Grice e Carabellese – l’arena e la
pietra -- la sabbia e la roccia – il segno – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Molfetta).
Filosofo italiano. Grice: “I love Carabellese; his masterpiece is ‘the rock and
the sand,’ which reminds me of Tuke’s Cornwall! – Tuke captured some dialectic
on the sand and rocks, which I’m sure were common in Ostia, too, back in the
day! Carabellese speaks of a ‘semiotic scandal’ so it all connects with my
pragmatics of dialectics or conversation.” Studia a Napoli e Roma. Insegna a
Palermo e a Roma.A partire da una critica ferrata alla dottrina cartesiana (Le
obbiezioni al cartesianesimo; il metodo, l’idea, la dualita; Il circolo vizioso
in Cartesio) porta a compimento studi critici su diversi autori, tra i quali
spiccano Kant e Rosmini. Elabora la
dottrina dell'ontologismo critico, in cui l'essere non è mero oggetto della
coscienza ma è a essa intrinseco come fondamento irriducibile, cioè
essere-di-coscienza, che in ultima istanza altri non è che Dio (che, come già
asseriva Vico, "è" e non "esiste"). Difese l'oggettività essenziale dell'essere e
la filosofia, non come sapere specialistico trincerato, ma come operatrice per
l'umanità tutta così che la coscienza filosofica esplica quella teoria che nel
diversificarsi concreto della spiritualità risulta necessariamente implicita. E
allora lo sforzo della filosofia non potrà mai, quindi, essere compiuto atto
seppure la teoria si attui sempre in una pratica, che è l'altro termine del
concreto. Insomma Carabellese difese la filosofia come ascesa teoretico-razionale
a realtà teologiche, o come sentiero che volge al fondamento comune della vita
politica e che alla politica rimane irriducibile. Altre opere: Critica del
concreto; Il problema della filosofia da Kant a Fichte; Il problema teologico
come filosofia; L'idealismo italiano; L'idea politica d'Italia; Da Cartesio a
Rosmini. Fondazione storica dell'ontologismo critico. L'essere e la
manifestazione. L'essere e la manifestazione: Dialettica della Forme. L'essere.
Filosofo della coscienza concreta, Ravenna, Edizioni del Girasole. La sabbia e
la roccia: l'ontologia critica di Pantaleo Carabellese. Il problema dell'io in Carabellese.
Metafisica in Pantaleo Carabellese. Kant e Carabellese. Dizionario Biografico degli Italiani. Autolimitazione
della metafisica critica? Momenti della recezione italiana di Fichte con
particolare riferimento all'ontologismo critico di Carabellese. E anche per lui lo gnoseologismo era il fraintendimento
della vera scoperta di Kant, ed era all ' origine della moderna... intesa come
« scoperta » deriva quell ' approfondimento dei concetti tradizionali che il
Semerari chiama « lo scandalo...seDalla filosofia intesa come « scoperta »
deriva quell ' approfondimento dei concetti tradizionali che il Semerari chiama
“lo scandalo linguistico,” cioè la terminologia dell ' Ontocoscienzialismo, a
prima vista sconcertante. See also the important chapter " Lo scandalo
linguistico, " in G. Semerari, La sabbia e la roccia. Merleau - Ponty,
Sens et non - sens, Paris, Nagel, 1948; It. trans. by P. Caruso, Senso e non senso,
Milan, Il Saggiatore. La ontologia di
Carabellese, così, si prospetta come una ontologia della coscienza assiologica
e semantica, ossia come una critica antinaturalistica e antipsiscologistica dei
valori e dei significati dell’essere»42. L’importanza del lavoro filosofico carabellesiano,
secondo Semerari, consiste nell’esigenza radicale di lavorare alle radici del
linguaggio filosofico, di andare al di là della storia già fatta, come scrive
Semerari citando Carabellese43, scendendo sino ai suoi presupposti: ciò
significa portandosi al grado zero della parola per reinventare il linguaggio
filosofico e le connessioni che in esso si sono stabilite lungo la sua storia,
a partire dalla cosa stessa, ossia dall’essere in cui la coscienza è già
implicata. Scrive Semerari: «Sotto questo riguardo non si può trascurare la
convergenza con la ontologia critica di quella parte della filosofia
linguistica contemporanea per la quale, al limite tra fenomenologia,
esistenzialismo e analitica, porre la questione del linguaggio è portarsi al
grado zero della parola, al silenzio come radice di ogni possibilità
linguistica, fare giudice della critica del linguaggio, com’è stato
suggestivamente detto, la ‘coscienza silenziosa’. singolari di Coscienza si
costituiscono come soggetti pensanti in comunicazione tra loro. L’alterità
dell’altro io presuppone l’identità dell’io che lo esperisce come altro.
Reciprocamente la coscienza della propria identità egologica richiede il
rapporto di alterità come intrinseco all’essere stesso dell’io. L’alterità
sempre afferma chi dice io, il quale ciò dicendo, anche trascendentalmente si
distingue, senza per questo separarsi assolutamente, da un chi che riconosce di
fronte a sé. Con questo chi egli afferma una relazione reciproca con la quale
attua l’egoità. Soggettività ed egoità pura sono sempre pura alterità»19. L’alterità
di ciascun io è, come scrive Carabellese, «l’insondabile residuo di meità
intraducibile in esperienza dell’altro. Ma questa intraducibilità, che è il
limite che la meità ha nell’esperienza, non prova che l’alterità sia soltanto
di esperienza e non pura, ma prova, precisamente, il contrario, e cioè che, a
fondamento dell’alterità empirica, c’è l’alterità pura come schietta egoità»42.
Alterità e non assolutezza dell’io L’Essere di coscienza richiede la
compattezza non la relazione fra Oggetto universale, Dio, e soggettività
molteplice. La relazione è fra i soggetti: infatti, l’io come uno esistente,
implica necessariamente l’altro, che è sempre un altro io, sottolinea il
Carabellese. Diversamente l’io assoluto fichtiano, dilaga nella coscienza,
identificandosi con essa, riducendo l’oggettività a negazione; ma resta così
l’io nella sua solitudine e, senza l’altro, cade nel nulla del non pensare. L’io
fichtiano, nell’interpretazione del Carabellese, elimina gli altri io dalla
coscienza, assolutizzandosi, ma in tal modo perde la meità, approdando
all’Unico, che egli vede come una nuova forma di eleatismo8. Il Carabellese
sottolinea che se non è da percorrere l’identificazione dell’io con la
coscienza, tuttavia questo non conduce alla cancellazione della meità; invece,
pensare l’immediata appartenenza del me all’essere di coscienza, non
assolutizzando il me, apre ad intendere gli altri. Non l’annullamento del me
costituisce la base per la relazione responsabile in sede etica (Lévinas), ma
proprio partendo dal me, per il Carabellese si giunge agli altri come altri
“di” me, esistenti nella loro singolarità, non si giunge agli altri “da” me. Il
me esistente nella purezza dell’Essere di coscienza apriori di cui parla il
Carabellese, in primo luogo non si identifica con il corpo, in quanto
quest’ultimo trova il suo limite nell’altro corpo e, più in generale nell’altra
cosa: «Io, come innegabile esigenza di coscienza non sono, o se volete, non
sono affatto corpo. pur mio. Ora la differenza fra me, che pur sono uno
esistente, e il mio corpo, che anch’esso è uno, sta proprio (non se ne può
trovar altra) nel limite, che il mio corpo trova negli altri corpi, e che io
non trovo, se non voglio cadere nell’assurdo di ritenere me il mio corpo» Carabellese
rifiuta l’ipotesi materialistica, perché se l’io si identificasse con il corpo
non potrebbe affermare nemmeno la propria corporeità, ossia che il corpo è suo.
Nella concezione materialistica l’io si identifica con il corpo che diventa la
radice dell’opposizione con gli altri. Se si realizzasse questa identificazione
in realtà si avrebbe la soppressione dell’io come uno di coscienza, e anche gli
altri non sarebbero più altri uno di coscienza. Il nulla del non pensare si
porrebbe contraddittoriamente come l’essere. Anche la concezione
spiritualistica che intende l’io come spirito finito, ha come esito la
riduzione dell’io a corpo, perché sostenere la limitatezza dello spirito
implica sottoporlo al limite, come il corpo, eliminando così il me. Anche se
Fichte ha evitato la riduzione dell’io al corpo, non ha tuttavia salvato la
meità identificando l’io con la coscienza. Infatti nell’io empirico il me è
sostanzialmente ridotto a corpo, a non-io. Solo l’Io, unico, assoluto pone se
stesso. In Hegel, poi, ogni residuo di meità è tolta nel Soggetto assoluto.
L’io perciò è spirito infinito, ma da questo non deriva per il Carabellese che
venga eliminata la distinzione dell’io dal tu nella coscienza, ossia che
vengano tolti gli altri, con il rischio di tornare a Fichte. Per il filosofo
italiano «togliere il limite è affermare gli altri», non annullarli; infatti,
per giungere alla negazione dell’altro, o degli altri, «bisogna prima ammettere
– osserva il Carabellese – che gli altri, in quanto tali, escludano l’uno di
tale essere, e che l’uno esclude gli altri; bisogna cioè cominciare proprio con
l’opporre ad uno gli altri dall’uno, ritenendoli diversi ed opposti a questo e
cioè col presupporre che uno (io) sia la coscienza, e gli altri no, e perciò
siano non io, non coscienza. Cioè bisogna cominciare col presupporre la
empirica limitazione dei corpi, la quale appunto, nella identificazione di me
col corpo mio, fa ritenere me, col mio corpo, coscienza e gli altri, che col
loro corpo limitano il corpo mio, non coscienza». Già ne Il problema teologico
come filosofia il Carabellese afferma, polemizzando con Fichte, che la
molteplicità soggettiva non è semplicemente empirica, ma pura, condizione
trascendentale della “concretezza”; la singolarità non è solitudine, ma
relazione reciproca nel pensare, sentire, agire l’Universale/Dio. L’io
esistente, singolare, è uno, e come tale è ciascuno, essenzialmente altro. «Il
singolare è quell’uno, di cui si sa l’alterità, ed è perciò ogni uno, ciascuno,
unusquisque. Uno che non sia ciascuno, non è uno. E, ancora più incisivamente:
«Io sono altro: solo così “sum qui sum”» L’altro, spirito infinito come l’io,
per il Carabellese non è esteriore, né eterogeneo rispetto al me, non si
risolve in una identificazione con l’oggetto realisticamente inteso.
Nell’ultimo sistema il Carabellese sostiene l’“identità” dei soggetti pensanti,
portando alle estreme conseguenze la determinazione dell’omogeneità, senza però
indicare come possano differenziarsi i soggetti l’uno dall’altro. Il rischio
dell’annullamento dell’alterità, pur se non voluto, è evidente; infatti per
spiegare il darsi della molteplicità soggettiva egli parla di alterazione, come
moltiplicazione infinita riferendola però non all’uno, al soggetto, ma
all’Unico, ossia all’essenza divina, al che. Tuttavia, se la
moltiplicazionealterazione è riferita dal Carabellese all’Unico, non all’uno:
allora l’altro, è un altro uno, ossia un altro soggetto, oppure un impossibile
altro Unico? Ed essendo l’Unico non soggettivo, come possono derivarne i
soggetti? In realtà possiamo muovere anche al Carabellese l’osservazione di
involgersi in una sorta di circolo fra Dio e io, in quanto se da un lato Dio è
la qualità infinita di cui l’io è terminazione, moltiplicazione/alterazione,
nello stesso tempo a Dio, in quanto non soggettivo, sono necessari i soggetti
pensanti. L’uno di cui parla il Carabellese è l’io che immediatamente si
intuisce singolare, e che altrettanto immediatamente avverte l’alterità: «Uno
che non sia ciascuno, non è uno», afferma eloquentemente. Egli sente il
pericolo di ricondurre e ridurre la meità ad una ciascunità di identici,
perdendo l’originalità e l’inconfondibilità di ciascuno nei confronti degli
altri. Tuttavia per il Carabellese invece proprio il recupero dell’altro consente
la realizzazione di sé. Ma, se si andasse più profondo in questo amor di me
spirituale, che è, o dovrebbe essere, l’amor proprio, se si sviluppasse ciò a
cui esso mi costringe, si vedrebbe, che, se io veramente voglio dare una
positività a questa negazione del “non tu”, se non voglio divenire un puro e
semplice “non” devo considerare me come uno tale che possa e debba riversare
l’amor di me uno in altro uno, che è uno come me, cioè devo riconoscere
l’unità, che sono io, nell’alterità. L’amor mio proprio, che non voglia essere
soltanto amor del mio corpo, è proprio amor dell’altro. L’amor proprio
spirituale non mi costringe alla assolutezza (unicità e incondizionatezza)
della mia unità, ma proprio alla sua alterità: l’amore è sempre amore di altro:
è la grande scoperta di Cristo»15. La struttura dell’essere di coscienza
apriori richiede l’alterità e Dio o, in altri. termini, l’uno molteplice e
l’Unico: in tal modo è la stessa struttura coscienziale a dare fondamento alla
carità. L’amor proprio e l’originalità di ciascuno si afferma e realizza nella
relazione e nel riconoscimento degli altri: «Io facendo dagli altri riconoscere
me tra essi, e riconoscendo me come altro, non tolgo ma affermo la mia
originalità». Per il Carabellese l’amor di sé ha insita l’esigenza della
relazione con l’altro; solamente chi concepisce l’io come l’Unico chiuso in se
stesso, privo di meità e di relazione, il solo, parla di offesa dell’amor
proprio, ma in realtà non si avvede che quell’Unico non è più nemmeno soggetto.
Tuttavia i problemi restano: la relazione con l’altro identico rischia di
essere più un narcisistico rispecchiamento, che una vera relazione, più una
sorta di moltiplicazione dell’Unico, un suo reiterarsi che il faticoso cammino
del riconoscersi. Fra i soggetti nella loro purezza, per cui sono infinitamente
penetrativi e interi nella loro relazione, l’identità è già data
immediatamente: ma allora non si comprendono gli erramenti, le lotte e gli
scontri a livello empirico. L’altro per il Carabellese è un altro me, non la
negazione del me. Ineludibile il riferimento al Parmenide platonico e
all’opposizione che Platone pone tra uno e altri. Per il Carabellese, sulla
base dell’essere di coscienza, tale opposizione non si dà; alla domanda del
Socrate platonico su quel che siano gli altri, quando io sia, si può
rispondere, che essi, non sono altri dall’uno ma altri uno, sono perciò altri
“me”. Il Carabellese individua la causa della “cacciata” degli altri dalla
coscienza nella erronea identificazione della coscienza concreta con l’io: per
tale scambio l’io annulla la “qualità” di cui insieme agli altri è
individuazione senza esaurirla. Nello stesso tempo si annulla la “quantità”
pura, restando il solo, che cade nell’assurdo di non essere né soggetto, né
oggetto. L’io infinitamente aperto, illimitato, identico, intero pur se
nell’essenziale relazione, di cui parla il Carabellese è apriori, non si
identifica con il singolo uomo vivente, limitato nello spazio e nel tempo:
essere condizionato e limitata persona dell’esperienza, presuppone essere
soggetto incondizionato e illimitato nell’essere di coscienza puro. Sembra
presentarsi una scissione fra il soggetto in quanto pensante e l’uomo vivente
spazio-temporalmente, fra “miglior coscienza” e “coscienza empirica”, per
utilizzare in chiave euristica espressioni del giovane Schopenhauer, che
riflette sulla duplicità della coscienza, non facendo ancora riferimento alla
volontà come principio metafisico. Però proprio il pensare, da lui inteso in
senso ampio come intendere, sentire e volere che si esplicano nell’attività
spirituale umana, esige il livello della purezza coscienziale. Come abbiamo
visto in precedenza, per il Carabellese l’assolutizzazione della. Cfr. A.
Schopenhauer, La dottrina dell’idea, antologia a cura di E. Mirri, Armando,
Roma. dimensione spazio-temporale, ossia del limite, condurrebbe
all’annullamento dell’attività spirituale umana. Il Carabellese non intende
semplicemente opporre la propria concezione a quella fichtiana, ma intende
condurne all’estremo le conseguenze, ipotizzando una sorta di esperimento
mentale. Infatti, se l’Io si ritenesse assoluto e si arrogasse il diritto di
sopprimere il tu, riducendolo soltanto a sua esperienza, allora «rimarrebbe sì,
solo Io, ma solo in quanto avrebbe soppresso il tu e quindi anche l’esperienza,
che egli ne ha: non ci sarebbero più i tu, che egli dovrebbe dimostrare essere
soltanto io empirici: gli altri non sarebbero empirici, non ci sarebbero. Or
senza i tu (altri) ci sarei ancora io (uno)?»18. In realtà, per il Carabellese
c’è un'unica soluzione, che esclude la fine tragica della disputa: «Non c’è
dunque altra via d’uscita da esso, se non quella che io non mi contenti di
ricambiare la tuità, ma gli ricambi proprio la meità, riconosca in lui non un
tu posto da me (Fichte) ma un altro io, e perciò mentre gli riconosco la meità,
che egli non mi riconosce, gli contesto il diritto di trasformarsi in Io
assoluto, mostrandogli che così egli sopprime se stesso come io, e nega
l’assoluto facendolo, lui, sapere e parlare come Io»19. Dio, ossia l’Unico, non
è soggetto, ma come qualità infinita, costituisce l’essenza di cui i molti
soggetti sono individuazione o moltiplicazione, con tutti i problemi che ne
conseguono20, compreso il possibile l’esito fichtiano. Secondo il Carabellese
si può dire che «sono l’identico io proprio perché siamo due»: se fosse
eliminato il tu come altro me, riducendolo ad esperienza, sarebbe eliminato
anche quel consentire in cui consiste la stessa esperienza. Non solo
l’esperienza richiede la dimensione comunitaria, ma in generale il pensare, che
è essenzialmente un convenire, un cum-sapere21 l’Universale, Dio. Quel cum non
è un'aggiunta irrilevante, in quanto la dimensione intersoggettiva,
comunitaria, è essenziale a tutte le forma dell’attività spirituale umana. «Ci
sarà – afferma il Carabellese –, anzi c’è senza dubbio, quella empirica
alterità, nella quale ciascuno di noi presenta all’altro un insondabile residuo
di meità intraducibile in esperienza dell’altro, ma questa intraducibilità, che
è il limite che la meità ha nella esperienza, non prova che l’alterità sia
soltanto di esperienza e non pura, ma prova precisamente, il contrario, e cioè
che, a fondamento dell’alterità empirica, c’è l’alterità pura come schietta
egoità, prova che il limite empirico, che separa me da te, persone viventi, non
è la stessa alterazione pura di noi altri due, ciascuno singolare; io,
alterazione pura, per la quale ciascuno, con la propria unità è immesso
nell’altro uno, Cfr. F. Valori, Il problema dell’io in Pantaleo
Carabellese. Cfr. in proposito P. Carabellese, La coscienza. immissione, senza
della quale è assurdo non solo l’innegabile consentimento ma anche la
divergenza di noi nell’alterità nostra; consentimento, e divergenza, per i
quali noi, ciascuno come altro, siamo tanti soggetti dell’Unico, che è
immanente a noi molti»22. La differenza fra le egoità si dà solo a livello
empirico, a livello trascendentale e metafisico i soggetti sono identici,
interi23 e, nello stesso tempo infinitamente penetrativi24. Carabellese
contrasted the rock of concrete, temporal, plural, relational being in the
light of which the problem of the origin, of the foundation, of validity cannot
be given up, with the sand of historicist becoming, of the historicist
succession of the facts in which law and value coincide with the succession
itself. The metaphor of sand and rock used by the same Carabellese in his later
writings is taken up by Semerari in the title of a book of 1982 dedicated to
critical ontologism. This metaphor gives us a good idea of the fundamental
theoretical instance relating to the problem of history. Such a theoretical
instance is asserted by Carabellesian ontology in its opposition to historicism
through the ontological recovery of time and of existence and by contrast as
well with the interpretation, traceable in Heidegger, of time and existence as
the outside, as the not of meta–temporal and meta–existential Being, that is,
as its decayed phenomena21.”La responsabilita profonda, grave, se una se ne
vuol trovare, e questo aver SCAMBIATA LA SABBIA DELL’IERI, OGGI, E DOMANI,
SEPARATI, AVER SCAMBIATA LA SABBIA DEL “FUI” PER LA ROCCIA DELL’ “ESSERE” -- l’eterno – nell’eterno -- nella roccia,
l’ieri, l’oggi, e il domani non sono separati ne successivi – la copula S EST P
– non S FUI P --. La responsabilita profonda e di questa coscienza storicista,
che si resolve appunto nel credere che tutta la CASA umana sia FATTA SU SABBIA
[on sand, not on rock]– e DI SABBIA. Abbandoniamo questa coscienza storicista
di Croce, che spessso si nasconde, forse piu intransigente anche nel dommatismo
ultramondano degl’ANTI-STORICI, che pur soltanto UNA SABBIOSA STORIA (la storia
della semiotica, la storia di Vitruvio) concedeno all’umana attivita
consapevole. CERCHIAMO LA ROCCIA al di sotto di questo SGRETOLAMENTE (la
greta), che sono i successive e separati ieri, oggi, e domani. CI riuscira
forse cosi di ritrovare il fondamento e di trarre anche dallo SCAVO DI
FONDAZIONE, PER LA COSTRUZIONE DELLA NOSTRA CASA, materiale piu atto che non
sia quello datoci dal SABBISO SUCCEDERSI DI ETA UMANE E COSMICHE. Certo nessuna
costruzione noi uomini pensanti possiame fare SULLA ROCCIA se queso nostro
PENSARE NON TOCCA LA ROCCIA. Nessuna costruzione possiamo fare se nostro
pensare no ha LA ROCCIA A SUO INTIMO FONDAMENTO. Ma tanto meno potremo alcuna
costruzione fare SE INTENDIAMO FARLA CON POLVERE di idee che si facciano
sorgere o tramonatre con la storia. Su Polvere e di polvere non si costruisce.
Si COSTRIUCE SOLO CON PIETRA [stone] DURA [hardened – D. Paul] SULLA ROCCIA.
ROCCIA E L’ESSERE SPIRITUALE CHE *dura* -- durazione, duro – ETERNO.” 24 Omnis ergo, qui audit verba mea haec et
facit ea, assimilabitur viro sapienti, qui aedificavit domum suam supra
petram. 25 Et descendit pluvia, et venerunt flumina, et flaverunt venti
et irruerunt in domum illam, et non cecidit; fundata enim erat supra petram. 26
Et omnis, qui audit verba mea haec et non facit ea, similis erit viro stulto,
qui aedificavit domum suam supra arenam. 27 Et descendit pluvia, et
venerunt flumina, et flaverunt venti et irruerunt in domum illam, et cecidit,
et fuit ruina eius magna ”.Pantaleo Carbellese. Keywords: la sabbia e la
roccia – il segno, lo scandalo del significato, io/tu, Husserl,
intersoggetivita, intersoggetivo, interpersonal, interattivo – interazione,
azione sociale – orientazione all’altro, razionalita strategica, razionalita
comunicativa, complessita intensionale, il significato, i significati,
l’nsieme, la comunita, il noi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carabellese” –
The Swimming-Pool Library.
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