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Thursday, March 28, 2024

GRICE E PETRARCA: L'IMPLICATURA CONVERSAZIONALE -- FILOSOFIA ITALIANA -- LUIGI SPERANZA

 

 

Grice e Petrarca: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Arezzo). Filosofo italiano. Grice: “There are a few studies on Petrarca and ‘filosofia’: “Petrarca platonico,” etc. – but his most important contribution is via implicatura, as when I deal with Blake or Shakespeare.” Considerato il filosofo precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della filosofia italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il “Canzoniere”, patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da BEMPO. Filosofo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilancia, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e opera una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropo-centrico -- e non più in chiave assolutamente teo-centrica – P. -- che ottenne la laurea poetica a Roma – gode la sua vita nella riproposta culturale della poetica e la filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura che una storia d'amore, e in quest’ottica si deve valutare anche l'opera latina del Secretum. Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, danno avvio al fenomeno del petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'aretino. Il padre appartene alla fazione dei guelfi bianchi ed è amico d’ALIGHIERI, esiliato da Firenze per l'arrivo di Valois, apparentemente entrato nella città toscana quale paciere di Bonifacio VIII, ma in realtà inviato per sostenere i guelfi neri contro quelli bianchi. La sentenza emanata da Gubbio, podestà di Firenze, esilia tutti i guelfi bianchi, compreso il padre di P. che, oltre all'oltraggio dell'esilio, e condannato al TAGLIO DELLA MANO DESTRA. A causa dell'esilio del padre, P. trascorre l'infanzia in diversi luoghi della Toscana. Prima ad Arezzo, poi Incisa e Pisa, dove il padre è solito spostarsi per ragioni politico-economiche. A Pisa, il padre, che non perde la speranza di rientrare in patria, si riune ai guelfi bianchi e ai ghibellini per accogliere Arrigo VII. Secondo quanto affermato dallo stesso P. nella Familiares, indirizzata a Boccaccio, a Pisa avvenne, probabilmente, il suo unico e fugace incontro con l'amico del padre, ALIGHIERI. La famiglia si trasfere a Carpentras, vicino Avignone, dove il padre ottenne incarichi presso la corte pontificia grazie all'intercessione di Prato. Nel frattempo, P. studia a Carpentras sotto la guida di Prato, amico del padre che è ricordato dal P. con toni d'affetto nella Seniles. A questa scuola, presso la quale studia, conosce uno dei suoi più cari amici, Sette, al quale P. indirizza la Seniles. Anonimo, Laura e il Poeta, Arquà Petrarca (Padova). L'affresco fa parte di un ciclo pittorico realizzato mentre è proprietario Valdezocco. L'idillio di Carpentras dura fino ad allorché lui, il fratello Gherardo e l'amico Sette sono inviati dalle rispettive famiglie a studiare diritto a Montpellier, città della Linguadoca, ricordata anch'essa come luogo pieno di pace e di gioia. Nonostante ciò, oltre al disinteresse e al fastidio provati nei confronti della giurisprudenza, il soggiorno a Montpellier è funestato dal primo dei vari lutti che P. affrontare: la morte della madre. Il figlio, ancora adolescente, compone il Pangerycum defuncte matris -- poi rielaborato nell'epistola metrica -- in cui vengono sottolineate le virtù della madre scomparsa, riassunte nella parola latina electa. Il padre, poco dopo la scomparsa della moglie, decide di cambiare sede per gli studi dei figli inviandoli nella ben più prestigiosa BOLOGNA, anche questa volta accompagnati da Sette e DA UN PRECETTORE che segue la vita quotidiana dei figli. In questi anni P., sempre più insofferente verso gli studi di diritto, si lega ai circoli letterari felsinei, divenendo studente e amico dei latinisti Virgilio e BENINCASA (si veda), coltivando così i studi filosofici e la biblio-filia. Gl’anni bolognesi, al contrario di quelli trascorsi in Provenza, non sono tranquilli. Scoppiarono violenti tumulti in seno allo studio in seguito a LA DECAPITAZIONE DI UN STUDENTE, fatto che spinge P., con il fratello e SETTE a ritornare ad Avignone. I tre ri-entrarono a Bologna per riprendervi gli studi fino all’anno in cui P. ritornò ad Avignone per prendere a prestito una grossa somma di denaro, vale a dire 200 lire bolognesi spese presso Zambeccari. Ser Petracco muore permettendo a Petrarca di LASCIARE FINALMENTE LA FACOLTÀ DI DIRITTO A BOLOGNA e di dedicarsi agli studi filosofici che lo appassionavano. Per dedicarsi a tempo pieno a quest'occupazione dove trovare una fonte di sostentamento che gli permette di ottenere un qualche guadagno remunerativo. Lo trova quale membro del seguito di Colonna. L'essere entrato a far parte della famiglia, tra le più influenti e potenti dell'aristocrazia romana, permise a P. di ottenere non soltanto quella sicurezza di cui ha bisogno per iniziare i studi, ma anche di estendere le sue conoscenze in seno all'élite filosofica romana.  Difatti, in veste di rappresentante degl’interessi dei Colonna, P. compì un lungo viaggio nell'Europa del Nord, spinto dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegna l'intera sua agitata biografia. È a Parigi, Gand, Liegi, Aquisgrana, Colonia, e Lione. Particolarmente importante è allorché, nella città di Lombez, P. conosce Tosetti e Kempen, il Socrate cui vede dedicata la raccolta epistolare delle Familiares.  Poco dopo essere entrato a far parte del seguito di Colonna, prende gli ordini sacri, divenendo canonico, col fine di ottenere i benefici connessi all'ente ecclesiastico di cui è investito. Nonostante la sua condizione di religioso -- è attestato che P. è nella condizione di chierico – ha comunque un figlio nato con una donna ignote, figlio tra cui spiccano per importanza, nella successiva vita del poeta. Secondo quanto afferma nel Secretum, P. incontra per la prima volta, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, 7, che cadde di lunedì, la donna che è l'amore della sua vita e che è immortalata nel Canzoniere. La figura di Laura suscita, da parte dei critici letterari, le opinioni più diverse. Identificata da alcuni con una Laura de Noves coniugata de Sade -- morta a causa della peste. Altri invece tendono a vedere in tale figura un senhal dietro cui nascondere la figura dell'ALLORO filosofico -- pianta che, per gioco etimologico, si associa al nome femminile -- suprema ambizione del filosofo P.. P. manifesta già durante il soggiorno bolognese una spiccata sensibilità filosofica, professando una grandissima ammirazione per l'antichità romana. Oltre agli incontri con Virgilio e Pistoia, importante per la nascita della sensibilità filosofica di P. è il padre stesso, fervente ammiratore di CICERONE e di tutta la giurisprudenza latina. Difatti ser Petracco, come racconta P. nella Seniles dona al figlio un manoscritto contenente le opere di VIRGILIO e la Rethorica di CICERONE e un codice delle Etymologiae di Isidoro e uno contenente le lettere di s. Paolo. In quello stesso anno, dimostrando la passione sempre crescente per la Patristica, P. compra un codice del De Civitate Dei di Agostino e conosce e comincia a frequentare Sepolcro, professore di teologia alla Sorbona. Il professore regala a P. un codice tascabile delle Confessiones, lettura che aumenta ancor di più la passione del Nostro per la spiritualità patristica agostiniana. Dopo la morte del padre e l'essere entrato a servizio dei Colonna, P. si buttò a capofitto nella ricerca di nuovi classici, cominciando a visionare i codici della biblioteca apostolica -- ove scoprì la Naturalis Historia di PLINIO il Vecchio -- e, nel corso del viaggio nel Nord Europa, P. scopre e ri-copia il codice del Pro Archia poeta di CICERONE e dell'apocrifa “Ad equites romanos”, conservati nella Biblioteca Capitolare di Liegi. Oltre alla dimensione di explorator, comincia a sviluppare le basi per la nascita del metodo filologico moderno, basato sul metodo della collatio, sull'analisi delle varianti e quindi sulla tradizione manoscritta dei classici, depurandoli dagl’errori dei monaci amanuensi con la loro emendatio oppure completando i passi mancanti per congettura. Sulla base di queste premesse metodologiche, lavora alla ricostruzione, da un lato, dell' “Ab Urbe condita” di LIVIO. Dall'altro, della composizione del grande codice contenente le opere di VIRGILIO e che, per la sua attuale locazione, è chiamato Virgilio ambrosiano. Da Roma a Valchiusa: l'Africa e il “De viris illustribus”; Marie Alexandre Valentin Sellier, “La farandola di Petrarca”, olio su tela, Sullo sfondo si può notare il Castello di Noves, nella località di Valchiusa, il luogo ameno in cui trascorse gran parte della sua vita fino all’anno in cui lasciò la Provenza per l'Italia. Mentre porta avanti questi progetti filosofici, P. intrattene con  Benedetto XII, un rapporto epistolare -- Epistolae metricae -- con cui esorta il pontefice a ritornare a Roma e continua il suo servizio presso Colonna, su concessione del quale poté intraprendere un viaggio a Roma, dietro richiesta di Colonna che desidera averlo con sé. Giuntovi nella città eterna P. puo toccare con mano i monumenti e le antiche glorie dell'antica capitale dell'impero romano, rimanendone estasiato. Rientrato in Provenza, P. compra una casa a Valchiusa, appartata località sita nella valle della Sorgue nel tentativo di sfuggire all'attività frenetica avignonese, ambiente che lentamente comincia a detestare in quanto simbolo della corruzione morale in cui è caduto il Papato. Valchiusa -- che durante le assenze di P. è affidata al fattore Chermont -- è anche il luogo ove P. puo concentrarsi nella sua attività filosofica e accogliere quel piccolo cenacolo di amici eletti -- a cui si aggiunse il vescovo di Cavaillon, Philippe de Cabassolle -- con cui trascorrere giornate all'insegna del dialogo filosofico colto – “un gruppo di gioco”. Più o meno in quello stesso periodo, illustrando a Colonna la vita condotta a Valchiusa nel primo anno della sua dimora lì, P. delinea uno di quegl’autoritratti manierati che diventeranno un luogo comune della sua corrispondenza: passeggiate campestri, amicizie scelte, letture intense, nessuna ambizione se non quella del quieto vivere. È in questo periodo appartato che, forte della sua esperienza filosofica, incomincia a stendere i due saggi che sarebbero dovute diventare il simbolo della rinascenza classica: l'Africa e il De viris illustribus. Il primo saggio, in versi intesa a ricalcare le orme virgiliane, narra dell'impresa militare romana della seconda guerra punica, incentrata sulle figure di SCIPIONE l'Africano, modello etico insuperabile della virtù civile della repubblica romana. Il secondo saggio e un medaglione di XXXVI vite di uomini illustri improntata sul modello liviano e quello floriano. La scelta di comporre un'opera in versi e un'opera in prosa, ricalcanti i modelli sommi dell'antichità nei due rispettivi generi e intesi a recuperare, oltre alla veste stilistica, anche quella spirituale degl’antichi, diffusero presto il nome di P. al di là dei confini provenzali, giungendo in Italia. L'ALLORO con cui P. è incoronato ri-vitalizza il mito del filosofo laureato, figura che diventerà un'istituzione pubblica in paesi quali il Regno Unito.  Il nome di P. quale uomo eccezionalmente colto e grande filosofo è diffuso grazie all'influenza della famiglia Colonna e SEPOLCRO. Se i primi hanno influenza presso gl’ambienti ecclesiastici e gl’enti a essi collegati -- quali le Università europee, tra le quali spiccava la Sorbona -- SEPOLCRO fa conoscere il nome dell'Aretino presso la corte del re di Napoli Roberto d'Angiò, presso il quale è chiamato in virtù della sua erudizione. Approfittando della rete di conoscenze e di protettori di cui disponeva, pensa di ottenere un riconoscimento ufficiale per la sua attività filosofica “innovatrice” a favore dell'antichità, patrocinando così la sua incoronazione filosofica. Difatti, nella Familiares, confide a SEPOLCRO la sua speranza di ricevere l'aiuto del sovrano angioino per realizzare questo suo sogno, intessendone le lodi. La Sorbona fa sapere al Nostro l'offerta di una incoronazione filosofica a Parigi. Proposta che, nel pomeriggio dello stesso giorno, giunge analoga dal senato di Roma. Su consiglio di Colonna, P., che desidera essere incoronato nell'antica capitale dell'impero romano, accetta la seconda offerta, accogliendo poi l'invito di re Roberto di essere esaminato da lui stesso a Napoli prima di arrivare a Roma per ottenere la sospirata incoronazione.  Le fasi di preparazione per il fatidico incontro con il sovrano angioino durarono, P., accompagnato dal signore di Parma Azzo da Correggio, si mise in viaggio per Napoli col fine di ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino. Giunto nella città partenopea è esaminato per III giorni da re Roberto che, dopo averne constatato la cultura e la preparazione filosofica, acconsentì all'incoronazione a filosofo in Campidoglio per mano del senatore Anguillara. Se conosciamo da un  lato sia il contenuto del discorso di P. – la collatio laureationis --sia la certificazione dell'attestato di LAUREA da parte del senato romano – il privilegium lauree domini Francisci Petrarche, che gli conferiva anche l'autorità per insegnare filosofia e la cittadinanza romana -- la data dell'incoronazione è incerta. Tra quanto affermato da P. e quanto poi testimoniato da BOCCACCIO (si veda), la cerimonia d'incoronazione avvenne in un arco temporale. In seguito all'incoronazione incomincia a comporre l'Africa e il De viris illustribus. Gli anni successivi all'incoronazione filosofica sono contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la corruzione Avignonese. Subito dopo l'incoronazione filosofica, mentre P. sosta a Parma, sa della scomparsa dell'amico Colonna, notizia che lo turba profondamente. Gl’anni successivi non recarono conforto al filosofo laureato. Da un lato le morti prima di SEPOLCRO e, poi, di re Roberto ne accentuarono lo stato di sconforto. Dall'altro, la scelta da parte del fratello di abbandonare la vita mondana per diventare monaco nella Certosa di Montreaux, spinsero P. a riflettere sulla caducità del mondo. Mentre soggiorna ad Avignone, conosce Cola di Rienzo -- giunto in Provenza quale ambasciatore del regime repubblicano instauratosi a Roma -- col quale condivide la necessità di ridare a Roma l'antico status di grandezza politica che, come capitale dell'antica Roma le spetta di diritto. È nominato canonico del Capitolo della cattedrale di Parma, mentre è nominato arcidiacono. La caduta politica di RIENZO, favorita specialmente dalla famiglia Colonna, è la spinta decisiva da parte di P. per abbandonare i suoi protettori. Lascia ufficialmente, l'entourage di Colonna.  A fianco di queste esperienze private, il cammino del filosofo Petrarca è invece caratterizzato da una scoperta importantissima. Dopo essersi rifugiato a Verona in seguito all'assedio di Parma e la caduta in disgrazia dell'amico Correggio, P. scopre nella biblioteca capitolare le epistole ciceroniane “ad Brutum”, “ad Atticum” e “ad Quintum fratrem.” L'importanza della scoperta consistette nel modello epistolografico che esse trasmettevano: i colloquia a distanza con gl’amici, l'uso del tu al posto del voi proprio dell'epistolografia medievale ed, infine, lo stile fluido e ipotattico indussero l'aretino a comporre anch'egli delle raccolte di lettere sul modello ciceroniano e senecano, determinando la nascita delle Familiares prima, e delle Seniles poi. A questo periodo di tempo risalgono anche i Rerum memorandarum libri, l'avvio del De otio religioso e del De vita solitaria. Sempre a Verona, P. ha modo di conoscere Alighieri, figlio d’ALIGHIERI, con cui intrattenne rapporti cordiali. La vita, come suol dirsi, ci sfugge dalle mani. Le nostre speranze furon sepolte cogli amici nostri. Ci rese miseri e soli. Delle cose familiari, prefazione, A Socrate. Dopo essersi slegato dai Colonna, P. comincia a cercare altro patrone presso cui ottenere protezione. Pertanto, lascia Avignone, col figlio, giunge a Verona, località dove si è rifugiato l'amico Correggio dopo essere stato scacciato dai suoi domini, per poi giungere a Parma, dove stringe legami con il signore della città,  Luchino Visconti (si veda: “Morte a Venezia”). È, però, in questo periodo che inizia a diffondersi per l'Europa la terribile peste nera, morbo che causa la morte di molti amici del P.: i fiorentini BENE (si veda), Casini, e Albizzi; Colonna e il padre, anche Colonna; e quella dell'amato ALLORO, di cui ha la notizia. Nonostante il dilagare del contagio e la prostrazione psicologica in cui cadde a causa della morte di molti suoi amici, P. continua le sue peregrinazioni, alla ricerca di un protettore. Lo trova in Carrara, suo estimatore che lo nomina canonico del duomo di Padova. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il filosofo il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro, ma P. utilizza questa abitazione solo occasionalmente. Difatti, costantemente in preda al desiderio di viaggiare, è a Mantova, a Ferrara e a Venezia, dove conosce Dandolo. Prende la decisione di recarsi a Roma per lucrare l'indulgenza dell'Anno giubilare. Durante il viaggio accondiscese alle richieste dei suoi ammiratori fiorentini e decide di incontrarsi con loro. L’occasione è di fondamentale importanza non tanto per P., quanto per colui che diventerà il suo interlocutoreL Boccaccio. Il filosofo e novelliere, sotto la sua guida, incomincia una lenta e progressiva conversione verso una mentalità ed un approccio più umanistico alla filosofia, collaborando spesso con il suo venerato praeceptor in progetti culturali di ampio respiro. Tra questi ricordiamo la la scoperta di antichi codici classici romani. P. risiedette prevalentemente a Padova, presso Carrara. Qui, oltre a portare avanti i progetti letterari delle Familiares e le opere spirituali riceve anche la visita di BOCCACCIO in veste di ambasciatore del comune fiorentino perché accetta un posto di docente presso il nuovo studio fiorentino – meno prestigioso dall’antichissimo di Bologna -- Poco dopo, e spinto a rientrare ad Avignone in seguito all'incontro con Talleyrand e Boulogne, latori della volontà di papa Clemente VI che intende affidargli l'incarico di segretario apostolico. Nonostante l'allettante offerta del pontefice, l'antico disprezzo verso Avignone e gli scontri con gli ambienti della corte pontificia -- i medici del pontefice e, dopo la morte di Clemente, l'antipatia d’Innocenzo VI -- gl’indussero a lasciare Avignone per Valchiusa, dove prende la decisione definitiva di stabilirsi IN ITALIA. Targa commemorativa del soggiorno meneghino di P. situata agli inizi di Via Lanzone a Milano, davanti alla basilica di S. Ambrogio. P. inizia il viaggio verso la patria,  accogliendo l'ospitale offerta di Visconti, arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano. Malgrado le critiche degl’amici fiorentini -- tra le quali si ricorda quella risentita del Boccaccio -- che gli rimproveravano la scelta di essersi messo al servizio dell'ACERRIMO NEMICO DI FIRENZE. P. collabora con missioni e ambascerie -- a Parigi e a Venezia; l'incontro con l'imperatore Carlo IV a Mantova e a Praga -- all'intraprendente politica viscontea.  Sulla scelta di risiedere a Milano piuttosto che nella natia Firenze, bisogna ricordare l'animo cosmopolita proprio di P.. Cresciuto ramingo e lontano dalla sua patria, P. non risente più dell'attaccamento medievale verso la propria patria d'origine, ma valuta gl’inviti fattigli in base alle convenienze economiche e politiche. Meglio, infatti, avere la protezione un signore potente e ricco come Visconti e Galeazzo II, che si rallegrerebbero di avere a corte un filosofo celebre come P.. Nonostante tale scelta discutibile agl’occhi degl’amici fiorentini, i rapporti tra il praeceptor e i suoi discipuli si ricucino. A ripresa del rapporto epistolare tra P. e Boccaccio prima, e la visita di quest'ultimo a Milano nella casa di P. situata nei pressi di S. Ambrogio sono le prove della concordia ristabilita.  Nonostante le incombenze diplomatiche, nel capoluogo lombardo elabora la sua filosofia, dalla ricerca erudita e filologica alla produzione di una filosofia fondata da un lato sull'insoddisfazione per la cultura contemporanea, dall'altra sulla necessità di una produzione che puo guidare l'umanità verso i principi etico-morali filtrati attraverso l’accademia e il portico. Con questa convinzione, P. porta avanti gli scritti iniziati nel periodo della peste: il Secretum e il De otio religioso; la composizione di opere volte a fissare presso i posteri l'immagine di un uomo virtuoso i cui principi sono praticati anche nella vita quotidiana -- le raccolte delle Familiares e, l'avviamento delle Seniles -- le raccolte poetiche latine -- Epistolae Metricae -- e quelle volgari -- i Triumphi e i Rerum Vulgarium Fragmenta, alias il Canzoniere. Durante il soggiorno meneghino P. inizia soltanto il dialogo “De remediis utriusque fortune” in cui si affrontano problematiche morali concernenti il denaro, la politica, le relazioni sociali e tutto ciò che è legato al quotidiano. Per sfuggire alla peste, P. abbandona Milano  per Padova, città da cui  fugge per lo stesso motivo. Nonostante la fuga da Milano, i rapporti con Visconti rimanono sempre molto buoni, tanto che trascorse tempo nel castello visconteo di Pavia in occasione di trattative diplomatiche. A Pavia seppelle il piccolo nipote di due anni, figlio della figlia, nella chiesa di S. Zeno e per lui compose un'epigrafe ancor oggi conservata nei Musei Civici. Si reca a Venezia, città dove si trovava il caro amico Albanzani e dove la Repubblica gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri sulla Riva degli Schiavoni in cambio della promessa di donazione della sua biblioteca, che era allora certamente la più grande biblioteca privata d'Italia. Si tratta della prima testimonianza di un progetto di bibliotheca publica. La casa veneziana è molto amata da P., che ne parla indirettamente nella Seniles, quando descrive, al destinatario Bologna, le sue abitudini quotidiane. Vi risiede stabilmente -- tranne alcuni periodi a Pavia e Padova -- e vi ospita Boccaccio e Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia degli amici più intimi, della figlia sposatasi con Brossano, decide di affidare a Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere. La tranquillità di quegli anni è turbata dall'attacco maldestro e violento mosso alla cultura, all'opera e alla figura sua da IV filosofi averroisti che lo accusarono di ignoranza.  L'episodio è l'occasione per la stesura del saggio “De sui ipsius et multorum ignorantia”, in cui P. difende la propria "ignoranza" in campo del LIZIO a favore della filosofia dell’ACCADEMIA, più incentrata sui problemi della natura umana rispetto alla prima, intesa a indagare la natura sulla base dei dogmi del filosofo di Stagira. Amareggiato per l'indifferenza dei veneziani davanti all’accuse rivoltegli, P. decide di abbandonare la città lagunare e annullare così la donazione della sua biblioteca alla Serenissima.  La casa di Petrarca ad Arquà Petrarca, località sita sui colli Euganei nei pressi di Padova, dove vive il filosofo.  Della dimora P. parla nella Seniles. Dopo alcuni brevi viaggi, accolge l'invito dell'amico ed estimatore Carrara di stabilirsi a Padova, in Via Dietro Duomo a Padova, la casa canonicale di P., assegnata a lui in seguito al conferimento del canonicato. Il signore di Padova dona poi una casa situata nella località di Arquà, un tranquillo paese sui colli Euganei, dove poter vivere. Lo stato della casa, però, a abbastanza dissestato e ci vollero alcuni mesi prima che potesse avvenire il definitivo trasferimento nella nuova dimora. La vita di P., che è raggiunto dalla famiglia della figlia, si alterna prevalentemente tra il soggiorno nella sua amata casa di Arquà e quella vicina al duomo di Padova,  allietato spesso dalle visite dei suoi amici ed estimatori, oltre a quelli conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda Seta, che daveva sostituito Malpaghini quale copista e segretario del filosofo laureato. Si mosse dal padovano soltanto una volta quando e a Venezia quale paciere per il trattato di pace tra i veneziani e Carrara. Per il resto del tempo si dedica alla revisione delle sue opere e, in special modo, del Canzoniere. Colpito da una sincope, muore ad Arquà mentre esaminava un testo di VIRGILIO (o CICERONE), come auspicato in una lettera al Boccaccio. Peraga è scelto per tenere l'orazione nel funerale, che si svolge nella chiesa di S. Maria Assunta alla presenza di Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche. Per volontà testamentaria le spoglie di P. sono sepolte nella chiesa parrocchiale del paese, per poi essere collocate dal genero in un'arca marmorea accanto alla chiesa. Le vicende dei resti del P., come quelli di ALIGHIERI, non sono tranquille. La sua tomba espezzata all'angolo di mezzodì e vennero rapite alcune OSSA DEL BRACCIO DESTRO. Autore del furto e Martinelli, un frate da Portogruaro, il quale, a quanto dice una pergamena dell'archivio comunale di Arquà, venne spedito in quel luogo dai fiorentini, con ordine di riportare seco qualche parte del suo scheletro. La veneta repubblica fa riattare l'urna, suggellando con arpioni le fenditure del marmo, e ponendovi lo stemma di Padova e l'epoca del misfatto. I resti trafugati NON SONO MAI RECUPERATI. La tomba, che versa in stato pessimo, venne sottoposta a restauro dato lo stato pessimo in cui il sepolcro versa. Il restauro però, a seguito di complicazioni burocratiche e di conflitti di competenza e questioni anche politiche, e addirittura processato con l'accusa di violata sepoltura. Avennero resi noti i risultati dell'analisi dei resti conservati nella sua tomba ad Arquà P.. Il TESCHIO, peraltro ridotto in frammenti, una volta ricostruito, è riconosciuto come femminile e quindi non pertinente a P.. Un frammento di pochi grammi del cranio esaminato con il metodo del radiocarbonio, consente di accertare che il cranio ritrovato nel sepolcro è femminile. A chi sia appartenuto e perché si trovasse nella sua tomba è ancora un mistero, come un mistero è dove sia finito il suo proprio cranio. Il resto dello scheletro è  invece riconosciuto come autentico. Riporta alcune costole fratturate. Ferito da una cavalla con un calcio al costato. Nello studio, affresco murale, Reggia Carrarese, Sala dei Giganti, Padova. P. manifesta sempre un'insofferenza innata nei confronti della cultura a lui coeva. La sua passione per i classici latini liberate dalle interpretazioni allegoriche lo pone pongono come l'iniziatore dell'umanesimo italiano. In “De remediis utriusque fortune”, ciò che interessa maggiormente a P. è l'”humanitas”, cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più umani della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature. Di conseguenza, pone al centro della sua riflessione filosofica l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto teo-centrismo all'antropo-centrismo moderno.  Fondamentale nella sua filosofia è la riscoperta dei classici, sopra totto di CICERONE – E LIVIO (“Ab urbe condita”) e PLINIO (“Historia naturalis”). Già conosciuti, sono ati oggetto però di una rivisitazione che non tene quindi conto del contesto storico-culturale in cui le opere erano state scritte. Per esempio, la figura di VIRGILIO è vista come quella di un mago/profeta, capace di adombrare, nell'Ecloga IV delle Bucoliche, la nascita di Cristo, anziché quella d’Asinio Gallo, figlio del politico romano Asinio Pollione: un'ottica che ALIGHIERI accolse pienamente nel Virgilio della Commedia. P., rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento dei classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio costante, come fa nel libro delle Familiares. Scrivere a CICERONE o a Seneca, celebrandone l'opera o magari deplorandone con benevolenza mancanze e contraddizioni, è per lui un modo filosoficamente tangibile -- e per noi assai significativo simbolicamente -- di mostrare quanto a loro dovesse, quanto li sentisse, appunto, idealmente suoi contemporanei. Oltre alle epistole, all'Africa e al De viris illustribus, opera tale riscoperta attraverso il metodo filologico da lui ideato  e la ricostruzione dell'opera liviana – LIVIO (si veda) -- e la composizione del Virgilio ambrosiano. Altro aspetto da cui traspare questo innovativo approccio alle fonti e alle testimonianze storico-letterarie si avverte, anche, nell'ambito della numismatica, della quale P. è ritenuto il precursore. Per quanto riguarda la prima opera, P. decise di riunire le varie decadi (cioè i libri di cui l'opera è composta) allora conosciute in un unico codice, l'attuale codice oggi detto l’Harleiano.  P. si dedica a quest'opera di collazione, grazie ad un lavoro di ricerca e di enorme pazienza. Prende la III decade, correggendola e integrandola ora con un manoscritto veronese vergato da Raterio, ora con una lezione conservata nella Biblioteca Capitolare della Cattedrale di Chartres, il Parigino Latino acquistato da Colonna, contenente anche la IV decade. Quest'ultima è poi corretta su di un codice appartenuto al preumanista padovano Lovati. Infine, dopo aver raccolto anche la I decade, P. puo procedere a riunire gli sparsi lavori di recupero. L'impresa riguardante la costruzione del Virgilio ambrosiano è invece molto più complessa. Iniziato già quand'era in vita il padre, il lavoro di collazione porta alla nascita di un codice composto di fogli manoscritti che contene l'omnia virgiliana (Bucoliche, Georgiche ed Eneide commentati dal grammatico Servio), al quale sono aggiunte quattro Odi di Orazio e l'Achilleide di Stazio. Le vicende di tale manoscritto sono assai travagliate. Sottrattogli dagli esecutori testamentari del padre, il Virgilio ambrosiano si recupera solo quando P. commissiona a Martini una serie di miniature che lo abbellirono esteticamente. Il manoscritto finisce nella biblioteca dei Carraresi a Padova, tuttavia, Visconti conquista Padova ed il codice è inviato, insieme ad altri manoscritti di P., a Pavia, nella Biblioteca Visconteo-Sforzesca situata nel castello di Pavia. Sforza ordina al castellano di Pavia di prestare il manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi il Virgilio Ambrosiano torna a Pavia. Luigi XII conquista il Ducato di Milano e la biblioteca Visconteo-Sforzesca si trasfere in Francia, dove si conserva nella Bibliothèque nationale de France, circa CCCC manoscritti provenienti da Pavia. Tuttavia il Virgilio Ambrosiano  è sottratto al SACCHEGGIO FRANCESE da Pirro. Sappiamo che si trova a Roma, di proprietà di Cusani, poi acquistato da Borromeo per l'Ambrosiana. Il messaggio petrarchesco, nonostante la sua presa di posizione a favore della natura umana, non si dislega dalla dimensione religiosa. Difatti, il legame con l'agostinismo e la tensione verso una sempre più ricercata perfezione morale sono chiavi costanti all'interno della sua produzione letteraria e filosofica. Rispetto, però, alla tradizione medievale, la religiosità petrarchesca è caratterizzata da tre nuove accezioni prima mai manifestate: la prima, il rapporto intimo tra l'anima e Dio, un rapporto basato sull'autocoscienza personale alla luce della verità divina. La seconda, la rivalutazione della tradizione morale e filosofica classica, vista in un rapporto di continuità con il cristianesimo e non più in chiave di contrasto o di mera subordinazione; infine, il rapporto "esclusivo" tra P. e il divino, che rifiuta la concezione collettiva propria della Commedia dantesca. Comunanza tra valori classici e cristiani La lezione morale degli antichi è universale e valida per ogni epoca. L’umanita di CICERONE non è diversa da quella di Agostino, in quanto esprimono gli stessi valori, quali l'onestà, il rispetto, la fedeltà nell'amicizia e il culto della conoscenza. Sul legame degl’antichi è significativo il celebre passo della morte di Magone, fratello di Annibale che, nell'Africa  ormai morente, pronuncia un discorso sulla vanità delle cose umane e sul valore liberatorio della morte dalle fatiche terrene che in nessun modo si discosta dal pensiero cristiano, anche se tale discorso fu criticato da molti ambienti che ritenevano una scelta infelice porre in bocca ad un pagano un pensiero così Cristiano. Ecco un passo del lamento di Magone:   Edizione dell'Africa stampata a Venezia, nella stamperia di Manuzio. Nel particolare, l'Incipit del poema. Heu qualis fortunae terminus alte est! Quam laetis mens caeca bonis! furor ecce potentum  praecipiti gaudere loco; status iste procellis subjacet innumeris, et finis ad alta levatis est ruere. Heu tremulum magnorum culmen honorum, Spesque hominum fallax, et inanis gloria fictis illita blanditiis! Heu vita incerta labori dedita perpetuo, semperque heu certa, nec unquam Stat morti praevisa dies! Heu sortis iniquae natus homo in terris! Vista del Mont Ventoux dalla località di Mirabel-aux-Baronnies. Infine, per il suo carattere fortemente personale, l'umanesimo cristiano petrarchesco trova nel pensiero di sant'Agostino il proprio modello etico-spirituale, contrario al sistema filosofico tolemaico-aristotelico allora imperante nella cultura teologica, visto come alieno dalla cura dell'anima umana. A tal proposito, REALE (si veda) delinea lucidamente la posizione di P. verso la cultura contemporanea. La diffusione dell'averroismo, col crescente interesse che suscitava per l'indagine naturalistica, sembra a P. che distragga pericolosamente da quelle arti liberali, che sole possono dare la sapienza necessaria per conseguire la pace spirituale in questa vita e la beatitudine eterna nell'altra. La sapienza classica e cristiana, che P. contrappone alla scienza averroistica, è quella fondata sulla meditazione interiore attraverso alla quale si chiarisce a sé stessa e si forma la personalità del singolo uomo. L'importanza che Agostino ebbe per l'uomo P. è evidente in due celebri testi letterari del Nostro: il Secretum da un lato, in cui il vescovo d'Ippona interloquisce con lui spingendolo ad un'acuta quanto forte analisi interiore dei propri peccati; dall'altro, il celebre episodio dell'ascesa al Monte Ventoso, narrato nella Familiares, IV, 1, inviata seppur in modo fittizio a DSepolcro. La forte vena morale che percorre tutte le opere petrarchesche volgare tende a trasmettere un messaggio di perfezione morale: il Secretum, il De remediis, le raccolte epistolari e lo stesso Canzoniere sono impregnati di questa tensione etica volta a risanare le deviazioni dell'anima attraverso la via della virtù. Tale applicazione etica negli scritti (l'oratio), però, deve corrispondere alla vita quotidiana  se l'umanista vuole trasmettere un'etica credibile ai destinatari. Prova di questo binomio essenziale è, per esempio, “Delle cosa familiar”, indirizzata a CICERONE. Esprime, in un tono di amarezza e di rabbia al contempo, la sua scelta di essersi allontanato dall'otium letterario di TUSCOLO per addentrarsi nuovamente nell'agone politico dopo la morte di GIULIO CESARE e schierarsi a fianco d’OTTAVIANO contro MARC’ANTONIO, tradendo così i principi etici esposti nei suoi trattati filosofici. Ma qual furore a danno di MARC’ANTONIO ti mosse? Risponderai per avventura l'amore alla repubblica, che dicevi caduta in fondo. Ma se codesta fede, se amore di libertà ti sprone come di sì grand'uomo stimare si converrebbe, ond'è che tanto fosti amico di OTTAVIANO? Io ti compiango, amico, e di sì grandi tuoi falli sento vergogna. Oh, quanto era meglio ad un filosofo tuo pari nel silenzio dei campi, pensoso, come tu dici, non della breve e caduca presente vita, ma della eterna, passar tranquilla vecchiezza. La declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea la sua vocazione civile. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno nella vita politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione prettamente sociale, quale suo impegno nell'aiutare gl'uomini contemporanei a migliorarsi costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei confronti del prossimo. Oltre ai trattati morali si deve però anche registrare che cosa significa per lui nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio presso i potenti di turno – Colonna, Correggio, Visconti, e Carrara -- spinse i suoi amici ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti avrebbero potuto costituire per la sua indipendenza intellettuale. Però, nella “Epistola ai posteri” ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte. I più grandi monarchi dell'età mia m'ebbero in grazia, e fecero a gara per trarmi a loro, né so perché. Questo so che alcuni di loro parevan piuttosto essere favoriti della mia, che non favorirmi della loro dimestichezza: sì che dall'alto loro grado io molti vantaggi, ma nessun fastidio giammai ebbi ritratto. Tanto peraltro in me fu forte l'amore della mia libertà, che da chiunque di loro avesse nome di avversarla mi tenni studiosamente lontano. Nonostante l'intento autocelebrativo proprio dell'epistola, P. rimarca il fatto che i potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese di posizioni». Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni economiche e di protezione, getta pertanto le basi per la figura del cortigiano. Se ALIGHIERI, costretto a vagare per le corti dell'Italia soffre sempre per la lontananza da Firenze, fonda, con la sua scelta di vita, il modello del cosmopolita, segnando così il tramonto dell'ideologia comunale fondamento della sensibilità d’Alighieri prima, e che in parte è propria di BOCCACCIO. La sua caratteristica è l'otium, vale a dire il riposo. Parola latina indicante, in generale, il riposo dei patrizi romani dalle attività proprie del negotium, la riprende rivestendola però di un significato diverso: non più riposo assoluto, ma attività intellettuale nella tranquillità di un rifugio appartato, solitario ove potersi concentrare e portare, poi, agli uomini il messaggio morale nato da questo ritiro. Questo ritiro, come è esposto nei trattati ascetici del De vita solitaria e del De otio religioso, è vicino, per sensibilità del P., ai ritiri ascetico-spirituali dei Padri della Chiesa, dimostrando quindi come l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente intrisa di carica religiosa. Petrarca, con l'eccezione di due sole opere poetiche, i Triumphi e il Canzoniere, scrisse esclusivamente in latino, la lingua di quegli antichi romani di cui voleva riproporre la virtus nel mondo a lui contemporaneo. Egli credeva di raggiungere il successo con le opere in latino, ma di fatto la sua fama è legata alle opere in volgare. Al contrario d’ALIGHIERI, che aveva voluto affidare la sua memoria ai posteri con la Commedia, P. decise di eternare il suo nome riallacciandosi ai grandi dell'antichità. P. -- a parte una letterina in volgare -- scrive sempre in latino quando deve comunicare, anche privatamente, anche per le annotazioni AI MARGINI dei libri. Questa scelta del latino come lingua esclusiva della prosa e della normale comunicazione scritta, inserendosi nel più ampio progetto culturale che ispira P., si carica di valori ideali (Guglielmino-Grosser). P. preferì usare il volgare nei momenti di pausa dall'elaborazione delle grandi opere latine. Difatti, come più volte definì le liriche che confluiranno nel Canzoniere, esse valgono quali nugae, cioè quale elegante divertimento dello scrittore, a cui dedicò senza dubbio molte cure, ma a cui non avrebbe mai pensato di affidare quasi per intero la propria immortalità letteraria. Il suo volgare, al contrario di quello d’Aligheri, è caratterizzato però da un'accurata selezione di termini, cui il poeta continuò a lavorare, limando le sue poesie -- da qui la limatio petrarchesca -- per la definizione di una poesia aristocratica, lemento che spingerà il critico Contini a parlare di monolinguismo petrarchesco, in contrapposizione al pluristilismo dantesco. ALIGHIERI e P.. Dalle considerazioni fatte, emerge chiaramente la profonda differenza esistente tra P. ed ALIGHIERI: se il primo è un uomo che supera il teocentrismo medievale incentrato sulla Scolastica in nome del recupero agostiniano e dei classici depurati dall'interpretazione allegorica cristiana indebitamente appostavi dai commentatori medievali, ALIGHIERI mostra invece di essere un uomo totalmente medievale. Oltre alle considerazioni filosofiche, i due uomini sono antitetici anche per la scelta linguistica cui legare la propria fama, per la concezione dell'amore, per l'attaccamento alla patria. Illuminante sul sentimento che P. nutrì per l'Alighieri è la Familiares, scritta in risposta all'amico Boccaccio, incredulo delle dicerie secondo cui lui odia Alighieri. Afferma che non può odiare qualcuno che conosce appena e che affronta con onore e sopportazione l'esilio. Prende le distanze dall'ideologia, esprimendo il timore di essere influenzato da un così grande esempio se avesse deciso di scrivere liriche in volgare, liriche che sono facilmente sottoposte allo storpiamento da parte del volgo. L“Africa” è un poema epico che tratta della seconda guerra punica e in particolare delle gesta di SCIPIONE. Costituito da dodici egloghe, gli argomenti del “Bucolicum carmen” spaziano fra amore, politica e morale. Anche in questo caso, l'ascendenza virgiliana è evidente dal titolo, che richiama fortemente lo stile e gli argomenti delle Bucoliche. Attualmente, la lezione del Bucolicum petrarchesco è riportata dal codice Vaticano lat. Dedicate all'amico Sulmona, le Epistolae metricae sono lettere in esametri, di cui alcune trattano d'amore, mentre per la maggior parte si occupano di politica, morale o di materie letterarie. I Psalmi penitentiales ne accenna nella Seniles, a Sagremor de Pommiers. Sono una raccolta di sette preghiere basate sul modello stilistico-linguistico dei salmi davidici della Bibbia, in cui chiede perdono per i suoi peccati e aspira al perdono della Misericordia divina. Il “De viris illustribus” è una raccolta di biografie di uomini illustri dedicata a Carrara signore di Padova. Nell'intenzione originale dell'autore l'opera doveva trattare la vita di personaggi della storia di Roma da ROMOLO a Tito, ma arriva solo fino a Nerone. In seguito P. aggiunse personaggi di tutti i tempi, cominciando da Adamo e arrivando a Ercole. L'opera rimase incompiuta ed è continuata dall'amico e discepolo padovano di Petrarca, Seta, fino a Traiano. I Rerum memorandarum libri sono una raccolta di esempi storici e aneddoti a scopo d'educazione morale in prosa latina, basati sui Factorum et dictorum memorabilium libri del filosofo latino VALERIO MASSIMO (si veda). Iniziati in Provenza, furono continuati allorché P. scoprì le orazioni ciceroniane a Verona, e ne fu indotto al progetto delle Familiares. Difatti, furono lasciati incompiuti dall'autore, che ne scrisse soltanto i primi 4 libri e alcuni frammenti del quinto libro. Il “De secreto conflictu curarum mearum” è una delle sue opere più celebri  e fu composta, anche se in seguito fu riveduta. Articolato come un dialogo tra lui stesso e un santo alla presenza di una donna muta che simboleggia la Verità, consiste in una sorta di esame di coscienza personale nel quale si affrontano temi intimi del poeta, da cui il titolo dell'opera. Come emerge però nel corso della trattazione, Francesco non si mostra mai del tutto contrito dei suoi peccati (l'accidia e l'amore carnale per Laura): al termine dell'esame egli non risulterà guarito o pentito, dando così forma a quell'irrequietezza d'animo che contraddistinse la sua vita. "La vita solitaria” è un trattato di carattere religioso e morale.  L'autore vi esalta la solitudine, tema caro anche all'ascetismo medioevale, ma il punto di vista con cui la osserva non è strettamente religioso: al rigore della vita monastica Petrarca contrappone l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri intellettuali. L'isolamento dello studioso in una cornice naturale che favorisce la concentrazione è l'unica forma di solitudine e di distacco dal mondo che Petrarca riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri, soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con quelli. Da questa sua posizione è derivata l'espressione di "umanesimo cristiano" di Petrarca. Il “De otio religioso” è un'esaltazione della vita monastica, dedicata al fratello Gherardo. Simile al “De vita solitaria”, esalta però soprattutto la solitudine legata alle regole degli ordini religiosi, definita come la migliore condizione di vita possibile. Il “De remediis utriusque fortunae” è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina. Basata sul modello del De remediis fortuitorum, trattato pseudo-senechiano composto nel Medioevo, l'opera è composta da scambi di battute tra entità allegoriche: prima il "Gaudio" e la "Ragione", poi il "Dolore" e la "Ragione". Simile ai precedenti Rerum memorandarum libri, questi dialoghi hanno scopi educativi e moralistici, proponendosi di rafforzare l'individuo contro i colpi della fortuna sia buona che avversa. Il De remediis riporta anche una delle più esplicite condanne della cultura trecentensca da parte del Petrarca, vista come sciocca e superflua. Ut ad plenum auctorum constet integritas, quis scriptorum inscitie inertieque medebitur corrumpenti omnia miscentique? Cuius metu multa iam, ut auguror, a magnis operibus clara ingenia refrixerunt meritoque id patitur ignavissima etas hec, culine sollicita, literarum negligens et coquos examinans, non scriptores. Perché persista pienamente l'integrità degli scrittori antichi, chi tra i copisti guarirà ogni cosa dall'ignoranza, dall'inerzia, dalla rovina e dal caos? Per il timore di ciò si indebolirono, come prevedo, molti celebri ingegni dalle grandi opere, e quest'epoca indolentissima permette ciò, dedita alla culinaria, ignorante delle lettere e che valuta i cuochi, e non i copisti.  L’occasione per la sua “Invectivarum contra medicum quendam libri IV,” una serie di accuse nei confronti dei medici e la malattia che colpe Clemente VI. Nella Familiares gli consiglia di non fidarsi dei suoi archiatri, accusati di essere dei ciarlatani dalle idee contrastanti fra di loro. Davanti alle forti rimostranze dei medici pontifici nei confronti di Petrarca, questi scrisse quattro libri di accuse, una copia dei quali fu inviata poi al Boccaccio. Il “De sui ipsius et multorum ignorantia” e composta in seguito alle accuse di ignoranza che quattro lizij gli rivolgeno, in quanto alieno dalla terminologia e dalle questioni delle scienze naturali. In quest'apologia dell’umanismo risponde come lui e interessato alle scienze che interessassero il benessere dell'anima umana, e non alle discussioni tecniche e dogmatiche proprie del nominalismo. Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia -- di carattere politico, e una nvettiva rivolta ad Hesdin, sostenitore della necessità che la sede del viscovo di Roma e Avignone. Per tutta risposta sostenne la necessità che il viscovo di Roma appartiene a Roma, sua sede diocesana e simbolo dell'antica gloria romana. Di grande importanza sono le epistole latine in prosa, in quanto contribuiscono a costruire l'immagine autobiografica idealizzata che offre di sé e quindi la sua eternizzazione. Basate sul modello di Cicerone, ricavato dalla scoperta delle “Epistulae ad Atticum” compiuta da lui a Verona, le lettere sono aggruppate in quattro raccolte epistolari: le Familiares (o Familiarum rerum libri o De rebus familiaribus libri), epistole dedicate a Socrate; le Seniles, epistole dedicate a Nelli; le “Sine nominee” -- epistole politiche in un libro; e le epistole “Variae”. È rimasta intenzionalmente esclusa dalle raccolte l'epistola “Ai posteri”. Le lettere spaziano dagli anni bolognesi sino alla fine della sua vita e sono indirizzate a vari personaggi suoi contemporanei, ma, nel caso d’un libro delle Familiares, sono rivolte fittiziamente a personaggi dell'antichità. Sempre delle Familiares è celebre l'epistola incentrata sull'ascesa al Monte Ventoso. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono / di quei sospiri ond’io nudriva ’l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono. Petrarca, Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, prima quartina della lirica d'apertura del Canzoniere). Il “Canzoniere” è la storia poetica della sua vita interiore vicina, per introspezione e tematiche, al Secretum. La raccolta comprende 366 componimenti (365 più uno introduttivo. Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono: sonetti, canzoni, sestine, ballate e madrigali, divisi tra rime in vita e rime in morte di Laura, celebrata quale donna superiore, senza però raggiungere il livello della donna angelo della Beatrice d’Alighieri. Difatti, Laura invecchia, subisce il corso del tempo, e non è portatrice di alcun attributo divino nel senso teologico stilnovista-dantesco. Anzi, la storia del “Canzoniere,” più che la celebrazione di un amore, è il percorso di una progressiva conversione della sua anima. Si passa, infatti, dal giovanil errore (l'amore terreno) ricordato nel sonetto introduttivo Voi ch'ascoltate in rime sparse, alla canzone Vergine bella, che di sol vestita in cui affida la sua anima alla protezione di dio perché trovi finalmente pietà e riposo. L'opera, che gli richiese anni di continue rivisitazioni stilistiche -- da qui la cosiddetta limatio petrarchesca -- prima di trovare la forma definitiva sube ben varie fasi di redazioni. I "Trionfi" e un poemetto allegorico in volgare toscano, in terzine dantesche, compost a Milano -- è ambientato in una dimensione onirica e irreale (strettissimo, per scelta metrica e tematica, è il legame con la Comedia). Viene visitato d’Amore, che gli mostra tutti gl’uomini che cedeno alle passioni del cuore. Annoverato tra questi ultimi, Petrarca verrà poi liberato da Laura, simboleggiante la Pudicizia (Triumphus Pudicitie), che cadrà poi per mano della Morte (Triumphus Mortis). P. scoprirà dalla stessa Laura, apparsagli in sogno, che ella si trova nella beatitudine celeste, e che egli stesso potrà contemplarla nella gloria divina soltanto dopo che la morte lo avrà liberato dal corpo caduco in cui si ritrova.  La Fama poi sconfigge la morte (Triumphus Fame) e celebra il proprio trionfo, accompagnata da Laura e da tutti i più celebri personaggi della storia antica e recente. Il moto rapido del sole suggerisce al poeta alcune riflessioni sulla vanità della fama terrena, cui fa seguito una vera e propria visione, nella quale al poeta appare il Tempo trionfante (Triumphus Temporis). Infine il poeta, sbigottito per la precedente visione, è confortato dal suo stesso cuore, che gli dice di confidare in Dio: gli appare allora l'ultima visione, un «mondo novo, in etate immobile ed eterna», un mondo al di fuori del tempo dove trionferanno i beati e dove un giorno Laura gli riapparirà, questa volta per sempre (Triumphus Eternitatis).  Già quand'era in vita fu riconosciuto immediatamente quale maestro e guida per tutti coloro che volevano intraprendere lo studio delle discipline umanistiche. Grazie ai suoi numerosi viaggi in tutta Italia, gettò il seme del suo messaggio presso i principali centri della Penisola, in particolar modo a Firenze. Qui, oltre ad aver conquistato alla causa dell'umanesimo Boccaccio (autore, tra l'altro, di un De vita et moribus domini Francisci Petracchi de Florentia), trasmise la sua passione a C. Salutati,  cancelliere della Repubblica di Firenze e vero trait d'union tra la generazione petrarchesco-boccacciana e quella attiva nella prima metà del XV secolo. Coluccio, infatti, fu il maestro di due dei principali umanisti: Bracciolini, il più grande scopritore di codici latini del secolo ed esportatore dell'umanesimo a Roma; e Bruni, il più notevole rappresentante dell'umanesimo civile insieme al maestro Salutati. Fu il Bruni a consolidare la fama di Petrarca, allorché redasse una Vita di P., seguita da quelle di Villani, Manetti, Sicco Polenton e Vergerio. Oltre a Firenze, i soggiorni del poeta in Lombardia e a Venezia favorirono la nascita di movimenti culturali locali desti declinare i princìpi umanistici a seconda delle esigenze della classe politica locale: a Milano, dove operarono letterati del calibro di Decembrio e Filelfo, nacque un umanesimo cortigiano destinato a diventare il prototipo per tutte le corti principesche italiane; a Venezia si diffuse, invece, un umanesimo educativo destinato a formare la nuova classe dirigente della Serenissima, grazie all'attività di Giustinian, di Barbaro, e di Barbaro. Bembo e il petrarchismo Magnifying glass icon mgx2.svgPietro Bembo e Petrarchismo. Se nel '400 Petrarca era visto soprattutto come capostipite della rinascita delle lettere antiche, grazie al letterato e cardinale veneziano Bembo divenne anche il modello del cosiddetto classicismo volgare, definendo una tendenza che si stava progressivamente già delineando nella lirica italiana. Difatti Bembo, nel dialogo Prose della volgar lingua, sostenne la necessità di prendere come modelli stilistici e linguistici P. per la lirica, Boccaccio invece per la prosa, scartando Dante per il suo plurilinguismo che lo rendeva difficilmente accessibile: «Requisito necessario per la nobilitazione del volgare era dunque un totale rifiuto della popolarità. Ecco perché Bembo non accettava integralmente il modello della Commedia di Dante, di cui non apprezzava le discese verso il basso nelle quali noi moderni riconosciamo un accattivante mistilinguismo. Da questo punto di vista, il modello del Canzoniere di Petrarca non presentava difetti, per la sua assoluta selezione linguistico-lessicale.»  (Marazzini)  Gianfranco Contini, grande estimatore di P. e suo commentatore. La proposta bembiana risultò, nelle diatribe relative alla questione della lingua, quella vincente. Già negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione delle Prose, si diffuse presso i circoli poetici italiani una passione per le tematiche e lo stile della poesia petrarchesca (stimolata anche dal commento al Canzoniere di Vellutello), chiamata poi petrarchismo, favorita anche dalla diffusione dei petrarchini, cioè edizioni tascabili del Canzoniere. A fianco del petrarchismo, però, si sviluppò anche un movimento avverso alla canonizzazione poetica operata dal Bembo: allorché letterati come Berni ed Aretino svilupparono polemicamente il fenomeno dell'antipetrarchismo; poi, nel corso del Seicento, la temperie barocca, ostile all'idea di classicismo in nome della libertà formale, declassò il valore dell'opera petrarchesca. Riabilitato parzialmente da Muratori, P. ritorna pienamente in auge in seno alla temperie romantica, quando Foscolo prima e Sanctis poi, nelle loro lezioni tenute dal primo a Pavia, e dal secondo a Napoli e a Zurigo, furono in grado di operare un'analisi complessiva della produzione petrarchesca e ritrovarne l'originalità. Dopo gli studi compiuti da Carducci e dagli altri membri della Scuola storica, il secolo scorso vide, per l'area italiana, Contini e Billanovich tra i maggiori studiosi del Petrarca.  Petrarca e la scienza diplomatica Magnifying glass icon mgx2.svg Diplomatica. Benché la diplomatica, ovvero la scienza che studia i documenti prodotti da una cancelleria o da un notaio e le loro caratteristiche estrinseche ed intrinseche, sia nata consapevolmente con Mabillon nel 1681, nella storia di tale disciplina sono stati individuati dei precursori che, inconsapevolmente, nella loro attività filologica, hanno analizzato e dichiarato l'autenticità o meno anche di documenti oggetto di studio da parte della diplomatica. Tra questi, infatti, vi furono molti umanisti e anche il loro precursore e fondatore, P. Ifatti, l'imperatore Carlo IV chiese al celebre filologo di analizzare dei documenti imperiali in possesso di suo genero, Rodolfo IV d'Asburgo, che sarebbero stati stilati da Giulio Cesare e da Nerone a favore dell'Austria che dichiaravano tali terre indipendenti dall'Impero. Petrarca rispose con la Seniles in cui, evidenziando lo stile, gli errori storici e geografici e il tono (il tenore) della lettera (tra cui la mancanza della data topica e della data cronologica propria dei diplomi), negò la validità di questo diploma.  Onorificenze Laurea poeticanastrino per uniforme ordinario. Laurea poetica — Roma. A P. è intitolato il cratere P. su Mercurio. L'epistola, scritta in risposta a una missiva in cui l'amico Giovanni Boccaccio gli chiedeva se fosse vera l'invidia che P. nutriva per Dante, contiene l'accenno all'incontro, in età giovanile, con il più maturo poeta: «E primieramente si noti com'io mai non ebbi ragione alcuna d'odiare cotal uomo, che solo una volta negli anni della mia fanciullezza mi venne veduto.»  (Delle cose familiari). La critica, se l'incontro sia da attribuirsi a Pisa o ad altre località, è divisa: Ariani e Ferroni, nota 6 propendono per la città toscana, mentre Rico-Marcozzi pensano a un incontro avvenuto a Genova  quando la famiglia di ser Petracco si stava dirigendo in Francia. Pacca4 opera un'interpretazione intermedia tra le due città, benché ritenga che sia più probabile Pisa come luogo effettivo dell'incontro. Dello stesso parere, infine, anche Dotti. Si legga il brano dell'epistola, in cui Petrarca ricorda il loro primo incontro e il piacevolissimo periodo trascorso nella località francese: «e noi fanciulli ancora impuberi partimmo in un cogli altri, ma fummo con speciale destinazione per imparare grammatica mandati a scuola a Carpentrasso, piccola città, ma di piccola provincia città capitale. Ricordi tu que' quattro anni? Quanta gioia, quanta sicurezza, qual pace in casa, qual libertà in pubblico, quale quiete, qual silenzio ne' campi!»  (Lettere Senili). P. mostrò, nei confronti di tale scienza, sempre un'avversione innata, come è esposto nella Familiares, in cui P. scrive a Genovese che a Montpellier prima e a Bologna poi «ben altro in quegli anni fare io poteva o in se stesso più nobile o alla natura mia meglio conveniente: né sempre nella elezione dello stato quello ch'è più splendido, ma quello che a chi lo sceglie è più acconcio preferire si deve.»  (Delle cose familiari). Come però ricorda Wilkins, la scelta di Petrarca di entrare a far parte della Chiesa non fu soltanto dettata dalla cinica necessità di ottenere i proventi necessari per vivere. Nonostante non avesse mai avuto la vocazione per la cura delle anime, Petrarca ebbe sempre una profonda fede religiosa.  A sviluppare la tesi dell'identificazione di Laura con tale Laura de Sade è la stessa testimonianza di Petrarca nella Familiares, II, 9 a Giacomo Colonna, il quale cominciò a mostrarsi dubbioso sull'esistenza di questa donna (si veda Delle cose familiari, Più precisamente, nella Nota a379, Fracassetti fa riemergere la vita della presunta amata del Petrarca: «Da Odiberto e da Ermessenda di Noves nobile famiglia di Avignone nacque una fanciulla, cui fu dato il nome di Laura. Fa fatta per man di notaio la scritta nuziale fra Laura ed Ugo De Sade gentiluomo Avignonese. Due anni più tardi nella chiesa di S. Chiara di questa città, a quell'ora del giorno che chiamavano prima, il Petrarca giovane allora di poco più che ventidue anni la vide»   Si legga l'episodio di come fossero stati dati alle fiamme dei libri di Virgilio e Cicerone, cosa che suscitò il pianto nel giovane Petrarca. Al che il padre, vedendolo così affranto «d'una mano porgendo Virgilio, dall'altra i rettorici di Cicerone: "tieni, sorridendo mi disse, abbiti questo per ricrearti qualche rara volta la mente, e quest'altro a conforto e ad aiuto nello studio delle leggi".»  (Lettere Senili Il codice, dopo la morte di P. passa nelle mani di Francesco Novello da Carrara, nuovo signore di Padova. Quando questa città verrà conquistata da Visconti, anche il patrimonio bibliotecario petrarchesco passò nelle mani dei duchi milanesi, che lo conservarono nella loro biblioteca di Pavia. Fu poi sistemato nella Pinacoteca Ambrosiana, grazie all'intervento del suo fondatore, il cardinale Federigo Borromeo arcivescovo di Milano. Si veda: Cappelli. Da questo momento in avanti, Petrarca non esitò a chiamare Avignone la novella Babilonia di apocalittica memoria, come testimoniato dai celebri sonetti avignonesi facenti parte del Canzoniere. Oltre a motivazioni di carattere morale, ci fu anche la profonda delusione che suscitò la decisione di Benedetto XII di non recarsi a prendere possesso ufficialmente della sua sede vescovile e ristabilire così pace in Italia (Ariani). Petrarca scrisse, riguardo alla morte del vecchio amico e protettore, due lettere commoventi: la prima, al fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni (Delle cose familiari; la seconda, all'amico Tosetti, soprannominato Lelius (Delle cose familiari, traduzione di Fracassetti). Nella Nota alla prima Fracassetti ricorda come Petrarca, nella Familiares, V, 7, avesse avuto, in sogno, il presagio della morte del Vescovo di Lombez venticinque giorni prima della sua effettiva scomparsa.  Cappelli 55. Significativa la ricostruzione storico-letteraria compiuta da Amaturo,  ove si rievocano le figure di intellettuali che si legarono, tra XIII e XIV secolo, alla biblioteca capitolare veronese (Giovanni De Matociis, Dante e Pietro Alighieri, Benzo d'Alessandria, Vincenzo Bellovacense) e le rarità che essa conteneva (codici contenenti le lettere di Plinio il Giovane; parte dell'Ab Urbe condita liviana che Petrarca utilizzò per la ricostruzione filologica del codice Harleiano; le orazioni ciceroniane citate; il Liber catulliano).  Boccaccio esprimerà la sua indignatio nell'Epistola X  indirizzata a lui, ove, grazie alla tecnica retorica dello sdoppiamento e a topoi letterari, Boccaccio si lamenta col magister di come Silvano (il nome letterario usato nella cerchia petrarchesca per indicare il poeta laureato) avesse osato recarsi presso il tiranno Giovanni Visconti (identificato in Egonis):«Audivi, dilecte michi, quod in auribus meis mirabile est, solivagum Silvanum nostrum, transalpino Elicone relicto, Egonis antra subisse, et muneribus sumptis ex pastore castalio ligustinum devenisse subulcum, et secum pariter Danem peneiam et pierias carcerasse sorores». Inoltre, bisogna ricordare che la scelta di risiedere a Milano era anche uno schiaffo alla proposta delle autorità fiorentine di occupare un posto come docente nello Studium, occupazione che gli avrebbe concesso di rientrare in possesso dei beni paterni sequestrati. L'arcivescovo Giovanni II Visconti, difatti, proseguì la politica espansionistica dei suoi predecessori a danno delle altre potenze dell'Italia centro-settentrionale, tra le quali spiccava Firenze. Le ostilità tra Milano e Firenze perdureranno fino a quando salì al potere come duca dello Stato lombardo Francesco Sforza, che intraprese una politica di alleanza con Firenze grazie all'amicizia personale che lo legava a Cosimo de' Medici.  Durante l'epidemia di peste milanese, morì il figlio Giovanni (Pacca), nato da una relazione extraconiugale. I rapporti con il figlio, al contrario di quanto avvenne con la secondogenita Francesca, furono assai burrascosi a causa della condotta ribelle di Giovanni (Dotti) accenna all'odio che Giovanni provava verso i libri, «quasi fossero serpenti»). Come ricordato nella Familiares. Si separa dal figlio Giovanni, che tornò ad Avignone in seguito a non precisati dissapori (Familiares); tre anni dopo sarebbe tornato a Milano.»  (Rico-Marcozzi)  Il ravennate Malpaghini fu presentato  da Donato degli Albanzani a Petrarca che, rimasto colpito dalle sue qualità letterarie e dalla sua pronta intelligenza, lo prese al suo servizio quale copista. La collaborazione tra i due uomini, durata appunto si interruppe il 21 aprile di quell'anno, quando il Malpaghini decise di lasciare l'incarico presso l'Aretino. Per maggiori informazioni biografiche, si veda la biografia di Signorini.  Petrarca, nella Seniles informa il fratello Gherardo, tra le altre cose, anche della sua nuova dimora sui colli Euganei, dandone un quadro piacevole e ameno: «E per non dilungarmi di troppo della mia chiesa, qui fra i colli Euganei, non più lontano che dieci miglia da Padova mi fabbricai una piccola ma graziosa casina, cinta da un oliveto e da una vigna che dan quanto basta a una non numerosa e modesta famiglia. E qui, sebbene infermo del corpo, io vivo dell'animo pienamente tranquillo lungi dai tumulti, dai rumori, dalle cure, leggendo sempre e scrivendo. Lettere Senili.  La lettera non può essere considerata "reale", ma piuttosto una rielaborazione voluta dal Petrarca. Difatti, a quell'altezza, il giovane Petrarca non era ancora entrato in contatto con il padre agostiniano, e la scelta della data (corrispondente al Venerdì Santo) e del luogo (la salita al monte rievoca l'immagine della Passione di Gesù sul Calvario) rendono ancora più "mitica" l'ambientazione. Si veda, per quanto riguarda la ricostruzione filologica e cronologica dell'epistola, il saggio di Giuseppe Billanovich, Petrarca e il Ventoso, in Italia medioevale e umanistica,  9, Roma, Antenore,  Il ventiquattresimo libro delle Familiares è composto da lettere indirizzate a vari personaggi dell'antichità classica. Per Petrarca, infatti, gli antichi non sono lontani e irraggiungibili: la costante lettura delle loro opere fa sì che Cicerone, Orazio, Seneca, Virgilio vivano attraverso queste ultime, rendendo i rapporti tra Petrarca e i suoi ammirati scrittori classici vicini per la comunanza di sentimento.  L'Otium degli antichi romani non consisteva unicamente nel riposo dagli impegni quotidiani, indicati sotto il sostantivo di negotium. Per Cicerone, l'otium non era soltanto il riposo dalle attività forensi e politiche, ma soprattutto il ritiro nella propria intimità domestica col fine di dedicarsi alla letteratura (De officiis). In questo caso, il modello petrarchesco è affine a quello stoicheggiante dell'oratore romano. Si veda il riassunto operato da Laidlaw, che ripercorre la concezione all'interno della letteratura latina. Per Cicerone, nello specifico si vedano le pagine Laidlaw,  44-47.  Termine di origine catulliana, Petrarca lo prende in prestito per descrivere le liriche come "diversivo, passatempo". La questione delle nugae volgari e, più in generale, delle opere latine, è esposta nella Familiares (Delle cose familiari) Guglielmino-Grosser I  testi sono raccolti nel codice Vaticano Latino come ricordato da Santagata,  Bisogna ricordare che Il Canzoniere non raccoglie tutti i componimenti poetici del Petrarca, ma solo quelli che il poeta scelse con grande cura: altre rime (dette extravagantes) andarono perdute o furono incluse in altri manoscritti (cfr. Ferroni).  L'inquietudine petrarchesca nasce, quindi, dal contrasto tra l'attrazione verso i beni terreni (tra cui l'amore per Laura) e l'aspirazione all'assoluto divino, propria della cultura medievale e della religione cristiana, come ricordato da Guglielmino-Grosser. P. mantenne, nell'ambito della lirica volgare, quell'aristocraticismo stilistico-lessicale prima accennato, in cui si rifiutano molti usi lemmatici presenti nella tradizione poetica italiana e che Petrarca rifiuterà, accogliendone un preciso gruppo ristretto ed elitario. Come ricorda Marazzini, Si delinea una tendenza del linguaggio lirico al 'vago', inteso nel senso di una genericità antirealistica (al contrario di quanto accade nel corposo realismo della Commedia), testimoniato anche dalla polivalenza di certi termini, i quali, come l'aggettivo dolce, entrano in un numero molto grande di combinazioni diverse. Eppure la lingua di Petrarca, selezionata e ridotta nelle scelte lessicali, accoglie un buon numero di varianti canonizzando un polimorfismo...in cui si allineano la forma toscana, quella latineggiante, quella siciliana o provenzale...»   Di Benedetto170. Si ricorda anche che, seppur in forma minore, era presente nel mondo letterario italiano del '400 anche un'ammirazione verso il P. volgare, come testimoniato dalle edizioni a stampa del Canzoniere e dei Trionfi uscite nel 1472 dalla bottega dei padovani Bartolomeo Valdezocco e Martino "de Septem Arboribus" (cfr. Ente Nazionale Francesco Petrarca, Culto petrarchesco a Padova.).Riferimenti bibliografici  la notte  Casa Petrarca Arezzo, Regione Toscana Wilkins Ariani21. Più specificamente Bettarini: «dopo essere stato accusato di aver falsificato un istrumento notarile, fu così condannato al pagamento di 1000 lire e al taglio della mano destra».  Dotti  Bettarini e Pacca Per informazioni biografiche, si veda la voce Pasquini.  Il ricordo di Petrarca al riguardo è riportato in Lettere Senili, Pasquini: «Quanto al Petrarca, il magistero di C[onvenevole] si colloca indubbiamente. La Casa del Petrarca, su arqua petrarca.com. Pacca Si legga il brano della Lettere Senili, Il brano è ricordato anche da Wilkins Ariani Wilkins Rico-Marcozzi. Si recò a studiare a Bologna, seguito da un maestro privato...»; e Wilkins in cui si ritiene che questo maestro avesse «l'incarico, almeno per Francesco e Gherardo, di fungere in loco parentis».  Ariani Ariani,  Wilkins, Dotti Bettarini.  Cappelli  Pacca Rico-Marcozzi; Ferroni Wilkins, Wilkins,  Rico-Marcozzi. Giacomo Colonna reclutò Petrarca per la sua corte vescovile di Lombez, in Guascogna: ne avrebbero fatto parte il cantore fiammingo Ludovico Santo di Beringen e l'uomo d'armi romano Lello di Pietro Stefano dei Tosetti, che Petrarca battezzò in seguito, rispettivamente, Socrate e Lelio.»   Ferroni Pacca Alinari:.., su alinariarchives La distinzione tra le due scuole di pensiero emerge in Ferroni,  Ariani ricorda che il primo sostenitore del filone allegorico-letterario fu il giovane Giovanni Boccaccio nel suo De vita et moribus domini Francisci Petrarche.  Ariani28. Dotti, specifica che questo san Paolo fu acquistato per procura a Roma e che il volume proveniva da Napoli.  Ariani35.  Per maggiori approfondimenti biografici, si veda la biografia di Moschella.  Moschella: «Suggello ideale dell'amicizia tra i due fu il dono, da parte di Dionigi, di una copia delle Confessiones di s. Agostino.  Billanovich Billanovich,  Wilkins  e Pacca  Wilkins; Wilkins Rico-Marcozzi. Nel frattempo aveva raggiunto Roma accolto da fra Giovanni Colonna al termine di un avventuroso viaggio, e dove nella sua prima lettera contemplando dal Campidoglio le rovine dell’Urbe, manifestò la meraviglia per la loro grandezza e maestosità, dando forma a quella riscoperta dell’antichità classica e al rimpianto per la sua decadenza che divennero i cardini etici, estetici e politici dell’Umanesimo. Pacca Dotti,  Dotti Mauro Sarnelli, Petrarca e gli uomini illustri, Treccani). Ariani Certo il privilegio toccava, del tutto straordinariamente, a un poeta che ancora non aveva pubblicato molto per meritarselo: ma la protezione dei potenti Colonna e la rete di estimatori che aveva saputo intessere per tempo sono evidentemente bastate a valorizzare al massimo le epistole metriche, la fama dell'Africa. e del De viris, le rime volgari già note...»  Dello stesso avviso anche Pacca74 e Santagata19.  Moschella. Dionigi fa ritorno in Italia; dopo un breve soggiorno a Firenze, giunse a Napoli (cfr. Petrarca, Familiares), dove l'aveva voluto il re Roberto d'Angiò, che per l'agostiniano nutriva una profonda stima, oltre a condividerne gli interessi per l'astrologia giudiziaria e per i classici latini.»   Wilkins34: «La conoscenza dell'antica tradizione e delle due o tre incoronazioni celebrate da singole città in tempi moderni, insieme all'aspirazione a diventare famoso, accese inevitabilmente in Petrarca il desiderio di ricevere a sua voglia quell'onore. Egli confidò dapprima il suo pensiero a Dionigi da Borgo San Sepolcro e a Giacomo Colonna, e ne venne a conoscenza anche qualche persona che aveva legami con l'Parigi.»   Si legga il brano della lettera dove inizia la decantazione delle lodi nei confronti del re napoletano: «E chi dico io, e lo dico con pieno convincimento, in Italia, anzi in Europa più grande di re Roberto Delle cose familiari, II, 4, traduzione di G. Fracassetti)  Wilkins; Rico-Marcozzi. Sulla base dei contraddittori racconti di Petrarca si dovrebbe dedurre che nello stesso giorno questi avesse ricevuto l’invito a cingere la corona sia dal Senato di Roma sia da Parigi e avesse chiesto consiglio al cardinal Colonna decidendo di scegliere Roma (IV 5, 6), per ricevere la laurea "sulle ceneri degli alti poeti che ivi dimorano".»  Difatti Petrarca riteneva che l'ultima incoronazione a Roma fosse stata quella di Stazio e che quindi, se vi fosse stato incoronato, sarebbe stato direttamente un successore degli antichi poeti classici da lui tanto amati (Pacca).  Cfr., ad esempio, Rico-Marcozzi; Wilkins,  Ariani, Pacca74.  Rico-Marcozzi. Sono le date fornite da Petrarca ([Familiares]), e la più probabile sembra essere la seconda; tuttavia Boccaccio situa l'evento il 17 e il documento ufficiale, il Privilegium laureationis, almeno in parte redatto dallo stesso Petrarca, reca la data. Lacultur, biografia di P., su lacultur.altervista.org.  Wilkins; Dotti. «In Avignone egli vedeva simbolicamente la corruzione della Chiesa di Cristo e l'intollerabile esilio di Pietro.»  Paravicini Bagliani.  Moschella.  Petrucci.  Wilkins,  Così Ariani, Wilkins sostiene invece che Cola sia giunto ad Avignone a Wilkins4 «Cola si intrattenne parecchi mesi e in quel periodo strinse amicizia con Petrarca. Cola era ancor giovane e poco noto; ma i due uomini avevano in comune un grande entusiasmo per la Roma antica e cristiana, una grande preoccupazione per lo stato presente della città e una grande speranza per la restaurazione dell'antica potenza e dell'antico splendore.»   Il Mondo di Petrarca Ariani,  il quale ricorda, a testimonianza della rottura coi Colonna, Bucolicum carmen, VIII, intitolato Divortium (cfr. Bucolicum carmen. Santagata16 ricorda inoltre come i legami tra Petrarca e il cardinale Giovanni non fossero mai stati buoni come con il fratello di lui Giacomo: «a differenza di Giacomo...il cardinale restò sempre il dominus. Rico-Marcozzi.  Pacca e Cappelli. Dotti, Wilkins, Ariani46.  Troncarelli.  Waley.  Pacca, Padova, sRico-Marcozzi: «Giacomo II da Carrara, signore di Padova, che  gli fece ottenere un ulteriore e ricco canonicato da 200 ducati d'oro l'anno e una casa nei pressi della cattedrale».  Ariani49.  Una prospettiva generale del rapporto tra P. e Boccaccio è esposto in Rico,  Branca87.  Rico-Marcozzi: «Solo in autunno si trasferì ad Avignone, per scoprire (almeno secondo quanto affermato in Familiares) che gli si offriva la segreteria apostolica, già a suo tempo rifiutata, e un vescovado».  Ariani, Ferroni; D. Ferraro, P. a Milano. Le ragioni di una scelta, Rinascimento; Firenze: Olschki, Viscónti, Galeazzo II, su treccani. Pacca, Amaturo. Ma è fuor di dubbio che tra il poeta e i suoi nuovi signori si istituiva come un patto di mutuo interesse: da un lato egli si avvantaggiava della posizione di prestigio che gli offriva l'amicizia dei Visconti; d'altro lato acconsentiva tacitamente a essere adoperato in missioni diplomatiche, non numerose invero, né discordanti con i suoi ideali civili. Ariani Cappelli La riflessione petrarchesca si indirizza sempre più ad hominem e ad vitam, all'uomo concreto nella sua circostanza concreta, si nutre di meditazione interiore, progetta un'opera capace di delineare una parabola esemplare in cui lo scrittore propone se stesso e la cultura di cui è portatore come modello capace di confrontarsi su tutti i terreni.»   Rico-Marcozzi: «il Secretum...composto in tre fasi successive. Ferroni Ariani Cappelli Wilkins Vicini Retore originario di Pratovecchio, Donato degli Albanzani fu intimo amico sia di Petrarca che di Boccaccio. Per quanto riguarda i rapporti con il primo si ricordano, oltre le missive indirizzategli dall'Aretino, anche alcune egloghe del Bucolicum Carmen, in cui è chiamato con il senhal di Appenninigena. Si veda la voce biografica Martellotti.  U. Dotti, P. civile: alle origini dell'intellettuale moderno, Donzelli Editore, Wilkins,  espone dettagliatamente le trattative tra Petrarca e la Serenissima, citando anche il verbale del Maggior Consiglio con cui si procedette all'approvazione della proposta petrarchesca. Per ulteriori informazioni, si veda Gargan,  Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti, Si ricordi la visita dell'amico Boccaccio, quando però P. si era recato momentaneamente a Pavia su richiesta di Galeazzo II. Nonostante l'assenza dell'amico, Bocca ccio trovò una calorosa accoglienza da parte di Francescuolo e di Francesca, trascorrendo giorni piacevoli nella città lagunare (Cfr. Wilkins,  Rico-Marcozzi -- fece ritorno a Venezia dove fu raggiunto dalla figlia Francesca maritata al milanese Francescuolo da Brossano.»  Pacca,  Ma...bisogna dire che il vero valore del De ignorantia consiste nella vigorosa affermazione della filosofia morale sulla scienza naturale. Ed è questo il motivo della sua inferiorità rispetto a scrittori come Platone, Cicerone e Seneca; perché per Petrarca la cultura "è subordinata alla vita morale dell'uomo. Casa del Petrarca, Arquà.  Wilkins Ariani Wilkins, Billanovich. Petrarca designacon indicazioni esplicite anche per noi remoti quale loro custode un letterato padovano, Lombardo della Seta, mediocre per ingegno e per dottrina, ma cliente premuroso del maestro, di cui in una intima familiarità negli ultimi anni aveva lentamente conosciuto le abitudini e filialmente soddisfatto i desideri. Così...era promosso subito a buon segretario. Ariani  G. Baldi, M.  Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Paravia Wilkins La tomba del Petrarca.  Canestrini e Dotti,  Millocca, Francesco, Leoni, Pier Carlo, in Dizionario biografico degli italiani,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Si veda Analisi Genetica dei resti scheletrici attribuiti a Petrarca.  Si veda inoltre Petrarcail poeta che perse la testain The Guardian sulla riesumazione dei resti di Petrarca.  Ricchissima la  al proposito: si ricordino i libri citati in, tra cui Cappelli, L'umanesimo italiano da Petrarca a Valla; i saggi curati da Giuseppe Billanovich (tra cui l'opera sua più importante, Billanovich, Petrarca letterato, uno dei maggiori studiosi del Petrarca; i libri di Pacca, Ariani e Wilkins.  Pacca e Cappelli,  Garin. Si veda il lungo articolo di Lamendola al riguardo, in cui si espone anche la chiave di lettura dei classici latini nel corso dell'età medioevale.  Dotti, Magdi A. M. Nassar, Numismatica e Petrarca: una nuova idea di collezionismo, Il collezionismo numismatico italiano. Una storica e illuminata tradizione. Un patrimonio culturale del nostro Paese., Milano, Numismatici Italiani Professionisti, Billanovich Per la datazione cronologica, cfr. Billanovich. Il Petrarca formò tra i venti e i venticinque anni il Livio Harleiano»; Le scoperte e i restauri degli Ab Urbe condita eseguiti dal Petrarca sul palcoscenico europeo di Avignone; Cappelli, Billanovich, Billanovich, Un riassunto veloce è esposto anche da Ariani63.  Cappelli42 e Ariani62.  Cappelli,  Albertini Ottolenghi,  Albertini Ottolenghi. Significativo il titolo del settimo capitolo di Ariani. Lo scavo introspettivo.  Ferroni10.  Ferroni,  Ferroni10 e Guglielmino-Grosser178.  Petrarca, Africa,  Cappelli  e Guglielmino-Grosser Dotti,: I versi vennero infatti riconosciuti bellissimi, ma tali da non convenirsi alla persona cui erano posti in bocca, in quanto degni piuttosto di un personaggio cristiano che di uno pagano.»   Santagata. Il gesto di fastidio con il quale si liberò quasi sùbito delle superfetazioni scolastiche ha il suo esatto corrispettivo nel rifiuto dell'imponente edificio logico e scientifico della filosofia Scolastica a favore di una ricerca morale orientata, con la guida determinante dell'agostinismo, verso il soggetto e l'interiorità della coscienza. Delle cose familiari, Guglielmino-Grosser, confrontando Dante, il quale non ha trasmesso ai posteri dati biografici della propria vita, e Petrarca, afferma che quest'ultimo «fornendoci una grande quantità di informazioni dettagliate sulla sua vita quotidiana, vere o false che siano, mira a trasmettere di sé un'immagine concreta».  Dotti, sulla base della Familiares delinea il senso del messaggio umanistico lanciato da Petrarca: «...parlare con il proprio animo non serve: bisogna affaticarsi ad ceterorum utilitatem quibuscum vivimus, per l'utilità di coloro con i quali viviamo in questa terrena società, ed è certo che con le nostre parole possiamo giovare: quorum animos nostris collucutionibus plurimum adiuvari posse non ambigitur (Familiares). Il colloquio umano è dunque lo strumento dell'autentico processo umanistico...Sua mercé si saldano e si congiungono gli spazi più lontani...I comuni principi morali, dunque, e l'indagine costante e irreversibile sono la molla di un processo che non può aver fine se non con la morte dell'umanità medesima, e il discorso, il colloquio e la cultura ne sono il filo conduttore.»   Viaggi nel TestoAutori della letteratura Italiana, su internetculturale. Si ricordino i celebri versi di Pd in cui l'avo Cacciaguida gli profetizza la durezza dell'esilio: Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale  Guglielmino-Grosser Guglielmino-Grosser Marazzini Santagata/ La riforma di Petrarca consiste nell'introdurre entro l'universo senza regole della rimeria coeva la disciplina, l'ordine, la pulizia formale, lo stesso aristocraticismo propri delle più compatte 'scuole' duecentesche. Luperini, Il plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di Petrarca secondo Gianfranco Contini.  Delle cose familiari, traduzione di G. Fracassetti, Pulsoni Giuseppe Pizzimentig Opera: Altichiero, San Giorgio battezza Servio re di Cirene; Si veda, per maggiori informazioni, Pacca,  Per maggior informazioni, si veda il saggio di Fenzi. Si veda il saggio di Dotti sulle Epistolae metricae.  Pacca,  Pacca,  Ferroni14.  Amaturo,  Cappelli Ferroni,  Pacca; Santagata; Amaturo,   Le epistolae retrodatate furono, secondo Santagata, probabilmente scritte ex novo perché fossero aderenti al progetto culturale-esistenziale idealizzato dal Petrarca.  Guglielmino-Grosser; Ferroni; Ariani; Dionisotti. Salutati e dopo la morte del Petrarca e del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi.»  Dionisotti. Dopo lungo intervallo, Boccaccio compose in volgare una succinta vita di Alighieri cui fece seguire un'assai più succinta vita del Petrarca e un conclusivo paragone fra i due poeti. Cappelli,  Di Benedetto Si veda la voce enciclopedica curata da Praz e Di Benedetto Ariani Pacca, Petrarca e Bresslau,  Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti, M. Albertini Ottolenghi, Note sulla biblioteca dei Visconti e degli Sforza nel Castello di Pavia, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria,  Raffaele Amaturo, Petrarca, con due capitoli introduttivi al Trecento di Carlo Muscetta e Francesco Tateo” (Roma, Laterza); M. Ariani, Petrarca, Roma, Salerno), Bettarini, Petrarca, Francesco, in Dizionario biografico degli italiani,   Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Billanovich, Petrarca letterato. Lo scrittoio del Petrarca,  Roma, Storia e Letteratura,Giuseppe Billanovich, Gli inizi della fortuna di Francesco Petrarca, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, G. 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