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Monday, February 3, 2014

La Sirena nel Melodramma Italiano

Speranza

 

        
 
« Alle Sirene giungerai da prima, Che affascinan chiunque i lidi loro Con la sua prora veleggiando tocca. »
(Omero. Odissea XII, 52-54. Traduzione di Ippolito Pindemonte, 1862, Rizzoli editore - BUR, 1961, p.333)
La sirena di tradizione ellenica, in un piatto del VI secolo a.C.
 
Le sirene (dal latino tardo sirena - pl.: sirenae; derivato dal greco Σειρήν seirēn - pl.: Σειρῆνες seirēnes) sono delle figure religiose greche dalle forme ornitomorfe e caratterizzate da un seducente richiamo.
 
Successivamente tali entità mitologico-religiose verranno trasferite nella tradizione della Roma antica.
 
Queste sirene dell'antichità classica si sovrappongono spesso, nella denominazione in lingua italiana, con differenti figure leggendarie.

 

  

Le Sirene nella cultura religiosa greca[modifica | modifica sorgente]

Sirene (religione greca)

 

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Le sirene e Odisseo. Dettaglio di una figura risalente al V secolo a.C. riportata su uno stámnos (στάμνος) attico a figure rosse rinvenuto a Vulci e oggi conservato presso il British Museum di Londra. Le Sirene tentano Odisseo con l'invito "a sapere più cose". L'invito alla conoscenza "onnisciente" che fa perdere i propri legami famigliari e civili e interrompe il proprio viaggio nella vita è condannato da Omero. Da notare la sirena centrale che con gli occhi chiusi si precipita in mare: secondo un racconto antico[1] le due sirene che tentarono Odisseo si uccisero gettandosi in mare perché non erano riuscite a trattenere l'eroe[2].
La lotta tra Acheloo ed Eracle per la conquista di Deianira. Dettaglio di una figura risalente al V secolo a.C. riportata su uno stámnos attico a figure rosse rinvenuto a Agrigento e oggi conservato presso il Museo del Louvre di Parigi. Nello scontro Eracle strapperà il corno di Acheloo, dalle gocce di sangue fuoriuscite dalla ferita nasceranno, secondo una tradizione, le sirene.
Le sirene (dal latino tardo sirena - pl.: sirenae; derivato dal greco Σειρήν seirēn - pl.: Σειρῆνες seirēnes) sono delle figure mitologico-religiose greche.


La cultura letteraria dell'antichità classica[modifica | modifica sorgente]

L'origine letteraria, nell'antichità classica, della figura delle sirene è nell'Odissea di Omero dove vengono presentate come cantatrici marine abitanti un'isola presso Scilla e Cariddi, le quali incantavano, facendo poi morire, i marinai che incautamente vi sbarcavano. La loro isola mortifera era disseminata di cadaveri in putrefazione. Ma Odisseo, consigliato da Circe, la supererà indenne.
(GR)
« Σειρῆνας μὲν πρῶτον ἀφίξεαι, αἵ ῥά τε πάντας
ἀνθρώπους θέλγουσιν, ὅτίς σφεας εἰσαφίκηται.
ὅς τις ἀϊδρείῃ πελάσῃ καὶ φθόγγον ἀκούσῃ
Σειρήνων, τῷ δ' οὔ τι γυνὴ καὶ νήπια τέκνα
οἴκαδε νοστήσαντι παρίσταται οὐδὲ γάνυνται,
ἀλλά τε Σειρῆνες λιγυρῇ θέλγουσιν ἀοιδῇ,
ἥμεναι ἐν λειμῶνι· πολὺς δ' ἀμφ' ὀστεόφιν θὶς
ἀνδρῶν πυθομένων, περὶ δὲ ῥινοὶ μινύθουσιν »
(IT)
« Tu arriverai, prima, dalle Sirene, che tutti
gli uomini incantano, chi arriva da loro.
A colui che ignaro s'accosta e ascolta la voce
delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini
gli sono vicini, felici che a casa è tornato,
ma le Sirene lo incantano con limpido canto,
adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa
di uomini putridi, con la pelle che raggrinza »
(Omero. Odissea XII, 39-46. Traduzione di Giuseppe Aurelio Privitera, Milano, Mondadori, 2007, pag. 355)
Omero non descrisse l'aspetto fisico delle sirene; a tal proposito si è presupposto[3] che ciò sia dovuto alla consapevolezza di Omero che il proprio uditore conoscesse le forme di queste creature grazie ad altri racconti mitici come le avventure di Giasone e degli Argonauti[4].
Sirena in una statua funeraria del I secolo a.C. proveniente da Myrina. Le "sirene" stazionavano alle porte degli Inferi avendo il compito di consolare le anime dei defunti con il loro dolce canto e di accompagnarle nell'Ade.
Statua della dea Persefone (V secolo a.C., conservata presso il Pergamon Museum di Berlino). Persefone fu l'amica perduta delle sirene. Rapita da Ade, le vergini sirene chiesero agli Dei, secondo Ovidio, di essere trasformate in uccelli per poterla meglio cercare.
Orfeo in un mosaico di epoca romana conservato presso il Museo archeologico regionale di Palermo. Orfeo impugna l'inseparabile cetra Bistonia con la quale coprì l'irresistibile canto delle sirene salvando il suo equipaggio formato dagli Argonauti.
Come Odisseo anche Orfeo, nelle Argonautiche riportate da Apollonio Rodio, salva il suo equipaggio composto dagli Argonauti:
« La brezza favorevole spingeva la nave, e ben presto avvistarono
la splendida Antemoessa, isola in cui le canore sirene,
figlie dell'Acheloo, annientavano chiunque
vi approdasse, ammaliandolo coi loro dolci canti.
La bella Tersicore, una delle Muse, le aveva generate
dopo essersi unita all'Acheloo; un tempo erano ancelle
della potente figlia di Deò, quando ancora era vergine,
e cantavano insieme con lei: ma ora apparivano in parte
simili a fanciulle nel corpo e in parte ad uccelli.
Sempre appostate su una rupa munita di buoni approdi,
avevano privato moltissimi uomini della gioia del ritorno,
consumandoli nello struggimento. Anche per gli eroi
effusero senza ritegno le loro voci, soavi come gigli,
ed essi già stavano per gettare gli ormeggi sulla spiaggia:
ma il Tracio Orfeo, figlio di Eagro, tendendo la cetra
Bistonia con le sue mani, fece risuonare le note allegre
di una canzone dal ritmo veloce, affinché il suono
sovrapposto della sua musica rimbombasse nelle loro
orecchie. La cetra vinse la voce delle fanciulle: Zefiro
e insieme le onde sospinsero
la nave, e il loro canto si fece un suono indistinto. »
(Apollonio Rodio. Argonautiche IV, 890-912. Traduzione di Alberto Borgogno. Milano, Mondadori, 2007, pag.277)
Apollonio Rodio riprende quindi la narrazione delle sirene figlie di Acheloo (in altre fonti di Forco[5]) che, come ricorda Károly Kerényi[6], era la divinità fluviale e marina, figlia di Teti e di Oceano[7] ma che Omero[8] pose una volta davanti allo stesso Oceano "origine di tutte le cose".
Libanio, nella Progymnasmata IV, ricorda che Eracle aveva staccato un corno al dio acquatico quando lottò con lui per conquistare l'affascinante Deianira, e dalle gocce di sangue cadute dalle ferite provocate al Dio erano nate le sue figlie, le sirene[9].
Un'altra tradizione, riportata da Pseudo-Apollodoro, le vuole figlie di Acheloo e di Melpomene, una delle Muse:
« Le sirene erano figlie di Acheloo e di una delle Muse, Melpomene; si chiamavano Pisinoe, Aglaope e Telsiepia. Una di esse suonava la cetra, la seconda cantava, la terza suonava l'aulo: con questa musica persuadevano i navigatori a fermarsi. Dalle cosce in giù esse avevano la forma di uccelli. [...] Una profezia diceva che le sirene sarebbero morte se una nave riusciva a passare: ed esse, infatti, morirono »
(Pseudo-Apollodoro. Epitome VII, 19-20. Traduzione di Maria Grazia Ciani in I miti greci Milano, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, 2008, pag. 405)
Seirēnes (Σειρῆνες), nome plurale femminile nella antica lingua greca, nella sua forma maschile significa "vespe" o "api", è collegato quindi alla figura di Penfredo una delle Graie, le "vergini simili a cigni"[10]. I pittori vascolari rappresentavano le sirene anche come esseri maschili con la barba, e sia se fossero di forme maschili o femminili, si può individuare la loro natura per il corpo che richiama sempre quello di un uccello (con le parti inferiori a volte a forma di uovo) con una testa umana, a volte con braccia e mammelle, quasi sempre con artigli ai piedi, artigli non aventi però la funzione del rapimento, funzione propria delle Arpie, in quanto, altra caratteristica loro fondante, le sirene sono strettamente collegate al mondo della musica, suonando la lira o il doppio flauto e accompagnandosi col canto.
Le sirene sono anche onniscienti e in grado di placare i venti, forse con il loro canto[11], cantando le melodie dell'Ade[12].
Il rapporto tra le sirene e il mondo dell'Ade è presente anche in Euripide quando, nell'Elena, così la protagonista invoca:
« Voi, piumate vergini
figlie della Terra, voi
Sirene invoco, ai pianti miei
venite qua, col libico
flauto o con le cetre: siano per i miei
tristi lutti, consone lacrime,
pianti per pianti, per musiche musiche:
ai gemiti consoni complessi
Persefone mi mandi,
voci di morte, e da me con le lacrime
s'abbia un peana nel regno di tenebra omaggio
per i defunti sepolti là »
(Euripide. Elena, 167-179. Traduzione di Filippo Maria Pontani, Milano, Mondadori, 2007, pag. 485)
George M.A. Hanfmann[13] ricorda che questo stretto collegamento con il mondo dei morti, testimoniato soprattutto dal fatto che fin dai tempi più antichi le loro immagini fossero a corredo delle tombe, fa supporre ad alcuni autori che le sirene fossero in origine degli uccelli in cui trovavano dimora le anime dei defunti.
Con la identificazione delle località omeriche, in età antica si ritenne che le sirene abitassero l'Italia meridionale. Strabone, in Gheographikà I,22, ci dice che i popoli marinari di Napoli, Sorrento e della Sicilia, le veneravano.
Il loro corpo, per metà donna e metà uccello sarebbe frutto di un incantesimo vendicativo da parte di Afrodite disprezzata dalle vergini sirene per i suoi amori[14]. Un'altra tradizione le vuole punite da Demetra per non aver impedito il ratto della figlia Persefone da parte di Ade mentre insieme coglievano dei fiori.
Ovidio, nelle Metamorfosi, offre una spiegazione poetica alla loro natura e al loro destino: esse non furono punite da Demetra, ma le stesse sirene chiesero di essere trasformate in uccelli per cercare in volo l'amica perduta.
(LA)
« Hic tamen indicio poenam linguaque videri
commeruisse potest; vobis, Acheloides, unde
pluma pedesque avium, cum virginis ora geratis?
an quia, cum legeret vernos Proserpina flores,
in comitum numero, doctae Sirenes, eratis?
quam postquam toto frustra quaesistis in orbe,
protinus, et vestram sentirent aequora curam,
posse super fluctus alarum insistere remis
optastis facilesque deos habuistis et artus
vidistis vestros subitis flavescere pennis.
ne tamen ille canor mulcendas natus ad aures
tantaque dos oris linguae deperderet usum,
virginei vultus et vox humana remansit »
(IT)
« Lui certo può essersi meritato il castigo parlando
troppo e facendo la spia; ma voi, figlie dell'Acheloo, da dove vengono
piume e zampe d'uccelli, quando avete volto di donna?
Forse perché Proserpina coglieva i fiori
primaverili, eravate nel numero delle sue compagne,
dotte Sirene? Dopo che inutilmente l'avete cercata per tutto il mondo,
avete desiderato, perché il mare sentisse la vostra pena
di potervi fermare sulle onde col remeggio delle ali,
e avendo il consenso degli dèi, avete visto
improvvisamente i vostri arti fiorire di penne;
ma perché il vostro canto, nato a blandire le orecchie,
e il tesoro della vostra bocca non perdesse l'uso
della lingua, vi restò volto di vergini e voce umana »
(Ovidio. Metamorfosi V, 555-563. Traduzione di Guido Paduano, Milano, Mondadori, 2007, pag. 225)
Vi sono due tradizioni apparentemente contraddittorie, quindi, su queste figure mitiche: una le vuole mortifere e dannose per gli uomini, mentre l'altra le indica come consolatrici per gli stessi rispetto al proprio destino e, soprattutto, alla morte. Da notare, tuttavia, che nel primo caso nulla indica una loro natura volutamente crudele, bensì è il loro destino e la loro funzione di cantatrici/incantatrici ad essere disastroso per gli uomini.
Ma 'cosa' cantano le sirene di così struggente e mortifero per gli esseri umani?
(GR)
« Δεῦρ᾽ ἄγ᾽ ἰών, πολύαιν᾽ Ὀδυσεῦ, μέγα κῦδος Ἀχαιῶν,
νῆα κατάστησον, ἵνα νωιτέρην ὄπ ἀκούσῃς.
Οὐ γάρ πώ τις τῇδε παρήλασε νηὶ μελαίνῃ,
πρίν γ᾽ ἡμέων μελίγηρυν ἀπὸ στομάτων ὄπ᾽ ἀκοῦσαι,
ἀλλ᾽ ὅ γε τερψάμενος νεῖται καὶ πλείονα εἰδώς. »
(IT)
« Vieni, celebre Odisseo, grande gloria degli Achei,
e ferma la nave, perché di noi due possa udire la voce.
Nessuno è mai passato di qui con la nera nave
senza ascoltare con la nostra bocca il suono di miele,
ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose »
(Omero. Odissea XII, 184-8. Traduzione di Giuseppe Aurelio Privitera, Milano, Mondadori, 2007, pag.363)
Károly Kerényi osserva:
« Si dice che a queste parole Odisseo abbia voluto sciogliere i vincoli che lo legavano, ma i suoi compagni lo abbiano legato ancora più saldamente. E non si potrebbe stupire di un simile effetto del canto, poiché le sirene si presentavano con tali parole come dee oracolari onniscienti, quali forse effettivamente erano nei luoghi dove si tributava loro un culto. Non di meno però esse erano le dee della morte e dell'amore a servizio della dea degli Inferi. In un certo qual modo la dea del regno dei morti era essa stessa morta. Le sirene servivano la morte e dovevano morire esse stessa-così diceva un racconto- se la nave passava vicino e un equipaggio non cadeva loro preda. Esse si uccisero quando Odisseo e i suoi compagni poterono salvarsi »
(Károly Kerényi. Op.cit. pag.58)
Così Alessandra Tarabocchia Canavero commenta:
« È un canto che è una promessa: se si fermerà presso di loro, se ne andrà "sapendo più cose". Le sirene, pur consapevoli della loro voce di miele, sanno che è irresistibile, per gli uomini che arrivano a sentirla, non tanto è la dolcezza del canto, quanto il conoscere il proprio passato e sapere "ciò che accade nella terra ferace". Così è stato per tutti coloro che si sono accostati alla loro isola: si sono fermati... Sembra al di fuori delle loro intenzioni trattenere per sempre gli uomini che hanno accettato il loro invito: mentono o, incoerenza del mito che le vuole onniscienti, non sanno che il desiderio di "sapere più cose" ha portato tutti coloro che si sono fermati presso di loro per soddisfarlo a dimenticare gli affetti familiari, a trascurare tutto ciò che ha a che fare con la vita, fino a lasciarsi morire: sembrano non rendersi conto che, dal mare, si possono vedere tra i fiori, le loro ossa e loro membra imputridite... La bella voce è solo l'involucro della vera tentazione delle sirene omeriche: "sapere più cose". È la tentazione "originaria" dell'onniscienza. Cedere a questa tentazione, assecondare, in modo assoluto, questo desiderio porta a rompere i legami famigliari, a perdere la dimensione sociale e civile, a morire. Per questo Omero le condanna. Per questo l'eroe deve fuggirle, non deve interrompere il suo nóstos »
(Alessandra Tarabocchia Canavero. Op.cit. pag.133)
Nel V secolo d.C. le Argonautiche orfiche riassumeranno il mito arricchendolo di particolari:
« La rupe scoscesa che dall'alto
incombe sporgendo coi suoi nudi crepacci, si spinge dentro il mare
e di sotto, nel cavo, freme l'onda azzurra.
Là sedendo alcune fanciulle ammaliano i mortali che all'udirle
non vogliono più tornare. Piacque allora a Minii di conoscere il canto
delle sirene e non vollero sottrarsi a quella funesta melodia
e dalle mani avevano già lasciato andare i remi
e Aneo aveva messo la prora verso l'alto promontorio,
ma io tra le mie mani tesi la corda della lira,
infusi su ispirazione di mia madre la piacevole armonia di un canto.
Intonavo con dolce melodia un inno divino,
di come un tempo contesero, per i cavalli dai piedi veloci come il turbine,
Zeus dall'alto tuono e il marino scuotitore della terra
Adirato col padre Zeus il signore dalla nera chioma
percosse la terra Licaonia col suo tridente d'oro
e la disperse celermente sul mare infinito
per formare le isole marine che hanno nome
Sardegna, Eubea e poi ancora Cipro ventosa.
Allora al suono della mia cetra stupirono le sirene
dall'alto della rupe cessarono il loro canto.
Si lasciarono cadere di mano l'una il flauto l'altra la lira,
ed emisero angosciosi gemiti perché era giunto il triste destino
della morte fatale. Dalla rupe scoscesa si gettarono
nell'abisso del mare ondoso.
E in pietra mutarono il corpo e la loro fiera bellezza. »
(Argonautiche orfiche 1265-90. Traduzione di Luciano Migotto in Argonautiche orfiche. Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1994, pagg. 96-8)

I nomi delle sirene[modifica | modifica sorgente]

L'origine del termine "sirena" è dubbio. Tra le molte ipotesi Alessandra Tarabochia Canavero[15], collegandosi alle osservazioni di Kurt Latte[16] secondo le quali cessando il vento all'approssimarsi della loro ierofania, e quindi con l'approssimarsi dell'ora meridiana, sostiene che esse potrebbero indicare dei dèmoni del calore meridiano (daemones meridiani) indicazione che potrebbe suggerire un collegamento con l'aggettivo séirios (incandescente, splendente) da cui Sirio, a sua volta collegato al sanscrito Sūrya (il deva del Sole). Altra ipotesi lega tale termine al verbo syrízo ("fischiare", "sibilare") quindi dèmoni della tempesta, collegati ai vedici Marut. Oppure da seirà (corda, fune, da cui anche éiro, "legare"), riprendendo il fatto che le sirene "legano" a sé i naviganti, li irretiscono[17]. O più semplicemente da un semitico sir ("cantare").
Le sirene in Omero sono due, infatti il poeta greco utilizza il duale Seirḗnoiïn, ma senza nominarle. Alcuni tardi commentatori ne suggeriscono i nomi in Aglaophḗmē e Thelxiépeia[18], nomi che ne indicano la "voce" (phoné/*óps) come "splendida" (agláe) e "incantatrice" (thélgo).
Tradizioni successive di matrice "pseudo-esiodea" portano il numero delle sirene da due a tre indicando la terza con il nome di Peisinóē (da peítho, "persuadere" e noús "mente").

Le sirene nella teologia classica[modifica | modifica sorgente]

Platone in una copia romana dell'opera originale esposta nell'Accademia dopo la morte del filosofo nel 348 a.C. (Gliptoteca di Monaco, sala 10). Platone fu tra i primi teologi classici ad indagare la natura e la funzione delle sirene descritte nei miti.
Plutarco di Cheronea, statua classica conservata presso il Museo di Delfi. Plutarco, nelle sue Quaestiones convivales, intese armonizzare l'immagine omerica delle sirene con le interpretazioni di Platone. Le sirene, secondo Plutarco, non devono spaventare perché suonano una musica celeste che libera l'anima dalle cose terrene.
La teologia classica si è occupata delle sirene fin da Platone che nel Cratilo faceva osservare da Socrate che non bisognava temere il dio Ade (Ἅιδης) il quale raccoglieva presso di sé le anime dei morti spoglie dei loro corpi, corpi che da vivi le avevano costrette all'agitazione e alla follia; infatti, evidenzia Socrate, è il desiderio di permanere nel regno di Ade che fa sì che le anime dei morti non si allontanino da lui. E le sirene partecipano di questo desiderio che corrisponde al desiderio della virtù e alla figura del "filosofo".
« Allora, per questo, diciamo, Ermogene, che nessuno di coloro che sono laggiù desidera tornare qui, nemmeno le sirene stesse, bensì vengono affascinati, sia quelle, sia tutti gli altri: tanto belli, a quanto pare, sono i discorsi che Ἅιδης [Ade] sa fare. E codesto dio, secondo questo ragionamento, è un Sofista perfetto ed un grande benefattore di quelli che gli stanno vicino, egli che manda anche a chi sta quassù beni così grandi: οὕτω πολλά [:così tanti] sono i beni che lo circondano laggiù, che da ciò ebbe il nome Πλούτων [Plutone][19] »
(Platone. Cratilo, 403D-403E. Traduzione di Maria Luisa Gatti in Platone. Tutti gli scritti. Milano, Bompiani, 2008, pag. 151)
Nella Repubblica, Platone narra il mito di Er figlio di Armenio soldato della Panfilia che morto in combattimento torna improvvisamente tra i vivi e racconta ciò che ha visto nell'aldilà. Ed Er racconta di essere stato condotto, insieme alle altre anime dei caduti, in un luogo meraviglioso dove sedevano dei giudici che indicavano ai giusti di dirigersi verso il Cielo e agli ingiusti nelle profondità della Terra. Questi giudici disposero per Er di limitarsi ad osservare ciò che accadeva di modo che potesse raccontarlo una volta resuscitato. Il racconto di Er si sofferma nel momento in cui le anime di ritorno dal Cielo e quelle di ritorno dalle profondità della Terra si scambiano le esperienze vissute, beate le prime, terribili le seconde. Dopo aver vissuto il proprio premio o la propria punizione (tranne i tiranni come Ardieo condannati per l'eternità a permanere nelle profondità), le anime venivano condotte in un diverso luogo dove si sarebbe deciso il loro nuovo destino. Lì Ananke tesseva il suo fuso da cui dipendevano i moti dei corpi celesti. Questo fuso, o meglio si direbbe un planetario, conteneva al suo interno altri sette fusaioli:
« Il filo ruotava sulle ginocchia di Ananke. Sui suoi cerchi, in alto, si muoveva insieme a ciascuno una sirena, che emetteva un'unica nota, con un unico suono; ma tutte insieme formavano un'armonia[20]. Altre donne, disposte in cerchio, ognuna sul suo trono a uguale distanza, erano le figlie di Ananke, le Moire biancovestite, cinte il capo di bende: Lachesi, Cloto e Atropo; e al suono delle Sirene Lachesi cantava il passato, Cloto il presente, Atropo l'avvenire »
(Platone. Repubblica 617B-617C. Traduzione di Giuseppe Lozza in Platone Opere vol.2. Milano, Mondadori, 2008 pag. 460)
Alla luce delle indicazioni teologiche di Platone, il medioplatonico Plutarco ci racconta come Ammonio l'Egiziano rese coerenti le Sirene platoniche con quelle omeriche:
« Quanto alle Sirene di Omero, lo spavento che ci incute il loro mito non ha fondamento; al contrario anche questo poeta ci ha fatto intendere simbolicamente una verità, precisamente che il potere della loro musica non è disumano e funesto; nelle anime che hanno lasciato questo mondo per il cielo e vagano, come sembra, dopo la morte, questa musica suscita l'amore per le cose celesti e divine e l'oblio delle cose mortali, essa le possiede e le incanta con il suo sortilegio, ed esse piene di gioia, seguono le Sirene e si uniscono a esse nei loro movimenti circolari. Qui sulla terra una sorta di debole eco di quella musica ci raggiunge e, attraendo le nostre anime con il potere delle parole, suscita in esse il ricordo di quello che hanno sperimentato nella vita precedente. Le orecchie della maggior parte delle anime, tuttavia sono tappate e bloccate non dalla cera, ma da ostacoli e affetti carnali. Ma l'anima che per la sua buona natura si accorge e ricorda prova qualcosa in tutto simile ai più folli trasporti d'amore, sospirando e desiderano liberarsi dal corpo, ma incapace di farlo »
(Plutarco. Quaestiones convivales IX,14,6[21])
Il canto delle Sirene nei cieli è senza parole, è l'armonia, la musica delle sfere. Quella che, ci ricorda il neoplatonico Giamblico, Pitagora faceva ascoltare ai suoi allievi per purificarli:
« E la sera quando i seguaci andavano a dormire, li liberava dai turbamenti e dalle ripercussioni della giornata, purificandone la mente frastornata: così procurava loro un sonno tranquillo e animato di bei sogni, talora addirittura profetici »
(Giamblico. De mysteriis Aegyptiorum, Chaldeorum et Assyriorum XV,65. Traduzione di Claudio Moreschi in Giamblico I misteri degli egiziani. Milano, Rizzoli, 2003, pag. 193)
E le Sirene acquisiscono un ruolo fondamentale anche per la scuola pitagorica degli acusmatici rammentata da Giamblico:
« La filosofia degli acusmatici consiste di detti (akousmata) cui non si accompagna una dimostrazione o una giustificazione razionale [...]. Inoltre essi si sforzano di custodire alla stregua di insegnamenti divini quant'altro Pitagora avesse avuto modo di affermare e per parte loro non pretendono di dire alcunché in prima persona anzi reputano illecito farlo. [...] Tutti i cosiddetti akousmata si dividono in tre gruppi. Quelli del primo gruppo indicano cos'è una determinata cosa; quelli del secondo che cosa gode nella massima misura di una determinata qualità; infine quelli del terzo gruppi indicano cosa si debba o non si debba fare. Quelli che definiscono cos'è una determinata cosa sono di questo genere: "Cosa sono le isole dei Beati? Sono il Sole e la Luna. Cos'è l'oracolo di Delfi? La tetrade, cioè l'armonia, nella quale sono le Sirene" »
(Giamblico. Vita pitagorica 82. Traduzione di Maurizio Giangiulo. Milano, Rizzoli, 2008, pag.219)

Note[modifica | modifica sorgente]

  1. ^ Cfr. Igino Astronomo 125,13
  2. ^ Una tradizione attestata, ad esempio nelle Argonautiche orfiche, vuole che il loro katapontismós, il "tuffo" trasfigurante, le abbia trasformate in "rupi".
  3. ^ Cfr. Alessandra Tarabochia Canavero. Sirene, un canto per l'anima in I Greci. Il sacro e il quotidiano. Milano, Silvana Editoriale, 2004, pag. 134.
  4. ^ Cfr. a tal proposito la stessa Odissea XII, 69-72
  5. ^ Sofocle frammento 777, riportato da Plutarco in Quaestiones convivales IX,14,6
  6. ^ Károly Kerényi. Gli Dei della Grecia. Milano, Il Saggiatore, 1994, pagg.53-6.
  7. ^ Esiodo. Theogonia, 340
  8. ^ Iliade XXI, 194
  9. ^ Cfr. il mito delle Erinni.
  10. ^ Cfr. Károly Kerényi. Op.cit..
  11. ^ Cfr. Esiodo. Frammento 69
  12. ^ Sofocle. Frammento861
  13. ^ in Oxford Classical Dictionary 1970; trad. it Dizionario di antichità classiche. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, pag.1952-3
  14. ^ Cfr. Scholia ad Od. XII,168
  15. ^ Op.cit. pagg.132-3
  16. ^ Kurt Latte. Die Sirenen Monaco, Kleine Schriften, 1968 pagg.106-11.
  17. ^ Meri Lao Il Libro delle Sirene, Di Renzo Editore, 2002
  18. ^ Cfr. Scoli ad Omero, Odissea XII,39
  19. ^ Il ricco.
  20. ^ . Le otto sirene indicano i sette pianeti e il cielo delle stelle fisse. Insieme compongono la musica delle sfere
  21. ^ Alessandra Canabochia Tanavero. Op.cit. pag.137.

Bibliografia[modifica | modifica sorgente]

  • Alessandra Tarabochia Canavero. Sirene, un canto per l'anima in I Greci. Il sacro e il quotidiano. Milano, Silvana Editoriale, 2004.
  • Esiodo, Theogonia.
  • Iliade.
  • Károly Kerényi. Gli Dei della Grecia. Milano, Il Saggiatore, 1994.
  • Kurt Latte, Die Sirenen Monaco, Kleine Schriften, 1968 pagg.106-11.
  • Meri Lao, Il Libro delle Sirene, Di Renzo Editore, 2002
  • Odissea.

Altri progetti[modifica | modifica sorgente]

      

 

 

 

 

 

 

Ibridi ittiomorfi o ornitomorfi?

Le origini mediterranee

« Per dimostrare le affinità tra i miti delle più lontane nazioni, avviciniamo alle Sirene le Ondine. Queste ultime, anch'esse divinità marine, figlie di Nikar, il "Nettuno" scandinavo, si trovano nel Baltico e in tutti i mari del Nord. Bellissime, occhi azzurri e capelli d'oro, adescano i marinai e li uccidono o li fanno schiavi. »
(Dino Provenzal, Echi di Grecia e di Roma, Historia, Cino del Duca, luglio 1968 n. 168)
Sirena in una statua funeraria del I secolo a.C. proveniente da Myrina. Le "sirene" stazionavano alle porte degli Inferi
la sirena aurea Sovann Maccha della tradizione Khmer e Thai in una rappresentazione murale
 
 
Le sirene classiche dell'antichità mediterranea affondano il loro mito in epoche che non hanno tuttora potuto far giungere a noi documentazione originale scritta.
 
Citate nell'Odissea e non descritte, si ricollegano a precedenti epiche, come il mito degli Argonauti e quindi alla civiltà egea.
 
 
Sono comunque numerose le rappresentazioni coeve e precedenti di esseri alati con capo o con capo e busto femminili che vengono associate alle sirene.
 
 
L'origine letteraria, nell'antichità classica, della figura delle sirene è nell'Odissea di Omero dove vengono presentate come cantatrici marine abitanti un'isola presso Scilla e Cariddi, le quali incantavano, facendo poi morire, i marinai che incautamente vi sbarcavano. La loro isola mortifera era disseminata di cadaveri in putrefazione. Ma Odisseo, consigliato da Circe, la supererà indenne.
Omero non descrisse l'aspetto fisico delle sirene; a tal proposito si è presupposto[1] che ciò sia dovuto alla consapevolezza di Omero che il proprio uditore conoscesse le forme di queste creature grazie ad altri racconti mitici come le avventure di Giasone e degli Argonauti[2]. avendo il compito di consolare le anime dei defunti con il loro dolce canto e di accompagnarle nell'Ade.

Il rimescolamento con altri miti e leggende

Sulla base di testi e bestiari medioevali, nelle traduzioni in e da lingue anglosassoni e successive reintroduzioni, attualmente esiste una sovrapposizione di esseri differenti che vanno dalle originarie creature ornitomorfe, raffigurate sulle ceramiche attiche come rapaci dalla testa femminea a quelle successive ittiomorfe e col busto di donna, derivate da esse in epoca medioevale, o appartenenti a tradizioni diverse. Dette creature che in lingua inglese sono distinte in:
 
Siren (dal latino sirena) e
 
Mermaid (dal medio inglese mĕre col significato di "lago profondo e paludoso" o anche "oceano" e maiden nel significato di "vergine"[3])
in lingua italiana attualmente si sovrappongono indicandole con unico sostantivo: "sirene".
 
Nella stessa lingua inglese comunque gli equivoci si sovrappongono.
 
Tendenzialmente siren sono le originali creature omeriche, alate o caudate che siano (ma in molti dipinti, prevalentemente otto-novecenteschi troviamo diversi spiriti acquatici identificati come siren), mentre mermaid sono sempre e comunque differenti spiriti acquatici femminili, se ibridi muniti di coda e mai alati.
 
La sovrapposizione e la confusione terminologica appartiene, differentemente, anche all'altro ramo della tradizione mediterranea; nella lingua greca moderna le sirene "caudate", condivise da mito, leggenda e folclore vengono ugualmente sovrapposte e confuse con altri miti antichi, denominandosi in entrambi i casi Gorgoni (γοργόνες (λαογραφία), del folclore e γοργόνες (μυθολογία), mitologiche), ma differenziandosi nel nome dalle sirene omeriche, σειρήνες.

La parola identifica quindi indistintamente e quindi scorrettamente, in primo luogo per carenze terminologiche, le creature greco classiche, personaggi dei miti norreni e in generale nordeuropei della storia tardo-medioevale e della storia moderna, ridenominazioni di divinità della storia antica di area medio-orientale, in particolare siriaca, e morfologicamente analoghe divinità e creature della tradizione orientale di Siam e regioni indiane e indocinesi come la Suvannamaccha della Ramakien.
Si tratta di utilizzo diffuso di archetipi morfologici di ibrido; nella stessa cultura greco antica erano molteplici le raffigurazioni assimilabili a ciò che attualmente identifichiamo con "sirena"; arpie e tritoni, esempificativamente, riassumevano le due forme pur condividendo poco col mito delle sirene omeriche.

« Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena, se tu ci rendi – fata dagli occhi di velluto, ritmo, profumo, luce, mia unica regina! – l'universo meno odioso, meno pesante il minuto? »
(Charles Baudelaire, Inno alla Bellezza)
Le confusioni si sono propagate non solo a livello gergale, ma hanno dato origine a utilizzi che in parte richiamano correttamente particolarità della sirena omerica (fascino, pericolosità, seduzione, richiamo, da cui la metafora della femme fatale, o sirena, e la funzione di richiamo della sirena acustica), in parte si riferiscono, e anche in ambito scientifico (sirenii o sirenia, sirenidi, o sirenidae, sindrome della sirena o sirenomelia) o popolare alla sirena munita di pinna caudale, che sia conformata a mo' di pesce, cetaceo, pinnipede o sirenide, a seconda delle rappresentazioni. Di queste ultime si riferirà dopo una visione generale delle sirene dell'antichità classica.

Le Sirene nelle altre culture antiche

Secondo i glossografi siriani le sirene sarebbero invece esseri metà uomo e metà cavallo, e in arabo ed etiopico il termine al plurale seriel o ṣedānālat presenta una tipologia di mostri misteriosi abitanti il deserto come nel caso, in epoca ellenistica, della septuaginta in cui il termine σειρὴν era utilizzato per tradurre tutte le diverse specie necrofaghe o animali pensati tali[4].

Le Sirene nel Cristianesimo e nel Medioevo

 

Sirene con la parte inferiore a doppia coda di pesce (particolare di capitello, Monasterio de Sant Pere de Galligants, Girona, XII secolo. Con la diffusione del Liber Monstrorum, nel Medioevo le Sirene iniziarono ad essere raffigurate non più come "vergini-uccello" ma come "vergini-pesce".
La leggenda della melusina, in un dipinto ottocentesco di Julius Hubner
In un bestiario medievale dell'VIII secolo[5], il Liber Monstrorum, le sirene afferenti all'antichità classica vengono descritte, per la prima volta, con la parte inferiore del corpo a forma di coda pesce.
(LA)
« Sirenae sunt marinae puellae quae navigantes pulcherrima forma et canto mulcendo decipiunt et capite usque ad umbilicum sunt corpore virginali et humano generi simillimae; squamos tamen piscium caudas habent, quibus semper in gurgite latent »
(IT)
« Le sirene sono fanciulle marine che ingannano i naviganti con il loro bellissimo aspetto ed allettandoli col canto; e dal capo e fino all'ombelico hanno il corpo di vergine e sono in tutto simili alla specie umana; ma hanno squamose code di pesce che celano sempre nei gorghi »
(Liber Monstrorum, I,VI)
Nella successiva epoca basso medioevale interviene e si diffonde, in particolare con la letteratura cavalleresca e l'ideale dell'amor cortese un differente mito basato su leggende dell'Europa continentale, quello delle Melusine. Di tradizione completamente differente, condivide con la sirena classica l'aspetto semiumano e la capacità di fascinare gli uomini, "probabilmente" contribuendo al diffondersi della nuova forma immaginifica.

Ibridi ed equivoci, le sirene ittiomorfe

Il pescatore e la sirena, titolo originale: The Fisherman and the Siren, 1858, di Frederic Leighton, un esempio dell'uso del termine siren ad indicare anche in lingua inglese un differente spirito acquatico
Ulisse e le sirene, titolo originale: Ulysses and the Sirens, 1891, di John William Waterhouse, un esempio di sirena classica ornitomorfa nella tradizione preraffaellita.
Ulisse e le sirene, titolo originale: Ulysses and the Sirens, 1909, di Herbert James Draper, un esempio di sirena intesa in senso classico, ma ittiomorfa, nella tradizione preraffaellita.
Sirene (tela di Cesare Viazzi, 1901)


L'ibrido donna-animale nelle sue diverse connotazioni, nasce dunque, come indicato nella premessa, da un equivoco o da una tradizione, tuttavia non attestata, secondo la quale le Sirene, gettatesi in mare per non essere riuscite a trattenere l'eroe Odisseo/Orfeo, si sarebbero trasformate in vergini-pesce[6].

Su questi ed altri equivoci, a volte assimilanti anche altri esseri come ninfe naiadi e spiriti acquatici come la nixie, e molti personaggi di favole e mitologie anglosassoni e norrene, continua a perdurare una ormai inestricabile confusione terminologica.


In ogni caso, per traslazione o trasformazione, un tipico esempio dell'evoluzione del termine e della sua rappresentazione lo troviamo in uno dei simboli di Varsavia, la Warszawska Syrenka o sirena guerriera di Varsavia.

La più antica immagine della sirena di Varsavia giunge dal 1390.

Nel centro storico troneggia lo stemma: una figura con piedi di uccello, corpo di un drago e volto umano.

 Nel secolo successivo (1459) mostra la coda di pesce, un busto femminile con mani e piedi con artigli da uccello.

La forma attuale di una donna con una coda di pesce deriva dal 1622, e questa disposizione è la forma odierna. Nella mano sinistra tiene uno scudo, una spada nella destra.Dal 1938 è mostrata su uno sfondo rosso.

A Varsavia ci sono attualmente due statue della sirena. La più vecchia è stata creata dallo scultore Hegel Konstanty, in lega di zinco, situata sulla Piazza della Città Vecchia 1855.

La nuova statua è stata creata dallo scultore Ludwika Nitschowa nel 1939. Modella di riferimento è stata l'etnografa, poetessa e partigiana Krystyna Krahelska che cadde nella rivolta di Varsavia del 1944 come infermiera.
La sedia della St. Senara's Church


Nella cultura contemporanea, in virtù appunto della sovrapposizione tra i termini inglesi siren e mermaid, e largamente nella cultura popolare le sirene sono generalmente indicate come ibridi donna-animale con busto da donna e coda di pesce.

Diffusamente note in tutte le culture odierne, anche grazie alla fiaba dello scrittore danese Hans Christian Andersen, pubblicata per la prima volta nel 1836.

Esse sono coloro che cantano negli oceani e ingannano gli uomini, facendoli annegare. In molte fiabe invece, troviamo esse come pacifiche creature marine abitanti di Atlantide.


Nella St. Senara's Church, chiesa di San Senara del XII secolo, a Zennor Churchtown, Cornovaglia, si trova una delle più note rappresentazioni, una scultura lignea in altorilievo, sul lato di una sedia, un simbolo che ha avuto diverse interpretazioni da parte dei fedeli medievali. Prima dell'era cristiana, le sirene (mermaid) sono state uno dei simboli di divinità del mare e dell'amore. In una mano tenevano una mela cotogna e nell'altra un pettine. Più tardi la mela cotogna è stata cambiata in uno specchio, simbolo di vanità e di mancanza di cuore per i cristiani medievali come simbolo di lussuria e un monito contro i peccati della carne. Ma localmente, appunto in Cornovaglia, aveva anche un'altra interpretazione più ispiratrice tra le comunità marinare, dove è stata utilizzata anche per illustrare le due nature di Cristo. Mentre la sirena era umana e pesce, così Cristo poteva essere nello stesso tempo umano e divino, un messaggio che avrebbe colpito gli abitanti di questa regione isolata le cui vite erano intrecciate con il mare. La leggenda locale, La leggenda della sirena di Zennor sostiene che questa figura commemora un evento reale dalla storia parrocchiale, quando il canto di un corista di nome Matteo Trewhella, avrebbe adescato una sirena a giungere a terra dalle profondità del mare. Secondo il racconto ogni domenica essa si sedeva in fondo alla chiesa, incantata dalla sua bella voce. Un giorno, non più contenendo la sua infatuazione, lo portò al piccolo ruscello che scorre ancora attraverso il centro del paese e porta in mare a Cove Pendour nelle vicinanze. Matteo Trewhella non fu mai più visto. Nelle calde serate estive, a piedi nella pittoresca insenatura ora chiamata "Mermaid Cove", si dice che si sentano i due amanti cantare felici insieme, e le loro voci passano ascoltabili attraverso il fragore delle onde che si infrangono.

Diverse origini mitiche e letterarie di differenti divinità chiamate comunemente "sirene"

 

La dea Atargatis, in Aramaico Atar‘atah, era una divinità siriaca, chiamata anche Deasura; appartiene alla storia delle religioni del Vicino Oriente antico, nella Mezzaluna Fertile. Viene oggi indicata come dea-sirena, per l'aspetto del suo corpo, che ha forma di pesce, e così è descritta, ad Ascalona, da Diodoro Siculo[7][8].
Sul verso di una moneta di Demetrius III Eucaerus, la raffigurazione di Atargatis, velata, dal corpo di pesce, fiancheggiata da steli d'orzo, che porta in mano un fiore.


All'epoca antica la divinità era assimilabile a quella di Afrodite, la dea dell'amore. Era raffigurata con sembianze di donna e pesce, secondo la concezione tipica della successiva sirena norrena. Con Caistro, figlio di Achille, ebbe anche un figlio, di nome Efeso ed una figlia chiamata Semiramide.
Ad Ugarit, tavolette cuneiformi attestano la feconda “Donna Divinità del Mare” (rabbatu atiratu yammi), e tre divinità Canaanite — Anat, Asherah e Ashtart — condividono molti tratti e possono essere state adorate insieme o separatamente durante i 1500 anni di storia della regione.[9]
A Ascalon, Hierapolis Bambyce, e ad Edessa, erano intitolati un grandi templi; c'erano vasche per i pesci, che potevano essere toccati solo dai sacerdoti[10]. Glueck nel 1936 notò che “ad oggi c'è un pullulare di vasche per i pesci sacri, i cui pesci sono intoccabili, a Qubbet el-Baeddwī, un monastero dervish tre chilometri ad est di Tripoli[11].
Nella cultura religiosa sincretica a Doura-Europos, era adorata come Artemis Azzanathkona.[12] Negli anni trenta del XX secolo numerose busti in bassorielievo nabateo di Atargatis erano identificati da Nelson Glueck a Khirbet et-Tannûr, in Giordania, nelle rovine di un tempio nei pressi di un CE del primo secolo[13]. A Doura Europus, tra gli attributi di Atargatis figurano il fuso e lo scettro o l'amo[14].
Dalla Siria, la sua adorazione si estese in Grecia e all'ovest più lontano. Luciano[15] e Apuleio danno descrizioni dei preti mendicanti che viaggiarono per le grandi città con una immagine della divinità su un asse e raccoglievano le elemosine. L'ampia estensione del culto è largamente attribuibile ai mercanti siriani. In molti casi Atargatis, ‘Ashtart, e altre divinità che una volta erano stati culti e mitologie indipendenti, divennero sincretismi, fuse l'una con l'altra e così estese da apparire indistinguibili.
Questa fusione è esemplificata dal tempio di Carnion, che è probabilmente identico al famoso tempio di ‘Ashtart a Ashtaron-Karnaim. Atargatis appare generalmente come la moglie di Hadad; queste sono le divinità protettrici della comunità locale. Atargatis, che veste una corona merlata, è l'antenata della casata reale, il fondatore di una vita sociale e religiosa, la divinità della generazione e della fertilità (dimostrata dalla prevalenza di emblemi fallici), e l'inventrice di utili strumenti). Non meno naturalmente, essa è identificata con la greca Afrodite. Dalla congiunzione di queste molte funzioni, invece di originare una divinità del mare analoga ad Amphitrite, divenne in ultima analisi una grande dea della natura, analoga a Cybele e Rhea: in sintensi, Atargatis riassume tutti gli aspetti della protezione che l'acqua esercita nei confronti della vita; in un altro, l'universo dei mondi paralleli[16]; in un terzo (influenzato, senza dubbio, dall'astrologia caldea), il potere del destino.
Diodoro Siculo, (2.4.2), citando Ctesias, racconta come la dea si innamorò di un giovane, del quale rimase incinta, e come per la vergogna si lasciò affogare in un lago vicino Ascalon, come il corpo di lei fu tramutato in pesce, benché la sua testa rimanesse umana. La bambina di Atargatis, Semiramis, crebbe e divenne la regina degli Assiri.
Una recente analisi del culto di Atargatis è il saggio di Per Bilde[17], in cui Atargatis appare nel contesto di altri grandi divinità ellenizzate dell'Est.

La sirena come figura simbolica

Secondo il libro di Dorothy Dinnerstein, "Mermaid and the Minotaur", queste creature ibride uomo-animale, possono trasmettere i concetti emergenti di antichi esseri umani diversi dagli animali: "La natura umana è contraddittoria, e le nostre differenze di animali terrestri sono misteriose e profonde."

Gloria Jean Watkins, bell hooks, cita Dorothy Dinnerstein nel suo libro

The Will to Change: Men, Masculinity, and Love,

interpretando la figura simbolica della sirena, come archetipo femminile primordiale, calato nella cultura che contrappone uomini e donne.

La figura viene vista e rivisitata in chiave psicoanalitica, alla ricerca di una sintesi maschio-femmina nei temi relativi alla cura e all'educazione della prole.

Nella cultura di massa

La sirena, specie nella sua forma ittiomorfa, è frequentemente ripresa in vari ambiti della cultura popolare (specie il fantasy); sono numerosi i film che trattano le sirene come temi classici, dalle più rigorose ricostruzioni mitiche e storiche, fino ai "peplum", alle saghe animate, ai film di avventura - tra i tanti il film Ulisse del 1954 diretto da Mario Camerini, e L'Odissea televisiva del 1968.

A questi si aggiungono opere che nulla hanno a vedere con il mito originario.


A supporto della sovrapposizione delle diverse figure e della convergenza in un'unica denominazione, due commedie cinematografiche dal titolo italiano Sirene, originariamente portavano due differenti titoli in lingua inglese: Sirene (titolo originale Mermaids) diretto da Richard Benjamin nel '90 e Sirene (titolo originale Sirens) diretto nel 1994 da John Duigan.


Nell'ambito delle fiabe, assai famosa è La sirenetta di Hans Christian Andersen, e dalla quale è stato tratto l'omonimo film Disney del 1989; la sirena protagonista della fiaba è divenuta il simbolo della città di Copenaghen, e le è stata dedicata anche una statua.

Note[modifica | modifica sorgente]

  1. ^ Cfr. Alessandra Tarabochia Canavero. Sirene, un canto per l'anima in I Greci. Il sacro e il quotidiano. Milano, Silvana Editoriale, 2004, pag. 134.
  2. ^ Cfr. a tal proposito la stessa Odissea XII, 69-72
  3. ^ Cfr. Middle English Dictionary (a cura di Sherman M. Kuhn). The University of Michigan Press, 1998, pag.342
  4. ^
    « Occorre ricordare che secondo i glossografi siriani le Sirene sono esseri metà uomo e metà cavallo[Cfr. Roscher, Lex. cit. s.v. ὀνοκένταυροι ὀνοσκελίς.], e che ancor oggi, in etiopico e in arabo, il termine al plurale seriel o ṣedānālat (forma in -d-, derivata da σειρὴν) rappresenta un tipo di mostri misteriosi che abitano nel deserto[M. Cohen, Sur les Sirènes en Abyssinie, in «Revue de l'Histoire des Religions» XLVIII (1928), II, pp. 94 sg.], com'era già il caso in epoca ellenistica, in cui i Settanta impiegano σειρὴν (seiròn) ogni volta che si tratta delle diverse specie di necrofagi o di animali supposti tali: lo sciacallo, le «figlie del gemito» (forse gli struzzi e i gufi) [Cfr. Crusius, Epiphanie cit., che rinvia a Job, 30, 29; Mich., 1, 8; Is.,13, 21; 34, 13; 43,20.] »
    (Roger Caillois, op. cit., Il demone del mezzogiorno, p.57)
  5. ^ Data ipotetica in quanto il testimone giunto a noi non è antecedente al X secolo.
  6. ^ La tradizione attestata, ad esempio nelle Argonautiche orfiche, vuole invece che il loro katapontismós, il "tuffo" trasfigurante, le abbia trasformate in "rupi".
  7. ^ Il moderno repertorio di allusioni letterarie alla dea è di Paul Louis van Berg, Corpus Cultus Deae Syriae (C.C.D.S.): les sources littéraires, Parte I: Répertoire des sources grecques et latines; Parte II: Études critiques des sources mythologiques grecques et latines (Leiden:Brill) 1973.
  8. ^ Riportata anche da: Anna M. Capomacchia, Semiramis: una femminilità ribaltata, L'Erma di Bretschneider - Storia delle religioni, 1986, ISBN 8870625907, per i legami con i successivi culti di Afrodite e i siriaci tabù alimentari relativi al pesce
  9. ^ Robert A. Olden, Jr, “The Persistence of Canaanite Religion” The Biblical Archaeologist 39.1 (March 1976, pp. 31-36) p. 34.
  10. ^ Luciano, De Dea Syria; Diodoro Siculo II.4.2.
  11. ^ Glueck 1936: p. 374, note 4
  12. ^ Rostovtseff 1933:58-63; Dura-Europos III.
  13. ^ Nelson Glueck, "A Newly Discovered Nabataean Temple of Atargatis and Hadad at Khirbet Et-Tannur, Transjordania" American Journal of Archaeology 41. 3 (luglio 1937), pp. 361-376.
  14. ^ Baur, Dura-Europos III, p. 115. Per Pindar (Sixth Olympian Ode), la divinità marina greca Amphitrite è la "dea dell'amo d'oro"
  15. ^ Luciano, De Dea Syria.
  16. ^ Macrobius. Saturn, 1.23.
  17. ^ Religion and Religious Practice in the Seleucid Kingdom (nella serie di studi "Studies in Hellenistic Civilization"), Aarhus University Press, 1990

Bibliografia[modifica | modifica sorgente]

Roger Caillois in Carlo Ossola (a cura di), Les Démons de midi, trad. Alberto Pellissero, I demoni meridiani, Torino, Bollati Boringhieri [1936], 1988. ISBN 88-339-1138-1.

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