chiamando il diluvio 
universale la lesciva della natura. 

2 . Non bisoga che sieno forzate e prese da 
cose poco cognite , in modo che il rapporto non 
sia naturale , c’I paragone poco sensibile , come 
quella di Teofilo: Je baignerai mes maini ciana 
ies ondes de tea cheveux. 

3. Bisogna ancora aver riguardo alle conve- 
nienze de’ varii stili , poiché avvi delie meta- 
fore che convengono allo stile poetico , e che 
sarehbono mal usate nella prosa : per esempio, 
disse un poeta d’ un fratello e d’^ una sorella 
che quantunque belli erano ambedue privi di 
un occhio. 

Parve puer , lumen , quod hahes concede torort , 

Sic tu coecus Amor , sic erit illa Fenua. 

Nel quale distico osservasi , dice il Dizio- 
nario Enciclopedico, che lumen significa occhio; 
ma questa parola in prosa non si prende nello 
stesso senso. 

4- Si può mitigare una metafora combinan- 

* 


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i 48 ’ PARTli 111. — Bt,OttJZlONE. 

dola in un paragone , o aggiungendovi qual- 
che correlativa come.Quasi , per cosi dire. L’arte 
dev’ essere per così dire innestala sulla natura. 
La natura sostiene 1’ arte, e le serve di base j 
c Tane abbellisce e perfeziona la natura. 

5. Quando vi sono più metafore di seguito, 
non è necessario che sieno tutte ricavate esat- 
tamente dallo stesso soggetto , come si può scor- 
gere nel precedente esempio : innestata è preso 
dall’ agricoltura : sostiene e base , sono presi 
dall’ arciiitcttura. 

6. Ogni lingua ha le sue particolari meta- 
fore , e che non sono in uso nelle altre liu— “ 
gae : per esempio , i Latini dicevano d’ un’ ar- 
mata = Dextrutn et sinistrum corna , e noi 
diciamo =l’ ala dritta e l’ala sinistra. 

Allegorìa. 

Quando la metafora è continuata diviene un’Al- 
legoria , ovvero una figura per la quale una cosa 
dicesi , ed altra vuoisene intendere. L’ allegoria 
trae il suo nome a-ro tou «XXo pifiv «vopsostv, «XXo Js 
/ yoetv. DiSerisce dalla metafora , perchè questa 
s’occupa d’una sola idea, e 1’ allegoria ne conti- 
nua il completo sviluppo , presentando sempre il 
senso figurato in vece del senso proprio. Le al- 
legorie sono altre pure ed altre impure ©mi- 
ste , secondochè le parole sono o tutte meta- 
foriche , o avvene alcuna non metaforica per 
maggior chiarezza. Cicerone prò Mil. = Equi- 
dem coeteras tempestates , et procellas in illis 
duntaxat fluctihus concionum semper putavi 
Milani esse subeuntas. 

E lo stesso, prò Murena , 

<t Quodf return , quem Eurìpum tot motuSy 


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PARTE III. — tliOCUZrONK. l49 

» t. inique variaa habere putatis flucium agi~ 
» tationes , quantas perturbationes et quantos 
» aeslus habet ratio comitiorum ? Dies in- 
• » terposilus unus , aut nux interposita , aaepe 
» perlai hut omnia , et totam opinionem parva 
» nonnunquam commutai aura rumoris. » 

E il Petrarca, volendo dimostrare lo stato delr 
r animo suo , ricorre ad un’ allegoria , che dir 
si può mista. 

Pasfa la nave mia colina d’ oblio 

Per aspro mare , a mezza notte il vemO' ec. 

E siccome 1’ allegoria è una continuata me- 
tafora ; così le regole assegnate per la metafora 
SODO quasi tutte adattate all’ allegoria. Ma inol- 
tre poi bisogna badare , che quando cominciasi 
un’ allegoria- è necessario di conservare in tutto 
il filo del discorso la stessa immagine da cui 
si ricavano le espressioni. Questo precetto è stato 
seguito da Orazio nell’ode 14 del I libro, ove 
considera la Repubblica sotto l’ immagine d’una 
nave , e tutte le cose eh’ ei dice sono adattate- 
alla detta nave^ 

O navis , referent , in mare te novi 
Fluclus ! O quid agìs ? Fortiter occupa 
Poriam ; nonne videa , ut 
Nudutn remigio lalus 
Pi malus celeri sancius Africo , 

Anletinaequc gemant ? ac sine funibu* 

Pix durare carinae 
Posmnt imperiosius 
Acquar? ISon tibi Sfint integra hntea t: 

Quamois politica Pinus 

Silvae filia nobilia 

Jacies et genus et nomea inutile ; 

Nil pic/is timida^ novità pnppìòus. 

Fidil. Tu , niai uen/is 
Debta liidibì inni , cave. 


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l5o PABTE IIIj — ÈliOCUZIONE. 

Kuper soUicìtum quae mi Ai iedium. 

J^unc desiderium , curaqne non levìt , 

Jnterfusa nilentes 
Vites aequora Cycladas. 

. • 

Il mezzo più sicuro per accertarsi della giu- 
stezza d’ un’ allegoria è di tradurre letteralmente 
il senso figuralo pe ’l senso proprio , vedendo 
se tutte le circostanze si riferiscano egualmen- 
te , e tutte le immagini coincidano con la cosa 
espressa. 

Prima di chiudere 1’ allegoria crediamo bene 
dir qualche cosa dell’ allusione , la quale è an- 
che una figura rettorica. 

L’ allusione adunque differisce dell’ allegoria, 
poiché questa presenta un senso e ne fa inten- 
dere un’altro ; quella è la personale applicazione 
d’ una lode , o d’ un biasimo ; e secondo il Di- 
zionario Enciclopedico, è una figura per la quale 
dicesi una cosa, che ha rapporto ad un’ altra, 
senza far menzione espressa di quella a cui si 
riferisce. Così questa ni Ovidio nelle sue me- 
tamorfosi. Ulisse rimprovera ad Ajace d’ aver 
avuto costui nella famiglia uno esiliato pe ’l fra- 
tricidio. 

JUiAi Laerles pater est; Arcesius itU : 

Jupiler Aule, neque in his quisquam damnatus 
et exsul. 

E quest’ altro d’ Achille ad Agamennone . 

Jamais vaisseaux , partis des rives du Scamandre 
Aux champs tAessuliens osèrent-ils descendre ? 

Et jamais dans Larisse un làcAe ravisseur 
Me vini - il enlever ou ma femme ou ma soeur ? 

Ipliigen. Act. IV. Scen. 6. 


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PART13 111. — elocuzione. iSt 
Metonimia. 

La Metonimia viene dal greco e si- 

gnifica trasposizione, cangiamento di nome, no- 
me preso per un altro ; e si ha quando 

1 . Si prende la causa per l’effetto, come 
Marte per la guerra, Minerva per la sapienza 

Habent Moysen ^ et P rofetas. \j\xc. XVI. ig. 
Col nome di Mosè e de’ Profeti s’ intendono i 
loro scritti. 

2 . L’ effetto per la causa , come Ovidio — 

AVc habel Pelion umbras. 

Met. Xri. V. 53i. 

L’ombra è presa per gli alberi, che la danno. 
Così il Boccaccio : ogni stella era già dalle parti 
d’ Oriente fuggita; effetto prodotto dall’ apparir 
dell’ aurora. 

3. Il continente per lo contenuto, come Car- 
tagine pe’ Cartaginesi , il nappo per la bevan- 
da. Così nella Genesi, Terra corrupta est, cioè gli 
uomini, ch’escono sulla Terra. 

4- Il nome del luogo ove una cosa si fa per 
questa cosa , come il Portico , c ’l Liceo per la 
filosofia di Zenone e d’ Aristotile ; perchè que- 
sti due grandi uomini dettavano -le loro, le- 
zioni P uno nel Liceo e 1’ altro nel Portico di 
Atene. 

fi. Il segno per la cosa significata , come lo 
scettro pe’l reame, la spada, la divisa, pe ’l 
mcsiier delle armi. 

■ L quasi tutt’i tropi, nel senso stretto sono 
delle metonimie, percbè tutti fondali sopra un 
qualche cangiamento o una trasposizione di 
parole, e sopra un’ analogia che è compresa i.n 
«picsla figura. 


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j5a PARTE IH. — ELOCUZIONB. 

Sineddoche. 

La Sineddoche viene da twsuSoyA che vaof 
dire compréssione , la quale si avrà nelle se- 

oucnii circostanze : « 

1 . Quando si mette la parte pe 1 tutto co- 
me il Santuario per la Chiesa, il cuore per 

Tuoino. 0^1 * 

3 . 11 tutto per la parte, come Sustulerunt 

Ì>ominum, in vece di corpus. Il giardino è 

fruttifero, ec. j •• 

3. La materia in vece della cosa da cui si 
è fatta , come il ferro , T acciajo per la spada , 

il pino per la nave ec. • 

4 . 11 genere per la specie , come gli am- 
mali son soggetti alla legge di collisione. 

6 . La specie [ e ’l genere, come clu dicesse, 
un fiero aquilone ruppe le antenne , le vele 
squarciò, ove aquilone è presa pel vento. 

6 . Il nome per eccellenza dato ad una per- 
sona, e che chiamasi ancora Antonomasia Av- 
TOVO/iz»sw, come Coriolano per Cajq Marzio -- 
11 vinciior di Mitridate pel gran Pompeo, il 
conquistator delle Gallie per Q. Cesare ec. 

■ Iperbole. 

È un tropo per cui si eccede nell’ esposi- 
jione del vero; ed esprime il disordine d’un 
animo al quale una gran passione tutto esagera : 
illustra mirabilmente l’orazione, ed è di tanto 
uso presso i poeti, che appena si trova una 
descrizione ove non campeggi questa figura. 
Diamone alcuni esempj.- 


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PARTE III. — ELOCUZIONE. l55 

Verròj farò là monti ov’ ora è piano, 

Monii d’ uomini estinti e di feriti : 

Fa.ò fiumi di sangue. 

Tasso , Ger. liò. IX. si. . 

E Cicerone, prò Leg. Man. — « Dirò questo 
» brevemente, ninno giammai essere stato sì 
» sfacciato , che dagl’ immortali Dei ardisse de- 
» siderare tacitamente tanti e così fatti doni, 

» quanti gl’ immortali Iddii a Gnep Pompeo 
» concedettero, » ' 

E lo stesso, prò M. Mar. 

« Non v’ è così abbondevole fiume d’ ingegno , 
, 1 ) nè tanta forza di parlare o di scrivere , nè 
» così . profonda eloquenza, la quale possa, non 
» dirò ornare, ma raccontare , Cajo Cesare , le 
n cose da te fatte. » 

Le iperboli alle volte sono troppo ardile , 
ed allora si modificano con le particelle quasi, 
presso a poco, per lo /?/«; quantunque ne’ poeti, 
che sono riscaldati dal loro èstro non sieno 
tanto da biasimarsi. Così Virgilio, nella dedica 
delle Georgiche v. 34 dice ad Augusto. ' 

Ipse libi jiim brachia contrahit ardens 
Scorpius , et coeli junt i plus parte relinquit. 

E Cicerone, prò Arch. poeta 
« 11 poeta è formato dalla natura , è incitato 
» dalla virtù dell’ intelletto, e ispiralo da certo 
» quasi divino spirito. Laonde con ragione il 
» nostro poeta chiama santi i poeti ; perchè 
» quasi qual altro dono e dote degli Dei sembra- 
n no essere presso di noi in maggiore stima, od 
amore. 


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i64 parte ih. — ELOCUZIONE. 

* » 

Ironia. 

L’ Ironia Eipovia è una figura con la quale una 
cosa si dice con le parole ed un’ altra se ne 
vuole intendere ; ma dev’ essere accompagnata 
dal gesto , dal sorriso e dal tuono di voce per 
potersi comprendere. Così Cicerone, prò Q. Lign- 
rio, volendo mettere in derisione 1’ accusa del- 
l’avvesario dice « Un nuovo delitto , Cajo Ce— 
» sare , ed innanzi a questo giorno non più 
» udito , Quinto Tuberone, mio parente , ti ha 
» denunciato, Quinto Ligario essere stato ncl- 
» l’Affrica ec. Laonde io non so dove rivol- 
» germi , poiché era io venuto con animo di 
» valermi alla salvezza di questo misero del 
)> non aver tu contezza di tal cosa. Ma poiché 
)> per diligenza del nemico é stato trovato quello 
y> che stava nascosto , giudico che sia neces- 
y> sario il confessarlo »• 

Quando i sacerdoti di Baal invocavano questo 
falso nume , per ottenere un miracolo che non 
avrehber certamente mai ottenuto , il Profeta 
Elia volendoli deridere, lor disse ironicamente : 
Clamate voce majore ,• Deus enim est et 
f arsitati loquitur, aut in diversorio est, aut 
in itinere, aut. certe dormit , ut excitelur. 

• ( Diz. Enciclop. E. di Lucca ). 

Sarcasmo. 

Il Sarcasmo, 2$3tpx3tSf4o? tutto tot sxpKx^stv, car- 
nes detrahere , carnem Idee rare, non é altro 
che una ironia pungente , accompagnata da di- 
sprezzo. Così il Tasso, lib. XIX. st. 6. 


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Parte III. — elootzionb. i55 

Vienne in disparte pur tu, che omicida. 

Sei de’ Giganti solo , e degli Ero'; 

L’ uccisor delle femmine ti sfida. 

Perifrasi. 

La Perifrasi Ilgpi?pot 5 (S è un tropo ^er cui ór- 
coscriviamo con molte j>arole ciò che po- 
tremmo dire con meno. i>i fa per due nni. 
1. Quando non si vuol dire la parola semplice 
e schietta , o perchè sia indecente , o perchè 
sia spiacevole. Così il Boccaccio, Gior. 7. Nov. g, 
volendo esprimere , che la fortuna era favo- 
revole ad un giovane con 1’ offrirgli occasione 
di amor licenzioso , dice , che 

» Gli aveva parato dinanzi cosa a’ desiderj 
» della sua giovanezza atta, » E Cicerone , prò 
Mìl. in vece di dire , che gli schiavi di Mi- 
Ione uccisero Clodio , si esprime con questa Pe- 
rifrasi : Fecerunt servi Milonis , neque impe- 
rante , neque sciente , neque praesente do- 
mino, id quod suos quisque servos in tali re 
facere voluisset. 2. Per ingrandire e rendere 
maestoso il discorso; e perciò lo stesso autore 
nel principio del filocolo per accennare i Ro- 
mani, disse: Il valoroso Popolo anticamente di- 
sceso dai trojano Enea. 

Ed il Petrarca , per nominar P Italia , dice 
11 bel Paese, che in parte il mar circonda e l’Alpi. 

E lo stesso , per dire nel sonetto 2. eh’ era 
Venerdì Santo, così esprimesi : 

’ Era il giorno, che al suol si scoloraro 
Per la pietà del suo Fattore i rai. 

Vuoisi però badare , che la circonlocuzione 
non possa adattarsi ad altra cosa che a quella a 
cui st riferisce , onde possano 1’ oratore ed il 
poeta essere seguiti nel loro pensiero. 



i56 


PAIITB III. — ELOCVZIOMB. 


Catacresi. 

La Catacresi, x«T«jfpYi(Jts, è un tropo per cui 
impiegasi una parola impropria in luogo d’ una 
adottata. Viene dal greco xaTotjfpaofroci , clic si- 
gnifica abusare , derivando questo verbo da 
JMtr» in significato peggiorativo, e utor, 

cioè usare della parola contro la sua signifi- 
cazione propria e naturale. 

S’impiega dunque la catacresi quando per 
difetto della parola propria ad esprimere un 
pensiero , si abusa d’ un’ altra che possa avvi- 
cinarsele, come chi dicesse, oc Andare a cavallo 
ad un bastone. La ragione condanna queste 
espressioni , ma la necessità le scusa , ed il 
senso che vi si appropria* salva la contradizione 
che presentano. 

5 . 3. Figure di pensiero. 

Le figure di pensiero ( che i retori chiamano 
ancora figure di sentenze , figure sententiarum, 
schemata dal greco forma , abito , abi- 

tudine , attitudine ) altro non sono che un lin- 
guaggio espressivo , prodotto dalla passione o 
dall’immaginazione, più o meno riscaldate da- 
gli oggetti che se le parano dinanzi. Ed in- 
fatti allorché un uomo è in quello stato di cal- 
ma , in quella equabilità , secondo i filosofi , la 
quale risulta dall’ equilibrio del concupiscibile 
con l’irascibile, e eh’ è poi tutto ad un tratto 
colpito il suo cuore da un infausto o felice av- 
venimento, o il suo sguardo, la sua immagi- 
nazhne da una contemplazione o dilettevole 
o dolorosa; tosto cessa in lui 1’ equilibrio dei 


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PARTE III. — ELOCUZIONE. 167 

Uue appetiti , e trovasi in un novello stato , il 
quale lo fa prorompere in un linguaggio di- 
verso da quello eh’ egli terrebbe essendo in cal- 
ma. E questo slato si allontanerà più o meno 
dall’ equilibrio secondochè la causa eindente 
sarà per 1’ uomo più o meno interessante. Ora 
i maestri dell’ arte ad esprimere i diversi gradi 
di questo istantaneo cangiamento hanno inven- 
tato delle figure, le quali si possono dire na- 
turali se vengono espresse dalla persona stessa 
che è stala sopraffatta dalla sensazione ; ed ar- 
tifiziali, o imitative, se è il poeta, o l’ora- 
'lore , che parla , imitandone il linguaggio. 

Quindi le figure di pensiero saranno diverse 
secondo i vai-ii moti che si ecciteranno nel cuo- 
re, c secondo le varie idee che col[)iranno l’im- 
maginazione. E perciò, seguendo la traccia di 
altri retori, noi le distingueremo in due classi: 
nella prima comprenderemo quelle dettate dalla 
passione, e nell’altra quelle dettate dall’im- 
maginaziioue. 

Figure di pensiero dettate dalle passioni. 

Le principali sono l’Interrogazione, l’Escla- 
mazione, rimprecazione, la Preghiera, la Su- 
stentazione, la Reticenza, la Subjezione, la Com- 
municazione , la Correzione , la Permissione 
l’Antitesi, la Preterizione, il Giuramento. 


Interrogazione. 

Questa figura è la più energica, la più ra- 
pida in ogni genere di eloquenza ; e serve a 
stringere, incalzare l’avversario in modo che 



PAllTE III. — elocuzione. 

resti abbattuto ; e l’ ascoltante soggiogato con 
la veemenza dell’ oratore. 

» Quid tuus ille , Tubero,^ districtua in 
j) acie Pharsalica gladiua agebat? cujus k~ 
3» tua ille mucro petebat ? qui senaua erat 
n armorum tuonimi quae tua menai ocuUI 
)» manua 1 ardor animi 1 quid cupiebaa 1 quii 
» optabaal » Cic. Pro. Lig. 

» Che faceva, Tuberone, quella tua spada 
■» impugnata nella battaglia farsalica ? 11 fianco 
» di chi ricercava quella punta ? quale era lo 
» scopo delle tue armi ? quale la tua mente? 
» gli occhi? le mani ? l’ ardor dell'animo tuo? 
j> che bramavi? che agognavi? 

E lo stesso Cicerone, riell’ esordio della pri- 
ma Catilinaria. 

)) E sino a quanto , o Catilina , abuserai 
7 > della nostra sofierenza? in sino a quanto il 
» tuo furore si befferà di noi? quando porrai 
y> termine a questa tua sfrenata audacia? ec. 

Quoi , Rome et l’ Italie en cendres 
Me feront honorer Sylla ? 

J’admireraì dans Alexandre , 

Ce quc J’aibborre en Attila? 

Esclamazione. 

Si avrà questa figura quando 1’ oratore, ab 
zando la voce , ed impiegando una interie- 
zione, ovvero sottintendendola , «prime un mo- 
vimento vivo di sorpresa , di sdegno , di pietà, 
o qualche altro gagliardo affetto , eccitato dalla 
grandezza e dalT importanza delia cosa. 


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PARTE III. — ELOCUZrONE. 


iSg 

Adamo Oh CgJio ! 

Oh giorno Oh vista ! Oh qual 

profonda e vasta 

Piaga spaccò quest’ innocente capo ! 

Ah rimedio non avvi. Ma un tal colpo 

Chi diette, o figlio? e qual fu 1’ arme ? ... Oh cielo ! 

V egg’ io , ben veggio di Cain la marra 

Là giacer sanguinosa.... Oh duoli Oh rabbia! 

£ fia possibil ciò ! Cain ti uccìse ? 

11 fratello , il fratello ! ec. ec. 

In u4bele Tramelogedia. = Alfieri. 

• 

E Cicerone ironicamente prò Quint. 

« O rem incredihilein ! O cupiditatem in- 
» consideratam ! O rtuncium polucrem ! ad- 
)■) ministri et satellites sex. Naepii Roma 
» trans alpes in Sehusianoa lidus veniunt. O 
» hominem fortunatum , qui ejus modi nun- 
1) Ci 05 , seu potius Peyuros habeat. w 

(( O cosa incredibile ! O cupidij'ia inconsi— 
» derata ! O messo veloce ! I ministri e par- 
» tegiani di S. Nevio , di Roma vanno in due 
» giorni nel paese de’ Sebusiani di là delle al- 
» pi. O felice uomo , il ^uale ha così fatti mes- 
» saggieri , o per meglio dire pegasi ! 

Ed il Tasso. Lib. XVI. st. 57. 

O Cielo ! o Dei ! perchè soiGfrir quest’ empj ? 

Fulminar poi le torri , e i vostri tempj ? 


Imprecazione. 

È una figura per mezzo della quale P oratore 
desidera che accada ad alcuno qualche danno 
Così Tullio nella prima Cati linar ia. 
c( 5 T«, tu Jupiter, qui iisdern , quibus haec 
» urbe , auspiciia a Romuìo es consti tutus , 



l6o PARTE HI. — . ELOCtrZIOJ^E. 

» qupm statorem hujua urbis atque imperit 
» vere nominamue , hunc , et hujus socios ti 
» tuia aria ceterisque templis , a iectia urbis 
» ac moenibus , a vita fortunisquc civium om-^ 
» nium arcebis ; et omnes inimicos bonorum^ 
» hostea patriae , lati ones Italiae . scelerunt 
» foedere inter se ac nefaria societate con- 
» junctoa , ac ternis suppliciis vivoa mortuos- 
y> que mactabis. Tu , Giove , che co’ mede- 
}f> simi auspicj , co’ quali fu edificata la citià^ 
y> fosti collocalo da Romolo , il quale con ve- 
» rilà chiamiamo Statore , cioè conservatora di 
» questa città e di questo imperio , rimuovi co- 
T) siui ed i suoi collegati da’ tuoi altari, da tut- 
)) t’ i templi , dalle case , dalla vita ; e dalle 
)> facoltà di tuli’ i cittadini : ed ammazza tut- 
» t’ i nemici de’ buoni , i ribelli della patria, i 
5) ladroni dell’ Italia, con lega, e nefanda con* 
» federazione fra se congiunti , vivi e morti 
3) ad eterni supplizj condannali. 

Cosi in Rodoguna , Cleopatra spirando, de*- 
sidera a suo figlio Antioco , ed a quella prin- 
cipessa tutte le disgrazie riunite. 

Rè^ne de crime en crime enfiti te voilà roi. 

Je t’ai défait d'un pére et di un frère , et de mai: 
Ruisse le del tous deux vous prendre pour viclimea^ 
Et laisser cheoir sur vous la peine de mea Crimea i 
Puissies-wus ne trouver dedurla votre .union 
Qu’horreur , que jalouaie , et que confusion ; 

Et pour voua aouhaiter tous lea malheura ensemble 
Puiaae natlre de voua un fila qui me reasemble , 

Preghiera. 

La Preghiera, detta ancora Deprecazioné , è 
quella figura per mezzo di cui s’ implora l’al- 
trui ajuto o cooperazione , ed è veemente a 
muovere il cuore d’ una persona. 


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PARTE IlL — EliOCUZIONE. . l6l 

Non avendo fin qui per la possanza degli av- 
versarli potuto trovare nè egualità di ragione, 
nè parità d’ azione , nè giustizia di magistrati, 
prega e supplica te, G. Aquilio , e voi altri suoi 
consiglieri, die la stessa giustizia di’ è siala 
contrariata ed agitata da tante ingiurie, possa 
finalmente fermarsi e prendere sollievo innanzi 
al suo tribunale. 

Pro P. Quint, tom. a5. a6. 

Ed il Tasso ,Lib. IV, st. 6a. 

Per questi piedi , onde i superbi , e gli empj 
Calchi ; per questa mau , che il drillo aita : 

Per 1’ alle tue vittorie : e per que’ tempj 
Sacri , cui desti , e cui dar cerchi aita , 

11 mio desir tu , che puoi solo , adempì. 

Susteutazione. 

La Sustentazione, delta ancora dubitazione, è 
una figura con la quale 1’ oratore mostra di sta- 
re con animo sospeso cd irrisoluto , e ritrovarsi 
in tali angustie , che non sa a qual partito ap- 
pigliarsi. 

Cicerone , Pro P. Quin. t. i. 

« ó'i vadimnnium omninn tibi cum P. Quin- 
» tio nullumfecit'. quo te nomine appellemu^7 
» improbum ? at , etiam si deserium vadimo- 
» nium esset , tamen in ista postulatione , et 
» proscriptione bonorum improhissimus repe- 
» riebore? num malitiosum ? negus fraudult n~ 
» turni jam id quidem ano? as tibi, et prae- 
» clarum putas audacem : cupidum? perfidio— 
» sum ? Bulgaria et obsoleta sunt / rea aulem 
y> nova et inaudita. 

» E se Quinzio non era da te citato , come 

11 


l6a PARTE III. — ELOCUZIONE, 

» ti chiameremo noi ? Malvagio ? Quando Lene 
» egli non fosse comparulo , nondimeno in chie- 
» dere che si vendessero i suoi Leni , trislis- 
» simo uomo dimostrali essere. Malizioso ? tu 
» lo neghi. Fraudolente ? Già questo ti at- 
» tribuisci , e te lo rechi a laude. Audace , 
» cupido e perfido 7 Questi son nomi antichi 
» ed in bocca di tutti, e questo tuo fatto è nuovo 
» e non piu udito. » 

Ma la dubitazione di Tito nel Melastasio, att. 
3 se. 7 , è un pensiero senza pari, un tratto , 
che caratterizza lo ingegno di questo autore. 

E dove mai s’intese 
Più contumace infedeltà? Poteva 
Il più tenero padre, un figlio reo 
Trattar con più dolcezza ? ec. 

Reticenza. 

La Reticenza , detta ancora Aposiopcsi , viene 
dal Greco ATroata-irriatj, nome derivato da aifos- 
tajTO® io taccio , è una figura con la quale 1’ o- 
ratore s’ interrompe, tacendo il restrj del suo 
sentimento ; e viene impiegata ne’ moti di col- 
lera, di sdegno , di minaccia. 

Così Racine fa parlare la Principessa Atalia 
al sacerdote che 1’ avea tratta nel tempio. 

JSn r appai de tori Dieu tu t’étais reposé 
De ton espoir frivole es-tu désabusé ? 

Il laisse en moti pouvoir et son tempie et ta vie ; 
Je devrais sur 1‘ autel oà ta main sacrifie ; 
u-Je. . . nmaisdu prix qu’on mloffreil fautme conlenter 
Ce que tu m'as promis songe à V exécuter. 


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PARTE III. — EliOCUZIOKB. 


l63 


E Tasso , Caitto. XIII, st. io.- 

Per lungo disusar già non si scorda 
De 1’ arti crude il più. efficace ajuto ; 

£ so con lingua anch’io di sangue lorda 
Quel nome proferir grande , e temuto , 

A cui nè Dite mai ritrosa, o sorda; 

TSé trascurato in ubbidir fu Plato. 

Che si? Che si!... volca più dir; ma intanto 

Conobbe , eh’ eseguito era l’incanto. 

S’ or si forte ti duoli., oh! che farai, 

Quando l’orrido palco, e la bipenne... 

Quando il colpo fatai... (Quando vedrai..., 

£ non fini ; che tal gli sopravvenne 
Per le membra immortali un brividio , 

Che a quel truce pensier troncò le penne , 

Si che la voce in un sospir morio. 

Monti, Basvill. C. 1. 

Cicerone, prò Rosaio Amerino. 
oc Si potrebbero dire molte altre cose , per 
» le (juali si conosce , che tu gran potere avevi 
» di ricevere il carico di quest’omicidio ; le quali 
» io trapasso non solamente perchè io non l’ac- 
» cuso volentieri , ma ancora, e molto p-ù , 
» perchè se io volessi raccontare le uccisioni , 
» che allora si fecero ec. dpbito che non fosse 
» tenuto, che le mie parole appartenessero a 
» molti. » 

Subjezione. 

La Subiezione detta ancora Preoccupazione è 
quando si previene ciò , che potrebb’ essere op- 
posto , rispondendosi , confutando e sciogliendo 
le obiezioni dell’ avversariò : 

« Sesto Roselo ha ucciso il padre. *E qual 
)> uomo era costui ? Forse un giovanetto cor- 



164 PABTB III. — ELOCtrZIONE. 

j) rotto e sedotto da uomini malvagi ? anzi 
)> egli è uomo di più di quararit’ anni. Forse 
» un antico sicario è già assuefatto alle uc- 
» cisioni ? Questo neppure I’ avete udito dal- 
» I’ accusatore. Lo spendere adunque nei pia-» 
j> ceri che secondano la cupidigia, la gian- 
» dezza de’ debiti , ed i soverchi desiderii del* 
» r animo , l’ hanno spinto a questa scellerag- 
» gine. Quanto alla lussuria , ciò ha pur- 
» gaio Eurizio, dicendo , eh’ egli non fu giam- 
» mai a convito veruno. E altresì certo , che 
» non ebbe debiti di veruna sorta. Quali cu- 
» pudigie poi possono essere in un uomo, il 
» quale , come fu opposto , abitò sempre ia 
» villa ? ». Cic. prò Ras. Am, 

Tu che ardilo fin qui ti sei condutto . 

Onde spfri nudrir cavalli e lauti ? 

Dirai: rannata in mar cura ne prende. 

Da’ venti dunque il viver tuo dipende? 

Tasso. Lìb. -9. st. 76. 


Conimnntcazione. 


La Commnnicazione è una figura con la quale 
1’ oratore, sicuro della bontà della sua causa , 
o affettando d’ esserlo si rimette in qualche punto 
alla decisione de’ giudici, degli uditori, ed an- 
che a quella dell’ avversario. 

« Tu denique , Labiene » quid faceres tali 
in re ac tempore ? cum ignaviae ratio te 
in fugam atque in latebras impellerei ; im- 
probilas et juror L. Saturnini in Capitolium 
arcesseret ; consules ad patriae salutem ' ac 
libertatem vocarent : quam iamen auctorita- 


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PARTB III. — ELOCUZIOHE* l65 

iem f guam vocem , cujus sectam segni, cu- 
jus imperio parere potissimum velles ? 

Crc , prò. C. Rab. 8. 

Tu tìnalmente , Labieno , che avresti fatto 
in cotale accidente ed occasione ? confortandoli 
la dappocaggine a fuggire , e cacciandoli al bu- 
jo ; invitandoti la malvagità e ’l furore di Lucio 
Saturnino nel Campidoglio ;e chiamandot’ i con- 
soli alla salvezza ed alla libertà della pairia , 
quale autorità avresti piuttosto voluto seguire, 
quale invito , qual parte , ed al comando di . 
chi ubbidire? 

Corrosione.. > 

La Correzione, detta in Greco ’EitoLvop^cùSis 
composta da gTi' , «yji, òpSdaj, correggere rimet- 
tere in linea dritta , è una figura con la qnale 
l’oratore corregge ciò che ba detto, aggiun- 
gendovi altra cosa più energica e più conforme 
alla passione che 1’ occupa, o lo trasporta guani- 
guam guid loquor? te ut alla res frangat ? 
tu ut unguam te corrigas ? tu ut ullam me- 
ditere ? tu ullum ut exilium cogites ? liti— 
nam libi islam mentem Dii immortales da- 
rent. Clc. in L. Cat. g. 

« Quantunque che dico io ? che alcuna cosa' 
» ti spaventi ? che tu mai ti corregga ? che tu 
stimi mai di fuggire ? che tu pensi d’ andare 
j> in esilio ? O quanto desidererei che gl’iin- 
» mortali Iddii questa mente ti donassero ! » 
Filiurn unicum adolescentulum habeo, A h l 
qui dixi habere ' me ? imo habui , 

Ch.eme ; ' ' 

Nunc habsam , nec ne , incertum est, 

Tkhbnt. Heautouiini , Mi. I , se. i. 


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i66 


PARTS HI.. — EIX)CUZlON«. 


■> Antitesi. 

L’ antitesi , che vuol dire nel suo reno si- 
gnificato , contrario , è una figura , che serve 
per opporre una parola ad un’ altra , un pen- 
siero ad un altro pensiero , per fortificare l’im- 
pressione che lo scrittore si è proposta di 
fare ; ma questa figura vuol essere impiegata 
con diligenza , c ben di raro. 

Est enim haec non scripia^ sed natalex; 
quam non didicimus , accepimus, legimus ; ve- 
Tum ex natura ìpsa arripuimits , hausimiis , 
expressimus : ad quam non docti , sed facti. 
non insti luti , sed imbuti sumus. 

Cic. prò. Mil. 

« Non è questa una legge scritta ma nata; 
Tt la quale non abbiamo imparata , non ap- 
)) presa , non letta , ma dalla natura cavata 
% bevuta e ritratta ; alla quale non siamo am- 
n maestrati , ma fatti , non istituiti , ma im- 
» bevuti 

E Giunone risoluta di perdere i Trojani 
esclama. 

Flectere si nequeam superos , Acheronta moveòn. 

Viaoii.To. 

a Se il Cielo mi si nega , armerò l’ Inferno, 

A"* es-tu que roi ? condamne. Es-lu juge ? examine. 

VOLTAIKK. 

Permissione. • 

È quando mossi dallo sdegno o dalla com- 
passione permettiamo che facciasi una cosa. 
£ questa una di quelle figure veementi , alte 
a scuotere gli' ascoltanti. 


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PARTE III. — ELOCUitONE. 


167 


Fassa pur questo petto , e fcrio scempio 

Col ferro tuo crudel fa del mio core. 

Tasso, Can. Xll, si. 76 ’. 

« Tu possiedi, dic’egli, le’mie ville, io conserv ° 
» la mia vita con 1 ' altrui pietà , ciò concedo , 
» perchè 1 ’ animo mio è sofferente , e perchè è 
» necessario : la casa mia a te è aperta , e a me 
» rinchiusa , lo sopporto. Tu comandi a tutt’i 
» mici servi , che sono molti , ed io non ne 
» ho neppur uno: questo anche lo sopporto 
» con pazienza ec. ec. 

Cic. prò Rose. Am. 

Preterizione. 

La Preterizione, detta ancora pretermissione, 
ed in greco ITapaXsKftff, deriva dal latino prae- 
ierire , che significa passar oltre , è una figura 
per mezzo della quale l’oratore finge di passar 
sotto silenzio, d’ ignorare alcune cose , eh’ egli 
poi chiaramente dice , solo accennandole. 

Quid vero ? nuper cum , morte ’ superioris 
uxoria , novis nuptiis domum vacucim fecis- 
ses , nonne alio incredibili scelere hoc scelus 
cumulasti ? quod ego praetermitto et facile 
patior aileri , ne in hac civilate tanti facino- 
ris immanitas aut extitisae , aut non vindi- 
cata 'esse videatur. Praetermitto ruinas for~ 
tunarum tuarum , quas omnes impendere Uhi 
proximis Idibus senties. Ad illa venia quae 
non ad privatam ignominiam vitiorum tuo- 
rum, non ad domesticala tuani difficuUatem 
ac turpitudinern , aed ad summarn reipubli- 
cae atque ad omnium nostrum vitam salu- 
temque pertineU Cic. in Cai. 1 n. 11. 


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l68 PARTE III. — ELOCUZIONE. 

<c Che hai tu' veramente poco fa operato ? 
» avendo con la morte dell’ alli-a moglie resa 
j) la casa vota alle nuove nozze, non hai tu 
» accresciuta questa tua scelleMggine con un’al- 
» tra incredibile scelleratezza ? il che io tra- 
y> passo , e volentieri sostengo , che si taccia , 
3) acciocché non paja che la crudeltà d’ un 
y> tanto misfatto si sia trovata in questa città, 
y> o non sia stata punita. Lascio uà canto le 
» ruine delle tue fortune, le quali tutte inten- 
» derni, che ti hanno a venire addosso a’ vi- 
» cini Idi. Vengo a quelle le quali non apparten- 
» gono alla privata infamia de’ tuoi vizj, non 
y> a’ tuoi domestici biasimi e vituperj , ma alla 
» vita cd alia somma salute di noi tutti. 

Giurameato. 

Il Giuramento è una figura con cui l’oratore 
adduce in testimonio Iddio e le cose sacre in 
evidenza di ciò che dice. 

Cosi Cic. prò P. Sylla. 

« Laonde voi, Dei patrii e domestici, i quali 
» avete in protezione questa città e questa 
» impero , ed essendo io consolo col divino 
» vostro ajuto , avete conservata questa libertà, 
» il Popolo Romano , e questi tetti , e questi 
)> templi, io vi chiamo in testimonio, che con 
» puro e libero animo difendo la causa di Publio 
» Siila, non per occultare, che io sappia al- 
» cuna sua scelleraggine , non per mlèndere 
3) alcuna malvagia opera centra la salute di 
» tutti. Niuna cosa di costui , essendo io con- 
» solo, ho ritrovata, di ninna ho preso sospetto, 
» nulla ho inteso. 


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PABTB III. — ELOCUZIONE. i6g 


Lamento. 

Si fa uso di questa figura o nell’ epilogo, o 
alla fine d’ un argomento; ed è diretta a que- 
relarsi de’ torli ricevuti, e degli aggravii sop- 
portati. 

Omnia , Judices , in hac causa sunt misera 
atque indigna : tamen hoc nihìl ncque acer- 
bius , ncque iniquius proferri potest. Morti» 
paternae de servi» pataernis questionem lia- 
bere filio non licei • ne tamdiu quidem do- 
mìnus crii in suos , dum ex iis de patri» 
morie quaeratur. Cic. prò Ros. Am. 

« Tutte le cose , giudici , che intervengono 
» in questa causa , sono misere , ed inique : 
j) ma ninna più miserabile e più di questa ini- 
7) qua. Al figliuolo non è concesso di poter 
j) per via ordinaria da’ servi del padre inve- 
» stigar quai sieno gli autori della morte dello 
» stesso padre; nè può aver tanto di signoria 
» sopra la sua famiglia , chq da essa que- 
j> sto fatto si possa intendere. 


Gradazione. 

La Gradazione è una figura con la quale si 
connettono le idee antecedenti con le susse- 
guenti sino alla fine, per dar un m.aggior peso 
a quello che 1’ oratore si propone di voler in- 
trodurre nell’ animo degli ascoltanti. Così Tullio 
in difesa di Milone. 

« Non solo si diede in potere al popolo , ma 
» anche al senato; nè solamente al senatu., ma 
n a’pubhlici presidj, ed alle armi; nè solamente 
» a queste, ma anche alla potestà di quello , a 


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lyO PARTE III. — EliOCUZIONB. 

» cui il senato aveva commessa tutta la Rcpul^- 
y> blica, tutta la gioventù italiana, c tutte le 
•» armi del Popolo Romano. 


Apostrofe. 


L’Apostrofe, in greco xxosrpoi^i composta da 
affo e jrp£(^o , che vuol dire in latino verta,. 
ed in italiano Rivolto , è una delle figure più 
usitaie e da’ poeti e dagli oratori , la quale si 
adopra quando rivolgesi il- discorso a iiersone 
lontane, a persone vive o morte, o alle cose 
inanimate, come se capaci fossero d’ intendere 
e di rispondere ; e linalmente anche alle so- 
stanze, spirituali. 

Cosi Cicerone contro P. Clodio. 

« Voi, Albani colli e boschi, voi , dico, 
3) affettuosamente invochiamo in testimonio ; e 
» voi rovinati altari degli Albani compagni , 
» ed eguali ne’ sacrifizj 'del Popolo Romano , 
» i quali costui precipitoso d’ audacia , e for- 
» sennato oppresse con quelle smisurate fabbri- 
j» che sotterranee , tagliati e distrutti i san- 
» tissimi boschi. Allora i vostri altari, e le vostre 
» religioni finirono , e la vostra virtù fu pos- 
» sente , la quale egli con ogni scelleraggine 
p aveva macchiata. E tu dal tuo alto monte la- 
» tino. Santo Giove, il cui lago, i cui boschi, 
» e i confini , costui spesso con ogni malvagio 
» stupro e malvagia opera aveva contaminati, 
» finalmente una volta avete aperti gli occhi 
» a punirlo a castigarlo. Una volta al vostro 
» cospetto quelle pene tarde a voi , ma giuste 
j> c debite sono state pagate. 


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PARTE III. — ELOCUZIONE. I7I 

« Hélas! nou* ne pouvons un moment arrèler les 
» yeux sur la gioire de la princesse, sans que la niort 
i> s’y mèle aussitòt pour lout oiTusquer de son om- 
» bre ! O mort , éloigne-loi de notre pensée, et laisse 
» Dous Iromper pour un moment la violeuce de no- 
» tre douleur , par le souvenir de notre joie. ' 
Bossuet , Or. fun. de la D. d' OH. 

Figure di Pensiero dettate dalt Im- 
maginazione. 

Le principali e più degne di attenzione sono 
l’Ipotiposi, la Prosopopea , l’Etopeja, la Proso- 
grafia, P Epilbncma , la Topografia, la Com- 
parazione , la Digressione. 

Ipotiposi. 

L’Ipotiposi, delta da’ Greci IjtOTwrosis , e dai 
latini Dernonstratio , è una delle più belle fi- 
gure la quale sia capace a mostrare la forza 
deir immaginazione. Essa adunque serve a di- 
pingere le' cose con tanti colori , e con tanta 
vivacità che parrebbero vedersi e toccarsi, e 
non ascoltarsi. Il suo proprio luogo è nelle de- 
scrizioni , ed eccone degli esempj. 

Virgilio dipinge la costernazione della madre 
d’ Eurialo nel momento che seppe la di costui 
morte. 

Miserae calar ossa reliquit : 

Excussi manibus radii, revolutaque pensa. 

llclas I l’état horrible oìx le del me l’olTrit, 

Revieiit à tout moment edrayer mon esprit. 

De princes égorges la clianibie clait rcinpiie. 

Dn puignard à la main l’implacable Alhalie, 

Àu carnage animait scs barbares soldati, 

Et puursuivait le cours de ses assassinali. 


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BLOCUZroUR 


lya PARTO ni. — 

Joas laiss^ pour mori; frappa soudain ma vue, 

Je me figure encore sa nourrice éperdue , 

Qui devaiit les bourreaux s’était jetiée en vaio f 
!Et faible le tenait rciiversc sur son sein. 

Je le pris tout sanglant , en baignant son visage : 

Mes pleurs da sentimeut lui rendirent l’usage, 

Et soit frayeur encore, ou pour me carcsser. 

De ses bras inuocens , jc me sentis presser. 

Grand Dieu! que mon amour ne lui soit point Oneste. 

RacrKE , Alhal. Aci. /. Se. S. 
........ .Vedi quel sasso , 

Signor , colà , che il soltoposto Alleo 
Signoreggia, ed adombra? Egli vi ascende 
In men che non balena. In mezzo al fiume 
Si scaglia; io grido in van : 1’ onda percossa 
Balzò, s'aperse, in frettolosi giri 
Si riuni, l’ascose: il colpo, i gridi 
Beplicaron le sponde , c più noi vidi. 

Metast. Olimp. Att. II. Se. i3. 

Cosi si combatteva e in dubbia lance 
Col timor le speranze eran sospese : 

Fìcn lutto il campo è di spezzale lance, 

Di rolli scudi , e di troncato arnese : 

Di spade ai petti , alle squarciate pance 
Altre' confine, altre per terra stese. 

Di corpi altri supini, altri . co’ volti 
Quasi mordendo il suolo , al suol rivolti. 

Giace il covallo al suo signore appresso. 

Giace il compagno appo il compagno estinto, 

Giace il nemico appo il nemico, e spesso 
Sul morto il vivo , il vincitor sul vinto, 
rion v’è silenzio e non v'è grido espresso. 

Ma odi un non so che roco, e indistinto; 

Fremiti di furor, mormori d’ira. 

Gemiti di chi langue e di chi spira. 


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JPAKTE III. — ElAXrUZlONE. 173 

L’arme, che già si liete > 1 » vista loro, 

Faceano or mostra spaventosa, e mesta. 

Perduti a’ lampi il ferro, i raggi loro , 

Nulla vaghezza ai bei color più resta. 

Quanto apparia d’adorno e di decoro • 

Ne’ cimieri, e ne’ fregi, or si calpesta; 

La polve ingombra ciò, ch’ai sangue avanza. 

Tanto i campì mutata avean sembianza. 

Tasso , Can. XX. st. 5o , 5i , 5a. 

Dopo questa ipotiposi , che colpisce anche eli 
stupidi , ogni altro esempio in poesia sarebbe 
vano. Molli altri in prosa si possono vede- 
re in Cicerone prò Q. Ligario , prò 
scio A merino^ e prò P. Quincùio y i quali, 
da noi si tralasciano. 

Prosopopea. 

La Prosopopea, che vuol dire personificazione, 
è una di quelle figure , che più. adornano l’e- 
loquenza. Èssa rappresenta cose che non esi- 
stono, apre le tombe , e ne chiama gli estinti j 
fa parlare i numi, il cielo, la terra , i popoli, 
le città, i monti , gli esseri reali , astratti, ira»- 
naaginarii. 

« Perciocché se la patria , la quale m’ è più 
» della vita cara , se tutta 1’ Italia, e se la Re— 
y> pubblica mi dicesse , che fai tu , Marco Tul- 
>> rio ? Tu colui , che hai ritrovato esser nemico 
» della patria , e vedi che ha ad essere capi- 
» tano della guerra ; il quale tu senti essere 
» aspettato nel campo de’ nemici , autor del- 
» le scelleraggini , capo della congiura , sol- 
» levator de’ servi , e de’ perduti cittadini , so— 
» sterrai , che si diparta in guisa , che P®!® > 
» che da te non iscacciato , ma stabilito 


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' 174 PARTE III. — EliOCUZIONE. 

» nella città? Non devi tu comandare, ch’e- 
» gli si ponga in prigione , si strascini alla 
» morte, e sia con estremo supplicio fatto mo- 
» rire? Chi è colui, che te lo impedisce? il co- 
» stume de’ maggiori ? moltissime volte anche 
» i privati hanno punito con morte gli empj 
J) cittadini. 0 le leggi , le quali esimono dal 
y> supplizio i cittadini Romani? Coloro i qua- 
» li si ribellarono , non ritennero più in 
3) questa città i privilegj de’ cittadini Ro- 
» mani. 0 pur temi 1’ odio di coloro i quali 
» nasceranno ? Bella grazia rendi al Popolo Ro- 
3) mano, il quale te , uomo conosciuto solo per 
3) te stesso senza alcuna prerogativa de’Mag- 
33 giori , così tosto per tutt ’ i gradi degli onori 
» innalzò alla somma podestà , se per cagion 
33 dell’ odio , o per tema d’ alcun pericolo non 
3) fai stima dalla salute de’ tuoi Cittadini ec. 
3> Dimmi un poco , quando per la guerra si sac- 
33 cheggerà l’Italia, si affliggeranno le 'città, 
3» ardendo le case, non istinti tu che allora 

debba cadérti sopra 1’ incendio dell’ odio? 

Je songeais, celle nuit que de mal consume 
Còle à cóle d’un pauvre on m’avait inhumé , 

Moi qui ne pus souffrir ce fàcheus voisinage, 

£n luort de qualiié je lui tins ce langage : 

Retire-toi , coquin ; va pourir loin d’ici, 

Il ne t’ appartieni pas de m’approclier ainsi. 

Coquiti ! répoudit-il d’une arrogance exirème , 

Va chercher les coquins ailleurs ; coquiu toi-mème 
lei tous soni egaux, je ne te dois plus ricn ; 

Je suis sur mou fumier, comme l«i sur le tien. 

Prosop. de M. Patris. 


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PARTE III. — ELOCUZIONE. 


175 


■Etopeja. 

L’ Etopeja , che viene dal greco y|3os costu- 
mi , e «Oli, è una figura con la quale si descri- 
vono i costumi, le passioni, il genio, il tempe- 
ramento d’ una persona. 

Carattere di Cromwel. 

Fu quest’ uomo d’ un ingegno profondissimo, 
ippocriia raffinato , ed abile politico ; capace 
d’ intraprendere , di nasconder tutto ; attivo, in- 
stancabile e nella pace , e nella guerra ; di- 
ligente nel gabbar la fortuna, e pronto, vi- 
gilante ne’ prosperi avvenimenti ; e finalmente 
uno di quelli genii ferventi ed audaci , che 
sembrano nati per cangiare il mondo. 

E Tasso , Lib. II ,st. 68, 6g. 

Alete è l'un che da principio indegno, 

Tra le brutture della plebe è sorto , ec. ec. 

FrosopograQa. 

La Prosopografia è quella che dà la descri- 
zione viva ed esatta delle fattezze d’ una per- 
sona. Così Boccaccio descrive F. Cipolla nella 
]Nov. lo. 

« Era questo F. Cipolla di persona piccolo, 
» di pelo rosso , e lieto nel viso , ed il mag- 
» gior brigante del mondo ; ed oltre a que- 
» sto , ninna scienza avendo , sì ottimo parla- 
» tore , e pronto era , che chi conosciuto non 
» 1’ avesse , non solamente un gran rettorico 
» lo avrebbe stimato , ma avrebbe detto essere 
}> Tullio medesimo, o forse Quintiliano ec. 



176 PARTE III. — BI.OCUZIONB. 


Hitratto della Dea Calipso nel Telemaco. 

a Così parlando , Calipso aveva gli occhi rossi 
j> ed infìammati j ne’ suoi tetri ed incerti sguar- 
» di si scopriva la ferocia ; le tremanti gote co- 
» verte di nere e livide macchie cangiavano 
» spesso colore; un mortai pallore ingombrava 
» il volto : la forza del duolo e della dispe- 
» razione , rinserrando il pianto , appena qual- 
» che lagrima scorreva sulle guance ; era la voce 
y> rauca , tremante , e interrotta ». 

Ed il Tasso, C. IV, st. 7. descrive il re de- 
gli abissi. 

Orrida Maestà ec. 

Epifonema. 

L’ Epifonema è una figura , che consiste in 
una specie d’ esclamazione alla fine d’ un rac- 
conto , o in un detto sentenzioso sul soggetto cui 
si è parlato. 

Così Virgilio , dopo aver dipinto tutto ciò 
che la collera suggerisce ad una dea immor- 
znortale contro il suo eroe, esclama: 

« Tantae ne animts coelestibus ira! » ' 

Ed in altro luogo. 

« Tantae molla erat romanam condere genlem ? » 

Sìm. Sic vita erat; facile omnes per/erre ac pati: 
Cum quiùua erat cumque una , iis sese dedere . 
JSorum obsequi studiis, adversus neminis 
I^unquam praeporiens ill/s 

Sos. Sapienter vitam instituit ; namque hoc tempore 
Obsequium amicoa , veritas odium parit. 

Tsrent. Act. J, se. /. 


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PAIITB III. — ELOCUZIONE. I77 

Arrig. Più che convinto io <on , ch’io non dovea 
Mai ricercar regie fatali sozze * 

Non, che atterrito dall’allezza io sia. 

Del grado , no ; che quetto scettro istesso 
Ignoto peso agli avi miei non era ; 

Ma ben mi daol eh’ io non pensai , qnal vana 
» Instabìl cosa eli’ è di donna il core , 

» E un benefizio, quant’è grave incarco. 

• Se da chi far noi sappia , ei si riceve. 

Alf. Trag. M. St. 

Topografia. 

La Topografia è una figura con la quale si 
Fa la de.scrÌEÌone d’ un bosco , d’ un prato , 
d' un palazzo , d’una città , e di altro luogo , 
ma con colori vivi e naturali. Così Tasso de- 
scrive il palazzo d’ Armida — C. 16. 

Tondo è il ricco edifizio , e nel più chiuso 
Grembo di lui , eh’ è quasi centro al giro 
Un giardino v’ha, che adorno è Sovra 1’ uso 
Di quanti più famosi unqua fiorirò 
D'intorno inosservabile, e confuso 
Ordin di logge i Demon fabbri ordiro 
£ tra le obbìique vie di quel fallace 
Ravvolgimento impenetrabil giace. 

Siegue la descrizione nelle stanze a, 3 , 4 » S, 
6 , 7 , e porzione dell’ 8. 

Si può anche leggere la descrizione che fa Fè<- 
nélon delia grotta di Caiipso. 

« Gette grotte etait taillée dans le roc en voùte -, 
a pleinc de rocailles et de coquilles ec. ec. 

Avv. de T. Liv. I. 

Comparazione. 

La Comparazione, che chiamasi ancora si- 

ta 


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X7B PAnTK UI. — EtOCrZlONE. 

militudinc, è una figura cui si serve l’ oratore, 
ma più il poeta per paragonare un oggetto 
con un altro, onde darne un’ idea più chiara , 
allettando nello stesso tempo l’immaginasionc 
del lettore» 

Qual 1* alto Egeo , perchè Aquilone o Nolo i 
Cessi , che lutto prima il volse , e scosse. 

Non s’accheta però; ma ’I suono , e ’l moto 
Ritien dell’ onde anco agitate, e grossf. 

Tal, se ben manca in lor col sangue voto 
Quel vigor, che le braccia a’ colpi mosse 
Serbano ancor l’impeto primo , e vanno 
Da quel sospinti a giunger danno a danno. 

Tasso. C. XIL Si. €3. 

Canzoni. La Pentecoste. 

Come la luce rapida. 

Piove di cosa in cosa , ^ 

£ ì color varj suscita, 

'Ovunque si riposa; 

Tal risuonò molliplice 

La voce di’llo Spiro: ‘ 

L’arabo, il Parto , il Siro 

lo suo sermon l'udl. . ‘ ' 

Come d’ autunno si levan le foglie 
L’ una appresso dell’altra, infin ch’il ramo 
Rende a la terra tutte le sue spoglie 
Siinilmeiite il mal seme d’Adamo 
Gittasi da quel lito ad una ad una 
Per cenni, come augel per suo richiamo. 

Dantb. Cani. JJT. In/. 

Celatamente amor 1’ arco riprese. 

Com’uom, eh’ a nuocer luogo, e tempo aspetta. . 

Pbtbarca , Son . 

a L ’ Enfant tombe dans son sang , ses yeux 
}» se couvreni des omhres de la mort ; il les 


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III. — ELOCUZIONE. I7J) 

» entre ouvre a la lumière, mais à peine P a-t-il 
» trouvèe , qu’il ne peut plus la supporier. 
» Tel qu’un beau lis au milieu des champs, 
» coupé dans sa racine par le tranchant de 
» la charrue , languii et ne se soutient plus ; 

» il n’ a point encore perda cetle vive blan- 

» cheur , et cet éclat qui charme les yeuxj 

» mais la terre , ne le nourrit plus , et sa vie 

» est éieinte.' ainsi le lìls d^ Idomeucé , cotiime 
)) une jeune et tendre fleur est moissonné dès 
» son premier àge. 

Tel. Tom. 5. 

Avvertimento. 

Noi abbiamo date le defilinizioai e gli esemp)^ 
di tulle queste figure per mettere al caso i 
giovani di conoscerle, quando lor si presente^- 
ranno delle poesie , de’ discorsi oratorii , da 
analizzare; ma ricordiamo, ch’esse sono il solo 
ornamento dell’eloquenza, e che colui il quale, 
nel distendere un pensiero ballasse ad impie' 
gare or questa, or quell’ altra ligura, senza 
occuparsi nè della robustezza, nò della scelta 
degli argomenti , riuscirebbe ad abljagliare per 
brevi istanti il lettore, e non mai a convincerlo 
e persuaderlo. 

Avremmo dovuto far parola di varie altre 
figure , che incontransi presso gli antichi ed 
anche presso qualche moderno retore ; ma da 
noi esaminate, abbiamo considerato che altro 
scopo non ci saremmo proj^osli , che quello di 
caricar la mente de’ giovani d’altre peregrine 
voci , e di altre delHnizioni. E rifiettendo 
d’ altronde eh’ esse hanno analogia or con le 
une , ed or con le altre di quelle da noi spie- 
gate , ci siamo esonerati da questa fatica. 

it 


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PAHTn III. -T ELOCUWONE. 


180 


Sezione IH. 

Diapoaizione delle parole , ovvero Struttura 
oratoria del diacorao. 

La struttura materiale d’ un discorso può 
farsi o per mezzo delle proposizioni, o per mezzo 
de’ periodi ; quelle danno più concisione , que- 
sti più robustezza ed armonia : quindi il ser- 
virsi diiigenlemcnte delie due maniere ^ è quanto 
si richiede da uno scrittore. 

La proposizione è un senso compiuto , che 
costa di un soggetto d’ un verbo , e d’ un at- 
tributo , o d’ un soggetto , d’ un verbo , e d’uu 
oggetto; secondochè il verbo sarà sostantivo, o ag- 
gettivo, come -nella logica s’insegna. I dialettici 
distinguono varie sorti di proposizioni, la maggior 
parte delie quali sono veri periodi ; ma siccome 
essi si occupano nella manifestazione de’giudizj 
e dei raziocinii, della sola verità, e non già della 
robustezza e dell’ armonia dei pensieri , così da 
noi non si fa parola che de’ periodi. Le proposi- 
zioni dialettiche, che possono competere alla 
parte oratoria , sono le Semplici , le Composte 
e le complesse. 

Esempi!. 

P. Semp. Alessandro fu invincibile. 

P. Comp. Cesare , e Pompeo erano valorosi. 

P. Compì. Annibaie attraversò le Alpi con 
molta perdita di soldati. 

Omettiamo la distinzione delle parli di que- 
ste proposizioni , perchè sarebbe fuori del no - 
stro proposito ; come anche gli esempj d’ al- 
tre proposizioni composte e complesse , formate 
da un numero maggiore di parole , senza ces- 


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PARTE IIL — ELOCUZroKBv iSl 

«are d’ essere tali. Osserviamo però che una pro- 
posizione dialettica potrebbe anche divenire pro- 

S osizione oratoria ; cambinandosi la disposizione 
elle parole onde darvi una specie d’ armonia, 
ma ciò dovrò farsi con diligenza , vale a di- 
re , senza alterare il signihcato del peusiera 
Eccone un esempio.. 

Proposizione Dialettica. 

« Le umane grandezze, restano sepolte nella 
» notte de’ tempb 

Proposizione oratorie. 

« Restano nella notte de’ tempi le umane gran- 
» dezze sepolte. 

Dagli addotti esempj si potrà facilmente ravvi- 
sare la differenza che passa tra la proposizione 
ed il periodo, del quale passeremo ora a parlare. 

Del Periodo. 

Il periodo è stato in varie guise definito , e 
da Aristotile , e da Cicerone , e da altri re- 
tori ; ma noi ci atterremo alla definizione da- 
tane da un autore moderno , vaie a dire , un 
giro di parole composta di membri , c se vo^ 
bete di prtmosizoni, che hanno connessione ed 
armonia. Raccogliamo da un’ antica Rettorica 
essere stato Trasimaco il primo inventore del 
Periodo ; dopo Ini Gorgia, fjeontino ne fece la 
divisione , e Tullio finalmente vi diede 1’ ul- 
tima mano. 

Generalmente si distinguono due sorti di pe- 
riodù i semplici ed i composti. Il periodo scin.- 


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i8o PARTII III. — ELOCUZIONE- 

pHc^ è quello che ha un .solo membro ; ma un 
membro non è altro che una proposizione; dun- 
que invece di chiamarsi periodo si dirà meglio 
proposizione oratoria della quale abbiamo dato 
un esempio. 11 periodo composto è quello che 
ha più membri ^ e se ne distìnguono di due, 
di tre, e di quattro. Ed un vero perìodo ora- 
torio non deve avere meno di due , nè più 
di quattro inembri ; oltrepassando poi i quat- 
tro membri , si chiamerà piuttosto ordine , di- 
scorso periodico. 11 periodo si divide in mem- 
bri j ed i membri in incisi. Per membro d’ un 
periodo s’intende una proposizione completa ; 
e per inciso s’ intende una voce, 1’ unione di 
due voci , e qualche volta 1’ aggregato di più, 
voci , che per se stesse formerebbero anche un 
membro, ma perchè dipendenti dal soggetto prim 
cipale , tutte insieme non formano che un in- 
ciso. Con gli esempii si potrà più facilmente ca- 
pire questa distinzione, 

Periodo, di due membri. 

«c Carissime dame , a me si para davanti 
» a doversi far raccontare , una verità , che. 
n ha troppo più , di quello ch’ella fu , di men- 
)) zogna sembianza: e quella nella mente mi ha 
n ritornata l’avere udito, un per un altro es- 
» sere stato pianto e sepolto. ( Bocc. n. 8. ^ 

In questo periodo sono molti incisi ; ma quel- 
lo , che deve 'più richiamare 1’ attenzione è 
» che ha troppo più di quello eh’ ella fu , » 
il quale come si scorge forma una intera pro- 
posizione , che diecsi subordinata , e che perù, 
non è il secondo membro di esso periodo, di- 
pendendo ^utio il. complesso di esso inciso da.! 


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PARTE III. — ELCOURIOSB. Jt85 

•ckstantivo Verità^ a cui si riferisse il che na- 
miuatiro della segucnie proposizione. 

Altro esempio. 

' » Quindi questo re , che il solo per quaranta 
» anni , stanco di pugnare contro i piti famosi 
» capitani Romani , e che nel prender la di- 
» fesa de’ suoi alleali , rendeva dubbia la sorte 
» dell’Oriente, muore; e lascia dopo lui per 
» vendicar sua morte, due disgraziati figli d’op- 
R posti sentimenti. 

Periodo di tre membri. 

r R poiché l’ usitato cibo assai sobriamente 
» ebbi preso : non potendo la dolcezza de’ pas- 
» sali raggionamenti dimenticare : grandissima 
» parte di quella notte, non senza incompara- 
» bil piacere , tutti meco riprendendoli , tra> 
£ passai. 


Altro Esempio. 

» Tre volte il giovane vincitore sforzossi di 
» fugare quest’ intrepidi combattenti; tre volte 
» fu respinto dal valore del Conte di Fontaine ; 
» che, trasportato di Già in Già nella sua sedia, 
» faceva vedere, malgrado i suoi acciacchi, che 
» uno spirilo guerriere è padrone del corpo. , 
» che comanda. 

Periodo di quattro Mviabri. 

» Manifesta cosa è-, che siccome le cos* Uitt- 


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l84 ^ PARTE 111. ELOCCZIONE. 

yì porali tulle sono Iratisitorie e mortati: così 
» in se e fuori di se essere piene di noja ed 
» angoscia , e di fatica , e ad infiniti pericoli 
» soggiacere : alle quali senza niun fallo nè 
» potremmo noi , che viviamo mescolati in esse, 
» e che siamo parte di esse, durare, Rè ripa- 
'» rarci: se speziai grazia di Dio forza ed ayve^ 
» dimenio non ci prestasse. , 

Bocc. Nov. i._ 


Altro esempio. 

» Se l’Eroe, che prendo a lodare non avesse 
» saputo che combattere, e vincere; senza che 
» il suo valore e la sua prudenza fossero ani- 
}> mali da uno spirito di fede e di carità ; con-< 
)> tento di metterlo nel rango degli Scipionì 
3» e de’Fahii, alla vanità lascerei la cura di se 
» stessa lodare ; e non parlerei della sua gloria, 
» che per deplorare la sua disgrazia. 

De’ Legamenti de’ membri. 

» 

Per attaccare un membro coll’ altro due li- 
gamenti vi sono , cioè i Congiuntivi ed i So- 
spensivi. l congiuntivi attaccano un membro con 
un altro , senza che il senso rimanga sospeso; 
ed i sospensivi per io contrario sospendono in 
uno de’ membri il pensiero , in modo che l’ ani- 
mp non possa quotarsi senza la couchiusione.. 

I. Esempio. 

» Questi miei giovani, con estremo mio di- 
» letto, commuovono il vostro animo; e pac-> 


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rARTU UI. — BliOCUZtORE. l8S 

» mi che la fortuna gli avesse a bdla posto ofr 
» ferii al vostro sguardo. 


11. L^ein[)io, 

n Poiché gli amici ebbero alquanto ragionata 
» sulle vicende della umana condizione ; io 
» nel dovere di lor r^immentare, che il luogo e’I 
» tempo imponevano silenzio. » 

Delle particelle sospensive alcune sono sin- 
golari , perché non han bisogno delle corre- 
lative ; e tali sono Mentre » Poiché , Quante- 
voltc ec. i participi! ed i gerundi!; ed altre di- 
consi accoppiative , perché han bisogno delie 
correlative; e tali sono Siccome, Quantunque ec, 
le quali sono ordinariamente seguite da Cosi, 
Pure ec. 

La particella E sebbene sia congiuntiva , pué 
divenire sospensiva , ed é allora quando si ri- 
pete in tutu i due membri, come sarbbe: Idr 
dio, il quale e i giusti sa rimunerare ; e sa 
punire i rei: 

Dovrebbe qui parlarsi delle particelle det- 
te riempitive , le quali iroyansi spesso nelle 
novelle del Boccaccio, ed in altri antichi au-r 
tori ; ma sarebbe lo stesso d’ entrare in certe 
minuzie che, oltre il non doversi imitare, ar- 
recherebbero grandissima noja. 

Data un’idea del periodo, parrebbe utile di co 
noscersi in quali circostanza Jo scrittore debba far- 
ne uso. Generalmente parlando il principio d’ uu 
discorsa grave e nobile dovrà essere j)ei:iodit:o , 
ma nel rimaneiite lo scrittore si lascerà dirigerò 
dal carattere de’suoi pensieri dalla natura del le 
^miitagiiii che dovrit risvegliare , e dal soggcuoi 


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l86 - PARTB III. — BLOCUZrOME. 

finalmente del suo racconto. Quindi farà usu. 
ora di frasi vive , corte e brevi, ed ora di frasi 
lunghe , armoniose e robuste ; ed in ciò potrà 
ognuno riuscire, se ad un lungo e tenace eser- 
cizio di scrivere vorrà obbligarsi; poiché in tutte 
le cose, la natura dà il materiale, c 1’ uomo, 
poi devo lavorarlo. 


Del Numero. 


11 Numero, tanto nella poesia, che nella prosa, 
è una certa misura, proporzione , o cadenza, 
che rende un verso , un periodo piacevole al- 
1’ orecchio. Lasciando da parte ciò , che ri- 
guarda la poesia , qualche cosa diremo del nu- 
muro oratorio. In conseguenza nella prosa il 
numero produce una certa armonia semplice e 
senza aSettazione , e che 1’ orecchio gusta con 
piacere. Esso rende lo stile facile, libero, e cor- 
sivo, dando al discorso una certa rotondità. 

Il Boccaccio è uno degli scrittori che può, 
darci nell'italiano idioma un esempio costante 
del mumero ; quasi tutt'i suoi periodi sono ar- 
monici , rotondi , chiari , c finalmente d’ ua 
suono grato all’ orecchio. È pur vero , che quel 
continuo stile periodico stanca l’attenzione del 
lettore, nè sarebbe poi interamente da imitarsi; 
ma trattandosi di dover avere un modello per 
la formazione de’ periodi , dopo Cicerone per 
l’ idiom a latino, è da preferirsi per l'Italiano ad 
ogni altro, il Novelliere Fiorentino. 

- Le regole da darsi intorno al numero ora- 
torio, si possono restringere alle seguenti. 

1 . L’ armonia deve più diligentemente ap- 
parire nella fme del periodo, perchè il senso. 


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TABTE III. — EXOCUMONB. 187 

essendo iuterajneiite terminato, 1 uditore, o il 
lettore , che sono rimasti per qualche tempo 
sospesi , qui daranno il loro giudizio, qui 1 orec- 
chio vuol essere più piacevolmente colpito. U 
cominciamento del periodo esige ant he molt 
per conciliarsi 1’ attenzione , ed il mezzo de- 
y’ essere ben congegnato, senza lungherie, senza 
equivoci e senza parentesi. 

2 . Bisogna , per quanto si può , evitare 1 in., 
contro delle stesse sillabe. 

3 . Non bisogna che il periodo finisca con 
luonosìllabi , con pronomi , o con altre pa- 
role accidentali. 

4 . Dév’ essere recato ad una giusta lunghez- 
za, perchè se troppo corto, l’ armonia non potrà 
camjieggiare , e se troppo lungo , la mente 
umana essendo limitata, non potrà ad un tratto 
colpirne il senso, e le bellezze. 

5 . Non si deve nella prosa far uso del metro 
poetico, siccome nella poesia non si tollera la 
frase prosaica perchè sono due maniere d’espri- 
mersi , le quali hanno de’ particolari nrivilegj. 

6., Per aversi la chiarezza ne’ periodi , come 
anche nelle proposizioni , è d’ uopo collocare 
le parole nel sito ove vanno poste; ed in ciò 
sono da osservarsi le regole della grammatica. 
È vero, che una costruzione sempre diretta 
renderebbe il periodo monotono , ma per so- 
verchia simputli di trasposizioni non, vuoisi ren- 
dere il senso enigmatico. 

17 . Si badi a,lla convenevole disposizione dei 
pronomi relativi, i quali potrebbero arrecare 
mollissimi equivoci nella esposizione di un pen- 
siero, ove figurassero più nomi proprj o altri 
9 cui si riferiscono essi relativi. 

8 . È. da schivarsi 1’ incontro di più nomi 


« 


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V88 1>ARTB 111 — BROCirzlONS. 

mti dalla preposizione Di la quale serve a ri* 
siringere il significato. 

9. deve aversi occhio ali’ unità onde le dU 
vene parti del periodo facciano l’impressione d’un, 
sol tutto ; e perciò, non vuol» cangiare 1’ a- 
genie principale, che regge il senso. 

10. Debhonsi toghere tutte le parole chela, 
vece di dar vivezza alil espressiona, le snervano. 

> 1 . Bisogna che i membri vadano crescendo 
sempre di valore. ' 

Ad ognuno di questi precetti avremmo po- 
tuto accoppiare degli esempj ; ma sono per se 
stessi troppo ovvii per non dilungarci maggior- 
mente, stancando cosi la pazienza di coloro ^ 
che si darebbero la pena di leggerli, D’ altronde 
poi,| allorché abbiamo parlato del gusto, e dello, 
stile , varii esempli si sono da noi portati , i^ 
quali possono servire di norma a quanto ora,, a. 
proposito del periodo , abbut-no detio^ 


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rAWTii IV, — pflOMUNari. 189 

PARTE IV. 

Pronunzia, 

La pronunzia, eh’ è 1’ ultltnà parte della Reir 
lorica, è quella che insegna all’oraiore a regolare, 
ed a variare la sua voce, ed i suoi gesti in 
una maniera nobile e conveniente al soggetto 
ehe tratta , ed al discorso che pronunzia , in 
modo che risvegli negli uditori delle favorevoli 
impressioni. 

Definisce Quintiliano la pronunzia : vocis et 
i>nltus et oorporis moderatio cum venustate. 

Cicerone cniama la pronunzia : quaedam cor- 
pnria eloquentia. E perciò per [uronunzia al- 
tro non devesi intendere che 1’ azione dell’ ora- 
tore; la quale per maggior cliiarezza conside- 
reremo sotto tre aspetti, cioè Pronunzia isolau- 
mente, Memoria, e Gesto. 

Ab.ticoi<o PaiMO. 

Della pronunzia, 

Varii precetti si possono dare intorno a que- 
sta , ma da potersi praticare solamente da quegli 
oratori i quali hanno ricevuto dalla natura 
un organo di voce capace di modulazioni. E 
vero che 1’ oraure Ateniese affrontò coraggio^ 
samenie i difetti che riteneva dalla natura , ram- 
picandosi sopra le più scoscese montagne , e 
pronunziando nello sresso tempo i più lunghi 
periodi ; rinchiudendosi per mesi interi in un 


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igo Paiite IV. — pnoNUNZtA. 

gabinelto sotterraneo per perfezionare innanzi 
allo specchio i varii movintenti degli occhi , del 
tìso , delle mani , e di tutto il corpo ; ma chi 
sarebbe tanto perseverante , per obbligarsi a tali 
penosi esercizj ? 1 precetti adunque sono i se- 
guenti : 

1.® La pronunzia dev’ essere corretta in modo 
che il suono della voce sia naturale e piace- 
vole, accompagnata da una certa nobiltà e 
delicatezza , che allontani ogni suono straniero 
e triviale. 

3. ° Dev’ essere chiara ; il che si otterrà ar- 
ticolando tutte le sillabe , e sostenendo , o so- 
spendendo la voce con pause ne’ diversi mem- 
bri componenti il periodo. 

5 .® Chiamasi pronunzia ornata quella eh’ è 
accompagnata da un felice organo, da una voce 
grande , ferma , durevole , chiara , sonora , dol- 
ce , ed insinuante ; poiché avvi una voce fatta 
per 1’ orecchio , e non tanto per là sua esten- 
sione, quanto per la sua flessibilità, capace di 
tuli’ i suoni dal più forte , al più dolce, e dal 
più aito al più basso. 

4. “ Finalmente la pronunzia esser deve adat- 
tata al soggetto, e maggiormente nelle passioni, 
che vogliono essere espresse con varii suoni. Ed 
infatti nella gioja la voce è rapida, chiara ; nella 
tristezza è languente , bassa ; nella collera è 
impetuosa , interrotta. Se trattisi di confessare 
un fallo , la voce è timida e sommessa. Negli 
esordj è necessario un tuono di voce grave e 
moderato, nelle prove un tuono più elevato, 
nelle narrazioni un tuono regolare e simile a 
quello del conversare famigliare. ( Rol, Trai. 

deg. Stud. ) 


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PARTE IV. — PRONUNZIA. Ufi 

f ‘ » 

A R T r c o i, o If. 

Della memoria. 

L’ essere dalla memoria tradito non è una cosa 
tanto dilTicilc ad accadere, e particolarmente in 
persona degli oratori , che arringano nel l'oro 
e sul pergamo, i quali innoltrandosi in qual- 
che punto intrigato della loro orazione, niente 
di più facile , che pongano in dimenticanza gli 
altri argomenti che lor restano a trattare. Un 
Demostene Principe de’ Greci Oratori , un Teo- 
frasto , un Eraclito caddero in tali dimenticanti 
ce ; per la qual cosa conviene , che P oratore 
si premunisca con que’ mezzi , che possano ser- 
vire d’ajuto alla sua memoria. Quindi giova molto: 

1. ’ Il considerare 1’ ordine delle cose e delle 
parole di cui vogliamo ricordarci ; in questa ma- 
niera la memoria viene ajutata dall’ intelletto 
e dalla immaginativa , ed una cosa ridotta in 
tal forma , tira appresso di se 1’ altra ; come 
uno il quale avesse venti vocaboli da mandare 
a memoria, non dovrebbe alla rinfusa impararli, 
ma seguire 1’ ordine cioè dal i al 2 , e così 
di seguito sino all’ultimo. 

2 . ° Se le cose saranno in gran numero , si 
ridurranno a pochi capi , e questi suddivisi 
a proporzione del bisogno. À questo fine molti 
pongono numeri , o lettere iniziali nel margi- 
ne d’ una carta , il che giova mollo per ri- 
tenere la memoria, sicché non iscorra cosa al- 
cuna senza avvedersene. 

5.“ È opportuno lo scrivere di proprio pu- 
gno l’orazione che vuoisi recitare a mente, il* 
leggerla più volte con aita e sonora voce, re- 


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>9* PAfiTE IV. PtlONViStNA. 

citandone ì capi principali , onde abbiasi wi-* 
nore diflicoltà nel momenio di esporla. E que- 
sto è quanto si può dire intorno alla me^ 
moria. 


Articolo III. 

Del gesto. 

Il Gesto riguarda 1’ esteriore dell’ oratore ^ 
«•he deve accompagnarsi al soggetto, che tratta. 
Molte regole si danno da’ retori intorno al gel- 
ato; ma a dirla francamente sono delle minu- 
zie le quali stancano la pazienza di chi le do- 
vrebbe scrivere , e di colui, che le dovrebbe 
l^gere ; d’ altronde 1’ esperienza ed il senno 
vi suppliscono. Nói perciò faremo parola delle 
cose più essenziali , che riguardano il gesto. 

1.® Deve fuggirsi 1^ affettazione la quale nau- 
sea gli ascoltanti , ed offende la gravità degli 
oratori. 

a.° Tutt’ i moti ed i gesti debl>ono apparire 
dettati dalla natura e non dall’ arte. 

3. ® Fuggire gli atti ed i gesti che sono prò— 
prj de’ commedianti , perchè J’ oratore non deve 
come essi imitare le altrui azioni. Tutto al più 
con 1’ indice , e le palme delle mani potrà ac- 
compagnare i varii oggetti che esprime ; ma le 
raant non debbono mai oltrepassare l' altezza 
del petto. 

4. ® Nelle espressioni degli affetti deve in qual- .- 
che manier.i gestire coerentemente ; ma il capo 
dev’ essere diritto, il volto ed il viso deve ri- 
voltarsi verso quella parte óve la mano gesti- 
sce.' 

5. ® Il volto vuoisi conformare alle parole , 


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PARTE IV. — PRONUNZIA. igS 

c lo stesso' dicasi degli occhi , i quali non deb*- 
bono mai rimanere fissi in un luogo , nè va-- 
ganli or di qua , ed or di là , lenendoli sem* 
pre in moto. 

6 . ® Il petto deve talvolta piegarsi verso gli 
uditori , ma non già a guisa d’ un semicerchio. 

7 . ® La destra sempre gestisce , ma la sini- 
stra , accompagnando questa , non deve rima- 
nere oziosa. 

Per gli oratori sacri il gesto è alquanto più. 
libero , essendo ad essi permesso , or di sedersi , 
or di alzarsi ; or P andare alla dritta , ed ora 
alla sinistra del pulpito , abare alquanto più le 
mani per invocare 1’ assistenza di Dio , degli 
Angeli , c dei Santi. 


Fine. 


i3 


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ERRORI 


CORREZIONI 


Pag. III. verso 9. miiono. 
IV. » 4. ansietà.... 
34. » 18. non il ese- 
guito 

33 . » 6. antecedenlii 

70 . » ai. quando. .. 

71. .(i) (2) (Roscoo) 
81. n 11. Sorte. . . . 
84. » 16. e chiamasi 

87. » 3 i. segna. .. . 

88. » lo. a minori 

ad minns. 

97. » 37. a quanto 

possa 

9 Q. » IO. violente.. 
io3. » 14. cofidenza 
107. » 17. avvisata.. 
110. verso ultimo(gìu- 

sto) 

Ita. » i3. s’insegna. 
i3a. » ig. nelle idee 
i55. » aa. autore... 
i55. » So 


mi sono 
ansietà 

non il fatto eseguito 

antecedenti , i 
quanto 

(a) ( 3 ) ( Roscio ) 
sorta 

e ciò chiamasi 
segua 

a minori ad majus 

a quanto possa riguardare 

violenti 

confidenza 

ravvivata 

gusto 

c’insegna 
delle idee 
Boccaccio 
al Sol • 


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INDICE 


NOZIONI PRELIMINABI. 

Etimoi^oia e Definizione , ec pag. 7 

PARTE PRIMA InTen2Ìone ^ 

Articolo Primo Parli dell* oratore ivi 

Articolo II. Uffitii dell* oratore 16 

Articolo 111 . Generi iS 

Articolo IV* Degli strumenti di cui 1 ’ oratore 

si serre ec 19 


Articolo V. Delle controversie oratorie .... ai 

Articolo VI. Ogni proposizione assunta dal - 

r oratore aver dere stato ed es~ 


ser soggetta a controversia . .. 37 

Articolo VII. Quale orazione possa arere due 

stati : 39 

Articolo Vili. De’ luoghi onde si prendono gli 

argomenti 3 o 

Articolo IX. De’ luoghi generali ivi 

Articolo X. De’ luoghi di comparazione ... 25 

Articolo XI. De* luoghi delle circostanze ... 39 

Articolo XII. De’ luoghi rimoti 47 

Articolo Xlll. Artiiiz) cui dere l’oratore pre- 

ralersi ec 49 

Articolo XIV. Uso delle controrersie nelle 

j orationi esornatire ec 60 

Articolo XV; Uso della controversia conget- 

PARTE II. DISPOSIZIONE.’..'.'..’.’.'...... G7 

Articolo Primo. D ell’ esordio 6d 

Articolo 11 . Artifizio di formare gli Esordii 

particolari 74 

Articolo 111 . Della proposizione 79 

Articolo IV. Della narrazione 81 

Articolo V. Della prova , o argomentazione . 83 

Articolo VI. Esposizione degli argomenti . . 84 

Articolo VII. Uso dell’ entimema 86 

Articolo Vili. Uso dell’ esempio 87 

Articolo IX. Dell* amplificazione 88 


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Articoi-o X. 

Del ripulimeulo 


Articolo XI. 

Delle illustrazioni 


Articolo XII. 

Della conlulazione 

94 

Articolo Xlli. Delia perorazione 

97 

Articolo XIV. 

, Delia mozione damili affetti ... 

lOO 

Articolo XV. 

Dell’ enumerazione , ovvero epi- 




* loRo . 

106 

PARTE 

III. 

ELOCUZIONE 

lofi 

Articolo Primo Gusto 

ivi 

Articolo II. 

Stile 

ia 5 

Sezione 

Prima. Stile in Rcnerale 

134 

SrZlONE 

lì. 

Ornamenti 

140 



Figure «li parole 

142 



Tropi 

145 



Figure di pensiero . . . . • 

i 5 S 



Figure dettate dalla passione .. 

167 



Figure dettale dall’ immagina- 




zione 

171 

Sezione 

III. 

Disposizione delle parole 

180 



Del numero 

186 

PARTE 

IV. 

PROISUNZIA 

i8q 

Articolo 


Della Pronunzia 

IVI 

Articolo 

i(. 

Memoria 

» 9 ‘ 


Articolo 

lil. 


* 




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Copia ec. A. S. E. Il Presidente dell’ Istruzione 
Pubblica , Monsignor Colangelo , Eccellenza Reve- 
rendissima — 11 Direttore della Stamperia F rancese 
desidera stampare i Pbecetti di bettorica di Luigi 
Pessiua — La supplico perciò accordargliene il per- 
messo. — Presidenza della Giunta della Pubblica Istru- 
zione — A di 5 del 1839. — 11 Regio Revisore 
Signor D. Angelo Antonio Scolti avrà la compiacenza 
di rivedere la suddetta opera ^ e di osservare se siavi 
cosa contro la religione , ed i dritti della sovranità. — 
11 Deputato per la Revisione de’ libri — Canonico 
Francesco Rossi. — Eccellenza Reverendissima. ~ 
Per eseguire i comandi di V. E. Rev. ho letto il la- 
voro del signor D. Luigi Pessiua intitolato — firecelU 
di Retlorica — lo vi ho ammirata la vasta lettura , 
e la saviezza non volgare , onde da moltissimi scrit- 
tori di siffatto argomento ha egli tratte le migliori os- 
servazioni, che poi a bene della gioventù studiosa con 
sobrietà e chiarezza ha ridotto in precetti. - Nulla in- 
tanto avendovi incontrato , che offenda le verità della 
religione, o i dritti della sovranità, stimo che possa 
permettersene la pubblicazione, purché gli alti lumi 
dell’E. V. non giudichino altrimenti. Napoli 4 febbraio 
1829. — 11 Regio Revisore Angelo Antonio Scotti. 


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Napoli 10 Aprilo i 8 ap. 


PRESIDENZA. DELLA GIUNTA 

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LA PUBBLICA ISTRUZIONE. 


Viltà la domanda del Direltorc'della Stamperìa Fran- 
cese, con la quale chiede di volere stampare l’Opera 
intitolata: Precetti di Pittorica di Luigi jPessina ; 

Visto il favorevole parere del Regio Revisore Signor 
D. Angelo Antonio Scotti ; 

Si permette , che la indicata Operasi stampi: peri non 
si pubblichi senza un secondo permesso , che non si da- 
rà , se prima lo stesso Regio Revisore non avrà atte- 
stato di aver riconosciuta nel confronto uniforme la 
impressione all’originale approvato. 


Jl Preàdenle 
M. COLANGELO. 


Pel Segretario Generale e Membro della Giunta 

L’ Aggiunto 
Antonio CorrocA. 




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