Grice e Cattaneo: l'implicatura conversazionale -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice:
“I love Cattaneo, but then you would, wouldn’t you – He reminds me of H. L. A.
Hart, and then *I* am reminded that Cattaneo translated Hart to Italian as a
pastime! What I like about Cattaneo is that instead of focusing on “Roman law”
and Cicero – he focuses on Pinocchio!”. Si laurea a Milano sotto Treves. Su
consiglio di Treves e Bobbio ha soggiornato al St. Antony's, criticando Hart,
professore di Giurisprudenza, di cui su suggerimento di Bobbio e Entreves ha
tradotto “Il concetto di legge”. Insegna a Ferrara, Milano, Sassari, Treviso. Analizza
l'evoluzione storica delle teorie della pena e le opere dei grandi giuristi
italiani. Membro della Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica. Altre
opere: Il concetto di rivoluzione nella scienza del diritto” (Milano); “Il
positivismo giuridico” (Milano); “Il partito politico nel pensiero
dell'Illuminismo e della Rivoluzione” (Milano); “Le dottrine politiche”
(Milano); Illuminismo e legislazione” (Milano); “Filosofia della Rivoluzione” (Milano);
“Diritto liberale” “Giurisprudenza liberale” (Ferrara); “Filosofia del diritto,
Ferrara); La filosofia della pena” (Ferrara); Delitto e pena” (Milano); Il
problema filosofico della pena, Ferrara); Stato di diritto e stato totalitario,
Ferrara); Dignità umana e pena nella filosofia di Kant, Milano); “Metafisica
del diritto e ragione pura, studi sul platonismo giuridico di Kant” (Milano);
“Goldoni ed Manzoni: illuminismo e diritto penale, Milano); “Carrara e la
filosofia del diritto penale, Torino); “Libertà e Virtù” (Milano); Pena,
diritto e dignità umana” (Torino); Diritto e Stato nella filosofia della
rivoluzione” (Milano); Suggestioni penalistiche”; “Persona e Stato di diritto
Discorsi alla nazione europea, Torino); Critica della giustizia, Pisa); L'umanesimo
giuridico penale” (Pisa); Pena di morte e civiltà del diritto” (Milano); Terrorismo
ed arbitrio, Il problema giuridico del totalitarismo, Padova); Il liberalismo
penale di Montesquieu” (Napoli); Dignità umana e pace perpetua, Kant e la
critica della politica” (Padova); “L’idolatria sociale (Napoli); “L’umanesimo
giuridico, Napoli); Kant e la filosofia del diritto” (Napoli); Diritto e forza.
Un delicato rapporto, Padova); Giusnaturalismo e dignità umana, Napoli); Dotta
ignoranza e umanesimo” (Napoli); La radice dell'Europa: la ragione, uno studio
filosofico-giuridico (Napoli). “Analisi del linguaggio e scienza politica”
(Filosofia del diritto); “Il concetto di rivoluzione nella scienza del diritto,
Milano, Istituto editoriale Cisalpino); “Il positivismo giuridico e la
separazione tra il diritto e la morale” (Istituto Lombardo di Scienze e
Lettere, Milano. Richiamo a istituti di diritto privato per la risoluzione del
problema dell'origine dello stato, in “La norma giuridica: diritto pubblico e
diritto privato, Atti del IV Congresso di Filosofia del diritto, Pavia, Milano,
Giuffre); “Il realismo giuridico” in »Rivista di Diritto Civile”; Alcune
osservazioni sui concetto di giustizia in Hobbes, in Il problema della
giustizia: diritto ed economia, diritto e politica, diritto e logica, Atti del
V Congresso Nazionale di Filosofia del Diritto, Roma (Milano, Giuffre); “Hobbes
e il pensiero democratico nella Rivoluzione inglese e nella Rivoluzione
francese, in »Rivista critica di storia della filosofia”; “Il positivismo
giuridico inglese: Hobbes, Bentham, Austin, Milano, Giuffre); Il partito
politico nel pensiero dell'illuminismo e della Rivoluzione francese, Milano,
Giuffre); Le dottrine politiche di Montesquieu e di Rousseau, Milano, La Goliardica
Stampa); Il positivismo giuridico, in »Rivista Internazionale di Filosofia del
Diritto«, “Il concetto di diritto” (Milano, Einaudi); “Considerazioni sul ‘significato’
della proposizione, ‘I giudice crea diritto«, in »Rivista Internazionale di
Filosofia del Diritto«; Illuminismo e legislazione, Milano, Edizioni di
Comunita); Leggi penali e liberta del cittadino, in »Comunita«, Montesquieu,
Rousseau e la Rivoluzione francese, Milano, La Goliardica); dispense del corso
di Storia delle dottrine politiche, Milano); Quattro Punti, in »Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto«, Liberta e virtu nel pensiero politico
di Robespierre, Milano-Varese, Istituto Editoriale Cisalpino); Considerazioni
sull'idea di repubblica federale nell'illuminismo francese, in »Studi
Sassaresi”,Liberta e virtu nel pensiero politico di Robespierre, Milano, Istituto
Editoriale Cisalpino); Filosofo e giurista liberale, Milano, Edizioni di
Comunita); Filosofia politica e Filosofia della pena, in Tradizione e novita
della filosofia della politica, Atti del Primo Simposio di Filosofia della
Politica, Bari, Bari, Laterza); Pigliaru: La figura e l'opera, testo della
commemorazione tenuta i125 giugno 1969 nell' Aula Magna dell'U niversita di Sassari,
in »Studi sassaresi«, Milano); Le elezioni e il liberalismo. Autonomia
dell'Universita e neo-corporativismo, in »La Rassegna Pugliese«, Anti-Hobbes,
ovvero i limiti del potere supremo e il diritto co-attivo dei cittadini contro
il sovrano (Milano, Giuffre); Anti-Hobbes o il diritto co-attivo dei cittadini
--; Considerazioni suI diritto di resistenza e liberalismo, in »Studi
Sassaresi«, Ill, Autonomia e diritto di resistenza, Milano); La dottrina penale
nella filosofia giuridica del criticismo, in Materiali per una Storia della
Cultura Giuridica, ICorso di filosofia del diritto, Ferrara, Editrice
Universitaria); La filosofia della pena nei secoli XVII e XVII: corso di
filosofia del diritto, Ferrara, De Salvia). Discutendo giurisprudenza con
Treves, pone il problema che sarebbe stato al centro di tutta la sua vita di
uomo impegnato nello studio, nell'insegnamento, nella vita civile. Interrogandosi
suI rapporto fra “rivoluzione” e “ordine giuridico”, vale a dire fra “fatto”
(de facto) e “diritto” (de iure), giunge alIa conclusione che da un punto di
vista epistemico-doxastico-giudicativo-conoscitivo-descrittivo non e possibile
distinguere tra ordine giuridico e regime di violenza, autoritatismo, perche il
diritto non e giusto per sua intrinseca natura, ma soltanto se e concretamente rivolto
ad attuare il valore del giusto e rispetto della persona umana. Il rapporto fra
forza autoritaria e la forza della legge, che da il titolo a uno suo
saggio, e la relazione fra diritto o gius come valore, costituisce infatti la
questione su cui non cessa mai di interrogarsi, nella prospettiva del
fondamento metafisico (escatologico, propriamente) del concetto di ‘giure’ non e
riducibile alla volizione o ragione pratica del legislatore propriamente
adgiudicato (alla Aristotele). In questo modo, Cattaneo indica la ricerca del giusto
come compito specifico della filosofia del diritto e pre-annuncia il suo
intero percorso filosofico caratterizzato da un assunto basilaro. La filosofia,
come assere Socrate, ha il suo carattere precipuo nel porre un problema
piuttosto che nel risolverlo o dissolverlo, e, come nel mito platonico della
caverna, l’analisi concettuale si muove suI piano della trascendenza
escatologica, diverso e superiore a quello della realta empirica o naturale. Anche
la filosofia giuridica, in quanto filosofia, e aperta alla escatologia metafisica
e, avendo come base la conoscenza del codice u ordine del diritto
romano-italiano *positivo*, pone il problema della sua valutazione escatologica
alIa luce del valore della dignita kantiana umana e del concetto di un “stato
di diritto”. Compito del filosofo non e dunque *descrivere* il diritto positive
fattico empirico esistente, ma conoscerlo per condurne una meta-analisi critica
al fine del suo adeguamento al modello ideale platonico socratico di giustizia
contro il neo-trasimaco di Hart. Il problema giuridico della rivoluzione. Il concetto di rivoluzione nella scienza e nel
diritto, Milano-Varese. Neokantismo nella filosofia del diritto di Treves, in
Diritto, cultura e liberta. Diritto e forza. Un delicato rapporto, Paova. La
filosofia del diritto: il problema della sua identita, in Filosofia del
diritto. Identita scientifica e didattica oggi, Cattania. IL tema del rapporto
tra Diritto e Letteratura è stato più volte trattato dal Prof. Mario Cattaneo
che ha pubblicato i seguenti saggi: ”Riflessioni sul <De Monarchia> di
Dante Alighieri” del 1978, “L’Illuminismo giuridico di Alessandro Manzoni” pubblicato
nel 1985 nelle Memorie del Seminario della Facoltà di Magistero di Sassari.,
“Carlo Goldoni e Alessandro Manzoni. illuminismo e diritto penale” nel 1987 e
“Suggestioni penalistiche in testi letterari “ del 1992. Nella Introduzione del
volume su Goldoni e Manzoni rileva che i rapporti tra diritto e letteratura e
la discussione di problemi giuridici in opere letterarie non sono stati in
generale molto studiati; non mancano tuttavia alcune ricerche concernenti
soprattutto il diritto nel teatro Sono stati compiuti degli studi sul
significato giuridico di alcune opere di Shakespeare da R. von Jhering
(1818-1892) e J. Kohler ed è stato esaminato il pensiero di alcuni poeti
tra cui in Italia soprattutto Dante del quale si sono occupati Carrara,
Vaturi , Vecchio, Mossini e lo stesso Cattaneo. Vi sono
importanti opere della letteratura europea che hanno affrontato problemi
giuridici rilevanti come il “Michael Kolhaas” pubblicato nel 1810 da H.
von Kleist e “Delitto e Castigo”
di Dostoevskijj,l’ Autore rileva peraltro che la presenza di temi giuridici
nella letteratura è particolarmente rilevante nell’illuminismo data la
sensibilità civile di questo movimento. Il volume è dedicato all’esame degli
aspetti giuridici – soprattutto di diritto penale – di due grandi autori
italiani: Goldoni ed Manzoni. Cattaneo rileva l’accostamento tra i due
grandi letterati deriva da alcuni elementi di contatto: Goldoni passò l’ultima
parte della vita in Francia e vide il declino dell’ancien regime francese e
Manzoni trascorse parte della giovinezza in Francia nel periodo napoleonico.
Goldoni visse gli ultimi anni della sua vita a Parigi nei primi anni della
Rivoluzione francese ma non sappiamo come abbia seguito le fasi della stessa
mentre Manzoni li seguì e scrisse l’ode “Del trionfo della libertà” che
manifesta le opinioni del suo Autore e verso la conclusione della vita scrisse
“La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859” un saggio
che fu pubblicato postumo e che, secondo Cattaneo, è ispirato a
sentimenti di libertà i due scrittori hanno un orientamento
differente Goldoni, bonario ed ottimista, esamina gli aspetti gioiosi
della vita pur con una punta di satira e critica della società mentre Manzoni
esamina gli aspetti essenziali e drammatici della esistenza umana, sotto
il profilo religioso Goldoni risulta tiepido ed alquanto indifferente mentre
Manzoni nelle sue opere affronta il problema religioso. Cattaneo
evidenzia che l’accostamento tra i due letterati è già stata istituita da
alcuni studiosi e cita l’opinione espressa da Ferdinando Galanti nel 1973
che evidenzia che Goldoni diede all’ Italia la nuova commedia, il ritratto
della vita sulla scena, Manzoni è importante per la nuova tragedia ed il
romanzo lasciando un popolo di caratteri originali, vivi e che rimarranno nella
memoria di tutti come figure casalinghe, parlanti, che saranno ereditate di
generazione in generazione quale caro tesoro di famiglia. Galanti ritiene che
Manzoni abbia continuato, nel cammino della verità, l’opera di Goldoni.
Questo giudizio è ripreso da Federico Pellegrini in uno scritto del 1907
che indica come elemento comune <il rispetto della natura> e ricorda i
giudizi favorevoli di Manzoni su Goldoni in materia di lingua. Pellegrini
rileva che nelle Commedie di Goldoni come nei Promessi Sposi l’esuberanza della
fantasia non offende la sobrietà dell’insieme e vi è una processione di
personaggi buoni e cattivi al di sopra dei quali vi è una idealità: la vittoria
del bene sul male, questo è la morale di tutti i drammi. Pellegrini raffronta
ed accosta i personaggi delle opere dei due letterati e conclude
affermando che: i geni si incontrano. Il Mazzoleni ha istituito un confronto
fra “I Promessi Sposi” e “La Putta onorata” commedia in cui Bettina,
fidanzata di Pasqualino, viene rapita dal marchese Ottavio. Le coincidenze tra
le due opere peraltro escludono l’influsso di Goldoni su Manzoni, per cui vi è
affinità non dipendenza. Il Petronio nel suo libro ”Parini e l
‘illuminismo lombardo” mette in rilievo che. “ben quattro volte l’Italia ha
tentato una letteratura realistica”: “Una prima volta con l’illuminismo, col
Parini e il Goldoni; una seconda con il romanticismo lombardo, i tentativi
generosi del Berchet nel verso e i risultati luminosi del Manzoni nella prosa;
una terza col verismo meridionale e la soluzione geniale ma singolare, senza
seguito, del Verga; una quarta in questo secondo dopoguerra” Passarella ha
associato Goldoni, Manzoni e Collodi nel suo studio “Goldoni filosofo” ed ha
definito i tre letterati “i più grandi umoristi del mondo” scrivendo che “Mentre
il Manzoni narra di lotte intime di uomini travolti dalla malvagità e Collodi
sorride delle cadute e degli sforzi di quel Pinocchio fatto di legno ed emotivo
e vivo di tutti gli elementi dell’essere umano, sintesi di tutta l’umanità
aggrappantesi sulla ripida china che conduce a essere degni di chiamarsi umani,
il sorriso col quale Goldoni guarda i suoi attori dice che il suo problema è la
socialità: scontri ed incontri, beffe e incomprensioni, cadute e risollevamento
nelle opinioni altrui” Cattaneo evidenzia anche che un breve cenno
comparativo tra Goldoni e Manzoni sotto il profilo giuridico è svolto anche da
A. C. Jemolo il quale scrive a riguardo che Goldoni, che aveva studiato
giurisprudenza, cercò nella commedia “L’Avvocato veneziano” di darci una
figurazione di avvocato virtuoso, per cui la toga è davvero una divisa di
soldato: Manzoni nel mondo del diritto non ci ha lasciato che la immagine
imperitura di Azzecca-garbugli, il ricordo caricaturale delle Gride dei
Governatori e quello del conte-zio, alto burocrate del suo tempo, il quadro
atroce dei giudici della Colonna infame. Padoan ha rilevato in un suo
scritto che << anche oggi, e non senza qualche ragione, potremmo indicare
in Goldoni una polemica contro l’ozio nobiliare, anteriore al Parini; un
atteggiamento di interesse verso il mondo degli umili, che non fu senza
influenza sul Manzoni…>>> Cattaneo conclude l’introduzione
al volume affermando che le citazioni prima esposte sono sufficienti a
giustificare la trattazione dei due autori in un unico volume , la sua
analisi prende in considerazione la visione del problema giuridico dei due
scrittori ed analizza il pensiero giuridico nelle sue premesse di fondo.nelle
sue fondazioni filosofiche, nella misura in cui fare questo è possibile; a tal
fine ritiene che l’elemento unificatore dei due autori in relazione al diritto,
indicato anche nel titolo è l’illuminismo L’autore evidenzia che
nel Goldoni avvocato, difensore della professione forense, che mette in rilievo
diversi problemi giuridici in molte sue commedie, si risente, in modo non
marcato, l’influenza dell’Illuminismo, che è la radice della sua satira
sociale, della sua garbata critica della nobiltà e delle disuguaglianze
sociali, come in Manzoni critico della giustizia umana e della incertezza
giuridica, che satireggia i pubblici funzionari e gli avvocati,
raccogliendo l’eredità del grande nonno Cesare Beccaria (1738-1794) In
conclusione Cattaneo ritiene che, oltre le apparenti differenze,.<< sia
rintracciabile, nel pensiero di Goldoni e di Manzoni, il filo conduttore dato
dai principi fondamentali dell’illuminismo giuridico, principi che si possono
individuare essenzialmente nella certezza del diritto e nella dignità della
persona umana>> Nel primo capitolo del volume l’autore
riferisce degli <Studi su Goldoni avvocato> rilevando che la critica ha
tenuto presente in modo primario del significato letterario delle sue
opere un breve cenno agli studi giuridici di Goldoni era stato fatto da
un grande recensore contemporaneo al commediografo Friedrich Schiller
(1759-1805) nelle due recensioni alla traduzione tedesca dei
“MÉMOIRES.” nella letteratura italiana Zanardelli, importante esponente
dell’Italia risorgimentale, cita Goldoni in alcuni passi del volume
“L’Avvocatura” soffermandosi sulla figura della commedia “L’Avvocato
veneziano” delineato come il tipo ideale dell’avvocato. Gli scritti
italiani più importanti dedicati a Goldoni avvocato, scarsamente ricordati
nelle bibliografie goldoniane, sono opere di due studiosi parenti di Cattaneo.
Il primo è l’articolo “Carlo Goldoni avvocato” di Alessandro Pascolato
(1841-1905) il secondo è di Mario Cevolotto, avvocato di Treviso
Il Pascolato rifiuta la tesi che Goldoni sia stato un dilettante della
giurisprudenza ed afferma la reale e profonda cultura giuridica attestata
dall’esercizio dell’attività forense a Pisa dove vinse persino tre cause in un
mese e che evidenziano il carattere schietto e buono anche in mezzo ai volumi
dei dottori; il Cervolotto esamina gli studi giuridici di Goldoni di tre anni a
Pavia, ad Udine nel 1726, la sua attività di coadiutore del cancelliere
criminale a Chioggia nel 1728 e la sua laurea in legge a Padova del 1731. Un
capitolo è dedicato alla attività professionale a Pisa (1744-1748) dove
esercitò più nel criminale che nel civile. Il penultimo capitolo è dedicato
all’esame degli aspetti giuridici delle commedie goldoniane specie la commedia
“L’Avvocato veneziano” che costituisce una esaltazione del foro veneto e altre
note commedie. Cervolotto ritiene che Goldoni fu senza dubbio giurista, oltre
che avvocato di valore non certo mediocre o comune evidenziando i buoni studi
benché saltuari da lui compiuti e la sua conoscenza di molte questioni
giuridiche presenti nelle sue opere. Cattaneo cita anche gli studi Gaetano
Cozzi e di Gianni Zennaro Il secondo capitolo è intitolato
“Goldoni, la procedura criminale e Il problema penale” e Cattaneo riporta
un passo dei “Mémoires” di Goldoni che tratta il tema della procedura criminale
ed è commentato dal Pascolato che rileva che <<quella procedura
criminale, colla continua ricerca della verità, coll’assiduo studio dei
caratteri, lo aveva ammaliato: è una lezione interessantissima per lo studio
dell’uomo. Di verità e di caratteri Goldoni faceva allora provvisione per i
giorni, ancora lontani, della sua gloria. E intanto voleva diventare
cancelliere>> Goldoni sottolinea la presenza nel diritto
vigente di limiti posti all’inquisizione dell’imputato, a tutela di questi ma
non appaiono nelle sue opere chiari intenti riformatori della procedura
criminale. IL terzo capitolo è intitolato “L’Avvocato veneziano: Goldoni fra
diritto civile e diritto naturale” Cattaneo rileva che Goldoni stesso mette in
rilevo i due fondamentali temi della commedia: la difesa della onorabilità
della professione forense mettendo in scena la figura di un avvocato onesto ed
onorato e la contrapposizione di due sistemi giuridici e giudiziari, quello di
diritto comune e quello veneto, dando a quest’ultimo la preferenza; la
commedia come è stato evidenziato da alcuni studiosi, rompe una tradizione
letteraria e teatrale di derisione e messa in cattiva luce della figura
dell’avvocato, dell’uomo di legge che troveremo invece nella figura
completamente negativa del dottor Azzeccagarbugli ne “I Promessi sposi”
Il quarto capitolo si intitola “Il giusnaturalismo illuministico di
Goldoni: <<La Pamela>> e altre opere” Cattaneo rileva che le
radici illuministiche e giusnaturalistiche del Goldoni si manifestano in
rapporto alla procedura penale, al diritto penale, al problema delle fonti del
diritto, ai rapporti fra la funzione del giudice e le opinioni dei giuristi. Il
giusnaturalismo e l’Illuminismo di Goldoni si manifestano soprattutto nelle
opere teatrali aventi come oggetto, o come sottofondo, il tema fondamentale
della uguaglianza fra gli uomini, al di là delle differenze fra le classi
sociali. Tra le opere significative per questa prospettiva giuridica teatrali
emergono “La Pamela”, “Il Cavaliere e la Dama”, “Il Feudatario” “Le femmine
puntigliose” il dramma giocoso per musica “I portentosi effetti della Madre
Natura” e la tragicommedia (così definita dall’autore stesso) in versi “La
bella selvaggia” che trattano il contrasto tra natura e società, infine la
commedia in versi “La peruviana” che vengono esaminate negli aspetti più
essenzialmente rilevanti sotto il profilo filosofico-giuridico
dall’autore che conclude il capitolo affermando che: “Quando si
trattava dei valori supremi, come la pace, anche Goldoni sapeva essere
religioso e invocare la grazia del cielo” La seconda parte del volume è
dedicata all’analisi di Alessandro Manzoni. Il primo capitolo si intitola
“Studi su Manzoni e il diritto” e Cattaneo passa in rassegna gli studi
esistenti dedicati espressamente ed esclusivamente o all’idea di giustizia nel
pensiero di Manzoni, o agli aspetti giuridici della sua opera. L ‘autore
commenta il lungo articolo di Michele Zino del 1916 “Il diritto privato nei “
Promessi Sposi”, esamina poi l’articolo di Alessandro Visconti “Il pensiero
storico-giuridico di Alessandro Manzoni nelle sue opere” del 1919. Il più
importante e più completo studio sul pensiero giuridico di Manzoni è il volume
di Roberto Lucifredi del 1933 “Alessandro Manzoni e il diritto”. Tale volume si
conclude con alcune considerazioni generali sulla mentalità giuridica di
Manzoni e Lucifredi ritiene che Manzoni era molto dotato per lo studio del
diritto e sarebbe divenuto un ottimo cultore delle discipline giuridiche, un
ottimo magistrato, un ottimo avvocato nel senso più nobile della parola e della
funzione.. Nel 1939 Fortunato Rizzi ha pubblicato il volume “Alessandro
Manzoni. Il Dolore e la Giustizia” di cui la terza parte è dedicata al
problema della giustizia. Nel 1942 è uscito il saggio di Enrico Opocher “ Il
problema della giustizia nei Promessi Sposi” in cui ribadisce che tutto
il capolavoro manzoniano è essenzialmente un poema sulla giustizia e conclude
affermando: ”I Promessi Sposi non costituiscono soltanto la storia attraverso
cui la Provvidenza sana le sofferenze del giusto, ma anche, e vorrei dire
soprattutto, la storia attraverso cui la Provvidenza feconda queste sofferenze,
facendone lo strumento della redenzione degli oppressori” Nel 1961 il Tanarda
ha pubblicato uno scritto “Il diritto nell’opera di Alessandro Manzoni”
in cui ribadisce che Manzoni era cresciuto in una famiglia coperta da una
grande aureola giuridica, nipote di Cesare Beccaria, familiare dei Verri, amico
di Rosmini; per lo scrittore lombardo l’uso del diritto autentico non può mai
contrastare con la morale. Concludo ricordando la strenna natalizia
dell’editore Giuffrè pubblicata in occasione del bicentenario manzoniano con il
titolo “<Se a minacciare un curato c’è penale>”Il diritto nei
Promessi Sposi” con saggi di noti docenti quali E. Opocher e S. Cotta.
(1920-2007) Il secondo capitolo si intitola “Valori morali, giustizia, diritto
naturale” Cattaneo ritiene opportuno esaminare la concezione manzoniana della
giustizia, anche nelle sue premesse teoriche sulla base sia di alcuni brani, di
pensieri inediti e di scritti di sapore filosofico. Dalla analisi di due
postille redatte da Manzoni e da un brano scritto dallo stesso Cattaneo deduce
che il grande scrittore lombardo esalta la tesi della certezza delle verità
morali, tra le quali l’idea del giusto istituendo un paragone tra verità morali
e verità matematiche. Secondo Cattaneo questo brano manzoniano è
affine alla dottrina platonica delle idee espressa nel dialogo
“Parmenide” , vi è inoltre una affinità con Kant che afferma che non è
cosa assurda pretendere di far derivare il concetto di virtù dall’esperienza,
perché ciò significherebbe fare della virtù qualcosa di ambiguo e di mutevole
secondo le circostanza. In realtà è sulla base della idea di virtù che si
giudicano gli esempi empirici di virtù e di comportamento morale.
L’Autore richiama anche la filosofia di Rosmini, il più grande filosofo
italiano dell’Ottocento, la cui filosofia si fonda sull’idea dell’essere e cita
un brano del “Nuovo saggio sull’origine delle idee” .Va anche evidenziato
che Manzoni ribadisce una sostanziale e piena identità fra morale e religione,
come si rileva dal capitolo III delle “Osservazioni sulla morale cattolica “
dedicato alla critica della distinzione fra filosofia morale e teologica.
Cattaneo sottolinea che per Manzoni le leggi umane non raggiungono mai la
giustizia, viceversa, la religione conduce naturalmente alla giustizia, senza
ostacoli, perché si appella alla coscienza, perché porta a dare volontariamente
(in vista di un bene futuro), il che non provoca opposizioni, ma solo
ringraziamenti e benedizioni. Il capitolo terzo si intitola “Le gride e
l’illuminismo giuridico ne < I Promessi sposi>”. Cattaneo rileva
che se il problema morale e religioso della giustizia pervade tutta l’opera di
Manzoni, ed in particolare il suo celebre romanzo, Stefano Stampa, figliastro
dello scrittore lombardo, narra che Manzoni dichiarò che la prima idea del suo
romanzo gli venne dalla lettura della grida fatta vedere dal dottor Azzeccagarbugli
a Renzo, nella quale sono minacciate pene contro coloro i quali <con
tirannide> e con minacce costringono un prete a non celebrare un matrimonio.
Dall’esame dei brani di ”Fermo e Lucia” e dei “I Promessi sposi” risulta
che Manzoni muove una pesante critica al sistema, in quei tempi diffuso, di
consorterie e di caste, inoltre, descrivendo criticamente la società e la
situazione giuridica di Milano sotto la dominazione spagnola, indica
chiaramente il modo in cui le leggi penali non dovrebbero essere e le
caratteristiche che le stesse non dovrebbero avere Il risultato pratico
di quella legislazione è da un lato l’impunità del colpevole e dall’altro
la vessazione degli innocenti e dei privati indifesi da parte
dell’autorità Manzoni raccoglie l’eredità dell’Illuminismo giuridico
nella critica alla proliferazioni delle leggi e dell’incertezza giuridica, che
può sorgere sia dalla mancanza di determinazione precisa delle fattispecie
penali, sia dalla enumerazione eccessivamente prolissa dei delitti, a questa
critica è connessa la denuncia dell’arbitrio degli esecutori della legge, che
possono aumentare a capriccio le pene delle gride ed ai quali è sottoposta ogni
mossa dei cittadini Lo scrittore lombardo critica anche la comminazione
di pene sproporzionate, misura considerata ingiusta ed inefficace per la
prevenzione dei crimini, l’impunità dei colpevoli è indicata dagli illuministi
come il risultato pratico che spesso deriva dalla eccessiva severità o crudeltà
delle pene. Il quarto capitolo si intitola “La critica
dell’utilitarismo e della prevenzione sociale”. Cattaneo sottolinea che la
sfiducia di Manzoni nella giustizia penale umana si traduce in un atteggiamento
critico verso la prevenzione generale come compito e funzione della pena, che
si riscontra in numerosi passi de “I Promessi Sposi”; l’autore cita a proposito
il brano del capitolo V in cui è inserita la conversazione alla tavola di Don
Rodrigo, a cui assiste Padre Cristoforo, relativa al tema della carestia. Il
conte Attilio raccoglie la tesi che la carestia dipenda dagli intercettatori e
dai fornai che nascondono il grano e ribadisce che bisogna impiccare senza
misericordia tali delinquenti senza processi, in tal modo il grano sarebbe
saltato fuori da tutte le parti.. Questo brano rappresenta la mentalità
violenta ed aggressiva che sta alla base della teoria della pena come
<esempio>, cioè una pena esemplare esorbitante rispetto alla effettiva
colpevolezza del reo, mirata esclusivamente a <dare un esempio> agli
altri, per uno scopo sociale ed utilitaristico; in tal modo viene peraltro
giustificata la punizione dell’innocente. In altri passi del celebre
romanzo manzoniano si rileva un atteggiamento mirato ad indicare non solo
l’ingiustizia ma anche l’inefficacia e l’inutilità della prevenzione generale,
unitamene ad una condanna della moltiplicazione dei supplizi, che finisce per
favorire l’impunità, come messo n evidenza dagli scritti di molti giuristi
illuministi. Significativo è a riguardo la conversione dell’Innominato e le
ragioni per cui il potere pubblico non intende procedere contro lo stesso per i
suoi passati delitti, in al modo viene dimostrata l’inefficacia della punizione
nel caso di una persona che ha cambiato vita perché questa potrebbe avere solo
l’effetto opposto a quello voluto Nel penultimo capitolo il commento di
Manzoni sulla situazione del bando di Renzo dal Ducato di Milano dopo le
vicende della giornata di San Martino denota la tesi dell’impunità come
risultato dell’eccessiva proliferazione di minacce legislative e del carattere
esorbitante, situazione che porta ad una frattura tra il comando legislativo e
l’esecuzione della pena. Cattaneo conclude il capitolo istituendo un
parallelo sostanziale ed oggettivo (se pure a qualcuno potrà apparire sforzato)
tra Manzoni e Kant, dato che: “la visione della morale, nonché del
diritto, ed in particolare del diritto penale è svolta in una prospettiva
anti-empiristica e ani-utilitaristica, ed è caratterizzata da un
<liberalismo cristiano >, vòlto a difendere la persona umana da ogni
prevenzione collettivistica e <sociale>” Il quinto capitolo
si intitola“ La storia della Colonna Infame” L’autore ribadisce che il
motivo fondamentale della critica conto la ragione di stato, contro
l’utilitarismo sociale, contro il prevalere dell’interesse generale e
sociale sui diritti individuali sta alla base dello scritto “Storia della
Colonna Infame” due anni dopo l’edizione
definitiva de “I Promessi Sposi”.. Di recente tale opera ha sollevato critiche
severe sotto il profilo storiografico e si è accusato il Manzoni di non essere
uno storico, ma di guardare alla storia da moralista, sul modello del
cosiddetto <astrattismo> illuministico settecentesco, e quindi di non
studiare le vicende storiche con partecipazione e simpatia ma di giudicare i
comportamenti umani secondo un codice morale superiore Tale critica è stata
formalizzata da Benedetto Croce . Dopo una lunga ed attenta analisi dello
scritto e di alcuni dei suoi maggiori studiosi Cattaneo conclude che i punti di
vista in relazione ai quali il volume manzoniano ha dato un importante
contributo sono tre: 1) Manzoni ha dato un contributo alla comprensione della
storia, affermandone la non inevitabilità e questo punto ha suscitato le
maggiori discussioni interpretative e le reazioni negative dei seguaci dello
storicismo. 2) Tale scritto manzoniano, come ha sottolineato Giuseppe Rovani,
<non è per nulla inferiore alle altre opere del Manzoni, anzi rivela il suo
ingegno e la sua dottrina e la profonda sua acutezza anche nelle materie
giuridiche> Tale scritto è un’opera giuridica, è senza dubbio la più
giuridica del Manzoni. 3) Il significato più importante del libro è quello
morale, come rilevato da Tenca, Rovani e Passerin d’Entreves (1902-1985) e
consiste nella difesa del libero arbitrio, della libertà del volere e nella
rivendicazione della responsabilità morale dell’uomo. Libertà interiore
dell’uomo, responsabilità morale, dignità umana; questo è il trinomio in cui
Manzoni fonda la sua lezione morale o, come potremmo dire, la sua lezione
etico-giuridica Il sesto capitolo si intitola “Manzoni e la
criminologia” L’autore evidenzia che l’analisi della “Storia della
Colonna Infame” ha portato a mettere in rilievo l’idea del libero arbitrio
dell’uomo quale elemento centrale dell’impostazione manzoniana dei problemi
giuridico-penali, della sua condanna dell’operato dei giudici milanesi del
1630. Vi sono studiosi come Graf e Sergi che hanno creduto di vedere in
tale opera di Manzoni ed in alcune figure di criminali de “I Promessi Sposi”
dei precorrimenti delle correnti criminologiche sviluppatesi nell’ambito della
Scuola positiva di diritto penale, che, rileva Cattaneo, ha respinto l’idea del
libero arbitrio dal problema dell’imputabilità penale ed ha seguito la strada
del determinismo. L’autore esamina in particolare lo scritto di C Leggiadri
Laura “Il delinquente ne <Promessi Sposi> rivolto ad interpretare il
pensiero manzoniano in chiave naturalistico-deterministica e lo
scritto del Preve “Manzoni penalista” che segue l’interpretazione del Leggiadri
Laura e delinea nelle figure dei criminali del romanzo i tipi classificati
dalla scienza lombrosiana. Dopo un attento esame critico di numerosi passi
delle opere dei due autori prima citati e di altri studiosi Cattaneo
conclude che non ritiene valida la concezione di Manzoni come precursore del
positivismo penale e criminologico, dato che per i positivisti non è questione
di giustizia e di libertà del volere, bensì di determinismo e di difesa
sociale Il settimo si intitola “Manzoni teorico generale del
diritto?” Secondo l’autore la forma mentis giuridica di Manzoni appare
evidente anche negli scritti storici e storico-giuridici, in particolare essa
si manifesta in modo tipico nel “Discorso sur alcuni punti della storia
longobardica in Italia” oltre che nello scritto postumo sulla Rivoluzione
francese. Cattaneo mette in evidenza un aspetto meno noto che è peraltro
presente nel libro: le osservazioni concernenti il rapporto tra Romani e
Longobardi e le leggi regolanti la loro convivenza, osservazioni che sono di
natura di <<teoria generale del diritto>. Le osservazioni
riguardano in particolare la concessione data agli Italiani di vivere
secondo la legge romana che fu considerata dal Muratori <un bel tratto di
clemenza, e una prova, fra le mole, della dolcezza e saviezza dei conquistatori
longobardi> Manzoni dimostra una sensibilità moderna perché si preoccupa
secondo C. di rendersi conto di come fosse strutturato l’ordinamento giuridico
sotto i Longobardi e evidenzia la <struttura a gradi> dell’ordinamento
giuridico, per dirla come Kelsen e definisce alcune norme <leggi
costituzionali>, le leggi così designate sono le <norme di competenza>
di Ross e le <norme secondarie> di Hart, cioè le norme che
conferiscono il potere di emanare, modificare, abrogare le altre norme,
concernenti direttamente il comportamento dei cittadini. Manzoni si preoccupa
di esaminare quali fossero le norme di statuto, di competenza o secondarie,
espressione del potere longobardo, le quali regolavano la permanenza delle
leggi romane, che regolavano il comportamento dei cittadini di origine
romana. L’ottavo capitola si intitola “Manzoni e la Rivoluzione
francese” Il rapporto tra Manzoni e la Rivoluzione francese durò in varie
forme per tutta la vita del letterato lombardo. Questi visse molti anni in
Francia nel periodo napoleonico, nel 1800 a 15 anni scrisse il “Trionfo della
Libertà“ un poemetto di sentimenti giacobini ed anti-monarchici con la
condanna delle spietate repressioni penali. Nel ”5 Maggio” Manzoni fornisce un
giudizio equanime su Napoleone dapprima glorioso e poi rapidamente caduto
e rileva la caducità degli idoli umani Nel dialogo “Dell’Invenzione”
Manzoni esamina la figura di Robespierre ed abbandona il cupo giudizio di
<mostro> del politico francese pur non abbandonando la tesi di una
responsabilità avuta da Robespierre nel Terrore ridimensionata dalle moderne
storiografie Lo studio che esprime nel modo più chiaro il rapporto di
Manzoni con la Rivoluzione francese è il saggio pubblicato postumo a cura di
Ruggero Bonghi “La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del
1859” I motivi su cui si basa La critica di Manzoni alla
Rivoluzione francese sono A) La mancanza di un giusto motivo per la
distruzione del governo di Luigi XVI e di una autorità competente nei deputati
del Terzo Stato che ne furono gli autori B) Questa distruzione avvenne indirettamente
ma effettivamente in conseguenza dei loro atti C) Il nesso di queste
cause con gli effetti indicati Le riforme legittime, sentite dal popolo
francese, avrebbero potuto avvenire per vie pacifiche e legali; Manzoni
peraltro non si rende conto che la sua critica non tiene conto della situazione
dell’ancien régime, in cui il potere trovava la legittimità dal diritto divino
mentre la critica da lui avanzata è accettabile entro i presupposi
giuridico-costituzionali creati dalla Rivoluzione francese Il letterato
lombardo sottolinea l’aumento del dispotismo dal Terrore, al Direttorio,
al bonapartismo come risultato immediato degli atti iniziali della Rivoluzione
francese. Trattando della “Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo”
Manzoni discute il suo rapporto con la precedente Dichiarazione americana
sottolineando le differenze. Lo scritto di Manzoni ha senza dubbio il merito di
evidenziare il contrasto fra gli ideali e le realizzazioni pratiche della
Rivoluzione francese, nella sua critica lo scrittore lombardo critica, come in
altre opere, il potere politico umano che riveste in forme giuridiche la
sostanza dell’arbitrio e della prepotenza ed ad esso contrappone il valore
assoluto dell’idea del diritto, che è <una verità> Tale
considerazione induce Cattaneo a proporre un altro parallelo fra la posizione
di Manzoni e quelle di Kant e Robespierre. Kant ha negato il diritto di un
popolo alla rivoluzione ed ha considerato l’esecuzione di Luigi XVI un crimine
inespiabile ma nello stesso tempo è stato un convinto sostenitore della
Rivoluzione francese; Robespierre <rivoluzionario legalitario, giudicato non
equamente dal Manzoni, fu un uomo dal forte sentimento giuridico e, nel momento
della sua caduta,pur proscritto e ricercato all’Hotel de la Ville, benché
fosse esortato dagli amici a redigere un appello all’insurrezione popolare
esitò e si chiese <Au nom de qui?> come è attestato dalla
sorella Charlotte Nella lunga ed articolata conclusione C.
ribadisce che il pensiero giuridico di due letterati ha numerosi elementi in
comune e svolge alcune considerazioni sul metodo seguito. L’autore evidenzia
che il suo saggio ha <un taglio diverso> dagli studi citati sull’attività
forense di Goldoni, sul significato riformatore delle sue commedie e sulle
implicazioni politiche del pensiero di Manzoni. Il punto di vista seguito
nel volume dal docente è quello della considerazione a un lato del diritto come
<categoria autonoma>, dotato delle sue specifiche caratteristiche e
dall’altro del diritto inteso come fondato filosoficamente, posto in relazione
con problemi storici, politici e sociali. Lo studio degli aspetti giuridici e
dei problema del diritto nl pensiero e nell’opera di Goldoni e Manzoni non è
stato disgiunto all’esame dei temi della riforma sociale e della riflessione
politica nella loro attività letteraria. Il punto di vista seguito sempre
dall’autore , come da lui steso dichiarato, è stato quindi¨<quello
dell’ autonomia del diritto , ma non inteso secondo una prospettiva
meramente logico-formale, bensì basato su una fondazione filosofica, e dotato
di rilevanza politica. >. L’angolo visuale usato come punto di riferimento
per i due letterati è l’illuminismo giuridico. L’illuminismo è coevo di
Goldoni, che anticipa Rousseau nella proclamazione del principio
dell’uguaglianza naturale ed è aperto al problema della riforma sociale,come è
riconosciuto da numerosi interpreti delle sue opere. I rapporti tra Goldoni e
l’illuminismo giuridico sono più evidenti nel passo dei “Mémoires “ sulla
procedura criminale e nelle commedie L’uomo prudente e L’Avvocato
veneziano . Manzoni è posteriore all’illuminismo ma l’autore ha cercato di
indicare la presenza di una eredità Illuministica, con riferimento ai problemi
giuridici, ne “I Promessi sposi” e nella “Storia della Colonna
infame” dove peraltro sono presenti degli elementi di superamento delle
concezioni illuministiche. Il docente ritiene di rifiutare la tesi diffusa
di coloro che interpretano Manzoni esclusivamente dall’angolo visuale della
linea agostiniana-pascaliana con venature giansenistiche negando il profondo
legame con l’illuminismo, in realtà Manzoni si dimostra erede dell’illuminismo
per l’habitus mentale razionalistico del suo pensiero, per la sua considerazione
della ragione e per la sua ricerca delle radici razionali della fede; in tal
modo il grande scrittore lombardo fa propria l’eredità migliore
dell’illuminismo, il filone etico-religioso che si contrappone al filone ateo e
materialistico di alcune correnti. Ragonese e
Caretti hanno bene sottolineato i rapporti tra Manzoni e
l’illuminismo. Cattaneo conclude il suo volume ribadendo che il motivo comune
fondamentale di Goldoni e Manzoni è il principio cristiano ed illuministico (e
kantiano) della dignità umana. In Goldoni questo principio è meno
evidente ma è legato soprattutto all’idea della comune natura umana, al di là
delle differenze sociali, che appare in numerose commedie ed opere drammatiche,
in Manzoni la difesa della dignità umana è svolta ad un livello di maggior
profondità ed è connessa ad una prospettiva religiosa come traspare chiaramente
dal testo recitato dal coro de “Il Conte di Carmagnola” Nella
Appendice viene riproposto lo studio di Alessandro Pascolato “Carlo
Goldoni Avvocato” pubblicato su “Nuova Antologia” Cattaneo pubblica
“Suggestioni penalistiche in testi letterari”. Il libro, che è dedicato
alla memoria del Prof. Renato Treves, per molti anni ordinario di Filosofia del
Diritto all’Università degli Studi di Milano, tratta le opere di numerosi
letterati. Il libro, che si articola in 12 capitoli ed una appendice, tratta
di scrittori che nelle loro opere hanno affrontato il tema
della pena o problemi di natura giuridica. Il lavoro, rileva l’Autore, non ha
avuto una genesi unitaria Il primo saggio scritto riguardava Parini, un
“poeta civile” rappresentante di un Illuminismo cristiano ed equilibrato, è
seguito il saggio su Collodi (1826-1890), l’uomo del Risorgimento che ha
combattuto a Curtatone e che mostra nel suo aperto scetticismo nei confronti
della legge e dell’autorità costituita una opinione diffusa di molti uomini
dell’Italia post-unitaria tra cui il grande giurista liberale Carrara..Il terzo
saggio è stato dedicato a Foscolo che nello scritto < L’orazione sulla
giustizia> ed altri due scritti <La difesa del sergente Armani> ed
<una lettera al “Monitore Italiano”> tratta problemi relativi alla
pena Il primo saggio del volume si intitola “Studi Dante e il diritto
penale” Lo studio riguarda il rapporto tra il grande poeta Dante ed il
diritto penale.. Cattaneo rileva che gli studi di storici e filosofi del
diritto che hanno trattato il pensiero giuridico di Dante hanno trascurato
l’aspetto penalistico. Dante non si è occupato di diritto penale ma l’analisi
del suo capolavoro mostra un elaborato sistema di rapporti tra colpa e pena.
Numerosi studiosi hanno rilevato che le pene crudeli descritte nell’Inferno del
poema dantesco sono molto lontane dalle prospettive della legislazione penale
moderna anche se occorre distinguere tra la prospettiva morale e religiosa del
poema dantesco e le finalità delle legislazioni penali attuali Dante peraltro
opera una distinzione tra peccati puniti fuori e dentro la città di Dite che
può corrispondere ad una distinzione tra peccati e delitti, il più
rilevante contributo indiretto dato da Dante al diritto penale è il criterio di
graduazione delle gravità delle colpe e le corrispondenti pene come è stato
evidenziato da Giorgio Del Vecchio. Il maggior contributo diretto
di Dante alla cultura giuridica moderna sono l’affermazione del principio
di uguaglianza e di personalità delle pene e l’affermazione della volontà del
volere dell’uomo quale presupposto della conseguente valutazione del merito o
del demerito delle sue azioni. Cattaneo conclude che:” Certamente, fare
apparire Dante come un grande giurista, un grande penalista, può risultare
sforzato e retorico,…..Ma nello stesso tempo, non è assolutamente possibile e
lecito ignorare il contributo, diretto o indiretto, che Dante ha dato anche al
diritto penale; la Divina Commedia è un costante punto di riferimento per
qualunque problema, religioso, filosofico, umano; ricordo che mio Padre
diceva che nella Commedia <<c’è tutto>>” Nella introduzione
ho accennato a due recenti approfonditi studi su Dante ed il diritto, un tema
caro a molti studiosi Il secondo saggio si intitola “Giuseppe Parini e
L’Illuminismo giuridico”. Cattaneo rileva che Parini, sacerdote non
per vocazione ma uomo profondamente credente, fu sensibile a numerosi ideali
illuministici di riforma civile ed attraverso una delle sue Odi riprende
le idee illuministiche sul diritto penale, che propugnavano il principio
umanitario della doverosità della mitigazione delle pene considerando
l’inefficacia di pene eccessive in determinati contesti sociali. Vi è dunque
una continuità di principi da Parini, cattolico ed illuminista, a Manzoni e
Rosmini, cattolici liberali, una continuità di principi ed ideali umanitari
relativi al problema della pena e nell’ode Il bisogno è presente una concezione
penale cristiana ed illuminista. Cattaneo conclude il suo saggio
affermando che Parini poeta civile e morale interpreta il momento migliore
dell’Illuminismo e si fa portavoce dei suoi più significativi valori. Il
terzo saggio si intitola “Ugo Foscolo e la giustizia come forza”.
L’Autore rileva che notoriamente Foscolo fu un poeta impegnato nelle
vicende politiche del suo tempo segnato dalla rivoluzione francese e
dall’epopea napoleonica. Negli scritti di natura penalistica il poeta
accoglie i principi della dottrina giuridica illuministica, come la difesa
della certezza del diritto ed il rispetto delle garanzie processuali. Foscolo
inoltre critica la teoria della retribuzione morale e quella della prevenzione
generale. Il quarto capitolo è intitolato. “Le <veglie notturne> di
Bonaventura e la critica dei giuristi” un libro tedesco poco conosciuto
in Italia, opera uscita anonima nel 1805 a Penig (Sassonia) presso il poco noto
editore F Dienemann, che l’aveva pubblicata nel suo <Journal von neuen
deutschen Original Romanen>. Cattaneo evidenzia che nelle pagine dedicate a
temi giuridici viene messo in rilievo l’invito a rendere il diritto più umano
ed a metterlo al servizio degli uomini. La descrizione del giudice freddo
paragonato ad una macchina o ad una marionetta, il rimprovero ai giuristi che
si assumono il compito di tormentare i corpi, come i teologhi tormentano le
anime, l’uccisione della giustizia da parte dei tribunali, il richiamo al
diritto naturale, che dovrebbe essere il vero diritto positivo, la critica di
una giurisprudenza svincolata dalla morale sono chiari segnali di una
aspirazione ad umanizzare il diritto, specie quello penale. Il V capitolo è
intitolato “Heinrich Heine e la satira delle teorie della pena”
L’Autore analizza il breve scritto che Heine aveva aggiunto quale
appendice al suo volume “ Lutezia”, opera scritta tra il 1840 ed il 1843. Lo
scritto è dedicato al problema della riforma delle prigioni ed alla
legislazione penale e porta il titolo <Gefaengnisreform und
Strafgesetzgebung>. Il saggio, pur nella brevità, è un esame attento
delle teorie fondamentali della pena. Cattaneo suggerisce che l’analisi
critica del poeta si traduce in una satira delle dottrine della retribuzione,
dell’intimidazione e dell’emenda e coglie i punti centrali di tali concezioni.
Heine sottolinea l’ingiustizia della teoria dell’intimidazione generale
ed evidenzia il carattere patriarcale e paternalistico delle teoria
dell’emenda. Nell’esaminare il principio di una prevenzione dei delitti
commessi con mezzi diversi dalla pena, Heine ritiene che bisogna agire con
durezza, reclusione ed addirittura con la pena di morte concepite come
prospettiva di difesa sociale. Cattaneo rileva che è sempre più chiara e più
facile la parte negativa della filosofia penale, cioè la critica delle dottrine
sulle pena che la parte costruttiva cioè l’indicazione di un fine
positivo nella funzione penale. Heine critica inoltre il sistema
carcerario filadelfiano e quello auburniano Il capitolo VI è intitolato
“Victor Hugo e la pena come fonte di delitti” L’Autore rileva che il
problema giuridico penale è presente nell’opera letteraria di Hugo con una
severa critica del sistema penale dell’epoca e la sua difesa della dignità
dell’uomo. Il problema emerge chiaramente nel celebre romanzo “Les
Miserables” e nel suo protagonista l’ex-forzato Jean Valjean. Il romanzo
affronta il problema di una pena sproporzionata ed inumana, che è causa di
nuovi delitti e di una spirale indefinita di reati e pene successive. Il tema è
sviluppato nella figura centrale di Valjean. Tutte le tragiche vicende
del protagonista nascono da un tentativo di furto dovuto alla miseria ed alla
fame; a causa del furto di un pezzo di pane,che poi viene gettato via,Valjean è
condannato a 5 anni di detenzione e, in seguito a tre successive evasioni di
breve durata, la sua detenzione dura ben 19 anni. Vi è una enorme
sproporzione tra il danno causato dal reato e la pena che trasforma ed
indurisce Valjean, la cui psicologia viene analizzata in profondità da Hugo. La
pena continua a gravare su Valjean anche dopo la liberazione per cui questi
riesce a lavorare solo per una giornata data la sua qualità di ex-forzato. Hugo
critica sia l’atteggiamento di diffida e di rifiuto di tutta la popolazione sia
la macchia di infamia stabilita dalla legge. Cattaneo rileva che è ammirabile
la battaglia combattuta da Hugo contro la pena di morte, la sua denuncia
della sproporzione tra la gravità dei delitti e le pene, la critica
dell’assurdo criterio nel valutare la recidiva. Queste battaglie sono
importanti contributi all’evoluzione del diritto penale ed alla difesa della
dignità umana. Il settimo capitolo è intitolato “Dostoevskij la
coscienza e la pena”. L’Autore evidenzia la centralità del tema del
delitto, della colpa e della pena nello scrittore russo, come è stato rilevato
nel profondo scritto di Italo Mancini, che ha evidenziato sia la validità di
una ricerca su Dostoevskij pensatore e filosofo sia che per lo scrittore
russo < la questione penale non rappresenta solo un contenuto ma il
contenuto>. Pietro Gobetti a proposito dei personaggi dello scrittore russo
ha rilevato che <I suoi personaggi non si sforzano mai di arrivare ad una
verità, ma piuttosto di chiarire e capire sé stessi>> Nel volume “I
ricordi della casa dei morti “ lo scrittore russo ricorda l’esperienza
personale della prigionia in Siberia e sottolinea chiaramente
l’incapacità del carcere di procurare l’emenda del reo dato che
Dostoevskij rileva che nel corso di parecchi anni non ha visto tra quella gente
il minimo segno di pentimento, il minimo rimorso per il delitto commesso; lo
scrittore russo indica anche nella solitudine e nella mancanza di
privatezza un elemento di particolare tormento della prigione. Il lavoro
nella prigione, rileva lo scrittore russo, non era faticoso ma era penoso
perché obbligato sotto la minaccia di un bastone. Dostoevskij evidenzia anche
l’ineguaglianza della pena per i medesimi delitti in relazione alla classe
sociale, da cui deriva l’ingiustizia e l’inefficacia della pena. Radicale è la
sua critica svolta nei confronti del regolamento carcerario e del comportamento
ottuso e crudele delle guardie carcerarie, severo è il giudizio sulla prassi
della fustigazione definita una piaga della società> Nel
<L’idiota> lo scrittore russo pone un giudizio duro e severo
sulla pena di morte in bocca al principe Miskin nelle prime pagine del
romanzo. Nel brano Dostoevskij sottolinea la svalutazione del carattere meno
afflittivo della decapitazione rispetto ai supplizi accompagnati da tormenti e
la sofferenza morale generata dalla attesa della esecuzione, che è peggiore
della sofferenza fisica. Nel romanzo “Delitto e castigo” Dostoevskij
evidenzia la tesi della necessità della pena giuridica quale espiazione della
colpa e come risultato del rimorso avvertito dal colpevole. La trama del
romanzo mette in luce la progressiva conversione, il rimorso e la ricerca di
espiazione del colpevole. Cattaneo sottolinea che il Leitmotiv del celebre
romanzo è la ricerca della espiazione sulla base di una spinta interiore e del
rimorso e che tale impostazione pone lo scrittore russo sulla linea del
Platone del Gorgia e di Boezio nel <Consolatio philosophiae>. La
conclusione giuridica processuale del romanzo rileva una sensibilità giuridica
moderna che pende in considerazione le circostanze attenuanti, le cause
sociali, psicologiche e morali del delitto ed il recupero morale e sociale del
colpevole. Il finale giuridico evidenzia la complessità del problema penale e
l’interesse di Dostoevskij, spirito umanitario e riformatore, per la
riforma del procedimento penale, d’altra parte, sul piano morale, rileva
il desiderio di espiazione che conduce all’emenda.
Dostoevskij manifesta l’atteggiamento del cristiano che si sente
corresponsabile delle colpe degli altri e riprende le parole di Cristo “Chi di
voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei” Cattaneo ribadisce
che per Dostoevskij il punto che più conta è il rimorso per la colpa commessa e
la auto-condanna da parte del delinquente. La pena giuridica non ha rilevanza,
ciò che conta è il processo di autocondanna, di espiazione e di redenzione che
avviene nella coscienza del colpevole Il capitolo VIII è intitolato
“Tolstoj e la abolizione della pena”. L’Autore ribadisce che lo scrittore russo
postula una radicale abolizione del diritto penale in una prospettiva di amore
cristiano e di non violenza. I temi giuridici vengono affrontati da Tolstoj un
due opere “Resurrezione” e la novella “Il racconto di Koni”. Il
romanzo Resurrezione è fondato su una vicenda processuale, la condanna ad
alcuni anni di deportazione in Siberia della protagonista Ekaterina Maslova,
diventata prostituta a seguito di tristi vicende. Tolstoj analizza il processo
e la successiva pena dei forzati deportati ed evidenzia che negli istituti di
pena gli uomini erano sottoposti ad ogni genere di umiliazioni inutili, catene,
teste rasate, divise infamanti per cui si inculcava l’idea che qualsiasi
violenza, crudeltà e atrocità era autorizzata dal governo per chi si trovava in
prigionia nella sventura. Lo scrittore sottolinea il distacco tra la condanna e
la concreta esecuzione della pena con le sue brutalità. In Tolstoj il tema
fondamentale è l’indicazione dell’ingiustizia dell’intero sistema
repressivo-penale e la sottolineatura delle cause sociali dei delitti come
Victor Hugo. Lo scrittore suggerisce anche la necessità di abolire
la pena e sostituirla con il perdono, un ideale sublime ma difficile da
realizzare in pratica e che indica tutta la complessità del problema, Cattaneo
si chiede se si tratta “del sogno di un visionario, una utopia generosa o di un
ideale verso cui la società deve tendere.” Il nono capitolo è
intitolato “Pinocchio e il diritto” L’Autore rileva che l’opera di
Collodi è stata oggetto di numerose indagini . Le ricerche sulla natura
pedagogica ed educativa sono state sviluppate da Bertacchini, Il testo di
Collodi è stato esaminato sotto il profilo filosofico e teologico nei due
volumi scritti da Vittorio Frosini e Giacomo Biffi . Frosini evidenzia
che: << Il mito di Pinocchio si rivela……come un mito tipicamente
risorgimentale, al tramonto di un’epoca; e anzi proprio di un
risorgimentalismo di stampo repubblicano e mazziniano>> basato su
principi di umanitarismo positivistico. Giacomo Biffi sottolinea che Pinocchio
fu scritto quando l’Italia era unita politicamente ma non era una nazione
consapevole di sé e concorde sui valori che danno senso alla vita. Il Collodi
aveva un cuore più grande delle sue persuasioni, un carisma profetico più alto
della sua militanza politica, così poté porsi in comunione forse ignara con la
fede dei suoi padri e con la vera filosofia del suo popolo. . La lettura
di Pinocchio evidenzia interessanti problemi e temi di natura giuridica e
filosofico-giuridica e lo scritto di Cattaneo evidenzia soprattutto i temi più
rilevanti dal punto di vista penalistico. Cattaneo sottolinea che Carlo
Lorenzini (ovvero Carlo Collodi) era un fine umorista che sapeva cogliere
il lato ridicolo ed insieme doloroso della vita umana (opinione espressa
anche da Lina Passarella nel suo scritto prima citato su Goldoni filosofo), e
cita ad esempio l’episodio dei pareri opposti dei medici al capezzale di
Pinocchio in casa della Fata dal Corvo e dalla Civetta e quello della condanna
del burattino derubato degli zecchini dal giudice-scimmione. Nel terzo capitolo
Pinocchio scappa di casa ed è acciuffato da un carabiniere per il naso
(Cattaneo rileva in tal modo la naturale predisposizione dei cittadini ad
essere oggetto delle interferenza da parte del potere); dopo la riconsegna di
Pinocchio a Geppetto e le sue proteste il carabiniere, a seguito dei commenti
della gente, rimette in libertà il burattino e conduce in prigione Geppetto che
piange disperatamente. L’episodio mostra un membro dell’apparato giudiziario
che arresta Geppetto sulla base delle opinioni della <voce pubblica>
compiendo un atto arbitrario senza motivazioni precise e mostra un innocente
debole ed inerme che non riesce a difendersi di fronte all’atto arbitrario del
potere. Un altro episodio interessante è narrato nel capitolo XXVII, dove
si descrive la battaglia con i libri di testo fra Pinocchio ed i suoi compagni.
Un grosso volume scagliato verso Pinocchio colpisce alla tesa un compagno che
cade come morto. Tutti i ragazzi fuggono e rimane Pinocchio a soccorrere il
compagno. Arrivano due carabinieri che,dopo un breve colloquio, arrestano
Pinocchio malgrado le sue dichiarazioni di innocenza. Il burattino fugge
inseguito dal cane Alidoro al quale salva la vita mentre stava per annegare.
Cattaneo evidenzia a riguardo che la vittima del potere è l’innocente, l’unico
trovato vicino ad Eugenio, che viene arrestato perché le circostanze sono
contro di lui La frase dei carabinieri “Basta così” è commentata da Biffi che
evidenzia che l’invito a ragionare insospettisce spesso l’autorità, la quale è
incline a tagliar corto. In molte vicende giudiziarie si nota che una concatenazione
di indizi sfavorevoli dà l’avvio a processi indiziari seguiti da condanne di
persone innocenti. Un altro episodio clamoroso di palese ingiustizia è la
vicenda che conclude il rapporto tra Pinocchio ed il due truffatori La Volpe ed
il Gatto. Pinocchio incontra la Volpe ed il Gatto e viene convinto a
seminare i 4 zecchini d’oro nel Campo dei miracoli vicino alla città di
Acchiappacitrulli. Tale città descritta minuziosamente da Collodi è,secondo
C., e il simbolo dell’ingiustizia e di un diritto positivo basato sul puro
potere politico; tale città esprime in modo chiaro il pericolo del prevalere
della politica sulla giustizia nella amministrazione della giustizia,
come dimostra l’episodio giudiziario che riguarda Pinocchio. Pinocchio
accortosi di essere stato derubato delle monete d’oro torna in città e denunzia
al giudice i due malandrini che lo avevano derubato, ma,invece di ottenere
giustizia, è vittima di una tragica beffa. Il giudice scimmione, al quale
Pinocchio si era rivolto, ordina che il burattino venga messo in
prigione. L’ordine viene eseguito da due mastini che tappano la bocca al
burattino, il quale resta 4 mesi in prigione e viene liberato a seguito di una
vittoria dell’imperatore della città di Acchiappacitrulli. Per ottenere
la libertà Pinocchio dichiara al carceriere di appartenere al numero dei
malandrini e così viene salutato rispettosamente e può scappare. C. rileva che
la figura dello scimmione sottolinea la miseria della giustizia umana ed il
carattere insoddisfacente dei tribunali umani dove, come scrive Platone, si
discute sulle “ombre della giustizia” Biffi nel suo volume rileva dapprima
l’aspetto positivo della figura del giudice che è descritto come un personaggio
rispettabile, benevolo, attento al racconto del burattino, successivamente
Biffi sottolinea che la figura dello scimmione della razza dei gorilla
rappresenta la caricaturalità della giustizia terrena rispetto a quella vera,
per cui il giudice finisce con applicare la legge umana che con i suoi
meccanismi colpisce il debole anche se innocente. Cattaneo rileva che la
situazione proposta da Collodi ricorda quella descritta da Manzoni ne I Promessi
Sposi dove i violenti erano organizzati e protetti ed i deboli, non sorretti da
consorterie, erano vittime dei soprusi del potere. La lettura di
Pinocchio di Collodi ed in particolare di alcuni brani può dar luogo a
considerazioni di natura filosofico-giuridica e giuridico- penale, come
suggerisce acutamente Cattaneo nel suo volume. Merito indubbio di Collodi
è descrivere alcune situazioni caratterizzate da abuso di potere, oppressione
dei deboli e sfasamento dei corretti rapporti stabiliti dagli ordinamenti
giuridici, come del resto è stato rilevato da numerosi importanti interpreti.
E’ opportuno sottolineare che il capolavoro di Collodi, come molte altre opere
letterarie, affronta importanti problemi giuridici tra i quali va segnalata
l’importante e costante aspirazione perenne che la legge in essere non sia solo
la volontà del gruppo sociale dominante, una forma di controllo sociale, e che
inoltre l’ordinamento giuridico tuteli la dignità e le aspirazioni degli uomini
come attesta la storia del diritto. Il capitolo decimo è intitolato “Wilde e le
sofferenze del prigione” Wilde in alcune sue opere ha descritto la sua
penosa esperienza carceraria ed il clima del carcere., lo scrittore inglese fu
condannato a due anni di carcere che scontò interamente. Cattaneo
evidenzia che <Wilde fu il tipico capro espiatorio dell’ipocrisia della
società vittoriana> Lo stesso letterato nel <De Profundis>,
redatto in carcere, attesta di essere passato dalla gloria all’infamia con un
mutamento dell’opinione pubblica dalla esaltazione al disprezzo. Le osservazioni
di Wilde sul problema della pena nel suo celebre <De Profundis> e nella
accorata <The Ballad of Reading Gaol> hanno fornito un importante
contributo alla battaglia per la riforma del sistema carcerario. Il volume
<De profundis> fu redatto da Wilde negli ultimi anni carcere. L’opera è
redatta sotto forma di lettera all’amico Alfred Douglas <Bosie> e
contiene molti rimproveri all’amico per i suoi atteggiamenti durante il
processo ed il successivo carcere. L’opera, dopo molte controversie, fu
pubblicata definitivamente nel 1949 dal figlio di Wilde Vyvyan Holland.
All’inizio dell’opera Wilde rimprovera l’amico Douglas e
soprattutto sé stesso e riflette sul suo stato di persona imprigionata e
rovinata <a disgraced and ruined man> lo angoscia dopo la
sentenza e l’esperienza carceraria e e. Lo scrittore inglese rileva che per chi
vive in carcere la sofferenza che lo domina è la misura stessa del tempo ed il
fondamento del proprio continuare ad esistere Wilde evidenzia che la
terribile esperienza in prigione sia stata per lui più dolorosa che per altri e
si e si lamenta per la perdita della patria potestà sui due figli e rimarca
l’ingiustizia di tale procedimento che incrina il rapporto familiare. Lo
scrittore rileva che per i poveri la prigione è un dramma che tuttavia suscita
peraltro la simpatia delle altre persone mentre per gli uomini del suo ceto la
prigione li rende dei <paria>, per cui i condannati di ceto abbiente non
hanno più diritto all’aria ed al sole,la loro presenza infetta i piaceri degli altri
e bisogna tagliare i legami con l’esterno dato che l’onore e la reputazione
della persona condannata è leso. Wilde evidenzia anche che molte
persone,quando escono di prigione, nascondono il fatto di essere stati in
carcere che considerano una sciagura e, rileva lo scrittore inglese,, è
orribile che la società li costringa a tale comportamento. La società ha il
diritto di punire i colpevoli ma non riesce a completare ciò che ha fatto e
lascia l’uomo al termine della pena, quando dovrebbe iniziare la riabilitazione,
sarebbe giusto invece che non ci fosse amarezza o rancore tra le parti
(colpevoli e vittime). Cattaneo evidenzia l’ipocrisia che sta dietro l’idea
della retribuzione morale e cioè che subendo la pena il colpevole abbia
pagato il suo debito verso la società, se si applicasse tale principio, dopo la
fine della pena tutto dovrebbe cessare e non dovrebbero esservi più né fedine
penali né casellari giudiziari. Nella realtà comune resta una macchia sulla
persona che è stata in carcere, un pregiudizio che la società perpetua e l’onta
non deriva dal delitto commesso ma dalla pena scontata. La società riconosce
implicitamente l’inutilità della pena perché l’onta del colpevole incarcerato
rimane. Analizzando la vita in carcere Wilde sottolinea che le privazioni e
restrizioni del carcere rendono una persona ribelle ed impietrisce i cuori dei
condannati. L’abito dei carcerati li rende grotteschi come clowns, oggetto di
derisione e berlina della gente. Tali sofferenze ed umiliazioni dei condannati
sono contrari al principio della dignità umana che Wilde riafferma come
profonda esigenza morale della società. Lo scrittore afferma anche che tutti i
processi sono processi per la propria vita e tutte le sentenze sono sentenze di
morte; spesso anche una condanna alla prigione genera delle sofferenze che
conducono alla morte e va rilevato che Wilde stesso morì pochi anni dopo il
carcere in Francia . Wilde scrisse anche <The Ballad of Reading
Goal> nel 1897, l’anno del suo rilascio. in questa lunga ballata il poeta
inglese descrive le sofferenze e le crudeltà cui aveva assistito durante
la prigionia e dalle sue considerazioni sulla triste sorte dei carcerati
risulta un grande senso di pietà per i carcerati ed i condannati a morte. La
poesia è pervasa da spirito religioso e Wilde mette in confronto il vero
spirito cristiano, la pietà per i sofferenti ed i peccatori con l’atteggiamento
chiuso, duro ed indifferente delle istituzioni religiose ufficiali e dei
cappellani delle carceri . Cattaneo rileva che la tragica esperienza
personale ha portato Wilde ad affrontare il tema della riforma delle prigioni e
del sistema penale del quale si era occupato nello scritto “The soul of man
under socialism” . Dalle riflessioni dello scrittore inglese redatte nelle
opere dopo il carcere si ricava una denuncia della brutalità del trattamento
carcerario e della inumanità nell’esecuzione della pena con critiche alla
utilità sociale della stessa Il capitolo XI è intitolato “André
Gide e il non giudicare” Il problema giuridico-penale è stato esaminato
anche da un noto scrittore francese contemporaneo Gide, che lo ha affrontato in
tre stimolanti scritti “Souvenir de la Cour d’Assise” che racchiude la sua
esperienza quale giurato in alcuni processi penali del 1912, “L’affaire
Redureau” e “La sequestrée de Poitiers” che poi sono stati pubblicati insieme
in una raccolta dal titolo ”Ne jugez pas” Cattaneo rileva che di tale
scritto non si sono occupati molto i critici ed i commentatori, come sempre
avviene quando si tratta di problemi giuridici in veste letteraria. L’analisi
del volume di Gide è interessante perché il libro è molto rilevante per lo
studio di rapporti tra diritto penale e letteratura e costituisce
delle precise prese di posizione dirette su temi giuridico-penali, desunti
dalla realtà della vita. Cattaneo mette in luce l’attenzione, la precisione, la
serietà e la preparazione dimostrate dallo scrittore francese nel trattare i
temi giuridici, soprattutto per la precisione del linguaggio giuridico. Gide
dimostra competenza nel trattare problemi giuridico-penali e probabilmente “l’
indagine di certi casi criminali lo induce all’analisi di talune zone
inesplorate della psiche umana” L’atteggiamento dominante di
Gide è il “favor rei” che si esprime in due modi o a due livelli:
da un lato sul piano processuale lo scrittore volge l’attenzione al rispetto
delle garanzie dell’imputato, ad una equilibrata ed equa conduzione
dell’interrogatorio, alla escussione di tutti i testimoni, specie quelli della
difesa. Lo scrittore francese solleva anche nei suoi scritti l’esigenza di
una riforma del modo di porre le domande ai giurati e di chiarire il loro
contenuto. Gide si mostra sempre umano e compassionevole verso i colpevoli,
mostra l’esigenza che la pena sia in generale ridotta e che si tenga conto
degli elementi che valgono a titolo di difesa, quali motivi di giustificazioni
e scuse. Lo scrittore francese si preoccupa che la pena possa causare mali
peggiori e cerca di evitare risultati negativi della stessa. Cattaneo evidenzia
che in sostanza nel libro di Gide “è primaria l’attenzione per l’uomo, la sua
complessità e la sua imperscrutabilità psicologica, che porta al dubbio e alla
perplessità circa il fatto che alcuni uomini possano giudicare altri uomini,
queste pagine sono dunque dominate dal monito evangelico, per cui
particolarmente adatto risulta il titolo complessivo della raccolta: Ne jugez
pas.” Il capitolo XI è intitolato “Franz Kafka, la legge e il
totalitarismo” Cattaneo ha discusso in molte opere il problema del
totalitarismo che è stato analizzato soprattutto nel suo volume “Terrorismo ed
arbitrio Il problema giuridico del totalitarismo” Analizzando le opere di
Kafka C. premette che è particolarmente rilevante il pericolo di un forte
divario fra la letteratura critica ed interpretativa ed il testo originario
dello scrittore per cui ritiene che siano legittime molte diverse
interpretazioni dell’opera di Kafka, e molte <chiavi di lettura> .,
certamente l’interpretazione più interessante dello scrittore ceco è quella
data dall’amico Max Brod, che evidenzia la religiosità ebraica presente
nelle opere di Kafka ed in questa chiave interpreta i brani relativi al
problema della legge, del processo e della colpa. Una interpretazione
giuridica delle opere di Kafka è stata compiuta da Pernthaler.Cattaneo intende
esaminare alcune opere di Kafka dalle quali il problema della legge emerge
anche dal punto di vista filosofico-giuridico In tali opere di Kafka
ricorre il tema del difficile rapporto dell’uomo con la legge, che è
interpretato in chiave religiosa o in chiave psicologica o psicoanalitica ma
che può essere analizzato anche dal punto di vista filosofico-giuridico. C.
esamina alcuni temi che emergono da “Il Processo” dall’apologo “Vor dem
gesetz”, dallo scritto ”Zur Frage der Gesetze” e dalla novella “In der
Strafkolonie” e dall’analisi complessiva di tali opere interpreta Kafka come
profeta e critico del totalitarismo che fu instaurato in alcune nazioni dopo la
sua morte, lo scrittore ceco delinea situazioni di angoscia, di incertezza, di
impossibilità di comunicazione, di errore e di ferocia tipiche del
totalitarismo. Kafka collega la burocrazia e l’oppressione del potere sugli
uomini caratteristica del nascente totalitarismo . Pietro Citati rileva
che <Nel Processo, l’immenso Dio sconosciuto, di cui non ascoltiamo mai
pronunciare il nome, ha invece una vita così intensa e un potere così
illimitato, come forse non ha ma avuto nei tempi> L’interpretazione di
Citati è più psicanalitica che religiosa ma è priva di prospettiva
giuridico-politica. Di impronta psicoanalitica è l’interpretazione data da
Sgorlon del <Processo> di Kafka ma la prospettiva giuridico
politica, trascurata da questi studiosi, è presente e Cattaneo evidenzia che
proprio nel primo capitolo, in cui è narrato l’improvviso arresto mattutino di
Joseph K esprime in modo preciso proprio la sensazione del passaggio graduale
ed insensibile dallo Stato di diritto allo Stato totalitario .Di seguito
le indicazioni che Joseph K riesce a ricevere da parte di vari personaggi
connessi al Tribunale concernenti il meccanismo, il funzionamento, l’andamento
del processo mettono in luce la totale assenza di garanzie giuridiche e
processuali, di tutela dell’imputato, elementi che costituiscono l’esatta
antitesi dello Stato di diritto Il tema della inconoscibilità e irragiugibilità
delle leggi è ripreso da Kafka nello scritto <Zur Frage der Gesetze> In
tale scritto Kafka delle <nostre leggi> che non sono conosciute da tutti,
ma sono un segreto del piccolo gruppo della nobiltà che ci domina. Kafka
dichiara di non avere in mente tanto gli svantaggi derivanti dalle diverse
possibilità di interpretazione, quando questa è riservata ad alcuni e non
all’intero popolo, questi svantaggi non sono poi molto grandi. Le leggi sono
antiche, secoli hanno lavorato alla loro interpretazione, l’interpretazione è
diventata essa stessa legge, e sussistono sempre, benché limitate, alcune
libertà di scelta dell’interpretazione Il motivo dominane l’intero
scritto è il carattere inconoscibile della legge, dato che la legge è
misteriosa e nessun membro del popolo è in grado di conoscerla per cui è
comprensibile che vi sia qualcuno che arriva a negare l’esistenza delle leggi e
riconosce peraltro il diritto all’esistenza della nobiltà La fredda
descrizione di uno strumento di supplizio, nell’ambito di un sistema
processuale completamente privo delle fondamentali garanzie è il messaggio del
racconto <In der Strafkolonie> (Nella colonia penale) e la conclusione
della novella di Kafka riflette la logica del totalitarismo per cui quando il
viaggiatore comunica all’ufficiale di essere avversario di questo sistema
punitivo, l’ufficiale si rende conto di essere rimasto il solo difensore di
tale sistema punitivo e libera il soldato dalla macchina del supplizio, si
denuda e si pone lui stesso sul lettino al posto del condannato, la macchina
del supplizio inizia a funzionare e l’ufficiale muore senza aver capito
il senso del supplizio come ogni sistema totalitario si
autodistrugge e divora i propri figli Cattaneo cita la fucilazione dei coniugi
Ceausescu nel 1989 operata nell’ambito del totalitarismo comunista.
L’Appendice del volume è intitolata “Vaclav Havel e la legge come
<<alibi>> nel sistema post-totalitario” Havel, noto
scrittore contemporaneo, che è stato Presidente della repubblica cecoslovacca,
è autore di numerose opere letterarie e teatrali. C. ritiene che se Kafka rappresenta
il tempo del pre-totalitarismo, Havel rappresenta il post-totalitarismo,al
quale ha dedicato uno scritto bblicato nel 1978 che l’autore del volume esamina
nella traduzione tedesca. Havel delinea l’opposizione al
comunismo, nel suo momento post-totalitario, come tentativo di vivere nella
verità; la verità, intesa come opposizione ad un sistema che si fonda e si
regge sulla menzogna. Lo scritto ha un carattere etico-politico ma contiene
importanti pagine di natura giuridica e di critica dell’ordinamento giuridico
proprio del regime totalitario e post-totalitario. Tale sistema politico
è caratterizzato, secondo lo scrittore ceco, come una dittatura della
burocrazia politica su una società livellata. Lo scrittore ceco elenca le
caratteristiche del sistema <post-totalitario> che lo distinguono dalla
dittatura tradizionale ed evidenzia che A) tale sistema non è delimitato
territorialmente ma domina in un ampio blocco di forze ed è retto da una
superpotenza B) mentre le dittature classiche non hanno una solida radice
storica, la radice di tale sistema dono i movimenti operai e socialisti del XIX
secolo. C) Tale sistema dispone di una ideologia strutturata ed elastica
che ha i caratteri di una religione secolarizzata ed offre una risposta ad ogni
domanda dell’uomo in una epoca di crisi delle certezze esistenziali D)
Alle dittature tradizionali spettano elementi di improvvisazione per quanto
attiene alla tecnica del potere mentre lo sviluppo di 60 anni nell’Unione
sovietica e di 30 anni nei paesi dell’Est europeo ha dimostrato la creazione di
un meccanismo perfetto, che permette la manipolazione diretta ed indiretta
della società. La forza di tale sistema è incrementata dalla proprietà
statuale e dalla amministrazione centralizzata dei <mezzi di
produzione> E) Nella dittatura classica vi è una atmosfera di
entusiasmo rivoluzionario, di eroismo, di spirito di sacrificio che sono
scomparsi nel blocco sovietico. Tale blocco sovietico, che è un elemento solido
del nostro mondo, è caratterizzato dalla stessa gerarchia di valori presenti
nei paesi occidentali sviluppati e sono una forma di società consumistica
ed industriale. Il sistema sopra descritto è designato da Havel come
<post-totalitario> perché è un sistema totalitario con caratteristiche
diverse dalle dittature classiche e, rispetto al totalitarismo classico, è
caratterizzato da una misura più attenuata di terrore ed arbitrio Havel
considera il sistema post-totalitario come caratterizzato dalla menzogna, ciò è
un effetto del dominio della ideologia; gli uomini non devono credere alle
mistificazioni totalitarie ma tollerarle in silenzio ed accetta, ciò è un
vivere nella menzogna e lo scrittore insiste sul valore e sul
significato morale ed esistenziale della dissidenza. Per quanto riguarda
l’ordinamento giuridico nel sistema post-totalitario lo scrittore
rileva che tale sistema sente la necessità di regolare tutto con una rete
di prescrizioni, norme, istituzioni e regolamenti per cui gli uomini sono delle
piccole viti di un meccanismo gigantesco. Le professioni, le abitazioni
ed i movimenti dei cittadini e le sue manifestazioni sociali e culturali sono
controllate, ogni deviazione viene considerata un passo falso ed una
manifestazione di egoismo ed anarchia. Havel rileva che non bisogna prendere
alla lettera l’ordinamento giuridico e ciò che conta è< come è la vita> e
se le leggi servono alla vita o la opprimono ¸la battaglia per la
<legalità> deve vedere questa <legalità> sullo sfondo della vita
come è realmente. Analizzando il rapporto tra la società post-totalitaria
e la moderna civiltà tecnologica, con riferimento anche agli scritti di
Heidegger, Havel rileva che il sistema post-totalitario è solo un aspetto della
generale incapacità dell’uomo contemporaneo di divenire <padrone della propria
situazione> e la prospettiva giusta è quella di una <rivoluzione
esistenziale> generalmente comprensiva L’aspetto più interessane di
Havel è la delineazione dei caratteri del sistema post-totalitario come
fenomeno sorto dall’incontro della dittatura con la società industriale e
consumistica. Per quanto riguarda i problemi giuridici, Cattaneo rileva
che Havel sottolinea il significato autentico del diritto, che deve avere
coscienza dei propri limiti naturali, il diritto ha un significato esteriore,
deve difendere alcune esigenze minime (tutela della convivenza civile dalla
violenza e dalle invasioni nei diritti altrui ma non deve pretendere di
adempiere a compiti per cui non è adatto - In tal modo, sottolinea
Cattaneo, il letterato ceco riprende la migliore lezione del liberalismo
classico per cui il diritto non è al servizio del potere, ma può essere un
valore solo in quanto esso sia un mezzo di difesa e la garanzia della libertà e
della dignità dell’uomo Il grande insegnamento del letterato Havel
è la tutela del valore più calpestato dal totalitarismo, la dignità umana che è
lo scopo fondamentale ed essenziale del diritto, dato che diritto e
libertà sono collegati ed il diritto ha valore se garantisce e protegge la
libertà. DISSERTAZIONÉ • SULL ORIGINE DELL’ANTICA IDOLATRIA
E SULJ.A FORMA DE' PRIMI IDOLATRICI SIMULACRI
COMPOSTA DALL'ABATE ; Giuseppe luigi traversari
H Patrizio Ravennate , Canonico Arciprete della Infigne
Collegiata di Meldola , e tra gli Arcadi. LANIO' ATENIENSH. PRESSO
GIOSEFFANTONIO ARCHI. DISSERTAZIONE SULL' ORIGINE
DELL’ ANTICA IDOLATRIA E SULLA FORMA DE' PRIMI
IDOLATRICI SIMULACRI. AL NOBILISSIMO CAVALIERE , E DOTTISSIMO
LETTERATO IL SIGNOR CONTE AURELIO GUARNIERI PATRIZIO
OS1MANO L’AUTORE. Veneratissimo Signor Conte fi 'S T fi
Aria, intralciata, difficile , e per nju- /. X no, ch’io fappia, di
proposto rifchia- tt » rata fi è la Queftione , che mi vien
pro- OS A porta a trattare, veneratiffimo Sig. Con- te ; cioè
fe i Simulacri primieri delle pagane divinità fodero lemplici e rozze Pietre, o
quadrate, o rotonde, lenza veruna umana, o animalel- ca ferabianza . Io
ricevo con Ibmmo giubbilo per una parte l’onore de’ voftri cenni, e vi
fi) al mag- gior fegao buon grado per avermeli gentilmente
partecipati . E’ una degnazion Angolare la voftra il credermi pur capace
di l'oddisfarvi in materia di eru- dizione . Ma per l’ altra ben
coaofcendo la pochez- A 3 za del v/ 6 ' Dksert. sull* Origine
za del mio talento, e la fcartezza di mie cognizioni , provo un eftremo
roflòre di non potervi ubbi- dire in quel modo, che ad un voftro pari, ed
alla qualità dell’ argomento fi converrebbe. Inclinato per genio
all’ amena Letteratura , ma Tempre da im- pieghi fagri , e da gravi Itudj
recinto , e fommer- lo in occupazioni tutte diverte , lenza tempo ,
lèn- za relpiro come potrò teftenere la qualità di Lette- rato
innanzi a Voi , che in ogni maniera di colte Lettere liete Maeflro ? E
ben fapete quanto male in- contrante a colui , che fu ardito parlar di
guerra in- T 4 nanzi ad Annibaie. Ciò non pertanto , fcnibrando- mi
più teoncia la taccia di malcreato , e di (cono- fcente , che non quella
d’ignorante , e di mal efper- to , a telo fine di tellimoniarvi per alcun
modo la mia oltervanza , mi farò lecito di comunicarvi i miei
penlamenti. Sarà quindi gentile impiego del voltro bel cuore infieme, e
della vofira dottrina il com- patirli te rozzi , o il rigettarli fe
erranti. Per- mettetemi però , gentilifitmo Sig. Conte , che io nel
diitenderli mi allontani alquanto dal metodo fecco e digiuno, che per
alcuni fi tiene , e che foltanto confine nel produrre Autori a rifate , e
inzeppar fe- lli , e affafteflar citazioni. Comecché molto io lodi
la fatica e l’ induftria di chi procede fifFattamente , la materia, che
abbiamo tra mano, fe io non vò lungi dal vero , brama di fpaziare in più
aperto cammino , « di venir rintracciata da’ Tuoi vetulti principi. In
due parti perciò credo ben fatto il dividere la prefente Dillèrtazione ,
che a Voi trafmetto, e cou- facro . Ragionerò nella prima alcun poco
della ori- gine, delle maniere , e degli oggetti di quella fatale
Idolatria , che a poco a poco lopprimendo i lumi della natura , della
ragione , della Religione , della lloria , coprì di tenebre , e manommite
tutta la faccia dell’ Univerfo . Difcenderò pofeia naturalmente
nel- la feconda a rendere , per quanto io polla , proba- bile la
opinione, che t primi Idolatrici Simulacri tollero di quadrata, o rotonda
forma, e non aven- ti figura alcuna o di Animale , o di Uomo . In
questa dell'antica Idolatria 7 quella guila
crederò di potere all* autorità voìtra , ed alla mia ubbidienza per
alcuna via foddisfare. ^ . Si laici a Maimonide ( i J , ed alla
Scuola Ra- binica il fidare lenza prove agli Antidiluviani tem- pi
l’epoca della nafcente fuperftizione. Entrando nell’argomento, quel che
puolli da noi con cer- tezza affermare fi è, che poco tempo dopo il
Di* luvio s’ intrulè il Politeifmo a pervertir le menti de- gli
Uomini . Il libro di Giosuè f a ) ne avverte , che Tare Padre di Abramo ,
e di Nachor aveva fer- vito a* Dei menzogneri . Óra la nalcita di Tare
? fecondo i calcoli dell’ Uflerio, accadde non più di 22 1. anni
dopo la generale inondazione del nofiro Globo . Il libro poi di Giuditta
( 3 ) ci fa lapere , che non pur Tare , ma eli Antenati di Abramo
fe- guivano gli empj riti della Caldea adoratrice di più falle
Divinità. Labano chiama Tuoi Dei gl’ Idoli * che Rachele tua Figliuola
gli avea involati (”4), e Giacobbe prima di offrire un facrificio all’
Altiifi- mo fa recarli da tutti quelli di fua comitiva gl’ Ido- li
, che ferbavano , e li nafconde (otterrà . Molto, dagli Eruditi fi
difputa qual folle dell* Idolatria nafcente il primiero oggetto.
Pretende il Clerico ( 5 J elfère fiati gli Angeli adorati lenza limitazione
, e lenza relazione all* Onnipotente. Volilo ( 6 ) d* altra parte
lòltiene , che il Dogma de’ due Principi buono , e cattivo folle dell’
Idola- tria più antica generatore. Noi non fiamo per di- partirci
dalla fentenza più comune, e più compro- vata, cioè che gli Altri, e quindi
gli < Elementi follerò i primi a rifcuoter l’ adorazione de’
tralignan- ti mortali. Fra un nembo di monumenti, e di au- torità ,
che in conferma di tale fentenza recar po- . A 4 * ' trei *
\ r » ( 1 ) De Idolat. curri Interpr. Dionyfi VoJJìi .
( 2 ) Cape 24. v. 2. ( 3 ) Cap. p. v. 8. C4) Genef.cap. 31.
v. 19. £?. 30., Cap . 3$. v. 2. 4 * (5 J Index Philolog. ad HiJÌ.
Thil. Orienta in voce Angelus , V Ajlra . ( 6 ) De idolat . lib. 1.
8 Dissert. sull* Origine trei 3 e che in Macrobio C i
) , in Gerardo VofTio già citato C 2 )> ne l Le Plucne ( 3 ), nel
Bergero ( 4 ) lt polfòno agevolmente vedere , io trafcelgo il folo
Eufebio Cefarienlè , tanto più che in Lui rinven- go accennata non pur 1
’ origine , ma V ingànnevol motivo di quella umana depravazione.' Egli
adun- que ( 5 ) colia (corta del gravilTìmo Diodoro Sici- liano,
parlando prima degli Egiziani, poi de’ Fe- nici , popoli , fra’ quali
ebbe forfè 1 ’ Idolatria la fua culla , e finalmente de’ Greci , dice ,
che (6 ) ,, i „ primi Abitatori di Egitto , avendo volti gli oc-
chi a contemplare il Mondo, e con alto ilupo- „ re coixfiderando la
natura di tutte le cole , ili- 3> marono, che il Sole, e la Luna
follerò Dei lem- 3, piterni , e primarj , de’ quali per certo
rapporto „ chiamarono 1’ uno Ofiride , e 1’ altra Ilide
,, infegnando eller quelli due Dei dell’ Univerfo 3, tutto
moderatori. Rapporto poi ai Fenicj egli afferma che • ,, i primi fra loro
datifi ( 7 ) a filo- ,, fofare , tennero unicamente in luogo di Dei
il ,, Sole , e la Luna , e gli altri Pianeti , e gli Ele- ,,
men- 33 . > (1 ) Saturnale lib. 1. C 2 ) De Idololat.
Orig. lib ». 3. per totum . (3 ) Storia del Cielo Tom. I. C 4
) Trattat . Storie, della Relig. Tom. 1 . 4 5 ) Yraparat. Evang.
lib. I. c. 9. ( 6 ) Tot* owj xotr A lyuirrov Avd’p'jìTHS ro 7
rcchctiQt ywofJLtviss ccvccfihr^ccvrcce tov xo$[jlov , xou rlw rctfr oKw
xa.rcLT'Kccyv/rcts re xoui rocrras UTTohccfìett/ uvea Osar otihas re xou
irpu- ru$ vihiW) xou rlw <relwnv y w rov \xiv Osipiv ; rlw ’Be
Kit ovoyxKOA rara? Sé .Tttf Ozag u<pirrocvr<u rov
$i[/,tccvtcc xospLw ì>ioixe*v . ( 7 ) HA/ok , xcu (reXlw/iv 5
xou r»? Tkoittxs T rKetfY\rots ctrrepccs , xou rot sto%£cc } xta tvtoìs
nwoufiiy pLQvov lyivwsxov . dell'antica Idolatria. 9 „
menti in oltre con quanto a !or fi congiunge ,, Finalmente paHando a far
parola dei Greci , reca il bel palio di Platone nel Cratilo, che in
queite note fi elprime ( i ): ,, A me certamente ralfem- ,,bra, che
i primi ad abitare la Grecia quelli fol- „ tanto per Dei riputalfero ,
che dalla maggior , pane de’ Barbari prefentemente fi adorano , il
’, Sole cioè , la Luna , la Terra , gli Altri , il Cie- lo , quali
vedendo e.fi con perpetuo corlb aggi- ,, rarfi , dalla parola ra G«y
correre , Aosi Dei li ,, chiamarono. ,, t Il lèntimento
di Eulebio, o di Diodoro, che dee chiamarli il lèntimento di tutti gli
Storici più fenfati , potrebbe!! agevolmente con facra au- torità
comprovare. Mosè ( *J, Giobbe (i ) , I* .Autore del libro della Sapienza
( 4 ) col profcri- vere il culto fuperltiziofo degli Altri, e degli
Ele- menti , il fuppongono tacitamente come il più an- tico ,
perchè il dipingono come il più lulinghie- j>o , e capace a pervertire
l'umano cuore. Così fu veramente. Il cuore umano aggirato da
un fafeino teuebrofo di licenziole palliont , am- mollito dal lbverchio
amor del piacere , fcollò dal natio genio d' indipendenza , languido , e
indiffe- rente negli efercizj della Religione , la quale già
inftillata nel primo Padre erafi poi tutta pura da INoè trafmellà ne'
difeeudenti , cominciò palio pal- io a ( 1 ) tyojyovTout
tj.ot 01 t porrà ruv P 1 tìpuiruv rwv Trìpi TW EAÀa^a J T 8 TKf
^JjOVtSi Stai «y«>' 6 cU , • WiTTlp vuù T0XK01 TVV (locpQctpW ,
t{KlOV , XOU xcu ylw, xou carpa , xou tspcaov . art OVLU
tWTOC OpWTK TTOO/TCO OMrl 10 VTCL , XOU Piovra, j curo tojuths tìk
<piKi'j>s rns tu Orir Qks curasi (tovoijlkìou . (2)
Deuter. c. 4. v. ip. (3) Job. C. 31. V. 16. 1 ( 4 ) Sap. c. 1 3.
Digitized by Google io Dissert. sull'Origine fo a
perdere la giufta idea del vero Nfume , elio gli brillava all’ intorno
con tanta luce* Un guitto* e terribil giudizio di Dio medeilmo , il
quale, come avverte S. Agostino , fparge penali tenebre (opra . le
illecite cupidigie , permife nell’ Domo un sì fa- tale dementamento. Chi
fdegnava di rendere al Facitore 1’ onor dovuto come a Sovrano ,
meritò di perder colpevolmente lino le tracce per ravvi- farlo .
Abbandonato così alla stoltezza de' Tuoi pen- fieri, fcambiò ( i ) la
gloria sfolgoreggiarne, ed immenia dell' incorruttibile Iddio co'’
limitati river- beri , che ne vedea nelle Creature. Gli Astri pri-
. ma di tutto a lui parvero contrallegnati co' mag- giori caratteri
della Divinità . Quel movimento •. loro non interrotto , que’ periodi
tempre uniformi , quello fplendore Tempre brillante, quegl' in Aulii
: sempre benefìci fermarono il corfo alla di lui am- mirazione , e
riconofcenza , quando pur dovevano lervirgli di guida per falire ad amar
la bontà, a ri- conofcere la potenza del Creatore . Egli lciocca-
mente impadulò ne’ rulcelli , e dimenticò la lòrgen- te , e invece di
riguardarli come Ministri delle divine beneficenze, li adorò come Dei. L’
amor proprio , la fuperbia , la mollezza , il libertinaggio trovarono
il loro conto in fimil delirio. Gli Astri comparivano Dei benigni,
comodi, utili, che nul* la eligevano, nulla vietavano, per nulla al più
cor* rotto genio opponevanlì , nè mettean freno alle più torte
inclinazioni . Il culto degli Elementi , della Terra, del Fuoco,
dell’Aria, de’ Venti lì congiun- te ben presto con quello degli Astri,
perchè appog- giato fopra gli stelli principj , e come un palio mal
mifurato lud’un pendio fdrucciolevole cagiona pre- cipizi Tempre maggiori
, fi venne ad attribuire la divinità alle inlenfibili cole, ed infieme
agli utili, e dannofi animali, agli uni per riconolceili de’ be-
nefizi , che fanno agli Uomini \ agli altri per pla- carli , e
distornarli dall’ infierire . L’ antichiflima opmio- Afojì. ad Rom,
c. x. dell' antica Idolatria . n opinione de’ due Principj buono , e
cattivo ebbe for- fè gran parte in questi folleggiamenti, eia vera-
ce , ma poi alterata dottrina degli Angeli , de’ De- moni , delle Anime
de’ trapalfati trovolfi molto op- portuna per dilatarli. Si volle credere
tutta la na- tura animata . Animati lì tennero gli Astri dagl’
Indiani , dai Caldei, dagli Egizj , dai Maghi, da Pitagora , da Platone ,
da Cicerone , da Varrone . Il mare , i fiumi , le fontane , la pioggia ,
il tuo- no , le rupi , le caverne , le pietre , i monti , gli
alberi , le piante , gli erbaggi , e tutti poi gli Ani- mali li
coniìderarono come alberghi d’ una infinità di attive prelìdi
Intelligenze producitrici di quelli effetti or nocevoli , .or vantaggiolt
, che feulco- no il fenlo umano . Le Anime de’ Trapalfati o dalla
riconolcenza , o dall’ amor degli Uomini con- fecrate ricevettero ben
prello 1’ Apoteolì , ed ac- crebbero il numero delle Intelligenze motrici
del- la natura . Come Macrobio C i ) , e 1’ Abate Le Pluche ( 2
_),il primo in aria da Filofofo , il fecon- do in aria da Storico,
diffiifamente ci mollrano, Oliride, Ifidè , Amone,Oro, Serapide degli
Egizj ; Zeus , o Dios Giove , Marte , Saturno , Venere , Mercurio ,
Giunone , Cibele de’ Greci , e de’ Roma- ni ; Dionilìo, Urotalt ,e Alilat
degli Arabi; Marnas de’ Fililtei; Moloch degli Ammoniti; Adad de’ Sirj
; Adonai , Achad , Architi , Baelet , Belfamin , Mel- chet de’
Paleltini , non erano da principio che il Sole, la Luna, o la Terra, e quindi
in progredii Anime di Principi o Principelle, d’ Eroi o Eroi- ne
ite a regnar nel Sole, nella Luna, negli Altri, o a preledere alla Terra.
Quindi la turba degl’ Id- dj Confenti o maggiori , degl’ Iddj fecondar)
o minori ; e 1’ altra infinita plebaglia di unte varie Divinità
regolatrici di tutti gli effetti , e di tutti gli elleri naturali , quale
non meno accuratamen- te, che leggiadramente ci viene dal grande
Ago- stino ( t ) Saturnal. lib. I. f a J Star, del Ciel. lib.
I* i2 Dissert. sull* Origine ftino C 1 J
accennata . In Quella guifa le due opi- nioni del Volito, e del Clerico
amichevolmente fi legano colla opinione comune, e tutte unite ci
additano la prima origine del più grande acceca- mento degli Uomini. ,,
Deplorabile acciecamen- ,, to ! (" concluda quello paragrafo il
facro Autore del Libro della Sapienza ) vana illufione di quelli ,
„ che non conolcono Dio ! Attorniati da’ Tuoi be- ,, nefizj non hanno
veduta la mano, che li dif- „ fonde ; dalla magnificenza delle opere
della na- ,, tura non ne hanuo faputo riconofcere 1’ Artefi- ce .
Si fono perfuafi , che il fuoco , 1’ aria , i ,, venti , le llelle.
Tacque, il Sole, la Luna fof- fero i Dei , che reggono il' Mondo
Più „ miferabili ancora , perchè ripongono la lor fìdu- ,,
eia in fimulacri morti , ed inanimati ; elfi dan- „ no il nome di Dei
all’ opera della mano degli „ Uomini , alT oro , all’ argento
indullriofamente ,, lavorati a figure d’ animali , a pietre
modellate ,, fecondo il gulto di un Artefice L’Uomo ,,
fi forma un Dio d’ un tronco inutile, a cui dà •la propria forma dia',
oppur quella d’ un Ani- „ male. ,, Qui però vuole avvertirli
, che T ufo de’ Si- mulacri in figura d’ Uomini , e d’ Animali appar-
tiene bensì a’ tempi della già groil'olana , ed avanzata Idolatria , ma
non a quelli della nalcen- te . ,, Un Uom fa J , che dritto ragioni f
pro- fieeue fi) De Civit. Dei lib. V. VI.
( 2 ) AM' ort y.ev oi rpurrot } koa tMcuot«- TOl TUV
(XV&pWTUJV , «Té VOCUy O/XoBojWfOWf TpO- tìx.o * , «Té hot#
ccipttpufjLcuriv j «tu t ore ypot~ tylXJfc , «Sé xA.afT.XW J yi yAlTTtXW
, » « vlpict - rrOTQITLKH f rCKVYK tpiUpyifAWYIS , 8^£ fJ.IV
QLKQÒOUt- *W, B^é op^iTtKTOVtKVis o-vujKTurrg y ra.ru ry o ifjca
mfaoyityj.(vy ìiyiXov etra* . dell'antica Idolatria;.
fiegue il noftro Eufebio, rapportandoli alle telli- monianze di
tutti gli Autori gentili ) può facil- „ mente rimanere perfuafo , che i
primi ed an- „ tichiffimi Uomini niuna fatica , o Audio ripofe- „
ro nel fabbricare Templi , ed innalzar Simula- cri , non etlèndo Aate per
anco inventate le „ Arti della Pittura , della Statuaria , della
Scol- „ tura, anzi neppure 1’ Architettonica . „ Quindi dopo avere
ripetuto il già detto circa la primige- nia adorazione degli Astri
conclude , che „ da „ principio niuna menzione vi fu di greca , o
di yy babilonica Teogonia , niun ufo di Simulacri y „ niuna
ridevole vanità nella denominazione de- ,, gli Dei parte mafchj , e parte
femmine • fi) È veramente lembra cofa aliai naturale , che la
fòrgente Idolatria ne' vetustiffimi tempi , comecché avelie cangiato 1*
oggetto della Religion prima e verace , non giungeiìè però sì tosto a
cangiarne i riti e le cerimonie . Porfirio fcortato da Teo- frasto
, e citato da Eufebio ( 2 J pretende delinear- ci il religiofo culto
innocente degli antichi Poli- teisti . Ma in verità quell'impostore
Filofofo ne- mico giurato del Cristianefimo nell’ adombrarci ì*
estrinseca religione de’ primi adoratori de’ falfi Dei , non fa che
prendere in prestito que’ colori , con cui la Scrittura Santa ci adombra
la Religione de’ Patriarchi adoratori del vero Dio. Nulla infatti
di più fèmplice e di più fchietto . Que' fanti IH mi v Uomini negli
efercizj di Religione poco curavanfi dell’esteriore, e del fasto. Ellì la
facev.an confi- stere in picciol numero di estrinfeche azioni ,
per- fuafi , che il vero culto è quello del cuore. L’ in-
nalzamento de’ Templi non oltrepalla per avventu- ra l’età di Mosè. Un
femplice Altare in un luo- go ( I ) Oux tstpct ng Iw
Qtoyoviccs EXXfuwX'f? , # fiapGctpiKK rote TaXouTaTOtf f «^6/x »; tcw
7\oy<K y • bhe &X.0VW ìlpustS y ìtìt Ó c. « (a}
Prjepar. Evang. lib, J,Djssert. sull’Origine go mondo , e fpartato
, lènza statue e lènza figu* re , lènza adornamenti e lènza ricchezze ,
in un bofco , o fovra d’ una eminenza era il luogo dove Abele , Noè
, Abramo , Ifiacco , Giacobbe colle lo- ro famiglie fi raunavano per
tributare all* Altiflìmo i loro voti ed omaggi . Ivi a Lui predavano
le primizie dell’ erbe e de’ frutti , ovvero il latte , i «radumi ,
e le lane degli Animali , che dopo il Di- luvio cominciarono ad immolarli
. Ora fu quelle medefime tracce di religiofa femplicità io tengo
per certo , che nella fua infanzia procedette la Idola- tria .
Intela a venerar come Dei il Sole, la Luna, la milizia celefte, gli
elementi , le prelidi Intelli- genze non Teppe sì tofto ufare altra forma
di culto , fe non fe quella , con cui aveva intefo , e veduto
adorarli da’ Patriarchi fedeli il fommo Conditore dell’ Univerfo . Niun
ulo adunque per anco de’ Si- mulacri rapprelentanti fiotto animalefica ,
o umana lembianza le pretelè Divinità . Niun ufo di quelle datue ,
che rozzamente in feguito , e grottefcamen- te modellate dagli Egizj ,
ottennero poi e castiga- to difiegno , e fipiccata *. motta , ed energico
atteg- giamento lotto lo ficalpello indulìre di Dedalo. An- zi qui
dee acconciamente fioggiungerfi , che anche dopo la coftruzione de’
Templi fi tardò molto prefi* fo le antiche Nazioni ad ergere in elfi le
llatue fi- gurate ; come degli Egiziani parlando afièrma Lu- ciano
, il quale aggiunge ( i ) d’ aver nella Siria veduti Templi dell’
antichità più remota lènza im- magine , o rapprefientanza veruna . Che
più? Ro- ma detta , che in paragon degli Egizj , e de’ Greci nacque
sì tardi, per oltre anni 170. ( come ci atte- da Varrone citato ( 2 ) da
S. Agofiino ) Simulacri non ebbe ( 3 ) ne’ proprj Templi,, finché
Tarquinia Fri fico ( 1 } De Dea Syria . ( 2 ) De Civit.
Dei lib . 4. c. 3 1. ( 3_) Dicit eiiam Varrò , antiquos Rcmanos
ylufi quam annos 170. Deos fine Simulacro coluijje .
Qiiod fi adhuc , inquit , manfijjet y caflius Dii ob - fervarcntur
. S. Auguft. citat. dell’antica Idolatria. t? Prifco
Uomo di Greco , e di Tofcano genio tutta di Simulacri inondolla . Anzi
più didimamente aflerifce Zonara ellervi date leggi , forfè di Numa
, £ roibitive a’ Romani di rapprelentare la immagine livina
fotto la forma di Uomo, ovvero di Anima- le .( i ) Ma l’ Idolatria
finalmente è l’opera del- le tenebre, e per poco crefciuta, non potea a
me- no di non addenfarle nel cuor dell’Uomo. L’Uo- mo divenuto più
empio circa gli oggetti dell’inter- no fuo culto , non tardò guari a fard
ridicolo circa le maniere di elercitarlo. Egli avea degradata ab-
ballala la fua ragione , adorando come Dei le fem- plici Creature .
Quello medelìmo fpirito di verti- gine il tratte ben pretto ad avvilirli
viemmaggior- menfe coll’ adorare 1’ opera fletta delle fue mani .
Ei volle oggetti fenfibili e materiali anche all’ •efterno fuo culto. Ei
pretefe di circolcrivere li fuoi Dei per converfarvi più da vicino , ed
innal- zò , e venerò .Simulacri . Or di qual forma erede- rem noi ,
che follerò in quello genere le prime in- venzioni dell’ umana ttoltezza
> Quali gli fcogli , in cui da quella banda urtarono primamente
gli Uomini deliranti ? Eccomi alla feconda parte della Dittertazione
pervenuto, ed eccomi al punto di nia- nifeltare la mia opinione .
Io reputo adunque probabiliflìmo , che follerò in primo luogo i
Pilieri , o le grotte pietre qua- drate , le quau chiamate furon Betilie
, e che ori- f linariamente non erano, che Are ferventi alle rc-
igiole adunanze. Sanconiatone , Scrittore antichit- fimo delle tradizioni
Fenicie , portato da Portino fino alle ftelle , e da Lui creduto
informatilfimo della Storia Giudaica , come non molto dittante
dalla età di Mosè , nel celebre fuo frammento , là dove narra le imprefe
del Dio Urano , o Cielo , affer- ( i ) At'typvrou$v ,
xan tyofiop$ov nxwa. tu Sa eariSTca Pvy.yjois aTe-r/wcoo'. / uuar . Tom.
a . y. io- Digitized by Google I T 6
DlSSEftf. sull* Ortgtné afferma, che ,, Egli trovò le Betilie ( i
) coftrtien- „ do con inlolita mirabil arte Pietre animate. ,, Io
non ho letto di tale Frammento fé non la ver- done greca fatta già da
Filone Biblico , e riporta- ta diftefamente da Eufebio . ( 2 J So, che il
Si- gnor di Gebelin colla fpiegazione di quello antico irjonumento
ha fatto vedere, che il Traduttor gre- cò ne avea malamente recato il
lenfo, e che ridu- cendo i termini al vero loro fignificato , 1 ’
Autor Fenicio trovali uniforme al Legislator degli Ebrei. (3)
Checché ne fia , dilHetto non vengami di le- guir le tracce già legnate
dal grande Uezio , e dall* erudito Calmet , affermando , che Sanconiatone
in quell’ accennato ritrovamento delle Betilie , e co- struzion di
Pietre animate ci adombra , benché in modo affai alterato , la vera
Storia del celebre mo- numento, o Altare di Giacobbe. Quest’ottimo
Pa- triarca (~ 4 J nel fuo viaggio da Berfabee in Melo- potamia
postoli in certo luogo a dormire fu di un grande , e ruvido Saffo
acconciatoli a forma di guan- ciale , ebbe la sì nota vifion della Scala
corfeggia- ta dagli Angeli , fu la di cui lòmmità appoggiato flava
1 ’ AltilTìmo , da cui lènti rinnovarli le grandi promelfe fatte ad Abramo
. Deftatofi egli , efcla- mò Quanto è mai terribile quello luogo /
Vera- mente non è egli altro , che la Cafa di Dio , e la porta del
Cielo . Diede a quel luogo il nome di Beth - el , che lignifica nell’
ebreo linguaggio Cafa. di Dio Conlècrò il Saffo, che la notte lèrvUo
gli aveva di guanciale , verfandovi dell’ Olio , e in monumento 1 *
erefle. Quindi concependo un Vo- to , il conclufe col dire cs II Signore
farà il mi® Dio se e quella Pietra chiameraffì Cafa di Dio c 5
( I ) Et/ miwe 0»? Oupcao? ( 2 ) Pr*p. Evang. lib . I. c.
9. C 3 ) AUeg. Orien- tai. p. 22. e 9 5. Memor. de V Accad. des
Infcrip* T . 6 1. in 12. p, 24 3. (4) Cenef. 28. 18.
Dalla V* dell'antica Idolatria; 17
Dalla Mefopotamia tornando nella Terra di Ca* naan , giunto allo Stello
luogo , e Soddisfar volen- do al già fatto voto d’ offerire a Dio la
decima de’ Tuoi beni , innalzò fimil mente un Altare di pietra , e
replicò il nome di Beth - el , Cafìz di Dio. Finalmente di bel nuovo in
que’ contorni felicitato dall’ apparizien del Signore , nove! mo-
numento di pietra cortrulle , d’ olio , e di liba- zioni Spalmandolo, ed
a lui pure comunicando la denominazione di Beth - el . Io ammetterò ,
che quello termine Beth - el dato agli Altari , ed ai mo- numenti
facri , quanto all’ edema efprelfione , fofr fe uri ritrovamento di
Giacobbe; ma follerrò con egual verità, che quanto all’ idea , ed
all’interno . concetto degli Uomini ei difcendelfè dalla tradi'
zion più rimota. Beth - el , Caja di Dio , potea fi- milmente confiderai
, e chiamarli 1’ Altare nell* ulcir dall’ Arca edificato dal buon Noè ,
perchè ivi 1’ AltiSTimo a lui diede fegni fenfibili di fua prelenza
, e mifericordia . Beth-el per Somiglian- te ragione potea appellarli 1’
Altare edificato da Abramo fui monte Moria per fagrificare il
Figliuo- lo; éd egli infatti chiamò quel monte Dominus vi - debit.
Beth-el giuftamente nomar fi poteano tutti gli Altari innalzati da’
Patriarchi fedeli per ufo an- tichilfimo, forle dagli antidiluviani
fecoli proceden- te , perchè tutti onorati da qualche' Speciale
com- mercio della Divinità , percnè diftinti da qualche fuperna
verfata beneficenza , perchè in certo modo protetti , ed invertiti dal
Nume , e destinati a tri- butargli culto , Sacrifizio , e riconofcenza dalle
cir- costanti Generazioni . Ora da quefti Altari , e
monumenti di pietra , chiamati da Giacobbe per la prima volta Beth - el
, cioè Caja di Dio , e già tenuti per tali fino da* remotiSfimi
tempi , chi non conofce ( entra qui acconciamente il Le Pluche) (i J
etìerne derivate le sì note Betilie , quelle grolle pietre quadrate
, B che to Stor. del Cielo , 1 8 D r SSERT. SULL*
ORIGINE che con ol) preziofi , ed aromatiche eircnze irriga- vano ,
e che poi furono in tanti luoghi oggetto di veturtiffima adorazione, come
da più Autori , e no- minatamente da Fozio nella fua Biblioteca dinto-
ftrafi ? Chi non conofce dal Bethel di Giacobbe C foggiunge
opportunamente il Voflìo ) ( i ) deri- vato il famofò Betilos , quel
(allo prelentato a Sa- turno invece di Giove, come per relazione
favo- lofa Efichio ( 2 ) ci narra , e che ottenne poi tan- to culto
dalla forfennata Gentilità ? Ed io al Vof- iìo , ed al Le Pluche
fottofcrivendomi , concludo : Chi non conofce in quelti monumenti, ed
Altari il primo inciampo degl’ Idolatri , ed il primo og- getto
fènfìbile , e materiale delle adorazioni fuper- ìtiziofe ? Mettiamci di
grazia in varj punti di villa naturalismi . Confideriamo il genere umano
dopo la confufion delle lingue , e la differitone delle .Nazioni
già prefo da uno fpirito di vertigine , e già declinante al Politeifmo .
Malgrado le volon- tarie tenebre , che incominciano ad acciecarlo
et l'erba tuttora nel cuore il fème della religion pri- migenia ; e
nella memoria i fagri riti, e le reli- giofe cerimonie dal Patriarca Noè
tramandate . Egli perciò innalza, e confagra in ogni luogo pie- tre
modellate a fòggia d’ Altare per onorarvi la Divinità : ei vi ft proftra
all’ intorno: ci vi ce- lebra le religiofè adunanze : ei vi prefenta i
Tuoi Sagrifizj , comecché forfè non più al folo , e vero Nume, nta
agli altri ' ancora , agli elementi, agli fpiriti . Ei fa però , ed una
tradizione non rimo- ta glielo rammenta , che il primo Riparatore
de- gli Uomini dopo il Diluvio ergendo un limile Al- tare , il vide
torto adombrato dalla fènfibil pre- lenza , e maeftà dell’ Altiflìmo
difeefo in atto di ricevere , e di gradire placabilmente i fuoi
Olo- caufti . CO De PhU. ChriJIUn. C? Theol. Gent. Vib.
6. t. :p. ( 2 ) BatTuho? «toj fjtocXe-fTO o AtGo; to>
K poeti) cari &ios , Dell* antica Idolatria;
taufti . Comecché la Scrittura noi dica , io noa credo temerità 1*
aderire , che limili degnazioni compartifle talvolta il Signore anche ai
Figliuoli, o ai Nipoti di Noè , che fi mantenner fedeli pri- ma d'
Aoramo. Ben il vecchio Sacerdote, e Re di Salem Melchifedecco ne avea
tutto il merito. Checché ne fia , certamente il genere umano non
può non confiderar quelle pietre , od Altari , che qual cola rilpettabile
, e (anta. Fi le vede fèrbate ad un culto Speciale della Divinità , e
ad un peculiar commercio col Cielo : ei le vede in- nalzate o
per rinnovar la memoria d' alcun luper- no ricevuto favore , o per
invitar gli animi ad una fedele riconofceitza : ei le vede anche ufate
per edere teftimonio , e monumento durevole delle al- leanze
, de' patti , delle folenni prometle , e de' giu- ramenti , ne’ quali s’
interpone il tremendo nome » e la Maeftà Divina. Gli efempli , che fu di
ciò abbiamo nella Scrittura , non fanno , che dinotarci una
vetuftidìma poftumanza. A tutto quello s' ag- giunga 1' opinione già di
fopra accennata , e che fi- no dai primi tempi fi propagò fra i mortali ,
cioè che tutto ripieno folle d’ Intelligenze regolatrici degli
elleri , e degli effetti della natura . Con- nettali pure l’altra
opinione d’ antichità non mi- nore da S. Agoffino rammentataci ( i J
colle pa- role del celebre Mercurio Trifmegifto , cioè che per
certe conlecrazioni rimanellèro li Simulacri non pure inveititi , ma
realmente animati dalli Dei venuti ad abitarvi , affin di nuocere, o d?
giovare più da vicino ai loro adoratori . Ciò , che forfè adombrar volle
Sanconiatone con quella ef- preffione di 7 ^ 0 ^$ Pietre animate.
Con- siderando noi il genere umano in tali profpetti , qual
cola più probabile, e naturale a concluderli, eh' egli , parte abufando
delle antiche tradizioni veraci , parte ingannato dalle nuove folli
perlua- B 2 fioni, C t J De Civit. Dei lib. 7. e. 23. e
24* f 2 o Dissert. sull* Origine fioni j
e già rilbluto di voler oggetti fenfibili al proprio culto , cominciale
ben pretto a venerare quegli Altari , que’ monumenti di pietra ,
quelle Eetilie , .riguardandole o come Alberghi della Di- vinità ,
o come fimboli della prefenza divina , e finalmente , tempre più
creteendo 1* accecamen- to , come tanti veraci Iddii ? Se il genere
umano è pure intefiato di adorare l’opera delle tee ma- ni , qual
cofa più reverenda , e più degna di culto ai di lui occhi pretentali ,
che i mentovati Altari , o monumenti , o Betilie ? Qui vorrà
alcuno per avventura obbjettarmi , che quando trattali d’antichità
olcurilfima , più che^ col raziocinio , voglionfi colla fioria , e co’
fatti fiabilir le opinioni j ed io non fono per conten- derlo.
Forte però, che l’opinione da me propo- sta non li deduce naturalmente in
gran parte dai Libri Storici di Mosè , i quali ( lanciando anche
ftare quella ifpirazione divina , che li confacra, e mirandoli tei con
occhio di Filotefo non tumido per alterezza , nè da paliioni alterato )
ben va- gliono aliai più, che tutti li Vedam de’Bramini, gli Zend
di Zoroaftro , i Kinghi di Confucio , e di Se-ma-fiien, ed i racconti
favololi di Erodo- lo ? Pur i*on fi creda , che io voglia in quella
ma- teria lafciare affatto il mio Leggitore digiuno di monumenti ,
e di autorità . Il Volilo C i ) rapportaci , che il Beth - el ,
o Pietra di Giacobbe , di cui tanto abbiamo parlato , fu a
fomiglianza del Serpente di bronzo , per lun- ga età foggetto di
fuperfiiziofa adorazione a molti Giudei , finché da’ veri Ifraeliti prete
giuftameu- te in abbominio , gli fu cambiato il nome di JBef/i- el
% Cafa di Dio, in quel di Beth - ave , cioè Cafa della Menzogna .
Quali poi furono i primi Simulacri degli Ara- bi , tra i quali i
Moabiti , e gli Ammoniti fi com- prendevano? Gli Autori antichi, a’ quali
rappor- tali i ) lai’, d. r. 2p. dell’ antica
Idolatria. 21' tali il Calmet , e che ci parlano delle prime
Divinità di que’ Popoli , le defcrivono come fem- pjici Pietre informi, o
fcalpellate, ma non con umana forma. ,, Voi ridete, dice Arnobio,
(2) „ che ne’ vetufti tempi gli Arabi adoraflero una ,, Pietra
informe . „ Malììmo Tirio ( 3 ) o di que* ito , o d’ altro Arabico
Simulacro parlando il chia- nia Tfrrpxyjìm Pietra, quadrangolare. Ed
Eu- timio Zigabeno nella fua Panoplia ragionando co’ Saraceni
: ,, Ed in tjual modo , efclama , voi ab- ,, bracciate la Pietra di Brachthan
, e la baciate ? ,, Alcuni rilpondono : Perchè Abramo fopra di efc
„ fa eboe il fuo primo commercio con Agar. Al- ,, tri poi : Perchè
ad ella legò il fuo CameTo quan- ,, do fu per lagrifìcare Ilàcco . f 4 )
„ Non pen- io di meritar la taccia di capricciofo , fe giudico
quelle Pietre adorate in feguito nell’ Arabia nuli* altro elfere fiate da
principio, che vetulte Beti- lie , o rozzi Altari fors’ anche al vero Dio
confe- crati . Certamente Mosè , ("5 J in ciò ieguendo S
er avventura la tradizione , e il più vetullo co- ume , prefcrive , che
di rozze Pietre dal ferro non tocche , e informi fallì , ed impoliti
follerò gli Altari , che dopo il patlàggio del Giordano fi
volelfero al Dio d’ Ifraello innalzare; e nuli’ al- tro , che grandi
Pietre fpalmate alquanto di calce folfero i monumenti defiinati. a
fcrivervi lòpra le parole della legge. Temette forfè il grande Le-
B 3 gisla- ( 1 ) 7 efor. cP Antich. tratto dai Coment, del Cal-
met T. 2. ( 2 J Lib. 6 . C 3 J Sermon. 3 8. ( 4 ) Ili* VfJUHi
TposrpiQtsrt toj ?u 9 u» t ts Bpxyficxv j xou tpiKsirt raro» ; kou tiiik
j aa> ewrw tpctti y %tQTi tir coki) aura s trasloca rn Ay cefi 0
Afipaont. AÀA01 ?>£ ori rpotilìiKur carro» thv xxiju iXov , fJ.iKho»r
(jusai rov I sotux. . C s ) Deuter. 27. 5.22 Dissert.
sull’Origine gislatore , che fé tali monumenti , ed Altari fi f 0
f. fero con più eleganza collutti , divenilfero più fa- cilmente al
rozzo fuo Popolo, e vacillante pietra d’inciampo, e fomento d’idolatrica
fuperllizione . E qui , giacché dell’ Arabica fuperllizione ho
fatto parola , voglio avvertire, che della per lungo tem- po
mantenne!! nella lua primigenia feniplicità. Giobbe Arabo, o Idumeo
, forfè contemporaneo , le- non anteriore a Mosè, accenna lenza meno l’
Ido- latria del fuo Pael'e. Or ei non parla nè di lla- tue , nè di
figure . Indica fidamente 1’adorazione , ed il faluto del Sole , e della Luna, che
poi Uroralt, ed Alilat furono nominati . Se- gno manifelto, che fra que’
popoli non fi era introdotto per anco quel lopraccarico di moftruole
follie, con cui dalle Scolture Egiziane rimale ag- gravata l’ Idolatria.
Che fe non pertanto gli Ara- bi ab antico proltravanfi a Pietre informi ,
o qua- drate , quali io reputo Betilie , ed Altari , ben con-
cluder potrai!! , che quelli follerò il primo. fco- glio, e il primo
fcandalo al/ materialifmo de’ più antichi Politeilli . Teltiinonio
ne facciano i primi Abitatori del- la Germania . Colloro finché rimaforo
nella vern- ila loro rozzezza, finché la fuperllizione fra eli! col
commercio delle arti Greche , e Romane non giunfe a farli più vaga
infieme , e più llolta , al- tri Simulacri non ebbero, come Tacito ( a J
av- verte , che folli informi di legno , e di rozze pie- tre .
Erano quelle le forme degl’ Iddii , che por- tavanocon elfo loro alla
guerra , penlando , che folle un offendere la Divinità il
rapprelèntarla fotto umana fembianza . Ciò , che pure da molti
altri C. 31. v. 16. ( 2 J De Morìb. Germart. Sta- tua
ex stipitibus rudibus , i? impolito lapide effi- gi e s , CP Jìgna quxdam
detracia luci s in prxlium ferunt . Nec cohibere parietibus Deos , ncque
in ullam humani oris Jpeciem affimilare ex magni- tudine cotlejìium
arbitrantur. altri Popoli di non peranche ingentilito collume , per
quanto narrano gravi Autori , collantemente penfolfi . Ma e dove lalcio
la celebre Madre degl* Iddìi , o fia Cibele di Frigia portata in Roma
da Pelìinunte col miniftero di Scipione Nafica , e da* Romani
ottenuta per mediazione del Re di Perga- mo al tempo della feconda guerra
Cartagine!? ? Livio le dà il nome di fagra Pietra„ Pietra informe la
chiama Minuzio Felice . Arno- bio la defcrive come una Selce non
grande di forco, ed atro colore , e per angoli prominenti ineguale
. Eravi fra quei Popoli tradizione , che quella Pietra caduta folle dal
Cielo, e che ap- punto da jrK&y cadere la Città Pelfinunte folle
Hata chiamata . La Grecia ftefTa non fu priva di quelle
fog- gie di Simulacri. Paufania ci attefta, che in una loia parte
d’ Acaja furono da trenta Pietre taglia- te in quadro , aventi ciafcuna
il nome di una qual- che Divinità , e con fomma venerazione riguarda-
te , fendo llato collume antico de* Greci il prellar culto a limili
Pietre , non meno di quello , che pofcia faceflèro alle figure, e alle
llatue. Mi farà egli difdetto il probabilmente congetturare per le
ragioni di fopra addotte , che quelle , ed altre* limili Pietre di Grecia
nuli’ altro da principio fof- fero , che Betilie ? Servirono un tempo a
niun altro ufo, che agli efercizj delle facre adunanze. L* Idolatria col
farli più tenebrola giunte a diviniz- zarle . Betilie ùmilmente , o
imitazione fenza me- no delle Betilie pollòno crederli gli Ermi , di
cui la Grecia , e Roma furono ripiene , e che pofcia ad abellire
fervirono fpecialmente le Biblioteche. Bili non erano da principio , che
tronchi informi di legno , o di marmo , o di pietre tagliate in
quadro fenza mani , e fenza piedi : T runcoque fiinillimus Her-
inu?, dille Giovenale. ("3) Ne* quattro di loro lati pretendeva!!
dinotare o le quattro ltagioni, o le quat- B 4 tro ( 1
J Lib. 2$4 ( 2 J Lib . 6 • ("3 ) SiiU 8. 1 '24 Dissert. sull*
Origine . tro parti del Mondo. Si confiderarono poi come
ilatue degli Dei , e di Mercurio principalmente „ Il di lui capo , che vi
fi aggiunfe , fu fenza meno un poderiore ornamento. Anche il Dio Termine
non fu nell* età più vetude rapprefentato , che fot- to la figura di
grolfi Saffi quadrati , cubici , privi di mano, e di piede :
Ttrpctywoi , xuQoziìitls y K'Xttp&y xou airone? ; quantunque al
Dio Termine pur s* aggiungere la teda umana ne’ fecoli
confeguen- ti . E che non può in quella parte una matta per-
fuafione a poco a poco crelciuta fra i barlumi di tradizioni parte vere*
e parte mendaci? A tutti è noto , che da molti Popoli fi giunte per fino
a ve- nerare le Montagne , quali grandilfimi Simulacri della
Divinità. Il monte Atlante era il Dio de- gli AfFricani. Occidentali : un
monte il Dio de* Oappadoci per allerzione di Malfimo Tirio : Moni a
pud Cappadoces prò Deo ejl , prò jur amento , atquc Simulacrum . Un
monte , o fia rupe SxotéA© r y xoputplw il chiama Stefano , ( i )
rifcoire pure adorazione dagli Arabi. Giove fi venerava nella cima
de’ più alti monti , come dell’ Olimpo , del Callo , dell’ Ida ; e il
nome quindi ne rifcuotea di Giove Oljmpico , di Giove Cafio , di Giove
Ideo . Gl’ Italiani ilelfi predarono al monte Appennino venerazione
, come apparifce da una Ifcrizione ri- ferita dal Matfèi nel tuo Mufeo
Veronefe, la qua- le comincia IOVI APENINO. Ora e per qual ra-
gione crederemo noi , che adorati veniflero tal» monti , te non per la
della , che confecrate avea le Betilie ? Ce la prelenta naturalmente il
Berge- ro . ( 2 ) Fu fcelta la cima de’ monti per offrirvi
de’ facrihzj , perchè credevano gli Uomini d’ e fie- re più vicini
al Cielo, e conseguentemente agli Dei, qualora fi adoravano gli Altri.
Per tal mo- tivo (" i ) In Avsccpq . ( 2 ) Trattai,
della vera Relig. ìf tfvo <i feielfero le pili alte. Tali cime
per eli .«lercizj della Religione confècrare ben predo dir vennero
rilpettabili Immaginoifi , che gli Dei vi fodero difcefi^ p®* ricevervi
T’ incenfo , e gli omag- gi degli Uomini. Pài non vi volle.
Riguardata prima come abitazione de* Numi , fi confidcrarono ben
predo quai Simulacri immenfi animati dalla Divinità, ed ottennero una
fpecie d’Apoteofi. . Gon quanto fi è da me finora ragionato, e che,
le il tempo lo permettelle , con altre notizie, e cagioni facilmente
potrebbe!* dilatare, io giudico refa ormai probabile la opinione di chi
accinger vogliali a fo denere , che. i primi Simulacri delìq
Gentilefche Divinità fodero femplicl Pietre riqua- drate , od informi,
fenza alcuna umana, q anima- • Jefca fembianza . Reda ora , che
alcuna cola ragionili de* Simu» * a , cr * ° rot °ndi , o tendenti a
rotondità, a cui pre- ito fuo culto primiero la cieca' fuperdizione ,
pfi* ma che folle ai figuri te Statue provveduta. Io non fono
per ripetere quanto di fapra ba* ftevolmente ti £ detto intorno a| culto
degli Adri* e degli Elementi , degli Spiriti, e degli Eroi. Ag-
giungerò (blamente , che non sdendo per anche giunto lo fcalpello Adirio
, o. Egiziano a rapprefentar le figure degli Uomini, e degli Animali, e
per elprelfioni di Arnobio , ( i J avanti 1’ ufo , e U difciplina
della fcoltura , già penfato avea 1* Idolatria a procacciarli , oltre le
Betilie , oggetti temibili alle lue adorazioni. Gonfiitevano quelli
iti certi fimboli q dinotanti, la potenza, e dabi- hta de’ Numi , o
adombranti in qualche modo alcuna or qualità, J Battoni , le Verghe, le
Afte, che al dir di Trago Pompeo (a) furono la prima “^gna .dei Re,
lignificavano il fommo imperio . de Numi, Le colonne, i cilindri , le pur
non erano una imitazione più ‘ ingrandita dei Badoni da comando, ne
accennavano l’ eternità. Gli Obe- B 5 Ufchi, ' fi) Lib,
& (Lib % ultima t6 Dissert.
sull* Origine lifchi , le Piramidi , i Coni efprimevano i
»gg* «}el • Sole , e delle Stelle , o la natura del fuoco , che -in
alto vibrava!! acuminato. Menianrto pur buone a Porfirio ( i ) le
interpretazioni sì fatte . Concediamogli ancora, fe piace , che tali
monu- menti alzati dalla pili vetulla gentilità non fi ri- guarda
fiero da principio , che come fimboli , o meri Pegni d’ onore . Il Volfio
, e forfè con trop- po impegno, è dello fleflo parere ; ma poi di
Por- firio più ragionevole , perchè non tanto foffifta , nè così
empio , s’ arrende a concludere , che ben pretto divennero occafione di
lcandalo alla materiale Idolatria , e oggetto furono di profane ado-
razioni . Elfi in una parola ne’ primi tempi flet- terò in luogo di
quelle ftatue figurate, che poi ot- tenner l’ incenfo dalle corrotte
umane generazio- ni . E qui bramo s’ avverta ? che dove di fopra io
dilli , aver preffo molte nazioni tardato non poco le ftatue ad
innalzarfi ne’ Templi anche dopo la erezione de’medefimi, io intefi
favellar foltanto delle Statue rapprefentanti le Teodie fotto la forma di
Uomo , oppur d’ Animale ; ma non volli giammai includere i Simulacri ,
per così dire , fim- Eolici , e non aventi figura . Quelli fono anteriori
, non pure alla ftabil mole de’ grandi Templi , ma eziandio a quei
Padiglioni, o Tabernacoli, o Tempietti portatili , con cui gli antichi
Idola- tri ebbero in ul'o di condurre a patteggio i loro Numi
. Ora di quelli non figurati Simulacri parlando , m’aprirò il
varco con l'autorità di Filone Bibli- co ( aj , il quale nel fuo proemio
alla interpreta- zione di Sanconiatone, diftinguendo gli Dei immor-
tali , come il Sole , e la Luna , dagli Dei mortali , cioè da que’
Principi , ed Eroi , che per le loro getta avevano confeguita l’ Apoteofi
, ci avverte «fiere flato vetullo immcmorabil collume , fpecialmente
(ij Apud Eufeb. Trap. Evang. lib, 3. c. 7. (a) JW. lib. 1. e.
9. mente degli Egiziani , e Fenici , da’ quali preferì norma
le altre fazioni, d’ innalzare a quelle Chili d’Iddii Colonnette, o
Baftoni , o fia Scettri di le- • J_ - -t fn..: ninmimpntl il nome
di (cerando. (i),„ Sanconiatone poi nel fuo frammento
racconta- ci fa J, che molti fecoli prima della coftruzione de’
Templi, e formazione delle Statue Ufoo primo navigatore avea dedicate due
Colonne %uo sTtfKxS al fuoco , e al vento, e prellato ad entrambe
cul- to , e facrificio col fangue degli Animali. Proiie : f
He indi a narrare , che dopo la morte de primi roi già divinizzati la
grata pofterita onorata avea la lor memoria , lotto i loro nomi confecrando
ver- ghe , e colonne, e con feftivi giorni , e fagre ce- rimonie
adorandole . Finalmente ci addita , che dopo lunghiffima età fu innalzata
al Dio Agro vera effigiata Statua nella Fenicia . .. Giu
Teppe Ebreo f 3 ) non diubmigliantl noti- zie prefentaci , aderendo , che
i Tir) da principio a’ loro Dii fornirono Afte , e Baftoni , poi
Colon* ne , e finalmente le Statue . .Certo nella primitiva Egiziana
Scrittura fimbo- lica ( 4 ) non in altra foggia, che d’ un Bafton
da comando con un occhio efiprimevafi Ofmde , il S uale
originariamente fu il Sole , fignificar volen- o la fua regale potenza,
ed il mirar ch’egli fa dall’alto tutte le cole. Ed io ben credo
efftre agli Eruditi notiffime le Piramidi , gli Obelifchi , ed i
Coni dall’ Egitto al Sole innalzati , come per imitar-
* i 'Tru'Xas rt , xcu pa<i; aipitpoiw coope- ro?
ccuTiM , xoa rocurot ju.yaAw? , kou ioprrccs m/J.or carrots Taf
pryisrccs. fi) Apud Eufeb. ibi c. io. ( 3 ) Cont. Apìon. lib.
I. (4J Macrok. SatumaL lib. I.c. ai. Digitized by Google aS
DisserY. ' suit* Ormine imitarne I fuqi raggi . Da ciò forfè
provennero quelle corna , d* cui in fedito 1 Egizia bizzaria li
compiacque ornar gentilmente il capo del tuo Giove Amone, del fpo Apollo
d*Eliopoli,e della fua Ifide. Ove à no\ piaccia di ftare * certe
le- zioni per altro antiche del tetto di Quinto Cur- zio, CO
ammetter dovremo, che 1' Amone ado- rato da’ Trogloditi , e
proceifionalmente a fpalle di Uomini condotto in una dorata barchetta per
aver- ne eli Oracoli , altra forma non avea , che d un Goiìò, ó d’
un Ombelico tutto di fmeratdi , e P rc ~ ziofe gemme fmaltato . Almeno
rigettar non po- tralTi 1* autorità di Brodiano,f 2 J il quale ci delcrive
il Simulacro del Sole (otto nome di Elegalu , venerato iq Edeilfo
della Siria Apamena • Di tale Simulacro (e ne può vedere adombrata
«. forma in una medaglia pretto il Vaillant battuta ali* ùltimo e
più pazzo degl’ Imperadori Antonini . Or ecco la defcrizione di Erodiano,
giufta la ver- fione latina fatta dal ^oliziarfo . „ In Edefla non
v’ ha Simulacro atta Greca , o alla Romana em- ” «iato fecondo P
immagine di quel Dio -, ma un latto grande rotondo da imo > e , a P
oco a P oco crefcente in punta quali a figura di Cono . Nero V, è
il color della pietra , cui facciano eflere ca- V, data dal Cielo.
ed affermano quella 1 ” fer 1* immagine del Sole no n da umano
artificio 3y lavnrata Su tali parole fa una riflettìone op-
/.ante voi* citato G^> del soie : uiciiuc , 7 - ,
-, *• Tentare gl* Iddìi fotto umana fembianza fu de po-
fteriorf Greci, e Romani. Ma gli Afiatici più ve., tutti, ecl anche gli
Egizj moltq divamente fi *i- P ° rt Chi °fà pertanto, che, fe ci
rimane^ro le me- rie delle più antiche orientali Divinità ,
^noi^noi* mone Lib. s. (2) Lih 5- CO Uh. 9. c. io >
dell'antica IdoiatrYa. 19 le trovaffimo quali tutte in
figura di Colonne , d? Obelifchi , di Piramidi , o di Coni rappreleutate
? Certo non fenza ragione i Settanta hanno in co(ìu« me di
traslatar per Colonne la voce ebrea Matgaba , che ordinariamente
traduce!! per ljìatue ; e come il Calmet ( t J ci avverte , il nome di
Colonne lem- bra meglio corrifpondere al lignificato del termine
originale. Forfè que’ dottilììmi Interpreti vollero dinotare la forma
antica , con cui 1 ’ Oriente , e la Terra di Canaan rapprefentar foleva i
fuoi Numi ; E forfè Mosè coll’ imporre , che fi demolillèr tutte le
ftatue delle profane incontrate Divinità , nuli’ altro impofe nella
maggior parte , che la demolizio- ne di Piramidi , e di Colonne . Dilli
nella maggior parte, e non in univerfale, poiché quel Sacrifica-
verunt fiulptilibus Canaan , che abbiamo nel Salmo 105. , mi lece ellèr
più continente nelle parole . E de’ famofi Serafini di Rachele , primo
monumento d’ Idolatria materiale , che s’ incontri nella Scrittura, e
degli altri Idoletti elìdenti prellb la làmiglia di Giacobbe dalla
Melopotamia recati, che diremo noi ? S’ io pretendelfi figurarmeli come
piccioli Coni , o colonnette , con quai monumenti , ed autorità po-
trei ellère contradetto? Per verità io miro Giacob- be , che intefo a
ripurgare la fua Famiglia , pren- de , e (otterrà , non folo gl’ Idoli
chiamati Dei ftra- nieri : Deos alienos , ma angora i pendenti , che
fi trovavano all’ orecchie de’ fuoi feguaci Io non crederò
già, che le Pedone della comitiva di Giacobbe , e malTìme le piilfime
Donne Lia , e Rachele ardlllèro di portare sfacciatamente agli
orec- chi appefe le (lamette, od immagini d’ alcuna pro- fana
Divinità . Primieramente potrebbe!! con tut- ta ragione foftenere , che
di que’ tempi non eranò peranco T. 2. DiJJìrt. de' Templi
degli Antichi . Genef C. 25. Dederunt ergo ei omnes Dcos alienos ,
quos habebant , IP inaures , qua : erant in auribus eorum. At ille
infodit eas subter Terebin -thum .30 Dissert. sull* Origine perineo in
ufo le dame figurate. Le Rabbiniche tradizioni dell’ arte datuaria
efercitata fuperdiziofa- mente da Tare Padre di Àbramo fono già
(eredi- tate prellò degli Eruditi. La pretefa antichità della Statua di
Nino alzata a Belo fuo Padre rella dai calceli dell’UHèrio fmentita. Nino
regnò in Affi- na parecchj fecoli dopo Giacobbe . All’etàdique^ fio
Patriarca il Sole , gli Aflri , e malfime il fuoco adorati nella Caldea ,
Affiria , e Mofopotamia probabiliffimamente non aveano che Simulacri fimbolici.
Quando pure fenza fondamento ammetter fi voleflèro le Statue figurate ai
giorni dello ftefiò Giacobbe, io non potrò perfuadermi giammai, che
1’Uom fanto permeili avelie in alcun tempo ne’ fuoi l’ irreligiol'a
ollentazione di tenerle appele agli orecchi, comecché per folo ornamento
. Il motivo ideilo, oltre a varj altri, che addurre potrei, mi trattiene
dal fottolcrivermi all’ opinione del Grazio, e del Wandale , i quali
pretendono , che tali orecchini follerò fuperdiziofi Amuleti .
Quale relazione adunque degli orecchini cogl’ Idoli per dovere
anch’ «Ili meritare il fotterramento ? Se avefi fi luogo ad edernare un
mio non inverifimil pen- dere, direi , che la relazione confidelle in una
cer- ta edrinfeca fomiglianza colla fimbolica figura degl’ Idoli .
Forle l’ ornato di quegli orecchini potea edere qualche gemma , o
preziofo metallo cadente , e travagliato a maniera di goccia , di cono, o
vergherà, che molto raflòmiglialTe la forma appunto degl’ Idolatrici
Simulacri . Quindi Giacobbe volen- do abolita per fempre di quedi ultimi
la memoria predo de’luoi, nalcolè unitamente fotterra tutti quegli
ornamenti, che per la loro forma, e lavoro potuto avrebbero in alcun
tempo rifvegliarne la rimembranza. Ma fi torni in carriera , e col Voffio
( i ) ornai fi rammenti , che non in figura umana , ma bensì in
figura di colonne o piramidi acuminate furono i Si- Lib.
g. c. 5. i Simulacri , a cui nei primi , e più rimoti fuoi
tem- pi l’ idolatrante Grecia prodrofli ; che le per con-
ientimentò di tutti gli Autori ebbe la Grecia dagli Orientali , e dall'
Egitto principalmente i fuoi Nu- mi , e le cerimonie di Religione , farà
quella una riprova novella, che di cilindrica, piramidale, o conica
forma federo i Simulacri almen più vetulli dall’Oriente, e dall' Egitto
inventati. Ora nuli’ altro appunto , che una Colonna fu la
Giunone Argiva. Ce lo atteda Clemente Alef- fandrino ( i ) recando alcuni
verlì di un vecchio Poeta Greco in lode di Callitoe prima Sacerdo-
tellà di quella Diva predò gli Argivi . Io mi farò lecito di darne una
mia Traduzione; Della Donna del Ciel preliede al Tempio Clavigera
Callitoe , che intorno Di ferti , e bende un dì già ornò primiera
Dell’ Argiva Giunon 1 ’ alta Colonna . Non altro , che femplici
acuminate Colonne , o Piramidi furono i Simulacri podi ad Apollo , e
a Diana, come lo Scaligero (3 ) dalle antiche me- morie deduce. Non
altro, erte una rozza Colon- na di legno la Statua di Pallade Attica. ,,
Quan- „ to ( dicea perciò Tertulliano) ( aJ diltinguelt ,, dallo
dipite d' una croce la Pallade Attica , o „ la Cerere Farrea , che lènza
effigie coda d’ un „ rozzo palo , e d’ un legno informe . Un legno
„ non dolato ( proliegue Arnobio ) ( $ ) adorodì ,, da que’ di Caria in
luogo di Diana : in luogo „ di Giunone un Pluteo da que’ di Samo ; un’
Atta „ dai Romani in luogo di Marte , come le Mule » ài
'Zrpuu.eerwv I K «XfaQoti cXifjLTtcìbos BajiAtw H/W fi
pryutK W> {Tìia/axsi , XM buiOCVOKl ripa irti tx.orjj.tKur rtpt tttwx
jJMxpw curctsitK . Ad an. Eufib. 377, f 4 ) AJverf. Cent.
C 5 J Lib. 6. 3 2 Dissert. suix’ Origine „ di Vairone ci
additano. ,, E giacché Arnobio un Romano Autore ha citato , qui giovi
connet- terne un altro , cioè Trogo Pompeo , o fia il Tuo
Compilatore Giurino ( i ) , il quale d’ Amulio ,~e di Numitore parlando
ultimi fra i Re d’ Alba , in quella foggia h efprime. ,, In que’ tempi
tuttora ,, dai Re invece di Diadema portavanfi 1 ’ alle » ,, che
lcettri dai Greci furon chiamate. Conciof- ,, liachè dalla prima origine
delle cofe furono ado- ,, rate 1 ’ Alle in luogo de’ Simulacri degl'
Iddii im- ,, mortali . Ed in memoria di tal religione ai Si- „
mulacri degl’ Iddii tuttora 1' Alte s’ aggiungono. „ Finalmente non altro
, che un rozzo malconcio legno , e deforme» liccome Ateneo ( 2 ) ne fa
fede era il Simulacro di Latoua prello a quelli di Deio y c per fitìfatta
guilà ridevole, che al ibi vederlo n’ ebbe a icoppiar dalle rifa quel
Parmenilco di Metaponto , che dopo 1 * ufeita dall’ antro di Tri-
ionio non avea rifo giammai. Quindi non ci ltu- piremo altrimenti al
fapere» che un breve defeo attaccato ad una lunghi ifima pertica folle il
Simu* lacro del Sole venerato da que’ di Peonia ; e che informi
tronchi , maltagliati , e fenz' arte fodero 1 Numi degli antichi Germani
» e de’ prilchi Galli , come ne allicura Lucano . ( 3 ) Molto mena furem
meraviglia in vedere queiti primi idolatrici monumenti di legno più tolto
, che d’ altra mate- ria lavorati . Per poco che fiali nell’
erudizione verfato » non può ignorarli » che i Simulacri pri- mieri
dell’ ancor giovane Idolatria materiale , giu- lta il collume degli
Orientali pattato nella Grecia » e nel Lazio, furono quali comunemente d’
argil- la, o di legno , a cui fuccedè ben prello il mar- mo »
quindi i metalli v e finalmente 1’ avorio . Non lafcianci dubitarne i be'
palli, che abbiamo in C O Lib. 43. (z) Mb. 5.
( 3 ) Simulacraque moejla Deorum Arte careni , caefisque
extant informia truficis . in Ifiaia ( i ) , in Geremia ( 2 ) in Ofiea
(3), e nel Libro della Sapienza ( 4 ) . Gli eleganti verfi poi di
Tibullo CìJ 1 non Ibi rapporto a quello capo, ma tutta in generale
confermano la mia pre- fente opinione . Non di legno però -
ma di pietra in figura di gran piramide , al dir di Pautania , fi* il
Simula- cro fiotto il nome di Apollo da’ Megarefi guarda- to , e
Umilmente una pietra fu la sì celebre Ve- nere Pafia , il di cui
Santuario tanta venerazione rifico Uè non pur dall’ Ifiola di Cipro , ma
dalla Grecia tutta, e dall’ Alia minore. Venere Pafia, che ha data
occafione , e primo impullò al mio fieri vere , quella fi a appunto , che
ornai gli dia compimento. Il di lei Simulacro viene da
Maflimo Tirio ( 6 ) ad una piramide bianca paragonato . Noi però
più efatta ne prenderemo la detenzione da Tacito ( 7 ) , le di cui parole
nel fiuo nativo linguaggio mi fo lecito di produrre : Haud crtt lon- gum
initi a religionis , temyli fitum , formanti Dea 9 ncque alibi fic
habetur , vaucis dijjerere. Simulacrum Dea non effigie fiumana continuus orbis
, la - tiore initio tenuem m ambitum , met a modo exurgens , C? ratio in
obfcuro - Or di quefia Venere Pafia noi coi noftri proprj occhi ne
potremo facilmente rilevar Ja figura tutta appunto conforme *
alla C o f. 29. ( 2) I. f 3 ) 4. 12, co «$• Eleg. 1.
lib. I. O) Nam veneror, jèu Jìiyes habet defertus in agris ,
$eu vetits in trivio florida Certa lapis f Eleg. io. lib. I..
Sed yatrii fervute lares , coluiflis CP idem Curfarem veflros cum
tener ante lares ; Kec yudeat yrifios vos ejfe e fliyite faclos
, Sic veteris JeJes incoluiflis evi . T unc melius
tenuere fidem , cum ytniyere teSÌ 9 l Stabat in exigua ligneus ade Q$us
• (d) Orat. 38. (7) Lib , 2. 54 Dissert. sull'Origine
alla defcrizione di Tacito. Balla oflervar tre Me** daglie
riportateci dal Patino ( i). La prima bat- tuta dalla Città di Paflo a
Drulo Celare ( 2 ) . La feconda coniata da’ Cipriotti a Vefpalìano
La terza da’ Cipriotti Umilmente dedicata a Tra- mano C4J • Anzi non l’
Itola lòia di Cipro, co- me di lòpra toccai , e come attella , e
compro- va P eruditiffimo incomparabile Spanemio (5), adorò la
Venere Pafia . Il di lei culto propagolfi ancora in altre Nazioni , e
Città , le «juali perciò lì fecero vanto di ornare col di lei Simulacro ,
e Tempio i rovefci di lor medaglie . Fede ne fac- cia la Medaglia
di Adriano battuta da que’di Sardi nell’ Afia minore, e riferita dal
Sirmondo (< 5 ) , e Umilmente un’ altra coniata da Pergameni
fpet- tante ad Euripilo prellò il citato Spanemio ( 7 ) ; ed anche
un’ antica Corniola prodotta dall’ Ago- ltini , fenza accennare però, le
Greca, o Roma- na ( 8 _) . Ed io lòn di parere , che dal tempo , e
dagli Eruditi altri limili monumenti o fcoperti lì fieno , o (coprire lì
pollano dinotanti la venera- zione dilatata, in che lì ebbe quella folle
Palla divinità, e infieme comprovanti la veridica deferii zione ,
che del di Lei Simulacro Tacito ci rap- prefenta . Debbo però confettare
, che quanto ne* monumenti addotti io riconol'co per vera ed el'at-
ta la delcrizione mentovata , mi lòrprende altret- tanto il modo , con
cui Tacito la conclude : Me- t.r modo exurgens , ei dice , i? ratio in
olj'curo . Pof- fibile , che ad un Uom si erudito , quale fu Taci-
to, sì gran meraviglia facelle il mirar Venere Pafia in figura di un cono
, o di una piramide ? Non dovea egli piuttollo da una tale figura
defumere 1* antichità di tal Simulacro , o almeno la derivazio- ne
di C 1 J Imy. Roin. Numis . (*2 ) Ibi pag. 80. C 3 ) (4) Ibi pag. J 3 o. ( $ ) De
Praeft. , t? Ufìi Numism. Dijf. 5. ) Colleg. del- le Med. del Col.
Chiaram. di Parigi . ( 7 ) Ibi . C»J DiaL 5. pag. 176.
ne di una veturtilfima coltomanza ? Non dovea Ta- pe re , che ne’ più
rimoti tempi, e come Trogo di- cea , ab origine rerum , altri Simulacri
non ebbero i Numi , che o pietre quadrate , o piramidi , od obe-
lifchi , o coni , o colonne di legno , e di fallo ? Come ignorar potea il
conico Simulacro d’ Apollo in Megara , e del Sole in Ed e Ila , e gli
obelifchi, è le piramidi al Sole ideilo alzate in Egitto ? Come gli
ufeiron di mente i furti, o colonnette rozze di legno , e le impolite
pietre , che per di lui alfer- zione rifeuoteano le adorazioni della
Germania ? Come sfuggirono alla di lui maflima erudizione le due
colonne porte a Giove nel Tempio d’ Ercole in Tiro ; come le altre molte
collocate nel Tempio di Gadi ; come le due confecrate al Sole dal
Re Ferone nel di lui Tempio in Egitto? Tante co- lonne infine fi J
, con cui adombrar (i folevano e Giove , e Giunone , e Bacco chiamato
perciò TUputiovios Colutnnarius , e Apollo detto Ayiftfs
Compitali , ed Ercole , e Marte , e Bellona , non do- vevano farlo
falire all’ origine delle cole , ai colto- mi dell’antica, e primiera
rozzezza, e deporre la meraviglia circa la forma del Simulacro di
Venere Pafia ? Ma qual cofa Tacito fi penfaflè in quella Tua
fofpenfione, egli fel vegga, e noi non ce ne brighe- remo altrimenti.
Raccoglieremo bensì le vele ad una Dillerta- zione , che in vallo
pelago trafeorfe ornai troppo lungi. Voi, o dottiamo Sig. Conte, farete
telfi- monio o del Tuo felice tragitto, o del Ilio infaufto
naufragio ; e onorar dovrete o di compatimento i fuoi rilicofi viaggi , o
i luoi errori di correzione . Se 1 amor proprio non mi fa velo al
giudizio , ere. c " e ^ della tratto avelie a qualche porto
di 1 ufficiente probabilità 1 opinione da Voi propolla- ™ l . \ c
}°£ che i Simulacri più vernili delle pagane Divinità follerò di
quadrata, o di rotonda figura , o al- C O Ue^io Aìnetan.
Qjiejì . lib. 3<5 Dissert. SuliTdolatria; ( o almeno
tendente a rotonditi . Un più ralente Piloto e di forze , e di tempo , e
di finimenti più agiato faprà condurla felicemente ad un porto di
fìcurezza . Quanto a me , fe altro non averti po- tato ottenere , Tarò
almeno contentiamo d avervi f er alcun modo tellimoniata la mia.
ubbidienza , alto pregio , in che tengo 1’ autorità voftra , e ij voltro
merito Angolare . l'idi t prò lUtàe , ac Revino D. V. Domini
co Al archi one Mancinforte Epifcopo F aventino Albertus Raccagni
Farocbus Sanfli Antonini. Fr. Angelus Maria Merenda Ordinis
Predicato- rum Sacra Scripturx LeElor , ac f^icartus Gg~ neralis
SaaEli Offici* F aventi a . In tale direzione, si riscontra la
necessità di condurre la ricerca a un livello sem iotico-sem iosico, ricorrendo
alla sem iotica di Peirce, e in particolare alla sua definizione di
“interpretante iconico”, segno creativo capace di comprendere meglio ciò che è
altro dall’identico, ciò che differisce dal segno “idolo”. Attraverso una
semiotica dell’interpretazione, si cercherà quindi di spiegare teoricamente il
funzionamento degli elementi che compongono un testo, per una comprensione del
concetto di scrittura e le prospettive che questa propone per la costruzione di
un approccio critico alla problematica della lettura del testo BACON, LE
QUATTRO SPECIE DI IDOLI Bacon espone in queste pagine la sua teoria sugli idola
(i pregiudizi) che occupano la mente umana e le rendono difficile “l’accesso
alla verità”. Bacon, Novum Organon, Gli idoli e le false nozioni che
penetrarono nell’intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non
solo assediano le menti umane in modo da rendere difficile l’accesso alla
verità, ma addirittura (una volta che quest’accesso sia dato e concesso) di
nuovo risorgeranno e saranno causa di molestia nella stessa instaurazione delle
scienze: almeno che gli uomini, preavvertiti, non si agguerriscano, per quanto
è possibile contro di essi. Quattro sono le specie degli idoli che assediano le
menti umane. Per farci intendere abbiamo imposto loro dei nomi: chiameremo la
prima specie idoli della tribú; la seconda idoli della spelonca; la terza idoli
del mercato; la quarta idoli del teatro. XLI Gli idoli della tribú sono
fondati sulla stessa natura umana e sulla stessa tribú o razza umana. Pertanto
si asserisce falsamente che il senso umano è la misura delle cose ché al
contrario tutte le percezioni, sia del senso sia della mente, derivano
dall’analogia con l’uomo, non dall’analogia con l’universo. Rispetto ai raggi
delle cose l’intelletto umano è simile a uno specchio disuguale che mescola la
sua propria natura a quella delle cose e la deforma e la travisa. XLII
Gli idoli della spelonca sono idoli dell’uomo in quanto individuo. Ciascuno
infatti (oltre alle aberrazioni proprie della natura in generale) ha una specie
di propria caverna o spelonca che rifrange e deforma la luce della natura: o a
causa della natura propria e singolare di ciascuno, o a causa dell’educazione e
della conservazione con gli altri, o della lettura di libri e dell’autorità di
coloro che si onorano e si ammirano, o a causa della diversità delle
impressioni a seconda che siano accolte da un animo preoccupato e prevenuto o
calmo ed equilibrato. Cosicché lo spirito umano (come si presenta nei singoli
individui) è cosa varia e grandemente mutevole e quasi soggetta al caso. Perciò
giustamente affermò Eraclito che gli uomini cercano le scienze nei loro mondi
particolari e non nel piú grande mondo a tutti comune. Vi sono poi gli
idoli che derivano quasi da un contratto e dalle reciproche relazioni del
genere umano: li chiamiamo idoli del mercato a causa del commercio e del
consorzio degli uomini. Gli uomini infatti si associano per mezzo dei discorsi,
ma i nomi vengono imposti secondo la comprensione del volgo e tale errata e
inopportuna imposizione ingombra in molti modi l’intelletto. D’altra parte le
definizioni o le spiegazioni, delle quali gli uomini dotti si provvidero e con
le quali si protessero in certi casi, non sono in alcun modo servite di
rimedio. Anzi le parole fanno violenza all’intelletto e confondono ogni cosa e
trascinano gli uomini a controversie e a finzioni innumerevoli e vane.
XLIV Vi sono infine gli idoli che penetrano negli animi degli uomini dai vari
sistemi filosofici e dalle errate leggi delle dimostrazioni. Li chiamiamo idoli
del teatro perché consideriamo tutte le filosofie che sono state ricevute o
create come tante favole presentate sulla scena e recitate che hanno prodotto
mondi fittizi da palcoscenico. Non parliamo solo dei sistemi filosofici che già
abbiamo o delle antiche filosofie e delle antiche sètte perché è sempre
possibile comporre e combinare moltissime altre favole dello stesso tipo: le
cause di errori diversissimi possono essere infatti quasi comuni. Né abbiamo
queste opinioni solo intorno alle filosofie universali, ma anche intorno a
molti princípi e assiomi delle scienze che sono invalsi per tradizione,
credulità e trascuratezza. (Il pensiero di F. Bacon, a cura
di P. Rossi, Loescher, Torino. The idol fixes one's gaze on itself ; the icon ,
for its part , demands that one go throughGrice: “Cattaneo’s philosophical
background is much stronger than Hart’s! Hart always doubted his philosophical
abilities – as he kept comparing himself to me! When Cattaneo was at St.
Antony’s, Hart found that he had to play brilliant, since a ‘continental’ was
watching! Cattaneo is especially good in the study of Roman-Italian
giurisprudenza, from Cicero, Goldoni, Carrrara, and Manzoni, onwards! They
don’t need no stinking Hart!” -- M. A. Cattaneo. Mario A. Cattaneo. Mario
Alessandro Cattaneo. Mario Cattaneo. Keywords: eidolon, idolo, idol of the
market place – bentham -- autorita, autoritarismo, positivismo di H. L. A.
Hart, il concetto della legge, filosofia del linguaggio ordinario, scuola
oxoniense di filosofia del linguaggio ordinario, il gruppo di giocco di Austin,
il primo o vecchio gruppo di giocco di Austin al All Souls, giovedi notte; il
nuovo gruppo di giocco di Austin sabato alla mattina. Hart, Hampshire, Grice.
Grice, neo-Trasimaco, giustizia, fairness, valore legale, valore morale, le
legge e la morale, priorita della moralita sulla legalita, concetti di
priorita, priorita evaluativa, neo-trasimaco, neo-socrate, platonismo
giuridico, positivismo pre-Kelsen: hobbes, bentham, autin. I giuristi italiani.
Storia della giurisprudenza italiana. Goldoni, Carrara, Manzoni, Collodi,
Lorenzini, Pinocchio, Foscolo, Perini, Beccaria, Colonna infame, letteratura
italiana, fizione italiana, prosa italiana, giurisprudenza italiana, avvocatura
ed implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cattaneo” – The Swimming-Pool
Library. Cattaneo.
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