Grice e Breccia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della metafisica del dialogo – scuola di Trento – filosofia trentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco d H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Trento). Filosofo trentino. Filosofo italiano. Trento, Trentino-Alto Adige. Grice: “I like Breccia; he is, like Vitruvio, obsessed with the male human body – but also about the ‘metafisica del dialogo,’ so we can call him a Griceian!” -- Breccia nel suo studio a Roma. Pier Augusto Breccia (Trento ), filosofo. La pittura di Breccia esplora l’essere umano con un approccio ermeneutico (nel senso della filosofia ermeneutica moderna di Jaspers, Heidegger, Gadamer) e si apre su un vasto orizzonte di temi filosofici. L’opera di Breccia include oli su tela, matite e pasteli su carta, 7 libri e numerosi saggi critici. Breccia ha esposto in personali in Europa e USA. La famiglia paterna è originaria di Porano, un piccolo paese dell’Umbria, dove sua madre, Elsa Faini (di Trento), si era trasferita nel dopoguerra. I genitori di Pier Augusto lavoravano entrambi nel settore ospedaliero: infermiera la madre e chirurgo il padre Angelo. La famiglia si trasferisce a Roma, dove Breccia trascorrerà la maggior parte della sua vita. Si iscrive al liceo classico Giulio Cesare di Roma, dove matura un profondo interesse per gli studi umanistici che lo accompagnerà per il resto della vita. Scopre la Divina Commedia che studia di sua iniziativa affascinato dalle allegorie dantesche. Subito dopo, attratto dalla filosofia e dalla mitologia greca, traduce per l’editore Signorelli l’“Antigone” di Sofocle e il “Prometeo legato” di Eschilo. Ancora nella fase adolescenziale traduce i “Dialoghi” di Platone. Completati gli studi liceali si iscrive alla facoltà di medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e riceve, con il massimo dei voti, la laurea in medicina. Professione medica Dopo la laurea consegue una specializzandosi in urologia, in chirurgia generale e successivamente in chirurgia cardiovascolare mentre comincia a far pratica al Policlinico Agostino Gemelli di Roma. Sposa Maria Antonietta Vinciguerra, nasce il primo figlio, Claudio e la figlia Adriana. Si trasferisce a Stoccolma, dove lavora al centro di chirurgia toracica e cardiovascolarere dell'Istituto Karolinska sotto la supervisione di Viking Björk (inventore della valvola cardiaca Bjork–Shiley). Tornato all’università Cattolica di Roma e al connesso ospedale Gemelli, diviene professore associato. Ppratica interventi a cuore aperto e pubblica circa cinquanta articoli in riviste mediche. Il punto di svolta: dal bisturi alla matita È quando B. scopre un inaspettato talento per il disegno, che nei due anni successivi diverrà il suo hobby. Soltanto dopo la morte di suo padre e a seguito di una profonda crisi esistenziale, il talento disegnativo trova la sua espressione creativa. La produzione artistica dei primi due anni e il pensiero filosofico da questa ispirato confluiscno nel libro "Oltreomega". Durante un periodo di produzione artistica e di mostre in Italia e all’estero (‘'Monologo corale’', ‘'Le forme concrete dell in-esistente’', ‘'La semantica del silenzio’') prende un'aspettativa dalla professione medica. Nel biennio seguente, lo stile artistico, da lui definito "ideomorfico", si delinea con maggior chiarezza, così come il pensiero filosofico, che presenta nel libro “L’Eterno Mortale”. Dà le dimissioni dalla professione di chirurgo e nello stesso anno porta le sue opere a New York, presentandole in due mostre consecutive, alla Gucci e all’Arras. La strada dell’arte, si delinea rapidamente e, appena date le dimissioni, si trasferisce a New York dove trascorre la maggior parte del tempo. Durante questo periodo, espone in diverse città degli Stati Uniti (New York, Columbus, Santa Fe, Miami e Houston). Sin dall’inizio è estremamente prolifico e l'opera dei primi dieci anni viene raccolta nel libro “Animus-Anima”, che comprende immagini di sue opere. Torna stabilmente a Roma ed espone in diverse città italiane ed europee. Pubblica "L’altro Libro", scrive “Il linguaggio sospeso dell’auto-coscienza”. B. presenta novanta opera in un’imponente personale al museo Vittoriano e pubblica “Introduzione alla pittura ermeneutica”, il suo manifesto artistico, al quale collabora il filosofo Matassi. Negli anni seguenti, malgrado le condizioni di salute, è impegnato in numerose mostre in musei italiani ed europei. Dopo la chiusura della sua mostra di Trento, ha un infarto nel suo studio di Roma, viene portato al Policlinico Gemelli, e lunedì 20 novembre muore. Ragione e immaginazione: “lo spazio pensante” Lo spazio è l’elemento più distintivo delle opere di B., che egli stesso definisce “denominatore comune della pittura ermeneutica[...] principio stesso delle nostre facoltà intellettive”. Tuttavia, se nello spazio paradossale di B. la ragione si sospende e precipita di continuo, il senso di armonia ed equilibrio, che caratterizza tutta la sua opera permette all’immaginazione di entrare nello spazio senza alcun tormento. Forme, colori e luce: dis-oggettivazione Un'altra caratteristica delle tele di B. è la presenza di “oggetti”, in un equilibrio generato tuttavia da forme e colori piuttosto che da una oggettiva metrica di spazio. Allo stesso tempo, tali “oggetti”, ridotti a forme/colori essenziali o addirittura trasformati in spazio stesso o “altro da sé”, sono privi di una vera oggettività e di conseguenza sono aperti ad essere letti come linguaggi, segni o, più propriamente nel senso della filosofia ermeneutica di Karl Jaspers, come “cifre”, cioè “segni” non ancora interpretati. L’uso della luce e del chiaroscuro è parallelo a quello dello spazio e della prospettiva nella molteplicità di paradossi. L’assenza di una fonte di luce all’interno dello spazio pittorico contribuisce a rimuovere contenuti emozionali. In ultimo, il rapporto luce-spazio-forma crea l'ennesimo paradosso di B. Se la luce è spesso associata a ciò che è comprensibile razionalmente (e.g. “luce della ragione”), nelle opere di B. tutto appare al contempo luminoso e misterioso. B. usa il termine “pittura ermeneutica” per descrivere la sua posizione come artista nel suo Manifesto “Introduzione alla pittura ermeneutica”. Il presupposto di significabilità della cifra pittorica ermeneutica è la libertà da canoni, convenzioni, dogmi di spazio e tempo, del qui e dell’ora, che permette una verifica della significabilità dal di dentro. In tal senso, l’arte può essere un’esperienza di conoscenza, in quanto “apertura” da “un lato sull’infinita alterità dell’essere o di Dio, e dall’altro sulla personale coscienza dell’ ‘Io’.”(Introduzione alla pittura ermeneutica). Moschini e Zitko Zitko Zitko Comunicare, Università Cattolica del Sacro Cuore,. Unomattina, RAI Unomattina, Gennaio Zitko Moschini e Zitko, p.38. Steiner Steiner Moschini e Zitko Moschini e Zitko, p.40. B., Introduzione alla Pittura Ermeneutica, Vivaldi Moschini Zitko Steiner Moschini e Zitko. Moschini e Zitko Moschini, M. e Zitko(), "The educational path of Ideomorphism. From theory of knowledge to philosophy", Journal of Philosophy and Culture supplement, laNOTTOLAdiMINERVA Zitko, "Il linguaggio della pittura ermeneutica e la Chiffer di Jaspers", Dipartimento di Letteratura e Filosofia, Universita' di Pisa Steiner, Profile: B., ART TIMES Steiner, Critique: B. at Arras Gallery, NYC", ART TIMES Steiner, B.: Another Look, NYC", ART TIMES Matassi, E. Sur la peinture Hernéutique: B., “le messager d’alterité”.I n: Du Nihilism à l’hermenéutique libri gratis su itunes The educational path of Ideomorphism La pittura ermeneutica, su didattica ermeneutica. B.: biografia, su direnzo. Biografie Biografie: di biografie Categorie: Pittori italiani Filosofi italiani Saggisti italiani Professore Trento Roma. THE DIALOGUE The universe of speech is egocentric. At the centre is the speaker (ego) and the listener is slightly off-centre (tu). The listener becomes a speaker in his turn and the axis of the universe shifts slightly, but these are the two persons of speech, and all others are objects to be pointed out. Ego spreads symbols in front of tu , but tu is the arbiter of intelligibility. If ego makes unintelligible noises or speaks Greek to the Eskimo tu, there is no communication and therefore no language. If ego's symbols are unsatisfactory or unsatisfactorily arranged, tu demands a new set or a better arrangement. Since speech is a function of action, tu's acts determine the sense of ego's symbols to the extent that ego must either acquiesce or come to a new understanding. Soliloquy, meditation, and ‘arranging one’s thoughts’ are imitations of dialogue. They have involved in past time even movements of lips ; hence the theatrical convention that the soliloquy and the read letter can be overheard. But ego does not speak to ego; he has far quicker ways of understanding himself. He soliloquizes before an imaginary tu and he arranges his thoughts with a view to addressing later some real tu. The dialogue occurs within a frame of reference provided by circumstances and concerns some event. Gardiner 1 describes speech as four-sided, with the IV factors of I speaker, [Gardiner, Speech and Language , Oxford, io] II listener, III words, and IV things. The things, however, should be those of a given moment, forming an external and concrete association which we call circumstance. It is better to think of them as external and concrete, because so they are in all languages, including savage ones. Two persons may discuss the square root of minus one in an oubliette at midnight and so reach an extreme of abstract speech, but the topic is no more than the last of a long series of abstractions which began with the sum of two flints or cave-bears or the Circumstances or Context Event or Phenomenon Impression Expression impression I H like. A square was once a pattern on the ground. If one says to another ‘the unexamined life is not worth living’ there has to be a context of ethical discussion to determine what is ‘life’, ‘worth* or ‘examination*. An insurance agent might be puzzled by the phrase and emend it to ‘the medically unexamined life is not worth insuring*. Even so, though more concrete, his language represents the end of a complex process of civilized abstraction. That speech should be possible without visible circumstances is a relatively late development, and is achieved by the creation of contexts. The context of a discourse consists of spoken conventions which enable us to dispense with visible objects, by siting the discourse well enough to give the supplementary information that would otherwise have been derived from circumstance. The language even of savages contains some abstraction, since they speak of some parts of circumstance and neglect others. Yet the Australian Arunta cannot count or distinguish times or identify themselves. Basque host ‘five* probably means ‘closed fist’, and counting in multiples of twenty (Basque ogei) was achieved by counting fingers and toes. Getting lost in the higher figures, it might prove simpler to proceed by subtraction (Lat. 19 undeviginti , 18 duodeviginti , Finnish 9 yhdeksan, 8 kahdeksan , cf. 1 yksi, 2 kaksi 9 and the Indo-European for 10). Chinese characters are singularly illuminating concerning the relations between concrete and abs- tract. ‘Benevolence* is ‘man plus two* (a man who thinks of another beside himself), ‘happiness* is ‘one mouth supported by a field*, ‘peace* is ‘a woman under a roof* (indoors), ‘home* is ‘a pig under a roof* (food and shelter), ‘spirit* is the skeleton of a great man, a ‘great* man is one who has not only legs to obey but arms to en- force, ‘father* is a ‘hand holding a whip*. These written analyses are, no doubt, scholarly and sometimes whimsical. It is not exactly in that way that abstractions have been derived from objects and contexts substituted for circumstance, but the language of savages is astoundingly concrete and only fully intelligible when spoken in the presence of the objects of discourse. Communication lies partly in what we say, partly in the circumstances. The latter fill in so much that actual speaking is elliptical, erratic, incomplete, and imprecise. Even the elliptical words may be further curtailed by substituting gestures, 1 which refer one back vaguely to the circumstances. Thus one may overhear: A. Hullo! How’s tricks? B. So so ; and the boy ? A . Bursting with energy, thanks. The first is not a question but a breach of silence, 2 and establishes the conversation on the basis of casual familiarity. It does not seek or receive an answer, but an opening is made for A’s principal interest (which is known from the circumstances), and A , when replying with information, acknowledges the kindly intention of B. It is possible to say quite intelligibly ‘Old what*s-his-name is just bringing in the thingummy*, if, at a Burns dinner, Mr. McLeod is seen piping in the haggis. It is even better to be imprecise, and to say ‘my heart went pit-a-pat’, ‘the tray came bang, thump, crash down the stairs’, or ‘whiff, it *s gone*, because, while the circumstances 1 Gesture-languages seem, however, to be translations of the spoken word or of set phrases as a whole. The Arunta are said to have a gesture-language of 250 signs. This seems to be different from the gestures which refer directly to circum- stance. 2 *To a natural man, another man’s silence is not a reassuring factor, but, on the contrary, something alarming and dangerous. Malinowski, Magic, Science and Religion, Boston. would explain either these sentences or explicit statements, these expressions give an impression of the immediate event, not generalized as one which might occur elsewhere. This is the basis of the astonishing development of ideophones in Zulu and other Bantu languages which will be discussed later. When we ‘speak like a book’ we provide explicit contexts as if circumstances did not exist visibly to complete our meaning, and this procedure, neces- sary in writing, is recognized as a defect in conversation. Grammatical and verbal completeness is thus not required of the sentence, and there is nothing to be, as older grammarians said, ‘understood’. It was difficult under the old regime to say precisely what word or words were to be ‘understood* since the phrase could be completed in various ways, but older grammarians, obsessed by literary contexts, did not sufficiently allow for the completion by environment. R. Lenz 1 gives the following conversation: A. Where are you off to, Peter? B. Valparaiso. A . At once ? B. No. Tomorrow, by the slow train. A What for? B. A matter of business. A. Something important ? B. Yes; the sale of my land. A. Have you a buyer in sight? B. It seems so. A . Well, congratulations. B. Thanks. This is what the linguist must accept. He is not at liberty to rewrite the sentences so that each should have subject, verb, object, and other principal parts. They are already complete and fully intelli- gible in the circumstances. They are even intelligible as parts of a context. Circumstance, and context eliminate uncertainties which theoretically exist. Thus of eighty-four words in the fourth tone of i in Chinese, 2 only ‘thought, will, intention* can exist in the vicinity of ‘understand*. The same sound may mean ‘a mountain in Shan- tung*, ‘dress*, ‘I* (in speaking to rulers); ‘licentious*, and ‘hiccup’, Lenz, La Oracion y sus partes , Chinese words are quoted according to the transliteration adopted in MacGillivray’s Mandarin-Romanized Dictionary of Chinese , Shanghai. It is according to Wade’s system, which has no special advantage beyond that of a wide diffusion. See also the pocket dictionaries by Goodrich and Soothill. but none of these are things one ‘understands*. Actually, by com- bining synonyms (i+-szu l ‘thought, will, intention’) modern Chinese gives the hearer more time to identify the meaning, but these compounds are readily dissolved when no ambiguity is possible. The written language provides ninety-two different signs for i A so that the precise meaning identifies itself, without dependence on visible circumstances or even on context. By way of compensation, the old literary style was sparing of doublets or other helps to understanding. Within the frame of circumstance each sentence refers to an event or phenomenon as it appears to, and interests, us at the moment of speaking. We distinguish activities and states, but the distinction is partly an illusion. ‘Rome is the Eternal City’ now and as things appear to us, though founded traditionally in 753 b.c., and still not so long-lived as Babylon. Damascus and Jerusalem are older and still exist, but do not appear to us to have the enduring quality conferred by the succession of the Papacy to the Caesars. I am content now, but the phrase does not prevent my being dis- contented in half an hour ; you are a Grand Duke or a soldier, but a revolution may cancel all titles or you may be demobilized to- morrow. The event is not known to us in all its cosmic significance ; we can only speak of what appears to us (represented by the wavi- ness of the line in the diagram). Of what appears, we put into words only what momentarily interests us, as in the celebrated observation: ‘What a lovely day! Let’s go and kill something.’ We make a mock of the objective statement ‘Queen Anne ’s dead’ because we are not accustomed to make affirmations without immediate inter- est ; though historians have devised for such statements a measure of interest by the postulate that all historical dicta are, in some way, worth while. Each event is, of course, unique. ‘Bear kills man’ and ‘Man kills bear’ are totally dissimilar events. It is thus not sur- prising that many languages should have word-sentences which express each event by a unique construction, and all show a phenomenal residue (the verb) after analysis has gone so far as to provide names for the parties, their qualities, and their modes of action and being. The verb continues to show formidable com- plexities in such a language as French, though the noun has become almost an invariable unit. The Latin verb offered a complex paradigm which was simplified by analysis in primitive Romance, but the Romance languages have used these analytical simplifications to build new synthetic paradigms. It is clear that the result is not due to analytical failure, but to an appreciation of the need to dis- criminate between phenomena. For the s^ke of simplicity we are considering the first com- munication of a series. Ego's primary impression of the event may be derived from any of the senses, though it is most likely to be visual. It will be more agglomerative than any expression, and probably either total or of selected parts modified by all their minor characteristics. Infants, like Humpty-Dumpty, endeavour to speak in a total way, packing their whole meaning into some such phrase as din-din. One can take din-din as equal to ‘I am thirsty’ or ‘Why don’t you give me a drink?’ or (in the case I have in mind) ‘I want more fizzy lemonade’. The situation is unanalysed and the whole of it is expressed, so far as the infant can, in two syllables and their accompanying intonations. On the other hand, the agglomerative type of structure is common in primitive tongues. The primary impression is thus intrinsically unlike tu's secondary impression, which depends on the co-ordination of a linear series of symbols. The older linguists spoke of ‘inner speech-form’ and ‘outer speech-form’ as if these had a one-to-one correspondence, and it is still deemed legitimate to speak of the mental image of a speech-sound and its actual enunciation. Whether the mind works in that way a linguist is hardly qualified to know, since his task begins with the audible sentence . The disconformity between global impressions and a linear series of symbols seems to be what convinces so many that their thoughts are too rich for words. There is an act of translation involved. Impressions are collected at some point of the brain, co-ordinated, transformed into orders to the speech organs, transmitted as a series of vibrations, collected by the ear-drum, and retranslated into meaning. The various mental movements have been identified to some extent by physiologists. Ego displays his impression to tu in the form of a linear symbolic expression. Any symbol that tu accepts is valid for communication with tu y and any that he rejects is invalid. Ego may offer any one of many gizon y homoy anthropos , czlowieky mard y ember , mies, jen y hito t insdn, adamy orang , muntu, oquichtli, runa or tree y zugatz , arbor y Baum , dendron , derevo y car and so on. The relation between sound and thing is entirely artificial, and according to the language so is x See, however, Gardiner, Speech and Language, ‘An Act of Speech*. the convention. Even onomatopoeia is conventional. The imitations serve, not because they are good, but because they are conventional. [To a Frenchman one offers subject-verb-object, and to a Turk subject-object-verb ; to a Chinese attribute-substantive is the same as substantive-attribute to a Siamese or Malay. Increased stress has the effect in one language that play on tones has in another. The symbols are just symbols, valid in any agreed convention, but without conventional agreement, unintelligible. Expression is a linear succession of sounds, and the sentence is a complete expression. It is understood, as we have seen, within the frame of circumstance or context, and we cannot presume that it has any necessary grammatical form. A sentence need not have a verb ‘expressed or understood’, though it must have the quality of phenomenality. It need not be a judgement. Most sentences consist of parts, and this is true even of polysynthetic word- sentences. The parts are not necessarily words, for in primitive languages we find embryonic stems which are not precisely deter- mined for form or meaning, and in synthetic and agglutinative languages we find affixes which are significant parts of a sentence. Tu hears the expression and is the arbiter of its intelligibility. He collects and retranslates the individual syllables as soon as they begin to be heard, and combines them for meaning. If he cannot achieve a meaning he asks for further symbols, whether in the same language or in another. He reacts either by himself becoming a speaker or by performing some action. But in either reaction it becomes plain that tu’s impression is not identical with ego’s. Their minds are somehow differently constituted (symbolized in the diagram by the size of the circles). Despite all conventional agree- ment, there is no perfect understanding between ego and tu . What tu understands, more or less in agreement with ego , are (1) the reference of symbols to things, which is the ‘logical’ or grammatical sense of the sentence, (2) an emotional supercharge represented by agreed stylistic symbols (which may be zero), and (3), since tu is also an artist in words, something of the event itself. He under- stands this in his own fashion. He may, for instance, be specially susceptible to the word torpedoed as having gone through the experi- ence or as being endowed with a vivid imagination. In this third aspect of meaning, however, though it is not expressed in symbols, 1 e.g. the sound of a shot is in English bang or crack , in Spanish pum or pa$ (the latter perhaps more appropriate to the slither of the bullet as it lands). there is something on which the artist in words can reckon; a play of mind on mind, through language but above convention, which is presumably the secret of great poetry and oratory. There is here an aspect of language which is beyond exact measurement but can be intuitively felt. The speaker not merely conveys a logical mean- ing and an emotion to the hearer, but stirs the hearer to a secondary act of creation. The reactions to great literature are diverse and some of them stimulate further reactions, so that works as funda- mental as the Authorized Bible, Hamlet , and the Aeneid become encrusted with added meanings, and are hard to reduce to their original intention. Nor is the original intention, say of the Aeneid , necessarily the highest value of a poem on which the imagination of a Dante has operated so profoundly. Pier Augusto Breccia. Keywords: ego tu -- Erstwiile, Gardiner, ego et tu, la metafisica del dialogo, noi, ovvero, la metafisica della conversazione, implicatura ermeneutica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Breccia” – The Swimming-Pool Library. Breccia.
Grice e Brescia: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della rarità vichiane –rarita
griceiana – scuola di Trani – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Trani).
Filosofo italiano. Trani, Barletta-Andria-Trani, Puglia. Si laurea con lode
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Perugia.
Inizia la sua docenza come professore di Storia dell'Arte presso il Liceo
Classico Carlo Troya di Andria. Consegue la cattedra di Latino presso il Liceo
Classico Oriani di Corato. Consegue la cattedra di Lettere e Storia presso
l'Istituto Magistrale di Terlizzi. Insegna
Latino nel Liceo Nuzzi di Andria. Oottiene il suo primo incarico da
preside a seguito del concorso superato. La prima presidenza è dunque a Trani
presso il Liceo Scientifico Valdemaro Vecchi, intitolato al Vecchi dietro sua
proposta. Presiede il Liceo Monticelli di Brindisi. Presiede il Liceo Nuzzi di
Andria. Presiede il Liceo Classico Carlo Troya di Andria, esteso anche a Liceo
Linguistico e Liceo delle Scienze Sociali durante la sua direzione in seguito
alla partecipazione alla Commissione Brocca. Membro della Società di
Storia Patria per la Puglia. Consegue il Premio della Cultura della Presidenza
del Consiglio dei Ministri. Viene insignito della Medaglia d'Oro del Ministero
della Pubblica Istruzione per i benemeriti della cultura, dell'arte e della
ricerca scientifica. Ottiene l'onorificenza di Cavaliere della Repubblica
Italiana. Ottiene il Premio Pannunzio per la saggistica conferito dal Centro
Pannunzio di Torino. Dopo una lunga e serena vita di studi muore
improvvisamente ad Andria. Appresa la notizia anche il sindaco di Andria Bruno
ha espresso il cordoglio personale e della città alla famiglia. Citando
Loris Maria Marchetti su Pannunzio Magazine: Ispirandosi alla lezione,
originalmente aggiornata, di Croce e di Popper (ai quali ha dedicato importanti
studi), elabora un sistema filosofico in quattro parti (Antropologia,
Epistemologia, Cosmologia, Teoria della Tetrade) dove trovano un punto di
incontro storicismo, epistemologia ed ermeneutica. La sua filosofia
investe anche il pensiero politico e l’àmbito dell’estetica, donde il suo
fittissimo esercizio di saggista di letteratura e arti figurative, interpretate
sostanzialmente nel loro risvolto filosofico-cognitivo. Altre opere: “Il tempo
e la libertà”; “Pascal e l’ermeneutica”; “Croce e il mondo”; “L’oro di Croce,
Joyce dopo Joyce, Ipotesi su Pico, Massa non massa, Radici di libertà, Il
vivente originario, Tempo e idea, I conti con il male, Radici dell’Occidente, Forme
della vita e modi della complessità; saggi su Bassani, Calvino, ecc. Fedele collaboratore delle
iniziative del Centro “Pannunzio”, negli Annali comparvero suoi saggi su C. L.
Ragghianti e su Cervantes in rapporto all’Ariosto e alla tradizione italiana. Nel
pannunziano Magazine pubblica, tra gli altri, saggi su Accetto, Max Ascoli,
Croce, Bosis, Sanctis, Freud, Aldous Huxley, Jung, Vinci, Mathieu, Moravia,
Pasolini, Solgenitsyn,Vico. Alfredo Parente - L'“opera bella” come impegno
morale, “Rivista di studi crociani”, Giovanni Spadolini - Mazziniani asceti,
“La Stampa”, Francesco Compagna - Editoriale, “Nord e Sud”, Raffaello Franchini
- L'idea di progresso. Teoria e storia, Giannini, Raffaello Franchini, Trittico
crociano, “Il Tempo”, A. Rosario Assunto, Filosofia del giardino e filosofia
nel giardino. Saggi di teoria e storia dell'estetica, Bulzoni, Roma, Rosario Assunto
- recensione di Brescia, “Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce,
Salentina, Galatina, in “Rassegna di cultura e vita scolastica”, Vittorio Stella
- recensione di Brescia, “Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce,
Salentina, Galatina, in “Rivista di studi crociani”, Vittorio Stella - Il
giudizio dell'arte. La critica storico-estetica in Croce e nei crociani,
Quodlibet Studio, Macerata, Boulay - Croce. Trente ans de vie intellectuelle,
Librairie Droz, Ginevra, Nicola Fiorelli - “La Follia di New York”, Sviluppi
filosofici nella più recente “scuola” crociana, Schena, Fasano. Vincenzo
Terenzio, Natura e spirito nel pensiero di B., Adda, Bari, Pietro Addante - La
“fucina del mondo”. Storicismo Epistemologia Ermeneutica, Schena, Fasano, Franco
Bosio -recensioni di I conti con il male, Laterza, Bari, Calvino e Andria,
Andria; Tempo e Idee, Libertates, Milano, Il vivente originario, Libertates,
Milano, in “Rivista Rosminiana”, Bosio - recensione di Le “Guise della
prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi (Laterza, Bari), “Rivista Rosminiana”,
Dario Antiseri; Croce e l'Anticristo, “Avvenire”, Dario Antiseri, Popper
protagonista del secolo XX, “Biblioteca Austriaca”, Rubbettino, Antiseri - Popper,
Rubbettino, Dario Antiseri, Le ragioni della
libertà, Rubbettino, Antonio Jannazzo - Il liberalismo italiano del Novecento.
Da Giolitti a Malagodi, “Fondazione Luigi Einaudi”, Rubbettino, Beniamino
Vizzini - Per una discussione intorno al problema della libertà. Cenni per un
colloquio di ermeneutica morale con B., Postfazione a Tempo e Idee. 'Sapienza dei
secoli' e reinterpretazioni, Libertates, Milano, Beniamino Vizzini - Vita e
dialettica nel pensiero di Giuseppe Brescia e Pavel Florenskj, “Rivista
Rosminiana”, Janovitz - Gli studi su Croce, “Nuova Antologia”, Janovitz -
Quando Croce dialogava con Dio. Religiosità e cristianesimo di Croce prima e
dopo la lettura dell'epistolario con Maria Curtopassi, “Nuova Antologia”, Janovitz,
Il mio Croce. Scritti, Quaderni della
“Nuova Antologia”, Firenze, Paolo Bonetti - Introduzione a Croce, Laterza,
Bonetti - recensione di I conti con il male. Ontologia e gnoseologia del male,
Laterza, Bari, in “Nuova Antologia”, Samuele Govoni - Brescia celebra il
Bassani amante dell'arte, “La Nuova Ferrara” - Cultura, Cosimo Ceccuti - La
Religione della Libertà, “Il Resto del Carlino”, Cultura e Società, Il caffè. Nico
Aurora - Sanctis e l'attualità del 'Discorso di Trani'. La lezione di B. a distanza,
“La Gazzetta del Mezzogiorno”, Vaccara - Presentazione di Max Ascoli, il
filosofo mondiale della libertà, “La Voce di New York”, Poli - recensione di Le
“Guise della prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi, Laterza,
Bari, in “Risorgimento e Mezzogiorno”, Domenico Cofano - recensione di B.,
Giovanni Bovio. La vita e l'opera, Società di Storia Patria per la Puglia,
Andria, etetedizioni, in “Nuova Antologia”, Giovanni Bovio, maestro del
pensiero, “La Gazzetta del Mezzogiorno”. È scomparso improvvisamente il preside
Brescia "andriaviva.it", Quirinale.it
Quirinale.it – Onorificenze, Loris Maria Marchetti, B., di Loris Maria
Marchetti, su Pannunzio Magazine. Nuovo lavoro editoriale del prof.
Giuseppe Brescia – Società di Storia Patria per la Puglia, chiamato “Le ‘guise
della prudenza’ Vita e morte delle nazioni da Vico a noi”. Per le edizioni
Giuseppe Laterza del libro riportato, la premessa intitolata “Come fermar il
declino delle Nazioni”, Nella “Pratica di questa Scienza Nuova” Vico, nostro
europeo Altvater (come riconobbe Wolfgang Goethe), assegna alla propria opera
un valore “diagnostìco”, dal momento che permette di riconoscere a quale stadio
del suo corso si trovi una nazione, sia in rapporto alla sua “acmè” sia nella
prospettiva dello stadio successivo di dissoluzione del proprio stato. È a
questo punto che “bisogna lottare per restaurare il senso comune perduto” e
riavviare – così- il “ricorso”.Su questa linea si muove la presente raccolta
unitaria, ricomponendo i saggi “Le ‘guise della prudenza’ Vita e morte delle
nazioni da Vico a noi”, che dà anche ìl titolo all’intiero volume, apparso in
“Filosofia e nuovi sentieri”; “Pico e Vico” (dalla “Rivista Rosminiana”); con i
percorsi “Teoria dei colori Alchimia Apocalisse in Newton”, “Le origini
dell’Islam la vita di Carafa”, e l’11 Settembre”, “Famiglia vita e imprese di
Carafa”, “La razzia dell’universo”, “Revisioni e conferme delle ‘tesi’ di Henri
Pirenne” e “L’orrore delle razzie s’irradia nel mito”, incentrati sul problema
del male nella storia e il rapporto con il fondamentalismo (preannunciati nelle
rubriche “Ternpo e Libertà” di “traninews-infonews”, e “Noi Credevamo” di
Videoandria. Tale complessa ricerca si inserisce nell’ultima fase del mio
pensiero, caratterizzata dai lavori ermeneutici Il vivente originario e Tempo e
Idee. ‘Sapienza dei secoli e reinterpretazioni’ (Libertates Libri, Milano
entrambi con prefazione di Bosio); I conti con il male. Ontologia e gnoseologia
del male (Ed. Giuseppe Laterza, Bari 2015) e Italo Calvino e Andria. Variazioni
sul senso del celeste (Matarrese, Andria), arricchiti spesso di Iconografia e
mappe concettuali. L’ultimo attuale saggio “Rarità vichiane a Trani” riprende i
lineamenti della duplice “Lectio Magistralis”, tenuta nella Biblioteca
“Giovanni Bovio” di Trani, per onorare i duecento anni dalla nascita di
Francesco De Sanctis, nella ricorrenza dell’elevato “Discorso di Trani”, non
ché il capitolo La Nuova Scienza, dedicato soprattutto a Vico dal critico e
maestro d’Italia civile nella sua Storia della letteratura, per conto della
Sezione andriese della Società di Storia Patria per la Puglia. Siamo (come
ognun vede), “alle origini della modemità e a “tenuta della civiltà”
umanistica, di cui l’idealismo storicistico rappresenta la nobile (quanto
sofferta) fioritura”. Il lavoro di B. è incentrato sul tragico nella
storia (incidente ferroviario di Andria;fondamentalismo; 11 settembre e
biografia di Carafa, dettata da Vico; Vico e De Sanctis a Trani. Giuseppe
Brescia. Keywords: rarità vichiane, Croce, implicatura, Croce inedito. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Brescia” – The Swimming-Pool Library. Brescia.
Grice
e Bressani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del vo
significando – Vendler: have you stopped meaning it yet? -- intorno alla lingua
toscana – filosofia toscana – scuola di Treviso – filosofia veneta -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Treviso).
Filosofo veneto. Filosofo italiano. Treviso, Veneto. Grice: “Strawson, being boring, likes
Bressani’s arguments – alla Plato and Aristotle, but mainly Aristotle –
againsts what Galileo has the cheek to call ‘filosofare’! – But I prefer
Bressani’s poems, the buccoliche, and especially his lovely treaise ‘discorso in
torno alla lingua,’ his little ethical treatise is charming especially if you
are into what some (not I, certainly) call ‘developmental conversational
pragmatics’!” B. Discorsi sopra le obbiezioni
fatte dal Galileo alla dottrina di Aristotile – B. Si laurea a Padova
interessandosi a letteratura e filosofia. Fu aiutato da Francesco Algarotti,
cui aveva inviato delle proprie opere.
Sostenne uno scolasticismo classico in opposizione alla scienza moderna
di Galileo e Newton. Altri saggi: B., Modo del filosofare introdotto dal
Galilei, ragguagliato al saggio di Platone e di Aristotile, In Padova, nella
Stamperia del Seminario, a B., Discorsi sopra le obbiezioni fatte dal Galileo
alla dottrina di Aristotile, In Padova, Angelo Comino, B., in Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Filosofia
Filosofo Professore Treviso. DISCORSO INTORNO ALLA LINGUA ITALIANA. B. RECITATO
NELLA SALA VERDE DI PADOVA IN UN ACCADEMICO ESERCIZIO Omparisce per la prima
volta a lustrare la nostra miscellanea B., soggetto di chiaro nome, e di
ornamento e splendere alla fra Patria, col presente ragionamento sopra la lingua
italiana, recitato da lui ultimamente più a cagion di esercizio che per altro
fine in una radunanza di filosofi a Padova da i quali avendosi per noi saputo l’approvazione
che ha, speriamo far cosa grata all'autore, e insieme d'alcun noftro merito,
col pubblicarlo -- tanto più, che potrà egli servir d’ajuto e di lume a quelli
che molti sono i quali banno bisogno di faggia scorta nello ſteam dio, che
affettano dell’italiana FAVELLA. B. Dottor e Accademico Ricovrato; Da eso
recitato in un’accademia di esercizio nella Sala Verde di Padova. A Chiemque
fa, eruditi e dotti accademici, quanto malagevol sia il rintracciare le cause
effettrici dell’umane cognizioni, non parrà cosa strana il sentimento di PLATONE
ch’el le fieno provenienti tutte dalla reminiscenza. Nè io credo che attribuire
si possa ad altro, fuorchè alla reminiscenza il sentire e l’accorgersi del di B..
e 3 dello spirito e del vero pregio delle belle arti. Imperocchè tale vi ha che
nè per tutta l'attenzion sua, ne per opera degli altri non arriva giammai ad
intenderlo. E laſciando di far parola di quegli, che niun dilet ro pigliano, o
nella Archittetura, o nella Muſica, che ſono moltiſſimi rivolgo la
conſiderazion mia a colo ro, che pur amano d'eſser tenuti di ottimo guſto nella
noſtra Lingua nulla fi accorgono, nè ſono per ven tura atti ad accorgerſi, in
che ne con fiſta principalmente la venuſtà e la grazia. Avvegnacchè adunque
ciaſcu na Lingua ſenta molto più dell'ideas le, che non ſente l'Architettura la
Muſica, e fia a lato di quelle in termini incomparabilmente più ange fti
riſtretta; non è per tanto che ella non abbia le ſue verità in riſpetto a que'
pochi, a cui è dato d'intendere non ſolamente il ſignificato delle vo ci; ma la
relazione tra loro meglio convenevole. Ora come io, ſenza più, approvo iVocabolarj,
gli avver timenti di Gramatica e le Oſsers vazioni, che intorno a queſta Lingua
XS o § fo 490 Diſcorſo della Lingua Italiana fonofi facte dalla diligenza
d'Uomini valenci; poco avrò che accennare de' fuoi materiali, ed il mio
ragionamen. to ſarà fpezialmente della forma quanto a me, la migliore, che rice
ver ella debba dalla fantaſía, e dal giudizio degli Scrittori. Ogni Archi tetto
adopra i materiale medeſimi, ed oſserva gli ordini medeſimi della Architettura;
e le loro opere ſono tra di sè varie nella proporzione, e nella leggiadria.
Ogni Compofitore di Muſica adopra le medefime note: 0. gni Scrittore di
qualſifia Lingua ado pra le medeſime parole, e ſegue le regole, che
riſpettivamente ſonogli preſcritte dalla ſua arte. Tuttavia i bei riſultati,
che di eſse procedono, fono, ed eſser debbono tra di sè di. verſi. Ma quanto
agevol penſo che mi farebbe il ridire le regole máte riali, che vi ha, per
favellar bene; tanto io temo di non faper altro che ofcuramente ragionare della
varietà, e perfezione di detti riſultati; ficco me quelli, che appartengono
anzi al giudicio de' noftri fenfi, che della no ftra ragione. Pur nondimeno per
le í PO Del Sig. Gregorio Breſami. 491 poche coſe in genere, che io ſono per
accennare, ſpero che il mio ra gionamento fia di qualche utilità a coloro che
non fono eſtremamente otcufi nel capire la vaghezza della noftra favella; ed a
Voi, Signori Accademici forſe non diſcaro ad udire. ! A noſtra Lingua, ſecondo
l'opi nion mia, da altri chiamaſi Ita liana perchè di tutta Italia' fi fon
preſi i vocaboli, donde è compoſta: da alcuni chiamaGi Volgare, forſe per chè
uſata, ed inteſa volgarmente:E da cercuni chiamaſi Toscana, o perchè il più de'
vocaboli fi fon preſi appun to di Toſcana, o perchè agli Toſca ni, come a padri
di detta lingua, e come a Tutori d'orecchio, e di giu, dicio finiffimo,
meritamente è conce. duto il diritto di giudicar della puri tà, e della
barbarie di ciaſcun voca bolo. E nel vero ad evitare la con fufione, che ne
addiverrebbe, ſe cia. ſcuno a ſuo talento uſaſse di nuove voci; egli è del pari
laudevole che neceſsario, che v'abbia il ſuo Tribunale inappellabile, che altri
vocaboli diſapprova come anticaglie, altri non ammette come barbari, ed altri
ritie. ne, o adotta come neceſsarj, o leg giadri. Il che dà a divedere, che la
noſtra Lingua è un corpo vivo ſog. getto ad alterazione, in quella guila che
ſono gli altri tutti, o naturali o politici. E perchè qualſivoglia cor ро dalla
ſteſsa ſua naturale alterazio ne è minacciato di rovina; faggiamen te fanno i
Signori Accademici della Cruſca, che non adottano per Mae ftro di Lingua ogni
triſtanzuol di Gra matico, che non tiene veruno ſtile e che in luogo di
vocaboli ufitati, e di proprj, ne adopra ſpeſso di affet tati, e di rancidi, di
groſsolani, o di ſtranieri. Benst a gran ragione a dottarono, e quando che ſia,
ſon cere to che adotteranno i vocaboli di que? grand’ Uomini, che per la loro
viva, ed ordinata fantafia, o inventarono, o crebbero alcune belle arti, o
alcu« ne- ſcienze; e fu di neceſſità il trovar nuove voci ad eſprimere i loro
nuovi concetti. Per altro qual biſogno, o qual capriccio egli è mai di ufar vo
cmano un diſcorſo (Nè io giày caboli zotici, e duri d'altre provin cie d'Italia,
o di accattarne degli ſtra nieri; quando ne abbiamo in tanta copia di cosi
proprj, e di così gentili? Ma come egli ſta nel volere di Chiun que l'apparare
i materiali della noſtra Lingua; non così puote ciaſcuno, o ſa farne
quell'accozzamento, onde ri fulti un diſcorſo naturale, ed inſie me leggiadro:
Nelle ricerche più aftrufe di qualche verità di Filica non v'ha paragone tra 'l
faper indo vinare quale non fia la cauſa d'un Fea nomeno e l'indovinare quale
ella fia. All'iſteſso modo confiderando io ciò, che ſi voglia per iſcriver bene
ed elegantemente, ben potrei io an noverare millantà difetti, che disfora
lafcero indietro di moſtrare alimeno le fonti principali, donde derivano ): ma
non così di leggieri potrei additare qual fia la grazia, e l'armonia, che lo
ren de vago, e lodevole. Pare io conſi dero, che benehe:la noſtra Lingua; come
io difli innanzi, quaſi altro non fia, che un Mondo ideale; non oſtan te i
caratteri del fuo bello, poſsono ef 494 Diſcorſo della Lingua Italian essere in
qualche parte paragonabili con quegli, che riſpettivamente fi rav. vifano nel
noſtro Mondo materiale. E certamente in quella guiſa, che a ciaſcuna parte del
noſtro Cielo riſpon. de la produzione di coſe differentiffie me; forſe per
ragioni ſomiglianti-, à ciaſcun paeſe riſponde un linguaggio tutto proprio, e
differente dagli altri. E non fa forza, che nella noſtra me. defima Italia
chiamaſseſi un tempo panis ciò, che noi al preſente chia miamo pane; poichè non
è ſolamente la varia deſinenza di ſuono, che die ftingua l'una Lingua
dall'altra; ben il modo, con che ſeguendo non ſo quale neceſſità,
fi.concepiſcono le coſe, e fi eſprimono. Onde non è maravi glia, che non ogni
Clima produca in gegni atti ad ogni genere di compo, nimenti. In fatti ſiccome
non è il metro, che diſtingua la poeſia dalla prola; ma il modo diconcepire
diver. ſo; cosi io porto opinione, che alme no in gran parte l'indole, e'l
genio della lingua Latina tuttavia fuffifta nel la noſtra Volgaré. La qual coſa
ſem. bra, che abbiale voluto confermare il divino ALIGHERI (si veda), laddove,
fingendo egli di parlare con Virgilio, diſse: Tu fe il mio Maeſtro, e il mio Au
tore, Tuſe folo Colui, da cui io tol. Lo bello Stile che mi ha fatto De nore.
Vero è che l'Armonia dello Stile, la qual naſce ſpezialmente dallo traſpo
nimento delle voci, e chiamaſi coſtru zione, a chi paragona lo ſcriver ret
torico di Cicerone, o 'l robufto di Li vio col noſtro parlar familiare non può
a meno di non parere di gran tratto diverfa: ma ella non parrà già tanto,
paragonando un componimen. to de' Latini con un noftro ſopra un fimile ſoggetto,
e d'una ſpezie mede fima. In fine molto meno ne parreb be diverſa, ove à noi
foffe dato di faa per pronunziare le parole de Latini come facevan elli, cioè
con quegli ac. centi, è con quelle delipenze, che per comune opinione noi
abbiamo -fiera mente alterati, o perduti. Ma nos così interviene, ove noi la
predetta armonia paragoniamo con quella di qualche Lingua ſtraniera; o ci diamo
a credere di poter rimeſcolarne i vo caboli, e forme di dire; che effendo d'un
genio differentiffimo; ficcome non ſi appiccano giammai gli inneſti di quelle
piante, che ſono tra di sè diverſe; così ciaſcuna Lingua mal com pofta tutto
ciò, che fenie d'un Clima diverſo. Io dico adunque, che la no ftra Lingua in
ciaſcuna ſua parte dee ſentire, per dir così, della ſua ſpezie, e della ſua
Nazione. Il che riſponde a quel carattere di bellezza, che nel le coſe create e
corporee chiamaſi u. nità; unità però tale, che da eſſa pro viene, ő piuttoſto
in eſſa ſtà racchiu. ſo un altro carattere, che è la varie ttà; la quale come
rendesi manifesta negl’animali, e nelle piante d'un'in fteila ſpezie, e d'un
iſteffo Clima; così ella dee apparire nello ſtile di cia Icuno Scrittore d'
un'iſteſſa Lingua. Il qual mio ſentimento moſtra in ſem. bianti d'effer il
medeſimo, che quello del celebre Baccone di Verulamio lade dove tocca della
bellezza dello ftile $ 1 dicendo dover'egli eſſere, rivis didu um fuis, imitans
neminem, nemini imitabile. Talchè dovendofi pur togliere d'altrui i vocaboli,
ed i modi di di re; conviene anche in ciò imitar la natura, che non genera cosa,
se non colla corruzione d'un'altra: Voglio significare, che quanto noi togliamo
d'altrui per formare un discorso, dee talmente tritarsi nel noſtro cervello
innanzi ché noi lo vestiamo di nuova forma, che al suo apparire niuno ha da
accorgerſi donde noi l'abbiamo tolto. Ed intorno a ciò comunemente non si dà
nel segno; perchè altri per travolco giudicio indi ſcoſtaſi, quanto più si
affatica di raggiugnerlo. Altri per infingardaggine li riposa nel limi tare del
buon sentiero, senza voler cercare più avanti. E finalmente altri è di sentimento
ottuso e d'intelligenza assai corta a capire la bellezza, e la fecondità, per
dir costi, di quel vero, che egli imprende ad imitare, Se ne fcoſtano i primi,
a' quali per ciocchè troppo ftà a cuore di render fi ſingolari dagli altri e
col penſare e coll'eſprimerſi; mentre ſtudiano di celu ceffare il vizio della
trivialità, offendono nel vizio della affettazione, in comparabilmente più
rincreſcevole. La qual’affettazione consiste in certe parole squarciate, e
lmanioſe, ed in certi accozzamenti di quelle, che volgarmente si chiamano belle
fraſi Iono forme di dire, che fanno notabile diſugguaglianza col restante del
discorſo e pe’quali (che che fi creda no gli ſciocchi) riſulta un tutto of
tremodo ftentato, e deforme. Esempio di ciò noi abbiamo in coloro, che avendo
appreso di molti vocaboli ale la rinfufa e varj modi di favellare da parecchi dicitori,
e tutti pulitif fimi; per la vanità di moſtrarlene do viziofi, in qualunque
racconto ne in trudono quanti mai poſsono il più, e mallimamente gli da loro stimati
me no comuni; tra quali ne intrudono anche di quegli, che non ſolo male fi
convengono colla ſemplicità della Natura; ma talora non ſi convengono colla
Verità del loro ſteſso ſentimento: e meritamente ripiglia coſtoro il noftro
Sovrano Poeta, dicendo: E quale che a gradin’oltre fo metu te? LC Non vede pide
dall uno all'altre filo. e 3 Per tanto niun’altra venufta, niun' altra grazia
ricever puote un discorso dagli vocaboli o forme di dire, fe non quella, che
deriva dal collocare ciascuno al luogo fuo; talmente che appaja eſser i
vocaboli piuttoſto, che abbiano cercato d'elser uſati dove fono; che d'eſser
eglino stati cercari ftudiofamente DAGLI FILOSOFI E perchè tanto altri
allontanafi dal vero coll' aggiungervi ciò, che non gli ſi con viene; quanto
altri coll'ommettere di collocarvi ciò, che gli fi conviene; ne ſeguita che un
diſcorſo rieſce diffetiofo sì ad uſare in eſso vocaboli di fover. chio, e fuori
di propofito, che a ri petere alcuni vocaboli, in vece d'ale tri varj, che fi
vorrebbono, ad eſpri mere propriamente i propri concerti dell'animo, ed a
fervare in un ragio namento quella varietà, che richiede fi a formarlo giuſta
l'eſemplare ſoprac. cennato de' corpi Fiſici. Ma che? Se gli Uomini per una
parte fon moſli da certo naturale deſiderio, o da qual ſivoglia altro ſtimolo
di giugnere nel la loro arte alla perfezione poſſibile i ſono all'incontro (laſciando
ſtare gli altri impedimenti, che ſpeſso ſi attra verſano al lor diſegno )
comunemente refpinti dalla fatica, che loro convien durare, prima che ad eſli
venga fatto di apprendere ad eſercitare qualſifia arte con lode. Ne vi ha
alcuna arte per limitata, o facile che ſia ſopra le altre, che pigliandoſi a
gabbo non rieſca imperfetta. Per la qual coſa, l'arte dello ſcriver bene si
nella no ftra, che in ciafcuna altra Lingua, richiede anch'eſsa di molta fatica,
ed induſtria. E vanno fortemente errati la maggior parte de' noftri Scrittori
che da che ſentonſi forniti di alquan ei vocaboli, e modi, onde groſsamer te
eſprimerſi; ed effi eſtimano di la per iſcrivere quanto baſta laudevol mente. E
come fi ſcontrano in uno ſtile un poco colto, che in un certo modo dovrebbe
eſser di rimprovero al loro difetto; dicono coſto che gli è uno ſtile che ſente
dell'affettato ', © dell'antico, „ dandogli a torto biaſmo, e mala voce. E così,
diſprezzando efli animoſamente ciò che per loro poltroneria non hanno appreſo.
Ferman fua opinione Prima che arte, o ragion per lor ſi ſcopra. Che ſe pur vero
foſse, che uſar non non ſi poteſsero altri vocaboli, o mo di di dire, ſe non
gli uſati da coſto. ro; il groſso Vocabolario della noſtra Lingua ridurrebbefi
ad un libriccivolo di quattro carce;. e laddove la noſtra Lingua ora vanta di
eſsere la ricchilli ma di voci, e di maniere leggiadre diverrebbe la più povera
e ſmozzicata di tutte. Oltrechè in proceſso di tem po gli ottimi Scrittori, c
Padri di no Itra Lingua ne diverrebbono molto oſcuri, e direi per poco in
intelligi gibili ". Vuolli per tanto aver pieria conoſcenza sì de'
vocaboli, che delle forme di dire; acciocchè il noſtro iti le abbia la predetta
varietà, e con ef ſo la ſua unità, per cui egli mantien. fi ſempre fomigliante
a ſe ſteſſo, e per cui ſembra quaſi uſcito di una fo la trafila. E le parole
groſsolane ri meſcolate colle gentili, e le parole adoperate fuor di luogo, o
con fazie vole repetizione, o le parole che non ſono più in uſo; lono come
altrettan te ſcabroſità, che gli impediſcono l' uſcirne. Per notabile che ſia
la varie. tà, o differenza tra gli Uomini nelle parti, che fuori appajono del
corpo, non è mai li grande, quanto ella è nel la capacità, ed aggiuftatezza del
loro ſpirito. Per la qual cola io avviſo di non poter paragonare gli umani inge
gni, che a coſe dello ſteſso genere bensi, ma di ſpezie diverſa. E fiami lecito
il paragonargli a varie piante, alcune delle quali reſtano picciole, perocchè
la ſtruttura primordiale de' loro ftami non comporta che fieno più oltre
ſviluppate, ed eſteſe (e GALILEI (si veda) dimostra, che così gl’animali, come
le piante, ſe foſsero d'altra grandezza, che non ſono vorrebbefi che la
ſimmetria delle lor parti foſse del cutto diverſa ) ed al cune altre non ſi
eſtendono, come eſtender ſi potrebbono per difetto dell' opportuno alimento.
Varia è la eſten, fione, e'l comprendimento de' noſtri ingegni, e varia è la
forte, che gli forniice di ajuti, e di occaſioni fa. vorevoli, onde poſsano
coltivarli. Egli è certo perciò, che quale s'im barazza nel voler' ordire un
ragiona mento, dirò così, di più fila ſopra la comprenſione, o coltura del fuo
in gegno, ovvero contro all'inclinazion lua particolare; il detto ragionamen to
fiaccherà da se medefimo, diffol. vendoli quaſi in brani; ed anche i vocaboli
ftelli, con che vorrà eſpri merlo non avranno nè unità, nè grazia. Nè fi
de'credere che l'Architetto, il quale fia buono da fabbrica. re una camera, fia
fempre buono da faper fabbricare un palagio: Nè che un Compositore d'una breve,
e femplice ſuonata fia fempre buono da con porre una Sinfonia aſſai lunga con
tutte le parti, che in eſſa ſi vou gliono a formare un'armonia perfec ta: Ne in
fine che un Uomo di leto dere, al quale venga fatto di ſaper unire inſieme una
decina di verli > fia per sé, ſia per
queſto buono da fare un Inne go poema; come ſe il palagio, la Sinfonia, ed il
poema altro non foſ. ſero, che un aggregato di più unità minori: Che nè la
Camera, nè la breve Suonata, nè la decina di verfi conſiderate riſpettivamente
nel pala gio, nella Sinfonia, nel poema, non lono già unità, ma parti. E però
non folo deono effer belle ma deono eſſerlo, anche per riſpetto a tutte le
altre parti, che ſono con efle integrali di tutta la fabbrica. Io non niego di
molte opericciuole ef ſere altrettante unità nel loro gene re, come ſono le
grandi; ma molto maggior forza, ed eſtenſione dinge. gno richiedeſi nel
comprendere un Poema (purchè le colę.; che in eſſo fon contenute; nonoſtante
che d'un racconto ſi trayalichi in altro; fien tutte come parti integrali d'una
azion ſola ) nel comprender, difli, un poe ma, che un Sonetto, una lunga Ora
zione, che una picciola riſtoria, ed al fro breve ragionamento: Ed il Boca
caccio medesimo fempre' doviziofiffi. mo che egli è di bei modi di dire,
pure sos che egli pure ſecondo la varia
facilità, e feli cità, con cui egli concepiva le coſe; vario è il diletto, che
egli ne reca ad eſprimerle. Nel breve racconto di qualche Novella non ha pari a
dipi gnerla con vivi colori, e con genti li, con mirabile naturalezza ė lega
giadria; mentre e pare a me, lia anzi increlcevole che nò nel lun. go racconto
del ſuo Filocopo, e della lua Fiammetta, ed altrove. In ſom. ma colui, che
imprende a far coſa ſopra la forza, e diſpoſizion nacura le del ſuo ſpirito,
non potrà giam mai ben riuſcirne. Certa coſa è che un'attenzione indefeffa a
leggere, e conſiderare parte per parte i gran maestri della noſtra Lingua; ed
un ben lungo uſo di ſcrivere, raffinano aſſai il noſtro giudicio, e perfeziona
no il noſtro ſenſo, ma egli è certo ancora, che il viburno con tutto l'
artificio, e la ſollecitudine degli Agri coltori, non giugnerà mai all' altezza
de i Cipreſli, nè il pioppo farà mai fructo: cioè quale non avrà chiara ap
prenſiva, ed eſteſa a veder per sè ſteſ lo ciò, che ſia d'uopo a formare quella
maniera di componimento, ch'ei fi prefigge nell'animo, dalle coſe più materiali
in fuori; nè dalla copia ottimi libri, nè dalla viva voce de'pe riti Maeſtri,
non potrà mai che poco, ed oſcuramente appararlo. E per que fto appunto che gli
Autori cladici del. la noſtra lingua non tenean biſogno di badare neli
eſprimerſi ad altro, che a' proprj fentimenti dell'animo, a chi guarda
ſottilmente, ſono impareggia bili con coloro che eſſendo ordina. riamente
poveriſfimi d'ingegno, ſpen. dono tutto il loro tempo nell'imitar, gli. Ma
comechè gli Uomini ſpeſſo fi Jamentino quando della lor povertà, quando della
poca robuſtezza, o d'al. tro difetto del corpo, quando della loro mala volontà,
o educazione; afſai di rado, o non mai fi dolgono di non effer forniti
d'ingegno, e di giu. dizio atto a qualſifia impreſa, non che a faper iſcrivere,
e favellare, come ſi conviene. Anzi non v'ha coſa più na. turale, e comune,
ficcome è il vede. re gli inertiſſimi del Mondo a preſu mer molto di sè, e
creder di far gran cole coſe; quando col loro poco ſenno non fanno altro, che
infucidare, e guaſta re i penſieri, e le maniere di dire che trovano ſparſe qua
e là nell'altrui opere. Ecco per tutto ciò che appreſ ſo alla cognizione, che
Uom dee ave re de'vocaboli, e d'altro; è da vede. re qual grandezza, e qualità
di com ponimento ſia da eſſo, e qual fia la forza del ſuo ſpirito a concepire
chia ramente più coſe, e'l modo, onde più facilmente, e felicemente le concepi.
fce; perchè altri farà eccellente nella poeſia, che non ſarà appena di mez zano
valore nella prota: ſenzachè al tri ſarà grazioſo in un genere di poe fia, che
in un altro genere non ſarà gran coſa piacevole: Altri farà com. mendabile in
un genere di profe; non così in un altro. Ma qualunque ſia il genere de
componimenti, qualunque ne fia la fpezie, qualunque in fine ſia la abilità del
noſtro fpirito a formare più queſto componimento, che quel.; ſi ha ad ogni ora
in ciaſcuna coſa, grande, o picciola che ella fiafi, da aſcoltar la Natura; che
forſe ſotto no. Y 2 me di Amoreaccennar volle in quei verfi il noſtro non mai
baftevolmente lodato Poeta:. Io mi ſon un, che, quan do Amore ſpira, noto; e a
quel mo do Ch'ei detta dentro., vo fignificando. Ma queſto ſi vuol fare con tal
artificio; che meglio pud eſſer inteſo da molti, che eſpreſſo da pochiſſimi. Ed
io per certo non ſaprei comemeglio a parole eſprimerlo. Ben ſo eſſere i più
minuti, ed eſatti raffinamenti, che fanno quel bello, quel raro in ogni coſa,
per cui ella ſale in gran pregio, ed in eſſo dura coſtantemente appo ogni Etade
futura. Ma la maggior par te degli Uomini, che pur ſi chiamano di profondo
ſapere, non badano a dete ti raffinamenti, perchè amano meglio, come dicon efi,
di raccozzare eſprimere rozzamente molte coſe, che poche con leggiadria. Di
quegli poi, che ſi conoſcono, e ſi dilettano de'leg gra. 7 e di giadri
componimenti, altri'l fanno per averlo ſolamente udito, ed appreſo da' Maeſtri;
ed altri 'l fanno maſſimamen te per propria meditazione, e quaſi per intimo
ſenſo. De'primi molti po. trai udire a giudicare rettamente dell' altrui Opere,
ed a ragionare a mara viglia de' precetti dell'arte; non così però ad
eſeguirgli nelle loro. Oltrechè effendo ne'più perfetti Esemplari di Lingua
quella stessa gradazione di ferie, che ravviſaſi in ciaſcuna ſpezie de' corpi
Filici; coſicchè l'ultimo Icric tore tra gli ottimi venga ad eſsere il primo
tra gli altri inferiori; rare volte avviene, che altri fuorchè i ſecondi, cioè,
gli aventi il ſenſo ac comodato a conoſcere il vero ſpirito d'uno ſtile, che
naſce di una bella fantaſia, correcta bensì, ma non pun to alterata dall'umano
artificio; che ſappiano diſtinguere tra i buoni gli ottimi, e co'migliori
gareggiar di lo de ne' loro componimenti. Benche il Mondo tutto de' Letterati
non ab. bonda, che di ingegni mediocri, o di coltivati mediocremente; come ſi
abbattono a qualche manie. i quali Ý 3. ra di file, o ſtrabocchevolmente fan
taſtico, od in qualunque altro modo corrotto, e fallo; fannol conoſcere ed
isfuggire; per altro facendo un fae fcio, come ſi dice, di tutti gli altri;
hanno la ſtima medeſima di Autori di merito differentiſlimi. E non ef fendo
forſe uſi di meditare ſopra ver runa coſa, per rinvenire da sè la verità; la
credenza dell'uno di coſto ro è ſoſtegno, e ragione baſtante al la credenza
dell'altro. In quanto poi a coloro che con qualche nuovo mo do di ſcrivere,
tuttochè privo della venuftà, e della finezza da me ac cennata, deſtano in
altrui ammira zione, e dilecto ye da i più fonte nuti per valentiffimi
Scrittori; non è gran fatto da ſtupirſene, che il giu dizio della gente groffa,
cioè de i più, in ſomiglianti cole è fallaciffimo. E inveſtigando io la ragione,
onde in tervenga, che una ſtampita rechi al la moltitudine forſe diletto maggio
re, che non reca un'armonia aggiu. ſtata; che un vafto, e bianco pala gio, che
piuttoſto dovrebbe dirſi un gran mucchio di pietre, fia ftimato, ed Del Sig.Gregorio
Breſſani. Sil ed ammirato più, che una picciola caſa fabbricata cơn ottima
architet tura; e che finalmente uno ſtile, ed altra coſa fregolarà piaccia per
av ventura più, che non piacciono le coſe fatte riſpettivamente ſecondo le
buone regole dell'arte; avviſai, che ella non poſſa eſſer alcra, ſe non ſe
queſt'una: che concioſiecchè ricevono gli idioti dentro di sè un'idea di cofa,
che non ha nè ordine, nè proporzione, può ſembrar loro aggiuftara, e gen tile;
perciocchè la confiderano in se ſteſſa ſenza paragonarla colle idee che efli
hanno delle coſe veramente efiftenti; e ſenza paragonarla con que' caratteri di
bellezza, che badanie do ſottilmente, fi ravviſano nelle co ſe tutte, quali
elle ſono create e diſpoſte dall' Artefice fapientiſſimo: i quali caratteri vie
più rendonſima nifeſti, e mirabili, quanto maggiore fi è l'attenzione, e
l'intelligenza di chi gli conſidera. Quindi noi vedrem mo più maniere di ſtile
ampolloſo, o d'altra guiſa falſo aver tenuto per infino a tanto che fonofi dati
gli - Uomini a fare il ſopraccennato pa ragone; che è quanto dire a diſtin.
guere l'ideale, che ha infiniti fimili fuori di se, dal chimerico, che fol
tanto dimora nel noſtro ſregolato giudizio: ed all'incontro lo ſtile che è il
vero (vero io intendo di quella verità, che riſulta dalla con venienza tra
l'eſpreſſion noſtra, e la eſpreſſione la più acconcia, che ima giniamo effer
poflibile in chi favel la, ſecondochè gli detta la Natura ) può eſſere per
alcun tempo in poco pregio, appreſſo coloro, che non fanno altro, che correr
dietro a ciò, she ha faccia di novità, ſenza cere care più oltre. Ma certissima
cosa è che opinionum commenta, come dice CICERONE (si veda), delet dies; nature
juedicia confirmat. Ed io da capo francamente attribuiſcoverità anche al modo
di ſcrivere che pazzo è per opinion mia, qual fi crede, che non abbiavi altrove
verità nelle belle arti; ſalvo che ne' teoremi della Geometria, ovvero ne'
calcoli dell'Aritmetica: quaſichè innumerabili non foſſero i fenomeni in Natura
(e tuca ti ſenza dubbio ſono nel loro gene i re aggiuſtatiſſimi ) a' quali non
ſi ponno addattare ne' calcoli, nè figu re geometriche. Ma effendone noi certi
altronde dell'armonia e della verità delle coſe farce dall'arte, gliam noi dire
perciò, che fien men belle, o men vere di quelle, di cui noi conoſciamo in
parte, e geome. tricamente dimoſtriamo l' artificio? Il perchè io dico eſſerci
verità in una Cantica d’ALIGHIERI (si veda), eſpreſſa co me ha fatto egli; che
ella non ci farebbe altrimenti, ſe l'argomento ſteſso foſse eſpreſso dall' Uomo
più ſcienziato del Mondo, ma ignudo di vocaboli gentili, e di maniere di dire
leggiadre: Che altra verità contiene in sè una ſteſsa immagine delineata con
perfecta ſimmetria, con atteggia mento naturale, con ombreggiamenti, e colori
convenienti; ed altra, ſe det ta immagine tanto quanto ſi diſcoſta
dall'eſemplare di Natura; benchè noi per quella eſsa la ravvilaflimo egual
mente. Ora che altro è il noſtro Icria vere, e'l noſtro favellare, ſe non che
un dipignere le noſtre idee ſopra la immaginativa di chi ci ſtanno ad udire;
onde non dobbiam noi eſser con tenti ſol tanto, che una idea da noi groſsamente,
non ſo ſe io mi debba die re piuttoſto abbozzata, che eſpreſsa, non venga tolta
in iſcambio con un'al tra; ma dobbiamo innoltre porre ogni ftudio per eccitare
in altrui quel vivo ſentimento di quallfia coſa, che ab biam noi medeſimi,
allorchè vivamen te, e chiaramente l'abbiamo apprela. Che avvegnachè l'arte
dello ſcrivere confifta tutta in un aggregato di ſegni, o di modi, ſcelti, ſe
vuoi, ad arbi trio degli Uomini, io tengo non per tanto eſser detti ſegni quaſi
una coſa ſteſsa con ciò, che per eſſi ne viene rape preſentato; o almeno dover
eſser tali, Sì che dalfatto il dir non ſia diverſo Lungo ſarebbe il diſcender
ora á ra. gionar de' particolari, che recano, o tolgono la leggiadria, e la
verità a va rie maniere di componimenti. Ma ancorachè io nol faccia, il poco,
che io ne accennai in comune, ſpero che per avventura defterà in chi che fia la
reminiſcenza di quanto fa di meſtieri ula uſare a voler iſcrivere con lode; per
chè in fine, ſiccome non da altri, che dal proprio ſentimento ſi può appren
dere a modificar variamente l'armonia della Muſica, nè della Architectura; così
non da altri, che da sè veruno non può apprendere il vero modo di addattare la
propria fantaſia a cutte le occaſioni particolari di aver da eſpri merſi, che
ſono ſenza numero. Poco io diffi eſſere ciò, che mi cadde in animo di accennare
verſo il molto che un eſperto dicitore, quello, che io non ſono, avrebbe faputo
e medi tare, ed eſprimere di attinente a così raſto argomento. Con tutto ciò
ten gol per lufficientiffimo; purchè ſia da tanto di deſtare in eſso voi,
umanil ſimi e ſaggi Accademici, la voſtra cu rioſità ad iſcoprire le mie
fallacie; onde a mio utile proprio, io appren da quanto forſe mi trovi lunge
dal fe gno ' prefiſso; mentre io delidero di guidare altrui pel retro cammino
del la Verità. Gregorio Bressani. Bressani. Keywords:
intorno alla lingua toscana. Refs.:
l’implicatura di Galilei, discorso intorno a nostra lingua – discorso intorno
al volgare – Aligheri – vo significando – “meaning” – I am meaning – Gallileo,
forma logica aristotelica – vo significando -- forma logica galileana – forma
logica platonica – grammatica e geometria – grammatica profonda di Galilei --
Luigi Speranza, “Grice e Bressani” – The Swimming-Pool Library. Bressani.
Grice e Bria: la setta di Crotone --
Roma – scuola di Crotone – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone,
Calabria. According to Giamblico, a Pythagorean. Bria.
Grice e Bria: la diaspora di Crotone
-- Roma – scuola di Taranto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. According to
Giamblico, a Pythagorean. Bria.
Grice e Brotino: la setta di Crotone
-- Roma – scuola di Crotone – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone,
Calabria. Brotino or Brontino of Crotona or Metaponto. The name crops up more
than once in stories about Pythagoras Some say he was his father in law, others
his son in law. He is aldo said to have been a pupil of Acmaeon o Crotone.
Clement of Alexandria says he wrote a book on the nature of the world. It is
possible that a father and son sharing the same name have been confused with
each other.
Grice
e Bruni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’interpretare
– l’interpretazione di Romolo – scuola d’Arezzo – filosofia aretina – filosofia
toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Arezzo).
Filosofo aretino. Filoofo toscano. Filosofo italiano. Arezzo, Toscana. Grice: “Bruni is a
philosopher – and a Griceian one at that; he reminds me when Strawson and I
used to give joint seminars on ‘De interpretation;’ our tutees found it boring
but we would say, ‘lay the blame on the Stagirite.” Grice: “Boezio was possibly
wrong in missing the metaphorical impicature of ‘hermeneutic,’ and give us a
rather boring ‘inter-pretatio’ – which is the thing Bruni uses when dealing
with Cicero – Bruni is unaware if what he is doing is ‘interpreting’ or
‘volgarizare,’ i. e. render the thing into the volgare that the volgo may
appreciate! His impicature seems to be: let the classics stay classic!” –Grice:
“But there is a little word that Bruni uses that is crucial, ‘recta’ –
interpretation has to be ‘recta,’ as opposed to incorrect – which leads us to
impilcature – is over-interpretation mis-interpretation? We think it is!” – “But since an implicaturum is
cancellable, we have to be VERY careful here, as Bruni is – especially when he
visited I Tatti!” – Politico, scrittore
e umanista italiano di Toscana, attivo soprattutto a Firenze, della cui
Repubblica ricopre la più alta carica di governo di Cancelliere. Uomo di grande
personalità, arguto e forbito parlatore dotato di grande eloquenza, si insere
nella disputa sulla questione della lingua, discussione apertasi con l'avvento
della lingua volgare all'interno della lingua in uso specie in chiave
letteraria a quell'epoca. Conobbe Filelfo ed ha come maestro Malpaghini. Nei
suoi studi riscontra fenomeni di ‘corruzione’ della lingua latina dall'interno,
rilevando ad esempio in Plauto le forme di assimilazione fonetica“isse” per “ipse”;
oppure “colonna” per “columna”. Teorizza quindi che il latino si fosse evoluto
dal proprio interno, sostenendo l'esistenza di una di-glossia. Oltre al latino antico
classico, aulico, sarebbe esistito un livello inferiore, meno corretto, usato
informalmente nei contesti quotidiani, da cui provengono la lingua romanza o
italiana – toscano, fiorentino. Oppositore di questa teoria e Biondo, il quale
sostiene invece che la causa della “decadenza” o corruzione del latino fosse
stata l'aggressione esterna dei due popoli germanici: gl’ostrogoti e i
longobardi. Gli studi storici hanno mostrato che le due teorie di Biondo e B. non
sono effettivamente incompatibili. Il latino si è evoluto per ragioni, sia “interne”
(e. g. le corruzioni di Plauto), sia “esterne” (le invasion dei barbari
ostrogoti e longobardi). Nella prima metà Professoresi avevano pareri opposti
in merito alla dignità del volgare. Filosofi come Salutati e Valla disprezzano
il volgare perché non dotato di norme grammaticali; Alberti, al contrario, si
adopera molto per far riconoscere il volgare come lingua ricca di dignità nel
panorama filosofico. B. conceve il dialogo “Ad Petrum Paulum Histrum”, nel
quale dava la parola a due esponenti dell'umanesimo del periodo: Salutati,
appunto, e Niccoli. Il primo assere che il volgare sarebbe stato degno solo se
regolamentato da assiomi precisi, e si dispiaceva del fatto che Alighieri non
avesse scritto la sua Commedia nel ben più nobile latino. Niccoli propone una
visione ancora più radicale, arrivando a giudicare tre fra i principali
filosofi italiani Alighieri, Petrarca e Boccaccio poco più che degli ignoranti.
Niccoli difende questi ultimi, riconoscendo la grandezza delle loro opere,
invece di giudicarli in base alla lingua che usarono. È celebre una sua
epistola in cui delinea princìpi fondamentali dell'umanesimo. È sepolto nella
basilica fiorentina di Santa Croce in un monumento opera di Rossellino. Altre
opere: “De primo bello punico” (della prima guerra punica);“Vita Ciceronis o
Cicero novus” (vita di Cicerone, ovvero, CICERONE nuovo); “Aristotele, Ethica
nicomachaea”; “Oratio in hypocritas”; Pseudo-Aristotele, “Libri oeconomici”; “Commentarius
de bello punico, adattamento di Polibio”; “De militia”; “Commentarius rerum
graecarum”; “De interpretatione recta” “Aristotele, Politica”; “Commentarius
rerum suo tempore gestarum”; “De bello italico adversus Gothos”; “Historiae
Florentini populi”, Storie del popolo fiorentino (Storia fiorentina) da Acciaiuoli
ed uscì a stampa a Venezia. Vedi alla voce "letteratura umanistica"
in umanesimo, riferimenti in Carlo Dionisotti, B., in Enciclopedia Dantesca. Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cesare Vasoli, B., Dizionario Biografico
degli Italiani, Repertorium Brunianum. Lingua volgare. Questione della lingua
Monumento funebre di B. di Rossellino, basilica di Santa Croce, Firenze. Dizionario
biografico degli italiani. Epistole (in latino). Dialogi ad Petrum Paulum Histrum di B. -
di Carlo Zacco Cancelliere fiorentino. B. è originario di Arezzo,
ma Arezzo pochi anni dopo la sua nascita passa sotto il controllo di
Firenze, e lo stesso B. si può definito a pieno titolo acquisito da Firenze ed
ottenne la cittadinanza di Firenze. E’ personaggio molto importante dal punto
di vista letterario ma ebbe una funzione importante sotto il profilo
amministrativo-civile perché fu uno dei più importanti cancellieri della repubblica
fiorentina, successore, non immediatamente, a quello che il più noto dei
cancellieri del 300: Salutati, una grande figura di intellettuale, che si pose
come diretto erede, insieme con il Boccaccio, del Petrarca. Salutati. Coluccio
è un personaggio di questo dialogo. Svolse in Firenze un ruolo molto importante
sia dal punto di vista politico (più politico di B.), e dal punto di vista
amministrativo-civile è uno dei più noti e importanti cancellieri di firenze:
le sue missive sia d’ufficio che private sono moltissime, e lasciò una forte
impronta. Un impronta volta a delineare l’ideologia della città di Firenze: la
difesa stessa della libertà fiorentina, per fare solo un esempio fra tutti,
contro la tirannide viscontea. Salutati ha anche un altro importante merito che
fu quello di portare a Firenze gli studi di greco. Fu per impulso del salutati,
anche se non solo suo, che venne a Firenze il Crisolora: uno dei più importanti
dotti bizantini e proprio tramite lui si instaurò lo studio del greco a
Firenze. Intorno al Crisolora si stabilisce un gruppo di figure, non soltanto
fiorentine, poiché dato che il greco si poteva studiare a Firenze, vennero
anche da altri luoghi giovani per imparare il greco; e tra questi giovani che
vennero a Firenze ad imparare il greco ci sta il dedicatario di questa opera:
Istriano, che è Vergerio, che operava nel contesto carrarese, a Firenze per
studiare il greco, e poi era tornato a Carrara. A sua volta aveva scritto un
trattato pedagogico intitolato “sui nobili costumi”. Trattati pedagogici: altro
aspetto dell’umanesimo, molti scritti sono di carattere pedagogico perché uno
degli aspetti importanti nell’umanesimo è proprio legato alla formazione dei
giovani basata sulle Humanae Litterae. L’umanesimo fiorentino. Questo è il
contesto culturale entro cui nasce questa operetta, interessante perché mette
in evidenza gli elementi di contrasto tra l’umanesimo inteso come un recupero
classicistico di stretta osservanza e la volontà di coniugare ad un
rinnovamento degli studi, quello che era la tradizione: in modo particolare
quella dei tre fiorentini Dante, Petrarca e Boccaccio. Ripresa del
dialogo classico. Questa operetta non è un trattato: è impostata come una
discussione, una disputatio ma è a sua volta, sviluppando alti elementi, è un
altro dei caposaldi di rifondazione del dialogo in latino: sulla scorta dei
classici, più sistematicamente di quanto non avesse fatto il pur importante
esempio petrarchesco. Disputatio in utramque partem. Questo è un dialogo
diegetico, non mimetico, dunque un dialogo dove la cornice è costantemente
presente. E’ un dialogo costruito in due libri, e la discussione è svoltain
utramque partem, da una parte e dall’altra. C’è un personaggio, un letterato e
al tempo stesso un personaggio di un certo peso a Firenze che si chiamava
Niccoli, che sostiene due parti tra loro contrapposte: nel primo libro attacca
violentemente le figure di Dante, Petrarca e Boccaccio, inserendo questo suo
discorso in un attacco relativo alla condizione della cultura contemporanea:
quindi denunciando lo stato di decadenza della cultura contemporanea; nel
successivo libro fa unapalinodia e svolge un discorso opposto: gli elogia di
questi tre personaggi. Oltre al fatto del far vedere che cosa è diventata a
questa altezza cronologica la disputatio, ci sono diversi aspetti in questo
che sono interessanti. C’è un primo problema di carattere cronologico,
qui ridotta ai minimi termini, in una discussione che è ancora in corso: è un
opera su cui si è discusso e scritto molto, e la cui datazione è uno degli
elementi di discussione. Altro elemento di discussione che è collegato a questo
è se questi due libri siano stati concepitiunitariamente o se il secondo sia
stato scritto dopo: cioè se l’autore avesse cambiato idea rispetto a quello che
aveva fatto sostenere a Niccoli e avesse svolto poi nel secondo libro
successivamente una palinodia egli stesso nel celebrare l’elogio dei tre
fiorentini. la datazione Termini ante/post quem. L’opinione più
persuasiva a tal proposito è questa. Innanzitutto c’è un problema di tempo
interno: c’è un indicazione precisa dal punto di vista cronologico, come emerge
all’inizio del dialogo; questo dialogo è collocato in due giorni diversi, uno
successivo all’altro, nei giorni di Pasqua. Il fatto che come tempo interno sia
dato un anno non significa che quello sia il tempo reale di scrittura
naturalmente. Comunque, posto che qui venga messo come data è evidente che B.
non potè scrivere l’opera prima di questa. L’altro termine di riferimento non
dopo il quale fu scritta l’opera, è un anno perché in quella data, in una
lettera, B. stesso direttamente ci parla di questa sua operetta come già
pubblicata (pubblicata ovviamente equivale a «circolante», almeno tra alcuni
dotti). morte di Salutati. Altro aspetto da considerare riguarda le figure dei
personaggi presenti. Tra queste figure c’è quella importante, una sorta di Nume
tutelare, il personaggio anziano, l’intellettuale in età avanzata rispetto al
gruppo dei giovani (c’è questa differenza importante che va considerata) che è Salutati.
Se noi stiamo a guardare ai dati dell’operetta possiamo pensare che sia stata
scritta quando il Salutati era ancora vivo, se consideriamo il Salutati
personaggio, che ci viene presentato in vita. In realtà però c’è tutta
una serie di elementi che fanno propendere a ritenere che sia stata scritta,
almeno per quello che riguarda il secondo libro, dopo la morte del Salutati.
Perché si attribuiscono al salutati posizioni che difficilmente il Salutati
avrebbe sottoscritto (lo sappiamo da altri dati, lettere
ecc). l’unitarietà Unitarietà dell’opera. Altra questione: è unitaria o no
questa operetta? Su questo punto è più difficile rispondere: il primo libro
presuppone indubbiamente un secondo libro che certamente modificasse l’assetto
del primo con il capovolgimento di posizione. Nei termini della disputatio in
utramque partemla tesi più persuasiva è che indubbiamente sotto questo profilo,
quello che è svolto come materia nel secondo libro sia già dato nel primo come
presupposto. Cioè che come testo dal punto di vistaunitario il bruni avesse
pensato all’opera in due libri; certo però è che ci sono alcune piccole
diffrazionidall’uno all’altro. Cambia la casa dove si svolgono i dialoghi;
viene introdotta un’altra figura, cosa possibile anche per alcuni spunti
ciceroniani a dire il vero, ma questo muta alcuni aspetti e alcune parti
dell’impostazione: in altre parole non è da escludere che il progetto
originario, pur prevedendo un secondo libro come è nella logica con cui è stata
scritta l’opera, si sia poi svolto effettivamente in untempo successivo nel
secondo libro. Ciò non toglie che, così come è svolta, l’opera abbia un assetto
contenutistico unitario, anche nell’impianto della disputa in entrambe le direzioni.
Uno degl’aspetti più interessanti dal punto di vista letterario riguarda la
consapevolezza da parte di B. di voler imitare anch’egli CICERONE, non però il
Laelius come fa Petrarca, ma una delle opere più imitate da questo momento in
poi in tutto il dialogo umanistico, e cioè il “De Oratore”. Il “De Oratore” è importante in quanto modello
per eccellenza del cortegiano. Ci sono delle modificazioni nell’impianto
da parte di B. rispetto al modello del “De oratore”: l’aspetto che lega
maggiormente questo testo al “De Oratore” è l’impianto con una cornice di
carattere realistico. Qui abbiamo la Firenze reale di quel tempo, abbiamo
personaggi storicamente individuati, abbiamo una autorità come Salutati. Altro
aspetto interessante sul piano dell’impianto e la palinodia, l’affermare una
cosa e il fare il discorso in opposto rispetto a quello che si è detto nel
primo libro è una modalità attuata nel “de oratore” mediante il personaggio di
Antonio. Antonio sostiene una tesi nel primo libro (nel “De Oratore” sono tre)
e capovolge la tesi nel secondo. Viene mostrato da CICERONE il modo retorico e le ragioni di questo. È stato
anche osservato che si tratta di una palinodia che non nega gl’asserti
precedenti, però sicuramente modifica quello che era stato detto nel libro
precedente. Anche la casa come luogo di raccolta, di discussione dei dialoghi è
un elemento ciceroniano; e lo è anche il tempo di festa: qui siamo a
Pasqua. La differenza che balza più all’occhio è che mentre per CICERONE
non c’è la presenza diretta dell’autore, perché CICERONE dice di aver riportato
dialoghi e discussioni che si erano svolti diversi anni prima, e c’è quindi una
diffrazione di carattere temporale, per cui CICERONE afferma di aver riportato
la testimonianza di chi gl’aveva raccontato quei dialoghi, qui invece c’è la presenza
diretta dell’auctor e c’è una attualizzazione totale nel senso che a
prescindere dalla data specifica i temi trattati sono altrettanto attuali e
attualizzati. Vediamo solo la prima parte, ma senza leggere la seconda non
si capisce l’effettivo svolgimento del discorso. Alcuni moduli che vediamo
riguardano solo questo dialogo, altri riguardano una modalità che nel tempo
viene ad essere ripresa e si evolve, come vedremo nel cortegiano, dove siamo
però in un ambiente diverso: questo cittadino, quello di CASTIGLIONE, della
corte. Questo è ambiente privato: un gruppo di amici che discutono tra di
loro. Queste discussioni non sono invenzione di B. Abbiamo altre tracce e
testimonianze in ambito fiorentino in relazione alle critiche che gruppi di
giovani classicisti di stretta osservanza avevano avanzato criticando
aspramente le cosiddette glorie fiorentine: Dante Petrarca e Boccaccio. Quello
che sta al fondo di questo dialogo è un problema e un tema di discussione
quanto mai attuale nella Firenze del tempo. Se a noi può sembrare strano, visto
che pensando a Dante pensiamo ad un grandissimo poeta e autore, trovare Dante
trattato come un autore di popolo, di farsettai, di pescivendoli eccetera, può
dare adito a qualche stupore. Le stesse accuse sono riferite da altri, non li
introduce solo B.: i problemi di cui si discute sono problemi su cui le
discussioni c’erano nella Firenze del tempo. Abbiamo dunque da un lato si
afferma prima questo aspetto destruens e dall’altro lo stesso che dice di
aver parlato di quelle cose per ragioni di carattere retorico e per fare in
modo che fosse proprio Salutati a fare l’elogio. Quindi li giustifica come una
sorta di esercizio di simulazione retorica. La dedicatoria L’antico
detto. Vediamo i caposaldi di questo discorso. Anche qui abbiamo un proemio che
è una lettera dedicatoria molto breve rivolta al Vergerio. La lettera si apre
con un antico detto di un saggio, e sia apre così a mo’ di omaggio verso il
Vergerio, che con questo detto, attribuito a Francesco il vecchio da carrara,
suo signore, aveva aperto il suo trattato. Questo detto è relativo alla patria:
antico detto di un saggio che l’uomo per essere felice deve innanzitutto avere
una patria illustre e nobile. Elogio di Firenze. La patria di origine del
B. non è più Arezzo nelle condizioni in cui era precedentemente, rovinata e
distrutta ormai dai colpi della fortuna. Ha però B. a sua volta l’opportunità
di vivere in una città eccellente, quest’opera è anche una celebrazione della
grandezza di Firenze. Il fatto che Firenze sia una città eccellente è
dimostrato facilmente perché lo stesso dedicatario era stato con lui a Firenze
compagno di studi presso il Crisolora: c’è stata dunque una comunanza di studi,
di vita e di affetti. Il dono all’amico lontano. Una comune abitudine
alla conversazione e alla discussione, a dato che l’amico è lontano, desiderato
e rimpianto, così come l’amico lontano desidera e rimpiange gli amici
fiorentini gli manda proprio come memoria ed omaggio (B. al Vergerio) la
testimonianza di una delle discussioni da poco avvenute tra loro giovani amici
e il Salutati, come testimonianza che può trasmettere le discussioni di
una volta allo stesso Vergerio. Anticipa, sui contenuti, ciò che riguarda la
dignità degli argomenti e la dignità degli uomini. Cita i due
protagonisti-antagonisti: Salutati e il Niccoli. L’altra dichiarazione che
costantemente viene fatta in trattati di questo genere è la testimonianza
–dedica: dice alla fine di questo proemio: «così io rimando la disputa
trascritta in questo libro in modo che tu, benchè assente, in qualche modo
possa godere di quanto godiamo noi, e nel far questo ho cercato soprattutto di
rendere con la massima fedeltà le due posizioni contrastanti (originale: morem
utriusuqe, il costume di entrambi)» e affida allo stesso Vergerio il compito di
giudicare se ci sia riuscito oppure no. La psicologia del personaggio.
Questo è un altro tratto importante: quello della delineazione del personaggio:
non sono solo voci, con personaggi con una loro individualità. Essendo un dialogo
diegetico questa loro personalità può essere messa in evidenza per alcuni
tratti dalla cornice diegetica, ma soprattutto dal modo in cui ciascuno si
esprime, e quindi da quella sorta di delineazione psicologica che deriva dal
discorso. L’abilità è anche quella di rendere da parte del bruni
l’atteggiamento nel dire dei due, e ne è giudice lo stesso Vergerio che li
conosceva entrambi. La rappresentazione dei personaggi rappresentano anche
dunque una prova distile e di bravura da parte dell’autore. Noi non
abbiamo modo di vederlo nel testo latino, ma quest’opera è letterariamente
significativa anche nel movimento stesso delle voci. Il primo libro
Cornice introduttiva Come viene fatta l’introduzione nel dialogo diegetico?
Innanzitutto c’è la cornice introduttiva, che ci dà delle indicazioni relative
alle circostanze del dialogo, al luogo e ai personaggi. Bruni e Niccoli
vanno a casa di Coluccio. In questa nostra cornice noi abbiamo che nel tempo
delle feste, questi giovani personaggi stanno andando a casa di Salutati, che
viene definito «senza dubbio l’uomo più eminente del tempo nostro per sapere,
eloquenza e dirittura morale»: triplice occorrenza che definisce il carattere
del nume tutelare. Viene poi introdotto un novo personaggio: mentre stanno per
andare da Salutati incontrano Rossi, il quale a sua volta è definito per ciò
che è proprio del personaggio stesso in relazione agli studi: «uomo dedito agli
studi liberali». Tutti insieme vanno da Coluccio, e De Rossi si unisce a
loro. La critica di Coluccio. Arrivati a Casa di Coluccio c’è un momento
di Silenzio: Coluccio pensa che quei ragazzi gli vogliono dire qualcosa, loro
non iniziano per far cominciare il maestro e quindi viene rappresentata questa
pausa: un elemento di carattere anche realistico. Alla fine Coluccio, dato che
nessuno parla si decide ed interviene nel discorso. Quindi la persona più
autorevole inizia il suo discorso: che inizia nei termini di una conversazione,
quello che può avvenire quando un gruppo di persone si trova in casa di uno che
è più autorevole di loro, e questo comincia a parlare, e di fatto esprime il
piacere di vederli e poi comincia, li loda per la loro passione per gli studi,
ma esprime poi una critica. • importanza della disputatio. Critica relativa al
fatto che hanno trascurato quello che per Coluccio invece è importante: la
disputatio, l’abitudine alla discussione che secondo il Salutati è fondamentale
proprio per affrontare in pieno sottili verità, per poterle sceverare
compiutamente, per mantenere la mente in occupazione, e scambiando discorsi in
comune per fare una gara esercitando il proprio intelletto, al fine di ottenere
la gloria quando si sia superiori nella disputa rispetto agli altri, oppure la
vergogna quando si è battuti; da qui verrebbe uno stimolo allo studio per
imparare di più., in fondo.Che cosa può lo sguardo di tutti. Attenzione: qui la
traduzione dice questione,che potrebbe far pensare alla quaestio, nel testo
latino si dice invece rem, l’oggetto della discussione, è diverso il senso da
dare alla cosa. E’ importante l’esercizio perché se non si compie, chi è studioso
rimane a parlare con sé stesso e con i propri libri, ma non si mette a gara e
non interviene nel colloquio con gli altri uomini, e non viene ad essere di
giovamento, non ottiene i frutti che possono essere dati dallo scambio
argomentato delle discussioni. Rievocazione degli studi a Bologna. Evoca
gli esordi della sua stessa educazione quando era a Bologna: dove aveva avuto
un insigne maestro ed aveva appreso l’arte del discutere; poi aveva avuto modo
di cimentarsi ulteriormente in relazione ad un dotto teologo e sapiente a
Firenze, e al tempo stesso dotto in teologia, agostiniano, e insieme amante dei
classici: è Luigi Marsili, che animava un cenacolo presso la chiesa di Santo
Spirito, ed è una figura eminente della Firenze trecentesca, che viene anche
nominato dal Petrarca. • l’elemento cronologico. Ci viene dato attraverso il
Marsili l’elemento cronologico che si diceva all’inizio poiché il Marsili è
indicato come morto sette anni prima: dato che era morto, allora ci porta. L’insegnamento del Marsili. Il Marsili aveva
dimostrato a Coluccio, nei tempi posteriori alla giovinezza, quando valesse la
discussione: era un sapiente conoscitore degli studi di teologia, ma anche un
conoscitore degli antichi; tanto profondamente legato alla scrittura degli
antichi da averle assimilate, anche stilisticamente tanto da riprodurne le
movenze. L’esempio che porta il Salutati di Sé e di quanto aveva guadagnato da
queste discussioni è dato per mostrare attraverso la propria persona, quanto
efficacemente egli ritenga sia proprio della discussione, cioè: il frutto delle
sue opere era stato dato secondo il salutati proprio attraverso questa via.
Dunque l’esercizio è fondamentale. Su questo punto si intavola tutta la
discussione che segue. Salutati, pur sostenendo di ammirare gli amici per
la loro apssione per gli studi, criticava il fatto che non si dedicassero, come
esercizio non solo opportuno e utile, ma necessario, la disputazione. Coluccio
aveva portato il proprio esempio sia dalle indicazioni che aveva ricevuto dalla
scuola di grammatica quando era un giovane studente a bologna, e sia per quello
che aveva ricavato dal rapporto continuo assiduo e importante con il
dotto teologo studioso dei classici Marsili. Una indicazione del Marsili ci dà
l’indicazione del tempo interno del dialogo. Il discorso di S. si concludeva con una
esortazione ai giovani perché si dedicassero alla disputa e cercassero di dare
maggior frutto ai loro studi. La risposta di Niccolò. Come personaggio
antagonista risponde Niccolò Niccoli: fin dalla presentazione che nella dedicatoria
aveva fatto al Vergerio B. aveva presentato le due figure di Coluccio e Niccoli
proprio in questo senso. In più di un momento pare che Niccoli dia ragione al
Salutati riconoscendo l’importanza della disputa che potrebbe giovare molto
agli studi, e lodando Salutati per l’efficacia sul piano dell’eloquenza con cui
aveva dimostrato questa tesi; e ricorda a sua volta la figura del Crisolora,
chiamato dallo stesso Salutati e da cui questi giovani avevano imparato il
greco. Il salutati invece aveva preso i primi rudimenti ma non tanto da essere
in grado di fare una traduzione dal greco al latino. Le colpe della
generazione precedente. Pare che Niccoli dia ragione al salutati, ma non
è così: egli giustifica se stesso e i suoi amici dicendo che se non svolgono
quella esercitazione non possono essere accusati i ragazzi stessi ma devono
essere accusati i tempi: c’è qui una rappresentazione estremamente negativa, che
riprende alcuni tratti del Bruni scrittore già ben presenti nelle opere
polemiche di Petrarca, e che per alcuni elementi emergono anche nel De Vita
Solitaria, un attacco da parte del Niccoli molto duro nei confronti della
condizione in cui è ridotta la cultura per colpa delle generazioni precedenti e
che dispersero il grande patrimonio della cultura antica. Di fatto come
sappiamo la concezione stessa del medioevo nasce polemicamente proprio in
contrapposizione con quello che riguarda la volontà da parte degli uomini umanisti
in primo luogo di ritornare alle fonti della vera sapienza degli antichi
superando la decadenza; è una notazione polemica questa che noi non facciamo
nostra, ma che riguarda la cultura del tempo.Il Niccoli spiega che per poter
svolgere una disputatio è indispensabile padroneggiare bene un argomento,
e per fare questo bisogna avere una grande mole di conoscenze; Niccoli si
domanda come si possa acquisire una tale mole di conoscenze in questi tempi
oscuri, con tanta penuria di libri. Invita a considerare poi come sono le
discipline umanistiche in passato e come sono oggi. Parte qui una sorta di
rassegna che mostra le radici della FILOSOFIA, mostra che cosa comporta IL
PASSAGGIO A ROMA della FILOSOFIA e mostra come ai tempi moderni è ridotta la
filosofia. Polemica contro gli aristotelici. Qui il Niccoli si lancia,
sulla scorta di considerazioni già petrarchesche (non qui enunciate come tali,
perché non si fa qui il nome di Petrarca) contro i filosofi e soprattutto
contro gli aristotelici. Non contro ARISTOTELE, ma contro gl’aristotelici che
tutto basano sull’autorità di un solo filosofo, e tutto basano sul cosiddetto
ipse dixit, essi d’altra parte fanno questo sulla base di un'unica autorità, e
non soltanto mostrano con ciò di non conoscere bene ciò di cui parlano, ma
mostrano una grande arroganza: la dimostrazione della loro arroganza e della
difficoltà nel padroneggiare gli scritti di Aristotele, trova una base
polemicamente anche con riferimento a una polemica che a sua volta contro i
retori del suo tempo fa CICERONE. • la corruzione del latino e dei testi. Poi
ritorna all’oggi e accusa i filosofi aristotelici di parlare di cose che in
realtà non sanno, e come possono saperle? Se questi non solo ignorano il greco,
ma IGNORANO IN GRAN PARTE ANCHE IL LATINO? E qui è sotto accusa anche IL LATINO
PERVERTITO del medio evo, che non è quello degl’umanisti. Addirittura Niccoli
dice che se tornasse lo stesso Aristotele, non riconoscerebbe neppure più i
suoi testi. Sottolinea un aspetto importante da un punto di vista filologico,
cioè il problema della restituzione critica dei testi aristotelici, il problema
cioè di andare a cercare il maggior numero di esemplari dei testi di Aristotele
e il tentativo di restituirli alla loro rispettiva lezione, e questo puo essere
fatto a partire dal testo greco. La conoscenza del greco che questo circolo di
umanisti possede, e in quei tempi appannaggio di quei pochi che avevano
beneficiato, sulla scorta del Crisolora. Altro affondo: gl’occamisti.
Dopo questo attacco agl’aristotelici passa ad attaccare I DIALETTICI. Anche
questa è una polemica già petrarchesca, con i cosiddetti barbari britanni,
soprattutto DIALETTICI e logici occamisti, seguaci di Occam. Secondo le accuse
che venivano fatte essi si occupano di cose da poco, di frivolezze, invece che
di occuparsi di cose importanti ed eccellenti. Ciò non vale solo per le due
discipline evocate ma dice che potrebbe dirsi lo stesso di tutte le altre arti:
Grammatica, retorica e tutte le altre arti. Non mancano gl’ingegni, ma mancano
i mezzi per imparare in questa condizione del sapere. Non abbiamo né mezzi ne
maestri. L’eccezione di Salutati. A questo punto è chiaro che occorre
fare un eccezione, perché sennò nel contesto del discorso ciò avrebbe
significato attaccare lo stesso Salutati. Allora Salutati è salvato da Niccoli
ed elogiato e rappresenta l’eccezione che conferma la regola. Perché Salutati
ha potuto far frutto con i suoi studi? In virtù del suo grande ingegno,
quasi divino, che gli ha consentito di fare quel salto di qualità e quindi di
essere l’eccezione alla regola. Ubi sunt. L’ultima parte del Discorso di
Niccoli si imposta su quel modello di elegiaco tema dell’Ubi Sunt, dove sono
mai?, tanto presente in ambito medievale, ma qui piegato a lamentare la
mancanza dei grandi libri dei classici; e fa un elenco di libri di grandi
autori che mancano. Il precetto di Pitagora. Aggiunge poi un aspetto legato
alla necessità del silenzio cui sono costretti, e fa un riferimento ad un
precetto dell’antico filosofi Pitagora: Pitagora aveva invitato i discepoli,
prima di parlare, a meditare e restare in silenzio per cinque anni, e se i
discepoli di Pitagora, che pure avevano tale maestro e tale possibilità stante
la cultura del tempo antico, come potranno questi giovani parlare e mettersi a
disputare? Dice il Niccoli: «noi che non abbiamo né maestri ne
insegnamenti né libri: come possiamo fare questo? Dunque non ti devi arrabbiare
con noi se stiamo zitti e non discutiamo, non è colpa nostra ma dei tempi».
Torna la cornice. A questo punto ritorna la cornice. Al discorso diretto viene
reintrodotta la cornice con una sorta di segno teatrale: una pausa di silenzio
che fa si che ci sia anche uno stacco in relazione alla voce che ora segue; uno
degli aspetti efficaci del dialogo è la messa in scienza dei personaggi e
quindi la rappresentazione delle loro voci. La cornice interviene
diegeticamente introdotta dal narratore-autore, che interrompe il flusso del
discorso, segnando appunto una pausa di silenzio. Disputa intorno a
disputare. Interviene Coluccio rilevando la contraddizione, perché il Niccoli
che aveva sostenuto di non poter parlare e discutere a causa dei tempi, aveva a
sua volta dato unabrillante dimostrazione di essere capace di discutere con le
sue stesse parole. Allora Coluccio cerca dichiudere questo discorso dicendo:
«lasciamo dunque se credete questa disputa che è intorno al disputare».
Gli altri chiedono il confronto. Ma il discorso non può finire qui e c’è
l’intervento di un dialogo a più voci, quindi c’è una variazione nel modo in
cui sono introdotte le voci di dialogo ed efficacemente dal punto di vista
letterario il dialogo viene ad essere animato. Interviene Roberto De Rossi, che
non vuole che la discussione rimanga a metà; • Coluccio. interviene di nuovo
Coluccio che dice per teme di aver destato il leone dormiente e chiede il
parere degli altri: chiede innanzitutto a Roberto De Rossi se sia d’accordo con
lui o con Niccoli dichiarando che in relazione a Leonardo, cioè colui che è al
tempo stesso personaggio e autore del dialogo, non ha dubbi perché ritiene che
Leonardo sia d’accordo con Niccolò. Interviene allora con la voce che dice
io lo stesso B. che chiede di essere considerato un giudice. Non vuole
prendere posizione; fermo restando che c’è una aggiunta, non priva di una certa
ambiguità, perché riconosce che la causa è in gioco non meno di quella di
Niccolò. Interviene infine Rossi che a sua volta dichiara di sospendere il
giudizio, e di sospendere il suo parere finché entrambi non espongono la loro
opinione. Dunque Coluccio adesso deve fare una confutazione di quello che
Niccoli ha detto. La confutazione di Coluccio. Si apre una ulteriore fase
del dialogo nell’ottica di una confutazione fatta da Coluccio in relazione a
quello che Niccoli ha detto. In primo luogo fa notare che è facile confutare
che dice che a causa dei tempi non si può disputare quando egli stesso lo ha
dimostrato egli stesso disputando. C’è anche una schermaglia un poco scherzosa
in relazione al Niccoli. Un altro degli aspetti del dialogo è anche
l’introdurre battute per alleggerire il senso delle discussioni, così come si
introduce all’interno del discorso riferendosi ad un personaggio che
inizia a parlare «sorridendo» ecc, così anche da battute. Viene ad essere
interrotto a sua volta il Salutati da Rossi con un'altra obiezione: allora se
tu elogi il Niccoli che ha mostrato di poter disputare, perché dici che ci si
debba esercitare? Se senza esercitarsi Niccoli c’è riuscito così efficacemente,
vuol dire che l’esercizio non è necessario. Risponde con una contro obiezione
il Salutati dicendo che l’esercizio è fondamentale per poter ottenere un
ulteriore eccellenza: se già ci sono delle buone disposizioni soltanto
esercitandosi si può migliorare. Elogio dell’esercizio. Coluccio si
lancia in un elogio dell’esercizio. Questo esercizio e la disputa sono di nuovo
ri-definiti, e questa definizione è importante: , riga 5: perciò io chiamo
disputa: - insisto su questo poiché il modo in cui è definita la disputa
e la discussione delimita i caratteri della discussione stessa, e la distingue
rispetto alla quaestio degli scolastici. Non poi così bui. Salutati
ammette che la situazione in cui versano le arti liberali non è la migliore
possibile. Però in relazione all’atteggiamento assolutamente negativo in Niccoli
tende a minimizzare: sì, un po’ sono decadute, ma non al punto tale che siano
nella condizione che dice Niccoli. E se è vero che molti libri mancano, è ben
vero che altri ce ne sono, e comunque le cose che abbiamo le dobbiamo usare e
non le dobbiamo disprezzare. E dunque ribadisce che il Niccoli sbaglia ad
attribuire la colpa ai tempi, perché così non riconosce quello che deve
imputare a sé stesso; cioè si sottrae di fatto quello che sono le sue
responsabilità. Chiarisce anche che il suo intento è quello di porsi in
opposizione a lui, e non di attaccarlo violentemente, cioè non è il suo un
atteggiamento volutamente polemico in termini distruttivi. La illustre
tradizione fiorentina. D’altra parte introduce, ritenendo che questa parte del
discorso possa essere compiuta, un ulteriore passo, che poi scatenerà il resto
della discussione e la reazione del Niccoli: E dice: pag. 97: «come è possibile
che tu venga a dire che in tempi moderni non ci siano possibilità da
parte degli ingegni di fiorire se tu tralasci tre uomini fioriti da questa
nostra città e nei nostri tempi. Dante, Petrarca e Boccaccio, che sono levati
al cielo da così grande universale consenso. C’è un motivo anche di
carattere patriottico. -c’è una specificazione data in relazione a Dante che è
significativa per come volgerà poi il seguito del dialogo, poiché sembra essere
posta una riserva sul fatto che Dante prescelse il volgare, infatti dice «se
Dante avesse usato altro stile (alio genere scribendi) io non mi contenterei di
porlo insieme a quei nostri padri, ma a loro e ai greci stessi io lo
anteporrei»: cioè da un lato c’è una lode del ruolo di Dante, dall’altro una
riserva del modo di scrivere. E dice che quei tre non vanno dimenticati ma
ricordati perché sono il vanto e la gloria della città. Dante. E qui la
voce di Niccoli esplode. In realtà il verbo non è messo, c’è un ellissi, ma il
traduttore lo sottolinea permettere in evidenza l’esplosione polemica del
Niccoli. C’è un vero e proprio grido del Niccoli. «allora Niccoli insorse
ignorante d’ogni cosa? - e qui comincia un atto d’accusa. Che parte da Dante,
che viene accusato di non capire il latini di Virgilio, citando un passo del
Purgatorio; viene accusato di non aver capito l’età di catone e di averlo
invecchiato rispetto a quello che dice Lucano; viene accusato di aver preso
Cesare che era un tiranno, averlo lodato, ed aver messo l’uccisore di cesare
nella bocca di Lucifero; è accusato anche per la sua cultura basata sulla
scolastica, e per il latino di Dante stesso. E dunque che cosa deve essere
Dante? A chi deve essere lasciato Dante? A quale pubblico? Pagina 99, in fondo:
per cio familiare solo a gente simile». Fiorentini contro Dante. Che a
gruppi di classicisti di stretta osservanza fosse rimproverato un atteggiamento
simile lo sappiamo da altre fonti: che possono anche essere collegate a questo,
ma ci sono anche altre fonti fiorentine che ci trasmettono questo atto
d’accusa, mossa a giovani che invece di guardare alle glorie della patria. Le
attaccano. L’accusa è ancora più dura perché non riguardava solo un giudizio di
carattere letterario che attaccava i numi tutelari della cultura fiorentina e
il vanto della cultura fiorentina, ma perché questi stessi giovani erano
accusati di disinteresse nei confronti delle sorti della patria. Un po’ di
tempo prima della scrittura di questi dialoghi, c’era stato uno scontro
violento tra Firenze contro Visconti, e c’era stato un momento in cui pareva
che Firenze dovesse soccombere, solo la morte di Gian Galeazzo salva Firenze definitivamente, perché gli
ultimi atti di guerra versavano molto negativamente. E si diceva che c’erano
questi gruppi di giovani classicisti che si disinteressavano totalmente, che
non si occupavano delle sorti della patria; e qui viene fatto un collegamento
tra lo spirito civile e le glorie cittadine. Qui il discorso è riportato in
termini letterari, ma c’è sotteso dell’altro. Un riverbero di questo si vede
alla fine del secondo dialogo. Petrarca e Boccaccio. Da dante si passa
Petrarca, e si attacca ciò che Petrarca aveva propagandato a quattro venti in
relazione alla grandezza del suo poema L’Africa in latino, poema non compiuto,
e quindi da questa grande aspettativa, dice Niccoli, (noi diremmo “dalla
montagna”) è saltato fuori «un topolino». Di fronte alle accuse fatte a Dante e
Petrarca, è inutile continuare con Boccaccio, che viene liquidato, poiché se è
inferiore ai primi due, è inutile continuare. D’altra parte non soltanto
questi sono da giudicare nei termini dati, ma ancor più è da giudicare
negativamente la loro singolare arroganza per come si sono dichiarati:
letterati, dotti e poeti. La conclusione liquidatoria del Niccoli è la seguente:
perciò Coluccio mio non hanno sapere alcuno»: una dichiarazione radicale. A
questo punto vediamo come finisce questo primo libro, perché siamo quasi alla
fine. Riprende a parlare Coluccio: c’è un distacco nella cornice
nell’atteggiamento «sorridendo come sua abitudine»: ora teniamo presente che i
personaggi ciceroniani, dei dialoghi ciceroniani, in particolare il De Oratore,
quando prendono la parola, nella cornice diegetica sono mostrati mentre a
prendono «sorridendo». Allora realismo nei confronti del Niccoli: «quanto
vorrei.. non abbia trovato un avversario, e qui cita gliavversari di Virgilio e
Terenzio. Però gli avversari di questi grandi latini del passato erano comunque
più sopportabili. Teniamo presente che questa sembra una nota caratteriale del
Niccoli, questa figura del Niccoli la troviamo al centro di diversi dialoghi di
polemiche e lettere. Ma perché gli avversari erano più sopportabili, perché
loro si opponevano ad una sola persona, e invece il Niccoli si oppone a tutti i
suoi concittadini. Ma il giorno ormai muore, ed occorre differire la risposta,
che necessita molto tempo, data la grandezza dei tre personaggi di cui occorre
fare la lode, per compensare il vituperio di Niccolo. Coluccio rimanderà questa
difesa. E qui Coluccio chiude circolarmente tornando al tema della discussione.
La conclusione del primo libro Necessità di una lode. Il primo libro ci
dice che l’attacco del Niccoli viene rifiutato in Toto dal nume tutelare, con
le parole del quale si era aperto il dialogo del primo libro, e a causa del
quale si erano svolti questi colloqui. Viene rimandato, senza un’indicazione
che dica a quando, viene detto che sarebbe necessario un discorso non breve e
che il tempo lo impedisce. Allora a questo punto, così come è impostato questo
libro, ci fa presupporre che ce ne debba esse un altro che comporti l’elogio di
questi tre, perché rimane in un tempo di attesa. Qui però c’è un problema
relativo al modo di trasmissione dei manoscritti dei nostri dialoghi in
relazione alla fortuna del testo: devo dire che i Dialogi ebbero una notevolissima
fortuna, abbiamo un numero rilevante di manoscritti però c’è anche un dato che
non possiamo eludere: una parte di manoscritti ci trasmette il primo libro
soltanto, quindi sembra di capire che una circolazione di questo primo libro
sia stata precedente o autonoma rispetto alla diffusione dell’opera completa,
cioè dei due libri. Questo non vuol dire che tra il primo e il secondo ci
sia uno iato di composizione, anche se è una delle testi che sono state
avanzate; e non significa soprattutto che il secondo libro sia una aggiunta
esterna, successiva o pensata dopo, perché in realtà la conclusione stessa del
libro anche se non è determinata, è la conclusione che compare spesso nei
dialoghi, anche ciceroniani, quando viene rimandato ad un successivo giorno. Ma
qui non è specificato il quando, questo è vero, quindi c’è qualche
interrogativo che pone la conclusione di questo primo libro. Il secondo
libro si imposta certamente in un rapporto che possiamo definire, considerando
l’opera nel suo insieme un rapporto unitario, un rapporto non senza qualche
diffrazione: cioè noi ci aspetteremmo qualcosa d’altro, e cioè che fosse
Coluccio a riprendere la lode dei tre grandi fiorentini, e soprattutto che si
riagganciasse a quello che è stato detto nel primo libro. Invece il modo in cui
si riaggancia ha qualche diffrazione. La cornice Verso casa De
Rossi. Il secondo libro del dialogo dunque si apre il giorno dopo; si ritrovano
quelli che si erano uniti il giorno precedente, ma si aggiunge un altro
personaggio. Altro interrogativo: questo personaggio è Piero di Ser Mini,
definito «giovane sveglio e sommamente facondo». Come ricorda la nota che questo
Piero di Ser Mini fu successore del Salutati nella cancelleria di Firenze. Era
rappresentato come personaggio familiare e vicino a Coluccio, e insieme alla
sua comparsa cambia anche la sede dei personaggi: si ritrovano i personaggi del
primo dialogo, tranne Roberto de Rossi, che vanno appunto a casa di Rossi; nel
primo Rossi si era aggiunto, ora i tre si aggiungono a lui. • Oltr’Arno. C’è un
passaggio nella dislocazione che non è privo di significato: vanno oltr’Arno,
perché Rossi abitava al di là dell’Arno, oltre Palazzo Pitti; interessante
nella dislocazione perché quando finisce il dialogo ritorneranno dall’altra
parte: è come se uscissero dalla città e tornassero in città una volta concluso
l’elogio e restituita per certi versi la pienezza della compartecipazione di
quella che è l’opinione dominante. Ci sono anche connotazioni che rimandano a
luoghi per eccellenza propri di quelli che sono dibattiti di natura filosofica,
anche se questo non è propriamente filosofico: si parla del giardino, del
portico. Lode di Firenze. A questo punto non comincia una discussione
come avevamo visto essere terminata nel secondo libro, ma il nostro discorso
comincia in un altro modo: comincia con una laudatio di Firenze. Bisogna
ricordare brevemente due cose che devono essere tenute presenti per capire
meglio. B. scrive una laudatio, unencomio, uno scritto il lode di Firenze;
particolarmente interessante in relazione alla tradizione delle lodi alla città
perché cambia l’impostazione: si basa sul Panatenaico di Elio Aristide, cioè
viene magnificata Firenze sul modello dell’elogio di Atene, e l’elogio viene
fatto per tutti gli elementi di Firenze, dall’aspetto fisico e monumentale
della città, alle sue istituzioni, alla città come rappresentativa al massimo
grado come figlia e erede di ROMA, perché i Romani erano stati fondatori di
Firenze ai tempi della repubblica romana secondo l’ipotesi avanzata in quegli
ultimi anni, ed era la depositaria e l’erede della libertà repubblicana;
quest’operetta era stata importante, e qui l’elogio in alto stile viene fatto
proprio da Salutati, che fa l’elogio della città dicendo per esempio quali
magnifici palazzi ci sono (e mostra i palazzi appena oltrepassati per andare da
Rossi) e dice quanto bene ha fatto B. a lodare Firenze e loda a sua volta,
lodando Firenze, quella che B. la fatto della città (esalta la laudatio di B.).
• l’encomio dell’«encomio». Quindi che cosa ottiene il bruni come autore in
questo modo? Mette lapropria opera come lodata dallo stesso Salutati. Ci
sono anche dei nessi con alcune altre opere del Salutati stesso. Questo elogio
viene completato dall’intervento di Pietro di Ser Mini e poi di altri e viene a
toccare in questo modo, come se fosse un discorso che si svolge naturalmente,
viene a toccare proprio il tema in oggetto, e cioè l’elogio delle glorie della
città, le glorie letterarie. b) Per capire altri punti facciamo presente che
viene citata un operetta di Salutati, da Salutati stesso. È un trattato scritto
si intitolava De Tyranno; qui Salutati aveva difeso la legittimità del potere
di Cesare, e soprattutto aveva difeso ALIGHIERI (si veda) per la posizione
assunta nella sua opera. Non è che qui adesso il Salutati faccia una palinodia
di quello che aveva scritto, però qui ne dà una interpretazione un tantino
diversa; e questa è una ragione che ci fa pensare che Salutati fosse morto a
quell’epoca, perché non avrebbe ma accettato, conoscendo quanto fosse molto
fortemente difensore delle proprie idee e posizioni. Una diffrazione: il
parere di De Rossi. Lasciando stare questo aspetto del problema, passiamo a
parlare dei vanti di Firenze, e Roberto (al quale erano state ricordate le
glorie politiche della propria famiglia in difesa del partito guelfo) diceva
che bisognerebbe svolgere le lodi di questi personaggi, perché questi tre poeti
non sono davvero «la minor parte della nostra gloria». Noi però ci dobbiamo
domandare quale fosse la posizione di Roberto nel libro precedente: aveva detto
di non voler dare giudizi, di aspettare a dare un parere, mentre qui si
dichiara finalmente d’accordo. Allora Coluccio risponde, ed anche questo ci
stupisce in quanto non dice che tale elogio effettivamente vada fatto, infatti
Coluccio dice: «sei nel giusto Roberto, essi sono non solo la minima parte, ma
anzi di gran lunga la fonte maggiore della nostra gloria; ma che debbo fare
ancora, non aprii ieri a sufficienza il mio sentire su quei tre sommi?» ma in
realtà non aveva risposto: aveva solo detto che era contrario al parere del
Niccoli, e che per svolgere l’elogio ci voleva molto tempo: quindi c’è una vera
e propria diffrazione, seppure lieve in questo. Integrazione della laudatio del
B. Teniamo presente che nella laudatio di Firenze il bruni aveva glissato sulle
glorie fiorentine sotto questo aspetto: cioè nella laudatio non sono citati ALIGHIERI
(si veda), Petrarca e Boccaccio; la laudatio si conclude con il vanto degli
egregi fiorentini, ma non ci sono i nomi, è un vanto generale. Questa parte
ora, in un certo senso si riaggancia alla laudatio del bruni e la completa: in
un certo senso questo secondo libro ha indubbiamente anche questo scopo. Tanto
più che il Bruni, quando nelle sue lettere parla di questo testo, lo definisce
«i libri dei nuovi poeti», quindi l’aggancio con la laudatio indubbiamente
amplifica e porta in una direzione questo discorso. Niccoli Smascherato.
Come si può risolvere il problema a questo punto? Niccoli rimane sulla
posizione di prima? No. Vien operata una definizione in chiave retorica della
posizione del Niccoli: di fatto Coluccio afferma di aver ben capito il giorno
prima che il Niccoli aveva fatto questo in modo artificioso: l’aveva fatto non
dicendo quello che pensava lui, ma lo aveva fatto per provocarlo,perché quello
che Niccoli voleva era che lui facesse l’elogio, ma Salutati non ci era caduto,
ed aveva capito bene quali erano idee di Niccoli, il quale, insieme a B.,
continua ad insistere che sia lui a fare l’elogio dei tre Grandi: Salutati dice
che farà ben questo, ma solo quando lo vorrà lui! A questo punto c’è una
schermaglia, uno scambio di battute con effetto teatrale, fino a quando c’è una
sorta di rilancio tra le parti: il Salutati vuole che sia B. a fare l’elogio,
mentre B. vuole che sia Coluccio, o quanto meno vuole decidere lui chi debba
farlo (e questo è un passo di tipo meta letterario, in quanto Bruni è anche scrittore!);
alla fine B. viene fatto arbitro e decide che sia Niccoli a fare l’elogio: il
Niccoli li ha attaccati, il Niccoli ora li difenda. Allora Niccoli prende la
parola e ribalta l’accusa che aveva fatto il giorno prima. Il modello di questo
è stato rilevato dagli studiosi nel personaggio di Antonio tra il 1° e il 2°
libro del “De Oratore”. Come Antonio, anche Niccoli, pur facendo una
confutazione di quelle accuse, non si adegua totalmente a quello che pensa
Salutati, così come Antonio, nel 2° libro del “De Oratore” non diviene
totalmente dell’idea dell’altro nume tutelare. C’è una dialettica interna che
rimane. Excusatio. Innanzitutto Niccoli si lancia in una ampia excusatio,
fin troppo ampia: e questo potrebbe fare pensare che il Niccoli storico, una
qualche responsabilità in queste accuse ai tre grandi potesse pure averla.
Insiste dicendo che gli altri non poteva assolutamente credere che egli
attaccasse veramente i tre grandi: è noto a tutti l’amore che ha avuto per
l’opera di Dante, per la memoria di Petrarca, per il quale è andato fino a
Padova per leggere l’Africa, l’amore per Boccaccio ecc. afferma di essere
consapevole di aver fatto quello che dice Coluccio: ha fatto un vituperio dei
tre fiorentini solo per sollecitare Coluccio a fare l’elogio. Dato che a questo
punto tocca a lui, è costretto a farlo, con grande soddisfazione di Coluccio
che lo obbliga. Palinodia, ma non totale. Inizia la palinodia: ciò
che rende grandi Dante, Petrarca e Boccaccio, e risponde alle accuse che egli
stesso aveva fatto prima. Ma c’è una differenza: il Salutati si pone su questa
posizione: il salutati è un innovatore che non rompe con la tradizione, è
l’erede del Petrarca a Firenze, e di Boccaccio. Però il Salutati non vuole
rompere e contrapporsi nello stesso modo in cui altri avevano fatto con la
tradizione precedente; il Niccoli recupera le lodi dei tre, ma alla fine del
suo discorso ritorna a quello che aveva detto prima: come il Salutati è un
eccezione al tempo contemporaneo, così questi tre grandi fiorentini sono delle
eccezioni, perché il loro grandissimo ingegno permise loro di eccellere
nonostante la decadenza degli studi e nonostante la situazione del mondo loro
contemporaneo. Non è quindi propriamente la posizione del salutati, ne una
ritrattazione vera e propria, o una confutazione delle accuse espresse
prima. Petrarca precursore degli umanisti. Ci sono nelle cose dette
diverse cose interessanti, una in particolare riguarda il Petrarca e il
riconoscimento della sua funzione per l’avvio del rinnovamento negli studi
umanistici: riconosce l’importanza di Petrarca come fondatore del movimento
umanistico. Il discorso improvvisato. L’altro aspetto importante per la
struttura del dialogo riguarda la dichiarazione del parlare all’improvviso e
senza preparazione: questo dopo aver fatto la lode di Dante. La caratteristica
peculiare del dialogo è che venga fatto come una CONVERSAZIONE reale. Gl’argomenti
posti in campo, COME IN UNA CONVERSAZIONE e senza un ordine sistematico, senza
una preparazione pre-ordinata: ciò mette in evidenza il carattere di
naturalezza e libertà del discorso, rispetto a quello che sarebbe in termini
sistematici e stringenti di una trattazione filosofica. Questo è un discorso,
non un dialogo informa di trattato. Altro aspetto interessante, per la
posizione dal punto di vista culturale è che, mentre d’ALIGHIERI viene esaltata
la Commedia, per vari motivi, di Petrarca e Boccaccio viene rilevata
soprattutto l’opera IN LINGUA LATINA. Di Petrarca in larghissima misura poi,
solo poco si dice della produzione in volgare. Di Boccaccio il Decàmeron in
quanto tale non è citato! Sono citate le opere IN LINGUA LATINA. Un solo
accenno può far pensare al Decàmeron, ma la centralità è data alla Genealogie.
A questo punto, Dopo che Niccoli ha finito il suo discorso, allora viene
pronunciata l’assoluzione di Niccoli che viene scagionato da quello che aveva
fatto il giorno prima: gli viene data l’assoluzione perché nella
perorazione della causa aveva difeso le sue ragioni e quindi non è responsabile
di nulla. D’altra parte però anche nel modo in cui viene data questa sorta di
assoluzione, la formulazione non è priva di tratti di ambiguità: perché quello
che si dice riguarda non tanto il discorso di Niccoli, quanto ciò che Niccoli
aveva riportato a sé per l’amore che aveva avuto per questi autori; un margine
di ambiguità dunque rimane. In definitiva. Delle Eccezioni. La parte
finale del dialogo risolve e conclude dicendo che da parte di Niccoli si
ritiene abbastanza largamente premiato per tutte le lodi ricevute, e ritorna
però ai principi precedenti affermando che è lontano dal credere di sapere
qualcosa, e proprio ritorna circolarmente la sua tesi fondamentale: «tanto più
ciò mi par difficile, tanto più ammiro i fiorentini in quanto nonostante
l’avversità dei tempi, per una loro sovrabbondanza di ingegno riuscirono ad
essere pari o superiori agli antichi»: delle eccezioni duqnue, illuminanti ma
niente altro che delle eccezioni. Il dialogo si conclude con l’intervento di
Roberto e il ritorno al di là di ponte vecchio. Modelli e fonti La
cornice. La cornice di carattere conviviale è la cornice classicamente ben
autorizzata, il Simposio ed altro, è un’altra delle cornici riusate, non
frequentemente, nel dialogo umanistico-rinascimentale. Il fatto che qui sia
stato accennato in questa forma è indizio di una attenzione da parte di B.
verso questa nuova forma di dialogo. Abbiamo visto quali fossero i modelli, e
in particolare come modello di dialogo diegetico, cioè narrativo in
quanto introdotto da cornice che continua a ritornare, il De Oratore.
D’altra parte anche quando di fatto ci siano anche altri modi e altre forme
come quelle miste date da cornice introduttiva e poi l’elemento di carattere
mimetico, sulla scorta del Laelius de amicitia o come aveva fatto Petrarca nel
Secretum, in relazione al dialogo umanistico, non per B., rimane un punto
nodale di riferimento; specie in alcuni tratti che si riprendono e ricompaiono
nei dialoghi quattro-cinquecenteschi: in particolare per il fatto che ci sia
una cornice di carattere realistico (cosa che non c’è nel Secretum); una
cornice di carattere realistico; coordinate spazio temporali che corrispondono
ad aspetti di carattere realistico; e personaggi che appartengono a figure
storiche ben individuate. Altro dato che rimane costante e comune è la
rappresentazione scenica. C’è una dimensione teatrale largamente riconosciuta,
rappresentazione scenica sia in relazione ai personaggi, sia ai personaggi che
si alternano nel dialogo: personaggi che vengono a recitare un ruolo, come
vedremo ancora di più nel Cortegiano. Abbiamo poi visto la dichiarazione di
veridicità: l’autore dice di aver riportato un reale dialogo, e abbiamo visto
come si vuole cercare di rendere evidente al lettore, di mimare l’andamento di
una libera conversazione: una conversazione non preordinata. Il
dialogo Diversi usi del dialogo. Il nostro non è un trattato, ma la forma
del dialogo è una di quelle privilegiate per il trattato. Naturalmente le
possibilità insite possono essere diverse: in quanto noi ci possiamo trovare di
fronte ad un trattato in forma di dialogo in cui si voglia veicolare unatesi, e
si individua una strategia comunicativa dialogica che fa capire quale sia la
sua tesi. Ma ci possono essere altre possibilità: ci può essere quella propria
del confronto di opinioni, con un dialogo che si compone via via in una ricerca
che si completa a vicenda, e d’altra parte ci sono anche dialoghi che rimangono
aperti: sono confronti di opinioni che non sono riconducibili in unità, e
quindi la discordia rimane. Il dialogo per sua stessa natura presenta problemi
di carattere interpretativo in quanto ha un margine interno di ambiguità, nel
senso che ci troviamo di fronte ad enunciazioni di posizioni diverse da parte
dei personaggi: dipende molto dalla strategia compositiva, che può indirizzare
il lettore, ma ci possono essere delle voci, delle posizioni dei tratti che
possono sembrare ambivalenti o volutamente lasciate con prospettive diverse da
parte dell’autore, e questo comporta evidentemente dei problemi e difficoltà di
interpretazione. Naturalmente ci sono anche dialoghi dove da questo punto di
vista viene fatto intendere in maniera chiara ed evidente e viene orientata in
maniera che non ci siano dubbi quella che è la prospettiva dell’autore. In
questo è un notissimo l’esempio di Galileo, dove le posizioni sono definite in
modo chiaro, e la posizione di Simplicio è quella di chi enuncia testi che devono
essere confutate. Leonardo Bruno. Leonardo Bruni.
Bruni. Keywords: interpretare, implicatura geometrica, Ethica nicomachaea,
Grice, Hardie. “Ad Petrum Paulum
Histrum”, l’interpretazione di Romolo – l’interpretazione di Remolo – I sei aquile
I duodici aquile– primi I sei corvi – il segnato? Refs. Luigi Speranza, “Grice
e Bruni: implicatura geometrica” – The Swimming-Pool Library. Bruni.
Grice e Bruno: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’opera – libretto di -- Atteone
– la scuola di Nola – filosofia napoletana – filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Nola). Filosofo nolese. Filosofo
napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Nola, Napoli, Campania. Grice: “Italians should concentrate on the few Italian philosophical
dialogues by Bruno in the vernacular, and leave those in ‘the learned’ for
those who cannot deal with the ‘volgare’!” “My favourite has to be the one on
Atteone – which Bruno describes as the ‘furor’ of a ‘heroe’ – Atteone il
cacciatore – but the one on the Fiume at the Campidoglio is also very good!” -- Giordano Bruno – Grice: “A genius”. La sua
filosofia, inquadrabile nel naturalismo rinascimentale d’amare infinitiamente,
fonde le più diverse tradizioni filosofiche — materialismo antico, galileismo, neoplatonismo,
ermetismo, mnemotecnica -- ma ruota intorno a un'unica idea: l'infinito –
“l’immenso” -- inteso come l'universo infinito, effetto di un Dio infinito,
in-figurabile, fatto di infiniti mondi, da amare infinitamente. Non
esistono molti documenti sulla sua gioventù. È lo stesso filosofo, negli
interrogatori cui fu sottoposto durante il processo che segna gli ultimi anni della sua vita, a dare le
informazioni sui suoi primi anni. Io ho nome Giordano Filippo della famiglia di
Bruni, della città de Nola vicina a Napoli dodeci miglia, nato ed allevato in
quella città, e più precisamente nella contrada di san Giovanni del Cesco, ai
piedi del monte Cicala. Figlio dell'alfiere Giovanni e di Fraulissa Savolina per
quanto ho inteso dalli miei. Il Mezzogiorno era allora parte del Regno di
Napoli. Fu battezzato col nome di Filippo in onore dell'erede al trono. La sua
casa - che non esiste più - era modesta, ma nel suo “De immense” ricorda con
commossa simpatia l'ambiente che la circondava, l'amenissimo monte Cicala, le
rovine del castello, gli ulivi, in parte gli stessi di oggi, e di fronte, il
Vesuvio, che, pensando che oltre quella montagna non vi fosse più nulla nel
mondo, esplora ragazzetto. Ne trae l'insegnamento di non basarsi esclusivamente
sul giudizio dei sensi, come fa, a suo dire, il grande Aristotele, imparando
soprattutto che, al di là di ogni apparente limite, vi è sempre qualche cosa
d'altro. Impara a leggere e a scrivere da un prete nolano, Giandomenico de
Iannello e compì gli studi di grammatica nella scuola di Aloia. Prosegue gli
studi superiori a Napoli, che era allora nel cortile del convento di san
Domenico, per apprendere lettere, logica e dialettica da Colle e lezioni
private di logica da un agostiniano, Vairano. Il Sarnese, ossia Colle e un
aristotelico. Per Colle, solo il concetto conta, nessuna importanza avendo la
forma nella quale il concetto e espresso. Scarse le notizie su Vairano, del
quale B. ebbe sempre ammirazione, tanto da farlo protagonista dei suoi dialoghi
cosmologici e da confidare al bibliotecario Cotin che eglio fu «il principale
tutore che abbia avuto in filosofia. Per delineare la sua prima formazione,
basta aggiungere che, introducendo la spiegazione del nono sigillo nella sua “Explicatio
triginta sigillorum”, scrive di essersi dedicato fin da giovanissimo allo
studio dell'arte della memoria, influenzato probabilmente dalla lettura del
trattato Phoenix seu artificiosa memoria di Tommai. In convento Interno
della chiesa di san Domenico Maggiore a Napoli, dove B. seguì il suo noviziato
e fu promosso agli ordini sacri. Rrinuncia al nome di Filippo, come imposto
dalla regola domenicana, assume il nome di Giordano, in onore a Giordano di
Sassonia, successore di Domenico, o forse di Giordano Crispo, suo tutore di
metafisica, e prende quindi l'abito di frate domenicano dal priore del convento
di san Domenico Maggiore a Napoli, Pasca. Fnito l'anno della probatione, e admesso
da lui medesimo alla professione», in realtà fu novizio e professo. Valutando
retrospettivamente, la scelta d'indossare l'abito domenicano può spiegarsi non
già per un interesse alla vita religiosa o agli studi teologici – che mai ebbe,
come affermò anche al processo - ma per potersi dedicare ai suoi studi
prediletti di filosofia con il vantaggio di godere della condizione di
privilegiata sicurezza che l'appartenenza a quell'ordine potente certamente gli
garanta. Che egli non fosse entrato fra i domenicani per tutelare
l'ortodossia della fede cattolica lo rivelò subito l'episodio – narrato da lui
stesso al processo – nel quale nel convento di san Domenico, butta via le
immagini dei santi in suo possesso, conservando solo il crocefisso e invitando
un novizio che legga la Historia delle sette allegrezze della Madonna a gettar
via quel libro, una modesta operetta devozionale, pubblicata a Firenze,
perifrasi di versi in latino di Chiaravalle, sostituendolo magari con lo studio
della Vita de' santi Padri di Cavalca. Episodio che, pur conosciuto dai
superiori, non provoca sanzioni nei suoi confronti, ma che dimostra come fosse
del tutto estraneo alle tematiche devozionali contro-riformistiche. Chiesa
di San Bartolomeo a Campagna, dove celebra la sua prima messa. E andato a Roma
e sia stato presentato a Pio V e al cardinale Rebiba, al quale avrebbe
insegnato qualche elemento di quell'arte mnemonica che tanta parte avrà nella
sua speculazione filosofica. Fu ordinato suddiacono, diacono, e presbitero,
celebrando la sua prima messa nel convento di san Bartolomeo a Campagna, presso
Salerno, a quell'epoca appartenente ai Grimaldi, principi di Monaco, e si
laurea con una tesi su AQUINO e Lombardo. Non bisogna pensare che un
convento fosse esclusivamente un'oasi di pace e di meditazione di spiriti eletti.
Nei confronti dei frati di san Domenico Maggiore furono emesse diciotto
sentenze di condanna per scandali sessuali, furti e perfino omicidi. Non deve
pertanto stupire il disprezzo che ostenta sempre nei confronti dei frati, ai
quali rimprovera in particolare la mancanza di cultura; e non solo, ma, secondo
un'ipotesi di Spampanato comunemente accettata in sede critica, nel protagonista
del suo “Candelaio”, Bonifacio, egli assai probabilmente alluse proprio a un
suo con-fratello, Bonifacio da Napoli, definito nella lettera dedicatoria alla
Signora Morgana B. “candelaio” “in carne ed ossa”, ossia “sodomita”. Tuttavia,
la possibilità di formarsi un'ampia cultura non manca certo nel convento di san
Domenico Maggiore, famoso per la ricchezza della sua biblioteca, anche se, come
negli altri conventi, sono vietati i saggi di Erasmo da Rotterdam che però si procura in parte, leggendoli di nascosto. La
sua esperienza conventuale e in ogni caso decisiva. Vi puo compiere i suoi
studi e formare la sua cultura leggendo di tutto, da Aristotele ad Aquino, da
Gerolamo a Crisostomo, oltre alle opere di Ficino. La sua indipendenza di
pensiero e la sua insofferenza verso l'osservanza dei dogmi si manifestarono inequivocabilmente.
Discutendo di arianesimo con Montalcino, ospite nel convento napoletano,
sostenne che le opinioni di Ario e meno perniciose di quel che si riteneva,
dichiarando che Ario dice che il verbo non era creatore né creatura, ma medio
intra il creatore e la creatura, come il verbo è mezzo intra il dicente
(DICENS, DICTOR, utterer, mittente) ed il detto (il detto, DICTUM, utteratum,
missum) e però essere detto primogenito avanti ogni creatura, non dal quale ma
per il quale è stato creato ogni cosa, non al quale ma per il quale si
refferisce e ritorna ogni cosa all'ultimo fine, che è il Padre, essagerandomi
sopra questo. Per il che fui tolto in suspetto e processato, tra le altre cose,
forsi de questo ancora. E all'inquisitore veneziano espresse il proprio
scetticismo sulla trinità, ammettendo di aver dubitato circa il nome di “persona”
del Figliolo e del Spirito Santo, non intendendo queste due persone distinte
dal Padre, ma considerando il Figlio, neo-platonicamente, l'intelletto e lo spirito,
pitagoricamente, l'amore del padre o l'anima del mondo, non dunque “persone” o
sostanze distinte, ma manifestazioni divine. Denunciato d’Agostino al
padre provincial Vita, costui istituì contro di lui un processo per eresia e,
come racconta lui stesso agli inquisitori veneti, dubitando di non esser messo
in preggione, me partto da Napoli ed ando a Roma. Raggiunse Roma, ospite del
convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, il cui procuratore, Lucca,
divenne pochi anni dopo generale dell'Ordine e
censura i saggi di Montaigne. Sono anni di gravi disordini: a Roma
sembra non farsi altro, scrive il cronista Gualtieri, che rubare e ammazzare:
molti gittati in Tevere, né di popolo solamente, ma i monsignori, i figli di
magnati, messi al tormento del fuoco, e nipoti di cardinali sono levati dal
mondo e ne incolpa il debole Gregorio XIII. è accusato di aver ammazzato e
gettato nel fiume un frate: scrive Cotin, fugge da Roma per un omicidio
commesso da un suo frère, per il quale egli è incolpato e in pericolo di vita,
sia per le calunnie dei suoi inquisitori che, ignoranti come sono, non
concepiscono la sua filosofia e lo accusano di eresia. Oltre all'accusa di
omicidio, ha infatti notizia che nel convento napoletano erano stati trovati,
tra i suoi saggi, saggi di Crisostomo e di Gerolamo annotate da Erasmo e che si
sta istruendo contro di lui un processo per eresia. Così abbandona
l'abito domenicano, riassume il nome di Filippo, lascia Roma e fugge in
Liguria. Portico del Palazzo comunale di Noli, dove soggiorna per un breve
periodo. Sotto il portico una lapide ricorda il soggiorno del filosofo: "B.
Prima d'insegnare all'Europa Le leggi dell'ordine universale fu maestro in Noli
di grammatica e cosmografia. è a Genova e scrive che allora, nella chiesa di
Santa Maria di Castello, si adora come reliquia e si fac baciare ai fedeli la
coda dell'asina che portò Gesù a Gerusalemme. Da qui, va poi a Noli, dove insegna
grammatica ai bambini e cosmografia agli adulti. è a Savona, poi a
Torino, che giudica deliciosa città ma, non trovandovi impiego, per via
fluviale s'indirizza a Venezia, dove alloggia in una locanda nella contrada di
Frezzeria, facendovi stampare il suo primo saggio, “De' segni de' tempi”, per
metter insieme un pocco de danari per potermi sustentar; la qual opera feci
veder prima al reverendo padre maestro Fiorenza, domenicano del convento dei
Santi Giovanni e Paolo. Ma a Venezia e in corso un'epidemia di peste che
ha fatto decine di migliaia di vittime, anche illustri, come Tiziano, così va a
Padova dove, dietro consiglio di alcuni domenicani, riprende il saio, quindi se
ne va a Brescia, dove si ferma nel convento domenicano. Qui un monaco, profeta,
gran teologo e poliglotta, sospettato di stregoneria per essersi messo a
profetizzare, viene da lui guarito, ritornando a essere - scrive ironicamente -
il solito asino. IDa Bergamo decide di andare in Francia: passa per Milano e
Torino, ed entra in Savoia passando l'inverno nel convento domenicano di
Chambéry. Successivamente, è a Ginevra,
città dov'è presente una numerosa colonia di italiani riformati. B. depone
nuovamente il saio e si veste di cappa, cappello e spada, aderisce al
calvinismo e trova lavoro come correttore di bozze, grazie all'interessamento del
marchese Caracciolo il quale, transfuga dall'Italia vi aveva fondato la comunità evangelica
italiana. S'iscrive allo studio di Ginevra come Filippo B. nolano,
professore di teologia sacra. Accusa il professore di filosofia Faye di essere
un cattivo insegnante e definisce pedagoghi i pastori calvinisti. È probabile
che volesse farsi notare, dimostrare l'eccellenza della sua preparazione
filosofica e delle sue capacità didattiche per ottenere un incarico
d'insegnante, costante ambizione di tutta la sua vita. Anche la sua adesione al
calvinismo e mirata a questo scopo. E in realtà indifferente a tutte le
confessioni religiose. Nella misura in cui l'adesione a una religione storica
non pregiudicasse le sue convinzioni filosofiche e la libertà di professarle, sarebbe
stato cattolico in Italia, calvinista in Svizzera, anglicano in Inghilterra e
luterano in Germania. Arrestato per diffamazione, viene processato e scomunicato.
Costretto a ritrattare. Lscia allora Ginevra e si trasferisce brevemente a
Lione per passare a Tolosa, città cattolica, sede di un'importante studio, dove
occupa il posto di lettore, insegnandovi, come Grice, il “De anima”, di
Aristotele e componendo un trattato di arte della memoria: la Clavis magna, che
si rifarebbe all'Ars magna. A Tolosa conosce il filosofo scettico Sanches, che
volle dedicargli il suo libro “Quod nihil scitur”, chiamandolo filosofo
acutissimo. Ma non ricambia la stima, se
scrisse di lui di considerare stupefacente che questo asino si dia il titolo di
dottore. A causa della guerra di religione fra cattolici e ugonotti, lascia
Tolosa per Parigi, dove tiene un corso di lezioni sugli attributi di Dio
secondo Aquino. E in seguito al successo di queste lezioni, come egli stesso
racconta agli inquisitori, acquistai nome tale che il re Enrico terzo mi fece
chiamare un giorno, ricercandomi se la memoria che ho e che professo, e naturale
o pur per arte magica; al qual diedi sodisfazione; e con quello che li dissi e feci
provare a lui medesmo, conosce che non era per arte magica ma per scienzia. E
doppo questo fa stampar un libro de memoria, sotto titolo “De umbris idearum”,
il qual dedica a Sua Maestà; e con questa occasione si fa lettor straordinario
e provvisionato. Appoggiando fattivamente l'operato politico di Enrico III di Valois,
a Parigi sarebbe rimasto poco meno di due anni, occupato nella prestigiosa posizione
di lecteur royal. È a Parigi che dà alle stampe le sue prime opere pervenuteci.
Oltre al “De compendiosa architectura et complemento artis Lullii” vedono la
luce il “De umbris idearum” (“Le ombre delle idee”) e l'Ars memoriae
("L'arte della memoria"), seguiti dal “Cantus Circaeus”, “Il canto di
Circe”, e dalla commedia in volgare
intitolata “Candelaio” (Il sodomita).
Nella suai intenzioni, il saggio di argomento mnemotecnico, è distinto
così in una parte di carattere teorico e in una di carattere pratico. Per
lui l'universo è un corpo unico,
organicamente formato, con un preciso ordine che struttura ogni singola cosa e
la connette con tutte le altre. Fondamento di quest'ordine sono le idee,
principi eterni e immutabili presenti totalmente e simultaneamente nella mente
divina, ma queste idee vengono "ombrate" e si separano nell'atto di
volerle intendere. Nel cosmo ogni singolo ente è dunque imitazione, immagine --
"ombra" -- della realtà ideale che la regge. Rispecchiando in sé
stessa la struttura dell'universo, la mente umana, che ha in sé non le idee ma
le ombre delle idee (Shakespeare, l’ombra dell’ombra), può raggiungere la vera
conoscenza, ossia la idea e il nesso che connetta ogni cosa con ogni altre, al
di là della molteplicità degli elementi particolari e del loro mutare nel
tempo. Si tratta allora di cercare di ottenere un metodo conoscitivo che colga
la complessità del reale, fino alla struttura ideale che sostiene il
tutto. Tale mezzo si fonda sull'arte della memoria, il cui compito è di
evitare la confusione generata dalla molteplicità delle immagini e di
connettere la immagine della cosa con il concetto, rappresentando
simbolicamente tutto il reale. Nel pensiero del filosofo, l'arte della
memoria opera nel medesimo mondo dell’ombre delle idea, presentandosi come emulatrice
della natura. Se dall’idea prende forma la cosa del mondo in quanto la idea
contiene l’immagine di ogni cosa, e ai nostri sensi la cosa si manifestano come
ombra di quella, allora tramite l'immaginazione stessa e possibile ripercorrere
il cammino inverso, risalire cioè dall’ombra alle idea, dall'uomo a Dio: l'arte
della memoria non è più un ausilio della retorica, ma un mezzo per ri-creare il
mondo (cf. Grice metaphysical routine: creation of concept, recreation of
concept, creation of thing). È dunque un processo visionario e non un metodo
razionale quello che propone. A similitudine di ogni altra arte, quella della
memoria ha bisogno di un sostrato (i subiecta), cioè "spazi" dell'immaginazione
atti ad accogliere il simbolo adatti (gl’ “adiecta”) tramite uno strumento
opportuno. Con questi presupposti, lcostruisce un “sistema” (cf. Grice,
Gentzen), che associa a ogni segno una immagine proprie della mitologia, in
modo da rendere possibile la codifica di segno e concetto secondo una
particolare successione di immagini. Il segno puo essere visualizzato su un diagramma
circolare, o "ruote mnemoniche", che girando e innestandosi l'una
dentro l'altra, fornisce un strumento via via più potenti. “Il canto di Circe” è
composta da due dialoghi. Protagonista del primo è la maga Circe che risentita
dal constatare che l’uomo si comporta come un animale inferiore, opera un incantesimo
trasformando l’uomo in bestia, mettendo così in luce la loro autentica natura.
Nel secondo dialogo, dando voce a uno dei due protagonisti, Borista, riprende
l'arte della memoria mostrando come memorizzare il dialogo precedente. Al testo
si fa corrispondere uno scenario che viene via via suddiviso in un maggior
numero di spazi e i vari oggetti lì contenuti sono ogni immagine relativa a
ogni concetto espresso nello scritto. Il Cantus resta dunque un trattato di
mnemotecnica nel quale però il filosofo già lascia intravedere una tematica
morale che e ampiamente riprese in opere successive, soprattutto nello “Spaccio
de la bestia trionfante” e ne “De gli eroici furori”. Ancora pubblica infine il
Candelaio, una commedia in cinque atti in cui alla complessità del linguaggio,
un italiano popolaresco che inserisce termini in latino, toscano e napoletano,
corrisponde l'eccentricità della trama, fondata su tre storie parallele. Esterno
della chiesa di Santa Maria Assunta dei Pignatelli, in Largo Corpo di Napoli,
presso il Seggio del Nilo, dove B. ambienta il suo Candelaio. Il nome “Candelaio”
deriva dalla statua del dio Nilo. La commedia è ambientata nella
Napoli-metropoli del secondo Cinquecento, in posti che il filosofo ben conosce
per avervi soggiornato durante il suo noviziato. Il candelaio (sodomita) Bonifacio,
pur sposato con la bella Carubina, corteggia la signora Vittoria ricorrendo a
pratiche magiche. L’avido alchimista Bartolomeo si ostina a voler trasformare i
metalli in oro. Il grammatico Manfurio si esprime in un linguaggio
incomprensibile (deutero-Esperanto). In queste tre storie si inserisce quella
del pittore Gioan Bernardo, voce di lui stesso che con una corte di servi e
malfattori si fa beffe di tutti e conquista Carubina. In questo classico
della letteratura italiana, appare un mondo assurdo, violento e corrotto,
rappresentato con amara comicità, dove gli eventi si succedono in una trasformazione
continua e vivace. La commedia è una feroce condanna della stupidità,
dell'avarizia e della pedanteria. Interessante nell'opera la descrizione
che lui fa di sé stesso. L'autore, si voi lo conoscete, direste ch'ave una
fisionomia smarrita: par che sii in contemplazione delle pene dell'inferno, par
sii stato alla pressa come le barrette: un che ride sol per far come fan gli
altri: per il più lo vedrete fastidito e bizzarro, non si contenta di nulla,
ritroso come un uomo d'ottant'anni, fantastico com'un cane ch'ha ricevute mille
spellicciate, pasciuto di cipolla. Intende venire in Inghilterra il dottor B.,
Nolano, professore di filosofia, la cui religione non posso approvare. Dalla
lettera dell'ambasciatore inglese a Parigi Cobham a Walsingham. Lascia Parigi e
parte per l'Inghilterra dove, a Londra, è ospitato dall'ambasciatore di Francia
Castelnau, che gli affianca il letterato Florio in quanto lui non conosce
l'inglese, accompagnandolo fino al termine del suo soggiorno inglese. Nelle
deposizioni lasciate agli inquisitori veneti egli sorvola sulle motivazioni di
questa partenza, riferendosi genericamente ai disordini là in corso per
questioni religiose. Sulla partenza da Parigi restano però aperte altre
ipotesi: che Bruno fosse partito in missione segreta per conto di Enrico III; che
il clima a Parigi si fosse fatto pericoloso a causa dei suoi insegnamenti. Bisogna
aggiungere anche il fatto che davanti agli inquisitori veneziani, qualche anno
più avanti, esprimer parole di apprezzamento per la regina d'Inghilterra
Elisabetta che egli aveva conosciuto andando spesso a corte con l'ambasciatore.
-- è a Oxford, e alla St. Mary sostenne con uno di quei professori una disputa
pubblica. Tornato a Londra, vi pubblica l'”Ars reminiscendi”, l' “Explicatio
triginta sigillorum” e il “Sigillus sigillorum” nel quale insere una lettera
indirizzata al vice cancelliere di Oxford, scrivendo che là trovea
dispostissimo e prontissimo un uomo col quale saggiare la misura della propria
forza. È una richiesta di poter insegnare nella prestigiosa università. La
proposta viene accolta. Parte per Oxford. Il “Sigillus sigillorum” e
considerato di argomento mnemotecnico. Il sigillus e è una concisa trattazione
teorica nella quale il filosofo introduce tematiche decisive nel suo pensiero,
quali l'unità dei processi cognitivi; l'amore come legame universale; l'unicità
e infinità di una forma universale che si esplica nelle infinite figure della
materia, e il furore nel senso di slancio verso il divino, argomenti che
saranno di lì a poco sviluppati a fondo nei successivi dialoghi italiani. È
presentato inoltre in quest'opera fondamentale un altro dei temi nucleari di
sua filosofia: la magia come guida e strumento di conoscenza e azione,
argomento che egli amplierà nelle cosiddette opere magiche. A Oxford
tiene alcune lezioni sulle teorie copernicane, ma il suo soggiorno presso quella
città dura ben poco. A Oxford non gradirono quelle novità, come testimonia Abbot,
che fu presente alle lezioni di B.. Quell'omiciattolo italiano intraprese il
tentativo, tra moltissime altre cose, di far stare in piedi l'opinione di
Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre in realtà era
la sua testa che girava e il suo cervello che non stava fermo. Le lezioni
furono quindi interrotte, ufficialmente per un'accusa di plagio al “De vita
coelitus comparanda” di Ficino. Sono anni questi difficili e amari per il
filosofo, come traspare dal tono delle introduzioni alle opere immediatamente
successive, i dialoghi londinesi: le polemiche accese e i rifiuti sono vissuti
lui come una persecuzione, ingiusti oltraggi, e certo la fama che già lo aveva
preceduto da Parigi non lo aiuta. Ritornato a Londra, nonostante il clima
avverso, pubblica presso John Charlewood sei saggi fra le più importanti della
sua produzione: sei opere filosofiche in forma dialogica, i cosiddetti
"dialoghi londinesi", o anche "dialoghi italiani", perché
tutti in lingua italiana: “La cena de le ceneri”; “De la causa, principio et
uno”; “De l'infinito, universo e mondi”; “Spaccio de la bestia trionfante”; “Cabala
del cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'Asino cillenico”; “De gli eroici
furori”. “La cena de le ceneri” dedicata a Castelnau, presso il quale era
ospite, è divisa in cinque dialoghi, i protagonisti sono quattro e fra questi
Teofilo può considerarsi il portavoce dell'autore. Immagina che il nobile sir
Fulke Greville, il giorno delle ceneri, inviti a cena Teofilo, lui stesso,
Florio, precettore della figlia dell'ambasciatore, un cavaliere e due
accademici luterani di Oxford: i dottori Torquato e Nundinio. Rispondendo alle
domande degli altri protagonisti, Teofilo racconta gli eventi che hanno portato
all'incontro e lo svolgersi della conversazione avvenuta durante la cena,
esponendo così le teorie del nolano. B. elogia e difende la teoria di Copernico
contro gli attacchi dei conservatori e contro chi, come Osiander, che aveva
scritto una prefazione denigratoria al De revolutionibus orbium coelestium,
considera solo un'ipotesi ingegnosa quella dell'astronomo. Il mondo di
Copernico, però, era ancora finito e delimitato dalla sfera delle stelle fisse.
Nella Cena, non si limita a sostenere il moto della Terra di seguito alla
confutazione della cosmologia tolemaica; egli presenta altresì un universo
infinito: senza centro né confini. Afferma Teofilo (portavoce dell'autore)
riguardo all'universo che sappiamo certo che essendo effetto e principiato da
una causa infinita e principio infinito, deve secondo la capacità sua corporale
e modo suo essere infinitamente infinito. Non è possibile giamai di trovar
raggione semiprobabile per la quale sia margine di questo universo corporale; e
per conseguenza ancora li astri che nel suo spacio si contengono, siino di
numero finito; et oltre essere naturalmente determinato cento e mezzo di
quello». L'universo, che procede da Dio quale Causa infinita, è infinito a sua
volta e contiene mondi innumerabili. Per B. sono principi vani sostenere
l'esistenza del firmamento con le sue stelle fisse, la finitezza dell'universo
e che in questo esista un centro dove ora dovrebbe trovarsi immobile il Sole
come prima vi si immaginava ferma la Terra. Formula esempi che appaiono ad
alcuni autori come antesignani del principio di relatività galileiana. Seguendo
la Docta ignorantia del cardinale e umanista Cusano, sostiene l'infinità
dell'universo in quanto effetto di una causa infinita. -- e ovviamente
consapevole che le Scritture sostengono tutt'altro – finitezza dell'universo e
centralità della Terra – ma, risponde: «Se gli dei si fossero degnati di
insegnarci la teorica delle cose della natura, come ne han fatto favore di
proporci la pratica di cose morali, io più tosto mi accosterei alla fede de le
loro rivelazioni, che muovermi punto della certezza de mie raggioni e proprii
sentimenti. Come occorre distinguere tra dottrine morali e filosofia naturale,
così occorre distinguere tra teologi e filosofi: ai primi spettano le questioni
morali, ai secondi la ricerca della verità. Dunque B. traccia qui un confine
abbastanza netto fra opere di filosofia naturale e Sacre scritture. I
cinque dialoghi del De la causa, principio et uno intendono stabilire i principi
della realtà naturale. Lascia da parte l'aspetto teologico della conoscenza di
Dio, del quale, come causa della natura, non possiamo conoscere nulla
attraverso il «lume naturale», perché esso «ascende sopra la natura» e si può
pertanto aspirare a conoscere Dio solo per fede. Ciò che interessa a B. è
invece la filosofia e la contemplazione della natura, la conoscenza della
realtà naturale nella quale, come già aveva scritto nel De umbris, possiamo
soltanto cogliere le «ombre», il divino «per modo di vestigio. La costellazione
di Orione Riallacciandosi ad antiche tradizioni di pensiero, B. elabora una
concezione animistica della materia, nella quale l'anima del mondo viene a
identificarsi con la sua forma universale, e la cui prima e principale facoltà
è l'intelletto universale. L'intelletto è il «principio formale costitutivo de
l'universo e di ciò che in quello si contiene» e la forma non è altro che il
principio vitale, l'anima delle cose le quali, proprio perché tutte dotate di
anima, non hanno imperfezione. La materia, d'altro canto, non è in sé
stessa indifferenziata, un "nulla", come hanno sostenuto molti
filosofi, una bruta potenza, senza atto e senza perfezione, come direbbe
Aristotele. La materia è allora il secondo principio della natura, della
quale ogni cosa è formata. Essa è «potenza d'esser fatto, prodotto e creato»,
aspetto equivalente al principio formale che è potenza attiva, «potenza di
fare, di produrre, di creare» e non può esserci l'un principio senza l'altro.
Ponendosi quindi in contrasto col dualismo aristotelico, Bruno conclude che principio
formale e principio materiale benché distinti non possono essere ritenuti
separati, perché «il tutto secondo la sostanza è uno». Discendono da
queste considerazioni due elementi fondamentali della filosofia bruniana: uno,
tutta la materia è vita e la vita è nella materia, materia infinita; due, Dio
non può essere al di fuori della materia semplicemente perché non esiste un
"esterno" della materia: Dio è dentro la materia, dentro di noi. Nel “De
l'infinito, universo e mondi” riprende e arricchisce temi già affrontati nei
dialoghi precedenti: la necessità di un accordo tra filosofi e teologi, perché
«la fede si richiede per l'istituzione di rozzi popoli che denno esser
governati»; l'infinità dell'universo e l'esistenza di mondi infiniti; la
mancanza di un centro in un universo infinito, che comporta un'ulteriore
conseguenza: la scomparsa dell'antico, ipotizzato ordine gerarchico, la
«vanissima fantasia» che riteneva che al centro vi fosse il «corpo più denso e
crasso» e si ascendesse ai corpi più fini e divini. La concezione aristotelica
è difesa ancora da quei dottori (i pedanti) che hanno fede nella «fama de gli
autori che gli son stati messi nelle mani», ma i filosofi moderni, che non
hanno interesse a dipendere da quello che dicono gli altri e pensano con la
loro testa, si sbarazzano di queste anticaglie e con passo più sicuro procedono
verso la verità. Chiaramente un universo eterno, infinitamente esteso,
composto di un numero infinito di sistemi solari simili al nostro e sprovvisto
di centro sottrae alla Terra, e di conseguenza all'uomo, quel ruolo
privilegiato che Terra e uomo hanno nelle religioni giudaico-cristiane
all'interno del modello della creazione, creazione che agli occhi del filosofo
non ha più senso, perché come già aveva concluso nei due dialoghi precedenti,
l'universo è assimilabile a un organismo vivente, dove la vita è insita in una
materia infinita che perennemente muta. Il copernicanesimo, per B,
rappresenta la "vera" concezione dell'universo, meglio, l'effettiva
descrizione dei moti celesti. Nel Dialogo primo del De l'infinito, universo e
mondi, il nolano spiega che l'universo è infinito perché tale è la sua Causa
che coincide con Dio. Filoteo, portavoce dell'autore, afferma: «Qual raggione
vuole che vogliamo credere che l'agente che può fare un buono infinito lo fa
finito? e se lo fa finito, perché doviamo noi credere che possa farlo infinito,
essendo in lui il possere et il fare tutto uno? Perché è inmutabile, non ha
contingenzia nell'operazione, né nella efficacia, ma da determinata e certa
efficacia depende determinato e certo effetto inmutabilmente: onde non può
essere altro che quello che è; non può essere tale quale non è; non può posser
altro che quel che può; non può voler altro che quel che vuole; e
necessariamente non può far altro che quel che fa: atteso che l'aver potenza
distinta da l'atto conviene solamente a cose mutabili». Essendo Dio
infinitamente potente, dunque, il suo atto esplicativo deve esserlo
altrettanto. In Dio coincidono libertà e necessità, volontà e potenza (o
capacità); di conseguenza, non è credibile che all'atto della creazione Egli
abbia posto un limite a sé stesso. Bisogna tener presente che B. opera
una netta distinzione tra l'universo e i mondi. Parlare di un sistema del mondo
non vuol dire, nella sua visione del cosmo, parlare di un sistema
dell'universo. L'astronomia è legittima e possibile come scienza del mondo che
cade nell'ambito della nostra percezione sensibile. Ma, al di là di esso, si
estende un universo infinito che contiene quei grandi animali che chiamiamo
astri, che racchiude una pluralità infinita di mondi. Quell'universo non ha
dimensioni né misura, non ha forma né figura. Di esso, che è insieme uniforme e
senza forma, che non è né armonico né ordinato, non può in alcun modo darsi un
sistema. Quando aviene che un poltrone o forfante monta ad esser principe o
ricco, non è per mia colpa, ma per iniquità di voi altri che, per esser scarsi
del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste prima, o non lo
spoltronate e sforfantate al presente, o almeno appresso lo vegnate a purgar
della forfantesca poltronaria, a fine che un tale non presieda. Non è errore
che sia fatto un prencipe, ma che sia fatto prencipe un forfante.»
(Spaccio de la bestia trionfante, Fortuna (Sofia): dialogo II, parte II) Opera
allegorica, lo Spaccio, costituito da tre dialoghi di argomento morale, si
presta a essere interpretato su diversi livelli, tra i quali resta fondamentale
quello dell'intento polemico di Bruno contro la Riforma protestante, che agli
occhi del nolano rappresenta il punto più basso di un ciclo di decadenza
iniziato col cristianesimo. Decadenza non soltanto religiosa, ma anche civile e
filosofica: se B. aveva concluso nei precedenti dialoghi che la fede è
necessaria per il governo dei «rozzi popoli» cercando di delimitare così i
rispettivi campi d'azione di filosofia e religione, qui egli riapre quel
confine. Nella visione di B., il legame fra l'uomo e il mondo, mondo
naturale e mondo civile, è quello fra l'uomo e un Dio che non sta
"nell'alto dei cieli", ma nel mondo, perché la «natura non è altro
che dio nelle cose». Il filosofo, colui che cerca la Verità, deve pertanto
necessariamente operare là dove sono situate le «ombre» del divino. L'uomo non
può fare a meno di interagire con Dio, secondo il linguaggio di una
comunicazione che nel mondo naturale vede l'uomo perseguire la Conoscenza, e
nel mondo civile l'uomo seguire la Legge. Questo legame è proprio quello che
nella storia è stato interrotto, e il mondo tutto è decaduto perché è decaduta
la religione trascinando con sé e la legge e la filosofia, «di sorte che non
siamo più dèi, non siamo più noi. Nello Spaccio, dunque, etica, ontologia e
religione sono strettamente interconnessi. Religione, e questo va evidenziato,
che B. intende come religione civile e naturale, e il modello cui egli si
ispira è quello degli antichi Egizi e Romani, che «non adoravano Giove, come
lui fusse la divinità, ma adoravano la divinità come fusse in Giove. Per
ristabilire il legame col divino occorre però che «prima togliamo dalle nostre
spalli la grieve somma d'errori che ne trattiene.» È lo "spaccio",
cioè l'espulsione di ciò che ha deteriorato quel legame: le "bestie
trionfanti". Le bestie trionfanti sono immaginate nelle
costellazioni celesti, rappresentate da animali: occorre
"spacciarle", cioè cacciarle dal cielo in quanto rappresentanti vizi
che è tempo di sostituire con altre virtù: via dunque la Falsità, l'Ipocrisia,
la Malizia, la «stolta fede», la Stupidità, la Fierezza, la Fiacchezza, la
Viltà, l'Ozio, l'Avarizia, l'Invidia, l'Impostura, l'Adulazione e via
elencando. Occorre tornare alla semplicità, alla verità e all'operosità,
ribaltando le concezioni morali che si sono ormai imposte nel mondo, secondo le
quali le opere e gli affetti eroici sono privi di valore, dove credere senza
riflettere è sapienza, dove le imposture umane sono fatte passare per consigli
divini, la perversione della legge naturale è considerata pietà religiosa,
studiare è follia, l'onore è posto nelle ricchezze, la dignità nell'eleganza,
la prudenza nella malizia, l'accortezza nel tradimento, il saper vivere nella
finzione, la giustizia nella tirannia, il giudizio nella violenza.
Responsabile di questa crisi è il cristianesimo: già Paolo aveva operato il
rovesciamento dei valori naturali e ora Lutero, «macchia del mondo», ha chiuso
il ciclo: la ruota della storia, della vicissitudine del mondo, essendo giunta
al suo punto più basso, può operare un nuovo e positivo rovesciamento dei
valori. Nella nuova gerarchia di valori il primo posto spetta alla
Verità, necessaria guida per non errare. A questa segue la Prudenza, la
caratteristica del saggio che, conosciuta la verità, ne trae le conseguenze con
un comportamento adeguato. Al terzo posto B. inserisce la Sofia, la ricerca
della verità; quindi segue la Legge, che disciplina il comportamento civile
dell'uomo; infine il Giudizio, inteso come aspetto attuatorio della legge. B.
fa quindi discendere la Legge dalla Sapienza, in una visione razionalista nel
cui centro c'è l'uomo che opera cercando la Verità, in netto contrasto col
cristianesimo di Paolo, che vede la legge subordinata alla liberazione dal
peccato, e con la Riforma di Lutero, che vede nella "sola fede" il
faro dell'uomo. Per B. la "gloria di Dio" si rovescia così in «vana
gloria» e il patto fra Dio e gli uomini stabilito nel Nuovo Testamento si
rivela «madre di tutte le forfanterie». La religione deve tornare a essere
"religione civile": legame che favorisca la «communione de gli
uomini», la civile conversazione. Altri valori seguono i primi cinque: la
Fortezza (la forza dell'animo), la Diligenza, la Filantropia, la Magnanimità,
la Semplicità, l'Entusiasmo, lo Studio, l'Operosità, eccetera. E allora
vedremo, conclude beffardo B., «quanto siano atti a guadagnarsi un palmo di
terra questi che sono cossí effuse e prodighi a donar regni de' cieli». È
questa evidentemente un'etica che richiama i valori tradizionali
dell'Umanesimo, cui B. non ha mai dato molta importanza; ma questo schema
rigido è in realtà la premessa per le indicazioni di comportamento che B.
prospetta nell'opera di poco successiva, De gli eroici furori. Cabala del
cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'Asino cillenico. «Li nostri divi asini,
privi del proprio sentimento ed affetto vegnono ad intendere non altrimente che
come gli vien soffiato alle orecchie delle rivelazioni o degli dei, o dei
vicarii loro; e per conseguenza a governarsi non secondo altra legge che di
que' medesimi. (Cabala del Cavallo Pegaseo, Saulino: dialogo I) La Cabala del
cavallo pegaseo viene pubblicata insieme a l'Asino cillenico in unico testo. Il
titolo allude a P., il cavallo alato della mitologia greca nato dal sangue di
Medusa decapitata da Perseo. Al termine delle sue imprese, Pegaso volò nel
cielo trasformandosi in costellazione, una delle 48 elencate da Tolomeo nel suo
Almagesto: la costellazione di Pegaso. Cabala si riferisce a una tradizione
mistica originatasi in seno all'ebraismo. Calcografia raffigurante le
stelle della costellazione di Pegaso che delineano la figura del cavallo
mitologico Pegaso L'opera, percorsa da una chiara vena comica, può essere letta
come un divertissement, opera d'intrattenimento senza pretese; oppure
interpretata in chiave allegorica, opera satirica, atto di accusa. Il cavallo
nel cielo sarebbe allora un asino idealizzato, figura celeste che rimanda
all'asinità umana: all'ignoranza, quella dei cabalisti, ma anche quella dei
religiosi in generale. I continui riferimenti ai testi sacri si rivelano
ambigui, perché da un lato suggeriscono interpretazioni, dall'altro confondono
il lettore. Uno dei filoni interpretativi, legato al lavoro critico svolto da
Vincenzo Spampanato, ha individuato nel cristianesimo delle origini e in Paolo
di Tarso il bersaglio polemico di B.. De gli eroici furori. De gli eroici
furori. Nei dieci dialoghi che compongono “De gli eroici furori” a Londra, individua
tre specie di passioni umane: quella per la vita speculativa, volta alla conoscenza;
quella per la vita pratica e attiva, e quella per la vita oziosa. Le due ultime
tendenze rivelano una passione di poco valore, un furore bass. Il desiderio di
una vita volta alla contemplazione, cioè alla ricerca della verità, è invece
espressione di un furore eroico, con il quale l'anima, rapita sopra l'orizzonte
de gli affetti naturali vinta da gli alti pensieri, come morta al corpo, aspira
ad alto. Non si giunge a tale effetto con la preghiera, con atteggiamenti
devozionali, con aprir gli occhi al cielo, alzar alto le mani, ma, al
contrario, con il venir al più intimo di sé, considerando che Dio è vicino, con
sé e dentro di sé più ch'egli medesmo esser non si possa, come quello che è
anima delle anime, vita delle vite, essenza de le essenze». Una ricerca che assimila
a una caccia, non la comune caccia ove il cacciatore ricerca e cattura le
prede, ma quella in cui il cacciatore diviene egli stesso preda, come Atteone
che nel mito ripreso da lui, avendo visto la bellezza di Diana, si trasforma in
cervo ed è fatto preda dei cani, i pensieri de cose divine, che lo divorano facendolo
morto al volgo, alla moltitudine, sciolto dalli nodi de li perturbati sensi, di
sorte che tutto vede come uno, non vede più distinzioni e numeri. La conoscenza
della natura è lo scopo della scienza e quello più alto della nostra vita
stessa, che da questa scelta viene trasformata in un furore eroico assimiliandoci
alla perenne e tormentata vicissitudine in cui si esprime il principio che
anima tutto l'universo. Il filosofo ci dice che per conoscere veramente l'oggetto
della nostra ricerca, Diana ignuda, non dobbiamo essere virtuosi (virtù come
medietà tra gli estremi) ma dobbiamo essere pazzi, furiosi, solo così potremmo
arrivare a capire l'oggetto del nostro studio (Atteone trasformato in cervo). La
ricerca e l'essere fuoriosi, non sono una virtù ma un vizio. Il dialogo è
inoltre un prosimetro, come La vita nuova di Dante, un insieme di prosa e di
poesia (distici, sonetti e una canzone finale). Il precedente periodo oxoniense
inglese è da considerarsi il più creativo di B., periodo nel quale ha prodotto
il maggior numero di opere fino a quando l'ambasciatore Castelnau essendo
richiamato in Francia lo induce a imbarcarsi con lui; ma la nave verrà assalita
dai pirati, che derubano i passeggeri d'ogni avere. A Parigi B. abita
vicino al Collège de Cambrai, e ogni tanto va a prendere in prestito qualche
libro nella biblioteca di Saint-Victor, nella collina di Sainte-Geneviève, il
cui bibliotecario, il monaco Cotin, ha l'abitudine di annotare giornalmente
quanto avveniva nella biblioteca. Entrato in qualche confidenza col filosofo,
da lui sappiamo che B. stava per pubblicare un'opera, l'Arbor philosophorum,
che non ci è pervenuta, e che aveva lasciato l'Italia per «evitare le calunnie
degli inquisitori, che sono ignoranti e che, non concependo la sua filosofia,
lo accuserebbero di eresia». Il monaco annota tra l'altro che era ammiratore
d’Aquino, che disprezzava le sottigliezze degli scolastici, dei sacramenti e
anche dell'eucaristia, ignote a Pietro e a
Paolo, i quali non seppero altro che hoc est corpus meum. Dice che i
torbidi religiosi sarebbero facilmente tolti di mezzo, se fossero spazzate tali
questioni e confida che questa sarà presto la fine della contesa. L'anno
successive pubblica, dedicata a Piero Del Bene, abate di Belleville e membro
della corte francese, la Figuratio Aristotelici physici auditus, un'esposizione
della fisica aristotelica. Conosce il salernitano Mordente, che due anni prima aveva pubblicato
Il Compasso, illustrazione dell'invenzione di un compasso di nuova concezione
e, poiché egli non sa il latino, che ha apprezzato la sua invenzione, pubblica
i “Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione ad
perfectam cosmimetriae praxim”, dove elogia l'inventore ma gli rimprovera di
non aver compreso tutta la portata della sua invenzione, che dimostrava
l'impossibilità di una divisione infinita delle lunghezze. Offeso da questi
rilievi, il Mordente protestò violentemente, sicché B. finì col replicare con
le feroci satire dell'“Idiota triumphans seu de Mordentio inter geometras Deo
dialogus” e del “Dialogus qui de somnii interpretatione seu geometrica sylva inscribitur. Fa
stampare col nome di Hennequin l'opuscolo antiaristotelico “Centum et viginti
articuli de natura et mundo adversus peripateticos”, partecipando alla
successiva pubblica disputa nel Collège de Cambrai, ribadendo le sue critiche alla
filosofia aristotelica. Contro tali critiche si levò un giovane avvocato
parigino, Callier, che replica con violenza chiamando il filosofo Giordano
"Bruto". Sembra che l'intervento del Callier abbia ricevuto
l'appoggio di quasi tutti gli intervenuti e che si sia scatenato un putiferio
di fronte al quale il filosofo preferì, una volta tanto, allontanarsi, ma le
reazioni negative provocate dal suo intervento contro la filosofia
aristotelica, allora ancora in grande auge alla Sorbona, unitamente alla crisi
politica e religiosa in corso in Francia e alla mancanza di appoggi a corte, lo
indussero a lasciare nuovamente il suolo francese. In Germania La
Piazza del Mercato di Wittenberg Raggiunta in giugno la Germania, B. soggiorna
brevemente a Magonza e a Wiesbaden, passando poi a Marburg, nella cui
Università risulta immatricolato come Theologiae doctor romanensis. Ma non
trovando possibilità di insegnamento, probabilmente per le sue posizioni antiaristoteliche,
s'immatricola a Wittenberg come Doctor italicus, insegnandovi per due anni, due
anni che il filosofo trascorre in tranquilla operosità. “uomo di nessun nome e
autorità fra voi, sfuggito ai tumulti di Francia, non appoggiato da alcuna
raccomandazione principesca, mi avete ritenuto meritevole di cordialissima
accoglienza, mi avete incluso nell'albo della vostra accademia, mi avete accolto
in un consesso di uomini tanto nobili e dotti, da sembrare ai miei occhi non
una scuola privata o una conventicola esoterica, bensì, come si conviene
all'Atene tedesca, una vera università.» (Dedica del De lampade
combinatoria). Pubblica il De lampade combinatoria lulliana, un commento dell'Ars
magna e il “De progressu et lampade venatoria logicorum”, commento ai Topica di
Aristotele. Altri commenti a opere aristoteliche sono i suoi “Libri physicorum
Aristotelis explanati”. Pubblica ancora, a Wittenberg, il “Camoeracensis
Acrotismus”, una riedizione di “Centum et viginti articuli de natura et mundo
adversus peripateticos”. Un suo corso
privato sulla Retorica sarà invece pubblicato col titolo di “Artificium
perorandi” (l’arte della conversazione). Anche le “Animadversiones circa
lampadem” e la “Lampas triginta statuarum” verranno pubblicate. Nel saggio
della Yates si fa cenno al fatto che il Mocenigo aveva riferito
all'Inquisizione veneziana l'intenzione di B., durante il suo periodo tedesco,
di creare una nuova setta. Mentre altri accusatori (il Mocenigo negherà questa
affermazione) sostenevano che egli avrebbe voluto chiamare la nuova setta dei
Giordaniti e che essa avrebbe attirato molto i luterani tedeschi. L'autrice
inoltre si pone la domanda se in questa setta vi fossero stati dei rapporti con
i Rosacroce dato che in Germania emersero all'inizio del XVII secolo presso i
circoli luterani. Il nuovo duca Cristiano I, succeduto al padre morto, decide
di rovesciare l'indirizzo degli insegnamenti universitari che privilegiavano le
dottrine del filosofo calvinista Pietro Ramo a svantaggio delle classiche
teorie aristoteliche. Dovette essere questa svolta a spingere B. a lasciare Wittenberg,
non senza la lettura di una “Oratio valedictoria”, un saluto che è un
ringraziamento per l'ottima accoglienza della quale era stato
gratificato: «Sebbene fossi di nazione forestiero, esule, fuggiasco,
zimbello della fortuna, piccolo di corpo, scarso di beni, privo di favore, premuto
dall'odio della folla, quindi sprezzabile agli stolti e a quegli ignobilissimi
che non riconoscono nobiltà se non dove splende l'oro, tinnisce l'argento, e il
favore di persone loro simili tripudia e applaude, tuttavia voi, dottissimi,
gravissimi e morigeratissimi senatori, non mi disprezzaste, e lo studio mio,
non del tutto alieno dallo studio di tutti i dotti della vostra nazione, non lo
riprovaste permettendo che fosse violata la libertà filosofica e macchiato il
concetto della vostra insigne umanità.» (citato in Opere di B. e
CAMPANELLA (si veda)). Ne fu ricambiato dall'affetto degli allievi, come
Hieronymus Besler e Valtin Havenkenthal, il quale, nel suo saluto, lo chiama
«Essere sublime, oggetto di meraviglia per tutti, dinanzi a cui stupisce la
natura stessa, superata dall'opera sua, fiore d'Ausonia, Titano della splendida
Nola, decoro e delizia dell'uno e l'altro cielo». A Praga e a Helmstedt I
sigilli di B. Amoris I sigilli di B. sono delle incisioni
realizzate dallo stesso e pubblicate all'interno delle sue opere a partire dal
periodo praghese. Esse rappresentano figure geometriche sovrapposte ma anche
veri e propri disegni con presunte decorazioni e lettere. A parte il titolo dei
sigilli non abbiamo alcuna spiegazione in merito al loro significato o al loro
reale utilizzo. Fino a oggi sono state fatte molto congetture dai vari studiosi
senza giungere a nessuna conclusione definitiva. Giunge a Praga, in quegli
anni sede del Sacro Romano Impero, città dove rimane sei mesi. Qui pubblica, in
unico testo, il De lulliano specierum scrutinio e il De lampade combinatoria
Lullii, dedicato all'ambasciatore spagnolo presso la corte imperiale, don
Guillem de Santcliment (il quale vantava Lullo fra i suoi antenati), mentre
all'imperatore Rodolfo II, mecenate e appassionato di alchimia e astrologia, dedica
gli Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque
philosophos, che trattano di geometria, e nella dedica rileva come per guarire
i mali del mondo sia necessaria la tolleranza, sia in campo strettamente
religioso – «È questa la religione che io osservo, sia per una convinzione
intima sia per la consuetudine vigente nella mia patria e tra la mia gente: una
religione che esclude ogni disputa e non fomenta alcuna controversia» – sia in
quello filosofico, campo che deve rimanere libero da autorità precostituite e
da tradizioni elevate a prescrizioni normative. Quanto a lui, «alle libere are
della filosofia cercai riparo dai flutti fortunosi, desiderando la sola
compagnia di coloro che comandano non di chiudere gli occhi, ma di aprirli. A
me non piace dissimulare la verità che vedo, né ho timore di professarla
apertamente» Ricompensato con trecento talleri dall'imperatore, in
autunno B., che sperava di essere accolto a corte, decide di lasciare Praga e,
dopo una breve tappa a Tubinga, giunge a Helmstedt, nella cui Università,
chiamata Academia Julia, si registra. Una targa presso il Planetario di
Praga ricorda il passaggio del filosofo in quella città. per la morte del
fondatore dell'Accademia, il duca Julius von Braunschweig, vi legge l'Oratio
consolatoria, ove presenta sé stesso come forestiero ed esule: «spregiai,
abbandonai, perdetti la patria, la casa, la facoltà, gli onori, e ogni altra
cosa amabile, appetibile, desiderabile». In Italia «esposto alla gola e alla
voracità del lupo romano, qui libero. Lì costretto a culto superstizioso e
insanissimo, qui esortato a riti riformati. Lì morto per violenza di tiranni,
qui vivo per l'amabilità e la giustizia di un ottimo principe». Le Muse
dovrebbero essere libere per diritto naturale eppure «sono invece, in Italia e
in Spagna, conculcate dai piedi di vili preti, in Francia patiscono per la
guerra civile rischi gravissimi, in Belgio sono sballottate da frequenti
marosi, e in alcune regioni tedesche languono infelicemente». Poche
settimane dopo viene scomunicato dal sovrintendente della Chiesa luterana della
città, il teologo luterano Boezio per motivi non noti: B. riesce così a
collezionare le scomuniche delle maggiori confessioni europee, cattolica,
calvinista e luterana. Presenta ricorso al prorettore dell'Accademia, Hoffmann,
contro quello che egli definisce un abuso – perché «chi ha deciso qualcosa
senza ascoltare l'altra parte, anche se lo ha fatto giustamente, non è stato
giusto» – e una vendetta privata. Non ricevette però risposta, perché sembra
che fosse stato lo stesso Hoffmann a istigare Boezio. Benché scomunicato, poté
tuttavia rimanere ancora a Helmstedt, dove aveva ritrovato Valtin Acidalius
Havenkenthal e Besler, già suo allievo a Wittenberg, che gli fa da copista e
vedrà ancora brevemente in Italia, a Padova. B. compone diverse opere sulla
magia, tutte pubblicate postume: il “De magia”; le “Theses de magia”, un
compendio del trattato precedente, il “De magia mathematica”, che presenta come
fonti la Steganographia di Tritemio, il De occulta philosophia di Agrippa e lo
pseudo-Alberto Magno; il “De rerum principiis et elementis et causis” e la “Medicina”,
nella quale presume di aver trovato forme di applicazione della magia nella natura. "Mago"
è un termine che si presta a equivoche interpretazioni, ma che per l'autore,
come egli stesso chiarisce sin dall'ìncipit dell'opera, significa innanzitutto
sapiente: sapienti come per esempio erano i magi dello zoroastrismo o simili
depositari della conoscenza presso altre culture del passato. La magia di cui B.
si occupa non è pertanto quella associata alla superstizione o alla
stregoneria, bensì quella che vuole incrementare il sapere e agire
conseguentemente. L'assunto fondamentale da cui il filosofo parte è
l'onnipresenza di un'entità unica, che egli chiama indifferentemente
"spirito divino, cosmico" o "anima del mondo" o anche
"senso interiore", identificabile come quel principio universale che
dà vita, movimento e vicissitudine a ogni cosa o aggregato nell'universo. Il
mago deve tenere presente che come da Dio, attraverso gradi intermedi, tale
spirito si comunica a ogni cosa "animandola", così è altrettanto
possibile tendere a Dio dall'essere animato: questa ascensione dal particolare
a Dio, dal multiforme all'Uno è una possibile definizione della
"magia". Lo spirito divino, che per la sua unicità e infinità
connette ogni cosa a ogni altra, consente parimenti l'azione di un corpo su un
altro. Bruno chiama «vincula» i singoli nessi fra le cose: "vincolo",
"legatura". La magia altro non è che lo studio di questi legami, di
questa infinita trama "multidimensionale" che esiste nell'universo.
Nel corso dell'opera Bruno distingue e spiega differenti tipi di legami –
legami che possono essere utilizzati positivamente o negativamente,
distinguendo così il mago dallo stregone. Esempi di legami sono la fede; i
riti; i caratteri; i sigilli; le legature che vengono dai sensi, come la vista
o l'udito; quelle che vengono dalla fantasia, eccetera. B. lascia Helmstedt e
in giugno raggiunge Francoforte in compagnia di Besler, che prosegue verso
l'Italia per studiare a Padova. Avrebbe voluto alloggiare dallo stampatore Wechel,
come richiese al Senato di Francoforte ma la richiesta è respinta e allora B.
andò ad abitare nel locale convento dei Carmelitani i quali, per privilegio
concesso da Carlo V, non erano soggetti alla giurisdizione secolare. Vedono
la luce tre opere, i cosiddetti poemi francofortesi, culmine della ricerca filosofica
di B.: il “De triplici minimo et mensura
ad trium speculativarum scientiarum et multarum activarum artium principia
libri V”, in cui vi sono delle immagini simili alla tabula recta di Tritemio; “De
monade, numero et figura liber consequens quinque”; il “De innumerabilibus,
immenso et infigurabili, seu De universo et mundis libri octo”. De minimo. Chi
potrà ritenere che gli strumenti diano misurazioni esatte dal momento che il
fluire delle cose non mantiene un identico ritmo ed un termine non si mantiene
mai alla stessa distanza dall'altro? Da De minimo, in Opere latine, a cura di
Carlo Monti, POMBA). Nei libri del “De minimo” si distinguono tre tipi di
minimo: il minimo fisico, l'atomo, che è alla base della scienza della fisica;
il minimo geometrico, il punto, che è alla base della geometria, e il minimo
metafisico, o monade, che è alla base della metafisica. Essere minimo significa
essere in-divisibile – e dunque Aristotele erra sostenendo la divisibilità
all'infinito della materia – perché, se così fosse, non raggiungendo mai la
minima quantità di una sostanza, il principio e fondamento di ogni sostanza,
non spiegheremmo più la costituzione, mediante aggregazioni di infiniti atomi,
di mondi infiniti, in un processo di formazione altrettanto infinito. I
composti, infatti, «non rimangono identici neppure per un attimo; ciascuno di
essi, per lo scambio vicendevole degli innumerevoli atomi, si muta
continuamente e ovunque in tutte le parti». La materia, come il filosofo
aveva già espresso nei dialoghi italiani, è in perenne mutazione, e ciò che dà
vita a questo divenire è uno «spirito ordinatore», l'anima del mondo, una
nell'universo infinito. Dunque nel divenire eracliteo dell'universo è situato
l'essere parmenideo, uno ed eterno: materia e anima sono inscindibili, l'anima
non agisce dall'esterno, poiché non c'è un esterno della materia. Ne viene che
nell'atomo, la parte più piccola della materia, anch'esso animato dal medesimo
spirito, il minimo e il massimo coincidono: è la coesistenza dei contrari:
minimo-massimo; atomo-Dio; finito-infinito. Contrariamente agli atomisti, quali
ad esempio Democrito e Leucippo, non ammette l'esistenza del vuoto. Il
cosiddetto vuoto non è che un vocabolo col quale si designa il mezzo che
circonda i corpi naturali. Gli atomi hanno un termine in questo mezzo, nel
senso che essi né si toccano né sono separati. Inoltre distingue fra minimi
assoluti e minimi relativi, e così il minimo di un cerchio è un cerchio; il
minimo di un quadrato è un quadrato, eccetera. I matematici dunque errano nella
loro astrazione, considerando la divisibilità all'infinito degli enti
geometrici. Quella che Bruno espone è, usando con terminologia moderna, una
discretizzazione non solo della materia, ma anche della geometria, una
geometria discreta. Ciò è necessario onde rispettare l'aderenza alla realtà
fisica della descrizione geometrica, indagine in ultima analsi non separabile da
quella metafisica. Nel De monade Bruno si richiama alle tradizioni pitagoriche
attaccando la teoria aristotelica del motore immobile, principio di ogni
movimento: le cose si trasformano per la presenza di principi interni, numerici
e geometrici. De immenso Negli otto libri del De immenso il filosofo
riprende la propria teoria cosmologica, appoggiando la teoria eliocentrica
copernicana ma rifiutando l'esistenza delle sfere cristalline e degli epicicli,
ribadendo la concezione dell'infinità e molteplicità dei mondi. Critica
l'aristotelismo, negando qualunque differenza tra la materia terrestre e
celeste, la circolarità del moto planetario e l'esistenza dell'etere. Il
castello, situato presso Elgg e allora di proprietà di Heinzel von Tägernstein,
l’ospita nel suo breve soggiorno nel cantone di Zurigo. Parte per la Svizzera,
accogliendo l'invito del nobile Heinzel von Tägernstein e del teologo Egli,
entrambi appassionati di alchimia. Così B., ospite di Heinzel, insegna
filosofia presso Zurigo: le sue lezioni, raccolte da Raphael Egli con il titolo
di Summa terminorum metaphysicorum, saranno pubblicate da costui a Zurigo, e
poi, postume, a Marburgo, insieme con la “Praxis descensus seu applicatio entis”,
rimasta incompiuta. La “Summa terminorum metaphysicorum,” Somma dei
termini metafisici, rappresenta un'importante testimonianza dell'attività di B.
insegnante. Si tratta di un compendio di 52 termini fra i più frequenti
nell'opera di Aristotele che B. spiega riassumendo. Nella “Praxis descensus”,
“Prassi del descenso”, il nolano riprende gli stessi termini (con qualche
differenza) questa volta esposti secondo la propria visione. Il testo consente
così di confrontare puntualmente le differenze fra Aristotele e B. La Praxis è
divisa in tre parti, con gli stessi termini esposti secondo la divisione
triadica Dio, intelletto, anima del mondo. Purtroppo l'ultima parte manca del
tutto e anche la rimanente non è completamente curata. Infatti ritorna a
Francoforte per pubblicarvi ancora il De imaginum, signorum et idearum
compositione, dedicato a Heinzel. Ed è questa l'ultima opera la cui
pubblicazione fu curata da B. stesso. È probabile che il filosofo avesse
intenzione di tornare a Zurigo, e ciò spiegherebbe anche perché Egli abbia
atteso prima di pubblicare quella parte della Praxis che aveva trascritto, ma
in ogni caso nella città tedesca gli eventi evolveranno ben diversamente.
Francoforte e sede di un'importante fiera del libro, alla quale partecipavano i
librai di tutta Europa. Era stato così che due editori, il senese Ciotti e il
fiammingo Brittano, entrambi attivi a Venezia, avevano conosciuto B. almeno
stando alla successive dichiarazioni di Ciotti stesso al Tribunale dell'Inquisizione
di Venezia. Il patrizio veneto Mocenigo, che conosce Ciotti e ha comprato nella
sua libreria il “De minimo” del filosofo nolano, affida al libraio una sua
lettera nella quale invitava B. a Venezia affinché gli insegnasse li secreti
della memoria e li altri che egli professa, come si vede in questo suo libro. Appare
quantomeno strano il fatto che, dopo anni di peregrinazioni in Europa decidesse
di tornare in Italia sapendo quanto il rischio di finire sotto le mani
dell'inquisizione fosse concreto. Probabilmente non si considera “anti-cattolico”
ma semmai una sorta di riformatore che spera di avere concrete possibilità di
incidere sulla Chiesa. Oppure il senso di pienezza di sé o della sua "missione"
da compiere altera la reale percezione del pericolo a cui poteva andare
incontro. Inoltre, il clima politico, ossia l'ascesa vittoriosa di Enrico di
Navarra sulla Lega cattolica sembra costituire una valida speranza per
l'attuazione delle sue idee in ambito cattolico. B. e a Venezia. Che egli sia
tornato in Italia spinto dall'offerta di Mocenigo non è affatto sicuro, tant'è
che passeranno diversi mesi prima che accetta l'ospitalità del patrizio. Non
era certo un uomo a cui mancavano i mezzi, anzi, egli era considerato omo
universale, pieno di ingegno e ancora nel pieno del suo momento creativo. A
Venezia si trattenne solo pochi giorni per poi recarsi a Padova e incontrare
Besler, il suo copista di Helmstedt. Qui tenne per qualche mese lezioni agli
studenti che frequentano quello studio e spera invano di ottenervi la cattedra
di matematica, uno dei possibili motivi per cui B. torna in Italia. Compone le “Praelectiones
geometricae”, l'”Ars deformationum”, il “De vinculis in genere”, e il “De
sigillis Hermetis et Ptolomaei et aliorum”. Con il ritorno di Besler in Germania
per motivi familiari, torna a Venezia e si stabilì in casa del patrizio
veneziano, che era interessato alle arti della memoria e alle discipline
magiche. Informa il Mocenigo di voler tornare a Francoforte per stampare delle
sue opere. Questi pensa che cercas un pretesto per abbandonare le lezioni. Il
giorno dopo lo fece sequestrare in casa dai suoi servitori. Il giorno
successivo Mocenigo presenta all'Inquisizione una denuncia scritta, accusandolo
di blasfemia, di disprezzare le religioni, di non credere nella Trinità divina
e nella transustanziazione, di credere nell'eternità del mondo e nell'esistenza
di mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella metempsicosi, di
negare la verginità di Maria e le punizioni divine. Quel giorno stesso, e arrestato
e tratto nelle carceri dell'Inquisizione di Venezia, in san Domenico a Castello.
Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam” (“Forse
tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io
nell'ascoltarla. B. rivolto ai giudici dell'Inquisizione. Il processo di B.,
basso-rilievo del basamento della statua in Campo de' Fiori da Ferrari.
Naturalmente sa che la sua vita è in gioco e si difende abilmente dalle accuse
dell'inquisizione veneziana. Nega quanto può, tace, e mente anche, su alcuni
punti delicati della sua dottrina, confidando che gli inquisitori non possano
essere a conoscenza di tutto quanto egli abbia fatto e scritto, e giustifica le
differenze fra le concezioni da lui espresse e i dogmi cattolici con il fatto
che un filosofo, ragionando secondo il lume naturale, può giungere a
conclusioni discordanti con le materie di fede, senza dover per questo essere
considerato un eretico. A ogni buon conto, dopo aver chiesto perdono per gli
errori commessi, si dichiara disposto a ritrattare quanto si trovi in contrasto
con la dottrina della Chiesa. L'Inquisizione romana chiede però la sua
estradizione, che viene concessa, dopo qualche esitazione, dal Senato veneziano.
E rinchiuso nelle carceri romane del Palazzo del Sant'Uffizio. Nuovi testi, per
quanto poco affidabili, essendo tutti imputati di vari reati dalla stessa
Inquisizione, confermano le accuse e ne aggiungono di nuove. E forse torturato,
secondo la decisione della Congregazione, stando all'ipotesi avanzata da Firpo
e Ciliberto, una circostanza negata invece dallo storico Andrea Del Col. Non
rinnega i fondamenti della sua filosofia. Ribada l'infinità dell'universo, la
molteplicità dei mondi, il moto della terra e la non generazione delle
sostanze. Queste non possono essere altro che quel che sono state, né saranno
altro che quel che sono, né alla loro grandezza o sostanza s'aggionge mai, o
mancarà ponto alcuno, e solamente accade separatione, e congiuntione, o
compositione, o divisione, o translatione da questo luogo a quell'altro. A
questo proposito spiega che il modo e la causa del moto della terra e della
immobilità del firmamento sono da me prodotte con le sue raggioni et autorità e
non pregiudicano all'autorità della divina scrittura. All'obiezione
dell'inquisitore, che gli contesta che nella Bibbia è scritto -- terra stat in
aeternum -- e il sole nasce e tramonta, risponde che vediamo il sole nascere e
tramontare perché la terra se gira circa il proprio centro. Alla contestazione
che la sua posizione contrasta con l'autorità dei Santi Padri, risponde che
quelli sono meno de' filosofi prattichi e meno attenti alle cose della natura.
Il filosofo sostiene che la terra è dotata di un'anima, che le stelle hanno
natura angelica, che l'anima non è forma del corpo, e come unica concessione, è
disposto ad ammettere l'immortalità dell'anima umana. Roma, Piazza di
Campo de' Fiori. E invitato ad abiurare otto proposizioni eretiche, nelle quali
si comprendevano la sua negazione della creazione divina, dell'immortalità
dell'anima, la sua concezione dell'infinità dell'universo e del movimento della
terra, dotata anche di anima, e di concepire gli astri come angeli. La sua
disponibilità ad abiurare, a condizione che le proposizioni siano riconosciute
eretiche non da sempre, ma solo ex nunc, è respinta dalla congregazione dei
cardinali inquisitori, tra i quali Bellarmino. Una successiva applicazione
della tortura, proposta dai consultori della congregazione fu invece respinta
da Clemente VIII. Nell'interrogatorio si dice ancora pronto all'abiura, ma icambia
idea e infine, dopo che il tribunale ha ricevuto una denuncia che accusa Bruno
di aver avuto fama di ateo in Inghilterra e di aver scritto il suo “Spaccio
della bestia trionfante” direttamente contro il papa, rifiuta recisamente ogni
abiura, non avendo, dichiara, nulla di cui doversi pentire. Al cospetto
dei cardinali inquisitori e dei consultori Mandina, Pietrasanta e Millini, è
costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza che lo scaccia dal foro
ecclesiastico e lo consegna al braccio secolare. Terminata la lettura della
sentenza, secondo la testimonianza di choppe, si alza e ai giudici indirizza la
storica frase. Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego
accipiam. Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza
che io nell'ascoltarla. Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il
crocefisso, con la lingua in giova – serrata da una mordacchia perché non possa
parlare, viene condotto in campo de’ fiori, denudato, legato a un palo e arso
vivo. Le sue ceneri sono gettate nel Tevere. Volse il viso pieno di disprezzo
quando ormai morente, venne posta innanzi l'immagine di Cristo crocefisso. Così
muore bruciato miseramente, credo per annunciare negli altri mondi che si è
immaginato in che modo i romani sono soliti trattare gli empi e i blasfemi.
Ecco qui, caro Rittershausen, il modo in cui procediamo contro gli uomini, o
meglio contro i mostri di tal specie. Il suo dio è da un lato trascendente, in
quanto supera ineffabilmente la natura, ma nello stesso tempo è immanente, in
quanto anima del mondo: in questo senso, Dio e Natura sono un'unica realtà da
amare alla follia, in un'inscindibile unità panenteistica di pensiero e
materia, in cui dall'infinità di Dio si evince l'infinità del cosmo, e quindi
la pluralità dei mondi, l'unità della sostanza, l'etica degli "eroici
furori". Questi ipostatizza un Dio-Natura sotto le spoglie dell'Infinito,
essendo l'infinitezza la caratteristica fondamentale del divino. Egli fa dire
nel dialogo De l'infinito, universo e mondi a Filoteo. Io dico Dio tutto
Infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno e
infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché lui è in tutto il mondo, ed in
ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità de
l'universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur,
referendosi all'infinito, possono esse chiamate parti) che noi possiamo
comprendere in quello. B., De infinito, universo e mondi) Per queste
argomentazioni e per le sue convinzioni sulla Sacra Scrittura, sulla Trinità e
sul Cristianesimo, già scomunicato, fu incarcerato, giudicato eretico e quindi
condannato al rogo dall'Inquisizione della Chiesa cattolica. Fu arso vivo a
piazza Campo de' Fiori durante il pontificato di Clemente VIII. Ma la sua
filosofia sopravvive alla sua morte, portò all'abbattimento delle barriere
tolemaiche, rivelò un universo molteplice e non centralizzato e aprì la strada
alla Rivoluzione scientifica: per il suo pensiero B. è quindi ritenuto un
precursore di alcune idee della cosmologia moderna, come il multiverse. Per la
sua morte, è considerato un martire del libero pensiero. Giovanni Paolo II,
tramite una lettera del segretario di Stato Vaticano Angelo Sodano inviata a un
convegno che si svolse a Napoli, espresse profondo rammarico per la morte
atroce di B., pur non riabilitandone la dottrina: anche se la morte di B.
costituisce oggi un motivo di profondo rammarico, tuttavia questo triste
episodio della storia non consente la riabilitazione dell'opera del filosofo
nolano arso vivo come eretico, perché "il cammino del suo pensiero lo
condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni
punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana. D'altronde anche nel
saggio di Yates viene ribadito più volte la completa adesione di B. alla
"religione degli egizi" scaturita dal suo sapere ermetico nonché
afferma che "la religione egiziana ermetica è l'unica religione
vera". Il Dizionario di Bayle Ritratto di Schoppe, opera di Rubens
Malgrado la messa all'Indice dei libri di B. decretata, questi continuarono a
essere presenti nelle biblioteche europee, anche se rimasero equivoci e
incomprensioni sulle posizioni del filosofo nolano, così come volute
mistificazioni sulla sua figura. Già il cattolico Schoppe, ex luterano che
assistette alla pronuncia della sentenza e al rogo di B., pur non condividendo
«l'opinione volgare secondo la quale codesto B. fu bruciato perché luterano»
finisce con l'affermare che «Lutero ha insegnato non solo le stesse cose di B.,
ma altre ancora più assurde e terribili», mentre il frate minimo Mersenne
individuò nella cosmologia bruniana la negazione della libertà di Dio, oltre
che del libero arbitrio umano. Mentre gli astronomi Brahe e Keplero
criticarono l'ipotesi dell'infinità dell'universo, non presa in considerazione
nemmeno da GALILEI (si veda), il libertino Naudé, nella sua Apologie pour tous
les grands personnages qui ont testé faussement soupçonnez de magie esalta in B.
il libero ricercatore delle leggi della natura. Bayle, nel suo Dizionario,
arrivò a dubitare della morte per rogo di Bruno e vide in lui il precursore di
Spinoza e di tutti i moderni panteisti, un monista ateo per il quale unica
realtà è la natura. Gli rispose il teologo deista Toland, che conosceva lo
Spaccio della bestia trionfante e lodava in Bruno la serietà scientifica e il
coraggio dimostrato nell'aver eliminato dalla speculazione filosofica ogni
riferimento alle religioni positive; segnala lo Spaccio a Leibniz - che
tuttavia considera B. un mediocre filosofo - e al de La Croze, convinto
dell'ateismo di B.. Con quest'ultimo concorda il Budde, mentre Heumann ritorna
erroneamente a ipotizzare un protestantesimo di B. Con l'Illuminismo,
l'interesse e la notorietà di Bruno aumenta. Weidler conosce il De immenso e lo
Spaccio, mentre Jean Sylvain Bailly lo definisce «ardito e inquieto, amante
delle novità e schernitore delle tradizioni», ma gli rimprovera la sua irreligiosità.
In Italiaè molto apprezzato da Barbieri, autore di una Storia dei matematici e
filosofi del Regno di Napoli, dove afferma che scrisse molte cose sublimi nella
Metafisica, e molte vere nella Fisica e nell'Astronomia e ne fa un precursore
della teoria dell'armonia prestabilita di Leibniz e di tanta parte delle teorie
di Cartesio. Il sistema dei vortici di Cartesio, o quei globuli giranti intorno
i loro centri nell'aere, e tutto il sistema fisico è suo. Il principio di
dubitazione saviamente da Cartesio introdotto nella filosofia a B. si deve, e
molte altre cose nella filosofia di Cartesio sono di lui. Questa tesi è
negata da Niceron, per il quale il razionalista Cartesio nulla può aver preso
da lui, irreligioso e ateo come Spinoza, che ha identificato Dio con la natura,
è rimasto legato alla filosofia del Rinascimento credendo ancora nella magia e,
per quanto ingegnoso, è spesso contorto e oscuro. Brucker concorda con l'incompatibilità
di Cartesio con lui, che considera un filosofo molto complesso, posto tra il
monismo spinoziano e il neo-pitagorismo, la cui concezione dell'universo
consisterebbe nella sua creazione per emanazione da un'unica fonte infinita,
dalla quale la natura creata non cesserebbe di dipendere. Fu Diderot a
scrivere per l'Enciclopedia la voce su B., da lui considerato precursore di
Leibniz - nell'armonia prestabilita, nella teoria della monade, nella ragione
sufficiente - e di Spinoza, il quale, come lui, concepisce Dio come essenza
infinita nella quale libertà e necessità coincidono: rispetto a lui pochi
sarebbero i filosofi paragonabili, se l'impeto della sua immaginazione gli
avesse permesso di ordinare le proprie idee, unendole in un ordine sistematico,
ma era nato poeta. Per Diderot, B., che si è sbarazzato della vecchia filosofia
aristotelica, è con Leibniz e Spinoza il fondatore della filosofia
moderna. Jacobi pubblica per la prima volta ampi estratti del “De la
causa, principio et uno” di «questo oscuro filosofo», che sa però dare un disegno
netto e bello del panteismo. Lo spiritualista non condivide certo il panteismo
ateo di lui e Spinoza, di cui ritiene inevitabili le contraddizioni, ma non
manca di riconoscerne la grande importanza nella storia della filosofia. Da
Jacobi Schelling trae spunto per il suo dialogo su lui, al quale riconosce di
aver colto quello che per lui è il fondamento della filosofia: l'unità del
Tutto, l'assoluto hegeliano, nel quale successivamente si conoscono le singole
cose finite. Hegel lo conosce e nelle sue “Lezioni” presenta la sua filosofia
come l'attività dello spirito che assume dis-ordinatamente» tutte le forme,
realizzandosi nella natura infinita. È un gran punto, per cominciare, quello di
pensare l'unità. L’altro punto fu cercare di comprendere l'universo nel suo
svolgimento, nel sistema delle sue determinazioni, mostrando come l'esteriorità
sia segno delle idee. In Italia, è l'hegeliano Spaventa a vedere in lui il
precursore di Spinoza, anche se il filosofo nolano oscilla nello stabilire un
chiaro rapporto fra la natura e Dio, che appare ora identificarsi con la natura
e ora mantenersi come principio sovra-mondano, osservazioni riprese da Fiorentino,
mentre Tocco mostra come egli, pur dissolvendo dio nella natura, non rinuncia a
una valutazione positiva della religione, concepita come utile educatrice dei
popoli. Nel primo decennio del Novecento si completa l'edizione di tutte
le opere e si accelerano gli studi biografici su lui, con particolare riguardo
al processo. Per GENTILE (si veda), altre a essere un martire della libertà di
pensiero, ha il grande merito di dare un'impronta strettamente razionale alla
sua filosofia, trascurando misticismi medievaleggianti e suggestioni magiche.
Opinione, quest'ultima, discutibile, come recentemente ha inteso mettere in
luce Yates, presentando B. nelle vesti di un autentico ermetico. Mentre Badaloni
ha rilevato come l'ostracismo decretato contro lui abbia contribuito a
emarginare l'Italia dalle innovative correnti della grande filosofia del
Seicento europeo, fra i maggiori e più assidui contributi nella definizione
della filosofia bruniana si contano attualmente quelli portati da Aquilecchia e
Ciliberto. Monumento a B. Medaglia con monumento a Giordano B. in Campo
de' Fiori a Roma, incisione di Broggi. La medaglia, di 60 mm, fu donata a
personaggi illustri e comitati vari. Insieme a questa fu coniata un'altra
medaglia di 64 mm in bronzo, abbastanza simile, a scopo commerciale Gli sono
stati dedicati il cratere lunare B. e due asteroidi della fascia principale:
Giordano e Cenaceneri. IRapisardi gli dedicò un'epigrafe. All'ipocrisia
volpeggiante fra la scuola e la sagrestia, ai conciliatori della scienza col
sillabo, all'imbestiato borghesume, che tutto falsando e trafficando, d'ogni
sacrificio eroico beatamente sogghigna, le coscienze, cui sorride ancora la
fede nel trionfo di tutte le umane libertà, lanciano oggi ad una voce dalle
università italiane una sfida solenne a gloria della tua virtù, a vendetta del tuo
martirio o B.. Numerose scuole sono state intitolate a B. in tutta Italia, in
particolare licei classici: ad esempio ad Arzano, Albenga, Roma, Torino,
Mestre, Budrio e Melzo, mentre a Maddaloni gli sono stati intitolati il
Convitto nazionale e il liceo classico cittadino. In Italia sono numerosi i monumenti
intitolati a Bruno, sono presenti: un monumento in una piazza a Nola, un busto
a Montella, un bassorilievo a Monsampolo del Tronto e un'epigrafe a Teora. Nel
Campo de' Fiori di Roma è presente il più importante monumento a Bruno, eretto
esattamente nel luogo in cui il filosofo fu condannato al rogo. La figura e il
ruolo del mago che Shakespeare presenta con Prospero, ne La tempesta, fosse
influenzata dalla formulazione del ruolo del mago attuata da B.. Sempre in
Shakespeare, è ormai dai più accettata l'identificazione del personaggio di “Berowne”
(Browne, Bruno), in “Pene d'amor perdute” con il filosofo italiano,
considerando il parzialmente documentato e più che plausibile incontro tra i
due durante il suo soggiorno inglese.Un riferimento molto più esplicito si
trova in The Tragical History of Doctor Faustus, Marlowe. Il personaggio “Bruno”,
l'antipapa, riassume molte caratteristiche della vicenda del filosofo: «I
cardinali dormienti si affannano / a punire Bruno, che invece è lontano. Vola.
/ Il suo superbo corsiero, vivo come il pensiero, / Già passa le Alpi.»
(Christopher Marlowe, La triste storia del dottor Faust; citato in Jean Rocchi,
Giordano Bruno davanti all'inquisizione, Stampa Alternativa) La stessa vicenda
del Faust marlowiano richiama alla mente la figura del "furioso"
bruniano in De gli eroici furori. Cinema Interpretato da Volonté. Protagonista
nel film di Montaldo B. nel quale è stato interpretato da Volonté. Compare
anche nel film Galileo di Cavani. Negli anni novanta Rai Uno produce un film
documentario curato da Porta su B.. Interpretato da Vita. Nel film Caravaggio
con Boni c'è una scena in cui è mostrato il rogo di B.. Contrariamente alle fonti
che parlano di B. con la lingua in giova, il filosofo appare legato al palo
mentre poco prima delle fiamme incita la gente a non lasciarsi irretire dai
falsi maestri. “Candelaio” è al centro della fiction Il tredicesimo apostolo -
Il prescelto trasmessa su Canale 5. Il rapper Caparezza ha dedicato a lui una
mini-storia nel brano "Sono il tuo sogno eretico", presente in Il
sogno eretico: «Infine mi chiamo come il fiume che battezzò colui nel cui nome
fui posto in posti bui,/ mica arredati col feng shui. Nella cella reietto
perché tra fede e intelletto ho scelto il suddetto, Dio mi ha dato un cervello,
se non lo usassi gli mancherei di rispetto. E tutto crolla come in borsa, la
favella nella morsa, la mia pelle è bella arsa. Il processo? Bella farsa! Adesso
mi tocca tappare la bocca nel disincanto lì fuori, lasciatemi in vita invece di
farmi una statua in Campo de' Fiori/Mi bruci per ciò che predico è una fine che
non mi merito, mandi in cenere la verità perché sono il tuo sogno
eretico.» (Caparezza, Sono il tuo sogno eretico). La metal band
californiana Avenged Sevenfold lui ha dedicato il brano intitolato Roman Sky
presente nel nuovo album The Stage. L'album tratta infatti temi quali
l'intelligenza artificiale e l'universo. Sono dedicati al filosofo anche il
brano Anima Mundi di Massimiliano Larocca e l'album Numen Lumen del gruppo
neofolk Hautville, che ha nelle liriche brani di B.. Altre saggi: “De
compendiosa architectura et complemento artis Lullii”; “De umbris idearum”;
“Ars memoriae”; “Cantus Circaeus”; “Candelaio”; “Ars reminiscendi, Triginta
sigilli, Triginta sigillorum explicatio, Sigillus sigillorum”; “Cena de le
Ceneri”; “De la causa, principio et uno”; “De l'infinito, universo e mondi” “Spaccio
della bestia trionfante”; “Il cavallo pegaseo”; “De gli eroici furori”; “Centum
et viginti articuli de natura et mundo adversus peripateticos” – “contro i
peripatetici” -- “Figuratio Aristotelici
physici auditus”; “Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina
adinventione”; “Idiota triumphans”; “De somnii interpretation”; “Mordentius”; “De
Mordentii circino”; “Animadversiones circa lampadem” “animadversions in
lampadem”; “Lampas triginta statuarum” – trenta statue -- (Napoli); “Artificium perorandi”; “De lampade combinatoria”;
“De progressu”; “De lampade venatoria logicorum”; “Libri physicorum Aristotelis
explanati, Napoli); “Camoeracensis Acrotismus seu rationes articulorum
physicorum adversus peripateticos”; “Oratio valedictoria”; “De specierum scrutinio”
De lampade combinatoria”; “Articuli centum et sexaginta adversus huius
tempestatis philosophos”; “Oratio consolatoria”; “De magia (Firenze); “De magia
mathematica (Firenze); “De rerum principiis et elementis et causis” (Firenze);
“Medicina” (Firenze); “Theses de magia” (Firenze); “De innumerabilibus, immenso
et in-figurabili”; “De triplici minimo et mensura”; “De monade, numero et
figura”; “De imaginum, signorum et idearum compositione” (sintassi); “De
vinculis in genere” (Firenze); “Summa terminorum metaphysicorum”; “Accessit
eiusdem Praxis descensus seu applicatio entis”. Bruno nota che quantunque
Averroè fosse arabo e perciò ignorante di lingua greca, nella dottrina
peripatetica però intese più che qualsivoglia greco che abbiamo letto; e arebbe
più inteso, se non fusse stato così additto al suo nume Aristotele. Sia dai due
volti. Io ho lodato molti eretici ed anco principi eretici; ma non li ho lodati
come eretici, ma solamente per le virtù morali che loro avevano; né li ho mai
lodati come religiosi e pii, né usato simil sorte di voce di religione. Ed in
particulare nel mio libro Della causa, principio ed uno io lodo la Regina de
Inghilterra e la nomino diva, non per attributo di religione, ma per un certo
epiteto che li antichi ancora solevano dare a principi, ed in Inghilterra, dove
allora io mi ritrovava e composi quel libro, se suole dar questo titolo de diva
alla Regina; e tanto più me indussi a nominarla cusì, perché ella me conosceva,
andando io continuamente con l'Ambasciator in corte. E conosco di aver errato
in lodare questa donna, essendo eretica, e massime attribuendoli la voce de
diva. Degno di nota è che B. pubblica tutti e sei questi saggi indicando luoghi
di stampa non corrispondenti: Venezia. Che Dio sia nella materia non implica che
possa essere conosciuto. Dio è immanente da un punto di vista ontologico,
mentre è trascendente sul piano gnoseologico. In questo universo metto una
providenzia universal, in virtù della quale ogni cosa vive, vegeta e si move e
sta nella sua perfezione; e la intendo in due maniere, l'una nel modo con cui è
presente l'anima nel corpo, tutta in tutto e tutta in qual si voglia parte, e
questo chiamo natura, ombra e vestigio della divinità; l'altra nel modo
ineffabile col quale Iddio per essenzia, presenzia e potenzia è in tutto e
sopra tutto, non come parte, non come anima, ma in modo inesplicabile. Spaventa
fu convinto assertore del ruolo fondamentale della filosofia italiana nel
panorama della filosofia moderna, e in particolare di Bruno e Campanella. L'asinità. La fortuna di B. B. in Shakespeare
e nella cultura inglese. “Il B. di Gentile”. L'Asino Cillenico. Clavis
Magna. Clavis Magna, ovvero, Il Sigillo
dei Sigilli. De signorum compositione. Explicatio. Sigillorum. Sigilli, Sigillus
Sigillorum. Clavis Magna, ovvero, L'arte di inventare. De Compendiosa
Architectura et Complemento Artis. “L'Arte di Comunicare” Artificium
Perorandi”. “Clavis Magna, ovvero, La
logica per immagini”. Il B. degli italiani. ‘B.’ regia di di Montaldo. Dizionario
biografico degl’italiani. CESAR calendaire romaine. Centro di Studi Bruniani. (CA
ui i) e iui Mia ba, VA dai ‘agi LS it Il EGR Ln i
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{Resta sapore PERSONAGGI: B. SALASSA; LORENZO figlio naturale di B.,
«dot-tato:da) A.D'ANDRADE ROMANO DEI LOMBARDI «+. >F. MIGLIARA
LEANDRO giovine patrizio. S.ra ANGIOLETTI LAURA figlia di ROMANO.
>» A. Busi IL GRANDE INQUISITORE . Sig. SALVARANI. ROCCO LILLE
DAMIANI ANDREA. Ni agN° UN GUARDIANO) che nonparlano N. N. UN
OsTE .. Ni Ni Giovani e nobili veneziani, servi di Romano, gondolieri,
seguaci di B., soldati, Inquisitori, Si Servi del S. Uffizio, Frati e
Popolo. L'azione del 1.° e 2.° Atto è in Veni quella del:3.°
e 4.° Atto in Re ber a
pieni Sofee bi; pece SUIT ZIA Fitto
Primo PIAZZA IN VENEZIA. Un’Osteria e alcune seggiole. In fondo un
canale praticabile, che traversa la scena. Sul canale un ponte, che
mette in un viottolo, sull'angolo del quale sorge a destra, un magnifico
Palazzo illumiminato a festa, prospiciente sul Canale. —.Un in- gresso
laterale, illuminato da faci fisse ai muri, conducedal viottolo nel Palazzo. La
porta principale verso . il Canale è aperta; durante la scena seguente,
visi vedono approdare gondole, dalle quali scendono persone ragguardevoli,
che, ricevute dai servi, entrano nel Palazzo. Sera. GIOVANI e NOBILI VENEZIANI, parte ‘in abiti
fantastici con mezza maschera al volto, e parte in abiti comuni, vengono
da sinistra, traversano il ponte, e dalla strada entrano nel Palazzo.
LEANDRO, ROCCO ed altri Giovani vanno e vengono fermandosi sulla Piazza,
cantando e ridendo, Poi LORENZO e LAURA. Leandro (accompagnandosi
colla ghitarra). A te, Venezia bella, adorata, A te, mia sposa, la
serenata. HEVVPETIAIAMITEREZI LIA VITE RENTAL rara rr ovinanto sinezineneisevazize
vecio sinioneee IVTIPRErTA:Itr rara rirevenaatos aes szereris cva:i0e
vice vi’ veve’ ’avurecovio sr 0uIvI vare ri [tti STA Hocco
(Volgendosi all’osteria) Leandro, scuotiti! Le mura
adori?... Vieni ove brillano Divini amori, Ove donzelle Cotanto
belle Potrai mirar. Coro dei nobili Al convito n’andiam! alla
festa! Leandro Prima di venir alla gran festa Distruggere io
vo’ un'idea funesta! Oste, su via porgetemi Vino di Cipro; a questo
petto ardente Occorre del più vecchio e più potente. Vivan le
belle Danzanti; volano. Gli occhi fiammeggiano Più che le
stelle; Ne’ Joro vortici Mi ruban Vanima. sui Crudo gioir! Più
non mi muovo Suolo dolcissimo, ir belt rrrrrr n
-a-rt-rvreorosoeeriovoe nueva zeranen sonia mise
eeerarmierereriiovnieteacivoteote0ie Nido mio nuovo! Muoio in tue
braccia... Santo delir! | A te, Venezia bella, adorata,
A te, mia sposa, la serenata, Coro AI Convito! n’andiam alla
festa. (S'appressano in una gondola LAURA e LORENZO) Eaurna Sul
mare immenso più non impera
Nè sulla terra che la circonda. Venezia,
è fango la tua bandiera! Lutto e non feste! Pianga e s’ asconda. Core
(con alto di cu iosità) E un amante e la sua Della Che passeggiano
alla luna; Laura sembra la sua stella, Ma egli fa poca
fortuna. Seguiam tutti i vaghi amanti, E vediam, se pur n’ è
dato, In fra i suoni, i balli e i canti Di trovar l’innamorato.
È Lorenzo di Giordano, Che fuggì dal sacro tempio ;
lì Lorenzo... il vil, l’insano Che ne porge un triste
esempio. Lorenzo (con ira) . È rivolta a me l’offesa?
L’alma freme, batte il core! - Già suonaron l’ultim’ ore; - E
voi tutti io sfiderò. Laura E rivolta a te I’effesa; rato
L’alma freme, batte il core!... Già suonaron l'ultim’ ore Io con te
li sfiderò. (LORENZO furente si scaglia contro ROCCO, e gli
toglie la spada. Gli altri NOBILI sguainano. le proprie e si schierano în
fondo) ROMANO dei LOMBARDI entra frettoloso dalla casa di destra,
seguito da servi con torce accese, Bomano Chi grida?
Chi chiama? Qual chiasso villano? Non son cîttadini, ma plebe briaca! Lorenzo,
tu? Il ferro in mano hai snudato? Parla! Che avvenne! Sei pazzo? Ti placa! Laura
(atterrita alla vista del padre) Che mai dirà Al Genitor?...
pa Voce non ha, Non ha più cor. Lorenzo (con
timore) Che mai dirò AI Genitor?... Voce non ho,
Non ho più cor. Leandro (con circospezione) Il segno di croce
facciamoci... e andiam via! Quel vecchio è uno sgherro dell’
Inquisizione. Partiamo, fuggiamo... La belva più ria, E un angelo a
petto di questo demòne. Romane (ai Nobili) Non chiedo
ragioni di vostra contesa, Fra tenebre nacque... in tenebre resti;
E calmi la notte col sonno gli. ardori Di giovani folli, di stolti
furori.... Partite! Or è cauto lontani restar. Coro di
Nobili (infimoriti da Romano). Fuggiam dal feroce Vegliardo
Romano : Col fiato ne ammorba Il truce, l’insano; nea
Qui tutto è sospetto. Amici, fuggìam. 1 NOBILI, it CORO, LEANDRO e
LAURA sì riti- rano pel ponte ed entrano nel Palazzo. L’OSTE ha
chiuso ed è scomparso durante la rissa, ROMANO fa un cenno ai Servi di
allontanarsi. Romano Vengo, tu il sai, da Roma; e il
Santo Re e Pontefice armava il braccio mio. ‘Or sotto il ferreo
terribil manto Della suprema Città di Dio L’ Inquisizione veneta
sta; E a Roma solo ubbidirà. Dell’ eresia le vampe infeste
Soffocherò —. tutte le teste D’ un colpo all’ idra io troncherò.
Lorenzo Fu il Campanella scoperto e preso? Romano
Libero ei 8° agita... Ma il gran sovrano De’ rei, che Italia e il
mondo ha acceso Contro la Chiesa santa, è Giordano. Presso i suoi
complici quì ascoso stà! Lorenzo Odio quel uomo tanto... tel giuro. Romano Non
basta odiarlo: questo io non curo; Tu quì arrestarlo ora dovrai:
(Musica da ballo neil’interno del Palazzo) In fra le
maschere lo scoprirai, Ed il porrat — nelle mie man.
Lorenzo Si chiede un atto di traditor?... Romano Queste ai
novizi prove si dan. Lorenzo Tradir ricuso; son uom d’onor.
Romano (con sdegno) A me tu, folle, devi? RANA RARA
pinete Lorenzo Obbedienza! Romano Ed alia Chiesa! Trema. Lorenzo
(soffocando il furore) Obbedienza! Romano Dunque ?...
Lorenzo (con sottomissione) Giordano io scoprirò! Eomano
(ricomponendosi) Tuci giovanili e schictti Modi ti gioveran, se
manca il senno Di età maggior, Tuo sguardo onestà; ispira, K assai
tua voce ad ascoltarti attira. Per la grand’ opra non sarai solo,
D’altri miei fidi 1’ aiuto avrai; Pronto a miei cenni sempre
sarai, Uno per ‘tutti sia il mio voler. Lorenzo (con dolore)
L’iniqua trama ahi mi colpisce! La terra, il cielo pur n’
hanno orror!... Vile è colui, ch’ altri tradisce, Nè v' ha
pietade pel traditor. ERomano (imperioso) Come voglio, sia
fatto. Or d’ altro; è m'’ odi. Dal dì che ardenti e improvidi
Sguardi su Laura hai posti, Travolto dalla subita Cicca passion tu
fosti; N | Una rea febbre 1° agita Tutte le membra o
siolto, E vedo nel tuo volto Il fuoco del delir.
Bada! io ti scruto, o giovine, E leggo il tuo desire; Guai se tal
fiamma ignobile Io non vedrò svanire. Tu sogni; ma chi vigila
l'e per tuo ben consiglia; Dimentica mia figlia, O trema del tuo
ardir. (parte da sinistra mentre sì volge ancora con fiero
sguardo su LORENZO). Lorenzo (con dolore): SO Solo alfin...
solo quì sono... Piangere, impallidir, tremar t’è dato sa Povero cor! Ma
dannate in eterno ei Son mie lacrime in lor foco d'inferno. Ci
i . . 0 cielo, perchè l’aere Fa A Spargi de’ tuoi profumi?
CRT a O terra perchè il giubilo. SA Delle tue stelle
assumi? © nare: A me negata è l'estasi. da D’ ogni
dolcezza umana, No: ae d'ogni gioia lè vana (ale EZIO Larva,
che fugge ognor; TERIOS L’ amor che è riso d’ angioli, 0; Di
Nel povero mio cor. i Strazio divien di dèmone, WA Delirio
agitator. pr | Amar non posso... 0° AARON] eta P, ‘L'odio mi
restag» SS CE ao ag Son stretto a questa to; LR 1 sur aRatalità.
EI _: Vò di te vincere. | Con santo zelo, .. Servir vo’ il
Cielo... E questa l’ ultima . «Mia volontà. (parte con fretta
per il ponte). Cala la Vela. arnie, Affo
Secondo onere ge oi SALA NEL PALAZZO LOREDANO
Una splendida sala da Ballo nel Palazzo di Lore- dano a Venezia,
con colonnato per modo che si possa figurare l’accesso in altre sale.
Illuminazione splen- didissima. Coro degl’Invitati
($ acc incanto dell’ebbre sale! Che ballo immenso! Sarà
immortale. Quest’ è la reggia della letizia; Il, paradiso. d’ ogni.
delizia. Deh! non fuggire, tempo; t’ arresta; Bearsi al lungo delir
giocondo Della fatata splendida festa Tutto in. Venezia vorrebbe il
mondo. {Gl’invitati s'allontanano in varie parti) SCENA
ILL B. entra con cautela e colla maschera in mano, poi gli
amici. drrezadzanzecez anconca n ionici oc. c0100 dna enrici condiizeo tentoro
neo dan'onto oarc rroniòolo /Tasossignor cecanzara anee
Giordano Quì ognun danza e delira
Spensierato e demente. E niun ragiona, E senno e cuore ha
niuno. x tutto quì è in periglio, ove il Leone Alato di
San Marco Prostrato dalla Santa Inquisizione Ai piè,
scordò il ruggito Di cui tremò per secoli ogni lito
(volgendosi in fondo) Ecco gli amici: ma assai lenti e scarsi. Alcuni dei
Primi Luce! Giordano Giustizia a tutti! E Primi E
verità! Alcuni dei Secondi [venendo oltre) Luce !
Giordano Giustizia a tutti E Secondi E libertà!
Giordano Grazie diletti! Sian pochi i detti; Molta l’opra. A
ingannar V'astuta Corio Dei biechi Inquisitori Ho scelto queste
sale Di Loredano. È pronto ognuno ? Coro Ognuno!
Giordano L’ ardir pari del vero alla grandezza? Ed uniti?
Coro Siam tuoi, Giordano Bruno! Giordano e Coro Nel
popol vero s’ incominci 1’ opra: S° illumini! Bugiarda è la
parola Di Roma e il suo Re, che Dio si noma, Sull’ alma i
Papi vogliono l’ impero Per posseder la terra; E coi
libri e col braccio tt Viva facciasi ovunque eterna guerra
Allo spirito, al verbo, a ogni menzogna, Con che farci suoi schiavi Roma
agogna LAURA entra anelante colla maschera in mano. Enura
Signor, fuggite! Giordano Io? no! non fuggo. Coro
(insospettito) Fuggiamo. È pazzo! (fuggono da va»ie aio Giordano
(con ira) Vili! Tu hai fede? (a Laura) ERaunna (sempre
ancelante) Gran Dio! In queste sale Circondavi un
estremo ‘ Periglio. Per voi tremo... Fuggite per pietà. IIIEEZZZE
RETETTEZI EXIZZELUPPEE PE CETO CE TI CE CES CECI ICI IA CIT ALIZICI AZIO LETO
EI Va besasnza rea dI gra rirvarai tion Giordano
(simulando) Fuggir?... Da chi fuggire? Laura Da tutti! I
delatori, Cui fia virtù tradire, Vi cercano là
fuori... Son mille a me ben noti, Fierissimi e devoti
Al sacro Tribunal. Giordano (sorpreso) Mi
conoscete? Eguana A Padova Vi scorsi il«dì che
ardito Nel fiume vi gettaste, E un fanciullin tornaste Vivo
al materno sen. L’ Inquisizion seguiavi Co’ mille sgherri
suoi Per arrestarvi; e voi Tra il popolo festante Poteste in
un istante Securo allor fuggir. Giordano (simulando la
calma) Bruno era quegli, che allor miraste! Io non lo
sono!... Mal giudicaste, .i Laura (sorpresa) Credetti... ho
divinato! © ; Voi siete il gran filosofo. Giordano
Oh certo s’ è ingannato Il vostro giovin cor.
Laura Perdonate se un lembo alzo del velo, Che a me vasconde...
(solleva: dl velo) Io v' ho scoperto!... siete... Celarvi non
potete... Giordano E chi son io? Laura
Giordano Bruno, cittadin di Nola! (Durante questo colloquio, LORENZO entra
da destra, LEANDRO da sinistra; si fermano in - fondo, e, non
veduti funno alto di attenzione). “erimmiberarisisaorizeoeee Mi nisi
bro aravrariszazazezea ripa paio : Lorenza ngi
Ho. in mani, alfin 1, dai i ‘Ch’ ha Italia avvelenato;
‘Salvo da Ini mille: anime! a Il mondo mi sia. EH 9 Leandro (4.
LormNZO | con simulata ironia) % TAL il salverài, mia “tnamo,
È quegli'il gran? ; Filosofo) di Il celebre Giordanb. VESTA
Dal Tribunal del Dèmoni Ù 1 1 PR. E O ARNO E ‘J
RARE. | Baura (| ‘801 ‘presa vi ala PISAE) | dia 39 DS
IDE Lorenzo! dui GicoL..(a o pi di te-che mai sarà? F
a iI Gietiala (con dolore) Fui tradito !..-Oh
cerudoltà So IV I Santo phrto) Tana ‘in Cactpnse deg
Di palpiti, di ladina, Tempo,non è, mio cuore; .Salvarlo, fat Miracoli.
DERE eo -0t devo ame l'amore. OL DI Giordano La
luce tua mi sfolgora, Fanciulla, nel pensiero; Se il mio profeta!
Libero Trionferà il mio vero. (poi fissando
LORENZO) Quel volto! V° è 1’ immagine Impressa di Teresa. Misto è
quel volto e annunziami La gioia ed il dolor! (Prendendo per mano
LORENZO) Giovane, dimmi: sei tu di Roma? La tua favella mel dice...
Parla! Dimmi: tua madre come sì noma? Teresa forse?
Lorenzo Teresa?... Sì! (In
fondo appare ROMANO con SERVI e SOLDATI poi vengono gl’Invitati).
Giordano L’ inquisizione! Oh quale orror! (a Lorenzo)
E tu con essa? Ah traditor! o Io a te la vita diedi... e la morte -
Tu, iniquo, appresti al Genitor!... A te l’ inferno schiuda le
porte... Sii maledetto, vil delator.fekresrey=neoan0enen castec pregsone e
aosso g@ zor—rorerovrseereeeericrone cer csvpirtetronert pari o son nen
contiene nanenene Lorenzo Tu... padre mio? Che mai feci
io!... Padre, perdonami _Se pur ancora ‘ Merto
pietà. GU INVITATI che riappariscono da destra e sinistra e
detti. GI Envitati e Leandro La festa è orrenda! Fuggiamo
tutti; Qual tradimenti! Keco distrutti Degl’ innocenti Gli almi
piacer. Romano Grazie, o Ciel! Nelle mie mani Or Giordane io vedo
tratto! Roma esulti! Il suo desìo Finalmente è soddisfatto.
Lerenzo Orrenda infamia! Tu il. padre mio? Ah me infelice! Che mai
fec? io! Padre, perdonami... O Ciel, pietà! ERA EeIOrtitiezast:nuvo
cene cen vinariesazyaza cc uPONPPA PESSANO MT RI Laura (a
GIORDANO) Delle amarezze il calice Berrò con te,
Giordano; Già in seno il duolo squarciami Il core a brano a
brano; Peno per te, pel figlio Mio primo e solo
amor. Leandro Oh come ovunque penetra La santa
Inquisizione ! Come sarà terribile La sua imputazione !
In lui perdiamo un figlio, Che della patria è onor.
Giordano (4 LAURA) Ah no! Laura, non piangere... Giordano ha
l’alma forte! Pel Vero è pronto a vincere Il duolo pur di
morte! Dio deh! ritorna il figlio A Laura e al
Genitor, Lorenzo Sento nel seno piovermi D'un
aspro duol le stille!... Il padre... oh! il padre scorgere
ab 0); Temon le mie pupille! Com'è infelice un figlio Ribelle
al genitor ! Romano Entro mi serpe un fremito,
Che mi sconvolge il core, Veggendo quest’ eretico Di scismi
banditore, Che, della Chiesa*figlio, Divenne traditor!
Leandro Tu piangi?... Incauto, a Lui {affida Pel
suo perdono; ma l’alma infida Nel suo rimorso gran pena avrà.
Coro (a LORENZO) Che piangi?... Ognuno vile ti grida;
Se’ un traditor; se’ un parricida! Nè Dio, nè il mondo n’avran
pietà. (I SOLDATI circondano GIORDANO e cala la
tela/. IITTTTAAEIAIII RA CORTI IN ROMA
Sala nel palazzo dell’Inquisizione. — In fondo, nel mezzo della parete
una cortina nera che chiudela scena, — A sinistra una finestra aperta con
ferriata. In fondo un tavolo coperto con un tappeto nero, a cui
siedono il grande INQUISITORE e DUE SCRIVANI; ai lati siedono
gl’INQUISITORI, e, di fronte, GIORDANO, R0MANO e LORENZO, — Porte a destra e a
sinistra. Romano {> iordano! Voi siete’
D’innanzi ai vostri giudici, al supremo Tribunal della terra! E qui
dovete, Smésso l’antico stile, Risponder vero, obbediente,
umile. “cà ra G. Inquisitore Vostro nome è Giordan
Bruno? Giordano Di Nola. mrantsiorizea nano (199 AMDI
ATTI ANI ANAZANAZA NZ RATTI TIT IATA TERI ri prenpan ianana nananarena enzana
G. Inquisitore Vi conosciamo! Voi correste in terre
D’eretici; lè in Praga, in Francoforte. E predicaste spesso agl’ infedeli
La santissima Chiesa dileggiando Di Roma, tutti i novator
germani Esaltando. D’ Iddio 1’ essenza in false Forme sponeste;
come v’ inspirava Mal talento. D’ Iddio la legge in pubblici
E in segreti convegni commentaste; Le coscienze fùr guaste.
Giordano Mentite! Solo io dissi agli uomini Il
mondo ha una visiera Di antiche, immense tenebre ; Cerchi la luce
vera. Dio vuol che l’uomo spinga L’acuta sua pupilla Fin dove
in cielo brilla L’eterno suo splendor. Coro d’Inquisitori D’
anime felle Empia utopia! Il tuo, ribelle, Un Dio non
è. Non ha che larve -Tua fantasia; .0 & gi ver disparve ;
“Se in eresia ft fo i AI fuoco, ‘al fuoco: © Sia condannato!
1 “REP carcer. poco, s ra ! tal OmpIO, egli de (Si
apre la cortina’ dalla’ quale ‘escono pina DTA io GRANDE INQUISITORE,
quindi ROMANO, poi gli SCRIVANI, ‘gi ISQUISITORI, ed sea pIoR-SSf
DANÒ accompagnato, dalle GUARDIE.Gala la cortina e solo LORENZO rimane în
‘scend), DÒ dt e Laura 01,3 LAURA entra dalla' sinisird e presi
itasi) di LORENZO in atto supplichevole). SÉ Roe dia eor ATI
v Rat Laura! moi (HI dÉ tia Koi i È &
Loréiizo i «105 si vo MREPSRI RATA GIL Lorenzo Di ea DO
Ur PA Ale 2 i sd Met: la "I Che vuoi tut ot Raid)
fai I n Setdi o SERRA 2 Senti la ToRe.e. un uomo Rico tu soi. “
rE: Lorenzo Tinura! Da me che brami? Sento straziarmi
il cuore. Laura Ah! tu il padre salvar déi, Se una belva ancor non
sei. Lorenzo Tact Laura! Il ver dicesti È mio
padre! Io lo sentìa Quando'.il labbro suo: terribile. Me colpevole
maledia. È mio padre! Ancor lo sento AI perenne! e fier
tormento.‘ ©’ Che m’ opprime e strazia il cor. Laura Pietà del
misero. Tuo genitor. Lorenzo L’accento tuo terribile E
un dardo al traditor. ebic Laura Lorenzo. it i #1) Ma shananorazi
scenza sanacenencacaee cena sane oean coneesccnio naacea—ea—e@ce0cui0reò’npsQa”ncceinci’’’
ne Agp ipmpasrssssso Lorenzo Nol posso! Laura Va da me lungi, o
perfido, Se nieghi al genitor Salvar la vita.
E sorga il dì terribile Che ognuno, o traditor,
Ti nieghi aita. Lorenzo Taci! e che far poss’ io? Laura Aiutarmi
a salvarlo; tu lo puoi! ‘Ei fugga da quell’orrida Fossa in serena
terra, Ove su lui degli uomini Taccia sì cruda guerra. Ove un
demén carnefice Non trovi nell’ amico, Nel figlio, un
traditor; Ove il sovran suo spirito Onnipotente e pio
Possa inalzarsi libero Di tutti al Padre, a Dio; E
riabbracciar qui un figlio, Che traviò pentito, Stringendolo al suo
cor.pra, im masasenananasa sesc’poosson costor09 posporooscoesaesose Lorenzo Quell’ardire,
che in volto a te brilla, La speranza, la fede m' ispira: E
una sacra, divina favilla Della fiamma, che tarde nel cor.
Raura e Lorenzo (assieme) Con te nutro la credula
speme, Che a giustizia il trionfo sorrida; Siamo uniti per vincere
insieme Od insieme da forti morir. (partono). Muta la scena. Carcere
di B. con porte in fondo: dentro vedesi un giaciglio di pietra, una
seg- giola ed un tavolo su cuì arde una lampada. A sinistra una
scala da cui si accede agli Uftizii del- l’ Inquisizione. Giordane
(seduto sul giaciglio) Ecco, o Roma, l’eretico In questo tetro
carcere rinchiuso! Del sangue suo dissetinsi I tuoi
Inquisitori Ebbri di gioia in lor ciechi furori! (Gleaso
Sul rabido rogo dall’empio innalzato La fiamma divampa
sanguigna e stridente, Ma in mezzo all'incendio securà
possente Del martire invitto la voce s’ udrà. Il rogo non
strugge la libera idea; Ma, eterna
fenice — risorge o sfavilla; Del vasto creato — nel verbo
s'inslilla Te dense tenebre del mondo a fugar. In mano ai
carnefici chi, miser, mi trasse,
Tu fosti, mio figlio; tu sli maledetto
Ma no maledirti, ma no, nol poss’io: La morte è un trionfo per me, figlio
mio! LORENZO apre con furia la porta del fondo che mette nel
carcere; indi entra anche LAURA. Entrambi «$0NO Raealii in domino nero
come i servi dell’Inquisizione. Lorenzo (di piedi di GIORDANO) Padre
mio! Tuo figlio. B. Non sogno! Lorenzo Si, son io, ch’ hai
maledetto; Ma figlio tuo! Ripeti un altra volta La tua maledizione
i Coll’ accento d’ un padre, ed al mio cuore Più cara suonerà di
quel che fora Del sacerdote la benedizione ; Ah! lasciami morir a
pieid tuoi. TIrCItIVISIÀ poorrcens ersantisaazuztt=veSnII=TIERERA TATE
conuaca riv ertaziori (apusa ra rara zar sara ra bist enaneronesane B. Felice
è un tal momento! A me t’ adusse Iddio; Ora tu sei redento!
M’ abbraccia, o figlio mio. Lorenzo Padro' i] mio cuore un
balsamo Nella tua voce trova! Col tuo perdon risorgere
Mi sembra a vita nuova. Laura Redento il figlio,
accoglierlo Ben può il paterno core; Quale inattesa grazia
!.., Disparve ogni terrore. Mutti (inginocchiandosi) Gran Dio,
che fra le angoscie Apri a quest’ alma il riso, E mesci ai
loro spasimi In terra un paradiso. A te, che i santi vincoli
Riannodi di natura, Salga da queste mura L’ inno de’
nostri cor. B. (STO ER Dal fondo del cor mio 2/0 SARA Grazie a te
sien, gran Dio! a Pi E | re k » à, s ER wr:
DETTI, e ROMANO, che presentasi in cima della ° dente. Fissa collo
sguardo LORENZO, indi scende rapidamente. Lo seguono il GUARDIANO
Retles va x carceri e i SERVI del S. UHEIZIO: da si ‘Romano
< È Come tu qui?... La figlia ancor Di vedo, ea Oh mio furore '
eco 3 F : x Laura e Lorenzo 00 o O qual terror! > ua | »
Romano È ‘ Giiordano. Questa ou fatale a me una figlia nn dio Spa
ma a te la vita. (LEANDRO, il GUARDIANO delle carceri ei SERVI. del
S. UFFIZIO mascherati ed armati si ap- d pressano). Lg i VEL 7
Pi AE Li unisoseorevrespropeosovo ” Romano (B.)
Trencar ti voglio, qual vile stelo ; Delle tue carni la terra e il
Cielo Io colle fiamme consolerò. Lorenzo Ed io fidato
m’ ero a tal jena ? Tutto l’inferno qui si scatena, E cielo e terra
han di te orror. Laura e Leandro Sublime martire! La tua gran
vita Tronca in un lampo tra l’infinita Gioia... Qual strazio sento
nel cor! B. Del mio carnefice sul volto scritto Sta col livore
il suo delitto; Solo dal Cielo giustizia avrò. Romano (a°
Soldati) Innanzi al Tribunal condotto sia. Coro (Servi e
Soldati) S'innalza un turbine Di guai novelli. Su de’
fratelli — Tratti in error. E l’empio eretico < «N°
è lavcagionez 9:13 <L Maledizione Sul corruttor! Al rogo
ignifico ‘ Condotto Sia. © Chi l’eresia Tra noi portò. Legge
inviolabile Il turbolento A tal tormento Già condannò.
RIC FROCIO RA ATONTAITA Gran sala nel Palazzo
dell’Inquisizione in Roma. Nel fondo una Galleria apertà sostenuta da
colonne, fra ile quali: si, aprono grandi fin:stre che lasciano
tra- vedere le cupole e i colli di Roma. Porta: a de- stra e a
sinistra. Nel mazzo un tavolo con quattro candelabri. Siedono al tavolo
il grande INQUISITORE, ROMANO e ) UE SCRIVANI. — DUE SERVI «ai. lati,
quindi gl’ INQUISITORI, i Coro d'Inquisitori || |) eo nembo
dall’aere piove Lupa ' Di Giordano su:l’empia cervice! "Non
v'ha niun che l’appelli infelice, Non v'ha cor che si muova a
pietà. Pronto è il rogo, la fiamma divampa. E pur essa la vittima è
pronta! AI gran Nome Cristiano quest’onta. Or. dal fuoco purgata
sarà. } B. (appressandosi). O sommo Inquisitor! Giunta è
l'estrema Ora, che me a gran prova... al rogo.... appella! G.
Inquisitore (alle guardie) Fuor della porta vigilate! (le
guardie e i servi partono) O Bruno Di Nola! Quest’ è 1’ora che vi
chiama Alla prova del fuoco.... a morte.... 0 a vita Lieta d'ogni
uom nel mondo! E a voi concesso Ciò e’ ha nessuno fu giammai; la
scelta Fra la vita e la morte! Scegliete. E in, vostre man la
vostra sorte! Giordano (Mi tentan!) Che si vuol da ms?
Parlate. G. Inquisitore Qui in faccia a tutti, dichiararvi
figlio Della Romana Chiesa ora e in eterno E vi doniam la vita;
rimarrete Prigion; ma al figlio libertà darete! B. (Dèmone
tentator!) Nol vò.... nol posso! G. Inquisitore (qa RomaANO)]
Perduto! Udiste? La sentenza è data! Parte coi servi, Le guardie
circondano GIORDANO e partono). i Romano, in preda a soffocato
sdegno. Cieco sirumento io sono all’empie voglie Di costoro! Ubbidir
sempre... e frattanto Spezzare di mia figlia il vergin core,
Serbando la mia vita al lutto e al pianto! O Laura, tu l’adori
D’averno il rio Filosofo, Che con l'accento magico Tuo cuor
conquise già. Or ei morrà sul rogo!... Ma temo per mia
figlia... Dal duol trafitta, all’empio Vicina ella cadrà!...
Senza la figlia, il padre Più viver non potrà. To l’adoro! In lei
Tiposi Ogni speme ed ogni alta; La mia luce, la mia vita Con
la sua si spegnerà. Volgi, o Dio su me, su lei Un tuo sguardo
protettor, E la figlia, che perdei Deh! ridona al genitor. (ROMANO
parte da sinistra e nell'uscire si. moontra con LAURA).Laura
(apprdssandosi ‘a ROMANO. Ah! padre caro, mi benedici! Quel divin spirto,
che t’empie il core, Io pur lo sento! Odio i nemici Di quel gran
ùomo;-che' giùsto muore. Ma tu, che. il puoi, deh! tu lo salva; Se Do,
«con Lui io morirò. Romano La rea fiamma, che in cor ti VE Per chi
scuote de’ Papi l’impero, Sulla fronte il delitto’ ti Stampa Che tu
svolgi nel cupo pensiero. Salvo tu vuoi Giordano? Iniqua ! Nol sperar...
tu Il chiedi > invano. iLaura (con disperazione) Più di
salvarlo non v' ha speranza! L’ala nel tempo batte spietata! Ah! la fatale
ora 8° avanza. i Con te Giordano io morirò. ( prende il
veleno) A morte infame traggono. ; L’ apostolo del vero; Ma
dal suo rogo. pallida; | La fiamma sorgerà. Che sovra. il cieco
popolo... La luce porterà; COLERE Nè più potrassi spegnere
Quel fuoco che foriero Sarà di libertà. Coro frecta judicate
filù hominum Laura Quai voci ascolto! Lugubre E questo il
canto estremo, Ch’ ora al supplizio adduce- L’apostolo del
Ver. Coro Recta judicate fili hominum Laura Con
te Giordano! Morir voglio! Al gaudio tuo volar desio. {LORENZO e
LEANDRO col corteo funebre s’inol- trano nella scena. GIORDANO Tifo, le
guardie si fa avanti nel mezzo). B. Gran Dio! la vittima. Tu
vedi pronta Il rogo a scendere \a 1 1 Per la tua, fe; CERRI
TERA ee L'ira de’ perfidi, Ovunque. conta, Oggi
terribile Piombò su di me. Coro Etenim in corde iniquilates
operamini; Injustitias manus vestrae concinnant. Lorenzo Si
squarcino le tenebre Or dell’uman pensiero, E torni vivo a
splendere Il sol di verità, Che strugga alla tirannide L’atroce
maestà, E’ incenerisca i fulmini Del mistico nocchiero Nella
futura età. Giordano e Leandro Da’ rei carnefici Il rogo
ardente Pel nuovo martire E posto là; Ma la giustizia
Di Dio clemente Le braccia schiudere A Lui vorrà. GIORDANO
circondato ddlle guardie parte col corteo. Leandro, Cero. In terra injustitias
manus. vestrae concinnant. LORENZO s’appressa a LAURA, che si
troverd, vicina. a ROMANO), i Lorenzo, con disperazione. O Padre,
addio. Per me l’estrema Ora fatale suonata è già? Guarda tuo
figlio, che più non trema Nel vendicare la verità. A me di
Laura l’amor fu tolto: Perchè un mistero buio sognai. Ah! padre, credilo,
tutto: ignorai; Solo or la luce scorgo del Ver. ER omamno
Lorenzo! Lorenzo [trattosi dall’ abito uu pugnale, si
ferisce) Laura! Laura (riavendosi avvicinasi a LORENZO)
Al gaudio Ei vola. Romane (sorreggendo LORENZO) Serbate
a quanti spasimi E il povero mio cor? o aaravai
-ercerecote e merie—i ve oraconcorsoee «n - peacee -LilsSTFri= pone rete na dor
e. Lorenzo È tardi, o padre, il piangere. Anche Lorenzo... muor! (gli
cadde ai piedi). Romano. Odesi “una campana a lenti rintocchi;
avvicinandosi a LAURA e sorreggendola/ Orribil pena mi
strazia il core... Un disumano fui genitore! Non v’ha infelice al
par di me! Laura (presso LORENZO) Lieta è quest’ ora... della
mia vita. Bel paradiso la via... m’ addita B. Io volo... In ciel. con tel.
Da una finestra vedonsi le fiamme del rogo, ed un urlo di popolo annunzia
la fine dello spettacolo. Cala la tela. Refs.: Luigi Speranza, Bruniana. Filippo
Bruno. Giordano Bruno. Keywords: paganesimo ario, anti-catolecismo,
anti-papismo, filosofia come anti-religione, ragione, non fede, contra la fede,
fede irrazionale – irrazionalismo della religione, irrazionalismo, ario,
ariano, tradizione aria, religione pagana, filosofia e religione nella Roma
antica – irrazionalismo della religione antica romana – carattere metaforico
della religione pagana della Roma antica, ermetismo, composizione dei signi, de
signorum compositione, compositio signorum, asino,asinita, Spaventa, Giudice,
Cacciatore, Gentile, implicatura e ligatura, relativita, infigurabile,
indeterminabile, Grice, indeterminacy, open, implicature, il Bruno di Marlowe;
il Bruni di Shakespeare (Pene d’amore perdute), Grice e Bruno a Oxford. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Bruno” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Bruzi: la ragione conversazionale el’implicatura
conversazionale dei goti -- scuola di
Squillace – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Squillace).
Filosofo italiano. Squillace, Catanzaro, Calabria. Grice:
“Cassiodoro was possibly a genius; I mean, I wrote a logic, and so did he – but
he was ‘consul’ on top! My favourite – and indeed, the ONLY tract by him I
recommend my tutees is his “Dialettica” – Strawson prefers his “De anima,” but
‘anima’ is a confused notion, for Wittgenstein and neo-Wittgensteinians
alike – no souly ascription without behaviour that manifests it! – whereas with
‘dialettica’ you are safe enough!” –Grice: “I should be pointed out that of the
three of the trivial arts – ‘dialettica’ is the only one that deals with my
topic, conversation or dia-logue – grammatical is almost autistic, and rhetoric
is for lawyers, i. e. sharks! Only ‘dialettica’ represents why those in the
Lit. Hum. programme chose ‘philosophy’!” Grice: “Dialettica INCORPORATES all
that grammatical and rettorica can teach!”. Cassiodoro Flavio Cassiodoro Gesta Theodorici Flavius Magnus
Aurelius Cassiodorus. Cassiodoro, da un manoscritto su vellum del XII secolo.
Magister officiorum del Regno Ostrogoto MonarcaTeodorico il Grande Atalarico PredecessoreSeverino
Boezio Prefetto del pretorio d'Italia MonarcaAtalarico SuccessoreVenanzio
Opilione Monarca Teodato Vitige PredecessoreVenanzio Opilione Successore
Fidelio Dati generali Professione filosofo Flavio Magno Aurelio Cassiodoro
Senatore (latino: Flavius Magnus Aurelius Cassiodorus Senator. Vive sotto il
regno degli ostrogoti. Percorse un'importante carriera politica sotto il
governo di Teodorico ricoprendo ruoli tanto vicini al sovrano, da far pensare
in passato ad un effettivo contributo diretto al progetto del re ostrogoto.
Successore di Boezio, oltre che consigliere, fu cancelliere de Teodorico e il
compilatore delle sue lettere ufficiali e dei provvedimenti di legge. Collabora
anche con i successori di Teodorico. Al termine della guerra si stabilì
in via definitiva presso Squillace, dove fondò la biblioteca di Vivario. La
fonte principale che ci permette di conoscere la famiglia di Cassiodoro è data
dalla sua più vasta e importante opera, le “Variae”. Nasce in una delle più
stimate famiglie dei B., facente parte del patriziato. L'origine del nome è da
ricercarsi in un luogo di culto dedicato a Giove. Da una lettera scritta da B.
per Teodorico abbiamo notizie sui suoi genitori, così come su un parente di
nome Eliodoro. Dall'antica origine della famiglia si può comprendere la scelta
dei B. come nuova patria, essendo questa una zona della Magna Grecia. Si hanno
notizie inoltre del suo bonno, definito “vir illustris” e del nonno Senatore.
Quest'ultimo fu tribuno sotto Valentiniano III, e in qualità di ambasciatore
conobbe il re degli Unni Attila. Odoacre e Teodorico ritratti nelle
Cronache di Norimberga. Al padre furono indirizzate alcune lettere delle
“Variae”, il che ci offre più dati su di lui. Ricoprì il ruolo di comes rerum
privatarum e successivamente di comes sacrarum largitionum nel governo di
Odoacre. Mantenne la propria posizione di funzionario d'amministrazione anche
sotto Teodorico, tanto da diventare governatore provinciale. Lo si ritrova
governatore della Sicilia, e dopo essere entrato nelle grazie di Teodorico,
governatore della Calabria, quando si ritirerà alla sua villa. Così come
per i suoi familiari, ricaviamo notizie sulla vita di B. solo dalle sue opere.
La nascita e quella indicata dal Tritemio nel suo “De scriptoribus” (Basilea).
Il menologio lo ricorda. Per quelli che, come Theodor Mommsen, non ritengono
attendibili i dati del Tritemio, le date di nascita e morte di B. rimangono
ipotizzate, principalmente grazie a quelle note dei suoi incarichi
amministrativi; nonostante ciò molte cronache tendono a confondere alcuni dati
della vita di Cassiodoro con eventi vissuti dal padre, attribuendo una grande
longevità al letterato di Squillace. Proprio per quanto riguarda Squillace, non
è certo che vi nacque. Molto più probabilmente vi passò l'infanzia, ricevendo
dalla propria famiglia una prima educazione e seguendo degli studi. Ancora
giovane fu avviato dal padre alla carriera pubblica, per la quale ricopre
anzitutto il ruolo di “consiliarius”, per poi diventare quaestor sacri palatii,
forse perché Teodorico apprezza particolarmente un panegirico che egli aveva
composto. Poco tempo dopo ricevet il governatorato di Lucania e Bruttii,
notizia che si può apprendere da una lettera inviata al cancellarius Vitaliano.
Seguendo differenti interpretazioni storiche, questa congettura è stata però di
recente messa in dubbio. Risale la designazione a console. Nonostante si
trattasse ormai di una carica onorifica manteneva una certa importanza,
permettendolo di ricoprire il ruolo di eponimo. Dei anni successivi non si
conosce salvo la pubblicazione della Chronica. Successivamente, fu nominato
magister officiorum del re, succedendo nella carica a BOEZIO (si veda). Il
ruolo e di grande prestigio, e rappresenta con esso il capo
dell'amministrazione pubblica, degli official
e delle scholae palatinae. Alla morte di Teodorico, si apre una complessa fase di successione.
Divenne ministro della la figlia di Teodorico, succedutagli sul trono come
reggente per il figlio Atalarico. Presumibilmente perdette parte della sua
influenza nei primi anni di tali mutamenti politici, ma seppe poi riproporsi e,
con un lettera di Atalarico, guadagna il titolo di Prefetto del pretorio per
l'Italia. Non ricopre questo ruolo politico per molto tempo. Atalarico morì e
ai consueti problemi di successione si aggiunse la malvolenza di Giustiniano
verso gli ostrogoti, insofferenza che culminò poi con la guerra gotica. Resse
nuovamente la prefettura, sotto i re Teodato e Vitige, per poi abbandonare
definitivamente la carriera pubblica. Nelle Variae si possono trovare le ultime
lettere scritte per conto di Vitige, anche se non viene detto nulla sul
concludersi della sua funzione politica né si sa alcunché dei suoi successori.
Di fronte all'avanzata bizantina rimase dapprima in ritiro a Ravenna, luogo che
offriva ancora una certa sicurezza. Ravenna e conquistata dalle truppe
imperiali, e da quel momento si perdono le sue tracce. Le alternative vagliate
sono una permanenza a Squillace, dove però avrebbe avuto scarse possibilità di
movimento, o una permanenza più lunga a Ravenna. Lo si ritrova nel seguito di
papa VIRGILIO a Costantinopoli, città nella quale potrebbe anche aver
soggiornato, secondo una terza ipotesi, in un periodo precedente alla data
conosciuta. Rientrò nei Bruttii solo dopo la fine della guerra, ritiratosi
definitivamente dalla scena politica, fondò il monastero di Vivario presso
Squillace. Si hanno anche per questa parte della sua vita pochissime
informazioni, non si conoscono quindi le motivazioni che lo portarono alla
creazione di questa comunità monastica né particolari sulla contemporanea
situazione politica della penisola italica; per quanto riguarda la sua
situazione personale, si può ipotizzare che non ebbe eredi diretti. Al Vivarium
trascorse il resto dei suoi anni, dedicandosi allo studio e alla scrittura di opere
filosofiche. Qui istituì uno scriptorium per la raccolta e la copiatura di
manoscritti, che fu il modello a cui successivamente si ispirarono i studii.
Opera, il De ortographia. IL'obiettivo principale del progetto
politico-culturale di B. fu quello di accreditare il regno teodericiano come
una restaurazione del Principato, ossia quella forma di governo che aveva
garantito la collaborazione, formalmente quasi paritaria, tra l'imperatore e la
classe senatoria. Questa autorappresentazione del governo goto serviva in primo
luogo come legittimazione del regno nei confronti dell'Impero
costantinopolitano. Sostanzialmente, essendosi conformato il regime ostrogoto
al modello imperiale, il primato dell'imperatore e fondato esclusivamente su un
piano carismatico (pulcherrimum decus). Al tempo stesso, tale imitazione da
parte di Teoderico poneva l'Amalo in una posizione di superiorità nei confronti
degli altri regni barbarici attraverso un principio politico-carismatico,
basato su una gerarchia di due livelli (l'impero e il regno di Teoderico, gli
altri regni), con un vertice binario e leggermente asimmetrico. Tra tutti gli
altri dominantes, Teoderico era il solo che, per volontà divina, aveva saputo
dare al suo regno gli stessi fondamenti etici e legali dell’imperium: il suo
regno era una replica perfetta del modello imitato e a sua volta un modello. Giardina.
La prospettiva di B., infatti, non è più l'impero universale, bensì quella
nazionale dell'Italia romano-ostrogota, autonoma ed egemone rispetto agli altri
regni occidentali, sebbene siano state avanzate riserve circa la reale
ambizione di Teoderico di assumere l'eredità del decaduto Impero romano
d'Occidente. In particolare, il fondamento dell'ideologia cassiodoriana ruota
intorno al concetto di “civilitas”, che indica tanto il rispetto delle leggi e
dei princìpi della romanità, quanto la convivenza sociale, giuridica ed
economica di romani e stranieri fondata sulle leggi. Secondo B., il regno goto
si sarebbe fatto custode della civilitas, garantendo così la giustizia e la
pace sociale (l’otiosa tranquillitas, cioè l'obiettivo di ogni buon governo),
in accordo con la legge divina e la migliore tradizione imperiale romana. Il
richiamo all'ideologia del Principato da parte di Teoderico e Atalarico si
basa, nella fattispecie, sull'emulazione della figura di Traiano, così come
tratteggiata nel Panegirico di PLINIO (si veda) il Giovane. Con il regno di
Teodato, invece, il principale modello di riferimento fu quello
dell'”imperatore-filosofo” -- un ideale etico-politico ampiamente imbevuto di
caratteri neoplatonici. In seguito, nell'impellenza della guerra greco-gotica,
Vitige si distinse per il recupero di un'ideologia più specificamente
germanica, in cui e messi in risalto le virtù bellica e l'ardore guerriero.
San Benedetto da Norcia. Inoltre esiste
la possibilità che un primo abbozzo di ciò che sarebbe diventato il monastero
esistesse già da tempo, presente nei territori di Squillace da una data
sconosciuta e utilizzato come residenza da C. solo al ritorno in patria dopo la
guerra gotica. Ad ogni modo non aiuta nelle varie ipotesi il silenzio delle
fonti, poiché le Variae erano state già pubblicate e nessuna delle opere
dell'ormai ex politico trattò di questa fondazione; nulla si conosce sul parto
di questo progetto, né quando quest'idea fosse stata concepita. Nonostante si
intuisca dalle ultime opere di B. un avvicinamento potente alla fede cristiana
(si pensi al De anima e all'Expositio Psalmorum, il monastero di Vivario nacque
con uno scopo differente dal celebre Ora et labora: l'obiettivo principale del
nucleo monastico fu infatti la copiatura, la conservazione, scrittura e studio
dei volumi contenenti testi dei classici e della patristica occidentale. La
caratteristica di Vivarium era quindi la sua forma di scriptorium, con le
annesse problematiche di rifornimento materiali, studio delle tecniche di
scrittura e fatiche economiche. I codici e manoscritti prodotti nel monastero
raggiunsero una certa popolarità e furono molto richiesti. Le forme entro cui
si espresse invece l'organizzazione monastica dal punto di vista religioso sono
ben poco chiare, né aiuta l'assenza di riferimenti alla vicina esperienza di
Benedetto da Norcia; forse C. non ne conobbe neppure l'esistenza, o potrebbe
averne parlato in opere non giunteci. Alcuni storici avanzano l'ipotesi che la
Regula magistri, su cui si basa la Regola benedettina, sia addirittura opera
dello stesso B. Questo presunto rapporto tra i due è però generalmente
rigettato dagli studiosi, anche alla luce di alcune citazioni provenienti dalle
Institutiones che chiariscono le norme monastiche adottate da Vivarium. Voi
tutti che vivete rinchiusi entro le mura del monastero osservate, pertanto, sia
le regole dei Padri sia gli ordini del vostro superiore e portate a compimento
volentieri i comandi che vi vengono dati per la vostra salvezza... Prima di
tutto accogliete i pellegrini, fate l'elemosina, vestite gli ignudi, spezzate
il pane agli affamati, poiché si può dire veramente consolato colui che consola
i miseri. B., Institutiones. Ritratto del profeta Esdra nel quale per molto
tempo si riconobbe la figura di C., contenuto nel Codex Amiatinus. Questa
citazione mostra come Vivarium seguisse quindi le più comuni regole monastiche
contemporanee, mentre altri passaggi delle Institutiones ci suggeriscono un
ruolo laico per C., forse esterno alla vita monastica e puramente
patronale Il vero centro vitale di Vivarium era, particolare che segna la
differenza con ogni altro centro monastico, la biblioteca. C. distingue inoltre
i libri del monastero da quelli personali, differenza poi scomparsa in un
periodo successivo. E la biblioteca, infatti, come centro di cultura di tutto
il monastero, la novità del suo programma, una biblioteca nata ed accresciuta
secondo le intenzioni del fondatore che dei suoi libri conosceva non solo la
sistemazione, perché l'aveva curata personalmente, ma anche i testi, perché li
aveva studiati, annotati, arricchiti di segni critici, riuniti insieme secondo
la materia in essi trattata e persino abbelliti esteriormente. Il monastero
prende nome da una serie di vivai di pesci fatti preparare dallo stesso B. La
loro presenza rappresentava un forte valore simbolico, legato al concetto di
Cristo come Ichthys. Non lontano dal centro si trovava una zona per anacoreti,
riservata a monaci con pregresse esperienze di vita cenobitica. Vivarium
sorgeva, secondo gli studi ad oggi compiuti, nella contrada San Martino di
Copanello, nei pressi del fiume Alessi. In quella zona fu ritrovato un
sarcofago, associato a graffiti devozionali e subito considerato la sepoltura
originale di B.. Per ciò che riguarda la ripartizione del lavoro, i monaci
inadatti a seguire la biblioteca con annessi oneri intellettuali sono destilla
coltivazioni di orti e campi, mentre i letterati si occupavano dello studio
delle sette arti liberali (dialettica, retorica, grammatica, musica, geometria,
aritmetica, astrologia) questi ultimi erano divisi in notarii, rilegatori e
traduttori. Le opere di carità erano espressamente raccomandate dal fondatore,
e legati a queste fiorivano gli studi di medicina. Cassiodoro fece preparare
tre edizioni differenti della Bibbia e si occupò di copiature e riscritture di
molti altri testi della cristianità, considerando tutto ciò una vera e propria
opera di predicazione. Non mancano però nella biblioteca di Vivarium i testi
profani: tra gli altri furono salvati grazie all'opera di B. le Antiquitates di
Giuseppe e l'Historia tripartita. Le opere di B. del periodo di Teodorico,
quelle da noi conosciute, sono tre: le Laudes, la Chronica e l'Historia
Gothorum. Della prima si sono conservati solo due frammenti, mentre della
Gothorum Historia rimane solo un'epitome a opera dello storico Giordane. La
Chronica racconta la saga dei poteri temporali di tutta la storia, dai sovrani
assiri sino ai consoli del tardo Impero, passando ovviamente per tutta la
storia romana. Possediamo un frammento di un'ulteriore opera, l'Ordo generis
Cassiodororum, che ci offre notizie sulla famiglia dell'autore. Tra la
produzione di Cassiodoro occupano un posto speciale le Variae, raccolta di
documenti ufficiali scritti i quali ci offrono quindi informazioni su differenti
periodi della vita dell'autore e sulla storia dei Goti. A queste si può
aggiungere il “De Anima”, opera per la prima volta lontana da interessi
politici e invece basata su temi della filosofia psicologica. Il terreno
religioso è battuto anche dalla successiva Expositio Psalmorum, commento ai
salmi di particolare importanza poiché unico esempio pervenutoci dal mondo
tardo antico. Al periodo di Vivarium appartengono tra le opere a noi giunte, le
Institutiones, le Complexiones in epistolas Beati Pauli e le Complexiones in
epistolas catholicas, le Complexiones actuum apostolorum et in Apocalypsi e il
De ortographia. La prima, senza dubbio l'opera più importante di B., è datata
in un periodo in cui il centro monastico era sicuramente avviato; rappresenta
sostanzialmente una "guida" per gli studi nel monastero, è ricca di
informazioni sulla vita dei monaci e sulle opere intellettuali da loro
compiute. Il De ortographia sarà la sua ultima opera, scritta attorno ai
novant'anni. Uno scritto di chiari intenti politici è la Chronica, una
sorta di storia universale scritta su richiesta per celebrare il consolato di
Eutarico Cillica (diviso con l'Imperatore Giustino), genero di Teodorico e
designato al trono. Il sovrano d'Italia non aveva eredi maschi mentre Eutarico,
sposandone la figlia Amalasunta, era riuscito a donargli un nipote, Atalarico.
Alla luce di questa nuova dinastia, la scelta di offrire il ruolo di console a
Eutarico rappresentava quindi un importante evento politico: si trattava della
celebrata unione tra i romani ed i goti, progetto che poi fallirà tragicamente.
L'opera, che come comprensibile dal titolo ha chiari fini storici, propone una
successione dei grandi poteri politici succedutisi nella storia, passando da
Adamo sino ad approdare con Eutarico. È basata su numerose fonti che Cassiodoro
spesso cita quali Eusebio, Gerolamo, Livio, Aufidio Basso, Vittorio Aquitano e
Prospero d'Aquitania. Per la trattazione successiva invece l'autore è autonomo.
L'elemento dell'opera che maggiormente colpisce è il suo carattere
spiccatamente filo-gotico. B. arriva a manipolare alcuni eventi storici o a
farne addirittura scomparire altri, al fine di non far apparire i Goti sotto
un'oscura luce. Historia Gothorum Re Davide vincitore in una miniatura
dall'Expositio Psalmorum, presente nell'edizione del B. di Durham. Una delle
sue opere più importanti fu il De origine actibusque Getarum, più noto come
Historia Gothorum, nel quale la sua ideologia filogotica era tracciata e
sviluppata in maniera più organica. Si considera l'opera contemporanea o poco
successiva alla Chronica, anche se più studiosi tendono a ritenerla più
recente, forse composta dopo. Certamente la stesura fu caldeggiata da
Teoderico, per essere infine pubblicata sotto Atalarico. Nonostante ciò essa ci
è pervenuta solo nella versione ridotta dello storico Giordane, i Getica. Prima
storia nazionale di un popolo barbarico, la Historia Gothorum era tesa a glorificare
la dinastia degli Amali, la stirpe regnante, attraverso una ricostruzione della
storia dei Goti dalle origini ai tempi presenti. Il tentativo più ardito
dell'opera fucome emerge dal titolo stessol'identificazione dei Goti con i
“geti” -- popolazione già nota a Erodoto e maggiormente conosciuta dal mondo
romano. Il racconto narra eventi storici e come scopo ha inoltre quello di
celebrare l'unione tra goti e romani, qui comprovata dal matrimonio tra il
romano Germano Giustino e l'amala Matasunta. Il fine ultimo dell'opera lo
svelaper bocca di Atalarico Cassiodoro stesso. Questi B. ha sottratto i re dei
Goti al lungo oblio in cui li aveva nascosti l'antichità. Questi ha ridato agli
Amali la gloria della loro stirpe, dimostrando chiaramente che noi siamo stirpe
regale da diciassette generazioni. L'origine dei goti egli ha reso storia
romana, quasi raccogliendo in una corona fiori prima sparsi qua e là nel campo
dei libri. Dell’Ordo generis B. rimane un solo frammento in più copie. Il l
testo, dalla difficile interpretazione, fu composto negli anni della
carriera pubblica di B. ed è dedicato a Rufio Petronio Nicomaco Cetego. L'opera
offre rare notizie sulla famiglia di Cassiodoro, in particolare sul padre;
nelle poche righe centrali vengono nominche BOEZIO e Simmaco, il che farebbe
pensare ad un qualche grado di parentela tra l'autore e queste due figure,
impossibile attualmente da stabilire. La sua attività di funzionario al
servizio del regno goto è testimoniata dalle Variae, una raccolta di lettere e
documenti, redatti in nome dei sovrani o trasmessi a firma dell'autore stesso
in un arco di tempo che va dall’assunzione della questura al termine della
carica di prefetto al pretorio. Il titolo come l'autore spiega nella prefazione
all'opera è dovuto alla “varietà” degli stili letterari impiegati nei documenti
del corpus, il quale divenne successivamente un riferimento per lo stile
cancelleresco e curiale. Espone nella praefatio dell'opera il fine di questa
raccolta di testi, ovvero la necessità di fornire nozioni utili a chiunque si
dovesse in futuro accostare alla carriera pubblica. Ulteriore obiettivo
dichiarato è quello di far conoscere i propri trascorsi come membro del ceto
dirigente.Le Variae sono assai utili per conoscere le istituzioni, le condizioni
politiche, morali e sociali sia dei Goti sia dei Romani dell'Italia del tempo. Cominciato
poco prima della conclusione delle Variae, il “De anima” è considerato da B.
come una sorta di volume per quest'opera, quasi ne rappresentasse l'appendice.
Affronta temi esterni al mondo della politica, avvicinandosi agli stessi
interessi spirituali che poi toccherà con la Expositio Psalmorum. Il “De anima”
si dipana su XII questioni, tra le quali l'incorporeità e il destino
dell'anima, legata alla tradizione di Tertulliano, Agostino e Claudiano
Mamerto. Anche per l’Expositio Psalmorum non è possibile dare una datazione
certa, anche perché la sua composizione sembra essere stata portata avanti per
un periodo abbastanza prolungato. Si tratta di un commento completo ai salmi,
unico esemplare rimastoci da tutta la tarda antichità. Per mole è certamente
l'opera maggiore di Cassiodoro, anche se non viene considerata la più matura
tra le sue produzioni. Una più ampia influenza nel Medioevo ebbero le sue
Istituzioni, “Institutiones divinarum et saecularium litterarum”, erudita
introduzione alle sette arti liberali – dialettica, retorica, grammatical –
musica, geomtrica, aritmetica. Progettata dopo che la richiesta di Cassiodoro
per la fondazione di un'studi ricevette una risposta negativa da papa Agapito
I, l'opera visse un lungo periodo di incubazione: basti pensare che al suo
interno cita il De orthographia, ultima opera attestata di B.. Il lavoro su
questa enciclopedia si suddivide in varie sezioni: la prima presenta i vari
libri della Bibbia, la storia della Chiesa e degli studi teologici. La II si
occupa di quelle arti incluse successivamente nel trivio e quadrivio, con un
occhio rivolto alla cultura pagana e alle norme atte per trascrivere
correttamente gli antichi. Altre opere sono citate direttamente da B. nel De
orthographia. Complexiones in Epistolas et Acta apostolorum et Apocalypsin; si
tratta di un commento ad alcuni passi degli Atti degli Apostoli e
dell'Apocalisse di Giovanni Expositio epistolae ad Romanos (Commento alla
lettera dei Romani). Liber memorialis; breve riassunto del contenuto della
Sacra Scrittura. Historia ecclesiastica tripartita, di cui fu autore della sola
prefazione. De orthographia; trattato destinato a fissare norme e regole per la
trascrizione di scritti antichi e moderni. Senator è parte integrante del nome
e non già designazione della carica pubblica (Momigliano; Momigliano Le ipotesi
che vogliono Cassiodoro organizzatore e stratega nascosto dietro Teodorico sono
ad oggi considerate generalmente infondate, superate dalla tradizione che vede
Cassiodoro estraneo alla politica del regno; Cardini, Cardini, Abbate, Cardini,
Momigliano, In Siria si trovano attestati i nomi Κασιόδωρος e
Κασσιόδωρος. B., Variae. Noto come
Mons Cassius, da questo deriva Kassiodoros, ovvero "Dono del Monte
Cassio". Cardini. B., Variae, I, 4.
B., Variae. Onore guadagnato
forse per la difesa della Calabria dai Vandali di Genserico. Rouche, IV- Il
grande scontro, in Attila, I protagonisti della storia, traduzione di Marianna
Matullo, 14, Pioltello (MI), Salerno
Editrice, Cardini, Tuttavia non si conosce né la data in cui ricoprì la carica
né il nome della provincia. Cardini, Il nome stesso di B. viene riportato
solo nelle lettere dei papi Gelasio, Giovanni II e Vigilio. In Cardini, ci si sofferma su dizionari e
prontuari la cui affidabilità è considerata generalmente affidabile; in
particolare si cita l'opera Lessico classico di Federico Lübker. Cardini; scrive ad esempio nel Vivarium un
trattato di ortografia. Franceschini Cardini B., Ordo generis; si tratta di una
carica pubblica con funzioni di consigliere.
Cassiodoro, Variae, B, Variae, Cardini. La congettura si basa su un
passo delle Variae, in cui però B. non afferma esplicitamente di essere stato
governatore dei Bruzi. Questa ipotesi è stata rimessa in discussione da
Giardina e Cardini (Giardina). Cardini, Aveva cioè la possibilità di dare il
proprio nome all'anno, unitamente a quello del collega. Cardini, B.,
Variae, Ghisalberti. Ovvero le segreterie imperiali (officia memoriae,
epistularum, libellorum e admissionum).
Si tratta del corpo militare speciale incaricato di sorvegliare la corte
imperiale. Non si è certi se fosse stato
nominato prefetto del pretorio per la prima o seconda volta. Cardini, B.,
Variae, B., Variae, Momigliano; Cardini. Cardini. Cardini. Cardini. Reydellet,
Giardina. B., Variae, su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen).. Giardina, Teillet, Dietrich Claude,
Universale und partikulare Züge in der Politik Theoderichs, in «Francia», Reydellet,
Wolfram. B., Variae: Gothorum laus est civilitas custodita., su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de B., Variae: regnantis est gloria subiectorum otiosa
tranquillitas., su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de). B., Variae, su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de Reydellet, Anonimo Valesiano: a Romanis Traianus
vel Valentinianus, quorum tempora sectatus est, appellaretur. B., Variae. Ecce
Traiani vestri clarum saeculis reparamus exemplum., su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de B., Variae, VIII 13,3-5: Non sunt imparia tempora
nostra transactis: habemus sequaces aemulosque priscorum. Redde nunc Plinium et
sume Traianum. Bonus princeps ille est, cui licet pro iustitia loqui, et contra
tyrannicae feritatis indicium audire nolle constituta veterum sanctionum.
Renovamus certe dictum illud celeberrimum Traiani: sume dictationem, si bonus fuero,
pro re publica et me, si malus, pro re publica in me su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de Reydellet, Vitiello, Reydellet, Vitiello, Cardini, B.,
Expositio Psalmorum, Cardini, Cardini, Pellegrini, Cardini, B., Istituzioni,
Cardini, B., Istituzioni, Cardini, B., Istituzioni, B., Istituzioni, B.,
Istituzioni, B., Istituzioni. Questo
porta gli studiosi a ipotizzare una maggior partecipazione di B. al
progetto. B., Istituzioni Cardini,Cardini,
Cardini, Coloro che preparavano i testi per la trascrizione. B., Istituzioni,
I, B., Istituzioni, Cardini, Cardini, Cardini, Cardini, Cardini, Cardini,
Cardini, Altaner, Ceserani, Cardini, Cardini. La cronaca è un genere letterario
caratterizzato dall'esposizione di fatti storici in ordine cronologico.
Simonetti, Moorhead, B., Variae, De
origine actibusque Getarum, in sessanta capitoli. «La Historia Gothorum occupa un posto di
rilievo nella storia della cultura occidentale perché fu la prima storia
nazionale di un popolo barbarico: in tal senso essa introduce veramente il
medioevo». Simonetti, Simonetti, Germano Giustino faceva parte della Gens
Anicia, mentre Matasunta era nipote di Teodorico. Cardini, originem Gothicam historiam fecit
esse Romanam. B., Variae, Cardini Il frammento è noto anche come Anecdoton
Holderi; edizione critica e traduzione francese in Alain Galonnier,
"Anecdoton Holderi ou Ordo generis Cassiodororum: introduction, édition,
traduction et commentaire", Antiquité tardive, Cardini, B., Variae; B. , Variae, XI, 7. Cardini, Momigliano, Istituzioni delle
lettere sacre e profane. Cardini, Cardini, Muse, B., Istituzioni. Opere di B. Expositio Psalmorum, M.A.
Adriaen, Le Cronache, Mirko Rizzotto,
Gerenzano, Runde Taarn, 2007. Le Istituzioni, Antonio Caruso, Roma, Vivere, Le
Istituzioni, Mauro Donnini, Città Nuova, Ordo generis Cassiodororum, Viscido,
M. D'Auria, Variae (traduzione parziale), Lorenzo Viscido, Squillace,
Pellegrini, De Orthographia, Tradizione manoscritta, fortuna, edizione critica
Patrizia Stoppacci, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, (Società per lo studio del Medioevo latino).
Expositio Psalmorum. Volume I, Tradizione manoscritta, fortuna, edizione
critica Patrizia Stoppacci, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, (Società internazionale per lo studio del
Medioevo latino). Roma immaginaria, Danilo Laccetti, Roma, Arbor Sapientiae,.
Confido in te Signore. Commento alle suppliche individuali, Antonio Cantisani,
Milano, Jaca Book,. Autori moderni Samuel J. Barnish, Roman Responses to an
Unstable World: Cassiodorus' Variae in Context, in: Vivarium in Context,
Vicenza, Centre for Medieval Studies Leonard Boyle, Maïeul Cappuyns,
Cassiodore, in Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastique, Paris, Cardini, B. il Grande. Roma, i barbari
e il monachesimo, Milano, Jaca, Caruso, B. Nella vertigine dei tempi di ieri e
oggi, Soveria Mannelli, Centonze, Il Lactarius mons e la cura del latte a
Stabiae. Galeno, Simmaco, B., Procopio, Castellammare di Stabia, Bibliotheca
Stabiana, Arne Soby Christinsen, B. Jordanes and the History of the Goths:
Studies in a Migration Myth, Museum Tusculanum, Ruggini, B. and the Practical
Sciences, in: Vivarium in Context, Vicenza, Centre for Medieval Studies Boyle, Galonnier,
Anecdoton Holderi, ou Ordo generis Cassiodorum: éléments pour une étude de
l'authenticité boécienne des Opuscula sacra, Louvain-la-Neuve, Peeters,
Giardina, Cassiodoro politico, Roma, L'Erma di Bretschneider, Momigliano, B.
and Italian Culture of His Time, Oxford, Momigliano, B. in Dizionario
biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Momigliano, B., in Contributo alla storia degli studi classici e del mondo
antico, Roma, Storia e Letteratura, Moorhead,
B. on the Goths in Ostrogothic Italy, in Romano barbarica, O'Donnell, B.,
Berkeley Los Angeles Londra, Alessandro Pergoli Campanelli, Cassiodoro alle
origini dell'idea di restauro, Milano, Jaca, Pergoli Campanelli, Nova
construere, sed amplius vetusta servare: Cassiodoro e la nascita della moderna
idea di restauro, Studi Romani, Ravasi, B. il senatore, Il Sole24 ore, Reydellet, B. et l'idéal du Principat, in Id.,
La royauté dans la littérature latine de Sidoine Apollinaire à Isidore de
Séville (BEFAR), Roma, École française de Rome, Reydellet, Théoderic et la
«civilitas», in Carile , Teoderico e i Goti tra Oriente e Occidente. Congresso,
(Ravenna, Ravenna, Longo, Sirago, I B.. Una famiglia calabrese alla direzione
d'Italia, Soveria Mannelli, Teillet, B. et la formation d'une idéologie
romano-gothique, in Id., Des Goths à la nation gothique. Les origines de l’idée
de nation en Occident du Ve au VIIe siècle, Paris, Les Belles Lettres, Massimiliano
Vitiello, Il principe, il filosofo, il guerriero: lineamenti di pensiero
politico nell'Italia ostrogota, Stuttgart, Steiner, Herwig Wolfram, Die Goten:
Von den Anfängen bis zur Mitte des sechsten Jahrhunderts, München, Beck, Altri
testi Le Muse. Enciclopedia di tutte le
Arti, Novara, Istituto geografico De Agostini. Lezioni di letteratura
calabrese, Pellegrini Editore, Francesco Abbate, Storia dell'arte nell'Italia
meridionale, Donzelli; Berthold Altaner, Patrologia, Marietti; Ceserani e
Federicis, Il materiale e l'immaginario: laboratorio di analisi dei testi e di
lavoro critico, Loescher; Csaki, Contra voluntatem fundatorum: il monasterium
vivariense di B., ACTA Congressus Internationalis Archaeologiae Christianae
(Città del Vaticano-Split) Csaki, Il
monastero vivariense di B.: ricognizione e ricerche, Frühes Christentum
zwischen Rom und Konstantinopel, Akten des Kongresses für Christliche
Archäologie, Wien, hrsg. R. Harreither, Ph. Pergola,Pillinger, A. Pülz (Wien) Franceschini,
Lineamenti di una storia letteraria del Medioevo latino, Milano, I.S.U.
Università Cattolica, Ghisalberti, La filosofia medievale, Firenze, Demetra Giunti,
Ettore Paratore, Storia della Letteratura Latina dell'Età Imperiale, Milano,
BUR); Simonetti, Romani e Barbari. Le lettere latine alle origini dell'Europa,
Roma, Carocci. Opere di B., su digilibLT, Università degli Studi del Piemonte
Orientale Amedeo Avogadro. Opere di B. /
B. (altra versione) / B. (altra versione), su open MLOL, Horizons Unlimited
srl. Opere di B,. Opere di B., su Progetto Gutenberg. B., in Catholic
Encyclopedia, Robert Appleton Company.
Opere di B. nella Patrologia Latina del Migne Opere di Cassiodoro nella
Bibliotheca Augustana, su hs-augsburg.de. Monvmenta Germaniae Historica,
Societas Aperiendis Fontibvs Rerum Germanicarvm Medii Aevi, Avctorum
Antiqvissorum Tomus XII, Berolini apud Weidmannos: B. Senatoris Variae,
recensvit Mommsen, accedvnt I. Epistvlae theodericianae variae edidit Mommsen.
Acta synhodorvm habitarvm Romae A.
edidit Th. Mommsen. III. Cassiodori orationvm reliqviae edidit Lvd.
Travbe. Sito ufficiale del Premio Cassiodoro, su premiocassiodoro.eu.
Aggiornamenti sul sito di Vivarium (fondazioni monastiche di Cassiodoro), su
centreleonardboyle. La fontana di Cassiodoro, su centreleonardboyle.com).
Beatus Cassiodorus e La fama sanctitatis di Cassiodoro Sulla fama di santità di
Cassiodoro nel Medioevo. Vivarium in Context Archiviato il 4 giugno in.. Scheda libro con recensioni dei saggi di
S.J. Barnish e L. Cracco Ruggini citati nella. Le dignità de' Consoli e de
gl'Imperadori, e i fatti de' Romani, e dell'accrescimento dell'Imperio, ridotti
a compendio da Sesto Ruffo, e similmente da Cassiodoro, e da M. L. Dolce
tradotti & ampliati, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, Venezia).
Storici romani Antica Roma Antica Roma
Biografie Biografie Cristianesimo Cristianesimo Letteratura Letteratura Lingua latina Lingua latina Medioevo Medioevo Categorie: Politici romani del VI
secoloLetterati romaniStorici romaniComites rerum privatarumComites sacrarum
largitionumConsoli medievali romaniCorrectores Lucaniae et BruttiorumMagistri
officiorumPrefetti del pretorio d'ItaliaScrittori. Grice: “The English had taught Italians that it’s not fair to call
Cicero an Italian, or Pythagoras, for that matter, since this all happened
before Garibalid! I’m glad the Italians never learned the lesson!” MAGNI
AURELII B. SENATORIS De Artibus ac Diſciplinis Liberalium Litterarum. vism
lectioni 33. titulis Prov. 8.28. Erionum 7. tartiem titke nec men wa/ > nec
716m2To Liberdivina UPERIOR liber, Domino præſtan- fuam cubitum unum? Item
IſaiasPropheta dicit: 16.40.1:., S | licet divinarum continet lectionum manu.
Rurſus creatura Dei probatur facta ſub comprebējus. hic triginta tribu's
titulis noſcitur pondere;ſicut ait in Proverbiis Salomon: Ei li. coinprehenſus.
Qui numerus ætati Dominice brabat fontesaquarum; & paulo poft: Quando
probatur accommodus, quando mundo peccatis appendebar fundamenta terra, cum eo
eram. mortuo æternam vitam præſtitit, & præmia cre- Quapropter opere Dei
fingularizato, magnifi Hic liber ſce- dentibus ſine fine concellit. Nunctempus
eſt, cæ res neceſſariâ definitione concluſæ ſuntut; fi cularium le- ut aliis
ſeptein titulis ſæcularium lectionum præcut eum omnia condidiffe credimus: ita
& quem ſentis libritextuin percurrere debeamus; qui ta- admodun facta ſunt,
aliquatenusdiſcerenus. lis abfolue men calculus per ſeptiinanas fibimet
ſuccedentes Unde datur intelligi mala opera diaboli nec Opera diabolt tur,
& cur in ſe continue revolutus, uſque ad totius orbis pondere, nec menfura,
nec numero cortineri: nec pondere, finem ſemper extenditur. quoniam quicquid
agit iniquitas, juſtitie ſein Defeptenario Sciendum eft plane, quoniam
frequenter quic- per adverſum eſt; ſicut & tertius deciinus Pſalmus
continentur. numero, quid continuam atqueperpetuum Scriptura fan- meminit,
dicens: Contritio, ú infelicitas in viis Pfal. quid feript.o. ita
vultintelligi, fub iſto numero comprehendit; corum, á viam pacis non
cognoverunt: non eſt ia Super cum ficut dicit David: Septies in dielaudem
dixitibi; timor Dei anteoculos eorum. Ifaias quoque dicit: intel'iyat. Plal.
118. cùm tamen alibi profiteatur: Benedicam Domi- Dereliquerunt Deuin Sabaoth,
& ambulaverunt 164. numin omni tempore: femper lausejus in ore meo. per
vias diſtortas. Revera mirabilis, & fummè Et Salomon: Sapientia edificavit
fibi domum, ſapiens Deus, qui omnes creaturas ſuas ſingulari excidit columnas
feptem. In Exodo quoque dixit moderatione diſtinxit: ne aliquid eorumfæda
fingulari Doininus ad Moyſen: Facies lucernas ſeptem, & confuſio pollideret.
Unde Pater Auguſtinus in deratione dio Exod. pones easſuper candelabrum, ut
luceant ex adver- libro 4. de Geneli ad litterain minatifinè difpu- ftinxerit?
Apocal. 1.4. fo. Quem numerum Apocalypfis in diverfis re tavit. bus omnino
commeinorat; qui tamen calculus Modd jamſecundi voluminis intremus initia,
adillud nos æternum tempus trahit,quod non po- quæ paulò diligentiùs audiamus; Intentus no- *Hicincipiño teſt habere
defectú. Meritò ergo ibi femper com- bis elt de arte Grammatica, tive Rhetorica,
vel MSS. codd. memoratur, ubi perpetuum tempus oftenditur. de diſciplinis
aliqua breviter velle confcribere; Arithmetita Sic Arithmetica diſciplina
dotata eſt, quando quarum rerum principia neceffe eft nos inchoa dotata,quan
rerum Opifex Deus diſpoſitiones ſuas ſub nume- re; dicenduinque prius eft de
arte Grammatica; Dei ſub nu xi, ponderis, & menfuræ quantitate conſtituits
quæ eft videlicet origo & fundamentuin Libera mern, ponle- ſicut ait
Salomon; Omnia in numero, menfura, lium litterarum. re our menu- c pondere
feciſti. Creatura ſiquidem Dei ſic nu Liber autein dictus eſt à libro, id eſt,
arboris Liber unde ra ft24. micro facta cognoſcitur, quando ipfe in Evange-
cortice dempto atque liberato, ubi ante copiam dictus. Sap. lio ait:Veftri autem & cepilli capitis omnes nume- chartarum
Antiqui carmina deſcribebant. Scire Matth.10 jo ratifunt. Sic creatura Dei
conſtituta eſt in men- autem debemus, ſicut Varro dicit, utilitatis ali ſura;
ficut ipfe in Evangelio teſtatur: Quis an- cujus caufà omnium artium extitiſie
principia. Matth. tem veftrum cogitans poteft adjicere ad ftaturam Ars verò
dicta eft, quòd nos fuis regulisarctet Unie ars Plal. Prov. Ca Deus on - nes creats n. do creat1471 dieta. Liberalium Litterarum.
559 rints compoſuit. malis voce. our atque conſtringat. Alii dicunt à Græcis
hoc trà- Finis verò elimatæ locutionis vel ſcripturæ, in ctum eſſe vocabuluin,
amo tús agerős, id eſt, à culpabili placere peritia. virtute doctrinæ, quam
diferti yiri uniuſcujul Sed quamvis Auctores ſuperioruin temporum QuideGram que
bonæ rei ſcienriam vocant. de arte Grammatica ordine diverſo tractaverint,
matica orne tiùs ſcriple Secundò de arte Rhetorica, quæ propter nito- fuiſque
ſæculis honoris decushabuerint,ut Palæ rem ac copiain eloquentiæ ſuæ, maxiniè
in civi- mon, Phocas, Probus; & Cenſorinus: nobis ta Libus quæſtionibus,
neceſſaria niinis, & hono- men placet in medium Donatum deducere, qui
rabilis æſtiinatur. & pueris ſpecialiter aprus, & tironibus probatur
Tertiò de Logica, quæ Dialectica nuncupa- accomınodus, Cujus gemina coinmenta
reliqui-- Gemina com tur. Hæc, quantùm Magiſtri ſæ. ulares dicunt, mus, ut
ſupra quòd ipfe * planus eſt, fiat clarior menta in ar diſputatdivina UPERIOR
liber, Domino præſtan- fuam cubitum unum? Item IſaiasPropheta dicit: 16.40.1:.,
S | licet divinarum continet lectionum manu. Rurſus creatura Dei probatur facta
ſub comprebējus. hic triginta tribu's titulis noſcitur pondere;ſicut ait in
Proverbiis Salomon: Ei li. coinprehenſus. Qui numerus ætati Dominice brabat
fontesaquarum; & paulo poft: Quando probatur accommodus, quando mundo
peccatis appendebar fundamenta terra, cum eo eram. mortuo æternam vitam
præſtitit, & præmia cre- Quapropter opere Dei fingularizato, magnifi Hic
liber ſce- dentibus ſine fine concellit. Nunctempus eſt, cæ res neceſſariâ
definitioneconcluſæ ſuntut; fi cularium le- ut aliis ſeptein titulis ſæcularium
lectionum præ- cut eum omnia condidiffe credimus: ita & quem ſentis
libritextuin percurrere debeamus; qui ta- admodun facta ſunt,
aliquatenusdiſcerenus. lis abfolue men calculus per ſeptiinanas fibimet
ſuccedentes Unde datur intelligi mala opera diaboli nec Opera diabolt tur,
& cur in ſe continue revolutus, uſque ad totius orbis pondere, nec menfura,
nec numero cortineri: nec pondere, finem ſemper extenditur. quoniam quicquid
agit iniquitas, juſtitie ſein Defeptenario Sciendum eft plane, quoniam
frequenter quic- per adverſum eſt; ſicut & tertius deciinus Pſalmus
continentur. numero, quid continuam atqueperpetuum Scriptura fan- meminit,
dicens: Contritio, ú infelicitas in viis Pfal.
quid feript.o. ita vultintelligi, fub iſto numero comprehendit; corum, á
viam pacis non cognoverunt: non eſt ia Super cum ficut dicit David: Septies in
dielaudem dixitibi; timor Dei anteoculos eorum. Ifaias quoque dicit:
intel'iyat. Plal. cùm tamen alibi profiteatur: Benedicam Domi- Dereliquerunt
Deuin Sabaoth, & ambulaverunt numin omni tempore: femper lausejus in ore
meo. per vias diſtortas. Revera mirabilis, & fummè Et Salomon: Sapientia
edificavit fibi domum, ſapiens Deus, qui omnes creaturas ſuas ſingulari excidit
columnas feptem. In Exodo quoque dixit moderatione diſtinxit: ne aliquid
eorumfæda fingulari Doininus ad Moyſen: Facies lucernas ſeptem, & confuſio
pollideret. Unde Pater Auguſtinus in deratione dio Exod.pones easſuper
candelabrum, ut luceant ex adver- libro 4. de Geneli ad litterain minatifinè
difpu- ftinxerit? Apocal. fo. Quem
numerum Apocalypfis in diverfis re tavit. bus omnino commeinorat; qui tamen
calculus Modd jamſecundi voluminis intremus initia, adillud nos æternum tempus
trahit,quod non po- quæ paulò diligentiùs audiamus; * Intentus no- *Hicincipiño
teſt habere defectú. Meritò ergo ibi femper com- bis elt de arte Grammatica,
tive Rhetorica, vel MSS. codd. memoratur, ubi perpetuum tempus oftenditur. de
diſciplinis aliqua breviter velle confcribere; Arithmetita Sic Arithmetica
diſciplina dotata eſt, quando quarum rerum principia neceffe eft nos inchoa
dotata,quan rerum Opifex Deus diſpoſitiones ſuas ſub nume- re; dicenduinque
prius eft de arte Grammatica; Dei ſub nu xi, ponderis, & menfuræ quantitate
conſtituits quæ eft videlicet origo & fundamentuin Libera mern, ponle-
ſicut ait Salomon; Omnia in numero, menfura, lium litterarum. re our menu- c
pondere feciſti. Creatura ſiquidem Dei ſic nu Liber autein dictus eſt à libro,
id eſt, arboris Liber unde ra ft24. micro facta cognoſcitur, quando ipfe in
Evange- cortice dempto atque liberato, ubi ante copiam dictus. Sap. 11. 21. lio ait:Veftri autem & cepilli capitis omnes nume-
chartarum Antiqui carmina deſcribebant. Scire Matth.10 jo ratifunt. Sic
creatura Dei conſtituta eſt in men- autem debemus, ſicut Varro dicit,
utilitatis ali ſura; ficut ipfe in Evangelio teſtatur: Quis an- cujus caufà
omnium artium extitiſie principia. Matth.tem veftrum cogitans poteft adjicere
ad ftaturam Ars verò dicta eft, quòd nos fuis regulisarctet Unie ars Plal. Prov. Ca Deus on - nes creatsT45 11. 12. n. do creat1471 dieta.
Liberalium Litterarum.rints compoſuit. malis voce. our atque conſtringat. Alii
dicunt à Græcis hoc trà- Finis verò elimatæ locutionis vel scripturæ, in ctum esse
vocabuluin, amo tús agerős, id est, à culpabili placere peritia. virtute
doctrinæ, quam diferti yiri uniuſcujul Sed quamvis auctores superioruin
temporum QuideGram que bonæ rei scienriam vocant. de arte Grammatica [FILOSOFICA]
ordine diverso tractaverint, matica orne tiùs scriple Secundò DE ARTE RHETORICA,
quæ propter nito- fuisque sæculis honoris decus habuerint, ut Palæ rem ac
copiain ELOQUENTIAE suæ, maxiniè in civi- mon, Phocas, PROBO; & CENSORINOs:
nobis ta Libus quæstionibus, necessaria niinis, & hono- men placet in
medium DONATO deducere, qui rabilis æſtiinatur. & pueris specialiter aprus,
& tironibus probatur Tertiò de Logica, quæ DIALECTICA nuncupa- accomınodus,
cuius gemina coinmenta reliqui-- Gemina com tur. Hæc, quantùm Magistri sæ.
ulares dicunt, mus, u t supra quòd ipfe * planus eſt, fiat clarior menta
in ar disputationibus subtilissimis ac brevibus vera se- dupliciter explanatus.
Sed et sanctum Augufti- tes DONATO queſtrat à fallis. num propter fimplicitatem
fratrum breviter in- B. Quarto de Mathematica, quæ quatuor comstruendain,
aliqua de codem titulo scripsisse re- *MS.Sanger. plectitur diſciplinas, id
eſt, Arithmeticam,Geo- perimus, qux vobis le titanda reliquimus: ne Lasinus.
metricam, Musica in, & Astronomnicain. Qua in quid rudibus
deeſſe videatur, qui ad tantæ ſcien Che Mathe. Mathematicam LATINO ferinone
doctrinalem diæ culmina præparantur. maticado tri possumus appellare; quo
nomine licet omnia doctrinalia dicere valeamus, quæcumque docent: DONATO igitur
in secundit purte ita disceptat. hæc libi tamen commune vocabulum propter suam
excellentiam propriè vindicavit; ut Poeta De Voce Articulata. dictus,
intclligitur VIRGILIO: Orator enuntia De Littera. tus, advertitur CICERONE;
quamvis multi & Poëtæ, De Syllaba. &Oratores IN LINGUA LATINA esse
doceantur; quod De Pedibus. etiam de Homero, atque Demosthene Græcia fa De
Accentibus. cunda concelebratı Dc Pofituris, ſeu Distinctionibus. Quid fit Ma
Mathematica verò est scientia, quæ abſtra Et iterum DE PARTIBVS ORATIONIS P
octo thematica? ctam conſiderat quantitatem. Abstracta eniin De Schematibus.
quantitas dicitur, quam intellectu â materia fe De ETYMOLOGIAE parantes, vel ab
aliis accidentibus, solâ ratio De Orthographia. cinatione tractamus. Sic totius
voluminis ordo Ed. ado. quasi quodam vade promiffus est. VOX ARTICVLATA est aër
percuſſus, sensibilis au- Quid sit VOX Nunc quemadmodum pollicitafunt, per
dividitu, quantum in ipso est. ARTICVLATI. Duplex
dif- fiones definitioneſque ſuas, Domino juvante, LITTERA est pars ininima VOCIS
ARTIVCLATAE. Quid Littera. cendi genius. reddamus: quia duplex quodammodo
diſcendi SYLLABA est comprehensio litterarum vel unius Qwid Syd genus eſt quando
& lincalis deſcriptio imbuit vocalis enuntiatio, temporum capax. Ed. pol.
diligenter aſpectum, & per aurium præparatum Pes; eſt syllabarum et
temporum certa dinu- Quid pes. intrat auditum. Nec illud quoque tacebimus,
meratio. quibus auctoribus tain LATINIS, Accentus, est vicio carens vocis
artificiosa pro- Quid Accen quæ dicimus, exposita claruerunt ut; qui studio-
nuntiatio. MSS.Reg. le legere voluerit, quibuſdam compendiis in POSITVRA, ſive
distinctio, est moderatæ pronun- Quid positu Sang. competentiis. tiationis apta
repausatio. troductus, lacidiùs Majorum di& ta percipiat, PARTES autem
ORATIONIS SUNT VIII. I Nomen II Pronomen III Verbuin IV Adverbium V Participium,
tionis funs VI Conjunctio VII Præpofitio VIII Interjectio. Nomen est pars
orationis cum casu, corpus Quid fis non aut rem propriècommuniterve fignificans;
pro- men. Caput.
I. De Grammatica: priè, ut Roma, Tiberis: cominuniter, ut urbs, 2. De
Rhetorica. Huvius, 3. De Dialectica; PRONOMEN eſt pars orationis, quæ pro nomi-
Quid Pronta 4. De Arithmetica: ne pofita, tantuindem pene ſignificat, perſo S.
De Muſica, namque interdum recipit. 6. De Geometria.
Verbum, eſt pars orationis cum tempore & Quid verbi. 7. De Aſtronomia:
perſona fine caſu. ADVERBVIVM eft pars orationis, quæ adjecta Quid Adverbo, SIGNIFICATIONEM
EIVS explanat atque iin- bium. pler; ut, jam faciam, vel non fáciam. INSTITUTIO
DE ARTE GRAMMATICA PARTICIPIVM est pars orationis, dicta qudd par- Quid Parti
tem capiat nominis, partemque verbi; recipit cipium. Unde Grama maticanomen
GKRammatica à litteris nomen accepit, ficuè enim ànomine genera & cafus, à
verbo tempo vocabuli ipfius derivatus sonus ostendit; ra & SIGNIFICATIONES,
ab utroque numeros & fi acceperit? quas primus omnium Cadınus ſexdecim
tantum guras. legitur inveniſſe, eaſque Græcis ſtudioſiſſimis CONJUNCTIO est
pars orationis annectens, ordi. Qyid com tradens, reliquas ipsi VIVICITATE
ANIMI suppleve- nanfque sententiam. junctio. De quarum formulis atque
virtutibus, PRAEPOSITIO est pars orationis, quæ præpofira Quid Præpo Helenus,
atque Priſcianus ſubtiliter Attico ſer- aliis partibus orationis, SIGNIFICATIONEM
EARUM Juio. Quidfit Gra mone locuti ſunt. Grammatica verò, est peritia aut
inutat, aut complet, autminuit. * MSS. Au- pulchrè loquendi ex Poëtis
illuſtribus, * Orato INTERJECTIO EST PARS ORATIONIS SIGNIFICANS MENTIS Quid
inter Etoribus, ribuſque collecta. Officium eius est fine vitio affectuin voce
incondità. ječtio. dictionem proſalem metricamque componere: Schemata, sunt transformationes
fermonum Quid Sche ba. ra. Partes ora octo. 5 $ 1 men. runt. marica? mata. B.
de Inſtitutione Quid Ortha les, vel fententiaruin, ornatus causâ policæ; quæ à
dis:interdami, ut folers,iners. quodam Arti grapho nomine Sacerdote collecta,
In plurali quoque, excepto genitivo e accusa fiunt numero nonaginta VIII: ita
tamen, ut qux rivo, omnibuscalibus similiter declinantur.Nam à DONATO inter
vitia polita ſunt, in ipso numero quædam in uin genitivo, accuſativo in es
exeunt, collecta claudantur. Quod & mihi quoque du- ut Mars, ars: quædam in
ium -- ut “sapiens”, “patiens”, ruin videtur vitia dicere, quæ auctorum
exemplis, & ob hoc accusativi eorum in eis excunt. Plera & maxiinè
legis divinæ auctoritate firmantur. que aurein ex his nomina III generibus com
Hæc Grammaticis Oratoribusque cominunia munia funt, & in licreram quam
habent, neutra funt: quæ tamen in utraque parte probabiliter in nominativo
plurali dant etiam genitivis reli reperiuntur aptata. quoruin generuin, cum
quibus coinmunia sunt. Addenduin eſt etiam de Eryinologiis, & Ortho In T
littera, NEUTRA tantùm nomina quædam, graphia, de quibus alius scripsisse certissimum
est. pauca finiuntur; ut git, quod non declinatur; Quid 'Etymo. Etymologia eſt
aut vera aut veriſimilis deinon- ut caput, ſinciput. Quidam cùm lac dicunt,
loysa. ftratio, declarans ex qua origine verba defcen- adjiciunti, propter quod
facit lactis: ſed VIRGILIO dant.
Orthographia eſt rectitudo fcribendi nullo er Lac mihi non æſtate novum,
non frigore defit. graphics. rore vitiata, quæ manum componit & linguam.
quippe cùm nulla apud nos nomina in duas mu Hæc breviter dicta fufficiant. tas
exeant, & ideo veteres lacte in nominativo Cæterùm qui ea voluerit lariùs
pleniùſque co dixerant, gnoſceye, cum præfarione ſua codicem legat, X littera
terminat quædam, in quibus omnia quem noſtra curiolitate formavimus, id eſt,
Ar- communia in iuin cxeunt in genitivo plurali; ob tem DONATO, cui de
Orthographia librum, & hoc. accuſativo in i & s. Plurima verò genitivo
alium de Etymologiis inferuimus, quartum quo- in u & in, non præcurrente i,
& ob hoc in e & s que de Schematibus Sacerdotis adjunximus;qua-
accuſativo exeunt; nam in reliquis conſentiunt. tenus diligens lector in uno
codice reperire pof- Ut pote cùın ſingulariter omnia nominativa & ſit,
quodarti Gramınaticæ deputatum effe co vocativa habeant genitivum ini & s,
agant da gnoſcit. tivum in i littera: ablativum in e vel i definiant, Nomen da
Sed quia continentia magis artis Grammaticæ adjectáque m accuſativum definiant
impleánt verbum tant dicta eft, curaviinus aliqua denominis verbique que:
pluraliter verò dativum ablativúmque in partes adje regulis pro parte ſubjicere,
quas rectè tantùm bus fyllaba finiunt. muis Ariſtote. Ariſtoteles orationis
partes adferuit. Nam de cæteris, quibus diſident Veteres, qui dam atrocum &
ferocum, qua ratione omnium x DE NOMINIBUS. littera finitorun una ſpecies
videbitur. Huic x litreræ omnes vocales præferuntur; ut capax, fru Nominis
partes ſunt. tex, pernix, atrox, redux. Ex iis nominibus quædam in nominativo
producuntur, quædain Qualitas, mocomm. corripiuntur: quædam conſentiunt in
noininati Comparatio, ouynpisisa vo, in obliquis diſſentiunr. Pax enim, &
rapax, Genus, item rex & pumex, item nux & lux, etiam pri Numerus, água
uo'so mam poſitionem variant ad nix & nutrix. Item Figura, oxaudio nox
& atrox ſic in prima politioneconſentiunt, Caſus, T @ SIS. urdiſcrepentper
obliquos. Et illud animadvertendum eſt, quædam ex iis x Pronominis partes:
litteram in g, quædam in c per declinationes compellere. Lex enimlegis, grex
gregis facit, Qualitas ut pix picis, nux nucis. Nain in his quæ non
ſunt Genus. monoysllaba, nunquam non “x” littera genitivo i Numerus. “c”
convertitur – ut: “frutex” “fruticis”; “ferox” > “ferocis”. Figura. Supellex
autem, e ſenex, & nix, privilegio quo Persona. dam contra rationem
declinantur: quoniam ſu CASVS. pellex duabus ſyllabis creſcit, quod vetat
ratio; & fenex ut in nominativo itein genitivo diffyllabus Græca nomina,
quæ apud nos in us; ut, manet, cùm omnia x litterâ terminata creſcant. vulgus,
pelagus, virus, Lucretius viri dicit; Et nix nec in cconvertitur, ut pix: nec
in gut quamquam rectiùs inflexum maneat. Secundæ rex: sed
in u conſonans, in vocalem tranſire non ſpecies funt, quæ PER OBLIQVOS CASVS creſcunt,
& poſſit. genitivo ſingulari in is litteras exeunt; ut, genus, In plurali
autem genitivo, ablativus singularis nemus: ex quibus quædam uine mutant; ut
olus formas vertit. Nam in a auto terminatus, in rum oleris, ulcus ulceris:
quædam in o, ut nemus exit; e correpta in um:producta, in rum: iter neinoris,
pecus pecoris. In dubitationem ve- minatus in uin. Dativus & ablativus
pluralis a. niunt fænus & ftercus in e, an in o inutent: in is exeunt &
in bus. Quæ præcepra in scholis quoniam quæ in nus syllabam finiunt, u in e mu-
ſunt tritiora: sed quotiens in is exeunt, longa tant; ut, vulnus, scelus, funus,
& funeratos syllaba terminantur: quotiesin bus, brevi. De dicimus.
Fænusenim exemplo non debet noce- curlis nominum regulis, æquuin eſt
confequenter re, cùin inter dubia genera ponatur. Item vete- adjicere canones
verborum primæ conjugatio res ſtercoratos agros dicebant, non ſterceratos. nis.
In S littera finita nomina, præcurrentibus n vel r, omnia ſunt uniusgeneris:
nili quæ ante ſe t habent, interdun d recipiunt, ut ſocors ſocor DE De
Grammatica. 561: Tempus zeovc. DE V ER BIS. ſyllaba, manente productione
terminantur; ut Commeo, commea, commeavi: Lanio, lania, Partes verbi funt.
laniavi: Satio, fatia, fatiavi. Eodem modo, codem tempore, fpecie
inchoativa,adjectâ ad im Qualitas, perativum modum in bam fyllaba terininantur;
CONUUGATIO. ut cominea commeabain, lania laniabam, æſtua Genus. æſtuabain. Prima
conjugatione, codem modo, Numerus. eodem tempore, specie recordativa, adjectis
ad Figura. IMPERATIVM MODVM veram ſyllabis, terminan Tempus. tur partes: ut
Commea commeaveram, lania, la Persona. 'niaveram, æſtua æſtuaveram. Priina
conjuga tione, codem modo, tempore futuro, adjecta Qualitas Verbi. ad
imperatiuum modun bo fyllaba, terminan rur --- ut “cominea” commeabo, lania
laniabo, æſtua Modi, # ſtuabo. Indicativi, ogesich. Quæveròindicativo modò,
tempore præſen Imperativi, προσακτική. tì, ad primam perfonam in o littera,
nulla alia OPTATIVI, ευκτική. præcedente vocali terminantur, ea indicativo
Conjunctivi, útotaxix. modo, tempore præterito, ſpecie abſoluta 80 Infinitivi,
atrapéu pet exacta, quatuor modis proferuntur. Et eſt primus, qui lunilem
regulam his babet. Genus Verbre Qui indicativo modo, tempore præſenti, prima
perſona penultiinam vocalem habet: ut Amo, Adiva, švępyutix.. ama, amavi,
amabam, amaveram, amabo, Pafliva, mee.Jotus amare, Communia, rond. Secundus eft,
qui o ini convertit ultimam in præterito perfecto,penultimam in pluſquàm per
fecto e corripit; ut Adjuvo, adjuvi, adjuveram. Tertius, qui fimilem quidem
regulaın habet Præſens, évesa's. primi modi, ſed detracta a littera deliungit;
ut Præteritum; ta zenauges Seco, ſecavi, ſecaveram, ſecabo, ſecare. Facit Futurun, uitwr. enim ſpecie abſoluta ſecui, & exacta ſecueram.
Imperfcerum, megatinad's. Quartus eſt, qui per geininationein fyllabae
Perfectum, Tee XÉCU. profertur; ut Sto, ſtá, kteci, fteterain, itabo Pluſquain
perfectam, impon TEARO'S. ftare. Huic ſimile Do, da, dedi, dabáin, dede
Infinitum; mogises. ram, dabo, dare, correpta littera a contra re-, gulain, in
eo quod eſt, dabam, dabo, dare. Proferuntur fecunda conjugationis verba, dente
vocali terminantur, vel præcante quæ indicativo modo, teinpore præſenti, perſo
vocali qualibet, formas habet quatuor. na prima, in eo litteris terminantur; ut
Video, Secundæ conjugationis correpræ verba verba,, for- vides vides; monco
monc mones. Secundæ conjugatio mas habent viginti. Sic quæcumque verba indi-
nis verba, indicativomodo, teinpore præſenti, cativo modo, tempore præfenti,
perſona primà, ad ſecundanı perſonam iu e littera producta,ter in o littera
terminantur, forinas habentſex,quæ ininantur; ut Video, vide; moneo, mone. Se
voces forınas habent duas. Quæ nulla præceden- cundæ conjugationis verba,
infinito inodo, ad te vocali in o littera terminantur, formas habent je &
ta ad imperativum modum re fyllaba, manen duodecim. te productione terminantur;
ut Vide, videre; Tertiæ conjugationis productæ verba, qua mone, monere. Secundæ
conjugationis verba, indicativo modo, tempore præſenti, perſona indicativo
modo, tempore præterito, {pecie ab prima in o littera terminantur, formas
habent ſoluta & exacta, ſeptem modis declinantur; & quinque. Quæcumque
autem verba cujuſcum- eft primus, qui forinain regulæ oſtendit.Nam for que
conjugationis indicativo modo, temporė mahæc eſt;cùm fecundæ conjugationis
verbum, præſenti, perfona prima, vel nulla præc dente
indicativomodo,temporepræterito quidem per vocali, vel qualibet alia præcedente,
in o littera fecto, adjecta ad iinpecalivun modum vi fyllaba, *terminantur,
corum declinatio hoc numero for- manente produđione. marum continetur. De
quibus fingulis dicam. Primæ conjugationis verba indicativo modo, tempore
præſenti, perſona prima, aut in o litte: ra nulla alia præcedente vocali
terminantur, ut DE ARTE RHETORICA, Canto io ut lanio,,. Rrium aliæ ſuntpofitæ
in Artes in tres Primæ conjugationis verba iinperativo modo, temporepræſenti ad
ſecundam perſonain in a lit- lis eſt Aſtrologia: nullum exigens actum, ſed ipſo
duntur. tera producta terminantur;ut amo, ama: canto, rei, cujus ſtudium habet,
intellectu contenta, canta: infinito modo ad imperatiuum modum, quæ Geargintzün
vocatur. Alia in agendo, cujus in in re fyllaba,manente productione terminantur;
hoc finis eſt, ut ipſo actu perficiatur, nihilque ut aina, amare: canta,
cantare. Item prima con- poſt actum operisrelinquat, quæ peakmix dici jugatio,
quæindicativo modo, tempore præte- tur, qualis ſaltatio eſt.Alia in effectu,quæ
operis, rito, ſpecie abſoluta, adjectâ ad imperatiuun yi quod oculis fubiicitur
confummatione, finein Bbbb V. ib, uclanio,fatio:autuo,uræſtuo,continuo A
evognizione peltimatione rerum,quas partes divina B. ea 1 tor. Etanda, accipiunt, quam nontoxù
appellamus, qualis eſt cauſam, locum, tempus, inftramentum, occa pictura.
fionemnarratione delibabiinus. Multæ ſæpe in Orationis duo Duo funt Genera
orationis: altera pespetua, una cauſa ſunt narrationes. Non femper co ordi
fuigenera. quæ Rhetorica dicitur: alteraconciſa, quæ Dia- ne narrandum, quo res
geſta eſt. Enthumous fit tectica; quas quidem Zeno adeo conjunxit, ut ad
augmentum vel invidiæ, vel miſerationis, vel hanc compreſlæ in pugnum manus,
illam expli- in adverfis. Initium narrationis à perſona fier, & catæ
fimilean dixerit. ſi noſtra elt, ornetur: fi aliena, infametur. Et Initiam di
Initia dicendidedit natura: initium artis ob- hæc cum ſuis accidentibus
ponitur. Finis narra cendi dedit fervatio. Homines enim ficur in Medicina, cum
tionis fit, cùın eò perducitur expofitio, unde natura,ini- viderent alia
falubrià, alia inſalubria ex obſerva- quæſtio oriatur. sium artis ob. tione
eoruin effccerunt arrein. feruatio. Facultas orandi confunmatur naturâ, arte,
De Egreſionibus Pacultas orandi tribus exercitatione; cui partein quartam
adjiciunt qui cofummatur. dam imitationem, quam nosarti ſubjicimus. Egreſſus
eſt, vel egrelfio, hoc eſt, méx6a95, Tria debet Tria funt quæ præltare debet
Orator; ut do- cum intermiffà parum re propofitâ, quiddain in præftare Ora-
ceat, moveat, delecter. Hæc enim clarior divi- terſeritur delectationis
utilitatiſve gratiâ. Sed fio eft, quàm eorum qui totum opus:in res, & ir hæ
ſunt plures, quiæ pertotam cauſam varios ex affectus partiuntur, curſus habent;
ut laus hoininum locorumque; Invadendo In fuadendo ac diſſuadendo rrja primùm
fpe- ut defcriptio regionum, expoſitio quarundam fodiſficaden- ctanda ſunt;
quid ſit de quo deliberetur: qui lint rerum geſtarum, vel etiam fabulofarum. do
triape- qui deliberent: quis ſit quifuadeat rem, dequa Sed indignatio,
miſeratio, invidia, convi elintpar. deliberatur. Omnisdeliberatio de dubiis
fit. Partium, excuſario, conciliatio, maledictorum re "tes fuadendi. tes
ſuadendi ſunt honeftum, utile, neceſſarium. futatio, & fimilia:omnis
amplificatio, minutio, Quidam, ut Quintilianus, furetor; hoc eſt,pofli- omnis
affectus, genusdeluxuria, de avaritia, re bile, approbat. ligione, officiis
cuin ſuis argumentis ſubjecta ſi milium rerum, quia cohærent, egredi non viden
Ware Procemiam à Græcis dicitur. tur. Areopagitæ damnaverunt puerum, corni cum
oculos eruentem; qui putantur nihil aliud Clarè partem hanc ante ingreffum rei,
de qua judicaffe, quàm id lignum effe pernicioſiflima diccndum fit,oftendunt.Nain
livepropterea quod mentis, multiſque malo futuræ li adoleviſſet. brun cantus
elt, & Citharædi pauca illa, quæ an tequam legitimum certamen inchoent,
emerendi De Credibilibus favoris gratia canunt, Proæmium cognomina runt.
Oratores quoque ea, quæ priuſquam cau Credibilium tria funt genera: ünum
Grmiſti- Tria ſunt ore. fain exordiantur, ad conciliandos libi judicun muni,
quia ferè ſemper accidit; ut, liberos à pa aninospræloquuntur, Procinii
appellationc fi- rentibus amari. gnarunt. Sive quod Græci viam appellant
Alterum velut propenſius, eum qui rectè va id, quod ante ingrekun reiponitur,
fic vocari leat, in craſtinum perventurum. Dikfit Proa- eft inſtituruin. Caufa
Proæmii hæc eſt, ut audiro Tertium tantum non repugnans; ab eo in dong mii
carla. rem, quò fit nobis in cæteris partibusaccommo- furtum factum, qui domui
fuit. datior, præparemus. Id fit tribus modis, li be nevolum, atrencum,
docilemque feceris; & in Argumenta unde ducantur. reliquis partibus haud
minus, præcipuè tamen in initiis neceſſe eſt animos judicum præparare. Ducuntur
argumenta à perſonis, cauſis, tem pore; cujus tres partes ſunt, præcedens,
conjun Quid differt Proæmium ab Epilogo. ctum, inſequens. Si agimus, noſtra
confirmana da ſunt priùs; tum ea, quæ noftris opponuntur, Quidam putarunt quòd
inPræmio præterita, refutanda. Si reſpondemus; ſæpiùs incipiendum in Epilogo
fucura dicantur. Quintilianus autem à refutatione. Locuples & fpeciofa
&imperio co quod in ingreffu parciùs & modeſtiùs præten- ſa vult eſſe
Eloquentia. tanda ſit judicis miſericordia: in Epilogo verò licear toros
effundere affectus, & ficam oratio De Concluſione nem induere perſonis,
& defunctos excitare, & pignora reorum perducere, quæ minus in
Concluſio,quæ peroratio dicitur, duplicem has concluſodomen proæmiis ſunt
uſitata. bet rationem; ponitur enim autin rebus, aut in plicem habet affectibus
rerum, repetitio & congregatio, que rationem. De Narratione. Græcè ávax!IO
HAURIS dicitur, à quibufdam La tinorum renumeratio dicitur, & memoriam au
Narratio aut torà pro nobis eſt, aut cora pro ditoris reficit, & totam
ſimul cauſam ponit an adverſariis, aut mixta ex utriſque. Si erit tota te
oculos; ut etiam ſi per ſingulos minus vale pro nobis, contenti ſimus his
tribus partibus, bant, turbâ moveantur: ita tamen ut breviret uc judex
intelligat, meminerit, credat, nec quic eorum capita curlimque tangantur. Sed
tunc fita quan reprehenſione dignum pPomba. ubi inultæ caufæ, vel
quæſtionesinferuntur; nam Notandum, ut quoties exitus rei ſatis oſtendit fi
brevis & fimplex eſt, noneft neceffaria. priora, debemus hoc eſſe contenti,
quò reliqua intelliguntur; fatius eſt narrationi aliquot fuper De Affectibus:
eſſe, quàm deeffe; nain ſupervacua cum rædio dicuntur: neceſſaria cum periculo
ſubtrahuntur. Affectuum duæ funt ſpecies, quas Græci affectuur Quæ probacione
tractaturi ſumus, perſonain, aj mrásos vocant, hoc eit, quafimores & affe-
dua ſung species, dibilium gito nera. 1 1 De Rhetoricà. Te. ventio. tio. tio.
114. us concitatos } & Teses quidem affectus con- & quæſtionem.Cauſa
eft res,quæ habet in ſe con citatos: " Jos veròmites atque compofiros; in
il- troverſiam in dicendo politam, perſonarum cer lis vehementesmotus, in his
lenes: & resos qui- tarum interpoſitione: quæſtio autem,eft res, quæ
demimperat, its perſuadet; hi ad perturbatio- habet in ſe controverſiam in
dicendo polítam, nem, illi ad benevolentiam prævalent. Et eſt line certarum
perfonarum interpofitione. Frágos temporale, ndos verò perpetuum; utra que ex
eadem natura: fed illud majus, hoc minus, ut amor esos, charitas » Sus; tados
con citat, isos fedat. Partes Rhetoricæ funt quinque. In
adverſos plus valet invidia,quàm convitium: quia invidia adverſarios,
convitiuin nos inviſos Inventio. facit. Nam ſunt quædam, quæfi ab imprudenti
Diſpoſitio. bus excidant, ſtulta ſant; cum ſimulamus, venuſta Elocurio Orator
vitio creduntur. Bonus altercator vitio iracundiæ ca Meinoria, iracundiæ ca-
reat; nullus enim rationi magis obftat affectus, & Pronuntiatio. reat;
& qua- fertextra cauſamplerumque, & defornia convi tia facere ac mereri
cogit, & nonnunquam in ipſos Inventio eft ex cogitatio rerum verarum aut ve.
Quid fitta judices incitatur; quoniam ſententiæ, verba, fi- riſinilium,quæ
cauſam probabilem reddunt. guræ, coloreſque funt occultiores quæſtiones in
Difpofitio eft rerum inventarun in ordinem Quid Diſposa genio, cura,
exercitatione. pulchra diftributio. Conjectura omnis, aut de re eſt, autde
animo. Elocutio eft idoneoruin verborum ad inventio Onid Eloc14 Utriuſque tria
teinpora ſunt, præteritum, pre- nein accommodata perceptio. ſens, &futuruin.
De re & generales quæſtiones Memoria eſt firma aniini rerum ac verborum
funt, & definitæ; id eft, & quæ non continentur, ad inventionem
perceptio. Quid Memo perſonis, & quæ continentúr. De animo quæri
Pronuntiatio eſt ex rerun & verborum dignita non poteſt, niſi ubi perſona
eſt; & de facto, cùm te, vocis &corporis decora moderatio. Quid Proing
nuntiatio. de re agitur, aut quid factum ſit in dubium venit, aut quid fiat,
aut quid futurum ſit, & reliqua fi De Generibus caufarum. unilia, De
Amphibologia. Genera cauſarum Rhetoricæ ſunt tria princi- General Cares palia.
Demonſtrativum, Deliberativum, Judi- Jarum Rheto Innsetabia Amphibologiæ
ſpecies ſunt innumerabiles, ciale: Ticefunttrica les lient Am. adeò ut FILOSOFI
quidam putent nullum effé Demonſtrativum & In laude phibologia verbum, quod
non plura ſignificet genera, aut oftentativum species admodum pauca; aut enim
vocibus fingulis ac- Eyxaurasino's In vituperatione cidiper ópw rupaar aut
conjunctis per ainbiguani Emdeuxtixò, conſtructionem, Quando fiat Vitiofa
oratio fit, cùm inter duo nominamè- Deliberativum & ſua In ſuaſione.
vitioſa oratio dium verbum ponitur. forium dicitur De oppofitio Oppoſitiones
& fi contrariæ non ſint, ſed dif- EupBBAEUTIKON In diſſualione niben.
fimiles: verumtamen li fuain figuram ſeryant, ſuntnihilomimus antitheta.. r In
accuſatione, & de Naturalis quæitio eſt, quæ eſt temporalis;fic Judiciale
fenſione cut cúm que ſunt per ordines temporum acta, acercón marrantur. Nunc ad
artis Rhetoricæ diviſiones În præmii penſione, & definitionofque veniamus;
quæ ficut extenſa at negatione que copiofa cft; ita à multis &claris
ſcriptoribus tractata dilatatur, Demonſtrativum genus eſt, cùm aliquid de- Quid
fit De monſtramus, in quo eſt laus & vituperatio,hoc monftrativi Onidfit
Rhetorica eſt, quando per hujuſinodidefcriptionem oſten- genus. dituraliquis,
atque cognoſcirur; ut pſalınús Rhetorica Rhetorica dicitur à copia deductæ
locutio-. &
alia vel loca vel pſalmi plurimi,ut:Domine unde dicta. 'nis influere. Ars
autein Rhetorica elt, fi- in calo miſericordia tua, &uſque adnubesveria cur
magiſtri tradunt fæculariuin Litterarum, tas tua. Iuſtitia tua ficutmontesDei,
& reliqua. bene dicendi ſcientia in civilibus quæſtionibus. Deliberativum
genus elt, in quo eſt ſualio de. Quid Delią Quid fit Ora Orator igitur eſt vir
bonus, dicendi peritus, ut diſſualio, hoc eft quid appetere, quid fugere,
berativos. zor, ju offi- dictum eſt in civilibus quæſtionibus. Oratoris
quiddocere, quid prohibere debeamus, citum,erfinis. autem officium eſt,
appolitè dicere ad perſuaden Judiciale genus elt, in quo eſtaccuſatio & de
Quid Fudia ciale. dum. Finis, perſuadere dictione, quatenus rex fenſio, vel
præmii penſio & negatio. ruin & perſonarum conditio videtur admittere
in civilibus quæſtionibus: unde nunc aliqua bre De Statibus. viter aſſumemus, ut
nonnullis partibus indicatis, penè totiusartis ipſius ſumınam virtutemque in
Status Græcè ça'os. Status cauſarum ſunt año Status
caufae telligere debeamus. rationales, aut legales. Status verò dicitur ea
bacionales, rum åut ſuns Civiles quæſtiones ſunt ſecundum Fortuna viles
quaftio- tianum Artigraphum novelluin, quæ in com; a Hæ funt quæſtiones an
huic, an cumhoc, an học Quid fit firas ant legales, nes, & quo modo divi
munem animi conceptionem poffunt cadere; id seinpore, an hac lege,an apud ipſum.
Quidquidpræter van duntur. iſtas quinque partes in oratione dicitur; egreſſio
eſt. eſt, quâ unuſquiſque poteftintelligere, cùm de Hæc nagex aois, quoniam à
reco dicendi itinere defc. æquo quæritur & bono. Dividuntur in
cauſam,: &itur quælibet inſerendo. Bbbb ij Quid fine ci B. Quidfit con Um.
res, in qua cauſa conſiſtit. Fit autem ex intentio ne & depulfione, vel
conftitutione. ab alio objicitur, ab adverſario pernegatur, Statum alii vocant
conftitutionem, alii qua 2. Finitivus ſtatus cſt, cùm id quod objicitur,
jocuralis fia. {tionen, alii quod ex quæſtione appareat. non hoc efle
contendimus: fed quid illud lit, ad hibitis definitionibus approbamus. Quid fam.si Status rationales ſecun Conje & ura. 3. Qualitas eft, cùm
qualis res lit, quæritur; dum generales quæſtio Finis. & quia de vi
& genere negotii controverſia elt, nes ſunt quatuor. Qualitas. conſtitutio
generalis vocatur. Tranſlatio. 1. Conjecturalis ſtatus eft, cùın factum, quod
Imprudentia (Purgatio Caſus. Concellio Juridicialis Absoluta Aut causæ,
Nixologian Remotio Aur facti. 3 criminis Negotialis aitam Cui juftè in aliocom
generalis Relatio mittitur, quia & ifle in GegyueTiku priva criminis te
fæpius commifin Αντίγκλημα.. Deprecatio Necessitas. Qualitas Comparatio Squando
melius id Αντίστασης. factum peragitur. 1 ſunt quinque ! с 12. 1 1 in Pſal. paz.
ratio, Juridicialis eft, in qua æqui &re &ti natura, Questas Ju. ſ
Scriptum& voluntas. riuscialis præmii & pænæ ratio quæritur. Porov ij
dienoido Quid Nego Negotialis eſt, in qua, quid juris ex civili mo Sätus
Legales Leges contrariæ, tizivs. re & æquitate lit, confideratur.
Ambiguitas. Αμφιβολία. Quid Abfo luta. Abſoluta eft, quæ ipfo in ſe continet
juris & Collectio, live Raciocinatio. injuriæ quæſtionem. Συλλογισμός purua
Raid Allium. 'Affumptiva eſt, quæ ipfa exſe nihil dat firmi, Definitio Legalisa.
aut recuſationem foris, aut aliquid defenfionis aſſumit. Scriptum &
voluntas eſt, quando verba ipſa quid.fcripti Quid con Conceſſio eſt, cum reus
non id quod factum eſt, videntur cum sententia ſcriptoris dillidere. &
voluniss. defendit: fed, ut ignofcatur, poftulat; quod nos Legis contrariæ
ſtatus eſt, quando inter fe duz Quid legis Comment. ad pænitentes* probavimus
pertinere. leges, aut pluresdiſcrepare videntur. contrarieta Remotio criminis
eft, cùm id crimen quod in Ambiguitas eſt, cùm id quod fcriptum eſt, tus,
169.1.09103. ferrur ab fe &ab ſua culpa, vi & poteftate in duas auc
plures res ſignificare videtur. Quid Ambi aligin reus dimovere conatur. guitas.
Collectio Quid Remo, quæ & Ratiocinatio nuncupatur, Quid Colle tio
criminis. Relatio criminis eſt, cùm ideo jure factum di- eſt quando ex eo quod
fcriptum eſt, invenitur, ft:0. Quid Relatio citur, quod aliquis ante injuriam
laceſſierit., Definitio legalis eſt, cum vis verbi quaſi de criminis. erid
Defini Comparatio eft, cùm aliud aliquod alterius finitivâ conſtitutione, in
qua pofita fit, quz- tio legalis. Quil Compa. factum honeſtum aut utile
contenditur, quod, ricur. ut fieret illud quod arguitur, dicitur eſſe com
Status ergo tam rationales quam legales à Statusà qui iniffum. quibuſdam decein
& octo connumerati ſunt. bullam 18. 2 Quid Purga Purgatio cft, cùm factum
quidem conceditur, Cæterum ſecundum Rhetoricos Tullii decem & Tullio verò
bes partenha- fedculparemovetur. Hæc partes habertres,Im- novem inveniuntur,
propterea qudd Tranſlatio- 19.numeran prudentiam, caſum, neceſſitatem.
Impruden- nem interRationales principaliter adfixit ftatus. tia eft, cùin
fciſfe fe aliquid is qui arguitur,negat. Unde feipfum eciam CICERONE (ſicut
ſuperiùs di Casus eſt, cum demonſtratur aliquam fortune &tum eſt )
reprehendens, Tranſlationem Legalia vim obſtitiffe voluntati. Neceſſitas eſt,
cùm vi bus ftatibus applicavit. quadam reus id quod fecerit, feciſſe ſe
dixerit. Quid ft De precatio. Deprecatio eſt, cùm & peccaffe, &
conſultò De Controverfia. peccaſſe reus conficetur; & tamen, ut ignoſca
Quid Trans- tur,poftulat.Quodgenus perraro poteft accidere. Omnis controverſia,
ſicut ait CICERONE, aut fim- Controverfis ex CICERONE lario. 4. Tranſlatio
dicitur, cùm caufa ex eo pendet, plex eſt, aut juncta, aut ex comparatione.
triplex eft. cùm non aut is agere videtur, quem oportet: aut Simplex eſt,
quæabſolutam continet unam Quid fit com non cum eo, quioportet: aut non apud
quos, quo quæſtionem, hoc modo: Corinthiis bellum indi- jeftura fim tempore,
qua lege, quo crimine, qua pæna cenus, án non. plex. oporteat. Tranſlationi
adjicitur Conſtitutio, Juncta, eſt ex pluribus quæſtionibus, in quòd actio tranſlationis
&commutationis indi- plura quæruntur hocpacto:Carthagodiruatur: Quid juncts.
an Carthaginienſibus reddatur, an eocolonia de Ubi adverſariis omnia
conceduntur, & per colas ducatur. lacrymas lupplices defenditur reus. Ex
comparatione, utrum potius, an quod po- Quid ex com paratione, a Et ſi juncta
erit conſiderandum erit, utrum ex plu ribus quæftionibus juncta fit, an ex
aliqua cóparatione. tur. H: gere videtur. 1 De Rhethorica. 565 > Exorarum.
rario, t11.0. tiſſimum quæritur ad hunc modum: utrum exer Exordium, eft oratio
animum auditoris ido Quit fis cituscontra Philippum in Macedoniam mittatur, neè
comparans ad reliquam dictionem. qui ſociis fit auxilio: an teneatur in Italia;
ut Narratio, eft reruin geftarum, aut at geſta- Quid Nar quàmmaximæ contra
Annibalem copiæ fint. rum expoſitio. Partitio eft, quæ fi re &tè habita
fuerit, illu- Quid Per, ftrem &perfpicaam roram efficit orationem.
Confirmatio eft, per quam argumentando no- Qrid Confir Genera cauſarumfunt
quinque. ftræ caufæ fidem, & authoritatem, & firinamen- mario. tum
adjungit oratio. Honeſtum. Reprehenfio eft per quam argumentando ad- Quid Repre
Admirabile. verſariorum confirmatio diluitur, aut elevarur. henfio. Humile.
Concluſio eſt exitus & determinatio totius exid con Anceps. orationis, ubi
interdum & Epilogorum allegatio cnfio. Obſcurum. flebilis adhibetur. Hæc
licer Cicero Latinæ eloquentiæ Lumen Duos libros Quid honefti Honeſtum caufæ
genus eft, cui ſtatim fine ora- eximium, per varia volumina copiosè ninis &
de Rethorica cauſæ genus. tione noftra favet auditoris aniinus. Admirabile
diligenter effuderit, & in arte Rhetorica duobus compoſuit ci Admirabile, à
quo quod eft pre eft alienatus animus eorum, libris videatur amplexus;
quorumCoinmenta à cero, quos M. VITTORINO ter opinio- qui audituri ſunt.
VITTORINO composita, in Bibliotheca mea commentatus num hominü Humile eft, quod
negligitur ab auditore ', & vobis reliquiffecognoſcor. eft. conftitutum.
nonmagnopere attendendum videtur. Quintilianus etiain
Doctor egregius, qui poſt Quintiliansis Quid Admi. rabile. Anceps in quo aut
judicatio dubia eft, aut Auvios Tullianos fingulariter valuit implere quæ
Doctor egre Quid Humile cauſa &honeſtatis & turpitudinis particeps, ut
docuit, virum bonum dicendi peritum à priinâ gius in Rhe. Qivid Anceps
benevolentiam pariật, &offenfionem. ætate fuſcipiens, per cunctas artes, ac
diſcipli- sorica doceka Puid'obfcs Obſcurum, in quo aut tardi auditores
funt,aut nas nobiliuin litterarum erudiendum eſſe mon difficilioribus ad
cognoſcendum negotiis cauſam ftravit. Libros autein duos CICERONE, de arte
implicata eft. Rhetorica, & Quintiliani duodeciin inſtitutio num !
judicavimus eſſe jungendos; ut nec codi cis'excrefceret magnitudo, &
utrique duin ne ceffarii fuerint, parati feinper occurrant. Partes orationis
Rhetoricæ funt fex. Fortunatianum verò Doctorem novellum, Fortunatik. qui
tribusvoluninibus de hac re ſubtiliter minu- nustria ro Exordium. tèque
tractavit; in pugillari codice Rhetorica Narratio. congruenterquc redegimus; ut
&faſtidiuin lecto confecis. Partitio. ri tollat, &quæ
ſuntneceffaria competenter in Confirmatio. ' finuet. Hunc legat qui brevitatis
amator eft, Reprehenfio. nam cum opus ſuum in multos libros non teten Concluſio,
five derit: plurima tamen acutiffimâ ratiocinatione Peroratio. diſſeruit.Quos
codices cum præfatione ſua in uno corpore reperietis eſſe collectos. da. tim
lumina de aptè lorfitan, Rhetorica Argumentatio fit. Illatio quæ r Propoſitio |
Aut per Inductio- ! nem cujusmembra &Affumptio funt hæc. dicitur. Concluſio
ina tayo Rhetorica Argu mentatio tracta tur. rEvdúcemus.Talo PEYSúumps, eſt
commentum, Convincibili. vel commentio ', hoc eſt | Oſtentabili. mentis
conceptio.Sententiabili. Exemplabili. Txer Suunne, qui eft imper- iCollectitio.
fectus fyllogylinus, atque Rethoricus, ficut Fortuna tianus dicit, in generibus
i explicatur. azódseçu eſt cer ta quædam argu menti concluſio vel ex confe
quentibus, vel repugnantibus. Aut perRatiocina tionem de Argu mentis, in quo no
mine complectun Atodict. tur, quæ Græci di cunt. Emxelamud too s Emreignus, eft
fententia cum fatione, Latinè dicitur Exe čutio, vel Approbatio, vel Argumentum
11.apemrbiem uc verò, qui eſt Aut Tripertitus. Rhetoricus & latior
fyllogyf: 3 AutQuadripercitus. Aut quinquepertitus. | mus eft. B. Unde Argu
titus. ductio. Mem2. cit. mêtatiodista. Argumentatio dicta eſt quaſi argutæ
mentis rici ſyllogiſmi, latitudinediſtanz& productione oratio. fermonis à
dialecticis fyllogiſmis, propter quod Quidfit Ar Argumentatio eſt enim oratio
ipſa, qua inven- Rhetoribus datur. gumentatio. tum probabiliter exequimur
argumentum. Tripertitus, epichirematicus fyllogiſmus eſt; Quid Triper Quid fit
In Inductio eft oratio,qua rebusnon dubiis capra- qui conſtat inembris tribus:
id eft, propoſitione, mus aſſenſionein ejus, cum quo inſtituta eſt,live
aſſumptione, concluſione. inter FILOSOFI, ſive interRhetores, five inter
Quadripertitus eſt, qui conſtatmembris qua- Quid Quz Seriocinantes. tuor:
propoſitione, affumptione, & una propo- dripernicus. Quid Probo Propoſitio
inductionis eſt,quæ fimilitudines fitionis live afſuinptionis conjuncta
probatione, fitio. concedendæ rei unius inducit, aut plurimaruin. &
conclufione. Quid illatio. Illatioinductioniseft, quæ & affumptio dicitur,
Quinquepertitus eſt,qui conſtat membris quin- Que de Marine quæ rem dequa
contenditur, & cujus cauſa ſimi- que:id eft,propoſitione,& probatione,
aſſum- quepertiim, litudines adhibitæ ſunt introducit. ptione, & ejus
probatione, & concluſione. Quid con Concluſio inductionis eſt, quæ aut
conceſſio. Hunc CICERONE ita facit in arte Rhetorica: Si de clulo. nem
illationis confirmat, aut quid ex ea confi- liberatio & deinonſtratio
genera ſunt cauſarum, ciatur, oftendit. non poffunt rectè partes alicujus
generis cauſa Qwid Ratio Ratiocinatio eft oratio, quâid de quo eft quæ- putari.
Eadem enim res, alii genus, alii pars effc cinatio. ítio comprobamus. poteft:
idem genus, & pars effe non poteſt, vel Quid Enthy Enthymema igitur eſt,
quod Latinè interpreta- cætera; quoufque fyllogiſini hujus meinbra clau cur
mentis conceptio, quam imperfectum fyllo- dantur. Sed videro quantum in aliis
partibus giſmum ſolent Artigraphi nuncupare. Nam in lecter ſuum exercere poſſit
ingenium. duabus partibus hæc argumentiforma conſiſtit: Memoratus aurein
Fortunatianus in tertio libro quando id quod ad fidein pertinet faciendam,
meminit de oratoris memoria, de pronuntiatio utitur fyllogiſmorum lege præterita;
ut eſt illud: ne, & voce, unde tainen Monachus cum aliqua Si tempeſtas
vitanda eſt, non eft igitur navigan- utilitate diſcedit: quando ad ſuas partes
non im dum. Exſola enim propoſitione & conclufione probè videtur attrahere,
quod illi ad exercendas conítat effe perfectum: unde magis oratoribus,
controverſias utiliter aptaverunt. Memoriam { i quàm dialecticis convenire
judicatum eſt. De quidem lectionis divinæ re cognita cautela ſerva dialecticis
autem ſyllogiſinisſuo loco dicemus. bit, cùm in ſupradicto libro ejus vim qualitatém
Quid con Convincibile eft,quod evidenti ratione * con- que cognoverit: artem
verò pronuntiationis in*AIS.convin. vincitur;ſicut fecit CICERONE pro Milone.
Ejusigi- divinæ legis effatione concipiet. Vocis autem di tur mortis ſedetis
ultores, cujus vitain, li * pPombais ligentiam in pſalmodiæ decantatione
cuſtodiet. * Ed. poſetis. per vosreſtitui poſſe, noletis. Sic inſtructus in
opere ſancto redditur, quamvis Quid Ofien Oſtentabile eft, quod certa
reidemonſtratione libris ſæcularibus occupetur. rabile. conſtringit; ſic CICERONE
in Catilinam: Hic ramen Nunc ad Logicam, quæ & DIALECTICA dicitur, vivit,
imò etiam in Senatuin venit. ſequenti ordine veniamus, quam quidam diſci Quid
Senten tiabile. Sententiale est, quod SENTENTIA generalis addi- plinain, quidam
artem appellare maluerunt, di cit; ut apud Terentiun: Obſequium amicos,ve
centes: quando apodicticis,id eſt, probabili ritas odium parit. bus
diſputationibus aliquid diſſerit, diſciplina Quid Exem plabile. Exemplabile elt,
quod alicujus exempli com- debeat nuncupari: quando verò aliquid verilimi M. G.
ini. paratione eventum fimilem comminatur; ſicut le tractat, ut ſunt
ſyllogiſini ſophiſtici, nomen Cicero in Philippicisdicit:Temiror,Antoni,quo-
artis accipiat. Ita utrumque vocabulum pro ar *M.G. per- rum facta * imitere,
eoruin exitus, non * per- gumentionis ſuæ qualitate promeretur. timefcere,
horrefcere. Quid Colle Collectivum eſt, cùm in unum, quæ argumentata funt,
colliguntur; ſicut ait CICERONE pro Milone: Quem igitur cum gratia noluit, hunc
voluit De Dialectica cuin aliquorum querela, quemjure, quem loco, quem
temporemoneftaulus: hunc injuria,alie- DIALECTICAM primi FILOSOFI
indi&ionum no cum periculo non dubitavit occidere. runt: non tamch ad artis
redegereperitiam. Post Ed. destris Præterea secundum VITTORINO ENTHYMEMATIS quos
Aristoteles -- ut fuit disciplinarum omniun altera eft definitio. Ex fola
propoſitione, ſicutjam diligens inquiſitor, ad regulas quasdam hujus Aristoseler
dictum est, ita constat ENTHYMEMA -- ut est illud: doctrinæ argumenta perduxit,
quæ priùs ſub cer- DIALECTICE Si tempestas vitanda est, non est navigatio
requitis præceptionibus non fuerunt. Hic libros fa- argumenta ad regulas renda.
Ex fola assumptione s ut est illud: Sunt ciens exquisitos, Græcorum scholam
multiplici quafdamper autem qui munduin dicant fine divina administra- laude
decoravit; quem noftri non perferentes duris. tione discurrere. Ex fola concluſione
-- ut est il- diutiùs alienum, translatum expofitúmque Ro DIALECTICAM lud: Vera
est igitur divina sententia. Ex pro- manæ ELOQUENTIAE contulerunt. DIALECTICAM verò,
*MS. fcick poſitione & assumptione -- ut est illud: Si inimicus
&Rhetoricam VARRONE in nove;n disciplinarú libris canin move est, occidit.
Inimicus autem eſt: & quia illi deelt tali funilitudine definivit.
DIALECTICA & Rhetori- libris Vaira. conclufio, ENTHYMEMA vocatur. Sequitur
Epi- ca est, quod in manu hominis pugnus ad strictus, definivit. chirema. &
palma diſtenſa: illa brevi oratione argumenta Quid Epic EPICHIEREMA est, quod superiùs
diximus, dels concludens, ista facundiæ campos copioso fer chirema. cendens de
ratiocinatione latior excurfio Rheto- mone discurrens: illa verba contrahens, ista
di Itendens. Et ARGVMENTVM est ARGVTAE MENTIS IVDICIA QVOD PER INDAGATIONES
PROBABILES, rei dubiæ perficitfidem, per Rhetorica ad illa, quæ nititur docenda,
facun- pomaleticom DIALECTICA fiquidem ad differendas res acutior: Que fic disse
exempla confirmans -- ut est: Noliæinulari in malignan tibus: quoniam tanquain
fænum, &c. dior. Illa ad scholas non numquam venit, iſta ju. & Rhetori
saris. Zivim. & Rhetoria 64m. DE
DIALECTICA son quenter. girer procedit
in forum: illa requirit rariſſimos & noftræ diſpoſitionis curràtintentio.
Conſue * MSS.fre- ftudiofos, hæc * frequentes populos. Sed priul- tudo iraque
eft doctoribus philoſophiæ, ante quam de fyllogiſmis dicamus, ubi totius Diale-
quam ad Iſagogen veniant exponendam, divis dicæ utilitas &
virtusoſtenditur, oporter de ejus lionem philoſophiše paucis attingere:quam nos
initiis, quaſi quibuſdam elementis, pauca diffe- quoque ſervantes; præſenti
tempore non immer cere; ut ficut eſt à Majoribus diſtinctus ordo, ita ritò
credimus intiinandain, Philofophiæ divifio. In Inſpectivam,
TIXMT, hæc dividitur in In Naturalem. | Doctrinalem, hæc (In Arithmeticam
dividitur Muficam. Geometricain. Divinain. Aftronomicain Diviſt thing Lofophiæ.
Philoſophia divi ditur fecundum Ariftotelem. Moralem. | Sirir. Er Actualeta
Ciſpenſativa, Φρακτικών PorxorowyXXV. hæc dividitur in Civilem. ίπολιτική » ACETA! oixorouexin. weg.Xti xh. νομοθεπκό., thesxor. Sewertexn.. φυσική. Definitiò Philos
fophiæ. megatoxin. resnio intoxin. 23 Quid 1 3. Dirogoera oroimene Occs Kated
to duratór ávöçóórw. plina quæ curſus cæleftium, fiderumque figuras homophine
en Philoſophia eft divinaruin, humanarùmque re contemplatur omnes,
&habitudines ftellaruni quotuplex. rum, inquantum homini poſſibile eſt,
probabilis circa ſe; & circa terram, indagabili ratione per Ycientia:
Aliter,Philoſophia eſt ars artiuni, & dif- currit. Actualis dicitur, quæ
res propoſitas ope ciplina diſciplinarum.Rucſus, Philoſophia eſtme, rationibus
ſuis explicare contendit. Moralis di ditatio mortis,quod magis convenit
Chriſtianis, citur, per quam mos vivendihoneſtus appetitur; 2.Corint. 16. qui
ſæculi ambitione calcata, converſatione dif- & inſtitura ad virtutem
tendentia præparantur. ciplinabili, fimilitudine futuræ patriæ vivunt;
Diſpenſativa dicitur, domeſticaruin reruin fa Philip. 3. 20. Sícut
dicitApoftolus: In carne enim ambulantes, pienter ordo diſpoſitus. Civilis
dicitur, per quàm non ſecundum carnem militamus; & alibi: Con- totius
civitatis adminiſtrarur utilitas. Philoſo verſatio noftra in calis eft.
Philofophia eſt affimi- phiæ diviſionibus definitionibúſque tractatis, in lari
Deo ſecundum quod poflibile eft homini. quibus generaliter omnia continentur,
nunc ad Inſpectiva dicitur,qua ſupergreſſi vilbilia de di- Porphyrii librum,
qui Iſagoge inſcribitur, acce vinis aliquid & cæleſtibus contemplamur,
eáque damus. mente foluinmodo contuernur, quantum corpo De Iſagoge Porphyrii.
reum ſupergrediuntur aſpectum. Naturalis dici tur,ubiuniuſenjufque rei
natura diſcutitur: quia de Genere. Dávc. nihilcontra'naturain generaturin vita:
ſed unun | de Specie. tidos. quodque hisufibus deputatur, in quibus à Crea-
llagoģe Por de Differentia. Depoeg tore productú eit: nifi fortè cum voluntate
divina phyrii tractat de Proprio. ibor aliquod miraculuin
proveniremonſtrerur.Doctii i de Accidente, συμβεβηκός. *MSS. figni- nalis
dicitur ſcientia, quæ abſtractam * conſiderat ficar. quantitatem. Abſtracta
eniin quantitas dicitur, Genus eft ad fpecies pertinens, quod de diffe- Quid
fit Ge quam intellectu àmateria ſeparantes,vel ab aliis rentibus fpecie, in co
quod quid ſit, prædicatur; nun accidentibus; ut eſt, par, impar: vel alia
hujuſce ut animal. Per ſingulas enim fpecies, id eft, modi in ſola
ratiocinatione rractainus. Divinalis hominis, equi, bovis, &
cæterorun,genus anis dicitur, quando aụt ineffabilem naturam divi- mal
prædicarur atque ſignificatur, nam, aut ſpirituales creaturas ex aliqua parte,
Species eſt, quod de pluribus & differentibii's Quid fit Spo profundifſimâ
qualitate differimus. Arithinerican numero, in eo quod quid fit, prædicatur;
nam cies, eſt diſciplina quantitatis numerabilis ſecundum de Socrate, Platóne,
& Cicerone homo prædi ſe. Muſica, eſt diſciplina quæ de numeris loqui-
catur. tur, quiad aliquid ſunt his, qui inveniuntur in Differentia eſt, quod de
plaribus & differen » Quid fit Dif". ſonis. Geometrica, elt diſciplina
magnitudinis tibus ſpecie,in eo quod quale ſit,prædicatur; ſicuc erensia,
immobilis,&formarum. Aftronoinia,eſt diſci- rationale & inortale,in
eoquodquale ſit, dc ho- f mine prædicatur, B. € lcens. men. atque bos. Tulum,
Quid fit Pro Proprium eſt, quod unaquæque ſpecies, vel Hoc opus Ariſtotelis
intentè legendum eſt, cur Carego prium. perſona certo additamento infignitur,
&ab om- quando ficut dictum eſt; quicquid hoino loqui- rie Ariftotelis ni
communione feparatur. tur, inter decem ifta Prædicamenta inevitabili, intentè
les erid fut Ac. gende. Accidens eſt, quod accidit & recedit præter ter
invenitur: proficit etiam ad libros intelligen ſubjecti corruptionem: vel ea
quæ fic accidunt, dos, qui live Rhetoribus, fivc Dialecticis appli ut penitus
non recedant. Hæc qui pleniùs noſſe cantur. deliderant, Introductionem legant
Porphyrii; * £ d.alicujus quilicetad utilitatein * alieni operis ſedicatſcri
Incipitperi hermenias, id eft, de inter bere, non tamen ſine propria laude
viſus eſt talia pretatione. dicta futinafle. Sequitur liber peri hermenias
ſubtiliſimus rii Categorie Ariſtotelis. mis, & per varias formas,
iterationéfque cautif ſimus, de quo dictuin eſt: Ariſtoteles, quando Sequuntur
Categorix Ariſtotelis, ſive Prædi- librum peri herinenias ſcriptitabat, calamum
in camenta: quibus mirum in modum per varias fi- mente tingebat.
gnificantiasomnis fermo concluſuseſt: quorum De nomine. organa ſive
inftruinenta ſunt tria. De verbo. Inftrumenta Organa vel inſtrumenta
Categoriaruin five In libro peri hermenias; De oratione, drogoriarum (rent tria,
/ci Prædicamentorum funtæquivoca, univoca, de- id eft, de interpretatio De
enunciatione. licet. nominativa. ne, prædictus philofo De affirmatione.
Æquivoca. ÆQVIVOCA dicuntur, quorú noinen folùm com- phusdehis tractat. DE
NEGATIONE mune eft, fecundùm nomen verò ſubſtantiæ ratio DE CONTRADICTIONE,
diversa -- ut “animal”, homo, & quod pingitur. Vniyoca, VNIVOCA dicuntur,
quorum & noinen com Nomen, est vVOX SIGNIFICATIVA SECVNDUM PLACITVM - quid
fitmoi mune eſt, & ſecunduin nomen discrepare eadem tum, sine tempore: cuius
nulla pars est significati substantiæ ratio non probatur – ut: “animal”, homo,
va separata – ut: “Socrates”. Verbum, est quod conſignificat tempus: cujus Quid
forver Denominati Dena ninativa, id eſt, derivativa, dicuntur pars nihil extra significat,
& est semper eorum bum, quæcuinque ab aliquo sola differentia casus ſe- quæ
de altero dïcuntur nota – ut: “ille cogitat”, dil cundum noinen habent
appellationem: ut å putat. grammatica gramınaticus, & à fortitudine fortis.
ORATIO est vox fignificativa, cujus partium Quid ſit örä aliquid separatim significativum
est; ut Socrates to Subſtantiaa sola, diſpucat. * MSS.lepa Quantitas, mosotas. ENUNTIATIVA
otàtio eſt vox ſignificativa deeo Quid fit Ad aliquid. ney's Fan quod eft
aliquid, vel non eſt – ut: “Socrates est.” So- Enuntiatid. Ariſtotelis
Ariſtotelis Catego Qualitas. TÓTUS. crates non eſt. Categorie riæ, vel
Prædicamen- į Facere. FOREV. AFFIRMATIO est
enuntiatio alicujas de aliquo: quid fit Af son decem. ra decem ſunt Pati.
PeoMHT – ut: “ Socrates est.” formatio. Situs. ευρώς. NEGATIO, eft alicujus de aliquo NEGATIO: ut: “Socrates non est.” So- luid
fitNe. Quando. done. crates non eſt. gatio. Ubi. CONTRADICTIO, eſt
afficmationis & negationis euid fitcom | Habere. (xar. oppoſitio – ut: “Socrates
disputat, Socrates non disputat.” Subſtantia est, quæ propriè, &t
principaliter Hæc omnia per librum ſuprà memoratum mi. Liber Pero Hermenias
& maxiinè dicitur; quæ neque de ſubjectopræ- nutiſſimè diviſa; &
ſubdiviſa tractantur, quæ BOEZIO feprem dicatur, neque in ſubjecto eſt – ut: “aliquis
homo”, breviter intimnaſſe ſuffciat, quando in ipfo com- libris expoſé vel
aliquis equus. Secundæ autem ſubftantiæ di- petens explanatio reperitur: maximè
cùin eum tu. cuntur, in quibus ſpeciebus, illæ quæ principa- Tex libris à
BOEZIO viro magnifico constet exposi liter substantia primò dicta sunt, insunt
atque tum, qui vobis inter alios codicese strelictus. Clauduntur -- ut in
homine, CICERONE. Nunc ad fyllogiſticas ſpecies formulaſque vea Quantitas
Quantitas aur diſcreta eſt, & habet partes ab nianus, in quibus nobilium
Philofophorum ju aplex, aiſ alterutrodiſcretas,nec eominunicantes, ſecun- giter
exercetur ingenium, dum aliquem communem terminum, velut nu merus, & ſerino
quiprofertur; aut continua eſt, De Formulis ſyllogifmorum. & habet partes
quæ ſecundum aliquem coinmu* nein terininuin adinvicem convertuntur; velut (in
priina forinula modi no linca, ſuperficies, corpus,locus, motus,tempus.
Forinulæ Categori Ad aliquid verò funt, quæcumque hoc ipſo coruin, id eſt,
Præ-, In ſecunda formula modi Formale ca quod ſunt, aliorum eſſe dicuntur;
velur majus, dicativorum ſyllo quatuor. duplum,habitus, difpofitio,ſcientia,
ſeriſus, gilmorú ſunttres. | In tertia formula modi politio. i ſex. Qualitas,
eſt, fecundum quam aliqui quales dicimur; ut bonus, malus. Modiformule prime
ſunt novem. Facere
eſt, ut ſecare, vel urere, id eft, ali quid operari. Pati eſt, ut ſecari, vel uri. Primus modus eſt, quiconcludit, id eft, qui
Situs, eft, ut ftat, ſeder, jacet. Quando colligit ex univerſalibus dedicativis,
dedicati eft, ut hefterno, vel crás. vum univerſale directum; ut, omne juſtum
ho Ubi eſt: ut in Aſia, in Europa, in Lybia. neſtum, omne honeftum bonum, omne
igitur Habere eft: ut calccatum, velarmatum effe. juſtum bonum. Secundus ött.
tradictio, nos creta, con sinna, vem. tegoricum Syllogiſmorum funt tres. DE
DIALECTICA Ed, concler dit. per quæ ſubti Secundus moduscft, qui * conducit ex
univer- rivis particulari & univerfali dedicatvium parti ſalibus dedicativâ
& abdicativâ abdicativum uni- culare directum: ut quoddam juſtam honeſtum,
verſale directum: ut oinnejuſtum honeſtum, nul- omne juſtum bonum, quoddam
igitur honeſtuin lum honeſtum turpe, nullum igitur juſtum bonum. turpe. Tertius
modus eſt, quiconducit ex dedicativis Tertius modus eſt, qui conducir ex
dedicativis univerſali & particulari dedicativum particulare particulari
& univerſali,dedicativum particulare directum: ut, omne juſtum honeftuin,
quod directum: ut quoddam juftum eft honeſtum,om- dam juſtuin bonum, quoddam
igitur honeſtum ne honeftuin utile, quoddam igirur juftumn utile. bonum. IV modus
eſt, qui conducitex particulari Quartus modus eſt, quiconducit ex univerſa
dedicativa, &univerſali abdicativa, abdicativum libusdedicativa & abdicativa
abdicativum parti particulare directum: ut quoddam juſtum hone- culare directum:
utomne juſtuin honeſtuin, nul Itum, nullum honeftunı turpe, quoddam igitur lum
juſtum malum, quoddam igitur honeſtum juſtum non eft turpe. non eſt malum.
Quintus modus eſt, qui conducit ex univerſa Quintus modus eſt, qui conducit ex
dedicativa libus dedicativisparticulare dedicativum per re- particulari &
abdicativa univerſali abdicativum Mexionem: ut omne juftum honeſtum, omne ho-
particulare directum: ut, quoddam juſtum, ho neftum bonum, quoddam igitur bonum
juſtum. neſtum, omne honeſtum bonum,igitur quoddan Sextus modus eft, qui
conducit ex univerſali honeftum non eft malum. dedicativa, & univerſali
abdicativa, abdicativum Sextus modus eſt, qui conducit ex dedicativa univerſale
per reflexionem: ut omne juſtum ho- univerſali & abdicativa particulari
abdicativum neltuin, nulluin honeſtum turpe, nullum igitur particulare directum:
ut,omnejuſtum honeſtum, turpe juftum. quoddam juſtum non eſt malum, quoddam igi
Septimusmodus eſt,quiconducit ex particulari tur honeſtuin non eſt malum. &
univerſali dedicativis dedicativum particulare Has formulas Categoricorum
ſyllogiſmorum reflexionem: ut quoddamn juftum honeſtum, qui plenè nofſe
deſiderat, librum legat, quiin Liber Apa!e omne honeſtum utile,quoddam igitur
utile juſtú. fcribirur -Peri hermenias Apuleii, & qui inſcribi: Odavus
modus eft, qui conducirex univerfa- lias ſunt tractata, cognoſcet. Nec
faſtidium no- tur Peri her libus abdicativa & dedicativa particulare
abdica- bis verba repetita congeminent; diftin &ta enin, menias, le tivum
per reflexionein: ut nullum turpe hone- atque conſiderata, ad
magnasintelligentiæ vias, gendus. ftum, omnehoneſtum juſtum, quoddamn igitur
præftante Domino,nosutiliter introducent.Nunc juſtum non eft turpe. ad
hypotheticos fyllogiſinos, ordine currente, Nonas modus eit, qui conducit ex
univerſali veniainus abdicativa, &particulari dedicativa abdicativum
particulareper reflexionem:velut nullumturpe Modi Syllogiſmorim hypotheticorum,
qui fiunt Modifyllogif morum hyposs honeſtun, quoddam honeſtum juſtum, quoda
cum aliqua conjunctione, Jeptem funt. dam igitur juſtum non eſt turpe. funt
feptem. Primus modus eſt, velut: Si dies elt, lucer; eſt Modi formuleſecunda
funt quatuor. autein dies; lucet igitur. Secundusmodus eft ita: ſi dies eſt,
lucet, non Primus modus eſt, qui conducit ex univerſali- lucet; non eft igitur
dies. bus dedicativa & abdicativa abdicativum univer- Tertius modus eſt ita:
non & dies eſt & nonlu fale directum: velutomne juſtum honeſtum,nul-
cet, atqui dies eft, lucèt igitur. lum turpe honeftum,nullum igitur juſtum
turpe. Quartus modus eft ita: aut nox, aut dies eft, at Secundus modus eſt,
quiconducit ex univerſa- qui dieseſt, non igitur nox eſt. libus abdicativa
& dedicativa abdicativum uni Quintus moduseſt ita: aut dies eſt, aut nox,
at-. verſale directuin: velut nullum turpe honeftum, qui nox non eſt, dies
igitur eſt. omne juſtum honeſtum, nullumigitur turpe Sextus inodus eſt ica: non
& dies eſt, & nonlu juftum cet, dies autem eſt, nox igitur non eſt.
Tertius modus eſt, quiconducit ex particulari. Septimus modus eſt ita:non &
djes eft & nox, dedicativa & univerfali abdicativa ab licativum atqui
nox non eſt, dies igitur eſt. particulare directum: veluc quoddam juftum ho
Modos autem hypotheticorum ſyllogiſinorum neſtum, nulluin turpehoneftum,
quoddam igi- fi quis pleniùs noſſe deſiderat, legat librum Marii Marius Vi tur
juſtum non eſt turpe. Victorini, qui inſcribitur de fyllogiſmis hypo-
&torinus librá Quartus r.odus eſt, quiconducit ex particu- thericis.
Sciendum quoque, quoniam Tullius de hypotheti: lari abdicativa & univerfali
dedicativa abdicati- Marcellus Carthaginenſisde categoricis & hy- edidit.
vum particulare directum: velut quoddamn juftum potheticis fyllogiſmis, quodà
diverfis philoſo: Tullius Mar non eſt turpe, omne malum turpe, quoddam
phislatiſſimè dictum eft, feptem libris breviter cellus igitur juſtuin non eft
malum, ſubtilitérque tractavit; ita ut priino libro de re: thag. de Syl gula,
ut ipſe dicit, colligentiarum artis Dialecticæ logiſmis Modi formula tertiæfunt
fex. diſputaret; &quod ab Ariſtotele de categoricis compofuit. ſyllogiſmis
multis libris editum eſt, ab ifto fecun Primus modus eſt, qui conducit 'ex
dedicativis do & tertio libro breviter expleretur; quod aut univerfàlibus
dedicativum particulare, tam dire- tem de hypotheticis ſyllogiſmis à Stoicis
innume Etuin, quàm reflexum: ut omne juſtum hone- ris voluminibus tractatum eſt,
ab iſto quarto & ftum, omne juſtum bonum, quoddam igitur ho- quinto libro
colligeretur. In fexto verò de inix neftum bonum vel quoddamn bonum ho- tis
fyllogiſinis, in ſeptimo autem de compoſitis neftuin. diſpucavit; quem codicem
vobis legendum re-, Secundus modus eſt, qui conducit ex dedica- liqui. cccc
theticorum Car Jeprem libros > Quid
las Depnilio. 1.1 1 longum viaticum: modò ut laudet, ut adolers De
Definitionibus. centia eſt Aos ætatis. Octava ſpecies definitionis eft, quain
Græci Hinc ad pulcherrimas definitionum ſpecies ac- x7 a paistoin rõ Evertix
vocant, Latini per pri Milanius, quæ tantà dignitate præcellunt, ut pof-
vantiam contrarii ejus quod definitur, dicunt; up ſont dici orationun maxiinuin
decus, & quædam bonum eſt, quod malum noneft: juftuin eſt, quod lumina
dictionuin. injuſtum non eft. Et his fimilia: quod fe ita na Definitio verò,
eſt oratio uniuſcujuſque rei turaliter ligat, ut neceſſariam cognitionem fibi
naturam à communione diviſam, propria ſignifi- unius comprehenſione connectat.
Hoc autem catione concludens: hæc multis modis, præce- genere definitionis uti
debemus, cùm contrarium priſque conficitur. notun eſt; nam certa ex incertis
nemo probat. Definitionum
prima eſt óvoradcas, Latinè ſub- Sub qua ſpecie ſunt hæ definitiones.
Subſtantia ftantialis, quæ propriè & verè dicitur definitio; eft, quod
neque qualitas eſt, neque quantitas, ne or eſt, homoanimalrationale mortale,
ſenſus dif- que aliqua accidentia: quo genere definitionis ciplinæque capax;llæc
enim definitio per fpecies Deus definiri poteſt; etenim cùm quid fit Deus,
& differentiasdeſcendens, venit ad proprium, & nullo modo comprehendere
valeamus: ſublatio deſignat plenillimè quid ſit homo. omniuin exiſtentium, quæ
Græci örta appellant, Sccunda eſt ſpecies definitionis, quæ Græcè cognitionem
Dei nobis circumciſa & ablata no ŽVYOMMA TIx ) dicitur, Latinè notio
nuncupatur: tarum rerum cognitione ſupponit; ut li dicamus, quam notionem
communi,non proprio nomine Deus eſt, quod neque corpus eſt, neque ullum
poffumus dicere. Hæc iſto modo ſemper effici- elementum, neque animal,
neque mens, neque cur: Homo eſt, quod rationali conceptione & ſenſus, neque
intellectus, neque aliquid, quod exercitio præeſt animalibus cunctis. Non eniin
ex his capipoteſt; his enim ac talibus ſublatis, dixit, quid eſt homo, ſed quid
agat, quaſi quodam quid fit Deus, non poterit definiri. figno in notitiam
denotato. In iſta enim &in re Nona ſpecies definitionis eſt, quain Græci
liquis notio rei profertur: non ſubſtantialis, ut Kåtalnooi, Latini per quamdam
imaginatio in illa primariaexplanatione declaratur; & quia nem dicunt –ut:
“ÆNEAS est Veneris et Anchisæ illa subftantialis est.” -- definitionum omnium
obti- filius. Hæc ſemper in individuis verſatur, qux ner principatum. Græci
aqua appellant. Idem accidie in eo gene Tertia fpecies definitionis eſt, quæ
Græcè redictionis, ubialiquis pudor aut metus elt no Trolótus dicitur, Latinè
qualitativa. Hæc
dicendo minare – ut: CICERONE, cùm me videlicet ficarii illi quid quale lit, id
quod fit, evidenter oſtendit. deſcribant. Cujus exemplum tale eſt: homo eft,
qui ingenio Decima fpecies definitionis eft, quam Græci valet, artibus poller,
& cognitione rerum: aut as Tót, Latini, veluti, appellant; ut fi quæ quæ
agere debeat eligit:aut animadverſione quod ratur quid ſit aniinal,
refpondearur, homo: inutile fit contemnit; his enim qualitatibus ex non enim
manifeftè dicitur animal folum effe preſſus ac definitus homo eſt. hominem, cum
fint alia innumerabilia: ſed cuin IV ſpecies definitionis eſt, quæ Græcè
dicitur homo, veluti ipfum hominem animal de soggapixn, Latinè deſcriptionalis
nuncupatur: fignat: cùm tamen huic nomini multa ſubja quæ adhibitâ circuitione
dictorum factorúmque, ceant. Rem enim quæfitam prædictum declata rem, quid fit
deſcriptione declarat;ut ſi lu- vit exemplum. Hoc eſt autem proprium defini
xuriofum volumus definire, dicimus: Luxurio- tionis, quid fit illud, quod
quæritur, declarare. fus, eſt victus non neceffarii & fumptuoli & one XI
ſpecies definitionis eft, quam Græ rofi appetens,in deliciis affluens,in
libidine pron- ci rece tead the matter, Latini per iudigentiain ptus; hæc &
talia definiunt luxuriofum. Que pleni ex eodem genere vocant: ut ſi quæratur
ſpecies definitionis, oratoribus magis apta eſt, quid fit triens, refpondeatur,
cui dodrans deeft, quàm dialecticis, quia latitudines habet; hæc ut lit aſlis.
fimili modo in bonis rebus ponitur, & in XII ſpecies definitionis eſt, quam
Græ malis. ci, Kata imesvov, Latini per laudem dicunt; ut Quinta ſpecies definitionis
eft, quam Græcè Tullius pro Cluentio: Lex eſt mens, & animus, AT nikov:
Latinè ad verbum dicimus: hæc vo- & confilium, & fententia civitatis.
Et aliter pax cem illam, de qua requiritur, alio ſermonedeſi- eſt tranquilla
libertas. Fit & pervituperationem, gnat uno ac ſingulari, & quodammodo
quid il- quam Græci tózer vocant: ſervitus eſt poſtre lud ſit in uno verbo
pofitum, uno verbo alio de- mum malorum omnium, non modò bello, ſed clarat; ut
conticefcere eſt tacere: item cùm ter- morte quoque repellenda. minum dicimus
finem, aut terras populatas inter Tertiadecima eſt ſpecies definitionis, quam
pretemur effe vaſtatas. Greci κατ'αναλογίαν,Latini juxta rationem dicunt: Sexta
ſpecies definitionis eſt, quam Græci x fed hoc contingit, cum majoris ire
nomine, res Thu nepoege, per differentiam dicimus; id eft, definitur inferior:
ur eſt illud, homo ininor mun cùm quæritur, quid interſit inter regem & ty-
dus. Cicero hac definitione ſiculus eſt:Edictum, rannum, adjecta differentia
quid uterque fit, de- legem annuam dicunt eſſe. finitur: id eſt, rex eſt
modeftus & temperans, ty XIV eſt ſpecies definitionis, quam rannus verò
impius & immitis. Græci sess, Latini ad aliquid vocant: ur eſt Septima eft
fpecies definitionis, quam Græci illud, pater eft, cui eſt filius:dominus eſt,
cui eft el ustápoegr. Latini per tranſlationein dicunt:
fervus: & CICERONE in Rhetoricis, genus eſt, quod ut Cicero in Topicis,
Lictus eſt, quà Auctus elu- plures partes amplectitur: item pars eſt, quod lu
dit. Hoc variè tractari poreſt: modò enim ut beſt generi. moveat, ficut illud,
caput eſt arx corporis: modò Quintadecima eſt ſpecies definitionis, quam ut
vituperet, ut illud, divitiæ ſunt brevis vitæ Græci koste BiTiongear, Latini
fecundum rei fa ! DE DIALECTICA tionuom.
5 rationem vocant: ut dies eſtrol fuprà terras:nox, dicativus atque ſubjectus.
Terminos autem voco elſolſubterris. Scire autem debemus prædictas verba
&nonina, quibus propoſitio nectitur;ut niquifuntper propoſe ſpecies
definitionum, Topicis meritò eſſe ſocia- in ea propoſitione qua
dicimus:Homojuſtus eſt: tas, quoniaminter quædam argumenta funtpoſi- hæc duo
nomina, id eſt, homo & juftus, propo tæ, & nonnullis locis
commemoranturin Topi- fitionis partes vocantur. Eoſdem etiam terminos cis. Nunc
ad Topica veniamus, quæ ſunt argu- dicimus: quorum quidem alter ſubjectuseſt,
al mentorum fedes, fontes ſenſuu, origines di- ter verò prædicativus, Subjectus
eſt terminus, &tionum: de quibus breviter aliqua dicenda ſunt, qui minor
eſt: prædicativus verò, qui major: ut ut &dialecticos locos, &
rhetoricos, ſive corum in ea propolitione, qua dicitur, Homo juſtus,
differentias agnofcere debeamus: ac prius dedia- homo quidem minus eſt, quàm
juſtus. Non Iceticis dicendum eft. enim in folo homine juſtitia eſſe poteft,
verùm etiam in corporeis diviníſque ſubſtantiis: atque De Dialecticis locis.
ideo major eſt terminus, juſtus: homo verò, mi nor; quò fit, ut homo quidem
ſubjectus fit ter Quid die Propoſitio, eft oratio verum - falfúmveſignifi-
minus, juſtus verò prædicativus. PROPOSITIO cans, utſiquis dicat, cælum eſſe
volubile: hæc Quoniam verò hujuſmodi (implices propolis enuntiatio &
proloquiun nuncupatur: quæſtio tiones alterum habentprædicativum terminum, verò
eft, in dubitationem ambiguitatémque ad- alterum verò ſubje& um, à majoris
privilegio par ducta propofitio; utſiqui quærant, an fit cælum tis propoſitio
prædicativa vocata eft.Sæpe autem Quid Concli- volubile. Concluſio, eft
argumentis approbara evenit, ut hi termini ſibimet inveniantur æqua 330.
propoſitio; ut fi quis exaliis rebus probetcælum les, hocinodo, homoriſibilis
eſt; homo namque effe volubile.Enuntiatio quippe live ſui tantum &
riſibilis uterque ſibi æquus eſt terminus. Nam caufa dicitur,five ad alios ad
ferturad probandum, ncque riſibile ultra hominem, nec ultra riſibile propofitio
eft: cùm de ipſa quæritur, quæſtio: homo porrigitur: ſed in luis hoc evenire
neceſſe lipſa eſt approbáta, conclufio. Idem igitur pro- eſt, utſi quidam
inæquales termini ſunt, major politio,quæſtio, & conclufio, fed
differuntinodo, ſemper de ſubjectoprædicetur: fi verò æquales Quid fit Ar
Argumentum eſt oratio rei dubiæ faciens fi= utrique, converſa de fe
prædicatione dicantur. gumentum. dem. Non verò idem eſt argumentum, quod &
Ut verò minor demajore prædicetur, in nulla arguinentatio. Nam vis ſententiæ
ratióque ea, propoſitione contingit. Fieri autein poteft, ut quæ clauditur
oratione, cùm aliquid probatur propoſitionum partes, quas terminos dicimus,
ambiguum, argumentum vocatur: ipfa verò ar- non ſolum in nominibus, verum
etiain in oratio gumenti elocutio, argulhentatio dicitur; quò fit, nibus
inveniamus. Nam ſæpe oratio deoratione ut argumentum quidem mens
argumentationis prædicatur hoc modo: Socrates cum Placone so Git atque
ſententia: argumentatio verò argument diſcipulis de philoſophiæ ratione
pertractat; hæc per orationem explicatio. quippe oratio, quæ eft, Socratesçum
Platone & Quid fit LOCVS verò eſt argumenti fedes, vel unde ad diſcipulis,
ſubjecta eſt: illa verò, quæ eft, de propoſitain quæſtionein conveniens
trahitur ar- philofophiæ ratione petractat, prædicatur. Rur gumentum. Quæ cùm
ita fint, ſingulorum dili- ſus aliquando nomenſubjectum eſt, oratio præ ='
gentiùs nătura tractanda eſt, eorumque per fpe- dicaruin, hocmodo: Socrates de
philoſophiæ ra-. cies ac membra figuraſque facienda diviſio. cione pertractat;
hic eniin Socrates ſolus ſubje Acpriùsde propoſitione eſt diſſerendum: hanc
ctus eſt:oratio verò, quàm dicimus, de philoſo eſſe diximus orationein,
veritatem, vel menda- phiæratione pertractat,prædicatur.Evenir etiam,
Duæſuntpro- cium continentem. Hujus duæ ſunt ſpecies: una ut fupponatur oratio,
& fimplex vocabulum pofitionum affirmatio, altera verò negatio. Affirmatio
eſt, prædicetur hoc inodo: Similicudo cum ſupernis fpecies ſub,, fi qui ſic
efferat, Caluin volubile eſt:negatio, li diviníſque ſubſtantiis, juſtitia eſt;
hic enim ora quis ita pronuntiet, cælum volubile non eſt. rio per quam
profertur fimilitudo, cum ſupernis alie. Harumverò aliæ ſunt univerſales, aliæ
ſunt par- diviníſque ſubſtantiis fubjicitur:juſtitia verò pre ticulares, aliæ
indefinicæ, aliæ ſingulares. Uni- dicatur. Sed de hujuſmodipropoſitionibusin
his verſales quidem, ut ſi quis ita proponat: Oin- commentariis, quos in Peri
hermenias Ariſtotelis nis homo juftuseft, nullus homo juſtus eft. Par- libros
ſcripſimus, diligentiùs differuimus. ticulares verò, fi quis hoc modo:Quidamn
homo Arguinentum, eft oratio rei dubiæ faciens fi- Quid fit an juftus eft,
quidam homo juſtus non eſt. Inde- dem:hanc femper notiorem quæſtione elſe nez
gumentum, finitæ fic:Homojuſtus eſt, homo juſtusnon eſt. ceſſe eſt. Nain
liignora nobis probantur, argu Singulares verò sunt, quæ de individuo aliquid
mentum verò rem dubiam probat: necesse est, ut singularique proponunt: -- ut: “Cato
iustus est.”, CATONE quod ad fidem quæstionis assertur, sit ipsa notius justus
non est; etenim CATONE individuus est, ac quæstione. Argumentorum verò oinnium
alia Multiplicito fingularis. ſun tprobabilia & neceſſaria:alia
veròprobabilia Juris Argan Harum verò alias prædicativas, alias conditio.
quidem, ſed non neceſſaria: alia neceffaria; ſed nales vocainus. Prædicativæ
funt, quæ fimpli- non probabilia:alia nec probabilia, nec neceffaria. Quid
forProm citer proponuntur, id eſt, quibus nulla vis con- Probabile verò eſt,
quod videturvelomnibus, vel bavile Argu ditionis adjungitur: ut fi quis
fimpliciter dicat, pluribus, velfapientibus, & his vel omnibus, vel mensun.
Cælum eſſe volubile. At, li huic conditio copu- pluribus, vel maximè notis,
atque præcipuis, letur, fit ex duabus propoſitionibus una condi- vel unicuique
artifici fecundum propriam facul tionalis, hocmodo: Cælum (irotundum ſit, efle
càtem; ut de medecinamedico, gubernatori de volubile; hîc enim conditio id
efficit, ut ita de- navibus gubernandis: & præterea quod ei vides mum cælum
volubile eſſe intelligatur, ſit ro- tur cuin quo fermo conſeritur, vel ipſi qui
judi tundum. Quoniam igitur aliæ propofitiones præ- cat. In quo nihil artiner
verum falfùmvelit árgưr dicativæ ſunt, aliæ conditionales: prædicativa- mentum,
fi tantùm veriſimilitudinem tenet. rum partes, terminos appellamus. Hi ſunt præ
Neceffariun vero eft, quod ut dicitar, ita eſt, Quidfor Ne cearium. Сccc ij
Locis. quibus multe mentorum genera. B. rium. atque aliter eſſe non poteft:
& probabile quidein, fpeciebusutiturargumentis, quæfunt probabi ac
neceflarium eſt; ut hoc ſi quid cuilibet rei ſic le ac neceſſarium,
neceſſariuin ac non probabile. additum, totum majus efficitur. Neque enim Patet
igitur, in quo philoſophus ab oratore, ac quifquam ab hąc propoſitione
diffentiet, & ita ſe dialectico in propria confideratione diſſideat; in
Quid fit le habere neceſſe eſt. Probabilia verò acnon ne- co ſcilicet, quod
illis probabilitatem, huic veri provabile ac ceffaria, quibus facilè quidem
animus acquief- tatem conſtat elle propofitam. Quarta yerò fpe non neceffa- cit,
fed veritatis non tenet firmitatem; ut cies argumenti, quain ne arguinentun
quiden học, ſi mater eſt, diligit. Neceſſaria verò funt, rectè dici
ſupràmonſtravimus, fophiftis Tola eſt Quid fit ne cilarium,ac ac non
probabilia, quæ ita quidein eſſe, ut dicun- attributa. Topicorum verò intentio
eft, verili non probabile tur ſe habere, necefle eft, ſed his facilè non con-
milium argumentorum copiam demonſtrares de ſentit auditor:ut ob objectum
Lunaris corporis, fignatis enim locis,è quibus probabilia arguinen bredamſunt
Solis evenire defectunt. Neque neceſſaria verd ta ducuntur, abundans.&
copiofa neceſſe fiat nec neceffa- peque probabilia funt, quæ neque in opinione
materia differendi. ria,necpro- hominum, neque in veritate confiftunt, ut hoc,
Sed quoniam, ut fuprà dictum eſt, proba babilia habere quæ non perdiderit
cornua Diogenem, bilium argumentorum alia funt neceffaria, quoniam habcatid
quiſque quod non perdiderit; alia non neceſſaria: cùm loci probabilium ar quæ
quidem nec argumenta dici poſſunt: argu- guntentorum dicuntur, evenit, ut
neceſſario mentaenim rei dubiæ faciunt fidem. Ex his au- ruin quoque doceantur, quo fit, ut oratoribus tem nulla fides
eſt, quæ neque in opinione, ne- quidem ac dialecticis hæc principaliter
facultas que in veritate ſunt conſtitutą. Dici tamen poo parecur, ſecundo verò
loco FILOSOFI. Nam teſt, ne illa quidem eſſe argumenta, quæ cùm fint in quo
probabilia quidem omnia conquiruntur, neceffaria, minimè tamen audientibus
appro- dialectici atque oratores javanțur: in quibus verò bantur. Nam ſi rei
dubiæ fit fides, cogendus eft probabilia ac neceffaria docentur, philoſophic.e
animus auditoris, per ea quibus ipſe adquieſcit, demonſtrationi miniſtratar
ubertas. Non modò u concluſioni quoque, quam nondum probar, igitur dialecticus
atqueorator, verùm etiam de poſlit accedere. Quod fi quæ tantùm neceffaria
monſtrator, ac veræ argumentationis effector, (unt, ac non probabilia, non
probat ille qui ju- babetquod ex propoſitislocis libi poſſit adſuine
dicat,eltneceſſe, utneillud quidein probet,quod re. Cùm inter argumentorum
probabilium focos, ex hujuſcemodi ratione conficitur. Itaque evenit
neceſſariorum quoque principia traditio mixta ex hujufmodi ratiocinatione, ea,
quæ tantùm contineat. Illa verò argumenta, quæ neceſſaria neceffaria ſunt,
ac non probabilia, non efle ar- quidein ſunt, ſed non probabilia; atque illud
gumenta. Sed non ita eſt, atque hæc interpreta- ultimum genus; fcilicet ilec
probabile,nec ne tio non rectæ probabilitatis intelligentiam tenet. ceſſarium,à
propofiti operisconſideratione fem Ea funt enimprobabilia, quibusſponte, atque
jundum eſt. Nili quod interdum quidam ſophi ultrò conſenſus adjungitur;
ſcilicet ut moxaudi- ſtici loci exercendi gratia lectoris ab hibentura ta fint,
approbentur. Quocirca Topicorum pariterutilitas intencióque de fint ar Quæ verò
nec effaria funt, ac non probabilia,aliis patefacta eft; his enim & dicendi
facultas, &in gamenta pro babilia. probabilibus ac neceſſariis
argumentisantea de veſtigatio veritatis augetur. monſtrátur,cognitáque
&credita, ad alterius rei, Nam quid dialecticos atque Oratores locorum
locorum ** de qua dubitatur, fidem trahuntur;ut ſuntfpecu- juvát agnitio?
Orationi per inventionem co micos arque lationes,id cft,cheoremata, quæ in
Geometriacon- piampræftant. Quid verò neceffariorum doctri- Oratoresmus
fiderantut. Nam quæ illic proponuntur, non funt nam locorum philoſophis tradit?
viam quodam- sum juvas. talia, ut in his fponte animus diſçentis accedar: modo
veritatis illuftrat. Quò magis perveſtis ſed quoniam demonſtrantur aliis
argumentis, illa ganda eft rimandâque ulterius diſciplina ea, quæ quoque ſçita
& cognita ad aliarum fpeculatio- cùm cognitione percepra uſu atque exer pumargumenta
ducuntur.Itaque probabilia non citatione firmanda. Magnum enim aliquid lo Cunt,
ſed ſunt neceſſaria his quidem auditoribus, corum conſideratio pollicetur,
fcilicetinvenien quibus nondum demonſtrata funt: ad aliud ali- di vias; quod quidem
hi, qui ſunt hujus rationis quid probandum, argumenta effe non poffunt;
expertes,ſoliprorſus ingenio deputantur: neque hi autem qui peioribus
rationibus eorum, qui- intelligunt, quantun hac conſiderationequærat bus non
adquieſcebant, fidem cceperunt, poffunt, cur, quæ in artem redigit vim
poteſtatemque na cas quæ non ambigunt, ad argumentuin vocare. turæ. Sed de his
hactenus: nunc de reliquis ex Sed quia quatuor facultatibus differendi omne
plicemus. artificium continetur, dicendum eſt qux quibus uti noverit
argumentis; ut, cui potiſſimum diſci De Syllogiſmise plinæ locorum atque
argjinentorum paritur u Diale &tice, bertas, evidenterappareat.
Quatuorigitur fa Syllogiſmorum verò aliiſuntprædicativi, qut"
Syllogiſmialii Oratori, Phi- cultatibus,earúmque velutopificibus,differendi
categorici vocantur,aliiconditionales,quos hy- predication Dolopho, so omnis
ratio ſubjecta eft, id eſt, dialectico, ora, potheticos dicimus. Et prædicativiquidem funt, males, com phifte dife rendiomnis tori,
philofopho, sophistæ. Quorum quidem qui ex omnibus prædicativis propoſitionibus
quid fins. ratio fobjekta dialecticus atque orator in communi argumen-
connectuntur sur is, quem exempli gratiafupes, torummateria verſautur; uterque
enim,five ne- riùs adnotavi, omnibus enim propoſitionibus cellaria, kve minimè,
probabilia tamen ſequitur prædicativis texitur.Hypothetici verò funt,quo Quefit
diffe ventia inter argumenta. His igitur illæ duæ fpecies argu- ium
propofitiones conditione nituntur, ut hics Dialecticum, menti famulantur,quæ
funt probabile ac non si dies eft, lux eſt zett autem dies, lux igitur eſte
Oratorent & neceffarium: philoſophus vero ac demonftrator Propofitia enim
prima conditionem tenet hanc, Philoſuphum. de ſela tantum veritate pertractant:
Asque ideo quoniam ita demum lux eft, fi dies eft. Atque ſive liņt probabilia,
five non fint, nihil referi,' idea fyllagiſmus hic, hypochericus, id eſt condi
modo duin ſine peceſlaria: bic quoque his duabus tiopalis vocatur. Inductio
verò eft oratio, per i i Onid fais duftio. DE DIALECTICA Tuniwy. $ niio. 0 10
OS 2712 quam fitàparticularibus ad univerfale progreflio, plumvocamus:quoniam
vero non pluresquibus hoc modo: Siin regendis navibusnan forte, ſed id efficiat
colligit partes, ab inductione diſcedit. arte legitur gubernator: fi regendis
equis auriga Ita igitur duæ quidem ſunt argumentandiſpecies non fortis eventu,
ſed commendatione artis ad- principales: una, quæ dicitur fyllogiſmus, alte
ſumitur: fi in adminiftranda republica non ſorsra que vocaturinductio; ſub his
aurem, &veluc principem facit,ſed peritía moderandi; & fimi- ex his
manantia, enthymema atque exemplum, Ed. infe- lia, quæ in pluribus conquiruntur,
quibus * im- Quæquidem omnia ex syllogiſmo ducuntur, & pertitur: & in
omni quoque re, quam quiſque ex fyllogifino vires accipiunt: live enim ſit
enthy regi atque adminiſtrari gnaviter volet, qui non 'mena, liveinductio, live
etiam exemplum, ex forte accommodat, ſed arte, rectorem, fyllogiſmo quàm maximè
fidem capit; quod in Vides igitur quemadmodum per fingulas res prioribus
reſolutoriis, quæ ab Ariſtotele tranftu currat oratio,ur ad univerſale
perveniat.Nam cùm linus, denonſtratumeft. Quocirca fatis eſt de non forte regi,
ſed arte navim, currum, rempubli- fyllogilino differere, quaſi principali,
& cæte cam collegiffet, quali in cæteris ſeſe quoque ita ras
argumentandiſpecies continente. habeat, quod erat univerſale concluſit: in omni
Reſtat nunc quid fit locus, aperiçe. Locus nam- Quid forlocais bus quoque
rebus, non ſorte ductum, fed arte, que eſt, ut* Marco Tullio placet,
argumentife a Dialectico. MSS.Man præcipuum debere præponi. Sæpe autem multo,
des; cujus definitionis quæ fitvis, paucis abſol rum collecta particularitas
aliud quiddam parti- vam, Argunventi enim fedes partin maxinia culare
demonſtrat; ut fi quis fic dicat: Si neque propoſitio intelligi poteft, partim
propofitionis navibus, ncque curribus, neque agris ſorte præ- inaximè
differentia. Nam cùm fint alize propoli ponuntur; nec rebus quidein publicis
rectores tiones, quæ cùin per ſe notæ lint, cùm nihil ul eſſe ſorte ducendi
funt. Quod argumentationis teriùs habeant, quo demonftrentur, atque hæ genus
maxiinè folet eſſe probabile, etſi non maxinæ & principales vocentur,
funtque aliæ æquam ſyllogyſmi habeat firinitatem. Syllogif- quarum fidem primæ
ac maximæ, fuppleant mus namqueabuniverfalibus ad particularia de-
propofitiones: neceffe eft, ut omnium quæ curret. Eftque in eo, fi veris
propoſitionibus dubitantur, illæ antiquiſſimam teneant pro+ contexatur, firma
atque immutabilis veritas. bationein; quæ ira aliis fidem facere poffunt, Ut
inductio habet quidem maximam probabi- ut ipſis nihil queat notius inveniri.
Nam li litatem, ſed interdum veritate deficitur; ut in argumentum eſt, quod rei
dubiæ faciat fidem, hac: Qui fcir canere, cantor eſt: & qui luctari ídque
notius ac probabilius eſſe oportet, quàm luctaror: quique ædificare, ædificator;
quibus illud quodprobatur: neceſſe eſt, utargumentis multis fimili jatione
collectis, inferri poteſt: omnibus illa maximam fidem tribuant, quæ ita Qui
fcit igitur malum,malus eſt, quod non pro- per ſe nota ſunt, at alienâ
probationenon egeant: cedit;mali quippe notitia deeſſe non poteſt bonoš Sed
hujulinodi propoſitio aliquotiens quidem virtusenim ſeſe diligit, aſpernatúrque
contraria, intra argumenti ambitum continetur: aliquotiens nec vitare vitium
niſi cognitum queat. yerò extra polita, argumenti vires ſupplet ac per His
igitur duobus velut principiis, &generibus fices, Duo funt alii
argumentandi, duo quidem alii deprehenduntur Cinnes igitur loci, id eft;
maximarum diffe, Omnes loci à argumentori argumentationis modi: unusquidem
fyllogiſmo, rentiæ propoſitionum, aut ab his ducantur ne quibus ternii modi,
Enthy alter verò inductioni ſuppoſitus. In quibus qui- ceſſe eſt terminis, qui
in quæſtione ſunt propo memaſciet exemplum, ea dempromptumſit conſiderarequod,
ille quidem fiti, prædicato ſcilicețarquefubjeéto: aut extrin qaid (ma à
fyllogiſmo, ille verò ab indu & ione ducat exor- ſecus adfumantur:auc horum
medii acque inter dium: non tamen,aut hicfyllogiſmum, aut ille utrofque
verſentur. Eorun verò locoruin, qui impleat inductionem; hæc autem ſunt
enthyine ab hisducuntur terininis, de quibus in quæſtione ma, atque exemplum,
Euthymema quippe eft dubitatur, duplex modus eſt: unus quidem ab imperfectus
fyllogiſmus, id eſt oratio, in qua non corum fubftantia, aker verò ab his, quæ
eoruin omnibus antea propoſitionibus conftitutis,inter ſubſtantiam conſequuntur
shi verò quià ſubftária tur feſtinata conclufiosut fi quis ſic dicat: homo
funt, inſola definitione conliſtunt.Definitio enim animal eſt, ſubſtantiaigicur
eſt; præterınjſic eniin ſubſtantiammónftrát; & fubſtaạtiæ integra det
alteram propofitionem, quâ proponitur omne monſtratio, definitio eſt. Sed, id
quod dicimus, aniinal elle fubftantiam. Ergo cùm enthymema patefaciamus
exemplis;ut omnis vel quæftionum, ab univerſalibus ad particularia probanda
con- vel arguinentationum, vel locoruin ratio con tendit, quali ſimile
Jyllogiſmo eft. Quod vero quieſcat. Age enim quæratur; an arkores ani non
omnibus, qu:e conveniunt fyllogiſmo,propor malialint, řátque
hujuſmodifyllogiſmus: ani+ ſitionibus utitur, à fyllogiſmi ratione difcet mal
eftfubftantia animata ſenſibilis:non eft arbor dit, atque ideò imperfectus
vocatuseft fyllogif- fubftantia animata fenfibilis; igitur arbor animal mus,
non eft. Hic quæſtio de genere eft; utrùm enim Exemplum quoque inductioni
fimili ràtionę arboresfub aniinaliumgenere panendæ fint,qux & copulatur,
& ab ea diſcedit. Eft enim exem- ritur: locus qui in univerſali
propofitione con, plum, quod perparticulare propoſitum,particu- filtit, huic
generis definitio non convenit, id lare quoddam contendit oſtendere, hoc modo;
ejus, cujus ea definitio eft, fpecies non eſt loci Oportet à Tullio consule
necari CATILINA, cum superioris differentia: qui locus nihilominus à Scipione
Gracchus fueritinteremptus; appro, nuncupatur à definitione. batum eſt enim CATILINA
à CICERONE debere pe Vides igitur ut çora dubitatio quæftionis fyllo rimi, quod
â Scipione Gracehus fuerit occiſus: giſmi argumentatione* tracta (it per
convenien: * Ed.sracht quæ utraque particularia effe, ac non univerſalià tes
& congruas propoſitiones,quæ vim ſuam ex "4. lingularum deſignat
interpoſitio perſonarum prima &maxima propofitionecuftodiunt; ex ea Quoniamigiturex
parte pars approbatur, quafi {cilicet, quænegat effe fpeciem, cui ñnon conve:
inductionis fimilitudinem tenet id, quodexem- niat generis definitio, Acque
ipſa univerſalis pro nis ducantur: B. ftantia du tem. poſitio à ſubſtantia
tracta eſt unius eorum termi- eſt, hoc modo fæpe quæſtionibus argumenta ni, qui
in quæſtione locati ſunt; ut animalis,id fuppeditat; ut fi fit quæſtio, an
juſtitia utilis fit, eſt, ab ejusdefinitione,quæ eſt ſubſtantia anima- fit
fyllogiſmus: Omnis virtus utilis elt, juſtitia ra ſenſibilis. Igitur in cæteris
quæftionibus ſtri- autem virtus eſt, ergo juſtitia utilis eſt. Quæſtio ctim ac
breviter locorum differentiis coinmemo- de accidenti, id eſt, an accidat
juftitiæ utilitas. fatis, oportet uniuſcujuſque proprietatem vigi- Locus is,
qui in maxima propoſitione conſiſtir. lantis animi alacritate percipere. Quæ
generi adfunt, & fpeciei. Hujus ſuperior Locus ex ſub Hujus aureinloci, qui
ex fuſtſtantia ducitur, locus à toto, id eſt, à genere, virtute ſcilicet, quæ
ftus, duplex duplex modus eſt; partim namquc à definitione, juſtitiæ genus eſt.
Rurſus fit quæſtio, an huma eft. partim à deſcriptione
argumenta ducuntur. næ res providentiâ,regantur. Cùm dicimus, li Differt autem
definitio à deſcriptione, quòd mundus, providentiâ regitur: homines autem Que
fit dif- definitio genus ac differentias affumic: def- pars mundi funt: humanæ
igitur res providen ferentia inter criptio verò ſubjectain intelligentiam -
claudit, tia reguntur. Quæſtio de accidenti, Locus quod defcriptiq quibuſdam
vel accidentibus unam efficientibus toti evenit, id congruit etiam parti.
Supremus proprietatein, vel ſubſtantialibus præter genus locus à toro, id eſt,
ab integro. Quod partibus conveniens aggregatis. Sed definitiones, quæ ab
conftat, id verò eft mundus, qui hominum to accidentibus fiunt, tamen videntur
nullo modo tum eſt. ſubſtantiam demonftrare: tamen quoniam fæpe A partibus
etiain duobus modis argumenta naf- A partibus veræ definitionesita ponuntur,
quæ ſubſtantiam cuntur: aut enim à generis partibus, quæ ſunt, duobus modis
monſtrant: illæ etiam propofitiones,quæ à deſcri- fpecies:aut ab integri, id
eſt, torius; quæ par- azamente ptione fumuntur,à fubftantiæ loco videntur affu-
tes tantum proprio vocabulo nuncupantur. Et Mojcanine. mi. Hujus verò tale fit
exemplum; quæratur de his quidem partibus, quæ ſpecies funt, hoc enim, an
albedo ſubſtantia fit: hic quæritur, an modo fit quæſtio, an virtus mentis benè
conſti albedo ſubftantiæ, velut generi ſupponatur. Di- tutæ fic habitus:
quæſtio de definitione, id eft, cimus igitur: ſubſtantia elt, quod omnibusacci-
an habitus benè conſtitutæmentis,virtutis lit de dentibus poſſit eſſe ſubjectum:
albedo verò nul- finitio. Facieinus itaque ab ſpeciebus argumen dis
accidentibus fubjacet, albedo igitur fubſtan- tationem lic: Si juftitia,
fortitudo, inoderatio, tia non eſt. Locus, id eſt, maxima propoſitio, atque
prudentia, habitus benè conftituræ mentis eadem quæ fuperiùs. Cujus
enimdefinitio vel funt: hæc autem quatuorunivirtuti velut generi deſcriptio
ei,quod dicitur,ſpecies effe non conve- ſubjiciuntur: virtus igitur benè
conſtitutæ men nit, id ejus quod eſſe ſpecies perhibetur, genus tis eſt
habitus. Maxima propoſitio; quod enin noneſt. Deſcriptio verò fubftantiæ
albedini non ſingulis partibus ineſt, id toti inefTe neceffe eft.
convenitalbedo: igitur ſubſtantia non eſt. Argumentum verò à partibus, id eſt,
à generis Locus differentia ſuperior à deſcriptione; quam partibus, quæ ſpecies
nuncupantur; juſtitia enim, duduin locavimus in ratione ſubſtantiæ. Sunt
fortitudo, modeſtia & prudentia, virtutis fpe etiam definitiones, quæ non à
rei ſubſtantia, ſed cies ſunt. à nominis ſignificatione ducuntur, atque itą
rei, Item ab his partibus, quæ integri partes eſſe di de qua quæritur,
applicantur; ut ſi ſît quæicio, cuncur, fit quæſtio, an fit utilismedicina. Hæc
utrumne philoſophiæ ſtudendum fit, erit argu: in accidentis dubitatione
conftituta eſt. Dicimus mentatio talis: Philofophia ſapientiæ amor eſt, igitur,
ſi depelli morbos, ſalurémque fervari, huic ſtudendum nemo dubitat: Itudendum
igitut mederique vulneribus utile eft: igitur medicina eſt philofophiæ. Hic enim
non definitio rei, ſed eſt utilis. Sæpe autem & una quælibet pars valer,
nominis interpretatio argumentum dedit. Quod ut argumentationis firmitas
conſtet, hoc inodo; etiam Tullius in oſtenſione ejuſdem philofophiæ ut fi de
aliquo dubitetur, an fit liber: ficum vel uſus eſt defenfione, & vocatur
Græcè quidem cenſu, velteſtamento, vel vindictâ manumiſ ovouzOtong, Latinè
autem nominis definitio. fum eſſe monſtremus, liber oſtenſus eſt: atque Hæc de
his quidem argumentis, quæ ex ſubſtan- aliæ partes erantdandæ libertatis. Vel
rurſus, fi cia terminorum in quæſtione politorun fumun- dubitetur, an ſir domus
quod eminus conſpici tur, claris,ut arbitror,patefecimus exemplis: nunc tur:
dicimus quoniam non eſt; nam vel rečtun de his dicendum eſt, qui terminorum
ſubſtana ei, vel parietes, vel fundamenta defunt, ab una tiam conſequuntur.
rurſus parte factum eſt arguinentum. Divifio loco Horum verò multifaria diviſio
eſt; plura enim Oportet autem non folùm in ſubſtantiis, ve Tum qui(ubu funt,
quæ ſingulis ſubſtantiis adhæreſcunt: ab růın etiam in modo, temporibus,
quantitatibus, franciam com his igitur, quæcujuſlibet ſubſtantiam comitan-
torum, partéfque reſpicere. Id enim quod dici fequantur. tur, argumenta duci
folent, aut ex toto, aut ex mus aliquando in teinpore, pars': rurſus li fim
partibus, aut ex caufis, vel efficientibus,vel ma- pliciter aliquid
proponamus,in modo totum eſt: teria, vel fine. Er eſt efficiens quidem cauſa,
li cum adječtione aliqua, pars fit in modo. Item quæ inover atque operatur, ut
aliquid explice- fi omnia dicamusin quantitate, tòrum dicimus: tur: materia
verò, ex qua fit aliquid,vel in quafit: fialiquid quantitatisexcerpimus,
quantitatis po, propter quod fit. Sunt etiam inter eos lo- nimus partem. Eodem
modo &in loco: quod cos, qui ex his ſumuntur, quæ ſubſtantiain con- ubique
eſt, totum eſt: quod alicubi, pars. How ſequuntur, aut ab
effectibus, aut à corruptioni- ruin autem omnium communiter dentur exem bus',
aut ab uſibus, aut præter hos omnes ex pla. A toto ad partem fecundum tempus:
fi communiter accidentibus. Quæ cùm ita fint, Deus ſemper eſt, &nunc eſt. A
parte ad totum cum priùs locum, qui à toto fumitur, inſpicia- ſecundum modum:ſi
*anima aliquo modo niové» MSS. amie tur, & fimpliciter movetur; movetur
autem cum mal. Totum duobus modis dici folet: aut ut genus, irafcitur;univerſaliter
igitur & fimpliciter mo bus modisdi- aut ut idquod ex pluribus integrum
partibus vetur. Rurfus à toro ad partes in quantitate: fi conſtat. Er illud
quidem quod ut genus, totum finis mus. Totum duo citur. 1 1 DE DIALECTICA 3
teria, fi jori. TA A. > verus in omnibus Apollo vatės eſt; verum erit
oppoſitis, vel ex tranffuinptione. Et ille quidem Pyrrhum Romanos ſuperare.
Rurſus in loco, fi locus, qui rei judiciuin tenet, hujuſmodi eft; ut Locus à
rei Deus ubique eft, & hîc igitur eſt. id dicamus effe, vel quod omnes
judicant, vel judicio. Locusà came "Sequitur locus, quinuncupaturà cauſis.
Sunt plures, & hivel ſapientes, vel ſecundam unam fis multiplex. verò
plures cauſa, id eft, quæ vel principium quanque artem penitus eruditi.Hujus
exempluin præſtantmotusatque efficiunt: vel ſpecierum for- eft, cælum eſſe
volubile: quòd ita fapientes, atque mas ſubjectæ ſuſcipiunt: vel propter eas
aliquid, in Aſtronoinia do & illimi diſudicaverint. Quæ vel quæ cujuſlibet
forma eſt. ſtio de accidente. Propofitio, quod omnibus,vel Zocus ab effi-
Argumentum igitur ab eficiente cauſa; ut fi pluribus, veldoctis videtur
hominibus,ei contra ciense cauſa. quis juſtitiam naturalemn velit oſtendere,
dicat: dici non poſſe. Locus à rei judicio. congregatio hominum naturalis eſt:
juſtitiam A fimilibus verò hoc modo, fi dubitetur, an verò congregatio hominum
fecit: juſtitia igitur hominis proprium fit eſſe bipedem, dicimus fi naturalis
eſt. Quæſtio de accidente. Maximapro- militer: ineſt equo quadrupes, &
homini bipes; poſitio: quorum effacientescauſæ naturales ſunt, non eft autem
equi quadrupes proprium; non eft apſa quoque ſunt naturalia. Locus ab
efficienti igitur hominis propriuin bipes. Quæſtio de pro bus; quodenim
uniuſcujuſque cauſa eſt,id efficit prio. Maxiina propoſitio. Si quod
limiliterineſt, can rem, cujus caufa eft, non eſt proprium, ne id quidem de quo
quæritur, Locus à ma Rurſus, ſi quis Mauros arima non habere con- eſſe
propriuin poteſt. tendat, dicit idcirco eos minimè armis uti, quia Locus à
fimilibus: hic verò in gemina dividitur. Locus àfomi libus duplex. his ferrum
deſit. Maxima propoſitio, ubi materia Hæc enim fimilitudo, aut in qualitate,
aut in deeſt, & quod ex materia efficitur, defit locus à quantitate
conſiſtit: ſed in quantitate paritas mareria: utrumque verò, ideft, ex
efficientibus nuncupatur, id eſtæqualitas. atque materia,uno nomine à cauſa
dicitur. Æquè Rurfus ab eo quod eſt majus, fi an fit animalis Locais à Ma. enim
id quod efficit, atque id quod operantis definitio, quod ex ſe moveri poffit,
dicimus, actum ſuſcipit, ejus rei, quæ efficitur, cauſæ magis oportet eſſe
animalis definitionem, quòd funt. naturaliter vivat, quàm quòd ex ſemoveri
poffit Locais à fine. Rurſus à fine fit propofitum, an juftitia bona Non eft
autem hæc definitio animalis, quòd natu fit, fiet argumenratio talis. Si beatum
eſſe, bo- raliter vivat: ne hæc quidem, quæ minùs vide num eſt, & juſtitia
bona eſt; hic eſt enim juſtitiæ tur effe definitio, quod ex ſe inoveripoſſit,
ani finis, ut qui ſecundum juſtitiam vivit, ad beati- malis definitio eſſe
paranda eſt. Quæſtio de defi rudinem perducatur. Maxima propoſitio, cujus
nitione. Propoſitio maxima. Si id quod magis finis bonus eft, ipſum quoque
bonum eft. Locus videbitur ineſſe non ineſt, ne illud quidem à fine. quod minus
ineffe videtur, inerit. Locus ab eo Loctus a for Ab eo verò, quæcujuſque forma
eſt,ità non po- quod eſt inajus. tuiſſe volare Dædalum, quoniam nullasnaturalis
A minoribus verò converſo modo. Nam fi eft locus à formæ pennas
habuiſſet.Maxima propoſitio, tan- hominis definitio, animal grellibile bipes:
cúm- mori. tìm quemque poffe, quantùın formapermiſerit. que id bipes videatur
effe definitio hominis mi Locus à forma, nus. quàm animal rationale mortalc;
fitque defi Loc tus ab effe, Ab'effectibus verò, & corruptionibus,
&uſibus nitio ea hominis, quæ dicit animal grellibile bi Etibus, corrm- hoc
modo: namn ti bonum eſt,domus, conſtru- pes, erit definitio hominis, animal
rationale - ptionibus, &io bonum eſt, bonum eſt domus. Rurfus fi mortale.
Quæſtio de definitione. Maxima propo ufibus., maluin eſt, deſtructio domus:
bona eſt domus,& ficio: Si id quod minus videtur ineffe, ineſt: & fi
bona eſt domus, mala eſt deſtructio domus. id quod magis videtur inefle,
inerit. Multæ au Item ſi bonum eſt equitare, bonum eſt equus: & tem
diverfitates locorum ſunt, ab eo quod eſſe fi bonum eſt equus, bonum eſt
equitare. Eſt au- magis acminùs, argumenta miniſtrantium: quos tein primum
quidem exemplum à generationi- in expoſitione Topicorum Ariſtotelis diligentius
bus, quodidem ab effectibus vocari poteft. Sea perſequuti fumus. cunduin à
corruptionibus, tertium ab ufibus. Item ex proportione: ut fi quæràtur, an
ſorte Lucus ex pro Omnium autem maximæ propofitiones: cujus fint legendi in
civitatibus magiſtratus, dicamus portione. effectio bonaeſt, ipfum quoque bonum
eſt, & è minimè: quia ne in navibus quidem gubernator converfo: & cujus
corruptio mala eſt, ipſum bo- forte præficitur: eſt eniin proportio, nain ut
fele nuin eſt, & è converſo: &cujus uſus bonuseſt, habet gubernatorad
navem, itamagiſtratus adci ipfum bonum eft, & è converſo. vitatem. Hic
autem locus diftat ab eo, quod ex ſi Locus à com A coinmuniter autem
accidentibus argumenta milibus ducitur. Ibi enim una res quæ cuilibet
muniteracci- funt, quotiens ea ſumuntur accidentia, quæ re- & alii
comparatur: in proporcione verò non eſt linquere ſubjectum,vel non poffunt, vel
non ſo. limilitudo rerum, fed quædam habitudinis coin lent; utſi quis hoc inodo
dicat: ſapiens non pa paratio. Quæſtio de accidenti proportione.Quod nitebit;
pænitentia enim malum factum comita- in quaquereevenit, id in ejus
proportionali eve tur: quod quia in ſapiente non convenit, ne poe- nire neceſſe
eſt. Locus à proportione. nitentia quidein.Quæſtio de accidentibus.Propo Ex
oppoſitis verò multiplexlocus eft. Quatuor Locus ex op fitio maxima: cui non
ineft aliquid,ei neillud qui- enim libimet opponuntur modis; aut enim ut pofo
ismulti dein, quod ejus eſt conſequens, ineffe poteſt. contraria adverfo ſeſe
loco conſtituta refpiciunt: plex. Locus à coinmuniter
accidentibus. aut ut privatio, & habitus: aut relatio: aut affir De lo cis
ex Expeditisigitur locis his, qui ab ipſis terminis inatio &négatio. Quorum
diſcretiones in co li srinfecus. in propofitfone poſitis, affumuntur: nunc de
his bro qui de decem prædicamentis fcripruscſt,com dicendum eft, qui licet
extrinfecuspoſiti, argu- meinoratæ ſunt; ab his hocmodoargumentanaſ menta tamen
quæſtionibus fubminiftrant: hi ve ro ſunt vel ex rei judicio, vel ex ſimilibus,
vel à A contrariis fi quæratur, an lit virtutis pro- Locus à con majore, vel à
minore, velà proportione, velex prium laudari, dicam minimè: quoniam ne vitii
trariis.; D cuntur. B. Jocentu. habits. sione. Locus ex. ne. quidem vituperari.
Quæſtio de proprio. Maxi- ſecundum proprii nominis fimilitudinem corr ma
propoſitio: quoniam contrariis contraria fequuntur. conveniunt. Locus ab
oppoſitis, id eft, ex con Mixti verò loci appellantur: quoniam ſi de ju- Qui
mirtilo. ' trario. ſtitia quæritur, & à caſu, vel à conjugatis argu Locuus
à pri Rurſus ſit in quæſtione pofitum: An ſit pro- menta ducuntui; neque ab
ipſa propriè atque vatione prium oculos habentium videre, dicam miniinè:
conjunctè, neque ab his quæ ſunt extrinſecus eos namque qui vident, aliàs etiam
cæcos eſſe polica videntur trahi, fed ex ipſoruin calibus, id contingit. Nain
in quibus eſt habitus,in eiſdem eſt, quadam ab iplis levi immutatione deductis:
poteriteſſe privatio; & quod eſt proprium, non Jure igitur hi loci medii
inter eos, qui ab iplis, poreſt àſubjecto diſcedere. Etquoniam venien- &
eosquiſunt extrinfecus, collocantur. te cæcitate viſus abfcedit:non effe
proprium ocu Reſtat locus à diviſione, qui tractatur hoc mo- Locus è divi. los
habentium videre convincitur. Quæſtio de de. Omnis diviſio vel negatione fit,
vel parti- fione fisvel proprio. Propofitio, ubi PRIVATIO adetle poteft tione;
ut ſi quis ita pronuntiet: omne animal negatione,vel Partitione & habitus,
proprium nonelt. Locus ab oppofi- aut habet pedes, autnon haber.
Partitione verò, tis, ſecunduin habitum ac privationein. velut ſi quis dividat:
omnis hoino aut ſanus, aut Zocus à rela. Rurſus ſit in
quxſtione pofitum, an patris fit æger eft. Fit autem univerfa divifio, vel, ut
ge proprium procreatorem eſſe, dicain rectè videri: neris in ſpecies,
vel.totius in partes, vel vocis in quia filii eſt propriuin procrcatum efle; ut
enim proprias ſignificationes, vel accidentis in ſubje ſeſe habet pater ad
filium, ita procreatus ad pro- cta, velſubjecti in accidentia, vel accidentis
in Creatorem. Quæſtio
de proprio. Propofitiomaxi- accidentia. Quorum omnium rationemin meo ma: ad ſe
relatorum propria, & ipſa ad ſe refe- libro diligentius explicavi, quem de
diviſione Libram dedi runtur. Locus à relativis oppofitis. Locus ab af
compoſui:atque idcircoad horuin cognitionem vifione com pour celſis formatione
e Item fit in quæſtione politum, an lit ani- congrua petantur exempla. Fiunt
verò argumen - dow negatione. malis proprium moveri, negem: quia nec tationes
per diviſionem, tun ea ſegregatione, Ed.
in ani- inaniinati quidein eſt proprium non moveri. qux per negationem fit, cum
ea quæ per parti mali. Quæſtio de proprio. Propofitio inaxiina: op- tionem. Sed
qui his diviſionibus utuntur, aut di politorum oppoſitaeſſe propria oportere.
Ló- re& tâ ratiocinatione contendunt: aut in aliquid cus ab ppolitis,
ſecundum affirmationem ac impoſibile atque inconveniens ducunt, atque
negationem; moveri enim & non moveri, ſe- ita id quod reliquerant, rurſus
adſumunt. cundum affirmationem negationémque fibimmer Quæ faciliùs quiſque
cognoſcer, li prioribus opponuntur. Analiticis operam dederit: horum tamen in
præ Ex tranſſumptione verò hoc modo fit: cùm ex fentitalia præftabunt exempla
notitiain. Sit in transJumptio. histerminis in quibus quæſtio conſtituta eft,ad
quæſtionepropoſituin, an ulaorigo fit temporis: aliud quidem notius dubitatio
transfertur; atque quod qui negare volet, id nimirum ratiocinatio ex ejus
probationeea, quse in quæſtione ſunt po- ne firmabit mallo, modo effe ortum:ídque
dire ſita, confirmantur; ut Socrates, cùin quid pof- &tâ ratiocinatione
monftrabit, hocmodo: quo ſet in unoquoque juſtitia, quæreret; omnein niain
mundusærernus eſt (id enim pauliſper ar tractatum ad reipublicæ tranſtulit
inagnitudi- guinenti gratiâ concedatur ) mundus verò fine nem; atque ex co
quodilla efficeret infingulis, tempore effe non potuit, teinpus quoque eſt æter
etiani valere fitinavit. Qui locus à roro forſican num: ſed quod æternum eſt,
carerorigine: tem eſſe videretur: ſed quoniam non inhæret in his, pus igitur
orignem non habet. Atſi per impolli de quibus proponitur terminis, fed extra
poſita bilitatein idem deſideretur oſtendi, dicetur hoc res, hoc tantum
quianotior videtur, affumitur; modo. Sitempus habet origineni,non fuit ſemper
idcirco ex tranſfumptione locus id convenienti teinpus: fuit igitur, quando non
fuit rempus, ſed vocabulo nuncupatus eft. Fit verò hæc tranſlum- fuiffe SIGNIFICATIO
eſt temporis; fuit igitur tein prio &in nomine, quoties ab obfcuro vocabulo
pus, quando non fuittempus: quod fieri non ad notius transfertur argumentatio,
hoc modo; poteft; non igitur eſt ulluin temporisprincipiuin ut ſi quæratur, an
philoſophus invideat, fitque pofitum. Namque, ut ab ullo principio cæpe ignotum
quid philoſophi ſignificet nomen, dice- rit, inconveniens quiddam atque
impoffibile mus ad vocabulum notius transferentes, non in- contingit fuiſſe
teinpus, quando non fuerit videre qui ſapiens ſit; notius enim eſt fapientis
tempus. Reditur igitur ad alterain partein, vocabuluin, quàm philofophi. Ac de
his qui- quod origine careat: fed hæc quæ ex negatio dem locis qui extrinfecus
aſſumuntur, idoncè di- ne diviſio eſt, cùm per eam quælibet argu ctuin eſt:
nunc de mediis diſputabitur. menta ſumuntur, nequit fieri, ut utrumque fit,,
quod affirinatione & negatione dividi De Mediis. tur: itaque ſublato uno,
alterum manet; pofi tóque altero reliquum tollitur: vocaturque hic à Ex quibus
Medii enim loci ſumuntur vel ex calu, vel ex diviſione locus, medius inter eos
qui ab ipfis conjugatis, vel ex diviſione naſcentes. Caſus duci folent, atque eos qui extrinſecus adſumun Sumantur. Quid fit eſt
alicujus nominis principalis inflexio in adver- tur. Cùm enim quæritur, an ulla
temporis lit bium: uràjuſtitia inflectitur juſtè, cafus igitur origo, ſumit
quidem eſſe originem; & ex eo pet Quid Conju- eſt juſtitia,id quod dicimus
juftè, adverbium. propriamconſequentiam à re ipſa,quæ quæritur, Conjugata verò
dicuntur, qux abeodein diver- htimpoſſibilitatis & mendacii fyllogiſmus;quo
fo modo ducta Auxerunt:ut à juſtitia, juftum; concluſo reditur ad prius, quod
verum eſſe ne hæc igitur inter ſe & cum ipſa juſtitia conjugara ceſſe eſt;
fiquidem ad quod eioppofitum eſt, ad dicuntur, ex quibus omnibus in promptu
lunt impoſſibile aliquid inconvenienſque perducit. argumenta. Namfi id quod
juftum eft, bonum Itaque quoniam ex ipfa re, de qua quæritur, fieri eſt; &
id quod juſtè eſt, benè eſt; & qui juftus fyllogiſmus folet, & quali ab
iplis locus eft du eft, bonus cft, & juftitia bona eſt; hæc igitur cus:
quoniam verò non in eo permanet, fed ad locis Medii Calus. gaid. politum DE
DIALECTICA BA tis li 1. nd 20 je 18 19 100. TOR: OK parti 17 10.3. pofitam
redit, quafi extrinſecus fumitur: idcirco Quibus ita popofitis inſpiciatRus
nunc cos lo: igitur hic à diviſione locus inter utrumque me cos', quos duduin
extrinfecuspronuntiabamus Delocis eta dius collocatur. affuini; ea enim, quæ
extrinſecus affumuntur, frempris,, of Loci ex par Ac verò hi qui ex partitione
funiuntur, multi- non ſunt ita ſeparata atquedisjuncta, ut non ali nitione fum-
plici funt modo. Aliquotiens
enim quæ divi quandoquali è regione quadam, ca quæ quærun qua dintre
pri,maisiplici duntur, fimul effe poffunt; ut fi vocem in figni- tar,
afpiciant. Nam & funilitudines & oppofita frunt modo. ficationes
dividamus, oinnes fimul eſſe poſſunt: ad ea lme dubio referuntur, quibus
ſimilia vel op veluti cum dicimus amplector, aut actionein li polica funt,
licet jure atqueordine videantur ex gnificat, aut paffionem; utrumque finul
lignifi trinſecus collocata. Sunt autem hæc, ſimilitudo, care poteft. Aliquotiens
velut in negationis mo- oppoſitio, magis,ac minus, rei judicium. In ſimi do,
quæ dividuntur fimul eſſe non poffunt; ut litudine enimcum rei fimilitudo, tum
propor fanus eſt, aut æger. Fitautein raciocinatio in tionis ratio continetur.
Omnia enim fimilitudi priore quidem mododivilionis, tum quia omni- nem tenent.
bus adeſt quodquæritur, vel non eft: tum verò Oppolica verò in concrariis, in
privationibus; idcirco alicui adeſſe, vel non adeffe quod aliis ad in
relationibus, in negationibus conſtant. Com ſit, vel minimè. paratio verò
majoris ad minus quædam quali ſi Nec in his explicandis diutiùs laboramus, fi
miliuin diffimilitudo eft; rerum enim per fe finni prioresReſolutorii, vel
Topica diligentiùs inge- lium in quantitate diſcretio majus fecit ac minus,
nium le& oris inftruxerint. Nam fi quæratur, Quod enim omni qualitate,
omnique ratione utrum canis fubftantia fit, atque hæc divifio fiar: disjunctum
eſt, id nullo modo poterit compara canis vel latrabilis animalis eſt velmasinx
belluæ, ri. Exrei verò judicio quæ ſunt argumenta, quaſi vel cæleftis lideris
nomen e demonftraretque per teſtinionium præbent, & ſunt inartificiales
loci ſingula & canem latrabilem fubftantiam eflc,ma- atque omnino disjuncti;
nec rem potius, quàm rinam quoquebelluam, & cælefte fidus ſubſtantiæ
opinionem judiciúmque fectantes. Tranſſum poffe fupponi,nonftravit canem eſſe
fubftantiam. ptionis verò locus nunc quidem in'æqualitate, Acque hic quidem ex
ipfis in quæſtione propoſi- nunc verò in majoris minoriſve.comparatione tis;
videbitur argumenta traxiſſe. At in talibus conſiſtit; aut enim adid quod eſt
finile, aut ad id fyllogiſmis, aut fanus eſt aut æger: ſed fanus eft, quod eſt
majus aut minus, fit arguinentorum raa non eft igitur ager: ſed fanus non eft,
rgerigi- fionumque tranſſumptio. cur eſt; velica: liæger eft, fanus igitur non
eſt; Hi verò loci quos mixtos eſſe prædiximus, aut De locismist velita: fi æger
noneft, fanus igitureſt. Ab his ex caſibus, autex conjugatis, aut ex
diviſionenaſ- sis. * M5$. in- quæ funt* extrinſecusſumptus eſt ſyllogiſmus,id
cuntur: in quibus omnibus conſequentia, & re trinfecu. elt,ab oppoſitis.
Idcirco ergo totus hic àdiviſio- pugnantia cuſtoditur. Sed ea quidem,quæ ex
defi ne locus inter utrofque medius eſſe perhibetur: nitione, vel genere, vel
differentia, vel caufis quia ſi negatione fit conftitutus, aliquo inodo
arguinenta ducuntur, demonftratione maxiinè quidem ex ipfis fumitur, aliquo
modo ab exte- fyllogiſinis vires atque ordinem ſubminiſtrant: tioribus venit.
Si verò à particioneargumenta reliqua verò verifimilibus ex dialecticis. Atque
ducuntur; nunc quidem ab ipfis, nunc verò ab hi loci maximè, qui in corum
fubftantia ſunt, de exterioribus copiam præſtant: quibus in quæſtione dubitatur,
ad prædicativos Etca Græci quidem Themiſtii diligentiſſimi ac fimplices:reliqui
verò ad hypotheticos & con ſcriptoris ac lucidi, & omnia ad facultatem
intel- ditionalesreſpiciuntfyllogiſmos. Partitio locou ligentiæ revocantis,
talis locorum videtur effe Expeditis igitur locis,& diligenter tam defini
partitio. Quæcùm ita fint, breviter mihi loca- tione, quàm exemplorum etiam
luce parefactis, rum divifio coinmemoranda eſt, ut nihil præte- dicendum
videtur, quomodohiloci maximarum rea relictum eſſe monftretur, quod non intra
cam ſint differentiæ propoſitionum, idque brevi; ne probetur effe inclufum. De
quo enim in quali- que enim longå diſputatione res eget. Omnes bet quæſtione
dubitatur, id ita firınabitur argu- enimmaxiinæ propoſaiones,vel definitiones,
in mentis; ut ea vel ex his ipfis fumantur, quæ in eo quòd ſunt maximæ, non
differunt: ſed in ed quæſtione ſunt conſtirura, vel extrinfecus ducan- quòd hæ
quidein à definitione, illæ verò à genere, tur vel quaſi in confinio horum
pofita veſtigen- vel aliæ veniant ab aliis locis, & his jure differre; tur.
Ac præter hanc quidem diviſionein nihil ex- hæque earum differentiæ eſſe
dicuntur. tra inveniri poteſt: ſed ſi ab ipſis fumitur argu mentum, aut ab
ipſoruin neceffe eſt ſubſtantia De Topicis. fumatur, aut ab his quæ ea
conſequuntur, aut abhis quæinſeparabiliter accidunt,veleis adhæ- Topica ſunt
argumentorum ſedes, fontes fen- Quid fire ſubſtantia ſeparari ſejungique fuum,
origines dictionum. Itaque licet definire Topica. vel non poffunt, vel non
folent. Quæ verò ab locum eſſe argumentiſedem: argumentum aucem corum
fubftantiaducuntur, ca aut in deſcriptio- rationem, quæ reidubiæ faciat ħdem.
Et funt ar- Quibus ex aut in definitione ſunt; & præter hæc, à no- gumenta
aut in ipfo negotio, dequo agitur: aut rebus argi minis interpretatione. Quæ
verò eavelur ſub- ducuntur exhis rebus, quæquodanmodoaffectæ menta ernano
ftantias continentia conſequuntur, alia ſunt, vel ſunt ad id,de quo quæritur;
& ex rebus aliis tra ut generis, vel differentiæ, vel integræ formæ,
&tæ nofcuntur: aut certè affumuntur extrinſecus. vel fpecierum,
velpartiumloco circaca, quæ in- Ergo hærentia loca argumentorum in eo ipfone-
Ex locis han quirantur, alliſtunt. Item, vel caufæ, vel fines, gotio
funttria,id eſt, à toto, à partibus, à nota. rentibus & vel effectus, vel
corruptiones, vel uſus,vel quan A toto eft argumentum etiam,cùm definitio ad-
ſunt tria. ticas, vel tempus, vel fubliſtendimodus. Quod hibetur adid, quod
quæritur; sicut ait CICERO, * Ed. exfc. verò propriè inſeparabile, vel adhærens,
acci- GLORIA EST LAUS rectè fa &torum, magnorúmque in dens nuncupatur, id
in communiter accidentibus rempublicam fama meritorum: * ecce quia GLORIA
numerabitur. Et præter hæc quid aliud cuiquam totum eſt, per definitionem
oſtendis, quid lis inelle pollit, non poteft invenici. GLORIA. Dddd firs 218 -
am Timr. B. tredecim. Argumentum à
partibus ſic; utputa, ſi oculus A repugnantibus arguinentum eſt, quando videt,
non ideo totuin corpus videt. illud quod objicitur,aliqua contrarietate deftrui
A nota autem fic ducitur argumentuin, quod tur -- ut CICERONE dicit: Is igitur
non inodò à te per Græcè Etymologia dicitur: Siconſul eſt,qui con- riculo
liberatus, ſed etiam honore ampliſſimodi ſulit reipublicæ, quid aliud Tullius
fecit,cùm ad- tatus, arguitur domi ſuæ te interficere voluiffe. fecit fupplicio
conjuratos? A cauſis argumentum eſt, quando ex conſuetu Exipfis rebus Gex rebus
Nuncducunturargumenta & ex his rebus, quae dine communi res quæ tractatur,
fieri potuiſſe aliis, e junt quodammodo affectæ ſunr adid, de quo quæri-
convincitur; ut in Terentio: Ego nonnihil veri & ex rebus aliis tra &tæ
nofcuntur: & funt tus ſuin dudum abs te Dave, ne faceres, quod loca
tredecim, id eſt, alia à conjugatis, alia à ge- vulgus fervorum folet, dolis ut
ine deluderes. nere, alia à forma generis, id eft, fpecie, alia à Ab effectibus
ducitur argumentum, cùm ex his Limilitudine, alia à differentia, alia ex
contrario, quæ facta ſunt, aliquid adprobatur; utin VIRGILIO alia à conjunctis,
alia ab antecedentibus, alia à lio: Degeneres animos timor arguit; nam timor
conſequentibus, alia à repugnantibus, alia à cau- eſt caula, ut degener (ic
animus, quod ciinoris fis, alia ab effectibus, alia à comparatione inino-
effectum eſt. rumi, majorum, aut parium. A comparatione argumentuin ducitur,
quando Primò ergo à conjugatis argumentum ducatur. per collationem perfonarum
live caufarum, fen Conjugata dicuntur, cùm declinatur à nomine, tentiæ ratio
confirmatur, & à majori ratione hoe & fit verbun; ut CICERONE Verrem
dicit everriſſe modo, ut in VIRGILIO: Tu potes unanimes arna provinciam: vel
nomen à verbo, cùmlatrocinari rein prælia fratres. Ergo qui hoc in fratribus po
dicitur latro: aut nomen à nomine; ut Terentius: teft, quanto magis in aliis?'A
minorum compa Inceptio eſt amentium, haud amantium, ratione; ſicut Publius
Scipio Pontificem maxi A genere argumentum eſt, quando à re gene- mum Tiberium
Gracchum non mediocriter labe rali ad ſpeciem aliquam deſcendit: ut illud VIRGILIO
- factantem ſtatum reipublicæ privatus interfecit. lii, Varium & mutabile
ſemper fumina: potuit A pariuin comparatione;lic CICERONE, in Piſone & Dido,
quod eſt ſpecies, varia & mutabilis nihil intereſſe, utrum ipſe conſul
improbis con eſſe. Velillud CICERONE, quod fecit argumen- cionibus, perniciofis
legibus rempublicam vexer, tum, deſcendens à genere ad ſpeciem:Nam cùm an alios
vexare pațiatur. omnium provinciarum ſociorúmque rationem Extrinſecus verò
affumentur argumenta hæc, De Argu diligenter habere debeatis, tuin præcipuè
Siciliæ, quæ Græci år give vocant, id eſt, inartificialia, meniis ex judices.
quod teitimonium ab aliqua externa re fumitur frin'ecus afa fumptis. Aſpecie
argumentumducitur, cùmgenerali ad faciendam fidem; & prius. quæſtioni fidem
fpecies facit; ut illud VIRGILIO: A perſona, utnon qualifcuinque lit, ſed illa
An non fic Phrygius penetrat Lacedæmonapa- quæ teitimonii pondus habet
adfaciendam fi ftor? quia Phrygius paſtorſpecies eſt; & fi iftud dem, fed
& morum probitate debet effe lauda ille unusfecis, & alii hoc Trojani
generaliter fa- bilis. tere poffunt. A natura auctoritas eſt, quæ maxima
virtute A ſimili argumentum eft, quando de rebus conſiſtit; & à tempore
funt, quæ afferant aucto aliquibus fimilia proferuntur; ut Virgilius. ritatem;
ut ſunt ingenium, opes, ætas, fortu Suggere tela inihi, nam nullum dextera
fruftra na, ars, uſus, necellitas, concurſio rerum for Torſerit in Rutulos,
fteterintque in corporc tuicaruin. Grajum A dictis fačtíſque majorum petitur
fides: cùm Iliacis campis. priſcorum dicta factáque memorantur. A differentia
argumentum ducitur, quando Et à tormentis fides probatur, poft quæ neme per
differentiam aliquæ res feparantur; VIRGILIO: creditur velle mentiri. Non Diomedis equos, nec curruin cernis Achil lis. De Syllogiſmis. A
contrariis argumentum ſumitur, quando res diſcrepantes fibimet opponuntur; ut
Teren Prima figura modos haber quatuor, qui uni tius: Nam fi illum objurges,
vitæ qui auxilium verfaliter vel particulariter affirmativam vel ne tulit, quid
facies illi qui dederit damnum aut gativam concludent. malum? Secunda item
quatuor modos, qui ab negativa A conjunctis autem fides petitur argumenti;
concludent, five univerſaliter live particulariter. cùm quæ lingula infirma
ſunt, fi conjungantur Tertia figura haber ſex modos, qui affirmative vim
veritatis affumunt; ut, quid accedit ur tenuis vel negativè, ſed particulares
facient copclufio ante fuerit, quid fi ut avarus, quid fi ut audax, nes. quid
fi ut ejus, quiocciſus eſt, inimicus? Singula Ergo primæ figuræ modus primuseſt,
qui con hæc quia non ſufficiunt, idcirco congregata po- ficitur ex duabus
univerſalibus affirmativis, ha nuntur, ut ex multis junctis res aliqua confir-
bens concluſionem univerfaliter affirmativain, hoc modo. Ab antecedentibus
argumentum eft, quando Omne bonumeft amabile. aliqua ex his quæ priùs gefta
funt, comproban Omne juftum eft bonum. tur; ut CICERONE pro Milone:Cùm non
dubitaverit Omne igitur juftum eft amabile. aperire quid cogitaverit, vos
poteſtis dubitare Secundus modus figuræ primæ conficitur ex quid fecerit?
præceſſit enim prædictio,ubi eft ar- univerſali abnegativa, & univerfali
affirmativa, gumentum, & fecutuin eſt factum. habens concluſionem
univerſaliter, hoc modo. A confequentibus verò arguinentum eſt, quan Nullus
rifibilis eft irrationalis. do pofitam rem aliquid inevitabiliter conſequi
Omnis homo eft riGbilis. tur; ut fi mulier peperit, cum viro concubuit. Nullus
igitur homo eſt irrationalise. metur.Tertius modus primæ figuræ est, qui
conficitur gationem particularem concludit, hoc modo. ex univerſali
affirinativa, & particulari affirma Quidam homo non eſt albus. tiva,
particularem affirmativam concludens, hoc Omnis homo eft animal. modo. Quoddam
igitur animal non eſt albumi Omne animal movetur. Sextus modus tertiæ figuræ
eſt, qui ex univer Quidam homo eſt animal. ſali negativa, & particulari
affirmativa particula Quidam igitur homo movetur. rem negativam concludir, hoc
modo. Quartusmodusprimæ figuræ eſt, qui confi Nallus homo eft lapis. citur ex
univerſali abnegativa, & particulari affir Quidain homo eſt albus. mativa,
particularem abnegativam concludens, Quoddam igitur album non eſt lapis. hoc
modo. Demonftrati ſunt omnes modi trium figuraru:n Nullum inſenſibile eſt
animatumi categorici fyllogiſmi, licet quidam primæ figuræ Quidam lapis eft
inſenſibilis. aliosquinque modos addiderint. Quidam igitur lapis non eſt
animatus. Secundæ verò figuræprimus inodus eſt, qui ex De Paralogiſmis.
univerſali abnegativa, & univerſali affirmativa Paralogiſmi verò primäe
figuræ ita fiunt,ex prio concludit hoc modo univerſale abnegativum. ri
affirmativa univerſáli, &fecunda negativa uni Nullum maluin eſt bonum.
verfali. Omnis homo eft animal: nullú animal eſt Omne juſtum eſt bonum. lapis:
nullus igitur homo lapis eſt. Et quiamuta Nullum igitur juftum eſt malum. to
termino &univerfale & particulare concludet Secundæ verò figuræ
ſecundus modus eſt, in & negativaļn & affirmativam: ob hoc eſt inutilis
quo ex univerſalipriore affirmativa, & pofteriore approbatus idem
paralogiſmus,quiex duabus ne univerſali abnegativa conficitur univerfalis abne-
gativiş univerſalibus fit hoc, modo. Nullus lapis gativa concluſio, hoc modo.,
animal eft: nullum animal immobile eft: nullus Omne juftum eft æquum. igitur
immobilis eft lapis. Nullum malum eſt æquum, Idem paralogiſmus, qui ex duabus
particulari Nullum igitur malum eſt juſtum. bus affirmativis fit hocmodo:
Quidam equus Tertius ſecundæ figuræ modus, qui ex priore animal eſt: quoddam
animal bipes eſt: quidam univerſali negativa,& pofteriore particulari
affir- igiturequusbipes eſt. Rurſum ex duabus parti inativa, negationem
colligit particularem, hoc cularibus negativis họcmodo: Quidam homo al modo.
bus non eft: quoddam album non movetur: qui Nullus lapis eſt animal. dam igitur
homo non movetur. Quædam ſubſtantia eſt animal. Dein, fi prior affirmativa
particularis, & ſecun Quædá igitur ſubſtantia non eſt lapis. da negativa
particularis fuerit, hoc modo: Qui Quartus moduseſt ſecundæ figuræ, qui ex
affir- dam equus animal eſt: quoddam animal quadru mativa priore univerſali,
& pofteriore particu- pesnon eſt: quidam igitur equus quadrupes non lari
negativa, particularem negationem conclu- elt. dit, hoc modo. Idem,li prior
negativa particularis, ſecunda Omne juſtum eſt rectum. affirmativa fuerit
particularis,hoc modo: Quidam Quidam homo non eft rectus. homo equus non eſt,
quidam equus immobilis Quidam igitur homo non eſt juſtus. eſt; quidam igitur
homo immobilis eſt. Primus modus tertiæ figuræ eſt, qui ex duabus Idem, fi
major propofitio affirmativa fuerit uni univerſalibusaffirmativis, particularem
affirmati- verſalis, & minor propoſitio negativa fuerit par vam concludit:
quia univerſalem affirmativam ticularis, paralogiſmus erit, hoc modo: Omnis
licet in particularem affirmativam converti, hoc homo animal elt, quoddam
animal rationabile modo. non eít, quidam igitur homo rationabilis non eft:
Omnis homo eſt animal. At verò ſi major fuerit propoſitio univerſalis Omnis
homo eſt ſubſtantia. negativa, & minor particularis fuerit negativa;
Quædain igitur ſubſtantia eſt animal. nullus poterit eſſe fyllogiſmus, hocmodo:
Nuli Item ſecundus modus tertiæ figuræ eft, in quo lus lapis animal eſt,
quoddam animal pinnatum ex univerſalinegatione & univerfali affirmacione
eft, nullus igitur lapis pinnatuseſt. fit particularis negativa concluſio.
Rurſus, li primafuerit particularis, ſecunda Nullus hoino eſt equus. verò
univerſalis, & utræque affirmativæ propofi Omnis homo eſt ſubſtantia.
tiones, non erit syllogiſmus, hoc modo: Qui Quædá igitur fubftantia non eft
equus. dam lapis corpus eſt, omne corpus menfurabile Tertius modus člttertiæ
figuræ, qui ex particu- eſt, quidam igitur lapis inenfurabilis eſt. lari &
univerſali aftırmativis parcicularem affir Idem,liprima fuerit particularis
propoſitione mativam concludit, hoc modo. gativa, & fecundauniverſalis
negativa, non erit Quidam hoino eſt albus. fyllogiſmus, hoc modo: Quoddam
animal bipes Omnis homo eſt animal. non eft, nullum bipes hinnibile eſt,
quoddam -Quoddam igitur animal eſt album. igitur animal hinnibile non eſt;
Quartus verò modus tertiæ figuræ eft, qui ex Idem, ſi prior affirmativa
particularis, ſecunda univerſali &particulari affirmativis, particulare
negativa univerſalis propolițio fuerit; ſyllogif, affirmativum concludit, hoc
modo. mum non facit; hocmodo: Quidamn lapis inſen Omnis homo eſt animal. farus
eſt, nullum inſenſatuin vivit, quidam igi Quidam homo eſt albus. tur lapis non
vivit. Quoddam igitur album eſt animal. Idem, li prior negativa particularis
propoſitio Quintus verò modus tertiæ figuræ eſt, qui ex faerit, & fecunda
attirnativa univerſalis, para „particulari negativa, & univerſali
affirınativa ne- logiſinus erit, hoc modo: Quoddam nigrunani. Dddd ij M cha 1
Caffiodorus non cſt. lis eft. anarum non eſt, omne animatum movetur, quod-
Confirmationem, Reprehenſionem, Per oratio dam igitur nigrum non movetur. Et de
finitis nem. Quæ partes inſtrumenta ſunt Rhetoricæ fa propolitionibus
fyllogiſmus non fit, quia parti- cultatis: quoniam Rhetorica in omnibusſuisſpe
culares fimiles ſunt. ciebus ineft, & ſpecies eidem inerunt. Nec po tiùs
inerunt, quàm eiſdem ea, quæ peragunt, ad Omnes propofitiones his modis
conftant. miniſtrabunt. Itaque & inJudiciali genere cau faruin neceffarius
eft ordo Proemii, & Narra Id eſt, Simplices, ita. Contraria. tionis, atque
cæteroru: n; & in Demonſtrativo, Omnis homo juſtuseſt. Nullus homojuſtus
eſt. Deliberativóque neceſſaria ſunt. Opus auté Rhe- o "uis Rhero Quidam
homo juſtus Quidam homo juſtus toricæ facultatis,docere & movere: quod
nihilo- rice of move. eſt. minus iiſdem ferè rex inftrumentis, id eft oratio-
re docere, Contradictoria. nis partibus, adıniniftratur. Partes autem Rho Omnis
homo rationalis Nullus homo rationa- toricæ, quoniam partes ſunt facultatis,
ipfæ quo eſt. que ſunt facultates; quocirca ipfæ quoque ora Quidam homorationa-
Quidam hoino ratio- tionis partibus, quali inſtrumentis utentur. lis eft. halis
non eft. Atque ut his operentur, eiſdem inerunt. Nam Ex utriſque terminis
infinitis. Omnis non in exordiis niſi quinque ſint ſupradictæ Rhetori homo non
rationalis eſt. Nullus non homo non cæ partes; utinveniat, eloquatur, diſponat,
me rationalis eſt. Quidam non hoino non rationa- minerit, pronuntiet, nihil
agit orator. Eoden lis eſt. Quidam non hoino non rationalis non eſt. quoque
modo & reliquæ ferè partes inſtrumenti, Item ex infinito ſubjecto:Omnis non
homo nili habeant omnes Rhetoricæ partes, fruſtra. Tationalis eft. Nullus non
homo rationalis eſt. funt. Hujus autem facultatis effector, orator eſt: Quidam
non homo rationalis eſt. Quidaın non cujus eft officium dicere
appoſitè ad perſuaſio hoino rationalis non cft. nein: finis tum in ipſo quidem
bene dixiſſe, id Item ex infinito prædicato: Omnis homo non eſt, dixiſſe
appolitè ad perſuaſionem: altera rationalis eſt. Nullus hoino non rationalis
eft. verò perſualifie. Neque enim fi qua impediant Quidam homo non rationalis
eſt. Quidam homo oratorem, quominus perfuadear, facto officio, non rationalis
non eſt. finem non elt confequutus:ſed is quidem, qui Item quæ conveniunt:
Omnis homo rationalis officio fuit contiguus & cognatus, conſequitur, eſt.
Nullus hoino non rationaliseſt. Onnis ho- facto officio. Is verò, qui extrà
eſt, ſæpe non mo non rationalis eſt. Nullus homo non ratio- confequitur: neque
tamen Rhetoricam ſuo fine nalis eit. Quidam homorationalis eſt. Quidam
contentam,honore vacuavit. Hæc quidem ita ſunt homo non rationalisnon eſt.
Quidam homo non mixta, ut Rhetorica infit fpeciebus, ſpecies verò rationalis
eft. Quidam homo non rationalis non infint cauſis. eſt.
Cauſarum verò partes ſtatus effe dicuntur: quos Canlari Item. Omne non animal
non homo eſt. Nul- 'etia: aliis nominibus cum conſtitutiones, tum partes flares
dicuntár, lum non animal non homo eſt. Quiddam non quæftiones nominare licet:qui
quidem dividun animal non homo eſt. Quiddam non animalnon tur ita, ut rerum
quoque natura diviſa eſt. Sedà fiones. homo non eſt. principio
quæſtionum differentias ordiamur: Item converfæ ex prædicato infinito. Omne
quoniain Rhetoricæ quæſtiones circunſtanciis non animal homo eſt. Nullum non
animal homo involutæ ſunt omnes, aut in fcripti alicujus con eit. Quoddain non
aniinal homo eſt. Quoddamn troverſia verfantur, aut præter fcriprum ex re
ipſa... non animal hoino non eſt. fumunt contentionis exordium, Item converfæ
ex infinitoſubjecto. Omne ani Et illæ quidem quæſtiones,quæ in ſcripro ſunt,
Queflionesia pro quin mal non homo eſt. Nullum animal non homo quinque inodis
fieri poffunt. Unoquidem, cùng eft. Quiddam animal non homo eſt. Quoddam hic
ſcriptoris verba defendit, & ille ſententiains i polliams. aniinalnonhomo
non eft. atque hic appellatur ſcriptum, & voluntas, Item propoſitiones
indefinitæ. Homo juſtus Alio verò, fi inter fe leges quadain contrarieta eſt.
Hoino juſtus non eſt. te diffentiunt, quarum ex adverſa parte aliæ de
Indefinitarum propoſitiones cum ſubje& o in- fendunt, aliæ faciunt
controverſiam; atque hic finito. Non hono juſtus eſt: Non homo juſtus vocatur
ftatus legis contrariæ. non eſt. Tertio, cùin fcriptum, de quo contenditur, Ex
prædicato infinito. Homo juſtus non eſt. fententiam
claudit ambiguam: ambiguitas ex ſuo Homonon juſtus non eft. nomine nuncupatur.
Ex utriſque terminis infinitis. Non homo Quarto verò, cùm in eo quod
ſcriptum eſt,aliud non juſtus eſt. Non homo non juſtus non eſt. non fcriptum
intelligirur; quodquia per ratioci Propoſiriones ſingulares vel individuæ.
Plato nationein & quamdam ſyllogiſmiconſequentiam juſtus eſt. “PLATONE iustus
non est.” veſtigatur, ratiocinativus vel fyllogiſmnus di Ex infinito ſubjecto.
Non Plato juſtus eſt. citur. Non Plaro juſtus non eſt. V, cùm ſermo
ſcriptuseſt, cujus non fa Ex infinito prædicato. Plato non juſtus eſt. cilè vis
ac natura clareſcat,niſidefinitione detecta Platonon juſtus non eſt. lit; hic
vocatur finis in ſcripro; quos omnes à ſe Ex utriſque terminis infinitis. Non
Plato non differre, non eſt noſtri, operiſve rhetorici demon juftus eſt. Non
Plato non juſtus non eſt. ftrare. Hæcautem ſpeculanda doctis, non rudi bus
diſcenda proponiinus: quamvis de eorum De locis Rhetoricis. differentia in
Topicorum commentis per tranſi- Quationes Rhetorice tum differuerimus.
Rhetorica oratio habet partes ſex, Procinium, Earum autem conſtitutionum, quæ
præter fcri- prin masina plices, fex. quod Exordiumcft, Nacrationein,
Partitionem, ptum in ipfaruin rerum contentione lunt politæ, corum dinzi modis
fica præter fcri habet partes 1 ses. riaicialis ita differentiæ ſegregantur,ut
rerum quoque ip- lem partem vergant, defenfionis copiam non mi farum natura
divila lit. In oinni enim Rhetorica niftrant; ex eiſdem enim locis accalatio
defenſió. quæſtione dubitatur, an ſit, quid ſit, quale fit; & que confiftit.
propterhæc,an jure, vel more poſſit exerceri judi Si igitur perſona in judiciam
vocatur, neque ciuin. Sed li factum; velres quæ intenditur ab facta:n, dictúmve
ulluin reprehenditur, cauſa eſte adverſario,negatur, quæſtio eſt utrùm fit ea;
quæ non poteſt. Nec verò factum, dictúinve aliquod conjecturalis conſtirutio
nominatur. Quod fi in judicium proferri poteſt, li perſona non exi factum
quidem eſſe conſtiterit, ſed quidnain ſit id ftet. Itaque in his duobus omnis
judiciorum ra quod factum eſt, ignoretur: quoniam vis ejus tioverſatur, in
perfona ſcilicet, atque negotia definitione monftranda eſt, finitiva dicitur
con- Sed, ut dictum eft, perſona eſt, quæ in judicium ftitutio. Ac fi &effe
conftiterit, & de rei defini- vocatur: negotium, factum, dictúmveperſone,
tione conveniat, fed quale fit inquiratur: tunc propter quod reus ftatuitur.
Perſona igitur & ne quia cui generi ſubjici debet ambigitur, genera- gotiam
ſuggerere arguinenta non poſſunt;de ipſis lis qualitas nuncupatur. In hac verò
quæſtione enim quæſtio eſt: de quibus autem dubitatur, ea & qualitatis,
& quantitatis, & compatationis dubitationi fidem facere nequeunt
Argumen ratio verſatur. Sed quoniam de gènere quæſtio tum verò erit ratio rei
dubiæfaciens fidem. Fa, eſt, ſecundum generis formam in plura neceffe ciunt
autem negotio fidem ea, quæ ſunt perſo eſt hujusconſtitutionis membra
diſtribui. nis ac negotiis attributa. Ac fi quando perſona Omniis quito Omnis
eniin quæftio generalis, id eſt, cùm de 'negotio faciat fidem,velutſi credatur
contra rem ftio generalis in duas difiri genere, & qualitate,vel
quantitatequæritut facti, publicam fenfifle Catilinam,quoniam perſona bnisur
par in duas tribuitur partes. Nam aut in præcerito eſt vitiorum turpitudine
denotata: tunc non iiz quæritur de qualitate propoſiti, aut in præſenti, eo
quod perſona eſt, & in judicium vocatur, fia aut in futuro. Si in præterito,
juridicialis con dem negorio facit, ſed in eo quod ex attributis Ititutio
nuncupatur: fi præſentis vel futuri tem- perſonæ quandam ſuſcipit qualitatem.
Sed ut re poris teneat quæſtionem,negotialis dicitur. rúin ordo clariùs
colliquefcat, de circumſtantiis Quæftio Fun Juridicialis verò, cujus inquiſitio
præteritum arbitror eſſe dicendum. refpicit, duabuspartibus fegregatur. Aut
enim De Circumftantiis. duabus parti. in ipfo facto vis defenfionis ineft,
& abſolurà Circunſtantiæ ſunt, quæ convenientis fubftan. Detircnm.
buslegrégie qualitas nuncupatur: Aut extrinfecus affumitur, tiam
quæſtionisefficiunt. Nifienim fit qui fece Gancias para & affumptiva
dicitur conſtitutio. rit, & quod fecerit, cauſáque cur fecerit, locus,
situr CICERONE. Sed hæc in partesquatuor derivatur: aut enim tempúſque quo
fecerit,modus, etiain facultas; conceditur criinen, aur removetur, aut
refertur, que li delint,cauſa non ſtabit. Has igitur circum aur, quod
eſtultimum, comparatur. Conceditur ftantias in geinina Cicero partitur, ut eam
quæ crinen, cùm nulla inducitur facti defenſio, ſed eſt, quis, circumſtantiam
in attributis perſone venia poſtulatur. Id fieri duobus
modis poreſt, ponat: reliquas verò circumſtantias in attributis circumftan fi
depreceris, aut purges. Deprecaris,cùm nihil negotio conititaat. Et primùın
quidem ex cir excufationis attuleris. Purgas, cùım facti culpa cumftantiis, eam
quæ eft, quis, quam perfonæ tia titur, Quispada cicina his adſcribitur'; quibus
obliſti obviarique non attribuit, ſecar in undecim partes. Nomen, ut in XI
poffit, neque tamen perſona ſint; id enim in Verres, natura ut barbarus, victus
utamicusno- partes. aliam conſtitutionem cadit. Sunt autem hæc, im- biliuin,
perſona ut dives, ſtudium ut Geometra, prudentia, caſus, atque necellitas.
cafus ut exul, affectio ut amans, habitus ut ſa Removeturverd criinen, cùm ab
eo, qui in- piens, conſilium, facta, & orationes. Eáque cellitur,
transfertur in alium. Sed remotio cri- extra illud factum dictúmque ſunt, quæ
nunc minis duobus fieri modis poteft: fi aur cauſa re- in judicium devocantur.
Reliquas verò cir fertur, aut factum. Caufa refertur, cùm aliena cumſtantias,
quæ funt, quid, cur, quando,ubi, poteftare aliquid factum eſſe contenditur:
faćtum quomodo, quibus auxiliis, in attributis negocio verò, cumalius aut
potuiffe, aut debuiffe facere ponit. Quid, &cur, dicenscontinentia cum ipfo
demonſtratur. Atque hæc in his maximè valent, negotio: cur, in cauſa
conſtituens; ea enim cauſa fi ejus nominis in nos intendatur actio, quòd non
eſt uniuſcujuſque fa &ti, propter quam factaeſt MSS.pottat fecerimus id, quod oportuit fieri.
Refertur cri Quid verò, ſecat in quatuor partes. În ſum- Quidfeceria men, cuin
jultè in aliquem facinus commiſlum iam tacti, ut parentis occifio. Exhac maximè
quatuorpars MSS.com- effe * conceditur:quoniam is, in quem commif- locus
fumitur amplificationis ante factum; ut senditat. fum ſit, injuriofusfæpe
fucrit, atque id quod in- concitus rapuit gladium: duon fit; vehementer
tenditur, meruit pati. percuſſit. Poſt factum; in abdita fepelivit. Quæ
Comparatio eft, cùin propter meliorem utilio- omnia cùın lint facta, tamen
quoniain ad geſtum réinve rem factum, quod adverſarius arguit, negotiuin, de
quo quæritur, pertinent, non ſunt commiffum effe defenditur. Atque hæchactenus:
eafacta, quæ in attributis perſonæ numerara nunc de inventione tractandum eft.
ſunt. Illa enim extra negorium, quòd extra poſi ta perſonam informantia fidem
ei negotio præ De Inventione ſtant, de quo verſatur intentio: hæc verò facta,
quæ continentia ſunt cum ipfo negotio,ad ipſuni Etenim priùs quidem Diale &
icos dedimus, negotium; de quo queritur, pertinent. nunc Rhetoricos promimus
locos, quos ex attri Poftreinas verò quatuor circamftantias Cicero In perſona,
butis perſonæ ac negotio venire neceſſeeſt. Per- ponit in geſtione negotii, quæ
eſt ſecunda pars & negotio fona, quæ in judicium vocatur, cujus dictum ali-
attributorum negotiis. Et eam quidem circuin quod factúmve reprehenditur.
Negotium; fa- ſtantiam, quæ eſt quando, dividit in tempus, ut putCie to Cuando,
dia conftitute of. cum dictumveperfonæ, propter quod in judi- modò fecit; &
in occaſionem,ut cunctis dormien- in tempus, so cium vocatur. Itaque in
his duobus omnis lo- tibus. Eam verò circunftantiam quæ eſt ubi, lo- in
occafionč.. MSS.excu- corum ratio conſtituta eſt; quæ enim habent* re. cum
dicit; ut in cubiculo fecir: quomodo verò, ſarionis. prehenſionis occaſionem,
eadem nili ad excuſabi ex circuinftantiis inoduin ur clain fecit: omnis loco.
tum ratio B. 1 mus. fed de vo 1 quibus
auxiliis circumftantiam, facultatem ap- ita adhærebant, ut ſeparari non
poſſint;ut locus, pellat, ut cuin multo exercitu. Quorum qui- tempus, &
cætera, quæ geſtum negotium non dem locorum & fiex circumſtantia rerum,
natu- relinquunt. tulis diſcretio clara eft:nos tarnen benevolentiùs Hæc verò,
quæ ſunt adjuncta negotio, non in faciemus, ſi uberiores ad ſe ditferentias
oſtenda- kærent ipſi negotio, ſed accedunt circuinitantiis, & tunc demum
argumenta præſtant, cùm ad com Nam cùm ex circumſtantiis alia M. Tullius
parationem venerint: ſunant verò argumenta propofuerit effe continentia cum
ipfo negotio: non ex contrarietate, fed ex contrario;& non alia verò in
geſtione negorii, atque in continen- ex ſimilitudine, ſed ex ſimili, ut
appareat ex re tibus cuin ipſo negotiv: illum adnurneraverit lo- latione ſumi
arguinenta in adjunctis negotio; & cum quem appellavit, duin fit sex ipſa
prolatio- ea eſſe adjunéta negotio, quæ funt ad ipſum, de nis SIGNIFICATIONE idem
videtur elle locus hic, dum quo agitur,negotium affccta. fit, cum eo, qui eſt
in geſtionenegotii; ſed non Conſecutio verò, quæ pars quarta eft eorum, ita sft:
quia dum fit, illud eft, quod eo tempore quæ negotiis attributa ſunt, neque in,iplis
ſunt açimiſum eſt, dum facinus perpetratur, ut per- rebus, neque rerum
ſubſtantiam relinquunt,ne ouſſit. Ingetione verò negotii, ca ſunt, quæ &
que ex comparatione reperiuntur: ſed rem geftam ante factum, & dum fit,
& poft factum, quod vel antecedunt, vel etiam conſequuntur. Atque eſtum eſt continent;in omnibus enim tempus, hic locus extrinſecus
eſt. Primum eniin in eo. locus, occafio,modus, facultas inquiritur, Rur-
quæritur id, quod factum eſt, quo nomine ap ſus dum fit, factuin eft, quod
adininiftratur, eft pellari conveniat: in quo non de re, negotium:qux verò funt
in geſtione negotii, non cabulo laboratur. Qui deinde auctores ejus facti ſunt
facta, fed facto adhærent; in illis enim, teni- &inventores, comprobatores,
atque æinuli, id pus, occaſionem, locum, modum, facultatein, totum ex judicio,
& quodam teſtimonio extrin facta eſſe conſenſerit: fed, ur dictum eſt, qux
ſecus políto, ad ſublidium confluit argumenti. cuilibet facto adhærentia fint,
atque in nullo Deinde &quæ ejus rei ſit ex conſueto pactio, ju modo
derelinquant: quia quadam ratione ſubje- dicium, ſcientia, artificium. Deinde
natura cta funt ipſi, quod geſtum eſt, negotio. ejus, quid evenire vulgò
ſoleat: an inſolenter & Item ea quæ funt in geſtione negotii, finchis,
rardhomines id ſuâ auctoritate comprobare, an quæ funtcontinentia cum
ipfoncgotio, eſſe poſ- offendere in his conſueverint; &cætera quæ fas funt.
Poteft eniin & locus, & tempus, &oc- ctum aliquod fimiliter
confeftim, aut intervallo cafio, & modus, & facultas facti cujuſlibet
intel- folent conſequi: quæ neceſſe eſt extrinſecus po ligi, etiamſi nemo
faciat, quod illo loco; vel fita ad opinionein inagis tendere, quam ad ipfam,
temporc, veloccaſione, vel modo, vel facultate rerum naturam. fieri poſſet.
Itaque ea quæfunt in geſtione nego Itaque in hæcquatuor licet negotiis
attributa, tii, line his quæ ſuntcontinentia cum ipfo nego- dividere; ut fint
partim continentia cum ipſo ne tio, effe poffunt. Illa verò line his eſſe non
pof- gotio, quæ facta eſſe ſuperiùs dictum eſt: partim ſunt; facèum enim præter
locum, tempus, occa- in geſtionenegotii, quæ non effe facta, fed factis fionem,
modum, facultatémque efle non pote- adhærentia dudum monſtravimus: partim adjun
rir. Atque hæcfunt, quæ in attribucis perſona eta negotio; hæc, ut dictum eſt,
in relatione ac negotio confiftunt, velut in Dialecticis locis ponuntur: partim
geſtum negotium conſequun ea, quæ in ipfis cohærent, de quibus quæritur: tur;
horum fides extrinſecus fuinitur. Ac de reliqua verò quæ vel funt adjuncta
negotio, vel Rheroricis quidem locis ſatis dictum. negotium geſtuin
conſequuntur, talia ſunt, qua Nunc illud eſt explicandum, quæ ſit his ſimi-.
Quid fat diain Dialecticis locis ca, quæ ſecundum Themi- litudocum Dialecticis,
quæ veròdiverſitas;quod hobertura corean ſtium quidem partim rei ſubſtantiam
conſequun- cùm idoneè, convenientérque monſtravero,pro- Dialecticisfa tur,
partim funt extrinfecus, partim verſantur poſiti operis explicetur intentio.
Primò adeo ut militudo,que in mediis; ſecundum CICERONE verò inter affe- in
Dialecticis locis, ficut Themiſtio placet, alii verè diverfi &a numerara
ſunt, vel extrinſecus polita." funt, qui in ipſis hærent, de quibus
quæritur: tab. Sunt enim adjuncta negotio ipfa etiam quæ fi- alii verò
affumuntur extrinſecus, alii verò inedii quajiilem fa dem faciunt quæſtioni,
affecta quodammodo ad inter utroſque locati ſunt; ſic in Rhetoricis quo cinn
gafiio. id, de quo quæritur, reſpicientia negotium, de que locis, alii in
perſona atque negotio conſi quo agitur, hoc modo. Nam circumſtantix ſtunt, de
quibus ex adverſa parte certatur: alii feprem quæ in attributis perſonæ, vel
negotio, verò extrinfecus, ut hi qui geſtum negotium con numeratæ funt, hæc cum
cæperintcomparari,& fequuntur: alii verò medii. quafi in relationem venire,
fi quid ad ſe conti Quoruin proximi quidem negotio funt hi, qui nens referatur,
vel ad id quod continet, fit aut ex circumſtantiis: reliqui in geſtione negotii
ſpecies, aut genus: fi id referatur,quod ab eo lon- conſiderantur. Illi veròqui
in adjunctis negotio gillime diſtet, contrariun: at ſi ad finem ſuum
collocantur, ipſi quoque intermedios locos pos atque exitum referatur, tum
eventuscft. liti ſunt: quoniam negotium, de quo agitur, qua Eodem quoque modo
ad majora, & minora, dam affectione refpiciunt. Vel fi quis ea quidem &
paria comparantur. Atque omnino tales loci quæ perſonis attributa ſunt, vel quæ
continentia in his quæ funt ad aliquid conſiderantur. Namn ſunt cum ipfo
negotio, vel in geſtione negotii majus,autminus, alit lunile, aut æquèmagnum,
conſiderantur; his lumilia locis dicat, qui ab ipfis aut diſparatum, accedunt
circumſtantüs, quæ in in Dialectica trahuntur, de quibus in quæſtionc
attributis negotio atque perſonæ numeratæ ſunt; dubitatur. CONSEQUENTIA verò
negotio ponat ex ut dum ipfæ circumftantiæ aliis comparantur, fiat trinſecus.
Adjuncta verò inter utrumque conſti ex iis argumentum facti dictive, quod in
judi- tuat. cium trahitur. Diſtat autem à ſuperioribus, quòd Ciceronis verò
diviſioni hoc modo fic fimilis, ſuperiores loci, vel facta continebant, vel
factis Nam ea quæ continentia ſunt cum ipſo negocio, Sunt adjun Eta ucgorio,
ni, 1 De Dialectica. Dialecticus verò non ita velea quæ in geſtione negotii
conſidecantur, in do aliquid ſpecialiter probant, ad Rhetores, Poë ipſis
hærent, de quibus quæritur. Ea verò, quæ tas, Juriſperitóſque pertinent. Quando
verò ge adjuncta ſunt, inter affecta ponuntur. Sed ea quæ neraliter
diſputant,ad Dialecticosattinere manis geitum negotiuin conſequuntur,
extrinfecus feſtum eit. collocata ſunt. Vel Gi quis ea quidem, quæ con Mirabile
planè genusoperis, in unum potuiſſe tinentia ſunt cum ipfonegotio, in ipſis
hærere colligi, quicquid mobilitas ac varietas humanæ arbitretur:affecta verò
effe ea,quæ funt in geſtio- mentis in fenlîbus exquirendis per diverſas cauſas
ne negotii, vel adjuncta negotio: extrinfecus porerat invenire; concludi
liberuin ac volunta verò ea, quæ geftum negotium conſequuntur. riun intellectum.
Nam quocumque ſe verterit, Nam jam illæ perfpicuæ communitates", quod
quaſcumque cogitationes intraverir, in aliquid quidem ipſi penè in utriſque
facultatibus verſan- corum quæ prædicta ſunt, neceſſe eſt ut huma tur loci, ut
genus, ut pars, ut ſimilitudo, ut con- num cadat ingenium. trarium, ut majus,
ac minus. De communicati Illud autem competens judicavimus recapitu bus quidem
ſatis dictum. lare breviter, quorum labore in Latinum elo Differentiæ verò illæ
funt, quòd Dialectici quium res iftæ pervenerint; ut nec auctoribus etiam
thelibus apti funt: Rhetorici tantùm ad gloria ſua pereat, & nobis
pleniffimè reiveritas hypotheſes, id eft, quæftiones informatas circum-
innoteſcat. Iſagogen tranſtulit Patricius BOEZIO, ftantiis affumuntur. Nain
ſicut ipfæ facultates à commenta ejus gernina derelinquens. Cate femetipfis
univerſalitate, & particularitate di- gorias idem tranſtulit Patricius
Boëtius, cujus ſtinctæ ſunt: ita earum loci ambitu, & contra commenta
tribus libris ipfe quoque formavit. ctione diſcreti ſunt. Nam Dialecticorum
loco-. Peri herinenias fuprà inemoratus Patricius tran rum major eſt ainbitus;
& quoniam præter cir- ftulit in Latinum: cujus commenta ipſe duplicia
cumſtantias funt quæ fingulares faciunt cauſas, minutillimâ diſputatione
tractavit.Apuleius verò non modò ad theſes utilesſunt, verumetiam ad
Madaurenſis ſyllogiſmos categoricos breviter argumenta, quæ in hypothesibus
polita sunt, eof- enodavit. Suprà memoratus verò Patricius de que locos qui ex
circumftantiis conſtanc,claudunt fyllogiſmis hypotheticis lucidiflimè
pertractavit. atque ambiunt. Itaque fit; ut ſeinper egeat Rhe- Topica
Ariftotelis,uno libro CICERONE tranſtulit in Hæcdefuitin tor Dialecticis locis?
Dialecticus verò fuis poflit Latinum, cujus commentaprofpe et oratque ama- MSS.
effe contentus. tor Latinorum Patricius BOEZIO (si veda) octo libris expo
Semper eget Rherorenim quoniam causas ex circumstantiis fuit. Nam et prædictus BOEZIO
(si veda) Patricius eadem Rhetor D4- tractat, ex iifdem circumftantiis
argumenta præ-Topica LIZIO octo libris in Latinum vertic lecticislocis, fumit,
quæ neceſſe eſt ab univerſalibus, & ſupli- eloquiun. cioribus confirmari,
qui ſunt Dialectici. Diale &ti Confiderandum eft autem, quòd jam,quia lo
cus verò, qui prior eft, polteriore non eget, nifi cus ſe attulit in Rhetorica
parte, libavimus quid aliquando incideritquæftio perfonæ; ut cuin fit interſit
inter artein et diſciplinain, ne ſe diver incidens Dialectico ad probandam fuam
theſim, fitasnominun permixta confundat. Interartem Que fa diften Cáusam
circumſtantiis inclufam, tunc demum et diſciplinai Plato, et Ariſtoteles,
opinabiles artem dif Rhetoricis utatur locis. Itaque in Dialecticis lo-
magiftri fæcularium litterarum, hanc differen- ciplinam ſee ' cis (fi ita
contingit) à genere argumenta fumun- tiam eſſe voluerunt, dicentes: Arrem cflc
habitu- cundem Plaa tur,id eft, ab ipſa generis natura: fedin Rheto- dinem
operatricem contingentium, quæ fe et Sonem ricis ab eo generequod illi genus
eſt, de quo agi- aliter habere poffunt: Diſciplina verò elt, quæ Vide prefer
tur; nec ànatura generis, ſed à re fcilicet ipſa,quæ de his agit, quæ aliter
evenire non poffunt tionem Nunc ergo ad Mathematicæ veniamus initium. Sed ut
progrediatur ratio, ex eo pendet, quòd natura generis antè præcognita eſt; ut
fi dubite De Mathematica. tur, an fuerit aliquis ebrius, dicitur, fi tefellere
velimus, non fuifle: quoniam in eo nulla luxu- Mathematica, quam LATINE poſſumus
dicere luid fitMara ries antecefferit. Idcirco nimirum, quia cum ku-
doctrinalem, ſcientia eſt, qux abſtractam con- in quas para xuries ebrietaſis
quaſi quoddam genus fit, cui fiderat quantirarem. Abſtracta enim quantitas tes
dividalun luxuries nulla fuerit, ne ebrietas quidem fuit: dicitur, quâ
intellectus à materia ſeparátur, vel ſed hoc pender ex altero. Cur enim fi
luxuries ab aliis accidentibus; ut eſt par, impar, vel alia non fuit, ebrietas
eſſe non potuit, ex natura ge- hujuſcemodi, quæ in ſola ratiocinatione tracta
neris demonftratur, quod Dialectica ratio ſub- mus, hæc ita dividitur miniſtrat.
Unde enim genus abeft, inde etiain fpecies abelle necefle eft:quoniam genus
fpecics r Arithmeticain, non relinquit. Ec de fimilibus quidem, et de
contràriis, eo Muſicam. Diviſio Matheina dem modo, in quibus maxima ſimilitudo
eft in ticæ in ter Rhetoricos ac Dialecticos locos: Dialectica Geometriam..
eniin ex ipſis qualitatibus, Rhetorica ex quali 1 tatem ſuſcipentibus rebus
argumentaveſtigat; ut Aſtronomian. Dialecticus ex genere, id eft, ex ipfa
generis na tura: Rhetor ex ea re, quæ genuseft. Dialecti
Arithmetica; eſt diſciplina quantitatis numera Quid fit cus ex ſimilitudine,
Rhetor ex funili, id eft, ex bilis fecuuduin ſe. Aruthinetica. ta re, quæ
fimilitudinem cepit. Eodem modo Mufia eſt diſciplina, quæ de numeris loqui-
QuidMufica. ille ex contrarietate, hic ex contrario. tur, qui ad aliquid ſunt
his, qui inveniuntur in Memoriæ quoque condendum eft, Topica Ora- ſonis.
toribus, Dialecticis, Poëtis, et Juriſperitiscom Gcometria, eſt diſciplina
magnitudinis immo- Quid Geomes muniter quidem argumentapræftare: fed quan-
bilis et fornarum. rentia inter genus eſt, trii B. 1 didit. Inns. Quid fis A.
Aſtronomia, eft diſciplina curſus cæleſtiain (i- tergunt, etad illam
inſpectivain contemplatio fronomia. derum, quæ figuras conteinplatur omnes, et
ha- nem, fi tamen ſanitas mentis arrideat, Domino bitudines ftellaruin circaſe,
et circa terram inda- largiente, perducunt.' gabili ratione percurrit. Quas ſuo
loco paulò la Scire autem debemus Joſephum Hebræorum Abraham ciùs exponemus, ut
commemoratarum rerum doctiſſimum, in libro primo Antiquitatum, ritu- primim
Aris virtus competenter poffit oftendi. Modò de dif- lo nono dicere,Arichinericain,
et Aſtronomiam ihmeticamen ciplinarum nomine differainus. Abrahain primùm
Ægyptiis tradidiffe; unde ſe Aftronomien Diſciplina Diſciplinæ ſunt, qux, licut
jam di et um eft, mina ſuſcipientes (utfunt hoinines acerrimi in Ægypainte
nunquam nunquam opinionibus deceptæ fallunt; et ideo genii) cxcoluiffe ſibi
reliquas latiùs diſciplinas. opinionibus cali nomine nuncupantur,quia
neceffariò ſuas re- Quasmeritò fan eti Patres noftei legendas ſtudio deceptæ
fal gulas ſervant. Hænec intentione creſcunt, nec fillinis perſuadent: quoniam
ex magna parte per Iubductione minuuntur, nec aliis varieratibus eas à
carnalibus rebus appetitus noſter abſtrahi permutantur: ſed in vi propria
permanentes, re- tur, et faciunt deſiderare, quæ, præftante Do gulas ſuas
inconvertibili firmitate cuſtodiunt. mino, ſolo possumus corde reſpicere.
Quocirca Has dum frcquenti meditatione revoluimus, fen- tempus est, ut deeis
ſingillatin ac breviter diſſe Cum noftruin acuunt, limúmque ignorantix de- rere
debeamus. De Arithmetica C49 Arith metica inter Scriptores fæculacium
litterarum interdiccipli- faru efleformata;attamennulla corum,prætet Mathemati
cas diſcipli metiiam eſſe volucrunt:propterea quòd Mufica, Credo trahens hoc
initium, ut multi philoſo mis prima ju. et Geometria, etAſtronomia, quæ
fequuntur, photum fecerunt, ab illa ſententia prophetali, Sam 11. 21. indigent
Arithmetica, ut virtutes ſuas valeant ex- quæ dicit: Omnia Deum menſura, numero,
et plicare. Verbi gratia,ſimplum ad duplum, quod pondere difpofuiſſe habet
Muſica, indiget Arithmetica: Geometria Hæc itaque confiftit ex quantitate
diſcreta, čHY Arish verò, quod habet trigonuin, quadrangulum,vel quæ parit
genera numerorum, nullo fibi com- metice conf his funilia, item indiget
Arithmeticas Aſtrono- munitermino ſociata. V. enim ad x. vi. ad iiii. vii. lidt
ex quar mia etiam, quòd habet in moru liderum nuineros ad iii. per nullam
coinmunein terminuin alteru- titate difcre punctorum, indiget Arithinetica.
Arithmetica trâ fibi focietate nectuntur. Arithmetica vecò di sa. Pithagora
verò, urlit, neque Muſica, neque Geometria, citur, co quòd numeris præeſt
Numerus verò, merica dica Arithmetia neque Aſtronomia egere cognoſcitur. Propterca
cft ex inonadibus multitudo compofita; ut iii. V. tur, et que camlan.c. hisfons, et måter Arithmetica reperitur; quam X.
xx. et cætera. Intentio Arithmeticæ elt doce- fit ejusinsects diſciplinam
Pythagoras fic laudalle probatur; re nos naturam abſtracti numeri, et que ei
acci- tio. uromnia ſub numero, et menfura à Deo creata dunt; ut verbi gratia,
parilitas, impacilitas, et firatur. fuiſſe incinoret, dicens: Alia in motu,
alia in cætera. Cur
Arith vit. Ed. mon s Paritei pat. Pariter impat. Impariter par Prima diviſio
numera Tvel par, qui eſt Numerus, qui congre gatio monaduneſt, ľ Primuset
ſimplex. vel iinper, qui eſt. Secundus et compoſitus. Tertius mediocris,
quiquodam modo primus, et incompoſitus, alio verò modo ſecundus, et (compofitus.
Quid fit Par Par numerus eft, qui in duas partes æquales verbi gratia, in bis
xii: xii, in bisyi:ſexo dividi poteft; ut ii. iii. vi.viii. x. et reliqui. in
bis tres, et ampliùs non procedit. Quid impar. Impar
numerus eſt, qui in duas partes æquales Primus et fimplex numerus eft, qui
monadi- Quid primit dividi nullatenus poteft, ut iii. v. vii. viiii. xi.et c
cammenſuram ſolam recipere poteſt; ut verbi et implex reliqui. gratia iii. v.
vii. xis xiii. xvii. et his finilias Quidpariter Pariter par numerus eſt, cujus
diviſio in dua Secundus et compoſitus numerus eft, qui non Quid fecur par bus
æqualibus partibus fieri poteſtuſque ad mo- folùm monadicam menſuram, ſed etarithmeti
doto come nada; ut verbi gratia lxiüi. dividitur in xxxii; cam recipere poteſt;
ut verbi gratia, viiii. xv. xxi. poftmo xxxii, in xvi: et xvi, in viji: viii in
iii:üii, et his ſimilia. in duo: ïi, verò in i. Mediocris numerus eſt,
quiquodam modo fim Quid pariter Pariter impar numerus eſt, qui fimiliter fo-
plex et incompoſitus efle videtur, alio verò ino- cris impar. lummodo in duas
partes dividi poteft æquales; do fecundus et compoſitus, ut verbi gratia,
viiii. utx, in v: xiiii, in vii: xviii, in viiii.et his fi- ad xxv. dum
comparatus fuerit, primus eft et milia. incompoſitus: quia non habet communem
nu Quid impari. Impariter par nuinerus eſt, qui plures diviſio- merum, niſi
ſolum monadicum: ad xv. verò li nes, ſecundùm æqualitatem partium dividere
comparatus fuerit, ſecundus eft et compofitus: poteft, non tamen uſque ad allem
perveniat; ut quoniam ineſt illi communis numerus præter monadi. Quid Media ter
par De Arithmetica. mõnadicum, id eſt, ternarius'numerus, qui no- fexta pars,
duo:quarta pars,tria: tertia pars,iii: vein menſurat terterni, et xv. ter
quini. et duodecima pars unum; qui oinnes aſſumpti fiunt xvi. Altera divifio,
de paribios, do imparibues Indigens nunerus eſt, qui et ipſe de paribus
QuidIndigãs. numeris. deſcendit, quantitatis fuæ ſummain partiuin in feriorem
habet; ut viii. cujus medietas, iiii: [ aut ſuperfluus. quarta pars, ii: octava
pars, i; quæ fimul con gregatæ partes fiunt vii. aut par eſt. < aut indigens. Perfectus numerus eft, qui taten et ipfe de QuidPerfe
Numerus. paribus deſcendit: is dum par ſit, omnes partes aut impar. į aut
perfectus. Taas ſimul aſſumptas, æquales habet; ut vj. cu jus medietas, tria:
tertia pars, ij: vj. pars únum. Quid Sriper. Superfluus numerus eſt, qui
deſcendit de pari- Qux aſſumptæ partesfaciunt ipſum ſenariumnus fluis. bus, is
dum par ſit, ſuperfluas partes quantitatis merum fuæ habere videtur; ut xii,
habetmedietatem vie. Geti popolazione stanziata nella regione
successivamente nota come Dacia, antica Roma. 1leftarrow blue.svg Voce
principale: Storia della Dacia. Geti era il nome che veniva dato dagli
scrittori pre-Romani alla popolazione stanziata nella regione successivamente
nota come Dacia, a centro nord dell'ultimo tratto del Danubio, dove aveva gli
inizi l’antica Bulgaria. I Geti erano parte del gruppo di genti
indoeuropee, forse parte della famiglia tracica; è possibile che fossero tanto
parte del popolo dei Daci o Tracchi, quanto che da questi siano stati a un
certo punto assorbiti. Per gli autori romani i termini Daci e Gaetierano
considerati in genere equivalenti, anche se Seneca indicava Geti come gli
abitanti delle pianure della Valacchia[1], mentre Stazio indicava i Daci come
gli abitanti dei territori montuosi e collinari della Transilvania; inoltre
distinguevano i Tyragetae, Geti stanziati vicino al fiume Nistro. Storia
Modifica Secondo Erodoto, i Geti erano "la più nobile e la più giusta di
tutte le tribù traciche". Quando i Persiani, guidati da Dario I, attuarono
una campagna contro gli Sciti, le varie popolazioni dei Balcani si arresero al
sovrano e lo lasciarono passare sui loro territori; solo i Geti opposero
resistenza. I Geti in seguito furono sconfitti da Alessandro Magno sulle rive
del Danubio, nel corso della sua campagna nei Balcani; in quell'occasione,
Alessandro per attraversare il Danubio si servì di zattere e di piccole
imbarcazioni di pescatori, sorprendendo circa 4000 Geti, attaccati alle spalle,
dopo aver attraversato il fiume. Religione Come ci tramanda Erodoto, i
Geti (alla fine del VI secolo a.C.) credevano nell'immortalità dell'anima e
consideravano la morte un mero cambio di paese: «Ecco in che
consiste la loro fede nell'immortalità. Essi credono di non morire, e che chi
muore vada dal Demone Salmoxis. Alcuni di essi chiamano questa stessa divinità
Gebeleizi. Mandano ogni cinque anni uno di loro tratto a sorte, come messo a
Salmoxis, ogni volta incaricandolo di recargli le loro richieste. Ed ecco come
lo mandano. Alcuni, che hanno quest'incarico, se ne stanno con tre giavellotti;
mentre altri afferrano le mani e i piedi dell'uomo che inviano, lo fanno
ondeggiare, e lo scagliano in alto verso le punte dei giavellotti. Se viene
trafitto e muore, ritengono propizia la Divinità; e se non muore, la colpa è
del messo, che essi dichiarano malvagio. Gli muovono quest'accusa, e ne mandano
un altro, al quale danno, mentre è ancora in vita, i loro incarichi.»
(Erodoto, Storie) Erodoto aggiunge anche che «Inoltre scagliano,
questi stessi Traci, frecce verso l'alto al cielo, contro il tuono e il
fulmine, e minacciano quella Divinità, perché ritengono che fuori del loro non
vi sia alcun altro Dio. (Erodoto, Storie) Accanto a Zalmoxis, un ruolo di
rilievo tra le divinità gete era attribuito a Gebeleixis. Il primo sacerdote
godeva di una posizione prominente in quanto rappresentante della divinità
suprema, Zalmoxis, ed era anche il consigliere del re. Giordane nella sua
Getica, attribuiva a Deceneo il titolo di sacerdote capo di Burebista. Seneca,
Phedra. ^ Stazio, Silvae, Giordane, Getica X, a cura di Mierow. Voci correlate Daci
Dacia (regione storica) Traci Geti, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Portale Antica Roma: Storia della Dacia Daci popolazione
indoeuropea Dacia (regione storica) regione e regno dell'Europa orientale
nel corso dell'antichità classica. Then Cyrus, king
of the Persians, after a long interval of almost exactly six hundred and thirty
years (as Pompeius Trogus relates), waged an unsuccessful war against Tomyris,
Queen of the Getae. Elated by his victories in Asia, he strove to conquer the Getæ,
whose queen, as I have said, was Tomyris. Though she could have stopped the
approach of Cyrus at the river Araxes, yet she permitted him to cross,
preferring to overcome him in battle rather than to thwart him by advantage of
position. And so she did.As Cyrus approached, fortune at first so favored the
Parthians that they slew the son of Tomyris and most of the army. But when the
battle was renewed, the Getae and their queen defeated, conquered and
overwhelmed the Parthians and took rich plunder from them. There for the first
time the race of the Goths saw silken tents. After achieving this victory and
winning so much booty from her enemies, Queen Tomyris crossed over into that
part of Moesia which is now called Lesser Scythia--a name borrowed from great
Scythia,--and built on the Moesian shore of Pontus the city of Tomi, named
after herself. (63) Afterwards Darius, king of the Persians, the son of
Hystaspes, demanded in marriage the daughter of Antyrus, king of the Goths,
asking for her hand and at the same time making threats in case they did not
fulfil his wish. The Goths spurned this alliance and brought his embassy to
naught. Inflamed with anger because his offer had been rejected, he led an army
of seven hundred thousand armed men against them and sought to avenge his
wounded feelings by inflicting a public injury. Crossing on boats covered with
boards and joined like a bridge almost the whole way from Chalcedon to
Byzantium, he started for Thrace and Moesia. Later he built a bridge over the
Danube in like manner, but he was wearied by two brief months of effort and
lost eight thousand armed men among the Tapae. Then, fearing the bridge over
the Danube would be seized by his foes, he marched back to Thrace in swift
retreat, believing the land of Moesia would not be safe for even a short
sojourn there. After his death, his son Xerxes planned to avenge his father's
wrongs and so proceeded to undertake a war against the Goths with seven hundred
thousand of his own men and three hundred thousand armed auxiliaries, twelve
hundred ships of war and three thousand transports. But he did not venture to
try them in battle, being overawed by their unyielding animosity. So he
returned with his force just as he had come, and without fighting a single
battle. Then Philip, the father of Alexander the Great, made alliance with
the Goths and took to wife Medopa, the daughter of King Gudila, so that he
might render the kingdom of Macedon more secure by the help of this marriage.
It was at this time, as the historian Dio relates, that Philip, suffering from
need of money, determined to lead out his forces and sack Odessus, a city of
Moesia, which was then subject to the Goths by reason of the neighboring city
of Tomi. Thereupon those priests of the Goths that are called the Holy Men
suddenly opened the gates of Odessus and came forth to meet them. They bore
harps and were clad in snowy robes, and chanted in suppliant strains to the
gods of their fathers that they might be propitious and repel the Macedonians.
When the Macedonians saw them coming with such confidence to meet them, they
were astonished and, so to speak, the armed were terrified by the unarmed.
Straightway they broke the line they had formed for battle and not only
refrained from destroying the city, but even gave back those whom they had
captured outside by right of war. Then they made a truce and returned to their
own country. After a long time Sitalces, a famous leader of the Goths,
remembering this treacherous attempt, gathered a hundred and fifty thousand men
and made war upon the Athenians, fighting against Perdiccas, King of Macedon.
This Perdiccas had been left by Alexander as his successor to rule Athens by
hereditary right, when he drank his destruction at Babylon through the
treachery of an attendant. The Goths engaged in a great battle with him and
proved themselves to be the stronger. Thus in return for the wrong which the
Macedonians had long before committed in Moesia, the Goths overran Greece and
laid waste the whole of Macedonia.Cassiodoro. Cassiodoro Bruzi. Bruzi.
Keywords: dialettica, Squillace, i geti e i goti – teodorico, eteodorico, virtu
bellica, ardore guerriero, pagenesimo. Cassiodoro’s
surname was Bruzi, from Brutti – he wrote a story of the Goths, but he mistook
them for the Bulgarians (geti, gotti). Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Bruzi” – The Swimming-Pool Library. Bruzi.


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