Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Tuesday, February 11, 2014

LA SCHIERA D'IGOR, DUCA -- Il conto della banda d'Igor (Domenico Ciampoli) -- Detto della campagna d'Igor (Leone Pacini Savoj) -- "Il cantare delle gesta d'Igor" (Renato Poggioli) -- "L'epopea d'Igor" (Angiolo Danti) -- "Il cantare d'Igor" (Edgardo Saronne) -- "Il canto dell'impresa d'Igor" (Eridano Bazzarelli) --

Speranza


EPICA ANTICA RUSSA
CANTARE DELLE GESTA D'IGOR', DI IGOR' FIGLIO DI SVJATOSLAV, NIPOTE DI OLEG.

Non sarebbe forse meglio, o fratelli,
esordire in stile antico l'epica storia dell'impresa di Igor',
di Igor' Svjatoslavič?
Che invece questo canto cominci secondo i fatti del nostro tempo,
e non secondo la fantasia di Bojan!
Ché il sapiente Bojan, se per qualcuno voleva cantare un canto,
s'effondeva come pensiero per gli alberi, correva per la terra come lupo grigio,
volava sotto le nubi come aquila azzurra.
Rievocava, diceva, le battaglie dei tempi andati.
Lanciava allora dieci falchi su un branco di cigni, e quello che ghermiva per primo,
intonava un canto in onore dell'antico Jaroslav,
per l'ardito Mstislav che sgozzò Rededja davanti alle schiere circasse, e per il bel Roman Svjatoslavič.
Ma Bojan, o fratelli, non dieci falchi lanciava contro il branco di cigni:
ma posava le sue dita stregate sopra le corde viventi e quelle da sole
cantavano ai principi gloria.
Cominciamo dunque, o fratelli, questo racconto dall'antico Vladimir all'odierno Igor', il quale temprò la mente con la volontà, infiammò il cuore con il coraggio e, ricolmo di spirito guerriero, condusse le sue valorose schiere in terra polovesiana, oltre la terra russa.
Alzò Igor' lo sguardo al sole lucente e vide che da esso una tenebra promanava ad avvolgere i suoi guerrieri.
E disse Igor' alla družina: «Fratelli e družina, è meglio morire che essere fatti prigionieri. Montiamo perciò, o fratelli, sui nostri veloci destrieri per ammirare l'azzurro Don!»
.S'infiammò al principe il cuore per il desiderio di guerra e la brama di gustare [l'acqua] del grande Don gli rese oscuro il presagio.
Disse: «Con voi, o Russi, voglio spezzare la mia lancia sul confine del campo polovesiano; sono pronto a sacrificare la testa, pur di gustare nell'elmo [l'acqua] del Don».
O Bojan, usignolo del tempo antico! Fossi tu a celebrare queste imprese, saltando, o usignolo, in pensiero tra gli alberi, volando con la mente sotto le nubi, congiungendo le due metà della gloria dei nostri tempi, percorrendo il sentiero di Trojan, attraverso i campi e verso le montagne!
A un tuo allievo toccherebbe invece intonare questo canto per Igor': «Non la tempesta ha portato i falchi attraverso le ampie distese: stormi di cornacchie fuggono verso il grande Don».
Invece così avresti dovuto cantare, o profetico Bojan, nipote di Veles:
«I cavalli nitriscono oltre la Sula, risuonano inni di gloria a Kiev, squillano le trombe a Novgorod, si rizzano gli stendardi a Putivl'!»
Igor' aspetta Vsevolod, il caro fratello.
E gli disse Vsevolod, Toro Impetuoso:
«Mio solo fratello, mia sola luce lucente, o tu, Igor'! Siamo entrambi figli di Svjatoslav!
«Sella, fratello, i tuoi veloci destrieri, ché i miei son già pronti, sellati per te nei pressi di Kursk. Per te, i miei esperti guerrieri kuriani, al suono delle trombe fasciati, sotto gli elmi cullati, sulla punta della lancia allattati. A loro son note le piste, conosciute le gole. Hanno gli archi ben tesi, aperte le faretre, le sciabole affilate. Corrono nel campo come lupi grigi, per sé onore cercano e per il principe gloria!»
Allora montò il principe Igor' sulla staffa d'oro e galoppò nel campo aperto.
Il sole gli sbarrò il cammino di tenebra. La notte gemette tempesta, risvegliando gli uccelli. Si levò l'ululato ferino delle belve. Gridò Div dall'alto di un albero, affinché lo udisse la terra straniera: la Vol'ga e il litorale di Crimea, e Surož, e la terra oltre la Sula, e il Chersoneso, e te, grande idolo di Tmutorokan'!
I Polovcy fuggono per ignoti sentieri verso il grande Don. Stridono i carri nella notte, come cigni atterriti. Igor' conduce la schiera verso il Don.
Ma per sua sciagura dall'alto delle querce lo guatano gli uccelli. Nei dirupi ululano i lupi alla tempesta, le aquile stridono chiamando le belve al banchetto, ganniscono le volpi contro gli scudi scarlatti.
Sei già oltremonte, terra di Rus'!
A lungo s'abbuia la notte. L'alba si accende di luce. La nebbia ricopre i campi. Si è assopito il trillo degli usignoli, il gracchiare delle cornacchie si è destato.
Con gli scudi scarlatti i Russi ricoprono campi immensi, cercando per sé onore e per il principe gloria.
All'alba di venerdì, travolsero le orde pagane dei Polovcy e, spargendosi come frecce per il campo, rapirono le belle fanciulle polovesiane, e presero oro, e sete e preziosi broccati. E con mantelli, gualdrappe e pellicce, con ogni gemmato tessuto polovesiano si misero a gettar ponti su paludi e fangosi pantani.
Rosso stendardo, bianco gonfalone, vessillo scarlatto, argentea insegna per il prode figlio di Svjatoslav!
Dorme nel campo l'ardito nido di Oleg, si è involato lontano! Ma non era nato per subire l'offesa del falco, né quella dello sparviero, né la tua, nero corvo, infedele polovesiano!
Corre Gzak, come lupo grigio, Končak gli traccia il cammino verso il grande Don.
L'indomani, sul presto, un'aurora di sangue annuncia la luce. Nere nubi avanzano dal mare, vogliono oscurare i quattro soli, dentro vi fremono vivide saette. Dovrà scoppiare una possente tempesta, dovrà scrosciare una pioggia di frecce dal grande Don! Qui le lance si spezzeranno, andranno in pezzi le spade contro gli elmi polovesiani, sul fiume Kajala, presso il grande Don!
Sei già oltremonte, terra di Rus'!
Ecco i venti, nipoti di Stribog, soffiano le frecce dal mare contro la schiera valorosa di Igor'. Rintrona la terra, scorrono torbidi i fiumi, la polvere copre i campi, gridano gli stendardi:
.«Avanzano i Polovcy dal Don, dal mare e da ogni dove, le schiere russe sono circondate. I figli di Běs riempiono di grida la steppa, i valorosi Russi gli sbarrano il passo con gli scudi scarlatti!»
O Vsevolod, Toro Impetuoso! Piantato in difesa, tu rovesci le frecce contro i nemici, fai rintronare sugli elmi le spade di acciaio brunito.
Dovunque tu balzi, col tuo splendido elmo d'oro, là cadono le teste pagane dei Polovcy, dalla tua sciabola son frantumati gli elmi àvari. Per opera tua, Vsevolod, Toro Impetuoso!
Che importano le ferite, fratelli, a colui che sprezzò onori e ricchezze, l'aureo trono del padre nella rocca di Černigov, e l'amore e le carezze della sposa diletta, la bella Glebovna?
.   Sono lontani i tempi di Trojan, lontani gli anni di Jaroslav: ci furono le imprese di Oleg, Oleg Svjatoslavič. Ché Oleg invero con la spada temprò la discordia, di frecce seminò la terra.
Saliva Oleg sulla staffa d'oro, nella città di Tmutorokan', e ne udiva il suono [il figlio dell']antico, grande Jaroslav, mentre il figlio di Vsevolod, Vladimir, a Černigov si turava le orecchie.
La brama di gloria trasse Boris Vjačeslavič al giudizio e sul Kanin gli fu steso un verde sudario per l'offesa arrecata ad Oleg, valente e giovane principe.
Così dal fiume Kajala ordinò Svjatopolk che il padre suo fra destrieri ungheresi fosse portato a Santa Sofia in Kiev.
Al tempo di Oleg Gorislavič, il figlio di Malagloria, si seminavano e crescevano le discordie, periva la potenza dei nipoti di Daž'bog e nelle contese dei principi si accorciava la vita alla gente.
Di rado il contadino cantava nell'arare la terra: più spesso i corvi gracchiavano contendendosi tra loro i cadaveri e nella loro lingua le cornacchie si chiamavano per invitarsi al banchetto.
Questo accadeva in quelle guerre e in quelle campagne, ma di una simile impresa mai s'era udito parlare!
Dall'alba alla sera, dalla sera all'alba, volano frecce temprate, scrosciano sciabole contro elmi, crepitano lance di acciaio brunito, nel campo straniero, nella terra polovesiana.
Sotto gli zoccoli la nera terra è seminata di ossa, irrigata di sangue. Con dolore nel campo sono periti in nome della terra di Rus'.
.Qual strepito io sento, che cosa risuona lontano, prima dell'alba? Igor' volge indietro le schiere, ha pietà di Vsevolod, il caro fratello! Combatterono un giorno, combatterono il secondo, il terzo giorno al meriggio caddero le insegne di Igor'.
Qui si separarono i fratelli, sulla riva del rapido Kajala. Qui più non bastava il vino di sangue e misero fine al banchetto i bravi guerrieri: diedero da bere ai compagni e caddero per la terra di Rus'.
Si piega l'erba per il dolore, a terra per il dolore si chinano gli alberi!
Perché ormai, o fratelli, è sorto il tempo del dolore e la steppa ha sopraffatto le schiere! Perché la sconfitta si è levata sulle schiere del nipote di Daž'bog; come una fanciulla è sorta sulla terra di Trojan e ha agitato ali di cigno sul mare nemico, presso il Don; battendo le ali ha disperso i tempi dell'abbondanza.
È venuta meno la lotta dei principi contro i pagani, ché disse il fratello al fratello: «Questo è mio ed anche questo è mio!» Di ogni piccola cosa i principi dicevano «è grande!», forgiando tra loro la discordia. Intanto i pagani giungevano da ogni dove, vittoriosi in terra russa.
Oh, lontano s'involò il falco, sterminando gli uccelli fino al mare!
Più non risorgerà l'ardita schiera di Igor'!
Dietro di lei gridò il dolore, e il pianto corse per la terra russa, agitando il fuoco nel funebre corno!
Proruppero in lacrime le donne russe nel dire: «A noi ormai i cari sposi più non è dato né in pensiero pensare, né in idea ideare, né con gli occhi guardare, né oro e argento con la mano sfiorare».
E gemette, fratelli, Kiev nel dolore, e Černigov nell'avversità. L'afflizione corse sulla terra di Rus', una grande mestizia si sparse nella terra di Rus'. E mentre i principi forgiavano tra loro le discordie, i pagani irrompevano vittoriosi nella terra russa, esigendo un tributo ad ogni focolare.
Questi due prodi Svjatoslaviči, Igor' e Vsevolod, ridestarono l'ostilità: quell'ostilità che il terribile gran principe di Kiev, il loro signore Svjatoslav, aveva a suo tempo assopito con la forza. Quale tempesta, aveva fatto tremare i pagani con le sue possenti schiere; con spade di acciaio brunito si era inoltrato in terra polovesiana, aveva calpestato colline e dirupi, resi torbidi torrenti e paludi, strappato come un turbine il pagano Kobjak dall'arco del mare, dalle ferree orde polovesiane. Ed era stato trascinato Kobjak nella città di Kiev, fin nella vasta sala di Svjatoslav.
E ora i Tedeschi e i Veneziani, i Greci e i Moravi cantano gloria a Svjatoslav ma compiangono il principe Igor', che ogni ricchezza ha sprofondato nel Kajala, nel fiume polovesiano l'oro russo ha disperso.
Qui il principe Igor' è smontato dalla sella d'oro ed è salito su quella del prigioniero. Triste fu la gente. Sui bastioni delle città venne meno la gioia.
Intanto Svjatoslav ebbe un sogno confuso:
«Nella rocca di Kiev, questa notte, mi rivestivano sul far della sera di un nero sudario sopra un letto di tasso, mi mescevano vino fosco mescolato a dolore, dalle vuote faretre dei traduttori pagani una grossa perla lasciavano sul mio petto cadere.
«E cantano il lamento per me. Già hanno tolto la trave centrale nel mio terem dalla cupola d'oro!
«Sin dalla sera, per tutta la notte, hanno gracchiato i corvi demoniaci nelle paludi di Plesensk: venivano da Kisan' e verso il fosco mare volavano».
E dissero i bojari al principe: «Già il dolore, o principe, ha serrato la tua mente, ché i due falchi sono volati lontano dal trono d'oro del padre, a conquistare la città di Tmutorokan' o per bere con l'elmo l'acqua del Don. Già le ali ai due falchi tarparono le sciabole polovesiane ed essi con catene di ferro furono avvinti.
  «Il terzo giorno vinse la tenebra, i due soli si oscurarono, si spensero le due colonne di porpora; e con loro le due giovani lune Oleg e Svjatoslav si avvolsero di tenebre, scomparvero nel mare e dettero gran tripudio alla gente nemica.
«Sul fiume Kajala l'ombra ha coperto la luce e si sparsero i Polovcy come una cucciolata di ghepardi.
«Già il disonore ha sommerso la gloria, la schiavitù ha schiacciato la libertà, già Div è piombato sulla terra di Rus' e le belle fanciulle dei Goti cantano sulle rive del mare: cantano i tempi di Bus, celebrano la vendetta di Šarokan. Ma noi, o družina, siamo privi di gioia!»
Allora il grande Svjatoslav proruppe in un aureo discorso mescolato col pianto:
«O miei pupilli, Igor' e Vsevolod! Troppo presto cominciaste a offendere con la spada la terra polovesiana, in cerca di gloria: ma nel disonore vi siete battuti, nel disonore avete versato il sangue pagano.:
«I vostri cuori arditi sono forgiati in acciaio crudele e nel furore temprati. Perché avete fatto questo alla mia canizie d'argento?
«Più non vedo il forte potere, le ricchezze e le schiere del fratello mio Jaroslav, con i nobili di Černigov, i Moguti, i Tatrani, gli Šelbiri, i Topčaki, i Revughi e gli Olberi. Costoro senza scudi, coi soli pugnali, gridando sbaragliano le schiere, facendo risuonare la gloria degli avi.
«Ma voi diceste: combattiamo da soli, da soli dividiamo la gloria futura e la passata supereremo! Ma non è forse strano, o fratelli, che il vecchio ringiovanisca? Quando un falco muta le penne, in alto caccia gli uccelli, né lascia che saccheggino il suo nido. Ma ecco il male: i principi non mi vengono in aiuto e il tempo si è volto in sciagura.
«Ecco che a Rimov gridano sotto le spade polovesiane, e Vladimir piange per le ferite: dolore e angoscia al figlio di Gleb!»
.   Gran principe Vsevolod! Non dovresti accorrere da lontano solo col pensiero a difendere il trono d'oro del padre! Tu solo puoi battere coi remi la Vol'ga e attingere con l'elmo l'acqua del Don! Se tu fossi stato qui, o principe, le schiave si venderebbero a un soldo e gli schiavi a un centesimo! Perché tu puoi lanciare vive lance di fuoco, con gli arditi figli di Gleb!
O tu, impetuoso Rjurik, e tu, Davyd! Non sono stati i vostri ardenti guerrieri a nuotare nel sangue fino agli elmi d'oro? Non sono stati i vostri valorosi eserciti a ruggire come tori selvaggi, straziati da sciabole temprate, in terra straniera? Salite, o signori, sulla staffa dorata, per vendicare l'offesa di questo tempo, per la terra di Rus', per le ferite di Igor', valoroso figlio di Svjatoslav!
  Jaroslav dall'ottuplice pensiero, principe di Galič! Alto siedi sul tuo trono dorato e reggi i monti ungheresi con le tue schiere ferrigne, e al re magiaro sbarri la strada, chiudendo le porte al Dunaj, scagliando macigni oltre le nubi, amministrando la giustizia fino al Dunaj. Scorrono le tue minacce per le terre, tu apri le porte di Kiev; dall'aureo trono paterno tu frecci i sultani oltre le terre; folgora dunque, o signore, anche il pagano Končak! Per la terra di Rus', per le ferite di Igor', valoroso figlio di Svjatoslav!
E tu impetuoso Roman, e tu Mstislav! Ardimento e passione conducano la vostra mente all'impresa!
  In alto levato nell'intrepida impresa, come falco che si libra sui venti, quando nel suo furore attacca gli altri uccelli. Avete corazze di ferro sotto gli elmi latini. Per esse tremò la terra e molti popoli: Unni e Lituani, Jatvinghi e Deremeli, Finni e Polovcy: gettarono i loro giavellotti e chinarono il capo sotto queste spade d'acciaio.
Ma ormai, o principe, per Igor' si è spenta la luce del sole mentre all'albero tristi son cadute le foglie: lungo la Ros' e la Sula i nemici si son spartiti le città, ma più non risorgerà l'ardita schiera di Igor'!
Il Don ti invoca, o principe, e chiama i principi alla riscossa. Ma gli Olgoviči, valorosi principi, non sono più sul piede di guerra...
Ingvar' e Vsevolod, e tutti e tre voi, figli di Mstislav! Serafini dalle sei ali di non ignobile nido! Non per vittorie fratricide diventaste signori dei vostri domini! Dove sono i vostri elmi dorati e le spade polacche e gli scudi? Sbarrate le porte alla steppa con le frecce puntute, per la terra di Rus', per le ferite di Igor', valoroso figlio di Svjatoslav!
Più non scorre la Sula coi suoi flutti d'argento per la città di Perejaslavl', né la Dvina paludosa per la città di Polock, ma sotto il grido di guerra pagano! Solo Izjaslav figlio di Vasil'ko fece risuonare le spade affilate contro gli elmi lituani superando la gloria dell'avo Vseslav!
E cadde egli stesso sotto gli scudi scarlatti, falciato sull'erba insanguinata dalle spade lituane. E disse, come con la sposa sul letto nuziale: «La tua družina, o principe, coprirono gli uccelli con le ali e le fiere ne leccarono il sangue».
Né c'era colà il fratello Brjačislav, né l'altro fratello Vsevolod. Da solo, l'anima di perla esalò dal fiero corpo, attraverso l'aurea collana. Divennero meste le voci, venne meno la gioia. Piangono le trombe a Gorodec.
O figli di Jaroslav e voi tutti nipoti di Vseslav! Tempo è di abbassare le insegne e di riporre nel fodero le logore spade. Già vi siete allontanati dalla gloria degli avi! Voi, con le vostre contese, cominciaste a far venire i pagani nella terra di Rus', sui possedimenti di Vseslav. Per le lotte intestine si scatenò la violenza dalla terra polovesiana!
Nella settima età di Trojan, gettò Vseslav le sorti per la fanciulla che tanto desiderava. E promettendo astutamente i cavalli, volò fino alla città di Kiev e con la lancia sfiorò il trono d'oro di Kiev.
Subito balzò lontano da Kiev, come belva feroce correndo a mezzanotte da Belgorod, ammantato di azzurra bruma.
.Al mattino conficcò le asce, aprì le porte di Novgorod e distrusse la gloria di Jaroslav. Balzò qual lupo da Dudutki fino al fiume Nemiga. E là sulla Nemiga fanno covoni di teste, trebbiano con catene di ferro, gettano le vite sull'aia, vagliano le anime dai corpi.
.In tristo modo furono seminate le sponde insanguinate della Nemiga, furono seminate con le ossa dei figli di Rus'.
. Il principe Vseslav amministrava la giustizia, e governava i principi delle città, nella notte però galoppava come lupo, prima del canto del gallo correva da Kiev fino a Tmutorokan' e tagliava la strada al grande Chors.
Per lui suonavano a mattutino le campane di Santa Sofia a Polock ed egli a Kiev ne udiva i rintocchi.
Benché avesse un cuore di stregone in quel doppio corpo, nondimeno patì sventure.
Per lui il vate Bojan per primo proferì queste parole: «Né all'astuto, né al sapiente, né all'esperto stregone è dato sfuggire il giudizio di Dio».
Oh, pianga la terra di Rus' ricordando gli anni passati e i principi di una volta!
Quell'antico e saggio Vladimir, impossibile inchiodarlo nel suo palazzo tra i colli di Kiev. I suoi stendardi sono oggi quelli di Rjurik e quelli di Davyd: ma disgiunti sventolano i drappi, le une contro le altre cantano le lance!
Si ode sul Dunaj la voce di Jaroslavna, piange al mattino qual gabbiano solitario: «Volerò come un gabbiano lungo il Dunaj, nel Kajala bagnerò la mia manica di castoro e al principe tergerò le sanguinose ferite sul suo corpo possente».
Sul far dell'alba piange Jaroslavna sul bastione di Putivl' dicendo: «O vento, venticello! Perché, signore, soffi nemico? Perché porti le frecce unne sulla tua ala leggera contro i guerrieri del mio sposo? Non ti bastava in alto, sotto le nubi soffiare, cullando le navi sull'azzurro mare? Perché, signore, sull'erba della steppa hai dissipato la mia gioia?»
Sul far dell'alba piange Jaroslavna sul bastione di Putivl' dicendo: «O Dnepr, figlio dello Slovuta! Hai attraversato i monti di pietra passando per la terra polovesiana. Hai portato su di te le navi di Svjatoslav fino al campo di Kobjak. Porta, signore, fino a me il mio sposo, perché io non gli mandi le mie lacrime sul far del mattino».
Sul far dell'alba piange Jaroslavna sul bastione di Putivl' dicendo: «O sole lucente, tre volte lucente. Sei per tutti così caldo e bello! Perché, signore, hai disteso il tuo raggio ardente contro i guerrieri del mio sposo, perché nell'arido campo i loro archi hai allentato, i loro turcassi serrato?»
S'increspa il mare di mezzanotte, avanzano turbinando le nuvole, al principe Igor', un dio indica la strada dalla terra polovesiana alla terra russa, dov'è il trono d'oro degli avi. I bagliori del tramonto si sono spenti.
Igor' dorme. Igor' veglia. Igor' misura col pensiero la terra dal grande Don al piccolo Donec.
A mezzanotte Vlur fischia chiamando i cavalli oltre il fiume. Intima al principe di prepararsi.
Il principe Igor' non c'è più!
..Grida, rintrona la terra, fruscia l'erba! C'è agitazione tra i carri polovesiani.
Fugge intanto il principe Igor', ermellino tra i canneti, bianca anatra sull'acqua, balza sul veloce destriero e da esso salta giù come lupo grigio, corre fino alla valle del Donec, volando come un falco sotto le nubi, strage di oche e cigni facendo per colazione, pranzo e cena.
.Se Igor' volava come falco, trottava Vlur come lupo, scuotendo di dosso la gelida rugiada. E sfiancarono i veloci destrieri.
Disse il Donec: «O principe Igor'! Non piccola è la tua gloria, mentre a Končak vergogna e gioia alla terra di Rus'!»
Igor' disse: «O Donec, non piccola è la tua gloria, per aver cullato il principe sulle tue onde, avergli steso erba verde sulle tue sponde d'argento, averlo avvolto di calde brume sotto un albero verde, per averlo vegliato come un'anatra sull'acqua, come un gabbiano sull'onda, come una folaga nel vento!
«Non così» disse, «il fiume Stugna che con scarsa corrente, dopo aver superato gli altri ruscelli e torrenti, si apre verso la foce. Il principe Rostislav inghiottì nel suo fondo. Presso la buia riva, piange la madre di Rostislav, piange la madre del giovane principe Rostislav, intristiti appassiscono i fiori, per l'angoscia si piegano gli alberi a terra.»
Non sono state le gazze a gracchiare, ma Gzak e Končak che inseguono il principe Igor'.
. Non gracchiano i corvi, tacciono le cornacchie, non strillano le gazze. Solo strisciano i serpi. E i picchi coi colpi del becco indicano la direzione del fiume. Con canti gioiosi gli usignoli annunciano l'alba.
Dice Gzak a Končak: «Se il falco vola al nido, il giovane falco frecceremo con le nostre frecce d'oro.»
Dice Končak a Gzak: «Se il falco vola al nido, il falchetto incateneremo con una bella fanciulla.»
E dice Gzak a Končak: «Se lo incateneremo con una bella fanciulla, a noi poi non rimarrà né il falchetto né la bella fanciulla, allora cominceranno ad abbattere i nostri uccelli nella distesa polovesiana».
Così disse Bojan nel cantare le imprese dei figli di Svjatoslav, Bojan il cantore dei tempi passati, di Jaroslav e di Oleg e della sposa del kagan':
«È doloroso per te, o testa, senza il corpo, ed è pesante per te, o corpo, senza la testa».
Così per la terra di Rus' senza Igor'.
Il sole splende in cielo, il principe Igor' è in terra di Rus'.
Cantano le fanciulle sul Dunaj, intrecciano le voci dal mare fino a Kiev.
Igor' scende per la via di Boričev fino a Nostra Signora della Torre. Le province sono felici, le città liete.
Abbiamo intonato un cantico ai vecchi principi, ora ai giovani si deve cantare: «Gloria a Igor' Svjatoslavič, a Vsevolod Toro Impetuoso, a Vladimir Igorevič!»
Salute ai principi e alla družina, che si battano per i Cristiani contro le schiere pagane.
Gloria ai principi e alla družina!
Amen.



















EPICA ANTICA RUSSA

CANTO DELLA SCHIERA D'IGOR
 





































Schema
 Saggio
Testo
Note
Il contesto storico
Dramatis personæ
Percorsi audiovisivi
Bibliografia
 

Titolo

Cantare delle gesta di Igor'
Genere Poema epico di argomento storico
Lingua Antico russo
Epoca XII secolo


















EPICA ANTICA RUSSA
 
CANTO DELLA SCHIERA D'IGOR 

Il principe Igor'
Arte popolare russa
Lo Slovo o pŭlku Igorevě

Poema epico del medioevo slavo-orientale, 
il «Canto della schiera d'Igor», secondo
uno dei possibili modi di sciogliere l'ambiguità del titolo,
ha per argomento la tragica sconfitta di un esercito
russo avvenuta nel 1185 ad opera dei Polovesiani
o Cumani, un popolo di origine turanica, stanziato a nord del Mar Nero.
 
Scritto forse poco dopo la disfatta,
il canto si staglia quasi come un unicum
nella letteratura russa, in una prosa ritmica,
straordinariamente ricca di allitterazioni,
metafore, ambiguità testuali.

Un'altissima poesia, coincisa, evocativa,
fatta di immagini tumultuose, s'intreccia con
dolenti riflessioni sulla situazione politica
della Rus' kievana, dominata dalle
lotte intestine tra i principi, sulla conquista
del potere e sui cinici meccanismi dell'arte del
governo e della diplomazia.

 
Spiccano indimenticabili sprazzi di umanità: per quanto ingigantiti
dall'esagerazione epica, le emozioni dei personaggi fremono
 e vibrano su tutte le corde della natura umana.

La sete di gloria, l'eroismo, la nostalgia, la
disperazione, il cordoglio, emergono
prepotenti sullo sfondo di un ambiente
naturale che sembra accordarsi, come in un romanzo
d'appendice, alle emozioni dei personaggi. I colori si
accendono ora di luce, ora si fanno foschi e gravidi di presagi.

 
Il testo risente moltissimo – anche se forse
soltanto per aderenza a un tipo di poesia epica –
dell'antico spirito pagano: le forze della
natura sono vive e titaniche; il principe Igor' può
dialogare possentemente con il fiume Donec e la
mesta Jaroslavna può effondere il suo lamento al sole e al vento.

La poesia trasfigura eroi e cantori in lupi e in falchi,
e quelle che sembrano similitudini poetiche sono forse
l'eco di antiche concezioni venate di sciamanesimo.

Non mancano neppure preziosi riferimenti alle
antiche divinità russe a rendere lo Slovo
di valore inestimabile per lo studioso di mitologia slava.
Il ritrovamento dello Slovo

La storia dello Slovo o pŭlku Igorevě inizia nel 1791, quando un c
erto vescovo Joil', ultimo archimandrita del
  monastero, allora chiuso, della città di
Jaroslavl', ad est di Mosca, vendette
una serie di antichi volumi al
procuratore supremo del Sinodo Ecclesiastico, il cavaliere
conte Alessandro Ivanovič Musin-Puškin
antiquario di notevole erudizione e appassionato collezionista di testi antichi.
Slovo o pŭlku Igorevě
Frontespizio della prima edizione russa (1800)


Uno di questi volumi, un codice in folio del XVI s
ecolo, registrato con la segnatura N° 323,
consisteva in una raccolta manoscritta comprendente
un certo numero di testi diversi.


A quanto afferma lo stesso conte Musin-Puškin, esso riportava,
tra le altre, cose, il Chronograf (una cronaca che raccoglieva le
origini delle stirpi reali di molti paesi, tratti dalle Sacre
Scritture, da autori classici, e da cronisti russi, serbi e bulgari), il V
remennik o «Libro del tempo» (una cronaca sui principi russi), il
Devgenievo dejanie (una traduzione russa del poema cavalleresco
bizantino Digenḗs Akrítas) e, naturalmente,
"Il canto della schiera d'Igor, duca".

Sicuramente il vescovo Joil' neppure
sospettava che il codice contenesse lo Slovo.

E non si sa esattamente nemmeno quando
il conte Musin-Puškin riconobbe la rarità o
l'eccezionale pregio dell'opera.

Non sappiamo neppure se fu il conte a scoprirla,
come egli stesso dichiarò poi, o se fu invece qualche suo
collaboratore.

La prime indiscrezioni apparvero sulla rivista Zritel', lo «Spettatore», di San Pietro Burgo.

Ed è probabilmente del 1795 o 1796
la copia che Musin-Puškin inviò in dono alla carica
Ekaterina II Alekseevna.

L'imperatrice EKATERINA II morì di lì a poco (1796).

La sua copia del poema andò smarrita,
per essere poi ritrovata nel 1864
dallo storico della letteratura Pëtr Pekarskij.


Un'altra copia dello Slovo
dovette pervenire al poeta Michail Matveevič Cheraskov
(1733-1807), amico del conte  Musin-Puškin, in
quanto troviamo reminescenze igoriane in
un poema da questi composto, il Vladimir,
pubblicato nel 1797 (Bazzarelli 1991).


La notizia ufficiale del ritrovamento dello Slovo
fu data solo nell'ottobre del 1797,
sulle pagine della rivista di Amburgo
Le spectateur du Nord.

Commentando la notizia, lo scrittore Nikolaj Michajlovič Karamzin
 paragona l'epopea igoriana ai poemi di Ossian, «scoperti» nel 1761 da James Macpherson.


Il lavoro sistematico di preparazione del testo dello Slovo
per la stampa, nonché di traduzione e commento, venne
affidato da Musin-Puškin a due filologi, esperti c
onoscitori del mondo antico-russo:
Nikolaj Nikolaevič Bantyš-Kamenskij, e l'allievo di questi,
Aleksej Fedorovič Malinovskij.

Nel 1800 usciva così a Mosca, per i tipi della Tipografia del
Senato, la prima edizione dello Slovo o pŭlku Igorevě.

Ed è questa l'unica versione del testo che ci sia rimasta,
oltre alla copia per Ekaterina II, che poco si discosta da essa.

Nel 1812, infatti, il prezioso manoscritto conservato nella
biblioteca del conte Musin-Puškin andò bruciato o distrutto
nel corso del famoso incendio di Mosca, scoppiato
– come ben sanno i lettori di Tolstoj – durante l'occupazione napoleonica.
 
Subito dopo la scomparsa del manoscritto
originale, alcuni critici espressero dubbi
sull'autenticità dello Slovo o pŭlku Igorevě,
giudicandolo un falso, proprio nello
stile dei celebri canti ossianici di Macpherson,
in realtà apocrifi.


Nacquero così due correnti, o piuttosto due partiti critici:


da una parte gli scettici, dall'altra i sostenitori dell'autenticità del manoscritto.


Tra i detrattori ebbero notevole influenza il giornalista russo-polacco
Józef Sękowski, insigne linguista e orientalista, e
anche un professore di storia russa, certo Michail Trofimovič Kačenovskij (1775-1842),
il quale riteneva che più o meno
tutte le opere della letteratura antico-russa fossero dei falsi.

Quali autori materiali della falsificazione, furono indicati lo
stesso Musin-Puškin, oppure scrittori come
Aleksandr Sulakadzev o Anton Ivanovič Bardin
(quest'ultimo specializzato nella produzione di falsi manoscritti da
vendere agli antiquari, tra cui a onor del vero bisogna annoverare
anche alcuni apocrifi dello stesso Slovo).

Nella querelle non erano estranei degli
elementi di orgoglio nazionale,
cosicché ritenere lo Slovo un falso
suscitava l'idea di scarso patriottismo.

La discussione si sarebbe protratta nel tempo
e avrebbe avuto un lungo strascico nel periodo sovietico. (Bazzarelli 1991)
 
 
 
 
Nel 1852, il filologo Vukol Michajlovič Undolskij (1816-1864)
pubblicò un poema epico, da lui stesso rinvenuto in un manoscritto del XVII secolo:
la Zadonščina o «Battaglia oltre il Don»,
in cui si narrava la vittoria del principe
Dmitrij Donskoj sui Tartari del qān Mamaj, avvenuta nel campo di Kulikovo nell'anno 1380.

 La scoperta di Undolskij sembrò dirimere definitivamente la disputa.

Dal momento che alcuni passi della Zadonščina mostravano una
chiara influenza dello Slovo, si ritenne che l'autore di questo poema –
un certo Sofonij di Rjazan' – si fosse ispirato allo Slovo
per costruire le sue immagini poetiche.

Attestata solo in tardi manoscritti, la Zadonščina era considerata
quasi «uno Slovo rovesciato e rimodernato».

 
Sette anni più tardi, tuttavia, venne rinvenuta una versione
della Zadonščina in un documento risalente al XV secolo,
più antico dello scomparso manoscritto dello Slovo di Musin-Puškin.

La nuova scoperta portò a un rovesciamento nei termini del
problema, e alcuni studiosi cominciarono a pensare che,
al contrario, fosse lo Slovo ad essere stato scritto a
 imitazione della Zadonščina. (Picchio 1968 | Picchio 2002)
 
Tra i maggiori fautori di questa teoria, lo slavista francese
André Mazon (1881-1967), in una serie di saggi
pubblicati tra il 1938 e il 1944, cercò di dimostrare
che lo Slovo fosse un falso letterario della fine del XVIII
secolo, costruito a partire dalla Zadonščina e dal
Se pověsti vremjanĭnychŭ lětŭ, la «Cronaca degli anni passati».

Tale idea ebbe i suoi estimatori, tra cui lo storico russo
Aleksandr Aleksandrovič Zimin (1920-1980).

Di avviso contrario, tuttavia, la maggior parte degli studiosi, t
ra cui Evgenij Aleksandrovič Ljackij (1868-1942),
Roman Jakobson e Dmitrij Sergeevič Lichačëv (1906-1999), i
quali hanno sottolineato tali e tante evidenze linguistiche,
filologiche e storiche che oggi non si può più dubitare che il
testo dello Slovo o pŭlku Igorevě sia proprio della fine del XII secolo. (Saronne 1988)
 
In effetti, a parte il fatto che lo Slovo contiene
riferimenti a una realtà storica, culturale e
linguistica che non poteva essere nota alla fine del
XVIII secolo, sembra assai improbabile ritenere che, i
spirandosi ad un poema poco più che mediocre, la
Zadonščina, dove si canta una gloriosa vittoria contro i
Tartari, uno sconosciuto contraffattore avesse deciso di
raccontare piuttosto la storia di una sconfitta, peraltro
contro nemici di gran lunga meno temibili, fingendo
strazio e amarezza di fronte a una Rus' dilaniata dalle
lotte intestine dei principi, e senza peraltro rinunciare
a scoccare frecciate ironiche.

L'ignoto autore avrebbe anche ovuto avere l'intuizione di
inserire dei riferimenti al paganesimo slavo, sicuramente
ancora vivo nel XII secolo, ma quasi del tutto assente nelle
cronache e nelle opere coeve, come nella stessa Zadonščina.

Infine, avrebbe dovuto fare una ricostruzione straordinariamente
accurata del linguaggio, così da farlo parere arcaico al punto giusto.
 
Nonostante ciò, negli ultimi anni, altri studiosi si sono
fatti avanti a rivendicare, seppure con argomenti meno
convincenti, il carattere spurio dello Slovo.

Lo slavista americano Edward Keenan  ha recentemente sostenuto che lo Slovo
sia un falso realizzato dal filologo e nazionalista ceco Josef Dobrovský
(1753-1829), assemblando e manipolando del materiale autentico,
in modo non diverso dalle altre opere apocrife «scoperte» in
Boemia tra la fine del Settecento e i
primi dell'Ottocento, poi rivelatesi dei falsi,
 quali i manoscritti di Dvůr Králové e di Zelená Hora (Keenan 2003).
 
Viceversa, il linguista russo Andrej Zaliznjak (1935-)
 ha mostrato che, solo alla fine del XX secolo,
con la scoperta di altri manoscritti antico-russi,
si sono potute effettivamente attestare delle parole presenti solo
nello Slovo e in nessun altro documento.

L'autore dello Slovo avrebbe dunque dovuto
re-inventare delle parole dimenticate, che
solo due secoli dopo si sarebbero rivelate pre-esistenti.

Inoltre, nessuno studioso del XVIII secolo avrebbe potuto
inoltre ricostruire, con tanta accuratezza, la grammatica
antico-russa dello Slovo, la sua particolare sintassi e, in sintesi, l
a profonda meccanica del linguaggio presente nel poema (Zaliznjak 2004).

 D'altra parte, già il semiologo Jurij Michajlovič Lotman aveva
mostrato come nello Slovo fossero assenti certi elementi
linguistici popolari nella letteratura arcaicizzante dell'epoca,
tipo ad esempio il famoso «terra russa»,
diffusosi solo nel XIX secolo.

Se l'opera fosse stata scritta alla fine del Settecento, espressioni
come queste sarebbero certamente entrati a farne parte. (Lotman 1962)
Queste e altre considerazioni portano a considerare lo Slovo
un autentico poema del XII secolo, ed è questa l'opinione
comunemente accettata dalla maggior parte degli studiosi.
Un mero riassunto dello Slovo o pŭlku Igorevě rischia
di non rendere la complessità e le stratificazioni del testo.

Che lo Slovo sia un poema epico è dichiarato nel titolo:

l'ambigua espressione antico-russa slovo o pŭlku


potrebbe essere anche intesa come un calco semantico del
francese chanson de geste.

La trama è incentrato sull'episodio della spedizione di
Igor' Svjatoslavič, principe della città di
Novgorod-Severskij, contro i Polovcy.

Tuttavia la vicenda della disastrosa spedizione
di Igor' sembra essere un pretesto: l

a trama è sovente interrotta sia per riportare
il punto di vista di personaggi esterni
alla vicenda principale (quali il discorso del gran principe Svjatoslav Vsevolodovič, o
il lamento di Evfrosina Jaroslavna),
sia per permettere al poeta di compiere
un gran numero di digressioni storico-politiche.

Il nostalgico ricordo dei tempi passati, in
cui i principi russi erano uniti tra loro,
si alterna ad amare invettive nei confronti dei
principi dell'epoca presente, il cui egoismo e la cui sete
di potere stanno frantumando la Rus'.

Il poeta interrompe a tratti il racconto con
invocazioni all'unità dei principi, o
celebrazioni dell'uno o l'altro signore.
Il vate Bojan (1910)
Dipinto di Viktor M. Vasnecov Particolare.
 
L'esordio è già una dichiarazione d'intenti.

Il poeta pone la domanda retorica se declamare il suo poema epico al modo di un
antico cantore chiamato Bojan – al cui stile
immaginifico erano evidentemente abituati nelle corti della Rus' –
o utilizzare parole più umili e dimesse.
Sceglierà questa seconda via: in fondo ciò che
sta per narrare non è il racconto di una vittoria, ma di una sconfitta.

Il racconto inizia con la descrizione dell'eclisse di sole del 1° maggio 1185.

Un'ombra cala dal cielo per avvolgere l'esercito russo,
schierato dinanzi al fiume Donec.

È un presagio funesto, che Igor', accecato dal suo
desiderio di gloria, decide però di ignorare.

Quest'immagine è un po' come il nucleo emotivo
del poema.

In realtà, la partenza da Novgorod-Severskij, avvenuta il 23 aprile,
viene ricordata in un rapido flash-back.

Nel frattempo, Igor' si è riunito con il fratello
Vsevolod, il quale ha con sé una schiera di guerrieri
fedelissimi.

 Fanno parte della spedizione anche Svjatoslav
Ol'govič, nipote del principe, e Vladimir Igorevič (TENORE), suo figlio.

A essi, il poeta si riferirà sovente come i «quattro soli».
Chiuso il flash-back, ritorniamo all'eclisse.

Igor' dà il segnale per la partenza, ma le tenebre gli s
barrano la strada [17]. Gli elementi della natura sembrano
ribellarsi all'avanzata dei russi oltre il confine. Si alza il vento,
ululano i lupi, stridono le aquile [17-23]. Dopo una notte
precipitosa, all'alba i russi piombano sul campo polovesiano
e lo depredano [24-26]. La reazione non si fa attendere.

Il giorno successivo, nuvole nere annunciano la tempesta e
raffiche di vento, simili a dardi, piovono sulla schiera di Igor'.

Gli eserciti polovesiani assaltano i russi e inizia una tremenda
battaglia [27-32]. Ne è protagonista soprattutto Vsevolod, che
il poeta dipinge come un eroe epico, una sorta di bogatyr'
travolto dall'ardore e dal furore dello scontro [33-35].
Vi è qui il primo inciso storico-politico dello Slovo.

Si parla del nonno di Igor',
Oleg Svjatoslavič, il quale partecipò alle
lotte intestine tra principi, assoldando come mercenari gli s
tessi Polovcy.

È soprattutto alle sue discutibili imprese, che
il poeta fa risalire le cause dell'attuale situazione
della Rus', insanguinata e indebolita dalle discordie tra
i principi, e per tale ragione lo chiama, con un gioco
di parole, Oleg Gorislavič, «figlio di Malagloria». [36-42].

Dal passato al presente: la battaglia tra le schiere di Igor' e i
Polovcy si fa sempre più cruenta e dura tre giorni interi,
poi le insegne russe vengono abbattute. Igor' e
Vsevolod si separano, il principe viene preso prigioniero [43-47].

Il dolore e l'angoscia opprimono allora la terra russa,
le donne piangono gli uomini caduti, e i Polovcy,
imbaldanziti dalla vittoria, tornano a compiere scorrerie nella Rus' [48-54].

A questo punto, il punto di vista si sposta presso il gran
principe Svjatoslav Vsevolodovič, a cui il poeta
dedica alcune parole di elogio per avere, in passato, vinto i Polovcy [55-57].

Svjatoslav si è svegliato da un sogno angosciante, nel quale giaceva
morto nel suo palazzo di Kiev [58-65], e intraprende un «aureo
discorso» [zlato slovo] in cui lamenta lo sconsiderato orgoglio del
principe Igor' e di suo fratello Vsevolod che, a causa del loro
desiderio di gloria, hanno vanificato tutti i suoi sforzi per pacificare
i Polovcy, riempiendo di dolore e lacrime la terra di Rus' [66-71].
Inizia qui una lunga digressione storica che occupa un intero quarto del poema.

È un lungo lamento, ora attraversato da un poderoso soffio epico, ora denso
di retorica, sulla rovina della Rus', devastata dalle guerre intestine.

Insieme, vengono ricordate le imprese dei sovrani del passato e si esortano
i principi attuali a dimenticare le proprie discordie in nome del principe Igor' [72-83].
Si ricorda, tra l'altro, Vseslav Brjačislavovič, il principe-stregone di
Polock, in grado di trasformarsi in lupo, assetato più degli
altri di potere e causa di sanguinose lotte intestine [84-91].

Dal compianto generale per la Rus' [92-93], la scena passa,
con geniale accostamento, al lamento di Efrosina, figlia di
Jaroslav di Galič e sposa di Igor', qui chiamata semplicemente
con il patronimico di Jaroslavna.

Ritta sul bastione di Putivl', ella piange angosciata la
sorte del marito prigioniero dei Polovcy.

La donna immagina di volare come un cuculo verso
 il fiume Kajaly, per pulire le ferite del principe, e
si rivolge al vento, al fiume Dnepr, al
sole, rimproverandoli per non aver fatto
nulla per salvare il suo sposo, ma chiedendo
loro aiuto e complicità. La scena è una delle vette
liriche dello Slovo e, probabilmente, di tutta la
letteratura epica in generale. [94-97].

Nella notte, intanto, Igor' riesce a fuggire dal campo
polovesiano, con la complicità di un certo Vlur.

Igor' fugge come ermellino, poi come falco;

Vlur corre in guisa di lupo [98-104].

Nel corso della fuga, il principe si ferma a dialogare con il fiume Donec [105-107].

Intanto, due guerrieri polovesiani, Gza e Končak, inseguono
il principe ma, non riuscendo a catturarlo, concludono
che, a questo punto, non resta loro che trattare la
pace dando in sposa una bella fanciulla polovesiana a
Vladimir, figlio del principe. [108-112].

Dopo un ultimo accenno al cantore Bojan [113-115], il
poeta descrive il ritorno festoso di Igor' nella Rus'.

Il principe si reca a Kiev, a rendere grazie a Dio
nella chiesa della Santa Vergine della Torre [116-118].

Il poema si chiude con un'ultima celebrazione che
raccoglie insieme Igor', Vsevolod e Vladimir [119-122].

Dopo la battaglia del principe Igor' contro i Polovcy (1880)
Dipinto di Viktor M. Vasnecov
 
Non conosciamo il nome dell'autore dello Slovo o pŭlku Igorevě,
 ma si ritiene dovesse essere un uomo appartenente alla cerchia del
 principe Igor', forse proprio un družinnik, un membro
 della sua «schiera».

Di certo era contemporaneo agli avvenimenti descritti,
 e lo si evince non solo per la profonda partecipazione
ai fatti narrati, ma anche perché alcune caratteristiche formali
del testo – a partire dall'invocazione iniziale «o fratelli» –
fanno pensare a una composizione destinata ad essere
declamata dinanzi a un uditorio dotato di un preciso gusto dell'épos.

La narrazione, fortemente ellittica, fatta di metafore, allusioni,
 e rapide immagini che condensano in sé fatti assai articolati e
complessi, fa pensare che l'uditorio a cui si rivolge
il poeta fosse già a conoscenza dei fatti narrati e, anzi,
fosse probabilmente composto dai protagonisti stessi della vicenda.

Gli studiosi hanno addirittura ipotizzato che lo Slovo
fosse stato composto in occasione delle nozze di Vladimir
Igorevič, figlio del protagonista, con la figlia del capo
polovesiano Končak, matrimonio politico destinato a
sancire ancora una volta la pace tra i due popoli.

---------------- TENORE-MEZZOSOPRANO

A questo matrimonio si fa riferimento, con una certa
dose di ironia, nei vv. [110-112], nel dialogo tra Končak a
 Gzak, in cui si parla appunto del «falchetto» (Vladimir)
destinato a essere incatenato con
una «bella fanciulla» (la figlia di Končak) (Poggioli 1954 | Saronne 1988).




Troverebbero così spiegazione i molti incisi
che sembrano rivolgersi direttamente ai presenti.

Al principe Igor' innanzitutto, la cui incauta spedizione è
addirittura dipinta come una vittoria morale per la Rus'; a
suo fratello Vsevolod, dipinto come un eroe epico; e
naturalmente allo stesso Vladimir.

I tre personaggi vengono celebrati insieme nell'explicit,
in quello che sembra un vero e proprio augurio per il futuro:

  Gloria a Igor' Svjatoslavič,
a Vsevolod Toro Impetuoso,
a Vladimir Igorevič!
  Salute ai principi e alla
družina, che si battano per
i Cristiani contro le schiere pagane.
 

Il poeta sembra poeta di corte, legato al piccolo principato di Novgorod-Severskij.

Il fatto di appartenere a una realtà provinciale – lontana dall'influenza
della cultura letteraria ed ecclesiastica «centrale» – spiega forse
alcune delle eccentricità della sua opera, come ad esempio il
riecheggiare di motivi pagani o l'influenza dell'epica turanica.

Ma nonostante il poeta celebri le glorie locali, e in particolar
modo il principe Igor' e il suo entourage, mostra una visione
politica ampia e cosciente, lamentando a più riprese gli scontri
tra i principi russi, che indeboliscono il paese e lo espongono
alle invasioni dei nemici. L'autore è chiaramente un sostenitore
del potere centralizzato e uno dei destinatari dello Slovo – che lo
ascolterà dalla voce degli skomorochy – è certamente Svjatoslav III
Vsevolodovič, gran principe di Kiev, anch'esso opportunamente
celebrato nell'opera [55-57], al cui sogno e al cui «aureo discorso» è
dedicato un importantissimo episodio del poema [58-71].

Ma il poema è rivolto anche ai principi della Rus', a
cui il poeta si appella in un lungo passo [72-83],
esortandoli a chiudere i loro scontri fratricidi e a unirsi
contro i comuni nemici:

  O figli di Jaroslav e voi tutti nipoti di
Vseslav! Tempo è di abbassare le
 insegne e di riporre nel fodero le
logore spade.
Già vi siete allontanati dalla gloria degli avi!
Voi, con le vostre contese, cominciaste a far v
enire i pagani nella terra di Rus', sui
possedimenti di Vseslav.
Per le lotte intestine si scatenò la violenza dalla terra polovesiana!
 

L'autore possiede una notevole forza poetica, sa disporre gli episodi in
modo suggestivo, usa la fantasia magica e l'immaginazione storica alternandole
sapientemente e infine riesce ad esporre il suo pensiero
(la nostalgia per il tempo passato e per la perduta unità dei principi)
in modo assai accorato e convincente.
Ma nonostante abbia un'evidente ideologia di stampo
feudale, sembra a tratti condividere aspirazioni popolari.

Più volte esprime una sincera compassione per la gente
semplice, celebra il coraggio e l'audacia dei guerrieri, si
rattrista per le vedove che piangono i mariti caduti in
battaglia, racconta le sventure subite dal popolo dopo la sconfitta di Igor'.

Basta leggersi il ritratto di Jaroslavna: la moglie di Igor', coi
suoi sentimenti di fedeltà, devozione, disponibilità al
sacrificio, rappresenta i tratti migliori delle donne russe.
Ma se i fatti reali forniscono al nostro poeta sia il c
anovaccio che gli eroi dell'opera, il principale
personaggio del poema resta la «terra russa», che è
terra non solo in senso materiale, ma come dimora di un
popolo, col suo destino.

È terra soprattutto «viva», come testimoniano le
descrizioni pittoriche della natura, resa partecipe
degli avvenimenti narrati: animali, alberi, fiori, erba...
sono come animati da sentimenti umani, dalla capacità
di distinguere, di parteggiare per il bene e di odiare il male,
di avvisare gli uomini delle sciagure incombenti e di
partecipare con loro al dolore e alla gioia.
 
Della storia precedente dello Slovo o pŭlku Igorevě, di come
un testo del XII secolo sia stato trasmesso a un copista del
XV-XVI secolo, non sappiamo nulla, né ovviamente sappiamo
se vi furono dei codici intermedi. Oltretutto il manoscritto
Musin-Puškin è andato perduto nel 1812. Impossibilitati ad
utilizzare i moderni metodi paleografici, i moderni studiosi
sono costretti a fare ipotesi a partire dal testo a stampa del
1800 e dalla copia redatta per l'imperatrice Ekaterina II.

Questo rende piuttosto arduo definire la storia del testo,
con tutti i possibili rimaneggiamenti che può aver
subìto nelle sue varie fasi di trasmissione, anche se al
riguardo non mancano lavori di ricostruzione molto accurati,
tra cui quello fondamentale di Roman Jakobson (Jakobson 1948 | Jakobson 1966).
 
Il poema non è di semplice interpretazione. I luoghi oscuri del testo sono legioni,
anche se la difficoltà a interpretarli contribuisce non poco ad accrescerne
il fascino. Al riguardo, c'è una smisurata letteratura critica.

Al di là della questione dell'autenticità, che oggi sembra definitivamente chiusa,
il lavoro di interpretazione non si è mai interrotto, man mano che
nuovi dettagli sulla cultura, la letteratura e la storia della Rus' kievana
vengono alla luce. Le ricerche storico-politiche (Lichačev 1950),
la ricostruzione prosodica (Kolesov 1976), il puntuale confronto
con il materiale iconografico (Rybakov 1984), le analisi semiotiche
(Lotman 1962 | Lotman 1967) e linguistiche (Zaliznjak 2004),
hanno aggiunto, nel corso degli anni, tanti piccoli tasselli che ci
hanno permesso di comprendere meglio il contesto in cui è nato
il poema e di gettare un po' di luce sui loci obscuri dello stesso.
Non sono mancate, nel corso degli anni, anche interpretazioni
eterodosse. Com'è il caso dello scrittore e poeta kazako

Olžas Omarovič Sulejmenov [Olžas Omarulı Sülejmenov] (1936-)
il quale, nel suo libro Az i Ja, ha sostenuto che molti dei loci
obscuri dello Slovo possano essere risolti analizzando il poema
secondo un punto di vista turcofono. Ché il vocabolario dello
Slovo comprendesse una componente orientale, era
stato già mostrato dal linguista tedesco Heinrich Karl Menges,
più di venti anni prima (Menges 1951). Ma Sulejmenov è andato
oltre, affermando – con un pizzico di sciovinismo – che lo Slovo stesso
fosse stato composto in ambienti turco-russi, o fosse addirittura
l'adattamento russo di qualche poema turanico (Sulejmenov 1975).

Inutile dire che l'ipotesi di Sulejmenov è stata duramente osteggiata
da parte del potere accademico, che ha sempre sostenuto con
forza la «purezza russa» del poema, e tra gli oppositori si
sono schierati tanto gli slavisti, tra cui lo stesso Lichačëv,
quanto i turanisti, come Nikolaj Aleksandrovič Baskakov
 (Lichačëv 1985 | Baskakov 1978). Ma anche se la
maggior parte delle ricostruzioni effettuate da
Sulejmenov non sono effettivamente sostenibili, altre
sembrano piuttosto interessanti. (Bazzarelli 1991).
La partenza d'Igor' (1942)
Dipinto di Nikolaj Roerich
 
Uno degli aspetti più particolari e interessanti dello Slovo o pŭlku Igorevě,
è rappresentato dal forte strato pagano che sottintende il poema.

La qual cosa rende lo Slovo un testo unico nel panorama della letteratura slava.

Tutti i testi antico-russi pervenuti, infatti, non solo sono stati compilati in ambienti cristiani,
ma presentano spesso un forte sentimento anti-pagano.

Nell'altro poema epico russo, la Zadonščina, l'ideologia dominante è
perfettamente cristiana e non vi è alcun elemento pagano.
La presenza di elementi pre-cristiani, d'altra parte, è una delle
ragioni più decisive per appoggiare la tesi dell'autenticità dello Slovo.

Come suggerito da Roman Jakobson, è ragionevole ipotizzare che
sia stato l'autore della Zadonščina a prendere spunto dallo Slovo,
depurandolo dagli elementi pagani; l'ipotesi opposta, che un ignoto
 autore abbia preso invece spunto dalla Zadonščina per creare lo Slovo,
introducendo a bella posta elementi pagani assenti nella fonte originale,
sembra assai meno probabile. (Jakobson 1966 | Saronne 1988).
Vasilij Perov, "Il pianto di Jaroslavna" (1882)
 
L'ideologia pagana dello Slovo affiora sotto molti aspetti, dando l'idea di una
stratificazione piuttosto complessa di idee e concezioni.

Al livello più evidente, abbiamo varie citazioni di divinità antico-russe, quali
Daz'bog, Stribog, Veles, Trojan. Esse sono già note da altri testi, come il
Se pověsti vremjanĭnychŭ lětŭ o gli slova i poučenija, ma nello Slovo
vengono evocate in un contesto poetico e non denigratorio.

È possibile che il poeta si sia allineato agli stilemi della poesia epica slava,
certamente ben nota nel XII secolo, ma poiché lo Slovo è l'unico e
sempio a noi pervenuto di questo genere di letteratura, le citazioni dei
nomina divina, formulati nei corretti contesti, sono di importanza
capitale per la nostra comprensione e definizione del pantheon antico-russo.
A un diverso livello, non si può ignorare il profondo animismo che pervade l'intera opera.

Gli elementi della natura sono vivi, quasi coscienti, e accompagnano l'eroe e
 i suoi compagni nelle fasi della spedizione, accordandosi emotivamente agli
accadimenti, fortunati o funesti che siano. La schiera d'Igor' esce
 dal territorio della Rus' tra i versi sinistri degli animali selvatici e
le strida degli uccelli; le armate polovesiane arrivano annunciate
dalle nuvole nere, dai fulmini, dalla tempesta.

Ogni singola cosa, a partire dall'eclisse che apre il poema, assume
valore di presagio. Igor' si sofferma a dialogare con il fiume Donec,
così come Jaroslavna rivolge il suo lamento al sole, al vento, al
fiume Dnepr, e sembra quasi che sia la sua invocazione a
permettere il ritorno dell'eroe dalla prigionia.

La stessa fuga di Igor' è annunciata dal sommuoversi degli elementi,
e ci si potrebbe ancora chiedere se, a indicargli la strada, sia
Dio o un dio [84].

Ma nello Slovo si avvertono anche degli echi sciamanici.
Essi s'incentrano soprattutto attorno alla figura di Bojan il «sapiente»,
il cantore dei tempi andati, il cui modo di poetare sembra rimandare
al motivo delle «anime animali» che lo sciamano nord-euroasiatico
liberava per compiere i suoi viaggi estatici, volando nei cieli superiori o
scendendo nei mondi ipoctoni. Il motivo risuona possente nell'incipit del
poema, dove leggiamo:

. Ché il sapiente Bojan, se per qualcuno
voleva cantare un canto, s'effondeva come
pensiero sugli alberi, correva per la terra come
lupo grigio, volava sotto le nubi come aquila azzurra.
 

Quella strana espressione, «s'effondeva come pensiero sugli alberi»
[to rastěkašetsja myslіju po drevu], notava Bruno Meriggi,
«assai efficacemente allude al processo dell'ispirazione: salendo con
la propria immaginazione sui diversi livelli dell'albero, il vate-poeta
ascende i cieli della sua fantasia». In effetti, gli studiosi hanno a
più riprese sottolineato come sembri trasparire qui il concetto di Axis
Mundi diffuso tra i popoli siberiani, dov'è il tronco dell'albero cosmico
a penetrare le tre regioni cosmiche – cielo, terra e inferi – permettendo
allo sciamano di salire o scendere attraverso tutti i livelli dell'essere.
(Meriggi 1974).

Bojan era infatti un «sapiente» [věščïj] in senso pagano.

Era un vate, in grado di attingere all'ispirazione delle cose misteriose e
profonde. Possedeva in massimo grado l'arte del canto: sapeva
imporre alle vive corde del gusli le proprie «dita stregate» [věščě pĭrsti],
facendole risuonare da sole. Immagini che rimandano alle
tecniche di autoesaltazione, sempre di matrice sciamanica,
mediante le quali il poeta provocava e accresceva la propria
ispirazione. (Meriggi 1974 | Saronne 1988)

Ma i passi dove personaggi vengono identificati (o si auto-identificano) con degli animali
sono rintracciabili praticamente dovunque, nello Slovo. Jaroslavna afferma che volerà
«come un cuculo» verso il luogo dove il suo sposo è tenuto prigioniero.
Nella fuga, Igor' viene via via paragonato a un ermellino, a un'anatra, a un lupo, q
uindi a un falco; se si tratta di semplice metafore poetiche, sono fin troppo insistite.
  Sembra piuttosto che l'autore dello
Slovo attinga, anche se forse senza comprenderne appieno il significato,
a tradizioni poetiche assai più antiche, le cui radici affondano forse, più che a quello slavo,
al mondo ugrofinnico e altaico. (Saronne 1988)
Bisogna infine notare l'intento ideologico del poema, estraneo a qualsiasi polemica religiosa.
Al contrario, ad esempio, della Chanson de Roland, dove il confronto tra Franchi e
Mori è uno scontro ontologico tra coloro che testimoniano la religione di
Cristo e coloro che vi si oppongono, nello Slovo o pŭlku Igorevě non troviamo
 nulla di tutto questo. I «pagani» [pogany] sono tali in quanto non-russi,
cioè estranei al sistema culturale, politico e, sì, anche religioso che era la
 Rus' di Kiev. Il contrasto tra Russi e Polovcy non era, d'altra parte,
un dissidio insanabile, tant'è vero che la storia russa è piena di principi
che si alleano con i qān polovesiani contro i loro stessi parenti, per
fini di potere e prevaricazione politica. Alla fine dello Slovo, Vladimir Igorevič,
il figlio del protagonista, sposa la figlia del capo polovesiano Končak,
originando un'alleanza tra i due popoli.

 Il motivo religioso, nella lotta
tra Russi e Polovcy, è dunque assolutamente insignificante.
***********************************************
 
La prima traduzione italiana, Il cónto della banda d'Igor,
in prosa immaginosa e solenne, è stata eseguita
dal grande linguista, accademico e bibliotecario
Domenico Ciàmpoli (1852-1929), buon traduttore dei
grandi autori russi, in una memorabile antologia,
pubblicata a suo tempo da Carabba, che
  comprende anche un certo numero di byliny e dumy
(Ciàmpoli 1895).

In seguito, Leone Pacini Savoj ne dà
una traduzione parziale nel
Detto della campagna di Igor' (Savoj 1946).


Da molti considerata la migliore nella nostra lingua,
la traduzione del fiorentino Renato Poggioli (1907-1963),
il Cantare delle gesta di Igor', edita da Einaudi (Poggioli 1954).

Negli anni '70 anche l'orvietano Bruno Meriggi (1927-1970)
presenta una traduzione, seppure non completa,
in appendice a una sua antologia di byliny (Meriggi 1974).

La traduzione di Angiolo Danti (1940-1980),
L'epopea del principe Igor',
rimasta inevasa dopo la prematura scomparsa
del suo autore, è stata pubblicata molti
anni dopo dalla sua allieva,
Alda Giambelluca Kossova, in appendice allo
splendido libro All'alba della cultura russa (Kossova 1996).

Letterale e attentissima, invece, quella fornita
dallo slavista Edgardo T. Saronne,
Il cantare di Igor', in un volume riccamente annotato nella prestigiosa
 collana «Biblioteca Medievale»
 delle Pratiche (Saronne 1988).

Lo stesso Saronne tratta in un articolo delle asperità e dei problemi
incontrati nel corso della traduzione del testo (Saronne 1984-1985).

Bella e affascinante, seppure con qualche interpretazione
di troppo, la traduzione prosastica di Eridano Bazzarelli,
Il canto dell'impresa di Igor', edita in un volume
riccamente annotato nella BUR (Bazzarelli 1991).

Riportiamo, a titolo di curiosità, l'incipit
del poema nelle varie traduzioni italiane:




































































Non vi piacerebbe, fratelli, di cominciare nella vecchia maniera la penosa storia della spedizione di Igor, d'Igor figlio di Sviatoslav? Cominci dunque il canto secondo la storia de' tempi e non alla guisa di Boian. Boian, il cantore, voleva fare un canto? I pensieri gli si smarrivano pe' boschi come il lupo grigio fra le pianure, come l'aquila cinerea per l’aria...
Non s'addirebbe a noi forse,
o fratelli, d'intonare con antichi accenti l'arduo racconto delle gesta di Igor, di Igor figlio di Svjatoslàv?







Non sarebbe per noi bello, fratelli, cominciare con antichi discorsi il difficile racconto delle imprese della schiera di Igor', di Igor' Svjatoslavič
Cominci dunque questo canto secondo le storie del tempo presente, non secondo la fantasia di Bojàn.Inizi questo canto secondo le cose accadute in questo tempo, e non secondo la fantasia di Bojan.
Che il vate Bojàn, quando voleva comporre un canto a qualcuno, balzava in pensiero sugli alberi, o sul suolo a guisa di lupo grigio, o sotto le nuvole a guida d'aquila azzurra.Bojan il sapiente, infatti, quando per qualcuno voleva comporre un canto, si stendeva come pensiero sull'albero, come grigio lupo sulla terra, come aquila grigio-azzurrognola sotto le nubi.
Trad. Domenico Ciàmpoli
Trad. Renato Poggioli
Trad. Bruno Meriggi
 
Non sarebbe meglio per noi, o fratelli,
iniziare con antichi detti
i travagliosi canti sulla campagna di Igor',
di Igor' Svjatoslavič?
S'incominci questo canto
secondo gli avvenimenti di questo tempo,
e non secondo la fantasia di Bojan!
Il vate Bojan, infatti,
se per qualcuno voleva comporre un canto,
col pensiero s'effondeva su per un albero,
grigio lupo in terra,
cerula aquila sotto le nubi.
Sarebbe forse meglio, fratelli, intonare secondo lo stile antico dei racconti di guerra la storia dell'impresa di Igor', di Igor' figlio di Svjatoslav? Canteremo invece questo canto secondo i fatti del nostro tempo, non secondo la fantasia di Bojan. Perché Bojan il vate, se voleva per qualcuno cantare un cantico, si arrampicava come uno scoiattolo sull'albero della fantasia, correva per la terra come lupo grigio, voleva come un'aquila azzurra sotto le nubi...
Non converrebbe a noi
fratelli
incominciar con le parole antiche
dei racconti d'arme
sull'impresa di Igor'
di Igor' Svjatoslavič?
Si cominci questo canto
secondo i fatti di questo tempo
e non
con l'invenzione di Bojan
Bojan veggente
infatti
se per qualcuno componeva un canto
allor fatto pensiero
trasbordava il bosco
lupo grigio in terra
aquila cinerea
sotto le nubi
Trad. Angiolo Danti
Trad. Eridano Bazzarelli
Trad. Edgardo T. Saronne
Bojan
Monumento in Zamkova Hora (Ucraina)


 

********************************

La parola slovo «parola, detto, discorso» si trova solo nel titolo.

Nel Medioevo russo questo termine indicava vari generi: la predica teologica, il
racconto storico, il canto epico. Nel testo l'autore usa piuttosto i termini
povestĭ «racconto» e pesnĭ «canto» (Bazzarelli 1991). ―


 La parola pŭlkŭ o plŭkŭ (il gruppo ŭl/lŭ rende, in antico russo, la consonante liquida [ḷ])
presenta in antico russo un ampio campo semantico, indicando di fatto l'intera sequenza
di sfumature dell'impresa bellica:

(1) l'esercito, la schiera, il manipolo di guerrieri;
 (2) la campagna di guerra,
la battaglia;
(3) il luogo dello scontro, il campo di battaglia.

Da qui, una certa ambiguità nelle traduzioni del titolo del poema:

«Cònto della banda d'Igor» (Ciàmpoli 1895),
«Detto della campagna d'Igor'» (Pacini Savoj 1946),
 «Cantare delle gesta di Igor'» (Poggioli 1954),
«Canto della schiera di Igor'» (Meriggi 1974),
 «Narrazione sulla campagna di Igor'» (Danti 1979);
«Detto sull'impresa di Igor'» (Saronne 1988);
«Canto dell'impresa di Igor'» (Bazzarelli 1991).


In russo moderno, trudnyj vuol dire specificatamente «difficile, duro»,
tuttavia l'espressione trudnychŭ pověstïj viene di solito intesa come «racconti di guerra».
 È una sfumatura di significato che traspare soprattutto dai contesti in cui l'espressione
compare nella letteratura medievale. Dmitrij Sergevič Lichačëv suggerice
che trudnychŭ pověstïj sia l'enunciazione del
 genere letterario in cui l'autore dello Slovo classifica il suo
lavoro, quello delle «storie difficili», un po' come le chansons de geste
dell'epopea francese. Da qui la nostra scelta di tradurre con «epica storia».

Su questa linea, Boris Rybakov ritiene che l'espressione «storie difficili» raccolga in sé tutte l
e sfumature dell'epica: battaglie, vittorie, sconfitte, con particolare riferimenti al periodo
delle lotte tra i principi per la supremazia sulla Rus'. Tra le traduzioni italiane,
«penosa storia» (Ciàmpoli 1895), «arduo racconto» (Poggioli 1954),
«difficile racconto» (Meriggi 1974), «travagliosi canti» (Danti 1979),
«racconti d'arme» (Saronne 1988), «racconti di guerra» (Bazzarelli 1991). ―
Bratie è letteralmente «o fratria» (Saronne 1988). Si tratta forse dei
componenti della corte o del seguito del principe Igor', e quindi i suoi
compagni di mensa, di guerra, di caccia, al quale il racconto è rivolto?


Il nome del cantore Bojan ricorre sei volte nello Slovo o pŭlku Igorevě,
e non è testimoniato in nessun'altra fonte, a parte la Zadonščina, che
però è imitativa rispetto allo Slovo. Dovrebbe essere vissuto tra l'XI
e il XII secolo, giudicando dal v. [91] dove
sono riportati alcuni suoi versi relativi a Vseslav Brjačislavovič,
 principe di Polock, morto nel 1101. Sembra sia stato un grande
poeta epico; poiché cantava inni di gloria per gli antichi principi,
l'autore dello Slovo non se la sente di imitarlo, in quanto dovrà
intonare il doloroso e sobrio poema di una sconfitta. Il termine antico-russo bylina, che dall'Ottocento acquistò il significato
di «canto epico», qui significa al contrario «fatto reale».
In tal senso l'autore si presenta come un «poeta del tempo
presente», mentre Bojan era un «usignolo del tempo andato». ―
L'aggettivo věščïj vuol dire «sapiente» ma, in senso traslato,
«vate, veggente, indovino», ed è così che rendono generalmente le traduzioni del verso.

Il passo presenta un problema di lettura legato alla parola
mysliju «come pensiero» (cfr. russo mysl' «pensiero, idea»),
che alcuni autori hanno proposto di emendare in mysiju «come uno scoiattolo»
(cfr. russo myš' «topo»), anche per coerenza con i successivi paragoni del poeta
con un lupo o un'aquila. La maggior parte degli studiosi è tuttavia scettica riguardo
l'ipotesi di una corruttela del testo, soprattutto tenendo conto che l'immagine
è ripetuta al v. [10]: «saltando, o usignolo, in pensiero sugli alberi»
[skača, slavïju po myslenu drevu] (Meriggi 1974).

I nostri traduttori sostengono perlopiù la lettura testuale. Domenico
Ciàmpoli: «i pensieri gli si smarrivano pe' boschi» (Ciàmpoli 1895);
Renato Poggioli: «balzava in pensiero sugli alberi» (Poggioli 1954);
Bruno Meriggi: «Si stendeva come pensiero sull'albero» (Meriggi 1974);
Angiolo Danti: «col pensiero s'effondeva su per un albero» (Danti 1979);
Edgardo Saronne: «allor fatto pensiero trasbordava il bosco» (Saronne 1988).
Il solo Eridano Bazzarelli suggerisce salomonicamente entrambe le letture:
«si arrampicava come uno scoiattolo sull'albero della fantasia»,
analizzando la scena del vate Bojan che, in forma animale,
sale sulla cima degli alberi, alla luce del motivo delle ascensioni
 sciamaniche lungo l'arbor mundi (Bazzarelli 1991).
3
Edgardo Saronne osserva che il testo parla di un «branco» [stado]
e non di uno «stormo» [staja] di cigni,
forse perchè questi uccelli erano immaginati, in senso
dispregiativo, in una goffa fuga al suolo. Secondo
Saronne, cigni e oche sarebbero stati infatti c
onsiderati impuri dagli antichi Slavi, forse perché a
nimali totemici [oŋgon] dei popoli nomadi delle steppe (Saronne 1988).

Semplificando il concetto, tuttavia, ricordiamo che i
cigni erano tra le frequenti prede di caccia dei
principi russi. ― Jaroslav I Vladimirovič Mudryj, il «saggio»,
gran principe di Kiev (1015-1054),
fu l'antenato di tutti i principi russi, gli Jaroslavli,
eccetto quelli del ramo di Polock, i quali discendevano
invece da suo fratello Izjaslav Vladimirovič († 1001).

Jaroslav il «saggio» è figura estremamente positiva: i
l sovrano che coincide con la massima potenza della Rus',
teorico della concordia tra i principi. ① ―
Di Mstislav Vladimirovič Chrabryj, il «coraggioso»
(† 1036), fratello di Jaroslav, si narrava che avesse l
ottato a mani nude con Rededja, principe dei Kasogi
(Circassi), per poi vincerlo e sgozzarlo
(Se pověsti vremjanĭnychŭ lětŭ [1022]). Poiché
combatté a lungo contro il legittimo potere rappresentato
da Jaroslav, peraltro assoldando schiere mercenarie di
Kasogi e Chazari, sembra essere un antesignano di Oleg
Svjatoslavič/Gorislavič († 1115), archetipo dei principi ribelli.

Viene tuttavia storicamente riabilitato per aver infine stretto la pace con il fratello
nella fortezza di Gorodec. ② ― Al suo contrario, Roman Svjatoslavič Krasnij,
il «bello» († 1079), principe di Tmutorokan', si lasciò coinvolgere dal fratello
Oleg a stringere un'alleanza con i Polovcy, al fine di combattere gli Jaroslavli.
Al primo mutamento di vento, però, verrà ucciso dai suoi stessi alleati.
Il contesto storico: [Il tempo di Jaroslav il «saggio»]▼
Il contesto storico: [Il tempo di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič]▼
Il principe Igor'
Illustrazione di Konstantin Alekseevič Vasil'ev (1942-1976)
Chi è questo Vladimir?

Secondo Bazzarelli, si tratta di Vladimir I Svjatoslavič Svjatoj, il «santo» (980-1015), il gran principe che introdusse ufficialmente il Cristianesimo in Russia (Bazzarelli 1991). Edgardo Saronne ritiene si tratti invece del gran principe Vladimir Vsevolodovič Monomach (1113-1125), assai più vicino alla figura di sovrano ideale vagheggiata dall'autore dello Slovo, in quanto fu un pacificatore interno e un deciso, anche se non feroce, difensore del paese contro i Polovcy (Saronne 1988). Si creerebbe così, nel quadro politico dello Slovo, un'opposizione tra l'«antico» Vladimir II Monomach e l'«odierno» principe Igor', il quale, pur con tutto il suo coraggio e la sua ferrea volontà, non è in grado di eguagliare la statura del predecessore. I due personaggi, qui accostati, simboleggiano in un certo senso il degrado morale e politico della Rus'. Ma si può anche pensare al motivo mitologico degli eroi dell'antichità, visti come uomini di levatura superiore. ― I Cumani [Kumani] o Polovesiani [Polovcy], erano un popolo di ceppo turanico che vivevano da nomadi nelle steppe meridionali della Rus'.

L'ombra che in questo verso si promana dal sole si riferisce all'eclisse di sole che ebbe luogo il 1° maggio del 1185. Il fenomeno era considerato presagio di sciagura ma, com'è detto più sotto [8], per troppa brama di gloria, Igor' non si rese conto che la spedizione partiva sotto auspici sfavorevoli. Secondo il Se pověsti vremjanĭnychŭ lětŭ [6694/1185], l'evento dell'eclisse avrebbe avuto luogo, in realtà, all'arrivo delle truppe al fiume Donec, quindi dopo la partenza di Igor' da Putivl', descritta al v. [13]. Lo spostamento della scena è stato interpretato da alcuni come un errore dei curatori della prima edizione, i quali avrebbero trovato fuori posto i fogli del manoscritto, tanto che Evgenij Ljackij e Leone Pacini Savoj hanno proposto una ricostruzione del testo spostando i vv. [6-9] tra i vv. [17] e [18] (Ljackij 1934 | Pacini Savoj 1946). È tuttavia perfettamente possibile che la scena dell'eclisse sia stata anticipata dall'autore stesso, per avvolgere di una luce inquietante gli eventi che seguiranno. «L'eclisse è il simbolo dell'ignoto cui Igor' andava incontro, ma anche dell'isolamento politico della sua impresa condotta in segreto» (Saronne 1988). ― Con voi s'intende qui l'esercito schierato in armi, formato dai soldati reclutati nelle città o tra i contadini delle campagne. (Rybakov 1951) Torna al testo
7Družina: la compagnia di guerrieri scelti che stava intorno al principe (da drug «compagno»; cfr. norreno drótt), affine al comitatus latino. Si tratta quindi di una schiera d'élite, opposta ai soldati semplici o voi (Rybakov 1951). ― «Guardare l'acqua dell'azzurro Don» e, più sotto, «bere con l'elmo l'acqua del Don» [9]; la metafora, nelle sue varie forme, indica il desiderio di Igor' di arrivare alle terre polovesiane, attraversate dal Don, e conquistarle. Il Don era una grande via di comunicazione fluviale e, poiché aveva uno sbocco nel Mar Nero, permetteva scambi commerciali molto importanti con Bisanzio e l'Oriente.

Kopie è la lancia pesante, contrapposta a sulicja che è il giavellotto (Saronne 1988). «Spezzare la lancia» è espressione per «dare battaglia». La ritroviamo nella poesia scaldica scandinava, come testimonia esplicitamente Snorri Sturluson: «È una metafora chiamare la battaglia “spezzarsi di lance”» [Þat er kenning at kalla fleinbrak orrostu] (Edda di Snorri > Háttatal). ― Un frequente tópos letterario russo simboleggiava la vittoria su un paese con il berne l'acqua dei fiumi (Lichačëv 1950). Analogamente, «spezzare la lancia» significava «scendere a battaglia». Torna al testo

Po myslenu drevu è uno dei loci obscuri dello Slovo. Se drěvu «albero» può avere il significato collettivo di «bosco», myslĭnŭ è genitivo di mysl' «pensiero, idea, immaginazione» (cfr. v. [2]); dunque «alberi pensati, immaginati». Saronne propone una resa letterale «bosco dell'immaginario», che giudica tuttavia piuttosto goffa. (Saronne 1988) ― «Intrecciando le due ali della gloria dei nostri tempi», cioè l'odierna gloria di Igor' con quella dei principi del passato (Bazzarelli 1991). ― Su Trojan sono stati versati fiumi di inchiostro. La maggior parte degli studiosi ritiene fosse un antico dio o eroe slavo, forse ispirato alla figura dell'imperatore romano Traiano. Ma non sono mancate al riguardo interpretazioni differenti. Nella sua traduzione, Poggioli, traduce con riferimenti alla città omerica di Troia: «trascorrendo la traccia troiana dal piano ai monti», giustificando la traduzione con una pretesa confusione tra i Turchi (cioè i popoli turanici delle steppe) e i Teucri dell'epica omerica (Poggioli 1954). Sulla stessa linea si muove anche Bruno Meriggi, che traduce «correndo il sentiero troiano» e, in nota, specifica che si tratta di una strada diretta a un'area tra il Don e il Dnepr (Meriggi 1974). Se, come intendono altri autori, si tratta invece del «sentiero di Traiano», bisognerebbe intendere la strada romana dal Danubio al confine della Dacia (Meriggi 1974). Generalmente però esegeti e traduttori considerano Trojan nome proprio: Angiolo Danti traduce «percorrendo il sentiero di Trojan» (Danti 1979); Edgardo Saronne «correndo sulla traccia di Trojan» (Saronne 1988), ed Eridano Bazzarelli «correndo per il sentiero di Trojan» (Bazzarelli 1991). ③Torna al testo
11 Pěti bylo pěsnĭ Igorevi, togo vnuku: l'interpretazione di questo verso è stata, fin da subito, abbastanza tormentata. Il problema principale è stabilire a chi si riferisca l'inciso, in caso dativo, togo vnuku (letteralmente, «al nipote di quello»). Chi è il nipote? E chi è il nonno? Agli esordi degli studi igoriani si riteneva che tale inciso andasse a connettersi con il nome, anch'esso in dativo, Igorevi («a Igor'»). Nella prima edizione a stampa del poema (Musin-Puškin 1800), la frase in questione conteneva tra parentesi il nome del nonno del principe, Oleg Svjatoslavič:
Пѣти было пѣснь Игореви, того (Олга) внуку...
Pěti bylo pěsnĭ Igorevi, togo (Olga) vnuku...
«Dovresti intonare questo canto a Igor', al nipote di quello (di Oleg)».
Ci si chiede innanzitutto se quel nome tra parentesi appartenesse al manoscritto cinquecentesco di Musin-Puškin, andato perduto, o fosse un'aggiunta effettuata dai curatori dell'edizione a stampa. Gli studiosi sono oggi propensi a ritenere valida la seconda ipotesi (Lichačëv ~ Dmitriev 1983), per quanto Edgardo Saronne propenda per la prima (Saronne 1988). Comunque stiano le cose, i nostri primi traduttori hanno seguito l'interpretazione dell'ignoto scoliaste. Domenico Ciàmpoli: «per celebrare Igor, suo nepote» (Ciàmpoli 1895); Bruno Meriggi: «dovrebbe intonare un canto per Igor', un nipote di questi» (Meriggi 1974); Angiolo Danti: «si canti una canzone ad Igor', il di lui nipote» (Danti 1979).

Ma quel nome posto tra parentesi, «a Oleg», sembra essere a sua volta il risultato di un fraintendimento. I due dativi Igorevi e togo vnuku, infatti, sono probabilmente da considerare indipendenti l'uno dall'altro. Sergej Lichačëv e Lev Dmitriev ritengono che il togo vnuku si riferisca a Bojan, «nipote di Veles», secondo la formula presente al verso successivo [12], e quindi il senso verrebbe ad essere: «a te toccherebbe intonare questo canto per Igor', Bojan, nipote di Veles» (Lichačëv ~ Dmitriev 1983). Ma già Renato Poggioli aveva sciolto la traduzione con maggior eleganza: «a un tuo rampollo toccherebbe di cantare il cantico d'Igor'» (Poggioli 1954). Edgardo Saronne gli si accoda con garbata attenzione e, notando che in antico russo vŭnukŭ vuole dire tanto «nipote» quanto «discendente», traduce: «a un tuo discendente toccherebbe cantare per Igor'» (Saronne 1988). È invece piuttosto cervellotica l'interpretazione di Eridano Bazzarelli, il quale traduce: «Così, o nipote di Veles, intoneresti questo canto per Igor', nipote di Trojan»; finendo con il duplicare la parola «nipote» e con l'aggiungere due nomi non originariamente presenti al testo (Bazzarelli 1991). Il senso di vŭnukŭ, però, a nostro avviso potrebbe anche essere quello di «allievo». ― Qui il poeta prova a iniziare una composizione nello stile di Bojan; è possibile che si tratti di una citazione o una rielaborazione da un poema allora noto del grande cantore. ― È qui tradotto con «cornacchie» l'antico russo galicě, al singolare galicja (cfr. russo moderno galka). Si tratta della taccola (Corvus monedula), piccolo corvide reso popolare dalle osservazioni di Konrad Lorentz. Come nei cigni al v. [3], viene qui utilizzata, nei loro confronti, la parola stado «branco» e non staja «stormo».
Sul dio Veles si veda il capitolo relativo alle divinità antico-russe. ④

In un solo verso viene inquadrato l'intero panorama geografico-politico
che sottintende allo Slovo o pŭlku Igorevě. La Sula è un affluente di sinistra del Dnepr, e segnava il confine del territorio controllato dai Russi con quello in mano ai Polovcy. Kiev è la capitale dove risiede il gran principe Svjatoslav III Vsevolodovič, il quale assisterà agli eventi della campagna igoriana, ormai uscita dal suo controllo. Novgorod è qui in realtà Novgorod-Severskij, la città di cui è signore lo stesso principe Igor'. Egli l'ha lasciata il 23 aprile, per giungere a Putivl' entro la fine del mese. Qui avviene appunto la riunione di tre dei quattro principi che partecipano alla spedizione contro i Polovcy: lo stesso Igor', suo nipote Svjatoslav Ol'govič, suo figlio Vladimir Igorevič. Nella frase «si rizzano gli stendardi a Putivl'» è infatti compresa l'immagine dei soldati schierati e pronti a marciare verso i Polovcy: gli stendardi sono quelli inalberati dai reggimenti di cui si compone l'esercito russo, i quali servivano per facilitare la localizzazione delle truppe sul campo di battaglia. L'autore dello Slovo mostra – qui come altrove – di saper dominare una materia vasta e complessa con minime pennellate di poesia. Torna al testo

Vsevolod Svjatoslavič († 1196), fratello di Igor', era principe di Kursk e di Trubčevsk. Secondo il Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6694/1185], le schiere di Vseslav e Igor' si riunirono dopo la partenza di queste ultime da Putivl', nei pressi del fiume Donec ⑤. La laconicità dello Slovo, e il suo modo ellittico di associare gli episodi, non permette di comprendere dove collochi esattamente l'incontro tra i due fratelli. Torna al testo
Il contesto storico: [I fatti del 1185]▼
L'epiteto di Vsevolod, «Toro Impetuoso» [buj turŭ]
si riferisce all'uro, il toro selvatico che visse in Russia fino all'inizio del XVII secolo, quando si estinse. L'espressione sembra sia una sorta di kenning per «eroe». La formula è stata messa in relazione – ma è difficile dire se si tratti di un gioco di parole o di un'etimologia popolare – con il termine russo bogatyr' «cavaliere, eroe»; così infatti la traduzione in russo moderno nella prima edizione del poema (Musin-Puškin 1800). Sembra che questa parola sia di origine altaica (da un antico turco *baġatur; cfr. turco batur «grande signore», ungherese bátor «audace», etc.), poi assimilata nell'antico russo bogatyrĭ (Vasmer 1950-1958 | Sulejmenov 1975). Torna al testo
― «Luce lucente» [světŭ světlyj]: si noti la ripetizione, con valore di rafforzativo. Le sfumature di colore e luce hanno grande importanza nel linguaggio poetico dello Slovo (Gulidova 2011). ― Secondo Sergej Plautin, Igor' e Vsevolod sarebbero stati entrambi figli di Ekaterina, terza moglie di Svjatoslav Ol'govič (Plautin 1958 | Saronne 1988). Torna al testo
― Evgenij Ljackij e Leone Pacini Savoj hanno proposto di spostare qui, seguendo l'ordine degli eventi del Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ, la scena dell'eclisse narrata nei vv. [6-9] (Ljackij 1934 | Pacini Savoj 1946); tale ricostruzione non sembra però necessaria. ― L'essere d'oro caratterizza ciò che è relativo ai principi. Così «staffa d'oro», «trono d'oro», «elmo d'oro», etc. Torna al testo
― Chi o che cosa è questo Div che guata dall'albero in forma di uccello? Esso compare qui e poi successivamente al v. [65]. Il nome ricorda i daēvā iranici. La parola che, seguendo la lezione di Bazzarelli, viene qui tradotta con «guatare», cioè guardare in senso maligno, nell'originale è il verbo pasti, propriamente un guardare nel senso di «pascolare, custodire» (Bazzarelli 1991). ― Nulla sappiamo su questo idolo di Tmutorokan'. Il testo utilizza il termine blŭvanŭ «lottatore». Questa parola, di origine iranica, passò in seguito in territorio turco: è infatti testimoniata nelle iscrizioni turaniche dell'Orchon, in Siberia, nella forma balbal, col significato di «pietra scolpita». Si riferisce forse alle cosiddette babi di pietra, rozze statuette con sembianze femminili erette (forse) dai nomadi turchi nell'Ucraina meridionale. Torna al testo
― «Sei già oltremonte, terra di Rus'!» [O Ruskaja zemlě! Uže za šelomjanemŭ esi!]. Il testo antico-russo è ambiguo. Il significato fondamentale di zemlja è «terra» e, così traducendo, ci si mette dal punto di vista dei guerrieri che hanno lasciato la loro patria. Ma zemlja si può tradurre anche come «schiera» («sei già oltre i monti, schiera russa!»), e così ci si mette dal punto di vista dell'autore del poema che vede i guerrieri allontanarsi dalla patria per inoltrarsi in territorio nemico. Per quanto Bazzarelli consideri esteticamente più valida la seconda interpretazione, sceglie la prima traducendo: «O terra di Rus', sei ormai troppo lontana!» (Bazzarelli 1991).Torna al testo
― Gli scudi russi del XII secolo erano ovoidali, di legno dipinto in rosso scuro. Questo colore [čerlenyj], tradizionalmente legato al mondo umano e alla forza della vita, nel simbolismo cromatico dello Slovo rappresenta i Russi: i nemici sono sempre rappresentati con colori tendenti al nero e all'azzurro scuro (Gulidova 2011). Torna al testo
 ― L'epiteto «pagano» [pogani], più volte ripetuta nello Slovo, non sembra avere un significato ideologico, se non nell'indicare i nomadi della steppa in quanto nemici esterni al mondo russo. Tuttavia si ricordi che, secondo molti autori, il poema stesso è, nel suo spirito, profondamente pagano (Kosorukov 1986 | Bazzarelli 1991). ― Mantelli, gualdrappe, pellicce, tessuti: il testo originale riporta qui dei termini di origine turanica, inerenti alla cultura dei popoli delle steppe. Torna al testo
― Il testo usa quattro diverse parole per indicare i diversi tipi di insegne. I termini sono di varia origine: scandinava (stjagŭ «stendardo»), mongola (chorjugovĭ «gonfalone»), turanica (čolka «insegna», propriamente «coda di cavallo») e di nuovo, forse, scandinava (stružïe, cfr. norreno strangi «fusto d'albero»). Si tratta di insegne o bandiere polovesiane. Torna al testo
 ― Per «ardito nido di Oleg» ci si riferisce ad Igor' e Vsevolod, nipoti del principe Oleg Svjatoslavič/Gorislavič.Torna al testo
 ― Gzak e Končak erano i capi polovesiani che avevano organizzato l'accerchiamento delle schiere russe. Come si vedrà anche oltre, Gzak è più duro e inflessibile, Končak più diplomatico: in seguito sua figlia sposerà Vladimir figlio di Igor'. Torna al testo
 ― I «quattro soli» sono i quattro principi russi che partecipano all'impresa, cioè Igor' Svjatoslavič, il fratello Vsevolod Svjatoslavič, il figlio Vladimir Igorevič, e il nipote Svjatoslav Ol'govič, che all'epoca aveva solo diciannove anni. ― Non esiste un fiume Kajala nell'attuale toponomastica russa e non si sa bene a quale corso d'acqua si riferisca il testo. Le identificazioni proposte indicano vari affluenti del Don, a seconda che la schiera di Igor' abbia proceduto lungo l'una o l'altra sponda del fiume. Poggioli ad esempio costruisce la sua traduzione identificandolo con un fiumicello Kajaly vicino al Mar d'Azov (Poggioli 1954). Secondo un'altra ipotesi, invece, il Kajala sarebbe da intendere non in senso geografico, ma metaforico, quale «fiume del pianto», dal verbo kajati «piangere, soffrire» (Barsov 1899). Torna al testo
 ― Sul dio Stribog si veda il capitolo relativo alle divinità antico-russe. ⑥Torna al testo
 ― «Figli di Běs» sono i Polovcy.
In antico russo Běsŭ è il diavolo, ma forse
questo termine è derivato da quello di qualche antica divinità turanica. Torna al testo

Seguendo la lezione di Bazzarelli, traduciamo con «brunito» il problematico aggettivo antico russo charalužnyj, che ricorre varie volte nello Slovo o pŭlku Igorevě senza che ne sia data un'interpretazione convincente (Bazzarelli 1991). La maggior parte degli autori ritiene che questo aggettivo possa essere connesso con la parola turanica qara «nero», anche se nella simbologia epica il colore nero non è applicabile alla sfera russo-cristiana. La parola compare unicamente nello Slovo e una volta nella Zadonščina, dove però è stata copiata dallo Slovo. Torna al testo

 Gli Àvari di cui si parla, erano un popolo di origine mongolica ma di lingua caucasica, frequenti alleati dei Polovcy. I loro antenati erano giunti in Russia attorno al V-VI secolo ma, dopo essere stati distrutti dai popoli turanici, si rifugiarono nel Caucaso, dove vennero assorbiti dalle popolazioni locali. I loro discendenti sono gli attuali Àvari del Daghestan, di lingua adyghé-dido. Torna al testo

Brano non molto chiaro, che ha spesso costretto gli studiosi a operare correzioni e aggiustamenti per cercare di porvi rimedio. Queste frasi, nelle varie interpretazioni, si riferiscono a Vsevolod, che tutto dimentica nell'ardore della battaglia. Parte della perplessità degli interpreti deriva dal fatto che non conosciamo molti dettagli della biografia del personaggio. ― Glebovna, «figlia di Gleb», è il patronimico della sposa di Vsevolod, la quale era figlia di Gleb Jur'evič († 1171), il quale era stato gran principe di Kiev, e sorella di Vladimir Glebovič di Perejaslavl', citato al v. [71]. Per qualche ragione, il poeta chiama le due spose, rispettivamente, di Igor' e Vsevolod, attraverso i loro patronimici: Jaroslavna e Glebovna. Mentre la prima si chiamava Evfrosina, nulla sappiamo dire della seconda. Torna al testo
 Si delinea l'idea politica dello Slovo o pŭlku Igorevě: le contese dei principi indeboliscono l'unità della Rus', permettendo il trionfo dei nomadi della steppa. E l'iniziatore delle discordie fu proprio Oleg Svjatoslavič/Gorislavič († 1115), principe di Tmutorokan' e poi di Černigov, nonno di Igor', il quale partecipò alle lotte scatenatesi per il gran principato, sterminando cugini e parenti, e per di più assoldando come mercenari i Polovcy. ⑦ Torna al testo
Il contesto storico: [Il tempo di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič]▼
― I fatti qui descritti si erano svolti nel 1078. Salito «sulla staffa d'oro», Oleg partiva da Tmutorokan' in testa alla sua schiera per attaccare la città di Černigov, di cui era allora principe Vsevolod Jaroslavič. Questi, riparato a Kiev presso suo fratello, il gran principe Izjaslav I Jaroslavič, «sentiva il suono» delle schiere che avevano occupato la sua città ed a ben ragione era preoccupato e si disperava. Figlio di Vsevolod era Vladimir Monomach, che molti anni dopo sarebbe diventato gran principe, ma che, all'epoca dei fatti, risiedeva col padre a Černigov. L'autore dello Slovo lo rappresenta, ingiustamente, nell'atto di tapparsi le orecchie, rifiutandosi di prendere posizione nella contesa. L'espressione uši zakladaše è un gioco di parole che può essere tradotto sia «chiudere le orecchie» sia «chiudere le porte». Il senso è comunque quello: secondo l'autore dello Slovo, Vladimir fingeva di non accorgersi di ciò che stava accadendo. Nella realtà storica tuttavia, il giovane Vladimir prese parte alla contesa e combatté a fianco del padre. Torna al testo
― Oleg Svjatoslavič si era alleato con il giovane Boris Vjačeslavič. Conquistata Černigov, i due ne furono presto cacciati dalle schiere congiunte di Vsevolod e Izjaslav Jaroslaviči, con i quali erano i rispettivi figli Vladimir Monomach e Jaropolk Izjaslavič. Ci fu un gran massacro sul campo della Nežatiaja Niva (3 ottobre 1078), presso il fiumicello Kanin, in cui morirono molti nobili principi, tra cui lo stesso Boris (Se pověsti vremjanĭnychŭ lětŭ [6586/1078]), a cui, dice lo Slovo, fu steso un sudario d'erba sulla riva del fiume Kajala, confondendosi forse col fiume Kanin. Oleg dovette capitolare e, in quello stesso 1078, Vladimir Monomach divenne signore di Černigov, mentre il padre Vsevolod passava al ruolo di gran principe di Kiev in luogo del fratello Izjaslav, caduto nel corso della battaglia. ⑧ Torna al testo
Il contesto storico: [Il tempo di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič]▼
― Come detto sopra, nella battaglia di Nežatiaja Niva (3 ottobre 1078) cadde il gran principe Izjaslav Jaroslavič. Secondo lo Slovo o pŭlku Igorevě, il figlio Svjatopolk Izjaslavič ne fece poi trasportare il corpo a Kiev, sospendendolo tra due cavalli ungheresi (i quali erano apprezzati per il loro carattere docile e venivano impiegati per trasportare i feriti). L'autore dello Slovo confonde però Svjatopolk con il fratello Jaropolk Izjaslavič. Secondo quanto riportato nella cronaca nestoriana, infatti, in quel frangente Svjatopolk si trovava a Novgorod e fu Jaropolk, che aveva partecipato alla battaglia a fianco del padre, a trasportare il corpo di Izjaslav in Kiev (Se pověsti vremjanĭnychŭ lětŭ [6586/1078]). Il testo dello Slovo presenta qui molte difficoltà di ordine filologico che, senza entrare in dettagli, hanno costretto gli studiosi ad alcune correzioni del testo: ma il senso originale sembra avere valore causativo. La difficoltà può venire superata ipotizzando che Svjatopolk (in realtà Jaropolk) non abbia personalmente trasportato il corpo del padre ma lo abbia fatto trasportare, cioè abbia dato l'ordine di traslare la salma. Torna al testo
― Questo epiteto di Oleg Svjatoslavič, Gorislavič, «figlio di Malagloria», non è da tutti gli studiosi inteso in questo modo. Se è da gòre «amarezza» va bene Malagloria, ma se fosse da gorè «alto, elevato» bisognerebbe tradurre «figlio di Eccelsa Gloria». L'epiteto si trova anche in altri documenti, come alcune gramota e la Prima cronaca di Novgorod, senza che tuttavia sia possibile sciogliere il dilemma. La maggior parte dei traduttori preferisce, dal contesto, la prima opzione. (Bazzarelli 1991) ― La parola žiznĭ, che vuol dire letteralmente «vita», andrebbe qui interpretata nel senso di «ricchezza» o di «potenza» (Danti 1979 | Bazzarelli 1991). ― Daž'bog è un'antica divinità slava dai tratti non ben definiti, forse un dio del sole e della luce, oppure un dio elargitore di ricchezza. «Nipoti di Daž'bog» sono i Russi: si veda il capitolo relativo agli dèi dell'antica Russia. ⑨ Torna al testo
 ― Questo passo presenta qualche difficoltà e lo si può interpretare alla luce del racconto dell'episodio nel Codice Laurenziano, dov'è scritto che ad un certo punto il principe Igor' tornò indietro e vide Vsevolod circondato dai nemici. Preso da pietà (egli stesso era ferito) pregò per il fratello (Se pověsti vremjanĭnychŭ lětŭ [6694/1185]). Secondo alcuni studiosi è possibile che, nel testo originario dello Slovo o pŭlku Igorevě, vi fosse qui un brano di più ampio respiro (Bazzarelli 1991). Ci sembra ragionevole, tuttavia, che il poema procedesse, più che attraverso un racconto puntuale, per rapidi e suggestivi richiami ad eventi che il pubblico già conosceva. Torna al testo
― Come spesso nell'epica, la battaglia è paragonata a un festino, anche se non sono mancati tentativi di lettura più profonda. Torna al testo
 ― L'immagine dell'erba e degli alberi che si piegano per il dolore, compare nella poesia popolare russa a simboleggiare il sopraggiungere di una sventura (Peretc 1926 | Bazzarelli 1991). Torna al testo
 ― Questo brano nel suo significato è del tutto chiaro: a non essere chiare sono le immagini esteriori della metafora (Stelleckij 1965). Perché la «sconfitta» [obida] sorge nell'aspetto di una fanciulla, e perché costei ha ali di cigno, con cui disperde i tempi dell'abbondanza? Gli studiosi non hanno raggiunto alcuna conclusione: si è ricordato che il cigno era un animale totemico dei Polovcy, che veniva considerato simbolo di sciagura e che, tra i suoi significati simbolici, era legato al regno dei morti. La fanciulla-cigno sarebbe il simbolo delle disgrazie del popolo russo; in alcune storie tradizionali russe, la strega è in grado di trasformarsi in cigno (come nella bylina di Michajlo Potyk); analogamente le Valkyrjur del mito scandinavo portavano camicie di cigno. (Bazzarelli 1991)Obida non è parola facile da interpretare nel contesto dello Slovo o pŭlku Igorevě. Nella sua traduzione, Poggioli rende questa parola con «violenza» (Poggioli 1954), ma «offesa» traducono sia Danti che Bazzarelli. Come appunta quest'ultimo, la parola obida, che in seguito è finita col significare «contesa», originariamente significava «offesa»; ovvero quel tipo di offesa, causata dalle discordie tra i principi che, secondo il codice feudale, andava vendicata (Bazzarelli 1991). Nella nostra traduzione abbiamo preferito distorcerne il significato per adattarla al contesto della battaglia che Igor' ha appena perduto contro i Polovcy e renderla così con «sconfitta». ― «Battendo le ali ha disperso i tempi dell'abbondanza». Il manoscritto originale riportava un verbo ubudi «svegliare, destare», ma poiché in tal modo la frase veniva ad avere un senso contrario al contesto, si suole emendare con upudi «cacciare, disperdere». (Potebnja 1914) Torna al testo
 ― Vi è forse un riferimento al pianto rituale che accompagnava i riti funebri ed è stato ricordato che le prefiche accompagnassero i morti al sepolcro lamentandosi e agitando fiaccole. Forse ci si può vedere anche un riferimento ai roghi funebri dei tempi precristiani. (Bazzarelli 1991) Torna al testo

 La parola che abbiamo tradotto con «tributo» è nel testo originale běla «scoiattolo», in quanto nei tempi antichi, tra gli Slavi orientali, le tassazioni consistevano appunto in pelli di animali. Torna al testo
Non si faccia confusione: Igor' e Vsevolod erano i figli di Svjatoslav Ol'govič, ex principe di Černigov (1154-1164). Invece, lo Svjatoslav di cui poche righe più sotto si canta l'elogio, colui che aveva a suo tempo sconfitto i Polovcy e aveva preso prigioniero il loro signore Kobjak, era invece Svjatoslav III Vsevolodovič, all'epoca gran principe di Kiev (1174, 1177-1180, 1182-1194). ― Abbiamo tradotto «il loro signore Svjatoslav» per evitare confusione, anche se il testo ha otecŭ «padre». Naturalmente è inteso in senso traslato, quale signore feudale, e in traduzione abbiamo preferito sciogliere la metafora. Torna al testo
Che all'epoca Tedeschi, Veneziani, Greci e Moravi si interessassero alle beghe interne della Rus' kievana appare un po' improbabile... Torna al testo

Traduciamo qui, con Bazzarelli, l'espressione a vŭ sědlo koščïevo con «è salito sulla sella del prigioniero». La parola koščej è stata variamente interpretata: il significato più semplice sembra sia appunto «prigioniero», ma anche «schiavo, servo». Il termine deriva dal turco košči «prigioniero», a sua volta da koš «recinto» (termine passato nel russo con identico significato). Nel russo koščej vuol dire anche «uomo magro, scheletro» (da kost' «osso») e, per estensione, «avaro» (Bazzarelli 1991). Si può anche ricordare il personaggio di Koščej, lo «scheletro senza morte» delle fiabe russe. Torna al testo
Nella sua formulazione, il testo afferma testualmente: «Intanto Svjatoslav ebbe un sogno confuso nella rocca di Kiev» [A Svjatŭslavĭ mutenŭ sonŭ vidě vŭ Kïẹvě na gorachŭ], lasciando intendere che il gran principe Svjatoslav III Vsevolodovič si trovava a Kiev quando fece il suo lugubre sogno. Ma poiché, stando al Se pověsti vremjanĭnychŭ lětŭ, il gran principe si trovava invece a Karačev, sulla strada di Černigov, gli studiosi hanno emendato l'ordine delle parole in modo che, nella nuova interpretazione, è il sogno a svolgersi nella rocca di Kiev. Torna al testo
Tutta la scena è ricca di simboli e significati funerei. Il legno di tasso ha un simbolismo sepolcrale, così il vino fosco (letteralmente sinij «azzurro», opposto al vino «verde» o novello), la perla gettata sul petto del gran principe. I Tolkoviny erano i «traduttori», cioè membri di tribù della steppa alleate dei principi russi che esercitavano varie funzioni presso costoro, fra cui quella di interpreti. Torna al testo
Vi era in Russia e in Ucraina, fino a tempi relativamente recenti, la tradizione secondo la quale rimuovere la trave centrale della casa aiutava il morente nelle sue sofferenze d'agonia e permetteva all'anima di volar via. Secondo alcuni interpreti, l'immagine di togliere la trave centrale significherebbe anche scardinare la potenza di Kiev (Kosorukov 1986). Torna al testo

Si parla qui di bosuvi vrany «corvi demoniaci». L'aggettivo è forse derivato da Běs, nome antico-slavo del diavolo (cfr. [32]). Torna al testo

I due «falchi» sono ovviamente Igor' e Vsevolod. Torna al testo

 Nuove metafore. I due «soli» e quindi le due «colonne di porpora» sono Igor' e Vsevolod, le due «giovani lune» dovrebbero essere gli altri due partecipanti alla spedizione, Vladimir Igorevič e il nipote Svjatoslav Ol'govič, rispettivamente figlio e nipote di Igor', anche se qui il copista per qualche ragione (o forse per errore?) cita, accanto a Svjatoslav, un «Oleg». Renato Poggioli nella sua traduzione evita di citare i nomi (Poggioli 1954). Torna al testo

Molte ipotesi zoologiche per spiegare qui questa metafora sui ghepardi, ma che gli antichi russi conoscessero questi animali sembra attestato, oltre che da un affresco di Santa Sofia in Kiev, anche dal fatto che il ghepardo iranico (Acinonyx jubatus) veniva utilizzato nelle cacce tra i tartari e anche tra i principi russi. Torna al testo
Ricompare qui il diabolico Div di cui abbiamo già detto sopra [19]. ― Le «belle fanciulle dei Goti» [gotskïja krasnyja děvy] è un probabile riferimento ai Visigoti che erano insediati sulle rive del Mar Nero e del Mar d'Azov già dal II secolo e che, all'epoca dello Slovo, erano vassalli dei Polovcy. Si tenga presente che popolazioni parlanti lingue germaniche orientali erano attestate in Crimea ancora nel XVIII secolo. ― Bus (in latino Boz) era il semi-mitico capo degli Anti, antenati degli Slavi Orientali [32]. Vinto dal re goto Vinitharius nel 375, fu fatto prigioniero e poi crocifisso insieme ai figli e settanta notabili (Jordanes: De Getarum sive Gothorum origine [XLVIII]). Per altri studiosi, il Bus qui citato sarebbe un capo del Polovcy dell'XI secolo, noto per le sue scorrerie contro i russi. ― Šarokan era un capo dei Polovcy, nonno di Končak. A suo tempo Vladimir Monomach lo aveva vinto e respinto fino al Caucaso. Per tale ragione, qui si dice che Končak avrebbe ora vendicato la sconfitta dell'avo. Torna al testo
Lo zlato slovo, l'«aureo discorso», è il monologo che il gran principe Svjatoslav Vsevolodovič tiene rimpiangendo la sventurata impresa di Igor' e le sue conseguenze. Non è però evidente dove il discorso finisca. Bazzarelli ritiene si concluda là dove dice «il tempo si è volto in sciagura» [na niče sja godiny obratiša] [70], ma altri ritengono che anche il susseguente appello ai principi faccia parte dello zlato slovo. Torna al testo

  «Nel disonore vi siete battuti...» dice Svjatoslav Vsevolodovič: Igor' e Vsevolod hanno infranto i patti di pace che il gran principe aveva stipulato con i Polovcy. Torna al testo

Jaroslav Vsevolodovič, fratello del gran principe Svjatoslav Vsevolodovič, era allora principe di Černigov (1176-1198). ― Sui Moguti, i Tatrani, gli Šelbiri, i Topčaki, i Revughi e gli Olberi esiste un'intera letteratura. Secondo alcuni si tratta di titoli o soprannomi di personaggi altolocati di origine turanica (Malov), per altri di nomi di tribù o gruppi etnici turco-tatari (Korš 1909 | Menges 1951). Senza entrare nei dettagli, è ragionevole considerare questi nomi come quelli di gruppi di alleati o mercenari di varie etnie turaniche al servizio del gran principe di Kiev e dei principi delle città russe (Bazzarelli 1991). ― E sarebbero costoro che col solo pugnale (in russo zasapožnik «che si tiene nello stivale») sarebbero in grado di sbaragliare le schiere? Il dettaglio non sembra potersi attribuire a genti turaniche: e quali «schiere» sbaraglierebbero, di quali «avi» la gloria farebbero risuonare? Il passo è molto oscuro. Torna al testo
 La città di Rimov venne saccheggiata da Končak dopo la vittoria su Igor'. Poco prima i Polovcy avevano assalto Perejaslavl', di cui era signore Vladimir Glebovič. È sua sorella, la Glebovna sposa di Vsevolod Svjatoslavič (fratello del nostro Igor'), citata al v. [35]. Vladimir Glebovič fu gravemente ferito mentre difendeva la città dai Polovcy e morì due anni dopo († 1187). ⑩ Torna al testo
Il contesto storico: [I fatti del 1185]▼
 È Vsevolod Jur'evič († 1212), detto Bol'soe Gnezdo «grande nido», figlio di Jurij I Vladimirovič Dolgorukij, «lungo braccio», gran principe di Kiev (1149-1151), fondatore di Mosca, a sua volta figlio di Vladimir II Monomach. Sotto il regno di Vsevolod, la città di Vladimir-Suzdal' (1154-1212) raggiunse il culmine della sua grandezza, ragion per cui egli ricevette il titolo di «gran principe» [velikij knjaz'], con dignità pari, dunque, a quella del signore di Kiev. D'altra parte, lo stesso Vsevolod fu gran principe di Kiev per cinque settimane (1174), prima di essere imprigionato e costretto a rinunciare al trono da Rjurik Rostislavič († 1215), di cui si tratta nel verso successivo [73]. Da Vsevolod Jur'evič discenderanno Aleksandr Nevskij, Ivan Kalita e tutti i grandi principi di Mosca fino a Ivan IV Vasil'evič Groznyj, il «terribile». ― Con «soldo» e «centesimo» rendiamo qui due antiche monete kievane: la nogata (ventesima parte di una grivna) e la rezana (cinquantesima parte di una grivna). Torna al testo
Si tratta di Rjurik Rostislavič († 1215), figlio di Rostislav Mstislavič di Smolensk († 1168) e nipote di Vladimir II Monomach. Nel corso della sua movimentata esistenza, funestata dalle lotte per la conquista del potere, Rjurik fu gran principe di Kiev per ben cinque volte ( 1173, 1180-1202, 1203-1205, 1206, 1207-1210); alternandosi, tra gli altri, con Svjatoslav III Vsevolodovič ( 1174, 1177-1180, 1182-1194). All'epoca dei fatti dello Slovo, i due gran principi regnavano congiuntamente e, dopo la morte di Svjatoslav († 1194), Rjurik divenne unico sovrano di Kiev. ― Davyd Rostislavič († 1197), fratello di Rjurik, fu principe di Smolensk: sua moglie era una principessa polovesiana e, per tale ragione, Davyd non partecipò alla spedizione del 1183, né collaborò con i principi russi nella crisi polovesiana scatenata dalla sconfitta di Igor' nel 1185. Torna al testo
Questo Jaroslav Vladimirovič († 1187) era signore di Galič, la Galizia orientale, una regione addossata ai Carpazi, sita in quelle che oggi sono l'Ucraina occidentale e la Polonia sud-orientale. L'autore dello Slovo o pŭlku Igorevě lo definisce Osmomyslŭ, «dall'ottuplice pensiero», in quanto aveva fama di essere saggio e accorto. I suoi antenati avevano a lungo lottato contro gli Ungheresi, ma Jaroslav, nonostante lo Slovo affermi il contrario, rimase in pace con i suoi vicini, anzi, sposò una figlia di István III, re d'Ungheria. Sua figlia, Evfrosina Jaroslavna, era sposa del nostro Igor'. ― «Aprire le porte di una città» voleva dire conquistarla: infatti, nel 1159, Jaroslav di Galič e Mstislav di Volyn' avevano conquistato Kiev, cacciandone il gran principe Izjaslav III Davidovič. Torna al testo
Forse da identificare con i cugini Roman Mstislavič Velikij, il «grande» († 1205), principe di Volyn' e Galič, e Mstislav Jaroslavič Nemoj, il «muto» († 1226), principe di Peresopnica, figli rispettivamente del gran principe Mstislav II Izjaslavič († 1170) e di suo fratello il gran principe Jaroslav II Izjaslavič di Luck († 1180?). Anche essi discendevano da Vladimir II Monomach. Sono tuttavia altre possibili identificazioni. Torna al testo
 L'elenco dei popoli contro cui Roman e Mstislav combatterono sembra riferirsi a popoli che abitavano lungo la costa baltica. Jatvinghi e Deremeli erano tribù baltiche che entrarono poi nella nazione lituana. Per «Unni» si intendono probabilmente i Finni o gli Estoni. Soltanto i Polovcy sono turanici. Torna al testo
I «valorosi principi» [chrabryi knjazi] Olgoviči, discendenti di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič, sono il principe Igor', suo fratello Vsevolod, suo figlio Vladimir e suo nipote Svjatoslav, i «quattro soli» che hanno partecipato alla sventurata impresa. Torna al testo

Passo oscuro e tormentato. Sembra che ci si riferisca ai fratelli Ingvar' († 1202) e Vsevolod († 1185) Jaroslaviči, principi di Volyn', fratelli del Mstislav Jaroslavič il «muto», sopra ricordato. ― «E tutti e tre voi, figli di Mstislav»: secondo la maggior parte dei commentatori si tratterebbe di Roman il «grande» (già nominato al v. [75]), Svjatoslav e Vsevolod di Belz († 1185) Mstislaviči, figli del gran principe Mstislav II Izjaslavič, anche se resta da spiegare perché Roman sia nominato due volte nell'appello ai principi (Saronne 1988). Sono state tuttavia avanzate altre identificazioni, seppur meno probabili (secondo Rybakov si sarebbe trattato di Davyd, Vladimir e Msistlav Udaloj, il «temerario», figli di Mstislav Chrabryj, il «coraggioso», principe di Smolensk († 1178) (Rybakov 1984)). ― L'epiteto «dalle sei ali» [šestokrilci] sembra un calco dal greco hexaptéryx, epiteto bizantino degli angeli Serafini (Jakobson 1975 | Saronne 1988). Sembra che in certi poemi slavo-meridionali tale epiteto venisse attribuito anche a guerrieri ed eroi (Bazzarelli 1991). Torna al testo
 Di questo Izjaslav Vasil'kovič le cronache non dicono nulla: tutto ciò che sappiamo di lui deriva da questo passo dello Slovo o pŭlku Igorevě. Principe di Polock e, forse, di Gorodec, sarebbe stato ucciso combattendo contro i Lituani. Un altro sconfitto, dunque, come Igor', ma in difesa della sua terra e contro nemici esterni. Torna al testo
 Il motivo del letto di morte associato al letto nuziale è tipico della poesia popolare. Bazzarelli ricorda un canto ucraino in cui il cosacco morente manda il suo cavallo ad avvertire la madre della sua morte: «Tu di', cavallo, che io mi sono sposato, / che ho preso in moglie una bella ragazza / nel campo aperto, nella terra» (Bazzarelli 1991). L'immagine delle ali degli uccelli e delle belve che leccano il sangue ha riscontri nella poesia e nelle saghe scandinave (nelle kenningar la battaglia è chiamata «festino dei lupi» o «dei corvi»). Torna al testo
 Se nulla si sa di Izjaslav Vasil'kovič, nulla evidentemente si può aggiungere dei suoi fratelli, Brjačislav e Vsevolod. Torna al testo
  Jaroslavli «figli di Jaroslav» è una correzione, accettata dai maggiori studiosi del poema, al posto dell'originale Jaroslave. Molte sono state le congetture e le ipotesi, ma Jaroslavli risolve molti problemi. I figli di Jaroslav Vladmirovič il «saggio» furono infatti sempre in contesa con i loro cugini, figli di Izjaslav Vladmirovič di Polock, qui ricordati come «nipoti di Vseslav» (Bazzarelli 1991)Torna al testo
 Che cosa significa l'espressione «nella settima età di Trojan» [sedĭmomŭ věcě Trojani]? Sono state avanzate al riguardo decine di interpretazioni: una settima èra? O forse un settimo millennio? Se teniamo conto che i Russi dell'epoca utilizzavano il calendario bizantino, che partiva dalla data della creazione del mondo, 5508 a.C., gli eventi di cui parliamo si collocano appunto nel settimo millennio (Saronne 1988). Angiolo Danti nella sua traduzione espunta la riga, Eridano Bazzarelli traduce «nell'ultimo tempo di Trojan» intendendo il passo – forse non a torto – come se significasse «negli ultimi tempi del paganesimo» (Bazzarelli 1991). Riguardo a Trojan rimandiamo al capitolo sulle divinità slave. ⑪
― L'uomo di cui qui si parla è Vseslav Brjačislavovič († 1101), il sanguinario principe-stregone di Polock, di cui tratta il Codice Laurenziano della cronaca nestoriana (Se pověsti vremjan ĭnichŭ lětŭ [Codice Laurenziano: 6552/1044]). Di lui si diceva fosse in grado di trasformarsi in animale, e pare che la figura dell'eroe bylinico Vol'ga Vseslav'evič sia costruita su di lui. Tormentata la sua biografia: Vseslav guerreggiò a lungo contro i fratelli Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod, figli di Jaroslav il «saggio», finché fu catturato a tradimento e gettato in prigione a Kiev. La «fanciulla che tanto desiderava» [děvicju sebě ljubu] sembra sia una metafora indicante la stessa città di Kiev, di cui Vseslav ambiva essere gran principe. Egli riuscì a soddisfare la sua ambizione («con la lancia sfiorò il trono d'oro di Kiev»), quando il popolo di Kiev, dopo l'incursione dei Polovcy, lo liberò dalla prigione e lo mise sul trono, dopo aver cacciato Izjaslav. Il regno di Vseslav fu tuttavia molto breve (1068-1069). Cacciato, ritornò a Polock da dove continuò a far guerra agli Jaroslaviči. ⑫ Torna al testo
Il contesto storico: [Quelli di Polock]▼
86 ― «Al mattino conficcò le asce», seguiamo qui la lezione di Eridano Bazzarelli (Bazzarelli 1991). Il luogo infatti è assai corrotto. La parola di più difficile interpretazione è (s)trikusy, che viene solitamente intesa con «asce» in base ad una possibile relazione con un termine di origine germanica (cfr. antico alto tedesco strîtachus «ascia da combattimento») (Snegirëv 1838 | Potebnja 1878). Altri studiosi hanno proposto una correzione di strikusy in sŭ tri kusy (Lichačëv 1950 | Jakobson 1958), da cui la traduzione di Angiolo Danti «con tre tentativi stracciò la fortuna» (Danti 1979), o di Edgardo Saronne «con tre morsi afferrò la sorte» (Saronne 1988). ― Dudutki è una località non identificata, forse vicino a Novgorod. Vari autori, tra cui Roman Jakobson, hanno proposto emendamenti e correzioni del testo, dando alla parola diversi significati. ― Sul fiume Nemiga venne combattuta una sanguinosissima battaglia (1063) tra Vseslav Brjačislavovič e i tre Jaroslaviči: Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod. Si tratterebbe del fiume Neman (lituano Nemunas, tedesco Memel, bielorusso Nëman, russo Neman), che sorge presso Minsk (Bielorussia) e, dopo aver attraversato la Lituania, sfocia nel mar Baltico (Poggioli 1954). Torna al testo

L'interpretazione più comunemente accettata di questo passo è che Vseslav si trasformasse effettivamente in un lupo durante la notte e corresse da Kiev a Tmutorokan' (per quanto non si abbiano notizie di contatti che Vseslav Brjačislavovič avrebbe avuto con la città di Tmutorokan'). Anche se l'immagine non differisce da quella di molte altre metafore animali presenti nello Slovo o pŭlku Igorevě, tutto quello che sappiamo del personaggio del principe-stregone Vseslav ci autorizza a pensare che l'autore stia qui descrivendo effettivamente un caso di licantropia. Al riguardo, Pisani ha così argomentato: se la strada percorsa da Vseslav va da Kiev a Tmutorokan', dunque da nord a sud, il «grande Chors» si muoverebbe di notte da est ad ovest. Da questo si è ipotizzato che Chors potrebbe identificarsi con la luna (Pisani 1949). Curiosamente, la stessa argomentazione porta Edgardo Saronne alla conclusione opposta: «supponendo che il principe-lupo possa in una sola notte raggiungere Tmutorokan da Kiev, dovrà correre più del solito, poiché – andando verso sud-est – incrocerà, sia pur obliquamente, il percorso del sole». Quindi, Chors rappresenterebbe la luce del giorno (Saronne 1988). ― Riguardo a Chors (antico russo Chŭrsŭ o Chrŭsŭ), dio slavo della luna o del sole, rimandiamo al capitolo relativo. ⑬ Torna al testo
«Doppio corpo» è forse un modo per intendere la licantropia di Vseslav Brjačislavovič il quale poteva assumere a piacere un corpo umano o un corpo di lupo (Jakobson 1948). Alcuni filologi hanno proposto tuttavia di correggere vŭ druzě tělě «nel doppio corpo» in vŭ drŭzě tělě «nel corpo valoroso». Ma si tratta di una congettura inutile e fuorviante, considerato il valore magico del personaggio, oltre che meno intensa dal punto di vista poetico. (Bazzarelli 1991)Torna al testo
 È il vate Bojan a pronunciare l'epitaffio di Vseslav Brjačislavovič. La traduzione da noi seguita è quella di Bazzarelli, dove si legge «né l'astuto, né il saggio, né l'esperto stregone» (Bazzarelli 1991). In precedenza Danti traduceva «né allo scaltro, né all'abile, né all'uccello agile» (Danti 1979). Ed Edgardo Saronne: «né allo scaltro, né all'esperto, né all'uccello ciarliero» (Saronne 1988). Il nodo sta nella parola pĭticiju «uccello», che L.A. Bulakovskij ha proposto di emendare in pitĭcyn «stregone» (Bulakovskij 1978). Torna al testo

Incerta l'identità di questo Vladimir. Secondo Dmitrij Lichačëv, si tratterebbe del gran principe Vladimir I Svjatoslavič Svjatoj, il «santo» (980-1015), autore di numerose campagne contro i nemici della Rus' (nel corso del suo regno combatté contro i Ljachi, i Vjatiči, gli Jatviagi, i Radimiči, i Bulgari, i Chersonesi, i Croati e i Pečenegi), già ricordato all'inizio del poema [5] e posto qui, simmetricamente, a chiudere l'«amaro» elenco dei principi (Lichačëv 1980). L'ipotesi è condivisa da Eridano Bazzarelli (Bazzarelli 1991). Di opinione contraria Edgardo Saronne, il quale ritiene che la figura di Vladimir il «santo», con le sue eterogenee campagne militari, sia fuori contesto nello Slovo o pŭlku Igorevě, e ipotizza che qui, come al v. [5], si faccia riferimento a Vladimir II Monomach (1113-1125), il quale fu coordinatore delle prime campagne vittoriose contro i Polovcy. L'autore lo chiama staryji Vladiměrŭ «antico Vladimir» in contrapposizione al «giovane» Vladimir Igorevič, figlio del principe Igor', che è tra i protagonisti del poema. (Saronne 1988) ― Si tratta di Rjurik Rostislavič († 1215), che all'epoca dei fatti era gran principe di Kiev insieme a Svjatoslav III Vsevolodovič. Suo fratello Davyd Rostislavič († 1197) era invece principe di Smolensk. Come ricordato detto sopra, dopo la sconfitta di Igor', i Polovcy piombarono sulla città di Perejaslavl', di cui era signore Vladimir Glebovič (cfr. v. [71]). Il gran principe Svjatoslav chiese a Davyd di prepararsi alla battaglia, ma costui, che aveva sposato una principessa polovesiana, mantenne un atteggiamento prudente ed evitò di unirsi all'impresa (cfr. v. [73]). Quando le armate russe arrivarono a Perejaslavl', i Polovcy avevano già alzato le tende e Vladimir Glebovič era gravemente ferito ⑭. Questo spiega l'amaro commento del poeta: gli stendardi un tempo inalberati dall'antico Vladimir (I o II che sia) sono gli stessi ereditati da Rjurik e Davyd Rostislaviči, ma questi sventolano ormai disgiunti. Torna al testo
Il contesto storico: [I fatti del 1185]▼
Evfrosina Jaroslavna
Illustrazione di Konstantin Alekseevič Vasil'ev (1942-1976)
Inizia qui uno dei brani lirici più belli e intensi di tutto il poema, il lamento della giovane sposa del principe Igor'. Il brano riprende i ritmi di quel genere letterario della poesia popolare russa chiamato plač «pianto», che sembra fuso con intonazioni di preghiere pagane ancora vive ai tempi in cui il poema fu composto. Il brano è pagano, magico: il lamento è rivolto al vento, al fiume Dnepr, al sole. È un canto originale, potente, bellissimo, una delle vette poetiche dello Slovo o pŭlku Igorevě, un esempio di come il poema della disfatta della schiera di Igor' sia, al di sotto della superficie cristiana, intriso di paganesimo. ― Evfrosina Jaroslavovna, giovane sposa del principe Igor', era figlia di Jaroslav Vladimirovič Osmomysl, «ottuplice pensiero», principe di Galič. L'autore dello Slovo non la chiama per nome ma col patronimico Jaroslavna, forse per sottolineare la sua ascendenza gentilizia. ― Non è ben chiaro a quale uccello si riferisca parola antico-russa zegziceju. La traduzione con «cuculo» sembra giustificata sia dalla presenza nel contesto di un verbo onomatopeico (kykati), sia dai paralleli con altri testi epici slavi e baltici. Inoltre, la femmina del cuculo, durante la stagione degli amori, emette un continuo, melanconico richiamo, dettaglio che avrebbe potuto suggerire l'identificazione con il pianto di Jaroslavovna (Poggioli 1954 | Saronne 1988). Secondo Eridano Bazzarelli (che cita vari filologi russi), zigzička sarebbe il nome, in alcuni dialetti ucraini, del gabbiano, ed è questa la resa che egli dà nella sua traduzione dello Slovo. Secondo lo studioso, inoltre, il termine «cuculo» suonerebbe di malaugurio, mentre il «gabbiano» renderebbe molto meglio il senso del dolore e della solitudine della donna (Bazzarelli 1991). ― Secondo lo storico settecentesco Vasilij Nikitič Tatiščev (1686-1750), Jaroslavna non si trovava a Putivl' ma a Novgorod-Seversk, da cui si sarebbe poi regata a Putivl' per accogliere Igor' fuggiasco (Tatiščev 1768). Né la presenza di un fiume Dunaj ci illumina, giacché questo termine è molto vago, indicando a seconda delle occasioni il Don, il Donec, il Dnepr o addirittura il Danubio. Forse l'autore dello Slovo ignorava dove Jaroslavna si trovasse effettivamente, ma è certo che dipingerla sul baluardo di Putivl' è stata una possente trovata poetica. ― «Bagnerò la mia manica di seta». L'aggettivo bebrjanŭ è derivato da bebrŭ «castoro», ma sembra avesse anche il significato di «seta», come è attestato negli scoli di un esemplare ottocentesco dello Slovo, ed è così che alcuni interpreti intendono il passo (Bazzarelli 1991). Torna al testo
Questo epiteto del fiume Dnepr, chiamato «figlio di Slovuta» [Dněpre Slovutičju] si trova in altri racconti e poemi epici antico-russi e ucraini. Lo Slovuta è un affluente del Pripjat' che è, a sua volta, un affluente del Dnepr. Qui però l'autore fa una contaminazione poetica tra l'idronimo Slovuta e la parola slava «gloria». (Bazzarelli 1991). Secondo altri, Slovuta sarebbe stato una divinità pagana (Plautin 1958). Torna al testo
 «Mare di mezzanotte» [more polunošči] sembra sia metafora per indicare il nord (Kosorukov 1986), forse il cielo boreale, anche se sono state date altre interpretazioni. Traduzioni: «a mezzanotte il mare trabocca» (Poggioli 1954); «spumeggiò il mare a mezzanotte» (Danti 1979); «spruzzò a mezzanotte il mare» (Saronne 1988); «il mare di mezzanotte si è agitato» (Bazzarelli 1991). ― La frase russa idutĭ smĭrči mŭglami è stata interpretata e tradotta in vari modi. Non è chiaro cosa siano questi «turbini come nuvole» che avanzano dal «mare di mezzanotte». Danti traduce nel modo più semplice: «avanzano turbini a forma di nubi» (Danti 1979); Poggioli con più fantasia s'inventa «s'avanzano trombe marine» (Poggioli 1954); più semplicemente Saronne traduce «s'alzano vortici» (Saronne 1988). Bazzarelli segue la poetica lezione di Kosorukov secondo cui l'espressione adombrerebbe un'aurora boreale (Kosorukov 1986) e traduce di conseguenza «si alza l'aurora boreale», intendendo che in tal modo un dio avrebbe indicato a Igor' la via della fuga e della salvezza (Bazzarelli 1991). ― Difficile comprendere se bogŭ sia qui da intendere come «un dio» oppure, come intendono Jakobson e Plautin, «Dio» (Jakobson 1948 | Plautin 1958). Torna al testo
Questo Vlur (da un antico-russo Vŭlurŭ, sebbene trascritto nello Slovo nelle lezioni Ovlurŭ e Vlurŭ, a cui si aggiunge la lezione Lavorŭ presente nella cronaca laurenziana del Se pověsti), era un guerriero polovesiano, figlio di una russa (Musin-Puškin 1800). Aiutò Igor' a fuggire perché in contrasto con altri capi polovesiani. Igor' lo ricompenserà poi dandogli feudi e cariche. ― Il testo dice che fischiando Vlur avrebbe chiamato «il cavallo» [komonĭ], ma tradurre «i cavalli» sembra più logico. È stata anche proposta una correzione secondo la quale Vlur avrebbe in realtà chiamato uno «scudiero» [komonĭnĭ] (Bulakovskij 1978). La correzione potrebbe anche essere accettabile dal punto di vista logico, ma non bisogna alterare il testo senza necessità. Torna al testo
Nella sua fuga, il principe Igor' viene paragonato a molti animali (ermellino, anatra, lupo, in seguito falco). Le analogie con quanto si narrava della trasformazione in lupo di Vseslav [87] rimangono tuttavia solo formali. Igor' non ha poteri stregoneschi: è la forza poetica, in questo caso, ad evocare la trasfigurazione.Torna al testo
È qui il fiume Donec a parlare possente al principe Igor', che gli risponde. La forza pagana del poema anima gli elementi della natura e del paesaggio, del cielo e della terra, rendendo possibile il loro dialogo con gli uomini. Torna al testo
Igor' si riferisce ad un episodio storico. Nel 1093, nel corso della campagna intrapresa dal gran principe Svjatopolk Izjaslavič contro i Polovcy, i Russi persero un'importante battaglia. Ritirandosi, le schiere russe furono costrette ad attraversare il fiume Stugna. Durante il guado, annegò Rostislav Vsevolodovič, fratello minore di Vladimir Monomach e principe di Perejaslavl', come racconta il Se pověsti vremjan ĭnichŭ lětŭ [6601/1093]. ⑮
Il contesto storico: [Oleg Svjatoslavič/Gorislavič]▼
 Il principe Igor' fuggì dal campo polovesiano solo il 21 giugno 1185.
Forse in concomitanza con il ritorno di Gzak e Končak dalla specizione contro Perejaslavl'. Sembra che i due qān, irritati per non essere riusciti a prendere la città, strenuamente difesa da Vladimir Glebovič, avessero cattive intenzioni nei confronti del principe russo. Torna al testo
Il dialogo di Gzak e Končak, nel quale affermano il loro proposito di «incatenare il falchetto con una bella fanciulla» si riferisce al fatto che in seguito, Vladimir Igorevič, il figlio del principe, rimasto prigioniero presso i Polovcy, sposò (anche in base a precedenti accordi) la figlia di Končak. Vladimir tornò in patria due anni dopo, nel 1187, con la moglie e un bambino.Torna al testo
Il vate Bojan fa la sua ultima apparizione in un altro luogo oscuro del poema, passo che ha avuto molti tentativi di interpretazione, nessuno dei quali veramente convincente. Invece di na chody «le imprese di», alcuni interpreti hanno voluto leggere i Chodyna «e Chodyna», inventandosi un altro mitico cantore e vate, collega di Bojan. Ma si tratta di una lettura fragilissima, anche considerato di di questo fantomatico «Chodyna» non si ha alcuna notizia. Tra i nostri traduttori, Danti è il solo a interpretare il verso in tal senso, traducendo «dissero Bojan e Chodyna» (Danti 1979). Con maggior cautela, Poggioli rende la frase con un semplice «disse e predisse Bojan» (Poggioli 1954), e Saronne «direbbe Bojan, cantore del tempo antico» (Saronne 1988), mentre Bazzarelli traduce «così disse Bojan il vate nel cantare le imprese di...» (Bazzarelli 1991). ― Chi sono i «figli di Svjatoslav» di cui qui si parla? Certamente non Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči, gli eroi del poema, vissuti molto tempo dopo l'epoca di Bojan. Forse si tratta però del loro antenato Oleg Svjatoslavič/Gorislavič († 1115), il quale è citato poco più sotto. Sembra improbabile, invece, che si tratti di Vladimir Svjatoslavič il «santo» († 1015), che in questo caso sarebbe fuori contesto. Jaroslav però può essere soltanto Jaroslav Vladimirovič il «saggio» († 1054). ― La «sposa del kagan'» introduce un altro luogo oscuro. Kagan' era un titolo dei Chazari e dei Bulgari che però veniva attribuito anche ai principi russi. Poggioli espunge il passo dalla sua traduzione. Secondo Eridano Bazzarelli, ci si riferirebbe forse alla principessa Ol'ga († 969), sposa e poi vedova del gran principe Igor' Rjurikevič (914-945), che vendicò ferocemente facendo strage dei Drevljani, per poi essere canonizzata in seguito alla sua conversione al cristianesimo (Bazzarelli 1991). Più ragionevole la proposta di Edgardo Saronne, il quale nota che kagan' era probabilmente il titolo usato dai principi di Tmutorokan', prima che la città cadesse nelle mani dei Polovcy. Il kagan' di cui qui si parla potrebbe dunque essere Mstislav Vladimirovič († 1036), fratello di Jaroslav il «saggio» e principe di Černigov e Tmutorokan' (lo stesso che aveva ucciso in duello il principe Rededja dei Circassi, cfr. v. [3]), oppure Roman Svjatoslavič († 1079), fratello di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič (anche lui citato al v. [3]) (Saronne 1991). Sempre Saronne ipotizza che Bojan fosse un cantore stabile alla corte di Tmutorokan', cosa che spiegherebbe questo suo continuo cantare la gloria dei principi di quella remota regione della Rus'. Torna al testo

Brano trionfale che conclude il poema. Dopo essere tornato a Novgorod-Severskij, Igor' si era poi recato a Kiev, presso il gran principe Svjatoslav III Vsevolodovič, dove si era tenuta un'assemblea dei principi. Il sole che splende nel cielo e le fanciulle che cantano festose sul Dunaj, si riferirebbero non tanto al ritorno del principe dalla prigionia, quanto alla conclusione positiva di un accordo dei principi russi (Rybakov 1974). Torna al testo

Ora Igor' esce da Kiev e percorre la via di Boričev, che metteva in comunicazione la parte alta della città con la parte bassa (è l'attuale Andreevskij spusk «discesa di Sant'Andrea», dove si trova tra l'altro la casa natale di Michajl Bulgakov). La chiesa di Nostra Signora della Torre era stata costruita nel 1132, al tempo del gran principe Mstislav I Vladimirovič Velikij, il «grande» (♔ 1125-1132), ed era così chiamata perché vi si venerava un'icona bizantina, detta appunto della Madonna della Torre. Secondo alcuni interpreti, Igor' si sarebbe recato in questa chiesa perché era forse il 15 agosto, festa della Dormizione della Vergine (che corrisponde all'Assunzione dei cattolici). Torna al testo

In questa chiusa «amen» del poema i fautori
di un'interpretazione pagana del poema, tra
cui il nostro Bazzarelli, leggono la presenza
un'interpolazione cristiana.

Tuttavia, non solo amen è una chiusa di rito, c
he dà carattere sacrale e profondo a ciò che era stato
detto o declamato, ma nel suo significare «così sia»
si riferisce all'augurio di salute e gloria dei
principi russi e alla loro vittoria contro le schiere pagane.


















 

Il gran principe Vladimir I Svjatoslavič, detto il «santo» [Svjatoj]

per aver ufficialmente introdotto il Cristianesimo in Russia (988), morì nel 1015, lasciando un gran numero di figli a contendersi il trono.

Gli succedette Svjatopolk Vladimirovič, il figlio che Vladimir aveva avuto da una monaca g
reca e che la storia conoscerà con l'epiteto di «dannato» [Okajanij] a causa dei suoi
molti delitti, tra cui l'uccisione di due suoi fratellastri, Boris e Gleb, in seguito passati agli onori degli altari.

Jaroslav il «saggio»
Monumento in Bila Cerkva (Ucraina)


Ma Vladimir aveva avuto altri otto figli da un'altra sposa, Rogneda, figlia del principe Rogvolod di Polock, di cui in questa sede ne citiamo almeno tre: Jaroslav, Mstislav e Izjaslav Vladimiroviči.
Si accesero subito scontro sanguinosi tra Svjatopolk e Jaroslav. Sconfitto in battaglia, Svjatopolk morì durante la fuga, nel 1019. Ottenuta la vittoria, Jaroslav dovette poi contendere con un altro dei suoi fratelli, Mstislav il «coraggioso» [Chrabryj].
Signore di Tmutorokan', e in seguito di Černigov, Mstislav aveva a lungo combattuto i Kasogi, antenati dei Circassi. Il loro capo Rededja lo aveva sfidato a lottare a mani nude: il vincitore si sarebbe preso la terra e gli uomini dello sconfitto. Mstislav aveva accettato la sfida e, atterrato l'avversario, lo aveva sgozzato con la punta di un pugnale. L'eco di questo duello – tramandato anche nelle leggende caucasiche – risuona nello Slovo o pŭlku Igorevě [3].




Alleatosi con Kasogi e Chazari, Mstislav contese a Jaroslav il potere sulla Rus'. Sanguinose battaglie si accesero tra i due fratelli, ma poi, incontratisi a Gorodec, nel 1026, essi si riconciliarono e stipularono la pace, decidendo di spartirsi la Rus' lungo il corso del Dnepr. Jaroslav ottenne la parte occidentale, con Kiev e Novgorod; Mstislav la parte orientale, con Černigov e Tmutorokan'. Da allora, i due furono fedeli alleati contro i nemici interni ed esterni.
Dopo la morte di Mstislav, in un incidente caccia, nel 1036, Jaroslav divenne unico sovrano della Rus'. Si trasferì da Novgorod a Kiev, città che sotto il suo regno divenne una delle più progredite e prospere d'Europa. Considerato dai cronisti un modello di virtù, Jaroslav venne chiamato il «saggio» [Mudryj]. Era infatti un uomo colto, amante dei libri, e promosse la traduzione dei testi greci in lingua slava. Ottenne da Bisanzio che Kiev divenisse sede di un vescovo metropolita. Sposato a una figlia del re di Svezia, assicurò alla propria prole un'educazione assolutamente fuori dall'ordinario. I discendenti di Jaroslav, gli jaroslavli, sarebbero stati gli antenati di tutti i principi russi (a parte il ramo di Polock).
Onde evitare, alla sua morte, il ripetersi di nuovi dissidi tra i suoi figli, Jaroslav stabilì una legge di successione per il quale il granprincipato di Kiev fosse da assegnare al primogenito, mentre agli altri figli, in ordine di età, venivano assegnate le principali città russe. Il maggiore, Vladimir Jaroslavič, principe di Novgorod, premorì al padre nel 1052. Dopo la morte di Jaroslav, nel 1054, Izjaslav Jaroslavič divenne gran principe di Kiev, mentre Svjatoslav, Vsevolod e Vjačeslav ottennero rispettivamente Černigov, Perejaslavl' e Smolensk. Le assegnazioni non erano definitive: un complesso meccanismo di rotazioni stabiliva chi, alla morte di un principe, gli sarebbe succeduto, passando di principato in principato. In questo modo, ognuno poteva ambire a divenire, prima o poi, gran principe. Il sistema non era tuttavia perfetto, anche perché i principi russi avevano di regola un gran numero di figli, e i litigi erano destinati a sfociare in guerre fratricide.






Quelli di Polock Torniamo ora a Izjaslav Vladimirovič, figlio di Vladimir il «santo», fratello di Jaroslav il «saggio». Sua madre Rogneda aveva ottenuto che egli divenisse principe di Polock, ereditando la città del nonno materno, Rogvolod, ucciso dallo stesso Vladimir. Morto a soli ventitré anni, nel 1001, Izjaslav ebbe quale successore il figlio Brjačislav.
Insofferente dell'autorità del gran principe Jaroslav, Brjačislav prese ben presto le distanze dal potere centrale. Le tensioni erano anche esacerbate dal fatto che, stando al testamento di Vladimir, la linea dei principi di Polock era esclusa dalla successione per il granprincipato di Kiev. Le ostilità culminarono in uno scontro aperto, allorché Brjačislav tentò di saccheggiare Novgorod, nel 1021. Sconfitto da Jaroslav, Brjačislav fu costretto a trattare la pace.
Brjačislav si spense nel 1044. Gli succedette il figlio Vseslav, il principe-stregone, uno dei personaggi più inquietanti della storia medievale russa. Generato dalla madre per magia, costui era nato con la membrana amniotica che aderiva al capo: su consiglio dei volchvi, gli stregoni, quella membrana gli fu attaccata al collo. Crudele e sanguinario, è dipinto nelle leggende come un lupo mannaro, in grado di trasformarsi in animale. Così nello Slovo:

Всеславъ князь людемъ судяше, княземъ грады рядяше, а самъ въ ночь влъкомъ рыскаше: изъ Кыєва дорискаше до куръ Тмутороканя, великому Хръсови влъкомъ путь прерыскаше. Vseslavŭ knjazĭ ljudemŭ sudjaše knjazemŭ grady rjadjaše, a samŭ vŭ nočĭ vlŭkomŭ ruskaše: izŭ Kyėva doriskaše do kurŭ Tmutorokan'ja, velikomu Chrŭsovi vlŭkomŭ putŭ preryskaše.Il principe Vseslav amministrava la giustizia, e governava i principi delle città, nella notte però galoppava come lupo, prima del canto del gallo correva da Kiev fino a Tmutorokan' e tagliava la strada al grande Chrŭsŭ.
Slovo o pŭlku Igorevě [88]



Vseslav Brjačislavovič
Monumento in Polock (Bielorussia)
Quando Vseslav Brjačislavovič entrò in scena, dicono le cronache, il sole si fece opaco come la luna e una stella rossa come il sangue si levava la sera dopo il tramonto.
Fatto sta che, nel 1067, Vseslav occupò Novgorod, città cara al gran principe Jaroslav, e l'abbandonò al saccheggio. Per vendicarsi, il gran principe Izjaslav Jaroslavič, insieme ai fratelli Svjatoslav e Vsevolod (Vjačeslav era morto dieci anni prima), presero Minsk, massacrando gli uomini e portando via donne e fanciulli come bottino. Dopodiché gli Jaroslaviči si scontrarono con le schiere di Vseslav sul fiume Neman, in un freddo assassino. La battaglia divenne una carneficina e Vseslav, avuta la peggio, si diede alla fuga.
I tre Jaroslaviči lo invitarono a trattare una tregua e garantirono la sua incolumità baciando solennemente la croce. Vseslav si lasciò convincere. Tornò indietro ma venne catturato. Condotto in catene a Kiev, fu gettato in carcere, insieme ai suoi due figli.
Così lo Slovo ricorda questi eventi:

Утръ же воззнис трикусы, отвори врата Нову-граду, разшибе славу Ярославу.Utrŭ že vozznis trikusy, otvori vrata Novu-gradu, razšibe slavu Jaroslavu.Al mattino [Vseslav] conficcò le asce, aprì le porte di Novgorod e distrusse la gloria di Jaroslav.
Скочи влъкомъ до Немиги съ Дудутокъ. На Немизѣ снопы стелютъ головами, молотятъ чепи харалужными, на тоцѣ животъ кладутъ, вѣютъ душу отъ тѣла.Skoči vlŭkomŭ do Nemigi sŭ Dudutokŭ. Na Nemizě snopy steljutŭ golovami, molotjatŭ čepi charalužnymi, na tocě životŭ kladutŭ, vějutŭ dušu otŭ těla.Balzò qual lupo da Dudutki fino al fiume Nemiga [Neman]. E là sulla Nemiga fanno covoni di teste, trebbiano con catene di ferro, gettano le vite sull'aia, vagliano le anime dai corpi.
Немизѣ кровави брезѣ не бологомъ бяхуть посѣяни, посѣяни костьми рускихъ сыновъ.Nemizě krovavi brezě ne bologomŭ bjachutĭ posějani, posějani kostĭmi ruskichŭ synovŭ.In tristo modo furono seminate le sponde insanguinate della Nemiga, furono seminate con le ossa dei figli di Rus'.
Slovo o pŭlku Igorevě [86-87]



Il 1068 fu un anno terribile per la Rus'. I Polovcy – una cui avanguardia aveva già violato i confini russi sette anni prima – arrivarono di nuovo, questa volta in massa. Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod si accinsero a respingerli, ma furono sbaragliati e ricacciati indietro. Izjaslav e Vsevolod tornarono precipitosamente a Kiev, Svjatoslav si rinchiuse a Černigov. I Polovcy, senza più nessuno a trattenerli, presero a saccheggiare i territori circostanti.
A Kiev, il popolo tenne il veče al mercato e chiese al gran principe Izjaslav cavalli e armi per sconfiggere gli invasori. Ma poiché Izjaslav stentava a prendere un atteggiamento deciso, i kievani insorsero, assaltarono il suo palazzo e lo deposero, saccheggiando i ricchi forzieri del gran principe. Izjaslav e Vsevolod fuggirono dalla città. A quel punto i Kievani liberarono Vseslav dalla prigione e lo nominarono gran principe della città.
Mentre a Kiev succedevano questi fatti, a Černigov i Polovcy stringevano d'assedio la città. Svjatoslav mise insieme una piccola družina e uscì contro di loro. Tremila uomini contro dodicimila pagani. Era un'impresa disperata, ma Svjatoslav non aveva nulla da perdere. Riuscì tuttavia a sconfiggere i nemici e tornò vittorioso alla sua città.
Nel frattempo, dopo essere scappato da Kiev, Izjaslav si era rifugiato nella terra dei Ljachi, in Polonia. Tornò l'anno successivo, alla testa dell'esercito polacco, guidato da re Bolesław II Szczodry. Vseslav, insediato a Kiev da sette mesi, fuggì di nascosto durante la notte, passando per Belgorod. L'intronizzazione e la fuga di Vseslav sono ricordati nello Slovo:

На седьмомъ вѣцѣ Трояни връже Всеславъ жребїй о дѣвицю себѣ любу. Тъй клюками подпръ ся о кони и скочи къ граду Кыєву и дотчеся стружїємъ злата стола кієвьскаго. Na sedĭmomŭ věcě Trojani vrŭže Vseslavŭ žrebïj o děvicju sebě ljubu. Tŭj kljukami podprŭ sja o koni i skoči kŭ gradu Kyẹvu i dotčesja stružïẹmŭ zlata stola kіẹvĭskago. Nella settima età di Trojan, gettò Vseslav le sorti per la fanciulla che tanto desiderava. E promettendo astutamente i cavalli, volò fino alla città di Kiev e con la lancia sfiorò il trono d'oro di Kiev.
Скочи отъ нихъ лютымъ звѣремъ въ плъночи, изъ Бѣла-града, обѣсися синѣ мъглѣ.Skoči otŭ nichŭ ljutymŭ zvěremŭ vŭ plŭnoči, izŭ Běla-grada, oběsisja sině mŭglě.Subito balzò lontano da Kiev, come belva feroce correndo a mezzanotte da Belgorod, ammantato di azzurra bruma.
Slovo o pŭlku Igorevě [84-85]



Il figlio di Izjaslav, Mstislav, precedette il padre a Kiev e fece sommariamente giustiziare i cittadini che avevano liberato Vseslav, per un totale di settanta persone; altri li fece accecare. Quando Izjaslav entrò in città, i kievani gli andarono incontro umilmente e lo accolsero come loro gran principe. Izjaslav ordinò a Mstislav di assumere il principato di Polock, in luogo di Vseslav. Ma Mstislav morì di lì a poco e il suo posto fu preso dal fratello Svjatopolk. Ma Vseslav scacciò Svjatopolk e tornò a insediarsi a Polock.
Nel 1073, i tre Jaroslaviči – Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod – si riunirono per concordare un'azione comune contro Vseslav. Se il loro piano non andò a buon fine, però, fu solo a causa dei contrasti che sorsero tra i tre fratelli. L'ambizioso Svjatoslav accusò Izjaslav di essersi alleato in segreto con Vseslav, e riuscì a trascinare anche Vsevolod dalla sua parte. Izjaslav dovette fuggire ancora una volta in Polonia.
In quanto a Vseslav di Polock, continuò a guerreggiare contro gli Jaroslaviči, finché morì anche lui, nel 1101.
Il tempo di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič Già principe di Černigov, Svjatoslav Jaroslavič si proclamò nel 1073 gran principe di Kiev, al posto del fratello Izjaslav. Non godette però a lungo del granprincipato: morì solo tre anni dopo, per un'ulcera. A quel punto, Izjaslav tornò dalla Polonia e Vsevolod, il quale nutriva anch'egli le medesime ambizioni su Kiev, mosse in armi contro di lui. I due però si riappacificarono e, nel 1077, Izjaslav assunse per la terza volta il titolo di gran principe di Kiev.
Izjaslav confermò o dispose i suoi parenti nei vari principati: i figli Svjatopolk e Jaropolk rispettivamente a Novgorod e Vyšegorod. Al figlio di Vsevolod, Vladimir Monomach (così chiamato perché sua madre Anastasía era figlia di Kōnstantínos IX Monomáchos, imperatore di Bisanzio), andò la città di Smolensk. Lo stesso Vsevolod si era ormai installato nell'importante città di Černigov, prima appartenuta a Svjatoslav.
Svjatoslav lasciava però alcuni figli, i quali, manco a dirlo, nutrivano mire su Černigov. Soprattutto Oleg Svjatoslavič – nonno del nostro principe Igor' – diventerà importante in questa fase della vicenda. Lo Slovo gli attribuirà la maggiore responsabilità per le discordie che lacereranno la Rus', e lo chiamerà, con gioco di parole inelegante, ma di indubbia efficacia, Gorislavič «figlio di Malagloria» (rovesciando il senso del patronimico Svjatoslavič «figlio di Santa Gloria»).

Тогда при Олзѣ Гориславличи сѣяшется и растяшеть усобицами, погибашеть жизнь Даждьбожа внука; въ княжихъ крамолахъ, вѣци человѣкомь скратишась. Togda pri Olzě Gorislavliči sějašetsja i rastjašetĭ usobicami, pogibašetĭ žiznĭ Daždĭboža vnuka; vŭ knjažichŭ kramolachŭ, věci čelověkomĭ skratišasĭ. Al tempo di Oleg Gorislavič, figlio di una gloria amara, si seminavano e crescevano le discordie, periva la potenza dei nipoti di Daž'bog e nelle contese dei principi si accorciava la vita alla gente.
Slovo o pŭlku Igorevě [40]

Nel 1078, alla testa delle sue schiere, Oleg Svjatoslavič si mosse alla conquista di Černigov. Con lui era suo cugino, l'orgoglioso Boris Vjačeslavič (figlio del defunto Vjačeslav Jaroslavič).
L'anno precedente (1077), approfittando del fatto che Vsevolod era partito ad affrontare Izjaslav, Boris aveva preso il potere a Černigov, con la probabile complicità di Oleg. Ma quando i due zii si erano riconciliati, Boris era fuggito dalla città, dopo soli otto giorni di principato, e aveva riparato a Tmutorokan', città posta sullo stretto di Kerč, all'ingresso del mar d'Azov. Lo stesso Oleg lo aveva raggiunto pochi mesi dopo. Il principe della città era uno dei fratelli di Oleg, Roman Svjatoslavič, detto il «bello» [Krasnyj] (Slovo [3]). Roman era stato presto coinvolto dallo spregiudicato fratello in un'alleanza con gli stessi Polovcy contro i propri parenti. L'alleanza era andata a buon fine, e ora i due cugini – Oleg e Boris – ritornavano nella Rus' alla testa di un contingente di mercenari polovesiani.
Era la prima volta che dei principi conducevano volontariamente un popolo nemico sul territorio russo. Vsevolod mosse contro di loro ma venne sconfitto e dovette riparare a Kiev. Oleg e Boris presero il potere a Černigov.
Questi eventi portarono a un avvicinamento tra Izjaslav e Vsevolod, i quali decisero di muovere un attacco congiunto ad Oleg e Boris. Mossero, dunque, da Kiev alla volta di Černigov. Con loro erano i rispettivi figli, Jaropolk Izjaslavič e Vladimir Monomach. Nel vedere schierato l'esercito kievano, Oleg propose di trattare la pace, ma Boris dichiarò orgogliosamente che avrebbe potuto tenere testa da solo all'intera armata. Il 3 ottobre 1078 i due eserciti si scontrarono a Nežatiaja Niva, presso il fiumicello Kanin, e la battaglia si trasformò in un massacro. A dispetto della sicumera esibita, Boris Vjačeslavič cadde ucciso quasi subito. Piuttosto che subire il rovescio, Oleg fuggì con la sua družina, riparando di nuovo a Tmutorokan'.
Nel corso della battaglia, però, cadde ucciso anche il gran principe Izjaslav, colpito alle spalle da una lancia. Il suo corpo fu portato in barca a Gorodec e poi, in slitta, fino a Kiev, dove venne sepolto con tutti gli onori. Il figlio Jaropolk lo seguì, piangendo, alla testa della družina. Così lo Slovo ricorda questi fatti (ma si noti la confusione di Jaropolk con l'altro figlio del gran principe, Svjatopolk):

Ступаєтъ въ златъ стремень въ градѣ Тьмутороканѣ, той же звонъ слыша давный великый Ярославь, а сынъ Всеволожь Владиміръ по вся утра уши закладаше въ Черниговѣ.Stupaẹtŭ vŭ zlatŭ stremenĭ vŭ gradě Tĭmutorokaně, toj že zvonŭ slyša davnyj velikyj Jaroslavĭ, а synŭ Vsevoložĭ Vladimіrŭ po vsja utra uši zakladaše vŭ Černigově.Saliva Oleg sulla staffa d'oro, nella città di Tmutorokan', e ne udiva il suono [il figlio dell']antico, grande Jaroslav, mentre il figlio di Vsevolod, Vladimir, a Černigov si turava le orecchie.
Бориса же Вячеславлича слава на судъ приведе и на Канину зелену паполому постла за обиду Олгову, храбра и млада князя.Borisa že Vjačeslavliča slava na sudŭ privede i na Kaninu zelenu papolomu postla za obidu Olgovu, chrabra i mlada knjazja.La brama di gloria trasse Boris Vjačeslavič al giudizio e sul Kanin gli fu steso un verde sudario per l'offesa arrecata ad Oleg, valente e giovane principe.
Съ тояже Каялы Святоплъкь повелѣ яти отца своєго междю угорьскими иноходьцы ко Святѣй Софїи къ Кієву.Sŭ tojaže Kajaly Svjatoplŭkĭ povelě jati otca svoẹgo meždju ugorĭskimi inochodĭcy ko Svjatěj Sofïi kŭ Kіẹvu. Così dal fiume Kajala ordinò Svjatopolk che il padre suo fra destrieri ungheresi fosse portato a Santa Sofia in Kiev.
Slovo o pŭlku Igorevě [38-39]

Morto Izjaslav, suo fratello Vsevolod assunse il granprincipato di Kiev, assegnò il figlio Vladimir Monomach a Černigov e diede a Jaropolk le città di Vladimir e Turov.
Negli anni successivi, i due Svjatoslaviči, Oleg e Roman, continuarono a far guerra a Vsevolod, nel tentativo di prendere il controllo del principato di Černigov. I due non si facevano scrupolo di utilizzare mercenari polovesiani per raggiungere i loro scopi, e questi ultimi erano ben felici di potersi intromettere nelle beghe interne della Rus' per ricavare a loro volta potere e bottino. Per tale ragione, Vsevolod si affrettò a stipulare la pace con i Polovcy, privando i suoi avversari della loro principale risorsa bellica. Roman fu ucciso dai Polovcy. Oleg, catturato dai Chazari, fu spedito in esilio in Grecia.
Nel 1093, alla morte del gran principe Vsevolod, rischiò di accendersi una nuova contesa tra suo figlio, Vladimir Monomach, e Svjatopolk, figlio di Izjaslav. Vladimir, saggiamente, lasciò il trono al cugino e si ritirò a Černigov. Poco dopo, però, ecco i Polovcy lanciare un nuovo, poderoso attacco alla Rus'. Svjatopolk chiese l'aiuto di Vladimir. Ma la contesa tra i due, che era stata evitata nella fase di successione, rischiò di riaccendersi alla vigilia della battaglia, in quanto Vladimir era propenso di trattare la pace con i nemici, mentre Svjatopolk intendeva combatterli. Si decise per la guerra, e le schiere russe, guadato il fiume Stugna, si gettarono sui Polovcy. Ma il nemico contrattaccò con tanta forza che i Russi furono costretti a ritirarsi. Nel guadare di nuovo il fiume, annegò Rostislav Vsevolodovič, fratello minore di Vladimir Monomach e principe di Perejaslavl', come ricorda lo Slovo.

Не тако ти [...] рѣка Стугна; худу струю имѣя, пожръши чужи ручьи и стругы, рострена к устью, уношу князю Ростиславу затвори. Днѣпрь темнѣ березѣ плачется мати Ростиславя по уноши Князи Ростиславѣ. Уныша цвѣты жалобою и древо с тугою къ земли прѣклонилось.Ne tako ti [...] rěka Stugna; chudu struju iměja, požrŭši čuži ručĭi i strugy, rostrena k ustĭju, unošu knjazju Rostislavu zatvori. Dněprĭ temně berezě plačetsja mati Rostislavja po unoši Knjazi Rostislavě. Unyša cvěty žaloboju i drevo s tugoju kŭ zemli prěklonilosĭ.Non così [...] il fiume Stugna che con scarsa corrente, dopo aver superato gli altri ruscelli e torrenti, si apre verso la foce. Il principe Rostislav inghiottì nel suo fondo. Presso la buia riva, piange la madre di Rostislav, piange la madre del giovane principe Rostislav, intristiti appassiscono i fiori, per l'angoscia si piegano gli alberi a terra.
Slovo o pŭlku Igorevě [107]

Imbaldanziti dalla vittoria, i Polovcy saccheggiarono il paese, dando fuoco alle città e prendendo schiavi uomini e donne. Fu un periodo terribile per la Rus', e dovunque si vedevano solo disperazione, fame, gelo e miseria.
Nel 1094, Svjatopolk accondiscese a trattare con i Polovcy. Fu stipulata nuovamente la pace e Svjatopolk sposò la figlia del capo nemico, Tugorkān. Ma intanto ecco ricomparire Oleg Svjatoslavič. Ritornato dalla Grecia e ripreso il controllo di Tmutorokan', Oleg si mise per ancora una volta alla testa dei suoi mercenari polovesiani e – quasi un chiodo fisso – tornò ad assediare Černigov. Piuttosto che combattere, Vladimir Monomach consegnò la città ad Oleg e si ritirò a Perejaslavl'.
Gli anni successivi furono confusi e convulsi. Approfittando dei dissidi tra i principi russi, i Polovcy tornarono più volte a violare i confini della Rus', compiendo scorrerie sempre più devastanti. Svjatopolk e Vladimir chiesero a Oleg, ormai stabilmente insediato a Černigov, di unirsi a loro per combattere il comune nemico, ma quest'ultimo finse di accondiscendere per poi schierarsi ancora una volta dalla parte dei nemici. I due principi si trovarono così combattere su due fronti: da un lato contro i Polovcy, che continuavano a devastare il territorio russo, dall'altra contro l'infido Oleg Svjatoslavič, il quale faceva continuamente il doppio gioco ai loro danni.
Nel corso degli scontri, Oleg riuscì a conquistare Rostov, Beloozero e Suzdal', e poi anche Murom, prendendo in pratica il controllo di tutta la Rus' orientale. Nel corso di questi scontri, cadde Izjaslav Vladimirovič, figlio di Vladimir Monomach. Inutilmente l'altro figlio del principe, Mstislav, signore di Novgorod, invitò Oleg a trattare la pace. Per tutta risposta, Oleg mise a ferro e a fuoco la città di Suzdal'. Ormai esasperati, Vladimir e Mstislav si mossero con gran dispiego di forze e attaccarono Oleg a Rjazan', costringendolo alla fuga. Nel 1097, Oleg fu messo con le spalle al muro e costretto ad accordarsi con i suoi cugini e nipoti. Nel 1107, dopo una serie di sanguinose battaglie, Šarukan, capo dei Polovcy, venne finalmente messo in fuga da una coalizione a cui partecipavano il gran principe Svjatopolk Izjaslavič, Vladimir Monomach e lo stesso Oleg Svjatoslavič.
Svjatopolk morì nel 1113 e Vladimir II Monomach divenne gran principe di Kiev. Fu uno dei maggiori sovrani della storia russa e, sotto il suo oculato governo, la minaccia rappresentata dai Polovcy venne finalmente contenuta. In quanto a Oleg Svjatoslavič, il «figlio di Malagloria», si spense due anni dopo, nel 1115.
L'epoca del principe Igor' Alla morte di Vladimir II Monomach, nel 1125, gli succede sul trono il figlio Mstislav Vladimirovič, detto il «grande» [Velikij]. È l'ultimo gran principe di Kiev di una certa levatura, e rimarrà sul trono fino al 1132. Ma, da questo punto in poi, riassumere gli avvicendamenti al granprincipato di Kiev diviene impresa improba, tanti sono i principi che giocano a rubarsi il trono a vicenda per tutto il XII secolo, peraltro con la continua e incessante ostilità degli ol'goviči.
Igor' Svjatoslavič
Monumento in Novgorod-Severskij [Novhorod-Sivers'kyj] (Ucraina)
I discendenti di Oleg Svjatoslavič, nemmeno a dirlo, continuavano a rappresentare una bella spina nel fianco per gli jaroslavli. Oleg aveva infatti lasciato un certo numero di figli, tra cui vanno citati almeno tre: Vsevolod, Igor' e Svjatoslav Ol'goviči.
Il maggiore, Vsevolod Ol'govič, aveva tentato a suo tempo una riconciliazione con l'altro ramo della famiglia, sposando la figlia di Mstislav Vladimirovič. Da questa aveva avuto due figli, Svjatoslav e Jaroslav, i quali avranno a loro volta un ruolo importante nello Slovo. Vsevolod divenne gran principe nel 1139. Alla sua morte, nel 1146, ebbe la malaugurata idea di disegnare quale successore il fratello Igor', nonostante le resistenze degli altri principi e del popolo kievano. Igor' Ol'govič aveva infatti ereditato le peggiori qualità del suo genitore: era infido, disonesto e violento, e dopo neppure due settimane di regno venne deposto da Izjaslav, figlio di Mstislav Vladimirovič. Gettato in prigione, Igor' si ammalò e chiese di farsi monaco. Ma l'anno successivo (1147), nonostante il saio, venne linciato dalla folla, per timore che volesse usurpare il trono.

Il fratello minore di Vsevolod e Igor', Svjatoslav Ol'govič, riuscì invece a fuggire. Costui condusse una vita di continue battaglie e fu fiero alleato dei Polovcy contro i suoi stessi parenti. Aveva sposato una principessa polovesiana, da cui aveva avuto un figlio, Oleg. In seguito, contratto un nuovo matrimonio, con una donna russa, aveva avuto altri due figli, Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči.
Nel 1173, dopo vari eventi e un'impressionante sequela di gran principi, salì al trono Rjurik II Rostislavič. Era figlio di Rostislav Mstislavič, figlio di Mstislav Vladimirovič.

Rjurik era un uomo intelligente, amante della letteratura e dell'arte, orgoglioso e generoso al tempo stesso. Ardimentoso in battaglia, disinvolto nel trattare le proprie alleanze, era anche un abile stratega e in più poteva contare su una družina militarmente esperta. Appena salito al trono, si trovò subito a fronteggiare la minaccia rappresentata dal principe del piccolo feudo di Putivl', Igor' Svjatoslavič, il quale aveva ottenuto ancora una volta il sostegno dei Polovcy. Questo Igor' era il figlio di Svjatoslav Ol'govič. Rjurik mosse contro i lui e lo sconfisse presso il fiume Voroskla. Igor' riuscì tuttavia a fuggire, aiutato dal qān Končak (il quale in seguito diventerà suo nemico, come leggiamo nello Slovo).

Il granprincipato di Rjurik si rivelò, da subito, piuttosto traballante. Per quanto la sconfitta di Igor' fosse stata salutata come una vittoria della Rus', la presenza degli ol'goviči non gli dava sicurezza. Rjurik decise allora per una soluzione di compromesso, e cedette il controllo di Kiev all'allora principe di Černigov, Svjatoslav Vsevolodovič (il figlio di Vsevolod Ol'govič), mantenendo per sé il governo delle altre città del principato. In cambio, gli ol'goviči si impegnarono a rompere la secolare alleanza con i Polovcy. Questi fatti determinarono un mutamento di politica da parte dei discendenti di Oleg. Lo stesso principe Igor', per lealtà al ramo di Černigov, finì per schierarsi con il nuovo gran principe, Svjatoslav III Vsevolodovič, il quale era suo cugino.
Nonostante i buoni propositi, sarebbe incauto affermare che la decisione di Rjurik portasse stabilità nell'irrequieta politica interna della Rus'. Il granprincipato di Rjurik fu quanto mai convulso: egli spese la sua esistenza in pressoché ininterrotte spedizioni belliche, contro nemici interni ed esterni. Per ben sette volte arrivò a conquistare l'aureo trono di Kiev, trono che, in due occasioni, cedette con sprezzo ai rivali sconfitti. Rjurik ebbe tuttavia con Svjatoslav un rapporto assai collaborativo, tanto che i due finirono addirittura per co-regnare per alcuni anni (1182-1194). Tra alti e bassi, il regno di Rjurik e Svjatoslav caratterizzò l'ultimo quarto del XII secolo, soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra Russi e Polovcy.
Gli ormai secolari nemici occupavano, all'epoca, tutto il litorale nord del Mar Nero, fino all'ansa del Don. Alcuni territori un tempo appartenuti alla Rus' – come la città di Tmutorokan' – erano nelle loro mani. La cronica debolezza politica della Rus', li favoriva nelle continue incursioni e schermaglie di confine. Ma ottenuta la fedeltà degli ol'goviči, Rjurik e Svjatoslav provvidero a creare una coalizione, per quanto fragile, tra i vari principi, in modo da schiacciare definitivamente le velleità dei Polovcy. Diverse spedizioni furono organizzate negli anni successivi, perlopiù con esiti positivi, soprattutto le campagne del 1183 e 1184. Non solo i Polovcy vennero sbaragliati, ma il qān Kobjak venne catturato e condotto prigioniero a Kiev dove, sembra, venne giustiziato.
Il principe Igor' Svjatoslavič non poté prendere parte a nessuna delle due campagne, per ragioni climatiche. Nel 1180, infatti, era divenuto signore di Novgorod-Severskij, una cittadina di ubicazione piuttosto nordica. In quelle regioni, il ghiaccio serrava la terra fino a primavera inoltrata e il disgelo rendeva poi intransitabili le campagne, ostacolando la discesa a sud della cavalleria. Per ben due volte, Igor' aveva visto sfumare l'occasione di partecipare a spedizioni tanto importanti. Tantopiù che, dopo il suo passato di amicizia con i Polovcy, il principe ambiva mostrare la sua fedeltà a Kiev e, soprattutto, a suo cugino, il gran principe Svjatoslav.
Fu questa la principale ragione per cui, nella primavera del 1185, egli partì per la sua famosa, sfortunata campagna. Non si esclude che a tanto azzardo lo avesse condotto il desiderio di riconquistare alla Rus' lo sbocco sul Mar Nero e agli svjatoslavli di riprendersi la città di Tmutorokan', di cui un tempo era stato principe nonno Oleg.

I fatti del 1185 Le due redazioni del Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ concordano con lo Slovo nei punti fondamentali della vicenda igoriana.
Igor' Svjatoslavič lasciò la città di Novgorod-Severskij il 23 aprile 1185, alla testa delle sue schiere. Insieme a lui, la sposa Evfrosina Jaroslavna, figlia del principe di Galič, Jaroslav Vladimirovič detto Osmomysl, dall'«ottuplice pensiero». (Costui discendeva da Vladimir, figlio di Jaroslav il «saggio». Questi, come si ricorderà, era morto prima di suo padre, ragion per cui i suoi discendenti erano stati esclusi dalla possibilità di accedere al granprincipato di Kiev e si erano dovuti accontentare di feudi minori).
Pochi giorni dopo, l'armata di Igor' giunse alla città di Putivl', di cui era allora signore il principe Vladimir Igorevič (figlio dello stesso Igor'). Lasciata Evfrosina a Putivl', Igor' e Vladimir si misero in marcia verso sud, alla testa del loro esercito.
La sera del 1° maggio, martedì, giunte le schiere presso il fiume Donec, si verificò l'eclisse narrata nello Slovo. Il sole si oscurò, divenne verdognolo, e le stelle comparvero in cielo in pieno giorno. Gli uomini, inquieti, cominciarono a mormorare tra loro, ma Igor' li riprese fieramente: «Nessuno conosce i misteri divini, e Dio è l'autore del segno come del mondo intero. E ciò che Dio ci darà, sia per il bene che per il male, lo vedremo!» (Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6694/1185]). E detto ciò, guadò fieramente il Donec.
Giovedì 3 maggio, dopo due giorni di attesa, giunse il fratello di Igor', Vsevolod Svjatoslavič, principe di Trubčevsk, alla testa di una formidabile armata raccolta presso Kursk. Organizzato l'esercito, il principe Igor' tenne il suo discorso. Dopodiché l'armata si rimise in marcia. I quattro partecipanti alla spedizione (i «quattro soli» dello Slovo) erano dunque:
  • Igor' Svjatoslavič, principe di Novgorod-Severskij;
  • Vsevolod Svjatoslavič, suo fratello, principe di Trubčevsk e di Kursk;
  • Vladimir Igorevič, suo figlio, principe di Putivl';
  • Svjatoslav Ol'govič (figlio di Oleg Svjatoslavič), suo nipote, principe di Ryl'sk.
Evfrosina Jaroslavna
Monumento in Novgorod-Severskij [Novhorod-Sivers'kyj] (Ucraina)


Venerdì 4 maggio, all'ora di pranzo, i Russi arrivarono in vista dei Polovcy, i quali si erano attendati presso la riva di un fiume. Schierate le compagnie, Igor' diede l'ordine di attacco. Presi di sorpresa, i Polovcy si diedero alla fuga, ma i Russi li inseguirono, li sgominarono e fecero molti prigionieri. Poi i soldati di Igor' piombarono sull'accampamento polovesiano e lo saccheggiarono, catturando donne e bambini.

Quella sera, i Russi festeggiarono la facile vittoria, tra sogni di gloria. «E ora inseguiremo i Polovcy oltre il Don e li sconfiggeremo del tutto. E se anche lì avremo vittoria, li inseguiremo fino al litorale, dove neppure i nostri avi sono andati, e ci prenderemo la nostra gloria e il nostro onore fino in fondo!» (Se pověsti vremjanĭnichŭ lětŭ [6694/1185]).

Ma all'alba del mattino successivo, sabato 5 maggio, comparvero da lontano le schiere polovesiane, ed erano talmente fitte e numerose che i Russi ne furono sgomenti. I principi compresero che, affidandosi ai loro cavalli, avrebbero potuto giungere al Donec e salvarsi, ma così facendo avrebbero sacrificato la fanteria. Rimasero dunque sul posto, ad affrontare il nemico. I Russi si batterono fino a sera, e il principe Igor' fu ferito a un braccio.

Il combattimento durò tutta la notte e proseguiva ancora all'alba di domenica. Vsevolod si batteva con impeto e coraggio, e Igor', in sella al suo cavallo, cercava di tenere compatte le schiere che iniziavano a disgregarsi. Gli uomini presero a fuggire verso il lago, sfiniti dalla sete, ma i Polovcy li chiusero presso la riva e li massacrarono. Molti caddero, i družinniki vennero uccisi, i quattro principi fatti prigionieri.
Igor' fu catturato da un uomo di nome Čilbuk della tribù dei Targol, ma al campo polovesiano fu lo stesso qān Končak – il suo ex alleato – a occuparsi di lui, poiché era ferito.
Dopo quella vittoria, i Polovcy s'inorgoglirono e tornarono a saccheggiare la Rus'. Dopo aver messo a ferro e a fuoco i villaggi lungo la Sula, piombarono su Perejaslavl'. Il principe della città era Vladimir Glebovič. Costui era figlio del gran principe Gleb Jur'evič (a sua volta figlio di Jurij I Vladimirovič Dolgorukij, figlio di Vladimir II Monomach); sua sorella, che lo Slovo chiama con il semplice patronimico di Glebovna, aveva sposato Vsevolod Svjatoslavič (fratello del nostro Igor'). Vladimir scese in combattimento, alla testa di un'esigua družina, cercando di respingere i nemici. Era un uomo abile e assai coraggioso; ciononostante, venne riportato in città dai suoi uomini, ferito da tre lance. Sofferente, inviò messaggeri ai gran principi, Rjurik e Svjatoslav, informandoli del pericolo e implorandoli di correre in suo soccorso.
Il gran principe Svjatoslav Vsevolodovič si trovava a Černigov, quando gli giunse la notizia della disfatta di Igor'. Ne fu terribilmente contrariato. La sconsiderata iniziativa di Igor' rischiava di mandare all'aria tutti gli sforzi da lui compiuti per contrastare i Polovcy. Oltretutto, di fronte alle terribili notizie che giungevano dalla Sula e da Perejaslavl', il panico cominciava a dilagare tra il popolo russo. Svjatoslav mandò subito un'ambasciata al fratello di Rjurik, Davyd Rostislavič, principe di Smolensk, avvertendolo della necessità di armarsi contro i Polovcy. Questo Davyd conservava tuttavia un equilibrio piuttosto delicato con i Polovcy (la sua stessa moglie era polovesiana) e, già in passato, aveva mantenuto un atteggiamento ambivalente, evitando di combattere contro il popolo di suo suocero. Svjatoslav perse del tempo prezioso attendendo rinforzi che non arrivarono mai. I principi russi riuscirono a riunirsi con grave ritardo e, quando giunsero a Perejaslavl', i Polovcy avevano già alzato le tende e Vladimir Glebovič era ormai in fin di vita. Sarebbe morto due anni dopo.

La situazione degenerava rapidamente. Pochi giorni dopo, i Polovcy piombarono su Rimov. Gli abitanti si barricarono nella città e, dai bastioni, osservavano sgomenti i nemici che assediavano la città. Allora un lato del muro di cinta, carico di gente, crollò. Una parte dei nemici rimase schiacciata; gli altri approfittarono però del varco e penetrarono nella città, mettendola a ferro e a fuoco. Gli abitanti di Rimov furono massacrati o presi prigionieri. Solo alcuni, guadando gli acquitrini, riuscirono a salvarsi.
Intanto, Igor' Svjatoslavič si trovava prigioniero presso l'accampamento di Končak, oppresso dal rimorso per tutte le catastrofi di cui era o si sentiva responsabile, in colpa per tutto il sangue cristiano versato a causa del suo orgoglio. I Polovcy lo trattavano con tutti i riguardi. Venti guardiani lo seguivano, lo servivano e lo tenevano d'occhio in par misura. Igor' poteva andare dove voleva, persino a caccia col falcone, e tutti i suoi ordini erano subito eseguiti senza discutere. Gli era stato persino permesso di tenere un pope con tutto l'occorrente per celebrare la messa.

Nonostante ciò, Igor' non smetteva di pensare alla fuga. Cosa non facile, visto che l'accampamento era completamente circondato dalle schiere nemiche. Lo tratteneva inoltre il pensiero dei suoi družinniki, anch'essi prigionieri, e non se la sentiva di fuggire da solo, abbandonandoli in mano ai Polovcy. Ma quando, dopo i fatti di Perejaslavl', cominciò a girare voce che i Polovcy avevano intenzione di ucciderlo, Igor' tornò ad accarezzare il suo progetto. Non sarebbe mai riuscito a organizzare una fuga in massa, ma poteva liberare sé stesso. Poteva peraltro contare sull'aiuto di un giovane, figlio di un polovesiano e di una russa, che gli era affezionato, certo Lavor (è il Vlur dello Slovo). Così una sera, al tramonto, ora in cui i polovesiani erano ebbri di kumys, Igor' mandò Lavor ad attenderlo con un cavallo presso il Donec. Poi, dopo aver pronunciato un'ultima preghiera, prese con sé croce e icona, e sgattaiolò da sotto la tenda. I suoi guardiani ridevano e giocavano, convinti che dormisse. Invece Igor' arrivò all'esterno dal campo e, giunto al fiume, lo guadò e montò a cavallo. Dopodiché lui e Lavor si allontanarono.
Igor' impiegò undici giorni per arrivare alla città di Donec. Dopo essersi riposato e rifocillato, raggiunse Novgorod-Severskij. Solo in seguito si spostò a Černigov e, da qui, raggiunse Kiev, dove fu ricevuto, con gran sollievo, dai gran principi Svjatoslav e Rjurik.
Qui si conclude lo Slovo. Successivamente, come anche anticipato nel poema, tra Russi e Polovcy interverrà un accordo suggellato da un matrimonio politico tra Vladimir Igorevič e la figlia del capo polovesiano Končak.

Dopo la morte di Svjatoslav III Vsevolodovič, nel 1194, il gran principe Rjurik continuò a regnare da solo, e le cose non dovettero andargli molto bene se, nel 1203, assaltò e saccheggiò la stessa Kiev, alla testa di un esercito che comprendeva Russi e Polovcy. Il principe Igor' era morto poco tempo prima (1201/1202).
Ma la grande stagione della Rus' kievana si avviava al tramonto. Non molti anni dopo, nel 1223, Russi e Polovcy vennero sconfitti dai Mongoli presso il fiume Kalka, a nord del mar d'Azov. Era solo l'inizio della fine. Quindici anni più tardi, i generali di Čïŋġïz Qān avrebbero marciato su Kiev e imposto una dura dominazione che sarebbe durata due secoli.

 
Elenchiamo qui la maggior parte dei nomi
dei principi russi citati nel poema, nelle note e
negli approfondimenti storici, secondo le linee maschili (le genealogie vengono seguite fino a Vladimir I il «santo», Jaroslav I Vladimirovič il «saggio», Vladimir II Vsevolodovič Monomach e Oleg Svjatoslavič/Gorislavič). Per ciascun nome, vengono fornite le principali parentele e la successione dei vari principati.
Seguono piccole annotazioni sulla sua presenza e il ruolo nello Slovo o pŭlku Igorevě, con i rimandi testuali. Le voci sono elencate alfabeticamente: nome, patronimico, soprannome. Eventuali numeri romani (non considerati ai fini dell'ordine alfabetico) indicano l'ordine di successione al granprincipato di Kiev.
Boris Vjačeslavič (1053-1078). Figlio di Vjačeslav Jaroslavič (figlio di Jaroslav il «saggio»). Principe di Tmutorokan' (♔ 1077-1078). — Alleato del cuigno Oleg Svjatoslavič, morì nella battaglia di Nežatiaja Niva. Il poema lo rappresenta steso un sudario d'erba sulla riva del fiume Kajala. → Slovo [38].

Brjačislav Izjaslavič (±997-1044). Figlio di Izjaslav Vladimorovič (figlio di Vladimir I il «santo»); padre di Vseslav Brjačeslavovič. Principe di Polock (♔ 1001-1044).

Davyd Rostislavič († 1197). Figlio di Rostislav I Mstislavič (figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir Monomach); fratello di Rjurik Rostislavič. Tra l'altro, principe di Smolensk (♔ 1054-1055). — Il poema lamenta il suo mancato intervento a favore del principe Igor' e quindi in aiuto di Vladimir Glebovič di Perejaslavl': i gloriosi stendardi che Rjurik e Davyd Rostislaviči hanno ereditato dall'antico principe Vladimir, per sua colpa, sventolano disgiunti. → Slovo [73 | 93].

Davyd Svjatoslavič († 1123). Figlio di Svjatoslav II Jaroslavič (figlio di Jaroslav I il «saggio»); fratello di Gleb, Roman e Oleg Svjatoslaviči. Tra l'altro, principe di Černigov (♔ 1097-1123).

Gleb Jur'evic († 1171). Figlio di Jurij I Vladimirovič Dolgorukij (figlio di Vladimir Monomach); padre di Vladimir Glebovič di Perejaslavl'; suocero di Vsevolod Svjatoslavič. Principe di Kursk (♔ 1147), di Kanev (♔ 1149), di Perejaslavl' (♔ 1155-1169) e gran principe di Kiev (♔ 1169 | ♔ 1170-1171). — Sua figlia, che il poema chiama con il semplice patronimico Glebovna, è sposa di Vsevolod Svjatoslavič (fratello di Igor').

Gleb Svjatoslavič († 1078). Figlio di Svjatoslav II Jaroslavič (figlio di Jaroslav I il «saggio»); fratello di Roman, Davyd e Oleg Svjatoslaviči. Principe di Tmutorokan' (♔ 1066-1068).

IGOR Svjatoslavič (1151-1201/1202).
Figlio di Svjatoslav Ol'govič (figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič).
Fratello di Oleg e Vsevolod Svjatoslaviči.
{adre di Vladimir Igorevič
Zio di Svjatoslav Ol'govič.
Dapprima principe del piccolo feudo di Putivl' (♔ 1164-1180),
quindi di Novgorod-Severskij (♔ 1180-1198),
Igor' succedette infine al padre sul trono di Černigov (♔ 1198-1202). —
È il protagonista del poema. → Slovo [1 | 5-7 | 11 | 14 | 16 | 18 | 20 | 31 | 45 |51 | 55-57 | 67 | 73-74 | 76-77 | 98-99 | 101 | 103-106 | 108 | 115-116 | 118-119].

Ingvar' I Jaroslavič (±1152-1220). Figlio di Jaroslav II Izjaslavič (figlio di Izjaslav II Mstislavič, figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di Mstislav il «muto» e Vsevolod Jaroslaviči. Principe di Dorogobuž, di Luck, gran principe di Kiev (♔ 1202), principe di Volyn' (♔ 1207) e di nuovo gran principe di Kiev (♔ 1214). — È uno dei principi oggetto dell'appello lanciato dall'autore del poema. → Slovo [79].

Izjaslav I Jaroslavič (1024-1078). Figlio di Jaroslav I Vladimirovič il «saggio»; fratello di Svjatoslav II e Vsevolod I Jaroslaviči. Principe di Turov (♔ 1042-1078), gran principe di Kiev (♔ 1054-1073 | ♔ 1076-1078). — Morì nella battaglia condotta contro Oleg Svjatoslavič/Gorislavič, a Nežatiaja Niva (3 ottobre 1078). → Slovo [37 | 39].

Izjaslav II Mstislavič (1097-1154). Figlio di Mstislav Vladimirovič il «grande» (figlio di Vladimir II Monomach); padre di Mstislav e Jaroslav Izjaslaviči. Principe di Perejaslavl' (♔ 1132), di Turov (♔ 1132-1134), di Rostov (♔ 1134), di Volyn' (♔ 1134-1142), di nuovo di Perejaslavl' (♔ 1143-1145), e gran principe di Kiev (♔ 1146-1149 | ♔ 1151-1154).

Izjaslav Vladimirovič (978-1001). Figlio di Vladimir I Svjatoslavič il «santo»; fratello di Jaroslav I Vladimirovič il «saggio», di Svjatopolk I Vladimirovič il «dannato» e di Mstislav Vladimirovič il «coraggioso»; padre di Brjačislav Izjaslavič (a sua volta padre di Vseslav Brjačislavič). Principe di Polock (♔ 989-1001) e antenato dei principi di quella città.

Jaropolk Izjaslavič († 1087). Figlio di Izjaslav I Jaroslavič (figlio di Jaroslav I il «saggio»); fratello di Mstislav e Svjatopolk Izjaslaviči. Principe di Turov e di Volyn' (♔ 1078-1087).

Jaroslav II Izjaslavič († 1080?). Figlio di Izjaslav II Mstislavič (figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di Mstislav Izjaslavič; padre di Mstislav il «muto», Ingvar' e Vsevolod Jaroslaviči. Principe di Turov (♔ 1146), Novgorod (1148-1154), Luck (1157-1180) e gran principe di Kiev (1174–1175 | ♔ 1180).

Jaroslav I Vladimirovič Mudryj, il «saggio» (978-1054). Figlio di Vladimir I Svjatoslavič il «santo»; fratello di Svjatopolk I Vladimirovič il «dannato», di Mstislav Vladimirovič il «coraggioso» e di Izjaslav Vladimirovič di Polock; padre di Vladimir, Izjaslav, Svjatoslav, Vsevolod e Vjačeslav Jaroslaviči. Principe di Rostov (978-1010), principe di Novgorod (1010-1019) e gran principe di Kiev (1019-1054). — Jaroslav fu l'antenato di tutti i principi russi, gli Jaroslavli, eccetto quelli del ramo di Polock, i quali discendevano invece da Izjaslav. → Slovo [3 | 36-37 | 83 | 86 | 113].

Jaroslav Vladimirovič Osmomysl, «ottuplice pensiero» (1135-1187). Discendente di Jaroslav I Vladimirovič il «saggio» (era infatti figlio di Vladimir Volodarevič, figlio di Volodar Rostislavič, figlio di Rostislav Vladimirovič, figlio di Vladimir Jaroslavič di Novgorod; quest'ultimo era il maggiore dei figli di Jaroslav I il «saggio»); padre di Evfrosina Jaroslavna (sposa del principe Igor'). Principe di Galič. — Esaltato dal poema come difendore della Rus' nei confronti degli Ungheresi, viene invocato per accorrere in aiuto del principe Igor', suo genero. → Slovo [74].

Jaroslav Vsevolodovič (1139-1198). Figlio di Vsevolod II Ol'govič (figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič); fratello di Svjatoslav III Vsevolodovič. Principe di Ropesk (±1146-1166), di Starodub (1166-1176) e di Černigov (1176-1198). — Teneva quest'ultimo titolo all'epoca della spedizione del principe Igor'. → Slovo [69].

Jurij I Vladimirovič Dolgorukij, dal «lungo braccio» (1099-1157). Figlio di Vladimir II Monomach; fratello di Mstislav Vladimirovič; padre, tra gli altri, di Gleb Jur'evič. Principe di Rostov e Suzdal' (1108-1157) e gran principe di Kiev (1149-1151 | ♔ 1155-1157). — È il tradizionale fondatore della città di Mosca.

Mstislav Izjaslavič († 1068). Figlio di Izjaslav I Jaroslavič (figlio di Jaroslav I il «saggio»); fratello di Jaropolk e Svjatopolk Izjaslaviči.

Mstislav II Izjaslavič († 1172). Figlio di Izjaslav II Mstislavič (figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di Jaroslav II Izjaslavič, padre di Roman Mstislavič il «grande». Principe di Perejaslavl' e di Volyn', poi gran principe di Kiev (1167-1169 | ♔ 1170).

Mstislav Jaroslavič Nemoj il «muto» († 1226). Figlio di Jaroslav II Izjaslavič (figlio di Izjaslav II Mstislavič, figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di Ingvar' e Vsevolod Jaroslaviči. Principe di Peresopnica (1180-±1220) e, insieme, di Galič (1212-1213), poi di Luck (±1220-1226). — Lo si identifica con uno dei principi oggetto dell'appello lanciato dall'autore del poema. → Slovo [75].

Mstislav Vladimirovič Chrabryj, il «coraggioso» (±978-1036). Figlio di Vladimir I Svjatoslavič il «santo»; fratello di Jaroslav I Vladimirovič il «saggio», di Svjatopolk I Vladimirovič il «dannato» e di Izjaslav Vladimirovič di Polock. Principe di Tmutorokan' (990-1024) e di Černigov (1024-1036). → Slovo [3].

Mstislav I Vladimirovič Velikij, il «grande» (±1076-1132). Figlio di Vladimir II Monomach; fratello di Jurij I Dolgorukij. Principe di Novgorod (1081-1093), di Rostov (1095-1117) e, insieme al padre, di Belgorod (1117-1125); gran principe di Kiev (1125-1132).

Oleg Svjatoslavič (?-?). Figlio di Svjatoslav Ol'govič (figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič); fratello di Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči, eroi del poema; padre di Svjatoslav Ol'govič.

Oleg Svjatoslavič Gorislavič, il «figlio di Malagloria» (1053?-1115). Figlio di Svjatoslav II Jaroslavič (figlio di Jaroslav I il «saggio»); fratello di Gleb, Roman e Davyd Svjatoslaviči; padre di Izjaslav, Igor' e Svjatoslav Ol'goviči; nonno di Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči, eroi del poema. Principe di Volyn' (1073-1076), di Černigov (1078), di Tmutorokan' (±1083), di nuovo di Černigov (1094 | 1097) e infine di Novgorod-Severskij (1097-1115). — Partecipò alle lotte scatenatesi per il gran principato, per di più assoldando i Polovcy contro i propri parenti. Il poema attribuisce a lui la responsabilità di buona parte delle discordie che affliggono la Rus'. → Slovo [27 | 36-38 | 40 | 113].

Rjurik II Rostislavič († 1215). Figlio di Rostislav I Mstislavič (figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di Davyd Rostislavič. Dapprima principe di Novgorod ( 1170-1171), poi gran principe di Kiev ( 1173), quindi principe di Belgorod Kievsky ( 1173-1194), per altre quattro volte gran principe di Kiev ( 1180-1202 | ♔ 1203-1205 | ♔ 1206 | ♔ 1207-1210), co-regnando anche con Svjatoslav III Vsevolodovič ( 1182-1194); infine principe di Černigov ( 1210-1214). → Slovo [73 | 93].

Roman Mstislavič Velikij, il «grande» (1160-1205). Figlio di Mstislav II Izjaslavič (figlio di Izjaslav II Mstislavič, figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di Svjatoslav e Vsevolod Mstislaviči. Principe di Novgorod ( 1168-1170), di Volyn' ( 1170-1189), e quindi di Galič e Volyn' ( 1189-1205). — Lo si identifica con uno dei principi oggetto dell'appello lanciato dall'autore del poema. → Slovo [75 | 79?].

Roman Svjatoslavič Krasnij, il «bello» (±1053-1079). Figlio di Svjatoslav II Jaroslavič (figlio di Jaroslav I il «saggio»); fratello di Gleb, Davyd e Oleg Svjatoslaviči. Principe di Tmutorokan' ( 1069-1079). → Slovo [3].

Rostislav I Mstislavič (1110-1167). Figlio di Mstislav I Vladimirovič (figlio di Vladimir II Monomach); padre di Rjurik e Davyd Rostislaviči. Principe di Smolensk ( 1125-1160), di Novgorod ( 1154), gran principe di Kiev ( 1154 | ♔ 1159-1167).

Rostislav Vsevolodovič (1070-1093). Figlio di Vsevolod I Jaroslavič (figlio di Jaroslav I il «saggio»); fratello di Vladimir II Monomach. Principe di Perejaslavl'l (1078-1093). — Il poema ricorda il suo annegamento nel fiume Stugna. → Slovo [107].

Svjatopolk II Izjaslavič (1050-1113). Figlio di Izjaslav I Jaroslavič (figlio di Jaroslav I il «saggio»); fratello di Mstislav e Jaropolk Izjaslaviči. Principe di Novgorod (1078-1088), di Turov (1088-1093) e, infine, gran principe di Kiev (1093-1113). — Lo Slovo, confondendolo con il fratello Jaropolk, lo rappresenta nell'atto pietoso di trasportare il corpo del padre, caduto nella battaglia di Nežatiaja Niva (1078), tra due cavalli ungheresi. → Slovo [39].

Svjatopolk I Vladimirovič Okajanij, il «dannato» (±980-1019). Figlio di Vladimir I Svjatoslavič il «santo»; fratello di Jaroslav I Vladimirovič il «saggio», di Mstislav Vladimirovič il «coraggioso» e di Izjaslav Vladimirovič di Polock. Principe di Turov (988-1019) e poi gran principe di Kiev (1015-1019). — Lottò per il potere contro i suoi fratelli; uccise Boris e Gleb; sconfitto dal fratello Jaroslav, morì durante la fuga.

Svjatoslav II Jaroslavič (1027-1076). Figlio di Jaroslav I il «saggio»; fratello di Izjaslav, Vsevolod e Vjačeslav Jaroslaviči; padre di Gleb, Roman, Davyd e Oleg Svjatoslaviči. Principe di Černigov (1054-1073), poi gran principe di Kiev (1073-1076). — Fu il capostipite della linea principesca di Černigov, città sulla quale regnarono i suoi due figli Oleg e Davyd Svjatoslaviči, i quali in seguito sfidarono l'autorità kievana.

Svjatoslav Mstislavič (1155-1195). Figlio del gran principe Mstislav II Izjaslavič (figlio di Izjaslav II Mstislavič, figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di Roman e Vsevolod Mstislaviči. Principe di Belz ( 1170-1195), di Volyn' ( 1188). — Lo si identifica con uno dei principi oggetto dell'appello lanciato dall'autore del poema. → Slovo [79?].

Svjatoslav Ol'govič († 1164). Figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič; fratello di Vsevolod, Igor' e Gleb Ol'goviči; padre di Oleg, Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči. Principe di Novgorod (1136-1138), di Kursk (1138-1139), ancora di Novgorod (1139-1141), di Starodub e Belgorod (1141-1146), di Novgorod-Severskij (1146-1157), di Černigov (1157-1164). Slovo [55].

Svjatoslav Ol'govič (?-?). Figlio di Oleg Svjatoslavič (figlio di Svjatoslav Ol'govič, figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič); nipote di Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči. Principe di Ryl'sk. È uno dei «quattro soli» partecipanti alla spedizione del principe Igor'. → Slovo [63].

Svjatoslav III Vsevolodovič († 1194). Figlio di Vsevolod II Ol'govič (figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič); fratello di Jaroslav Vsevolodovič; cugino di Igor' e Vsevolod Svjatoslaviči, gli eroi del poema. Principe di Turov (1142 | ♔ 1154), di Vladimir e Volyn' (1141-1146), di Pinsk (1154), di Novgorod-Severskij (1157-1164), di Černigov (1164-1177) e infine gran principe di Kiev (1174 | ♔ 1177-1180 | ♔ 1182-1194), alternandosi con Rjurik Rostislavič e co-regnando insieme a questi per un breve periodo ( 1182-1194). — È il gran principe in carica al tempo della spedizione del principe Igor'. Lo Slovo lo ritrae a Kiev, irritato per la sconsiderata spedizione del principe, che ha rotto la pace da lui stabilita con i Polovcy. Ne riporta il racconto del sogno [58-65] e quindi l'«aureo discorso» [66-71]. → Slovo [55 | 58 | 66].

Vjačeslav Jaroslavič (1036-1057). Figlio di Jaroslav I Vladimirovič il «saggio»; fratello di Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod Jaroslaviči; padre di Boris Vjačeslavič. Principe di Smolensk (1054-1057).

Vladimir Glebovič († 1187). Figlio di Gleb Jur'evič (figlio di Jurij I Dolgorukij, figlio di Vladimir II Monomach). Principe di Perejaslavl' (1169-1187). — Sua sorella, che il poema chiama con il patronimico Glebovna è sposa di Vsevolod Svjatoslavič (fratello di Igor'). L'indifferenza dei principi lo abbandona di fronte al nemico, a difendere da solo la città di Perejaslavl'. → Slovo [71].

Vladimir Igorevič. Figlio di Igor' Svjatoslavič (figlio di Svjatoslav Ol'govič, figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič). È uno dei quattro partecipanti alla spedizione del principe Igor'. → Slovo [63? | 119].

Vladimir Jaroslavič (1020-1052). Figlio di Jaroslav I Vladimirovič il «saggio»; fratello di Vseslav, Izjaslav, Svjatoslav e Vjačeslav Jaroslaviči; antenato di Jaroslav Vladimirovič Osmomysl. Principe di Novgorod (1036-1052). — Premorì al padre e non partecipò alla successione per il granprincipato di Kiev.

Vladimir I Svjatoslavič Svjatoj, il «santo» (958-1015). Figlio di Svjatoslav I Igorevič (figlio di Igor' I Rjurikovič, figlio di Rjurik di Novgorod († 879)). Gran principe di Kiev (980-1015). Dopo aver sacrificato agli idoli, si convertì, introdusse ufficialmente il Cristianesimo in Russia e ordinò il battesimo del popolo russo (988). Dalle sue molte mogli e concubine ebbe un certo numero di figli, i quali alla sua morte scatenarono una serrata lotta per il potere. Ricordiamo: Svjatopolk (980-1019), divenuto gran principe alla morte del padre (1015-1019), il quale fece uccidere i fratelli Boris e Gleb; Jaroslav, che prese a sua volta il potere (1019-1054), antenato di tutti i principi russi; e Izjaslav, progenitore del ramo dei principi di Polock. → Slovo [5? | 93?].

Vladimir II Vsevolodovič Monomach (1053-1125). Figlio di Vsevolod I Jaroslavič (figlio di Jaroslav I il «saggio»); fratello di Rostislav Vsevolodovič; padre, tra gli altri, di Jurij I Dolgorukij e Mstislav I Vladimiroviči il «grande». Principe di Smolensk (1073-1078), di Černigov (1078-1094), di Perejaslavl' (1094-1113) e infine gran principe di Kiev (1113-1125). — È uno dei maggiori e più importanti sovrani della Rus' kievana. Ingiustamente, lo Slovo lo rappresenta nell'atto di prendere parte alla contesa svoltasi nel 1078 tra il padre Vsevolod, allora principe di Černigov, e Oleg Svjatoslavič, nonno del principe Igor', che aveva conquistato la città. → Slovo [5? | 37 | 93?].

Vseslav Brjačeslavovič (±1039-1101). Figlio di Brjačislav Izjaslavič (figlio di Izjaslav Vladimorovič, figlio di Vladimir I il «santo»). Principe di Polock (1044-1101). — È il principe-stregone a cui il poema dedica un lungo excursus, descrivendone la sete di sangue e la capacità di tramutarsi in animale. → Slovo [80 | 83-84 | 88].

Vsevolod I Jaroslavič (1030-1093). Figlio di Jaroslav I Vladimirovič il «saggio»; fratello di Izjaslav, Svjatoslav e Vjačeslav Jaroslaviči; padre di Vladimir II Monomach e Rostislav Vsevolodoviči. Principe di Perejaslavl' (1054-1073), quindi di Černigov (1073-1076 | ♔ 1077-1078) e infine gran principe di Kiev (1078-1093). — Nel 1077, quand'era signore di Černigov, vide la sua città assediata e conquistata da Oleg Svjatoslavič, nonno del principe Igor'. → Slovo [37].

Vsevolod Jaroslavič († 1202). Figlio di Jaroslav II Izjaslavič (figlio di Izjaslav II Mstislavič, figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di Mstislav il «muto» e Ingvar' Jaroslaviči. Principe di Dorogobuž. — È uno dei principi oggetto dell'appello lanciato dall'autore del poema. → Slovo [79].

Vsevolod III Jur'evič Bol'šoe Gnezdo, il «grande nido» (1154-1212). Figlio di Jurij I Vladimirovič Dolgorukij (figlio di Vladimir II Monomach). Gran principe di Kiev per un solo anno (1173), divenne in seguito signore di Vladimir-Suzdal' (1177-1212). → Slovo [72].

Vsevolod Mstislavič (1155-1195). Figlio del gran principe Mstislav II Izjaslavič (figlio di Izjaslav II Mstislavič, figlio di Mstislav I Vladimirovič, figlio di Vladimir II Monomach); fratello di Roman e Svjatoslav Mstislaviči. Principe di Belz ( 1170-1195) e di Volyn' ( 1188). — Lo si identifica con uno dei principi oggetto dell'appello lanciato dall'autore del poema. → Slovo [79?].

Vsevolod II Ol'govič († 1146). Figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič; fratello di Svjatoslav, Igor' e Gleb Ol'goviči; padre
di Svjatoslav III e Jaroslav Vsevolodoviči. Principe di Černigov (1127-1139) e gran principe di Kiev (1139-1146).

Vsevolod Svjatoslavič, buj turŭ «toro impetuoso» († 1196). Figlio di Svjatoslav Ol'govič (figlio di Oleg Svjatoslavič/Gorislavič); fratello di Igor' e Oleg Svjatoslaviči. Principe di Kursk e Trubčevsk (1164-1196). — È uno dei «quattro soli», protagonisti dello Slovo, descritto con i tratti di un eroe mitico. → Slovo [14-15 | 33-34 | 45 | 55 | 67 | 119].

Alessandro Borodine
(1833-1887)
Tra le successive rielaborazioni artistiche del poema antico-russo,
spicca l'opera lirica Knjaz' Igor, il «Principe Igor»,
di Aleksandr Porfir'evič Borodin (1833-1887).

Laureato in medicina, ricercatore chimico presso l'Accademia
Militare di Medicina di San Pietroburgo, Borodin
era anche un brillante compositore.

Fondò, insieme a Modest Musorgskij, Milij Balakirev,
Cezar' Cui e Nikolaj Rimskij-Korsakov,
il cosiddetto «Gruppo dei Cinque»,
volto a diffondere una musica d'impronta russa,
libera da remore convenzionali e da influssi occidentali.
 
Le sue molte attività, costringevano Borodin
a comporre musica nei ritagli di tempo,
correndo dal laboratorio di chimica al pianoforte,
ragion per cui la sua produzione non è molto vasta.

Sovente non riusciva a completare i suoi lavori
musicali per le date stabilite e doveva ricorrere
 all'aiuto dei suoi amici compositori.
 
Un'opera basata sullo Slovo o pŭlku Igorevě,
e dunque di forte impronta nazionale, era un
soggetto ideale per Borodin, studioso
appassionato sia di musica popolare russa,
sia di quella di origine orientale.

Il completamento dello Knjaz' Igor' fu tuttavia lungo e laborioso.

La composizione impegnò Borodin per ben diciassette
 anni e rimase interrotta dalla morte improvvisa
del compositore.

Si incaricò di completare l'opera l'amico Rimskij-Korsakov,
con l'aiuto del suo allievo Aleksandr Glazunov,
il quale poté ricostruire l'intera ouverture,
che Borodin aveva suonato al pianoforte in sua
presenza ma non aveva mai fissato sulla carta.
Lo Knjaz' Igor' venne rappresentato a San Pietroburgo, al Teatro Marinskij,
il 23 ottobre 1890 e a Milano il 26 dicembre 1915.
 
Aleksandr Borodin. Danza delle fanciulle polovesiane
 
 
  
Aleksandr Borodin. Danze polovesiane
 
 
Seppure i critici le rimproverino
una mancanza di equilibrio tra tradizione popolare russa
e musica colta occidentale, e profondamente segnata dall'influsso
di Musorgskij lo Knjaz' Igor' rimane un'opera insieme fastosa
e potente, a tratti barbarica, pervasa da quello che, all'epoca di
Borodin, era avvertito come il più antico e profondo spirito nazionale russo. Universalmente p
opolari le danze polovesiane, nel primo dei quattro atti, in seguito rappresentate singolarmente, e con successo, dai Ballets Russes di Sergej Djagilev.

Danze Polovesiane
Le Danze Polovesiane dallo Knjaz' Igor' di Borodin,
nella coreografia elaborata da Michajl Fokin (1880-1942)
per i Ballets Russes di Sergej Djagilev, nel 1909.
I costumi polovesiani furono elaborati da Nikolaj Roerich.
MUSEO: [Roerich]►
Bibliografia
ADRIANOVA-PERETC Varvara Pavlovna [cura]
«Slovo o Polku Igoreve». Sbornik issledovanij i statej. Mosca 1950. 1987.
BARSOV Elpidifor Vasilievič,
Slovo o polku Igoreve, kak chudoženstvennyl pamjatnik Kievskoj družinnoj Rusi, I-III. Mosca 1887-1889.
BARSOV Elpidifor Vasilievič,
Leksikologija Slova. Mosca 1899.
BASKAKOV, Nikolaj A.,
Slovo o polku Igoreve. In: «Pamjatniki literatury i iskusstva XI-XVII vekov». Mosca 1978.
BAZZARELLI Eridano [cura e traduzione],
Il canto dell'impresa di Igor'. Milano 1991.
BUCCI Marinella,
Lo «Slovo o Polku Igoreve»: problemi di traduzione. In «Lingue del mondo», LI, 6. 1986.
CIÀMPOLI Domenico,
Il cònto della banda d'Igor. Carabba, Lanciano 1895.
ČIŽEVSKA Tatjana [cura],
Glossary of the Igor' Tale. The Hague 1966.
DANTI Angiolo [traduzione],
 L'epopea del principe Igor', ovvero la campagna del 1185 contro i nomadi della steppa. In: KOSSOVA Alda Giambelluca, All'alba della cultura russa. Roma 1996.
DMITRIEV Lev Aleksandrovič,
Istorija pervogo izdanija «Slova o Polku Igoreve». Mosca / San Pietroburgo 1960.
DUBENSKIJ Dmitrij Nikolaevič [cura],
«Slovo o pulkŭ Igoreve» Svjatŭslavlča Pesnotvorca starago vremeni.
Ob'jasnennoe po drevnim pis' mennym pamjatnikam. Mosca 1844.
GULIDOVA Anna Aleksandrovna.
Problemy pereboda «Slova o polku Igoreve» na Ital'janskij jazyk.
Novosibirskij Gosudarstvennyj Universitet, Novosibirsk 2011.
JAKOBSON Roman ~ GRÉGOIRE Henry ~ SZEFTEL Marc,
La Geste du Prince Igor'. Epopée russe du Douzième Siècle.
In «Annuaire de l'Institut de Philologie et Histoire Orientales et Slaves», VIII. New York / Bruxelles 1948.
JAKOBSON Roman, Igor' Tale Reconstruction. In: ČIŽEVSKA Tatjana [cura], Glossary of the Igor' Tale. The Hague 1966.
JAKOBSON Roman, Glosse al Cantare di Igor' . In «Premesse di storia letteraria slava». Milano 1975.
IL'INSKIJ Grigorij Andreevič, Neskol'ko konektur k «Slovo o Polku Igoreve». In «Slavia», 8/3. 1929.
KARPUNIN G.F., Zemčug «Slova» ili vozvraščenie Igorja. Novosibirsk 1983.
KORŠ Fëdor Evhen'evyč, Slovo o Polku Igoreve. In: «Issledovanija po russkomu jazyku», II/6. 1909.
KEENAN Edward L., Joseph Dobrovský and the Origins of the «Igor Tale». Harvard University Press, Cambridge 2003.
KOLESOV, Vladimir Viktorovič, Udarenie v «Slovo o Polku Igoreve». In: DMITRIEV, L.A. ~ LICHAČËV Dimitrij S. ~ SALMINA D.S., «Slovo o Polku Igoreve» i pamjatniki drevnerusskoj literatury. Leningrado 1976.
LICHAČËV Dimitrij S., Istoričeskij i političeskij krugozor avtora «Slovo o Polku Igoreve». In: AA.VV., Ustnye istoki chudožestvennoj cistemy «Slovo o polku Igoreve». Mosca / San Pietroburgo 1950. 1987.
LICHAČËV Dmitri Sergeevič, Pamjatniki literatury drevnej Rusi. Načalo Russkoj literatury. XI-načalo XII veka. Mosca 1978. Mosca 1980.
LICHAČËV Dmitri Sergeevič, «Slovo o Polku Igoreve», istoriko-literaturnyj očerk. Posobie dlja učitelej. Mosca 1982.
LICHAČËV Dmitri Sergeevič ~ DMITRIEV Lev Aleksandrovič, «Slovo o Polku Igoreve». Vstupit, stat'ja i podgotovka drevnerus. 1983.
LICHAČËV Dimitrij Sergeevič, «Slovo o Polku Igoreve» i kul'tura ego vremeni. In «Chudožestvennaj literatura». 1985¹.
LICHAČËV Dimitrij Sergeevič, «Slovo o Polku Igoreve» v interpretacii O. Sulemenova. In «Russkaja literatura». San Pietroburgo 1985².
LICHAČËV Dmitri Sergeevič, Issledovanija po drevnerusskoj literature. San Pietroburgo 1986.
LJACKIJ Evgenij A. [cura], «Slovo o Polku Igoreve». Povest' o knjazijach Igore, Svjatoslave i istoričeskich sud'bach Russkoj zemli. Očerki istorii drevnerusskoj literaturj. Praga 1934.
LOTMAN Jurij M. «Slovo o Polku Igoreve» i literaturnaja tradicija XVIII - načala XIX v. San Pietroburgo 1962.
LOTMAN Jurij M. Ob oppozicii čestĭ i slava v svetskich tekstach kievskogo perioda. In «Trudy po znakovym sistemam», III. Tartu 1967.
MALYK Volodymyr, Knjaz Ihor. Kiev 1999.
MAZON Andrée, La «Zadonščina». Réhabilitation d'une œuvre. In: «Revue des ètudes slaves», XVIII 1-2. Parigi 1938.
MAZON Andrée, Lo «Slovo d'Igor'». Lo modèle principal. In: «Revue des ètudes slaves», XVIII 3-4; XIX 1-2. Parigi 1938-1939.
MENGES Heinrich Karl, The Oriental elements in the vocabulary of the oldest russian epos, the Igor' tale «Slovo o Polku Igoreve». New York 1951.
MERIGGI Bruno [traduzione], Il canto della schiera di Igor'. In: MERIGGI Bruno, Le Byline, canti popolari russi. Milano 1974.
MUSIN-PUŠKIN Aleksej Ivanovič ~ MALINOVSKIJ Aleksej Fëdorovič ~ BANTYŠ-KAMENSKIJ Nikolaj Nikolaevič [cura], Iroìčeskaja pesn' o pochode na polovcov udel'nago knjazja novagoroda-severskago Igorja Svjatoslaviča, pisannaja starinnym russkim jazykom v ischode XII stoletija, s pereloženiem na upotrebljamoe nyne narečie. Mosca 1800.
PACINI SAVOJ Leone [cura e traduzione parziale], Detto della campagna di Igor'. Pironti, Napoli 1946.
PERETC Vladimir. [cura], Slovo o Polku Igoreve. Kiev 1926.
PLAUTIN Sergej Nikolaevič [cura], «Slovo o polku Igorevě». Ispravlennyi i neispravlennyj teksty, Perevod i primečanija. Parigi 1958.
POTEBNIJA A.A. [cura], Slovo o Polku Igoreve. Tekst o primečanija. Char'kov 1914.
ORLOV Aleksandr Sergeevič [cura], Slovo o Polku Igoreve. Mosca / San Pietroburgo 1936.
PICCHIO Riccardo, La letteratura russa antica. Sansoni / Accademia, Firenze / Milano 1968.
PICCHIO Riccardo, Note on the text of the Igor' Tale. 1978.
POGGIOLI Renato [cura e traduzione], Cantare delle gesta di Igor'. Torino 1954.
RYBAKOV Boris A., Istorii kul'tury Drevnej Rusi. Mosca / San Pietroburgo 1951.
RYBAKOV Boris A., Russkie letopiscy i avtor «Slova o Polku Igoreve». Mosca 1974.
RYBAKOV Boris A., Iz istorii kult'tury drevnej Rusi. Issledovanija i Zametki. Mosca 1984.
SARONNE Edgardo T., Problemi linguistici del tradurre lo «Slovo o pŭlku Igorevě». In: «Studi orientali e linguistici», II. Clueb, Bologna 1984-1985.
ŠARLEMAN N.V. [cura], Iz real'nogo kommentarija «Slovo o Polku Igoreve». Mosca / San Pietroburgo 1948.
SARONNE Edgardo [cura e traduzione], Il cantare di Igor'. Parma 1988.
STELLECKIJ V.I. ~ TIMOFEEV L.I. [cura], Slovo o Polku Igoreve. Mosca 1965.
SULEJMENOV Olžas, Bosyj volk i napevy gotskich dev. In: «Prostor» 11. 1962.
SULEJMENOV Olžas, Az i Ja. Alma Ata 1975.
SUMARUKOV Georgij V., Kto est' kto v «Slove o Polku Igoreve». Mosca 1983.
TATIŠČEV Vasilij Nikitič, Istorija Rossijskaja. Mosca 1768.
VASMER Max Russisches Etymologisches Wörterbuch. Heidelberg 1950-1958.
ZALIZNJAK Andrej. «Slovo o Polku Igoreve», vzgljad lingvista (Jazyki Slavjanskoj). Mosca 2004.

No comments:

Post a Comment