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Monday, April 1, 2024

GRICE E MEIS: L'IMPLICATURA CONVERSAZIONALE -- IL FU MATTIA PASCALE -- LO SPIRITO ABRUZZESE -- FILOSOFIA ITALIANA -- LUIGI SPERANZA

 

Grice e Meis: l’implicatura conversazionale – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bucchianico). Filosofo italiano.  Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di un medico aderente alla carboneria e di ideali mazziniani, nacque a Bucchianico, dove compì i primi studi: li proseguì presso il Regio collegio di Chieti e poi a Napoli, dove fu allievo dei letterati Basilio Puoti e Francesco De Sanctis, Spaventa e Ramaglia. Si laureò e nel 1841 divenne socio dell'Accademia degli Aspiranti naturalisti, di cui diventerà presidente nel 1848; fu poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e aprì una scuola privata di grande successo, dove insegnò anatomia, patologia, fisiologia e scienze naturali. Fu poi rettore del Collegio Medico di Napoli.  Dopo la promulgazione della costituzione nel Regno di Napoli, venne eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra: sostenne la protesta di Mancini contro la repressione operata dalle truppe borboniche contro i manifestanti e l'accusa di tradimento al re.  Fu quindi costretto all'esilio: dopo un soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì a Parigi. Esercitò gratuitamente la professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani; insegnò antropologia all'università ed entrò in contatto con il mondo scientifico parigino, diventando assistente di  Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica. Strinse anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientrò in Italia,  prima a Torino e poi a Modena, dove insegnò.  Tornò a Napoli e divenne assistente di De Sanctis, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto Membro straordinario del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione.  Fu deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo tra i ministeriali.   Busto di M. al Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando fu iniziato in Massoneria, è certo tuttavia che nfu membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico-spirituale alle scienze della natura, che egli trovò nell'idealismo di Hegel. Fu anche amico intimo e collega di Siciliani, del quale condivise in parte la speculazione intorno al positivismo.  Venne citato, di passaggio, nel romanzo di L. Pirandello Il fu Mattia Pascal.  Fu costruito il nuovo palazzo della Biblioteca provinciale di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a De Meis.  V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, De Meis Angelo Camillo, su treccani.  Il protagonista del romanzo infatti ascolta casualmente, durante un viaggio in treno, una conversazione fra due eruditi, e dato che è uscita la notizia della sua morte, sceglie come proprio nuovo cognome "Meis", traendolo da "De Meis". Il nome sarà "Adriano", udito dal fu Mattia nella stessa conversazione, che attribuiva a Camillo De Meis la tesi che due statue nella città di Peneade rappresentassero Cristo e la Veronica (colei che si sostiene abbia asciugato il viso di Gesù durante il calvario). In queste pagine del romanzo pirandelliano, Mattia Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza legato alla propria libertà.  F. Tessitore, «DE MEIS, Angelo Camillo» in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, R. Colapietra, Angelo Camillo De Meis politico “militante”, Napoli, Guida Editori, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Angelo Camillo De Meis, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  openMLOL, Horizons storia.camera, Camera dei deputati.  Angelo Camillo De Meis di Giacomo de Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di Pisa Cagliari. L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella prima edizione di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle successive si precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di Francesco De Sanctis, il filosofo abruzzese Angelo Camillo De Meis. Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual, altrettanto difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A men oche non si pensi al saggi in cuil Meis (“Darwin e la scienza”) tenta una sistesi tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; onon si immagini che possa essere il suo pensiero, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA in Italia, alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale Mattia Pascale prednde parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di varia strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo a intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto imporgrammato) sfodo di Adriano Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive da Talete ad Anassagora Soggettivismo pratico individualista Sofisti. Soggettivismo pratico universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto Platone Soggettivismo incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo. Soggettivismo pratico intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Neoplatonismo Cristianesimo  Oggettivismo ideale particolarista Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac. Diderot, d’Holbac. Passaggio alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale universalista Anseimo. S. Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla oggettività Cartesio Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla soggettività —Berlielei/. Kant Tempo recente Soggettivismo assoluto. Soggettivismo trascendentale — Kant Soggettivismo assoluto astratto — Fichte Oggettivismo assoluto Schelling Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia della medicina .Cosa è lo Stato?  Lo Stato è l'uomo grande; è la società umana  individuata. L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società  che basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che lo  Stato è il grande organismo umano, l'individuo gran-  de, compiuto in sé stesso, indipendente ed assoluto.  L' uomo piccolo è una scala ascendente di fun-  zioni. Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui  mangia e beve e si nutre, veste panni, abita un nido  e si riproduce: la funzione riproduttiva è l'apice, e la  corona della vita vegetativa.   Egli è questo il sistema dei suoi bisogni mate-riali, vegetativi ed animali.   Ma 1' uomo elementare non è soltanto un vege-  tabile compenetrato e avvolto da un animale; egli è  anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità  dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza  umana. La riproduzione è la corona della vita vegetale ; la coscienza è la corona della vita animale ; e la  coscienza assoluta è la corona e F apice della vita  spirituale.   Come spirilo l'uomo è per prima cosa, e per  prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la  forma più naturale dello spirito : essa è il patrimonio  dell'individuo, e resta confinato e chiuso in lui. Il dritto è F uomo aggrandito; egli è l'individuo  che si aggiunge una porzione della natura esterna;  ed è una estensione del suo corpo , e della sua anima;  ampliazione della sua natura organica, ed esplicazione  della sua natura giuridica spirituale. E a tutto questo sovrasta F Io, la libera coscienza,  che è come il perno intorno a cui tutto gira: centro  e circonferenza del circolo umano. L'Io è la conoscenza di se. Nella pura coscienza  l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma;  ed egli aspira a conoscere anco F interno di se, la sua  propria natura. E Si conosce infatti: nell'arte, come  bello, e per dir così semi-infinito: nella religione,  come infinito sensibile; nella scienza, come infinito  di pensiero, e sì come pensiero infinito. Tale è il sistema spirituale nell' uomo piccolo ,  nelF individuo particolare. NelF uomo grande, nell' organismo politico-individuale che si chiama lo Stato, ci sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica, agricola, industriale,  commerciale : produzione materiale, frumento o libro;  trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio;  nutrizione e consumazione: relazione sensibile fra tutti  gl'individui dei quali il corpo sociale è formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa nell'in-  dividuo, ma estesa alla società, manifestata come re-  lazione attuale fra gì' individui umani. La morale in-  dividua diventa dritto comune; materia della polizia,  e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di of-  fendere e usar vie di fatto contro un altro uomo,  perchè tutti hanno il dritto che la loro coscienza mo-  rale sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma con-  tro tutti; e non è quindi uno o pochi, sono tutti  contro di lui: il sentimento della comune natura u-  mana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il  dritto di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto,  è il sentimento della fondamentale unità della natura  umana e animale eh' egli ferisce e maltratta in tutti  gli uomini civili e sensibili. La morale individua è  il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione  conforme ai fini, ai principii, ai sentimenti naturali.  Egli è dunque una relazione psichica, spirituale, poiché  spirituale è il suo fine.   Ci è la funzione giuridica, ed è la relazione del-  l'individuo coi suoi annessi naturali agli altri indi-  vidui similmente costituiti di cui la società è formata.  Quello che invade 1' altrui , non occupa solo una por-  zione di natura; egli occupa e viola l'anima di un  uomo, la quale è pur quella di tutti gli uomini, mem-  bri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si le-  vano contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge,  che funziona e si esercita in forma di Tribunale. La  legge penale sta di rincontro alla barbarie, alla pas-  sione violenta ed alla guerra privata; un tribunal*  criminale è in realtà una corte marziale. La legge  civile è il principio e la regola della pacifica deci-  sione: essa è la libera ragione che si leva di mezzo  agli opposti interessi; e il contrasto troncato in germe,   e definito in forma di piato, non solo non giunge, ma  neppur tende alla violenza ed alla guerra. La guerra  è la barbarie; la civiltà è la pace, perchè è la legge,  e perciò questa a ragione è detta civile; e i suoi sono  tutti giudici di pace.   Ci è finalmente V Io comune , conoscenza e volere  generale; ed è, come tale, una funzione formale a cui  servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni  speciali. Cosa è dunque lo Stato?   Lo Stato è T insieme di tutte le funzioni materiali  ed economiche, morali e giuridiche, in quanto sono  unificate nell'Io comune, che tutte le penetra e le  regola, ed è il punto a cui mette capo ogni particolar  movimento, e da cui parte ogni azione generale.   Lo Stato è adunque l'Io, la coscienza sociale.  Tale è la forma: il contenuto è la virtù pubblica, il  dritto civile, il dritto penale, e la pubblica economia.   Lo Stato è il giusto, dice l'Albicini. Sì certamente;  ma il giusto non è che una parte del suo contenuto;  è un elemento della sua natura, il quale piglia neir or-  ganismo giuridico la sua forma particolare, e la sua  realtà naturale. Ma un principe non è solo un Gran-  Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare  il Codice Civile. — Giusto io lo piglio in senso di legge:  e la legge io la piglio in senso di relazione umana  in genere. — Ed io allora la piglio in senso di rela-  zione cosmica universale. Bisogna finirla una volta con  le idee vaghe ed astratte, e con le parole indeter-  minate e generali.   Lo Stato è la virtti; dice il Montesquieu: la virtìi  è il suo principio ed il suo fondamento, e il vizio è la sua rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate,  piene di confusione e di errori. La virtù, la morale,  non è che un elemento , ed una sfera dello Stato. Essa ò  per se individuale; ma quando esce dall'individuo, e  promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore, e per  così dire individuale, essa allora di privata diventa pub-  blica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima sfera  delle relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giu-  ridica, o se anche penetra nella sfera politica, allora  essa perde man mano il suo carattere morale. Un de-  litto politico è per poco un non-senso, quando non è  che politico: e tale egli è quando l'animo è puro.  Omnia mwnda mundis: puro vuol dir non-individuale,  assoluto, generale. E allora non è a parlar di delitto  e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed im-  prudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, suc-  cesso ed insuccesso. Lo Stato ordina i premi e le pene, e  le proporziona alla loro natura morale, giuridica o poli-  tica : se non che una pena politica è quasi un non-senso:  essa in realtà non è che un semplice fatto di guerra,  un puro atto di difesa. — La virtù, dirà il Montesquieu,  io la piglio in senso di forza, di energia politica. —  Ed io la piglio in senso di energia magnetica, elettrica,  nervosa, muscolare. — Le antiche repubbliche erano  fondate sulla sobrietà e sulla severa continenza, sulla  parsimonia e la povertà del privato cittadino. Roma  cadde perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà, il  lusso dell'Asia. Quella io chiamo virtù, questo vizio,  rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e ripete  Napoleone III, e con lui tutti, dal primo all'ultimo,  i francesi. — francesi, questa che voi fate non è  la storia, è il fatto; è la materia appena un po' digros-  sata, non è l'idea che la determina e la informa; è il  fenomeno, non è il pensiero della storia. E lo vedrete.  Lo Stato è il ben essere, la prosperità, la ric-  chezza, dice il Fourier. Sì, certamente: anche questo  è lo Stato: ed egli cura la produzione, promove ogni  maniera d'industria, e favorisce il commercio con  istituzioni, e leggi , e procedure speciali. Ma la ric-  chezza non è che il sostrato , il sottosuolo dello Stato.  La ricchezza è la materia , lo Stato è il pensiero : 1' una  è il corpo , T altro è l' anima. L' anima fa il corpo , ma  non è corpo per questo; e l'Economia politica non è  la Politica, non è lo Stato.   Il principio dello Stato è la religione, è la Bibbia  degli Ebrei, diceva l'Aquila di Meaux, e per quel tempo  non volava male. Ora però, sarebbe il peggio che si  potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno  strisciar per le terre, o come talpa andar per le cieche  latebre, odiando la luce e il puro* e libero aere della  ragione. E se monsignor Dupanloup pure insiste e per-  fidia, allora io dico che il principio dello Stato è l'arte,  è la Divina Commedia e il Decamerone , il Barbiere di  Siviglia e la Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una  quanto l'altra, ed io avrò altrettanta ragione.   Il principio dello Stato è Dio, dirà monsignor  Dupanloup. — Sì, certamente; ora finalmente ci siamo.  Non è però il Dio della Religione e dell'Arte, ma il Dio  del corpo sociale , il Dio dello Stato. Questo è che co-  stituisce i Re, che direttamente o per suoi organi crea  tutti i poteri e le autorità politiche; e questo Dio non  abita nel cielo; lassù non v' è che il Dio della Natura:  il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed è  a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle  autorità che ne sono i ministri, il braccio e la parola.   Lo Stato non e corpo, è anima. Anima è sapere  e volere, coscienza e azione; e la funzione dello Stato  come Stato consiste nel sapor di essere, e nel volere  essere Stato. Questa non è che la sua forma ; ma que-  sta forma è appunto il vero Stato; e la coscienza as-  soluta ch'egli ha di sé, e l'azione comune in cui  questa si traduce e si spiega, è per l'appunto la sua  funzione essenziale.   La coscienza dello Stato per intrinseca ed assoluta  necessità prende una esistenza naturale, e spontanea-  mente si crea il suo particolare organismo. Essa è  l'anima; ed il sistema dei poteri politici è il corpo  che si crea , e in cui si fa reale. È una creazione im-  mediata e diretta, ovvero indiretta e mediata, come  quella d' ogni principio vitale; ma in definitivo è la  coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato che crea i  poteri e le autorità dello Stato. Questa funzione crea-  trice è 1' elezione.   Ma questo corpo in cui l'anima generale si tra-  duce e si concentra, in realtà non è che una pura  anima: è il semplice potere legislativo. Quest'anima  effettiva ed attuale creata dall'elezione, si crea a sua  volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l' esercito  amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il  sangue di questo corpo generale.   L' esercito amministrativo serve per eseguire o  render possibili tutte le funzioni, che compongono  la triplice natura dello Stato: la funzione economica,  la morale, e la giuridica. Un magistrato, un impie-  gato, il ministro, il Sovrano, è un soldato; e il suo  onore è d'ubbidir fedelmente alla legge, all'anima  dello Stato.  L'esercito militare ha un ufficio anche pili essen-  ziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli  serve a difendersi dalle potenze nemiche, esterne o in-  terne, che ne minacciano la vita economica, politica  o morale. Il soldato è il braccio della legge, e dello  Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l' insulto  di un altro Stato , e di reprimere le passioni colpevoli  che si sfrenano contro la legge del suo paese, e le isti-  tuzioni del proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto  nel primo come nel secondo caso.   I due eserciti sono entrambi assoldati. Sono il  corpo, e il sangue vi dee circolare. Il potere legisla-  tivo è l'anima; ed è perciò che non è pagato. Il So-  vrano ha una lista civile perchè unisce in sé le due  nature: egli è il tratto d' unione fra il potere legisla-  tivo e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello  Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro. Sovranità, potere legislativo, potere esecutivo ; tutto  questo è forma di forma : la forma essenziale , il vero  Stato , è T Io assoluto , la coscienza e la volontà ge-  nerale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto  volere, e non è possibile una funzione puramente  formale. Si è conscii di essere questo o quello , si vuole  e si fa sempre qualche cosa : e lo Stato conosce e fa da  un lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la  legge penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore,  V impiegato, il soldato , tutti vogliono che lo Stato sia;  vogliono che sia prospero, giusto, savio, forte di tutte  le fotze morali, e che possa tutte liberamente spie-  garle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza econo-  mica, la virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato. Ma la forma prevale, e domina il contenuto. La  morale domina l'economia: la produzione non è pos-  sibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è im-  morale. Il dritto domina la morale: la virtù pubblica  impone alla virtù privata. L'Io, la pura funzione for-  male, domina e modifica tutte le funzioni speciali che  sono il suo essenziale contenuto: lo Stato domina e  modifica il dritto e la morale. Un assoluto vince l'altro: tutti per sé assoluti, sono fra loro assolutamente  relativi. Il volgo riguarda come piti eccellenti gli as-  soluti inferiori, perchè piti naturali, e di più imme-  diata e più sensibile idealità. Il più alto è per lui  l'ordine morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine  giuridico; 1' ordine politico è subordinato a tutti e due.  In realtà il più eccellente è l'ordine dello Stato, perchè  più generale, e più assoluto e divino; e quando l'ar-  monia fra i tre ordini e le tre funzioni si rompe, è la  funzione formale, la funzione assoluta dell'essere,  quella alla quale appartiene il primato, e prende  sopra l' altre la mano. Scoppia la rivoluzione dal basso  o dall'alto: ribellione, colpo di stato. Slealtà, tradi-  mento, illegalità, delitto. È vero. La coscienza mo-  rale lo riprova, la coscienza giuridica lo condanna;  ma v'è (vi può essere) una coscienza superiore che  l'approva; e se non è la coscienza politica dei con-  temporanei, sarà di certo la coscienza politica degli  avvenire. La storia approverà il colpo di stato e la  rivoluzione popolare, quando è vera funzion di essere:  quando cioè l' essere apparente dello Stato non cor-  risponde al suo vero essere , a quello che esso è nella  coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia  che rimanga al di sotto di questa misura ideale.   Invadere la proprietà d' un cittadino è ingiusto;  ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia,  ed una legale illegalità, perchè in tal guisa realizza  il suo essere, il benessere della comunità, o dell 7 intiero  corpo sociale. La ragione e il titolo è la pubblica  utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno del  fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non  la sua vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma  non si vede il suo interno principio, l'essere generale  realizzato. Ma non è meraviglia. I nostri codici sono  poco men che tradotti dal francese, e le nostre leggi  fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua  e ne riflettono le idee.   Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale:  è un violar l'ordine naturale; è un toglier all'uomo  una proprietà che 1' uomo non ha creata. Ma lo Stato  anche questo può fare.   Lo Stato è funzion di essere; egli è, vale a dire  una forza : e l' elemento di questa forza è la sua cor-  rispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza  generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto  resta al di sotto o supera quello del corpo sociale. —  Il secondo, e non già il primo, è di gran lunga il caso  dello Stato Italiano. — Egli è perciò che quando la  società vede nella pena di morte un elemento di so-  lidità, ed un pegno di sicurezza generale, abolirla è  un errore: è una fallace utopia, una velleità teorica, difetto di serietà pratica, scipita sentimentalità,  filantropia fuor di proposito; bontà di cuore forse, ma  certo debolezza di mente, che ad altro non condur-  rebbe che a crescer la debolezza, già così grande, dello  Stato, accrescendo la distanza che lo divide dalla coscienza pubblica, di cui deve render l' imagine , ed es-  sere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà pro-  gredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà  in armonia con la coscienza dei moltissimi, allora lo Stato sarà forte, e allora la pena ingiusta, immorale ed  inumana della morte si potrà, e si dovrà senza altro  indugio, abolire; perchè allora il paese, divenuto meno  incolto e per dir così più spirituale , avrà cessato di  riguardarla come un elemento di esistenza; e non sen-  tirà il bisogno di una garanzia sensibile tanto barbara  e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti  ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, sa-  ranno moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne  T abolizione.   Si parla sempre dell'utilità della pena di morte.  È l'argomento dei sostenitori, ed è l'achille degli  oppositori. Questo è da una parte e dall' altra un vergognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo Sta-  to opera in funzion di essere, egli è in una sfera ideale e  assoluta, superiore alla regione della utilità e del senso.  Ma questo sì vergognoso errore era la verità del Risorgimento; ed è perciò che non se ne vergognava,  anzi l'accettava, e ne andava giustameute superbo:  il senso e l'utilità era tutta la sua filosofìa, ed egli  condannava allora la pena capitale come non utile. Ve-  nuto più tardi a miglior sentimento, il Risorgimento  respingeva P utilità , e condannava la pena di morte  come utile. Egli scambia per utilità la necessità ideale;  e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua  verità: egli è il da ubi consistam della filosofia posi-  tiva. Ma se ne vergognerà di certo quando di risor-  gimento sarà passato a secolo decimonono.   Ammazzare un uomo, turbarne i dritti, e vio-  larne il possesso, attentare all'esistenza dello Stato,  che è quanto dire alla vita delle sue istituzioni, è  immorale ed ingiusto; e sarà assai di più ammazzare  moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il"  dominio (e sia pur l'alto dominio) delle loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo il "cittadino  non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta  farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è  ingiusta; la violenza pubblica e la pubblica usurpa-  zione non è giusta; è più e meglio di questo, è po-  litica; e si chiama guerra e conquista, e non più  violenza ed usurpazione.   La guerra è buona, e la conquista è giusta le-  gittima e veramente politica, (e dico buona, legittima,  giusta per convenzione, ed in mancanza d'altre parole)  quando in esse lo Stato opera in funzione di essere:  quando guerreggia e conquista per* vivere per essere,  o per diventare quello che è in sé, e deve anche attual-  mente essere.   Vi sono società naturali, che la violenza, l'ar-  bitrio, la passione, il caso in una parola, divide in  più corpi sociali , per cui di uno si formano più Stati.  Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità po-  litica, e della loro natura storica comune.   Yi sono ancora società originariamente separate,  in cui T accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le pas-  sioni umane, col concorso di altri accidenti ed op-  portunità naturali, crea una coscienza comune. La  lingua, vale a dire la comunità e la somiglianza fon-  damentale dei dialetti (non mai la loro identità, che  non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è una  finzione assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile,  e l'espressione approssimativa, e la meno inadeguata,  di quella nuova coscienza. La comune storia è il processo per cui di un gruppo accidentale di popoli e  di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e  vivente con una interna unità e un' anima generale.  La geografia è la condizione esterna dello sviluppo,  e l' occasione più o meno accidentale di questa for-  mazione ideale.  La comune coscienza che si è conservata dopo lo  spartimento dello Stato unico originario, non è più  coscienza, ma tende a ripigliare l'antica forma e la  primiera attività; e la coscienza comune che si è svi-  luppata in un gruppo di Stati eterogenei non è che  il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso  e nell'altro questo sentimento èia nazionalità , la co-  scienza nazionale. E nell' uno come nell' altro caso  ciascuno Stato si trova diviso in se stesso; è un' anima  scissa , con due coscienze distinte ; che l' una è la co-  scienza propria di Stato, l' altra è la coscienza comune  di nazione. Esso è dunque in realtà due anime, due  esseri, uno attuale, e l' altro possibile; il primo è Stato,  l'altro non è che nazione: la nazione è la possibilità  naturale dello Stato. Ma esso anche quest'altra parte  di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser  tutto il suo essere, e irresistibilmente aspira a far della  sua coscienza politica effettiva, e della sua coscienza  nazionale astratta, una sola coscienza reale. Egli è perciò  che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati conna-  zionali. È la buona guerra, e la legittima conquista;  ma è ancora il processo barbaro, violento, inconsa-  pevole, passionale, irrazionale. Era altra volta la buona  soluzione; ora è divenuta cattiva: il decimonono secolo  è tempo di coscienza e di ragione, e non ammette  che la soluzione consapevole, volontaria e razionale.  Questo succede quando in tutti i corpi sociali si svi-  luppa più o meno egualmente di sotto alla loro par-  ticolare e diversa coscienza politica la comune co-  scienza nazionale. Tutti allora aspirano, e tutti fini-  scono per fondersi in un soIq corpo di nazione, in  una stessa società, in cui l'antica coscienza nazionale  si eleverà e si perderà ben presto nella coscienza po-  litica comune. Non è più. la soluzione forzata, è la  soluzione spontanea e razionale.  Egli è nel primo modo che si sono costituite le  nazioni moderne; formazioni accidentali, prodotti di  guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze for-  tunate. Tu felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale non esisteva, è venuta dopo. L'Austria felicemente accozzava delle società affatto etero-  genee, fra cui non vi è stato che un principio di fu-  sione. Si è formato senza dubbio nella Boemia, nell’Ungheria , nella Iugo-Slavia, una coscienza austriaca;  ma la vera coscienza politica è la coscienza boema,  ungherese e slava; e ciò perchè l' austriaca è una co-  scienza astratta, occasionale, non è una possibilità na-  turale effettuata e completa; non è lo sviluppo e la  realtà della coscienza nazionale. La Francia riuniva  con lo stesso metodo delle nozze, delle guerre in-  giuste e delle astute diplomazie , degli Stati meno  inomogenei, in cui pur v* era un avanzo di un'antica  lingua comune, testimone di una comune coscienza,  di politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza  di una potente antica unità; lingua avventizia e forzata,  ma che aveva finito per essere adottata; coscienza avventizia, ma che era pur venuta, ed aveva finito per essere la comune essenziale unità del mondo romano.  Ed ecco perchè quei corpi insieme posti finirono per  formar le membra di un solo corpo morale: fatte però  le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe  l' intenzione di seguitare in questa via, ed applicare  ancora il metodo antico, barbaro, medieyale; ma si  oppone la natura e la ragione. La ragione è la coscienza  nazionale, è la lingua, ed è la storia. La natura è la  geografia: un fiume non è un confine, ma una via ed  un mezzo di unione. La Francia è fuor dei suoi confini  naturali e nazionali.   La soluzione spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali era serbata al secolo della ragione;  ed è l'Italia che ne ha dato al mondo l'esempio, ed è  il suo onore immortale, e il suo vero primato civile  e morale. Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia,  si appresta ad imitarlo. La natura lo richiede: la greca  penisola è un tutto geografico perfettamente circo-  scritto; si direbbe una regione, un nido apprestato  per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone;  lingua, storia, coscienza nazionale, solo in parte ve-  nuta a coscienza politica, tutto è comune alla Grecia;  e v' è un altro comune principio che la unisce, ed è  la religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza e  r unità della Grecia, tutto vuole che la Nazione Greca  diventi lo Stato Greco; ma l' Inghilterra non vi trova  il suo conto, e con tutte le forze si oppone, e l'Europa  delle crociate, divenuta la positiva e irreligiosa Europa  del Risorgimento , custodisce e protegge con una edi-  ficante unanimità il barbaro e immondo straniero,  il musulmano oppressore.   L' Italia è stata piti fortunata. Un grand' uomo  uscito dal suo sangue, pervenuto ad. assidersi sopra un  nobile trono straniero, rammentava l'antica madre  per la quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava  ancora per essa, e le dava la mano a farsi di una  nazione astratta, uno Statò reale. Italiano, io non so  che questo. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia  non è ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora  non vi è che la morale e il dritto, e le piccole pas-  sioni politiche dei francesi, tutti incompetenti nella  quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato  per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati  tutti gì' Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto,  che appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla coscienza nazionale alla coscienza politica. Ma se quella  è forte e potente, questa è ancor debole ed incom-  pleta. Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali  la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono  tutte egualmente amalgamate in una coscienza poli-  tica comune* Le deboli sono scomparse; ma ve n' è  qualcuna forte, che resiste e permane, ed è l'antica  coscienza piemontese.   Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro.  La coscienza nazionale, che in lui era, ed è senza dub-  bio ancor forte, non si è pienamente trasformata. Essa  è rimasta nazionale , astratta; ed ha solamente prodotto  di sé una coscienza politica italiana debole, parziale,  incompleta, poco men che astratta, piena di riserve  e di eccezioni. Essa è incompleta e debole di tutta la  realtà e la forza che rimane alla vecchia e tenace co-  scienza piemontese, di cui la permanente è l'espressione. Questo Sammarlino lo ignora ; ed è in una per-  fetta buona fede. Egli in tra v vede in lui una forte  coscienza nazionale, e allato a una profonda coscienza  municipale (certo indebolita da quello che era prima)  vi trova un chiaroscuro di coscienza politica italiana,  e dice: io sono quanto si può più essere italiano.  E se lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli è  senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può essere,  o quanto altri sia, è una sua esagerazione. Nobile esa-  gerazione, inganno volontario e generoso, illusione  che genera in lui la coscienza nazionale, la quale fa  sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e  agli altrui. Ma in tanta complicazione il valente uomo  non ha tale abito e tal forza d'analisi da rendersi  conto del proprio essere, per cui diviene il giuoco  della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona  fede. Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno  allo stesso modo. Ma il tempo è galantuomo ; e s* egli ha potuto  sviluppare in tutto il mondo antico una coscienza  romana: se sulla vera coscienza magiara , czeca e jugo-  slava ha potuto inserire una coscienza austriaca; se  finalmente nella tedesca Alsazia e nella Lorena punto  del mondo francese, ha potuto (incredibile a dirsi, e  mostruoso a pensare) destare una coscienza politica  francese: ben saprà creare una vera coscienza italiana  in quel Piemonte, che pure è il primo fra tutti i paesi  della moderna Italia: in quel Piemonte, che nel mo-  mento in cui la grande storia italiana del Medio Evo  aveva termine, quando tutto intorno taceva, s'avviliva  e s'abbandonava, e la nazione intiera scendeva nella  tomba della servitù straniera e papale, egli solo non  s' abbandonava ; e che rimasto jnfino allora nell'ombra,  sorgeva a un tratto giovane e vigoroso, e ripigliava  in sua mano il filo e creava la nuova storia italiana,  e per lui ed in lui l'Italia viveva ancora. E quando  a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba , e l'Italia  vi scendeva di nuovo , rimaneva egli solo sulla breccia,  e lottava animosamente, eroicamente, e compiva alla  fine il destino della patria: onore a cui dalla provvi-  denza della storia era visibilmente riserbato. Ah non  tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo  saprà identificare la coscienza piemontese, che dopo  tanta e così grande storia, fuor di proporzione con la  materiale grandezza di quella nobile provincia, è na-  turale sia permanente e resista alla grande coscien-  za politica italiana. E sarà allora galantuomo davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia  non vi sarà che una sola coscienza politica, allora non  vi sarà più soltanto una grande nazione, ma un vero  e forte Stato Italiano.L'Io, la coscienza sociale, è adunque il vero e  proprio elemento dello Stato; ed è una funzione pu-  ramente formale che domina e modera e modifica la  funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato toglie  la vita, e turba e invade la proprietà del cittadino;  fa la guerra per esser quello eh 9 egli è, o quel che  dev'essere, e toglie la proprietà, la vita, Tessere in-  dipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che l'uomo  privato non può fare, e che gli sono permesse, dove-  rose anche talvolta y quando, divenuto uomo pubblico,  la sua coscienza s' immedesima e si confonde con la  coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e reo  tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse,  ma è lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' in-  teresse generale. La fusione e l'amalgama succede  sempre in una certa misura, ed è tanto pili completa  quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello  Stato i due interessi non ne fanno più che un solo.  Dal momento che si separano, il tiranno è perduto:  egli allora non è pih lo Stato, è un altro; è un corpo  estraneo contro a cui l'intiero organismo si solleva,  e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un pro-  cesso di guarigione. Il morbo è la tirannia, l' anarchia:  forme dello stesso disordine; tutte e due passione e  sfrenato arbitrio; ed anarchia tutt' e due. U&rche non è  né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne molti, ne  tutti: V arche è la ragione.   Il principio dello Stato, la sua vita, il suo vero  essere, non è il giusto, non è il morale, non è l' eco-  nomico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come  Stato egli è l'unità consapevole organizzatrice e moderatrice di tutte le forme, di tutti gli organi, di tutte  le funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui finisce l'attività politica,  la vita pubblica; ma qui non finisce la vita umana, e  non è anche tutta la storia.   Sotto allo Stato vi è il dritto, la morale, la pub-  blica economia; ma vi è sopra allo Stato un mondo  piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo;  vi è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il  mondo della religione. Il mondo della verità è di sopra  al mondo della natura e dell'azione. Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta,  e la pili perfetta e più generale esistenza delle fun-  zioni a lui inferiori.   Lo Stato non è che la base e la reale possibilità  delle funzioni a lui superiori.   L'Arte è una funzione naturale, e perciò rimane  affatto individuale. Vi è un mondo estetico, ma non  vi è una società artistica : vi sono soltanto degli artisti  e dei poeti ; e la parte dello Stalo è di render possi-  bile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la  spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha dritto  sull'artista se non quando egli abusa e tradisce l'Arte,  ed esce dalla sua natura.   L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere  immorale e ingiusta a sua posta: ma finché rimane  Arte la sua immoralità non contamina, e la sua ingiustizia può esser sublime, atta solo a sollevare e forti-  ficare i caratteri, non mai ad avvilire e degradar  l' animo umano. Ma dal momento che essa esce dalle  sue condizioni di Arte, essa non è pili che immorale  ed ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene in  nome della giustizia offesa, e della morale violata;  funzioni inferiori, che gli sono tutte e due subordi-  nate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela. L'Arte non è la religione, e può a sua posta  essere empia ed irreligiosa: ma la sua irreligione è  sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri , e di re-  ligione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie  sue leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non  è più che semplice e sguaiata irreligione; in tal caso  lo Stato non interviene. Egli dirige e modera le funzioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non  amministra la verità religiosa che gli è superiore.   L'Arte non è la Scienza; è in un certo senso il  suo contrario : che s' ella esce dalla sua natura di senso  ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto peggio  per lei.   La Religione è una funzione dirò così spiritiforme:  la sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo  carattere è di essere naturalmente universale. Egli è  perciò che mentre l'arte rimane nella sua inconsape-  vole particolarità, la religione viene a coscienza, e si  forma un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e di  fuori e di sopra alla società politica si forma una  società religiosa. Il luogo di questa alta società non è  la terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su que-  sto umile suolo, ma la sua anima è altrove. La sua  funzione è tutta celeste; essa è riflessione e adempi-  mento del destino umano: contemplazione della infi-  nita natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito  della grande fantasia; conseguimento della infinita fe-  licità mediante il possesso dell' infinito della religione.  La funzione religiosa dello Stato è di render possibile  la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della  società religiosa.   La religione non è né scienza, né arte, ne eco-  nomia, ne morale. Essa può dunque essere a sua posta  inestetica e goffa, creare simboli mostruosi e informi,  miti ributtanti e triviali; può professar tutti gli errori  filosofici, astronomici, teologici, politici che vuole.  Tanto meglio per lei; sarà più creduta, e più stimata  e rispettala.   Può la religione professare tutte le assurdità mo-  rali e giuridiche che le piace. Può attribuire a Dio  tutte le passioni umane, sopratutto le pili barbare,  e pih perverse e colpevoli, quelle che l'uomo mo-  derno pih si rimprovera, e maggiormente arrossisce  quando se ne lascia sorprendere e dominare. Sarà per  lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il terrore  religioso, il timor di Dio.   La religione può a suo beneplacito credere ed  insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei  padri, come lo insegnava e lo credeva Mosè, in un  tempo ed in un paese in cui non v' era ancora il  Dritto Romano , e il Codice Civile era di là da venire.  Se questo vi fosse stato , non sarebbe venuto in mente  a Mosè una siffatta idea, e non avrebbe insegnato  un così sterminato errore. Quella era pertanto la ve-  rità giuridica e la verità religiosa del suo tempo: due  gradi e due forme non per anco distinte, confuse  ancora in una verità sola. Oggi la distinzione è av-  venuta: la verità giuridica del Codice Mosaico, con-  vinta e condannata di falsità, è sostituita dalla verità  giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che al-  l'astronomia di Giosuè e del Santo Uffizio è sotten-  trata l'astronomia di Copernico e di Galileo. Ma co-  me verità religiosa è rimasta in piedi: crede il popolo  ed il comune che l' innocente è colpito col reo dalla  vendetta divina: e si crede anche oggi come tre mila  anni sono il dogma che insegna che la colpa del primo  uomo s' è naturalmente trasmessa a tutti gli uomini.  Questo dogma non è che l'applicazione in grande del principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò, e  quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più cre-  dibile al popolo ed al comune, si è che quella colpa  era la curiosità di sapere, il bisogno di conoscere il  vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del dogma  religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice  Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso mo-  rale; ma non è che una offesa ed una violazione re-  ligiosa, e lo Stato non interviene per far rispettare il  Codice Civile ed il senso comune. La rappresentazione  succede in una sfera superiore, e lo Stato ne rende  possibile lo sviluppo e libera la manifestazione, e  la rispetta qualunque ella sia. Ma se l' azione religiosa  esce di questo campo, e deposto il proprio carattere, si  spinge nella sfera dello Stato, e diventa irreligiosa-  mente immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo Stato  interviene, e si fa rispettare. Questo inevitabilmente  succede alle religioni che di spirituali si fanno tem-  porali. Peccato è loro e non naturai cosa: di loro è la  colpa e non dello Stato : e perciò tanto peggio per loro.   Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì dell'Arte  e della Religione , vi è la scienza , la filosofìa. Ma qui  l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto  universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna  forma naturale. Non vi è quindi una società filosofica,  vi è soltanto il mondo della filosofia, il mondo del  pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non interviene  in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il  dee, né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò  che non è naturale. Lo Stato non può entrare nella  sfera della scienza senza disertare la sua, senza perdere  il suo carattere essenziale, e cessar di essere Stato.   Lo Stato del decimonono secolo lascerà dunque  insegnare chi vuole, e checché vuole, anche il Prete ed anche il Demagogo? — Non già; non mai. Insegnare  non è pensare e recare in mezzo il proprio pensiero;  è invece agire, educare e preparare all'azione, ed  appartiene quindi allo Stato; e insegnare un principio  rep ugnante e contraddittorio a quello dello Stato, è uno  scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il suo  conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere; e nes-  suno ha gusto di lasciarsi ammazzare, sia di ferro o  sia di veleno; e i cattivi principii sono velenosi allo  Stato.   11 principio politico dei Gesuiti è la Religione, la  loro; e quello a cui in ultima analisi tutto mette capo,  ed a cui il cittadino ubbidisce, è l' autorità religiosa. Il  principio dello Stato moderno è invece l'Io, la ragione;  è la coscienza pubblica, la pubblica opinione; e quello  a cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso: in ciò con-  siste la libertà civile.   Il principio del Demagogo è la libertà sensibile,  e T eguaglianza materiale. Il principio dello Stato mo-  derno è la libertà ragionevole, l'eguaglianza assoluta,  ideale.   Egli è perciò che lo Stato limita e nega la libertà  del Demagogo e del Prete, e li pone tutti e due fuor  dello Stato — né elettore né eleggibile — e fuor della  scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato.   Il giornale è una scuola, e non può quindi godere  una libertà illimitata. Ogni cosa ha il suo limite nella  sua propria natura, e la libertà ha il suo limite nella  natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e buona,  perchè concreta: la libertà indefinita, astratta, è la  stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò lungi  da noi. La libertà non appartiene che alla libertà.  Solo quella stampa, queir insegnamento, e quella qua-  lunque siasi attività dee poter liberamente agitarsi e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva  e professa il principio generale, e vive dello stesso  elemento assoluto. La religione, l'arte, la scienza  non sono assolutamente libere che nel proprio ele-  mento, e nella loro sfera speciale, e qui lo Stato non  può, non dee, non ha facoltà di mettere il piede.  E però quando io vedo un Ministro chiuder la bocca  a un insegnante né demagogo né prete, ma liberale,  perchè professa delle particolari idee che in un certo  mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed  accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli abusa  delle sue facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltre-  passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome di  un principio particolare, religioso o scientifico, io non  lo so; so soltanto che non è il suo; e non ha come  Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro mi  scusi, e mi perdoni il Consiglio Superiore.   Lo Stato non è adunque che la possibilità effettiva  e naturale della vita artistica, della società religiosa,  e della pura attività scientifica. La sua funzione con-  siste nel renderle tutte e tre possibili mediante l'Istru-  zione e la Pubblica Educazione ; ma non ha ufficio ,  e non può altrimenti intervenire nell'arte, a pro-  mulgar le leggi del gusto, e prescriver la rettorica e  la poetica mediante decreto: e così non può decre-  tare la verità religiosa. Non vi è, non vi può essere,  una religione dello Stato: cotesto è un controsenso,  un non senso, un errore.   Sent from the all new AOL app for iOS  Opere di M..... Pag. XI B) Studi sul De Meis - Opere ed articoli che a lui accen- nano - Recensioni di suoi scritti »  La vita e la storia del pensiero di A. C. De Meis. La famiglia e i primi anni Nel R. Collegio di Chieti La vita intellettuale a Napoli Le scuole private. Gli studi letterari, filosofici, scientifici M. a Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata . Gli avvenimenti a Napoli  Le vicende di M.. Il processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De Meis medico A Torino «quando l' Italia era colà » . M. e i suoi amici: Spaventa, Sanctis, Marvasi. La corrispondenza col De Sanctis. L'attività intellettuale di M. e la sua metempsicosi Vili. M., professore all'Università di Modena. Il ritorno a Napoli M. a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale e politica. La morte. Il testamento La personalità di M. Lo svolgimento del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria I momenti di sviluppo del pensiero di M. Il «Dopolalaurea» La storia della filosofia esposta dal De Meis. L'antichità o il periodo dell' oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività. La filosofia moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata da M. Rapporti fra medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo sulla scuola medica napoletana. M. e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra la fisiologia e la metafisica, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. .Il «Dopolalaurea» e l’orientamento filosofico. Gli scritti scientifici, Lettere geologiche sul M. Majella negli Abruzzi, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia, Saggio sintetico sopra 1' asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per rispetto alla loro sede. Intorno l'asse cerebro-spinale (trad. dal lat.). Considerazioni anato- miche sul salasso locale Teoria dell'ascoltazione Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica - Parte prima: Del principio vitale Idea della fisiologia greca  Le opere scientifico-filosofiche. Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del secolo. Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra l'infiam.   Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li. L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato III. L'idea della sovranità. Il culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il pensiero e contro 1' azione del partito progressista. Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo secondo V. VI. VII. il DeMeis Contro l'abolizione della pena di morte Il divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor- porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato. Vili. Lo Stato e l'istruzione pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I tre gradi di ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il liceo Magno e l' istituto tecnico  inazione dei vasi sanguigni.  I mammiferi. Fisiologia. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno scoi. Gl'ippocratici e gli antippocratici Lettere fisiologiche Le opere scientifico-filosofiche La jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura medicatrice. La patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. La filosofia della natura. La creazione secondo il De Meis. La lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. Le idee politico-sociali e pedagogiche.  medico. L'insegnante unico. Gli esami. La libertà d'insegnamento. I malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due discordi Sacerdoti d'idee: M. e il Mazzini. Le idee estetiche e religiose. La coltura letteraria. Il suo stile. Il suo epistolario. I suoi giudizi sulla terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull' affratellamento delle lingue e sull' uso del fran- cesismo. M. critico letterario II. La profonda religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio personale e la sua critica del Dio cartesiano, dell' antinomia kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il suo giudizio sui culti non cristiani, sul cristianesimo e sulle varie forme di esso III. La «metempsicosi» dell'arte e della religione nella filosofia secondo M.. La storia del genere umano: oriente, antichità, tempo moderno o cristianesimo. Il tempo moderno : medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo latino e il germanico. Il risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il romanzo, la filosofia positiva, la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le correnti umane. La religione e l'arte considerate come gradi e forme del vero. Valore degli argo- menti storici e logici addotti dal De Meis IV. Ottimismo e misticismo del De Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua mentalità scientifica. Significato e valore della sua filosofia della natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero, Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. // Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco voltata in italiano da A. C. De Meis, nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip. del Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani - convocato in Lucca. Na- poli, Coster.  Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof. Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in Napoli, Napoli, Stab. Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione, Napoli, F. Vitale,  [Dedicato a Luigi La Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascolta- zione (v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali. Discorso di M. presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto nella pubblica adunanza, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, M. deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, Napoli. Discorso inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio Medico. Pronunziato  e pubblicato dagli alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale, Proposta di un nuovo sistema di insegnamento pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De Meis ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli, Vitale,  Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica. M. già deputato al Parlamento. [Manifesto]. Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di M. già deputato al Parlamento Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale, Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria dell'ascoltazione, To- rino, Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro Ramaglia].   Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei muscoli intercostali, Napoli,  Fisiologia generale. Evoluzione logica del principio vitale. Idea della fisiologia greca per A. C. De Meis ex-deputato, Napoli, Stab. tip. al- l'insegna dell'Ancora,  [Dodici lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione, Torino, Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino, Tip. Pavesio e Soria. [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo Demaria, To- rino, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di Torino, anno VII, voi. XX, Torino, Favale Considerazioni sopra l'infiammazione dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino, Tip. di G. Favale e Compagnia, Torino,Torino, Torino,  [Nella seconda, nella terza e nella quarta puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra la flogosi ecc.]. / mammiferi,Torino,Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De Sanctis a Zurigo. Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com- porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Tip. Franco, Estratto dalla Nuova enciclopedia popolare del Pomba).  Gl'ippocratici e gli antippocralici, nella Rivista contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice, Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal- l'Unione tip. Editrice. Definizione della vita], . [Il De Meis, sotto la data di Modena, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università « e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra: Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (ppNapoli Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel- l'anno scolastico Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau,  Il Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la « Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima contro il giornale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862]. Degli elementi della medicina, Prelezione di M. professore di storia della medicina nella R. Università di Bologna, Bologna, Monti, Della natura medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-chirurgica di Bologna. Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, La chimica fisiologica, Lettere, Fano, nel giornale L'Ippocratico). [Sono due lettere: I. La vita; La chimica inorganica. - l De Meis si era proposto di scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del Le Monnier. Questi insistette molto, anche per mezzo di Marianna Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore ; ma invano]. / naturalisti, Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis,  La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze,  [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono citati nei “I Tipi animali” col titolo: “I tipi naturali.”   De Meis deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti,Reca la data: Bologna tipi VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato alla contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano. Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna,  Delle prime linee della patologia storica, Prelezione al corso di storia della medicina per A. C. De Meis, detta l'8 gennaio 1866, Bologna, Monti,  Il sovrano, nella Rivista bolognese, periodico mensuale di scienze e lette- ratura, compilato dai proff. Albicini, Fiorentino, Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, [Ristampato, con notizie e documenti della polemica a cui lo scritto diede luogo tra il Carducci e il Fiorentino, dal CROCE, nella Critica, Vili Dichiarazione nella Gazzetta dell'Emilia,  [Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu pubblicata anche nel giornale La Patria di Napoli, a. Vili; e fu ri- stampata dal CROCE, nella Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|, nella Rivista bolognese, Bologna, Monti,  [È una lettera, con la data: Bologna.  Dopo la laurea - Vita e pensieri [parte prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le prime cinque lettere erano state pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo pubblicato nella Rivista bolognese, poco prima della pubblicazione del volume]. La natura medicatricc e la storia della medicina, Lettera al prof. Salvatore Tommasi, Bologna, Monti, 1868 (Estratto dal fase. 8° della Rivista bo- lognese, Bologna. [Fu pubblicata anche nel Morgagni, Della medicina sperimentale, Prelezione, Bologna, pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella Rivista bolognese, Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della utilità dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista Partenopea Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr. dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione, Bologna, Monti, Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali.  I tipi animali, Lezioni, [parte prima], Bologna, Monti,  [La «Prelezione» era 3 stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione fu pubbl. nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni, Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia della medicina, Prelezione, Bologna, Monti,  La medicina religiosa, Prelezione, Bologna, Monti,pubblicata anche nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, diretto da Fiorentino). All'onorevole signor commendatore Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente dell'Associazione costituzionale di Chieti, Bologna, Monti, [È, una lettera, con la data: Bologna,  Il canonico di Campello e la stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia,  [Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on. Sella, nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze],  [Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti, Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la riapertura degli studi nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna, Monti,  Francesco De Sanctis, Bologna, Fava e Garagnani [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In memoria di Fr. De Sanctis, Na- poli, Morano, XVII Bertrando Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta dell'Emilia (Monitore di Bologna). Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e Garagnani, 1884. - [Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, Opu- scolo. Spagnolismi e francesismi. Note di Ange i Antonio Meschia maestro elementare in Zangarona Albanese, Bologna, Monti. Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof. Camillo De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Bologna nell'anno scolastico 1886-87, Bologna, Monti. [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi, Estratto dal giornale L'Università, Bologna, Società Tip. già Compositori, (pp. 12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione Emiliana, N. Primo; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri  [La pagina d'album e la polemica furono ripro- dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso di storia della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, . [Uscì pure in un opuscolo, estratto dall'Università, Bologna, Azzo- guidi]. Lettere di M. a Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901, per nozze Salza-Rolando [Tre lettere ed un telegramma di M. sono state pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione ampliata con pref. di G. CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la dedicatoria dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI, Modena, Soc. tip. Modenese, 1911, pp. 11-12. Altre lettere del De Meis sono state pubblicate dal CROCE nel volume Silvio Spaventa - - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898; e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica, ed una in FRANCESCO De SANCTIS, Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, Napoli, Ricciardi, Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente pubblicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). La religione cristiana è già distrutta nel mondo civile latino. Vive solo nell'ancor barbaro mondo germanico. La riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannaturale non illude più. All'epica religiosa del medio evo, ed all'epica giocosa del risorgimento, parodia generica del -- Questo pensiero risulta dalle pagine del Dopo la laurea, pur senza  esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce le apparenti contraddizioni notate  dal GENTILE, La filosofia in Italia,  Le idee estetiche e religiose -- soprannaturale nel principio, poi caricatura smaccata e cinica  della religione, succede la drammatica senza soprannaturale.  Nel XVI secolo la distruzione è compiuta in Italia; in  Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione  era incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi  attecchì nel secolo XVII il giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la Francia, divenuta centro di  coltura, fu anche centro di incredulità. Il secolo XVIII è il  secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla tragedia del  Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreligione, ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e  naturale, succede la lirica moderna, che non lascia alcun  margine fra sé e l'assoluta riflessione, e giunge all'ultimo  limite della poesia. Anche in Germania, in parte  per riflessione spontanea e in parte per influenza del ri-  sorgimento italiano divenuto sud-europeo, si è iniziato il  risorgimento, che differisce dal latino in quanto non è la  semplice rappresentazione del naturale, ma la negazione del  soprannaturale, rappresentata e sviluppata nelle sue conse-  guenze. Secondo il De Meis, i due risorgimenti, il latino e  il germanico, che già nel sec. XVII reagivano l'uno sul-  l'altro, nel XIX si fondono in un solo risorgimento, un solo  mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione, divenuta  indifferente, è appunto per questo perfettamente tollerata.  E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa  spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una  sola Europa giuridica e politica.   Il secolo XIX durerà finché duri l'uomo. S'inizia nel  secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo fin  da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se-  guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la  opera del risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con-     [Dopo la laurea, [Le idee estetiche e religiose.  verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del pen-  siero del suo pensiero, Il vangelo di Gesù è quello del  cuore, il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il Di-  scorso del metodo è il vangelo dello spirito. Tu es Petrus :  il cogito cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera Chiesa  cattolica, un edifizio che avrà le proporzioni dell'universo  ed accoglierà tutto il genere umano, destinato a formare un  solo ovile sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo Cartesio, il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate moderno,  che leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello  spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa scaturire la vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose dello  spirito un pregio infinito. Vero è che questo infinito, questo  divino, questo assoluto e universale non è che individuale.  Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone — leggi  Fichte — , che con profonda intuizione vede come l'universale e il particolare di Socrate si compenetrino in una sola  unità. E dopo Platone viene Aristotele, viene Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non  durerà solo diciotto secoli, come quello dell'antico Aristo-  tele, ma diciottomila, o meglio finché duri questo attuale  genere umano. Giorgio Hegel, ponendosi nella posizione di  Cartesio, rifa per intero il processo della conoscenza e trova  il processo della creazione.   Questo grande movimento, che si compie nel nord, si  era iniziato nel sud; ma il sangue del Bruno era stato ver-  sato invano ed il Vico non era stato compreso da nessuno,    Pel giudizio di M. circa il sistema cartesiano, v. qui addietro,  ; e cfr. Cfr. qui addietro, V. Dopo la laurea,   Le idee estetiche e religiose. un po' per colpa del papato e molto più pel carattere delle  loro creazioni, che erano intuizioni isolate del genio, più  che momenti di uno sviluppo storico ordinato e necessario.  La storia del pensiero moderno è una storia tutta settentrio-  nale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel mondo  latino non giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della  grande filosofia. Cartesio, il padre della filosofia moderna,  non procede dal Bruno, non è inteso dal Vico, né dal Gio-  berti finché egli non si fu « spapificato » ; Spinoza fa rab-  brividire l'Italia e la Francia. Il De Meis riteneva che a  Napoli si fosse sempre conservato, in mezzo al risorgimento,  un fil di tradizione del Bruno e del Vico: la quale, così  guasta e superficiale come era diventata nelle mani degli  avvocati, pure era stata bastante a farne un paese a parte;  ma credeva che i germi gettati dal pensiero italiano avessero  germogliato in Germania. Spaventa si era molto  preoccupato del problema della filosofia nazionale. E M. accoglieva in questo proposito l'opinione del suo Ber-  trando, da lui ritenuto il primo filosofo vivente dell'Italia,  e forse di tutta l'Europa, « la Germania inclusive »  Ora  che la storia del pensiero filosofico moderno sia concen-  trata tutta esclusivamente nella sola Germania — conce-  dendo soltanto un posto al cogito cartesiano — è una opi-  nione che lo Spaventa, e a traverso Spaventa M.,  accettano dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro  che hanno fede assoluta di essere nel vero, il nostro Autore  rassomiglia anche in questo, che il valore di ogni singolo  filosofo è per lui in ragione diretta della distanza che lo    V. SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con  la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, e Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore biblio-  grafico di Daelli, Torino,  V. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.   separa dalla sua propria concezione. Caratteristici in questo  proposito i giudizi circa il Rosmini e la evoluzione del  pensiero giobertiano. Dopo Hegel, secondo il De Meis, religione e poesia  cedono in Germania il posto alla teologia e all'estetica. Nel  mondo latino la tradizione cartesiana si è dispersa; è rimasto  padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e negativo.  Ma l'uomo non può vivere senza un Dio, e il tempo mo-  derno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cri-  stiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale e sim-  bolico, e moltiplica gli sforzi per creare una nuova reli-  gione. Sforzi vani, che la religione cristiana, religione di  Dio, del vero spirito, della sua trinità, della sua umanizza-  zione, è l'ultima di tutte le religioni, e solo potrà trasfor-  marsi e purificarsi.   Mentre questi vani sforzi si compiono nella Germania  volgare — non in quella pensante — , nel sud, dove un ele-  mento pensante manca, la parte più elevata, non però pen-  sante e moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è  un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato che  da un debole raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e  pseudo-poetico; si apre col Concordato e col Genio del Cristianesimo, parti infelici della riflessione travestita da immaginazione. La riflessione, non avendo piena coscienza di  sé come nel mondo germanico, coesiste nel mondo latino a  fianco alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al  romanzo, genere ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione,  tra la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il romanzo,  genere equivoco, compare per la prima volta nel principio  del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel nostro se-   Dopo la laurea, [Dopo la laurea, Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose. e rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco,  tra la poesia e la prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero;  si sviluppa in Inghilterra, paese equivoco, tra latino e germanico, e raggiunge la sua perfezione in Italia, paese equivoco anch'esso, mezzo liberale e poetico e mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a cui  somiglia, equivoco: Manzoni.   Si osservi che M., una volta stabilito che il  romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci tutti  gli individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fio-  risce, prendendo — si noti — la parola equivoco nella acce-  zione di misto e complesso, sì che ad ogni popolo e ad ogni  individuo potrebbe indifferentemente applicarsi.   Dopo lo Scott e il Manzoni, il romanzo va perdendo il  carattere epico, e diventa sempre più storico, riflessivo e  prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché in Kock e  Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la poesia.   Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta co-  mincia antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la riforma,  uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il  deismo, uno scetticismo più progredito; infine l'ateismo, uno  scetticismo assoluto, la pessima delle filosofie. « E non è  finita ancora la triplice serie, osserva M., fedele  sempre alle sue triadi. La Germania è per tre quarti prote-  stante; la Francia è prevalentemente deista, e in parte atea;  l'Italia ha una ventina di milioni di analfabeti, tutti papo-  temporali ; i semi-analfabeti sono in gran parte demagoghi.   Il risorgimento produce quella filosofia che è la bestia  nera di M., la filosofia positiva. Era la filosofia che gli  aveva preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hege-  liana, un caro amico — rimasto tale malgrado la irreconci-    Dopo la laurea,  Le idee estetiche e religiose.   liabile opposizione delle opinioni filosofiche. Villari, al quale così frequenti e amichevoli frecciate sono  dirette nel Dopo la laurea; era la filosofia che accoglieva  la teoria dell'evoluzione del Darwin; era la filosofia opposta  alla hegeliana nel principio, nella essenza, nel metodo. Mai  M. si lascia sfuggire una occasione di combatterla :  trova che la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la natura delle cose; ma la filosofia nuova, la filosofia positiva o  iperscettica, non ne fa neppur materia di dubbio o di discus-  sione, ed è una filosofia dell'apparenza, cioè una filosofia  antifilosofica. Il risorgimento iperscettico non può trovare  la verità, perchè ha l'occhio sempre rivolto alla natura esterna,  e non mai alla natura interna, al pensiero dell'uomo, che è  la verità stessa. Secondo il De Meis, la filosofia sedicente  positiva è di fatto negativa, poiché nega il negabile, la cono-  scenza dell'essenziale, e non pone che la conoscenza dell'apparente, del reale e dell'accidentale, che nessuno ha mai  pensato a negare.   Questa pseudo filosofia si sviluppa come la vera. Il primo  atto è il principio; la scena è in Italia: TELESIO scopre l'ap-  parenza come principio. Il secondo atto è il metodo ; la scena  è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-  baconiano, ovvero induttivo sperimentale, ha due parti: la  descrizione e la legge dei fenomeni. Il terzo atto è il sistema,  che ha pure due parti : la classificazione e la filiazione dei  fenomeni.   La filosofia positiva è una terza corrente, che si caccia  fra la corrente poetica e la filosofica, ed è il sangue della  [Dopo la laurea, passim; cfr.  VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico  di Milano; e SPAVENTA, Scritti filosofici, nota, per quanto si riferisce alle critiche mosse a questa pubblicazione dal WYROUBOFF, dal MAIANI, dal FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose] filosofia; l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'in-  duzione baconiana il polmone sanguificatore ; la legge posi-  tiva il torrente della circolazione; ed essa, la filosofia, è il  cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e pensiero  speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non  avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la  natura divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Al-  lora questa terza corrente, tutta e sempre prosaica, sarà dive-  nuta un mare, ed avrà confuse le sue acque col mare della  religione, della poesia e della filosofia.   La terza parte del gran dramma della filosofia cristiana  è il tempo nuovo. Dopo la riflessione negativa del risorgi-  mento, la filosofia moderna, come ogni filosofia, muove alla  ricerca di un principio. Il nuovo Talete è Bruno ; il  nuovo Pitagora è il Leibnitz. Per passare dal naturalismo dina-  mico del Bruno e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dal-  l'atomismo ideale leibnitziano, dal principio naturale al prin-  cipio umano, occorreva un nuovo Anassagora, e venne Car-  tesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del mondo,  nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più em-  brione ('). Il secondo atto della filosofia moderna si volge  al metodo. Nel perfezionare il metodo antico, l'antica dia-  lettica, proporzionatamente alla più perfetta natura del prin-  cipio moderno, e nell' esplorare più completamente il prin-  cipio, consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX,  che termina poco dopo la fine del secolo XVIII. L'atto terzo  è il sistema, è il principio di Cartesio e dello Spinoza, del  Kant e dello Schelling, corretto e metodicamente sviluppato.  Ed è nella sua essenza, se non nella sua esecuzione, il si-  stema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai es-  sere in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità  dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti   [Cfr. qui addietro,  Le idee estetiche e religiose.   i principi a traverso ai quali la riflessione greca è passata  non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. « E  uno è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un  punto nel quale il principio contiene in se il tutto % e il metodo  si confonde col processo evolutivo del principio, e il sistema  è il tutto spiegato; quando la filosofìa giunge a comprendere  il creante e il creato in un attivo processo di creazione,  non ha più dove andare, a meno che non voglia indietreggiare,  come fece la Grecia dopo Aristotele, o uscir dell'universo. E  se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna che si  contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo  Aristotele, perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il  perfezionamento essenziale, il solo di cui fosse capace : di og-  gettivo è diventato soggettivo, di totalità immobile vivo pro-  cesso di cognizione e di creazione. Vivo di riflessione filoso-  fica, non d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia, è  sempre un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima  umana. L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha fatta, quan-  do della realtà vivente, ossia di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero filosofico, allora l'azione si  arresta, e con l'azione è finita la vita. Quando Aristotele ha  creato un grande sistema, perfetto e compiuto per l'antichità,  lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per secoli ;  e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a fan-  tasticare. Quando la Germania ha creato il vero sistema  del mondo, e recata la religione cristiana nella forma di un  cristianesimo assoluto, allora la vita si congela nell'astrazione, e lo spirito germanico rimane assiderato. Ma presto  si scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione hegeliana,  trova il risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento ne-  gativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce mostri  filosofici ed aborti strani ; col secondo la medicina naturali- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] stica e la storia naturale materiale. Ma la Germania mate-  rialistica e naturalistica è più morta della Germania hegeliana. Come la pura riflessione, così la pura contemplazione  è la morte. La vita è pensiero apparente, è unità di rifles-  sione e di contemplazione, di metafìsica e di filosofìa posi-  tiva, di poesia e di filosofìa.   La storia universale è una sequela di creazioni, identiche  fra loro quanto al ritmo e alla legge, sempre più pure e  perfette quanto al contenuto, che comincia dalla pura forma  dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo. Ogni  creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive  di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a  cui dà origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa,  senza distruggerla. Così dalla natura nasce il regno vegetale,  da questo l'animale, dall'animale l'uomo finito e particolare,  e da questo l'uomo universale. Tutto questo è il regno umano  inferiore, e tutto si spiega nella forma dello spazio, e coe-  siste come nella natura. L'uomo di sopra, il regno umano  universale, ha esso pure la sua storia, ed è una serie di  sfere, che l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la reli-  gione, poi lo spirito, che universalizza la natura, e dà valore  assoluto e infinito al particolare e al finito.   Tlàvta qsI . Eterna è solo l'idea ed immortale è soltanto  la natura. Come la natura, così l'uomo, lo spirito umano,  natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. « Sono  due nature diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge partico-  lare e propria, ma in fondo è una natura sola, ed una sola  legge naturale » ('). Le forme e gli elementi naturali ed  umani sono del pari indistruttibili, e la legge comune della  loro attività è immutabile: nascere, crescere, decadere e  perire è destino comune agli uomini, agli animali, alle piante  Dopo la laurea, I tipi  animali, Le idee estetiche e religiose.   e ai sistemi planetari. Ma gli elementi della natura sono  l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non si  compenetrano ; quelli dello spirito sono compenetrati ed intimamente unificati, ne mai si scompagnano nella realtà, variando solo quanto alla proporzione. E il prodotto piglia forma  e natura dall'elemento preponderante e più attivo. La natura  è come una scala a piuoli ; lo spirito come una scala a corda,  che raggiunta la meta si raggruppa in se stessa. Nell'uomo-cosmos gli elementi spirituali erano tutti in  uno stato di assoluta quiete e di completa indifferenza : solo  il genio, l'immaginazione era attiva da principio; poi entrò  in attività il senso. Anche la natura, poiché si muove, deve  avere il senso naturale, nella forma inferiore di senso chimico  ed in quella superiore di senso meccanico. Poi l'uomo di  sistema solare si fece pianta; nella pianta l'unico elemento  spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è il senso  meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui  l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è  il movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco comin-  ciano ad entrare in azione gli altri elementi umani : immaginazione, sensazione, memoria, e ristretta in una sfera tutta  animale una piccola induzione, e per poco la famiglia umana,  e talvolta la società umana in forma animale. Finalmente  nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e con  questa gli elementi spirituali superiori, la poesia, la religione;  manca la riflessione della riflessione, la scienza; predomina  il senso (vegetale, animale ed umano). Questo è lo stato  naturale di cui parla il Rousseau. Nel secondo tempo l'atti-  vità passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze fra  gli uomini. Queste si vanno poi via via accentuando per opera  della riflessione, che si è andata rinvigorendo alle spese del  sentimento e dell'immaginazione. Ma contemporaneamente a  questo processo di divisione e di analisi, si compie nella  storia un lavoro di unificazione e di sintesi. La grande ragione  avviluppa la piccola, poiché è sempre la facoltà superiore che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà inferiore,  da cui riceve in contraccambio la vita. Questa seconda co-  scienza non è un trovato della odierna metafisica, che anche  Aristotele parlava di due vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro  patetico o passivo ; e nel secolo XVI qualcuno fu arso vivo  per aver parlato di quel secondo spirito. La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una molti-  tudine di individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito  si compone di una successione di grandi unità. Il primo  stato embrionale del genere umano è la natura (M.,  hegeliano e medico, prende spesso come termine di con-  fronto l'organismo umano); la vita fetale è il vegetabile e  l'animale; terza muda è quella dell'uomo positivo, l'infante  del genere umano. Egli con la sua piccola positiva riflessione  vede intorno a se un mondo finito, e si fa un Dio finito e posi-  tivo; non soddisfatto di questo breve corso mortale, senza  scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in essa,  ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma  a poco a poco in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi  dalla prima nasce una seconda coscienza, e l'uomo intui-  tivo diventa — quarta muda — l'uomo riflessivo e intellet-  tuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la coscienza  finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni umane  il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella loro  distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvo-  cato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore le  due coscienze si unificano, ed il poeta ed il prete rimangono  assolutamente identificati nel pensatore, perchè una volta svi-  luppata la coscienza intellettiva l'uomo non può più deporla  per ritornare uomo positivo ovvero semi-uomo, così come  non poteva deporre la coscienza positiva e tornar ad essere   [ Dopo la laurea,  Del Vecchio-Veneziani - animale. E la poesia si trasforma in estetica; la religione  in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è più al mondo,  perchè essa non è una combinazione di fantasia che afferra  e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una  sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che  inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima  di un solo uomo, spettatore più che autore della sua propria  trasformazione ».   È un fatto di ragione che la vita umana comincia con  l'assoluta barbarie, col puro senso materiale e col semplice  istinto naturale; e termina nella riflessione intellettuale, che  è la vera vita e l'assoluta e definitiva civiltà. È un fatto di  osservazione e di ragione che si va dall'una all'altra passando  per la forma intermedia della immaginazione. La religione  e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie civile  ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e  barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva  e civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma  intermedia. Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un  elemento di questa; è epico- religiosa nell'antichità, raggiunge  la perfezione nel risorgimento, e decade nel secolo XIX,  nel greco-romano come nel latino-germanico, per eccesso di  riflessione. Analogo arco descrive la lirica, che sviluppa un  elemento della drammatica, e, finita come poesia, durerà  come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia finché  duri il genere umano.   La poesia sensibile ed oggettiva è la barbarie dello spi-  rito umano, la filosofia intellettuale e soggettiva è la sua ci-  viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la forma inter-  media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e sog-  gettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile  dello spirito umano. La religione più barbara, più naturale,  più oggettiva e più epica è la religione indiana; la più civile,  più umana, più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la religione epica orientale e la religione lirica occidentale,  la religione passa per una stazione intermedia, la Grecia, e  vi prende una forma intermedia, la forma drammatica. Nella  religione indiana troviamo tutti gli elementi e tutti i carat-  teri di un sistema religioso completamente sviluppato; il  politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale  risorge nel tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio  evo, pone gli elementi essenziali della religione, che sono  quelli stessi del pensiero, nella vera forma religiosa; l'anti-  chità moderna, ossia il risorgimento, spezza questa forma;  il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella forma  di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio evo  è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico;  la Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente dramma-  tica; il tempo moderno è tutto umano e tutto divino ed è  tutto lirico e riflessivo. E del tempo moderno il medio evo  è religioso ed epico; ma è un'epica lirica, ispirata dalla  grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il risorgimento  è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel mera-  viglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia. Il  secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il prin-  cipio è epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia  storica e finisce cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene  una lirica tutta stravolta per voler essere ultra-poetica. Ormai  la riflessione ha superata l'immaginazione; il sentimento e  la fantasia sono stati oltrepassati e ravviluppati dentro al  pensiero; quindi quella del nostro tempo deve essere una  poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il prodotto  di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica e  religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 se-  colo XIX, cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaico-  filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano. La  poesia non è morta; ha subita una metempsicosi, uscendo dalla forma di immaginazione per entrare in quella di filo-  sofìa, e in quella vive ed eternamente vivrà.   La forma e l'elemento della poesia e della religione è,  come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il risorgimento  ha distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che prima  era in germe, assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge  la musica f 1 ), forma di poesia della quale il sentimento è solo  elemento e sola sostanza, e il tempo V unica forma. La  musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la prima. Le arti  plastiche usano una materia più naturale, meno ideale, deb-  bono sostenere con questa una lotta più lunga, e giungono più  tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la pitiura.   Certo la musica è nata, come tutto il resto, con l'uomo;  ma nel medio evo antico è un esercizio secondario, subor-  dinato alla poesia e alla religione ; nel risorgimento sofistico  è bensì un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore alla scul-  tura e alla pittura ; nel medio evo moderno la musica è epico-  religiosa, e rimane subordinata alla religione. Solo nel risor-  gimento moderno la musica si sviluppa, mentre le arti pla-  stiche decadono: dapprima, nel risorgimento drammatico,  la musica non è che un compimento e un aiuto del dramma ;  acquista un proprio assoluto valore solo nel risorgimento li-  rico, che è il tempo della negazione del pensiero, ossia dell'essenziale, e quindi è il tempo del nulla. Questo vuoto  sentimento si traduce in un vuoto suono, che diviene arte  e poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è un'arte  oltre-lirica, è l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del risorgi-  mento, ed è quello che meglio ne scopre il carattere, poiché  il fine è il grande rivelatore. Ma il nulla al quale il risor-  gimento mette capo, se in apparenza è la fine, in realtà è  il principio, quello stesso dal quale in origine usciva l’universo. Da quel punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico-     [Dopo la laurea] mincia da capo, tutto intero, in seno alla filosofìa. Questa  nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo XIX, che  ha per necessaria preparazione il risorgimento progressiva-  mente negativo e per divisa: negazione di negazione. Il se-  colo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della musica  quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la dissolve  a poco a poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia  di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla me-  lodia e sempre più all'armonia, e la riduce ad essere una  scienza musicale. Questo è già avvenuto in Germania, dove  allato al risorgimento scorre il tempo moderno; nell'Europa  italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico, e tocca  ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la musica  si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero positivo  comincia a sopraffare e ad assorbire il sentimento e l'imma-  ginazione.   Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno della  morte, la fede che spunta dalla negazione. Non il tempo  moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima ro-  mana, mentre il dramma del risorgimento si era combattuto  nell'anima greca, ma il vero tempo moderno che è la continuazione e l'adempimento del risor-  gimento cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma-  nità, che è un aspetto del sentimento della natura, prenderà  la sua vera forma in una nuova poesia, nella quale la lirica,  la drammatica e l'epica saranno ricomposte in una unità  assoluta e definitiva.   L'unificazione non è però avvenuta ancora nel campo  della poesia, né in quello della religione e della filosofia.  La poesia primitiva o naturale, invariabile come la natura,  sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia medio-  evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote.  Così è delle forme religiose. Analogamente delle forme filosofiche : esiste presso il popolo apostolico primitivo la  filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la filosofia medioevale, la scolastica, e la filosofia del risorgimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente scet-  tiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo  oggi la massima complicazione di indirizzi e di forme ; non  è però difficile distinguere le diverse funzioni storiche in  atto, né prevedere un continuo avvicinarsi ad una assoluta  unità.   A questa teoria di M. si mossero da Silvio Spaventa  e da altri obbiezioni, che possono ridursi sostanzialmente  a questa : Come può lo spirito umano perdere due delle sue  funzioni essenziali, l'arte e la religione ? M. risponde  che Spaventa ha ragione se, basandosi sulla filosofia  kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto a  fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al  concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e  vita; ma ha torto se crede che la intuizione da accompa-  gnare all'ideale debba essere sempre fantastica e falsa. Nel  principio l'intuizione religiosa e l'intuizione estetica è creata  dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta perchè non è la vera,  non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto concetto; e di  qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti relati-  vamente perfetti — se son davvero capolavori — , perchè  l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con  una intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie  di religioni tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè  l'ideale religioso è infinito, e la fantasia non sa creare che  delle immagini finite. Ma le due serie hanno una legge, perchè [Dopo la laurea, e cfr. Poesia ed arte, Lettera di  G. FRANCESCHI a M., nella Rivista bolognese. Franceschi dice che M., togliendo all'uomo la religione e la  poesia, lo abbassa all'abbaco e al pane ; egli non comprende che M.  intende anzi di innalzarlo alla sua filosofia religioso-poetica.     Le idee estetiche e religiose. hanno un termine : e il loro termine non può essere che la  vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte  ed all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato  una serie di forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra,  e sempre meno rispondenti alle condizioni assolute dell'arte;  e sono sempre meno naturali e spontanee, meno epiche e  fantastiche, sempre più spirituali, liriche, filosofiche e reali;  e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e bella, e più  trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una serie  regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario  ascendente e progressiva. Ogni forma religiosa è meno fan-  tastica, più razionale, più reale della precedente. Per cui  l'ultima, la cristiana, è assolutamente vera e perfetta; in  essa al mondo della ragione corrisponde un mondo fanta-  stico quanto esser può più adeguato e spirituale : il cristia-  nesimo non ha altro difetto che quello di essere una reli-  gione. La religione cristiana si va sempre più perfezionando;  e il suo perfezionamento consiste nell'essere sempre più  storia, più realtà, più verità, e sempre meno religione. E  così per contrarie vie, l'una scendendo e l'altra montando,  la religione e l'arte corrono al loro fine, al vero. Il vero  è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e del-  l'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e  non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somi-  gliante al concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'asso-  luta e reale intuizione. Allora la natura è concepita come  un solo essere vivente, indipendente, assoluto; e ciascuna  sua parte è intuita come membro dell'intero, ed assoluta  essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno una sola. La  intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla sua  idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera,  perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che  di infinito con infinito. Ma la intuizione religiosa si va  sempre più allontanando dalla forma naturale, e si fa sempre  più veriforme fino a diventar vera ; il che avviene quando  l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto e  intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione fi-  nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e  trasfigurare. Le funzioni inferiori dello spirito, come la mo-  rale, il diritto, lo Stato, conservano una esistenza separata,  perchè partecipano ancora della qualità della natura; ma la  religione e l'arte hanno per oggetto il vero; sono i gradi e  le forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero ac-  quista una esistenza distinta, esse la perdono e rimangono  unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la reli-  gione è per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per  trasformarsi in certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte  si trasforma nella vera cognizione naturale ; la religione nella  vera cognizione spirituale. In questa trasformazione consiste  la storia; il suo compimento è il fine della civiltà ed il limite  del progresso umano, che è temporalmente indefinito, ma  idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e sparisce  nell'idea.   Così termina la parabola religioso-poetica, della quale  il primitivo oriente è il ramo ascendente; l'antichità pagana,  tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che discende è  l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno progressi-  vamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad essere,  oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno  cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte e  trova il vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in  se l'umano; cerca il sovrannaturale e trova il naturale. Il  nuovo uomo crede e pensa; e pensando ricrea l'universo, dal  suo pensiero una prima volta creato. Questo nuovo universo  è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il concetto ; ed il  concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è bello  e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capolavoro, di cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende  il magistero; è un tempio, di cui il pensiero umano è il nume    [ Le idee estetiche e religiose. ] e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica ciò  ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa  creazione con azioni generose ed alti pensieri. « Ed è così  che egli è più che mai non sia stato religioso e poeta,  quando non è più che scienziato e libero pensatore ». L'uomo  parte dalla tenebrosa unità della natura e del senso, e, a  traverso la piccola riflessione e la grande immaginazione,  giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva, av-  vivata dalla fede religiosa e poetica, che sole restano della  religione e della poesia.   Naturalmente gli argomenti logici addotti dal M. a sostenere la sua tesi della « metempsicosi » della religione  e dell'arte nella filosofia hegeliana sono validi solo se si  ammette l'esistenza di un concetto assoluto, universale, defi-  nitivamente vero, al quale le intuizioni estetiche e le reli-  giose possano gradatamente adeguarsi; solo, in una parola,  se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio di  storia del genere umano tracciato per convalidare queste  argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non  la storia conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione,  se pur non modifica la storia, certo la coglie nei momenti  e negli aspetti a lei giovevoli, sorvolando sugli altri. E le  molte e molte pagine che l'Autore consacra alla dimostra-  zione della sua tesi riescono invece a dimostrare questo : che  egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua conce-  zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la  sua poesia.   M. è certo che le tre grandi correnti umane, — la  contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la  riflessi vo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide  in altre due : la filosofica positiva o filosofia della sostanza e  Tanti filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, nega-  tivo-positiva, pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza — ,  dopo aver proceduto isolate fino al secolo XIX, suddividendosi in altre molte correnti o scienze pseudo-positive,  accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e del  pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità  del pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che  le due filosofie astratte si fondano in una sola filosofia con-  creta; bisogna che la corrente religioso-poetica mescoli le  sue acque con la corrente unificata della filosofia. La cor-  rente filosofica, scaturita dalla religione e dalla poesia, tor-  bida in principio, si allarga, si purifica, diviene trasparente  sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a poco,  invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione  e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la  filosofia sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della  natura : un pensiero pieno d'amore vivificherà una natura  piena di fantasia, l'amerà come natura umana, e l'adorerà  come natura divina.   Qui alcuno potrebbe chiedersi : in questa identificazione  della filosofia con la vita, non subirà la filosofia stessa un  assorbimento analogo a quello subito dall'arte e dalla reli-  gione ? La forma superiore non sarà la vita e l'azione ? Ma M. non distingue dalla vita quella sua filosofia del-  l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come tale  unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena  cominciata, e perchè avviene nella profondità del pensiero,  al di sotto della coscienza. Sono cose tanto lontane —  dic'egli — e c'è di mezzo una tal nebbia di tempo avve-  nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna contentarsi  di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa  generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che  le cose passeranno così in generale ; e che tutto anderà a  terminare nella fusione di tutte le forze, di tutte le cono-  scenze, e di tutte le realtà, in una sola vita umana. La  sua filosofia sarebbe forse un atto di fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo,  un sistema animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi  quattro sistemi umani è attivo e si muove; ed ha, come natu-  rale, la causa del suo movimento fuori di se, nella natura.  La natura della causa esterna che move è corrispondente e  proporzionata alla natura della sfera interna che è mossa;  mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è  sempre la seconda che move se stessa con la prima natura.  Ma se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione-  vole cattiva natura interviene, e rompe la legge, e viola la  ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità  della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la  proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e  si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita si  comunica alle altre, ed è una successione e una complica-  zione di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro  morbi umani essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani-  mali, gli umani o mentali. La patologia preistorica dice che  di questi quattro morbi il primo è stato il morbo vegetativo.  L'uomo primitivo, uscito sano, valido ed innocente dalle mani  del Creatore, rimane sano, finché rimane innocente; non  ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ; non  è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma-  tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace  di colpa; egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura:  felice colpa, perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare.  Di là dalla natura l'uomo trova se stesso : trova la sua libertà  e la sua propria natura, e fa della necessità animale, istintiva ed involontaria, una necessità umana, spirituale e volon-  taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non è più  la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è  l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa  libero ; e liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua  propria natura. Ma bentosto egli oltrepassa questo se stesso,  supera questa sua natura, e diviene di nuovo colpevole, e  si rifa sempre di nuovo innocente, finché non abbia raggiunto  tutto se stesso e la sua vera natura spirituale, e non sia com-  piuto il fato umano. Così V uomo naturale diventa in prin-  cipio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La  civiltà ha certamente i suoi morbi; e sopratutto nel mo-  mento del passaggio e della colpa il morbo si impadronisce  dell'uomo, e cresce e si moltiplica ed imperversa. Allora  l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si corrompe. E il  morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più cru-  deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vege-  tativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i morbi  riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le  cause naturali, ma operano anche per proprio conto, gene-  rano per diretta azione le malattie nervose e le psichiche.  D'altra parte, nelle nature più elette, invece di una corru-  zione sensuale, nasce un principio di fermentazione intellet-  tuale, che dà origine alle malattie dello spirito. Ma tutto  questo avviene con una certa legge. Tre grandi civiltà si  succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza  divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par-  ticolare natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie  e particolari malattie. La civiltà naturale quando è nel suo  primo fiore e nella sua perfezione originaria è senza morbi,  altro che accidentali e meccanici ; ma la sua corruzione porta  seco le cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici e  morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno origine  a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi nutri-  tivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il  paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la  sua corruzione porta seco le cause umane, sensuali, passio-  nali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai morbi animali:  ai nervosi prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina —  la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza morbi ;  essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la gua-  rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale  di tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno  della umana natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica  e tutta entusiasmo e religioso sentimento, essa reca le cause  mistiche, che danno origine alle malattie psichiche mistiche e  religiose. La corruzione cristiana riproduce la corruzione  pagana, e con le cause passionali rinnova le antiche malattie.  Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo cristia-  nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le cause  spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima  civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa-  rirà il male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi,  come era in principio l'uomo animale. Tale è il primo e più  generale risultato, la prima legge della patologia storica :  l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha quattro qua-  lità di morbi, che sono le categorie primarie della patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro  senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la  oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo  o negativo, stenico ovvero astenico. Sono queste le cate-  gorie secondarie della patologia. La categoria primaria, la  natura e la qualità fisiologica del morbo, è l'essenziale, e  mai non manca, né può mancare ; invece la categoria secon-  daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e manca  infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-  lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche  la quantità innormale può mancare del tutto, perchè è supplita dalla quantità normale ; nelle grandi applicazioni sto-  riche la categoria secondaria trasparisce sempre dentro alla  categoria primaria. Le categorie primarie e secondarie ci danno la pianta  della patologia storica; non l'edilìzio con tutte le sue parti.  Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i quattro  grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli : apparecchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene-  rali non esistono veramente che nelle anime elementari o  cellulari. I fatti sono complessi organici e naturali di categorie, le più generali chiuse nelle più particolari, e queste  ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A  forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie  e si consolida l'astrazione. La patologia storica congegnata da M. è veramente  originale; e sebbene, volendo dedurre da pochi principi  e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia tal-  volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia-  lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi  alle varie forme della civiltà umana. Ancora il terzo periodo — La filosofia della natura. La creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria  darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi.  L'accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. M. non poteva limitare la sua speculazione entro  l'ambito della jatronlosofìa : dalla sua stessa concezione di   [Delle prime linee della patologia storica, Prelezione, Bologna,  Monti. Della sua patologia storica l'A. scrive (Delle prime linee della patologia storica): « ...Sarà vera o falsa, buona o cattiva...; ma sarei  curioso, e ben vorrei vedere chi di questa bazzecola, come d'ogni altra mia  piccola cosa infino a una menoma parola, sarebbe capace di reclamare la  priorità ». - Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che lo schema generale di  questa sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento nel successivo corso di  lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in  Italia. Per gli argomenti trattati in questo  paragrafo, si vedano: / naturalisti, La natura a volo d'uccello: Forza] questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e dall'influenza  dell'ambiente intellettuale nel quale era stato educato, egli  doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una  filosofìa della natura.   Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è pensiero,  e non vede chiaro il significato di questa identità e non ne  deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le  fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse  e cozzanti fra loro, non può innalzare un edifizio solido e  fermo. E la sua filosofìa della natura è infatti un castello in  aria, sebbene edificato con ingegnosità, pazienza e tenacia  ammirevoli. Sono pagine che succedono a pagine, volumi  che succedono a volumi, e rivelano una profonda conoscenza  dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali, dai  tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geo-  logia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e compa-  rata, fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e conquiste  scientifiche messe in relazione con sistemi filosofici e con  periodi storici ; sono analisi di animali e di vegetali, di specie,  di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di organi, di  funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere spiegato  dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione si  risentono le conseguenze della incertezza fondamentale. M. afferma che creare è diventare, è spiegare successivamente le forme di cui si ha il germe nel proprio essere. Il pensiero originario compie la propria creazione, e  di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto. Ma poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e  e materia, Un nuovo corpo semplice, I tipi vegetali,  Deus creavit,  I tipi animali, Filosofia e non filosofia, Darwin e la scienza moderna,  ecc.  Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese] la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad am-  mettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà,  perchè il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio.  Non resta dunque fedele alla concezione idealistica, secondo  la quale la natura è un momento del pensiero, che si risolve  interamente nel pensiero stesso, e senza la quale lo sviluppo  del pensiero non sarebbe né completo, né possibile.   Egli distingue nella natura due gradi e due modi di  creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale,  individuale anch' essa. La prima creazione è quella che  F idea dell' uomo fa dell' individuo umano; ma 1' idea del-  l'uomo è naturale, e le idee naturali restano latenti finché  l'idea divina, prima causa di sé e della natura, le renda  attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione. Quando  l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella  natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto  al suo principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea  spirituale. Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci-  dente, cioè come individuo. Quindi, come nella natura, così  nello spirito accade una doppia creazione : quella dello spi-  rito individuale e quella dello spirito universale. Il primo  ripercorre le forme storiche passate dell'umanità sino all'at-  tuale, l'altro crea le nuove e più perfette forme storiche.  La storia della natura umana, quella della natura vivente e  quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno  stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea-  zioni : una divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale,  ma temporale e finita, universale e particolare insieme; la  terza materiale, individuale, accidentale.   Dio si realizza nel mondo, e il mondo nell'individuo;  quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo fa  nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma  più semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme  opposte, il vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una   Del Vecchio-Veneziani - Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   forma completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina  passano eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi; e così  pure le forme dell'idea naturale; ma nella materia una forma  esclude l'altra, e però nell'individuo sensibile, pur rimanendo  tutte idealmente, spariscono via via sensibilmente. Come un  mammifero passa per le forme animali inferiori e le proto-  vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così l'in-  dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre  forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra-  gionatore, e finalmente pensatore: medio evo, risorgimento,  tempo nuovo. L'uomo ordinario, nel suo sviluppo, si arresta  alle forme storiche già create; l'uomo di genio crea forme  nuove, opera come spirito universale, traendo da Dio l'im-  pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre ai  più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché,  come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma  vera, già tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari  gradi e le varie forme in cui il tipo divino si squaderna nella  natura.   Questi gradi sono una scala di mezzi e fini, in cui la  forma inferiore è organo e mezzo all'esistenza della supe-  riore. Il ciclo tipico concepisce il moto creativo e produce  il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia la vita;  e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito  umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti inte-  ramente, cominciano a produrre i tipi corrispondenti del ciclo  superiore. E la creazione ideale è creazione sensibile ; la  creazione di una specie è produzione di molti individui in  cui appare la nuova forma. Il concetto precede l'esecuzione,  e la successione effettiva e naturale presuppone la succes-  sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la  natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia  tuttavia assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa-  risce la forma rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe  e domina sempre più la forma, ma la sua vittoria non è mai  completa. L'equilibrio fra la forma e il contenuto si ristabilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita passa  come il tempo; la natura è più tenace.   Altra è la successione di tempo, altra di idea. La suc-  cessione naturale va non da ciclo a ciclo, ma da tipo a  tipo ; e perciò in tutte le epoche della creazione tutti i  tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati.  Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo precedono, indi prende la sua forma propria, e infine arieggia  al tipo che gli deve succedere. Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura,  nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità,  i corpi inorganici crescono per moltiplicazione quantitativa  esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma comune. Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna moltiplicità  diviene interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno spirito naturale, un misto di esteriorità e di interiorità, di appo-  sizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa per  una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una molti-  plicazione interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o del-  l'altra secondo che si tratti di una forma più o meno pros-  sima alla natura. Mai la vita è tanto esterna che non abbia  la sua interiorità ; mai la forma organica è tanto molteplice  che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel vege-  tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo  elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel-  l'animale deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in-  dividuo, semplice e libero al di fuori, è molteplice e tutto  qualificato al di dentro. Le forme superiori [sono la chiave I tipi animali, , Bologna, Monti; Cfr. Lettere sulta patologia storica, I tipi animali] necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori, per se stesse  oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta spiegate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva  semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme  fra le quali corre una particolare e più diretta e più intima  relazione tipica, secondo il vero metodo evolutivo, in cui  l'idea unisce le forme ed organizza le serie, non col metodo  empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie, arti-  ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce il preconcetto dar-  winiano, di una inestricabile confusione.   Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato il  Newton, così M.  lancia in quasi tutte le sue opere  strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il naturalista  inglese è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza, perchè  pone il cieco caso in luogo della ragione vitale. Egli pretende che tutte le forme dell'intera serie animale sieno venute  l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove particolarità  organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella selezione  naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una forma  nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. M. afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la  modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in- [M.dice che la proposizione in cui si compendia la scienza  dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi uomini, il cosmos è il mondo  umano primitivo... non è possibile che alla filosofia della natura: motivo per  cui Newton, il divinissimo astronomo, non la sapeva altrimenti; egli nel  cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva poco, ma non ci vedeva  l'uomo». - Dopo la laurea, li, [I tipi animaci, pel giudizio di M.  circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, Deus  creami, Darwin e la scienza moderna, I tipi animali; Filosofia e non filosofia, Lettera sulla patologia storica] genita, e non prodotta soltanto da agenti esterni; ma egli  non sa comprendere come si possa affermare che tale modifi-  cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra poi,  introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie  di Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è  qualcosa di ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità  più ragionevole, sebbene espressa in modo goffo e materiale,  è quella di Mosè: Deus creavit! — la meno ragionevole è  quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e quella  selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate, hanno  di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano  tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega  le forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme  è la variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere  integrati rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo  uno stesso animale ; la generazione è creazione ; la variabilità  deve essere determinata, perchè nella natura e nella scienza  la potenza sta nella determinazione.   Secondo M. , è vero che l'individuo varia senza  legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo  accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra  la cieca necessità della natura e la conscia assoluta libertà  dello spirito umano. Dio è il grande modincatore, il vero e  solo creatore dei nuovi organi e delle nuove funzioni vitali,  perchè una funzione è un'idea, e per creare un'idea ci vuole  un'idea. Il non essere non può creare l'essere, l'irrazionale  non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente non  può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non potrebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra  loro una differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore  dell'organica, e neppure potrebbero nascere nuove forme,  perchè ogni fonma ha un suo proprio valore assoluto, e si sviluppa secondo il ritmo assoluto del mondo, secondo il disegno  eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa l'unità  delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la scienza ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza  antica, essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due  storie ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra  secondaria, riflesso della prima, sviluppantesi nel seno della  natura e dell'essere vivente; gli altri, i seguaci della scienza  moderna, riflessiva, non riconoscono che la forma e la storia  intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito umano, con-  siderando la storia extramondana come un effetto ottico ope-  rato dalla intuizione.   Vi sono tre maniere diverse di considerare le forme vitali. L'una consiste nel distinguere fra gli elementi comuni  a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si consi-  derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di  un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella  di Linneo, di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne  Edwars, di Owen. V'è una seconda maniera, che si rias-  sume tutta nella frase : una forma è simile ad un'altra perchè  il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è pel  I. il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della  scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con-  siste nel cogliere la forma nel suo movimento, e considerare  i vari tipi come i momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto,  il quale è l'unità, la verità, la ragione, il principio e il ter-  mine di tutte; e questo tipo è il vero animale. È la maniera  concreta, quella di Schelling, di Hegel, di Oken. Dopo di  loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta una  applicazione sistematica e conseguente alle varie forme  animali.   Il De Meis dice che egli intende di fare un tentativo  di questa specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono  idealmente l'una nell'altra; tutte preesistono in una forma  [I  tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura] germinale di cui sono lo sviluppo creativo, interno, spontaneo. La creazione consiste nella determinazione ideale  originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimi-  tazione naturale, ossia accidentale. Una forza interna a un  dato momento, aiutando le condizioni esterne da lei stessa  preparate, trasforma l'embrione in larva e la larva nell'in-  dividuo completo, facendolo attraversare una serie di forme  l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi uni-  versale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla gene-  razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e  generali, quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura  e pur non sono naturali; le desta, le crea, le differenzia, le  delimita; dei puri e semplici momenti della legge formale  fa delle forme vive, reali, accidentali; muove la materia in-  forme a creare il sistema solare e l'uomo a traverso alla  serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo eterno, l'uomo  intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è la  forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in  cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par-  ticolarità esiste, ma nella forma di principio, di universa-  lità, di necessità, ed in questa contraddizione consiste la  sua attività creatrice. Il pensiero assoluto si trasferisce e si  effettua nella realtà dell'universo, e lo fa a sua immagine,  e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua evoluzione  attuale. La forma è un principio e una forza indipendente  dalla funzione; e questa forza ha una legge che ne deter-  mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-  verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale  e dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è  quello intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge,  ogni sviluppo essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi,  sintesi. Al movimento puro, assoluto, astratto, corrisponde il [I tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura]  movimento concreto della forma, ai tre momenti ideali corri-  spondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo, teleomorfo.  E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella na-  tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano. La  natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essenziale ; è tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione,  senza la forma della forma. La vita (antipan) è essenzialmente  opposizione fra corpo ed anima, fra molteplicità ed unità, fra  vegetale ed animale. Esiste fra vegetale ed animale una  doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione (antitesi  psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan) è  teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,  poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso  e sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e  l'uomo. Lo spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce  per riconoscersi in quelle, e con lo stesso colpo si riconosce  nelle cose : sì che egli è l'unità reale e distinta delle cose  e delle idee. L'anima nella natura è interna, nel vegetale  apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa  corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta,  universale e puramente ideale, e la opposizione è finalmente  risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo spirito umano hanno  ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico essenziale.  Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è per M. il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al  labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le  forme e i tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno  stesso identico animale in via di formazione : l'uomo. E  dei tipi animali egli vuol tracciare la storia ideale, perseguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la descri-  zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni  tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione,  è il mobile oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo  creativo, cominciando da sé, creando a mano a mano le pro-  prie determinazioni. Invece i sistematici ordinary, tutti  intenti alla diagnosi delle forme, poco si curano delle differenze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri qualita-  tivi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente quelli  più materiali, che non significano nulla appunto perchè non  passano in altre forme. Tipo è forma con significato.   Questi sistematici hanno una logica difettiva a forza di  astrazione; non pensano che nel quanto è rinchiuso il quale.  Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica, arti-  ficiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi, isolatori. La nuova morfologia invece cerca le comunanze e  le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la transizione ideale dove manca quella materiale. Per la vera  morfologia il primo è la forma, che pone i lineamenti gene-  rali dell'essere; poi viene la funzione ideale che la acco-  moda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e  la selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo-   [I tipi animali] Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie, Meis soggiunge che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con  un organo che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei  sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti  cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non  ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa per  stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo, e per  supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato tirerà tanto  di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto tirare ». Le opere scientìfiche e la filosofia della natura] la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è  una funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la funzione essenziale, «principiale)), a loro ignota e inconcepibile,  Le dottrine materiali non hanno nulla a che fare con la  scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che la  fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare  come castelli di carta le sue classificazioni più o meno inge-gnose. Il rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas-  sificare; pensare e ripensare. Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che nel vege-  tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il  centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi-  zione fra il corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due  sfere sono egualmente sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga,  prima chimicamente e poi anatomicamente semplice, indi  molteplice, ma tutta disgregata nei suoi elementi cellulari.  11 vegetale antimorfo è da un lato la felce vegetativa, dal-  l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è il coti-  ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma riproduttiva  sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo tipico  dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nel-  l'antizoo, punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa  l'opposizione fra corpo e anima, fra sistema vegetativo e  sistema riproduttivo ; nel teleozoo i due opposti sviluppi sono  riuniti e in giusta proporzione fra loro. L'amorfo animale è  il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è il  radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il verte-  brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi  di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di  vertebrato ed invertebrato, che esprimono solo la presenza  o l'assenza di un elemento secondario.   Finché M. sta fedele al suo programma di dimo-  strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali  [I tipi animali,  Le opere scientifiche e la filosofia della natura] crede, egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni  alla scala degli esseri viventi, alle varie forme della vita,  della scienza, della filosofìa, della storia; particolarmente  geniali e nuove le applicazioni alla patologia. Ma a volte  — rare volte, è vero — egli sente il bisogno di tentare una  dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece, senza  avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà, la  nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia-  loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo semplice. Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli  tenta, senza riuscirvi, di dimostrare che il pensiero è fin dal  primo momento essere. Nei Dialoghi affronta lo stesso problema in forma più concreta : ricerca il punto in cui l'essere  ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza di  chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con  lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio,  e quasi la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe  studiare un essere da lui non visto ancora, ma del quale, per  descrizione autorevole e per indizi indiretti e certi, gli fosse  nota l'esistenza e i caratteri.] vero lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui  l'uomo della natura, che in sé ricompendia tutta la natura,  si risolve ed unifica perfettamente. Ma come questo pensiero  eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della natura ?  E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ? Retroce-  dendo nella storia del processo naturale si perviene ad un  muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare:  quel muro è la materia. Certo la materia suppone lo spazio;  ma spazio senza materia non ci può essere. Chi dice spazio [I naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo  d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze,  Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   dice tempo, e chi dice tutti e due dice moto; e dir moto  è dir qualche cosa che si muove, è dire — insomma — la  materia, moto immobile, forza latente ed inerte dell'universo.  La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo :  da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza  fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la  materia della forza inferiore ed il germe della superiore : e  così il moto è il tempo materializzato; il tempo è lo spazio  divenuto più materiale. Sempre la materia è la realtà, il  limite di una forza; e la forza è la materia nel suo spon-  taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non  pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza  semplice in cui tutte le forze speciali sono latenti ; e come  la più forte, le urta di sotto e fa uscire la forza chimica, che  si comunica a tutta la massa della forza semplice, sì che  tutto diventa forza chimica reale, affinità e materia puramente  chimica ; e fa di questa affinità informe un imponderabile  informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo sem-  plice informe.   L'uomo senza influsso di esterno accidente, mentre egli  era da per tutto ed era tutto, non poteva scegliere un punto  del tempo e dello spazio in cui operare la trasformazione  della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in un  punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto  lo spazio. Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma-  teria reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale,  interminato, e con esso cominciò la natura. La forza del pen-  siero, come ha trasformato il moto, la forza semplice, in  forza chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e la  forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo  fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si  trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo  in vera materia, in corpo chimico imponderabile, ponderabile. È la materia semplice che successivamente si modifica  e si realizza; è la proprietà chimica, è la speciale natura  Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 189   fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che si  aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e  le dà un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo  incorporeo, una materia immateriale, una realità non sensi-  bile. Le forze, e le loro forme, le loro proprietà, sono semplici, indifferenti, indistinte; esse sono avviate all'atto, alla  esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora. La forza  è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal  valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma  la proprietà è più natura che pensiero ed è perciò atta ad  empire di se lo spazio ; onde appena il pensiero umano dietro  a quelle tre forze fa scaturire quelle tre semi-materie, subito  mette fuori lo spazio, e lo distende, e vi spiega le tre pro-  prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e le dissemi-  nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo spazio  è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia,  ma non corpo, perchè non è ancora sensibile.   11 primitivo pensiero umano ha dentro di sé un limite  che è esso stesso pensiero, ed è il germe e l'origine del senso;  di questo limite fa lo spazio-pensiero e il tempo-pensiero, e  il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la materia  pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui  stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice  pensiero. Ma poi egli, premendo di più su quel limite, fa  dello spazio-pensiero uno spazio-estensione, e di questo un  corpo sensibile prima al corpo, e poi, per mezzo del corpo,  anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un moto  reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà  tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e l'anima — l'animale ; e all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera  sua. Di quel suo limite originario, che era un senso-pensiero,  egli ha fatto a poco a poco un senso-senso. E di questo senso  farà nella natura formata vari sensi distinti, e così farà del-  l'anima. Se noi facciamo la storia della natura, troviamo  all'origine della forza e della materia uno stesso identico germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano  originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori-  ginaria identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima  natura, poi vegetale, poi animale, e da ultimo uomo; e in  ogni grado conserva quelle due cose opposte, la forza e la  materia, sempre distinte e sempre unite in una perfetta iden-  tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità delle due  cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente  corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci  fa più facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle  nature inferiori, la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af-  ferrare ciò consiste la scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è  quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice,  omogeneo, uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà  la natura antimorfa, lo sviluppo delle forze e delle materie,  il caos. Infine vedremo sorgere una nuova forza, che a tutte  le forze del caos darà una legge e una norma, a tutte le  materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il  cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza  vitale, e la forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale.  E con questo programma egli termina il secondo dialogo,  Forza e materia; ma non pubblica più che un terzo dia-  logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano, che  da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna  poi nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si  ritrasforma di natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad  un punto, e questo punto è l'io. Come in principio il punto  originario, così ora il punto individuale si trasforma tutto;  ma la trasformazione non si fa, come allora, tutta in un atto, [Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è preceduto da questa nota :  « Il presente dialogo è indipendente dai precedenti », - Sappiamo già che  M. lavora spesso frammentariamente.  Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 191   bensì successivamente. L'io è un animale naturale, indi-  viduale; ma gli ii sono molti, e sono come molti punti,  molti tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio  intellettuale nello spazio naturale, La trasformazione umana  universale, come quella dell'individuo umano, « si sgomi-  tola nel tempo e si srotola nello spazio, e intanto si raggo-  mitola e torna ad arrotolarsi nella storia ». E perciò la storia  umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è una  cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della  natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale  e universale ; solamente non appare e non diventa reale che  in certi punti di tempo e di spazio: in certe epoche, in  certi luoghi, in certi corpi e in certi ii.   È facile scorgere che il De Meis non è felice quando vuole  risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione.  Invero non si capisce come quel suo pensiero originario,  avendo nel senso un limite interno, possa non avere anche  un limite esterno, e tutta la natura, che invece deve ancora  nascere; ne si capisce come quel pensiero, a furia di premere  e caricare sul proprio limite, possa fare del senso-pensiero  un senso-senso, possa, in altre parole, trasformarsi da forza  in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di  star tentando la soluzione di un problema forse insolubile,  certo insoluto. Che forza e materia sieno due cose distinte  ed opposte, ma unite ed identiche è per lui una verità certa,  positiva, reale. Egli dichiara che non ha la pretesa di di-  mostrare, ma solo di far presentire la verità, come la pre-  sente egli stesso: e certo di quella verità da lui pre-  sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una  pagina che onora il suo senso poetico più che la sua    GENTILE, LA FILOSOFIA ITALIANA. V. Forza e materia, I  naturalisti, Dialogo] profondità filosofica, egli afferma che il corpo è un vegetale,  è l'inferno, l'anima è parte materiale e parte immateriale  ma sempre naturale, il pensiero è il paradiso, e di pensiero  noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il suo paradiso  tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco. Come  Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli  stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel-  l'uomo; solo ci dice con slancio lirico che quella è la sua  fede. Alla fede in quanto è davvero tale e solo tale, ed  è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe certo vano, se  pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai principi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon-  damento di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si  deve chiedere se sieno suscettibili di avere dall'esperienza  una conferma o dalla logica una dimostrazione.   La risposta è negativa.  Quanto alla conferma dell'esperienza, M. dice che con le idee si scopre, è vero, la sostanza delle forme  e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma il controllo  è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed intatta,  ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua integrità,  e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore  ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee,  e che solo con le idee possono venir scoperti nella loro  sostanza e seguiti nel loro movimento, dovrebbe indicare  un terzo termine, atto a valutare la rispondenza fra gli altri  due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo termine non  può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte in  causa. Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non  poteva non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non  può esistere un controllo esterno, ne si può senza essere  [I tipi animali. Cfr. Dopo la laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. incoerenti ammettere l'esistenza di una realtà che non sia  l'idea o il pensiero.Quanto alla dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che le rare volte in cui M. la tenta  non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come quando,  dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona  come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere  come puro essere e non pensiero ('); o incorre in errori,  come quando afferma che il pensiero originario ha nel senso  un limite interno senza avere un limite esterno; ovvero si  appiglia ad ipotesi degne di un alchimista ostinato alla ri-  cerca della pietra filosofale, come è quella della forza che  diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite. La sua filosofìa della natura, riposando su principi che  possono essere oggetto di fede, ma non possono avere dal-  l'esperienza un controllo né dal ragionamento una conferma,  è una costruzione che può essere, ed è difatto, ingegnosa  e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe alcun  sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana,  vita della sua vita, anima della sua anima. Egli non  intendeva di cercare una soluzione nuova; solo si proponeva  di svolgere ed elaborare una soluzione già da altri raggiunta.  La sua opera è fallita perchè aveva come presupposto e come  base quella conciliazione dell'essere e del pensiero, della  forza e della materia, che contrariamente a quanto egli cre-  deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po-  teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura,  si ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura  stessa o riducendola a una mera forma spirituale. Deus creavit.  Forza e materia. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere di M. M.  non è d'accordo col Berkeley, che « sopprime la natura»;   Del Vecchio Veneziani Una costruzione speculativa della natura, quale l'idea-  lismo assoluto e la riduzione della natura a pensiero esigono,  dev'essere tutta una deduzione necessaria per considerarsi  compiuta e riuscita. E in una deduzione logica e necessaria  l'accidente come tale non può trovar luogo. Non si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in  tutte le assidue e lunghe meditazioni del M. intorno  alla natura, l'idea informativa di tutti i suoi studi era, come  egregiamente la definiva Fiorentino, « l'idea di con-  trapporre al predominio dell’accidente, che è il lato debole  del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale  delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega  la vita della natura... una ragione superiore, che regola lo  sviluppo dei tipi della vita naturale, finche non si dispieghi,  e non si allarghi nell’uomo e nella coscienza. Si trattava dunque per M. di superare quello  scoglio contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini-  smo; di evitare la trasformazione dell' accidente in Deus  ex machina, al quale far ricorso perchè o dove non soccorra  una ragione superiore o una spiegazione più intima e razionale.   M. appunto dice e ridice, anche per quanto si  riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della  necessità e della certezza assoluta; ma in contrasto con  questa esigenza afferma anche l’indispensabilità dell’accidente in tutti i momenti della creazione. Ora l'accidente,  che è dichiarato indispensabile, o è razionalmente necessario,  cioè deducibile a priori, e allora deve rientrare nella costru-  zione speculativa come elemento interno, e non esteriore, sicché non può più dirsi propriamente accidentale. O è la né col Fichte, nel cui sistema la natura « c'è soltanto quanto basta per far  la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta ». Cfr. Prenozioni, La filosofia contemporanea in Italia,  Dopo la laurea, negazione della necessità razionale e della deduzione a  priori, ed in questo caso la dichiarazione della sua indispen-  sabilità costituisce il confessato fallimento della costruzione  speculativa. M. oscilla fra le due alternative, senza  sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno di quella avrebbe significato il riconoscimento della con-  traddittorietà della sua impresa.   Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire  nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli  anelli di saldatura tra i frammenti non altrimenti congiungibili. L'anello iniziale, poich'egli dice che quando non  c'era la natura e quindi l'accidente » era impossibile al-  l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che come fine deve prece-  dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e « senza in-  flusso di esterno accidente, di scegliere un punto del tempo  e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della  materia semplice in corpo semplice. Gli anelli di salda-  tura, in quanto dice che l'accidente, elemento costitutivo  della natura, è necessariamente compreso nel processo della  funzion ; che ogni tipo vivente è già idealmente quello  che dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo real-  mente nella natura, senza il concorso di cause accidentali e  d'esterni influssi ». E in generale tutto il processo e lo  sviluppo della natura per M. consegue la realtà solo in quanto l'accidente interviene e concorre con l'idea alla  produzione del risultato. Il fatto è anche idea, ma l'idea  non è reale e non esiste che nel fatto; « il principio  e la potenza della vita... è sempre unito a un qualche  elemento materiale e meccanico che lo fa reale e particolare, che è quanto dire individuale ed accidentale. Forza e materia,  / mammiferi. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena.  Degli elementi della medicina. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. M. considera i vari tipi carne momenti evolutivi di un  tipo ideale assoluto, l'uomo eterno; crede che tutte le forme  preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo crea-  tivo interno e spontaneo ; ma la creazione non consiste soltanto, nella determinazione ideale originaria di quegli schemi  indeterminatissimi », sì anche « nella loro delimitazione na-  turale, o sia accidentale ». E molte volte ripete che la natura  è accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata all'accidente. Ma qui appunto si potrebbe obiettare alla nostra osservazione, che noi dobbiamo approfondire il concetto del-  l'accidente che M. afferma. Legato all'idea, intrin-  seco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in campo a  determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente  dei darwiniani, puramente estrinseco e meccanico. Ha anzi  esso medesimo una necessità interiore ; è il momento della  antitesi, senza il quale non potrebbe svolgersi la sintesi crea-  tiva. L'uomo eterno, dice appunto M., è « la forma,  l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta particolarità  esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di neces-  sità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua attività  creatric. Per questa via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale  ci appare impigliato la filosofia di M.. Che se anche  altrove egli identifica il puro accidentale col male, non vi  sarebbe contraddizione con la universalità e necessità rico-  nosciuta sopra all'accidente; ma distinzione di due specie  di accidenti o di nature: l'interna e l'esterna; necessaria la  prima, accidentale in senso proprio la seconda. M. difatti parla esplicitamente di una natura esterna che viene  Deus creavit,  (/ tipi ammali. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente esterno  ed accidentale che non era compreso nel processo della  natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e  oltre a modificare, sia pur solo superficialmente e quantita-  tivamente, le forme, e favorire la trasformazione, e provocare  la nuova interna creazione e lo sviluppo di germi latenti,  « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche cosa  di accidentale e di naturale ». Di fronte a questo accidente,  esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M. —  nella forma latente un principio di accidente. Essa è semplice ed una, ma nella sua unità vi è un germe di differenza  e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la disposizione a dividersi  in molti e diversi, ed è un accidente indeterminato e scolo-  rato, pura possibilità di farsi, più che non è, accidentale. L’accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli dà  corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e naturale. Gli agenti esterni stimolano, promuovono, determinano, ma Dio opera la trasformazione. L'accidente  può render conto delle differenze secondarie, non giunge ai  veri gradi della formazione. Esiste dunque una storia  interna, essenziale, ed una esterna, accidentale; ed esistono due sorta di accidente: uno necessario ed essenziale,  l'altro secondario e individuale: il primo, l'accidente  necessario, assoluto, realizza l'evoluzione creativa ideale,  intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna ogni  realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli  individui; l'altro, «l'accidente accidentale», nasce dall'in-  treccio dei processi e dal cozzo inevitabile delle cause na- [Lettera sulla patologia storica] Cfr. Deus creavit, passim. Dopo la laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr. Deus creavit,Deus creavit, Le opere scientifiche e la filosofia della naturaturali, delle quali una è la darwiniana concorrenza vitale, da  cui deriva la formazione delle varietà, delle specie, dei ge-  neri, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino ai tipi. La natura finisce per essere, come la società umana, una  lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da  capo a fondo », perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi necessarie. Se non che arrivati a questo punto noi possiamo doman-  darci : l'obiezione che abbiam detto potersi muovere al nostro  rilievo delle difficoltà inerenti al pensiero del M., è  veramente risolutiva? Questo approfondimento del concetto  di accidente, questa distinzione delle due specie di esso,  interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera-  mente la contraddizione nella quale ci era sembrato che questa  filosofia della natura si involgesse ? L’accidente interno consiste nella indeterminazione e  molteplice possibilità della forma latente. Ma intanto M. più volte afferma che senza il concorso di esterno acci-  dente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe  realtà di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché l'accidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non sol-  tanto per l'esistenza degli individui, ma anche per la pro-  duzione reale dei tipi nella natura. E del resto la stessa  molteplice possibilità in cui è fatto consistere l'accidente  necessario, del pari che l'intreccio dei processi dal quale si  fa nascere l’accidente accidentale, possono essere a loro  posto in una concezione puramente causale e meccanica della  natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più  a posto in una dottrina finalistica, nella quale il termine finale, l'uomo eterno, pre-esiste a tutto il processo di sviluppo e lo  genera esso medesimo. Voler dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo  teleologico, e non saper negare che vi sia anche qualche cosa  di ciò che il Darwin vi scorge, ossia che la natura finisce per  essere, come la società umana, una lotteria, è contraddizione  non conciliabile tra l'intenzione e il resultato.   E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione è  nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la  patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito  dal M. crollerebbe, se non intervenisse l'accidente accidentale, perchè solo «se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura interviene,  e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o  naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta  la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera  umana, questa si altera e si disordina. Ora si ricordi che  per M.  la malattia corrisponde al passaggio dall'in-  nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una forma  superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma superiore,  che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che attraverso  a questo processo, il processo è necessario, e necessari, non  accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la sintesi.  Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-  cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e  particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi-  mento degli opposti, il momento negativo non è meno neces-  sario che il positivo a dare con la negazione della negazione  la più alta realtà. Come può dunque in questa concezione  filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.? Come può un accidente siffatto, cioè un accidente  estrinseco, che rompe la necessità e viola la ragione, essere  costitutivo della natura quale dev'essere intesa in un idealismo  assoluto, cioè come pensiero o ragione ? [Delle prime linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si collegano con una profonda, in-  conciliabile contraddizione interna del pensiero di M..  È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo idealista,  contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente e  costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia  con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che  talvolta si riaffaccia: la metafisica ai metafisici, a noi la  fisiologia. Questo è il suo conflitto intemo non superata,  che si potrebbe estendere ben oltre il suo caso individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea e  natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile:  il fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la  fisiologia non può essere costruita se non è costruita prima la  metafisica. E costruita non da altri, ma dal fisiologo stesso,  come altrove M. riconosce. Perchè, secondo il  principio vichiano ed hegeliano, per il De Meis il fare sol-  tanto ci dà il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal che sarebbero pure derivate conseguenze contrarie  alle conclusioni di M. intorno ai rapporti fra la teoria  e la pratica medica. Infatti come può la separazione della  jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi con  l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia,  perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia la massima che criterio del vero è il farlo ? E non sarà  quindi contraddittorio il dichiararla disgiunta dalla pratica,  e quindi inutile come tutte le cose eccellenti, virtù, giustizia,  arte, religione, scienza ? Ed ecco il criterio della verità della  jatrofilosofia nella pratica, nella clinica, nella cura delle ma-  lattie, secondo voleva TOMASSI. Anche qui M. Lettere fisiologiche, Cfr. Dopo la laurea, là dove si riconosce come necessaria, sia pur soltanto al sapere positivo, la divisione del lavoro. [Idea della fisiologia greca ; e altrove. La natura medicatrice e la storia della medicina] mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen-  siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi  principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del-  l' accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario  e l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori  e ciò che è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in  lui insoluto. Ed egli non riesce a vincere le difficoltà che anche  Hegel aveva incontrate nel costruire la sua filosofìa della na-  tura, la quale è certo la parte più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del M. è consistito in questo :  che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della natura  hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che  le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non  consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura  compiuta, razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando  per tutta la vita una soluzione non raggiunta ancora, sempre  credendo di lavorare solo alla dimostrazione e alle applica-  zioni di quella, che egli stimava già scoperta da Hegel. Camillo De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature, citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli: “Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The Swimming-Pool Library.

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