Grice
e Liberatore: l’implicatura conversazionale dell’ULIVO DELLA PACE -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Salerno). Filosofo italiano. Grice:
“One could write a whole dissertation – especially in Italy: their erudition
has no bounds – about Liberatore’s choice of the sign being conventional, ‘ramo
d’olivo’ = pace. It’s so obscure! Aeneas held one, against the Phyrgians – but
did the Phyrgians know? And if Mars is often represented wearing an olive
wreath, one would not think there is a ‘patto’ between Aeneas and the Phyrgian
commander about that!” Grice: “I like
Liberatore – a systematic philosopher, as I am! His logic has the expected
discussion on ‘sign.’ A conventional sign he says is a branch of olive
‘signifying’ peace – as opposed to smoke naturally meaning fire – As a
footnote, one should note that in Noah’s days, the signification of the dove
was ALSO natural – although not strictly ‘factive’ – but then not ALL smoke (e.
g. dry ice smoke) signifies fire, as every actor knows!” “Ma il difetto molto comune degli Economisti è
il mancare di giuste idee filosofiche, e con ciò non ostante voler sovente filosofare.”Entra
nel collegio dei gesuiti di Napoli e chiese di far parte della Compagnia di
Gesù. Insegna filosofia. Fonda a Napoli “La Scienza e la Fede” con lo scopo di
criticare le nuove idee del razionalismo, dell'idealismo e del liberalismo,
dalle pagine del quale veniva sostenuta una strenua battaglia in favore del
brigantaggio, interpretato come movimento politico contrario all'unità
d'Italia, ovvero: "La cagione del brigantaggio è politica, cioè l'odio al nuovo
governo". Fonda “La Civiltà” per diffondere Aquino. Uno degli
estensori dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Studia Aquino. Pubblica
“Corso di filosofia”. Membro dell'Accademia Romana,. Combatté il razionalismo e
l'ontologismo, così come le idee del Rosmini. Sostenne che il brigantaggio
fu la legittima resistenza di un popolo a una conquista non solo territoriale,
ma soprattutto ideologica. Difensore dei diritti della Chiesa e studioso
dei problemi della vita cristiana, delle relazioni tra Chiesa e stato, tra la
morale e la vita sociale. I filosofi della sua scuola mettono in evidenza
a acutezza dei giudizi, la forza degli argomenti, la sequenza logica del
pensiero, la stretta osservazione dei fatti, la conoscenza dell'uomo e del
mondo, la semplicità ed eleganza dello stile. All'inizio Professore era
giudicato da molti nella Chiesa cattolica il più grande filosofo dei suoi
tempi. Si riteneva che vivesse santamente, e si scorgeva in lui un profondo
spirito religioso. Considerato uno dei precursori del personalismo
economico. Saggi: “Logica, metafisica, etica e diritto naturale, e in
particolare: “Dialoghi filosofici” (Napoli); “Institutiones logicae et metaphysicae”
(Napoli);“Theses ex metaphysica selectae quas suscipit propugnandas Franciscus
Pirenzio in collegio neapolitano S. J. ab. divi Sebastiani Quinto” (Napoli); “Dialogo
sopra l'origine delle idee” (Napoli); “Il panteismo trascendentale: dialogo” (Napoli);
“Il Progresso: dialogo filosofico” (Genova); “Ethicae et juris naturae elementa”
(Napoli); “Elementi di filosofia” (Napoli); “Institutiones philosophicae” (Napoli);
“Della conoscenza intellettuale” (Napoli); “Compendium logicae et metaphysicae”
(Roma); “Sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale dei corpi” (Roma);
“Risposta ad una lettera sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale
dei corpi” (Roma); “Dell'uomo” (Roma); “La Filosofia di Alighieri”; In Omaggio
a Aligh. dei Cattolici ital. (Roma); “Ethica et ius naturae” (Roma, Typis
civilitatis catholicae); “Lo stato italiano” (Napoli, Real tipografia Giannini);
“Della composizione sostanziale dei corpi” (Napoli, Giannini); “L'auto-crazia dell'ente”
(Napoli); “Degl’universali -- confutazione della filosofia di Serbati” (Roma);
“Principii di economia politica” (Roma, Befani); “La proposta dell'imperatore
germanico di un accordo internazionale in favore degl’operai”; “Le associazioni
operaie”; “Dell'intervenzione governativa nel regolamento del lavoro”; “L'Enciclica
Rerum Novarum di Leone XIII”; “De conditione opificium”; “La civiltà cattolica
spiega nei dettagli il clima di "difesa" in cui la chiesa si sente. Il
ritorno ad Aquino dov’essere orientato alle sue dottrine originarie. Convinto
che dopo di lui ben poco di nuovo ha prodotto il pensiero umano. Brigantaggio. Legittima difesa del Sud. Gli
articoli della "Civiltà Cattolica" introduzione di Turco (Napoli, Giglio); “Per
l'atteggiamento arroccato in difesa della Chiesa vedi ad esempio Sillabo # La
"cupa scia" del Sillabo V.
Nardini, Manca di verità e si oppone ad Aquino la soluzione di un alto problema
metafisico abbracciata da L.” (Roma, Pallotta); “Lettere edificanti della
provincia napoletana della Compagnia di Gesù, in La Civiltà cattolica, Civiltà
cattolica:, antologia G. Rosa, [ma San
Giovanni Valdarno] ad ind.; G. Mellinato, Carteggio inedito L. Cornoldi in
lotta per la filosofia di Aquino (Roma, Volpe, I gesuiti nel Napoletano,
Napoli, Dezza, Alle origini del tomismo, Milano, Devizzi, La critica all'ontologismo,
in Rivista di filosofia neo-scolastica, Mirabella, Il pensiero politico di ed
il suo contributo ai rapporti tra Chiesa e Stato, Milano, Scaduto, Il pensiero
politico ed il contributo ai rapporti tra la Chiesa e lo Stato, in Archivum
historicum Societatis Iesu, Serbati, Roma G. Rosa, Storia del movimento cattolico
in Italia, Bari ad ind.; Lombardi, La Civiltà cattolica e la stesura della
"Rerum novarum". Nuovi documenti sul contributo, La Civiltà
cattolica, Dante, Storia della "Civiltà cattolica", Roma Nomenclator
literarius theologiae catholicae, Grande
antologia filosofica, Milano, C. Curci, Compagnia di Gesù La Civiltà Cattolica
Rerum Novarum Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana., presentazione
del libro su La Civiltà Cattolica e il brigantaggio. Segno è generalmente tutto
ciò, che alla potenza conoscitiva rappresenta alcuna cosa,da se distinta. Perciò
tal denominazione ben si addice al concetto, il quale esprime al vivo e
rappresenta alla mente l'obbietto, intorno a cui si aggira. Ma il concetto è
interno all'animo; e per pale sarsi di fuora habi sogno di un segno esterno. Questo
segno esterno consiste ne' voicaboli; I quali tra tutti I segni ottennero la
preminenza iq.ordine alla manifestazione delle cose, che internamente
concepiamo. Così il termine mentale, cio è il concetto, e d il termine ora le
cioè il vocabolo, convengono tra loronella generica ragione di segno.Ma
sidifferenziano grandemente nella ragione specifica. I m perocchè,
primieramente il concetto è segno naturale; il vocabolo è segno convenzionale. Dicesi
segno naturale quello,che di per sè e per sua natura mena alla cognizione di
un'altra cosa; come il fumo, per esempio, rispetto al fuoco, e generalmente
ogni effetto, riguardo alla causa. Dicesi segno convenzionale quello, che
arbitrariamente o per patto vien destinato a dinotare alcuna cosa; come il ramo
d'olivo si ad opera per 3.° il termine orale, benchè prossimamente signifi chi il
concetto, non dimeno mediante il concetto significa lo stesso oggetto. Anzi,
poi chè da chi parla è ad operato per dinotare il concetto non subbiettivamente
ma obbiettivamente, cioè in quanto è espressione della cosa percepita; ne segue
che, quanto alla significazione, esso si confonde quasi col concetto, dicuiè come
la veste e l'esterna apparizione. E però la Logica a buon diritto tratta
per Ora ni un vocabolo è di sua natura connesso con un determinato concetto;
e però tanta varietà di loquela si scorge presso le diverse nazioni. Al
contrario, il concetto di per sè e necessariamente rappresental'obbietto, essendo
ne una natural rassomiglianza; e però il discorso mentale è lo stesso appo
tutti. Inoltre il concetto è segno formale; il vocabolo è segno istrumentale. Ad
intendere questa differenza, è necessario osservare, che il vocabolo permenarci
alla conoscenza della cosa significala, ha mestieri d'esser prima dạ noi
compreso. E pero appartiene a quel genere di se gni ,a cui può applicarsi la
seguente definizione. Segno è ciò che, conosciuto, adduce alla conoscenza di un'altra
cosa. Ma del concetto non è così: giacchè esso, senza bisogno d'esser prima conosciuto,
col solo attuare la mente , ci mena alla conoscenza del l'obbietto, sicchè
questo appunto sia il primo ad essere diretta mente percepito. Ciò di leggieri
apparisce, tanto solo che si consideri che il concetto non può percepirsi, senon
percognizione riflessa e pel ritorno della mente sopra sè stessa. Laonde quello
che si percepisce per prima e diretta cognizione, non può essere esso concetto,
ma necessariamente è una qualche cosa diversa dal medesimo. A dinotare per tanto
una tal differenza, venne intro dotta la distinzione del segno formale e del
segno istrumentale Viene in quarto luogo l'abuso del linguaggio che è il
mezzo dato all'uomo per esternare ad altrui gl’interni con cepimenti
dell'animo.L'apalisi de'vocaboli è ordinariamente un grande aiuto allo spirilo
per rischiarare le idee,merce chè essi sovente tengon Chiusi sotto la loro spoglia.
Ma accade altresì che si arroghino più di quello che loro di ragion si compele,
e tentino non di essere esaminali e giudicali dall'intellello, ma manciparselo
e deltargli legge acapriccio. Per quattro maniere principalmente i vocaboli
introducono falsi concetti nell'animo. Prima per la loro ambiguità e
confusione. Imperocchè ci ha delle voci d'incerto significato, le quali han
bisogno d'esser delermi. nale nel senso in cui si tolgono, altrimenti
ingenerano concetto vago e mal fermo da cui procedon poi fallaci giudizii. Tale
è a cagion d'esempio la voce natura,laquale suol pren dersiadesprimereor l'essenza
di una cosa, or il mondosen sibile; or l'autore dell'universo, or lull'altro a
lalento di co foi chel'usa. Parimente le idee significate pe' vocaboli sovente
sono assai complesse e complicate;e pero ove non bene
sirisolvanoperviad'analisine’loroelementi,son cagioneche siformiun assai
confuse ed informe concetto. Secondo, tal volta i vocaboli vengono ad operati a
significar mere negazioni o prodotti arbitrarii della immaginativa, o semplici
astrazioni dell'animo; come la voce “cecità” , “fortuna”, “centauro”, “località”,
e somiglianti. Oravviene che per difetto di debita considerazione si cada nella
credenza ch'esse esprimano cose positive e reali si nell'essere che nel modo
onde sou concepite. Terzamente, i vocaboli delle cose immateriali son formati
d'ordinario per analogia presa dagli obbietti materiali, e quindi avviene che
talora si confondano le une cogli altri. In quarto luogo, ne'nomi derivati
sebbene spesso l'origine e l'etimologia del vocabolo coincide col senso in che comunemente
si prende, tuttavia non rade volte se ne dilunga. Nel qual caso per mancanza di
allenzione può avvenire che l'una coll'altro si scambi. A queste cause può
aggiugnersi la novità de'vocaboli di che taluni stranamente si piacciono, e
l'uso incostante che fanno di quelli stessi che fuor di ragione introdussero .La
filosofia per quanto può nell'ad operare il linguaggio non deve scostarsi
dall’uso comune, nè cambiare a capriccio il senso delle voci ricevute o da sè
stessa una volta determinate. Da ultimo, una indebita applicazione de'mezzi di
conoscenza è radice mal nal ad'errore. Accadeciò in prima dal non bene
distinguere con quali facoltà debba l'oggetto concepirsi; come a cagion
d'esempio in chi con la fantasia volesse comprender ciò che allrimenti non si
può che con l'intelletto. Dippiù si bada talora più alla vivacità e felicità
della rappresentanza, che alla fermezza del motivo che spinge all'assenso. E
così le cose che vivacemente e prestamente feriscono l'animo più di leggieri si
ammettono che allre non fornite di questa dote, ma più salde per forza di
argomenti. Inoltre si procede temerariamente a giudizii senza prima considerare
se l'obbietto è debitamente proposto giusta le leggi e le condizioni volute
dalla natura. Quinci le fallacie de'sensi, lo scambiarsi per i principii
proposizioni arbitrarie, il formare assiomi illegittimi, il dedurre conseguenze
erronee da sofistici ragionamenti. E perciocchè lo schivar questi mali richiede
la conoscenza del dritto cammino che deve tener la mente per le vie del
vero, passiamo a trattar diligentemente questa materia, alla quale premettiamo
il seguente articolo, che ad essa valga come d'introduzione. Cum animi
nostri sensus cogitationesque animo ipso lateant, nec per sese ceteris
patefiant; homo, qui ad societatem cum aliis coëundam e nascitur, idoneis
mediis a provido naturae Auctore instructus est, ut ideas suas aliis, quibuscum
vivit, manifestet. Haec media signa quaedam sunt. Sic enim nominan tur
quaecumque ad res alias innuendas sive natura sive voluntate sunt instituta. Omnibus
vere signis, quibus conceptus nostros et affectus animi patefacimus, maximopere
vocabula praestant. Etsi enim suspiria, gemitus, nutus, sensa animi nostri
significent; minime tamen id efficiunt eadem facilitate, perspicuitate,
distinctione ac varietate, quae vocabulorum propria est. Quam quam non
diffitear gestuum loquelam, si vivax sit, vehementius commovere, propterea quod
imaginationem vividius feriat, et rem veluti ponat ob oculos. Vocabulum
definiri potest: vox articulate prolata ad ideam aliquam significandam. Ex quo
intelligitur, ope vocabulorum proxime et immediate conceptus, vi autem
conceptuum ipsa ob iecta significari. Ad originem sermonis quod spectat, nemini
dubium est quin, etsi vis loquendi ingenita nobis sit, verborum tamen
determinatio ab arbitrio generatim pendeat. Secus si quodlibet determinatum
verbum determinatam rem natura sua innueret; qui fieri posset ut verbum idem
apud diversas gentes, quibus certe eadem natura inest, non idem exprimat? De
hoc nulla est controversia; at quaestio in eo est utrum absolutae necessitatis
fuerit ut sermo aliquis primis hominibus a Deo communicaretur, an homo
sermocinandi tantum virtute ornatus sermonem ipse repererit vel saltem reperire
potuerit. Qua de re in contrarias sententias philosophi distrahuntur. Nonnulli
enim non modo possibilitatem, sed factum etiam tuentur, atque hominem sermone
destitutum sermonis auctorem fuisse autumant. Alii id neutiquam evenire
potuisse arbitrantur, cum sermo sine usu intelligentiae. efforinari nequeat, et
ad usum intelligentiae sermonem necessarium esse putent. Equidem sic existimo :
ad absolutam possibilitatem quod at tinet, hominem per se potuisse ex insita
propensione et facultate loquendi, quam accepit, determinatum sensum vocibus
quibus dam tribuere, et sic sponte sua efformare sermonem. Quid enim
repugnasset ut homo rem sensibus occurrentem nutu aliquo com mopstraret aliis,
atque ex innata vi loquendi sonum syllabis quibusdam distinctum proferret et ad
commonstratam rem significandam libere determinaret? Expressis autem rebus
sensibilibus, ad insensibiles significandas gradatim pervenire impossibile sane
non erat; cum ad has exprimendas nomina quaedam ex rebus materialibus,
propter analogiam, quam homo inter utrasque per spicit, transferri facile
potuissent. At si non de absoluta et abstracta possibilitate, sed de facto
loquimur, rem aliter contigisse certum est. Nam ex sacris litteris indubie
colligimus elementa sermonis primo homini a Deo tributa esse, quantum saltem
sufficeret ad domesticam societatem , in qua ille conditus est, retinendam.
Cuius rei congruentia vel inde patet, quod si, ut supra dictum est, ad divinam
pertinuit providentiam opportuna scientia instruere protoparen tem; hoc multo
magis de usu sermonis dicendum sit,cuius longe maior necessitas imminebat. An
sapienter cogitari poterit totius generis humani parens et magister, qui quasi
principium et fun damentum constituebatur futurae societatis civilis et sacrae,
sine actuali copia illorum mediorum, quae ad munus hoc adimplen dum tantopere
requirebantur? Accedit, quod eruditorum vestigationes, qui de origine linguarum
tractarunt, huc tandem concludendo devenerunt, ut omnes linguae tamquam
dialecti linguae cuiusdam primitivae, quae perierit, habendae sint. At si sermo
inventio esset humana, singulae familiae, quae diversis populis originem
dederunt, linguam sibi omnino propriam atque ab aliis radicitus discrepan tem
creavissent. De utilitate vero, quam ex sermone pro rerum intelligentia mens
capit, permulta fabulati sunt philosophi quidam, in primisque Condillachius. Putarunt
enim illum esse necessarium ad analysim et synthesim idearum habendam, nec sine
ipso ideas generales efformari posse. Quin etiam eo progressi sunt, ut dicerent
ipsam intelligentiam non nisi ex usu loquelae progigni. At enim haec esse
ridicula optimus quisque iudicabit, modo cogitet non posse loquendi usum
concipi nisi iam antea intelligentia sub audiatur. Non enim quia loquimur
intelligimus, sed viceversa quia intelligimus loquimur. Unde bruta, quia
intelligentia carent, id circo loquendi facultate privantur. Quod si
intelligentia e sermone non pendet, poterit illa quidem suis uti viribus ad
ideas sive dividendas sive componendas sive etiam abstrahendas, quin id circo sermo
velut causa aut instrumentum adhibeatur. Sed de hac refusius erit in
Metaphysica disputandum. Vera igitur emolumenta sermonis his continentur. Prae
terquam quod ad ideas communicandas inserviat, ac proinde ve luti vinculum sit
societatis; intellectui subvenit, quatenus loco phantasmatum verba ut signa
sensibilia in imagioatione substituit. Memoriae opitulatur ad ideas semel
habitas revocandas. Mentis attentionem figit detinetque in obiecto, quod
exprimit, quae secus ad alia contemplanda statim raperetur. Mentis opificia
conservat, efficitque, ut illa postquam contemplationis suae partus vocabulis
scriptura exaratis ad retinen dum tradiderit, soluta curis ad nova speculanda
impune progredi possit. Hae potissimum utilitates e sermone in hominem proficiscuntur;
ceterae, quae a nonnullis nimium exaggerantur, sine fundamento ponuntur, et
animo humano sunt dedecori. Denique ad dotes loquendi quod attinet, sermo sit
perspicuus, usitatus, brevis; non ea tamen brevitate, qua obscurior sententia
fiat; sed ea, quam rite descripsit Tullius, ubi inquit brevitatem appellanda messe
cum verbum nullum redundat, velcum tantum verborum est, quantum necesse est 1.
ANTICHITÀ PER L'INTELLIGENZA DELL'ISTORIA ANTICA E DEGLI AUTORI GRECI E
LATINI DELL'ABATE DECLAUSTRE Wwwna IN VENEZIA CO'TORCHI DI GIUSEPPE MOLINARI
MITOLOGICHE SLIEHE HE KOS WIEN HOFBIBLION KA 1 eeeeeeeeexe erele cele ; egli Ateniesi
lee ressero delle statue. Ella fu ancora più celebra ta presso i romani, i
quali le innalzarono il più grande ed il più m a goifico tempioche fosse in
Roma. Questo tempia, le cui rovine ed anche una parte delle volte restano
ancora io piedi, fu cominciato da Agrippina, e poscia compiuto da Vespasiano. Scrive
Giuseppe, che gl'imperadori VESPASIANO e Tito deposero nel tempio della pace le
ricche spoglie, che aveano levate al tempio di Gerusalemme. In questa tempio
della Pace si adunavano quelli che professavano le belle arti per disputervi sopra
le loro prerogative, acciocchè alla presenza della dea restasse bandita qualsi voglia
asprezza pelle loro dispute. Questotem. pio fu rovinato da un incendio al tempo
dell'imperator COMMODO. Presso i greci la Pace veniva rappresentata in questa
maniera. Una dono aportava sulla mano il dio Pluto fanciullo. Presso I Romani poi
si trova per ordinari o rappresentata la Pace con un ramo di ulivo PACIFERA. In
una Medaglia di Marco Aurelio, Minerva viene chiamata “pacifera”; e in una di
Massimino si legge Marte puciferus, qmegli, o quella che porta la pace,
PACTIA.Suddito dei Persiani, al riferire d'Erodoto, essendosi ricoperato a Cuma
città greca, i Persiani non mancarono di mandare a di mandarlo, acciocchè loro
fosse consegnato nelle mani. I Cumeifo . dea P Pace. I Greci e di Romani onoravano
la Pace come una gran qualche volta colle ali, tenendo un caduceo, e con un serpente
ai piedi, Le danno ancora il cornucopia, el'ulivo è il simbolo della Pace, e il
caduceo è il simbolo del Mercurio Negoziatore, per additare la negoziazione, da
cui n'è seguita la Pace. In una medaglia di Antonino Pio tiene in una mano un
ramo di ulivo, e colla sinistra dà fuoco ad alcu di scudi,e corazze, j
PALAMEDE . Figliuolo di Nauplio re dell'isola d'Eubea, coman daya gli
Eubei nell'assedio di Troja. Vi si fece molto stimare per la sua prudenza, pel
suo coraggio, e de sperienza nell'arte militare; e dicono che insegnasse ai
Greci il formare i battagliopi, e lo schierarsi. Gli attribuiscono l'invenzione
di dar la parola delle sentipeļle, quel la di molti giuochi, come dei dadi e
degli scacchi, per servire di trat tenimento ugualmente all'ufficiale e al
soldato nella noja di up lungo assedio. ΡΑ 1 CHE tott an que 9 be 8Q CO 32
ti 8 $1 AL sto fu çerp ip contapepte ricercare l'oracolo de’ Branchidi, per
sapere come doveano contenersi; el'oracolo rispose, che lo consegnassero. Aristodico,
uno dei principali della città, il quale non era di questo parere, ottenne col
suo credito, che si mandasse un' altra volta ad interrogare l'oracolo, ed egli stesso
si fece mettere nel numero dei deputati. L'oracolo non diede altra risposta,
che quella avea data prima. Poco sod disfatto Aristodico, penso nel passeggi.
The branch of ‘ulivo’ is represented in the reverse of a coin of Antonius Pius
--. Matteo Liberatore. “Segno e cio che, conosciuto, adduce alla conosence di
un’altra cosa” – cf. Eco’s tesi su Aquino. Liberatore. Keywords: implicatura. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Liberatore” – The Swimming-Pool Library.
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