Grice e Luporini: l’implicatura
conversazionale -- i corpi di Vinci – il leopardi fascista – leopardi fascisti –
ultra-filosofico -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Ferrara). Filosofo italiano. Grice:
“I like Luporini; I lerarned from him how silly Austin is when talking of
‘material object’ – a contradiction in terminis for Kant who uses ‘materie’
very strictly; Luporini’s study of Leopardi is brilliant – and he has explored
the genius of Vinci, which is good!” Si recò a Friburgo, dove frequenta le
lezioni di Heidegger, e poi a Berlino, dove poté seguire le lezioni di
Hartmann. Si laurea a Firenze. Insegna a Cagliari, Pisa e Firenze. Dopo un in interesse
per l'esistenzialismo, aderì al marxismo, iscrivendosi al Partito Comunista,
per il quale fu eletto senatore nella terza legislature. Tra le altre iniziative
parlamentari, fu firmatario di un progetto di legge, "Istituzione della
scuola obbligatoria statale dai 6 ai 14 anni.” Fonda la rivista Società. Collabora ai periodici politico-culturali del
PCI, Il Contemporaneo, Rinascita, Critica marxista. Durante il dibattito che, a
seguito degli eventi, porta alla trasformazione del PCI in PDS, si schierò
decisamente contro la "svolta" di Occhetto, aderendo alla mozione
"due" di opposizione interna, in un'orgogliosa difesa e per un
rilancio della prospettiva e degli ideali comunisti. Il marxismo di Luporini si
fonda su una critica radicale allo storicismo, sul rifiuto di ogni concezione
finalistica dello sviluppo storico: il comunismo, quello marxista in
particolare, non è assimilabile con la tematica tipicamente storicista del
progresso come traccia dell'evoluzione umana. Egli rifiuta letture dogmatiche
del marxismo e le sue deteriori forme di economicismo e meccanicismo, ma, pur
apprezzando lo strutturalismo di Althusser con cui cercò di far dialogare tutto
il marxismo italiano, non ne condivideva l'anti-umanismo, in quanto il pensiero
di Marx conserva per lui un profondo umanesimo, anche negli scritti successivi
alla "rottura epistemologica" in cui le strutture, cioè i modelli
interpretativi della società, non sono astratti ma in funzione degli individui
concreti, umani. Nello stesso ambito
marxista, tra i suoi obiettivi polemici vi furono quelle posizioni che
proponevano una interpretazione di radicale discontinuità tra Marx e Hegel,
cioè quelle di Volpe e della sua scuola. Centrale è infatti per Luporini la
nozione di “contra-dizione,” la marxiana "oggettività reale", che lo
pone comunque in relazione con Hegel. Marx deve essere considerato una
concezione aperta e complessa, dove materialismo e dialettica compongono una
sintesi mai totalizzante (da qui il suo interesse per l'elaborazione di Gramsci)
e parte fondamentale di una più generale teoria dei condizionamenti umani. Fondamentale è il concetto di formazione economico-sociale,
espressione già utilizzata da Sereni, ma in senso storicistico e cioè la
possibilità per il marxismo di costituire un modello per l'analisi degli specifici
modi di produzione della società capitalista, nonché per la previsione scientifica
delle sue varie forme. La legge generale delle formazioni economico-sociali è
tratta dall’Introduzione ai Lineamenti fondamentali di critica dell'economia
politica di Marx. La struttura economica va indagata secondo logica scientifica
e bisogna stabilire un "criterio oggettivo", il momento dominante che
condiziona tutti gli altri assetti produttivi.
L'approccio storico-genetico non è un continuum evoluzionistico come
nella tradizione storicistica, è la fase dell'osservazione e descrizione empirica
del fenomeno dalla sua origine ed è secondario rispetto all'approccio
genetico-formale, cioè all'indagine che permette di stabilire la categoria
dominante di una determinata fase storica della produzione. Il modello de Il
Capitale può dunque aspirare all'universalità, ma anche alla flessibilità di
applicazione. La formalizzazione di un “modello” attraverso il metodo genetico,
individua anche il processo per cui i rapporti di produzione si riflettono in
qualcos’altro, la coscienza dei singoli, le relazioni inters-oggettive (l’inter-azione’)
e le radici stesse della vita morale. È palese così il contrasto di Luporini ad
ogni disegno provvidenzialista e di filosofia della storia e anche in questo si
rende chiaro il rapporto dialettico-oppositivo tra Hegel e Marx. Per quanto
riguarda Leopardi, secondo Luporini, la sua poesia non è permeata solo di
pessimismo, ma ci invita anch'essa alla resistenza attiva. La formazione
filosofica di Leopardi, infatti, illuminista e materialista, permette di
leggere ad esempio, nelle "magnifiche sorti e progressive" de
"La Ginestra", una possibilità di rinnovamento politico-sociale non
in antitesi con la concezione della 'natura matrigna', un compito storico degli
esseri umani altrimenti o comunque destill'infelicità esistenziale. “Filosofia
e politica: scritti dedicati a Luporini, Firenze, La Nuova Italia, Una completa e aggiornata, L. Fonnesu, è stata
pubblicata nel numero speciale dedicato a Luporini di "Il Ponte"
(Firenze). Oltre agli studi sulla storia della filosofia e a un'elaborazione
teorica del marxismo incentrata sui temi etici, si ricordano, fra le sue opere
principali: “Situazione e libertà”
(Firenze, Monnier); “Filosofi vecchi e nuovi” (Firenze, Sansoni); “Spazio e
materia in Kant” (Firenze, Sansoni); “L'ideologia comunista” (Riuniti, Roma); “Dialettica
e materialismo, Roma, Riuniti, Il soggetto
e il comune, Il marxismo e la cultura italiana, in Storia d'Italia, I
documenti, Einaudi. Un'incidenza notevolissima ha sugli studi leopardiani il
suo saggio Leopardi progressivo. Sulle
lezioni di Heidegger e Hartmann vedi l'aneddoto in Intervista in "Repubblica",
E. Sereni, Da Marx a Lenin: la categoria di formazione economico-sociale, Quaderni
di Critica marxista, Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo, in
Critica marxista, Per l'interpretazione della categoria formazione
economico-sociale, in Critica marxista, Le radici della vita morale, in Morale e società, Riuniti, Roma); S. Lanfranchi,
Dal Leopardi ottimista della critica fascista al Leopardi progressivo della
critica marxista, Saggi critici in Garin, Esistenza e libertà, in Critica marxista,
G. Mele, Esistenzialismo e significato della libertà, Critica Marxista, A. Zanardo,
Un orizzonte filosofico materialistico, in Critica marxista, C. Rocca,
Esistenzialismo e nichilismo «Belfagor», R. Mapelli, Milano, ed. Punto Rosso, Ponte,
Ponte, Convegni Quarant'anni di
filosofia in Italia. "Critica marxista", Il fascicolo contiene gli
atti delle due giornate di studio sulla sua filosofia oorganizzate dalla
Facoltà di Lettere e filosofia dell'Firenze e dalla fondazione Gramsci di Roma,
Feltrinelli. Nella loro maggior parte i contributi riprendono gli interventi al
Convegno promosso dall'Firenze e organizzato dal Dipartimento di Filosofia. Treccani
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Senato della Repubblica; Biblioteche dei
Filosofi (SNS), su picus unica. L'ultima lezione (una grande avventura
intellettuale attraverso il Novecento), su hyperpoli. Sebbene
questo titolo rimandi a questioni di critica letteraria, e di fatto i risultati
della critica leopardiana costituiscano l’oggetto principale da cui muove
questo studio, essi saranno presentati e analizzati nelle prossime pagine
innanzitutto come un ‘documento’ storico : un documento che forse non ci darà
risposte soddisfacenti per comprendere meglio il pensiero leopardiano, ma
contribuirà invece alla nostra riflessione sull’iter culturale e ideologico di
alcuni intellettuali italiani. Per affrontare il problema della transizione e
tentare di isolare alcuni elementi di continuità e di rottura, il discorso
svolgerà un percorso circolare : partendo dal saggio pubblicato da L. nel 1947,
Leopardi progressivo, al quale, in un primo momento, si accennerà solo molto
brevemente ; seguendo poi un cammino a ritroso per rintracciare l’itinerario e
le origini anche abbastanza lontane del dibattito – iniziato sin da prima del
Ventennio – da cui trae origine questo testo ; e tornando infine al 1947 e al
libro di Luporini, molto noto, anche fuori dalla cerchia degli specialisti di
Leopardi, tanto da esser divenuto un ‘classico’ studiato spesso sin dal
liceo1. 2 Scrive Sebastiano Timpanaro a proposito del titolo scelto da
Luporini : « un titolo che per un vers (...) 3 Si tratta del v. 51 della
Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e prose, vol. I, Poesie, a cura di M. A. L.,
Leopardi progressivo. La scelta dell’aggettivo progressivo, benché avesse
un’eco politica particolare nella cultura comunista del primissimo dopoguerra2,
era dettata dal richiamo letterario alle « magnifiche sorti e progressive » de
La Ginestra di Leopardi3. Ma nella citazione di Luporini l’aggettivo perdeva il
sapore amaramente ironico di quel verso leopardiano ed assumeva invece un
significato totalmente positivo, per indicare una forma di fiducia nel «
generale progresso dell’incivilimento »4 che, secondo il critico, emana dalla
lettura complessiva di una poesia come La Ginestra e, forse soprattutto, da
un’attenta analisi dello Zibaldone di Leopardi. Questa fiducia non risiede
però, per Luporini, nell’individuo, bensì nella moltitudine, ovvero nel popolo
e nella sua virtù, e sfocia in una dichiarazione di solidarietà tra gli uomini
tutti, contro la natura, per un progresso generale della condizione
umana. 3 La vivacità delle reazioni che suscitò il saggio quando fu
pubblicato dà una preziosa indicazione di quanto originale e quanto importante
fosse l’interpretazione proposta da L. Per illustrare l’accoglienza che
ricevette è particolarmente utile la recente testimonianza di Franz Brunetti,
che sarebbe poi diventato professore di filosofia e specialista di Galilei, ma
che allora era ancora al terzo anno di studi della Scuola normale superiore di
Pisa, dove Luporini appunto insegnava. Brunetti ricorda perfettamente il
Leopardi progressivo, la cui lettura creò interesse e agitazione fra i
normalisti : ne discutevano animatamente nei corridoi, nelle stanze e durante i
pasti nella sala da pranzo soprattutto gli italianisti Giulio Bollati, Luigi
Blasucci, Dante della Terza, che trascinavano tutti gli altri. Era lecita una
definizione politica del poeta ? Era corretta siffatta operazione ideologica ?
Non era forse più opportuna una ricomposizione unitaria del pensiero
leopardiano. Brunetti, Il « nostro » L., in L., a cura di M. M (...) La
discussione, animata e per certi versi lacerante, si protrasse per giorni,
riecheggiando sotto le volte dei corridoi nel Palazzo dei Cavalieri. Fu però
efficace, perché fece rientrare la sensazione provocatoria del saggio e ricondurre
l’elemento ideologico e il « tecnicismo filosofico » nelle giuste dimensioni,
sortendo d’altro canto l’effetto di mettere in discussione l’apollineità in cui
la critica crociana mirava a rinchiudere la poesia e insieme il poeta. Non è un
caso che da quello stesso anno [1948] anche il lavoro critico di Luigi Russo si
attestò in una valorizzazione della « politicità » dei poeti, rompendo, proprio
lui, il dominante schema crociano. Una pietra gettata nello stagno, una fertile
provocazione intellettuale.5 4 Quanto racconta Brunetti è, per molti
aspetti, significativo e rappresentativo del clima ideologico e culturale di
quegli anni, e della transizione che si sta operando, anche nel piccolo mondo
della critica letteraria. L., Leopardi progressivo, cit., p. 38 e 92. 7
W. Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni, 1947. Sebbene molto
diversi, il testo di (...) 5 Brunetti definisce il testo di L. un’«
operazione ideologica », in quanto offre una lettura non solo eminentemente
politica dell’opera leopardiana, ma una lettura esplicitamente comunista.
Luporini vede in Leopardi un « anticipatore di ulteriori dottrine », « fedele
ai principi della democrazia rivoluzionaria, anche più avanzata »6. In questo
senso, il 1947 segna, col saggio di Luporini – e col saggio altrettanto noto di
Walter Binni, La nuova poetica leopardiana, pubblicato lo stesso anno7 – una
svolta decisiva nella storia della fortuna leopardiana, inaugurando la proficua
stagione della critica leopardiana del secondo Novecento, segnatamente della
critica detta marxista. 6 D’altra parte, Brunetti considera che l’opera
di Luporini era, nel contesto culturale della seconda metà degli anni Quaranta,
una vera e propria « pietra gettata nello stagno » e una « fertile provocazione
intellettuale », in quanto rimetteva in questione il « dominante schema
crociano ». Con quest’ultima osservazione, Brunetti non rende, tuttavia, conto
di quanto fosse recente tale « dominio ». Se è vero, infatti, che il metodo
crociano si era imposto nel mondo culturale di quel primissimo dopoguerra,
durante tutto il Ventennio e anche durante la guerra esso era stato sì
prevalente, ma solo nella cerchia, in realtà abbastanza ristretta, degli
intellettuali ostili o estranei al fascismo. Di sicuro non era stato lo «
schema dominante » imposto negli studi letterari, nelle riviste, nelle
accademie e nelle università dell’Italia fascista. 8 Croce conia la voce
« allotrio » per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al vocab
(...) 9 Per l’influenza di Giovanni Gentile sul mondo culturale in epoca
fascista, si veda in particolare G (...) 10 Il ruolo di Cian negli studi
letterari del Ventennio e nel periodo di transizi (...) Marpicati compie studi
di letteratura italiana a Firenze, pubblica alcune raccol (...) 12 Ecco quanto
scriveva, ad esempio, Vittorio Cian, nel 1933, rivolgendosi a Croce e ai suoi
discepoli (...) 13 Mi sia consentito di rimandare in questa sede a due testi
miei, entrambi accessibili in linea : S. (...) 7 In realtà, durante il
Ventennio solo una minoranza di critici – pur trattandosi di una minoranza
quantitativamente e soprattutto qualitativamente importante – aveva seguito
l’idea crociana dell’autonomia dell’arte, e quindi perlopiù evitato di dare una
lettura apertamente politica dei testi letterari. Erano relativamente pochi i
critici che aderivano al principio secondo cui gli elementi che in un’opera
d’arte contengono un messaggio dichiaratamente politico o morale sono « allotri
»8, ovvero estranei alla vera poesia del testo, perché non corrispondono allo
slancio primo e poetico dell’intuizione estetica. A questi si opponeva la
critica di stampo fascista, nelle cui file, ben più folte, troviamo uomini di
grande influenza e di grande potere nell’ambiente culturale ed accademico, come
un Giovanni Gentile9, un Vittorio Cian10, ma anche un Arturo Marpicati11. Essi
contestavano, anche violentemente, la lezione crociana12, mentre rivendicavano,
per tutti i testi letterari, la legittimità di una lettura morale, politica,
improntata all’attualità. La tendenza ad ‘attualizzare’ il significato delle
opere fu portata a tal segno da far loro presentare, talvolta e anzi spesso, i
classici della letteratura italiana come precursori del fascismo13. 8 Non
era dunque la prima volta che si buttavano pietre nello stagno della critica
crociana ; si potrebbe quasi dire, anzi, che non si era fatto altro che
buttarvi pietre durante tutto il Ventennio. 14 In realtà, i primi sintomi
di « insofferenza » Russo li diede sin dal 1941, mentre scriveva un arti (...)
15 Ibid., p. 4. 9 Perciò, quando Brunetti denuncia « l’apollineità » in cui
Croce rinchiude i poeti, e quando ricorda l’itinerario di Luigi Russo – che in
quegli anni, dopo esser stato a lungo un fedele discepolo crociano, da Croce
prende appunto le distanze14 – egli ci fa intuire non tanto una rottura, quanto
una ‘transizione’ interessante. Tra i critici che erano stati antifascisti
negli anni Venti e Trenta, molti cominciano, sin dai primissimi anni Quaranta,
a maturare un progressivo allontanamento dalla posizione crociana, proprio
perché si sentono vincolati da quell’implicito divieto di ‘allotrismo’ che
caratterizza la produzione critica crociana, rivendicando la possibilità di considerare
« la politicità nascosta » anche nella « grande poesia »15. Arrivati al 1947 o
1948, sembrano ormai giunti al punto di rottura. Ma quel che preme qui
sottolineare è che vi è dunque una continuità, non certo nei contenuti politici
– affatto diversi – ma potremmo dire nel metodo e nei presupposti teorici ed
estetici che vengono opposti a Croce durante e dopo il Ventennio, ovvero nella
comune rivendicazione ‘allotrica’. 10 Il testo di L. segna senz’altro una
svolta nella fortuna critica di Leopardi nel Novecento, quando lo si studia
come punto di partenza di una tradizione critica, e in questo modo esso viene
generalmente e giustamente valutato. L’intento di questo lavoro sarà invece di
considerarlo come punto di approdo problematico di un’altra tradizione critica,
non posteriore ma anteriore, vigente nel Ventennio e di stampo generalmente
fascista, con cui il testo di L., nonostante le fondamentali differenze, ha in
comune almeno due aspetti essenziali. Il primo è appunto l’opposizione
all’estetica crociana che è già stata evocata e che potrebbe, senz’altro, esser
estesa a gran parte della critica letteraria, non trattandosi di una
specificità leopardiana ; il secondo è l’idea – sulla quale verterà più
precisamente questo studio – di un fondamentale ottimismo leopardiano. Ora, una
certa paternità del tema dell’ottimismo leopardiano, così come lo sviluppa
Luporini, può essere attribuita a Giovanni Gentile e ad un suo saggio sulle
Operette morali di Leopardi, scritto nel 1916. Questo, invece, è un discorso
specifico, valido per la sola critica leopardiana. 11 L’ipotesi di una
continuità tra l’interpretazione che L. dà di Leopardi nel 1947 e la produzione
critica degli anni Venti e Trenta, con una comune opposizione a Croce, ma anche
una comune matrice – almeno parziale – gentiliana, è convalidata sia
dall’analisi dei testi, come vedremo, che dalla stessa biografia di L. e da
quanto lui stesso racconta della propria esperienza. La vicenda umana,
ideologica e culturale di L. in quel decennio che va dalla seconda metà degli
anni Trenta alla fine degli anni Quaranta è, per molti aspetti, emblematica
proprio di quel profilo di intellettuale nella transizione tra fascismo e
Repubblica. L., Critica e metafisica nella filosofia kantiana, «
Rendiconti della Reale Accademia Nazi (...) 17 Il testo faceva parte di un
volume scritto dai docenti del liceo dove L. insegnava, in occasi (...) 18
Nella sua autobiografia, Norberto Bobbio cita un disegno di Renato Guttuso che
illustra una delle p (...) 19 C. L., Qualcosa di me stesso, in L. L. si laurea a Firenze, dopo aver studiato
anche in Germania, dove fu in contatto con Heidegger e Hartmann. La sua tesi di
filosofia su Kant, d’impostazione esistenzialistica, è letta e molto apprezzata
da Gentile, il quale decide di presentarla, nel febbraio del 1935, all’Accademia
dei Lincei di cui era socio16. Dopo aver conseguito la laurea, Luporini insegna
al liceo, prima a Livorno, dove pubblica un primo testo su Leopardi, di cui dà
un’interpretazione esistenzialistica e la cui impostazione reca già segni
evidenti di anticrocianesimo17. Nel 1938 torna a Firenze ed entra a far parte
del movimento liberalsocialista di Aldo Capitini e Guido Calogero, nel quale
frequenta anche Norberto Bobbio, Renato Guttuso e Umberto Morra18. Nel 1939
Gentile lo chiama alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove era disponibile
un posto di lettore di tedesco. C’era, tra Gentile e L., un rapporto che L.
stesso ebbe a definire « di grande franchezza politica », sin dal 1937, quando
i due uomini si conobbero meglio, e fino alla morte di Gentile, avvenuta nel
194419. Luporini non aveva approvato la decisione del movimento
liberalsocialista di confluire nel Partito d’Azione e si era perciò ritirato
nel 1942, per aderire invece, nell’agosto del 1943, al Partito Comunista. L. si
trovava quindi agli esatti antipodi politici di Gentile : eppure egli stesso
racconta di come avesse tentato, nel 1943, di convincerlo ad abbandonare la
Repubblica di Salò e avesse anche creduto di riuscire nel suo intento,
definendo « tragica » ma anche « consapevole » la sua fine : 20 Ibid., p.
240. Non mi soffermerò sull’ultima fase di Gentile, tragica. Ricordo solo che,
certo illusoriamente, cercai di persuaderlo a che si tirasse fuori dal
fascismo, nel frattempo divenuto la Repubblica di Salò. Nel novembre del ’43,
al Salviatino, dove abitava, ebbi con lui un incontro che non finiva mai,
perché non riuscivo a rimanere solo con lui. Quando ce la feci, lo misi al
corrente di quello che stava succedendo, dandogli delle notizie che
evidentemente non gli davano le autorità fasciste – era stato anche ucciso uno
del suo entourage – mentre io le avevo dalla rete clandestina in cui mi
trovavo. Me ne uscii con la sensazione che forse qualcosa avevo ottenuto.
Invece, non era così : due giorni dopo, venne fuori che il ministro Biggini
s’era recato lì, al Salviatino, per offrirgli la presidenza dell’Accademia
d’Italia, e che Gentile aveva accettato (ma, quand’ero stato da lui, non me
l’aveva detto). E così s’avviò verso un destino di cui in qualche modo aveva consapevolezza.20
13 Poche settimane dopo quest’episodio, Gentile propone a Luporini di diventare
bibliotecario dell’Accademia d’Italia. Ma Luporini rifiuta, sancendo così la
fine del suo rapporto con Gentile : un rapporto che, nella nostra prospettiva,
è senz’altro importante e che invece è stato quasi integralmente passato sotto
silenzio. In realtà, di L. si ricorda soprattutto l’attività posteriore al
1945, in particolare quella che svolse come co-fondatore – con Bandinelli –
della rivista “Società”, e in seguito come direttore della stessa. La storia di
questa rivista illustra l’evoluzione di molti intellettuali di sinistra dopo la
Liberazione, proprio per il vincolo che venne rapidamente a crearsi col partito
comunista. Parlando di « Società » e dei suoi intenti programmatici, L.
dichiara che per lui, l’idea principale era 21 Ibid., p. 244. d’una
saldatura fra quella cultura degli anni trenta di cui ho parlato – quella
rottura con il passato che eravamo venuti preparando lentamente, modestamente,
molecolarmente – e la cultura di quelli che venivano da fuori, soprattutto i
dirigenti comunisti, e segnatamente Togliatti. Perciò, non ero d’accordo con
Vittorini, con la sua idea, nel « Politecnico » d’una « nuova cultura ». I
contenuti li avevamo in comune, più o meno ; però io ero per un continuismo,
non assoluto, naturalmente, ma rispetto a quel che ho detto.21 22 Ibid.,
p. 241. 14 Per illustrare meglio le forme di questo « continuismo », bisogna
rifarsi alle pagine che precedono questa citazione, in cui Luporini descrive
l’ambiente culturale della Firenze degli anni Trenta e il gruppo di
intellettuali antifascisti che vi frequentava. L. dichiara in quest’occasione
che « da un certo punto di vista la vera dittatura era proprio quella
idealistica » e che, nel campo specifico della letteratura e della
storiografia, l’idealismo « dittatoriale » era forse più crociano che non
gentiliano22. Continua poi la narrazione del proprio iterintellettuale, negli
anni Trenta e Quaranta, che L. descrive come un percorso che consta di due
tappe fondamentali, due svolte, anzi due transizioni. La prima avviene negli
anni Trenta, quando Luporini prende le distanze dall’idealismo crociano e
scopre l’esistenzialismo ; la seconda, negli anni Quaranta, quando
dall’esistenzialismo L. si sposta verso posizioni marxiste. 15 Questi
pochi elementi biografici offrono due spunti notevoli per l’analisi della
produzione di Luporini. In primo luogo, il rapporto personale più approfondito
che L. aveva con Gentile e non con Croce induce a riconsiderare l’influenza
dell’uno e dell’altro sulla sua prima formazione, da giovane studente e
studioso di filosofia e di letteratura. In secondo luogo, nell’esprimere a
posteriori il programma della sua rivista « Società », Luporini formula una
precisa volontà culturale ed ideologica propria di quel periodo di transizione,
che consiste nel superare l’idealismo crociano e nel consentire una forma di «
continuismo » tra una certa cultura anticrociana degli anni Trenta e quella
degli anni Quaranta. Applicati alla critica leopardiana del dopoguerra, questi
due elementi dimostrano quanto fosse complessa e problematica l’eredità della
critica fascista e della critica idealista. L., Con Heidegger. Alcune
riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heidegger. G. Gentile, Manzoni
e Leopardi (1928), in Opere, vol. XXIV, Firenze, Sansoni, 1960. 16 Leopardi,
d’altronde, offre una prospettiva privilegiata per analizzare il rapporto tra
Croce, Gentile e L.. Era il poeta prediletto di Luporini : « Leopardi è stato
sempre il mio autore », dichiarava L., e come tale, egli continuò a leggerlo e
a rileggerlo da un capo all’altro della sua vita. Ma era anche un poeta molto
amato da Gentile – benché numerose e importanti fossero le differenze tra il
materialismo dell’uno e l’attualismo dell’altro – e la costanza del suo
interesse per Leopardi ci è testimoniata dalla regolarità con la quale il
filosofo siciliano pubblicò per più di trent’anni, tra il 1907 e il 1938, testi
sul pensiero e sulla poesia di Leopardi, poi raccolti in un unico volume24.
D’altro canto, invece, Leopardi non è stato un autore particolarmente
apprezzato né compreso da Croce. Citiamo qui l’allegro commento di uno studioso
che era stato suo discepolo, Vincenzo Gerace, e che nel 1929 dichiarava :
25 V. Gerace, Leopardiana, in La tradizione e la moderna barbarie. Prose
critiche e filosofiche, Folig (...) Croce non ama Leopardi. Non può amarlo. Gli
dà forte sui filosofici nervi. Gli è d’impaccio al teorico passo, uso a
scalciare stizzoso, ovunque lo trovi, quel terribile nemico della sua teoria
estetica : l’intellettualismo e il moralismo nel mondo dell’arte. Or se c’è un
intellettualista e un moralista convinto e di altissimo stile nella storia
della nostra poesia, e tenace in teorie e in fatti, questi è Leopardi.25
26 B. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia, Bari, Laterza, 1923, pp. 103-119.
27 Ibid., p. 107. 17 Gerace allude qui senz’altro al celebre testo che Croce
pubblica dapprima su « La Critica » e poi nel volume Poesia e non poesia del
192326. La principale critica che Croce rivolge alla poesia di Leopardi è di
esser intrisa di elementi allotri, di momenti meditativi, filosofici, polemici,
che sono, per il critico idealista, profondamente estranei alla pura
ispirazione e intuizione poetica. Come tali, Croce non li considera veramente
poetici, tanto che, nel suo esame complessivo dei versi leopardiani, egli
considera che solo un numero relativamente ridotto corrisponda alla sua
definizione di poesia. Croce non emette riserve unicamente sulla poesia di
Leopardi, ma ne esprime di ancora più forti sul valore della sua filosofia. Per
Croce, il pensiero leopardiano è dettato innanzitutto dal sentimento, anzi dal
risentimento per una « vita strozzata », ed è dunque troppo soggettivo per
essere considerato un pensiero filosofico universale. In questa prospettiva,
Croce interpreta il pessimismo o ottimismo di Leopardi come un indizio
dell’origine prettamente sentimentale del suo pensiero, e quindi come una prova
della sua pochezza concettuale : « La filosofia », afferma Croce, « in quanto
pessimistica o ottimistica è sempre intrinsecamente pseudo-filosofia, filosofia
a uso privato »27. 28 I due testi si trovano oggi nel volume di G.
Gentile, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le Operett (...) 29 Ibid., p. 164
30 Ibid., p. 163. 18 In queste pagine, Croce sta in realtà dialogando con colui
che era, da molti anni ma per pochi mesi ormai, un amico ed un collaboratore, Gentile,
il quale aveva pubblicato, nel 1916 e nel 1919 due saggi – il primo sulle
Operette morali, il secondo intitolato Prosa e poesia nel Leopardi – decisivi
per la questione della filosofia pessimistica o ottimistica di Leopardi 28.
Anche Gentile, come Croce, giudica severamente la qualità filosofica del
pensiero leopardiano, dichiarando che « se cerchiamo in lui il filosofo, avremo
lo scettico, ironista, materialista piuttosto mediocre nell’invenzione »29.
Gentile formula, tuttavia, un’interpretazione ben diversa, molto più feconda ed
originale, della questione del pessimismo o ottimismo di Leopardi. Senza negare
del tutto il suo pessimismo, Gentile lo ridimensiona attribuendolo storicamente
e concettualmente alla sola influenza della filosofia materialista,
direttamente ereditata dai Lumi. Si tratta quindi di un « pessimismo della
ragione » settecentesca, che Gentile giudica, tutto sommato, superficiale e
poco originale, e al quale oppone invece un « ottimismo del cuore », profondamente
radicato nell’animo leopardiano. Così scrive nel 1919 : « Il Leopardi,
pessimista di filosofia, e quasi alla superficie, fu invece ottimista di cuore,
e nel profondo dell’animo : tanto più acutamente pessimista col progresso della
riflessione, e tanto più altamente e umanamente ottimista »30. 31 Vi è,
nello Zibaldone, un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è,
del resto, un (...) 32 Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da
Augusto Del Noce, secondo cui Gentile « sent (...) 33 F. Pasini, Tutto il
pessimismo leopardiano, Parenzo, Coanna, 1928, p. 5. 19 Gentile dà particolare
rilievo alla tesi di un’ultrafilosofialeopardiana31, supponendo l’esistenza di
una sorta di pensiero leopardiano oltre la filosofia pessimistica e
materialistica : un pensiero più autentico, perché più intimamente poetico, più
spirituale e quindi, per Gentile, più leopardiano32. La rivalutazione
gentiliana delle Operette morali e l’interpretazione in chiave ottimistica del
pensiero leopardiano segnano un momento importante nella storia della critica,
avviando un nuovo filone esegetico che gode di particolare successo durante il
Ventennio. Si assiste allora, come nota un critico nel 1928, ad un «
capovolgimento, del punto di vista dal quale si usava considerare Leopardi » :
da « poeta del pessimismo » che era « per tutti », Leopardi « è diventato il
poeta dell’ottimismo »33. 34 F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, in
Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet, 1986, p. 159. 35 Per una presentazione
dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare produzione crit
(...) 20 Sin dall’Ottocento, De Sanctis aveva esaltato l’effettopositivo
prodotto dalla lettura della poesia leopardiana, dichiarando che « Leopardi
produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e
te lo fa desiderare ; non crede alla libertà, e te la fa amare »34. Negli anni
Venti e Trenta, tuttavia, l’intento della critica leopardiana è rivelare
elementi intrinsecamente positivi ed ottimistici, non nell’effetto prodotto sui
lettori, ma alla matrice stessa del pensiero leopardiano. L’opposizione
proposta da Gentile nel 1919, tra un pessimismo della ragione ed un ottimismo
del cuore viene ampliamente ripresa e riesplorata, dando adito a tutta una serie
di interpretazioni che potremmo definire irrazionali e fideistiche. Oltre il
pessimismo materialista, oltre il razionalismo disperato, la cui importanza
viene sistematicamente sminuita, molti critici cercano ed esaltano lo slancio
ottimistico della fede leopardiana : fede nella poesia, ma anche e spesso
soprattutto fede nella patria e nella stirpe italiana. In questo senso potremmo
interpretare alcune letture mistiche che vengono date di Leopardi e del suo
pensiero negli anni Trenta soprattutto35. 36 S. Lanfranchi, De centenaire
en centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo 1927, Leo (...) 21
Non è certo questo il luogo per analizzare questa produzione, vasta seppur
povera di elementi filologici e critici realmente nuovi. Ai fini del nostro discorso,
preme tuttavia osservare che un argomento ricorre sovente tra questi testi, che
consiste nel dare una spiegazione prettamente contestuale e storica al
pessimismo di Leopardi, negandogli di fatto un valore universale. Il motivo
fondamentale del pessimismo leopardiano è, per la critica di stampo fascista
degli anni Venti e Trenta, di natura politica, anzi patriottica. Leopardi non
ha assistito né agli albori del Risorgimento, né alla prima guerra mondiale, né
tanto meno alla marcia su Roma : se invece fosse stato spettatore e attore di
tali avvenimenti, egli – assicurano tali critici – non sarebbe stato
pessimista. Questo argomento costituisce un vero e proprio topos oratorio,
ripetuto centinaia di volte in occasione dei discorsi ufficiali e delle
commemorazioni del Ventennio, poiché, nonostante sia fondato su un anacronismo
e quindi scientificamente non abbia alcun valore, la sua efficacia retorica è
notevole. E segnatamente lo si trova nel 1937, quando, in occasione del
centenario della morte, il regime organizzò, spesso controllandoli e
canalizzandoli, tutta una serie di festeggiamenti ufficiali, in cui Leopardi
veniva molto spesso presentato come un precursore del fascismo36. 22 Vi
furono però alcune celebrazioni che riuscirono a rimanere in margine delle
commemorazioni ufficiali e quindi a garantire una certa libertà di espressione
rispetto alla produzione su Leopardi. Tra queste, troviamo l’annuario di un
liceo livornese, che nel 1938 pubblicò un numero speciale con vari studi
consacrati a Leopardi. Il secondo, intitolato Il pensiero di Leopardi, era
proprio il testo di L., che in quel liceo appunto insegnava filosofia. In
questo saggio, l’intento primo di Luporini non è solo di presentare un Leopardi
esistenzialista, ma anche e forse soprattutto di contestare la posizione
dell’idealismo, sia crociano che gentiliano, rivendicando innanzitutto il
valore filosofico del pensiero leopardiano e quindi anche del suo pessimismo. L.
non esita a metterlo a confronto con i
maggiori filosofi dell’Occidente : 37 C. Luporini, Il pensiero di
Leopardi, cit., p. 68. Tra il pessimismo del Pascal, ultima grandiosa
affermazione del medioevo religioso e il pessimismo del Leopardi, c’è l’età
dell’illuminismo nei suoi ideali più alti, c’è Cartesio e Kant (che pur
Leopardi non conosceva), c’è insomma il pensiero moderno che fonda tutto il
valore dell’uomo nella sua dignità morale e questa sua dignità morale nella
verità che egli ha raggiunto colle proprie forze, rivelata alla sua
ragione.37 38 Secondo Sebastiano Timpanaro : « L’esperienza
esistenzialistica L. se l’era ormai lasciata (...) 39 C. L., Leopardi
progressivo, cit., p. 97. 40 Ibid., pp. 101-102. 23 Sarebbe opportuno
comprendere se vi siano elementi comuni tra i due testi di L. su Leopardi,
scritti a distanza di dieci e decisivi anni. Sussistono poche tracce del
Leopardi esistenzialista del 1938 nel Leopardi progressivo del 194738. Un
lascito più evidente consiste invece nella condanna duratura e permanente di
Croce – di cui L. cita esplicitamente « l’infelice giudizio » su Leopardi. Per
L., non solo la poesia di Leopardi è sempre vera poesia, ma anche il suo
pensiero, potremmo dire, è vero pensiero, vera filosofia. Leopardi, dice L., «
fu un pensatore progressivo ; in certo modo, dentro i limiti della sua funzione
di moralista, di non-tecnico della filosofia né di alcuna disciplina
particolare, il più progressivo che abbia avuto l’Italia nel xix sec.
»40. 24 L’interpretazione data da Gentile – che invece L. nel suo testo
non cita mai – e la stagione di studi sul Leopardi ottimistico che essa
inaugurò per il Ventennio fascista lasciano invece dietro di sé, e sul saggio
di L. in particolare, un’eredità molto più complessa da cogliere e da valutare.
Nell’insistere sul materialismo del pensiero leopardiano, Luporini intendeva
senz’altro opporsi alla lettura idealistica e spirituale di Gentile. È inoltre
significativa la scelta di L., che non parla di un Leopardi ottimista, ma
progressivo, rifacendosi perciò ad un lessico di tutt’altra connotazione
ideologica. Vi sono, tuttavia, anche alcuni elementi di continuità, e ci
soffermeremo brevemente su tre di questi. 41 Ibid., pp. 49 e 69. 42 S.
Timpanaro, Classicismo e illuminismo, cit., p. 180. 25 Il primo sta
nell’origine contestuale e storica che Luporini attribuisce al pessimismo
leopardiano, il quale deriva, secondo lui, da una delusione storica : la
delusione della Rivoluzione francese. « Questa delusione – scrive Luporini –
non spiega solo il pessimismo storico di Leopardi, ma il suo successivo e
rapido ‘pessimismo cosmico’ ; ossia spiega tutto il pensiero leopardiano. I due
pessimismi nascono da un unico germe, appartengono a un unico processo di
pensiero »41. Esprimendo un giudizio complessivamente molto positivo sul testo
di L., Timpanaro emette la principale sua riserva proprio su questa
interpretazione, che giudica insufficiente in quanto non rende conto del «
valore permanente del pessimismo leopardiano »42. Nella nostra prospettiva, è
importante notare che la spiegazione storica, benché usasse altri mezzi e
perseguisse altri fini, era già usata in modo sistematico dalla critica
fascista, escludendo a priori l’idea di un pessimismo non fondato sulla storia,
ma sulla condizione umana in senso universale e astorico. L., Leopardi
progressivo, cit., p. 50. 44 Ibid., p. 60. 26 Il secondo elemento di continuità
sta nel giudizio, proprio di Luporini ma anche della critica fascista, secondo
cui nonostante il pessimismo scaturito dalla delusione storica, vi fosse in
Leopardi una “inconcussa e nascosta fede”43, qualcosa che lo induceva comunque
a sperare. Come Gentile, anche Luporini dà un notevole rilievo a quell’unica
occorrenza del termine « ultrafilosofia » nello Zibaldone, ma le attribruisce
contenuti affatto diversi perché in essa « sembra condensarsi la “disperata
speranza” dell’individuo Leopardi »44. 45 Ibid., p. 38. Timpanaro
considera che non era « accettabile » il « rimprovero » mosso a L. Il terzo ed
ultimo elemento di continuità, tra il testo di L. e la produzione critica del
Ventennio, sta infine nel presentare Leopardi quale un « anticipatore di
ulteriori dottrine »45. In entrambi i casi, Leopardi diventa precursore
politico di un’ideologia del Novecento e, in entrambi i casi, diventa
precursore di un’ideologia strutturalmente ottimistica. L’ottimismo era,
infatti, un aspetto culturale e ideologico programmatico per il fascismo ma,
d’altra parte, il progresso – e quindi la visione ottimistica del divenire
umano che lo sottende – è a sua volta un perno essenziale dell’ideologia
comunista. L., Leopardi moderno, intervista a cura di F. Adornato, «
L’Espresso ». Su questo punto vorremmo abbozzare le nostre prime rapide
conclusioni. Parallelamente al discorso critico più tradizionale e canonico,
che sin dall’Ottocento va definendo le varie fasi del pessimismo leopardiano,
si possono rintracciare nel Novecento le tappe di elaborazione del mito di un
Leopardi ottimista : un mito che forse proprio durante il Ventennio conosce la
maggiore diffusione, ma che non muore con la caduta del regime fascista. Il suo
permanere, sotto forme diverse, è forse proprio dovuto al vincolo che lo unisce
ad ideologie strutturalmente ottimistiche, le quali, quando designano nel
Leopardi un precursore, lo « piegano » naturalmente in questo senso. Alla luce
di queste considerazioni, assumono un significato particolare le parole che
pronuncia lo stesso Luporini, in un altro periodo di transizione, alla fine
degli anni Ottanta, davanti al crollo del regime comunista e davanti alla crisi
di quest’altra ideologia novecentesca. Non a caso, Luporini ritorna allora a
studiare Leopardi, per trovarvi l’espressione del suo sgomento : « Il sapersi
soli di fronte alla storia, senza speranze – senza nessuna garanzia, senza
nessuna ideologia, senza nessuna consolazione »46. Siamo molto lontani dal
messaggio ottimistico del Leopardi progressivo, e rimane poco delle antiche
speranze di L.. Rimane però quello stesso amore per Leopardi, e quel sentimento
della sua ‘attualità’ più pregnante : 47 Ibid. Nella nostra epoca così
confusa e in fase di assestamento, nella crisi di tutte le categorie con le
quali ci siamo mossi finora, questa mi sembra un’idea liberatoria. Si può, anzi
si deve, essere disillusi : ma non per questo inerti e rassegnati. Essere
nichilisti e insieme attivi : ecco l’attualissimo messaggio di Leopardi. 47 Débat
Inizio pagina NOTE 1 Il testo Leopardi progressivo fu pubblicato per la prima
volta nel volume Filosofi vecchi e nuovi : Scheler-Hegel-Kant-Fichte-Leopardi,
Sansoni, Firenze. Come L. scrive in un’avvertenza ad una nuova edizione, datata
del febbraio 1980, « questo Leopardi progressivoebbe subito una sua risonanza
particolare, così che poi, nel corso di tutti questi anni, molte volte sono
stato sollecitato a ripubblicarlo in edizione separata. Questa domanda
proveniva da varie parti, ma soprattutto dal mondo della scuola (insegnanti e
studenti), il che mi ha sempre fatto particolare piacere. L., Avvertenze, in
Id., Leopardi progressivo, Roma, Editori Riuniti). 2 Scrive Sebastiano
Timpanaro a proposito del titolo scelto da Luporini : « un titolo che per un
verso alludeva polemicamente alle “magnifiche sorti e progressive” derise nella
ninestra (volendo indicare che Leopardi, nemico del falso progresso
borghese-moderato, mirava ad un progresso molto più radicale, al di là
dell’orizzonte politico della propria epoca e del proprio ambiente), per un
altro accoglieva quell’accezione un po’sottile e non immune da ambiguità che
questo aggettivo ebbe per alcuni anni nel linguaggio politico italiano : non
equivalente a “progressista” (che sapeva troppo di radicalismo borghese), ma
piuttosto a “democratico avanzato”, di una democrazia destinata, senza
rivoluzione, a sfociare nel socialismo. Gli equivoci politici di quest’uso di
“progressivo” ne causarono la rarefazione e poi la scomparsa quando era ancora
in vita Togliatti, che ne era stato, se non l’inventore, certo il massimo
diffusore attraverso la formula della “democrazia progressive -- TIMPANARO,
Anti-leopardiani e neo-moderati nella sinistra italiana, Pisa, ETS. Si tratta
del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e prose, Poesie, a cura di Rigoni,
con un saggio di Galimberti, Milano, Mondadori (I Meridiani. L., “Leopardi progressive”.
Brunetti, Il « nostro » professore L., in L., a cura di M. Moneti, numero
speciale della rivista « Il Ponte ». L., Leopardi progressivo. Binni, La nuova
poetica leopardiana, Firenze, Sansoni. Sebbene molto diversi, il testo di L. e
quello di Binni hanno in comune l’originalità dell’impostazione critica, che
contribuì a rinnovare gli studi leopardiani nel dopoguerra. La migliore
illustrazione e analisi di tale svolta critica si trova forse ancora nelle
pagine, ormai non più recenti, di TIMPANARO, Classicismo e illuminismo
nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri Lischi. Croce conia la voce « allotrio »
per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al vocabolario
filosofico tedesco dell’Ottocento, e al greco “ἀλλóτριος,” che signifca «
estraneo, altrui ». Per l’influenza di Gentile sul mondo culturale in
epoca fascista, si veda in particolare G. Turi, Gentile : una biografia,
Firenze, Giunti. Il ruolo di CIAN negli studi letterari nel periodo di
transizione è stato recentemente studiato d’Allasia in una serie di lavori, tra
cui « Il virus malefico » dell’ideologia nazionale e le illusioni di un «
maestro di metodo » : Vittorio Cian, in Fascisme et critique littéraire. Les
hommes, les idées, les institutions, a cura di Vento e Tabet, Caen, PUC
(Transalpina). MARPICATI compie studi di letteratura italiana a Firenze,
pubblica alcune raccolte di poesie e vari testi di critica letteraria. Ma sin
dalla prima guerra mondiale mette da parte l’attività letteraria – alla quale
si consacra solo sporadicamente – per dedicarsi invece alla politica, dapprima
a Fiume, poi nella militanza e nel regime fascisti. Assume vari incarichi
prestigiosi, tra cui quello di Cancelliere dell’Accademia d’Italia, poi di
direttore, dell’ISTITUTO NAZIONALE DI CULTURA FASCISTA, e anche di vice
segretario del Partito Nazionale Fascista. Ecco quanto scriveva, ad esempio, Cian,
rivolgendosi a Croce e ai suoi discepoli : « Questi cerebrali, più o meno
giovini, chierici sterili e sterilizzatori, officianti nella cappella
all’insegna dello Spegnitoio, dovrebbero ormai decidersi. O smetterla,
rassegnandosi a tacere e a sparire dalla scena letteraria – e sarebbe tanto di
guadagnato – oppure mettersi al passo coi tempi nuovi » (V. CIAN, Rassegna
bibliografica, Giornale Storico della letteratura italiana. Mi sia consentito
di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili in linea :
S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs, Lectures critiques et scolaires de
Alfieri, Foscolo et Leopardi dans l’Italie fasciste -- archives-ouvertes.fr/docs
/00/37/21/89/7-12-08.pdf] ; Id., « Verrà un dì l’Italia vera », Poesia e
profezia dell’Italia futura nel giudizio fascista, « California Italian Studies
», II, 1, 2011 [http://escholarship.org/uc/ismrg_cisj], In realtà, i primi
sintomi di’insofferenza RUSSO li da mentre scrive un articolo sulla critica
foscoliana recente, nel quale rivendicava la « politicità » di un testo come Le
Grazie e la legittimità di una lettura che non si attenesse ad un’analisi
strettamente letteraria, estetica e formale. Questo esempio viene a dimostrare
quanto detto subito dopo nel nostro studio, ovvero l’ipotesi di un
allontanamento progressivo dalle posizioni crociane durante gli anni Quaranta (L.
Russo, Le Grazie di Foscolo e la critica contemporanea, “Italia che scrive”.
L., “Critica e metafisica nella filosofia kantiana, « Rendiconti della Reale
Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e
filologiche », Il testo faceva parte di un volume scritto dai docenti del liceo
dove L. insegna, in occasione del centenario della morte di Leopardi: L., Il
pensiero di Leopardi, in Studi su Leopardi, Livorno, Belfronte e C.
(Pubblicazioni del R. Liceo Ciano, 1), Nella sua autobiografia, BOBBIO cita un
disegno di GUTTUSO che illustra una delle prime riunioni clandestine del
movimento, riunito nella villa di Morra, vicino a Cortona. Vi si vedono Bobbio,
L., Capitini (con davanti a sé un testo che porta la scritta « Non violenza »),
MORRA, lo stesso GUTTUSO e CALOGERO (con un altro testo intitolato invece «
Liberalismo sociale ») (Bobbio, Autobiografia, Roma-Bari, Laterza. L., Qualcosa
di me stesso, in Questo testo è la trascrizione dell’ultima lezione tenuta,
dall’autore, nella Facoltà di Lettere di Firenze, al momento dell’andata fuori
ruolo. Luporini, Con Heidegger. Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e
politica, in Heidegger in discussione, Atti del Convegno internazionale «
L’eredità di Heidegger », Roma, a cura di Bianco, Milano, Angeli. Gentile,
Manzoni e Leopardi, in Opere, vol. XXIV, Firenze, Sansoni, Gerace, Leopardiana,
in La tradizione e la moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Foligno,
Franco Campitelli. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia, Bari, Laterza. I due
testi si trovano oggi nel volume di GENTILE, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo,
Le Operette morali, fu pubblicato per la prima volta in « Annali delle
Università toscane », poi come proemio di un’edizione delle Operette morali
curata da Gentile (G. Leopardi, Operette morali, con proemio e note di Gentile,
Bologna, Zanichelli; il secondo, Prosa e poesia nel Leopardi, fu invece
pubblicato nel « Messaggero della domenica ». Vi è, nello Zibaldone,
un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è, del resto, una
sola occorrenza del termine « pessimismo », ma nella critica leopardiana questi
due hapax hanno goduto di grandissimo successo. Leopardi scrive. E un popolo di
filosofi sarebbe il più piccolo e codardo del mondo. Perciò la nostra
rigenerazione dipende da una, per così dire, ultrafilosofia, che conoscendo
l’intiero e l’intimo delle cose, ci ravvicini alla natura. E questo
dovrebb’essere il frutto dei lumi straordinari di questo secolo -- manoscritto
dello Zibaldone. Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da
Noce, secondo cui GENTILE « sentì se stesso come il filosofo di Leopardi, come
il suo vero continuatore perché l’attualismo avrebbe realizzato
quell’ultrafilosofia a cui Leopardi aspira: Noce, Gentile, Per una
interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Il Mulino. PASINI,
Tutto il pessimismo leopardiano, Parenzo, Coanna, Sanctis, Schopenhauer e
Leopardi, in Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet. Per una presentazione dei
testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare produzione critica
leopardiana, oggi poco nota, rimando alla mia già citata tesi di dottorato (S.
Lanfranchi, La recherche des précurseurs, LANFRANCHI, De centenaire en
centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo, Leopardi, in
Fascisme et critique littéraire, Caen, PUC (Transalpina 12). L., Il pensiero di
Leopardi. Secondo TIMPANARO: L’esperienza esistenzialistica [L.] se l’era ormai
lasciata decisamente alle spalle ; eppure essa aveva lasciato una traccia
nell’interesse per i temi leopardiani della “vitalità” e del rapporto
natura-ragione, nel rifiuto di un’interpretazione troppo storicisticamente
angusta del problema Leopardi. Timpanaro, Anti-leopardiani e neomoderati. L.,
Leopardi progressivo, Timpanaro, Classicismo e illuminismo, c L., Leopardi
progressivo.TIMPANARO considera che non era accettabile il « rimprovero » mosso
a Luporini, di aver fatto di Leopardi un « precursore del marxismo. Timpanaro,
Classicismo e illuminismo. Ma certe pagine del libro di Luporini e alcune
formule in esse contenute (segnatamente quell’anticipatore di ulteriori
dottrine) se non rendono « accettabile » un tale giudizio, perlomeno ne
spiegano l’origine. L., Leopardi
moderno, intervista a cura d’Adornato, « L’Espresso ». Cesare Luporini. Luporini. Keywords: corpo e mente, corpo animato –
l’anima di Vinci – la mente di Leonardo – i corpi di Vinci – il Leopardi
fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Luporini” – The Swimming-Pool
Library.
Tuesday, April 2, 2024
GRICE E LUPORINI: L'IMPLICATURA CONVERSAZIONALE -- I CORPI DI VINCI -- IL LEOPARDI FASCISTA -- LEOPARDI FASCISTI -- ULTRA-FILOSOFICO -- FILOSOFIA ITALIANA -- LUIGI SPERANZA
Subscribe to:
Post Comments (Atom)
No comments:
Post a Comment