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Monday, April 8, 2024

GRICE E CARLINI: L'IMPLICATURA CONVERSAZIONALE DELLA FILOSOFIA FASCISTA -- FILOSOFIA ITALIANA -- LUIGI SPERANZA

 

 

Grice e Carlini: l'implicatura conversazionale della filosofia fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “I love Carlini, and Speranza loves him even more,  but then he is Italian! My favourite is his “A brief history of philosophy,” especially the subtitle: “Da Talete di Mileto a Talete di Mileto, con una postfazione di Talete di Mileto – “Nel principio era l’acqua”!” – “Il primo filossofo – che cadde in un pozzo.” Si laurea a Bologna (“l’unica universita italiana”) sotto Acri. Insegna a Iesi, Foggia, Cesena, Trani, e Parma. E chiamato presso Pisa per sostituire Gentile, trasferitosi a Roma, come titolare della cattedra di filosofia teoretica. Membro dell’Accademia d'Italia. Inizia a farsi conoscere assumendo la direzione di una collana edita da Laterza che inizialmente venne lanciata sotto il nome di “Testi di filosofia ad uso dei licei”. Ad introdurlo nella Laterza fu Gentile, conosciuto qualche anno prima, e Croce, all'epoca ancora in rapporti col filosofo di Castelvetrano. “Testi di filosofia ad uso dei licei” ha un scopo divulgativo, ma divenne presto celebre per l'alto livello degli autori che collaborarono in vario modo al suo interno, fra cui, oltre al Carlini, anche Saitta e lo stesso Gentile. Oltre al lavoro di direzione e coordinamento in qualità di direttore responsabile, pubblica due saggi su Aristotele (in realtà raccolte aristoteliche da lui curate, commentate e tradotte) cui fece seguito uno studio su Bovio che desta l'interesse di non pochi studiosi e l'approvazione di Gentile, considerato da Carlini suo tutore indiscusso. Pubblica due corposi volumi che gli assicurarono un posto di assoluto rilievo nell’ambiente filosofico: un esaustivo studio sul sense e l’esperienza, e soprattutto “Lo spirito”.  In “Lo spirito” si inizia infatti chiaramente a delineare il proprio pensiero: adesione alla dottrina idealista, vista come sintesi fra il pensiero immanentista gentiliano (Gentile fu, fino alla propria scomparsa, suo amico, oltre che tutore) e quello crociano. Il soggetto attraversa un costante irto di dubbi ed angosce e un dialogo che riusciamo ad instaurare con noi stessi, in un percorso critico dialettico, una conquista realizzabile solo attraverso gli strumenti di una metafisica critica. La centralità della teoria della conoscenza e sviluppata in “Lineamenti di una concezione realistica dello spirito umano” e “Alla ricerca di noi stessi”, “alla ricerca di tu”. Comprensibile appare pertanto l'interesse che nutre per l'esistenzialismo, che però si espresse con una singolare preferenza verso Heidegger, nelle cui speculazioni trovarono ben poco posto le istanze metafisiche, piuttosto che nei confronti di Jaspers che su quelle stesse istanze aveva strutturato la propria filosofofia. Commenta il pensiero logico di Heidegger, e Che cos'è la metafisica? (“La nulla anihila”). Rende un commosso omaggio a Gentile con i suoi Studi gentiliani, raccolta di scritti in massima parte già pubblicati precedentemente, tesi a ricordarne la figura e le affinità intellettuali che un tempo lo avevano legato al grande filosofo siciliano. “Bovio” (Bari, Laterza); “Senso ed esperienza” (Firenze, Vallecchi); “Lo spirito” (Firenze, Vallecchi); “Note a la metafisica d’Aristotele” (Bari, Laterza); “Filosofia” (Roma, Quaderni dell'Ist. Naz. di Cultura, ser. 4; 5); “Il mito del realism” (Firenze, Sansoni); “Lo spirito” (Roma, Perrella); Filosofia (Roma, Ist. Naz. di Cultura, 2); Il problema di Cartesio, Bari, Laterza); Storia della filosofia, Firenze, Sansoni); “La Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi filosofici” (Firenze, Sansoni); Le ragioni della fede, Brescia, Morcelliana); Michelino e la sua eresia” (Bologna, Nicola Zanichelli). Dizionario biografico degli italiani. l'architrave 4    ala I ai Mi L. LL    a cura di  alberto schiavo       Gy  giovanni volpe editore  FUTURISMO E FASCISMO. Una fotografia inedita di Marinetti mentre si esercita  al poligona di tiro di Gorizia nel 1915. Marinetti e Russolo si erano  arruolati volontari nel « Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti » il  3 agosto 1914 per poi combattere da alpini sul Monte Altissimo. In  seguito Marinetti verrà assegnato ad un reparto di autoblindate e poi  servirà nei bombardieri. Sarà tre volte ferito e tre volte decorato  al valore.    © 1981. Tutti i diritti riservati. Giovanni Volpe Editore  in Roma — Via Michele Mercati, 51 — Telefono 87.31.39    FUTURISMO E FASCISMO    a cure di    ALBERTO SCHIAVO    GIOVANNI VOLPE EDITORE    FUTURISMO CON E SENZA FASCISMO    «A Giacinto Menotti Serrati allora direitore del-  l’Avanti, che si era recato in Russia per respirare  aria comunista. Lenin affermò: “Voi socialisti non  siete dei rivoluzionari. In Italia ci sono soltanto tre  uomini che possono fare la rivoluzione: Mussolini,  D'Annunzio, Marinetti”. Il povero Giacinto Me-  notti, inotridito, ritornò a Milano precipitosamen-  te. E. quando, paco dapo, un capo scarico con un  magistrale colpo di forbice gli tagliò di netto, per  beffario, Ia veneranda barba, reagì in questo modo:  facendo proclamare nella grande città lombarda lo  sciopero generale. I milanesi orripilarono, è il caso  di dirlo, perché si sentirono da quel giorno appesi  ai peli del direttore dell'Avarti »    EmiLio SErTIMELLI, Mille giudizi di statisti, scrit-  tori, giornalisti, scienziati, industriali di Cinquanta  Stati sulla personalità e misstone di Mussolini, Edi.    zioni Erre, Milano, 1945, XXIII faprile).    1. Quale futurismo?    Il futurismo è ormai un fatto d’esportazione: italiano  d'origine pur se si è cercato di farlo passare per francese  e russo poi di acquisizione e di affermazione, è ormai  alla ribalta dell’esperimentazione artistica americana. Se-  gno questo che il fenomeno è vitale e ancora carico di  prospettive, nonostante la « storicizzazione » di un avve-  nimento che fu d'avanguardia. Ma quale avvenimento?  Il manitesto del futurismo fu pubblicato sul parigino Le Figaro. Si tratta di un manifesto letterario di rinnova-  mento e di rivoluzione, se vogliamo, della tradizione clas-  sicista e « passatista » {secondo un termine caro ai futu-  risti) dominante.   Gli aspetti politici non furono tuttavia estranei alla    sua volontà di rivolgimento letterario ed artistico. Ci  sembra quindi giusto prenderli in considerazione, eftet tuarne un esame. Anzi, è proprio di questi che ci vo-  gliamo occupare, del loro svolgersi, articolarsi 0, comun-  que, manifestarsi nel corso del tempo e della vita del fu-  turismo. Che, in fondo, ancora oggi è accettato o respinta,  condiviso o negletto, « approvato » o denigrato a seconda  delle posizioni o degli intendimenti politici del momento.  Ma anche è ticonsiderato, tivisto e « rivisitato » nel suo  complesso, da tutte le parti, vicine e lontane, amiche ed  avverse, per la carica vitale e rinnovatrice che lo anima,  suscitatrice di nuovi spiriti e ancòra, in fondo, moderna.   « La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pen-  sosa, l'estasi e il sonno », scriveva Marinetti in quel Mani  festo di settanta e più anni fa. « Noi vogliamo esaltare il  movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di cor-  sa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno». E non è  già atteggiamento letterario « aggressivo », ma anche di  rinnovamento, questo? Non è, come si suol dire ancora,  « fare politica »? Al settimo punto del Manifesto, Ma-  rinetti così continuava: «Non c'è più bellezza, se non  nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere ag-  gressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere  concepita come un violento assalto contro le forze ignote,  per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo ». Per conclu-  dere poi con l'undicesimo: « Noi canteremo le grandi fol-  le agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa; can-  teremo le maree multicolori e polifoniche delle rivolu-  zioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fer-  vore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da  violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici  di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole... ».  E tutto questo cantava e diffondeva da Parigi, da uno  dei più gloriosi quotidiani della capitale francese; ma cio-  nonostante « ...è dall'Italia, che noi lanciamo pel mondo  questo nostro manifesto di violenza travolgente e incen-  diaria, col quale fondiamo oggi il “Futurismo”, perché  vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena  di professori, d’archeologi, di ciceroni e di antiquari ».    Un grido così coinvolgente e totale non può, in fon-  do, non trascinare ancora gli osservatori della cultura,    A       non invitarli almeno a prendere posizione, poco importa  se favorevole o contraria. Non si può rimanere indiffe-  renti ancora negli Anni Ottanta, non sentirlo tutt'ora pre-  sente nei suoi contenuti « prospettici » e attuali. Ecco  perché tutti lo hanno ripreso, riconsiderato o « riabilita-  to» alla loro dimensione storica: liberali e comunisti,  socialisti e conservatori, cattolici e radicali, fino alla « nuo-  va destra ». Anche noi, vorremmo quindi riesaminarlo a  distanza non però per riappropriarcene, ma solo per ve-  dere la sua origine, il muoversi storico e la collocazione  politica nel corso della sua esistenza, che in fondo, è an-  cora incerta e anche, in parte, controversa.    Si è parlato d’irrazionalismo filosofico, di decadenti-  smo o di romanticismo letterario, di surrealismo con evi-  dente errore di collocazione, di nietschianesimo natural  mente, o di bergsonismo ecc. ecc. Ma non sta a noi que-  sto compito, perché siamo convinti che rutto si potrebbe  dite, o comunque tutto si potrebbe adattare in buona  combinazione di purpurie filosofica, o di pensiero. E in-  vece è il futurismo che vorremmo considerare nella sua  realtà storica, nella sua entità e valenza « politica », di  fianco o a distanza di quel fascismo con cui bene o male  si è accompagnato. Anche se ciò non basta certamente  per avere un'idea chiara e precisa della sua effettiva por-  tata e del suo valore « storico ». Perché il futurismo va  visto sì nel suo tempo, che non è poi tanto passato, pur  se non è più momento dell’oggi; ma va visto anche nella  sua prosecuzione e nella sua proiezione al tempo presen-  te, sia pure per quel che riguarda la « dimensione d’arte ».   Il futurismo oggi non è più un fatto politico, ma è  tuttora fatto culturale, e diverse manifestazioni e pubbli  cazioni lo dimostrano ancora. Quando nacque, fu espres-  sione rivoluzionaria di un paese giovane e « nuovo » mos-  so dalla felice conclusione dei fermenti unitari, i quali  — è ovvio — comportano sempre semi di sconvolgimen-  to e di « rinnovazione ».   L’« Italia di Vittorio Veneto » sancità definitivamente  ed epicamente il ciclo dell’unità e segnerà così anche, nel  l'immediato dopoguetra, il momento di temperatura massima del « futurismo politico », che vedremo poi ricadere  in seguito completamente a zero.   Oggi, in tempi di riflusso dopo una guerra perduta  anche se ormai lontana, il futurismo risulta meno com-  prensibile e meno « attuale » alla nostra capacità d'in-  tendimento storico. Ma a ben osservare possiamo ancora  intravvederlo, per intendere poi anche meglio il futurismo  artistico e letterario, che del tutto estraneo a quello « po-  litico » proprio non è.   La cultura è un fatto del presente, ma anche dell’av-  venire. Come tale è o dovrebbe essere giovane, perché  vissuta, voluta, « creduta » e quindi guardata in prospet-  tiva nella visione dell’oltre, nell'ottica di uno sguardo lon-  tano. Il futurismo si pone in questo «taglio » di visuale  sull'inizio del secolo, e si focalizza in tale dimensione.  Vuole aprire una nuova strada e vuole porgere un'indi-  cazione, una proposta.   Erano i tempi del progresso, dello sviluppo della scien-  za e dell'industria, del nascere della velocità dei nuovi  suoni e dei nuovi rumori, quelli delle scoperte e delle  invenzioni, del cinema e dell'aviazione. Marinetti percepì  tutto questo e lo espresse. E fondò il futurismo, pose  le sue basi e cantò la sua prima voce. Nessuno forse  s’aspettava o s'immaginava che potesse riuscire a trovare  ascolto. Marinetti però viveva a Parigi a quel tempo, e  seppe approfittare dei contatti che aveva con la cultura  rancese per lanciare il Manifesto: fu un'occasione, e fu  anche un lancio sicuro.    2. Futurismo e « passatismo »    Esiste ancora oggi il « passatismo », quello di mari-  nettiana memoria. E se è pet questo c'è ancora il futu-  rismo. Proprio per tale suo aspetto, dunque, il futurismo  è ancora attuale: la decadenza della cultura o il suo in-  vecchiamento, e la sua inadeguatezza ai tempi; il preva-  lere per contro dell'accademia, della pedanteria, del vec-  chiume cattedratico sono sempre all'ordine del giorno.    ®    Il futurismo, quindi, non ha esaurito il suo compito, ov-  vero non è riuscito nel suo intento. E allora dovremo dire  che non è morto ed è tuttora attuale. Ma prima di aprire  un'ipotesi di «nuovo futurismo », dovremmo esaminare  quello passato, fattosi movimento d'avanguardia, e ormai  da ridefinirsi vera e propria avanguardia storica, solo ed  esclusivamente.   Il « passatismo » può essere oggi solo un « fatto di  ritorno », o esser rientrato ad occupare il suo campo d'’ori-  gine, ma il futurismo settanta anni fa aveva già conosciu-  to quello di allora, tanto da indicarlo e da definirlo, con  una sua caratteristica espressione: passatismo, appunto.  E non si trattava anche allora di una cultura ripetitiva  e monocorde, puntualizzatrice e pedante, noiosa e inat-  tuale? Allora come oggi: una cultura fuori dal tempo,  sterile e ferma. E il futurismo aveva voluto muoversi a  rinnovarla, a darle nuova spinta vitale. Ecco allora le  sue invettive contro l’accademismo o il professorume, i  suoi appelli alla distruzione di musei, archivi, biblioteche.   Si trattava di appelli squisitamente letterari, ma sono  stati presi il più delle volte alla lettera o in senso lette-  rale, per farne atto d'accusa al futurismo e alla sua anti-  cultura. Leggendo al di là delle righe, invece, dovremmo  capire la portata o la dimensione del messaggio, rivolto  agli uomini più che ai musei e alle accademie, o almeno  a certi uomini capaci di rappresentare solo ed esclusiva-  mente cultura da museo.   Sulla spinta di questo stimolo « ideologico », era fatale  che il movimento trovasse più facili accoglienze 0 acco-  stamenti con le parti politiche d’azione, quelle dell'inter  vento prima della Grande Guerra, e dell’arditismo prima  durante e dopo il conflitto. La guerra veniva ormai intesa  sola ed unica «igiene del mondo », ed era logico che i  futuristi si accostassero a lei, come ad una forza capace  di debellare ed estirpare il tanto inviso « passatismo ».  I futuristi quindi furono interventisti accanto ai naziona-  listi (D'Annunzio) ed ai socialisti di Corridoni e di Mus-  solini. La ineluttabilità della storia accosta spesso e vo-  lentieri i « differenti ». Furono vicini nei comizi, nelle  manifestazioni, nella propaganda per l’intervento.  E poi partirono, praticamente tutti 1 futuristi, volontari per il fronte di una guerta che avevano inteso e visto  aggressiva, purificatrice e moderna. Una guerra al passo  coi tempi, si direbbe oggi, una guerra insomma « futu-  rista ». Partì Martinetti e partì Boccioni, partirono Funi  e Sitoni, partì Sant'Elia, che lasciò i suoi 23 anni in trin-  cea sulle colline del Carso. Erano entrati tutti e cinque  « compatti » in quel glorioso battaglione ciclisti, che tan-  to fece patlare di sé, e che Funi rittasse in un famoso  quadro. Anche Boccioni morirà in ospedale a Verona.  La vita fu forse la massima offerta all’« igiene » di una  guetra tanto desiderata.    Il futurismo in quanto fermento rinnovatore di una  lotta nazionale che concluse il Risorgimento, potrebbe es-  sere inteso come un epigono del Romanticismo. Fu in-  vece di più e di meglio, visto in altra dimensione o in  altro significato. Perché fu avanguardia, anzi il primo ve-  to e proprio movimento d’avanguardia culturale del nuo-  vo secolo. E l'avvento del fascismo in senso politico, di-  mostra in fondo che lo sbocco di tutto quel rivolgimento  innovativo 0 avanguardistico che tutti sentivano e « avevano  nel sangue », era diventato una ineluttabile necessità del  momento.    L’irreggimentazione del fascismo è un fatto successiva,  indipendente dal futurismo. Il fascismo-regime, per dirla  con De Felice, è un'esito autonomo e « solitario » di Mus-  solini e del potere. Il fascismo-movimento invece, sempre  per dirla alla De Felice, no. I) fascismo-movimento è una  realtà più complessa, articolata e multiforme, più sentita e  partecipata. Ed in essa entra il futurismo, che « vive » il fa-  scismo ma anche lo anima, che Jo vuole in parte, ma anche  lo informa.    Il « passatismo » doveva essere stroncato: e in un  primo momento, con l'avvento di Mussolini, languì. La  cultura subì uno svecchiamento non indifferente ed il fer-  mento del nuovo portò sulla scena uomini « giovani » ac-  cantonando | « vecchioni » dell'accademia libera!socialista.  Balla, Carrà, Soffici, Funi, Sironi, Prampolini si afferma-  rono col vento futurista che stava soffiando. Ed ebbero spazio nelle mostre, almeno in un primo momento, aper-  tura nei musei, apprezzamento all’estero, dove vennero  accolti, ammirati, imitati. Il futurismo ebbe una grande  forza vitale sua, autonoma e individuale. Senza per que-  sto imporsi e schiacciare la « concorrenza », anzi. I fu-  turisti accettatono nuove esperienze ed accolsero scambi  con avanguardie straniere (come l'astrattismo), che vol.  lero mutuare in reciprocità l’influenze. Il fascismo fu l’avan-  guatdia collaterale politica del futurismo, che tuttavia que-  st'ultimo cronologicamente precedette e « ideologicamente »,  almeno in parte, ispirò. La lotta al « passatismo » diven-  ne così quasi simbolo del fascismo, che si fece portaban-  diera del rinnovamento e della nuova rivoluzione nazio-  nale.   I « professori », non avendo messaggi originali da con-  trapporre, rimasero in disparte. Marinetti divenne acca-  demico d’Italia a fascismo avanzato e, forse, suo malgra-  do. Tuttavia « usò » l'Accademia per promuovere ed ap-  poggiare i « suoi » futuristi, per dar loro spazio nelle di-  verse manifestazioni d’arte e di cultura. Il filosofo Croce,  « professore ad honorem », era stato proposto alla presi-  denza dell’Accademia, ed era stato proposto da parte fa-  scista, quando ancora da Napoli applaudiva a Mussolini:  ebbe invece più consensi la presidenza Marconi, lo scien-  ziato, e Croce si ritirò nell’antifascismo, forse mi litante,  della sua incensurata e liberissima Critica. Croce fu « pas-  satista », 0 tortò ad essere tale dopo una parentesi {od  un tentativo di rivolgimento innovativo), che non lo sot-  trasse tuttavia dalle « carte » della sua più o meno im-  mobile filosofia.    3. Futurismo e politica    La comparsa « politica » del futurismo fu praticamente  contemporanea alla sua nascita «artistica: infatti avvenne  in occasione delle elezioni del 1909, quando Marinetti  lanciò il suo Primo Manifesto Politico, che così si rivol-  ge agli « Elettori Futuristi »: « Noi Futuristi invochiamo da tutti i giovani ingegni d’Italia una lotta ad oltranza  contro i candidati che patteggiano coi vecchi e coi preti ».  Posizione confermata nel marzo dello stesso anno in un  famoso Discorso ai Triestini tenuto al Politeama Rosset-  ti, della città giuliana, dove così sottolinea: « In politica,  stamo tanto lontani da] socialismo internazionalista e an-  tipatriottico — ignobile esaltazione dei diritti del ven-  tre — quanto dal conservatorismo pauroso e clericale,  simboleggiato dalle pantofole e dallo scaldaletto ». Sono  le premesse del famoso anticlericalismo marinettiano, che  sfocerà poco dopo nello « svaticanamento » tanto predi-  cato per la salvezza nazionale.    Nel 1910, dopo la nascita del futurismo politico, vie-  ne fondato il Partito Nazionalista Italiano, antidemocra-  tico ed antiborghese. Nel 1913 nasce Lacerba, cui diede-  ro vita a Firenze Soffici e Papini, la rivista che in pra-  tica divenne ben presto organo ufficiale del futurismo /ato  sensu. Sempre nel 1913 sorgeva a Napoli un’altra rivista  futurista, diretta da Ferdinando Russo e intitolata Vele  Latina, che si ergeva in un primo tempo a voce di pa-  sizioni morigerate e tranquille, e poi dal 1915 più spinte  nella mischia dell'intervento.   Ancora del ’13, e dell'11 ottobre per l'esattezza, è  la pubblicazione del Programma politico futurista a firma  di Marinetti, Boccioni, Carrà e Russolo, per le elezioni  dello stesso anno. « Questo programma vincerà », s'in-  dica al margine inferiore del foglio, «il programma cle-  rico-moderato-liberale » e «il programma democratico-re-  pubblicana-socialista ». Cosa che poi in realtà non av-  venne.    Il 12 dicembre dello stesso anno Marinetti pronun-  ciava un discorso al Teatro Verdi di Firenze, dove sao-  stiene la volontà di appoggiare l'impresa libica ed il suo  felice compimento. Il discorso viene immediatamente ri-  preso e pubblicato da Lacerba, nel numero del 15 dicem-  bre (n. 24, anno I): « Si convincano i socialisti che noi  rappresentanti della nuova gioventù artistica italiana com-  batteremo con tutti i mezzi e senza tregua i loto vigliac-  chissimi tentativi... » iniziava il discorso; e così concludeva, a rafforzamento delle sue inconciliabili posizioni:  « Noi siamo dei nazionalisti futuristi e perciò ferocemen-  te avversi all’altro grande pericolo imminente: il clerica-  lismo con tutte le sue propaggini di moralismo reaziona-  sio, di repressione poliziesca, di professoralismo archeo-  logico e di quetismo rammollito o affatismo di partito ».  Ormai la collocazione del movimento è quanto mai chia-  ra e inequivocabile.    4. Futuristi e « fiorentini »    Che i futuristi fossero « milanesi » è problema tutto  da vedere, anche se è vero che Marinetti abitava a Mi-  lano e che dopo la fondazione del movimento a Parigi  fu a Milano il suo centro di spinta e di irradiazione.  Ma i legami con Firenze furono ben presto agganciati,  e determinanti. Scrive Luciano De Matia: « Fsiste un fu-  turismo milanese (con Marinetti e Boccioni in simbio-  si); esiste un primo futurismo fiorentino lacerbiano, che  assimila, elabora in modo nuovo, creativo, le istanze mi-  lanesi; esiste un secondo futurismo fiorentino (la « pattu-  glia azzurra »; i giovani de L'Italia futurista) psicologico,  occultista, predadaista e presurrealista. E potremmo con-  tinuate nelle differenziazioni »”.   Ma non è tanto per questo tipo di differenziazioni che  ci interessa il futurismo fiorentino, quanto per la dimen-  sione « politica » dei personaggi che vi aderirono, diversa  da quella di Marinetti e degli altri futuristi milanesi o  degli altri politici che a Milano operavano e si muove-  vano (Boccioni, Sant'Elia, Balla; più tardi poi, Vecchi  e Mussolini). Milano era già città d'avanguardia e alla  guida dell’industrializzazione settentrionale: questo non va  dimenticato.   Firenze era ancora « passatista », accademica e salot-  tiera; legata comunque ad una cultura d’indagine e di    ! Tuciano De Maria, Palazzeschi e l'avanguardia, Mondadori,  Milano, 1968, pag. 31. riesumazione di un passato ricco e glorioso, ma ormai ri-  petitivo e sclerotizzato. Firenze tuttavia era anche la terra  feconda del primo Novecento, delle nuove riviste, dei  tentativi di rivisitazione di una cultura pur sempre na-  zionale, e di lancio dell'avanguardia sullo scorcio del nuo-  vo secolo, che andava creato e costituito, Il Leonardo apre  le sue tirature il 4 gennaio 1903, per chiuderle poi nel-  l'agosto del 1907. Era stato Papini a fondarlo, ma c’era  già anche presente Prezzolini (Giuliano il Sofista). Che  poi mise in piedi La voce nel 1908: uno dei migliori ten-  tativi di collegamento delle forze intellettuali e di fon-  dazione di un minimo denominatore comune, letterario e  politica {idealismo e sindacalismo socialistico di tipo so-  reliano). Papini continuò la « collaborazione ». Ma vi fu-  rono anche, sulle pagine de La Voce, Amendola e Sal  vemini, Soffici e De Robertis, oltre che il futuro fonda-  tore de Il Popolo d’Italia e del Fascismo.    La Voce chiudeva però i battenti nel 1912 senza ec-  cessiva eco politica immediata. Papini non aveva condi-  viso certe alleanze del suo amico Giuliano il Sofista, come  non condivideva l'intento didascalico e divulgativo della  Voce su qualsiasi argomento artistico e sociale, come an-  che « idealistico ». Si unì a Soffici di cui condivideva gli  atteggiamenti, ed insieme fondarono Lacerba (il 1° gen-  naio del 1913, sempre a Firenze). « Non si volge chi  a stella è fisso! », portava come motto il Leonardo sotto  la testata. Volendo dare tono battagliero a Lacerbae, Pa-  pini forse ancora seguiva le prospettive d’arte e di cul-  tura del Leonardo. Anche se in una dimensione « attiva »  che già i « leonardiani » avevano inteso fondare nell’uti-  lizzazione del pragmatismo come « strumento di poten-  za ». (« In quegli anni tutti vollero sapere che cosa fosse  il pragmatismo »).  Lacerba riprende l’impostazione di  battaglia, tipica di Papini, e ritotna all’orientamento spe-  cifico dell’arte.       ? Vedi anche Giovanni Papini, Pragmatismo, Firenze, Vallec-  chi, 1927.    14    In questo contesto è evidente che non poteva man-  care l’incontro col futurismo.   La scazzottatura dei futuristi con Soffici e i vociani  nel 1911° non poteva aver contribuito all'incontro? Po-  trebbe darsi, anche se Papini non vi aveva partecipato,  come Marinetti stesso asserisce in una sua lettera a Pra-  tella. Sta di fatto che col 15 marzo del 1913, cioè col  suo sesto numero, Lacerba diventa futurista. Con un ar-  ticolo proprio di Papini dal titolo Contro il futurismo che  dal famosa attacco iniziava così: « Il futurismo italiano ha  fatto ridere, urlare e sputare. Vediamo se potesse far pen-  sare». Segue un passo di Boccioni sul «fondamento plastico  della scultura e pittura futurista». Proprio Boccioni che ave-  va investito Soffici col suo celebre pugno, poco più di  un anno prima a Firenze. E che continuerà a pubblicare  articoli sul numero del 1° di aprile e su quello del 1° di  agosto e poi sul primo numero del 1914, ecc. Per non  parlare di Carrà, Marinetti, Russolo, Sant'Elia, Auro d'Al-  ba, ecc., che porteranno continuamente i loro contributi.   Il 15 ottobre del ’13 Lacerba pubblicherà addirittura  il citato Programma politico futurista in occasione delle  elezioni generali. Il manifesto politico compare in prima  pagina con tutti i crismi d'appoggio o di affiancamento  della rivista. Papini ne dà un commento più che « sod-  disfacente ». E lo stesso Papini il 1° dicembre dello stes-  so anno uscirà poi con un lungo articolo intitolato Perché  son futurista. Sarà l’atto di accettazione definitiva del fu-  turismo, od il suo accoglimento più completo, e « globale ».    1 Su La Voce Soffici pubblica il 1° aprile del 1909 la sua Ri-  cetta di Ribi Buffone. Vi si elencano gli ingredienti del neonato  futurismo: « Un chilo di Verhaeren, 200 gr. di Alfred Jarry, cento  di Laforgue, trenta di Laurent Tailhade, cinque di Viélé Griffin, un  pugno di Morasso..., una presa di Pascoli », aggiungendovi poi « una  pila di undici automobili, sette aetoplani, quattro treni, due carghi,  due biciclette, diverse batterie elettriche e qualche candela arden-  te». Sempre su La Voce Soffici pubblicherà poi nel ‘10 e nell’11  dei rendiconti negativi sulle opere futuriste esposte a Venezia e a  Milano, per cui sarà decisa la spedizione punitiva a Firenze da par-  te dei fuiuristi,   Non molti giorni dopo, il 12 dicembre (lo ab-  biamo già visto), si tenne al Teatro Verdi a Firenze  una « grande serata futurista », di cui riporta il « reso-  conto sintetico » il numero 24 della rivista (del 15 di-  cembre 1913).   Non molto tempo dopo, però, il 15 febbraio del ’14,  appare sul quarto numeto del nuovo anno I! cerchio si  chiude, che avvia inesorabilmente al declino della colla-  borazione. Autore ne è ancora una volta Giovanni Papini,  che chiuderà definitivamente il « colloquio » sull'ultimo  numero dell’anno insieme a Soffici, cofirmatario de Il Fu-  turismo e Lacerba. E’ l'atto di chiusura di un « perio-  do »: quello, appunto, del futurismo lacerbiano. Rispon-  derà Boccioni il 1° di marzo sul numero 5 con Il cerchio  non si chiude; ma sono solo sussulti, e anche sugli ultimi  numeri dell'anno della rivista compariranno solamente i  cosidetti « canti del cigno ».   Il cerchio era ormai già chiuso. E non molto dopo  chiudeva anche Lacerba, nonostante i suoi ultimi tenta-  tivi interventisti di rivivificazione (1915) e le sue discri-  minazioni tta futurismo c marinettismo, che ne sarebbe  stata la versione deteriore‘. 1l marinettismo sarebbe pra  ticamente già morto secondo «i fiorentini », mentre il  futurismo avrebbe potuto tendere a mete migliori. Dopo  pochi mesi in realtà morirà definitivamente anche Lacerba.    5. Il futurismo e la guerra    Nel 1929 Marinetti ricordava così l’inizio della sua  « carriera interventista »: « Nel settembre 1914 dutante  la battaglia della Marna e in piena neutralità italiana, noi  futuristi organizzammo le due prime dimostrazioni contro  l’Austria e per l'intervento. Bruciammo il 15 settembre  nel Teatro Dal Verme e il 16 settembre in Piazza del       4 Cfr. Palazzeschi, Papini, Soffici, Futurismo e Marmnettismo, in  Lacerba, anno III, n. 7, 14 febbraio 1915, pp. 49-50. Duomo e in Galleria undici bandiere austriache ». Poco  prima di quegli avvenimenti, Mussolini aveva fondato il  suo nuovo quotidiano, I{ Popolo d’Italia. Contemporanea-  mente, sotto l'auspicio e il favore di Corridoni, i gruppi  rivoluzionari di sinistra, già pronunciatisi a favore della  guerra, si stavano organizzando per sostenere anch’essi  l'intervento. Come ricorda De Felice, «il 5 ottobre il  Fascio Rivoluzionario d'Azione Internazionalista avreb-  be lanciato il suo primo appello ai lavoratori italiani in  questo senso » * L'incontro tra futuristi e rivoluzionari  di estrema sinistra si stava verificando e « stringendo »,  anche se già confortato da reciproche simpatie per le uni.  voche posizioni anticlericali ed antiborghesi.  Mussolini scriveva dalla direzione de Il Fopolo d'Italia una lettera a Buzzi, che  riportiamo interamente: « Caro Buzzi, Boccioni vi avrà  detto — se mai vi avrà parlato di me — che tutte le  mie simpatie sono — anche nel dominio dell’arte — per  i novatori e i demolitori: per i “futuristi”. Inattesa, e  perciò gradita, mi giunge la vostra lettera riboccante di  simpatia. E’ questo uno dei momenti più amari della mia  vita. Ma vincerò. Vincerò. Lo sento. F' necessario. Ho  messo nel gioco tutta me stesso. Credetemi. Vostro Mus-  solini ».   L’amarezza gli è data probabilmente dall’espulsione  dal Partito socialista proprio per la posizione da lui assun-  ta a favore dell'intervento. La conoscenza da parte di  Mussolini, di Boccioni e del movimento d’arte d’avanguar-  dia di Marinetti, risultava sino a poco tempo fa inesistente.  La lettera, unica del genere, conferma la precedenza del  futurismo politico rispetto al fascismo ancora da sorgere,  che poi mutuerà da esso idee, elementi e programmi.   Le simpatie si manifestano per il dominio dell'arte,  al dire di Mussolini, ma non solo; c'è un « anche », che  indica chiaramente dell'altro e un'apertura, forse politi  ca, possibile nei confronti degli innovatori e dei « demo-    Renzo De Felice, Mussolini il Rivoluzionario, Einaudi, Tori. litori », vale a dire per i futuristi. Che ancora il 9  dicembre di quell’anno organizzano le prime manifesta-  zioni interventiste all’Università di Roma, sotto la guida  di Marinetti, Balla, Cangiullo e Depero. Qualche mese  dopo, nel ’15, le autorità di governo fermano Marinetti,  Cangiullo, Balla e Depero che avevano indetto una ma-  nifestazione interventista un’altra volta a Roma, in Piazza  Venezia. E' il primo « fermo politico » di Marinetti. Sia-  mo quasi alla vigilia della guerra.    Il 12 aprile 1915 si mette in piedi la « terza grande  dimostrazione interventista » davanti alla Camera dei De-  putati. E' presente anche Mussolini e si verifica uno dei  maggiori « momenti d’incontro » tra futuristi e Mussolini  sul terreno dell’intervento. Balla, Corra, Settimelli, Ma-  rinetti e lo stesso Mussolini vengono attestati. Tutti gli  sforzi ormai, tutte le volontà e tutte le energie sono con-  centrate verso un'unica e suprema meta: quella della guer-  ra. A Messina esce il nuovo periodico La Balze, e Ma-  rinetti pubblica il manifesto Guerra sole igiene del mon-  do, mentre il poeta futurista Auro d'Alba « lancia » a Mi-  lano per le Edizioni Futuriste di « Poesia » (« sostenute »  da Marinetti) il volume Baionette.    Con l’entrata in guerra nel maggio, a Fitenze Lacerba  interrompe — come si è visto — le pubblicazioni. Una  guerra che avevano tutti quanti, in un certo senso, pre-  parato con interventi, discorsi, giornali, manifestazioni e  pubblicazioni. Fra questi non va dimenticato il manifesto  del Teatro futurista sintetico, firmato da Martinetti, Corra  e Settimelli, nel quale, fra l’altro, così si legge: « Aspettan-  do la nostra grande guerra tanto invocata noi Futuristi al-  terniamo la nostra violentissima azione artistica sulla sen-  sibilità italiana, che vogliamo preparate alla grande ora  del massimo pericolo ». E più avanti: « Perché I’Italia  impari a decidersi fulmineamente a slanciarsi, a sostenere  ogni sforzo e ogni possibile sventura non occorrono libri  e riviste... La guerta, futurismo intensificato, ci impone  di marciare e di non marcire nelle biblioteche e nelle sale  di lettura. No: crediamo dunque che non si possa oggi  influenzare guerrescamente l'anima italiana, se non median-    18    te il teatro ». E in effetti, a partire dal gennaio del '15,  i futuristi avevano iniziato una serie di « Tournées di tea-  tro futurista interventista » per sostenere la necessità del-  l’intervento con un mezzo di comunicazione ben più po-  polare e « circolante » della letteratura.   Anche la «serata futurista », per esempio, è un al  tro canale o strumento di « incoraggiamento » dell'inter-  vento. Si tratta di una sorta di riunione o ritrovo di arti-  sti futuristi, uno dei quali sollecita gli intervenuti (pubbli-  co) danda uno spunto, e proponendo un tema, o aggre-  dendo qualche aspetto dell'arte del passato, da cui nasce  lo stimolo alla creazione e alla lotta del nuovo 0 del futu-  ro, e anche lo stimolo alla guerra che lo conduce sino alle  ultime conseguenze. Ma sentiamo Marinetti come la defi-  nisce quando si rivolge agli studenti in un altro manifesto,  di poco precedente a quello « teatrale », intitolato Im que-  st'anno futurista, rivelto agli « studenti italiani » e datato  29 novembre 1914. Laddove si esortano i giovani alla  guerra così si afferma: «... il futurismo segnò appunto  l’irrompere della guerra nell’arte, col creare quel fenome-  no che è la Serata futurista (efficacissima propaganda di  coraggio). Il futurismo fu la militarizzazione degli artisti  novatori ».   E la guerra arrivò, come A biamo visto, e per molti  versi fu vera e propria « guerra futurista ». In luglio par-  tiva il gruppo più consistente di « volontari »: Marinetti,  Boccioni, Russolo, Sant'Elia, Bucci, Carlo Erba e Funi.  Ma ci saranno al fronte anche Carrà e Sironi, fattosi futu-  rista nello stesso anno, e Piatti e Fortunato Depero.   Alla fine dello stesso anno Boccioni, Russolo, Sant’E-  lia, Sironi e Piatti, sempre sotto l'egida di Marinetti, fir-  mano un altro manifesto futurista, quello dell’Orgoglio  italiano, con cui si promettono pugni, schiaffi e fucilate  a quelli degli italiani che avessero manifestato in sé «la  più piccola traccia del vecchio pessimismo imbecille, deni-  gratore e straccione che ha caratterizzato la vecchia Italia  di mediocristi antimilitaristi (tipo Giolitti), di professori  pacifisti (tipo Benedetto Croce, Claudio Treves, Enrico  Ferri, Filippo Turati), di archeologi, di eruditi, di poeti  nostalgici. Sant'Elia muore al fronte, e Boccioni, una settimana dopo, per una caduta da cavallo durante un'esercitazione militare a Orte. Nasce a Firenze la  nuova rivista L'Italia futurista. Prampolini fonda con Fol-  gore il foglio d'avanguardia Awvenscoperta. Nel ’17 nasce  il periodico Deda, che tanto dovrà nell’ispirazione al no-  stro futurismo. I) 18 è ormai l'anno della vittoria. Depe-  ro realizza i suoi nuovi «balli plastici ». Bruno Corra  pubblica a Milano con i tipi dello Studio Editoriale Lom-  bardo Per l'arte della nuova Italia. Siamo infatti nell’Ita-  lia della vittoria.    6. Il Partito politico futurista    Nella nuova realtà del dopoguerra il futurismo cerca  una sua nuova collocazione politica più « pacifista », se  il termine non è nella fattispecie una contraddizione. Ai  fasti dell'intervento e della militarizzazione, succede un  nuovo intento programmatico di realizzazione. La prima  espressione di questa volontà è ancora una volta dovuta a  Marinetti che pubblica nel febbraio del ’18 un Manifesto  del Partito politico futurista, l'adesione al quale era libera  ed aperta a tutti coloro che avessero accettato i principî  del suo programma, indipendentemente dalle concezioni  dell’arte o dal consenso all’« estetica futurista ». E questo  indica una presa di posizione più ponderata e meno « di  rottura », almeno in senso sociale.   Il documento esprime, negli intenti, il desiderio di  rinnovamento di quelle fasce del combattentismo inter.  ventista, comprese fra i mussoliniani, i sindacalisti tivo-  luzionari, i socialisti e i repubblicani di sinistra, che avreb-  bero poi dato vita alla formazione dei Fasci di Combatti-  mento, quelli cui futuristi ed arditi avrebbero infuso la  prima linfa vitale. Si possono considerare punti essenziali  del nuovo programma l'estensione del suffragio universa-  le, comprendente anche le donne, la socializzazione della  terra con assegnazione ai reduci, la tassazione progressi-  va, l'abolizione dell'esercito e la sua professionalizzazione    20       (volontariato), la giustizia gratuita, la libertà di sciopero  e stampa, le otto ore lavorative e Î contratti collettivi di  lavoro, l'assistenza e la previdenza sociale, la « tecniciz-  zazione » clel parlamento e l’introduzione del divorzio. A  diffondere le idee del nuovo partito era destinato il perio-  dico Roma futurista, fondato a Roma da Marinetti, Mario  Carli ed Emilio Settimelli, che vedeva la luce il 20 set-  tembre 1918 e portava come sottotitolo « Giornale del  Partito politico futurista ». .   « Roma futurista », racconta Marinetti nel suo libro  Futurismo e Fascismo (1924) « nacque un mese e mezzo  prima dell’armistizio, cioè il 20 settembre 1918, e porta-  va nel suo primo numero tre scritti importantissimi dei  suoi tre direttori: Mario Carli, Marinetti, Settimelli. Scri-  veva Settimelli: “Il Futurismo che fino ad oggi esplicò  un programma specialmente artistico, si propone una inte-  grale azione politica per collaborare a risolvere gli urgen-  ti problemi nazionali. Coloro che ci accusarono di squili-  brio dovranno ricredersi. I] preconcetto di serietà pedan-  tesca e quietista imposto alla vecchia Italia dai profes-  sori rammolliti, dai preti anti-italiani e dagli affaristi gio-  littiani, cercò di svalutare la nostra genialità di giovani  audaci e novatori. Ma la vera Italia non può rimanere e  non rimarrà neppure parzialmente nelle loro mani inca-  paci. La guerra ha rivelato le vere forze italiane. Sono for-  ze giovani, violente, antitradizionali e ultra-italiane” ».   Il primo numero di Roma futurista (decadario, poi  settimanale) pubblicava il programma del giornale mede-  simo ed anche il manifesto di quel Partito Politico Futu-  rista che si doveva ancora fondare. Partito che, nell’inten-  dimento di Settimelli, doveva essere « più che altro una  tendenza psicologica », una « fusione di realtà e di scon-  (inamento, di praticità e di lirismo », che avrebbe contri-  buito a creare un nuovo tipo d'italiano. Ma ecco ancora  come si esprime «la volontà» di fondazione del movimento:  « Il Partito politico futurista che noi fondiamo e che or-  xanizzeremo dopo la guerra, sarà nettamente distinto dal  movimento artistico futurista. Questo continuerà nella  sua opera di svecchiamento e rafforzamento del genio creatore italiano... Potranno aderire al partito politico futu-  rista tutti gli Italiani, uomini e donne d’ogni classe e di  ogni età... Questo programma politico segna la nascita  del partito politico futurista invocato da tutti gli italiani,  che si battono oggi per una più giovane Italia, liberata  dal peso del passato... ». La firma è di Roma futurista,  cioè, come si presume, del direttore, o anzi di tutti i tre  direttori.    Ecco alcuni punti del manifesto-programma del par-  tito: « 4) Trasformazione del Parlamento mediante un'equa  partecipazione di industriali, di agricoltori, di ingegneri e  di commetcianti al Governo del Paese. Il limite minimo  di età per la deputazione sarà ridotfò a 22 anni. Un mi-  nimo di deputati avvocati {sempre opportunisti) e un mi-  nimo di deputati professori (sempre retrogradi)... Aboli-  zione del Senato... Unica religione, l'Italia di domani...  10) ...Svalutazione della pericolosa e aleatoria industria  del forestiero... Difesa dei consumatori... Svalutazione dei  diplomi accademici e incoraggiamento con premi della  iniziativa commerciale e industriale... ».    Le adesioni all'iniziativa si fecero subito sentire da  diverse parti: ci furono vecchi futuristi come Auro d'Alba,  Rosai e Rocca, reduci dalla guerra come Bolzon e Bottai  (che avrebbe poi rivestito un ruolo di primo piano nel-  l'ambito del nuovo regime fascista) e Massimo Bontempel-  li, secondo il quale il programma fondamentale del futu-  rismo politico sarebbe stato quello di sostituire «la gio-  vinezza alla vecchiaia nelle funzioni direttive ». E non  sarebbe stato poco. Sarebbe stato uno dei tentativi, anche  se non del tutto riuscito, dell’insorgente fascismo.    Nel dicembre dello stesso anno 1918, quasi ad esito  naturale della formazione del nuovo partito, poco orga-  nizzato e poco «costituito », s'istituirono invece i « Fasci  politici futuristi », più attivi e vitali particolarmente in  diverse città dell'Italia centrale e settentrionale, la prima  ossatura su cui si sarebbero appoggiati e sarebbero cre-  sciuti i muovi « Fasci di combattimento », voluti e pro-  mossi da Mussolini quattro mesi dopo. Nel febbraio del  '19 i Fasci futuristi erano già una ventina, tra quelli di Roma (Balla, Carli, Bottai, d'Alba e Chiti), Milano (Mari-  netti, Buzzi, Somenzi e Bontempelli), Firenze (Settimel-  li, Rosai, Marasco), Perugia (Dottori), Genova (Depero),  Torino (Azari), e poi ancora Bologna, Palermo, Napoli,  Fiume, Messina, Ferrara, Piacenza, Venezia, Taranto, Mo-  dena, Stradella, ecc. I futuristi avevano quindi accolto  con entusiasmo l'iniziativa e vi si erano immersi fino a  determinare una prima ossatura: l’organizzazione. E Mus-  solini a sua volta aveva visto di buon occhio e seguìto  la formazione dei Fasci politici futuristi, sino a « scopri  re » in essi un punto d'appoggio per la sua campagna  combattentistica ed antisocialista che si concretizzerà nei  suoi Fasci di combattimento (quelli di Piazza San Sepol-  cro).    Mario Carli, come condirettore di Rowza futurista e  dietro spinta di Marinetti stesso, caldeggiava da tempo,  anche dalle colonne del suo nuovo periodico, l’avvicen-  damento e l'annessione degli arditi al partito politico, di  cui sul primo numero del giornale si pubblicava il rivolu-  zionario programma: era il 20 settembre 1918.    Dieci giorni dopo, il 30 settembre 1918, le proposte  politiche si fanno più tecniche, più « specializzate », più  particolari. Volt firmerà un testo « dinamico » per dichia-  rare: « Sostituiremo il Parlamento con le tappresentan-  ze dei sindacati agricolo-industriali ed operai. La rappre-  sentenza sindacale sarà la base dello “Stato tecnico” futu-  rista ». Ma allora di quale rappresentanza sindacale si ttat-  rerà e quale sarà riconosciuta dallo Stato nella sua veste  di personalità giuridica? Sono tutti problemi che già Volt  si pone e così, a suo modo, « risolve », e continua: «To  credo non si debba tener conto del numero degli iscritti  al sindacato, ma della importanza della funzione economica  che esso esercita nel Paese ». Ed ancora, prosegue ad in-  terrogatsi: « Quali saranno i limiti posti all'esercizio del  potere dell'assemblea eletta mediante la rappresentanza  sindacale? La competenza dell'assemblea dovrà essere li-  mitata alle questioni prevalentemente economiche, che so-  no del resto le più importanti in politica. Le questioni  di famiglia, di politica estera, ecc. dovranno esser risolte    II! 'EUE vu SS it: _gLZffkfkzstllEaAaz:F:=+”sx«x:®(  '81‘daoiaaiA'.°’°à0‘@e ra —-    in parte mediante il referendum popolare diretto ed in  parte attribuito alla competenza del potere esecutivo ».   Gli arditi venivano poi sciolti nel gennaio del ’19  dai loro reparti di ufficiali, sottufficiali e truppa, perché  considerati provocatori di disordini e di incidenti nella  vita civile. L'iniziativa era stata ovviamente criticata dai  diretti interessati come manovta socialista-giolittiana atta  a disconoscere i loro meriti di guerra. Ed anche Marinetti  aveva appoggiato dalle colonne di Roma futurista 1’« uni-  ficazione » (ira futuristi ed arditi),   Alla fine di novembre del ’18 Mario Carli fondava,  a conclusione di questa « campagna », l’« Associazione fra  gli Arditi d’Italia », che fu un po’ l’altra faccia del Partito  politico futurista. In breve, l'associazione atrivò a racco-  gliere circa diecimila iscritti, la maggior parte, forse, degli  ex «reparti militarizzati ».    7. Futurismo e arditismo    Ormai anche gli arditi, nonostante lo scioglimento del-  la loro organizzazione paramilitare, hanno una consistenza  civile ed in certo modo un loro peso politico. Tanto da  poter fondare un loro organo di stampa che prende a  uscire a Milano dall’11 di maggio 1919: il settimanale  L’Ardito, edito dall’Associazione nazionale, e condiretto  da Ferruccio Vecchi e, non a caso, da Mario Carli. Nello  stesso periodo altre furono le voci di stampa allineate su  analoghe posizioni: Armando Mazza, per esempio, fondò  a Milano I remici d'Italia, settimanale « antibolscevico »;  il più importante di questi giornali « minori » fu però  L’Assalto, pubblicato a Bologna come voce dell’arditismo,  e diretto da Nanni Leone Castelli. Marinetti ed i futuri-  sti non potevano a questo punto non vedere negli arditi  dei nuovi futuristi politici, così come Mussolini non po-  teva non vedere in loro dei potenziali simpatizzanti e allea-  ti. La pronta adesione di molti di essi ai Fasci di combat-  timento lo dimostrerà definitivamente.   Arditismo e futurismo furono dunque componenti es-    dd    senziali del nuovo insorgente fascismo. Almeno dal punto  di vista ideologico, o formativo del suo nascere. Mussoli-  ni aveva, per così dire, « abiuraro » il suo vecchio socia-  lismo e aveva bisogno di una forza nuova, una forza idea-  le o di pensiero che gli permettesse il suo «slancio in  avanti ». Il futurismo gliela porgeva già bell'e pronta, o  quasi, mentre il precedente socialismo gli alimentava certi  spunti sociali, in parte, almeno, già presenti nel futurismo.  L'arditismo, ancora, gli comunicava una spinta, una forza  di aggressività e di « assalto », che forse gli sarebbe man-  cata, o non sarebbe stata, senza di esso, tanto irruente.    L'11 gennaio il futuro « duce » partecipava a Milano  ad una « serata futurista » contro Bissolati, alla Scala, con-  tribuendo in parte al suo « siluramento ». C'era anche  Marinetti e, forse, non fu un caso, e si trattò di un incon-  tro importante.    II 23 marzo dello stesso anno in una riunione milanese  a Piazza San Sepolcro, presieduta da Ferruccio Vecchi, Ma-  rinetti tenne un discorso alla presenza di Dessy e di altri  arditi e futuristi, per la fondazione dei Fasci di combatti-  mento, decisa da Mussolini. Questi propose come pro-  gramma ai nuovi raggruppamenti l'abolizione del Senato,  il suffragio universale, il sindacalismo nazionale, ricona-  scendo «le rivendicazioni d'ordine materiale e morale »  agli ex-combattenti e rimproverando al partito socialista  di essere stato « nettamente reazionario, assolutamente  conservatore », col negargli così qualsiasi possibilità di  « mettersi alla testa di un'azione di rinnovamento e di  ricostruzione ». La conclusione del discorso, antimassima-  lista ed antitotalitaria, era in fondo quanto mai « futu-  rista ». Così terminava il Mussolini:  « Noi conosciamo  soltanto la dittatura della volontà e dell’intelligenza ». Al  termine della riunione si nominava un comitato centrale  dei Fasci di combattimento di cui facevano parte anche  Vecchi e Marinetti.   Il 1° di aprile Marinetti venne nominato insieme a  Mussolini membro della commissione di lavoro nazionale  per Ia propaganda e la stampa. Ancora in aprile a Milano  nuclei di futuristi, arditi e « principianti » fascisti assali-    tu    rono la sede del quotidiano socialista Avanti! Il giorno  dopo i « fattacci » del 15 aprile, visto il mancato inter  vento delle forze dell’ordine nel prender provvedimenti  contro i promotori dell'azione, Vecchi e Marinetti emise-  ro un « proclama agli italiani » a nome dei futuristi, degli  arditi e dei fasci: « Nella giornata del 15 aprile avevamo  assolutamente deciso, con Mussolini, di non fare alcuna  controdimostrazione perché prevedevamo il conflitto e ab-  biamo orrore di versare sangue italiano. La nostra con-  trodimostrazione si formò, spontanea, per invincibile vo-  lontà popolare. Fummo costretti a reagire contro la pro-  vocazione premeditata degli imboscati. Col nostro inter-  vento intendiamo di affermare il diritto assoluto dei quat-  tro milioni di combattenti vittoriosi, che soli devono diri-  gere e dirigeranno ad ogni costo la nuova Italia ». La  « controdimostrazione » si riferisce ad una manifestazione  socialista all'Arena, cui seguì la « battaglia di Via Mer-  canti », dove furono chiari, secondo i reduci, alcuni mo-  menti di provocazione nei confronti del combattentismo  {da qui, l'assalto all’Avanti!).   Sempre nell'aprile del *19 esce a Milano per i tipi del-  l’Editore Facchi un volume politico di Marinetti, forse il  suo più importante: si tratta di Democrazia futurista, che  porta come sottotitolo « dinamismo politico ». E' una rac-  colta di articoli apparsi su Roma futurista e che appari  ranno sul nuovo giornale di Vecchi, L’Ardito, generoso  sempre di spazio per Marinetti. Questi definisce il suo  « concetto democratico » in un altro articolo edito in apri-  le sempre dall’Ardito: « Vogliamo dunque creare una vera  democrazia cosciente e audace che sia la valutazione e  l'esaltazione del numero poiché avrà il maggior numero  di individui geniali. L'Italia rappresenta nel mondo una  specie di minoranza genialissima tutta costituita di indivi-  dui superiori alla media umana per forza creatrice, inno-  vatrice, improvvisatrice. Questa democrazia entrerà natu-  ralmente in competizione con la maggioranza formata dal-  le altre Nazioni, per le quali il numero significa invece  massa più o meno cieca, cioè democrazia incosciente ».  Certo, si tratta di una nuova cancezione di democrazia,    26    che con quella tradizionale, anche attuale, non ha niente  a che vedere. E' una lotta di democtazie, o una demo-  crazia di lotta, il che alla fin fine non è poi molto diverso.  E’ una vera e propria concezione dinamica. Che, tanto  per tener conto del suo opposto si mette a confronto, a  dire di Marinetti, così: « Arturo Labriola definisce la de-  mocrazia "come sentimento dei diritti concreti della mas-  sa sullo Stato e sulla Economia“... Noi intendiamo la de-  mocrazia italiana come massa di individui geniali, divenu-  ta petciò facilmente cosciente del suo diritto e natural  mente plasmatrice del suo divenire statale. La sua forza  è fatta di questo diritto acquisito, moltiplicata dalla sua  quantità valore, meno il peso delle cellule morte (tradi.  zione), meno il peso delle cellule malate (incoscienti, anal-  fabeti). La democtazia italiana è per noi un corpo umano  che bisogna liberare, scatenare, alleggerire per accelerar-  ne la velocità e centuplicarne il rendimento... ». Come  potrebbe essere più futurista e avanzata questa nuova con-  cezione democratica « progressiva »? Che così, giustamen-  te, si conclude e si definisce: «La democrazia futurista  è ormai pronta ad agire, poiché sente vibrare tutte le sue  cellule vive ».   E’ il punto d'arrivo, logico e conseguenziale, di una  concezione « d’assalto ». E per la definizione ulteriore del-  le posizioni e dei concetti, il 27 aprile 1919 ancora, sulle  pagine di Roma futurista, un testo di Mario Carli (Non  chiamatela reazione) afferma: «Non è per l’ordine, non  è in difesa dell’autorità costituita o della borghesia vile,  non è in appoggio alla così detta “benemerita” che noi ci  siamo battuti a Milano, e ci batteremo altrove, se se ne  presenterà l’occasione. Ma è per un'idea, per un princi-  pio: è per l’idea di patria, è per il principio di progresso,  che noi crediamo realizzabile con mezzi e con metodi op-  posti a muelli dei rivoluzionari russi ».   Ciò nonostante Gramsci e Lunaciarsky, al TI Congres-  so dell'Internazionale comunista, difendono i futuristi ita-  liani e li considerano veri e propri « rivoluzionari ». E  Lenin medesimo dità a Giacinto Menotti Serrati, che, co-    DI    A       me direttore dell’Avanti!, si era recato a Mosca a respi-  rare il nuovo comunismo: «In Italia ci sono soltanto  tre uomini che possono fare la rivoluzione: Mussolini,  D'Annunzio e Marinetti ». Mentre a proposito di questo  ultimo, cioè di Marinetti e del suo movimento futurista,  Gramsci così annotava in un suo articolo pubblicato su  Ordine nuovo nel 1921: « Distruggere, in questo campo,  non ha lo stesso significato che nel campo economico...  significa non avere paura della vanità e delle audacie, non  avere paura dei mostri, non credere che il mondo caschi  se un operaio fa errori di grammatica, se una poesia  zoppica, se un quadro assomiglia a un cartellone... I futu-  risti hanno svolto questo compito nel campo della cultura  borghese... hanno avuto cioè una concezione nettamente  rivoluzionaria ». E continuava a migliore definizione del  concetto: « ...Quando i socialisti si sarebbero spaventati  al pensiero che bisognava spezzare la macchina del potere  borghese nello Stato e nella fabbrica, i futuristi, nel loro  campo, nel campo della cultura, sono rivoluzionari: in que-  sto campo, come opera creativa, è probabile che la classe  operaia non riuscirà per molto tempo a far di più di quan-  to hanno fatto i futuristi! »    L'11 luglio del '19 Marinetti otteneva un biglietto d'’in-  vito alla Tribuna di Montecitorio. Andò con Ferruccio  Vecchi, gran capitano, ad aspettare un momento opportu-  no per l’« intervento ». L'occasione fu data alla fine del  discorso di un deputato socialista (Lucci). Martinetti si  sporse e, rivolto a Nitti, gridò: « A nome dei Fasci di  Combattimento, dei futuristi, e degli intellettuali, prote-  sto per la vostra politica e vi urlo: Abbasso Nitti! Morte  al Giolittismo! Dichiaro che non può sussistere il Mini-  stero dei sabotatori della Vittoria, degli schiaffeggiatori de-  gli ufficiali, un ministero che si difende coi carabinieri e  coi poliziotti!.. Vergognatevi! La gioventù italiana, per  bocca mia, vi urla: Fate schifo! Fate schifo! ». Vecchi an-  cora inveisce a voce alta contro Nitti, mentre Marinetti  lotta con usceri e carabinieri, come descrive egli stesso nel  suo Futurismo e Fascismo di cinque anni dopo. L’indoma-  ni avrebbe ricevuto da D'Annunzio la presente missiva:    2R    « Mio caro Marinetti, bravo per il grido di ieri, coraggioso  come ogni vostro atto. Vorrei vedervi. Se potete, venite.  Il vostro Gabriele D'Annunzio ».    In settembre Mario Carli, con Mino Somenzi ed altri  futuristi, partecipano con D'Annunzio alla presa di Fiume  (11 del mese): vi si recheranno anche Vecchi e Marinetti  a tenere discorsi ai legionari. Anzi, i due personaggi sembra  fossero considerati, a dire di De Felice « facinorosi sovver-  sivi » o addirittura in qualche caso « bolscevici », per il  loro atteggiamento intransigente ed estremistico.° Tanto  che si era detto fossero stati espulsi da Fiume, mentre  erano stati solo richiamati da Paselia, segretario politico  dei Fasci, che aveva bisogno di loro per l'organizzazione,  forse, del primo congresso fascista. All'inizio di ottobre,  infatti, Marinetti partecipa a Firenze al I Congresso dei  Fasci di Combattimento dove, dopo l'intervento di Mus-  soltni, parla a futuristi, arditi e fascisti sostenendo la ne-  cessità dello « svaticanamento »: « Noi dobbiamo doman-  dare. volere, imporre », dice fra l’altro il capo del futu-  rismo, « l’espulsione del papato, o meglio ancora, per usa-  re un'espressione più precisa, lo “svaticanamento” ».    Nel novembre le elezioni generali vengono condotte a  Milano all'insegna del « blocco fascista » con lista autono-  ma di Mussolini, Marinetti (secondo), Toscanini, Podrec-  ca e Bolzon. Comizi elettorali si tennero a Milano in Piaz-  za Belgioioso (10 novembre) e in Piazza S. Alessandro e  a Monza, dove parlarono sempre « accoppiati » Marinetti  e Mussolini. Dopo il 16 novembre, giorno delle votazioni,  in seguito ad incidenti coi socialisti, Marinetti, Vecchi e  Mussolini furono atrestati sotto l'accusa di attentato alla  sicurezza dello Stato ed organizzazione di bande armate,  come afferma ancora il De Felice.    Breton e Aragon, direttori della rivista Littersture, or-  ganizzano a Parisi una manifestazione di solidarietà a Ma-  tinetti: sono i momenti di affermazione del dadaismo e del  muoversi, lento, verso il surrealismo.    Renzo De Felice, Mussolini i! Rivoluzionario, Gli incontri e gli scontri, oltre che gli incidenti, tra  socialisti e futuristi non etano cosa nuova. E la « battaglia  di Via Mercanti » del 15 aprile fu solamente il punto di  arrivo di una vecchia e lunga polemica.   Già negli anni prebellici il futurismo si era scontrato  col socialismo neutralista (Turati), che non poteva andar  d’accordo con un movimento intrinsecamente interventista.  Lacerba, per esempio, entrava nella polemica affiancandosi  al futurismo e pubblicando, il 15 ottobre del ’13, quel  famoso Programma politico futurista, esaminato in pre-  cedenza. La postilla di Giovanni Papini non fa altro che  convalidare, sia pure con riserva, la sostanza del pro-  gramma.   A proposito di socialismo interviene poi nel '14 sempre  sv Lacerba, Ardengo Soffici, affermando nel suo articolo  Per la guerra che « l’idea che i socialisti si fanno del mon-  do è questa: un capitalista borghese e sfruttatore alle prese  con un magro popolano sfruttato. La cultura, le scienze, le  arti, la bellezza, i sentimenti, gli amori, le passioni —  tutto ciò insomma che fa la vita così terribilmente com-  plessa, così colorita, così varia, multiforme, incoetcibile —  non è nulla per loro. Tutto è grigio, e l'universo intero una  specie di ragnatela squallida senza confini né orizzonti,  eterna, in mezzo alla quale un ragno cetca di succhiare  una mosca alla quale Karl Marx ha insegnato che non  deve lasciarsi succhiare ». Sicché, conclude Soffici, i socia-  listi nemmeno capiscono che si combatte una guerra per  difendere anche, magari, le loro stesse idee, o il mondo  dove l’idea socialista è nata e cresciuta, contro i nemici  medesimi del socialismo e dei socialisti: i tedeschi. Ma  questo non ha nessuna importanza, « giacché, ed eccoci  alla mentalità di codesto partito, ogni buon socialista non  vede nella guerra, qualunque essa sia, se non una lotta di  capitalisti e banchieri contro capitalisti e banchieri i quali  si servono del proletariato per liquidare le loro partite ».    La polemica continua com'è logico, dopo la guerra.  Il primo ad accenderla è Mario Carli su Roma futurista  con un articolo del 13 luglio 1919, che ha un titolo signi-  ficativo: Partiti d'avanguardia: se tentassimo di collabora-  re? Laddove si considera « partito d'avanguardia », ovvia-  mente, anche quello socialista, che tanta parte ha esercita-  to nella storia d'Italia. « Ho esaminato seriamente l'ipo-  tesi », esordisce Carli, « di una collaborazione fra noi {futu-  risti, arditi, fascisti, combattenti, ecc.) e i Partiti cosiddetti  d'avanguardia: socialisti ufficiali, riformisti, sindacalisti, re-  pubblicani... Il terreno comune c’è... E' la lotta contro le  attuali classi dirigenti, grette, incapaci e disoneste, si chia.  mino borghesia e plutoctazia o pescecanismo o parlamen.-  tarismo... sono una casta che deve cadere e cadrà », E cad-  de infatti, come sappiamo, però non certo per merito di  quei socialisti con cui Carli stava cercando di trovate un  punto di contatto, sia pur rendendosi conto che la collabo-  razione sarebbe stata difficile per non dire impossibile o,  peggio, inutile.   Ciò nonostante Giuseppe Bottai farà eco alla sua tesi  con un paio di lunghi articoli: uno del 9 novembre e l'al.  tro del 21 dicembre 1919 entrambi col titolo Futurismo  contro socialismo, il cui succo riesce già evidente. « Noi  siamo contro il socialismo », afferma Bottai, « perché astra-  zione filosofica senza possibilità di contatti vitali. Simbolo  che si agifa nel mondo da secoli, e di cui mai si è trovato,  e mai si troverà la formula di traduzione in positivi sviluppi  di masse sociali... Noi siamo contro l’idea socialista perché  sosteniamo la necessità della diseguaglianza... Siamo con-  tro il socialismo perché idea generatrice di vigliaccheria ».   Ii 14 dicembre sempre del 1919, tuttavia, certo Man-  narese, avversario, pubblica un articolo per espotre l’impos-  sibile intesa fra le due avanguardie, o l'impossibilità di ac-  cordo in unione d’intenti e di lavoro. Il Mannarese sotto-  linea l'identità di socialismo e masse proletarie con loro  relative e legittime aspirazioni. Romza futurista non gli ne.  sa spazio, ospitandolo apertamente e liberamente.   Ci pensa Bottai a rispondere e confutare Mannarese  col suo secondo articolo preciso ed aggressivo. Il titolo:  Insisto: futurismo contro socialismo; la data, 21 dicembre  dello stesso anno. La posizione polemica si specifica e si    SAI       puntualizza: « Prima caratteristica del futurismo è questa,  libera, sciolta sfrenata spregiudicatezza: e se il salumaio ci  crede oggi difensore dei suoi salami, delle sue salsicce, poco  male! ciò potrà darci la prova della sua minchioneria, non  già infirmare l'esattezza del grido “futurismo contro socialismo” ».   L’intonazione antibotghese è evidente e forse si spo-  sa, per così dire, con quella antisocialista, essendo l'una  complementare all'altra, e viceversa. Non si può essere  antisocialisti senza essere antiborghesi, e viceversa non si  può essere antiborghesi senza essere antisocialisti, sembra  quasi che dica Giuseppe Bottai, e l’invettiva contro il sa-  lumaio non ha nient'altro che questo sapote...    L'equazione « socialismo-proletariato », sostenuta dal  Mannarese, è vacua e falsa, dice Bottai, e bisogna distin-  guere, perché va da sé, afferma, che «il socialismo è uno  dei tanti sistemi, i quali, da che il mondo è mondo, si  accaniscono sulla disparità di condizioni delle classi ». Lo  esempio dato poi, del fenomeno dell’arditismo, è quanto  meno sufficiente e significativo a smentire una tesi tanto  inutile. Infatti, « in parecchi mesi di convivenza con le  fiamme nere mi son trovato attorno solo contadini, ope-  rai, lavoratori-proletari! »; e gli arditi non erano certo so-  cialisti, anzi. Tuttavia l’autore è ben consapevole della  « portata economica » del socialismo e nello stesso tempo  delle esigenze dei ceti umili o dei proletari, e degli scompen-  si derivanti da queste esigenze anche per la loro « cattura »  da parte di un socialismo ignorante e incapace.   L'individuazione dell'errore di dimensione del sociali  smo è evidente, nonostante i successi già conseguiti. Tanto  che, concludeva il Botrai, nel cogliere le possibilità della  formazione di un letale assolutismo, con la postulazione del-  la differenziazione futuristica da esso, intesa nella diffusione  di programmi e di rimedi economici: « Noi siamo per la  elevazione del popolo, e non per l'assolutismo di esso ».  Dove « il nai », è evidente, si riferisce ai futuristi ed al  loro movimento.    « Tirando le somme », alla fine, si postula petsino un  programma, quasi, nei rapporti col socialismo, di cui i    32    punti più interessanti sono il secondo ed il quarto, cioè  l'ultimo. Il secondo postilla una « possibile comunanza di  vedute economiche: il che non implica nessuna fusione »;  l'ultimo sostiene e ribadisce, sottolineandolo tutto in maiu-  scolo: « CONTRO IL SOCIALISMO NON VUOLE DI-  RE CONTRO IL PROLETARIATO ».   La miopia del socialismo nella considerazione dei futu-  risti appare evidente e inequivocabile. E si parla del so-  cialismo dei primi del secolo, quello storicamente più « ca-  pace » di quanto non lo sia l'attuale, e consono ad una  realtà « epocale » ad esso, tutto sommato, più favorevole.  L’esito del socialismo italiano, confluito in massima parte  nel fascismo, non fa che confermare l'opinione o l’ipotesi  dei futuristi, che avevano saputo vedere la sua « minima  portata » da inserire, eventualmente, nel panorama di una  prospettiva ben più vasta e diversificata. A Fiume Gabriele D'Annunzio dà alla luce la sua  « Carta del Carnaro ». Siamo agli inizi del ’20 e la nuova  proclamazione statutaria sarà base fondamentale per la suc-  cessiva politica sindacale fascista (si veda la Carta del La-  voro ad esempio). Sempre a Fiume Mario Carli dirige il  nuovo foglio di vita istriama La Testa di Ferro, sulle cui  colonne (la seconda, per l'esattezza, della prima pagina) ;l  12 settembre esce un riquadro firmato da Marinetti. Che  così commenta la Prima vittoria della quindicesima batta-  glia, come dice il titolo della pagina: « Nell’applaudite oggi  D'Annunzio, liberatore di Fiume, penso che questo mera-  viglioso genio riassuntivo della nostra razza, uscito dalle  alcove del Pizcere... dopo aver esplorato le profondità del  la lussuria... ha logicamente... strappato Fiume all’imperia-  lismo europeo e americano, ed ora deve, seguendo la linea  della sua fortuna inesauribile, logicamente, con genio sem-  pre più rivoluzionario e futurista, liberare Roma dal Pa-  pato e dalla Monarchia, e creare la grande Repubblica Ita-  liana ». Siamo di fronte aul'« ittedentismo integrale » che i futnristi sostenevano contro l’« irredentismo mutilato » di  Bissolati, favorevole al Patto di Londra. Di cui il movimento  per contro chiedeva un’« estensione », oltre che una modi-  ficazione del Patto di Roma in modo che si potesse favo-  rire l’inserimento italiano sulla costa dalmata e garantire  all'Italia l'egemonia sull’Adriatico. Il Trattato di Rapallo,  poco dopo, dichiarerà Fiume «città libera » ed assegnerà  Zara all'Italia.    11 24 e 25 maggio dello stesso anno si tiene a Milano  il IX Congresso dei Fasci di Combattimento, che segna una  svolta del movimento o anche — si potrebbe dire — una  sua conversione in senso « conservatore ». Si assiste ad un  parziale ma consistente ricambio del nucleo dirigente fa-  scista. Solo 10 membri su 19 del comitato centrale eletto a  Fitenze vengono riconfermati: tra essi Marinetti e Ferruc-  cio Vecchi.    Mussolini sostiene un nuovo indirizzo: l'accordo fra  proletariato e borghesia produttiva, tipico di quel fascismo  « provinciale » che stava prendendo il sopravvento. Mari-  netti reagisce confermando la sua intransigenza antimonar-  chica ed antipontificia. I Fasci di Combattimento, come  riporta ancora il De Felice, avrebbero dovuto, secondo  Marinetti, iniziare « una politica decisa in difesa delle ri-  vendicazioni proletarie, appoggiando e scioperi e agitazio-  ni che siano fondati o formulati su un principio di giu-  stizia ». Mussolini aveva cercato di replicare che i Fasci  « hanno anzi aiutato gli scioperi che avevano un chiaro  contenuto economico », ma aveva sottolineato di non po-  ter accettare la pregiudiziale antimonarchica e: « Quanto  al Papato, bisogna intendersi: il Vaticano rappresenta 400  milioni di uomini sparsi... Io sono, oggi, completamente  al di fuori di ogni religione, ma i problemi politici sono  problemi politici. Racconta lo stesso capo del  futurismo nel suo volume Futurismo e Fascismo pubbli  cato quattro anni dopo, « Marinetti e alcuni capi futuri-  sti escono dai Fasci di Combattimento, non avendo potuto imporre alla maggioranza fascista la loro tendenza  antimonarchica e anticlericale ». Gli altri «capi futuristi» sono Mario Carli e Neri Nannetti, appena eletto a  Milano come membro del comitato centrale per Firenze.  Ferruccio Vecchi si allontanò dai Fasci poco dopo, anche  per la crisi interna che stava attanagliando l’« Associa-  zione fra gli Arditi d’Italia ».   La spaccatura risulta evidente all'uscita dell’opuscalo  Al di là del comunismo, pubblicato in agosto da Marinetti,  per giustificazione alle sue dimissioni ed in risposta allo  svuotamento della portata rivoluzionaria, o futurista, dei  Fasci di Combattimento. Al di lè del Comunismo sarà  la sua seconda opeta politica (dopo Democrazia futurista,  del ’19), quella più ricca di spunti e di idee: quella, in-  somma, sua fondamentale.   L'opera è dedicata sul colophox « Ai futuristi francesi,  inglesi, spagnoli, russi, ungheresi, rumeni, giapponesi »:  it che esprime già tutto un programma. Fra le sue tesi,  dd esempio queste: « Noi futuristi abbiamo stroncato tut-  te le ideologie imponendo dovunque la nostra nuova con-  cezione della vita, le nostre formule d’igiene spirituale,  il nostto dinamismo estetico, sociale, espressione sincera  dei nostri temperamenti d’italiani creatori e rivoluzionari...  L'umanità cammina verso l'individualismo anarchico, me-  ta e sogno di ogni spirito forte. Il Comunismo invece è  una vecchia formula mediocrista, che la stanchezza e la  paura della guerra riverniciano oggi e trasformano in mo-  da spirituale... La storia, la vita e la terra appartengono  agli improvvisatori. Odiamo la caserma militarista quanto  la caserma comunista. Il genio anarchico deride e spacca  il catcere comunista ».    Fu questo passo a provocare la reazione dell’Ardito?  Che ben presto si fece sentire, a più riprese, per deni-  grare il volumetto marinettiano, mentre al contrario La  Testa di Ferro ad opera di un gruppo di futuristi fiumani  (e di Mario Carli, ardito a sua volta) elogiava pubblica-  mente ed ardentemente il nuovo testo. Bottai, già futu-  tista, interverrà ben presto (sul n. 35 dell’Ardito) con  una «lettera aperta a F.T. Marinetti » per mettere in ri-  salto la sua posizione critica all’atteggiamento anarchicheg-  piante dello scritto, inconciliabile con qualunque espressione di potere, sia pur di tipo « tecnico », come quello  a suo tempo proposto dallo stesso « padre » del futuri  smo. L'attacco di Bottai è senz'altro il più autorevole e  i] più significativo.   L'ideologia del fascismo-regime (da parte di un mini  stro in pectore come Bottai) cominciava già a farsi sen-  tire. E si chiudeva, ovviamente, almeno sul terreno sto-  rico della prassi politica, l'ideologia del fascismo-movi-  mento, quello dell’intransigenza e del fervore mistico, del  libertarismo e dell'avanguardia, dell'anarchismo e dell’an-  tiautoritarismo verso la monarchia ed il papato. Il pos-  sibilismo politico e il realismo tattico per la conquista  del potere subentrano e il fascismo-regime si muove or-  mai, anche se lentamente, sotto la guida del suo abile e  « compromesso condottiero ».   A Marinetti non restano che le dimissioni, e dopo il  suo « canto del cigno » politico (Al di là del comunismo),  il ritorno alla letteratura.    10. La dimensione futurista    Nel 1921 esce a Piacenza per i tipi dell'Editore Porta  il volume di Francesco Flora Dal Romanticismo al Fu-  turismo. Il giudizio più interessante è senz’altro quello  di Luigi Russo, che così si esprime al proposito: «Il  Flora, mentre vi grida il superamento sillogistico dell’ar-  te decadente, la guarigione del suo spirito dal generale  futurismo, passa poi egli stesso a fare troppo rumorosa  e compiaciuta mescolanza con quell'arte e con quel futu-  rismo ». Pirandello pubblica nello stesso anno I sei per-  sonaggi in cerca d'autore. Marinetti sostiene che sono  ispirati al futurismo e al suo spirito creatore. Il con-  gresso socialista di Livorno si spacca, e dalla scissione  si forma il neonato partito comunista. A Catania vede  la luce la nuova rivista futurista Heschisch.   Nel 1922 il fascismo salirà definitivamente al potete.  Marinetti fonda una nuova rivista, I{ Futurismo, che di-  rige in prima persona. A Berlino sarà poi tradotta in edizione tedesca (Der Futurismus), a cura di Ruggero Va-  sari. Bragaglia fonda a Roma il Teatro Sperimentale de-  gli Indipendenti, primo teatro stabile italiano, da Ivi di  retto fino al ’36: metterà in scena duecento opere d'’avan-  guardia fra quelle di autori italiani e stranieri. A_ Monza  si crea l’Istituto Superiore delle Arti decorative, trasfor-  mato poi in Biennale e dal ’30 definitivamente in Trien-  nale, con sede nel palazzo di Milano (al parco, arch. Mu-  zio). Mussolini, dopo la marcia su Roma del 28 ottobre,  forma il governo con radicali e liberali, e istituisce il Gran  Consiglio del Fascismo.    Giuseppe Prezzolini, come sempre lucidamente, poco  prima del « grande ritorno » del futurismo al fascismo,  metteva ancora una volta in risalto «come possa l'arte  futurista andare d'accordo con il Fascismo italiano, non  si vede. C'è un equivoco, nato da una vicinanza di per.  sone, da un’accidentalità d’incontri, da un ribollire di  forze, che ha portato Marinetti accanto a Mussolini. Ciò  andava bene durante il periodo della rivoluzione. Ciò  stona in un periodo di governo. Il Fascismo italiano  non può accettare il programma distruttivo del Futuri  smo, anzi, deve, per la sua logica italiana, restaurare |  valori che contrastano al Futurismo. La disciplina e la  gerarchia politica sono gerarchia e disciplina anche lette-  raria. Le parole vanno all’aria quando vanno all'aria le  gerarchie politiche. Il Fascismo, se vuole veramente vin-  cere la sua battaglia, deve ormai considerare come as-  sotbito il Futurismo in quello che il Futurismo poteva  avere di eccitante, e di reprimerlo in tutto quello che  esso consetva ancora di rivoluzionario, di anticlassico, di  indisciplinato dal punto di vista dell’arte » (da I/ Secolo,  3 luglio 1923).   Nel marzo dello stesso 1923 s'inaugura alla Galleria  Pesaro di Milano una mostra dell'« Arte del Novecento ».  Si trattava di un gruppo formatosi alla fine del ’22 in-  torno alla medesima galleria milanese, che affiancava la  nuova tendenza del regime in senso conservatote, già san-  cita dal 2° Congresso Fascista (Milano, maggio 1920).  L'animatrice del nuovo movimento « Arte del Novecen-    37    to» era Margherita Sarfatti. Il gruppo fu accolto, nean-  che due anni dopo dalla sua costituzione, alla Biennale  veneziana del ’24, e si affermò definitivamente attraverso  due ulteriori mostre: una del '26 al Palazzo della Perma-  nente a Milano, e l'altra del ’29 alla Galleria Pesaro,  sempre a Milano. I futuristi invece, rimasti esterni al  regime e aderenti ancora, in fondo, all'avanguardia, fu-  rono ammessi alla Biennale solo nel ’26, e fuori dal pa-  diglione italiano additittura. All'inaugurazione della Biennale, Marinetti  si rivolge al Re, a Venezia in visita ufficiale, e gli de-  nuncia gridando «l’incapacità senile e antitaliana della  Direzione, che massacra i giovani artisti italiani ». L’in-  tervento di Marinetti suscita scandalo. Tuttavia nello stes-  so anno 1924 si verifica anche un cetto riavvicinamen-  to tra futurismo e fascismo, e forse anche tra Marinetti  e Mussolini. L’occasione viene data dall’edizione della  terza ed ultima opera politica del capo futurista, che, co-  me già detto, s'intitola Futurismo e Fascismo, ed esce  a Foligno per i tipi dell'Editore Campitelli.    Ancora nello stesso anno escono diverse altre signifi-  cative testate, futuriste ma anche fasciste. Mino Maccari  fonda I! Selvaggio (organo del fascismo strapaesano) ed  Enzo Benedetto a Reggio Calabria pubblica il foglio fu-  turista Originalità, da lui stesso direrto: compaiono fra  i suoi collaboratori Marinetti, Jannelli, Nicastro e Sanzin,  Quest'ultimo scrive un saggio su Marinetti e il futurismo.  Gerardo Dottori, altra collaboratore di Originalità, crea  le prime aeropitture, che si affermeranno in seguito come  espressioni del « secondo futurismo ».    A Milano si tiene il Primo congresso futurista e So-  menzi vi organizza le onoranze nazionali a Marinetti.  Siamo al 23 di novembre 1924, ore 10, al Teatro Dal  Verme di Milano. Mino Somenzi legge il telegramma di  Mussolini: « Considerami presente adunata futurista che  sintetizza 20 anni di grandi battaglie artistiche politiche  spesso consacrate col sangue. Congresso deve essere punto  di partenza, non punto di arrivo. Credi mia cordiale ami-  cizia e ammirazione ». Alle 16 parla Marinetti, che conclude i lavori del congresso, così rivolgendosi all’indirizzo  del « duce »: «I futuristi italiani, primi fra i primi in-  terventisti nelle piazze e sui campi di battaglia, e primi  fra i primi diciannovisti più che mai devoti alle idee ed  all'arte, lontani dal politicantismo, dicono al loro vecchio  compagno Benito Mussolini: Con un gesto di forza ormai  indispensabile liberati dal parlamento. Restituisci al Fa-  scismo ed all'Italia Ia meravigliosa anima diciannovista,  disinteressata, ardita, antisocialista, anticlericale, antimo.  narchica. Concedi alla Monarchia soltanto la sua provvi-  sotia funzione unitaria, rifiutale quella di soffcare o mor.  finizzare la più grande, la più geniale e la più giusta Italia  di domani. Non imitare l’inimitabile Giolitti, imita il  Grande Mussolini del diciannove. Pensa sempre all’Italia  immortale ed al Carso divino. Schiaccia l'opposizione cle.  ricale antitaliana di Don Sturzo, l'opposizione socialista  antitaliana di Turati e l'opposizione mediocrista di A’  bertini con una ferrea dinamica aristocrazia di pensiero  armato che soppianti l’attuale demagogia d’armi senza  pensiero. Tu puoi e devi fare ciò, noi dobbiamo volerlo  e lo vogliamo ». Lo vollero, ma non lo realizzarono. La  volontà può essere bella, ardita, ispira ai più alti sensi  di giustizia, anche se non sempre la realizzazione le tiene  dietro. Come in questo caso.   Mussolini telegrafa ancora il 1° marzo del ’25 ad un  banchetto « romano » offerto da Carli e Settimelli a Ma:  rinetti: « Sono dolente di non poter intervenire al ban:  chetto ofterto a F.T. Marinetti. Ma desidero che vi giun-  ga la mia fervida adesione che non è espressione formale  ma vivo segno di grandissima simpatia per l’infaticabile  e geniale assertore di Italianità, per il poeta innovatore  che mi ha dato la sensazione dell'oceano e della macchi-  na, per il mio caro vecchio amico delle prime battaglie  fasciste, per il saldato intrepido che ha offerto alla Pa  tria una passione indomita consacrata dal sangue ». Ma.  rinetti si era già trasferito a Roma con Benedetta. La  capitale diveniva così anche centro del futurismo. In que.  sta stessa occasione Marinetti dichiarava, un'altra volta  inascoltato: « Vi sono in Italia forze che osteggiano la nostra idea imperiale, combattiamole, non dimenticando  però fra queste la più segreta e la più antitaliana: il  Vaticano! ».   Un discorso di Mussolini alla Camera (3 gennaio 1925)  dà inizio al vero fascismo-regime. A Tortino si tiene a  Palazzo Madama un'esposizione nazionale futurista. La  tendenza al riavvicinamento ira i due movimenti è già  indicata nella dedica di Futurismo e Fascismo: « Al mio  caro e grande amico Benito Mussolini ». Il che dimostra,  in fondo, una certa volontà di non troncare i contatti: ma  anche gli scritti raccolti, gli articoli e le tesi sostenute  sono di tipo più che altro conciliativo. Mussolini vi è  definito « meraviglioso temperamento futurista »: e non  risuoni però ad adulazione, perché il tentativo di recu-  pero del futurismo in senso artistico e letterario (o cul  turale in senso lato) è evidente, nonostante l'occasionale  « dimensione » del movimento nell'attività e nell'impegno  politico. Non senza motivo, il volume prende inizio con  queste parole: «Il Futurismo è un grande movimento  antiflosofico e anticulturale di idee, intuiti, istinti, pu-  gni... ». E subito dopo: « Fra le tante definizioni io predi-  ligo quella data dai teosofi: “I futuristi sono i mistici  dell’azione”. Infatti i futuristi hanno combattuto e com-  battono il passatismo... ». Il nuovo regime e la portata  storica di realizzazione di quello che si considera il patri-  monio del futurismo è così giudicato: « Vittorio Ve-  neto e l'avvento del Fascismo al potere costituirono la  realizzazione del programma minimo futurista ». Dove si  dimostra in fondo la connessione inscindibile tra futuri.  smo e fascismo, ma nello stesso tempo il distacco, in  questa realizzazione « minimale »; comunque la mancanza  di coincidenza totale delle entità ideali dei due blocchi.    « Questo programma minimo », specifica ancora Ma-  rinetti, « propugnava l'orgoglio italiano... la distruzione  dell'impero austro-ungarico, l’eroismo quotidiano, l'amore  del pericolo... ». Ma, alla fine, quello che più conta è  che «il Futurismo italiano, tipicamente patriottico, che  ha generato innumerevoli futurismi esteri, non ha nulla  a che fare coi loro atteggiamenti politici, come quello bolscevico del Futurismo russo, divenuto arte di Stato ».  Il futurismo italiano fu sempre italiano, non mai italiano  di Stato.   « Il futurismo », afferma ancora il nostro, «è un mo-  vimento artistico e ideologico. Interviene nelle lotte po-  litiche soltanto nelle ore di grave pericolo per la Nazio-  ne », E un'altra volta a migliore definizione della posi-  zione concettuale o della sua immagine: « Il Fascismo  nato dall'interventismo e dal Futurismo si nutrì di prin-  cipî futuristi... Il Fascismo opera politicamente... Il Fu-  turismo opera invece nei domini infiniti della pura fan-  tasia, può dunque e deve osare osare osare sempre più  temerariamente. Avanguardia della sensibilità artistica ita-  liana, è necessariamente sempre in anticipo sulla lenta  sensibilità delle masse ».    La consapevolezza della difficoltà del consenso è più  che sentita, ed è convinzione al tempo stesso che il fa-  scismo sia più capace di farsi accogliere o di comunicare  certe necessità, e certi principî. E la convinzione implica  la coscienza che sia il fascismo ad aver raccolto © mutuato  idee e « posizioni » dal futurismo, solo ed esclusivamente.  Senza che mai sia avvenuto il contrario. Ed appare evi-  dente, perché non viene mai fatto cenno a questa secon-  da ipotesi: che cioè sia stato il futurismo ad attingere  al fascismo. Anche se affiora l’« autocritica », l’interroga-  zione, il domandarsi sotterraneo della coscienza...    « Il lettore domanderà: “Ci sono idee futuriste su-  perate o da scartarsi, oggi?” Nulla da scartare. Le idee  vittoriose tengano fermamente le posizioni conquistate.  Per esempio questo principio: “Noi vogliamo glorificare  la guerra, sola igiene del mondo... le belle idee per cui  si muore e il disprezzo della donna”, fu una pietrata fe-  roce ma necessaria nel pantano letterario di sentimenta-  lismo dannunziano sulle cui rive singhiozzavano i gio-  vani malati di luna e di donne fatali ».   La condanna della decadenza di un romanticismo fiac-  co e sdolcinato che ha irretito la realtà della Penisola è  quanto mai chiara ed evidente. E la volontà di scuoterla  per una necessità di spirito, per una volontà di resurrezione, per una coscienza ancora viva di grandezza e di  capacità creativa e rinnovatrice, porta inevitabilmente allo  scontro e alla conflagrazione, quella della guerra, che è  guerra di sentimento e di volontà, prima ancora che di  occasione politica.    « Oggi », continua Marinetti, « l'Italia è piena di gio-  vani forti e sportivi. Ma molti purtroppo sacrificano ad  una donna la loro volontà di conquista e l'avventura...  Dopo Vittorio Veneto io predicai la necessità per ogni  combattente di diventare un cittadino eroico... Oggi esi-  ste uno Stato fascista che tutela il diritto individuale.  Ma bisogna alimentare ancora lo spirito del cittadino eroi-  co, amico del pericolo e capace di lotta, poiché occorretà  improvvisare domani gli indispensabili volontari della nuo-  va guerra. Questa, lo ripeto, è certa, forse vicina. Perciò  è sempre vivo il grido futurista: glorifichiamo la guerra  sola igiene del mondo! Il Futurismo interprete delle for-  ze telluriche, il Futurismo, manometro della nostra pe-  nisola (caldaia bollente!), odia i macchinisti incapaci. Si  palesano tali i culturali d’Italia che verniciati di patriot-  tismo parlano oggi d’Impero, con un'anima pacifista pron-  ti ad imboscarsi al minimo pericolo. Essi ignorano che  Impero significa guerra. Votrebbeto conquistarlo con una  lezione sulla Roma Imperiale! ». Ecco, ancora, la coscien-  za di cui parlavamo prima: quella della curiosità anti-  quaria di una cultura d’accatto non più in grado di te-  nere il passo della storia e di muovere lo spirito della  giovinezza vittoriosa. Marinetti lo coglie e lo esptime in  una testimonianza, ancora una volta, di vita e di speran-  za, che è vita perché è speranza del futuro.    « Noi futuristi parliamo d’Impero convinti e lieti di  batterci domani... Parliamo d’Impero perché è venuto per  l’Italia il momento di prendere le tetre indispensabili...  IÎ programma politico futurista lanciato l’11 ottobre 1913  che propugnava una politica estera cinica astuta e aggres-  siva è più che mai di attualità. Le idee vittoriose tengano  fermamente le posizioni conquistate. Le nuove idee si  slancino all'assalto. Marciare non matcite! ». Firmato: F.T.  Marinetti.    42    Il futurismo ha dimostrato di voler procedere sulla  strada del nuovo: il fascismo lo ha accolto ed ha accon-  disceso, almeno fino a un certo punto, al suo messaggio.  Oltre è stato frenato, forse, non solo dal « borghesismo »,  ma anche da quel socialismo, che avanti non è mai stato  capace di andare e che di nuovo ha portato solamente  vuote formule e fantasmi. Non così il futurismo, ben ade-  rente al reale, e capace di ritirarvisi anche, nel caso di  inadempienza (o di mancanza di corrispondenza) della  realtà ai suoi messaggi.   Marinetti docet, proprio con quel fascino che aveva  voluto, o con cui aveva marciato, e in cui aveva creduto  senza marcire mai, nemmeno nell’auge del regime, quan-  do avrebbe potuto sedersi sulle comode poltrone di un  otmai «arrivato » futurismo di «destra ». Ma il futuri-  smo per Marinetti era e rimaneva comunque movimento  d'avanguardia artistica e culturale, nonostante gli agganci  più 0 meno politici, più o meno di regime, e nonostante  l'amicizia con Mussolini, che poteva anche essere un « fu-  turista », ma era e doveva essere prima di tutto il capo  dello Stato e il « duce del Fascismo ». E il fascismo ave-  va preso e doveva tenete ormai una certa linea, molte  volte non gradita, o valida, per il futurismo, ed anzi pro-  prio al contrario.   La gloria di Roma rievocata nel monumentalismo  classicheggiante, il novecentismo ricalcante vuoti modelli  di un fasullo rinnovamento filotradizionale, la riesumazio-  ne del mito della storia come copia di grandezza e no-  vella misura di falsa gloria, erano tutti temi aborriti da  Marinetti proprio perché segni ed indici di « passatismo »,  messaggi sterili di una mentalità ferma e statica, incapace  di dare alcunché di vitale all'Italia in movimento. Ma-  rinetti era invece, e rimaneva, anche nel fascismo e no-  nostante il fascismo, « futurista », come lui amava defi-  nirsi, e come lo rimanevano anche altri, non tutti però,  anzi forse troppo pochi. Marinetti, quindi, futurista, e futurista nonostante tut-  to, fu forse fascista solo ed esclusivamente per quel che  il futurismo poteva consentirgli di essere. Ma fu anche  grande oratore Marinetti, e fu oratore d’arte, oratore di  genio letterario e improvvisatore della parola, più 0 me-  no libera o in libertà che fosse.   Mussolini fu oratore politico e parlava, anche, nella  ricerca del consenso. Marinetti invece fu poeta, e parlava  per stimolare la curiosità, per muovere l'incanto  del-  l'espressione. La sua oratoria fu essenzialmente artistica,  il suo discorso fu culturale e poetico. Mussolini forse  in parte la imitò, sempre attenendosi all’oratoria politica  e trasformando il messaggio letterario in presenza ideo-  logica e in colloquio « popolare ». Forse qui sta inoltre  la differenza fra i due movimenti: il futurismo avanguar-  dia di rottura e il fascismo sistema di potere. Anche se  il primo l’aveva spinto e sorretto nella sua azione di con-  quista. Il fascismo è allora per un suo aspetto futurista,  e non invece il contrario. E' la realizzazione di quel « pio-  gramma minimo futurista » che abbiamo già esaminato.  E Mussolini si può dire fosse stato anche futurista, o  comunque molto vicino al movimento di Marinetti. E  gli era stato anche amico, o c’era stata una reciproca  comunanza di sentimenti, che non esula dall’amicizia.   Ma Mussolini era stato anche socialista, anzi lo era sta-  to davvero e « fino in fondo ». Che fosse anche per que-  sto che i futuristi non potevano essere completamente  fascisti? O non si potevano identificare completamente  nel regime? Almeno i futuristi autentici, quelli più « idea-  listi ».   Il futurismo era stato sempre e comunque antisocia-  lista, in modo integrale, totale come si è visto. E lo era  stato dall’inizio antisocialista, per la sua posizione cultu-  rale, per il suo intendimento antimilitaristico ed antiegua-  litario, per il suo slancio antipassatista di svecchiamento.    Lo schiaffo ed il pugno, la velocità e l’aggressione,  la lotta e la vittoria erano tutti temi o motivi antisocia    44       listi. Il fascismo, nonostante tutto, era meno antisocia-  lista. In primo luogo per le origini del suo capo, per la  sua formazione-estrazione, per i suoi intendimenti di  visuale che non si erano spenti del tutto, ma si erano  solo attenuati e modificati: e si erano travasati, anche,  nella novità del futurismo.    Comunque, e malgrado questo, il fascismo rimase e  resta agli atti della storia un «movimento di massa »,  una « realtà sociale », un fenomeno popolare, un sistema  del numero in scala comunitaria e nazionale: questo è  acquisito, ed è incontestabile. E non può essere confutato  dagli storici seri. Mussolini lo volle e lo promosse que.  sto « popolarismo » e, se vogliamo anche, riuscì lenta.  mente e gradatamente ad «imporlo ». Ma non volle mai  l'uguaglianza o il livellamento, e cercò sempre di favo.  rire la distinzione dell’individualismo. Lo stimolo stesso  alla competizione nel campo dell’arte e l’amicizia con  l’amico-nemico Marinetti ne sono garanti. L’amicizia fra  i due personaggi non fu esclusivamente un fatto episo-  dico o della prima ora; fu un fatto profondo e vitale,  forse inalienabile ed « assoluto ». E durò, a controprova  del vero, fino alla morte.    Quando Marinetti, reduce dalla guerra di Russia per  cui si era arruolato volontario (malgrado i suoi 64 anni),  aderiva alla Repubblica Sociale Italiana dopo i tragici fatti  dell’armistizio, dimostrava sino all'ultimo fede ad un’ami-  cizia e ad un'idea, comunque e nonostante tutto. Mari-  netti era partito per la Russia all’insegna della coerenza,  non potendo contraddire il suo messaggio della guerra  « sola igiene del mondo ». Messaggio che anche il « duce »  aveva sentito, forse tragicamente e forse fuori tempo. Ma  lo aveva comunque sentito, e l’amicizia con Marinetti e  la sua nomina ad Accademico d'Italia lo dimostra. Quan-  do avrebbe benissimo potuto « bruciarlo ». E aveva an-  che sentito che il nuovo secolo richiedeva un cambiamen-  to, che si doveva in qualche modo maturare.    Volle promuoverlo e accelerarlo (da « futurista »?), in-  tervenite e spingere l'avanzata fino all'assurdo. Ne rimase  coinvolto e definitivamente « inghiottito ».  Marinetti si era salvato, e con se stesso aveva salvato  la poesia.    La guerra (leggi: politica) non poteva averla distrutta.  In età avanzata era rientrato a vivere brevemente, a lot-  tare fino all’ultimo per consegnare a Venezia un messag-  gio, quello vitale e ineliminabile « verso il futuro ». I suoi  discepoli lo accolsero come un testamento e qualcuno lo  trasmette ancora per testimonianza. Nonostante la trasmu-  tazione dei tempi e le difficoltà del presente. Lo docu-  menta ancora per la verità storica e per la risonanza del-  l'oggi. E, forse, per un nuovo futuro di domani.    12. Sindacalismo futurista    II fascismo aveva creato la « Carta del Lavoro », che  ricalcava a sua volta quella ptima espressione originale  di emissione statutaria d’impronta sociale, che era stata  la dannunziana « Carta del Carnaro ». Ma già prima i  futuristi avevano inteso una «loro » sindacalizzazione in  senso artistico, ed avevano ancora una volta concepito un  manifesto. Si tratta del manifesto al governo fascista del  1° maggio 1923 intitolato I diritti ertistici propugnati  dat futuristi italiani.   I diritti rimasero in gran parte sulla carta, ma l’in-  tenzione era evidente: quella di creare una specie di « car-  ta sindacale » per la costituzione dei « sindacati artistici  futuristi », atti alla difesa ed all'assistenza degli artisti  eventualmente bisognosi. Oggi quel poco che offre il sin-  dacalismo dell’arte è dovuto per lo più al sindacalismo  futurista e, in parte, a quello fascista. Ma l'idea del mu-  tuo soccorso e della solidarietà del lavoro era già pre-  sente nella mentalità futurista, orientata sempre verso  giustizia (in questo caso, giustizia dell’arte). Il proleta-  riato delle rappresentanze artistiche è fatto ben noto, e  non da oggi: non ne furono esenti i futuristi, che anche  in questo senso furono rivoluzionari veri e propri, e cercatono comunque il rinnovamento. E vollero un’istituzio-  ne che li garantisse dalla loro precarietà, dalle loro dif-  ficoltà e dalla loro miseria.   La «Banca di Credito» per artisti fu iniziativa di  Marinetti, in seguito approvata e patrocinata dal « duce ».  Che così rispose per l’occasione all'amico futurista: « Mio  caro Marinetti, approvo cordialmente la tua iniziativa per  la costituzione di una Banca di Credito specialmente per  gli Artisti. Credo che saprai sormontare gli eventuali osta-  coli dei soliti misoneisti. Ad ogni modo questa lettera  può servirti di viatico. Ciao, con amicizia. Mussolini ».   Si trattava di una vera € propria forma di « assicu-  razione del denaro » che doveva favorire gli artisti, o sod-  disfare le loro necessità. Ma non solo Îa costituzione della  Banca di Credito chiedeva il manifesto del ’23, firmato  da Martinetti « per la direzione del movimento-futurista e  per tutti i gruppi futuristi italiani ». Si volevano anche  realizzare: 1) Difesa dei giovani artisti italiani novatori  in tutte le manifestazioni artistiche promosse dallo Stato,  dai Comuni e private... 2) Istituti di credito artistico ad  esclusivo beneficio degli artisti creatori italiani [dove si  propone l’apertura d’istituti di credito per la sovvenzio-  ne di artisti, manifestazioni artistiche ed Istituti d'arte.  Tali istituti si manterrebbero con la buona volontà degli  aderenti, se privati, o con imposte sui redditi di guerra,  pet esempio, se statali. Le opere d'arte depositate co-  stituirebbero valorizzazione fruttifera per l’artista medesi-  mo, ecc., n.d.r.]... 8) Agevolazioni agli artisti [tramite  il riconoscimento legale dei diritti d’autore, la riduzione  del 75% della tariffa per i viaggi degli artisti e il tra-  sporto delle loto opere, l'abolizione delle tasse doganali  nell’importazione ed esportazione delle opere d’atte, il  catico sull’assicuratore delle spese per lettere di cambio  o assicurazioni delle opere d’arte, ecc..., n.d.r.]. Come  si vede i futuristi guardavano sì al futuro, ma stavano  ben calati nel presente e cercavano di opetare e di agire  di; presente pet migliorare e per rendete più giusto il  uturo. Col « ritorno all’ordine », come si definisce dagli sto-  rici l'affermazione del fascismo e la sua lenta istituziona-  lizzazione in regime, si parla anche di modifica del futu-  rismo 0 di suo adeguamento ad una nuova realtà siste-  matica e organizzativa, conseguita al periodo rivoluziona-  rio; e si chiacchiera ancora di «secondo futurismo ».  Anche se il futurismo, primo o secondo che fosse, non  ha mai avuto a che fare con l'istituzionalizzazione del  l'arte nell’« ordine fascista ». Dice il critico Enrico Cri-  spolti in un suo saggio, e lo asserisce in modo catego-  rico e definitivo: « In questo senso è politicamente inam-  missibile e culturalmente scorretta una liquidazione del  Secondo Futurismo in quanto collusivo out court con  il fascismo »’.   Ma come si atriva a questa seconda definizione del  movimento? E poi eventualmente alla sua « demonizzazio-  ne » 0 « fascistizzazione » in senso politico?   Avevamo già visto nel ’24 Gerardo Dottori « prova-  re» le sue prime aeropitture. Nel frattempo i futuristi  continuano a scambiarsi esperienze ed a lavorare intensa-  mente. È ad esporre spesso e volentieri, anzi velocemen-  te e freneticamente, « alla futurista ». Nel 1926 vengono  invitati diversi futuristi italiani alla International Exhibi-  tion of Modern Art di New York. Nello stesso anno  alla IX Biennale d'Arte di Reggio Calabria espongono  Depero, Tato, Benedetto, Rizzo, Fillia e Dottori. A_Mi-  lano intanto al Palazzo della Permanente si allestisce la  seconda mostra, che abbiamo già visto, del Novecento,  ormai in auge e prossimo ad assurgere ai fasti della glo.  ria del potere. C'è anche la dichiarazione ufficiale del neo-  costituito « Gruppo 7» di architettura, composto da Ter-  ragni, Libera, Frette, Figini, Pollini, Rava e Larco.   Nel 1928 i futuristi partecipano finalmente alla XVI  Biennale di Venezia. A Torino, all'Esposizione Nazionale,       ? Enrico Crispolti, Appunti riguardanti i rapporti fra futurismo  e fascismo, in Arte e Fascismo in Italia e Gertania, Feltrinelli, Mi-  lano 1974, pag. 54. si allestisce un padiglione di architettura futurista, con  opere di Sant'Elia, Sartoris, Balla, Fillia, Prampolini e  Chiattone.   Nel 1929, 33 futuristi espongono ancora alla « Pesa:  ro » di Milano (Balla, Farfa, Benedetto, Lepore, Dottori,  Marasco, Tato e Prampolini). Azari pubblica il suo Primo  dizionario aereo; Balla, Fillia, Depero, Marinetti, Tato,  Somenzi, Benedetto, Rosso, Prampolini e Dottori lancia-  no il famoso Manifesto dell’Aeropittura. Terragni termi.  na 2 Como la costruzione di Novocomum, nuovo edificio  residenziale periferico. Marinetti è ‘accolto il 18 matzo  nell'Accademia d’Italia, insieme a Fermi e Pirandello, su  istanza personale di Mussolini.    Esce per le Edizioni di Augustea, Roma-Milano, il  volume Marinetti e il Futurismo, quarta ed ultima espres-  sione di letteratura politica del capo futurista. L’opera  ricalea in termini ancor più encomiastici e «di suppor-  to» il già « conciliante » Futuriszzo e fascismo (1924).  Il volume esce ancora dedicato « Al grande e caro Benito  Mussolini », definito questa volta già nella prima pagina  « temperamento esuberante, strapotente, veloce. Non è  un ideologo. Se fosse un ideologo, sarebbe incatenato  dalle idee che sono spesso lente, e dai libri che sono  sempre morti. Egli è invece libero, scatenatissimo. Fu  socialista e internazionalista, ma soltanto in teoria. Rivolu-  zionario sì, ma pacifista mai ». Il che equivale a dire  « futurista ».   Del socialismo di Mussolini abbiamo già parlato, e  della sua portata teorica, a questo punto effettivamente  e « praticamente » confermata. Del futurismo « fascista »  di Marinetti si sono scritti fiumi d’inchiostro e sproloqui  di parole. La dimostrazione più lampante della sua parte-  cipazione estetna al fascismo e della sua continua difesa  del futurismo e delle avanguardie è data dal rifiuto di  onorari e prebende: unica « accettazione » per  contto,  quella dell'Accademia d’Italia, che gli servì poi per di-  fendere il fututismo e per «lanciarlo » meglio in Italia  ed all’estero.    Nel 1930 Terragni realizza un monumento a Como su un disegno di Sant'Elia (che era stato totalmente rie-  laborato da Prampolini) in occasione delle « Onoranze  Nazionali all'architetto futurista Sant'Elia », che viene  commentato anche alla « Pesaro » di Milano. Marinetti  pubblica Futurismo e Novecentismo. Molti futuristi par-  tecipano alla IV Mostra delle Arti Decorative di Monza  ed alla XVII Biennale di Venezia. Nello stesso anno Ma.  rinetti pubblica a Torino sulla Gazzetta del Popolo i) Ma-  nifesto dell’Aeropoesia, che fa eco a quello dell'Aeropit-  tura del *29. E’ il « momento» dello sviluppo aereo e  dell’aeronautica: è giusto che il futurismo si muova nella  direzione del progresso e senta, ritragga e proietti la nuo-  va dimensione aerea dello spazio verso il futuro.    Nel 1931 esce a Roma il nuovo quotidiano L’'Impe-  to. Nel 1932 la Galleria « Pesaro » allestisce una mostra  vera e proptia, ed esclusiva, di « aeropittura ». Fortunato  Depero ottiene che gli venga concessa una sala « perso-  nale » alla XVII Biennale veneziana. Prampolini erige un  plastico a ricordo di Marconi a Roma per la Mostra della  Rivoluzione Fascista. La partecipazione futurista è segno  della nuova collaborazione politica. Ciò non toglie che  le realizzazioni esprimano intenti d'avanguardia. L’Istitu-  io Editoriale Italiano pubblica per la prima volta i Ma-  nifesti del Futurismo, in quattro volumi.    Fillia fa uscire il periodico Le Città Nuova e Sartoris  il volume sugli Elementi dell’Architettura funzionale;  Terragni comincia la costruzione della Casa del Fascio di  Como. Mino Somenzi fonda il nuovo periodico Futurismo,  definito «settimanale dell’artecrazia italiana ». Cambierà  poi titolo in Atfecrazia.    Nel 1933 Hitler sale al potere e sconfessa l’arte mo-  derna (l'espressionismo, nella fattispecie). Vasari organiz-  za con Marinetti una mostra futurista a Berlino nel ten-  tativo di promuovere, e di far recepire le avanguardie al  nuovo regime. Nel settembre dello stesso anno il Congres-  so nazista di Norimberga condannerà « al rogo » l’« arte  degenerata ». Esce la rivista Diamo futurista, diretta da  Depero; il periodico di architettura Casebella è invece di-  retto da Pagano, mentre Bardi e Bontempelli pubblicano  Quadrante. Prampolini progetta una stazione per aero-  porto civile al padiglione futurista della V Triennale di  Milano, mentre al Castello Sforzesco si organizzano le  onoranze nazionali a Boccioni, con la presenza di Paul  Klee, Piet Mondrian, Pablo Picasso, Vassily Kandinsky  ed Ezra Pound.    Nel 1934 Depero lancia un nuovo manifesto dell’Aero-  plastica, sempre sulla falsariga di quello dell’Aeropittu-  ra. Fillia e Prampolini pubblicano a Torino la nuova ri-  vista Stile futurista, dalle cui colonne Prampolini attacca  Hitler per le posizioni naziste sull’arte espresse a Norim-  berga. I futuristi partecipano ancora alla XIX Biennale  di Venezia. Ad Amburgo Ruggero Vasari e Marinetti di-  fendono l'avanguardia in occasione della mostra « Aero-  pittura futurista italiana », organizzata appositamente in  polemica alle censure naziste. A Lipsia ancora Vasari pub-  blica Aeropittura, arte moderna e reazione, che dimostra  la voce della nuova avanguatdia italiama improntata ai  progressi aeronautici ed in polemica contro i soliti passa-  tisti « censoti ».    Marinetti nel ’35 parte volontario per la guerra di  Etiopia. A Parigi viene organizzata una mostra futurista.  A Roma i futuristi partecipano alla II Quadriennale. Ma-  rinetti pubblica l’Aeropoema del Golfo della Spezia, che  ispirerà poi ancora molti aeropittori. Nel 1936 Prampalini realizza un salone da riunioni per municipio alla VI  Triennale di Milano. I futuristi partecipano alla XX  Biennale di Venezia. Muore Fillia esponente del « primo  futurismo ». Mussolini proclama l’Impero.    Nel giugno 1937 la mostra di Monaco attacca e de-  nuncia l’« arte degenerata » con esemplificazioni e « di-  mostrazioni ». Viene messa in luce per contro, o in risal-  to, l'arte « sana » nazista. Cominciano le polemiche e le  divisioni di fronti. Il fascismo ufficiale e « d'ordine » at-  tacca, e nuove violente polemiche scuotono l'avanguardia.  Il Popolo d'Italia e IL Perseo, diretto da A.F. Della Porta,  muovono guerra al futurismo. Quest'ultima rivista aveva  già polemizzato, insieme a Il regime fascista di Farinacci,  con l’architettura razionalista di Bardi e Terragni: « Noi siamo dell’opinione », si legge su Il Perseo del 15 giugno  1937, « che il Fascismo ha tutto da perdere da un’allean-  za col Futurismo e sia pure da una semplice connivenza ».  Risponde il periodico Artecrazia di Somenzi che contrattac-  ca in prima persona a sostenere l'avanguardia e il futu-  rismo. Difendo il Futurismo è la raccolta dei testi di So-  menzi pubblicati sulla rivista. Editi nel '37, sono l’opera  più coraggiosa e significativa della polemica per la lotta  dell’avanguardia.    14. Futurismo di destra e futurismo di sinistra    L’avanguardia, del resto, è sempre eterogenea e sfac-  cettata. Ecco perché si parla di « destra » e di « sinistra »  all'interno del futurismo nella fase della « maturità » (il  cosiddetto « secondo futurismo »). Destra e sinistra sono  termini abusati e « inflazionati », buoni per tutto. Se ne  fa spesso uso eccessivo ed improprio, semplicistico e gra-  tuito. D'altra parte, poiché avviene ancora e soprattutto  oggi, non si vede perché non dovesse avvenire allora,  quando anche si parlava, al tempo, di fascismo di « de-  stra » e di fascismo di « sinistra ».   Il « centro », almeno nelle avanguardie, non ha ten-  denze, o ne ha molto pache e solo per qualche momento.  Il « centro» ha poche tensioni, pochi impulsi vitali, di  rinnovamento. Il « centro », quindi, risulterebbe amorfo,  inutile, privo di idee 0 spirito di catatterizzazione. L’avan-  guardia allora sta a « destra » 0 a « sinistra »: non è mai  al « centro », o almeno è difficile che lo sia. Il futurismo  fu forse un’avanguardia di « destra » se intendiamo per  « destra » una certa qual spinta ideale d'impronta bergso-  niana o nietzschiana: poteva però essere anche di « sini-  stra » per le sue istanze sociali. O poteva essere al di  là della « destra » e della «sinistra », per ricalcare una  espressione del pensatore tedesco.   Sta di fatto che il futurismo non fu mai di « centro ».  Ma se si vuole dar credito a quello che comunemente si  intende otmai per « destra », si deve anche accogliere un    52    futurismo di « destra », o rivolto verso « destra »: se  è vero che a «destra » sta la conservazione, lo spirito  borghese, il richiamo all’ordine ecc. ecc. E se è vero per  contro che a « sinistra » sta la spontaneità o lo spontanei-  smo, la sincerità, la schiettezza, l'onestà e quindi anche  la miseria e la « rivoluzione »: ecco, allora, esiste anche  il futurismo di « sinistra ». Com'è possibile?    La polemica, anche se non sembra vero, fu proprio  di quegli anni. Comincia Bruno Corra con un « fondo »  di prima pagina su Futurismo, diretto dal Somenzi, n. 27  del 12 marzo del 1932, anno I e X dell’« Era Fascista ».  Il titolo è già sintomatico: No: futuristi di destra. Anche se  Corra aveva usato il termine « destra » con le attenua-  zioni del caso, affermava che «l'essenza del Futurismo è  e non può non essere rivoluzionaria ». E ancora, a spe-  cificare meglio il concetto: « ... Bisogna dire che nel no-  stro movimento i termini di sinistra e destra non si op-  pongono, perdono cioè il loto significato convenzionale.  La mentalità futurista supera il contrasto fra il sovvetti-  mento e la conservazione, in quanto si libera di continuo  in uno slancio creativo », tanto per la precisione dei ter-  mini e la puntualizzazione del linguaggio. E siccome il  linguaggio ci investe di una « sua » moralità, ecco che è  bene tenerne conto quando ancora il Corra così sottoli  nea: « Mi pare che qui si tratti, prima di tutto, di una  questione di moralità. Dare al Fututismo quel che al Fu-  tutismo appartiene: e non truccare il proprio ingegno con  un'etichetta di convenienza. Chi si dichiara avanguardi-  sta ma non futurista, sputa nel piatto dove ha man-  giato ». E fin qui è tutto chiaro e conseguenziale. Ma ve-  diamo come ancora il Corra continua: « Poi, lo stabilirci  questo principio; che il privilegio di poter restare nella  sfera magnetica del Futurismo pure affermando, nella pro-  pria opera un temperamento realizzatore di destra, debba  accordarsi soltanto a coloro che han dimostrato di sapere  essere — integralmente — futuristi. E reclamerei il diritto  di sedermi a destra, per mio conto, in nome della mia  effettiva collaborazione al Futurismo più rivoluzionario... ».  Insomma, essere stati di « sinistra » per poter essere poi di « destra », o aver fatto i rivoluzionari in gioventù,  per poter pai sedere tranquillamente sugli « scanni » del  concreto o nella comodità del reale (di quando, cioè,    x    si è « arrivati »).    Può darsi sia vero, pur se non proprio giusto 0 cor-  retto il ragionamento, ma concreto sì ed anche, che ci  piaccia o meno, realistico. La polemica inizia ed. è un  susseguirsi di botte e risposte. Fra tutte vediamo come  « replica » Paolo Buzzi su un altro «fondo» di prima  pagina dello stesso Futuriswo n. 30, anno II, del 2 aprile  1933. Il titolo è anche questa volta emblematico,  Estrema sinistra, puntualizzato poi meglio nell’« occhiello »:  Non c'è che un futurismo: quello di estrema sinistra. Dove  si sancisce la necessità dell'avanguardia a « sinistra », e  la «sinistra » del futurismo, l’unica possibile. « Questo,  e non altro, è il vero futurismo. Perché dovrei sedermi a  destra, proprio io? Mi sembrerebbe di tradire la causa di  Aeroplani, di Ellisse e la Spirale, di Cavalcata delle verti.  gini... ». E ancora: « Questo è futurismo: e di ultra estre-  ma sinistra. Le mie autonomie sintetiche di anime e di  sensi, le mie aeropitture di tipi e di paesaggi, i miei co-  smopolitismi spaziali e i miei intimismi votticosi, stanno  per una intransigenza etico-estetica che costituisce, or-  mai, la gioia (ed, un pochino, anche la gloria) della mia  lunga carriera di vomo che ha sempre fatto dell'Arte come  il sacerdote celebra messa. Aviatore sempre, adunque: fan-  te o stradino, non mai ». E conclude poi, con patole un  po’ altisonanti e troppo, forse, di effetto: «I giovani,  quelli veramente degni di questo nome primaverile, sanno  che al di fuori e al di sopra d'ogni inevitabile chiasso  letterario, la parola “futurismo” risponde alla sola unica  vera “idea forza” che oggi esista nella sfera ideale del  mondo: e che è in grazia di essa, unicamente di essa, se  oggi la Poesia della miracolosa Italia fascista vive e vi-  vrà ». Dove si dimostta ancota una volta, come se non ba-  stasse, il collegamento tra futurismo e fascismo, almeno  nella loro spinta « spontaneistica » e rivoluzionaria.    Dobbiamo comunque tenere conto del tempo della  pubblicazione di questi articoli, nel °32 e '33, in pieno ed affermato regime. Ecco, quindi, anche, il senso di una  « destra » e di una «sinistra », di un futurismo ancora  giovane ed esuberante, e di un altro futurismo per contro  già assiso sugli allori della gloria o sul comodo giaciglio  della meta raggiunta e della calma del riposo. Quando  cioè il fascismo, movimento politico rivoluzionario, eta di-  ventato « regime », ed aveva, per così dire, assunto le sue  caratteristiche sembianze (almeno fino a un certo punto).  Perché il futurismo, così come era sotto, in fondo si era  voluto mantenere. AI di là dei tentativi di conglobamento  o di «cattura » della sua entità esercitati dal regime o  da singole personalità fasciste, alcune delle quali, magari,  erano state futuriste o vicine al futurismo. Tuttavia era  e restava, il futurismo, in fondo, quello di sempre: solo  ed esclusivamente un movimento d'avanguardia.    15. Futurismo ed ebraismo    « Innumerevoli differenze separano il popolo russo dal  popolo italiano, oltre a quella tipica che distingue un po-  polo vinto e un popolo vincitore. I loro bisogni sono di-  vetsi e opposti. Un popolo vinto sente morire in sé il  suo patriottismo, si rovescia rivoluzionariamente e plagia  la rivoluzione del popolo vicino. Un popolo vincitore co-  me il nostro vuol fare la sua rivoluzione, come un aera-  nauta getta la zavorra per salire più in alto... Non esiste  in Italia antisemitismo. Non abbiamo dunque ebrei da re-  dimere, valutare o seguire », sosteneva Marinetti nel 1920:  e lo diceva nella sua opera già esaminata A! di là del Co-  munismo. Lo riportiamo non tanto per rilevare le diffe  renze fra rivoluzione futurista e rivoluzione bolscevica 0  spirito comunista, quanto per far rilevare quale era la  posizione di Marinetti nei confronti degli ebrei già nel  1920. Gli ebrei da « redimere, valutare o seguire » sono  evidenti: Marx ed Engels. Il problema invece si affaccia,  come tutti sappiamo, sul volgere del '38 e all'alba del  °39. Il Manifesto del Razzismo italiano, quello degli scien-  ziati del 14 luglio ’38, e la Carta della Razza del 6-7 ottabre dello stesso anno, cui fanno seguito le leggi razziali  del novembre sulla falsariga dell’antisemitismo tedesco,  danno buon gioco alla cultura dell’« ordine », quella più  direttamente sostenitrice o affiancatrice del regime.    Secondo Crispolti «il tentativo della cultura legata  alla destra reazionaria fascista di profittare della campa-  gna antisemita per promuovere un'edizione italiana della  operazione nazista dell’“arte degenerata” è un aspetto no-  tevole dell’azione pubblicistica che precedette e accompa-  gnò quei provvedimenti » ®. L'azione pubblicistica era con-  dotta da Telesio Interlandi in prima persona, che attacca-  va spesso e volentieri Marinetti, il futurismo e le avan-  guardie attraverso il suo periodico: dal Quadrivio, setti  manale romano ad impronta razzista, al quotidiano roma-  no Il Tevere, a La difesa della razza. Oltre a Interlandi  si distinguevano Giovanni Preziosi con il mensile La wite  italiana, e Roberto Farinacci con Il regimze fascista, quoti-  diano di Cremona.    « L'arte moderna è un tumore che deve essere tagliato  non che si debba esibire come una gloria nazionale sol  perché piace a Marinetti », aveva affermato I/ Tevere  del 24-25 novembre 1938, pubblicando un’antologia di  esempi d’« arte degenerata » italiana. Quadrivio aveva a  sua volta proposto un referendum contro l'arte moderna  considerata in blocco « bolscevizzante e giudaica », ma  senza alcun successo.    Marinetti rispondeva con una manifestazione indetta  il 3 dicembre 1938 da lui e Somenzi al Teatro delle Atti  di Roma. E Somenzi stesso lo accompagnava con un « fon-  do » polemico su Arfecrazia, n. 117 del 3 dicembre, dal  titolo Razzismo. Ad esso facevano seguito sul n. 118 del-  l'11 gennaio 1939 due articoli (Arte e... razzia, e Italianità  dell’arte moderna), ancora in posizione di attacco, aspro  e violento. Quest'ultimo, firmato « Artecrazia »  pottò a  determinare la chiusura stessa del giornale. Non è escluso       * Enrico Crispolti, Appunti riguardanti 1 rapporti fra futurismo  e fascismo, cit., pag. 58.    56    che lo avesse scritto proprio lo stesso Marinetti (con Somen-  zi). Il pretesto di voler colpire con l’antigiudaismo l’arte  moderna era messo all'indice dell'accusa. Si dimostra così  ancora una volta lo spirito d'avanguardia con cui il futu-  rismo e i futuristi operavano, sia pur sotto le bandiere del  regime, ma in fondo in opposizione a una cultura d’or-  dine e di conservazione, priva di spunti nuovi e originali,  o addirittura chiusa ai contatti e alle avanguardie europei  sotto il pretesto dell'antigiudaismo, che non poteva certo  essere aperto a nuove esperienze.   Nel 1940 entta in guerra l’Italia. Marinetti parla « Per  l’italianità dell’arte » e tiene un discorso al Teatro delle  Arti a Roma sulla « bellezza aeropoetica della guerra mec-  canizzata ». Intervengono Radice e Terragni a difendere  l’arte moderna. Declatmano Marinetti, Farfa, Scrivo, Mo-  nachesi e Berardi. La rivista Autori e Scrittori pubblica  il manifesto Nuova estetica della guerra. A Genova Mari.  netti parla su «La poesia e la guerra » nel Salone dei  Professionisti e degli Artisti, dove si declamano poesie  di Mazzotti e Balestreri.   Nel 1941 Renato Di Bosso lancia il nuovo Manifesto  dell’Aerosilografia. Nel 1942 Marinetti pubblica  Carto  eroi e macchine della guerra mussoliniana. Poi parte vo-  lontario a raggiungere le truppe italiane in Russia. Rien-  trerà nel ’43 malato, e già intaccato nella salute. Mussolini  cade il 25 luglio e Marinetti si trasferisce a Venezia, dopo  l'8 settembre. Il fascismo è finito, ma il futurismo an-  cora continua.    16. Il futurismo tra ieri e oggi    Dopo la morte di Terragni a Como (1943) per ma-  lattia contratta sul fronte russo, Marinetti aderisce nel  44 alla neo-costituita Repubblica Sociale Italiana. A_Ve-  nezia riceverà gli ultimi futuristi, rimastigli fedeli nono-  stante il « declino »: Crali (ancora vivente) e Andreoni  (recentemente scomparso). A loro vorrà consegnare il fu-  turismo perché non muoia con lui. Si trasferisce poi a  Cadenabbia sul lago di Como e muore a Bellagio nella  notte fra il 2 e il 3 di dicembre, per crisi cardiaca (i fu-  nerali di Stato porteranno le spoglie a Milano, al Cimitero  Monumentale). Postuma a lui e alla fine del fascismo  (repubblicano) si pubblicherà la sua ultima opera, che  così inizia: « Salite in autocarro aeropoeti... » Si tratta  del Quarto d'ora di poesia della X Mas, in cui l’invoca-  zione all'avanguardia alita uno strano ed inevitabile sen-  so di morte, violento ed inesorabile.   Ma l'avanguardia è, pare, ineliminabile, tant'è che il  futurismo continua come espressione artistica almeno, an-  che se ormai non più politica. I suoi epigoni lo sosten-  gono ancora, «con le parole e con le opere». Crali  Primo Conti a Milano e a Firenze, Sartoris a Losanna, Di  Bosso ed Anselmi a Verona, Enzo Benedetto a Roma  portano ancora avanti il suo programma d'avanguardia. Con  parole e con scritti, con opere e con progetti, col messag-  gio dell’arte sempre e comunque. I seguaci di Marinetti  si rifanno a lui e sostengono con vivacità e con brio la  vitalità di una prospettiva che si vuole sempre rinnovare.    Questo è ancora, malgrado tutto, il valore attuale del  futurismo. Quello di un'avanguardia italiana aperta alle  avanguardie europee, ma avanguardia comunque e  valo-  rizzatrice in ogni caso dell'arte. Che dev'essere libera e  moderna, nuova ed attuale, viva e presente ai suoi tempi.  Per questo deve ancora schiacciare le pastoie dei vecchiu-  mi « passatisti », deve smuovere il conservativo e assa-  lire i fantasmi di prolungamento di polverosi e sclerotici  retaggi. Deve insomma comunque essere avanguardia. Il  messaggio futurista, in questo senso, è ancora attuale. Ce  lo dicono Crali e Benedetto, fra gli altri, con le loto  testimonianze. Che ci aiutano a tivedere la « dimensio-  ne » del futurismo: una dimensione « presente » in tanta  odierna penuria di originalità nel moderno, presente al-  meno come forza dinamica nella prospettiva di migliori,  più aperti, e più geniali futuri.   ALBERTO SCHIAVO    58    SOFFICI, MARINETTI, BOCCIONI, RUSSOLO  SANT'ELIA, SIRONI, PIATTI    FUTURISMO E  « GUERRA SOLA IGIENE DEL MONDO. Ben presto si manifesta l'interesse dei futuristi per  la politica. Nel 1911 Marinetti pubblica giò un mani  festo « politica », che sarà la sua prima espressione di  intervento nelle cose pubbliche. «Tyripoli Italiana »  vuol dire presenza dell’Italia e primato dell’Italia;  vuol dire guerra ed espansione, allargamento del vita-  lismo italiano, e vittoria. Il « panitalianismo » si espri-  me e si dichiara apertamente, per la prima volta.  L'avanguardia politica deve accompagnare  l'avanguar-  dia artistica. E il primato italiano in arte st deve ma-  nifestare anche in politica, nella forza dell'espansione  del genio (al tempo, di arbizione coloniale).   Poco dopo la Libia, è la volta dell'Austria. L’amo-  re della guerra non può che portare a voler V'inter-  vento. Ci sembra significativa la penna di Soffici su  Lacerba del ‘14, dove si osa dire la verità e mettere  in luce la finzione del moderatismo neutralista (cat-  tolico o socialista che sia).    Il manifesto della fine del 1915, dedicato all'« or-  goglio italiano », è già un manifesto di guerra. Per  questo lo riportiamo interamente, a dimostrazione del-  la fiducia e dell’ottimismo degli artisti combattenti,  la loro convinzione della forza attiva e dello funzione  battagliera dell’arte    PER LA GUERRA    Valvola    Essere italiano (mi piace ripeter qui che adoro il  popolo italiano) non è in generale gran fatto entusia-  smante, in questa nostra epoca. Ìn questi ultimissimi tem-  pi, confesserò che per conto mio mi vergogno un poco  di portar questo nome. E’ un sentimento che si è andato  sviluppando leggendo i giornali, e posso anche ammettere  che una tale causa non meriterebbe di produrre un tale ef-  fetto; ma i giornali son tutta la nostra vita ormai e pur-  troppo. E. dai giornali italiani si alza e si propaga un tal  lezzo d'abbiezione e d’imbecillità che chi ha un po' di  cuore e di spirito non può fare a meno di sentirsene sof.  focato. E' una gara in cui corrispondenti, redattori ordina-  nati e straordinari, politicanti e governo fanno del loro  meglio per sorpassarsi a vicenda. Non che siano espliciti  nei loro articoli e nei loro comunicati, ma la bassezza tra  spare e offende. Sono reticenze abbiette, raccomandazioni  infami, voltafaccia vergognosi, silenzi più vergognosi anco:  ra. Si sente che il calcolo idiota comanda e regola tutti  questi spiriti subalterni. La guerra? Le mani in mano?  Questo enimma terribile non è affrontato a viso aperto,  ma una battaglia vinta o persa lontano detta il tono ed il  catattere (anche tipografico) della notizia, del commento  o della nota ufficiosa. Dà il là all’elucubrazione insulsa del  machiavello rimbastardito. La stampa italiana è opgi come  oggi l’indizio della più ripugnante psicologia e mentalità  che possa avere una nazione. Davanti al mondo che com-    Tralasciamo i paragrafi: Toccami il naso, Grandezzate, e Subli-  mità, che ci sembrano poco significativi dal punto di vista politico,  per riprendere con Socialismo, molta più denso e pregnante.    61    batte e soffre, accanto a una civiltà che difende le sue  — le nostre — ricchezze dal sacrilegio di un'orda senza  stotia, noi siamo il leguleio diseredato di viscere, solle-  cito della sua trippa mediocre che occhieggia le fortune  dei popoli, e risponde di sbieco o tace aspettando dietro  lo schermo della sua neutralità. Non hanno il coraggio  questi figuri di dirla una buona volta ta verità. Ditelo che  siete i più ignobili rappresentanti di un paese che è mise-  rabile perché non vi calpesta come cimici. Ditelo che vi  mancano il cuore e i testicoli. Ditelo che avete paura. O  confessate almeno che dietro la vostta prudenza c'è la  vostra impotenza, la verità che ci buttano in faccia i nostri  alleati quando fra una batosta e l'altra voglion levarsi il  gusto di pigliarci per il bavero. Che cioè l’Italia non ha  quattrini, non ha armi, non ha munizioni e che i suci  magazzini son vuoti come la badia di Spazzavento. E ci sono infine i socialisti. Io non ho un'esagerata  antipatia pet i socialisti. Trovo che la loro cravatta rossa,  il loro sol dell’avvenir, i loro discorsi in piazza, e gene-  ralmente tutto ciò che li caratterizza, così a occhio e  croce, sono un tantino ridicoli; ma le case popolari, l'au-  mento delle mercedi operaie e tutto ciò che il proleta-  riato deve loro di miglioramenti per la vita di tutti i  giorni sono cose ottime e sante. Ciò non toglie che una  cosa mi stupisce straordinariamente ogni volta l'intravedo  e mi stupirà in eterno: la loro mentalità. Si rivela spes-  sissimo in questi giorni, e sempre a proposito della neutra-  lità italiana. I socialisti l'’ammettono, non solo, ma la vo-  gliono perpetua. « Io sono e resto un fautore ogni giorno  più convinto della neutralità per la pace » ha dichiarato  in un referendum uno di loro. E voleva forse dire (giac-  ché è difficile immaginare una neutralità per la guerra)  che lui e il suo partito sono per la pace a ogni costo.  Giacché, ed eccoci alla mentalità di codesto partito, ogni  buon socialista non vede nella guerra, qualunque essa sia,    62    se non una lotta di capitalisti e banchieri contro capita-  listi e banchieri i quali si servono del proletariato per li-  quidare le loro partite. Ammettiamo che in ogni guerra ci  sia un sostrato d'interessi; ma non c'è altro? Per i so-  cialisti non c'è altro. L'idea che i socialisti si fanno del  mondo è questa: un capitalista borghese e sfruttatore alle  prese con un magro popolano sfruttato. La cultura, le  scienze, le arti, le delicatezze, l’eleganze, i raffinamenti,  le filosofie, la bellezza, i sentimenti, gli amori, le passioni  -— tutto ciò insomma che fa la vita così terribilmente com-  plessa, così colorita, così varia, multiforme, incoercibile non  è nulla per loro. Tutto è grigio, e l’universo intero una  specie di ragnatela squallida senza confini né orizzonti,  eterna, in mezzo alla quale un ragno cerca di succhiare  una mosca alla quale Karl Marx ha insegnato che non  deve lasciarsi succhiare.   Così, nella guerra presente, che cosa importa se intere  nazioni difendono una civiltà che è la nostra, le libertà  conquistate — le idee stesse dei socialisti — contro i nemici  che sono gli stessi nemici dei socialisti? Per i compagni  di Filippo Turati non si tratta che della solita altalena dei  capitali sulle povere spalle del popolano e bisogna aste-  nersi. E parlo espressamente degli « ufficiali » ex cattedra,  giacché agli altri, a quelli del colloquio coll’emissario tede-  sco, dobbiamo l’atto forse più nobile e generoso che si sia  compiuto in Italia in quest'ora di straordinaria bassezza.    Il trionfo della merda    La cieca incoscienza dei socialisti ufficiali e l’untuosa  malafede dei cattolici alla Meda (ecco un uomo cui manca  indicibilmente l’erre!) si possono anche capire in un mo-  mento come questo, chi consideri la speciale mentalità  di codesti gruppi e la messa in giuoco violenta dei prin-  cipî e degli interessi di tutti.   I primi, i socialisti, non d'altro solleciti che di vuote  teoriche malamente idealistiche, non possono vedere nella  guerra se non un fatto inquietante, uno di quei fatti che afferrando tutto l’uomo ne mettono in mato ogni energia  vitale il che è sempre a scapito certo delle ideologie uni-  laterali, e credono l’'opporvisi con tutte le loro energie  una coerente difesa dell’« idea » mentre non si tratta in  fondo che di un semplice istinto di conservazione. I se-  condi, i cattolici, sanno benissimo che un nostro interven-  to nel conflitto attuale favorendo il trionfo di popoli tut-  t'altro che asserviti alla secolare imbecillaggine papale, si-  gnificherebbe un indebolimento considerevole della loro  compagine, e maschetano di prudenza pattiottica il loro  desiderio di vedere ancora l’Italia ribadir con la sua neu-  tralità incondizionata i vincoli che la fanno setva e com-  plice del bigottismo e dell’inciviltà eutopea.    Contro gli uni e gli altri, se si può usar del disprezzo,  non sarebbe dunque logico indignarsi. Ma c’è una massa  dei nostri connazionali che nessuna collera, nessuna abo-  minazione potrà mai bollate con l’infamia che merita la  sua straordinaria abbiezione. E' Ja massa oscura, anemica  informe degli irresponsabili, dei disamorati, degli abulici:  dei parassiti della società e della vita. Non vedendo nulla  più di là della lora piccola tranquillità presente, del loro  affare meschino, del loro affetto senza energia; rincantuc-  ciati nel loro buco momentaneo al sicuro dalla burrasca  che gli sgomenta soltanto a intravederla nelle corrispon-  denze del loro mediocre giornale, essi credono che nulla  possa essere più profittevole del prolungare, sia pure a co-  sto di ogni mortificazione, questo stato d’incolumità rumi-  nativa nell'ombra e in margine alla storia. Chè se domani  la preponderanza in Europa di una razza di pachidermi  violenti, chiusi a ogni luce di vera intelligenza, conculcherà  ogni espressione geniale di vita; se i popoli cui si lega una  comunanza di cultura, di ricordi e di tradizioni, saranno  mortificati e asserviti a un’etica da ingegnere belligero e  spia; se le nostre stesse fortune intellettuali, morali e ma-  teriali saranno manomesse e asservite, che cosa importa  a questi miopi sdraiati nella loro flaccidezza quietoviven-  te? A costoro importa che l’oggi sia senza strepiti e senza  pericoli, che il tran tran dell’esistenza seguiti: felici se l'Ita-  lia potrà uscire dal rotto della cuffia — e sia magari verso    64    l'abisso. Così nessuno si affida con più sicurezza di loro  alle decisioni del nostro governo. Il govetno italiano che  fino ad oggi s'è dimostrato come la quintessenza di questa  materia fiscale, perché non d -*ebbe divenirne anche la  stella fatale? L’ospizio degl lidi della Consulta è il  faro naturale di questa marea ».ercoraria che monta. Poi  ché essa monta, trionfando. Ogni giorno che passa nella  passività, ogni occasione perduta, ogni ambizione abdi-  cata, ogni nuova difficoltà creata servono ottimamente al  suo incremento e alla sua propagazione. Siamo già a  buon punto. Dopo aver impedito con tutto il suo peso ri-  pugnante ogni movimento, questa massa pestifera ha già  una voce per dire che muoversi ora è troppo tardi. An-  cora poche settimane e sarà forse vero, e tutti saremo  sommersi per sempre.   Amici! Noi abbiamo parlato e scritto: abbiamo propu-  gnato tutto il calore delle nostre anime per oppotci alla  vigliaccheria inaudita di una bella parte dei nostri con-  cittadini. Credo che il momento di una lotta più diretta e  dura stia per giungere. Le armi della mente e del cuore  stanno per esaurirsi. Bisognerà ricorrere alle altre, se non  vogliamo che l’Italia piombi al livello della più vergognosa  fra le nazioni. Un paese che abbia per scrittori dei Pao-  lieri e la Nazione come giornale ufficiale.    Arvenco SOFFICI  [da: Lacerba, n. 18, 15, settembre 1914; e n. 19, 1° ottobre 1914]    L'ORGOGLIO ITALIANO    Il 13 Ottobre, nella prima perlustrazione fatta da me  agli ordini del capitano Monticelli e del sergente Visconti  in terreno nemico, a 6 Km. dalle nostre trincee, fra le  alte roccie a picco, nelle boscaglie e nelle pietraie dell'A]  tissimo, dopo esserci incontrati con una pattuglia austria    65    ca che ci voltò le spalle e fuggì, constatammo con gioia  la superiorità enorme della nostra artiglieria, i cui tiri  meravigliosi, passando su di noi e sul lago, sostenevano la  nostra avanzata in Val di Ledro. Nella seconda perlustrazione fatta da  me, dai miei amici futuristi Boccioni e Sant'Elia e dal  pittot  Recci, esplorando e occupando la trincea delle Tre  Piante, constatammo con quale gioconda disinvoltura dei  giovani pittori e poeti italiani possano trasformarsi in  audaci, rudi, instacabili alpini.   Durante l'avanzata, l'assalto e la presa di Dosso Ca-  sina, compiuta dai Volontari ciclisti lombardi e da un  battaglione di alpini, vedemmo le truppe austriache sgo-  minate dalla baldanza di pochi italiani diciassettenni e  cinquantenni, non allenati alla guerra in montagna. Dopo  aver matciato per 7 giorni in un foltissimo nebbione, con  vestiti quasi estivi malgrado la temperatura di 15 gradi  sotto zero, i Volontari ciclisti pernacchiavano allegramen-  te alle migliaia di sbrapne!s prodigati loro da 5 forti austria-  ci. I nuovi raccoglitori di bossoli e di schegge micidiali  facevano finalmente dimenticare gli stupidissimi e senti-  mentali raccoglitori di edelweiss.   Constatammo che degl'italiani, già operai, impiegati o  borghesi sedentarii, sapevano vincere in astuzia qualsiasi  pattuglia di Kazserjigers. Constatammo che un corpo di  300 valontati ciclisti improvvisati alpini sapeva strategi-  camente manovrare su per montagne ignote, con tale abi  lità che il nemico si credette accerchiato da migliaia d’uo-  mini. Constatammo che uno studente italiano, trasforma-  to in ufficiale, può comandare tutta l'artiglieria d'una zona  e sfondare coi suoi tiri 6 o 7 forti austriaci, scientificamen-  te preparati alla difesa in 20 o 30 anni. Constatammo  come il popolo italiano, sotto la direzione geniale di Ca-  dorna, abbia saputo improvvisare in pochi mesi la prima  artiglieria dei mondo e vincere di continuo nella più spa-  ventosa e difficile guerra che sia mai stata combattuta.  Singhiozzammo di gioia all’udire dalla viva voce di 20 o 30  giornalisti esteri, quali Jean Carrère e Serge Basset, che l'esercito capace di vincere e di avanzare sul Carso è si-  curamente il primo esercito del mondo.   Dopo aver visto il popolo italiano, « il più mobile di  tutti i popoli », liberarsi futuristicamente, con una scrol-  lata di spalle, dalla lurida vecchia camicia di forza giolit-  tiana, vediamo ora nelle vie milanesi fervide di lavoro,  come il popolo italiano, che sembrava avvelenato di paci-  fismo, sa guardare con fierezza questa nobile, utile e igie-  nica profusione di sangue italiano.   Tutto questo ci conferma una volta di più che nessun  popolo può uguagliare:   1. - il genio creatore del popolo italiano;   2. - l'elasticità improvvisatrice di cui sempre danno  prova gl’italiani;   3. - la forza, l’agilità e la resistenza fisica degl'’italiani;   4. - l'impeto, la violenza e l’accanimento con cui gli  italiani sanno combattere:   la pazienza, il metodo e il calcolo degl'italiani nel  fare una guetra;    6. - il firismo e la nobiltà morale della nazione italiana  nel nutrirla di sangue o denaro. ITALIANI! Voi dovete costruire l'Orgoglio italiano  sulla indiscutibile superiorità del popolo italiano în tutto.  Questo orgoglio fu uno dei principii essenziali dei nostri  manifesti futuristi dall’origine del nostto Movimento, cioè  da 6 anni fa, quando primi e soli (mentre l’irredentismo  agonizzava e il partito Nazionalista non era ancora nato)  invocammo violentemente, nei teatri e sulle piazze, la guer-  ra come unica igiene, unica morale educatrice, unico velo-  ce motore di progresso.   Eravamo allora sicuri di vincere l’Austria e di centu-  plicare il nostro valote e il nostro prestigio vincendola.  Eravamo soli convinti della prossima conflagrazione gene-  rale, che tutti giudicavano impossibile in nome di due  pseudo-fatalità: lo sciopero delle Banche e lo sciopero dei  proletariati. Eravamo convinti che coll’Inghilterra, la Fran-  cia, la Russia, noi dovevamo utilizzare le nostre inesauribili  forze di razza e il nostro genio improvvisatare, collabo-    67    rando allo strangolamento del teutonismo, fatto di balor-  daggine medioevale, di preparazione meticolosa e d’ogni  pedanteria professorale.   Apparve allora il mio Monoplan du Pape, visione pro-  fetica della nostra vittoriosa guerra contro l’Austria. Infat-  ti noi soli fummo profetici ed ispirati, perché, più giovani  di tutti, più poeti, più imprudenti, più lontani dalla poli-  tica opporttunistica e quietista, traemmo la visione del fu-  turo dal nostro temperamento formidabile, e pur consta-  tando intorno a noi la vecchia mediocrità italiana, credem-  mo fermamente nell’avvenite grande dell’Italia, semplice-  mente perché noi futuristi eravamo Italiani.    ITALIANI! Voi dovete manifestare dovunque questo  orgoglio italiano e imporlo in Italia e all'estero colla pa-  rola e colla violenza, come facemmo noi in Francia, nel  Belgio, in Russia, nelle nostre numerose conferenze bat-  tagliere.   Merita schiaffi, pugni e fucilate nella schiena l'italiano  che non si manifesta spavaldamente orgoglioso d’essere  italiano e convinto che l'Italia è destinata a dominare il  mondo col genio creatore della sua arte e la potenza del  suo esercito impareggiabile.   Merita schiaffi, pugni e fucilate nella schiena l'italiano  che manifesta in sé la più piccola traccia del vecchio pes-  simismo imbecille, denigratore e straccione che bha carat-  terizzata la vecchia Italia ormai sepolta, la vecchia Italia  di mediocristi antimilitari (tipo Giolitti), di professori pa-  cifisti (tipa Benedetto Croce, Claudio Treves, Entico Ferti,  Filippo Turati), di archeologhi, di eruditi, di poeti nostal-  gici, di conservatori di musei, di albergatori, di topi di  biblioteche e di città morte, tutti neutralisti e vigliacchi,  che noi, primi e soli in Italia, abbiamo denunciati, vilipesi  come nemici della patria, e veramente frustati con abbon-  danti e continue doccie di sputi.    Merita schiaffi, calci e fucilate nella schiena l’artista  o il pensatore italiano che si nasconde sotto il suo inge-  gno come fa lo struzzo sotto le sue penne di lusso e non  sa identificare il proprio cotgoglio coll’orgoglio militare  della sua razza. Merita schiaffi, calci e fucilate nella schiena l’artista o il pensatore italiano che vernicia di scuse la  sua viltà, dimenticando che creazione artistica è sinonimo  di eroismo morale e fisico. Merita schiaffi, calci e fucila-  re nella schiena l'artista o il pensatore italiano che, fisica-  mente valido, dimostrando la più assoluta assenza di va-  lore umano, si chiude nell’arte come in un sanatorio o in  un lazzaretto di colerosi e non offre la sua vita per ingi-  gantire l’Orgoglio italiano.   Mentre altri futuristi fanno il loro dovere nell’esercito  regolate, noi futuristi volontari del Battaglione lombardo,  dopo essere stati semplici soldati in 6 mesi di guerra, ed  aver preso cogli alpini la posizione austriaca di Dosso  Casina, aspettiamo ansiosamente il piacere di ritornare al  fuoco in altri corpi, poiché siamo più che mai convinti che  alle brevi parole devono subito seguire i pronti, fulminei  e decisivi fatti. La sensibilità e l'acume politico « d'avanguardia »  dei futuristi non potevano rimanere indifferenti di fron-  te ai loro avversari 0 alla «controparte » dell'avanguar-  dia, quella socialista. La reciprocità dell'opposizione al  potere liberalborghese, a « passatista» per dirla alla  Marinetti, era motivo di accostamento, forse, 0 per lo  meno di attenzione da ambo le parti. E sappiamo dal  De Felice che molti « proletari » o esponenti dei ceti  umili osservavano con attenzione e seguivano il movi  mento di Martinetti con calore di simpatia.    Marîo Carli, fra i più sensibili esponenti certo del  futurismo «d'assalto », si accorge della presenza di ele-  menti comuni nelle avanguardie, e lancia un appello da  Roma futurista # 13 /uglio del ’19 nel tentativo forse  di un avvicinamento. L'avvertimento della necessità di  rovesciare la classe dirigente corrotta e impreparata of-  fre una base comune all'intento di collaborazione per  il sostegno del proletariato, operaio od ex combattente  che sia. La polemica continua sulla stessa testata, nel  numero del 92 novembre dello stesso anno con un arti  colo di Giuseppe Bottai dal titolo Futurismo contro  Socialismo. L'immpossibilità di collaborazione è già vista  dal Bottai con tutta la sua evidenza, ed è vista per  ragioni squisitamente ideologiche, rifacentesi gi presup-  posti filosofici del socialismo e del socialismo italiano,  in particolare. Il 14 dicembre ancora del ’19, entra  nella polemica un socialista, certo Moannarese, cui ven-  gono aperte le colonne di Roma futurista @ fargli so-  stenere più o meno la stessa tesi di Bottai, anche se  vista da angolazione marxista, dogmatica e inequivoca  bile. L’impossibilità della collaborazione è data dalla  ostrattezza del futurismo secondo Manmarese, e dal suo  scarso od insufficientemente risaltante contenuto sociale,  che esula dall'unico e imprescindibile metodo possibile:  quello della lotta di classe. L'ultima battuta è ancora  del Bottai ed esce la settimana dopo, sul numero del  21 dicembre ‘19 dello stesso periodico. La puntualizza  zione degli argomenti e la precisazione dei temi e delle  tesi di pensiero son lutte protese a dimostrare lo sin-  cerità filo-popolare del futurismo e la falsità democra-  tica del socialismo per cui è quasi necessario essere  contro il socialismo, ed indispensabile, se si ama il po-  polo italiano, quello dei proletari arditi con cui anche  Bottai aveva combattuto nelle trincee al fronte della  prima guerra. « Noi siamo per l'elevazione del popolo,  e non per l'assolutismo demagogico di esto», sottoli  neava l'autore, concludendo a grandi caratteri « Contro  il socialismo non vuol dire contro il proletariato ». Ho esaminato seriamente l'ipotesi di una collaborazione  fra noi (futuristi, arditi, fascisti, combattenti, ecc.) e i  Partiti cosiddetti d'avanguardia: socialisti ufficiali, rifor-  misti, sindacalisti, repubblicani.   A parte il fatto che, in realtà, essi siano assai meno  precursori ed audaci di quanto a parale vogliano far cre-  dere, io mi sono preoccupato esclusivamente di cercare  il terreno comune nel quale si possa, noi e loro, associa-  re gli sforzi e marciare d'intesa verso lo stesso obiettivo.   Il terreno comune c'è. Ed è quanto di più nobile e  attraente possa offrirsi a degli spiriti sinceramente aman-  ti del progresso e della libertà. E' la lotta contro le at-  tuali classi dirigenti, grette, incapaci e disoneste, si chia-  mino borghesia o plutocrazia o pescecanismo o parlamen-  tarismo. Non è possibile lasciar loro più oltre la potenza  del denaro e il potere governativo e amministrativo; sono  una casta che deve cadere e cadrà. E’ questa caduta che  noi dobbiamo affrettare, con tutti i mezzi e con tutte le  fotze disponibili.   Or ora, l'esperimento del « caro-viveri » in tante città  d’Italia, ci ammonisce che di fronte a problemi gravi e  pressanti, non c’è odio di parte né antipatia sentimentale  che tenga. Noi possiamo ben dare (e l'abbiamo data) una  valida mano ai pussisti per impedire che il popolo sia  affamato. Non pottebbero i socialisti vedere nel nostro  gesto disinteressato e leale una prova della nostra sim-  patia per il popolo, si chiami combattente o si chiami  operaio, e riconoscere che la nostra azione tende, quanto  e più forse della loro, ad equiparare le classi sociali?   Esiste un Marifesto del Partito Futurista, ed un libro  di Marinetti dal titolo « Democrazia futurista », dove è  condensato quanto di più moderno, di più progredito,  di più spregiudicato, di più audace e rivoluzionario si  può oggi pensare nel campo politico. Ma i partiti pseudo-    75    avanguardisti e pseudo-rivoluzionari ostentano di ignora.  re e manifesto e libro, né mai hanno fatto il più timido  gesto di simpatia o d'interesse verso idee o remperamenti  ai quali dovrebbero sentirsi attratti per istinto! Perché?  Eppure noi siamo libertari quanto gli anarchici, demo-  cratici quanto i socialisti, repubblicani quanto i repubbli-  cani più accesi.   Si tratta dunque di mala fede? Pare di sì, perché, se  non fossero in mala fede, costoro dovrebbero inginoc-  chiarsi davanti a noi e chiamarci come loro capi. Se la  loro lotta politica fosse sincera e convinta (parlo special  mente dei pussisti), dovrebbero ammirate senza riserve  il nostro spirito rivoluzionario che, dopo aver schiantato  quella fetida cancrena del passatismo europeo che si chia-  mava Impero d’Asburgo e contribuito a umiliare il tra-  cotante militarismo tedesco, vuole oggi demolire a colpi  di bomba i vecchi sistemi, i regimi decrepiti, i focolai di  putredine che costituiscono la grande cloaca politica ita-  liana.   Se fossero in buona fede, dovrebbero riconoscere che  noi soli, uomini di guerra che non ignoriamo il piombo  e l’acciaio laceratore di carni, sapremo, a tempo debito,  scatenare e condurre una rivoluzione, non già dal Quartier  Generale di una qualsiasi Camera del Lavoro, ma alla  testa delle moltitudini in marcia.   Se fossero in buona fede, sapete che cosa dovrebbero  dire questi organizzatori di masse a scopi elettorali? Ci  direbbero — Venite qua, futuristi, arditi, fascisti, com-  battenti tutti: voi che siete più rivoluzionati di noi, più  audaci di noi, più liberi di noi, voi che amate il popolo  più sinceramente di noi! Venite qua, uomini d'azione e  di comando: a voi il guidare le masse verso la libertà e  la ricchezza! a voi il rovesciare i vecchi sistemi, i vecchi  dogmi e le vecchie tirannidi! noi ci ritiriamo nei ranghi.    Perché non lo fanno?    Perché questi falsi socialisti che scrivono in giornali  luridamente borghesi come Il! Tempo e La Stampa, per  ché pagano bene, si sfiatano a chiamarci reazionari della  borghesia, carabinieri più dei carabinieri, a diffamarci imbecillescamente? Perché hanno respirato di soddisfazione al-  l'avvento del reazionarissimo gabinetto Nitti e complici?   Perché hanno lanciato dalle colonne dell’Avanti pochi  giorni fa, un grido d'amote alla censura che se n’andava,  promettendole di richiamarla con tutti gli onori non ap-  pena il socialismo ufficiale fosse salito al potere?   Perché tentano di far credere ai soldati che gli uf-  ficiali combattenti costituiscono una « casta » borghese,  quando i soldati ricordano ancora il loro tenentino che  in trincea si adagiava nello stessa fango, mangiava nella  stessa gavetta, correva gli stessi rischi, buscava le stesse  ferite, come ciascuno di loto?   Perché non si decidono a riconoscere che la guerra  ha liberato il mondo dall'incubo dell'imperialismo germa-  nico e ha impresso alle conquiste ideali e materiali dei  popoli un ritmo di fantastica velocità, che, senza di essa,  non si sarebbe neppure sognato?   Perché seguitano a confondere guerra rivoluzionaria  con militarismo, socialismo con bolscevismo, popolo con  pagliacci tesserati?   Perché combattono gli Arditi, che pure sono usciti  dal popolo, e del popolo rappresentano la parte più vi-  gorosa e combattiva?   Perché si ostinano a ripetere con tediosa monotonia  che la guerra è stata voluta dalla borghesia, attribuendo  dunque a questa classe un vanto che certo non le spetta?   Ho lanciato l’invito.   Ho mostrato ai nostti avversari il terreno sul quale  potremmo intenderci, e le pregiudiziali antipatiche che  c’'impediscono un avvicinamento.   Sapranno essi spogliarsi di queste pregiudiziali che  sono altrettanti errori gravissimi?   Sapranno a loro volta dirci una patola onesta e schiet-  ta di simpatia disinteressata? Se capiranno che è assurdo  e bestiale continuare una campagna diffamatoria contro  una guerra che si è chiusa vittoriosamente e che, malgrado  tutto, ha giovato enormemente al proletariato, se capi-  ranno che noi pur amando fieramente l'Italia, non abbia-  mo nulla a che fare con i nazionalisti reazionari, codini    Fb)       e clericali, essi ci tenderanno la mano e ci aiuteranno a  spezzare tutte le schiavitù che ancora ci sovrastano.  Dopo, potremo tornare a divorarci, se sarà necessario.    Marro CARLI  {da: Roma futurista, 13 luglio 1919)  Bisogno, ad ogni sosta, di guardare attorno. Vedere  un po' come va la vita, la cui visione precisa, a volte,  si perde nel martellamento sanguigno della lotta. Misu-  rare i compagni e gli avversari. Riprendere le distanze.   Ci teniamo molto, via via che più si ingarbuglia il  fascio di forze e di tendenze del mondo politico italiano,  a rittovare i nostri contorni. Pulirli. Indurirli sì che si  rimbalzi sopra qualunque tentativo di penetrazione im-  pura.   La lotta di partiti, nel suo svolgimento poco netto,  si traduce rispetto a noi futuristi, assertori del predomi.  nio della genialità italiana, in un lavoro di isolamento.  Le scorie cadono. La marcia viene schizzata via dalle  contrazioni atletiche della nostra carne sana.   Solitudine splendida.   Nella costituzione organica dei vari aggregati di parte  noi siamo il cetvello possente che domina, e comanda  alle tre membra funzioni del tutto subordinate. In questa  immagine somatica, il partito socialista ufficiale rappre-  senta, rispetto a noi, l'intestino retto, maceratore e scari-  catore d'ogni feccia.   Un compito troppo importante, come bene ha detto  l’amico Settimelli, per poterlo disprezzare. Ci vuole.   Solamente è bene che non si dimentichi mai la sua  posizione assolutamente accessoria.   La nostra antipatia per il socialismo in genere, pet    76       il socialismo italiano in particolare, ha delle ragioni pro-  fonde balzanti dall'istinto della nostra razza di cui noi  siamo i rappresentanti più interiori, con tutti i suoi di-  fetti se si vuole, ma anche con tutte, t44te, le sue doti  di energia, di intelligenza, di ardimento. E distinguiamo  ciò che sempre si può giustificare nel quadro infinito della  vita, l'idea, da ciò che, appunto perché nella vita, si ha  il dovere di discutere e di espellere, quando ne arresti  il libero svolgimento.   Idee e uomini.   Socialismo e socialisti italiani.   Noi siamo contro il socialismo perché astrazione fi-  losofica senza possibilità di contatti vitali. Simbolo che  si agita nel mondo da secoli, e di cui mai si è trovata,  e mai si troverà la formula di traduzione in positivi svi-  luppi di masse sociali. Meditazioni di uomini respinti  dalla vita calda e vibrante, per un ingranaggio disgraziato  della loro mente incapace di aderire alla bellezza appas  sionante del mondo.   La riforma che l'idee socialiste propugnano, non na-  sce da noi, dalla nostra maniera di essere, dalla nostra  natura di uomini, dal nostro modo di riunirci e dividerci.  Cala dall'alto, da cieli metafisici. Ha l’impotenza caratte-  ristica di tutte le religioni meditate, ragionate, logiche,  e non create dallo slancio lirico di un'anima d'uomo.   Marx ed Engels hanno costituito delle sopra realtà  gigantesche che tutti hanno dichiarato magnifiche, ma  che nessuno ha avuto il coraggio di criticare, appunto  perché la critica umana non si può esercitare su delle con-  cezioni prive di umanità.   Boris d’Ysckull, uno di quei mistici slavi capaci di  bere ogni miscela più insipida, ha confessato di non aver  mai compreso quasi niente di simili esposizioni domma-  tiche, e di essere stato attirato solo per la loro oscurità  affascinante. Chi, italiano, può così rinunziare alla vulca-  nica e solate natura da itrigidirsi in questi mondi sen-  z'aria, non può che trovarsi nell’identica posizione del-  l’illustre imbecille  surricordato. Le prime utopie della  Città, mantenentesi allo studio di immaginose e dilettose    15;       invenzioni nei primitivi — Platone, Tommaso Moro  Campanella — passando a peggior vita nelle scatole cra.  niche dei tedeschi, si sono meccanizzate in modo da di  venire delle cose perfettamente anti-geniali, anti-latine e,  soprattutto anti-italiane.   Noi fututisti, che abbiamo violentato il vuoto e so-  gnante torpore italiano riempiendolo di idealità fatte di  vita, intessute di nervi sensibili, calde di sangue rossis-  simo, vogliamo una penetrazione a fondo nel blocco psi-  cologico della nazione: ivi è la direttiva unica delle tra-  sformazioni che il nostro destino esige.   Noi siamo contro l’idea socialista perché sosteniamo  la necessità della diseduguaglianza. Diseduguaglianza di  valori, che bisogna esaltate, lievitare, mantenere ad ogni  costo. Un piano uguale di esistenza, una distribuzione ar-  monica dei beni, una soppressione assoluta di privilegi  — ma su questo livellamento di condizioni materiali  l’esplicarsi diverso, individualissimo delle singole capacità.   II socialismo, pretendendo distruggere la molteplicità  innata di un popolo non può, in via logica, che discen-  dere dalla nazione alla città alla famiglia, dalla famiglia  all'individuo, e quindi alla creazione di tanti individui  identici, a stampo, senza differenze di tipi. Il comunismo,  ch'è la forma più in voga, non può tradursi, a meno di  negatsi, che in un monismo esasperante, monotono e inerte.   La Russia ce ne dà la prova: la massa oppone al ten-  tativo di numerazione, che offre appena una pallida idea,  per il carattere più pacato e passivo di quel popolo, di  ciò che avverrebbe da noi.   L'Italia è tutta un magnifico inno di incoerenza, dal  l'Alpi alla Sicilia. Follemente varia. Ogni provincia un  mondo. Popolazioni dolci come le sue pianure, laboriose  come i suoi fiumi, divampanti come i suoi vulcani.   Noi non possiamo pensare che tutto ciò si riduca a  un uniforme impasto. Noi futuristi opponiamo la neces-  sità assoluta di un decentramento che mantenga, esalti,  vivifichi fino al culmine ogni caratteristica, ogni genialità,  ogni attitudine delle singole regioni: l’unità italiana sarà  allora una valorizzazione completa di sufta i'Ttalia.    78    Siamo contto il socialismo perché idea generatrice di  vigliaccheria. Della gente che riuscisse davvero ad attuare  la distribuzione economica dello Stato socialista, dovreb-  be basarsi su un concetto di mutualità cooperativistica.   Cooperativa a mutuo soccorso vuol dire la sicurezza  matematica di non rimaner mai al verde quindi abolita  ogni situazione di Jotta, reso campletamente inutile lo  sviluppo e il gusto del rischio. Spatizione di coraggio.   Se ciò è immaginabile su piccola scala, perché gli ef-  fetti malefici sarebbero ridotti così al minimo da essere  cancellati dai vantaggi, non si può pensare cosa sarebbe  mai una nazione sottoposta a tale regime, soppressa ogni  difficoltà di cartiera, butocratizzata Ja conquista della vita,  scomparso ogni pericolo, ogni ansia, ogni tensione.   Non trovando nulla di vario nei suoi sirzili, non tro-  vando nulla di divertente nella sua esistenza logica, a ore,  a mansioni fisse, l'uomo socialista finirebbe col rientrare  in sé stesso. Cercare in sé l'interesse che il mondo non  gli offre. Alla forza di diffusione dei popoli geniali, si  sostituirebbe quella di egoismo egocentrico dei popoli cal  colatori.   Da simili mondi la generosità fugge taccapricciata, non  può distribuire i suoi insegnamenti di grandezza: è come  andare a vendere ombrelli in un paese dove non piove  mai — a che serve esser generosi con della gente che è  tutto misurato, tutto il necessario?...   La morale che tali ambienti possono produtre è ma-  rale di egoismo e di vigliaccheria.   Noi opponiamo la morale della generosità, lucidamen-  te affermata da Balilla Pratella, quotidianamente da noi  vissuta in una dedizione senza calcolo, in una aderenza  spontanea e intellipente alle tramutanti necessità della  Patria.    Queste le tre ragioni fondamentali che ci dividono  dal socialismo — idea —: la astrazione filosofica e inu-  mana della formula, la sua azione di parificazione moni-  stica, la derivazione logica di antigenerosità = vigliac-  cheria, egoismo. Altre ragioni particolari ci sono, che ci porterebbero  ad una disanima troppo lunga — ragioni, del resto, che  non sono specifiche della nostra differenza dal socialismo,  ma che possono essere anche di altri partiti. Esempi:  l'assurdità della soppressione dello Stato come potere cen-  trale, la sciocca concezione di una pace eterna, ecc. ecc.    * o *    I socialisti italiani.   Sono, indubbiamente, dei buoni socialisti perché han-  no già, in pieno regime borghese lo stadio mentale senza  calore e senza colore del socialista di domani. Non sen-  tiamo il bisogno di spenderci molte parole, né di pas-  sarli in rivista uno ad uno.    Dirigenti: dittatura di vomini che hanno la mira pre-  cisa di diventare qualche cosa, un'autorità, una persona  importante. Non c'è tra loro neppure un mistico esaltato  che interessi. Calcolatori. Cinici.    Seguaci: massa la cuì concezione più alta è questa:  bisogna distruggere il caroviveri. Gente che cerca di met-  tersi a posto. Invidia il horghese, quindi ha desiderio di  divenire il borghese.   Le loto qualità principali sono:    inintelligenza: non hanno ancora capito che il sociali  smo è diverso da popolo a popolo: commerciale  nel-  l'America del Nord, conservatore in Inghilterra, filosofico  in Germania, mistico in Russia. Non hanno capito che il  socialismo in Italia può, caso mai, balzare dalle nostre  istituzioni rurali;   inattualità: sano coerenti in una maniera fantastica,  tant'è vero che le idee invecchiano e loto seguitano ad  usarle. Credono d’essere all'avanguardia, e lo sono come  il gambero, il cui traguardo è sempre alle spalle, dietro:   vigliaccheria: oltre la vigliaccheria propria della idea  hanno una viltà tutta propria, personalissima, originale:  inutile parlarne: chi interviene ai comizi elettorali ne sa  qualcosa.    Il futurismo è il mondo più lontano dal socialismo.    80    Il futurismo è veramente il senso di una religione  nuova, che si dirige alle anime, agli spiriti, ai cervelli,  e non si interessa del corpo che per fortificarne i muscoli,  farne strumento di agilità audacissime e di voluttà sane.   Generato dal cervello di un attista ha tutta l'umanità  di una idea italiana, sempre profumata di buona terra fer-  tile anche quando si esalti fino ai più puri orizzonti.   Attività poliedrica, il futurismo è lo sfruttamento com-  pleto di tutte le penialità italiane, manuali e cerebrali.  Ridarà all'Italia i suoi magnifici artieri, maestri d'ogni  sotta di lavoro, come lo à dato e lo darà ai suoi artisti  più grandi. I suoi vomini non hanno deficienza: danno  la loro vita in una proteiforme attività prodigiosa. Poeti  e soldati, sogno e vigilanza, idea e azione.   Non c’è possibilità di contatto tra la nostra morale  e quella socialista, tra i nostri uomini e i loro.   E’ assurdo ogni pensiero di collaborazione.   FUTURISMO CONTRO SOCIALISMO. SEMPRE A  QUALUNQUE COSTO!   GiusePPE BOTTAI  {[da: Roma futurista.Noi e i borghesi    Non una polemica, ma una discussione calma e pa-  cata. Polemica no, per non arrivare fino a quella anima-  zione un po’ acre e impetuosa, che annebbia le idee e  deforma la realtà.   Ci tengo, a questa dichiarazione preliminare, perché  l'amico Mannarese, nel suo lucido articolo, pur mante-  nendosi in una linea di cortese serenità, devia in punta-  tine ironiche, che non èànno ragione di essere, se vera-    81       mente egli ci vuole aiutare, nella demarcazione esatta della  nostra individualità politica.   Trovo ad esempio molto strano, per un futurista, l'os-  servarsi che la mia formula (adopto la parola formula,  per attenermi alla dizione dell'amico, per quanto essa ab-  bia un senso storico, che mi ripugna) abbia potuto rin-  galluzzir di saverchio, con la sua violenza: “futurismo con-  tro sociglismo, sempre, a qualungue costo” qualche buon  borghesetto. Questo non mi preoccupa, e direi, anzi non  ci preoccupa. Noi esprimiamo liberamente le nostre idee,  le gettiamo nel mondo, tta la gente; e i casi sono due,  come sempre: o la gente non le capisce e allora non c’è  nulla da fare: o le capisce, le approva, ci si interessa, c  le apprezza nel giusto valore, e allora poco ci importa  che tale gente sia proletaria o borghese, destra o sinistra,  e, anche, ambidestra.   Noi non sosterremo mai, com'un certo avvocatino di  nostra conoscenza fece in una recente seduta del Fascio  di Combattimento romano, che la guerra ha distrutto agni  distinzione tra destra e sinistra; ma non vogliamo di tali  logiche e necessarie e salutari differenziazioni (?) fare il  nostro spaventacchio. Chè, pet questa via, si giunge alla  grossolana affermazione di Adriano Tilgher (Tempo, 7  dic., pag. 3, Piccoli borghesi al bivio): essere il furore  antisocialista degli atditi originato dall’appartenere costo-  ro, quasi tutti alle classi medie; e pensare che in parec-  chi mesi di convivenza con le fiamme nere mi son trovati  attorno solo contadini, operai, lavoratori-proletari!   Prima caratteristica del futurismo, è questa, libera,  sciolta sfrenata spregiudicatezza: e se il salumaio ci crede  oggi difensori dei suoi salami, delle sue salsicce, poco ma-  le! ciò potrà darci la prova della sua minchioneria, non  già infirmate l’esattezza del grido « futurismo contro so-  cialismo ».    Socialismo non è proletariato    L’amico Mannarese fa un’identificazione  pericolosissi-  ma, e non rispondente alla realtà positiva dei fatti. Egli    82       pone sullo stesso piano socialismo e proletariato, stabili-  sce senz'altro questa identità matematica: socialismo = pro-  letariato.   Ciò spiega perché tanto si accanisca contto la finale  del mio articolo. Alle parole « contro socialismo, sempre  a qualunque costo » è dato il valore di un'affermazione di  questo genere: « contro le aspirazioni del popolo, contro  i diritti dei poveri, ecc., ecc... ».   Orta, mi ribello assolutamente. Non in nome mio sol  tanto, ma di tutti i futnristi, e anche, di tutti i nostri  amici fascisti.   Distinguere bisogna.   Una cosa è quello che l'amico chiama: «/o sforzo vio-  lento, l’oscura irresistibile aspirazione della massa verso  un regime di maggior giustizia economica » e un'altra cosa  è il socialismo. Le aspirazioni proletatie sono fatto imma-  nente, istintivo, fatale, non pensato ma sorto da sé, il so-  cialismo è uno dei tanti sistemi, i quali, da che il mondo  è mondo, si accaniscono sulla disparità di condizioni delle  classi.   Se io mi pongo contro il socialismo o contro i socia-  listi, mi dichiaro contrario ad un sistema filosofico, giu-  ridico, economico, morale ed ai suoi sostenitori (filosofi,  demagoghi e procaccianti che siano), ma non è detto ch’io  voglia attaccare l’oggetto di tale sistema che è il prole-  tariato.   Non debbo, quindi, rettificare in nulla la mia incri-  minata frase, ch'era un grido, un appello conclusivo del  mio articolo, limitatosi ad una valutazione di idee, e non  aveva la pretesa d’essere un caposaldo, un domma, un  punto cardinale, ed altri simili paroloni che noi lasciamo  agli oratori da comizio.   L'affermazione: « Noi non siamo contro il socialismo,  ma contro gli uomini, i metodi e la filosofia socialista »  del Mannarese è un non-senso, perché appunto: socialismo  è flosofia sostenuta da wormini con determinati metodi.   Quella che il Mannarese chiama sostanza (eh! queste  parole che otribili titi giuocavano, a volte) ossia: «la  guerra per l'indipendenza economica dei poveri contro i    R3       ricchi » non è privativa assoluta del socialismo, è solo  l'obiettivo dei suoi studi, dei suoi tentativi, come essa  fu obbietto della favola di Menenio Agrippa, e delle  teorie di Fenelon, e della scuola di Saint Simon, e del  sistema di Grace Baboeuf e Roberto Qwen, e così pure  della filosofia di Marx ed Engels. Anche il nazionalismo,  anche il partito popolare, tutti anno affermazioni solenni:  « qui è l'unico infallibile specifico per il dolore del po-  palo » e io posso essere contro questi modi da cerratani  senza mai essere né contro il popolo né contro le sue  sacre e legittime aspirazioni economiche    I programmi economici    All'amico Mannarese è forse sfuggito nel mio articolo  questo periodo: « Un piano eguale di esistenza, una di-  stribuzione armonica di beni, una soppressione assoluta di  privilegi ma su questo livellamento di condizioni mate-  viali l’esplicarsi diverso, individualissimo delle singole ca-  pacità ».   Qui, evidentemente, si dice:  « noi passiamo essere  d'accordo nelle finalità economiche del socialismo ». Quelle  tre proposizioni del programma politico futurista di Ma-  tinetti, Carli e Sertimelli, che il Mannarese dice troppo  generiche, anno il merito di poter domani assorbire in sé,  senza contrasto, qualunque ardimento consono allo spi-  rito dei tempi.   Hanno un’intenzione pragmatista, che non deve sfug-  gite.   Il programma di riforme economiche, lanciato ai po-  poli come panacèa, è cosa vecchia di tutti i tempi e di  tutte le genti. Ogni scuola politica è per prima cosa inal-  berata questa insegna molto attraente. Tutti i programmi  ben definiti, schematizzati, rigidi, anno sempre atteso,  con grande pazienza, che le cose del mando si incanalas-  sero ne’ fossati, canali e zenelle da loro tracciati, ma le  cose del mondo anno dimostrato, a lume di storia, di  procedere per via di approssimazioni successive, le quali  avvengono non già pet magnetizzazione esetcitata cai suddetti programmi, ma per madificazioni addotte, nel blocco  fisiopsicologico di una collettività, dal sistema di educa-  zione, dalle idee di morale circolanti, dalla rinnovatasi  coscienza giuridico-sociale.   Se oggi, per ragioni ovvie, il problema economico è  venuto in primo piano, non bisogna dimenticare che la  parte veramente essenziale di un sistema politico non è  già il disegno di un futura assestamento economico, ma  è il metodo con cui saprà, attraverso uno studio positivo  dello stato presente e dei caratteri permanenti della so-  cietà in genere (meglio ancora di una data parte di so-  cietà) creare tutt'un’atmosfera spirituale intellettuale psi-  cologica, che renda possibile l’attuazione di quel dato or-  dinamento economico, che nel momento è bene limitarsi  a definire desiderabile.   I socialisti italiani sanno che il popolo italiano non  à neppure iniziata l'evoluzione sociale che permetta l’av-  vento, ad esempio, del comunismo. Ora essi, scavalcando  completamente ogni lavoro di educazione, sventagliano i  loro proclami di rivendicazioni economiche. Il popolo  risponde, è naturale: è Bengodi con i suoi meravigliosi  panorami. Ma ciò non significa aver creata una società  comunista, come non è fare un signore aristocratico d'un  villanzone qualsiasi il riempirgli le tasche di denaro.   Sotto il punto di vista della potenzialità vera di un  partito il valore di tali programmi è nullo. Hanno un  valore pratico di specchietto per gli allocchi, e se l'amico  Mannarese ci avesse detto che, abbondando gli allocchi,  è bene ch’anche noi abbiamo il nostro specchietto, gli  avremmo dato piena ragione.    Il nuovo imperialismo    Non ci deve, quindi, affligere di soverchio, la man-  canza di formulazioni teoriche, di programmi economici.  Noi futuristi non siamo mai stati assenti quando questio-  ni positive siano in tal senso nate. Né il trionfo socialista  deve farci perder la resta così da correr subito ai ripari.  No. La nostra posizione è netta, e possiamo guardarci    85    tranquillamente intorno: il germe della morte del socia-  lismo è appunto localizzato nel suo sistema di rivendica-  zioni economiche, aggravato dal fatto di essete così iso-  lato da ogni altra considerazione d'ordine superiore da  divenire il segno folle di un nuovo imperialismo.    Non è possibile nessun contatto tra due sistemi così  opposti come sono quello socialista e quello futurista.   E’ l’anima differente.   E' il cervello diverso.    Se anche noi potessimo conglobare per intero nel no-  stro ordine di idee ogni aspirazione economica del socia-  lismo, rimarrebbe la differenza profonda, incancellabile di  indole, di origine e di finalità.   Noi siamo per l'elevazione del popolo, e non pet l’as-  solutismo demagogico di essa.    Tirando le somme    E riassumiamo, perché la discussione non rimanga uno  sterile battibecco. L'amico Mannarese m’à offerto il modo  di delineare meglio la nostra situazione innanzi al socia.  lismo:    1) posizione di ostilità per indole spirituale diversa;    2) possibile comunanza di vedute economiche: il che  non implica nessuna fusione;    3) condivisione di alcune idee (come ad esempio il  divorzio ecc. ecc.) che non sono prerogativa socialista, €  che non possono, quindi, render omogenee due sostanze  diverse. CONTRO IL SOCIALISMO NON VUOL DIRE  CONTRO IL PROLETARIATO.   GiusePPE BOTTAI   [da: Roma futurista, 21 dicembre 1919]   La lentezza delle democrazie, le pastoie burocrati  che dei procedimenti parlamentari. il vecchiume paro-  laio dei barbuti senatori non possono essere ben visti  dai futuristi. La velocità, il dinamismo, la lotta, la  competizione, l’azione mal si addicono agli organismi  pingui e sclerotici delle democrazie, quella italiana in  particolare. Già nel 1910 Marinetti lo mette in rilie-  vo ed indica nel suo manifesto «Contro l'amore e 3  parlamentarismo », sintomo ed espressione di questa  sua antipatia e di guesta sua avversione Persino l'amo-  re e le donne in senso romantico sono indici e stru  menti di « rallentamento », e come tali da evitare tran-  ne che per una loro ben precisa ed organica funzione  vitale. Le donne andrebbero invece bene pei parlamen  ti, dove dovrebbero entrare con le loro chiacchiere e  la loro prodigiosa e altisonante facoltà di falsificazione.   Ma non è solo Marinetti a inveire contro il parla  mentarismo: c'è Tavolato che uddirittura « bestemmia  contro la democrazia » in un suo articolo apparso con  questo titolo su Lacerba del 1° febbraio 1914, ricco di  espressione e carico di colore linguistico e letterario.  I 30 dicembre dello stesso anno un altro futurista,  Volt, tuona dalle colonne di Roma fututista: Abolia-  mo il parlamento! In sua sostituzione si propongonna le  rappresentanze dei sindacati per la formazione dello  «Stato tecnico » futurista. E si entra nel merito della  personalità giuridica dei sindacati e della loro forza rap-  presentativa in base all'importanza della loro funzione  economica. Non in base numerica, per cui si rientrereb-  be nella concezione democratico-parlamentare. Non più  onorevoli quindi sulle assise delle due camere, ma la-  voratori. E sono tutti concetti che ritroveremo nella  concezione corporativa fascista e nella suu Carta del  Lavoro   Dopo la guerra Marinetti intervtene su Roma futu-  rista mel maggio del '19 per ribadire la sua.« concezione  futurista della democrazia », come s'intitola il suo scrit-  to, che era già apparso um mese prima, più 0 mena  analogo, su L'Ardito. Vi si sostiene la democrazia tipi  camente italiana dei geni: una sorta di minoranze di  individui superiori alla media, destinati a entrare. in  competizione con le altre, definite democrazie incoscien-  li, come prodotta numerico « d’inetti e di sconclusiona-  ti». La forza della nuova democrazia dovrà essere na-  turdimente violentissima data l'accelerazione e il ren  dimento degli individui geniali. La sua « conclusione »  sarà logica e conseguenziale: « La democrazia futurista  è ormai pronta ad agire, poiché sente vibrare tutte le  sue cellule vive ». L'azione sarà condotta da Mussolini,    ma il presupposto è già comunque e totalmente presente.    BESTEMMIA CONTRO LA DEMOCRAZIA    Tre spanne sotto il cervello io nutto un odio, un  odio contro la presunzione del lavoro, un odio contro il  puzzo cosciente, un odio contro l’imbecillita evoluta. Tre  spanne sotto il cervello si spenge ogni polemica. I de-  mocretini rinunzino alla discussione. I democretini s’ada-  gino sopra i loro luoghi comuni, perché il mio piede pos-  sa calpestarli.   Via, batbe comiziesche che mi nascondete il sole. Via,  mani a ventola e cravatte a bandiera. Fermati, passo de-  mocratico sotto cui trema la terra offesa. Arrestatevi, la-  mentele filamentose, voci incristianare, zuccherose o  pe-  pate. Via, spade di legno, trombe sfiatate, via, inesistenti  barricate. Smontate, uomini di paglia, uomini di stoppa  uomini di cartastraccia. Nascondetevi, ceffi di cera, ma-  scheratevi, faccie rinfisecchite, sparite, ghigne insolenti.  Sgonfiate, protobischeri pastori di popolo. Aria ci vuole,  e luce e calore e solidità, o anima mia. Abbasso la de-  mocrazia! Fumano d'orgoglio, le gran fave. Fumano, questi strac-  cioni e stronzoni, questi mangiasputi e fiutarutti, questi  tinconi, questi turabuchi, questi scotticapidocchi, questi  merdaioli, questi caconi, questi galoppini, questi pagnot-  tisti, questi biasciconi, questi lumaconi, questi minchioni,  questi balordi gonzi e gralli, questi coglioni appuzzoni e  cittulli, questi sussurroni caccoloni, questi satraponi vir-  tuosoni. Già tutto il paese fuma, smerdata com'è da que-  ste pecore matte. Pulizia, pulizia, pulizia! Abbasso la de-  mocrazia!    Bischeri sollevatissimi, bischeri smargiassi, bischeri  ventosi, bischeri girandoloni, bischeri soppiattoni, bische-  ri politicanti, bischeri economicizzanti, bischeri vani, bi-  scheri solenni, bischeri tronfi, bischeri crespi, bischeri cal.  losi, bischeri pensosi, bischeti pacifisti, bischeri leghisti, bischeri classisti, bischeri marxisti, bischeti riformisti, bi-  scheri collettivisti, bischeri revisionisti, bischeti comunisti,  bischeri credenti, bischeri fetenti, bischeri ufficiali, bische-  ri legali, bischeri di cartapecora, bischeri del braccio, bi-  scheri del cervello, bischeri antilibici, bischeri internazio-  nalisti, bischeri democratici — BISCHERI DI TUTTO  IL MONDO UNITEVI! La vostra individualità non ha  importanza. Unitevi! Amalgamatevi! Confondetevi in mel-  ma! Anche la melma dei bischeri, come ogni melma, s'in-  crosterà. E sotto le croste ci sarà il gelo della morte.  Così sia. Abbasso la democrazia!    Accidenti alla democrazia, impero delle bestie da so-  ma, regno degli schiavi, padronanza dei servi, supremazia  degli impiegati! Democrazia, sostegno degli sfiaccolati,  trionfo dei cimiciosi, glotia dei piattolosi, arma dei bro-  dolosi; democrazia, orchestra di miasmi, concerto di sputi,  convegno di sudori, sistema di muffe; democrazia, vitto-  ria dei muscoli e disfatta dei nervi, esautorazione dell’arte  e imposizione del mestiere, vita del debole e agonia del  forte; lurida, sudicia, tetra democrazia, cloaca dove affo-  gano fantasia, ingegno, energia, e tutte le soavità; pro-  terva asineria, fessa stivaletia: abbasso la democrazia!   E rovini Ia mediocrità!   Fuoco al tugurio dei democretini!   I democretini è la lanterne!    La libertà soltanto a chi sa cosa farsene, a chi sa vi-  verla.    Agli altri il giogo, la sferza e la schiavitù.    EVVIVA LA FORCA, o amici, per la libertà vostra  e per la libertà mia!    ABBASSO LA DEMOCRAZIA. TAVOLATO  [da: Lacerba,Firenze]   Aboliamo pure il Parlamento — si domandano mol-  îi — ma cosa metteremo al suo posto?    La risposta è pronta. Soszituiremo til Parlamento con  le rappresentanze dei sindacati agricoli industriali ed ope-    rai. La rappresentanza sindacale sarà la base dello « Stato  tecnico » futurista.    AI « collegio » elettorale, circoscrizione fittizia ed ar-  bitraria, entità che sembra creata apposta per l'esercizio  del broglio, sostituiremo il sindacato, espressione organica  delle forze economiche che danno effettivamente forma  alla società. AI posto dell’« onorevole » deputato, dema-  gogo costretto all’accattonaggio sistematico del voto e feu-  datario di una nuova feudalità peggiore dell'antica, man-  deremo a governare il paese ingegneri, commercianti ed  operai, gente che sa il suo mestiere e conosce i bisogni  reali della propria classe. Invece di un’Assemblea di in-  ttiganti, di chiacchieroni e di incompetenti, avremo un  corpo tecnico adatto allo scopo di dirigere, con conoscen-  za di causa, la grande azienda dello Stato.    In pratica l'idea della rappresentanza sindacale si tro-  va di fronte a difficoltà serie ma non insopportabili.    Vati problemi ci si presentano.    1) A quali sindacati concederà lo Stato la personalità  politica? Si tratterà di determinare le categorie di pto-  duttori che avranno diritto a una rappresentanza nel corpo  legislativo.  L'iscrizione ai sindacati sarà obbligatoria per tutti  i cittadini? A me sembta che sia più logico lasciare che  esercitino i diritti politici coloro che ne hanno la volontà  e coscienza.    Coloro che resteranno volontariamente fuori dei sin.  dacati cortisponderanno in parte alle masse degli astenuti  nelle odierne elezioni a suffragio universale. In base a quale criterio si misurerà il numero di voti da attribuirsi a ciascuna categoria di sindacati? E’ la  questione più scottante. Il criterio più semplice è quello  numerico. Ma così si ricade nell'atomismo individualistico  del suffragio universale.    Io credo che non si debba tener conto del numero  degli iscritti al sindacato, ma della importanza della fun-  zione economica che esso esercita nel Paese. Quindi un  sindacato di industriali metallurgici avrà una rappresen-  tanza eguale a quella di un sindacato di lavoratori del  ferro benché questi ultimi siano molto più numerosi.    E ciò perché l’importanza delle due funzioni si con-  trobilancerà nell'economia nazionale.    L'amico Settimelli dirà che questo è un criterio poco  democratico. Me ne infischio.    4) Quali saranno i limiti posti all'esercizio del potere  dell'assemblea eletta mediante la rappresentanza sindacale?  La competenza dell'assemblea dovrà essere limitata alle  questioni prevalentemente economiche, che sono del resto  le più importanti in politica.   Le questioni di famiglia, di politica estera ecc. dovran-  no esser risolte in parte mediante il « referendum »  popo-  lare diretto ed in parte attribuite alla competenza del po-  rere esecutivo.    Non ho fatro che accennare le principali questioni. In-  vito tutti i giovani futuristi ad inviarmi le loro soluzioni  ai quattro problemi che ho posta, senza avere la pretesa  di risolverli definitivamente. Ma mi sembra che la que-  stione sia matura per lo studio. E poi per noi futuristi  « studio » deve significare già un principio di esecuzione.  E’ l’ora di finirla col Parlamento. Abbiamo fatto la guerra  senza bisogno del Parlamento. Senza il Parlamento sapre-  mo fare la pace. E' ora di sbarazzare l’Italia dalle 508  incompetenze che spadroneggiano a Montecitorio.    VOLT  [da: Roma futurista, DEMOCRAZIA FUTURISTA    L’orgoglio italiano non deve essere, non è imperialismo  che spera imporre industrie, accaparrare commerci, inon-  dare di prodotti agricoli. Nai difettiamo di materie prime,  e siamo una potenza di ricchezza agricola mediocre.   Il nostro orgoglio italiano è basato sulla superiorità  nostta come quantità enorme di individui geniali. Voglia-  mo dunque creare una vera democrazia cosciente e audace  che sia la valutazione e Ja esaltazione del numero poiché  avrà il maggior numero di individui geniali. L’Italia rappresenta nel mondo una specie di minoran-  za genialissima tutta costruita di individui superioti alla  media umana per forza creatrice innovatrice improvvisatri-  ce. Questa democrazia entrerà naturalmente in competizio-  ne con la maggioranza formata dalle altre nazioni, per le  quali il numero significa invece massa più o meno cieca,  cioè democrazia incosciente.   Su 1000 slavi vi sono due o tre individui.    L'ultima fulminea nostra vittoria ha dimostrato che non  vi è gruppo di italiani (20, 30 o 40) che non contenga al-  meno 10 o 15 individui capaci di iniziativa e di direttiva  personale    Abbiamo ancora da sgombrare e da bonificare le zone  morte dell’analfabetismo. Questo compito molto arduo con un nemico minaccio-  so alle porte è oggi compito facile e senza pericoli per la  unità e indipendenza nazionale.    Nazione ricca di individui geniali, democrazia intelli-  gentissima. Quantità di personalità tipiche, massa di tipi  unici, democrazia che non vuole imporsi bancariamente,  industrialmente, colonialmente, ma può e deve dominare  il mondo e dirigerlo con la sua maggiore potenzialità ed  altezza di luce.    Noi crediamo che l'ora è venuta di tentare tutte le ri-  voluzioni per liberare il popolo italiano da tutti i pesi  morti e da tutti i ceppi (matrimonio e famiglia Cattolica soffocatrice, pedantismo professorale, elettoralismo, menta-  lità pessimistica, provinciale mediocrista e quietista).    Liberata dal giogo della vecchia famiglia tradizionale,  dal dogma dell'anzianità, l'Italia manifesterà finalmente la  sua potenza di 40 milioni d’individui italiani tutti intelli-  genti e capaci di autonomia.    Concezione assolutamente apposta alla cretinissima concezione germanofila che voleva svalutare i 40 milioni di  individui italiani per organizzarli meccanicamente.    Su] palcoscenico della razza italiana dobbiamo mette-  re in luce 40 milioni di ruoli diversi perché in questa luce  possa perfettamente svolgersi il valore tipico d'ognuno.(Censura) Noi non abbiamo la nevrastenica pigrizia, la neghittosi-  tà, il misticismo, il boiantismo ideologico, l’ossessione teo-  rificatrice della Russia. Siamo pieni di senso pratico, di  tenacia costruttrice, di ingeniosità inesauribile, di eroismo  bene impiegato. Possiamo dunque dare tutti i diritti di fare  c disfare al numero, alla quantità, alla massa poiché da noi  numero quantità e massa non saranno mai come in Germa-  nia e in Russia numero quantità o massa d’inetti e di sconclu-  sionati,   Arturo Labriola definisce la democrazia « come senti.  mento dei diritti concreti della massa sullo Stato e sulla  Economia ».    Noi futuristi consideriamo la democrazia non in astrat-  to ma bensì la « democrazia italiana ».   Parlare di democrazia in astratto è fare della retorica.  Vi sono numerose democrazie, ogni razza ha la sua de-  mocrazia, come ogni razza ba il suo femminismo.   Noi intendiamo la democrazia italiana come massa di  individui geniali, divenuta perciò facilmente cosciente del  suo diritto e naturalmente plasmatrice del suo divenire  statale.La sua forza è fatta di questo diritto acquisito, molti-  plicata dalla sua quantità valore, meno il peso delle cellule  malate (incoscienti, analfabeti). La democrazia italiana è per noi un corpo umano che  bisognerà liberare, scatenare, alleggerire, per accelerarne  la velocità e centuplicarne il rendimento.    La democrazia italiana si trova oggi nell'ambiente più  favorevole al suo sviluppo. Ambiente di rivoluzione-guerra  nel quale è costretta a risolvere tutti i suoi casi-problemi  insoluti, le cui soluzioni possono esercitare una influenza  sul suo avvenire. Necessità igienica di continua ginnastica  trasformattice, improvvisatrice.    Il governo si allarma oggi nel vedere formarsi innume-  revoli associazioni di combattenti. Se non fosse un governo  di miopi reazionari tremanti di paura accaglierebbe favo.  revolmente questo nuovo ritorno di vitalità italiana.    La guerra ha semplicemente svegliate le coscienze di 4  o 5 milioni di italiani che tornano oggi dalla guerra, atric-  chiti di una personalità politica.   E’ la prima volta nella storia che più di quattro mi.  ltoni di cittadini di una nazione hanno Ja fortuna di subire  in soli 4 anni un'educazione intensiva e completa con le-  zioni di fuoco, di eroismo e di morte.   Spettacolo meraviglioso di tutto un esercito partito per    la guetra quasi incosciente e ritornato politico e degno di  governare.    La democrazia futurista è ormai pronta ad agire, poiché  sente vibrare tutte le sue cellule vive.   Naturalmente ha un bisogno urgente di spalancare le  porte e di uscire all’aperto. I) governo si allarma, reprime  e trema, come la nonna leggendaria teme che il nipotino  pigli un raffreddore.   Fuori l’aria è frizzante e salubre. Il sole, spalancato, be-  ve il mare di liquido quasi solido saporito azzurro, tutto  spumante di raggi, tutto da bere fino all'ultimo sotso.    F.T. MARINETTI  fda: Roma futurista, un    EMILIO SETTIMELLI  F. T. MARINETTI    FUTURISMO E PRIMO FASCISMO    Emilio Settimelli commenta il Congresso di Firenze  su 1 nemici d'Italia (« settimanale antibolscevico diret  to da Armando Mazza ») del 10 ottobre del 1919. I  discorso di Meorinetti al congresso apparirà su L'Ardito  del 26 ottobre dello stesso anno, ma era già apparso  tre giorni prima su I nemici d’Italia (23 ottobre). Del  discorso e della «necessità dello svaticanamento »  ab-  biamo già parlato. Ma si postula anche l'ipotesi di un  eccilatorio di giovanissimi capaci di sostituire il semato  dei vecchi, ormai da abolire. Al suo posto un «consi  glio tecnico » andrebbe sollecitato e stimolato da gio  vani sotto i trent'anni, a moto continuo    Si parla poi di un proletariato dei geniali, quello  degli artisti d’Italia, più o meno a nascosti od esclusi »,  che andrebbero favoriti o promossi da iniziative pub.  bliche atte all'aiuto della loro espressione. L'origine  della proposta da parte di una «mente d'artista » ri.  sulta evidente. Marinetti è definito, al caso, « ardito  della poesia». La definizione è sempre di Settimeth,  che sostiene inoltre Marinetti sia «uscito » dal Con  gresso in «trinonmio» con Mussolini e D'Annunzio.  quello del « dopo Fiume »: un'alleanza politica mei fino  ad allora verificatasi.    Ed è ancora Settimelli, a questo proposito, a inneg-  giare ai due personaggi (Marinetti e Mussolini) in un  suo scritto, già pubblicato su I nemici d'Italia # 4 set  tembre 1919. Lo riportiamo perché ci sembra significa  tivo di un legame e di un rapporto. Non è vero che  l'arte debba essere estranea alla politica, vi si sostiene.  Anzi, è proprio l'artista a darle una sua interpretazione  od un suo connotato, un suo «travestimento », od usa  sua immagine fanto più nuova, quanto più ardimentose  ed « ardita». Mussolini è stato capace di recepirlo, e  il fascismo è un fenomeno nuovo praprin per questo,  e d'avanguardia.    La tesi di Settimelli è tipica del «futurismo delle  origini » o classica di un momento rivoluzionario, 0 di  rinnovamento. Ma anche Armando Mazza pubblica un  «fondo » il 30 Ottobre dello stesso anno sulla mede-  sima testata (I nemici d'Italia). L'articolo non è fir-  mato, ma è inserito sotto il titolo a quattro colonne:  Fascisti, a noi!, con un commento alle prospettive elet-  torali, un trafiletto in commemorazione della vittoria  nella’ ricorrenza annuale, e una colonna intestata: Ciò  che ci divide. Vi si spiegano 1 motivi di disaccordo e  distacco da tutte le altre forze politiche, quelle ew-neu  traliste e quelle del passatisma    MUSSOLINI E IL FASCISMO    Pensare col proprio cervello originale, liberare comple-  tamente il proprio temperamento, essere gli annunciatori  e i fondatori di una nuova mentalità: sofferenza di tutti i  momenti.   Mantenere la provria posizione di avanguardia, è cosa  da giganti.   Parteciparvi per qualche tempo è da tutti.   À un certo momento rimani quasi solo: la gran parte  degli amici si arrende, brutta e spregevole nella sua viltà  mascherata di scetticismo, oppure non crede più, sopraf-  fatta dalla vecchia e comoda mentalità. Disertano, perdono  ogni ritegno, ti attaccano. Si vendicano di averli resi —  sia pure per un anno — intelligenti, credono di poter me-  nomare la saldezza del tuo accizio, ti fanno recedere con i  loro atteggiamenti di commendatoria superiorità: cafoni ad-  domesticati, provinciali inguaribili.   Vivi in un ambiente pericoloso e stancante perché sen-  ti che è creato per l’« altra gente »1 mediocre, podagrosa.   Ti urti della continua ostilità.   Ti trovi dinanzi ad un avversario senza spirito, mono-  tono, insistente.   Un avversario indegno che ha la bruttezza goffa del  rinoceronte e il rompiscatolismo della zanzara.   Hai delle donne. Tentano di tutto per convincerle a  rinsavire e ti denigrano in mille modi cercando di portarle  a qualche mediocre ronzino o a qualche nobilissimo eunuco  lucroso 0 decorativo.   Lavori. Il tuo lavoro ba sempre qualche parte che  esorbita. Mai delle amicizie, ti seguono fino ad nn certo  punto. Non possono capirti a fondo.   Sei fatto per un mondo di eroismo, di forza, di bellez-  za, di temerità. Le tue grandi ali t’impediscono di cammi-  nare come il gabbiano di Baudelaire.    (eTe)    Tutto questo è atroce, ma di colpo una vittoria ti ripaga  di tutto.   Aver avuto ragione, aver visto lontano, aver costruito  un nuovo pezzo della vita, sia pure un piccolo pezzo, avere  anche per un attimo e per un millimetro contribuito allo  allargamento del mondo ti fa vibrare per la gioia dei ver-  tici.    Oggi ho questa gioia e la divido con quei pochi che  da dieci anni lavorano con me alla formazione di un am-  biente intellettuale italiano libero dai professori, dai tradi.  zionali, dai gottosi (non alludo ai seguaci del romanziere  Salvator!).   E Ia nostra gioia diviene frenetica quando constatiamo  che da un'altra parte, dalla politica ci veniva incontro un  uomo formidabile, nuovo come noi, libero come noi. E'  la gioia dei minatori che s'incontrano finalmente dopo aver  forata la montagna. Un «evviva », una manata di terra  sulle facce ebbre, sopra i sudori riganti e una stretia di  mano che è una prova del cuore e dei garretti.   Mentre con Marinetti e con gli altri amici lavoravamo  il campo artistico, dall'altro si muoveva Mussolini lavo-  rando il campo politico. Ci dovevamo incontrare. Un gi-  gante questo magnifico Mussolini! Con la forza ma anche  col peso di un grande ingegno, di un'anima vasta, di un  temperamento spaccafore, figlio di un fabbro ferraio si tira  su a suon di muscoli, di ingegno e di fegato. Supera la  più massacrante battaglia: quella contro la miseria, quella  che non potrà mai esser capita da chi non l’ha provata.  Chi è nato ricco non potrà mai essere completamente den-  tro la realtà e non avrà mai il collaudo delle sue energie.  Domina le folle, organizza, sbaraglia Turati, Treves, Rai-  mondo. Galvanizza il partito socialista. Scoppia la guerra,  capisce che la neutralità sarebbe contro il socialismo € per  il medioevo autocratico. Tenta di persuadere. I mediocri  ne approfittano per liberarsi della sua grandezza. Si forma  la imbecillocrazia dell’Avanzi! Mussolini lascia il partito che  rimane acefalo e si divincola in movimenti balordi e vili.  Intanto i piedi ridono soddisfatti per essersi liberati della    100    testa. Nasce così il Popolo d'Italia. Il primo quotidiano  veramente moderno e veramente italiano. Un ritrovo di  energie vive, spregiudicate, temerarie. Il lievito di questo  buon pane italiano nato dalla guerra. In esso tutti i vivi  si incontrano: Futurismo, Arditismo, D'Annunzio. E' una  punta sensibile e perforante, è l'effervescenza della grande  coppia italica, è il primo nucleo per una Italia nuova.   Ma il quotidiano non basta a Mussolini. Uomo d'azio-  ne ha bisogno di concretare, vuol raccogliere ciò che semi-  na giornalmente. Nasce il fascismo. Fenomeno degno della  più grande ammirazione e del più appassionante esame. Più  che un partito è una mentalità. Non si basa sulla promessa  di un certo paradiso futuro, si muove problematicamente  passo per passo alternando transigenza a intransigenza,  idealismo a realtà, arte a pratica concreta. Gli avversari del  Fascismo sono le vecchie anime che marciano solo dietro  promesse iperboliche e utopistiche, che scambiano incoe-  renza con duttilità, che non vivono dentro la vita vera e  vibrante, ma fra gli schemi arrugginiti di una mentalità  libera.   TI Fascismo raccoglie gli italiani più intelligenti e più  moderni con la sua ferrea ossatura di concretamento fa-  sciato da una atmosfera di sensibilità, di cordialità idea-  listica, di eleganza e di colore. Rende possibile la politica  anche per i temperamenti più contrari ad essa. Per esem-  pio gli artisti e gli ironici. L'Italia abbonda di artisti e di  ironici, anzi essi formano la sua parte migliore, intellettual.  mente.   Mussolini ha avuto il grande pregio di creare un’atmo-  sfera politica che non ripugna a questi scelti, a questi « mi.  gliori ».   L'intelligenza disinteressata si allontana dalla politica  quando essa s'imperna sulla falsa promessa di un paradiso  certo, sul settarismo, sulla gretteria animale.   Si sta preparando in Italia quella rinascita totale, ba-  sata sull’arte che tra le più feroci ironie e gli scetticismi  più assoluti amnnunciai nella « Inchiesta sulla vita italiana ».    SETTIMELLI  (da: 1 nemici d'Italia, Milano, SOGNO UN GOVERNO DI TECNICI,  ECCITATO DA UN'ASSEMBLEA »    Cari Fascisti! Cari Arditi!    V'invito ad acclamare un valoroso fascista assente, che  sarebbe qui con noi se il Governo anti-italiano di Nitti  non l’avesse condannato a tre mesi di fortezza    Mario Carli,  (Grida unanimi di: Viva Mario Carli! e applausi).    Il futurista Mario Carli è sfuggito alla polizia di Al-  bricci e gode l'atmosfera igienica di Fiume italiana. Ha  brillato così una volta di più l'elasticità veramente futu-  rista di questo poeta che sa tutti i viaggi più pericolosi  dello spirito, le esplorazioni più sottili della psicologia, i  razzi più colorati ed anche la strategia delle strade in  tumulto e il governo delle assemblee popolari. A Mario  Carli, poeta delle Notti filtrate, si deve la fondazione del  Fascio di combattimento romano, e, insieme con Setti-  melli, del Partito politico futurista, e del giornale Rome  futurista. Egli capeggiò tutte le dimostrazioni violente per  Fiume italiana, per la Dalmazia italiana e per la difesa  della vittoria, contro il bolscevismo rosso e nero, rinun-  ciatario e nittiano. V'invito a gridare ancora: Viva il fu-  turista Mario Carli! (Quazione, applausi).    Lo «svaticanamento ».    Io approvo incondizionatamente, in nome del futuri  smo e dei futuristi italiani, tutto il programma dei Fasci  di combattimento, che vi è stato esposto dal mio amico  Fabbri. Trovo però in questo programma delle lacune  gravi, sulle quali richiamo tutta la vostra attenzione.   Fascisti! Non c'è maggior pericolo, per l’Italia, del pe-  ricolo nero. Il popolo italiano, che ha saputo osare, vo-  lere e compiere l’immane sforzo eroico e vittorioso della    102    grande guerra, decidendo, con la sua vittoria, la vittoria  del futurismo elastico, geniale, sul passatismo teutonico,  cubico e professorale, fallirebbe alla sua missione se non  sapesse energicamente liberare la bella penisola, agile e  palpitante di vita, dalla lue mortale del papato. Noi dob-  biamo domandare, volere, imporre, l'espulsione del papato,  o meglio ancora, per usare una espressione più precisa, lo  « svaticanamento ». (Applausi, ovazione)    L'« Eccitatorio ».    Continuando nell'analisi del Programma dei Fasci di  combattimento, trovo l'abolizione del Senato, al quale si  sostituirebbe un Consiglio nazionale tecnico. Ebbene: io  vi dichiaro che il concetto di tecnicità è importantissimo,  ma non basta. Il Senato rappresenta nella storia dei po-  poli un costante ossequio alla saggezza dei vecchi, chiama-  ti intorno al potere per frenarlo, maturarne i propositi,  dirigerne le decisioni. La concezione del Senato, simile  a quella del coro nella tragedia greca, ha singolarmente  appesantito, imbrogliato, buroctatizzato e ritardato il pro-  gresso spirituale e materiale delle razze.    I legislatori hanno sempre sognato di frenare il pote-  re del Governo. Essi ignoravano dunque che potere si-  gnifica frenare. Essi ignaravano che un Governo è sem-  pre più o meno un carabiniere. Nulla di più assurdo che  il porre un carabiniere a sorvegliarne un altro. Mettiamo:  gli al fianco, piuttosto, un sovversivo, un rivoltoso, un  eccitante. Ed ecco nata la concezione dell’Eccitatorio, or-  gano animatore, semplificatore e acceleratore, che in una  razza come la nostta, piena di precoci geniali, sarà Ja mi-  glior difesa della gioventù e la migliore garanzia del pro-  gresso e di alta spiritualità. Io sogno in Italia un Gover-  no di tecnici eccitato da un’assemblea di giovanissimi, al  posto dell’attuale Parlamento di oratori incompetenti €  di dotti invalidi, che si fa moderare da un Senato di mo-  ribondi.   Il Consiglio tecnico che rimpiazzerà il Senato dovrà  dunque essere composto di giovanissimi, non ancora tren.    103    tenni. Insisto su ciò, poiché in Italia si usa invitare i gio-  vani al potere e si considera poi virile e giovanissimo un  uomo di 55 anni. Salandra grida: Avanti i giovani! Ma  tutti con lui temono i giovani, mettono in quarantena un  quarantenne come un coleroso, un cinquantenne come un  dinamitardo, e considerano un sessantenne come un au-  dace quasi maturo per il governo d’Italia!..   Occorre un Eccitatorio di giovanissimi, per evitare un  Consiglio tecnico di vecchi, che dopo aver tenuto inuti-  lizzato per molto rempo il loro ingegno tecnico non san-  no più che tecnicamente morire.   La vita italiana si riduce ancora ad una convivenza  cretina di quadri d'antenati senza autorità e senza presti-  gio, che spandono intorno, in una penombra tediosa, pes-  simisino, pedantismo, austerità professorale, verbalismo pa-  triottico e polvere di Roma antica, e in mezzo ai quali si  aggira sporca, taccagna, provinciale, brindellona, la ser-  vaccia che fa tutto male, tiene malissimo la casa, non  vuo! migliorare nulla, perde la giornata a verificare i con-  ti di cucina, ha sempre paura di spendere e di rovinarsi,  ed è tronfia perché sa fare una minestra non troppo sa-  lata che costa poco.   T quadri d’antenati si chiamano Boselli e Salandra: la  servaccia si chiama Giolitti o Nitti. (Quazione)   Contro i quadri d'antenati e la servaccia, poi propo  siamo un eccitatorio di studenti e di Arditi futuristi.    Arditismo. — Scuole di coraggio fisico e patriottismo.    Una terza lacuna io trovo nel programma dei Fasci  di combattimento, e riguarda la scuola. L'amico futuri  sta Fabbri ha precisato genialmente la grande e necessa  ria riforma completa della scuola.   To credo petò che tutto si potrebbe ottenere, e forse  anche un al di là meraviglioso che superi il tutto sogna.  ta, mediante un'imposizione assolutamente ferrea, dirò  meglio feroce, della ginnastica nelle scuole.   Si deve giungere anche presto, oltre che a tutte le for-  me d'insegnamento pratico e tecnico, nelle officine e nei    104    campi, alle scuole viaggianti, 0, per meglio dire, viaggi  d'istruzione, e a dei veri corsi o scuole di coraggio fisico  e di patriottismo.   Bisogna ogni giorno, nella giocondità di una vita al-  l'aria aperta, con un predominio assoluto del giuoco sul-  la lettura, parlare dell'Italia divina ai ragazzi italiani, in-  segnare loro, accanitamente, il coraggio fisico e il disprez-  zo del pericolo, e premiare dovunque l'audacia temeraria  e l'eroismo.   Le scuole di coraggio fisico e di patriottismo devono  rimpiazzare nelle scuole gli oramai preistorici e troglodi.  tici corsi di greco e di latino.   Noi futuristi siamo convinti di preparare così quel  tipo di cittadino eroico che saprà difendersi da sè, vera-  mente capace di libero pensiero e di libero cazzotto, e  che renderà assolutamente inutile l'esistenza delle polizie,  delle questure. dei carabinieri e dei preti.    Ferruccio Vecchi.    Il mio amico futurista Mario Carli, capitano degli Ar-  diti, e il capitano Vecchi, capi dell'Associazione degli Ar-  diti, hanno sentito come me, nascere dal futurismo e dal-  la guerra, l'Arditiswo, nuova sensibilità di patriottismo e-  roico e rivoluzionario. ]l giornale L'Ardito, diretto dal  capitano Vecchi, il celebre sfasciatore dell’Avanti! è un  forte giornale che si deve consigliare ai giovani italiani.  {Qvazioni)   Verrà forse un giorno in cui avremo in Italia quelle  scuole di pericoli che io proponevo dieci anni fa nei pri-  mi manifesti futuristi e che furopo realizzate durante la  guerra nelle esercitazioni quotidiane degli Arditi (avanza-  ta carponi sotto un tiro radente di mitragliatrici; aspetta-  re senza chiudere gli occhi il passaggio radente di una  trave sospesa sulla testa, ecc.). Il proletariato der geniali    Ed ora voglio colmare un'altra lacuna dei program-  ma, parlandovi del solo proletariato veramente dimenticato ed oppresso: l'importantissimo proletariato dei ge-  niali.   E’ indiscutibile che Ia nostra razza supera tutte Je raz-  ze per il numero stragrande di geniali che produce. Nel  più piccolo nucleo italiano, nel più piccolo villaggio, vi  sono sempre sette, otto giovani ventenni che, fremono  d’ansia creatrice, pieni di un orgoglio ambizioso che si  manifesta in volumi inediti di versi e in scoppi di elo-  quenza sulle piazze, nei comizi politici. Alcuni sono dei  veri illusi, ma sono pochi. Non potrebbero giungere al  vero ingegno. Sono però sempre dei temperamenti a fon-  do geniale, cioè suscettibili di sviluppo e utilizzabili per  accrescere l’intellettualità geniale di un paese.    Il movimento artistico futurista, da noi iniziato 11  anni fa, aveva precisamente per scopo di svecchiare bru-  talmente l'ambiente artistico-letterario, esautorarne e di-  struggerne la gerontocrazia, svalutare i criteri e i profes-  sori pedanti, incoraggiare tutti gli slanci temerari dell’in-  gegno giovanile, per preparare una atmosfera veramente  ossigenata di salute, incoraggiamento ed aiuto a tutti i  giovani geniali d'Italia. Incoraggiarli tutti, centuplicarne  l'orgoglio, aprire davanti a loro tutti i varchi, diminuire  al più presto, così, il numero dei geniali italiani falliti  e stroncati.    Il futurismo radunò molti di questi giovani geniali.  Fra di loro, nella vampa futurista, ingigantirono e brilla  rono: Boccioni, Russolo, Buzzi, Balla, Mazza, Sant'Elia,  Pratella, Folgore, Cangiullo, Mario Carli, Funi, Sironi,  Chiti, Jannelli, Nannetti, Cantarelli, Rosai, Baldassari, Gal-  li, Depero, Dudreville, Primo Conti, i geniali creatori del  Teatro Sintetico: Bruno Corra e Settimelli, e i valorosi  scrittori futuristi di Roma futurista, Rocca, Bottai, Fede-  rico Pinna, Volt e Rolzon, altissima bandiera d'’italianità  in America.   Con meravigliosa elasticità passando dall'arte all’azio-  ne politica, questi giovani furono con me dovunque nelle nostre primissime dimostrazioni contro l’Austria durante  la battaglia della Marna, in prigione per interventismo e  sui campi di battaglia.    Propongo che in ogni città siano costtuiti dei palazzi  che avranno una denominazione sul genere di questa:  Mostra libera dell'ingegno creatore. Tn tali palazzi:    1° Verrà esposta per un mese un’opera di pittura,  scultura, plastica in genere, disegni di architettura, dise-  gni di macchine, progetti di invenzioni. Verrà eseguita un’opera musicale, piccola o gran-  de, orchestrale o pianistica di qualsiasi genere, di qual:  siasi forma, di qualsiasi dimensione.    3" Verranno letti, esposti, declamati poemi, prose,  scritti di scienza di ogni genere, d'ogni forma, d'ogni di-  mensione.   4° Tutti i cittadini avranno diritto di esporre gratui-  tamente.  Le opere di qualsiasi genere o valore apparente  anche se apparentemente giudicate assurde, cretine, pazze,  immorali, saranno esposte o lette senza giuria.   Con queste mostre libere e gratuite del genio creatore,  noi futuristi ci opponiamo a un pericolo gravissimo: quel  lo di vedere nella marea delle ideologie che rissano intor-  ne alle formole del comunismo e della dittatura del pro-  lerariato, il naufragio dello spirito.    Difendiamo il cervello!    Vi sono fenomeni dovuti alla stanchezza prodotta dal  la guerra, alla manîa plagiaria, alla miopia provinciale,  alla verbosità giornalistica e alla vigliaccheria conservatrice.  Si tenta dovunque di divinizzare il lavoratore manuale e  d'innalzarlo al di sopra del lavoratore intellettuale,    No, italiani: il futurismo politico si opporrà accanita.  mente ad ogni volontà di livellamento. Tutto, tutto sia    107    concesso al proletariato manuale, salvo il sacrificio dello  spirito, del genio, della gran luce che guida. Alle classi  oppresse, ai lavoratori che stentano, sia sacrificata tutta  la plutocrazia parassitaria del mondo.    Voi fascisti interventisti sapete che la nostra grande  guerra rivoluzionaria è stata osata, voluta, imposta e te-  nacemente portata alla vittoria finale da una minoranza  di intellettuali. Erano i migliori, i meno tradizionali, i  più futuristi. Mentre tutto il popolo era ancora immerso  nella quiete pacifista, essi videro la necessità di guerra,  si separarono brutalmente da altri intellettuali, da quelli  che dello spirito altro non hanno che le qualità negative,  pedantesche, culturali, reazionatie, quietiste. Contro e so:  pra il piombo del vecchio intelletrualismo professorale e  vigliacco dei Benedetto Croce e dei Barzellotti, contro l’in-  tellettualismo cavilloso e avvocatesco dei Treves e dei Tu-  rati, si scagliarono gli spiriti veramente puri, lirici e crea-  tori, per segnare la via da seguire.   Fra questi, Gabriele D'Annunzio, che volò su Vienna  e regalò Fiume all'Italia. Fra questi Benito Mussolini, il  grande Fututista italiano, che impavido nel campo trince-  rato del suo Popolo d’Italia ha difeso alle spalle noi com-  battenti al fronte contro le ondate dei nemici interni, por-  tando le città italiane dal lurido episodio di Caporetto  alla storia ideale di Vittorio Veneto (Applausi).    Gli artisti faranno finalmente del governo un’arie di-  sinteressata, al posto di quello che è ora, cioè una pedan-  tesca scienza del furto e della vigliaccheria.    eri    Io credo che le istituzioni parlamentari siano fatalmen-  re destinate a perire. Credo anche che la politica italiana  sia destinata a un inevitabile fallimento, se non si nutrirà  di questa forza viva: gl’ingegneri creatori d’Italia, sbaraz-  zandosi di queste due malattie italiane: l'avvocato e il  professore.    Genio creatore, elasticità artistica, praticità sintetica,  velocità improvvisatrice ed entusiasmo fulmineo: ecco le  belle forze che spiegano la vittoria del 15 giugno sul Pia-  ve e quella di Vittorio Veneto (Applausi).    Artisticamente improvvisando tutto, e con genio crea-  tore, la mia bella autoblindata dell'ottava Squadriglia al  comando del capitano Raby guadava come una torpedi-  niera i torrenti gontiati. Poi si slanciava giù dalle monta.  gne carniche col tuffo frenetico fulmineo di un pugnale  d'Ardito nella smisurata pancia idropica dell'esercito au-  striaco disfatto, e schizzava fuori dalla schiera contro  Vienna.   Artisticamente, il genio creatore di D'Annunzio con-  quistò Fiume italiana.   In Fiume italiana, io provai recentemente il più acu-  to spasimo di guida della mia vita, nel gualcire un pacco  di corone austriache deprezzate a pochi centesimi dalla no-  stra vittoria.   Gioia forsennata di stritolare così finalmente il cuore  finanziario, militare, passatista del nemico ereditario, fra  le mie mani ancora frementi della vibrazione della mia  mitragliatrice di Vittorio Veneto! (Ovazione).  MARINETTI  [da: L’Ardito, MARINETTI  MARIO CARLI  MINO SOMENZI    « SECONDO FUTURISMO »  E FASCISMO-REGIME    ll 1923 è un po' l'anno di apertura del futurismo  — dopo la ritirata e il distacco dal fascismo del II  Congresso di Milano — al nascente fascismo-regime (se-  condo la definizione di De Felice), quello dell’assesta-  mento o dell'e ordine» (che si consoliderà il 3 gen  naio 1925). Marinetti si accosta in un certo senso al  nuovo governo con una richiesta in forma di « mani  festo al Governo Fascista» del 1° maggio 1923.   Col manifesto e con l'affermazione di un certo qual  futurismo «mussoliniano », 0 nel sottolineare la rea-  lizzazione di un « programma minimo » futurista da par-    te del fascismo, Marinetti cerca di porsi in buona luce  e di far accettare le sue proposte al governo fascista.  ll programma fu in linea di massima approvato da  Mussolini. Quel Mussolini che comincerà a venir illu-  strato e celebrato anche dai futuristi, forse molte volte  in buona fede per l'effettiva sua vicinanza alle tesi ed  al dinamismo tipico di Marinetti e delle sue teorie.  Tuttavia Mario Carli nel '26 pubblica nel suo li  bro Fascisma intransigente wn articolo a suo tempo se  questrato e che risuona echi di « sinistri miraggi ». S'in-  titola Natale senza luce e si riferisce probabilmente al  Natale del ‘21, dopo l'impresa di Fiume cui Carli aveva  ben ardentemente partecipato: si augurava inutilmente  il Carli che l'impresa di Mussolini (la marcia su Roma)  continuasse quella breve esplosione innovatrice della  nuova Italia della Vittoria (la marcia su Ronchi). Ma  le «vecchie pance» e le «vecchie barbe» tengono invece  «il canzpo della vita nazionale » e «la manovra parla  mentare domina ancora tutto il congegno di governo ».  Marinetti sul numero 9 del 2-11-1932 del « nuo-  vo » Futurismo, esprime aminirazione ed esalta lo spirito  rivoluzionario della Mostra nel decennale della Rivolu-  zione (svoltasi a Roma). Intitola Varticolo Stile futuri-  sta e vuole commemorare in certo senso uno stile degli  anni d'oro dello spirito interventista e rivaluzionario da  cui è nato il fascismo, quello così detta « antemarcia ».  Nel 1934 al 1° di febbraio, sul terzo numero di  SunWElia, che è secondo titolo di Futurismo, generoso  tuttavia di perticolare spazio cd attenzione at problemi  dell'architettura, Mino Somenzi intitola un suo pezzo  a IT Duce e il futurismo, e vi sostiene la necessità di  Mussolini, come capo del governo, di non essere né  futurista né passatista. Per il superiore equilibrio sulle  parti che la sua posizione richiede. Tuttavia le simpatie  di Mussolini non possono non andare ai futuristi, dice  Somenzi, quali novatori e sostenitori dell'arte d'avan-  guardia italiana. In questo sensa i futuristi non possono  non guardure a lui come ad un appoggio e ad un so-  stegno, come del resto egli medesima più volte si è di-  mostrato. E qui forse, in questa tesi, vediamo tutta la  posizione ed il carattere del « secondo futurismo ».  Ancora sulla stessa testata del 4 aprile ’34, n. 64.  un grande intervento centrale di prima pagina su Ven-  titre marzo futurfascista, mette in rilievo i caratteri co-  muni di futurismo e fascismo, anche quelli per cui  molti fascisti non st identificano con i futuristi ed anzi  simmedesimano nel loro contrario essendo dei « rimor-  chiati » che non hanno assorbito lo spirito diciannovi  sta e rivoluzionario delle « origini ». I DIRITTI ARTISTICI PROPUGNATI  DAI FUTURISTI ITALIANI    Manifesto al governo fascista    Mio caro Marinetti, approvo cordialmente la tuu  iniziativa per la costituzione di una Banca di Credito  specialmente per gli Artisti. Credo che saprai sor-  montare gli eventuali ostacoli dei soliti misoneisti.   Ad ogni modo questa lettera può servirti di via-  tico.   Ciao, con amicizia,    MUSSOLINI    Vittorio Veneto e l’avvento del Fascismo al potere co-  stituiscono la realizzazione del programma minimo futuri-  sta lanciato (con un programma massimo non ancora rag-  giunto) 14 anni or sono da un gruppo di giovani audaci  che si opposero con argomenti persuasivi all'intera Nazione  avvilita da un senilismo e da un mediocrismo paurosi dello  straniero.   Questo programma minimo propugnava l’orgoglio ita-  liano, la fiducia illimitata nell’avvenire degli italiani, la di-  struzione dell'impero austroungarico, l’eroismo quotidiano,  l’amore del pericolo, la violenza riabilitata come argomento  decisivo, la glorificazione della guerra sola igiene del mon-  do, la religione della velocità, della novità, dell’ottimismo e  dell’originalità, l'avvento dei giovani al potere contro lo spi-  rito parlamentare, burocratico, accademico e pessimista.   La nostra influenza in Italia e nel mondo è stata ed è  enorme. Il Futurismo italiano, tipicamente patriottico, che  ha generato innumerevoli futurismi esteri, non ha nulla a  che fare coi loro atteggiamenti politici, come quello bolsce-  vico del Futurismo russo divenuto arte di Stato.   Il Futurismo è un movimento schiettamente artistico e  ideologico. Interviene nelle lotte politiche soltanto nelle  ore di grave pericolo per la Nazione.   Fummo primi fra i primi interventisti; in carcere per interventismo a Milano durante la Battaglia della Marna;  in carcere con Mussolini nel 1919 a Milano per attentato  fascista alla sicurezza dello Stato e organizzazione di bande  armate.   Abbiamo creato le prime associazioni degli Arditi e  molti tra i primi Fasci di combattimento.   Divinatori e lontani preparatori della grande Italia di  oggi.   Noi futuristi siamo lieti di salutare nel non ancora qua-  rantenne Presidente del Consiglio un meraviglioso rempera-  mento futurista.   Da futurista, Mussolini ha parlato così ai giornalisti  esteri:    « Noi siamo un popolo giovane che vuole e deve crea  re e rifiuta d'essere un Sindacato di albergatori e di quar-  diani di museo. Il nostro passato artistico è ammirevole.  Ma, quanto a me, sarò entrato tutt'al più due volte in un  MIUSCO ».    Recentemente Mussolini ha pronunciato questo discor-  so tipicamente futurista:    « Il Governo che ho l'onore di presiedere è Governo  di velocità, nel senso che noi abbreviamo tutto ciò che  significa ristagno nella vita nazionale. Una volta la buro-  crazia si addormentava sulle pratiche emarginate. Oggi tut-  to deve procedere con la massima rapidità. Se tutti proce-  deremo con questo ritmo di forza e di volontà e di alle-  grezza, supereremo la crisi, la quale, del resto, è già in  parte superata. lo sono lieto di vedere il risveglio anche  di questa Roma che offre lo spettacolo di officine come  questa. lo atfermo che Roma può diventare centro indu-  striale. 1 romani devono essere i primi a disdegnare di  vivere soltanto sulle loro memorie. Il Colosseo, il Foro  romano sono glorie del passato: ma noi dobbiamo costrui-  re le glorie del presente e del domani Noi siamo la gene-  razione dei costruttori che col lavoro e con la disciplina  del braccio e intellettuale vogliono raggiungere il punto  estremo, la meta agognata della grandezza della Nazione  di domani, la quale sarà la Nazione di tutti i produttori  e non dei parassiti ». Con Mussolini il Fascismo ha ringiovanito l'Italia.   Spetta a Lui l'aiutarci nel rinnovamento dell’ambiente  artistico ove permangono uomini e cose nefaste.   La rivoluzione politica deve sostenere la rivoluzione  artistica, cioè il futurismo e tutte le avanguardie.    DOMANDIAMO:    1° DIFESA DEI GIOVANI ARTISTI ITALIANI  NOVATORI in tutte le manifestazioni artistiche promos-  se dallo Stato, dai Comuni e private. Esempi:    a) Alla Biennale di Venezia furono invitati avanguar-  disti e futuristi stranieri {Archipenko, Kokoschka, Campen-  donk), mentre non furono mai invitati i futuristi italiani  (creatori di tutti i futurismi). Bisogna sradicare questa igno-  bile antitalianità sistematica!    c) Al Teatro della Scala {che ha la funzione di rive-  lare, glorificandoli, i nuovi musicisti italiani) si danno ogni  anno due opere di Wagner e nessuna (o quasi nessuna)  di giovani italiani. Si preferiscono cantanti stranieri infe-  riori ai nostri, Bisogna sradicare questa ignobile antitalia-  nità sistematica!    d) Il Teatro di Siracusa non può essere riservato alla  gloria dei classici greci! Domandiamo che, alternativamente  alle rappresentazioni delle opere classiche, si svolga un con-  corso per un dramma moderno pittoresco adatto all'aria  aperta di un giovane siciliano da premiarsi e incoronarsi so-  lennemente nel teatro stesso. (Proposte Marinetti, Prampo-  lini, Jannelli, Nicastro, Carrozza, Russolo, Mario Carli, De-  pero, Cangiullo, Giuseppe Steiner, Volt, Somenzi, Azari,  Matasco, Dottori, Pannaggi, Tato, Caviglioni, Paladini Ra-  citi, Mario Shrapnel, Raimondi, G. Etna, Sportino-Bona,  Cimino, Soggetti, Rognoni, Masnata, Mortari, Piero Illari,  Rizzo, Soldi, Leskovic, Buzzi, Casavola, Clerici, Caprile, Scirocco),  ISTITUTI DI CREDITO ARTISTICO ad esclu-  sivo beneficio degli artisti creatori italiani.   Come si aprono delle Banche di credito a favore delia  industria e del commercio, similmente si dovranno creare    115    appositi Istituti che sovvenzionino manifestazioni artistiche  o Istituti d'arte industriale o anticipino denaro agli artisti  per il loro lavoro (manoscritti, quadri, statue, ecc.) i loto  viaggi di isttuzione o di propaganda.   Tali Istituti di credito potranno avere carattere pri-  vato (Società anonime per azioni) o governativo (enti e  fondazioni). Nel primo caso la nascita di tale Istituto è  legata alla maggiore o minore buona volontà e mumero  degli aderenti. Nel secondo caso il capitale necessario sa-  tebbe sicuramente e prontamente realizzabile solo che lo  Stato decretasse un'imposta od una ritenuta anche minima,  ma estesissima, sui redditi di guerra, sui patrimoni, ecc.,  o mediante una sottoscrizione nazionale ad iniziativa sta-  tale.   L'Istituto agirebbe poi come una Banca per gli artisti,  accetterebbe depositi di opere d'arte, e in base alla valuta-  zione reale darebbe sovvenzioni od aprirebbe crediti.   L’opera d’arte giacente costituirebbe un deposito frut-  tifero per il depositante e per l’Istituto stesso che promuo-  verebbe iniziative artistiche, vendite, ecc. Così l'artista e  l'opera d’arte sarebbero valorizzati.   Questi Istituti potrebbero intraprendere concessioni di  mutui a favore d’'industrie artistiche e ottenere l’uso di  palazzi per adibirli ad abitazioni di artisti, d’istituzioni arti-  stiche od aprirvi periodiche mostre. (Proposta Prampolini,  Marinetti, Russolo, Cangiullo, Depero, Settimelli, Mario  Carli, Buzzi, Matasco). DIFESA DELL’ITALIANITA'.  Italianizzazione obbligatoria immediata degli alberghi (tutte le diciture, insegne, liste delle vivande, conti, ecc.,  in lingua italiana), dei negozi e della corrispondenza commerciale. Mezzi automatici per propagare la lingua italiana  senza spese. (Proposta Marinetti, Russolo, Buzzi, Folgore,  Mario Carli, Settimelli, Depero, Cangiullo, Somenzi, Mara-  sco, Rognoni).    B) Italianizzazione della nuova architettura contro l'uso  sistematico di plagiare le architetture straniere. Cominciare  questa italianizzazione in tutti gli edifici statali, specialmen-  te nei paesi redenti. (Proposte Virgilio Marchi, Depeto,    116    Russolo, Buzzi, Somenzi, Azari, Marasco, Prampolini, Fol-  gore, Volt).    C) Italianizzazione obbligatoria delle edizioni e dei ca-  ratteri tipografici. (Proposta Frassinelli, Rampa-Rossi).  ABOLIZIONE DELLE ACCADEMIE (Istituti di    Atte e Scuole professionali).    Gli attuali sistemi d'insegnamento nan corrispondono al-  le esigenze estetiche dell'evoluzione dell’arte attraverso i  tempi. L'arte non si insegna. Gli attuali diplomati non sono  né tecnici competenti né artisti.    Abolizione delle Accademie di Belle Arti e Professio-  nali senz’altre sostituzioni. (Proposta Marasco).  PROPAGANDA ARTISTICA ITALIANA ALL'ESTERO mediante un Istituto Nazionale di propaganda ar-  tistica all’estero che tuteli glì interessi artistici ed econo-  mici degli artisti italiani.   Questo Istituto dovrà essere diretto da giovani artisti  stimati all’estero e che propugnino con italianità il genio  novatore italiano Avrà commissioni permanenti riguarda  ti le varie arti e uffici di corrispondenza nei principali  centri artistici esteri. Agirà mediante conferenze, concerti,  esposizioni e pubblicazioni periodiche di propaganda. (Pro-  posta Prampolini, Russolo, Buzzi, Volt, Marasco). CONCORSI LIBERI D'ARTE.    Utilizzare una parte del denaro che lo Stato spende  attualmente per l'arte in concorsi di poesia, plastica, ar-  chitettura, musica, riservati ai giovani non ancora venti-  cinquenni, da premiarsi mediante un referendum popo-  lare. (Proposta Balla, Marinetti, Marasco).  AFFIDARE L'ORGANIZZAZIONE DELLE FE.  STE NAZIONALI E COMUNALI (cortei, gare sportive,  ecc.) ai gruppi d’artisti d'avanguardia italiani, i quali han-  no ormai provato in modo incontestabile la loro genialità  innovatrice, fonte di quell’ottimismo che è indispensabi-  le alla salute della Patria. (Proposta Depero, Azari, Mari-  netti, Marasco).  AGEVOLAZIONI AGLI ARTISTI. Riconoscimento legale da parte del Governo dei  diritti d'autore per gli artisti delle arti plastiche, sul mag-  gior prezzo raggiunto dalle opere loro, attraverso le ven-  dite successive, mediante una istituzione simile alla « So-  cietà degli Autori ».    d) Abolizione delle tariffe doganali internazionali sia  riguardo le importazioni che le esportazioni delle opere  d’arte moderna. (Proposta Prampolini, Depero, Azari, Ma-  rasco, Marinetti, Volt).    9° CONSIGLI TECNICI CONSULTIVI formati da  artisti ed eletti fra artisti con una rappresentanza propor-  zionale delle tendenze d'avanguardia. Questi Consigli Tec-  nici consultivi avranno lo scopo di tutelare gl’interessi de-  gli artisti nei rapporti con le istituzioni statali, comunali,  private e gli artisti stessi. {Proposta Prampolini, Mara-  sco, Marinetti, Volt)  RAPPRESENTANZA PROPORZIONALE.    Le avanguardie artistiche italiane dovranno essere in-  vitate a partecipare con una rappresentanza proporzionale  a tutte le manifestazioni e cariche artistiche statali, co-  munali e private. (Proposta Prampolini, Marasco, Marinet-  ti, Volt). CONSORZIO INTERNAZIONALE per la tute.  la degli interessi artistici ed economici degli artisti d'avan-  guardia. Questo Consorzio dovrebbe proporsi l’accentra-  mento delle migliori istituzioni artistiche di avanguardia,  per la solidarietà, la difesa e la propaganda artistica ed  economica. (Proposta Prampolini, Marasco, Marinetti,  Volt).   Per la Direzione del Movimento Futurista  e per tutti i Gruppi Futuristi ltaliani   MARINETTI   NATALE SENZA LUCE  sequestrato).    Chi fu legionario di Fiume non potrà mai dimenti-  care le rosse giornate natalizie di quattro anni fa, con  le quali si conchiudeva tragicamente e desolatamente una  breve ma non ingloriosa epopea. Il ricordo ha poi un  valore particolare per chi lo avvicini al pensiero della  situazione politica odierna, che ha qualche vaga analogia  con quella che segnò la fine di un generoso sforzo della  nuova Italia.   Il sangue fraterno di quelle Cinque Giornate non è  stato ben vendicato. Pareva a molti di noi che la Marcia  su Roma dovesse continuare quella di Ronchi per dare  alla nostra grande Patria una nuova fisionomia di po-  tenza e per vivificarla di un nuovo afflusso di giovi-  nezza. Ma la spinta rinnovatrice della generazione di Vit-  torio Veneto si è, ahimé, fiaccata nel labirinto delle vec-  chie pance e vecchie barbe che tengono tuttora il campo  della vita nazionale. E sul tempo d’arresto che oggi fa  segnare il passo alle orgogliose avanguardie d'impero, la  sagoma «immortale » del cavalier Giolitti si profila —  come quattro anni fa — a rassicurare il mondo che l’Ita-  lia è ancora quella mediocre, umile nazioncella di molte  chiacchiere innacue ma di pochi fatti pericolosi, e che  agni tentativo di virilizzarsi e impennarsi in alati eroismi,  è destinato al più pietaso insuccesso.   Sembra — a ben considerare i più recenti avvenimen-  ti — che il sogno di una politica più alta, più rettilinea,  più forte, sia una morbosa fantasia di cervelli malati; e  che una sola specie di politica sia possibile: quella che  ha nome Giolitti. Vale a dire: quella basata sull’intrigo,  sul compromesso, sulla pattuizione, sull’arte di farsi ricat-  tare.   La manovra parlamentare domina ancora tutto il con-  gegno di governo. E’ pacifico che non si governa coi  parlamenti, poiché essi sono l’antigoverno per  eccellenza: ma è altrettanto pacifico che questo popolo italiano    119    rabbiosamente ingovernabile non vuol rinunciare al suo  bravo Parlamento, fonte di ogni male, serbatoio di ogni  decadenza.    Contro questa massima cloaca nazionale (parlo, s’in-  tende, dell'Istituto, non degli uomini) il Fascismo è an-  dato a impantanarsi pazzescamente. Il Fascismo ha com-  messo questo gravissimo errote iniziale: di non saltare  a pié pari il Parlamento. Viceversa vi si è sentito attratto,  ha voluto saggiarne le delizie, ha voluto conquistare que-  sta quota a colpi di scheda — mortificando la sua anima  guerriera — quando avrebbe dovuto farla saltare a colpi  di bomba. E certi errori sono troppo gravi perché non  si debbano scontare.    Tuttavia, non si potrà negare a noi irriducibili anti-  parlamentari, a noi rimasti fuori dell'aula per volontà pre-  meditata, e quindi immuni da interessi e da schiavitù  elettorali, it diritto di tener fede ai principi per quali s'ini-  ziò la battaglia, e soprattutto alla nostra accesa spiritua-  lità di italiani #4ovi: nuovi nella mente, nel tempera-  mento, nell’educazione, nella passione. Anche se tutto  crollasse attorno a noi, e il nostro sogno trilustre, perse-  guita con appassionata tensione di nervi e di cervello, do-  vesse ridursi in polvere di macerie, noi non rinunzierem-  mo ad essere quelli che fummo e che siamo: cittadini di  una Patria più grande, più eroica, più possente, più do-  minatrice.   Mai non rinunceremo — lo sappiano bene i nostri  nemici — alla nostra sete d’impero, alla nostra fiamma  di grandezza, che odia la vita democratica, l’egualitarismo  ipocrita, il pietismo umanitario, l’eunuco calamento di bra-  che. A noi conviene la formula maschia di Silla, che  per disciplinare la repubblica in dissoluzione e prepararla  all'impero, chiedeva tutti i poteri, il controllo sui tribu-  nali civili e militari, la giurisdizione eccezionale, la legi-  siazione di gabinetto da sovrapporre a tutte le leggi ante-  riori, il diritto di battere moneta, di convocare il popolo,  di sospendere e punire i funzionari dello Stato, e infine,  di mettere fuori della legge i cattivi cittadini. A noi piace  infinitamente Ja salutare ferocia di questo Dittatore-mo    120    dello, che, mentre il Senato discute se conferirgli o no  la potestà dittatoria, fa giungere nell'aula il fiero ululato  dei seimila prigionieri di Porta Collina, sgozzati al suo  segnale, e che incide sulla tabella i nomi dei Senatori  vetanti contro di lui, per ricordarsene a tempo e luogo.   Il Fascismo è venuto al potere più attraverso la spa  da di Silla che l’oratoria di Cicerone. Perché dimenti-  carsene? II Fascismo non ha nulla da sperare da una  sua politica di debolezza conciliatrice. I suoi nemici lo  vogliono polverizzato e disperso, e tale lo avranno se si  continuerà a ceder loro in ogni occasione. Dal 10 giugno  in poi, si può dire che l’Italia è stata governata dall'om-  bra dell’Aventino. Tutto questo è contro natura, contro  storia, contro giustizia. Non sono le ombre che possano  aver diritto al comando, bensì le energie luminose. Quan-  do ci scrolleremo di dosso tutte le ombre importune che  ci soffocano come ali di corvacci e di vampiri?    Mario CARLI  [da: Fascismo intransigente, Bemporad, Firenze 1926, pag. 253-256]   Con la Mostra della Rivoluzione si risolve finalmente,  e in modo favorevole, il grave problema della militariz-  zazione della fantasia creatrice mediante temi fissi da im-  porre agli artisti.   Molti fra i pittori, scultori e architetti, invitati a rea-  lizzare questa Mostra grandiosa, furono indubbiamente  turbati dal prestigio di queste gloriose parole che domi-  nano ormai nella nuova storia d’Italia: interventismo, Vit-  torio Veneto, Mussolini, e Popolo d'Italia, Diciannove,  battaglia di via Mercanti e incendio dell’Avanti!, covo di  via Paolo da Cannobio, Casa Rossa, Lodi, Palazzo Accur-  sio, Marcia su Roma. Legati tradizionalmente ai noti motivi idilliaci cittadi-  nì o rurali, tramonti melanconici e ritratti statici, que-  sti artisti sentirono subito la necessità di capovolgere il  loro spirito per disegnare nell'aria un tuffo perfetto nel  mare della novità.   Da tempo il Futurismo italiano, con il suo seguito di  avanguardie estere più o meno originali, gridava per in-  segnare l'invenzione a ogni costo. Quattro mesi fa il Du-  ce, con la sua bella parola imperiosa e veloce, ordinò che  si evitasse il passatismo della palandrana di Giolitti.   Suggestionati poi dal dinamismo aggressivo colorato e  tragico della Rivoluzione, essi abbandonarono la loro sta-  ticità e la classicità placida. Gli architetti incaricati di dare  una faccia nuova al vecchio e brutto Palazzo dell’Esposi-  zione, sentirono l’assurdità di qualsiasi decorativismo sim-  bolico, floreale, mitologico o grazioso.   Le loro prime linee gettate sulla carta, rizzandosi ascen-  sionalmente, presero lo slancio aggressivo, guerriero e mi-  naccioso di altissime torri di acciaio o ciminiere naviganti.   A me ricordano simpaticamente i geniali fasci di ascen-  sori dell'architettura di Antonio Sant'Elia, il grande e com-  pianto padre futurista dell’architettura moderna.    Logicamente andò determinandosi lo stile della Mostra  per virtù della Rivoluzione e del suo ritmo mobile ag-  gressivo. Si ricorda l’intero profilo d’uno squadrista. Un  dettaglio basta. Di quell’autocarro schiacciato dal peso  dei fascisti come un tino stracarico di giganteschi grappo-  li neri io ricordo soltanto il mosto rosso a terra e l’acu-  tissimo odore di benzina. Quindi sintesi, dinamismo e in-  tersecazioni di piani. Visibilità aggressività giocondità.  Questa Mostra della Rivoluzione, che tutti gli squadristi  augurano non effimera ma duratura, stabilisce la gloria  del Fascismo con uno stile rivoluzionario italiano che ha  avuto pet primi maestri Sant'Elia e Boccioni. E’, secondo  le parole di Edmondo Rossoni dettemi questa mattina, il  trionfo dell’arte futurista.   F.T MARINETTI  [du: Fuiuriszo, Nel fervore della polemica pro e contro il Futurismo  molti si chiedono: come la pensa il Duce? A questo in  terrogativo i nostri avversari rispondono arbitrariamente  come saremmo ugualmente arbitrari noi volendo asserire  l'opposto di ciò che loro affermano. Per la verità il Duce  non può essere dall’una o dall’altra parte (passatismo ©  futurismo) ma nella sua specifica qualità di Capo della  Nazione non può essere passatista e futurista nello stesso  tempo. Che Egli prediliga come certuni pretendono cor-  renti intermedie lo esclude il suo temperamento nemico  di tutti gli oscillamenti e di ogni mezzo termine. Prefe-  risce le posizioni diritte anche le più azzardate e non è  detto quindi che si compiaccia trattenersi ad ammirare le  varie denominazioni che si dànno alla strada nel corso  di così lungo e complicato cammino com'è quello dell'arte.  Egli tende alla meta: L’arte fine a se stessa. Passatismo  e Futurismo: due colossi che se non esistessero Musso-  lini li avrebbe creati apposta non fosse altro, per }a gioia  patriottica di vedere scaturire dal cozzo di queste mentalità  opposte, nuove faville di luminosa genialità italiana. I  piccoli mondi che rotolano ai margini di questa battaglia  sono frammenti o scorie staccatesi, nell’urto, dal corpo  dei titani: hanno una vita effimera e quelli che precipitan-  do come valanghe trascinano nella loro scia deboli detriti  superficiali, se sopravvivono, sono sempre alimentati dal-  l'atmosfera incandescente generosa che emana il corpo che  li ha creati. Passatismo e Futurismo rimangono inamo-  vibili l'uno di fronte all'altro: impossibile conciliare il  concetto conservatore tradizionale del primo col principio  rivoluzionario rinnovatore del secondo. Chi sia il più forte  non è facile stabilite: dipende da determinate condizioni  intellettuali e spirituali di tempo. Oggi però — in que-  sto secolo fascista — più che le biblioteche e i musei si  moltiplicano scuole avanguardiste, impressioniste, raziona-  liste, novecentisie, moderniste in genere, tutte volenti o  nolenti generate dal futurismo. Volenti o nolenti: non ha    123    valore il fatto che molti sconfessano la loto origine. E'  fatale; anzi vorremmo dire storico. Probabilmente tra cin-  quant’anni il mondo fascistizzato considererà Mussolini un  utopista e ogni nazione vanterà il merito di avere instau-  rato per prima il nuovo regime politico. Di queste infa-  mie la storia è... maestra; solo dopo qualche secolo si  rende giustizia alla verità. Tornando al nostro argomento,  è fuori dubbio che Mussolini, valotizzatore delle gloriose  conquiste del passato, sprona i capaci a superarle sul tra-  guardo del più fulgido domani. Quindi il futurismo rap-  presenta infatti quell’eroica generosa pattuglia d’assalto  che trascina l’esercito degli artisti alla conquista del nuo-  vo. Questo fatto in sé eloquente e inconfondibile, unico  nella storia dell’arte, ha rapporti precisi in campo poli-  tico con la gloriosa epopea mussoliniana. L'inesauribile  ottimismo futurista si identifica così con il concetto gene-  roso originale ardito del fascismo vittorioso. Senza citare  fatti e particolari di cui sono ricchi i nostri ricordi per-  sonali, in tema « Mussolini e il futurismo » basterà ri-  cordare giacché l'occasione è opportuna queste tre date  significative: Boccioni vi  avrà detto che tutte le mie simpatie sono, anche nel  dominio dell’arte, per i novatori e i distruttori e per i  futuristi... » Mussolini. 1924: «... presente adunata futu-  rista che sintetizza vent'anni di grandi battaglie artistiche  politiche spesso consacrate col sangue. Congresso deve  essere punto di partenza non punto d'artivo... » Mussolini. ...Dopo di avere concesso il suo alto patronato per le onoranze nazionali al futurista  Boccioni, Mussolini offre il PRIMO generoso contributo ma-  teriale per il trionfo della grande rassegna dell’arte futu-  rista italiana.   A questo punto, dopo quanto abbiamo detto, ulteriori  considerazioni sono superflue come sarebbe superfluo ri-  cordare ancora una volta l'influenza patriottica esercitata  dal futurismo sulla gioventù italiana prima durante e dopo  la guerra e il fattivo isolato contributo dei futuristi al  fascismo nel 1919 (...).   Mino SOMENZ2I  (da: Sant'Elia, n. 3, anno II, 1° febbraio 1934]  Allorché quindici anni or sono, nel palazzo di Piazza  San Sepolcro, Mussolini gettò le fondamenta di quello  edificio colossale che doveva essere il Fascismo, se nel  manipolo degli intervenuti individuò degli artisti, questi  erano soltanto ed esclusivamente artisti futuristi.   Appena creati i Fasci di combattimento, i primi gruppi  che cotseto ad ingrossare le schiere che cominciavano a  formarsi furono i gruppi politici futuristi, prima, e gli  arditi di guerra e i legionari fiumani, poi, sempre per me-  rito esclusivo dei futuristi.   Il nostro Movimento diede quindi al Fascismo un  apporto qualitativo e un apporto quantitativo: inoltre die-  de alla creazione mussoliniana un conttibuto gigantesco  di fede cieca, di entusiasmo eroico.    Vogliamo indagare il perché di questa spontanea sim-  patia, di questo irresistibile trasporto del Futurismo verso  il Fascismo; il perché della meravigliosa, totalitaria cor-  rispondenza fra una cemcezione eminentemente politica ed  una concezione eminentemente artistica?    Prima di tutto, troviamo che il Fascismo e il Futu-  rismo hanno alla loro origine dei germi comuni: l’amore  disperato alla propria terra, la necessità di moto e di  azione. Dell’intervento nella grande guerra uno fece il  punto di partenza per la sognata rivalorizzazione della  patria; l’altro, lo sbocco conclusivo di quei fatti e di quel-  le idee che possono riassumersi nei tre principii futuristi:  « Tutti 1 diritti, meno quello di esser vigliacchi ». « La  parola Italia deve prevalere sulla parola libertà ». « La  puerta, sola igiene del mondo »,   Dalle piazze affollate d'Italia si passò alle trincee in-  sanguinate d'Italia: interventisti intervenuti: identico en-  tusiasmo: identici sacrifici: identica volontà di far ger-  mogliare il bene della Patria dal martirio e dalla morte  dei suoi figli.   E questa è già molto per dimostrare la straordinaria    125    affinità sentimentale, di origine e di scopi esistente tra  Fascismo e Futurismo.   Ma v'è di più. Infatti, passando dal campo delle con-  cezioni teoretiche a quello delle espressioni pratiche, noi  vediamo il Fascismo disdegnoso di adagiarsi nei ricordi  del passato, ansioso di sciogliersi dai vincoli del presente,  protesa con gli spuardi e con tutte le energie alla conqui-  sta del domani. Avanti, avanti sempre, incita il Duce;  raggiunta una mèta, mille altre se ne profilano: occorre  raggiungere anche queste: ogni sosta è un tradimento:  ogni indugio è un delitto.   Non sona questi i principii stessi cui s’informa il  Futurismo?   E il Futurismo è tutto azione e vita: nelle sue schie-  re accoglie la più bella e sana gioventù d'Italia: gioven-  tù d'anni, ma anche di spiriti.   I suoi artisti creano con la stessa generosità, con lo  stesso dispregio di ogni premio e di ogni riconoscimento,  con i quali ! nostri soldati scattavano all’assalto: loro uni-  co orgoglio, lora unica aspirazione è di poter contribuire  a che il nome d’Italia sempre più alto e sonoro e sempre  niù in estensione squilli nel mondo.   E non è Fascismo, questa?   Ma non è soltanto ciò quello che ci spiega come, fatto  mai verificatosi nella storia dell'umanità, una concezione  esclusivamente morale ed artistica abbia potuto così bene  assorbire ed assorbirsi in una concezione esclusivamente  politica e sociale   Il fatto straordinario che oggi non può non riempirci  di legittima se pur meravigliata soddisfazione, è questo:  un colosso della politica che pensa, agisce, crea, con la  ispirazione e la chiaroveggenza luminosa di un poeta: un  poeta che vive la sua arte come una battaglia politica per  la gloria della Patria sua. Né le due espressioni, fino ad  oggi antitetiche, politica e arte, s'urtano o si contrastano:  anzi si può ben dire che esse hanno così informato di sé  medesime le due personalità che concepirle in diversi at-  teggiamenti spirituali ci sarebbe impossibile.    Come spiegare questo fatto così nuovo e così fuori    126    del comune, se non riferendoci ad una forza incoerci-  bile, misteriosa, ma che tuttavia sussiste, a quella for-  za cioè che crea in alcuni privilegiati quegli speciali stati  d'animo per cui il Genio, attraverso l'adamantina lumi-  nosità di un pensiero superiore, giganteggia e s’infutura?   E’ indubbiamente questa forza contro la quale noi  nulla possiamo che fa di Mussolini un futurista della  stessa tempra di Marinetti e di Marinetti un fascista, de-  gno seguace di Mussolini.   E' sempre questa forza che avvicinando i due crea-  tori, avvicina conseguentemente le loro due creature: è  perciò che come non potrebbe comprendersi un futurismo  non fascista così non si potrebbe concepire un fascismo  conservatore e passatista.   E’ perciò ancora che i futuristi e i fascisti, se veri  ambedue, s’intende, non possono distinguersi: l’italiano  nuovo è un miscuglio — nel valore che la chimica dì  a questa parola — di fascismo e di futurismo: essi costi-  tuiscono i due elementi inscindibili e insostituibili di un  tutto organico.   Chi ha detto ai nostri giovani di chiamarsi /uturfasci-  sti? Nessuno: eppure essi, generalmente, così amano de-  finirsi. Inconscio, spontaneo riconoscimento di una gran-  de verità che non può discutersi e non si distrugge.   Come altrettanto vero è che i fascisti autentici sono  ottimi futuristi. e non potrebbe essere diversamente data  l'essenza dinamica, generosa, novatrice, ottimista nella  quale il Duce vuole plasmati i nuovi italiani.   Ma come avviene, allora, che anche tra i fascisti sono  molti i contrati al Futurismo?   Perché molti sono i rimrorchiati che pur vestendo in  camicia nera e ostentando il distintivo, parlando (e pur-  troppo parlando solo) fascisticamente e mettendosi sem-  pre in prima fila nei cortei, han tuttavia conservato l’ani-  ma italiana di anteguerra, pavida, gretta, piccina.   Molti altri poi, pur sentendo nel loro intimo tutto  ciò che di bello e di buono ha il Futurismo, per un sen-  so invincibile di borghesisma, per timore di essere ridicolizzati e per desiderio di essere tenuti e rispettati quali  persone serie, dicono e non dicono, ammettono e smen-  tiscono, concedono e negano, opportunisti rammolliti, bor-  ghesi, vigliacchi.   Ma ciò che prima o poi capiterà a costoro, che noi  sentiamo di odiare profondamente, molta ma molto di  più dei nemici nostri aperti e leali, che almeno rispet-  tiamo, lo ha detto chiaramente il Duce nel suo recente  magnifico discorso all'Assemblea quinquennale. Per essi  non si tratta né di Fascismo né di Futurismo: si tratta di  vigliaccheria, e basta. Non han diritto neppure a chiamarsi  italiani.   Né escludiamo da questa ignominiosa schiera quei gio-  vani d'anni che han conservato intatta l’anima dei bisa-  voli: che gridano doversi l’arte rinnovare e si impuntano  come muli riottosi dinanzi al futurismo: che accettano e  sì prosternano ad ogni novità che ci proviene d'oltre  confine, anche se figlia di genitori futuristi italiani, e  fanno i disdegnosi, gl’incontentabili, i superuomini verso  il nostro movimento che gli stranieri stessi ammirano co-  me un’altra delle tante glorie italiane.    Anche questi così detti giovani non possono e non po-  tranno mai essere fascisti sul serio, giacché essi non  hanno del Fascismo né compreso né assimilato quelle ca-  ratteristiche di spiccato futurismo che sono il rinnovamen-  to, la velocità, il dinamismo, il continuo superarsi, la mat  cia ininterrotta verso la perenne conquista.    E lo stesso diciamo di quei critici che si fermano a  vivisezionare un'opera d’arte, isolandola dal vasto am-  biente donde essa ttae la sua ragione di vita; che fanno  l'anatomia di un nostro artista senza riflettere che esso è  soltanto un membro di un corpo gigantesco. Essi dimo-  strano di aver perduto o di non aver mai posseduto quella  somma virtù latina, fascista e futurista insieme, che è la  virtù della sintesi soffocata in loro dalla fredda pesantez-  za anglo-sassone dell’analisi. Ma costoro sono i compri-  matii, le comparse della nostra vita e abbiamo di già  concesso loro troppo onore di discussione.    Su tutto e su tutti restano le idee: nel campo politi    128    co-sociale, l'idea fascista; nel campo artistico-spirituale.  l’idea futurista.   Ambedue han detto al loro mondo una parola non an-  corta udita; ambedue hanno tracciato, ognuna nei propri  confini, la via nuova da seguire per giungere alla salvezza:  tanto l’una che l’altra si sono dimostrate possenti dina-  mo, generatrici di forza, di fiducia in noi stessi, dì ottimi-  smo. di passione, di entusiasmo.   L'una, nel campo politico, ha raccolto infiniti proseliti  ovunque, e ciò in relazione ai numerosi problemi d’indole  contingente di cui ha trovato o propone le soluzioni; l'al-  tra, nel campo più ristretto dell'arte, ha egualmente susci-  tato energie, ridestato gli addormentati, incitato i pigri,  rincuorato i pavidi, persuaso i dubbiosi.   Se qui dovesse attestarsi l’opera vitale sia dell'una  che dell'altra idea, già tutti i diritti esse avrebbero acqui-  stati per l'imperitura riconoscenza della civiltà.   Ma ambedue continuano nella loro marcia ascensio-  nale: e i critici che affermano essere il Futurismo supe-  rato ci fan lo stesso effetto di quei pochi e sparuti anti.  fascisti che affermano aver il Fascismo esaurito il suo  compito.   Idee come queste nostre non possono né sostare, né  esaurirsi, né esser superate: la loro essenza stessa di con-  tinua marcia, di continua ascesa, di continua conquista  non lo permette.   Un uomo, a idea, una opera potranno esser supe-  rati: ma non l'Uomo, non l’idea, non l’opera.   Ed ora che conclusione trarremo dalla dimostrata iden-  tica struttura spirituale del Fascismo e del Futurismo, dal-  la dimostrata perfetta corresponsione fra loro di scopi e  d’intenti?   La conclusione è la solita: ripetiamo ancora una volta  e confermiamo che il solo artista capace di riprodurre in  tutta la sua ampiezza, in tutta la sua luce e in tutta la  sua gloria la vita nuova dell’Italia di Mussolini è l'artista  futurista e che il Futurismo è la sola espressione d'arte  degna e capace di tramandare ai posteti la vitalità, la po-  tenza, la dinamicità dell’éra fascista. Questo diritto che noi accampiamo ci proviene da quel-  l'identità di spirito, di tendenze, di sensibilità che fa del  Fascismo e del Futurismo un unico, perfetto blocco e che  nessuna scuola, nessuna tendenza, nessun'altra forma di  arte può vantare   E noi teniama al riconoscimento di questo nostro di-  ritto: non perché ci spingano meschini interessi o poco  nobili ambizioni ma perché, forti di un infinito amore per  la patria nostra e di una dedizione cosciente e completa  di tutta la nostra spiritualità alla sovrumana potenza di  un'idea, al fascino gigantesco di un Genio universale, vo.  gliamo che non abbia soste il cammino trionfale che l’Ita-  lia rinnovata sta compiendo verso le sue più alte mète,  sotto il comando romano di Benito Mussolini.    FuTURISMO  [da Sant'Elia, n 64, anna III 4 aprile 1934]  La polemica accesasi negli Anni Trenta tra futuristi  rivoluzionari e futuristi sostanziali o di destra, è già  espressione di quel «secondo futurismo», che abbia  mo visto e detto essere momento collaterale del fa-  scismo-regime. O tentativo piuttosto di conservare la  avanguardia nell'ambito di un sistema che come tale  era più propenso ad un suo ordine intrinseco e im-  prescindibile da mantenere 0 da continuare. In questo  senso il futurismo «di destra», come lo definisce il  sansepolcrista Bruno Corra nel marzo del ‘32 su Fu-  turismo, vorrebbe un po’ essere quello degli « arri.  vati », di chi si asside sulle comode poltrone della  fine della carriera, pur cercando di mantenere uno  Spirito 4 precedente », giovanile e innovatore, che non  può essere venuto meno in chi ha giù combattuto e  si è esposto per una causa di rinnovamento. Gli fa  eco Corrado Gawvoni riprendendo il discorso e pun-  tualizzando il concetto stesso di futurismo, senza che  gli si debba o gli si voglia nulla rubare, come è staio  fatto da tutte le parti, e a riconoscergli invece la sua  portata e i suoi risultati.   Solo una settimana dopo ribatte Paolo Buzzi sul  numero del 26 marzo sempre di Futurismo con un  violento attacco ai «futuristi di destra » e il sostegno  4 un ritorno alle estrema sinistra », come già dice nel  titolo. L'’avanguardia, in quanto avanguardia e se vuol  rimanere avanguardia, non può che esercitare una  funzione di vottura per il rinnovamento ed il rivolgi-  meuto del vecchio e del passato. Come tale l'aver  guardia non può che essere e rimanere di « estrema  sinistra », sC il futurisito si ritiene ancora uvangaar  dia 0 vuole mantenersi e vivere. Resta però forse una  voce isolata quella del Buzzi, rincalzato ancora il 2  aprile, sul numero della settimana dopo, da Remo  Chiti che postula un futurismo sostanziale in cui tutto  si annulla, destra e sinistra, nel momento stesso in  cuni tt futurismo diviene ercativo e vu libera dvi con-  formismi e delle convenzioni.   Ancora «all'Avanguardia » dedicava un quinto ed  ultimo articolo Luciano Folgore, sempre su Futurismo  dello stesso anno (1933). Il futurismo di destra e  quello di sinistra st superano oramai nell'avanguardia  che ancora continua e sì muove nell'avanzata dell'en-  tusiasnio. E l'ottintismo continua in effetti fino al’ul-  timo, anche con la fine del fascismo, anche con la  morte di Marinetti, anche con la sconfitta nella guerra  « sola igiene del mondo », continua ancora nelle ulti  me gencrazioni e nel messaggio dell'ultimo manifesto,  quello del «futurismo-oggi », che vive e crea nel pre  sente.    NOI FUTURISTI DI DESTRA    Quando si riunirà in Roma il primo grande congresso  dei futuristi di tutto il mondo, io andrò a sedermi —  vicino a Buzzi, a Notari, a Folgore, a Govoni — ad un  banco dell’estrema destra. Ma esiste dunque, può esiste-  te un Futurismo di destra? I due termini non fanno a  pugni? Un movimento rivoluzionario può contenere in sé  tendenze conservative? E, infine, l’espressione « futuri-  sta di destra» non val quanto « futurista annacquato e  prudente » non s'identifica con l’ambigua parola « nove-  centista »?   Mi pare che qui si tratti, prima di tutto, di una que-  stione di moralità. Dare al Futurismo quel che al Futuri  smo appartiene: e non truccare il proprio ingegno con una  etichetta di convenienza. Chi si dichiara avanguardista ma  non futurista, sputa nel piatto dove ha mangiato. Poi, io  stabilirei questo principio: che il privilegio di poter restare  nella sfera magnetica del Futurismo pure affermando, nel-  la propria opera matura un remperamento realizzatore di  destra debba accordarsi soltanto a coloro che han dimo-  strato di saper essere « integralmente » futuristi. E recla-  merei il diritto di sedermi a destra, per mio conto, in no-  me della mia effettiva collaborazione al Futurismo più ri-  voluzionario: Teatro Sintetico; Cinema futurista; e due  opete di audacissima narrazione fututista (La donna ce  duta dal cieln — Sam Dunn è morto).   In realtà, fermo restando che l’essenza del Futurismo  è e non può non essere rivoluzionaria, bisogna dire che  nel nostro movimento i termini sinistra e destra non si  oppongono, perdono ciaè il loro significato convenzionale.  La mentalità futurista supera il contrasto fra il sovverti-  mento e la conservazione, in quanto si libera di continuo  in uno slancio creativa. Perciò un eventuale Congresso fu-  turista dovrebbe assumere una configurazione non oriz-  zontale ma verticale: fututisti di cima e futuristi di base,    133    aviazione e fanteria. E soltanto per ragioni di comodo, io  qui mi son servito della parola destra.   Ma diciamo pure i fanti, i pontieri, i costruttori di stra-  de del Futurismo, e avremo indicato il carattere e spiega-  to la necessità di questo settore nel nostro movimento:  l'aderenza al terreno pratico. Come l'architettura, come la  decorazione, l’arte narrativa adempie a una funzione in  gran parte pratica: da ciò l'obbligo per essa di equili-  brarsi tra il dovere del rinnovamento artistico e l’impe-  rativo degli scopi vitali ai quali la sua natura la destina.  Un romanzo illeggibile equivale a una casa senza finestre  per vederci o a una stazione dove i treni non possono cir-  colare. Ora il Futurismo vanta la proptia aderenza al tem-  po attuale anche nel senso della praticità. Le case futuriste  vogliono essere le più comode: la struttura delle città futu-  riste mira ad assicurare i massimi vantaggi alle moltitudi-  ni che devono abitarle. Allo stesso modo il narratore fu-  turista ambisce di garbare alle folle dei giovani, traendone  e in esse trasfondendo gli ideali tipici del nostro tempo,  per via di una tecnica intonata alla sensibilità moderna,  tutta nitidezza brevità sintetismo. Va da sé che il buon  narratore futurista dovrà ogni tanto lasciare la sua bisogna  terrestre, per collaudare ed eccitare nell’ebbrezza di un  volo lirico la propria tempra di novatore. Questa nota velo-  ce non intende di risolvere l'importante problema al qua-  le si riferisce: ma soltanto di proporre lo studio ai came-  rati futuristi.   Bruno CorRrA  Sansepolcrista  [da: Futurismo -- Con il suo articolo « Noi futuristi di destra » uscito  nell'ultimo numero di Futurismo, Bruno Corra ha oppor-  tunamente aperto una tempestiva discussione intorno al  movimento futurista che, secondo me, va allargata e approfondita da una serie di perentorie domande — argo-  menti che, investendone in pieno la vita e la vitalità, ri-  chiedono altrettante risposte urgenti e risolutive,   Quali sono le origini e le funzioni del movimento fu-  turista in Italia.   Quanti e quali sono i movimenti artistici e letterari  succedntisi in questi ultimi venti anni in Europa, che  accusano sinceramente una netta derivazione dal Futu-  rismo.   Individuazione dei movimenti artistici e letterari che  rappresentano una deviazione e una contraffazione del  Futurismo e dei movimenti che, o fingendo d’ignorarlo,  o ammettendolo furbescamente solo attraverso la propria  attenuazione, continuano a pompargli generoso sangue e  a servirsene di veicolo sull’allegro esempio della comoda  simbiosi di Bernardo l’Eremita.   Quali sono Je vere umane ragioni per cui elementi  di primissimo ordine si dispersero e si distaccarono dal  movimento futurista dopo averne fatto parte, o. dopo aver-  ne attraversata l’esperienza (cito alcuni nomi: Palazzeschi  e Carrà; Soffici e Papini).   In che cosa consista e came vada intesa il cosidetto  « contenuto polemico » che, seconda certa critica nostra-  na, costituirebbe il peso morto e il punto d'arresto del  Fututismo.   Quale fondamento abbia l'accusa spesso rivolta al Fu-  tutismo di essere un movimento difettoso e caduco per-  ché nato senza una dottrina estetica che lo giustifichi.   Espansione influenza e fortune del Futurismo in tut-  to il mondo e suo riconoscimento in Italia.   Sono tutte domande che hanno bisogno per una con-  veniente risposta, di lunghe e minuziose trattazioni.   Ed è più che naturale e logica la irresistibile tendenza  dei nostri connazionali a sbarazzarsene con una sola pa-  rola.   Questa parola la conosciamo troppo bene: Marinetti!   Ma conosciamo troppo bene anche il grossolano  trucco,    Si accarezza Marinetti (fino ad un certo punto, e il più nascostamente che sia possibile: è bene non compro-  mettersi troppo!), per negare poi il Futurismo e massacra-  re i futuristi.   Da troppo tempo si pratica ormai l'iniquo inganno  per non sperare che abbia finalmente a fruttare un ri-  sultato vittorioso e definitivo!   E’ il trucco indegno tentato dagli antifascisti contro  il fascismo quando si cercava di mettere in mora il fa-  scismo proclamando il Mussolinisma, nell’assurda cana-  gliesca mira di dividerli, per batterli poi con più comada  separatamente.   Mussolini anche a quei tempi era trappo Duce per  non avvertire la subdola insidia e sventarla.   Marinetti! Chi più di noi l’ha più fedelmente amato  ed ammirato?   Per conoscere quali prodigiosi tesori di amore e di  energia egli possieda, bisogna vederlo all'estero. Bisogna  sentire allora con che fuoco egli è capace di affrontare  i pubblici più paurosi per numero e distinzione, più ostili  ad ogni cosa che abbia la nostra impronta di quanto non  st creda, e per mentalità, per gelosia e furore d'inferiorità;  bisogna sentirlo dominare a poco a poco col suo impeto  irresistibile gli spiriti o avversi o diffidenti, e, mentre  fa giganteggiare nelle assemblee stipate l’ombra magnani-  ma del Duce, vederlo a trascinarle all’'entusiasmo e co-  stringerle a riconoscere la poesia italiana come una cosa  caduta dal cielo: bisogna, dico, vedere quest'Uomo straor-  dinario all’estero, per capire che instancabile affascinante  ambasciatore d'italianità nel mondo noi abbiamo in lui.   Se l’attività di Marinetti presenta una debolezza, que-  sto avviene proprio in casa nostra. E' una debolezza che  è forse il suo più alto titolo di gloria. E ritorneremo sul-  l'argomento.   Ma approfitrarsene come troppi fanno, è un mostruo-  so delitto.   Che cosa volete allora?, ci domanderà qualche impru-  dente con un sorriso allusivo.   No, no, non invidiamo il puzzo di benzina, state tran-  quilli: a questo volevate alludere. Ma troppe volte ricevia-    136    mo in faccia la cenciata dell'insolente puzzo di benzina  per non sentirci offesi e disgustati nella nostra rassegnata  povertà.   La ragione del nostro malcontento è che da troppo  tempo noi andiamo seminando e falciando per quelli che  ci seguono e allegramente raccolgono senza nemmeno ri-  volgerci un pensiero di ringraziamento.   Amici cari, se ci fermassimo un po’, se ci voltassimo  un pochino indietro anche noi? Se pensassimo anche noi  di raccogliere un pugno di quelle spighe, da portarcele a  casa se non altro per ricordo e testimonianza della lunga  fatica compiuta?   Ma se lasciamo ancora correre un poco, ho paura che  ci negheranno anche questo piccolo premio di consolazio-  ne; e se ci destineranno un posto {bontà loro!), questo  non sarà che per il museo, tra le mummie di coloro che  st prodigarono e sactificarono per una fede e un ideale  e che Alfredo Panzini già propose di raggruppate in una  sola classifica con la denominazione di collezione di fessi...    CorRrADO GovonI  [da: Futwrismo,  ESTREMA SINISTRA    E non vorrei altro aggiungere. Le distinzioni, «i pun-  ti fermi», Îe categorie anagrafiche non contano. Si sa  che, per taluni, l'età del « destino » futurista è passata da  un pezzo. Pure, quando la febbre della creazione non è  discesa e, soprattutto, quando il traguardo tremendamente  astrale della proptia Opera non è raggiunto, ci si sente,  ogni mattina, l'età — magari — di Vittoria, di Ala e di  Luce Marinetti...! Questo, e non altro, è il vero futurismo.  Perché dovrei sedermi a destra, proprio io? Mi sembre-  rebbe di tradire la causa di « Aeroplani », di « Ellisse €  la Spirale », di « Cavalcata delle vertigini », di « Popolo  canta così! » di « Dannazioni » e di tutto il mio Teatro  inedito, ma ultra violetto, che ha forse, a suo tempo, spa-  ventato anche i genii scenici sovversivi di Petrolini e di  Bragaglia.   Soprattutto, mi sembrerebbe di tradite le mie Opere  fantasticamente audaci di domani: « Beatitudini »  (affret-  tati mio caro Campitelli: perché l'aeroplano-razzo deve  partire per le stelle!). « Canto quotidiano », dove vedrete  il Poema attimistico del 1932 (la « Prora », lo sta stam-  pando); e «Nostra Signora degli Abissi »: dove, fina]  mente, la Motte sarà vinta e le onde cosmiche impaste-  ranno da pari loro la nuova genesi delle radiazioni inter-  planetari.    Questo è futurismo: e di ultra estrema sinistra.    Le mie anatomie sintetiche di anime e di sensi, le mie  aeropitture di tipi e di paesaggi, i miei cosmapolitismi spa-  ziali e i miei intimismi vorticosi stanno per una intransi-  genza etico estetica che costituisce, ormai, la gioia (ed, un  pochino, anche la gloria) della mia lunga carriera di uomo  che ha sempre fatto dell'Arte come il sacerdote celebra  messa. Aviatore sempre, adunque: fante e stradino, non  mai. Lo so che i miei romanzi (appunto perché sempre ed  esclusivamente poemi) non hanno trovato che editori san-  ti, martiri ed eroi. Ma anche questo è un segno nobile del-  le cose e degli uomini e degli eventi. In quanto alle mie  opere di Poesia pura, ho avuto la soddisfazione recente di  trovarmele analizzate e comprese e discusse ed evidente-  mente — quindi — amate da una Rivista di giovanissime  menti e di ardentissimi cuori: dico, la « Penna dei Ragaz-  zi » diretta da Vittorio Mussolini, edita in Roma.   I giovani, quelli veramente degni di questo nome pri-  maverile, sanno che, al di fuori e al di sopra d’ogni inevi-  tabile chiasso letterario, la parola « futurismo » risponde  alla solo unica vera «idea forza» che oggi esista nella  sfera ideale del Mondo: e che è in grazia di essa, unica-  mente di essa, se oggi la Poesia della miracolosa Italia  fascista vive e vivrà.   Naturalmente io dico ai giovani, anche e specie se    138    coronati dal casco d'alluminio in pieno cielo: « lavorate »  non accontentatevi di quattro parole intonate all’onoma-  topea del motore: la Poesia italiana ha ben altri diritti ed  impone ben altri doveri! guardate dalle finestre di Palazzo  Venezia, la Via dell'Impero! e cantate i nuovi « Carmi de-  gli Augusti e dei Consolari », se ne siete capaci! Il Duce  vi premierà.  PaoLo BUZZI  [da: Futurismo,  FUTURISMO SOSTANZIALE    « Non c’è che un futurismo: quello di estrema si-  nistra », ha affermato Paolo Buzzi. Ma questa generosa  intransigenza che parrebbe volere ammettere un unico  modo di manifestarsi — contro la premessa di Bruno Cor-  ra circa il riconoscimento o meno d'un futurismo di destra  « aderente al terreno pratico » — rimane una questione  poetica e individuale di fronte agli argomenti che le ter-  ranno dappresso:    1) Il futurismo non è formalista; non si crea né  si lascia creare barriere dalle definizioni; pago della pro-  pria influenza, lontano da ripulse d’ortodossia vendicati-  va, riconosce per suo anche quello che è tale sull’altro  name.   Del resto Corra aveva scritto: « fermo restando che  l’essenza del futurismo è e non può non essere rivolu-  zionaria, bisogna dire che nel nostro Movimento i termi-  ni sinistra e destra non sì oppongono, perdono cioè il loro  significato convenzionale. La mentalità futurista supera  il contrasto fra il sovvertimento e la conservazione, in  quanto si libera di continuo in uno slancio creativo ». Le centinaia di migliaia di aderenti al Movimen-  to non si compongono di un solo tipo di futurista. La convinzione può essere unica; ma l'ispirazione e i tem-  peramenti saranno naturalmente diversi. Così uno stesso  tema, di sentimento futurista, verrà espresso in stili di-  versi.   Si dovrebbe scartare i meno intensi? Fino a quel pun-  to? E come negarne la sostanza futurista?    3) La varietà di tipi, che documenta l’importanza  sociale del fenomeno futurista, è assoluta; e va dai poeti  ai militari, dai pittori agli industriali, ecc.   Bisogna presupporne quindi una gradazione di realiz.  zatori; gradazione intimamente connessa alle diverse si.  tuazioni ambientali o tecniche in cui i tipi si trovano. Non  si tratta qui di temperamento o di mentalità più o meno  ardenti. Si tratta di concezione e di azione che devono  spesso basarsi sul comune « campo pratico » dove s'in-  contrano il numero o la psicologia, cioè i mezzi materiali  negli scambi del pensiero e del lavoro (p. e, i giornalisti,  gl'ingegneri).   Io penso che Marinetti, quando parla nei convegni e  alle inaugurazioni, faccia — con istintiva attenuazione del-  la sua anima inquieta — del futurismo di destra. Perché  allora è sul terreno « pratico ».   E buon testimone potrebbe esserci Mino Somenzi stes-  so, uomo ardito, pittore d'incendi, cervello intransigente,  che pure fu l'organizzatore, modesto e alacre del I. Con-  gresso futurista a Milano, 1924, riuscendo con l'intelli-  gente accoglienza a dare alla manifestazione una luce  di concordia, rara nelle ancor più rare grandi adunate di  artisti e di caratteri spiccatissimi; Somenzi stesso che fon-  dò questo giornale indispensabile alle rivendicazioni di con-  quiste artistiche e ideali misconosciute ed alla continua-  zione della tenace opera di ringiovanimento, ed accolse  dopo, con larghezza d'intenti, l'ingegno d'ogni età e d'ogni  fama purché attratto da poli positivi.   Dunque, se si dovesse affermare l'essenza d’un solo  futurismo bisognerebbe dire: « futurismo sostanziale », che  è poi quello del 1909, di oggi e dell'avvenire: umano, illi-  mitato, ascendente.   Le idee vitali sono al disopra degli stessi uomini che le divinano e le dettano. Esse formano il « tempo », mi.  racolosamente, quasi contro tutte le volontà.    Corrado Govoni, a seguito della discussione aperta da  Bruno Corra, proponeva di riesaminare la posizione del  tuturismo fra le correnti nostrane ed estere. Dei sette que-  siti presentati, una richiamava l’attenzione su l'accusa mos-  sa dal culturalismo circa una pretesa assenza di dottrina  giustificante l'estetica futurista.    Anche il Fascismo fu accusato di assenza di dottrina: -  e non dai soli avversari.    Quale dottrina, quando la critica ufficiale vede attra-  verso la cultura, divenuta una seconda natura?    Remo CHITI  (da: Faturismo, n. 30, anno II, 2 aprile 1933] Mi ricordo che Umberto Boccioni propendeva per un  movimento chiuso e voleva che i giovani artisti, i quali  si dichiatavano futuristi e aspitavano ad entrare nel nostro  gruppo, subissero un lungo periodo di quarantena.   Secondo Boccioni non bastava proclamarsi novatore  per esserlo, in realtà; non era sufficiente una adesione più  o meno entusiastica per avere ingresso libero in un mo-  vimento che si proponeva di attuare nell'arte e nella vita  un nuovo ordine di cose.    Dal suo punto di vista, puramente artistico, il crea-  tore del « dinamismo plastico » non aveva torto. Il dono  della originalità non è largito che a pochi. Per superare  il già fatto, mettersi in armonia coi propri tempi e pre-  vedere i lineamenti estetici del futuro occorre un’intelli-  genza ardita, geniale e di largo respiro.    Ma contro l’esclusivismo boccioniano insorgeva la vi    141    brante liberalità di Marinetti, che più futurista di ogni  altro intuiva la necessità di creare un clima, di generaliz-  zare una tendenza, di suscitare una vasta atmosfera spiri-  tuale in cui si dovessero respirare continuamente il senso  e il desiderio della novità.   Ecco la ragione profonda del suo proselitismo, della  sua accettazione, quasi incondizionata nel movimento, di  tutti quei giovani e giovanissimi che avessero fede nel  futurismo.   Tale generosità non fu e non sarà mai faciloneria.   Nel fervore del diciottenne c'è sempre qualcosa di vivo  e di sacro che è impossibile trascurare. Ognuno di noi  sa per esperienza che è la primavera, anche con le sue  intemperanze, la stagione che prepara i germi e i frutti di  domani. E non bisogna aver paura che gli entusiasmi sbol-  liscano presto. Basta che la fiaccola timanga accesa e che  trascorra di mano in mano agitata e sollevata continua-  mente da qualcuno che ha fiducia nell’eterna giovinezza  della nostra arte e della nostra vita.   Futurismo di destra? Futurismo di sinistra? Non cre-  do che sia il caso di parlarne. In quanto alle benemerenze  e al sacrifici, talvolta eroici, dei primi banditori del futu-  tismo essi appartengono ormai alla storia.   L'amico Govoni vorrebbe che i futuristi della vigilia  fossero promossi al grado di santoni e avessero quel tribu-  to di applausi e di ricompense che essi giustamente meri-  tano. Ma ciò equivarrebbe a una giubilazione e noi ri-  schieremmo di diventare dei sopravvissuti.   Il piedistallo e l’altare non sono il nostro posto di  combattimento.   In prima linea sempre e all'avanguardia ad ogni co-  sto! Anche a costo di essere eternamente in contrasto con  il gusto del pubblico che è per sua natura ritardatario e  accetta soltanto il futurismo di seconda mano, addomesti-  cato dagli abili profittatori del nostro movimento.   Questo disprezzo del rendiconto e del caso personale,  questa ferma volontà di essere più giovani dei giovani è  un segno di vitalità e quindi di ottimismo. Di quell’otti-  mismo che molti pseudo-avanguardisti aborrono perché so-    142    no nati con la barba nel cervello, non hanno avuto mai  vent'anni e non arrivano a comprendere che soltanto nel-  l'entusiasmo assoluto e nella fede cosciente ma senza mez-  zi termini c'è il lievito di ogni grandezza futura e d’ogni  poesia nuova. Chi ha il torcicollo nostalgico non può guar-  dare dititto innanzi a sé e andare oltre speditamente.   Chi nega l'ottimismo nega lo slancio vitale che si per-  petua nel tempo e nello spazio perché ricco di speranze  istintive e fornito da madre natura del vero e genvino  senso dell'immortalità.   Avanti dunque coi giovani e giovanissimi. Il clima fu-  turista dev’essere sopratttuto un clima primaverile e  acerbo.   Luciano FOLGORE  [da: Futurismo, -- Abbiamo raccolto quattro testimonianze futuriste, è  sul futurismo. Una è di Alberto Sartoris, architetto,  una di Tullio Crali, pittore, una di Curto Belloli, eri-  tico d'arte, e una di Enzo Benedetto, pittore e giorna-  lista. Tre furono e sono futuristi: il quarto (Carlo Bel.  loli) è un esperto, studioso ed interprete del futurismo.  Ci sono sembrati interventi significativi e ittdispensa-  bili alla puntualizzazione dell'argomento, visto che si  tratta di personaggi viventi, che hanno partecipato al  futurismo e che ancora oggi lo sostengono e cercano  di dargli alito o di vivere futuristicamente a tutt'oggi  in un mondo, forse, ricaduto nel « passatismo ». Crali  con l'aeropittura e la sassintesi ha continuato l'avan-  guardia, cui aveva aderito col futurismo che sempre  l'aveva sostenuta, al di qua e al di là del fascismo.  Benedetto con un manifesto {Futurismo oggi) e poi    con un foglio periodico «operativo », capace di pro  porci il futurismo di ieri e anche quello di oggi. Sar  toris con un'ottività artistica professionale volta 4 con-  timuare, anche se in oltre direzioni n con altri strumen-  ti di vicerca, la prima avanguardia cui aveva aderito  entusiasta. Belloli puntualizza e sancisce criticamente  con la profondità dell’evperto certi. rapporti e certe  « colleganze », troppo spesso volutamente dimenticate 0  accantonate. La critica deve essere seria e intellettual.  mente, n «ideologicamente », corretta. E° quello che  abbiamo cercato di fare. Anche con la pubblicazione  di questo testimonianze    Carlo Belloli, critico, poeza « visuale » di sperimen  tazione futurista, e docente nelle università svizzere di  estetica {Basilca) e storia della critica d'arte (Strasbur-  go) Nato nel 1922, vive a Milano e Basilea. E' colla  boratore de La Martinella di Milano, già del Roma di  Napoli, e della rivista Les Arts di Parigi Organizza  come consulente le mostre di numerose gallerie d'arte    di Milano.    Enzo Benedetto, pittore e scrittore, futurista « da  sempre » (1923). E' nato a Reggio Calabria nel 1905,  vive a Roma, dove ha lo studio e pubblica Futurismo  aggi, che esce dal ‘69, bimestralmente, con saggi e ri  produzioni di opere futuriste. Fu anche autore del  l'omonimo manifesto nel dopoguerra (1967).    ‘Tullio Crali, pittore futurista e aeropittore. E' nato  nel 1910 a Igalo, in Dalmazia. Vive a Milano dove ha  lo studio e il più importante archivio del futurismo  attualmente esistente. Futurista dal '29 e creatore della  camicia anticravatta e della giacca antibavero (nel '33),  é firmatario nel ‘58 del manifesto futurista sulla « Sas-  sintesi ». Sarà uno degli ultimi a vedere Marinetti nel  ‘4d, prima della morte, a Venezia e e concordare can  lui la continuità del futurismo dapo la guerra    Alberto Sartoris, architeito e professore dll'Univer  sità di Losanna. Futurista e amico di Terragm e di Le  Corbusier, E' nato a Torino nel 1901. Vive a Cossonay  Ville, vicino a Losanna, Aderì al futurismo nel 1920 e  nel ‘28 sarà con Prampolini e Fillia nel gruppo torinese.  Nel ’36 fonda il gruppo degli astrattisti a Como, dove  collabora con Terragni nel progetto della città operaia  di Rebbio. ('39-40). Sua opera fondamentale è il li  bro Gli elementi dell’architettura funzionale (1932),  pilastro teorico del razionalismo architettonico italiano  (introdotto da Le Corbusier)    FUTURISMO-FASCISMO:  OSMOSI DI DUE MOVIMENTI DELL'ITALIA  CONTEMPORANEA    Dal futurismo confluirono al fascismo, o viceversa, al-  cuni letterati e pittori, qualche pensatore, di singolare auto-  nomia espressiva.   E' il caso di Mario Carli, Emilio Settimelli ed Arman-  do Mazza letterati e giornalisti di non trascurabile inci-  denza che dalla originaria militanza futurista estrassero  dialettica, argomentazioni autonome e maturazione spiri-  tuale, per assumere nel giornalismo fascista più avanzato  ruoli protagonisti.   Mario Carli, ufficiale degli Arditi nella prima guerra  mondiale e poi legionario fiumano, fondò con F.T. Ma-  rinetti l'Associazione degli Arditi d’Italia e il periodico  Roma Futurista dalle cui colonne trovarono sistematica  divulgazione il teatro sintetico, le pratiche parolibere dei  poeti futuristi e le prime prove versoliberiste di Giuseppe  Bottai che ne fu redattore.   In quel 1919 anche il generale Luigi Capello si avvi-  cinerà ai futuristi per esporre alcune tavole parolibere di  accertata ingegnosità, alla « Grande Esposizione Naziona-  le Futurista » nella galleria centrale d'arte di Palazzo Co-  va a Milano, mostra successivamente presentata a Firenze  e a Genova.   Mario Carli con la raccolta di versi liberi e parole  in libertà Caproni, pubblicata a Milano nel 1925, precorse  l’aeropoesia futurista degli Anni Trenta.    Alla prosa poetica, Carli, aveva dedicato Le notti fil-  trate, singolare repertorio lirico pubblicato nel 1918 e ri-  stampato a Roma, nel 1923 per i tipi di Giorgio Berlutti  che dirigerà quella Libreria del Littorio, editrice di mo:  numenti e documenti dell'era fascista. Il suo debutto di  prosatore era avvenuto nel 1909 con un seguito di novel-  le, Seduzioni, cui seguirà, nel 1915, il suo primo romanzo, Retroscena. All’attività letteraria e giornalistica Mario  Carli alternerà quella politica e diplomatica.    Nel 1926 pubblicherà a Firenze Fascismo Intransigente,  con prefazione di Roberto Farinacci, che inaugurerà la ten-  denza più oltranzista del fascismo.   Nel 1925 Carli era stato nominato Console d’Italia  in Brasile, per essere in seguito trasferito a Porto Alegre  nel 1927, anno in cui Bernardo Attolico assumerà la reg-  genza dell'Ambasciata d’Italia a Rio de Janeiro.   La tournée brasiliana del fondatore del futurismo a  Rio de Janeiro, Porto Alegre, San Paolo e Santos, nel  maggio del 1926, troverà Mario Carli a fianco di Mari-  netti per arginare le polemiche causate in Brasile dalla  aperta posizione fascista dell’inventore delle parole in li  bertà.   Dalla ribalta dei teatri brasiliani Carli prenderà la  parola con Marinetti ricordando che il fascismo dei-futu-  risti non aveva impedito di condurre ricerche nuove nelle  arti e nell'estetica alle quali la poetica futurista aveva  aperto liberi orizzonti precisamente influenzando il « mo-  dernismo » sudamericano.   Emilio Settimelli, poeta, scrittore di teatro e giorna-  lista, aveva debuttato nel gruppo futurista toscano nel  1915 e con F.T. Marinetti e Bruno Corra aveva curato  la prima antologia del Teatro Sintetico Futurista, edita da  Umberto Notati, a Milano in quel medesimo anno, nella  collezione dei « Breviari Intellettuali » del suo Istituto  Editoriale Italiano.   Nel 1917 Settimelli pubblicherà a Firenze Maschera-  te e, nel 1918, I capricci della Duchessa Pallore, edito a  Milano dalle Messaggerie Italiane. Settimelli risulta pre-  cursote di un periodare scarno e telegrafico, serrato e dia-  lettico, inttoducendo la pratica di neologismi sociopolitici  che avranno fortuna nel linguaggio governativo e giorna-  listico italiano degli Anni Venti e Trenta. Il teatro sin-  tetico di Settimelli si differenzia da quello degli altri auto-  ri futuristi per lucida imprevedibilità di azioni-stati d’ani-  mo simultanei. Nel fascismo anche Settimelli appartenne  alla corrente più revisionista e le sue Sassate, pubblicate    148    a Roma-Firenze nel 1926 dalla Casa Editrice Italiana, col:  piranno più di un gerarca in posizione moderata e con-  formista.   Filippo Tommaso Marinetti redigerà nel 1921 con Emi-  lio Settimelli e Mario Carli il manifesto Che cos'è il Futu-  rismo | Nozioni elementari, dove vengono considerati « fu-  turisti nella politica » coloro che amano il progresso del-  l'Italia più di loro stessi, quelli che vorranno liberare  l'Italia dal papato, dalla monarchia, dal senato, dal parla-  mento, dal matrimonio, precorrendo molti, successivi, pro-  positi del fascismo.   Così la volontà di perseguire un governo tecnico di  giovani, senza parlamento, « vivificato da un consiglio ec-  citatorio di giovanissimi », la determinazione di « espro-  priare gradualmente tutte le terre incolte e malcoltivate,  preparando la distribuzione della terra ai suoi lavoratori »  e l'abolizione di ogni forma di parassitisma burocratico,  industriale e capitalistico, diventeranno tipicamente na-  zionalfasciste e fasciorepubblicane.   Il manifesto considera, poi, « futurista nella vita » chi  « sa dare a tempo un cazzotto e uno schiaffo decisivo »,  chi « agisce con energia pronta e non esita per vigliacche-  ria », come chi « fra due decisioni da prendere preferisce  la più generosa e la più audace, sempre che sia legata al  maggiore perfezionamento e sviluppo dell'individuo e del-  la razza... »: medesima l'etica fascista di alcuni anni dopo.   Nel 1922 Emilio Settimelli aveva dedicato un saggio  critico all'opera di Marinetti, edito a Milano con | tipi  di Gaetano Facchi, che può essere considerato il primo ten-  tativo di analizzare la letteratura marinettiana al di sopra  del clamore scandalistico e della propaganda futurista.   Nel 1927 Settimelli pubblicherà a Roma, nelle Edizioni  d'Arte e di Critica, Come combatto che raccoglie i suoi  più polemici scritti apparsi sul quotidiano romano L’Irm-  pero, diretto con Mario Carli.   Verso la fine degli Anni Trenta, Settimelli, subirà al.  cuni anni di confino di polizia causati dalla sua intransi-  genza critica verso alcuni personaggi-chiave del regime.   Di Armando Mazza, che ci fu dato di personalmente    149    conoscere e frequentare, il futurismo si avvaleva per pre-  sentare le prime, contestate, serate propagandistiche nei  teatri della Penisola.   Eccellente declamatore di versi, tonante dicitore di  manifesti tecnici futuristi, Mazza possedeva un fisico atle-  tico di lottatore greco-romano. Marinetti affidava, quindi,  a Mazza la protezione della ribalta dagli attacchi passatisti,  mentre Îa sua voce tonante sovrastava i fischi e il vociare  degli oppositori.   Singolare poeta parolibero, Mazza, sarà il primo ad  organizzate un movimento anticomunista, fondando nel  1919 a Milano, il settimanale politico I wmemzici d'Italia,  organo antimarxista, nazionalista e prefascista. Nel 1918  Mazza aveva pubblicato dall'editore Gaetano Facchi di  Milano 10 Liriche d'Amore, seguito di altrettanti poemi  in versi liberi stampati come cartoline postali raccolte in  contenitore di carta crespata. Queste cartoline poetiche so-  no il primo esempio rilevabile e significativo di quella che  negli Anni Settanta verrà definita Ma:l Art, « Arte po-  stale », assegnando alla comunicazione poetica il canale  inabituale della spedizione a domicilio del messaggio este-  tico. Già nel 1917, Armando Mazza, aveva introdotto l’uso  delle « Cartoline Postali di Guerra », edite dallo Stabi-  limento Tipografico Taveggia di Milano, di cui Vedetta  (cm. 13,7 x 19) resta la più curiosa ed esteticamente de-  terminante. Ai poemi postali faranno seguito Due morti.  liriche pubblicate nel 1919.    Nel 1920 Mazza pubblica Firmamento / con una spie  gazione di F.T. Marinetti sulle Parole in Libertà, edito a  Milana dalle Edizioni Futuriste di Poesia. Si tratta di  una pregevole sequenza di parole in libertà dove la com-  ponente tipovisuale dialettizza le scelte semantiche, tal-  volta enfatiche ed irruenti con frequenti ricorsi ad ana-  logie non sempre depurate. Poi Mazza verrà totalmente  assorbito dal giornalismo e dall’attività politica    Sarà direttore di importanti periodici come La grande  Italia e di quotidiani: L'Arena di Verona, I! Giornale di  Genova, Il Resto del Carlino di Bologna.    Ricordiamo i grandi occhi azzurri di Armando Mazza    150    farsi ancora più liquidi e trasparenti quando ci parlava del  Manifesto dell’Antitradizione Futurista dalle righe del qua-  le Apollinaire gli inviava, nel 1913, fiori, « rose », riser-  vando « merde » ai conservatori e ai romantici. Mazza  aveva frequentato Guglielmo Apollinaire a Parigi e Grasa  Aranba a Rio de Janeiro, Benedetto Croce a Napoli, ai  tempi de La Diana e Giovanni Gentile a Milano, proprio  mentre il filosofo stava orientandosi verso il fascismo.  Amicissimo di Umberto Boccioni, che aveva aiutato nei  primi anni del soggiorno milanese, Mazza, era stato di-  pinto dal maestro futurista in un esemplare pastello di  rara fattura e di deflagrante cromaticità, che pubblicam-  mo nel 1977 fra le opere inedite di Boccioni.    Sarà Mazza a favorire l'attitudine di Boccioni per la  critica d'arte, presentandolo ad Umberto Notari, editore  del quotidiano, poi settimanale, Gli Avvenimenti dove il  pittore reggerà per qualche tempo la rubrica d'arte. Il  fascismo di Armando Mazza restò sempre moderato e la  sua coerenza politica gli causerà nel dopoguerra 1940-1945  il più completo ostracismo, impedendogli di continuare la  attività giornalistica di cui ebbe profonda nostalgia sino  agli ultimi giorni di vita.   Il forzoso silenzio pubblicistico ricondusse Mazza alla  poesia alla quale apporterà non trascurabili contributi in  versi liberi pubblicati, fra il 1948 e il 1959, presso editori  inadeguati. Fra i più importanti poeti del futurismo con-  fluiranno al fascismo, assumendovi incarichi di alta re-  sponsabilità, anche Auro d'Alba (Umberto Bottone) che,  a Roma, diventerà capo dell'ufficio stampa della M.V.S.N.  (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) e Paolo  Buzzi che, a Milano, assumerà la carica di Segretario Ge-  nerale della Deputazione Provinciale. Altri futuristi di  minore rilievo, come il poeta Federico Pinna-Berchet, au-  tore delle Liriche d’Assalto, pubblicate a Roma nel 1930,  il poeta parolibero giuliano Bruno Sambo e Ferruccio  Vecchi, prosatore e capitano degli Arditi, aderiranno al  fascismo svolgendovi ruoli anche decisivi. Sambo diventerà  federale di Addis Abeba, mentre Pinna-Berchet e Vecchi  ricopriranno alte cariche corporative. Così il genovese Bolzon, poeta-pittore futurista dal 1919 e battagliero  giornalista, sarà Sottosegretario alle Colonie nel 1928, poi  Consigliere di Stato e autore, fra il 1920 e il 1930, di  saggi di critica sociale e di teoria fascista pubblicati dalle  edizioni Alpes di Milano.   Anche il grande invalido di guerra Giuseppe Steiner,  piacentino, poeta parolibero e autore di quei fondamentali  Stati d'Animo disegnati, editi nel 1923, che precorsero la  « poesia grafica » di Pino Masnata e la « poesia visiva »  dei giovani fiorentini negli Anni Sessanta, sarà nominato  Consigliere Nazionale fascista. Dal futurismo si oriente-  ranno verso il fascismo anche il poeta-aviatore Guido Kel-  ler, legionario fiumano e autore del lancio aereo di un  pitale su Montecitorio a monito di Francesco Saverio Nitti,  il « cagoia » del « Natale di sangue » fiumano; e la Me-  daglia d'Oro ferrarese Olao Gaggioli, poeta parolibero fu-  turista e pluridecorato ufficiale del XXIII Battaglione di  Assalto dei Bersaglieri sul Podgora.    Nan va, infine, dimenticato il giornalista Ernesto Da-  quanno, poeta parolibero e cofondatore a Milano del pe-  riodico I Principe, organo fascista difensore della « Mo-  narchia integrale ». Daquanno, che nel 1925 aveva pub-  blicato Now c'è poesia, saggi sul risveglio dell’artigianato  italiano, diventerà nel 1927 capo ufficio stampa della  Federazione Fascista delle Comunità Artigiane.    Un riferimento, poi, al poeta parolibero e autore di  teatro sintetico Guglielmo Jannelli, messinese, che dai «Fa-  sci Futuristi », di cui era stato promotore nel 1918 con  Marinetti, passerà ai « Fasci di Combattimento Siciliani »  assumendovi compiti determinanti. Nel 1924 Jannelli pub-  blichetà a Messina, per i tipi delle Edizioni della Balza  Futurista un polemico saggio dedicato a La crisi del Fa-  scismo in Sicilia, dedicato in frontespizio « A Emilio Set-  timelli e Mario Carli, miei fratelli nella avanguardia arti-  stica e politica della nuova Italia e anime capaci di ren-  dere pienamente la sincerità che mi ha mosso a compiere  queste franche pagine obbiettive ».    Questo scritto di Jannelli conferma l’esistenza di una  autocritica nell’ambito del fascismo, di una volontà revt-   con 1acusaro adagio. «.., oDbDedienza pronta, cieca, aSS0-  luta... ». Così Jannelli vede il fascismo nel 1924: «... il  fascismo si è rotto in due pezzi: molta della parte più  buona è rimasta bloccata, impedita di agire; e l’altra par-  te trionfa esteriormente unita ma intimamente diversa, po-  co moderna, niente affatto veloce e qualche volta insi-    gnificante... ».    Anche Corrado Pavolini, poeta, autore teatrale, regi-  sta, critico d’arte e letterario, che si era avvicinato al mo-  vimento di Marinetti attraverso l’opera del pittore futuri-  sta fiorentino Primo Conti e aveva dedicato nel 1924 un  saggio monografico al fondatore del futurismo pet, infine,  pubblicare nel 1927, a Bologna per i tipi dello Zanichelli,  quel fondamentale Cubismo Futurismo Impressionisnio, ade-  rirà al fascismo assumendo importanti incarichi nel diret.  torio del partito e al Ministero della Cultura Popolare.  Dal fascismo perverrà, invece, al futurismo il filosofo Fran-  cesco Orestano, Accademico d’Italia, che negli Anni Tren-  ta dedica al movimento di Marinetti saggi di teoria este-  tica e di critica letteraria. Orestano aveva pubblicato nel  1907 quegli importanti Valori Umani la cui struttura teo-  retica aveva particolarmente influenzato il giovane Ma-  rinetti.”   Anche Paolo Orano, scrittore, storico della filosofia  e sindacalista sorelliano, che fu Deputato fascista per la  Sardegna alla XXVI legislatura e per la Toscana alla XXVII  e al quale venne affidata nel 1926 la prima cattedra di  storia del giornalismo nella facoltà di Scienze Politiche  dell’Università di Perugia, si orienterà verso il futurismo.  Nella raccolta di saggi critici I Contemporanei, pubblicata  a Milano da Mondadori nel 1928, Orano riserverà a Ma-  rinetti una esegesi determinante, del tutta favorevole al  futurismo considerato estetica nuova di apertura inter-  nazionale. Dalla pittura futurista si muove, invece, verso  il fascismo Antonio Marasco, senz'altro il più impegnato  e coerente politico fra tutti gli operatori plastici del futu-  rismo. Calabrese di nascita, Marasco, ebbe parte rilevante nelle squadre d'azione fasciste di Firenze dove si era tra-  sferito prima ancora di arruolarsi volontario per la guerra  1915-1918, in cui verrà gravemente colpito da gas di ipri-  te sul Piave e dopo essere stato promotore con Marinetti  dei « Fasci Futuristi ».    Nel 1914 Marasco aveva accompagnato Marinetti nel  suo secondo viaggio in Russia, a Mosca e a Pietroburgo,  dove avrà modo di conoscere Velimir Klebnikow e Wla-  dimir Mavakowsky e di dedicare fisiosintesi di estrema  inventività grafica al  medico-pittore Nicolaj Kulbin, al  pittore Nikolaj Burliuk, alla poetessa Elena Guro, al poe-  ta-aviatore Kamensky, al poeta-scrittore B. Livshits, al mu-  sicista A. V. Lurié e al regista Tairow. La pittura di Ma.  rasco presenterà sempre componenti sperimentali, non con-  dizionata da temi fascisti o da enfasi dell'aviazione mili-  tare e civile che, purtroppo, sviliranno molta parte della  neropittura futurista degli Anni Trenta. Antonia Matasco  precorre il cosiddetto « astrattismo » delineatosi nell’am-  bito della milanese Galleria del Milione dei fratelli Ghi-  ringhelli e può essere considerato uno dei pionieri del  costruttivismo e del concretismo internazionali.    Particolarmente affezionati a Marasco avevamo avuto  modo, negli Anni Sessanta, di presentare la sua prima  mostra personale a Milano, di carattere antologico, attra-  verso la quale il più vasto pubblico riuscì a scoprire le  sue ricerche preastratte e protoconcretiste realizzate a Fi-  renze fra il 1923 e il 1930    Marasco restò sempre legato al futurismo e il suo fa-  scismo ebbe coerenza di adesione alla Repubblica Sociale  Italiana dove ricoprì importanti incarichi nella rinnovata  Direzione Generale delle Belle Arti e dei Beni Culturali  del Ministero della Cultura Popolare. Questo magistrale  pittore svolse anche attività di scrittore e di critico d’arte  e un suo libro, pubblicato a Firenze nel 1935, Parrorami  allo Zenit, risulta anticipatore dell’attuale science-fiction.   Nell'ambito del movimento futurista, Marasco, pro-  mosse i « Gruppi Futuristi Indipendenti », attivi a Firen-  ze fra il 1925 e il 1958, che rivelarono personaggi della  importanza di Cesare Augusto Poggi, architetto razionalista, tecnologo del cemento armato e ideatore di singolari  costruzioni civili per la difesa bellica. Quando, nella se-  conda metà degli Anni Trenta, s'inasprirà la campagna fa-  scista contro il futurismo, accusato di difendere l'arte  « astratta » considerata « giudea e massonica », Matasco  sarà a fianco di Marinetti per chiarire i termini di indi-  pendenza dell’« astrattismo » plastico da ogni motivazio-  ne di razza, da qualsivoglia matrice israelitica o mura-  toria. Se disponessimo di maggiore spazio per analizzare  compiutamente questo pericoloso momento dei rapporti fu-  turismo-fascismo ne risulterebbe la conferma di una pre-  cisa interdipendenza di propositi e di azione fra i due  movimenti. Il futurismo non condizionò mai le proprie  libertà espressive, i propositi di rinnovamento, di costan-  te evoluzione spirituale, alle esigenze agiografiche del fa-  scismo che, del resto, non considerò il futurismo come  arte di Stato, riservando questo pericoloso privilegio al  movimento del Novecento, celebrarore di miti romanistici  e imperiali, istigarore del ritorno al neoclassicismo, pur  mascherato da un malcompreso funzionalismo.   Antonio Marasco morirà a Firenze, nel 1975, alla so-  glia degli ottant'anni.   Dopo un Jungo soggiorno romano aveva dipinto, sino  all'ultimo, cromostrutture dinamiche e inoggettive di auto-  noma soluzione cinevisuale. Puntualmente ci inviava let-  tere di accorata italianità, preziosi appunti di teoria pla-  stica che, un giorno, dovremo pur raccogliere e pubblicare  come contributi fondamentali alla storia del costruttivismo  e del concretismo internazionali. Noi giovanissimi non era-  vamo disposti ad anteporre la dogmatica della mistica fa-  scista alle libertà espressive promosse e favorite dal futu-  rismo, né ci si potrà accusare di aver posto le nostre pri-  me ricerche futuriste al servizio dell'apologia di regime.   Così le nostre Parole per la Guerra, pubblicate nel mar-  zo del 1944 dalle edizioni dî Futuristi in Armi, sovven-  zionate e dirette da F.T. Marinetti, non rinviano ai canoni  conformisti dell'aeropoesia futurista di guerra di quegli an-  ni ma anticipano, piuttosto, modalità di poesia concreta e visuale, come è stato ampiamente rilevato dalla critica  internazionale più obiettiva e attenta.    Il nostro poema Bimba / bomba, del 1943, può essere,  infatti, considerato il primo esempio esistente di poesia  concreta a struttura semantica reversibile e a susseguenza  ottica alternata, dove l'uso della parola-chiave è già seria-  listico.    Il nostro fascismo eta quindi disarticolato dalle pra-  tiche dell’estetica futurista, proprio come si era verificato  per gli iniziatori del futurismo: F.T. Marinetti, Paolo Buz-  zi, Armando Mazza, Auro d’Alba, Luciano Folgore. In-  fatti anche i nostri Testi-Poemzi Murali, pubblicati nel 1944  dalle Edizioni Etre (Repubblica) con un «collaudo » di  Martinetti, piuttosto di risolversi nell'abituale apologia  guetresca di quel periodo, introducono un modo nuovo di  poetare inaugurando le problematiche di quella « poesia  visuale » che, solo negli Anni Cinquanta, troverà consensi  internazionali sino a farsi scuola di poesia avanzata. L’ideo-  logia politica di Marinetti, le teorie del suo particolare na-  zionalismo « prefascista » sono raccolte in due volumi pub-  blicati in tempi diversi. Democrazia Futurista, edita a Mi-  lano nel 1919 da Gaetano Facchi, è la sintesi delle posi-  zioni politiche assunte da Marinetti nell'immediato dopo-  guerra 1915-1918.    Vi si ripercorre l'atmosfera in cui nel 1918, dopo Ca-  poretto, Marinetti fonda i « Fasci Politici Fututisti » con  Giuseppe Bottai, Emilio Settimelli, Mario Carli, Gugliel-  mo Jannelli, Antonio Marasco, i pittori Gino Galli, Gia-  como Balla, Ottone Rosai, Fattunato Depero, il poeta-pit-  tore cremonese Enzo Mainardi, lo scrittore Remo Chiti,  il poeta Luciano Nicastro, Massimo Bontempelli, il chirur-  go Giovanni Masnata, poi Senatore del Regno, padre del  poeta parolibero stradellino Pino Masnata, ai quali aderi-  Sta settanta intellettuali e uomini di varia estrazione cul-  turale.    I «Fasci Politici Futuristi » si trasformeranno, poi,  gradualmente in « Fasci di Combattimento » confluendo nel.  lo squadrismo fascista. Così, quando i fascisti partecipe-  ranno per Ja prima volta alle elezioni politiche del 1919,    156    rinetti, Piero Bolzon, il poeta-aviatore Giacomo Macchi,  Baseggio e Podrecca.   Futurismo e Fascismo, pubblicato da Franco Campi.  telli, editore in Foligno, nel 1924, indica, invece, la per-  sonale interpretazione della dottrina fascista praticata da  Marinetti e da molti artisti futuristi, come dai numerosi  affiancatori e propagandisti del movimento futurista. Con  il manifesto L'Impero Italiano / A Benito Mussolini - Ca-  po della Nuova Italia redatto nel 1922 da F.T. Marinetti,  Mario Carli ed Emilio Settimelli, il futurismo, già in que-  gli anni, istigherà il fascismo alla fondazione dell'Impero,  precorrendo una realtà che, negli Anni Trenta si concluderà  con la conquista dell'Etiopia.   Marinetti scriverà nel 1924: «... il Fascismo, naro  dall’interventismo e dal futurismo si nutrì di principi fu.  turisti... »   Una storia parallela dei due movimenti, ancora da scri-  vere, dovrà tener conto della mai rinunciata indipendenza  futurista che non condizionò le esigenze di libera ricerca  espressiva alla necessità della politica dominante. Innanzi tutto confesso che sono nato alla vita sociale  prima come fascista e dopo come futurista.   Avevo sedici anni quando nel 1921, proprio in corti.  spondenza del mio compleanno, sottoscrissi una domanda  di ammissione ai « Fasci di Combattimento ». La doman-  da fu avvallata da due miei amici di maggiore età, come  soci presentatori, i quali compirono coscientemente un pic-  colo falso alterando di due anni la mia data di nascita al fine di consentire la mia ammissione come socio ad ogni  effetto. Così diventai a pieno titolo uno dei pochi iscritti  della Sezione di Reggio Calabria dei « Fasci di Combat-  timento », che aveva allora sede in una baracchetta per i  bagni di mare, in disuso.   Perché questo sedicenne studente del Liceo aveva  ascoltato e risposto ad un richiamo politico certamente  pericoloso? A mio avviso, furono determinanti, l’amore  per la Patria, nato dentro durante fa guerra sull’esempio  di un avo materno che ne aveva avuto, forse, di troppo;  l'entusiasmo per la vittoria e la conseguente indignazione  per quanto accadde subito dopo con l’attività dei cosid-  detti progressisti del momento, ostili ai reduci, in con-  trasto con la spavalderia ed intraprendenza di questi ul-  timi.   Il mio apptoccio con il Futurismo avvenne, invece,  due anni dopo, con la scoperta di Zang iumb tuumm e  l’incontro con F.T. Marinetti    Questo essere prima fascista e poi futurista, mi sem-  brò una particolarità personale e la confessai un giotno —  dopo tantissimi anni -— a Mario Dessy, e lui mi disse che  gli era accaduto lo stesso benché avesse cinque anni più  di me. Comunque è chiaro che nel periodo fra il 1919 ed  il 1922 vi fu un rapporto di identità ideale fra queste  due forze, anche se vi furono dissensi spesso di carattere  costruttivo, E’ difficile — infatti — che possano andare  in tandem per lungo tempo movimenti di carattere poli-  tico e movimenti di carattere intellettuale o culturale. Le  ragioni mi sembrano evidenti: un movimento culturale,  anche se basa la propria forza nelle realtà della vita (come  il futurismo), ha il suo fulcro nella idea-base che difende  con ortodossia e non è disponibile per transazioni ideolo-  giche. Il movimento politico, invece, pet propria natura,  specie quando atrivi alla gestione del potere, diviene dut-  tile e transigente al fine di mantenere è consolidare la  proptia forza concreta, allargando la base dei consensi.    Il Futurismo prima della guerra mondiale si caratteriz-  za artisticamente con l'invenzione dei grandi temi di rin-  novamento nei settori di tutte le arti e, in veste politico-sociale, nell’esaltazione dell’Italia, fantasticando per que-  sta, una nuova organizzazione anti-demo-liberale ed anti-  clericale. Un nuovo mado di vivere. Uno Stato industriale  ed agricolo tecnicamente progredito, che si progettava  astrattamente, certamente irrealizzabile. Qui i tentativi di  un’azione politica che non aveva, però, un valido autonoma  sviluppo organizzativo. Come pretenderlo da poeti ed ar-  tisti?   Nel tempo in cui Marinetti iniziò il « Movimento »,  le forze che affermavano di voler realizzare un nuovo svi-  luppo sociale al fine di un miglioramento della situazione  economica delle classi più disagiate e trascurate, trovava-  no una sede formalmente appropriata nelle spinte del sa-  cialismo deamicisiano; ma tale situazione ebbe durata bre-  ve perché questo socialismo si sviluppò in senso interna-  zionalista apatriottico collettivista antindividualista e fu  sconfitto dagli eventi della prima guetra mondiale. Tanto  è vero che dal suo seno, a guerra conclusa, prosperarono  il comunismo ed altre scissioni e nacque il fascismo.    Sono noti e possono essere facilmente consultati i do-  cumenti delle manifestazioni spiccatamente politiche del  movimento futurista che precedettero la Fondazione dei  « Fasci di Combattimento ». Intendo rifetirmi al « Pro-  gramma Politico Futurista » dell'11 ottobre 1913, firma-  to da Marinetti Boccioni Carrà Russolo, all'azione politi-  ca svolta da La Balza Futurista fondata da Di Giacomo  Jannelli e Nicastro del 1915, e dei «Fasci Interventisti  Siciliani », di Roma Futurista e dei relativi gruppi, nati  nel 1917-18, del Partito Politico Futurista sempre del 1918  che concretizzava un suo programma nel libro Democrazia  Futurista di Marinetti, eccetera eccetera. Tutte queste for-  ze si concentrarono nel movimento fascista nel 1919, sia  aderendo direttamente all'assemblea di fondazione di Piaz-  za San Sepolcro in Milano, sia successivamente anche per  forza d'inerzia.   Il fatto è che — di solito — quando si parla di par-  tecipazione politica dei futuristi, ci si richiama soltanto  al ricordo dell’attività degli artisti che militarono con la  qualificazione di « futuristi ». Vale a dire dei poeti, scrittori, pittori, limitandosi ovviamente ad esaminare il con-  tributo di coloro che hanno raggiunto maggiore notorietà,  trascurando i « minori ». Ma questi ultimi erano in nu-  mero stragrande e molto attivi. Senza tenere inoltre conto  che i maggiori spesso presi del tutto da altre attività, non  erano altrettanto validi e disponibili in campo politico. In  verità, il « Futurismo » di quel tempo è stato un movi-  mento a larga partecipazione di giovani, di tantissimi gio-  vani. Non tutti poterono — ovviamente militare nel  campo dell'Arte e maturare tanta notorietà da essere ri-  cordati anche oggi. Ma tutti furono politicamente attivi e  furono a migliaia i militanti di futurismo che partecipa-  rono ad episodi fascisti negli anni precedenti, o appena suc-  cessivi, alla marcia su Roma.    Non credo di sbagliare se affermo che nelle cosiddet-  te schiere dello « squadrismo » molte furono le partecipa-  zioni futuriste. Azione lotta e coraggio erano proposizioni  futuriste. Basta ricordare la prima azione di Marinetti e  Ferruccio Vecchi nel 1919 (16 aprile: Piazza Mercanti Mi-  lano) e ricordare i tanti nomi dei militanti futuristi che  ebbero più spicco in campo politico che in quello dell’arte.    Alla fondazione dei Fasci, confluirono nel fiume che  diventò principale, molteplici rivoli di pensiero (come ho  già accennato) movimenti di ogni genere che avevano un  minimo comune denominatore nella volontà di rinnovare  in qualche modo l’Italia che, pur vittoriosa nella guerra,  si dimenava in serie difficoltà ed era incapace ad affron-  tare la svolta storica che la vittoria aveva aperto. Anche  i Fasci Interventisti Futuristi Siciliani, che avevano preso  forza dalla volontà di Jannelli e Nicastro (il prima con  capacità ed intendimenti politici ed il secondo come lette-  rato e poeta), ma dei quali non si è ancora scritta la  storia, né accertato la reale efficienza, vi aderirono. Come  aderì Marinetti con tanti altri futuristi che risultano elen-  cati nella schiera dei cosiddetti « sansepolcristi ».    In seguito, quando il fascismo andò al potere, ai futu-  risti sembrò che finalmente sarebbero stati realizzati nel-  l’arte gran parte dei propositi del futurismo. In questa  illusione fummo cullati da alcuni elementi: la impostazio-       160    ne altamente patriottica dei propositi, la valorizzazione del  combattentismo e del volontarismo, l'amore per il nuovo  ed il rischio, il pragmatismo attivo dimostrato immedia-  tamente con i primi atti di governo, eccetera. Va anche  rammentato ai giovani di oggi, frastornati da affermazioni  non rispondenti alla realtà di allora, che la personalità  di Mussolini era molto al di sopra non solo di quella dei  suoi collaboratori politici, ma sovrastava la media dei cer-  velli politici di quel periodo. Tanto è vero che furono ap-  punto gli avversari a votargli subito i « pieni poteri » che  gli consentirono l'avvio della prima gestione governativa.  Questo fatto rilevante, gli consentì di attrarre dapprima  le simpatie collettive ed — in seguito — a conquistare  una enorme fiducia, non solo da parte dei suoi sostenitori  di un tempo, ma anche da parte di ex avversari e simpa.  tizzanti e — nei periodi più floridi — perfino dai nemici  del sistema politico che egli cercava di sviluppare.   Quando il fascismo s’insediò al governo per realizzare  la rivoluzione {a dire dei fascisti), o perché chiamato dalla  debole monarchia (come dicono gli altri), subì dapprima  una sosta di aggiornamento dovuta alla urgenza de) pro-  blemi immediati dalla cui soluzione dipendeva il recupe-  ro dell'ordine econamico e politico. Per questo, Mussolini  non si sbarazzò immediatamente degli avversari che erano  troppi e in gran parte si erano dichiarati disponibili a  collaborare per il meglio, pur costituendo nello stessa  tempo zone di resistenza alle innovazioni    Così anche nei fatti dell’Arte ovviamente meno pres-  santi, ove non comparvero personalità « nuove » che aves-  sero seri propositi di rinnovamento e disponibili a rivolu-  zionare tutto, come i futuristi. I quali con a capo Mari.  netti e nella quasi totalità si convinsero che la « rivolu-  zione » potesse realizzarsi per pradi anche in Arte. Che  la forza del nuovo potesse penetrare per gradi nelle isti-  tuzioni d’Arte e trasfarmarle. Pura illusione. Illusione giu-  stificata sul momento non solo dal fascino personale di  Mussolini al quale ho già accennato, ma anche da certe  sue caratteristiche gestuali (come la particolare sintetica  e precisa oratotia che andava direttamente allo scopo in    161    modo esplicito) che lo presentavano come un congeniale  capo futurista. Se si aggiunge inoltre l'amicizia personale  fra Mussolini e Marinetti, vicini anche in altre precedenti  azioni politiche, si comprende come il movimento rivolu-  zionario rappresentato in arte dal Futurismo, rimase a fian-  co del Fascismo (esso stesso ancora tivoluzionario alla ba-  sel, anche se in via di adattamento, questo, alle esigenze  immediate dell'esercizio del potere su una nazione che di  rivoluzionari di qualsiasi tipo ne ha avuto — per la veri-  tà — sempre pochi, anche se gonfiati ad oltranza quando  occorre, in tutti i testi di storia antica e recente.   I futuristi costituirono una avanguardia nelle fila del  fascismo e vi rimasero nella quasi totalità. Basta citare i]  messaggio che concluse il Congresso futurista di Milano  (L'Impero, 27 novembre 1924):    « L'ultima riunione del congresso futurista è stata de-  dicata all'esame dell'attuale momento politico. Marinetti  espose alla numerosa assemblea una dichiarazione prece-  dentemente elaborata in accordo con i maggiori futuristi  politici, la lettura della dichiarazione fu entusiasticamente  approvata ed acclamata in ogni suo punto. Ecco Ja dichia  razione:    «“I futuristi italiani, primi fra i primi interventisti nella  piazza e sui campi di battaglia e primi fra i primi dician-  novisti più che mai devoti alle idee ed all'arte lontani dal  politicantismo, dicono al loro vecchio compagno Benito  Mussolini: Primo: con un gesto di forza ormai indispen-  sabile liberati del parlamento. Secondo: restituisci al fa-  scismo ed all'Italia la meravigliosa anima diciannovista di-  sinteressata ardita antisocialista anticlericale  antimonar-  chica. Tetzo: Concedi alla monarchia soltanto la sua prov-  visoria funzione unitaria, rifiutale quella di soffocare e  morfinizzare la più grande, più geniale, più giusta Italia  di domani. Quarto:- non imitare l’inimitabile Giolitti, imi-  ta il grande Mussolini del ’19. Quinto: Pensa sempre al-  l'Italia immortale ed al Carso divino. Sesto: Schiaccia la  opposizione socialista antitaliana di Turati e l'opposizione  mediocrista di Albertini con una ferrea dinamica aristocra-  zia di pensiero.«“Tu puoi e devi far ciò. Noi dobbiamo volerlo e lo vo-  gliamo. F.T. Marinetti - Capo del Movimento Futurista  Italiano”».   Sono inoltre innumerevoli le manifestazioni dei futu-  risti in tanie occasioni, con opere scritti ed anche con  la partecipazione concreta alle guerre di quel periodo. Vo-  glio ricordare, però, un solo scritto di Fillia (morto nel  1930 e che adesso cercano di passare per antifascista) il  quale nel 19527 in occasione della Quadriennale di Tori-  no, così scriveva sulla sua rivista Vetrina Futurista:    «... Bisogna, però, giungere a “convincere” il grosso  pubblico, ingannato a nostro riguardo dalle false inter  pretazioni. Perché il favore organizzativo che oggi ci cir-  conda, non basta: è assurdo riconoscere il futurismo come  manifestazione d'Arte ed ammettere contemporaneamente  le antiche manifestazioni. La vita può avere individual  mente, diverse interpretazioni, ma tutte devono essere in-  quadrate in una sola atmsofera sensibile, corrispondente  alla vita stessa. Non voglio con questo negare il diritto di  esistenza a intere categorie di pittori rimasti spititualmen-  te arretrati: ma è necessario preparare il pubblico alla loro  graduale eliminazione dalla vita artistica ufficiale, fino al  riconoscimento del Futurismo “arte di Stato” massimo ri-  conascimento che lo caratterizzerà nella sua importanza... ».   Purtroppo però le autorità artistiche avevano il so-  pravvento favorendo a vele spiegate l’architettura di Pia-  centini e gli enormi pupazzi della scultura e pittura no-  vecentista, effettivamente arte del regime. E noi futuristi  interpretavamo le isianze di rinnovamento dell’arte senza  alcun riconoscimento dal Regime che ritrovava sé stesso  nelle manifestazioni novecentiste.   Questo, non mi stanco di ripeterlo, negli Anni Venti.  E poi?   Poi nulla. Le vicende, le difficoltà personali, gli entu-  siasmi e le depressioni, gli alti e i bassi, il lavoro e la mag-  giore maturità. Ma non creda di sbagliare se affermo che  noi futuristi vivemmo quel tempo con spirito indipendente  e piena libertà fiduciosi che in fondo avremmo avuto ragione. Anche se spesso sopportati e negletti dalle autorità  artistiche e subiti obiorto collo quando necessario.   Poi andammo all'ultima guerra, che fu sconvolgente per  tutti. To ne vissi scrupolosamente la mia parte con coeren-  za. Fui costretto fuori a lungo. Pet un anno di guerra, ne  subii sei di prigionia e non conosco nei particolari ciò che  è avvenuto qui mentre ho già scritto delle mie esperienze.   AI ritorno, nel Natale del 1946, mi sembrò di sbarcare  in un altro mondo al quale non mi sono ancora completa-  mente assuefatto. Ma ripresi a vivere da zero e nell’aprile  del ‘47 cominciai la mia nuova personale battaglia per il  futurismo con la mostra alla « Galleria di Roma » inaugu-  rata da Benedetta c dedicata a F.T. Marinetti.   Continuai ancora e vado avanti con i futuristi soprav-  vissuti e con l'appoggio dei giovani che comprendono e non  disdegnano l’idea del futurismo che continua e si rinnova  attraverso le spiccate personalità dei suoi artisti. Crali, lei è pittore ed è futurista Uno dei pochis.  simi, oggi. Crede che il futurismo sia ancora attuale?  SÌ, ma non per merito dei futuristi. Ma ha una sua  attualità perché si è espresso, si è mosso, e ci parla ancora.  Ma non certo per chi ci ha mangiato sopra, per chi non è  mai stato futurista, ed ha espresso solamente « necrofilia »,  vera e propria « necrofilia ».Il futurismo di prima, quello per cui lei aderì  al movimento, o vi st convertì, come la investì per così  dire, o come la ispirò?    R. — Non mi sono affatto « convertito », perché non  c'era niente da convertite. Mi sono trovato di fronte al    164    futurismo come un’anima candida, che non sa e non è con-  sapevole di nulla. Mi sono ritrovato una simpatia incon-  scia per alcuni quadri riprodotti su Il Mazzino illustrato di  Napoli. Mi sono piaciuti, mentre ad un amico mio, che  la pensava diversamente da me, non piacevano. Cominciam-  mo a litigare, e per litigare ad approfondite l’argomenta  ecc. ecc. Così ho cominciato ad essere interessata al futu-  rismo. E sono partito senza avere una preparazione di me-  stiere. Ho fatto rutto da solo, senza imparare a dipingere  o disegnare, anche se poi una specie di grillo della coscienza  mi ha suggerito che dovevo imparare a dipingere, sia pure  da solo (anatomia, prospettive, ecc ). L’astratto e il figu-  rativo erano | temi o le prospettive dominanti. Ho cercato  una « terza via », che fosse tutta mia, tutta personale: una  ia di mezzo fra il figurativo e l'astratto. Poi ho lasciato il  figurativo per la mia pittura futurista. Credevo di dover  dire ciò che altri non avevano detto. Così mi sono accostata  a Marinetti nel '29, quando gli scrissi per aderire al movi.  mento. L'aeroplano era una macchina nuova, un congegno  del futuro, o, per allora, del « futuribile ». E fu una delle  realtà che mi diedero più spunti, più ispirazione (l'Idrovo-  lante italiano, D’'Annunzia e il volo su Vienna, e il campo  di atterraggio vicino a Zara, dove io sono nato, ecc.). Così  sono diventato acropittore. E lo sono rimasto, ancora oggi.  Marinetti, invece, per quello che lo frequentò  o poté essergli vicino, come lo considera? Forse l’unico vero  futurista, © forse solo un grande « maestro »?    R. — No, non lo considero un maestra, perché non ha  mai voluto essere un « maestro ». Ci ha sempre stimolato  e spinto a lare, senza mai dire però come dovevamo fare  Era contrario ad ogni gerarchia nel movimento del futuri.  smo. E si opponeva sempre a Boccioni e Prampolini, che  volevano imporre la loro pittura. Voleva che ognuno di  noi fosse libero e indipendente. Prampolini invece voleva  fare il caposcuola. Marinetti voleva solo che ognuno fosse  se stesso e non ha creato nessuna scuola. Amava la sua  libertà e la sua indipendenza a tal punto che non poteva  imporre insegnamenti. Fotse D'Annunzio lo aveva influen-  zato in questo senso, nella vita mandana libera, giovane e spregiudicata. Io lo ricordo e lo ricorderò sempre con rico-  noscenza. Quasi come un padre. O come un fratello map-  giore. E come l’unico vero futurista, come ho sempre de!  resto pensato. Gli altri hanno tutti « mollato ». Lui è an-  dato avanti fino all'ultimo. L'unico che può personificare  il futurismo è fui, l’unico che non ha rivestito patine di cul:  turame intellettvalistico, come hanno fatto invece molti al-  tri (Soffici, Conti, Palazzeschi, Papini, ecc.). Amava essere  futurista sempre e comunque, anche nel gusto del contra-  sto. Amava la luna, e scrisse un manifesto « contro il chia-  ro di Juna ». « Uccidiamo il chiaro di luna », vi si diceva,  forse contro i poeti. Ma non era poeta? Predicava la guer-  ra, anche se non avrebbe fatto male a nessuno. Amava la  madre e la donna in assoluto, e ciecamente. Ma combatté  la donna sul piano ideologico. In questo è veramente futu-  rista. E lo è solo lui. Gli altri non lo sono mai stati.  Il futurismo di Marinetti che accento o che an-  golazione aveva particolarmente: letteraria, artistica, filoso-  fica 0 piuttosto politica?    R. — Politica no, assolutamente e mai. Filosofica nean-  che, se non forse in senso attivo, ma allora « senza pen-  siero ». « Il futurismo entra in politica soltanto quando la  patria entra in pericolo », aveva detto Marinetti in un  momento cruciale della nostra storia nazionale. Il manifesto  politico del fuuttismo è conseguenza del fatto che esso sta  movimento d'arte e di vita, e come tale anche di vita poli-  tica, tout court. Il manifesto politico è del ’13. Dopo Ja  fine della guerra l'accostamento agli arditi o al fenomeno  dell’« arditismo » era inevitabile, e Marinetti si unisce in  vincolo d'amicizia, anche politica, con Mario Carli per esem-  pio (ardito) e con Mussolini. All’avvento del fascismo e allo  accostamento di Mussolini alla monarchia e alla chiesa Ma-  rinetti si stacca. Abbandona il partito e si ritrova pressoché  in miseria, con moglie e figli. Aveva grande ammirazione  ed amicizia per Mussolini, che non credo fosse ricambiata  per una certa forma di invidia-gelosia mussoliniana nei con-  fronti di Marinetti. Il regime gli offriva incarichi 0 preben-  de, che continuò a rifiutare. Mussolini arrivò ad offrirgli la  presidenza dell’Associazione dei grandi alberghi italiani, pro-    166    prio a lui che disprezzava l’industria del forestiero. Accer-  tò solamente, e sollecitato, la segreteria dell'Associazione  Italiana Autori ed Editori, altrimenti forse destinata al  solito « arraffone » di turno. Tuttavia si tenne sempre in  disparte e non fece mai politica attiva, non partecipò mai  direttamente al regime, che anzi forse osservava contrariato,  a parte solo qualche onesta e sincera manifestazione di sim-  patia per Mussolini.   Nel ’35 si oppose alla presa di posizione politica di Hit-  ler contro l’arte moderna e d'avanguardia, che si manifestò  e sfociò nella censura e nella repressione dell'arte. E nella  stesso momento organizzò a Berlino una mostra di aero-  pittura futurista che creò non pochi problemi e suscitò non  poche difficoltà anche diplomatiche fra i due governi ira  liano e tedesco. Oltre che produrre una situazione difficile  e imbarazzante per le posizioni o i movimenti artistici e in-  tellettuali della Germania dell’epoca. In Italia fu l’unico  in questa occasione a prendere posizione ed esprimersi con-  tra l’ingerenza politica e l'intervento del regime di Hitler  nella cultura e nell'arte.   Nel ‘43 ero da Marinetti a Roma: arrivava Marinotui  (presidente della Snia Viscosa) che era stato da Mussolini  insieme ad altri « consiglieri regionali » del regime. Ma-  rinotti si era accinto a raccontate a Marinetti che tutti i  consiglieri avevano « relazionato » Mussolini e che nessu-  no aveva avuto il coraggio di dirgli che le cose andavano  male, tranne uno, il consigliere sardo, che aveva sostenuto  la stanchezza della gente, la maldicenza, il tradimento...  Marinetti osservava che non era possibile che non si sa-  pesse... È Marinotti ribatté che lo si sapeva, ma che non  era possibile dirlo a Mussolini... Il giorno dopo ritornai da  lui e mi comunicò che il consigliere sardo era stato nomi-  nato da Mussolini ispettore generale per tutta l'Italia.   Nel ‘44 poi si mosse da Venezia e risalì verso la Lam-  bardia, perché non se la sentiva di starsene in disparte a  « far l’antifascista »... L'ultimo suo poemetto in versi, l'ul-  tima sua espressione letteraria s'intitola appunto: Musica  di sentimenti per la X Mas. E vi si dice: « Io sono fato    167    di aeropoesia fuori tempo e spazio ». E' già definizione  sintomatica e totale dell'opera.    D. — Ailora, Marinetti fu fascista? E se lo fu, lo fu  fino a che punto? O non lo fu, e fino a che punto non lo  fu per essere futurista?  Marinetti è stato sempre e comunque e saprattutto futurista. Questa è la mia impressione. Perché ha se-  guito la sua natura e la sua volontà. E nel suo essere futu-  rista non è mai entrata la faziosità di un genere che « entra  in politica ». Non fu mai fazioso. Una volta eravamo a  casa sua, in un gruppo di amici, a parlar di Majakowski  e di futurismo russo. Qualcuno obiettò: « Ma Majakowski  è un comunista ». Ed egli allora ribatté immediatamente:  « Non ha nessuna importanza. Perché Majakowski è prima  di tutto un grande poeta ». Nei suoi rapporti cal fasci-  smo si può considerare forse il fatto che fosse nato al  l’estero, che fosse educato in Egitto alla cultura francese,  spesso pesantemente sprezzante verso l'Italia. Sentì quindi  una specie di aspirazione all’Italia 0, più ancora, di nostal-  gia della patria. Poi, volle rivendicare il futurismo come  fatto classicamente e squisitamente italiano. Così s'inimicò  tutta la cricca culturale parigina, ma volle sprovincializzare  e dare un certo orgoglio e una certa autonomia alla cultu-  ra italiana. E pensò o vide che Mussolini potesse essere  l'uomo adatto per rifarla, l’Italia, e per darle una sua nuo-  va base, culturale ed artistica. Senza sapere, alle origini o  senza conoscere, quando era all’estero, ed anche a Parigi,  la furbizia, anche culturale degli Italiani. Lui fu in buona  fede. Dal fascismo ebbe l’Accademia d’Italia (con appan-  naggio onorario in un momento in cui era anche in disagi  economici), ed ebbe la Biennale di Venezia {come « una  riserva indiana »). Il suo è un fascismo di speranza o di  desiderio, nella speranza di poter vedere realizzato il suo  futurismo. E' contrario al « Novecento » e al classicismo  « romano » alla Piacentini, che Mussolini invece appoggia-  va. Forse tutti i regimi, quando si affermano, cercano di  eliminare le avanguardie. Il fascismo non le appoggiò, men-  tre il nazismo e il comunismo le stroncarono. Sta di fatto  che Marinetti appoggiava Terragni a Como, e non appoggiò mai Piacentini. Alla Biennale, a Venezia, il futurismo  è stato accettato sì, ma mon con la considerazione che  Marinetti si sarebbe aspettato, e che sarebbe davuta spet-  tare all'unico movimento d'avanguardia esistente allora in  Italia. E invece è stato accolto sì il futurismo, ma quasi  messo in disparte.    Nel ’26, all'inaugurazione della mostra, durante il di-  scorso di presentazione, Marinetti si alzò ed intervenne ad  alta voce, presente il Ministro dell'Educazione Nazionale,  lamentando l'ingiustizia per l'esclusione dell'unico  movi-  mento d'avanguardia dell'arte italiana. L'anno dopo Mus-  solini stesso gli concesse un padiglione di riserva, che do-  veva rimanere, ogni anno, a disposizione dei futuristi (la  « riserva indiana », già summenzionata).    D. — Mussolini invece, secondo lei, fu futurista?    R. — E' stato un politico ed ha appoggiato Marinetti  per avere il futurismo dalla sua parte. Anche se il futu-  rismo aveva contribuito, pure, alla sua formazione. Che  avesse jspirato un regime al ritorno verso l'antica Roma  nei suoi simboli e nei suoi modelli, vuol dire tuttavia che  era rimasto fuori dal futurismo.    D.— E allora il fascismo di Mussolini ed il futurismo  di Marinetti non hanno nessun punto in comune? O si  possono, secondo lei, mettere in relazione o in collega  mento, e fino a che punto ciò è possibile? Per Mussolini il fascismo è politica, per Mari-  netti il futurismo è poesia. Sono due posizioni completa-  mente diverse.    D. — Non si può quindi parlare di futurismo fascista,  nemmeno del primo, quello delle origini?    R. — Finché un movimento politico è in fase rivo-  luzionaria, le posizioni della « rivoluzione » culturale con  quelle politiche coincidono; poi però quando il movimento  politico diventa regime si burocratizza, e allora non può  non scontrarsi con la cultura che rimane sempre rivoluzio-  naria e che non può assimilare come tale le esigenze politi-  che di un «partito». Ecco perché esistono punti di contatro    169    o momenti di simbiosi tra affermazioni marinettiane e fa-  scismo politico dei primi anni, poi rallentati o rilasciati  quando si afferma l’« ordine romano », utile al regime, ma  speculare di un passatismo senza mezzi termini, e totale.  Marinetti tollera questa esigenza politica di Mussolini, ma  non la condivide od ammette in campo artistico e cultu-  rale. Tuttavia Marinetti era uomo che non confondeva ami-  cizia ed ideologia: poteva combattere con un amico per  principi ideologici, anche violentemente, senza però in-  taccare l'amicizia, che rimaneva sempre e comunque.    D. — Resta oggi il futurismo? E resta come realtà  artistica solamente, o anche politica, nella sua dimensione  d’espressione artistica? Senza fascismo, che è finito ovvia-  mente, e da tempo. Forse resta il futurismo, come ten-  sione di rinnovamento?    R. — Sì, il futurismo resta, credo, nella sua posizione  di rinnovamento, o di indicazione nella creazione di nuove  forme, e di nuove idee, o di valori nuovi. Oggi si contesta  per distruggere senza dire quello che si vuole proporre in  sostituzione. Il futurismo aveva invece dato i suoi mani-  festi. Volle distruggere, ma propose ciò che voleva rico-  struire. Anche oggi, per quel che resta, il futurismo cerca  un suo rinnovamento che si superi continuamente. Oggi  c'è molta saggistica, ma si vede poca poesia. Forse manca  l’entusiasmo, nonostante la grinta. Penso che esista an-  cora futurismo oggi, perché esiste ancora temperamento di  novità, e di rinnovamento. Perché esiste ancora una spinta  vitale di « ossigeno ». E l'opera deve avere un suo sangue,  se si tratta d’opera d’arte. Un sangue di cui deve vivere,  o un sangue per cui possa vivere. É l’ossigeno è un valore  assoluto che resta, non si toglie, perché è ineliminabile.  Anche in bottiglia, nella plastica, rarefatto 0 alla luce del  sole. Il futurismo è un po’ come l'ossigeno, o l'anima  o lo spirito del lavoro e dell’opera, o della vita: è un po'  il suo « entusiasmo ».  [Intervista u cura di Alberto Schiavo]    Per quanto riguarda lo svisceramento dei collegamenti  fra Je correnti del futurismo indipendente come movimen-  ro artistico e culturale ed il fascismo come movimento po-  litico e sociale, particolarmente per quel che si riferisce  al carattere autonomo del futurismo torinese e al fascismo  delle origini, è ovvio che i tapporti intercotsi fra di loro  furono lungi dall’essere quelli di un matrimonio d'amore.  Consistettero specificamente in taciti e necessari accordi  immaginati per pater dare vita a creazioni autentiche che  abbisognavano di un ambiente rispettoso dei motivi di una  vera rivoluzione (quella artistica e spirituale scatenata dal  futurismo), in un clima fascista che di rivoluzionario non  ebbe in seguito che la sola etichetta.   Il futurismo torinese, nel tentativo di operare in pie-  na italianità, condivise nelia sua giusta misura taluni prin  cipî che il primo fascismo stabili quando provò a inte-  grarsi nel campo difficile della moderna civiltà europea.  Alla stessa stregua e per raggiungere gli stessi fini il futu-  rismo piemontese trattò anche con l’anarchismo e il co-  munismo idealitario di Gramsci, sui quali ebbe una consi-  derevole influenza negli sviluppi dell’architettura.   Il senso altamente novatore di Fillia e la sua molte.  plice attività (stupefacente in una esistenza così breve) per:  sonificano le forme coerenti e concrete dei concetti più  originali e più saldi delle imprese del futurismo torinese.   Figura rappresentativa dell’essere istantaneo, Fillia non  temporeggiava mai, viveva come una ruota, partiva come  una freccia. Propugnatore di quel futurismo mistico che  per ordinarie ragioni razionali ed estetiche militava in  margine della Chiesa cattolica apostolica e romana di quel  l'epoca, egli affermava con rigare di logica e con argomen-  tazioni arditissime che la religione ha relazione di somi-  glianza con la geometria interna dell’arte. Misteri dottri.  nali da ricrearsi plastiicamente per dare forma concreta ai  nuovi concetti della pittura sacra erano per lui la Trinità,    171    la Redenzione e la Vergine. L’apostolato di Fillia s'imme-  desimava con quello del futurismo in cui si cercava una  forza di liberazione, e la trovava in quel movimento, cie-  camente.    Originati da una geometria astratta superiore, i suoi  dipinti possiedono quella qualità rara di non essere visà,  e perciò non ricavati dal vero, ma di sorgere senza sha-  vatura alcuna dal proprio io, e come se l'artista non vi  fosse per nulla, per cui aspettavamo ogni sua scoperta con  un senso di impazienza, di ansietà, perché Fillia non ces-  sava di inventare e di portare sempre più avanti i perfe-  zionamenti pittorici del futurismo. Tuttavia, una continui-  tà è discernibile nella sua arte che è, innanzitutto, di una  grande purezza, di una grande acconcezza, di una grande  serenità.    T colori si oppongono l'uno all'altro e si sovrappon-  gono con curve e frangie di corallo, macchie di cielo, fan-  tasticherie metafisiche, sogni astrusi. Opera di contempla-  tivo che accomuna sempre iutto e sempre con estrema  dolcezza, e dalla quale si spande una pace angelica che  sembra invalidare, apparentemente, taluni assiomi violen-  ti della dottrina futurista. Ma è invece la prova Iampante  che il dinamismo di questa scuola italiana non esclude  quello stato di grazia dove i conflitti diventano preghiere.  Si tratta di fermare il nemico per ritrovare Ja quiete, di  combattere ferocemente per amare di un più grande amo-  re. Tale atteggiamento è proprio l’antitesi del sentimenta-  lismo romantico, dell’ebetismo della debolezza: esso con-  voglia l’arte verso quell'alta sfera mitica e visionaria che  invade la mistica futurista.    Gli errori di pensiero che possono insinuarsi nella men-  te di un poeta come Fillia, che non può sempre ridurre  tutto al controllo della logica, non vanno interpretati nel  lo stretto senso letterale. Il movimento è irrefrenabile,  talvolta irresistibile, porta oltre la matura e si perde in  un mondo di realtà fantasmagoriche.    Nessuna amarezza, nessuna amarezza siatene cetti si  nascondeva in questa libertà concettuale e della riflessione:  vi era troppa gentilezza in questo cuore di pittore e di poeta, troppa felicità per i suoi amici, perché si possa at-  tribuire un significato ironico alle sue composizioni sacre  come non hanno mancato di fare borghesi indirozzabili e  bolsi dalle maniche troppo lunghe, dalla mente inceppata.   Ho buona speranza per Fillia, per questo artista pen-  satore che fu anche un provetto artigiano; non mi rat-  trista la sua morte prematura. Un suo misterioso paesag-  gio dell'ex raccolta Ferrari di Ginevra mi scopre un ci-  mitero e la scala rossa che lo vincolò in eterno con gli  eroi: quello stesso cimitero e quella stessa scala di Sant'E-  lia. Distinguo la luna bianca della sua grande dolcezza, e le  cose della terra non reggono, sono rovesciate su loro stesse.   Le pitture religiose di Fillia sono un richiamo allo  spirituale puro, degli abbozzi di Paradiso. S’intende che  un tentativo di tal fatta non deve giungere al disprezzo  della cosa creata, dell’Incarmazione: ma non è il caso di  Fillia le cui forme della sua arte si disegnano, si creano e  si distaccano dalla loro causa prima.   Tutto il lavoro dell’opera si riporta ad una giornata  ben definita della creazione dove gli uomini non sono  ancora che allo stato di abbozzo, ma dove la macchina  respira già, dove i fantasmi girano secondo una traietto-  ria circolare, dove l'arcobaleno annuncia la riconciliazione.   Una siffatta pittura è infinitamente rispettosa, il suo  pudore è un perpetuo tremita davanti alla bellezza; essa  sprigiona cdelicatezze insospettate, scrupoli inauditi e non-  dimeno una audacia che le viene soffiata dallo spirito.   Nonostante il suo atto di fede nella macchina, Fillia è  certamente un pittore spirituale. La bellezza intrinseca del.  le macchine corrispande ad un suo bisogno di esattezza  sovrumana, di perfezione nelle linee e negli spazi. E’ una  dimostrazione pratica che consente all'uomo di disinca-  gliare la vera vita, di ricercare quegli elementi universali  dell’arte che scaturiscono nei momenti fecondi ed imperiali  delle Nazioni e ne rendono lo spirito eierno.   Per non spappolarsi nella struttura, per non sgreto-  larsi alla radice, il futurismo è lui stesso alla ricerca del-  l'eterno. E’ ben vero che questa eternità non è sotto i  nostri passi, non è dietro di noi, ma davanti a noi, In  questo senso tutti i cristiani dovrebbero essere futuristi,  diceva Fillia, perché meno legati degli altri uomini al  passato e al presente, e più ferventi dell'avvenire. Questo  richiamo ad una tradizione spirituale, questo allenamento  {secondo la felice definizione di Marinetti) non ha nulla  di necroforo, non intralcia lo sviluppo dell'arte ma stimo-  la, spinge in avanti, crea. Non si dimentichi perciò il con-  tributo molto importante di quella autentica tradizione che  serve a ristabilire l'equilibrio normale. Infatti, all’inizio Je  forze novattici distruggono talvolta, svelano uno sprezzo  irragionevole del passato e di ciò che la vera tradizione  conserva pertanto di eternamente vivo. Un rifiuto non  controllato potrebbe anche andare a scapito del progresso  stesso e insabbiare per sempre l'incitamento che motiva  nuove conquiste. Non si negano gli elementi universali  dell’arte passata perché non si possono negare quelli del-  l’arte nuova.    L’opera di Fillia rivela una tendenza perpetua verso  il progresso nel senso più alto della definizione. Trasfor-  mandosi da una pitiura all’altra svolge senza contraddi-  zioni la sua sincerità primitiva. Un futurista non può  dunque negare la storia della sua opeta e tanto meno quel  la del suo movimento: egli porta il peso di un passato  inventato che non può rinnegare senza distruggersi.    Questo passato inventato risale certamente al di là  del futurismo — che costituisce una specie di dialettica  dello spirito — e affre l’unica possibilità capace di abbat-  tere gli ostacoli. Il fiume precipita giù dalla cascata come  se vi prendesse nascita; in realtà la sorgente è al ghiacciaio.  Il futurismo ha radici italiane ed europee: il tempo aiuta  a farle scoprire senza remissione.    Fillia è l'uomo intuitivo di una nuova era. Dalla sua  opera e dai suoi tentativi, come da quelli di Balla, di  Boccioni, di Prampolini, di Diulgheroff e di Benedetto,  si stacca un’arte pubblica universale che l'architettura fun-  zionale rivela, contribuendo efficacemente alla diffusione  delle idee futuriste di Antonio Sant'Elia e degli slanci del  purismo di Le Corbusier.   Nell’intento di realizzare ad ogni costo, Fillia si ap-  poggiò al Regime attraverso gli interventi efficaci di Ma-  rinetti. Però, non ho mai visto Fillia in camicia nera,  ne lo sentii mai parlare di politica nostrana. Parlava sol-  ranto dell’Italia che amava. Le due idee rispecchiano gli  scopi e i metodi creativi di quel movimento indipendente  di buona lega che fu il futurismo torinese.  SARTORIS   per conto dell'Editore Volpe   dalle Arti Grafiche Pedanesi Roma, Via Fontanesi, Luciano De Maria e Mauro Pedroni, Aggiornamenti bibliografici sul  futurismo, in Il Verri,  Maria Drudi Gambillo e Teresa Fiori, Archivi del futurismo, De Lu-  ca, Roma 1959-1962, due volumi.   Enrico Falqui, Bibliografia e iconografia del futurismo, Sansoni, Firenze,Futurismo, a cura di Umbro Apollonio, Mazzotta, Milano, I futuristi, a cura di Giuseppe Ravegnani, Nuova Accademia, Mi.  lano  I manifesti del futurismo, Edizioni di « Lacerha », Firenze.  I manifesti del futurismo, Istituto Editoriale Italiano, Milano s.d.  {1919), quattro volumi.   I nuovi poeti futuristi, Edizioni Futuriste di « Poesia », Roma  I poeti futuristi, Edizioni Futuriste di « Poesia », Milano Noi futuristi, Riccardo Quinteri Editore, Milano Per conoscere Marinetti e il futurismo, a cura di Luciano De Matia,  Oscar Mondadori, Milano 1973.   Piccola antologia di poeti futuristi, a cura di Vanni Scheiwiller, Al-  l'Insegna del Pesce d'Oro, Milano Poesia futurista italiana, a cura di Ruggero Jacobbi, Guarda, Parma  Sintesi del futurismo: storia e documsenti, a cura di Luigi Scrivo,  Bulzoni, Roma 1968,   Teatro italiano d'avanguardia: drammi e sintesi futuriste, a cura di  Mario Verdone, Officina Edizioni, Roma 1970.  L'arte nella società. 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