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Saturday, March 30, 2013

MOSAICI delle TERME di CARACALLA, Museo Gregoriano Profano, Vaticano

Speranza

Museo Gregoriano Profano
 
Mosaici delle Terme di Caracalla 
Mosaici delle Terme di Caracalla
Invv. 9875, 9876














I mosaici, con ampie integrazioni moderne, costituivano il pavimento di due esedre nelle biblioteche delle Terme di Caracalla.

Sono suddivisi in pannelli rettangolari o quadrati.

Le figure intere e i busti rappresentano pugili e lottatori, con i capelli spesso raccolti nel cirrus, il caratteristico ciuffo dietro la nuca che denotava gli atleti professionisti; le braccia dei pugili sono rivestiti dai cesti (protezioni in cuoio e stoffa con elementi metallici).

La vigorosa muscolatura dei corpi e i possenti lineamenti dei volti sono resi con la ricca policromia delle tessere.

Nel mosaico sono raffigurati anche i giudici di gara che si distinguono dagli altri personaggi poiché indossano la toga.

Benché la costruzione delle Terme sia inquadrabile agli inizi del III secolo d.C., alcuni hanno ipotizzato una datazione in occasione di un restauro che interessò il complesso termale agli inizi del IV secolo d.C.

MAUSELEO degli Haterii -- Museo Gregoriano Profano, Vaticano

Speranza

Museo Gregoriano Profano
 
Mausoleo degli Haterii






 
Mausoleo degli Haterii
Invv. 9997, 9998





















I rilievi appartenevano alla ricca decorazione della tomba degli Haterii,
una famiglia di costruttori che, nei primi anni del II secolo d.C., aveva eretto il proprio sepolcro lungo l'antica via Labicana.

In uno dei rilievi è rappresentato un edificio funerario a forma di tempietto.

In alto è visibile il catafalco funebre.

Sulla sinistra appare una macchina da costruzione, sorta di elevatore azionato da una grande ruota mossa da schiavi, un chiaro riferimento al mestiere dei committenti.

Gli Haterii parteciparono alla costruzione di importanti monumenti dell'età flavia, esibiti con orgoglio in uno dei rilievi.

Da sinistra sono riconoscibili il propileo al santuario di Iside e Serapide nel Campo Marzio e il Colosseo.

Più discussa l'identificazione degli altri tre.

Nell'arco a un fornice con quadriga sull'attico è riconosciuto l'arco di Tito, il grande arco con al centro la dea Roma è forse un monumento nella zona del Colosseo, il tempio è probabilmente quello di Giove Statore sulle pendici del Palatino.
 


 

RILIEVI della CANCELLERIA, Vaticano -- Museo Gregoriano Profano

Speranza

Museo Gregoriano Profano
 
Rilievi della Cancelleria 

















Rilievi della Cancelleria
Invv. 13392, 13395, 13389, 13391
 
I rilievi, rinvenuti al di sotto del
Palazzo della Cancelleria, erano
parte della decorazione di un monumento pubblico databile al regno di Domiziano (81-96 d.C.).

Nel rilievo A è rappresentato l'arrivo (adventus) dell'imperatore Vespasiano a Roma, accolto da un personaggio togato, probabilmente il figlio Domiziano.

Alla scena partecipano il Genio del Senato e il Genio del Popolo Romano, mentre a sinistra sono presenti le Vestali e la dea Roma seduta.

Nel rilievo B è raffigurata la partenza (profectio) per una campagna militare.

L'imperatore, preceduto da Minerva e Marte, incede accompagnato dalla dea Roma, dal Genio del Senato con lo scettro e dal Genio del Popolo Romano con la cornucopia.

Sulla sinistra è visibile l'ala di una Vittoria, che allude al successo dell'impresa.

 Il volto dell'imperatore Domiziano fu rilavorato come Nerva in seguito alla damnatio memoriae che seguì la sua morte violenta.

LA NIOBIDE CHIARAMONTI, Museo Gregoriano, Vaticano

Speranza

Museo Gregoriano Profano
 
Niobide Chiaramonti 
Niobide Chiaramonti
Inv. 1035




















La statua raffigura una delle figlie di Niobe,
mentre tenta di fuggire dalle frecce di Apollo e Artemide.

Il mito narra infatti che Niobe, regina di Tebe, ebbe 14 figli e per questo si vantava di essere superiore a Latona, la quale diede a Zeus soltanto una coppia di gemelli.

Questi ultimi decisero di vendicare l'offesa recata alla madre uccidendo tutti i Niobidi a colpi di freccia, Apollo i maschi e Artemide le femmine.


È probabile che la figura sia una copia di età adrianea, forse parte di un complesso gruppo scultoreo raffigurante i Niobidi.

Di tale gruppo, che replicava un noto ciclo statuario dell'età ellenistica, esistono diverse versioni, la più completa delle quali è conservata presso la Galleria degli Uffizi.

 L'opera è stata rinvenuta alla metà del '500 a Villa Adriana a Tivoli, durante gli scavi voluti dal Cardinale Ippolito d'Este.
 


 

MOSAICO dell'ASAROTOS OIKOS

Speranza

Museo Gregoriano Profano
 
Mosaico dell'asàrotos òikos

 
Mosaico dell'asàrotos òikos
Inv. 10132



















Lo splendido mosaico, realizzato con minute tessere anche in pasta vitrea e in smalti colorati, ornava il pavimento di un triclinio in una villa di età adrianea sull'Aventino.


Il tema decorativo è quello dell'asàrotos òikos, "pavimento non spazzato",
ideato nel

II secolo a.C. da Sosos di Pergamo e qui ripreso dall'artista Eraclito che vi ha inserito la sua firma.

Il mosaicista ha realizzato un pavimento disseminato da resti di cibo, come doveva presentarsi alla fine di un lussuoso banchetto: si riconoscono frutti, lische di pesci, ossa di pollo, molluschi, conchiglie e anche un topolino che rosicchia un guscio di noce.

 La consistenza dei soggetti raffigurati è resa attraverso un efficace gioco coloristico delle ombre proiettate sul fondo bianco del pavimento.

In corrispondenza dell'originario ingresso alla stanza compare una raffigurazione con maschere teatrali e oggetti rituali.

Al centro rimane parte di una complessa scena nilotica.

IL MARSIA -- Vaticano

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Museo Gregoriano Profano
 
Atena e Marsia 
Atena e Marsia
Invv. 9974, 37022, 9975, 9970
















Il gruppo di MARSIA restituisce un capolavoro di Mirone che raffigura la dea Atena e il sileno Marsia.

Il mito narra che Atena, dopo aver inventato il flauto a doppia canna, l'aulòs, lo gettò inorridita a terra poiché nel suonarlo le si erano deformate le gote. Il sileno, attratto dal meraviglioso suono, con passo leggero, quasi di danza, si avvicinò allo strumento per impossessarsene.

È qui esposta la statua di Marsia che, databile alla prima metà del I secolo d.C., fu ritrovata nel 1823 sull'Esquilino.

Accanto è un calco in gesso della Atena Lancellotti utilizzato alla metà del XIX secolo per la ricostruzione del gruppo mironiano che, databile intorno al 460 a.C., era noto da raffigurazioni monetali, da rilievi e da fonti letterarie.

Il Marsia è testimoniato da una ulteriore replica in marmo pentelico proveniente dalla villa di Domiziano a Castel Gandolfo, mentre della figura di Atena è esposta una testa di età adrianea sempre in marmo pentelico.


MARMI del Partenone, Museo Gregoriano Profano

Speranza

Museo Gregoriano Profano
 
Marmi del Partenone 
Marmi del Partenone
Invv. 1016, 1014, 1013













I tre frammenti in marmo pentelico, giunti in Vaticano nel corso del XIX secolo, appartengono alla decorazione scultorea del Partenone (447-432 a.C.).

L'apparato figurativo del tempio, costruito sull'Acropoli di Atene per volere di Pericle, si deve al genio creativo dello scultore ateniese Fidia.

La testa del cavallo proviene dal frontone occidentale dell'edificio, sul quale era rappresentata la disputa tra Atena e Poseidone per il dominio dell'Attica.

Nel frammento è stato identificato uno dei cavalli della quadriga di Atena.

Nel rilievo con testa di fanciullo è stato riconosciuto un personaggio presente nel fregio che avvolgeva la cella del tempio: un portatore delle focacce che venivano offerte durante la processione delle Panatenee in onore di Atena.

La testa maschile barbata è stata invece attribuita a una delle metope del lato meridionale dell'edificio, dove era raffigurata una Centauromachia.


MUSEO PROFANO, Museo Gregoriano Profano -- Vaticano

Speranza

Museo Gregoriano Profano
             
Marmi del Partenone, invv. 1016, 1014, 1013
Atena e Marsia, invv. 9974, 37022, 9975, 9970
Mosaico dell'asàrotos òikos, inv. 10132
Niobide Chiaramonti, inv. 1035
Rilievi della Cancelleria, invv. 13392, 13395, 13389, 13391
Mausoleo degli Haterii, invv. 9997, 9998
Mosaici delle Terme di Caracalla, invv. 9875, 9876
 Museo Gregoriano Profano
Museo Gregoriano Profano




















Il Museo Gregoriano Profano era stato fondato nel
Palazzo Apostolico del Laterano per volontà di Gregorio
XVI Cappellari il 16 maggio 1844.

In questa sede vennero esposti i
ritrovamenti degli scavi archeologici pontifici
effettuati negli ultimi decenni a Roma e nelle
immediate vicinanze (Cerveteri, Veio, Ostia).

A questi materiali si aggiunsero anche molte
delle antichità che fino ad allora si trovavano
stipate nei depositi di scultura.

Negli anni sessanta del Novecento tutte le collezioni lateranensi furono trasferite in
Vaticano, dove nel giugno 1970 fu inaugurata questa nuova ala espositiva.

Il progetto architettonico, fortemente incoraggiato da papa
Paolo VI, era stato affidato allo studio di Vincenzo,
Fausto e Lucio Passarelli.

L'edificio si avvaleva soprattutto della luce naturale, che si
diffondeva attraverso grandi vetrate e lucernari, grazie
all'assenza di nette divisioni dello spazio.

Infatti i diaframmi tra le zone espositive sono
spesso costituiti da griglie metalliche, cui
sono ancorati molti dei materiali, anche per
fornire estrema flessibilità all'allestimento,
che tende a privilegiare i contesti di provenienza.


Il Museo Gregoriano Profano documenta momenti
e temi diversi dell'arte classica a partire dalla Grecia
antica per proseguire fino alla tarda
età romana imperiale.

Il percorso museale ha inizio dalle sculture
della sezione degli originali greci, composta
per lo più da stele funerarie, rilievi votivi e
frammenti di sculture architettoniche.

La visita prosegue attraverso gli spazi dedicati
alle copie e alle rielaborazioni da originali greci
eseguite in epoca romana, che comprendono
soprattutto ritratti e scultura ideale.


Grande rilievo è dato alla scultura di età romana imperiale,
documentata da importanti opere provenienti da
edifici e monumenti pubblici e privati,
nonché da ritratti e statue iconiche; accanto a
queste si segnala un'articolata raccolta di
scultura funeraria (urne, altari, sarcofagi).
                      
 

I PAVONI -- Vaticani -- Invv. 5117, 5120 -- Braccio Nuovo

Speranza

Braccio Nuovo
 
Pavoni 
Pavoni
Invv. 5117, 5120
















Fonti altomedioevali testimoniano la presenza
dei pavoni nell'area circostante il Mausoleo di Adriano
 (117-138 d.C.), oggi Castel Sant'Angelo.

Per lungo tempo i due bronzi dorati furono collocati nel quadriportico antistante la basilica di San Pietro, a ornamento del cosiddetto Cantaro. Si trattava di una fontana per le abluzioni dei pellegrini, al centro della quale era collocata la grande pigna bronzea, ora nell'omonimo cortile dei Musei Vaticani. Nel 1608, durante i lavori per la nuova basilica vaticana, i pavoni furono spostati nel Cortile della Pigna e in seguito, per garantire una migliore conservazione, trasferiti nell'attuale collocazione. I pavoni si segnalano per un'estrema qualità di esecuzione, che si esprime nei dettagli realistici e nella raffinata rappresentazione del piumaggio. Tali caratteristiche e la loro valenza simbolica d'immortalità rafforzano l'ipotesi di una originaria pertinenza all'apparato decorativo del sepolcro di Adriano.

IL NILO del Braccio Nuovo, Vaticano

Speranza

Braccio Nuovo
 
Nilo










 
Nilo
Inv. 2300













La colossale statua del Nilo venne rinvenuta nel 1513 in Campo Marzio, dove probabilmente decorava il cosiddetto Iseo Campense, dedicato alle divinità egizie Iside e Serapide.

Il fiume Nilo è raffigurato come un vegliardo disteso su di un fianco, con una cornucopia colma di frutti nella mano sinistra e spighe di grano nella mano destra.

La terra d'Egitto è evocata dalla presenza di una sfinge, sulla quale la figura si poggia, e da alcuni animali esotici.

La scena è vivacizzata da sedici putti, che alludono ai sedici cubiti d'acqua, cioè il livello raggiunto dal Nilo durante la stagione delle inondazioni.

Sul basamento è raffigurato un paesaggio nilotico con pigmei, ippopotami e coccodrilli.

È probabile che la scultura si ispiri a una monumentale statua del Nilo in basalto nero, capolavoro della scultura ellenistica alessandrina, che Plinio il Vecchio descrive all'interno del Foro della Pace.


 

Augusto di Prima Porta, Braccio Nuovo, Vaticano

Speranza

Braccio Nuovo.             
 
Augusto di Prima Porta











 
Augusto di Prima Porta
Inv. 2290

















La statua di Augusto, databile agli inizi del I secolo d.C., fu rinvenuta nella Villa di Livia, moglie di Augusto, presso Prima Porta lungo la via Flaminia.

La statua raffigura l'imperatore Augusto nell'atto di parlare ai soldati (adlocutio), vestito di corazza e con il mantello (paludamentum) attorno ai fianchi.

A rilievo sulla corazza, il re dei Parti restituisce a un generale romano le insegne strappate a Crasso nel 53 a.C. durante la rovinosa battaglia di Carre.

Ai lati sono presenti le figure di due province dell'impero.

La scena è inserita in un paesaggio cosmico.

In alto sono visibili la personificazione del Cielo al centro, il carro solare di Apollo e quello di Aurora ai lati.

In basso si riconoscono Apollo sul grifone, Diana sulla cerva e al centro distesa la dea Terra.

L'impostazione generale della figura si ispira al Doriforo, capolavoro dello scultore greco Policleto, di cui è visibile una replica proprio nel Braccio Nuovo.
 

Il Braccio Nuovo del Museo Chiaramonti, Vaticano (Raffaele Stern, m. 1820) -- inagurated, 1822

Speranza

Braccio Nuovo
             
Augusto di Prima Porta, inv. 2290
Nilo, inv. 2300
Pavoni, invv. 5117, 5120
 Braccio Nuovo
Braccio Nuovo

















Il rientro dalla Francia delle opere confiscate da
Napoleone comportò un riordino delle collezioni
pontificie e rese opportuna la costruzione di un
nuovo settore di scultura classica.

Papa Pio VII (1800-1823) affidò
l'incarico di
realizzare il cosiddetto
"Braccio Nuovo" del Museo Chiaramonti
all'architetto romano Raffaele Stern.

Sopraggiunta la morte di Stern nel 1820, il lavoro fu
proseguito da Pasquale Belli fino all'inaugurazione nel febbraio 1822.

All'allestimento soprintendeva la
Commissione di Belle Arti, presieduta da
Antonio Canova e formata anche da
Filippo Aurelio Visconti e Antonio D'Este.

La nuova fabbrica ottocentesca, che può
essere considerata una delle più significative
testimonianze dell'architettura neoclassica a Roma, si
inserì tra le gallerie del Museo Chiaramonti e
quelle della Biblioteca Apostolica.


Le linee architettoniche, l'uso sfarzoso dei marmi, in
gran parte colorati e provenienti da edifici di età
romana, compongono un ideale spazio antico
che mira a ricreare per le sculture un contesto
il più simile possibile a quello di origine.

Anche la pavimentazione è funzionale a tale
intento, costituita come è da grandi lastre marmoree
che inquadrano mosaici romani.

Lungo le pareti corrono invece fregi in stucco, realizzati da
Francesco Massimiliano Laboureur e
ispirati a celebri rilievi antichi.


L'edificio si articola in una galleria lunga 68 metri,
coperta da una volta a cassettoni con lucernari.

Al centro, da un lato si apre a emiciclo, dall'altro
una serie di gradini permettono l'accesso al
monumentale portico che affaccia sul Cortile della Pigna.

Le pareti sono scandite da ventotto nicchie che
ospitano statue dalle dimensioni decisamente
maggiori del vero, come i ritratti imperiali e
le repliche romane di famosi originali greci.

Sulle mensole e sulle semicolonne i busti
in esposizione costituiscono una galleria
di celebri personaggi dell'antichità.

GRADIVA -- Vaticano

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Museo Chiaramonti
 
Gradiva 
Gradiva
Inv. 1284
Il rilievo è parte di una composizione che prevede una triade femminile avanzare da destra contrapposta ad altre tre fanciulle raffigurate su rilievi ora in diversi musei: sono le cosiddette Horai e Aglauridi, derivate probabilmente da un originale greco del IV secolo a.C.
Il nome Gradiva, in latino "colei che cammina", venne attribuito alla prima fanciulla del gruppo da Wilhelm Jensen nella novella, Gradiva. Una fantasia pompeiana (1903). Carl Gustav Jung segnalò tale novella a Sigmund Freud, il quale nel saggio Delirio e sogno nella "Gradiva" di Jensen (1906) esaminò questo caso letterario come un caso psichiatrico, per spiegare come le sollecitazioni esterne possano portare in superficie tensioni psichiche nascoste nell'intimo. A Roma Freud, collezionista di arte antica, acquistò un calco di questo rilievo, che tenne alla parete del suo studio vicino al celebre divano-lettino.
 

Ercole eTelefo bambino -- Museo Chiaramonti, Vaticano

Speranza

Museo Chiaramonti
 
Ercole e Telefo bambino 
Ercole e Telefo bambino
Inv. 1314
Rinvenuta a Roma presso Campo de' Fiori, la statua fu una delle prime sculture a entrare nelle collezioni vaticane; sotto papa Giulio II (1503-1513) era già esposta nel Cortile delle Statue in Belvedere. La presenza di Eracle, infatti, si richiamava ai miti delle origini di Roma, in particolare alludeva alla vittoria della civiltà sulla barbarie del Lazio antico. Il dio Eracle, con clava e pelle leonina, tiene in braccio il figlio Telefo, nato dalla sacerdotessa Auge. Ella fu costretta ad abbandonare il piccolo sui monti dell'Arcadia, dove fu nutrito da una cerva e in seguito venne ritrovato dal padre.
Telefo, divenuto re della Misia, fu protagonista di un mito complesso e ricco di varianti che lo portò ad essere coinvolto nella spedizione dei Greci contro Troia. La statua è una replica degli inizi del II secolo d.C., derivata probabilmente da un originale tardo ellenistico.

MUSEO CHIARAMONTI -- Vaticano

Speranza

Museo Chiaramonti
  
Gradiva, inv. 1284
 Museo Chiaramonti
Museo ChiaramontiIl Museo Chiaramonti, allestito nel loggiato che metteva in comunicazione il Palazzetto di Belvedere con l'insieme dei Palazzi Vaticani, prende la sua denominazione da papa Pio VII Chiaramonti (1800-1823) e segna un momento importante nella storia delle collezioni vaticane. Con il trattato di Tolentino (1797) lo Stato Pontificio aveva dovuto cedere alla Francia di Napoleone i maggiori capolavori del Museo Pio Clementino. Successivamente il Congresso di Vienna (1815) e l'azione diplomatica di Antonio Canova permisero il recupero di quasi tutte le opere di scultura sequestrate. Attraverso una vasta campagna di acquisti, effettuata presso gli antiquari romani e gli scavatori attivi nello Stato Pontificio, si realizzò il nuovo museo a partire dal 1806.
I criteri dell'ordinamento furono dettati dallo stesso Canova, che mirava a presentare insieme le "tre arti sorelle": la scultura, nelle opere antiche esposte; l'architettura, nelle mensole ottenute da antiche cornici architettoniche e la pittura, negli affreschi. Questi ultimi furono realizzati da giovani artisti dell'epoca a spese dello stesso Canova. Il ciclo pittorico illustrava le benemerenze del pontefice per le arti e i monumenti di Roma; il rientro delle opere vaticane dalla Francia è commemorato nella lunetta della parete XXI. L'allestimento, dall'assetto rigoroso che evita di isolare i capolavori favorendo un reciproco confronto, mostra l'influenza delle idee di Quatremère de Quincy che, in polemica con i sequestri francesi, considerava le opere d'arte realmente comprensibili solo se fruite nel loro luogo di origine e se messe a confronto anche con esemplari di minore livello qualitativo. Costituito da circa un migliaio di reperti di scultura antica, il Museo Chiaramonti presenta una delle più cospicue collezioni di ritratti romani, ma è ricco anche di esempi di scultura ideale e funeraria.

Il Guerriero Persiano, Vaticano -- Sala dei Candelabri ----

Speranza

Galleria dei Candelabri
 
Guerriero Persiano

 












Guerriero Persiano
Inv. 2794


Il guerriero persiano, che indossa il berretto frigio, è colto nell'atto di tentare un'estrema difesa dal nemico, portando il corpo indietro e alzando a protezione il braccio destro, armato di spada.

L'orrore della sconfitta è reso dalla drammatica espressione del volto.

E' probabile che si tratti di una copia romana, databile al 110-120 d.C., di uno dei quattro gruppi bronzei che commemoravano le vittorie sui nemici dei Greci.

Tali sculture erano state dedicate come ex voto da Attalo II di Pergamo intorno al 160-150 a.C. sull'Acropoli di Atene e a Pergamo stessa (il c.d. Piccolo Donario).

La scultura apparterrebbe al gruppo che raffigurava il trionfo dei Greci sui Persiani, conseguito nella memorabile battaglia di Maratona nel 490 a.C.

La statua venne recuperata tra il 1503 e il 1512, con altri esemplari attribuibili al Piccolo Donario, in occasione della costruzione di Palazzo Medici (poi detto Palazzo Madama).
 

Galleria dei candelabri, Vaticano

Speranza

Galleria dei Candelabri
  
Guerriero Persiano, inv. 2794

 Museo Pio Clementino - Galleria dei Candelabri
La Galleria prende nome dai monumentali candelabri marmorei che abbinati a colonne in marmo colorato delimitano le sei sezioni espositive. Allestita sotto papa Pio VI Braschi tra il 1785 ed il 1788, venne completamente rinnovata nell'apparato decorativo durante il pontificato di Leone XIII Pecci (1878-1903). Il progetto di ristrutturazione fu affidato ad Annibale Angelini, il quale si avvalse di Domenico Torti e di Ludwig Seitz per le pitture, di Giuseppe Rinaldi e di Luigi Medici per le tarsie marmoree. Le opere vennero allestite come degli arredi, seguendo criteri di simmetria compatibili con le architetture della galleria, alla quale si accedeva attraverso il monumentale cancello bronzeo che tuttora si conserva.
Museo Pio Clementino - Galleria dei Candelabri
   
 

La Biga Vaticana -- Sala della Biga

Speranza

Sala della Biga
 
Biga 
Biga
Inv. 2368
Questa splendida opera è composta da parti antiche e da integrazioni eseguite da Francesco Antonio Franzoni nel 1788. Lo scultore assemblò la cassa di una biga e parte di un cavallo antichi, realizzò per intero il cavallo di sinistra e diede vita ad una scultura che può considerarsi come un suo eclettico e originale capolavoro. Almeno dal 1516 la cassa si trovava nella chiesa di San Marco a Roma, utilizzata come seggio episcopale; vi rimase fino al 1771, quando venne donata a papa Clemente XIV. La vivace decorazione vegetale sull'esterno del carro, nella quale compaiono spighe di grano e papaveri, presenta analogie con repertori figurativi della piena età augustea, quali le decorazioni dell'Ara Pacis. All'interno, al centro, compare l'Agyieus, la colonnina rastremata che costituisce l'immagine aniconica di Apollo Agyieus, protettore delle strade.

La Sala della Biga

Speranza

Sala della Biga
  
Biga, inv. 2368

 Museo Pio Clementino - Sala della Biga
La sala fu progettata dall'architetto Giuseppe Camporese insieme al sottostante Atrio dei Quattro Cancelli. I lavori, iniziati nel 1786, terminarono nel 1795 con la messa in opera della pavimentazione, nella quale sono visibili elementi dello stemma di Pio VI Braschi (le stelle e Boreas che soffia sui gigli).
Nella Sala della Biga sono state raccolte statue e sarcofagi di soggetto atletico e circense, che rimandano al lancio del disco, alla lotta, alle corse dei carri nel circo. Le opere antiche, posizionate nelle nicchie, ma anche su basi e altari, si dispongono intorno alla monumentale biga marmorea che occupa il centro dell'ambiente.
Museo Pio Clementino - Sala della Biga