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Tuesday, May 21, 2024

Grice e Solari

 GIOELE ^OLARI 

Lib. doc, (li Filosofia del diritto nella E» Università di Torino 



C. 



LA SCU0LA r7 



DEL 



DIRITTO NATURALE 



NRLLE 



dottrine etico -giuridiclie dei secoli XVil e XVill 



TORINO 

FRATELLI BOCCA EDITORI 

LIBRAI DI S. M. IL RB d'iTALIA 



ROMA MILANO FIRENZE 

Corse. 216 Corso Vittorio Em., 21 F. Lumacbi Sucu. 

Depoait. gener. per la Sicilia : O. FIORENZA, Palermo 

1904 



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LA SCUOLA DEL DIRITTO NATURALE . 

NELLE DOTTRINE ETICO-aiUBIDICHE DEI SECOLI XVH E XVIH 



§ 1. 



SOMMABIO: 1. Scienza e filosofia nel XVXI secolo — 2. La filosofia e la riforma 
cartesiana — 3. Le soiense morali e. i'indlrisso raiionale — i. Garatteri propri 
dei sistemi metafisici — 6. Valore e significato della scnola.del diritto naturale 
— 6. Il rapporto tra morale e diritto secondo la sonola del diritto natnrale. 

1. — La niiuo nazione delle scienze giuridiche e sociali fu 
il grande lavoro del secolo XIX: essa segui l'applicazione del- 
l'indagine storica e positiva allo studio "dei fatti morali e 
sociali. Le condizioni però che prepararono e resero possibile 
una tale rinnovazione devono rintracciarsi nel «periodo meta- 
fisico delle scienze morali che segna il risveglio dell* intelletto 
umano in traccia di nuove direzioni air infuori delle premesse 
teologiche e dogmatiche. Le grandi idealità etico-giuridiche 
che vediamo affermarsi e svolgersi nel campo dei fatti colla 
Rivoluzione Francese trovano la loro elaborazione astratta e 
ideale nei sistemi filosofici che sbocciarono vari e numerosi 
in quell'epoca di rara fecondità intellettuale che abbraccia i 
secoli XVII e XVIII. Lo spirito anti-teologico penetrava allora 
nelle manifestazioni del pensiero nella sua duplfce direzione, la 
scientifica e la filosofica; ma nonostante questo carattere co- 



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- 6 - 



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mune, per molti altri rispetti filosofia e scienza tendevano a 
distinguersi e a contrapporsi, generandosi tra esse un con- 
trasto che solo in epoca vicina a noi doveva comporsi. L'ori- 
gine e i motivi del contrasto devono rintracciarsi nella di- 
stinzione accentuala da Cartesio tra la mens e la res ecctensa, 
tra lo studio della materia di cui si occupavano sopratutto 
le sciente e lo studio dello spirito che parve costituire il 
campo proprio della speculazione filosofica. Fin dal loro primo 
costituirsi le scienze bandirono ogni apriorismo teologico e 
razionale; esse si mantennero rigorosamente empiriche, og- 
gettive, analitiche, né intesero l'importanza e la necessità di 
una generalizzazione filosofica dei loro risultati. Del resto nò 
lo sviluppo delle scienze era tale da comportare una filosofia 
naturale, né l'indirizzo metafisico e razionale della filosofia 
poteva conciliarsi colle tendenze materialistiche della scienza. 
La separazione della scienza dalla filosofia non era che la 
espressione della concezione dualistica dell'uomo e della sua 
natura, concezione che Cartesio e sul suo esempio i cultori 
delle scienze naturali accentuavano, certamente nell'intento 
di sfuggire alla sospettosa vigilanza della Chiesa. Sta di fatto 
che dal 600 in poi le scienze incontrarono sempre minóri re- 
sistenze da parte della Chiesa: ciò deve in gran parte attri- 
buirsi alla cura gelosa dei loro cultori di condurre l'indagine 
scientifica con metodo rigorosamente obbiettivo evitando ogni 
discussione sulle cause prime dei fenomeni studiati nonché 
sulle conseguenze ultime per le quali dal campo solido e si- 
curo della scienza si passava nel campo infido e pericoloso 
della filosofia. La scienza potè solo affermarsi e svolgersi as- 
sumendo veste e significato anti-filosofico. 

2. — La rinnovazione della filosofia iniziata da Cartesio deve 
intendersi in un senso ben diverso da quello con cui fu intesa 
la rinnovazione della scienza, cosi come l'anima che formava 
il presupposto della filosofia era concepita come un principio 
sostanzialmente diverso dalla materia, oggetto dell'indagine 
scientifica. Mcntj'C neìÌQ scienze della natura contro l'autoriià 



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— 7 — 

non pur della fede ma della ragione stessa pre^ialse Tautorità 
del fatto osservato, nella filosofia la ragione sola non sorretta 
né dalla rivelazione né dall'esperienza sensibile diveniva cri- 
terio di verità. Lo spirito per altro della riforma cartesiana 
era profondamente sovvertitore: per essa la metafisica razio- 
nale assurgeva al grado di scienza prima, sostituendosi alla 
teologia nel fornire alle altre scienze i principi primi : scossa 
la cieca fede nell'autorità, le tendenze razionaliste e critiche 
dell'intelletto umano potevano affermarsi in una serie inde- 
finita di sistemi. Le conseguenze della riforma cartesiana 
passarono inavvertite finché essa non usci dal dominio teore- 
tico e metafisico: né si deve dimenticare che il metodo car- 
tesiano rigorosamente deduttivo ricordava nella forma lo sco- 
lastico, e della scolastica era conservata la concezione psi- 
cologica. Il carattere innovatore della riforma cartesiana co- 
minciò a farsi palese nelle sue applicazioni alle scienze morali. 
3. — I nuovi metodi in uso nelle scienze fisiche non si 
comprendeva come potessero applicarsi alla scienze morali. 
Tali metodi parvero propri delle scienze il cui oggetto era la 
natura, in guisa che alle stesse menti più spregiudicate e 
indipendenti da preconcetti teologici non balenò l'idea, fami- 
gliare nei tempi moderni, di considerare le scienze morali alla 
stregua delle scienze fisiche e naturali. A ciò si opponeva la 
concezione psicologica dell'anima sostanziale, fornita di facoltà 
intellettive e volitive, fondamento delle scienze teoretiche e 
pratiche. Tale dottrina psicologica continua ad essere la pre- 
messa delle concezioni etico -giuridiche che si originarono dalla 
riforma cartesiana. Nel 700 nel sistema del Wolff, che riassume 
il lavoro filosofico anteriore, la psicologia figura ancora pres- 
soché inalterata nelle sue basi tradizionali. Si comprende 
quindi come le scienze morali dovessero assumere veste e 
carattere metafisico e colla filosofia trasformarsi sulle basi del 
razionalismo critico. Troviamo pertanto due elementi nelle di- 
scipline morali e giuridiche dei secoli XVII e XVIIl: un 
elemento tradizionale costituito dalla concezione psicologica 



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- 8 ^ 

deiraniraa e delle facoltà concepite come forze generatrici di 
tutti i fatti dello spirito: un elemento nuovo, implicito nella 
riforma cartesiana, secondo cui la ragione umana era fatta 
capace di trovare i principi delle scienze dello spirito all'in- 
fuori della religione e dell'autorità. È bene però fin d'ora notare 
che assai prima della riforma del metodo filosofico per opera 
di Cartesio, le scienze giuridiche, sotto l'influsso delle condi- 
zioni storiche e sociali mutate, avevano iniziato la loro trasfor- 
mazione in senso razionale. 

4. — Le scienze morali nel loro primo costituirsi a scienze 
autonome e indipendenti mostrarono la spiccata tendenza a 
modellarsi sulle scienze matematiche e geometriche. Il carat- 
tere deduttivo di queste scienze, la forza di evidenza che sca- 
turiva dalle loro premesse e dimostrazioni^ le rendeva parti- 
colarmente attraenti in un'epoca in cui la speculazione andava 
razionalizzandosi. Meglio di ogni altra scienza esse mostra- 
vano la forza e la potenza dell'intelletto umano, fatto capace 
di costruire colle sole, sue forze un edificio mirabile per pre- 
cisione, simmetria, eleganza. Parve che un analogo procedi- 
mento potesse applicarsi alle scienze dello spirito e che ba- 
stasse andar in cerca di idee chiare e distinte per trarre da 
esse un sistema filosofico capace di resistere agli assalti del 
dubbio e della critica. E per circa due secoli assistiamo a una 
singolare fioritura di sistemi metafisici, che hanno comune 
fondamento l'ipotesi, essere le leggi dello spirito umano e col- 
lettivo generalizzazioni conseguite mediante lo studio dei fatti 
della coscienza individuale e collettiva. Si definisce l'uomo, lo 
Stato, la società, il diritto, il bene supremo astrattamente all'in- 
fuori della realtà psicologica e storica: per lo più il principio 
da cui si move risponde al consentimento universale o si fonda 
sulla osservazione interiore e necessariamente unilaterale 
dello spirito umano: talvolta gli stessi principi tradizionali, 
spogliati di ogni veste dogmatica servono di fondamento alla 
deduzione che procede rigorosa sdegnando il controllo e la ve- 
rifica cei fatti. La fctj ultura logica e sisten:aiica è costante 



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- 9 - 

carattere al quale si riconosce la dottrina metafisica, che si 
presenta in un numero grande di sistemi, riflettenti le variabili 
condizioni d'animo e di mente dell'autore; lo stesso principio 
si presenta in forme e gradazioni diverse per il concorso di 
cause soggettive indefinibili. La potenza dell'intelletto misura 
l'altezza talvolta vertiginosa delle concezioni metafisiche, che 
prpcedono, sotto l'azione della logica interna che le incalza, 
senza limiti prestabiliti, senza freni di sorta. 

A noi è facile rilevare l'errore di tali costruzióni metafi- 
siche. Come già Aristotele e più ancora gli Scolastici, i me- 
tafisici del secolo XVII facevano consistere la conoscenza nella 
generalizzazione logica, la quale consiste nel ricondurre un 
concetto più determinato a un- concetto meno determinato ma 
più esteso. Per essi, dice il Masci (1), la lerie logica dei con- 
cetti e la serie reale coincidono e l'universale è causa. Tale 
generalizzazione ha come risultato un" astratto, un genere, . 
un'entità mentale che contiene meno dèi particolari dai quali 
è astratto e come tale non può servire a intendere e spiegare 
la realtà complessa e concreta. Ben diversamente procede la 
generalizzazione nelle matematiche e nelle scienze naturali: 
le formule matematiche e le leggi scientifiche sono generalità 
comprensive, cioè non contengono meno ma più delle formule 
che ne derivano, o dei casi particolari da cui le leggi sono 
indotte. Il diritto di natura, l'uomo di natura, lo Stato e la 
società di natura Sono le idealità astratte da cui trassero 
alimento i sistemi etico-giuridici dei secoli XVII e XVIII. 

5. — Sarebbe però errore paragonare le discussioni sul di- 
ritto naturale con quelle scolastiche sui generi e le essenze 
delle cose. Le teorie sul diritto naturale acquistavano un 
valore speciale per l'epoca in cui sorsero, per. le condizioni 
sociali e politiche che le generarono, per le conseguenze che ne 
derivarono. Tali teorie non erano né vane né inutili: esse 
erano l'espressione di bisogni reali, di tendenze prepotenti, di 



(1) ^aecì,. Logica, (Napoli, Pierro, 1899) p. 237-238* 



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^ 10 — 

istinti mal repressi di rivolta, di reazione contro il passato: 
esse ufFermavano la volontà di sciogliersi per ciò che riguarda 
la vita morale e giuridica dalle tradizioni, dall'influenza op- 
pressiva dello Stato e della Chiesa, alleati a danno doirindi- 
viduo e della sua libertà esterna e interna: esse nascondevano 
un'idealità vivamente sentita che tendeva a tradursi nel do- 
minio del reale: in esse si sente l'eco dell'anima moderna che 
sdegna i vincoli creati dal privilegio o dall'interesse, che astrae 
dalla realtà oppressiva e anela a un sogno lontano di ugua- 
glianza, di felicità, di pace. Sotto questo aspetto la dottrina 
del diritto naturale è in sommo grado significativa e può es- 
sere studiata con utilità e interesse anche nei tempi nostri 
non foss'altro per la corrispondenza con le odierne idealità 
sociali che preparano, come quella, nuove condizioni del vivere 
collettivo. 

6. — Colla, scuola del diritto naturale acquista particolare 
importanza la questione dei rapporti tra la morale. e il diritto. 
Sotto le parvenze di una discussione teorica essa implicava 
una grave questione di indole politica, dalla cui soluzione 
dipendeva il raggiungimento di quelle idealità che costitui- 
vano la ragion d'essere della scuola del diritto naturale. Il 
terreno per una separazione della morale dal diritto era stato 
preparato dalla Chiesa stessa, la quale per le sìie finalità re- 
ligiose richiamando di continuo l'individuo alla spontaneità e 
alla indipendenza della vita interiore da ogni costringimento 
esterno, aveva efficacemente contribuito ad acuire il senso 
della personalità e della resistenza contro qualsiasi imposi- 
zione di autorità esterna fosse essa ecclesiastica o politica. 
Il movimento protestante intese appunto a emancipare la co- 
scienza individuale dalle imposizioni arbitrarie della Chiesa 
romana. Se la Riforma fu da un lato un grido di protesta contro 
gli abusi di autorità compiuti dalla Chiesa a danno di quella 
libertà di critica che anche in materia religiosa deve essere 
riconosciuta all'individuo, la scuola del diritto naturale in- 
sorse dal canto suo contro le pretese dello Stato di invadere 



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-- 11 - 

colle sue le^i il campo riservato alla religione e alla morale, 
di penetrare cioè in quella sfera di interiorità che deve essere 
sottratta all'azione dello Stato e del diritto come quella che 
costituisce la garanzia dell'individuo e della sua libertà in- 
teriore contro lo Stato. La scuola del diritto naturale intuì 
che nella questione dei rapporti tra diritto e morale era im- 
plicita quella dei rapporti tra l'individuo e lo Stato, e tale 
questione in un'epoca in cui l'individuo scendeva in lotta 
contro lo Stato* in difesa dei cosidetti diritti naturali, che 
erano in realtà i diritti di personalità, assumeva significato 
particolare. 

Ciò serve in parte a spiegare l'importanza assunta dalle 
dottrine giuridiche su quelle strettamente morali e teologiche 
nei secoli XVII e XVIII. I principi morali non erano in di- 
scussionCi nò si vagheggiavano riforme morali : la morale 
evangelica rispondeva pur sempre alla coscienza etica gene- 
rale: e se troviamo per parte dei filosofi tentativi diretti a 
dare alla morale un fondamento razionale, bisogna riconoscere 
che tali tentativi non riuscirono a scuotere la base dogmatica 
della morale, in ordine alla quale la Chiesa, fosse cattolica o 
protestante, continuò a esplicare un'azione decisiva e quasi 
incontrastata. La questione dell'epoca più che morale era poli- 
tica e sociale; la Chiesa stessa più non poteva opporre- eflìcace 
resistenza al sorgere di nuove teorie tendenti a delimitare 
l'azione dello Stato nei suoi rapporti coU'individuo. Qualunque 
sia il giudizio che sull'opera della scuola del diritto naturale 
si può arrecare, sarà pur sempre per essa titolo esclusivo di 
merito l'aver efficacemente contribuito a quel processo di 
differenziazione per cui il diritto distinguendosi non pur dalla 
religione ma anche dalla morale, ha acquistato un suo con- 
tenuto specifico. Epperò a nostro credere il valore e il signi- 
ficato delle dottrine etico-giuridiche sorte nei secoli XVII e 
XVIII è misurato dal grado con cui seppero tale distinzione 
porre e accentuare. 



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— 13 ^ 

che mentre regolavano i rapporti di coesistenza tra le due 
autorità, servissero di norma alla condotta degli individui e 
degli Stati. S. Tommaso e Dante personificano in sé le due 
correnti e diedero alla morale e al diritto un significato ri- 
spondente al modo diverso con cui intendevano il rapporto 
tra Chiesa e Impero. 

8. — S. Tommaso riassunse nell'opera sua monumentale 
tutti gli sforzi della Scolastica diretti a conciliare il Cristia- 
nesimo colla filosofia, la rivelazione colla ragione, lo spirito 
colla materia, la terra col cielo. Ma tale conciliazione suona 
per S. Tommaso subordinazione e talvolta sacrificio e disco- 
noscimento dei diritti della ragione, degli interessi umani e 
civili alle esigenze religiose e teocratiche. Ciò deve dirsi so- 
pratutto in ordine alle scienze morali, che dovendo tradurre 
nei fatto gli ideali •cristiani, abbisognavano di un fondamento 
saldo ed incrollabile. La volontà divina è fonte per gli sco- 
lastici di ogni moralità pubblica e privata. Il rapporto tra 
religione e morale non destò interesse di sorta nel Medio Evo, 
tanto era universalmente radicata l'opinione che la morale 
doveva trarre dalla religione il suo fondamento, le sue sanzioni : 
gli stessi avversari più risoluti della Chiesa non sollevarono 
dubbi al riguardo. Il compito della filosofia in ordine alla mo- 
rale si riduceva pertanto a dar forma e veste razionale alle 
massime evangeliche, e tale fu il lavoro compiuto da Tommaso, 
le cui dottrine morali mentre dominarono incontrastate nel 
Medio Evo, sono destinate ad esser in ogni tempo abbracciate 
da quanti non vogliono appagare la ragione col sacrificio delle 
credenze religiose. Maggiore interesse doveva destare il rap- 
porto tra morale e diritto, come quello che si riconnetteva al 
dissidio tra potere laico ed ecclesiastico. Non bisogna dimen- 
ticare che nel Medio Evo il diritto appariva generalmente 
come l'espressione della autorità civile, mentre in fatto di mo- 
rale dominava incontrastata l'autorità della Chiesa. Tale stato 
di cose provocava un secreto dissidio tra norme giuridiche e 
morali, dissìdio che teologi e difensori dell'Impero cercarono 



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- 15 - 

siastica e laica, di cui Tuna disconosceva i diritti della ragione 
e della società civile, l'altra troppo servile alla tradizione 
romana non era riuscita a raccogliere a sistema le sue dot- 
trine, Dante si interpose sovrano. Come nel suo poema aveva 
cercato di conciliare gli interessi del corpo con quelli dello 
spirito sulla base della mutua indipendenza e correlazione, 
cosi nel risolvere la questione dei rapporti fra i due poteri 
egli mette in rilievo Fazione morale della Chiesa di fronte a 
quella dello Stato, la cui attività si esplica sopratutto mediante 
il diritto. Nel campo morale Dante, se si toglie qualche fugace 
accenno ad una morale più larga e umana, si mantiene rigo- 
rosamente stretto ai principi e alle dottrine scolastiche: ma 
ciò non fa che accentuare viemeglio la sua indipendenza e 
originalità di criterio nel trattare la natura del diritto in 
ordine ai limiti e alle funzioni dello Stato. Dante più che 
giurecons.ulto è filosofo del diritto (1); l'importanza della de- 
finizione che di questo diede sfuggi forse a lui stesso, certo non 
fu compresa dai contemporanei e dovettero passare molti se- 
coli prima che per opera del Vico il suo concetto fosse raccolto 
e sviluppato (2). Per Dante il diritto scaturisce dalle condizioni 
sociali, esso è un « vinculum humanae societatis » inteso a 
mantenere tra gli uomini associati l'equilibrio, che le inevita- 
bili disuguaglianze umane tendono di continuo a rompere: esso 
non ha origini soprannaturali, più che al perfezionamento del- 
l'uomo singolo tende al progresso della società, di cui è norma 
direttiva la legge, destinata ad attuare quel concetto di mi- 
sura, di proporzione, di equilibrio che sta a fondamento del 
diritto. Se da un lato Dante riconosce come precipuo scopo 
della morale l'attuazione della virtù e nel suo poema si pro- 



(1) Carle, Vita del diritto, 2» ediz., p. 234. 

(2) Così Dante defiaisce il diritto : « las est realis ac persona lisbomiuia 
ad hominem proportio, qino servata hominnm societatem conserva t, cor- 
rnpta corrumpit ». (De Monarchia, II, 5). La legge è da lui deli n ita : 
« regala directi va vitae »: (id. I, 16) — la ginstizia poi è, secondo Dante 
€ quaedam rectitado sive regala, obliqaam hinc inde abiiciens » (id. I, 18), 



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a quelli deplorati da Dante in ordine alla confusione del po- 
tere laico e religioso; tale corrispondenza accresce- valore ai 
suoi argomenti, alle sue dottrine, le quali possono ancor oggi 
utilmente concorrere alla soluzione della dibattuta questione. 
10. — Il tentativo di Dante di gettar le basi di una filosofia 
giuridica, non fu coronato da successo: fu l'opera di un genio 
che precorre i tempi. Il seme però da lui posto, gelosamente 
custodito per tradizione non interrotta, fu raccolto nell'età 
moderna e concorse efficacemente allo sviluppo della filosofia 
etico-giuridica italiana. Dopo lui, le due correnti ripresero 
ciascuna la propria via; l'ostilità si fece più viva, le differenze 
più profonde. I giuristi con Bartolo e Baldo si mantennero 
sopra un terreno esclusivamente pratico, sdegnando le teorie, 
e rifuggendo da qualsiasi tentativo di raccogliere a sistema 
filosofico le loro idee. Libero rimase il campo alle teorie etiche 
e giuridiche di S. Tommaso; la Chiesa dominando sovrana nel 
campo dei fatti e in quello delle intelligenze fini per creare 
intorno a sé una legislazione, una scienza e un'arte a base 
teologica; sull'ordine religiosa si volle foggiare non solo 
l'ordine morale, ma ancora l'ordine giuridico e sociale (1). 
La teologia scolastica parve assorbire tutte le altre scienze 
nella propria grandezza. Ma all'occhio dell'osservatore at- 
tento non riusciva diffìcile scoprire nel seno stesso della teo- 
logia, il germe della decadenza, dovutar alla esagerazione del 
principio a cui si informava. Particolarmente dissolvitrice fu 
l'opera dei Nominalisti nelle scienze morali. Essi erano i di- 
fensori deU'indeterminismo etico, in quanto consideravano la 
volontà assolutamente libera, non mossa né dalla ragione né 
dalla divinità, e riponevano l'eccellenza morale nella confor- 
mità tutta esteriore ai precetti religiosi e morali. Per tal modo 
l'Etica cristiana si laicizzava, nonostante la proclamata ob- 
bedienza assoluta in materia religiosa. Duns Scotus e Gu- 



(1) Carle, op. cit., p. 239. 



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- 19 - 

nasconde una nuova orientazione della mente umana di fronte 
ai problemi della natura e della vita. 

In ordine sopratutto alle scienze morali, il naturalismo e 
Tumanesimo sono tra i prodotti più notevoli del Rinascimento. 
La natura colla ricca varietà de' suoi fenomeni attrasse gli 
spiriti irrequieti, infiammandoli di sé, e sottraendoli alla con- 
templazione della vita celeste. La Scolastica aveva trascurato 
e disprezzato lo studio della natura. Gli spiriti religiosi del 
Medio Evo guardavano alla natura con un senso di misterioso 
terrore, quasi presagissero il pericolo che dal penetrarne i 
misteri potesse derivare alle loro credenze. Ma per Tuomo 
moderno lo studio della natura fu la palestra nella quale 
prima si addestrò all' infuori del campo chiuso della Scola- 
stica: tale studio doveva pertanto assumere particolare ca- 
rattere antireligioso e antiteologico: aprendo la via alle in- 
venzioni e scoperte, costituiva un grave pericolo per il prin- 
cipio di autorità e per la rivelazione. 

L'umanesimo accenna alla profonda modificazione che il 
poncetto dell'uomo, della sua natura, della sua finalità subiva 
nel Rinascimento. Il corpo rivendicava impaziente i suoi di- 
ritti da secoli conculcati; le soddisfazioni dei sensi non tro- 
varono più alcun ritegno; un senso nuovo di umanità si diffuse 
in aperto contrasto coU'ascetismo medievale ; la vita terrena 
non più coordinata colla futura, cessò di apparire un mezzo 
per acquistare una finalità sua propria. Il desiderio di vivere 
in un mondo le cui bellezze si svelavano sempre più attraenti 
allo sguardo, di soddisfare stimoli a lungo repressi opperò 
indomiti, il ridicolo gettato a larga mano sulle idealità che 
avevano formato la delizia del Medio Evo, finirono per dar 
vita al sensualismo morale, più che esposto nei libri pra- 
ticato nel fatto, al quale non riusci a sottrarsi neppure la 
Chiesa. L'Epicureismo nella sua parte meno nobile, e nel suo 
significato volgare, divenne l'ideale morale del Rinascimento. 
Quest'ultimo trovò nello stato delle coscienze un terreno pre- 
disposto al suo sviluppo, opperò si comprende come la morale, 



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- SI - 

13. — Le idee morali che si generarono dalla Riforma e 
dal Rinascimento non furono nel secolo XVI raccolte a sistema 
filosofico: ciò in parte si deve alla Chiesa di Roma che dopo 
di avere riformato sé stessa, iniziò un movimento di reazione 
contro lo spirito del Rinascimento e il moto protestante, in 
parte si deve allo spirito non meno intollerante ed ascetico 
delle nuove confessioni religiose. Gli audaci tentativi di pen- 
satori forti e originali, quali il Telesio, il Bruno, il Campanella, 
furono soffocati: ad essi rimase la gloria di esser stati i pre- 
cursori perseguitati e incompresi dei- metodi e dei sistemi filo- 
sofici dell'età moderna. L'Etica fu soprafatta dallo spiritualismo 
risorgente, e rimase asservita alla-religione: il protestantesimo 
non fece che ribadire tali vincoli e ritardarne l'emancipa- 
zione. Le voci che invocavano per la morale un'esistenza indi- 
pendente dalla religione non mancarono. Montaigne e Charron 
in Francia, il Bruno in Italia pensarono e scrissero in tal 
senso, ma passarono per sovvertitori della religione e della 
morale e i loro sforzi, rimasti isolati, non esercitarono azione 
efficace sul progresso scientifico della morale. Su quest'ultimo 
esercitò un'influenza diretta e decisiva il rinnovamento delle 
scienze giuridiche, le quali nel costituirsi a scienze filosofiche 
indipendenti attrassero nell'orbita loro la morale, sottraendola 
cosi lentamente all'azione della religione e preparandone la 
definitiva emancipazione. 

Nel Medio Evo non si era formato un diritto filosofico di- 
stinto dalla morale, e le scienze giuridiche propriamente dette 
si riassumevano nell'opera dei pratici intesa a piegare la 
norma di diritto romano agli usi, consuetudini, statuti che la 
scomposta vita medievale aveva generato: ma tale lavoro di 
adattamento a misura che i tempi progredivano, e le condi- 
zioni sociali si modificavano si faceva sempre più diffìcile e 
ingrato. Col Rinascimento sorge tutta una nuova schiera di 
giureconsulti che il Vico chiama filologi: non distratti dai 
bisogni della pratica, essi si preoccuparono solo di far rivivere 
il diritto romano nelle sue fonti e ne' suoi testi antichi, che 



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- 2à — 

)0 e degli interpreti avevano profondamente 
di revisione e di ricostruzione storico-filo- 
>mpiuta, segnò un'era nuova negli studii di 
la se fu di grande giovamento alla conoscenza 
fonda dei testi dell'antico diritto, essa scre- 
do dei pratici, accentuando la discrepanza tra 
e le condizioni nuove di vita sociale, rendeva 
3rso a nuovi principii giuridici. E questa era 
>nza finale a cui portava la Riforma combat- 
e teocratiche della Chiesa e la sua azione 
30 e sociale. Ma più che tutto fu stimolo de- 
tudio filosofico del diritto la formazione degli 

toria della convivenza sociale il Medio Evo 
jeriodo di transizione dalla Città antica allo 
lotto un aspetto esso fu un crogiuolo in cui 

si venne dissolvendo ne' suoi elementi pri- 
un altro aspetto fu un periodo di incubazione 
•ma di convivenza sociale. Il feudo prima, il 
versi per origine, costituzione, carattere si 
-zionarsi della sovranità in un numero grande 
azioni politiche, che di fatto vivevano di vita 
idente. Dai feudi e dai municipii in perpetua 

vennero svolgendo gradatamente organismi 
t seconda della prevalenza dell'elemento feu- 
5, si dissero contee, signorie, principati. Queste 
associazione politica in Italia si mantennero 
3 prepararono l'asservimento allo straniero; 
bissate e abbattute dal potere regio risorto, 
ritto di sovranità. Dall'azione concorde del 
polo si formarono pertanto gli Stati moderni, 
itrati e con carattere nazionale. 4c Lo Stato 

il Carle (1), occupa un posto di mezzo fra il 

t., p. 276. 



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- 23 -* 

particolarismo del Medio Evo, rappresentato dai feudi e dai 
municipii, e il cosmopolitismo della Chiesa e dell'Impero».^ 
Sorto nelle lotte tra la Chiesa e T Impero, lo Stato moderno 
si mantenne ugualmente lontano dalle dottrine teocratiche e 
dalle tradizioni romane. Né le une nò le altre potevano effi- 
cacemente concorrere al lavoro di organizzazione interna, di 
unificazione legislativa, giudiziaria, amministrativa dello Stato: 
del tutto insufficienti apparvero quando si pose il problema dei 
rapporti di reciproca convivenza fra i diversi Stati, sorti dallo 
sfacelo dell'unità medievale. In occasione di esso sorsero i 
giureconsulti filosofi^ e i primi sistemi di filosofia del diritto. 
15. — La violenza, l'astuzia, la frode, come servirono a 
formare gli Stati moderni, cosi costituirono l'arte di governo 
a cui principi e sovrani apertamente ricorsero per consolidare 
e conservare il potere, il Macchiavelli fu maestro insuperato 
di questa politica violenta e immorale che si inspirava solo 
alle dure necessità dei tempi. In ogni epoca l'intelletto umano 
traviato dall'ambiente e dalle condizioni di vita esteriore, si 
rigenera e si apre nuove vie astraendo dalla realtà, rifacendosi 
a certi principii generali che rimangono pur sempre patri- 
monio inalienabile della natura ragionevole dell'uomo. La 
ragion naturale fu la fonte da cui i giureconsulti filosofi tras- 
sero nel 500 norma e criterio a regolare la vita degli Stati. 
Si venne per opera loro formando una scienza nuova, detta 
del diritto naturale la quale, nel suo comparire, parve ricon- 
nettersi ai concetti del jus gentium, e del jus naturale ela- 
borati dai giureconsulti romani nell'ultima fase di sviluppo 
dell'antico diritto. L'espressione « jus gentium » significò dap- 
prima presso i Romani i principii di diritto che il magistrato 
era chiamato ad applicare quando non essendo comune alle 
parti in causa la qualità di cittadino romano, era inapplicabile 
lo «jus civile »; praticamente comprendeva i principii di diritto 
comunemente ammessi e riconosciuti da tutti i popoli coi quali 
1 Romani erano più a contatto (1). Lo jus gentium non aveva il 



(2) Bitohiei Naturai righta, London 1895, p. 37 e seg. 

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- 24 - 

3 determinato del jus civile : applicato sopra 
argo, regolando rapporti più complessi doveva 
ispirarsi all'equità e nel fatto accostarsi al 
e dì natura, che i Romani avevano appreso 
eca. Lo jus gentiuni fini per confondersi col jus 
colTestensione progressiva della cittadinanza, 
e differenze politiche tra le varie parti del- 
sto xeanQ a comprendere popoli diversi per 
li, leggi : allora si formò nel seno dei giure- 
etto largo e generale del jus naturale che Ul- 
r. quod natura omnibus animalibus docuit (2) » 
generalità e indeterminatezza era suscettibile 
iplicazione. In Roma quindi lo jus naturale fu 
ossario delle speciali condizioni politiche dei- 
si svolse per gradi dal jus civile e dal jus 
etti di jus gentium e di jus naturale risorgono 
carattere e significato diverso. Nel 500 lo jus 
come in Roma la generalizzazione del diritto 
appresenta da un lato un indirizzo di riforma, 
lisce una fonte di diritto affatto nuova, che il 
i rapporti fra gli Stati, da poco tempo costi- 
saria. Epperò lo jus naturale fu dapprima invo- 
i rapporti di pace e di guerra fra i vari Stati, 
gentium, che corrisponde solo di nome al jus 
nani, e che meglio potrebbe chiamarsi un jus 
azionale. Questo nuovo jus gentium aveva ca- 
ie in quanto le sue norme si inspiravano ai 
a retta e illuminata ragione voleva applicati 
i diversi Stati. Se non che lo jus naturale pur 
tosse da rapporti di carattere pubblico inter- 
iva un nuovo metodo nel campo delle scienze 
ava le basi filosofiche del diritto, e fini per 
ipo del diritto privato, sottoponendone a re- 

I, 2. 



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— 36 - 

morale stessa. Il perfezionamento deiruomo-individuo 
iteressa cosi come interessano le questioni attinenti la 
olitica e giuridica degli Stati: la vita contemplativa 
di apparire come l'ideale della perfezione, e si cominciò 
ire la necessità di formare più che l'uomo, il cittadino, 
l'uomo nella pienezza de' suoi diritti civili e politici : 
moriva lo svolgersi delle dottrine giuridiche, così come 
icuranza degli interessi terreni favori nel Medio Evo 
fezionamento interiore dell'uomo, da cui si svolge la vita 
3. Né solo ad una inversione del rapporto tra morale e 
) assistiamo nel passaggio dall'Evo medio al moderno, 
l una totale confusione di criterii e di principii tra le 
3ienze: nel Medio Evo la confusione si avvera a tutto 
^io della morale, nel 500 assistiamo al sacrificio di 
ultima agli interessi del diritto. Tutte le opere sul di- 
laturale presentano uno spiccato carattere di indistin- 
fra la morale e il diritto, e ben può dirsi in linea ge- 
) che la scuola metafisica non riuscì a distinguerne 
aente i rispettivi dominii, malgrado gli sforzi fatti da 
) de' suoi più celebri rappresentanti. 
— Pure anche la scuola metafisica ha la sua impor- 
nello studio dei rapporti tra morale e diritto. Sorta in 
zione allo spìrito teologico, essa raccolse anzitutto i suoi 
nel trovare alle scienze morali una base indipendente 
religione. Era questo compito delicato e difficile, se si 
alla natura della questione, all'opposizione vivissima 
diverse Chiese, cattolica e protestanti, mossero a quanti 
ano in dubbio il loro diritto a regolare la condotta, alla 
one grande delle tradizioni spiritualiste, che nell'età 
na trovarono nuovi e autorevoli rappresentanti. Né qui 
5stò l'opera della scuola metafisica : essa affrontò la que- 
dei rapporti tra morale e diritto, che teologi e cultori 
ritto naturale continuavano per cause diverse a mante- 
confusi: essa si rese esatto conto delle conseguenze ul- 
che datale indistinzione potevano derivare nel definire 
ti dell'azione dello Stato. 



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• e* 



- 27 - 

Il modo di intendere l'uomo e la sua natura può assumersi a 
criterio di classificazione dei diversi indirizzi che in ordine al 
rapporto tra morale e diritto sorsero in seno alla scuola metafi- 
sica. Il Grozio e la sua scuola traggono dalla natura socievole 
dell'uomo il fondamento delle loro concezioni etico-giuridiche: 
nella storia del rapporto tra morale e diritto essi rappresen- 
tano l'indirizzo giuridico più che filosofico, ma il concetto da 
cui movevano se giovava agli interessi del diritto, disconosceva 
le energie intrinseche dell'uomo da cui si svolge la vita mo- 
rale. Hobbes e in genere i filosofi inglesi fondano la distinzione 
tra morale e diritto sulla natura egoistica dell'uomo, e rap- 
presentano l'indirizzo utilitario e individualista. L'indirizzo 
cartesiano, che culmina in Emanuele Kant, eleva e nobilita 
la ragione umana, la quale cerca in sé stessa un precetto 
categorico e assoluto, che possa esser posto qual fondamento 
all'edifizio morale e giuridico. Da ultimo questi diversi con- 
cetti, entrando come elementi costitutivi della filosofia francese 
del secolo XVIII, gettano le basi di una filosofia sociale, da 
cui traggono vita e significato la morale e il diritto. Questi 
diversi indirizzi derivano il loro carattere metafisico dal con- 
cetto imperfetto o parziale, che si formano della natura 
umana: con tutto ciò si collegano strettamente colle vicende 
storiche e politiche dei tempi e dei paesi che li produssero: 
più particolarmente essi preparano quelle premesse teoriche 
che la Rivoluzione francese cercherà tradurre nella realtà. 



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— 29 — 

analizzata nella .sua essenza, ne' suoi elementi costitutivi, essa 
parve fornire i principii atti a regolare la vita degli individui 
e degli Stati : tali principii, superiori alla volontà degli uomini, 
non soggetti alle mutevoli vicende storiche, trovavano nell'or- 
dine stesso delle cose create la loro base salda e incrollabile. 
Si andò cosi generalizzando il concetto del diritto naturale, 
espressione ultima dell'ordine dell'universo nel campo dei 
rapporti individuali e sociali. Mira costante dei cultori del 
diritto naturale fu di risalire, mediante un processo di astra- 
zione rigorosamente applicato, dall'uomo storico quale nella 
realtà si presenta co' suoi vizii, abitudini, pregiudizii, tradi- 
zioni, costumanze all'uomo naturale, quale appariva al lume 
di una ragione illuminata, spogliato delle qualità e determina- 
zioni successive che sono l'opera lenta ed inevitabile del 
tempo e della storia: l'uomo naturale venne pertanto a con- 
trapporsi all'uomo storico, come l'ideale al reale, l'astratto al 
concreto, l'universale al particolare, l'assoluto al relativo. Si 
comprende allora come il diritto dovesse intendersi, l'insieme 
delle norme e delle facoltà spettanti all'uomo naturale, e a 
somiglianza di questo dovesse considerarsi assoluto, immu- 
tabile, universale, in contrapposto al diritto storico, quale era 
inteso dai giureconsulti pratici e filologi. 

La ricostruzione dell'uomo naturale dischiuse la via alla 
concezione dello stato di natura; si ricostruì l'uomo collet- 
tivo cosi come si era fatto per l'uomo singolo. Le tristi condi- 
zioni politiche del 500 parvero giustificare la credenza in una 
profonda alterazione della società umana quale là natura e la 
ragione consigliavano, opperò fecero sorgere il concetto di 
una società ideale, riunione di uomini regolati nei loro reci- 
proci rapporti dalle norme del diritto naturale e contrapposta 
alla società storica e reale. 

Nel concetto largo e indeterminato che dell'uomo e dello 
stato di natura si formarono i giureconsulti e i filosofi del 500, 
noi possiamo riscontrare la causa originaria della confusione 
tra morale e diritto. Questi due concetti a misura che si allon- 



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— 30 — 

realtà storica tendono a confondersi in una 
iella quale scompaiono le differenze specifiche, 
ridica, quando si derivi non dal concetto di 
aimente organizzata, ma dall'uomo individuo e 
ira, facilmente assume forma e contenuto etico, 
natura, concepito all'infuori di ogni organizza- 
generava rapporti di carattere morale più che 
•iva lo svolgersi di doveri più che di obbliga- 

iparsi del diritto naturale furono non i filosofi, 
iulti. Trionfando dei tentativi e delle incertezze 

Ugone Grozio iniziava il nuovo indirizzo nello 
tto. Contro di lui uscirono dal seno della Chiesa 
sitori, di cui fu mira costante la conciliazione 
eriche sul diritto naturale colle dottrine reli- 
ali. Nelle vicende di queste due scuole, si rias- 
ione giuridica nelle scienze morali, 
in cui visse ed esplicò la sua attività Ugone 
il periodo delle lotte religiose e dei contrasti 

quali gli Stati moderni parvero uscire rifatti 
alle fondamenta. Tutto si rinnova nel periodo 
chiude colla pace di Westfalia; il lavoro di 
liversi elementi dapprima contrastanti, è com- 
i di guerra, l'arte di governo, si trasformano 
geniale di uomini quali il Richelieu, Gustavo 
). Al succedersi non interrotto di uomini illustri 
la politica nel campo dell'azione, fa riscontro 

pensiero la prevalenza quasi esclusiva degli 
se politiche e sociali. Ugone Grozio ha un'im- 
jerto minore di quella dei grandi dell'età sua, 
< e allarga l'opera : uomo di pensiero e di azione 
ottima egli stesso delle persecuzioni religiose, 
di ambasciatore egli assiste al trionfo della 
chelieu, sostenuta dall'armi Svedesi, contro la 
transigenza cattolica e protestante. 



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- 31 - 

In tempi cosi agitati Grozio si fece maestro di una nuova 
scienza politica, la quale senza rinnegare la storia e le esi- 
genze pratiche, si inspirasse ai dettami di una vzg^osìB iiki- 
minata. La dottrina politica di Grozio contrapposta a quella 
bandita un secolo innanzi dal Macchiavelli, segna tutto il 
progresso fatto dalle idee morali e politiche nel passaggio dal 
secolo XVI al secolo XVII. Macchiavelli inaugura la politica 
della frode, e dell'astuziaj derivandola dalla natura egoistica 
dell'uomo. Grozio trae la politica dalla innata socialità umana 
e la vuol giustificata agli occhi della ragione e della storia. 
Essi riassumano due epoche storiche diverse e concretano in 
sé due opposte concezioni etico-giuridiche. Occasione a scrivere 
fu per Grozio la vexaia quaestio dei rapporti di pace e di 
guerra, che prima di lui aveva formato oggetto di infinite 
discussioni (1). Ninno però di quelli che lo precedettero, da 
tali rapporti di natura speciale, erasi sollevato a principii 
generali atti a servir di fondamento alle scienze morali lar- 
gamente intese. Ciò fu fatto da Grozio, il quale tra l'empi- 
rismo dei giureconsulti, e le astrazioni dei filosofi, aprendosi 
una via nuova, riusci a dare la soluzione che meglio risponde 
agli scopi e alla natura delle scienze morali in genere, delle 
scienze giuridiche in particolare. 

20. — Nella storia delle scienze morali Grozio occupa un 
posto notevole per aver tentato l'applicazione di un metodo 
nuovo che mentre si distingue dai metodi tradizionali, si ri- 
connette con metodi propri dell'età moderna, col metodo ra- 
zionale da un lato, col metodo storico dall'altro. Prima di lui 
le menti ondeggiavano incerte tra indirizzi opposti, né riu- 
scivano a sottrarsi all'influenza dei metodi in uso presso gli 
scolastici e i giureconsulti. I primi abilissimi nella deduzione, 
difettavano nelle premesse, arbitrarie e teologiche: la morale, 



(1) Ricordiamo tra i predecessori di Grozio, Francisco de Vtotoria (1486- 
1546), Balthazar Ayala (1548-84) e specialmente gli italiani Albmoo Gentile 
e Fierino Belli da Alba, 



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— 32 — 

ui il diritto era un'ulteriore esplicazione, era rigorosa- 
te dedotta dai principii rivelati. I giuristi non avevano 
)do proprio, intesi com'erano a piegare alle esigenze della 
Lea il diritto romano, la cui autorità non potevasi in niun 
recar in dubbio. Grozio riassume in sé la tradizione 
D&ca. e giuridica, in quanto, non sdegna la deduzione e 
'ezza l'autorità del diritto romano; ma modifica entrambe, 
he alla deduzione dà un fondamento razionale, e l'au- 
;à estese a comprendere il consenso del genere umano, 
istinse cosi dagli Scolastici, per aver sottratto il me- 

e le scienze morali ai presupposti religiosi (1); non si 
use coi seguaci del metodo razionale, che Cartesio inau- 
Lva in appresso (2), integrando le affermazioni della ra- 
e colle testimonianze tratte dalla tradizione e dalla storia, 
a ragione si vale Grozio per risalire alla vera natura 
uomo, nella quale devesi trovare il fondamento alla scienza 
diritto naturale, sottratto ad un tempo all'arbitrio divino 
nano (3). Ma da uomo pratico e esperimentato alla vita 
jlica, Grozio comprese l'insufficienza e il difetto del me- 

razionale: applicato in tutto il suo rigore esso metteva 
) a un diritto astratto e ideale che mal prestavasi a re- 
re la moltiforme vita degli Stati. Sopratutto per i diritti 
jenti nei rapporti tra i yarii Stati, deve valere come cri- 
} di verità non tanto la loro razionalità, quanto il fatto 

sono comuni a tutti i tempi e luoghi, e sono univer- 
lente ammessi e osservati (4): la stessa autorità degli 



I Intorno alla iudìpeiidenza del diritto naturale daJla religione cfr. 
ìire belli ao paois, Prolegomeni $ 1 1 ove dice : « quae diximns loQnm 
rent etiam bi daremus non esse Deum; aut non curari ab eo negotìa 
Sina » — Al $ 10 del Libro I, Capo i dice: vv est autem jus naturale 
immutabile, ut ne a Deo quidem mutari queat ». 
I Grozio (1582-1645) pubblicò l'opera 8ua nel 1625: Cartesio pnb- 
va il Discorso sul metodo nel 1636. 
). Cfr. De jure eto. Proleg, $ 39. 
) Cfr. Op. oit. Proleg, } 40, 



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;jdk 



— 33 — 

scrittori, purché non si trasformi in tiran 
zioni, gli usi, purché si presentino con car 
universale devono, secondo Grozio, venir in 
latore e servir di fondamento al diritto (2). I 
di metodo più che il filosofo rivelavasi il g 
21. — La ragione, l'universale consenso, 
degli scrittori inducono Grozio nella convin 
è un essere essenzialmente e principalment 
tale è fornito del linguaggio e delle facoltà 
operare (3). 11 diritto naturale che si confc 
del giusto, è una conseguenza e una necess 
tura socievole e comprende tutto ciò che a 
genze della sociale convivenza è conformi 
l'utilità, la forza, il timore non possono ce 
mento del diritto: ammette che l'utilità posì: 
sua formazione come causa occasionale e e 
la forza sia mezzo efficace di attuazione è 
nega recisamente ch'esse possano formarne 
senziale (5). Immutabile e costante viene 



(1) Cfr. Op. cit. Proleg. $ 42. 

(2) Cfr. Op. cit., Libro I, e. i, $ 12, ove chiara 
natarale probari solet a pHoriy si ostendatur rei alic 
disconveuientia necessaria oum natura rationali ac soci 
si non certissima fide, certe probabiliter admodnm, 
colligitur id qaod apnd omnes gentes tale esse credi 

(3) Cfr, Op. cit. Proleg, $ 6: #( Inter baec qiiae 
est appetitus societatis ». Cfr, ancbe id. id. $ 7 e £ 

(4) Cfr, Libro I, e. I, $ 3 : « Jus uihil aliud qui 
significat ; est autem injnstum, quod uaturae societs 
ropugnat ». 

(5) Cfr. Op. cit. Proleg, $ 16; « Naturalis juris mi 
natura, quae nos, etiamsi nulla re indigeronius, ad 

appetendam ferret; sed naturali juri utili tas ac< 

anche il $ 17 ove parla dell'utilità come causa detor 
del diritto delle genti. Sull'importanza della forza e 
ritto, cfr. ib, ib. } 19. 



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— 34 — 

naturale cosi come la natura umana da cui 

di un diritto fondato sulla natura umana, 
il concetto di uno stato di natura prepolitico, 
kto naturale trova completa attuazione. Le sue 
;orno all'origine della proprietà (2), fanno pen- 
'ma di convivenza ideale sotto la guida della 
[uale regnano la concordia e la sicurezza. Di 
un contratto originario che avrebbe determi- 
io dalla società naturale alla società civile (3). 
ste sul concetto di uno stato di natura, e non 
, realmente esistito: ma è indotto dalla logica 
ii ad ammetterne la possibilità e a farne il 
rico del suo sistema. Come la condotta ideale 
, il diritto naturale, così la società civile deve 
a la società razionale rispondente alla natura 
omo. 

lubbio che il problema intorno a cui staffa- 
nti all'epoca di Grozio era di natura giuridico, 
proposte presentano spiccato il carattere etico, 
essariamente accadere in un'epoca in cui la 
ipporti tra morale e diritto non era ancor posta, 
sava assai più trovare alla condotta, intesa 
•apporti politici, una base propria, indipendente 
e dall'arbitrio del principe. La base nuova si 
latura umana la quale, studiata con procedi- 
e nell'uomo singolo, si presentava comune alla 
ritto. Ciò fu fonte precipua di confusione e di 
l'epoca in cui non si concepiva la morale stac- 
igione, spesso bastava il carattere razionale 

j. I, e. 1, J 10, u. 5. 
u Lib. II, e. Il, $ 2. 

;. Lib, II, e, li, $ 2, n. 5 — Grozio defluisce la società 
e. 1, $ 14: «est civitas coetus perfectns liberoruni ho- 
>iicU et comaais utilitatis causa sociatus ». 



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— 35 — 

della norma proposta per farla considerare giuridica. Né meno 
profondamente radicata era l'idea che la vita morale si con- 
centrasse nell'individuo, al cui perfezionamento interiore do- 
veva sopratutto mirare: opperò era naturale la tendenza a 
considerare come giuridica ogni norma diretta a regolare 
rapporti esterni sorgenti tra gli individui, o tra questi e lo 
Stato, o sopratutto tra Stati diversi, senza por mente che 
tali norme si traevano da quello stesso principio, da cui in 
epoca non di molto posteriore altri avrebbe derivato la vita 
morale. 

Grozio pur assecondando l'indirizzo generale favorevole alle 
costruzioni astratte, tradisce la naturale tendenza del suo 
ingegno verso gli studii giuridici ; egli riconosce l'importanza 
decisiva della tradizione e dell'autorità nel determinare i rap- 
porti di natura giuridica, intravede la distinzione tra morale 
e diritto quando osserva che la morale è inseparabile dalla 
religione (1) e là ove parla di un diritto nel suo vero o stretto 
senso {eius juris qvtod propìzie tali nomine appellatur) e di un 
diritto in un senso improprio, che noi meglio faremmo rien- 
trare nel campo della morale (2). Ancora distingue Grozio tra 
ciò che è dovuto per debito di giustizia e ciò che è dovuto 
per motivi di liberalità, misericordia, affetto, ossia per obbligo 
morale (3). Il dominio di sé e dei propri appetiti costituisce 
per Grozio un obbligo che non può imporsi né per forza d'armi. 



(1) Op. oit. Proleg. $ 2, n. 2: altrove osserva ohe le verità del diritto 
sono tali ohe anche l'ateo è costretto ad ammetterle e praticarle. 

(2) Cfr, Op. cìt. Proleg. $ 8, 9, 10: al $ 44 dice: « cum injtistitia non 
aliaju naturam habeat qnam alieni umrpationem ecc. ». Con tale espres- 
sione Grozio coglie la vera uatnra del giusto e delP in giusto. 

(3) Cfr. Op. cit. Lib. Il, e. ir, $ 16: « Illud quoque sciendum, si quia 
quid debet non ex justitia propria sed ex virtute alia, puta liberalitate, 
gratia^ misericordia, dilectioue, id sicut in foro exigi non potest, it^ nec 
armis depoaci ». — Altrove (Op. cit. Libro II, e. vii, $ 4) fa rientrare 
il dovere di allevare i figli nella sfera del diritto in seuao ampio, oasia 
della morale. Si noti che Grozio non parla nell'opera sua di doveri : il 
ano silenzio prova ch'egli li escludeva dal campo della filosofia giuridica, 
e li considerava appartenenti alla religione o alla morale. 



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v:*^^^ 



— 36 — 

irtù di legge. L'adempimento di tale obbligo, se può 
nella sfera del diritto naturale largamente inteso, 
interessare che indirettamente l'ordine giuridico- 
)onde si vede che Grozio intuì le esigenze della vita 
e tra i cultori di diritto naturale solo seppe evitare 
:uenze estreme, a cui conduceva l'applicazione del 
azionale in ordine al diritto, meritandosi giustamente 
il nome di giureconsulto del genere umano, 
tezza che Grozio dimostra nel distinguere la morale 
to, si riflette nella determinazione dei rapporti tra 
) e Stato. Secondo la dottrina di Grozio lo Stato non 
istenza e una realtà propria, distinta dagli individui 
impongono: esso deriva la sua esistenza da un patto 
volontario che gli uomini, seguendo i dettami della 
stringono tra di loro per conseguire gli scopi propri 
)cietà razionale, la pace e la sicurezza (1). Di qui 
zione di uno Stato immutabile ne' suoi diritti e nelle 
igazioni, la cui opera è intesa ad attuare l'utile co- 
bene pubblico. Pur riconoscendo il carattere astratto 
irio di tale concezione, non può negarsi l'idea feconda 
ssa si conteneva, esser lo Stato distinto e indipen- 
Llla persona del Principe. Fondando la Stato sopra 
3 razionale e immutabile, scuotendo dalle fondamenta 
e comune al suo tempo che lo personificava nel prin- 
)zio sottraeva lo Stato alle vicende dei governanti, 
lastie, delle forme di governo; determinando i limiti 
lizioni per l'esercizio della sovranità, egli pronunciava 
,nna della tirannide e dei governi assoluti (2). 
Grande pertanto viene ad essere l'importanza di Grozio 
)ria delle scienze morali. Per apprezzarlo al suo giusto 



Op cit. Proleg, $ 15, 16 ove P A. afferma che il patto origiuò 
civile e la società civile. 

Op. cit. Libro II, e. iv, ove tratta della coudizioiie giuridica 
;i, e sopratutto il capo XIV in cui parla dei doveri e obblighi 
pf, ecc. 



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- 37 - 

valore bisogna tener conto della condizione creata alla Chiesa 
e*airimpero dai tempi nuovi. Le dottrine della Chiesa inspi- 
rate alle massime evangeliche mal potevano piegarsi a rego- 
lare rapporti d'indole politica. Lo Stato moderno era sorto in 
opposizione ai principii ecclesiastici, e svolgevasi all'infuori 
dell'azione morale della Chiesa, la quale manteneva ancora 
incontrastato il suo dominio nell'intimità delle coscienze in- 
dividuali. E coir autorità della Chiesa nei rapporti sociali 
era venuta meno l'autorità dell'Imperatore, che in altri tempi 
personificava in sé l'ordine sociale e politico ed era chiamato 
giudice supremo delle controversie tra i popoli cristiani. La 
teorica dell'illimitata volontà del sovrano in materia giuridica 
e politica andava radicandosi ed estendendosi ovunque : essa 
portava alla separazione assoluta tra morale e diritto, al trionfo 
dell'utile, dell'egoismo, e apriva la via alla tirannide più o- 
diosa. I popoli venivano ad esser abbandonati all'arbitrio del 
Principe, e la forza e la violenza diventavano sinonimi di 
diritto e di giustizia. Grozio che sentiva vivo nell'animo il 
desiderio dèi bene, l'amore alla libertà e alla giustìzia, si levò 
con tutta la vigoria del suo intelletto contro il diffondersi di 
tali teorie : alla volontà illimitata di principi increduli e spre- 
giudicati égli oppose l'autorità eterna e immutabile della ra- 
gione: all'egoismo imperante nei rapporti tra sudditi e sovrano, 
e dei popoli tra loro, egli oppose la concezione di un diritto 
e di uno Stato naturale, derivati dall'umana natura: nella 
guerra stessa egli mostrò come le leg^i non rimangono mute. 
I popoli moderni devono pertanto riconoscere in Grozio il 
primo autorevole difensore dei loro diritti, e delle loro libertà : 
come tale egli precorre i razionalisti del secolo scorso, ma di 
essi non conobbe le esagerazioni: passando dalle concezioni 
teoriche alle applicazioni pratiche, egli ammise e adottò tem- 
peramenti, pei quali si rileva giureconsulto e uomo d'azione. 
24. — Grozio esercitò una notevole influenza sullo sviluppo 
ulteriore delle scienze morali : egli aveva fatto convergere nel 
suo sistema due indirizzi diversi, l'indirizzo filosofico razionale, 



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— 38 — 

amente giuridico, derivata dalla storia 
sti due indirizzi, il primo più rispon- 
e intorno a sé più numerosi seguaci, 
va per il momento eclissarsi, e confon- 
[uelle della scuola storica, che solo più 
irsi nel campo delle scienze morali. Tra 
nente si inspirarono alle dottrine di 
e Samuele Pufendorf. Egli appartiene 
secolo XVII, quando l'era delle lotte 
e il periodo della formazione degli Stati 
imente tramontato. La questione dei 
Stati aveva perduto di attualità e di 
L considerare nella coscienza dei popoli 
ipii proclamati da Grozio. Maggior in- 
estioni attinenti la sovranità, la costi- 
li Stati, i rapporti tra i sudditi e il 
del diritto. Pufendorf si propone ap- 
lla parte del sistema di Grozio, che 
in forma di prolegomeni all'opera sua; 
originale, ma di svolgimento e di siste- 
tro questi confini Pufendorf riesce in- 
: di Grozio egli svolge il lato filosofico 
uridica, e disconoscendo la distinzione 
le nel sistema di Grozio era adombrata 
3nuta: subisce l'influenza de' nuovi in- 
i all'epoca sua si erano affermati nelle 
generale per opera di Cartesio, nelle 
colare per opera di Hobbes e di Spinoza, 
ja tenta senza riuscirvi l'applicazione 
) allo studio del diritto naturale (1), e 
jolutiste subisce l'influenza di Hobbes, 
li combatterlo e di far trionfare le idee 



la jìiris unìversalìs methodo mathematlcaf Hagae 



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— 39 — 

Per Pufendorf Toiiesto e il giusto, che sono gli elemei 
generatori della vita morale e giuridica, non hanno esisten 
obbiettiva: sono qualità soggettive inerenti non alle cose i 
alle azioni, in quanto queste si conformano alla legge pi 
scritta dalla volontà di un superiore, il quale viene pertar 
ad essere la fonte della vita morale e giuridica (1). Morale 
diritto hanno comuni le origini, e la natura : la morale este 
ai rapporti sorgenti tra le persone diventa giustizia, la e 
osservanza non pur esteriore, ma intrinseca costituisce 
dovere (2). Con Grozio ammette l'ipotesi dello stato di natui 
concepito all'infuori di ogni istituzione civile, nel quale le leg 
della condotta sono imposte dalla ragione in conformità al 
natura socievole dell'uomo, da cui scaturisce il principio g 
neratore del diritto naturale, e tutta la serie dei doveri e 
l'uomo ha verso sé stesso (3). Necessità egoistiche di sicurez 
più che naturali sentimenti di benevolenza hanno indotto { 
uomini a uscire dallo stato di natura, a stringere un co 
tratto da cui trae origine la società civile, la legge positi^ 
lo Stato (4). Nella società civile fonte della morale e del ( 
ritto è la volontà del principe (5): in questa parte Pufend( 



(1) Cfr. Pnfe^idorf : Dejure naturae etgentium (1672). Libro I, e. 2, $ 
« Honestas sive necessitas moralis et tarpitudo suut affectiones actiom 
huiuaDarum, ortae ex couvenientia aut disconveuientia a norma seu le[ 
lex vero est inssum superioris ; non apparet qnomodo honestas aut ti 
pitndo intelligi possit ante legeni et citra snperìoris impositionem » 
Cfr. anche Lib. I, e. vi, $ 4 : € lex est decretum quo snperior sibi snbìecti 
obligat ». Cfr. anche id. id. $ 6 e seg. 

(2) Cfr, Pufendorf, Op. cit. Libro I, e. vii, $ 3 e per il conce 
della giustizia cfr. id. id. $ 6, 7 e seg. 

(3) L'A. tratta dello stato di natura nel Libro II, e. il, Op. cit. V< 
circa il principio fondamentale del diritto naturale^ Op. cit. Lib. Il, e. ] 
$ 15. Sui doveri dell'uomo verso sé stesso^ vedi Op. cit. Libro II, e. : 

(4) Op. cit. Libro VII, e. i, $ 7: « Genuina et princeps causa, quj 
patres familias, deserta naturali libertate^ ad civitates constitneudas < 
scenderint, fuit, ut praesidia sibi cìrcumponerent, contra mala qnae hom 
ab homine imminent ». — Sull'orìgine e costituzione dello Stato, cfr. C 
cit. Libro VII, e. II. 

(5) Op. cit. Libro Vili, e. i. 



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— 40 — 

gue Hobbes, uè vale ch'egli si sforzi a ili umiliare il so- 
dano circa i suoi doveri, poiché dalla volontà di esso trag- 
►no pur sempre fopza obbligatoria le leggi. Pufendorf accetta 
svolge la dottrina di Grozio finché considera l'uomo nello 
ato di natura, sotto l'impero della ragione e delle sue ten- 
enze socievoli : ma quando tratta della società civile, ch'egli 
insiderà sorta in opposizione alle naturali tendenze del- 
lomo (1), si accosta all'Hobbes, col quale inaugura la teorica 
iricolosa secondo cui la salute pubblica é legge suprema 
>llo Stato (2). Cosi se da un lato disconosce completamente 

natura del diritto, trasformandone la dottrina in una dot- 
ina dei doveri dell'uomo, dall'altro fa della volontà del so- 
dano la fonte di ogni obbligazione morale e giuridica col 
Lcrificio incondizionato dell'individuo e delle sue naturali 
ndenze agl'interessi dello Stato. 

25. — Al Pufendorf spetta incontrastato il merito di aver 
lCCoUo a sistema il materiale che da ogni parte sulle orme 

Grozio si era andato accumulando: quindi in lui i caratteri 
onerali e le conseguenze ultime dell'indirizzo che mette capo 
Grozio e che sul continente trovò largo seguito di cultori, 

manifestano nelle forme più spiccate. Studiando Pufendorf 
)i possiamo misurare tutta là portata scientifica e pratica 
dio stqdio sul diritto naturale, il quale costituisce la scienza 
iciale dell'epoca, intorno alla quale gli spiriti nuovi, deside- 
»si di riforme si raccolgono per tentare la soluzione dei più • 
ariati problemi religiosi, etici, politici. Si viene pertanto 
aturando nel campo delle scienze morali una rinnovazione 
laloga a quella^ che si andava dispiegando nel campo delle 
ienze fisiche e naturali. Nella storia del diritto naturale, 
:*ozio rappresenta la mente inspiratrice, il Pufendorf la mente 
►ordinatrice. Si comprende allora come in Pufendorf dovesse 
jcentuarsi la confusione tra morale e diritto. Anch'egli di- 



ci) Op. cit. Libro VII, e. i, $ 3 o sopratutto $ 4. 
(2) Op. cit. Libro VII, e. il, } 8. 



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- 41 - 

stingue tra « forum internum et exteriium », ma quello abban- 
dona alla teologia e fa materia della filosofia giuridica il vasto 
campo del forum externum ossia della condotta in generale 
ne' suoi rapporti esteriori (1). Nell'estensione assunta dalla 
scienza del diritto naturale, svoltasi all'infuori della religione 
e sopra basi razionali, tendente a quella costanza e immuta- 
bilità, che in altri tempi attribuivasi alle manifestazioni della 
volontà divina, si nascondeva un pericolo grave per l'avvenire 
delle scienze morali. La confusione tra morale e diritto nelle 
forme esagerate, ch'essa assume nei sistemi di Hobbese di Pu- 
fendorf, minacciava risolversi nel fatto in una tirannia delle 
coscienze per parte dello Stato, analoga a quella che in altri 
tempi erasi deplorata per parte della Chiesa* Chi si rese per- 
fetta coscienza del pericolo e corse al riparo fu Cristiano 
Thomasius. 

26. — Spirito irrequieto e veemente, ingegno satirico, sprez- 
zante Thomasius ebbe la mania del nuovo, non però, come 
spesso capita, del paradossale: che anzi il suo odio per gli 
aristotelici, il suo disprezzo per la metafisica rappresentavano 
in lui la reazione del senso comune contro il convenzionalismo 
aristocratico della scienza ufficiale, le sottigliezze inutili e 
dannose nelle quali il pensiero del suo tempo si perdeva; fu 
sua mira costante rianimare la filosofia col contatto della 
realtà, infonderle uno spirito nuovo, e sopratutto indirizzarla 
ad uno scopo di utilità individuale e sociale (2). Era naturale 
ch'egli si volgesse di preferenza verso gli studii di diritto 
naturale, che rappresentavano l'indirizzo nuovo e nello stesso 



(1) Vedi in proposito la critica severa che il Leìbuitz fa dei prinoipii 
esposti dal Pufendorf, cli^ egli teneva in poco conto e come filosofo e 
come giureconsulto. — Leibnitz : Opera, Ed. Dutens, Voi. IV, Parte in, 
pag. 275 e seg. 

(2) Thomasias (1655-1728) nel 1681 insognò matèrie giuridiche a 
Lipsia : nel 1690 per sfuggire alle persecuzioni esalò a Berlino presso 
l'Elettore Federico III, che gli offerse nel 1694 una cattedra all'Università 
di Halle. 



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— 42 - 

npo pratico della scienza filosofica. Anche in questo campo, 
r non uscendo dall'indirizzo iniziato dal Grozio e continuato 
1 Pufendorf, ebbe modo di dar prova del suo spirito originale. 
\bbiamo di Thomasius due opere sul diritto naturale (1), 
ritte a distanza di 17 anni, le quali misurano il progresso 
to dal suo pensiero in questo periodo di tempo. Vissuto 
i la fine del secolo XVII e il principio del nuovo, egli rias- 
me quanto prima di lui si era fatto nel campo degli studii 
iridici, e si fa eco delle tendenze nuove, da cui si gene- 
rono riUuminismo tedesco e la filosofia kantiana. Nella 
ima delle opere sopra ricordate noi possiamo scorgere tutta 
ifluenza esercitata da Grozio e da Pufendorf sul suo pen- 
iro: con essi concorda nel dare alla scienza del diritto 
turale come fondamento la natura socievole dell'uomo sot- 
lendolo ad ogni vincolo teologico (2), nell'accettare le finzioni 
Ho stato di natura e del patto per la costituzione della sc- 
ita civile (3), nel derivare, sull'esempio di Pufendorf, il 
•itto dalla volontà di un superiore (4). Fin da questa prima 
era Thomasius mostra di meglio comprendere la natura del 
•itto, affermando recisamente che non si dà diritto fuori 
Ila società, né società senza diritto (5) : ma non pone ancora 
'suoi veri termini la questione dei rapporti tra morale e 
'itto: ciò fece solo più tardi sotto la pressione di speciali 
•costanze di fatto e per motivi pratici, che costituiscono la 
usa intima e motrice di tutto lo sviluppo della sua dottrina. 
27, — La Sassonia, in cui Thomasius viveva insegnando a 
psia, era in quell'epoca teatro di aspri dibattiti religiosi, 
protestantesimo attraversava in Germania una crisi labo- 
)sa. Le lunghe, interminabili polemiche teologiche ne avevano 



[1) InstUutiones jurisprudentiae divinoCj 1688. — Fundamenta juris naiurae 
gentium ex sensu communi deducta ecc. 1705* 

[2) Cfr. InstUutiones ecc. Libro I, e. iv, $ 55 e 63. 

;3) C(r, Institutiones ecc. Libro III, e. vi, $ 12, 26, 29 e seg. 

[4) Op. cit. Libro I, e. i, $ 82. 

[5) Cfr. Op. cit. Libro I, e. i, $ 100, 101. 



1 



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— 43 — 

profondamente falsato il carattere: la fiducia del popolo, la 
influenza sul costume erano scosse, perchè non potevano con- 
ciliarsi col dogmatismo arido, intollerante, scolastico, al quale 
si era ridotta la vita religiosa. Si destò allora un movimento 
di reazione, noto sotto il nome di « Pietismo » che ebbe a 
primo legislatore se non a promotore lo Spener, e che propo- 
nevasi di far rinascere il sentimento religioso nelle sue forme 
schiette e popolari. Le lotte tra ortodossi e Pietisti, condotte 
con un'acrimonia incredibile minacciavano risolversi iii moti 
separatisti: gli eccessi di misticismo, a cui i Pietisti si ab- 
bondonavano, provocarono l'intervento dei principi, partigiani 
dichiarati degli ortodossi: si promulgarono editti di repres- 
sione, e i Pietisti furono perseguitati, processati, condannati 
come colpevoli di stregonerie: la tortura, l'inquisizione per 
opera dei protestanti parvero ritornare in onore. Thomasius 
prese parte attiva a questi avvenimenti: nel movimento pie- 
tista egli vide il ritorno ad un sentimento religioso più vero 
e naturale. I Pietisti e quanti erano accusati di malia tro- 
varono in lui un difensore tanto più efficace in quanto alla 
sua mente di giureconsulto tali processi costituivano altret- 
tanti attentati alla libertà di coscienza, un'invasione della 
pubblica autorità in campo che doveva considerarsi sottratto 
all'azione punitiva. In occasione di tali fatti egli si rese conto 
del pericolo derivante dalla mancanza del criterio distintivo 
tra ciò che era di competenza della morale e ciò che rien-r 
trava nella sfera del diritto. Tali idee maturarono nell'esilio, 
a cui egli stesso andò incontro e si presentano in forma de- 
finita nell'opera sul diritto naturale pubblicata nel 1705 (1). 
28. — Thomasius nella sua tendenza al nuovo, ne' suoi 
intendimenti pratici fu sotto molti aspetti benemerito della 



(1) Thomasius combattè la tortura e i processi contro le streghe nel- 
l'opera 4L De crimine magiae ». Federico II disse di lui che aveva riven- 
dicato alle donne il diritto di vivere senza pericolo. La difesa dei Pietisti 
e i primi accenni alla distinzione tra morale e diritto si trovjino nelVo- 



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- 44 - 

filosofia tedesca. Prima di Kant egli intravide il nesso esistente 
tra il problema conoscitivo, etico e giuridico: primo osò af- 
fermare che la ragione non deve andar disgiunta dal senso, 
e che solo la conoscenza dei fenomeni è fonte di certezza. 

Nel rispettare ed accrescere l'essenza delle cose consiste 
il bene, e la maggior felicità dell'uomo costituisce lo scopo 
ultimo della morale. Nel concetto amplissimo di diritto natu- 
rale Thomasius fa rientrare la morale e il diritto, ma nel 
determinare il principio generatore abbandona Pufendorf, so- 
stituisce al principio della socialità l'istinto alla felicità, e 
^ su di questo fonda il criterio di distinzione tra le due scienze, 
di cui l'una tende ad attuare la felicità interna, l'altra la 
felicità esterna (1). 

Né solo per lo scopo diverso a cui mirano si distinguono, 
secondo Tiiomasius, la morale e il diritto, ma anche e sopra- 
tutto per la natura dell'obbligazione, la quale si presenta 
nelle due scienze diversa per ciò che riguarda l'origine, l'og- 
getto, i caratteri. L'obbligazione giuridica nasce dal comando 
di un superiore, ossia trae la sua forza obbligatoria da una 
forza esterna: l'obbligazione morale invece scaturisce dall'in- 
timo della coscienza individuale, e più propriamente dall'ap- 
prensione di un male o di un pericolo al quale l'agente si 
espone nell'atto di agire (2). 

In ordine all'oggetto, l'obbligazione giuridica si riferisce 
solo a rapporti esterni sorgenti tra uomini uniti dal vincolo 
di società. L'obbligazione morale invece ha una sfera di ap- 
plicazione molto più larga: essa non solo comprende i rapporti 
esterni, ma ancora gli interni che l'uomo ha verso sé stesso (3). 



pera € Sai diritto dei principi evangelici neUe controversie teologiche ». 
In questa parte non ho potato valermi, come mi valsi altrove, dell'opera 
magistrale del Buffini sulla « Libertà religiosa ». Ed. Bocca, Torino 1901, 
Voi. I, e. IV, $ 12. 

(1) Cfr. Fundamenta ecc. Libro I, e. 4, $ 35 e sopratutto al e. 6, $ 21. 

(2) Cfr. Op. cit. Libro I, e. 4, $ 58 e seg. e e. 5, $ 1 e seg. 

(3) Cfr. Op. cIt. Libro I, e. 5, $ 17 e seg. 



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— 45 — 

Precisando meglio il suo concetto Thomasius aggiui 
oggetto dell'obbligazione morale possono essere Vhom 
il decornun, mentre dell'obbligazione giuridica solo lo, 
Sotto questi tre concetti rientrano tutti i doveri: Vhc 
comprende i doveri che l'uomo ha verso sé stesso, i 
riassumono nel principio di fare a sé quello che si à 
altri faccia: il decorum e ìojusium abbracciano tutti 
verso gli altri: ma di essi, i doveri di convenienza e 
lenza rientrano nel decorwn, i doveri di giustizia nello, 
11 diritto pertanto non solo non è ciò che di sua n 
semplicemente onesto, ma neppure consiste in ciò e 
sua natura semplicemente decoroso. 

Da queste premesse deriva il carattere negativo e 
dell'obbligazione giuridica, il carattere positivo e im 
della obbligazione morale (1). Il diritto deve limitarsi a 
quelle azioni che appaiono inconciliabili con una vita 
ordinata: donde la necessità che abbia limiti fissi e c< 
da escludere l'arbitrio. L'obbligazione morale risolver 
atti positivi diretti alla maggior felicità dell'individuo 
società ha un campo d'azione più largo che non puc 
in alcun modo circoscritto. 

Un ultimo criterio di distinzione è dato dagli effetti 
che dalla morale e dal diritto scaturiscono. Mentre l'eci 
morale consiste nella spontaneità degli atti e quinc 
mancanza di qualsiasi coazione esterna, il diritto, ch< 
dizione essenziale della vita sociale, nell'interesse dell 
limita la libertà e reprime le naturali tendenze degli in 
ha carattere coattivo e deve imporsi e attuarsi ancl 
forza. 

Tali le principali distinzioni che Thomasius rileva 
rale e diritto: la critica potrà facilmente trovarle i 
superficiali in quanto non sono desunte dall'intima 
delle due scienze, ma ninno potrà negare ch'esse per 



(1) CtV. Fun^amenta ecc. Libro I, e. 5, J 23. 



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— 46 — 

rezza e precisione con cui sono concepite, riescono di grande 
utilità pratica. E invero la distinzione posta serve al Tho- 
masius per segnare ì limiti dell'azione dello Stato ne' suoi 
rapporti cogli individui. Compito dello Stato è di valersi del 
diritto per conseguire la pace e la sicurezza sociale: la vita 
religiosa e morale eccede la sua competenza, e costituisce un 
patrimonio sacro e inviolabile in ordine al quale l'individuo 
-deve poter esplicare nel modo più ampio e perfetto la sua 
libertà. 

Per opera di Thomasius un vero progresso si opera nelle 
scienze morali: egli inizia la distinzione tra morale e diritto, 
e ne mette in evidenza l'importanza teorica e pratica. Dopo 
di lui si potè discutere sul fondamento da darsi alla distin- 
zione, ma niuno osò revocarne in dubbio la convenienza e la 
necessità. In ispecial modo la coattività quale carattere for- 
male della norma giuridica può considerarsi definitivamente 
acquisita alla scienza. Thomasius ebbe numerosi seguaci, ma 
niuno originale e autorevole (1) : la distinzione tra morale e 
/liritto dopo di lui diventa scolastica, e perde ogni valore pra- 
tico. La soluzione data dai giureconsulti filosofi alla questione 
dei rapporti tra morale e diritto, doveva far luogo alla solu- 
zione filosofica attuata dal Kant. 

29. — I giureconsulti filosofi si succedono ininterrotti da 
Grozio a Kant, ma l'opera loro fu per motivi diversi ugual- 
mente contrastata dai romanisti e dagli scolastici. I romanisti 
ripudiavano le astrazioni teoriche e arbitrarie dei cultori del 
diritto naturale, e si mantenevano interpreti fedeli e custodi 
gelosi della tradizione giuridica classica. Dal canto loro gli 
scolastici rimproveravano all'indirizzo giuridico-filosofico, il 



(1) Alla scuola dì Thomasius appartengono ; Girolamo Gundling (1671- 
1729) autore dello « Jas naturae et gentium » dove tratta del diritto con 
esclusione della morale ; di questa tratta in un'altra opera, a cui dà il nome 
di etica ; E. Gerhard^ che scrisse « De principiis justi » (1712); il Koehlef% 
VAohenwally ecc. Cfr. Carmignani: Storia della filosofia d^l diritto ^ 
Lucca, 1851, Voi. HI, pag. 151 e seg, 



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— 47 - 

carattere ateo e profano e con ogni sforzo si adop 
conservare alla Chiesa l'antica autorità in fatto 
e di costumi. Assecondando abilmente le tendenz 
essi accolgano senza difficoltà il concetto del diri! 
e la teorica dello stato di natura, ma al fondameli 
delle nuove dottrine, vorrebbero sostituito il pri 
lato, e mantenuti i vincoli che legano il mond 
Dio. I più autorevoli rappresentanti dell'indirizz 
la conciliazione tra le esigenze del pensiero nuo 
denze religiose tradizionali furono Giovanni Seldei 
Cocceji (2). Ma l'opera loro era condannata all'] 
alla sterilità, come quella che più non rispondevi 
zioni nuove create allo Stato e alla Chiesa. La Chi( 
aveva perduto della sua universalità e della suj 
sociale e politica. Ne' paesi protestanti la religi 
ufficiale e dipendente dai governi : ne' paesi catt 
stioni giurisdizionali accennano a una progressi) 
dello Stato nel dominio ecclesiastico. In tali condi: 
la libertà dei popoli, gli interessi del diritto e ( 
non potevano trovare sufficiente guarantigia nell'a 
Chiesa, nell'efficacia della religione; nessuna via i 
sentavasi all'infuori di quella indicata e seguita 
consulti filosofi, tendente ad elevare sopra gli ir 
cupidigie degli uomini e degli Stati il tribunale si 
ragione, i cui responsi si imponessero alla cosciei 
col grado di evidenza e di certezza proprio degli j 
scienze matematiche. 

30. — Generalmente è trascurata l'importanza 
consulti nella storia delle scienze morali: eppur 
intolleranza religiosa, cattolica e protestante, e 
l'assolutismo politico, ostacolavano qualsiasi riforr 



(1) Giovanni Selden (1584-1654) pubblicò nel 1640 V< 
naturali et geutium jaxta disciplinam ebraeorum » Cfr. I 

(2) Enrico e Samuele, padre e figlio: l'uno autore 
illii.stratus ecc. » l'altro di un « Tractatus jiiris gentiuin 



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— 49 — 

§4. 

Tofl)fl)aso Hototoes e l' indicizzo ztqpitìco 
i>elle sclei>ze fpotall. 

SOMMABIO : 31. Bacone e saa posizione nella storia del pensiero ~ 82. Bac 
e le scienze morali — 88. Etica e scienza civile in Bacone — 84. Il metod 
Hobbes ^ 35. Hobbes e i suoi tempi — 86. Sistema etico-giuridico di Hot 
— 37. Il rapporto tra morale e diritto in Hobbes — 88. L'opposizione a Hobi 
Cumberland — 89. Locke e i suoi tempi — 40. Morale e diritto in Locki 
41. Da Locib a Hume — 42. Humé e i suoi tempi — 48. Filosofia di Hum 
44. Rapporto tra morale e diritto in Hume — 45. Adam Smith e sua im] 
tanza — 46. Sistema etico-giuridico di Smith — 47. Conclusione. 

31. — Bacone è il profeta della nuova epoca, è il Mosè e 
ha dischiuso la vista della nuova terra promessa. Questo C( 
cetto espresso dal Macaulay (1) non risolve la dibattuta qi 
stione risguardante il posto che Bacone occupa nella sto: 
del pensiero. A risolverla conviene considerare a parte Baco 
e l'opera sua, Bacone e i suoi tempi, Bacone in rapporto a 
sviluppo del pensiero scientifico e filosofico posteriore. 

Considerata in sé stessa l'opera di Bacone racchiude un a 
significato, come quella che, sotto un'apparente riforma 
metodo, prelude ad un nuovo orientamento del pensiero, ad 
rinnovamento radicale del sapere. Sotto tale aspetto Bacc 
occupa un posto eminente non solo nella storia delle scien 
come ritiene l'Adam (2), ma ancora della filosofia. Primo e 
assorse al concetto tutto moderno e per l'epoca sua prematu 
dell'unità dello scibile sulle basi della filosofia naturale r 
novata dal metodo induttivo. Per Bacone l'unità del metod 
correlativa all'unità della scienza, e questa è a sua volta 
riflesso e il prodotto della unità che si ammira nella natu 
Le scienze formano un tutto unico e continuo in cui le pa 
si distinguono, ma non si separano; quando una reale se] 
razione si verifica, la parte divisa isterilisce e muore. T; 



(1) Cfir. il noto saggio del Macaulay (Lord Bacon, EssaySf ed. Tauchn 
III, pag. 144-45). 

(2) Ch, Adam, Philosojìhie de Francis Bacon, 1890, ed. Alcan, p. 4 



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— 51 — 

secolo XVII sulla via tracciata da Bacone: non la scienza, 
poiché il prevalere degli studii astronomici sullo studio delle 
scienze naturali propriamente dette, fece preferire il metodo 
geometrico al metodo strettamente induttivo di Bacone (1): 
non la filosofia che segui un metodo soggettivo ed empirico 
più che positivo quale era da Bacone indicato. Nell'azione di- 
retta a scuotere il giogo della teologia ben si rivela Bacone 
figlio dell'epoca sua, ma tra i dogmatici e gli scettici egli si 
apri una via sua propria, che non fu né la razionale di Car- 
tesio né l'empirica di Hobbes. Bacone è il vero precursore di 
quella filosofia positiva, che il Comte doveva nel secolo XIX 
opporre alle aberrazioni metafisiche (2); di ciò può. far prova 
la sua dottrina etico-giuridica. 

32. — Sotto l'aspetto speciale delle scienze morali Bacone ò 
non fu preso in considerazione o non fu rettamente giudicato 
sia per parte di coloro che vollero derivare da lui lo svolgi- 
mento del pensiero etico inglese, sia per parte di quelli che 
negano alle sue dottrine morali ogni valore. Ciò si deve in 
parte a Bacone stesso il quale più che un sistema etico-giu- 
ridico svolto nelle sue singole parti, ci lasciò l'abbozzo di un 
sistema, il quale non attrasse mai l'attenzione degli studiosi, 
mentre pur permetteva la ricostruzione intera del suo pen- 
siero. 

Due furono le preoccupazioni costanti di Bacone in ordine 
alle scienze morali : sottrarle al dominio della, teologia e della 
metafisica. Col Montaigne e col Charron egli ebbe comune lo 



(1) Le scienBe naturali dopo le scoperte del Vinci, del Serveto, del- 
l' Harvey, subirono un arrèsto nel secolo xvii di fronte ai notevoli pro- 
gressi dell'astronomia e con essa delle scienze matematiche : la geometria 
in particolare divenne per oltre un secola la scienza madre, alla cui in- 
iSaeDza non seppero sottrarsi le stesse scienze morali. È noto che Bacone 
fa fierapiente avverso all'estensione delle matematiche allo studio della 
natura. 

(2) Il Comte accennando all'unificazione del sapere come allo scopo 
ultimo della filosofia posi ti vn^ e costretto a ricordare le geniali intuizioni 
di Bacone {Cours de philoso^hie posUivef I, p. 50 e p. 59-60 ediz. 1869). 



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— 53 — 

sofi inglesi che lo seguirono, e solo può riconnettersi ai t 
tativi fatti nel secolo XIX per dare alle scienze morali 
fondamento positivo. Elemento generatore delle scienze moi 
è per Bacone la natura, in ciò coerente al principio secoi 
il quale la scienza della natura non solo è scienza madre 
cui tutte le altre devono coordinarsi, ma in tanto ha valor 
significato in quanto può servire a dar norma e indirizzo a 
vita individuale e collettiva (1). 

33. — Nella classificazione delle scienze posta da Bacoi 
l'Etica e il Diritto rientrano nel largo campo delle sciei 
relative all'uomo; ma mentre l'Etica è il ramo più nobile de 
Filosofia umana, che studia l'uomo a sé, in quanto consta 
elementi corporei e spirituali, il Diritto colla Politica cos 
tuisce la parte fondamentale della filosofia civile, la qu 
move dal presupposto dell'uomo associato e già eticamei 
formato (2). 

I rapporti e i limiti tra le due scienze sono in tal me 
implicitamente segnati: l'Etica forma l'individuo, la Scien 
civile mediante il diritto provvede alla prosperità e alla pi 
interna di uno Stato : quindi differiscono tra loro per l'ogget 
lo scopo, la sfera diversa in cui si svolgono. Niun dubbio e 
il contenuto della scienza civile, risultando di elementi as$ 
varii e disparati, con grande difficoltà si lascia ridurre a le| 



e abbia letto le sue opere. Certo conobbe Vanìni nel 1612 a Londra» 
sopratntto apprezzò il Telesìo che chiama « amantem veritatis et scien 
ntileni, hominam novoram primuin ». 

(1) La decadenza della filosofia morale e civile è attribuita da Bac< 
al fatto che queste scienze non « alnntur a philosophia naturali » (Noi 
Organum, I, 80). — Altrove {De Augmentis, IV, e. i) dichiarò che la sciei 
dell* uomo « naturae ipsìus portio est ». — Il vincolo strettissimo tra 
scienze della natura e le scienze morali scaturisce anche dal suo n 
principio: « quod in contemplatione instar causae est^ id in operati< 
instar regulae est ». (Nov, Org. I, 3). 

(2) Cfr. De Jug. Libro IV, e. i, ove dice: Doctrina de homine dupli 
aut coutemplatur hominem segregatum, aut congregatum : alteram phì 
sophiam humanitatis, alteram civilem vocamus. 



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— 54 — 

ili (1). Ciò per altro non toglie che i mezzi di 
cienza civile abbiano un grado di efficacia 
iplicazione più facile di quelli offerti dalla 
3tto un certo aspetto torna più facile, acuta- 
acone, dominare e dirigere una folla che non 
) istintive, impersonali, frutto di imitazione, 
>ne notevole, per quanto non avvertita, nella 
ndividuo segue suo malgrado il moto generale 
cui riflette i sentimenti, le idee, le tendenze, 
on può far assegnamento sull'azione di queste 
Qè subisce i vincoli e le repressioni sociali 
formazione dell'uomo interiore. Ancora l'Etica 
ne interna dell'uomo, e sulla bontà dell'inten- 
insiste: per la vita e per il progresso sociale 
liformità esteriore degli atti alla legge, e per 
D servire mezzi sensibili e materiali, l'uso dei 

agli scopi della morale. Le proporzioni stesse 
sua stessa perennità di esistenza, la comples- 
iti che lo costituiscono sviluppano un gioco 
Bazione, per cui le cause deleterie agiscono 
3 insensibilmente: nei singoli individui, data 
vita, e la costituzione più semplice del loro 
^uenze delle azioni disoneste si svolgono più 
lutamenti nell'opinioni e nei costumi sono più 
i. Per tal modo Bacone sotto colore di accen- 
Ità diverse, contro cui l'Etica e la Scienza 
ttare, tocca le differenze tra le due discipline, 
apporti che corrono tra individuo e Stato. Le 

devono tener conto delle condizioni variabi- 
li vidui : le norme giuridiche valgono per l'or- 
forme, perchè più vasto, dello Stato, e in esso 



osserva Bacone (De Aug, Lìb. Vili, e, i) che Soggettò 
è pili di ogni altro « materiae immersum^ ideoque 
mata redncitur ». 



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^ 55 ^ 

scompaiono le differenze dell'individuo, che è l'atomo della 
vita sociale (1). 

La stessa modernità di vedute Bacone dimostra nel trattare 
a parte l'Etica e il Diritto (2). Dal modo di comportarsi degli 
esseri in natura, egli trae la soluzione del problema teorico 
relativo alla natura del bene (3). Ogni cosa in natura, esistendo 
ad un tempo per sé e come parte di un tutto, tende a con- 
servarsi, accrescersi, moltiplicarsi: cosi esiste per l'uomo un 
bene individuale e collettivo; nello svolgere sé stesso e le 
proprie facoltà in guisa da rendersi atto a far il bene del 
tutto, di cui fa parte, sta la perfezione morale dell'uomo. De- 
terminata la natura del bene, bisogna che l'uomo sia in grado 
di raggiungerlo con una serie di mezzi, che solo può indicare 
lo studio della costituzione psichica speciale di ciascuno, 
variabile secondo i tempi, i luoghi, l'età, il sesso. In ciò 
sta la morale pratica, nel trattare la quale il moralista deve 
fare come il medico che studia il corpo umano per conoscerne 
i mali e indicarne i rimedii. Lo studio del bene collettivo fa 
parte dell'Etica non della filosofìa civile come a tutta prima 
potrebbe p/irere. Finché prepariamo ed educhiamo l'uomo a 
convivere in società, a preferire il bene comune al proprio, 
la vita attiva alla contemplativa, noi non usciamo dai limiti 
e dai compiti della morale (4). * 



(1) I rapporti tra l'Etica e la Scienza civile sono svolti da Bacone nel 
Libro vili, e. T, del De Augmentis. 

(2) La dottrina etica di Bacone è contennta nel Libro VII del De Aug- 
ìnentis : la dottrina giuridica nel lib. VIII, e. m, sopratatto nell' « Exemplum 
iractatus de justitia universali; sive de fontibus juris > che è aggiunto come 
appendice al libro Vili. 

(3) Distribuisce Bacone la dottrina etica in due parti: l'una teorica 
€ de exemplari boni » tratta della natura del bene ; l'altra pratica « de 
regimine et cultura animi » tratta delle norme atte a conformare l'animo 
al bene : senza quest'oltima, la prima è come una statua « pulchra quidem 
aspectu, sed motu et vita destituta » (De Aug. Lib. VII, e. in). 

(4) In quella guisa che è cosa diversa fabbricare una macchina, e met- 
terla in moto, così la scienza civile si distingue dalla dottrina del bene 
coUettivo che conforma l'animo alla vita sociale. 



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— se- 
nato moralmente l'individuo, entra in campo la Scienza 

avente per oggetto l'uomo congregato. Nell'abbozzo fi- 
lasciatoci da Bacone è la parte che presenta maggiori 
3 e imperfezioni. Però nel trattare dell'azione dello Stato 
ipporti interni fra i cittadini, azione che si esplica me- 
ì il diritto, Bacone dà novella prova di larghezza e ori- 
tà di vedute (1). Il diritto non è fine a sé stesso, ma 

per procurare il benessere materiale e morale del po- 
Nel trattare di legislazione Bacone dichiara dì voler se- 
un metodo suo proprio, distinto da quello adottato dai 
consulti filosofi e pratici, dei quali i primi fanno leggi 
jinarie per stati immaginarli, i secondi sono schiavi 
leggi e degli usi locali, non hanno la guida dei prin- 
che è condizione di equanimità e sincerità nei giudizii. 
:islatore deve conoscere la filosofia civile, e l'equità 
ale da un lato, ed essere dall'altro esperto conoscitore 
>stumi e dei bisogni del popolo, pel quale fa le leggi (2). 
, varietà delle leggi può bene associarsi, secondo Ba- 
alla loro unità, poiché sotto le moltiformi leggi degli 
e dei popoli, non é difficile rintracciare certi principii 
Lstizia costanti, su cui può elevarsi un sistema di legis- 
le ideale, a cui tutte le leggi diverse si riconducono, e 
i tutte discendono (3). Ma la sapienza del legislatore non 
solo consistere nel conoscere e determinare le legum 
ma ancora nell'applicazione della legge (4). Quest'aspetto 

La dottrina deUo Stato è da Bacone distìnta in dne parti : Tiina 
mo 8ive de repuhlica administranday l'altra de justitia universaUf sive 
ihu8 juriSy ossia la parte politica e la giuridica (De Atig, Lib. Vili). 
Xr. De Aug, Libro Vili in fine, ove dice: « philosopbi multa prò- 
, dictn pulchra, sed ab usu remota. Jnrisconsnltì antem, suae qnisqne 
leguin, yel etiam romanorum aut pontificiarum, placitis obnoxii, 
sincero non ntnntnr, sed tanquam e vincnlis sermocinantur »'• 
I!fr. De justitia univeì^sali, Aph. 6. 

i La saggezza del legislatore, egli scrive, consiste non solo nellM- 
li giustìzia, ma nella sua applicazione^ nel prendere in considera- 
mezzi per i quali le leggi sono reso certo, le cause e 1 rimedi delle 
Lcertezze ». 



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- 57 - 

formale del diritto, trascurato dai fìlosofl del diritto naturale, 
,ha un'importanza nell'attuare gli scopi della giustizia, che non 
sfuggi a Bacone; se vario è il contenuto delle leggi, la forma 
è costante e può ridursi ad assiomi; se la perfezione delle 
le^i non può facilmente ottenersi, almeno devesi cercare la 
certezza coi mezzi formali. Là certezza è condizione neces- 
saria per conseguire VaequUasjuris, ossia l'uniforme interpre- 
tazione e applicazione della legge, da cui dipende la efficacia 
e l'autorità del diritto sostantivo (1). 

Poco meno di due secoli dovevano trascorrere prima che le 
idee di Bacone fossero accolte e applicate: certo a principio 
del secolo XVII erano premature. Bacone fece come colui che 
avendo trovato una nuova via vi si slancia con entusiasmo e 
la percorre rapidamente fino alla fine: ma gli altri per tal via 
non lo seguirono come quella che contrastava troppo alle ten- 
denze e ai metodi filosofici del secolo: ailcora la mente umana 
non aveva condotto il metodo razionale alle sue estreme con- 
seguenze per ricredersi, e porsi sulla via più modesta, ma più 
sicura aperta da Bacone alle scienze morali. 

34. — Hobbes fu chiamato il primo discepolo di Bacone : tale 
filiazione intellettuale, sostenuta fra gli altri dal Kuno Fischer, 
fu generalmente accolta: le stesse relazioni personali che cor- 
sero tra Bacone e Hobbes parvero confermarla. Il Wundt stesso 
fa dell' Hobbes un continuatore di Bacone nel campo delle 
scienze morali (2). Studii più recenti vennero in opposto pa- 
rere, a noi crediamo col Lange, collo Jodl, col Sidgwick, che 
si debba negare qualsiasi rapporto di filiazione tra Hobbes e 
Bacone (3). La diversità del metodo rispettivamente usato fu 
ornai posta fuori di dubbio dal Lange e dallo Jodl (4). Il Lange 

(1) Il criterio deUa bontà di una legge sta in ciò ch'essa sia « intima- 
tione certa,' praecepto jnsta, executione commoda, cum forma politiae 
congrua, et generans virtutem in subditis * (Ib. Aph. 7). 

(2) Cfr. Wnndt: Ethik, Libro II, e. ni. 

(3) Cfr. Sidgwick : Outlines of the history of Ethics, 2* ediz. London, 
1888, p. 158. 

(4) Cfr. Jodl: Gesc'xiichte der Ethik, Voi. I, 1882, p. 109. 



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^ 58 ^ 

definisce il metodo di Bacone induttivo, quello dell' Hobbes 
ipotetico-deduttivo, ossia cartesiano (1). Mentre il primo pro- 
cede analiticamente movendo dall'individuo per elevarsi €\ 
genere e quindi giungere direttamente alle cause reali dei 
fenomeni, salvo poi ricorrere alla deduzione per utilizzare e 
generalizzare le verità discoperte, Descartes e sulle sue traccio 
l'Hobbes procedono sinteticamente premettendo la teoria a 
guisa di ipotesi, spiegando mediante essa i fenomeni, per 
poi controllare la bontà della medesima facendo ricorso alla 
esperienza, a cui spetta la pai'te principale e decisiva nella 
dimostrazione. Ninna comunanza quindi di metodo tra Bacone 
e Hobbes: entrambi ricorsero all'esperienza, ma Bacone vi 
ricorse per elevare su di essa la scienza, Hobbes per con- 
fermare la teoria, posta innanzi come ipotesi. Osserva il Lange 
che il metodo ipotetico-deduttivo è assai più vicino al vero 
processo seguito nello studio della natura che non quello 
induttivo di Bacone (2): qualunque sia il valore di tale afferma- 
zione, essa è vera pel secolo XVII, nel quale prevalsero l'astro- 
nomia e le scienze matematiche. A questo metodo, prevalente 
nel campo stesso delle scienze naturali, non ancora trasfor- 
mato in razionale puro per opera dei fanatici seguaci di Car- 
tesio, appartiene Hobbes. Questi contrariamente a Bacone 
studiò ed apprezzò le matematiche: in istretto rapporto coi 
tempi egli riconobbe e accolse senza restrizioni (ciò che non 
fece Bacone) gli importanti risultati ottenuti nel campo delle 
scienze naturali: e mentre a Copernico rivendicava l'onore 
di aver fondato l'astronomia, a Galileo la fisica, all'Harvey la 
fisiologia, sperava che altri potesse dire lo stesso di lui in 
ordine alla filosofia politica. Come Cartesio egli mosse da un 
presupposto teorico alla costruzione del suo sistema, e cercò 
nella esperienza e osservazione fisiologica argomenti a sostegno 
della sua teoria. 



(1) Cfr. Lange: Histoire du matórialisme, 1877, Voi I, p. 249. 

(2) Lange: Op. cit., Voi. I, p. 249. 



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p''yiHBI'PUV''^l-l'^. * — '• 



- 5& - 



35. — La filiazione tra Bacone e Hobbes come non e«i 
I)el metodo cosi non esiste né diretta né indiretta per la ( 
trina. Se comune ad entrambi é l'avversione ai vieti pres 
posti metafisici e teologici, nonché il sentimento di ribelli 
all'autorità di Aristotele e la tendenza a secolarizzare 
scienze morali, non per questo si può dire col Wundt 
Hobbes continuò Bacone (1), ma solo che entrambi subir 
le stesse condizioni generali dell'epoca, ciò che non impe» 
Hobbes di elevare una metafisica di nuovo genere, div€ 
dall'antica teologica, ma non meno contraria alla filosofia 
coniana. Ma se con Bacone subi l'influsso generale del ten 
non da lui Hobbes trasse motivo e ispirazione a scrivere 
cose morali e civili, ma direttamente dalle condizioni pa 
colari dell'Inghilterra del suo tempo. Egli non assiste ind 
rente e quasi ignaro come Bacone ai gravi rivolgimenti poli 
e religiosi che agitavano il suo paese e che dovevano a\ 
una importanza decisiva sull'avvenire del popolo inglese: 
vi partecipa direttamente, proponendo quella che a lui pa 
la vera soluzione, e sopratutto richiamando sui problemi 
rali, religiosi, politici l'attenzione degli studiosi e degli uon 
di Stato che sotto l'influenza delle sue dottrine dovevano 
vidersi in due campi opposti e ostili. E cosi mentre Bac 
isolandosi dai suoi tempi non sollevò intorno all'opera proj 
né le ire né le lodi dei contemporanei, Hobbes inspirandosi 
suoi scritti direttamente ai fatti che prepararono la Gra 
Rivoluzione inglese, esercitò un'influenza decisiva sull'i 
rizzo e sullo sviluppo ulteriore delle scienze morali. 

La rivoluzione che si andava maturando nell'Inghilt^ 
nella prima metà del secolo XVII, era ad un tempo ec( 
mica, politica, religiosa; ma nelle sue diverse forme essa ] 
presentava pur sempre l'emancipazione dell'individuo dai 
coli che ne ostacolavano la libera attività. Proprio in ( 
secolo l'Inghilterra cessava di essere un paese esclusivam( 



(1) Wundt: Op. cit., Lib. II, e. ni. 



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- 60 - 

agricolo per divenire in un certo grado paese commerciale 
e manifatturiero; la proprietà mobiliare frutto del lavoro si 
affermava vigorosamente di fronte alla proprietà terriera, 
nata dalla conquista: cadevano le corporazioni d'arti e me- 
stieri, i monopolii, i privilegi; lo Stato cominciava a legit- 
timarsi in proporzione della libertà e dei vantaggi che de- 
rivavano all'individuo (1). L'individualismo economico metteva 
capo all'individualismo politico: una trasformazione in senso 
democratico dello Stato si rendeva oramai inevitabile; a mi- 
sura che la coscienza della propria forza si diffondeva nella 
classe media lavoratrice cresceva l'avversione contro il lusso 
smodato di Corte, contro le arbitrarie imposizioni, contro le 
indebite ingerenze dello Stato, di cui volevansi ridotte al mi- 
nimo le funzioni, e si voleva controllata l'azione nei rapporti 
coi cittadini. L'individualismo economico e politico traeva 
nuova forza dalle credenze religiose sorte dalla Riforma Pro- 
testante. Il Calvinismo penetrato in Inghilterra nella sua forma 
più rigida, aveva prodotto i Presbiteriani scozzesi, e i Puri- 
tani inglesi. Era appunto nell'essenza del Calvinismo demo- 
cratizzare le credenze religiose, porre l'uomo in rapporto di- 
retto colla divinità, farne l'interprete della legge e della vo- 
lontà divina, senza bisogno di intermediarii, che facevano ser- 
vire la religione a scopi ambiziosi e politici. 

Il trionfo dell'individualismo nelle sue diverse forme non 
fu senza contrasti: esso lottò contro le tendenze reazionarie 
e assolutiste del potere regio che ebbe ad alleata docile e 
passiva la Chiesa anglicana o episcopale. Non rimasero i forti 
pensatori dell'epoca estranei e indifferenti alla lotta: tra tutti 
si distinse l'Hobbes, la cui dottrina concepita quando più acca- 
nita ferveva la lotta, trovò eco profonda negli animi. E l'in- 



(1) Cfr. per le condizioni economiche deU* Inghilterra in quest'epoca il 
Cnnningham, « English Commerce and Industry « (II, p. 67-97) — per 
le condizioni politiche il Burgess, « Politicai Science and Comparative 
Constitutional law » (Voi. I, Bk. iri, e. 1) — per le condizioni religiose 
il Ruffini, « Libertà religiosa » (Voi. I, e. iii, J 11). 



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- 61 — 

fluenza da lui esercitata fu in proporzione del disinteresse e^ 
della sincerità dell'opera sua di scrittore. All'assolutismo non 
fu condotto da motivi di interesse personale, ma da quello 
stesso individualismo che trionfo colla Rivoluzione, e che in 
niun tempo trovò un più forte e convinto sostenitore; ma ap- 
punto per ciò parve all'Hbbbes che l'assolutismo solo potesse 
contenere lo sfrenato egoismo della natura umana. Il vecchio 
e il nuovo vengono pertanto stranamente a incontrarsi nella 
dottrina dell'Hobbes senza confondersi (l): la base psicologica 
del suo sistema, rispondendo ad un lato costante della natura 
umana, potè vivere di vita propria, e servir di punto di par- 
tenza allo sviluppo ulteriore del pensiero etico inglese, indi- 
pendentemente dalla forma politica da lui vagheggiata. Per 
opera dell'Hobbes penetrava nel campo della speculazione fìlor 
sofica e sopratutto delle scienze morali quell'individualismo, 
che fino allora ne era stato lontano per l'influenza delle op- 
poste teoriche del diritto divino, e della morale cristiana, e 
vi penetrava nella sua forma più rigida senza temperamenti 
di sorta. Di qui la importanza e il significato della dottrina 
etico^iuridica dell'Hobbes. 

36. — L'Hobbes intese sopratutto col suo sistema risolvere 
un problema politico, e a questo subordina come mezzo al fine 
la morale e il diritto. Anche sotto tale aspetto più che a 
Bacone egli deve riconnettersi a quella corrente generale di 
pensiero, che originatasi dalla Riforma e svoltasi nella for- 
mazione degli Stati moderni, aveva elaborato il concetto di 
una legge di natura, ossia di una norma ideale, morale e giu- 
ridica ad un tempo, tratta dallo studio della natura umana, 
su cui dovevansi modellare i rapporti politici. Ma contraria- 
mente al Grozio e ai cultori del metodo razionale, l'Hobbes 
nello studio dell'uomo e nella concezione di uno stato e di 
una legge di natura diffida della ragione e della storia, e si 



(1) Con frase felice U Tulloch chiama THobbes « un radicale a servizio 
della reazione ». 



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— 62 — 

si esclusivamente dei risultati 

condotta con criterii empiri 
% lui come a un precursore d 
5 altri si preoccupa delle esig 
lobbes con concetto assai più r 

dell'operare umano, e sili i 
eri, della osservazione psicolc 
il suo sistema. Quindi è che 

Hobbes devonsi, secondo noi, 
ma fondata sull'osservazione ] 
jato carattere empirico-indutti 

i risultati della prima ha car 
r runa l'Hobbes sopravive a' s 
iza per l'elaborazione ulterio 
•a partecipa alle astrazioni mei 
mpo psicologico Hobbes è un 
) nell'uomo due sostanze, ma ( 

psichici; il moto dei corpi si 
ai nostri sensi, che lo trasmett 
: segue la sensazione, ossia ui 
reazione dall'interno all^esteri 
d allontanare l'oggetto esterno 

od ostacola la vita, ossia a i 
ile : effetti soggettivi concomitj 
e e il dolore. Il piacere è la mis 
. In questa concezione material 
ra si fondano la moralità e il < 
ielle che ci appaiono più disii 
ittere morale o immorale dal 
re deprimere la vita e di pi 
;tuale (piaceri o dolori dei sei 



Lauge, Op. cit., Voi. I, p. 258 
eU^Hobbos è ricassunta tìgìV Human . 
lente) e nel Leviathan (primi diec 



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...jùà 



— 63 — 

dolori mentali, o passioni). D'altro canto il diritto viene a c< 
sistere nella facoltà illimitata di compiere tutte quelle azi( 
che giovano allo sviluppo della vita, e di respingere con ugi 
forza tutte quelle che sono contrarie. L'elemento fisiologie 
naturalistico fu ben rilevato dall'Hobbes nella formazione de 
vita morale e giuridica i da questo punto di vista le sue afiP 
mazioni, se furono posteriormente allargate e integrate, 
masero però sostanzialmente invariate: fisiologicamente p; 
landò può considerarsi morale tutto ciò che arreca un piace 
un utile diretto o indiretto, mentre per diritto altro non 
può intendere che la facoltà intesa ad attuare la moralii 
esula quindi ogni carattere imperativo dalla norma mora 
esula ogni significato oggettivo dal diritto: la norma giuridi 
non si distingue dalla norma morale, né si può parlare di < 
bligàzione morale a fare una cosa, ma solo di diritto assoli 
e illimitato di compierla. Pur facendo la debita parte ai n 
todi imperfetti di indagine psicologica, e alle affermazi( 
fisiologicamente errate, non si può negare che le conclusi< 
a cui Hobbes arriva intorno alle origini naturali della moral 
e del diritto, non differiscono gran fatto da quelle poste 
nanzi dai positivisti moderni: più coerente di questi Hobl 
non si arrestò di fronte alle conseguenze sociali, che da que 
premesse psicologiche fatalmente derivavano. 

In verità l'uomo concepito a sé, non educato alla vita soci; 
non può che presentarsi in quella veste e con quei caratti 
che l'Hobbes con tanta efficacia riproduce (1): finché Tuo 
è dominato dagli istinti, non può intendere che all'utile prop 
e al piacere, e non vede ne' suoi simili che nemici da co 
battere, come quelli che coll'azione loro attentano di contir 
o anche solo mettono in pericolo la sua felicità. La moral 
non si eleva oltre la sfera del soddisfacimento degli appet 



(1) Cfr. Hobbes: Elementa philosophicay de Tiue, Amsterdam, 17 
e. r, nel quale tratta deUa condizione degli uomini fuori deUa soci 
civile. Il Dit Cive fu pubblicato nel 1G46. 



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— 64 — 

e delle passioni, mentre il diritto dell'individuo, per il bisogno 
e la miseria che accompagnano la sua esistenza, si esplica, 
mediante l'uso della forza o della astuzia, sfrenato, assoluto, 
esclusivo. La conclusione a cui l'Hobbes arriva è che l'ucMno 
fuori della società civile è in uno stato di lotta e di anarchia 
permanente, di abbrutimento progressivo, in preda al terrore, 
ed esposto di continuo al pericolo di morte. Dalla contraddi- 
dizione sempre più stridente tra l'aspirazione alla felicità e le 
condizioni di vita che ne rendono sempre più difficile il sod- 
disfacimento, scaturisce inevitabile la necessità della convi- 
venza sociale. La paura e la retta ragione, ossia un giusto 
calcolo delle conseguenze utili o dannose delle proprie azioni, 
persuadono l'uomo che la solitudine significa lotta e miseria, la 
società sicurezza e pace, e che la convivenza civile è condizione 
imprescindibile alla sua propria felicità. Ma allora il fine su- 
premo della vita e della condotta si modifica: ancor prima 
della felicità e dell'utile diretto, l'uomo deve procurare la pace 
e la sicurezza, e a questo, nuovo fine deve ispirarsi la vita 
morale e giuridica: le norme che la ragione detta in ordine a 
tal fine, costituiscono il contenuto della legge naturale, la quale 
si risolve in una serie di norme, inspirate all'utilità, limitatrici 
di quello jus in omnia, che nello stato di natura spetta ai 
singoli: tali norme, come lo scopo della pace che le giustifica, 
hanno carattere immutabile ed eterno (1). Per tal modo si 
forma una moralità razionale, riflessa, che si contrappone alla 
moralità originaria, naturale e istintiva. D'altro canto il diritto 
consiste nella facoltà di agire, non secondo detta l'istinto, ma 
nei limiti segnati dalla legge di natura. Rimane al diritto il 
suo significato soggettivo, ma il contenuto oggettivo, a cui si 



(1) Cfr. Hobbes, Op. cit., e. Il e tir, iu cni parla della legge naturale: 
questa è defiuita, e. i, $ 1 : < dìctamen rectae ratiouis circa ea, qnae 
agenda vel omitteuda suiit ad vitae membrorumque conservationeni , 
quantum fieri pote&t, diuturuam ». — Cfr. circa T immutabilità delle leggi 
di natura, e. iir, $ 29 — Cfr. anche ib. $ 31, in cui afferma Tidentità 
della legge naturale colla legge morale. 



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— 65 — 

applica, è anche in questo secondo stadio offerto dalla legge di 
natura, ossia dalla morale. 

Ma a garantire l'osservanza rigida e assoluta della legge 
naturale non restava a Hobbes che ricorrere alla finzione di 
un patto, in virtù del quale gli stessi individui si privassero 
di tutti i diritti che loro competevano per natura o in virtù 
della legge naturale e ne investissero un potere sovrano, il 
quale rendendosi interprete unico e insindacabile della legge 
naturale, ne garantisse l'universale osservanza. In questo terzo 
stadio la moralità si confonde colla volontà del principe; ogni 
traccia di diritto soggettivo nell'individuo scompare per far 
luogo all'obbedienza assoluta e passiva agli ordini del so- 
vrano (1). 

37. — Nel sistema di Hobbes moralità e diritto assumono 
un significato diverso a seconda ch'egli considera l'uomo do- 
minato dagli istinti naturali, dalla ragione, dalla volontà del 
sovrano. Nel primo stadio la moralità consiste negli atti di- 
retti a favorire la conservazione e lo sviluppo della vita fì- 
sica, il diritto consiste nella libertà assoluta di agire in tal 
senso (2); nel secondo stadio la morale si risolve nel compiere 
gli atti che la ragione, guidata dall'utilità, detta, il diritto 
nell'agire nei limiti della legge naturale o morale (3); nel 
terzo stadio gli atti morali sono imposti dal sovrano, e per esso 
gli individui, privati della libertà, esercitano i loro diritti (4). 

Nella concezione etico-giuridica di Hobbes devesi anzitutto 



(1) SuUe cause e salla formazione della società civile, y. Op. cit., e. v. 

(2) Cfr. Op. cit., e. in, $ 31 : € Scìeudura igitur est, bonum et malum 
nomina esse imposita ad signifìcaiidum appetitum vel aversìonem eornm, 
a qnibus sic uominantur », — Cfr. ib, e. i, $ 7: € Neqne enim juris no- 
mine aliud significatur qnam libertas, quam quisque habet facultatibus 
nataralibus seoundiim rectam ratìonem utendi. Itaque juris naturai is fun- 
damentnm primum est, ut quisque vitam et memora sua, quantum potest, 
tueatur ». ~ 

(3) Cfr. Op. cit., e. ni, $ 30, 31. 

(é) Cfr. Sul significato di legge (morale e giuridica) e di diritto nella 
società civile, Op. cit., e. xiv. 



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vwx^:-- <#^p«y.ji^ 



— 68 - 

non andò perduto per quel fondo innegabile di verità che in 
sé racchiude. Niun dubbio che le prime origini della morale 
e del diritto devonsi rintracciare neirindividuo, e per rilevarle 
bisogna, come fece Hobbes, procedere all'isolamento assoluto 
dell'individuo dalla vita sociale. E cosi mentre Grozio non 
concepì una moralità e un diritto fuori della società, l'Hobbes 
non li concepì fuori dell'indivìduo : e se l'uno cercò distinguere 
la norma morale dalla norma giuridica, l'altro colse la distin- 
zione tra morale e diritto nelle naturali tendenze dell'operare 
umano, rilevando il valore soggettivo del diritto, da lungo 
tempo trascurato, più consentaneo alle tendenze individualiste, 
di cui era impregnata la coscienza dell'uomo moderno. 

38. — L'indistinzione tra norma morale e giuridica non era 
solo nel campo delle idee, ma rispondeva ad una reale con- 
dizione di cose. Il secolo XVII non si pose se non incidental- 
mente il problema del criterio distintivo tra l'etica e il diritto ; 
si preoccupava invece vivamente di trovare alla condotta 
umana largamente intesa un fondamento suo proprio, capace 
di costituirsi alla tradizionale concezione teologica, che dalla 
Riforma e dal risveglio del sentimento religioso aveva tratto 
novella forza e autorità. Per i Protestanti di qualunque confes- 
sione le norme di condotta non si originavano nell'intimo della 
coscienza individuale, ma erano l'espressione della volontà di 
Dio, da cui derivavano il loro carattere imperativo. Contro 
questa dottrina, la quale, congiunta con l'altra del « diritto 
divino*, aveva favorito in Inghilterra l'assolutismo religioso 
e politico, elevò Hobbes il suo sistema, facendo della volontà 
del sovrano la fonte suprema della morale e del diritto. 
Ma mutata la base, non mutavano gli effetti lesivi della li- 
bertà individuale, anzi la confusione tra morale e diritto si 
presentava nelle sue forme più odiose dacché si erigeva il 
sovrano ad arbitro insindacabile in fatto di credenze e di 
morale. Si comprende quindi la fiera opposizione mossa dal 
clero alla nuova dottrina (1): né gli avversari uscivano solo 



(1) U Buckle (Histoire de la civiliaation, Voi. II, p. 65, Ed. Flammarion) 



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— 69 - 

dalle file degli intransigenti e fanatici, ma appartenevano so- 
pratutto a quella corrente liberale che, originatasi dall'Ar- 
minianismo, costituiva il partito dei Latitudinarli (1). Fau- 
tori della libertà di religione e di coscienza, essi dovevano 
levarsi contro un sistema che sacrificava agli interessi della 
pace sociale, le più preziose libertà dell'individuo. Latitudi- 
nari erano appunto i teologi di Cambridge, che apersero la 
polemica contro Hobbes sul terreno filosofico (2). Contro di lui 
che aveva fatto rivivere, sotto l'influenza del Gassendi, l'Epi- 
cureismo, e a somiglianza degli antichi Sofisti, si era fatto 
sostenitore della relatività del bene e del giusto, essi oppo- 
sero gli argomenti di Platone (3), sostenendo l'obbiettività 
delle idee morali, l'apprensione intuitiva e l'origine divina 
delle medesime, attratti dal desiderio di armonizzare la ra- 
gione con la fede. 

.Ma chi combattè la dottrina di Hobbes nelle sue stesse basi, 
e opponendo un sistema suo proprio, dischiuse nuove vie al 
progresso morale fu Riccardo Cumberland (4). Egli si propone 
lo stesso problema che l'Hobbes si era posto, trovare cioè un 
principio che valga come norma universale di condotta per 
gli individui e gli Stati. Nel risolverlo prende come Hobbes 
le mosse dall'individuo, ma arriva a risultati opposti. Ciò si 
comprende se si pensa che Cumberland considerò dell'indi- 
viduo non l'elemento sensibile, volitivo, individualistico, fonte 
del male morale, e da cui non possono derivare che norme 



osserva òhe T Hobbes fu il piti pericoloso avversario del clero nel secolo 
XVII, e che fa dopo il Berkeley il piti grande metafisico inglese. 

(1) Cfr. Ruffini, Op. cit. e. li, J 8, p. 115 e Jodl, op. cit., Voi. I, 
capo IV, 2 Ab3. $ 1. 

(2) Alla scuola di Cambridge appartengono sopratatto il Cudworth e il 
More : il primo autore dell' < Intellectual System » (1678) e di un trattato 
di morale pubblicato solo nel 1731 ; il secondo autore dell' < Enchìridion 
Ethicnm » (1667). 

(3) Di qui il nome di < Platonists » dato ai filosofi di questa scuola. 

(4) Cnmb er 1 an d, « De legibus naturae disquisitio philosopbica » (1671). 
CI siamo valsi deU' edizione latina del 1694 ^Lubecae et Francoforti). 



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- 71 -* 

società politica nelle sue basi. La Restorazione del 1660 aveva 
da un lato ricondotto sul trono. d'Inghilterra gli Stuardi, dal- 
l'altro aveva ristabilito negli onori e nei poteri la confessione 
anglicana. Senonchè nulla oramai poteva più ritardare il 
trionfo dei principii della Rivoluzione: il governo stesso de- 
bole e corrottissimo di Carlo II ne favori inconsciamente la 
diffusione, e cooperò validamente a fiaccare la potenza dei 
nobili e del clero a tutto vantaggio del popolo : la seconda 
rivoluzione non fece che rimovere le ultime resistenze e rico- 
noscere giuridicamente ciò che oramai era un fatto compiuto 
e universalmente accettato. Ma se nel fatto THobbes era scon- 
fessato, rimaneva pur sempre di giustificare teoricamente il 
nuovo ordine di cose, e di esaminare le basi e la legittimità 
delle conseguenze etiche, politiche, religiose del suo sistema 
filosofico. Questo lavoro di revisione e di critica da un lato, 
di ricostruzione dall'altro, iniziato sul terreno filosofico dal 
Cumberland, in continuato ed esteso dal Locke alle questioni 
politiche e religiose. 

Il Locke era figlio al pari di Hobbes di quell'individualismo 
che costituiva la gran forza generatrice di ogni progresso in 
quel secolo: senonchè mentre l' Hobbes aveva contemplato 
l'individualismo nel suo primo affermarsi sfrenato, il Locke 
lo contempla ne' suoi benefici risultati, quando su di esso si 
era modellata la vita politica, religiosa, economica del paese. 
Né solo per la fonte da cui procedono, ma ancora per il 
metodo adottato il Locke si ricongiunge con l'Hobbes : en- 
trambi movono dall'osservazione empirica dell'uomo, ma nel 
risolvere le questioni politiche seguono entrambi il metodo 
metafisico proprio dei cultori del diritto naturale. 
. Nella formazione della moralità il Locke distingue netta- 
mente la parte che spetta alla volontà e all'intelletto: a questo 
assegna l'elaborazione oggettiva delle idee morali, a quella la 
trasformazione delle idee morali in beni ossia in desiderii atti 
a suscitare un piacere e quindi a movere la volontà all'azione. 
Poiché per Locke come per l'Hobbes l'uomo tende alla felicità 



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— 73 - 

legge civile e la legge deiropinione pubblica hanno carattere 
di leggi positive ed empiriche: entrambe presuppongono per 
termine di confronto la legge razionale o divina, che è la vera 
regola immutabile del giusto e dell'ingiusto e rappresenta 
l'ordine naturale delle cose quale si manifesta all'uomo me- 
diante la rivelazione o mediante l'uso illuminato della sua 
ragione : donde Faccordo esistente tra la rivelazione e la ra- 
gióne, il quale prelude alla teologia razionalistica dell'Illu- 
minismo (1). L'uomo, secondo Locke, è fatto capace di intuire 
nell'ordine delle cose create i primi dati dell'ordine etico, le 
prime e fondamentali relazioni morali, da cui il ragionamento, 
procedendo per deduzione, può sviluppare tutto un sistema 
col rigore proprio delle matematiche (2). Sulla base di queste 
intuizioni, frutto di una forza intellettiva connaturata al- 
l'uomo, il Locke, indotto dagli avvenimenti e in difesa di essi, 
ha tentato la costruzione del suo sistema giuridico-politico (3). 
La struttura del sistema etico-giuridico in I^ocke è quella 
dèi diritto naturale : egli considera l'individuo a principio del- 
l'ordinamento giuridico, nell'isolamento e sotto l'impero so- 
vrano della legge di natura, la quale, inspirandosi come a 
scopo ultimo alla conservazione del genere umano, mentre 
riconosce in ogni uomo il diritto all'indipendenza e all'ugua- 
glianza, chiama l'individuo stesso a vendicare le trasgressioni 
a' suoi propri ordini (4). Stato di natura e stato di guerra 
sono per Locke termini contradditorìi, rappresentando quello 



(1) Cfr. Op. cit., Libro II, e. xxvili, $ 6 e seg. ove il Lo oke distingue 
la triplice classe di leggi, e ne dà la definizione. 

(2J Cfir. Op. cit., Lib. IV, e. in, $ 18. SoUa questione relativa ali* evi- 
denza matematica della morale in Locke cfr. ^ odl^ Op. cit., Voi* I, e. 5, 
Abs. 1, M. 

(3) Dei due trattati sul governo pubblicati assieme dal Locke nel 1690, 
il primo è una critica delle dottrine politiche di Robert Filmer, il secondo 
contiene la teoria politica dell' A. ed è intitolato: € Eeaay conceming the 
true origine y extent and end of oivil Govemement ». Ci siamo valsi deiredi- 
zione francese del 1755. 

(4) Op, cit., e. i^ in cui VA, tratta dello Sitato di natura^ 



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-^<"^' i J«WPU ^ ^ 



-. 74 - 



Illa ragione e quindi della pace, della benevo- 

mutua conservazione (1). 

, ossia la legge di natura impone la convivenza 

fini meglio si raggiungono colla formazione di 
, nelle quali, in virtù di un contratto, l'individuo 
Ila sua sovranità naturale di interpretare e ap- 
^e di natura per investirne l'autorità civile (2). 
>erò non perde nella società civile la sua perso- 
ica e morale: lo Stato riposa pur sempre sul ta- 
> e sulla tacita cooperazione degli individui e la 
rova limiti efficaci in una saggia separazione di 
)ntrollo permanente del popolo, nella legge stessa 
cui le leggi civili non possono contraddire (3). 
nenticare che nel sistema politico di Locke spiega 
)cisiva la pubblica opinione, le cui norme rispon- 
sialmente a quelle della legge di natura, modifi- 
. costume e dagli usi locali, sono tali da tenere 
acemente cosi le azioni dell'individuo come quelle 
iti. 

sistema etico-giuridico del Locke, come in quello 
due diversi indirizzi convergono, l'indirizzo utili- 
;o, e l'indirizzo metafisico-razionalista, proprio dei 
iritto naturale. È innegabile che nella determi- 
flne e dei motivi della moralità, egli continua e 
3todo di osservazione psicologica iniziato dal- 
i senza allargarne i limiti fino a comprendere gli 
ili tra le condizioni della felicità e i motivi di 
combattere poi l'innatismo, egli rappresenta un 
presso sull'Hobbes, in quanto dischiuse la via, da 

non percorsa, alla conoscenza sperimentale e po- 
moralità. 



e. II. 

e. vr, VII e viir. 

cìt., e. X, Bull^Bsteusione e limiti del potere legislatÌTO. 



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- 75 — 

D'altro canto nella parte ricostruttiva il Locke è un ra- 
zionalista, subisce l'influenza della scuola del diritto naturale, 
e segue con Cumberland l'indirizzo di Grozio distaccandosi 
dall'Hobbes e dalla sua dottrina. Infatti nel Locke il concetto 
della legge di natura presenta un carattere di universalità 
e di obbiettività che in Hobbes originariamente non ha, e la 
sua teorica del governo, scritta à giustificazione di fatti com- 
piuti, e rappresentando le aspirazioni popolari è le idealità 
politiche de' tempi nuovi, era destinata a esercitare un'in- 
fluenza notevole in Francia ove la trasformazione sociale ed 
economica in senso individualista stava iniziandosi. La con- 
cezione della legge di natura, come norma razionale, il con- 
cetto dell'individuo fatto sovrano ed esecutore della medesima, 
i principii della sovranità popolare, d'uguaglianza, della sepa- 
razione dei poteri sono dal Locke enunciati nella forma più 
suggestiva e diventano patrimonio comune delle coscienze 
nuove. Ma se era più consentanea alle aspirazioni^e alle esi- 
genze razionali dell'epoca, la teorica del Locke mancava di 
quel fondamento positivo che riscontrasi invece nell'Hobbes, 
la cui dottrina dello stato di natura, fondata sull'osservazione 
ristretta ma vera della natura umana, si ravvicina ne' suoi 
risultati assai più che non quella del Locke alle reali condi- 
zioni dell'uomo preistorico. 

La teorica della legge merita speciale attenzione in Locke 
come quella che rappresenta un tentativo fatto per distin- 
guere la morale dal diritto e stabilirne i rapporti reciproci 
sopra una base nuova, suscettiva di svolgimento e di progresso. 
In omaggio alle idee dominanti il Locke assorge al concetto 
di una legge di natura generatrice di ogni altra, misura ob- 
biettiva, universale, immutabile della condotta in generale: 
ma questa legge soddisfa ad una esigenza puramente teorica 
e ha una esistenza ideale, mentre nel fatto si risolve in 
legge civile e in legge del costume, che rispondono rispetti- 
vamente alla legge giuridica e alla legge morale. L'ordine 
naturale obbiettivo rappresentato dalla legge di natura *i 



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-77 — 

operatasi in- quel secolo per parte dei non -conformisti, là 
quale colla lunga oppressione scosse 1* influènza tirannica della 
Chiesa ufficiale. A. misura che il dispotismo politico e religioso 
perdeva terreno cresceva l'interesse per le indagini di natura 
morale, e civile. Hobbes e Locke avevano posto i germi per 
un nuovo orientamento degli studi morali, iniziando l'indagine 
psicologica: ma mentre l'uno fu indotto dalla logica inesorabile 
de' suoi principii a soffocarne i risultati nel dispotismo, l'altro 
cercò temperare le premesse psicologiche, ancor sempre ri- 
strette e unilaterali, facendo ricorso ad elementi razionali. Il 
dualismo tra ciò che era risultato dell'analisi psicologica e le 
esigenze della ragione e della pubblica opinione, si risolve 
dopo Locke in due indirizzi distinti, personificati nel Clarke 
e nello Schaftesbury. 

Nel Clarke (1) la ragione riacquista intero e incontrastato 
quel primato nella formazione della moralità e del diritto che 
la scuola empirica tendeva a scuotere in favore della volontà: 
movente all'azione e criterio di moralità è l'evidenza e la cer- 
tezza dei principi! morali, non innati nell'uomo o rivelantisi 
intuitivamente all'intelletto, ma razionalmente dedotti dai rap- 
porti immutabili e naturali delle cose. Le idee morali e giuri- 
diche vengono per tal modo a confondersi colle verità intel- 
lettuali, la necessità lògica si converte in necessità morale, e 
il dovere diventa Passenso necessario dato alla suprema ra- 
gione delle cose. Il razionalismo penetrava col Qlarke in In- 
ghilterra, distinguendosi a un tempo dall'innatismo professato 
anteriormente dalla scuola di Cambridge, dall'intuizionismo 
posteriore del Butler e del Reid: esso rispondeva alla segreta 
ispirazione di molti di trovare, secondo il concetto espresso 
dal Locke, alla condotta una base cosi sicura come quella tro- 
vata da Newton alla meccanica. Ma tale indirizzo inteso a 
fondare le scienze morali e giuridiche su principii astratti 



(l) Cfr. del Clarke Topera pubblicata nel 1705 col titolo: « A Biscourse, 
concerning the Being and Jttrihutes of God ecc, >. 



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fm^ 



— 79 -• 

il quale, sottratto alla ragione e alla riflessione, è fondato sul 
senso, divenuto capace non pur di impulsi egoistici ma anche 
altruistici. Con Schaftesbury sono definitivamente acquistati 
all'etica empirica due concetti nuovi: la naturalezza delle af- 
fezioni socievoli, che concorrono coH'amor di sé a regolare le 
azioni umane, — il senso morale, ossia un elemento tutto in- 
teriore sostituito alla volontà divina e umana, alla ragione 
stessa come criterio di approvazione, e fatto capace di de- 
terminare all'azione. Senonchè il difetto di rigore scientifico 
nelle affermazioni dello Schaftesbury, l'ottimismo esagerato che 
lo anima tolsero efficacia e autorità alla sua dottrina, ugual- 
mente combattuta da liberi pensatori come Mandeville e da 
ortodossi. I germi da lui posti furono raccolti e innalzati a 
dignità di sistema da Hutcheson, il noto fondatore della Scuola 
Scozzese. 

Nell'Hutcheson il problema della condotta assume l'ampio 
e sistematico svolgimento, di cui dopo il Cumberland. non si 
aveva avuto esempio (1). Anche per Hutcheson fonte origi- 
naria della vita morale e giuridica è il senso morale, elevato 
a criterio modellatore e ordinatore degli affetti umani, tra i 
quali esso dà il primo posto alle affezioni benevoli, aventi un 
grado diverso di estensione e quindi di eccellenza intrinseca. 
Dalle forme della simpatia, pietà, gratitudine, amore, affetti 
domestici, amicizia, patriottismo, l'affetto benevolo si eleva 
gradatamente fino all'amore verso l'umanità in generale, spo- 
gliandosi mano mano degli elementi impulsivi, violenti, egoi- 
stici per raggiungere uno stato di calma determinazione verso 
il bene di tutti (2). La ragione non spiega un'attività sua 
propria nello sviluppo della vita morale ; essa deve solo con- 



(1) Le opere principali di Hntoheson sono: An Inquiry into the Ori- 
ginai of our ideas of Beauty and Virtm (1725-26), e qneUa postnma edita 
dal figlio dell' A. nel 1755 : A System of Maral Philosophy, Ci siamo valsi 
dì qaest'alttma peU'edizìone francese del 1770. 

(2) Cfr. Sy steme, voi. I^ lib. I, e. IV, ove tratta del «enso morale. 



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— 80 — 

ire e confermare sulle basi dell'osservazione e dell'espe- 
a le naturali manifestazioni del senso morale. Dall'eser- 
delle affezioni socievoli e disinteressate scaturiscono i 
ri più puri e durevoli, e deriva all'uomo il massimo 
: donde la perfetta armonia e corrispondenza tra virtù 
icità. Il senso morale come ci fa rilevare la bontà, così 
intuire il carattere del giusto nell'azione, carattere che 
^ela nelle affezioni tendenti al bene generale; vien cosi 
nata la coincidenza tra bontà e giustizia, tra azione 
a e giusta in guisa che basta agire bene per agire giusto, 
me pertanto è il fondamento psicologico della morale e 
liritto. Ma se l'intenzione è condizione necessaria perchè 
:ione sia buona e giusta intrinsecamente (bontà aliate- 
), per gli scopi e le conseguenze pratiche della condotta 
i, secondo Hutcheson, la bontà formale, ossia la confor- 
anche solo esteriore ai dettami del senso morale (1). 
) spiega perchè Hutcheson passando dai principii teorici 
costruzione concreta di un sistema di norme etico-giu- 
fie si preoccupa sopratutto di assicurare la bontà for- 
come quella che più interessa la convivenza sociale: 
e scopo sostituisce al criterio soggettivo del senso mo- 
il criterio oggettivo del bene pubblico . per determinare 
oralità più propriamente la giustizia dell'azione, adot- 
) il principio che divenne in epoca posteriore la base 
istemi utilitarii, ai quali prepara la formola (2). Preoc- 
to quindi del bene pubblico e della bontà formale, l'Hut- 
)n doveva insensibilmente esser portato a sacrificare alle 
nze giuridico-sociali, gli interessi della moralità propria- 
e detta : lo prova il fatto che nell'indicare le norme di 



Cfr. Op. cìt.y ibid.y lib. Ili, ove spiega i concetti di giustizia e di 
tizia^ di bontà materiale e formale, di diritto e di legge, di diritti 
ti e imperfetti. 

Ecco le parole precise di Hutcheson: « that action is best which 
res the greatest happiness for the greatest numbers » . Questa for- 
corrispoude a quella di Bentham. 



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1fVa«fr'J»K •?.!•"% 



- 81 - 

condotta esso segue il sistema e la classificazione dei giurisi 
anziché quella dei moralisti (1). Questo costante equivoco ti 
moralità e diritto si rivela ancora nella distinzione da li 
posta tra diritti (e quindi obbligazioni) perfetti e imperfetl 
di cui solo i primi sono assolutamente necessari alla vii 
sociale, e possono essere coattivamente imposti, mentre i s< 
condi giovano, ma non sono necessari al bene pubblico, e quin( 
devono essere sottratti alla coazione. Per ciò che riguarda 1 
natura socievole dell'uomo, la formazione dello Stato, la te( 
rica della legge, THutcheson segue senza originalità Grozio 
Cumberland : con questi ammette l'esistenza di uno stato pf 
cifico di libertà originaria, sotto l'impero della legge di natur 
suggerita all'uomo dall'ordine dell'universo : i mali e perico 
inerenti a tale stato consigliano l'uomo a formare, secondo 1 
teorica del contratto sociale, governi civili, retti da legf 
positive inspirate al bene generale, e destinate a favorire 1 
virtù e il progresso morale (2). Per tal modo l'Hutcheso 
mentre vuol ricondurre ad unica fonte psicologica la moral 
e il diritto, è costretto suo malgrado dalle esigenze della vit 
pratica ad ammettere due criterii diversi di azione, il cr 
terio del senso morale particolarmente atto ad assicurare 1 
bontà intrinseca dell'azione, il criterio dell'utile meglio r 
spondente alle necessità della vita reale (3). 

L'incoerenza di metodo e di principii è nell'Hutcheson d< 
terminata dalla indistinzione originaria tra morale e diritte 
nel suo sistema dovevano le conseguenze di tale indistinzion 
sopratutto rilevarsi in quanto fu suo scopo dare un sistem 



(1) L'osservazione è del Lavi osa, cfr.: « La filosofia scientifica d 
diritto in Inghilterra », Clansen, 1897; Parte I, p. 652. 

(2) Cfr. Systèmey ecc., Voi. I, lib. Ili, e. iv, ove tratta dello stato > 
libertà ; Voi. II, lib. II, in cui tratta del governo civile (e. iv), del co 
tratto sociale (o. v), delle leggi civili (e. ix). 

(3) Cfr. W. G. Miller, Laio of nature and nationa in Sootland, Edinbur 
1896: saggio primo, p. 3-35 ove si tratta della filosofìa giurìdica del 
Scuola scozzese, e in particolare del sistema dell' Hutcbesou, 



6 



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-82 - 

condotta. Senonchè il fondamento 
ra capace di analisi ben più pro- 
lato della dottrina dell'Ha tcheson 
th, per opera dei quali la teorica 
lo deirosservaÉione psicologica ap- 
)lsero e si perfezionarono. 
'Hutcheson nel campo delle scienze 
dell'Hume e dello Smith ed ebbe a 
a. La rivoluzione del secolo XVII 
ilterra la triplice trasformazione 
ja. Col trionfo del sistema paria- 
io, della libertà religiosa sull'in- 
a libertà economica sul protezio- 
Llismo sotto tutte le sue forme si 
dominio incontrastato. Nella Scozia 
storiche, la rivoluzione aveVa pre- 
antesimo contro il sistema episco- 
il trionfo della libertà nazionale 
da un lato, dell'intransigenza re- 
:ico dall'altro (I). La lotta politica 
luove energie commerciali e indu- 
►cata da questioni religiose: epperò 
entrambi i paesi conseguita, essa 
pagnata e integrata dalla libertà 
necessario che l'annessione della 
enuta definitivamente nel 1707, e 
a rivoluzione, esplicassero i loro 
esse scuotere il giogo della super- 
, religiosa. Né deve far meraviglia 
III, proprio quando più fioriva lo 
storia del pensiero uomini come 
le loro dottrine, contrarie all'in- 
, non trovarono eco nella Scozia, 

M)«a, Torino, Boccs^, 1901, 1, e. iii, p. 166. 



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^^^^ 



-68- 

mentre esercitarono grande influenza in Inghilterra, ove fu- 
rono apprezzate e discusse : secondariamente Tesser essi nati 
e cresciuti nell'ambiente scozzese spiega le caratteristiche 
del loro intelletto, e sopratutto la natura del metodo seguito, 
che «fu essenzialmente deduttivo e contrario all'induzione em^ 
pirica dominante in Inghilterra. Vedemmo l'Hutcheson trarre 
dal postulato indimostrabile del senso morale tutto il suo 
sistema filosofico: analogamente fece lo Smith movendo dalla 
simpatia: l'Hume fu avversario dichiarato dell'indirizzo ba- 
coniano, e subordinò costantemente il fatto all'idea (1). 

Speciale importanza hanno l'Hume e lo Smith in ordine alla 
determinazione del rapporto tra morale e diritto: per opera 
loro il problema si avviò verso una soluzione che fu sotto 
molti aspetti notevole e decisiva. 

43. — L'osservazione empirica della natura umana confer- 
mata dall'esperienza fece convinto l'Hume che esiste un'attività 
interiore originaria e istintiva, il senso morale che determina 
all'azione, e che la ragione può solo regolare ed esplicare. 
L'Hume non si preoccupò tanto dì studiare direttamente 
questa facoltà innata dell'uomo e di penetrarne la natura, 
quanto piuttosto di rilevarne gli effetti e le manifestazioni 
oggettive e soggettive. L'azione determinata dal senso morale, 
ossia l'azione virtuosa è oggettivamente utile, soggettivamente 
piacevole: perciò il giudizio sulla moralità dell'azione, il mo- 
tivo dell'approvazione e disapprovazione morale, la determi- 
nazione di ciò che l'Hume chiama il merito personale si ri- 
solvono oggettivamente nella valutazione del grado di utilità 
inerente all'azione, soggettivamente nell'intensità del piacere 
provato. Né si creda che l'Hume limiti le manifestazioni del 
senso morale all'utile e al piacere individuale : egli riesce a ge- 
neralizzare e ad umanizzare i concetti dell'utile e del piacere 
mediante la simpatia, per la quale ciò che è solo utile ìndi- 



ci) SaUe condizioni politico-sociali della Scozia in quest'epoca e sopra- 
ttutto si^l ci^rattere della filosofia scozzese cir, i} Btickle, Op. cit» 9, xx, 



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e piacere soggettivo e variabile diventa utile generale 
e comune. Il senso morale e la simpatia vengono per tal 
costituire i motivi psicologici della morale dell'Hume, 
l'utile e il piacere in senso largo ne costituiscono le ma- 
ioni e i criteri di valutazione pratica e immediata. Ma 
l'minatezza di tali concetti allarga oltre misura il campo 
3rale fino a comprendere in essa, secondo il concetto 
;uttociò che è naturale : il dissidio dell'etica cristiana 
ihe è utile e piacevole e ciò che è razionale e morale, tra 
ha carattere obbligatorio e ciò che è meramente spon- 
istintivo è pressoché scomparso nell'etica di Hume. 
Pochi come Hume hanno inteso e accentuato la distin- 
a morale e diritto. L'Hume non era solo filosofo ma 
ippassionato, e autorevole parve ogni qual volta emise 
rere sopra questioni economiche, politiche, religiose (1). 
e e diritto non hanno comunanza di origine, di natura, 
>. Mentre la morale si svolge dall'intima costituzione 
tura umana, la giustizia si origina per riflessione dalle 
ì della civile convivenza. La giustizia non può conciliarsi 
ito di natura quale era descritto dall'Hobbes, che la 
resa impossibile, e neppure collo stato di natura imma- 
ni Rousseau, che l'avrebbe resa superflua; essa si svolge 
lente colla convivenza sociale, nella quale essa tende 
to a garantire la proprietà privata. La morale si svolge 
riduo, e alla felicità dell'individuo intende: i suoi pre- 
nno carattere di spontaneità e di indeterminatezza, 
3lli che si fondano sul senso morale, proprio di ciascun 
e di natura misteriosa. La morale si vale essenzial- 
jlla cooperazione dei singoli, e le fasi del suo progresso 
rapporto col grado di sviluppo e di perfezione rag- 
agli individui. La giustizia non trae origine dal sen- 



'anno prova le sue notevoli opere storiche, e i saggi namerosi 
)ta, suUa bilancia commerciale, sul credito, snU' interesse ecc., 
noto saggio : The Triturai hUtory oif religion» 



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iimento ma dalla ragione: essa ha costantemente di mira 
l'interesse del tutto, alla cui stregua e non a quella dell'in- 
dividuo le sue norme devonsi valutare e giustificare. Frutto 
di calcolo e di riflessione, imposte dalla necessità della con- 
vivenza, le norme di giustizia costituiscono altrettanti attentati 
alla libertà e felicità dell'individuo; quindi mentre sono coat- 
tive, devono essere al minimo ristrette, precise, determinate. 
Le norme morali sono come le pietre ciascuna delle quali 
concorre all'erezione dell'edificio; le norme di giustizia sono 
come la volta che sta per la mutua cooperazione di tutte le 
sue parti non per l'azione isolata delle singole pietre che la 
compongono. La natura stessa della giustizia rende inevitabili 
gli Stati e i governi, che la conquista e l'usurpazione più che 
il consenso fanno sorgere, e che l'azione del tempo e il con- 
solidarsi degli interessi finiscono per legittimare (1). 

La figura di Hume ha un'importanza notevole nella storia 
delle idee morali e giuridiche dell'Inghilterra: egli riassume 
per molti aspetti il passato e prelude a nuovi indirizzi di pen- 
siero. Concorda coU'Hobbes e col Locke nel rilevare il carattere 
razionale o convenzionale delle norme di giustizia: con Hut- 
cheson difese la morale del sentimento contro gli Intellettua- 
listi : nel ridurre al minimo l'azione dello Stato, nel restringere 
la giustizia alla difesa della proprietà egli subì l'influenza 
dell'individualismo dominante all'epoca sua in Inghilterra: 
nell'importanza data ai concetti della simpatia e dell'utile apri 
la via da un lato allo Smith dall'altro lato al Bentham. 

Sintomatico per il metodo è il dispregio che Hume ebbe pei 
fatti (2), a cui raramente fece ricorso per confermare le sue 



(1) Le dottrine etico-giuridiche deU' Hume sono contenute particolar- 
mente nei seguenti saggi : 1) e An inquiry concerning the principles of 
morals »; 2) « Of the origin of goyerument »; 3) « That polìtìcs may be 
reduced to a scìence »; 4) « Of the first principles of government »; 5) « Of 
the originai contract ». 

(2) Questa è la ragione per la quale THume fu ingiustamente severo 
nel giudicare Bacone* Cfr. Ektory ofEngland, Lond» 1789 t« vi, p. 194-19d« 



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ai quali ad ogni modo riservò un posto secondario e 
aato alle idee. L'eccezionale acume e potenza d'intel- 
rmise all'Hume di intuire il vero, e di trarre da' suoi 
lì conseguenze non contradette dai fatti (1): per lui la 

la religione, il diritto hanno un corso naturale, che 
me solo può determinare, e che spesso contraddice alla 
storica (2): determinare questo corso ideale delle cose 
Ito precipuo della filosofia. 

- L'analisi dei sentimenti in quanto sono stimoli all'o- 
umano fu con larghezza e originalità di vedute conti- 
la un terzo grande pensatore scozzese. Adamo Smith, 
isse con metodo deduttivo tutta la sua dottrina eco- 
dall'esame dei sentimenti egoistici, cosi come fece dei 
inti altruistici o simpatici la base della vita morale. 
> oeconomicus da un lato, l'homo eihicus dall'altro 
secondo lo Smith, a movente dell'azione sentimenti 

Moral sentiments e Wealih of nations anziché con- 
5i, come vogliono alcuni, si completano a vicenda e 
)no due esempi insuperabili di astrazione psicologica 
a con logica geniale e rigorosa (3). 
mpatia è un sentimento originario e irreducibile dei- 
associato. Essa consiste in un accordo di sentimenti, 
accordo ha luogo in noi, quando i sentimenti che 
agnano l'azione nostra si accordano coi sentimenti di 
30sto spettatore imparziale, che si erige a giudice in 



provano le sne affermazioni geniali e confermate dagli stadi pò- 
iiU' origine deUe religioni e dei governi, sulla condizione deU'uomo 
1^ sai fenomeni economici ecc. 

a deUe opere pili originali di Hume è The naturai history of re* 
cui arriva alla conclusione vera che il politeismo ha preceduto 
n monoteismo : la prova però che ne dà è essenzialmente teorica 
ca. 

le osservazioni del BUckle, Op. cit. e. xx, sul metodo seguito 
th, e sui caratteri della sua filosofìa. Cfr. anche Lange, Histoire 
aliarne f Paris, 1879, Voi. ii, p. 684-685. Lo Smith pubblicò The 

moral sentiinente nel 1759 e nel 1776 pubblicò Wealth of nations. 



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'i«^r: 



noi di noi stessi ; ha luogo fuori di noi quando il nostro sen- 
timento si accorda coi motivi e col l'intenzione dell'agente da 
un lato, coi sentimenti della persona che è termine dell'azione 
dall'altro (1). L'Hume fece scaturire la simpatia dalla consi- 
derazione degli effetti utili e piacevoli dell'azione : non tenne 
conto dello stato emotivo proprio di chi compie l'azione e di 
chi la riceve. Lo Smith più che agli effetti esteriori dell'azione 
rivolse la sua attenzione al sustrato psicologico dell'azione 
stessa, e distinse nettamente la simpatia diretta o soggettiva 
coi motivi e l'intenzione dell'agente, la simpatia indiretta o 
oggettiva collo stato d'animo della persona a cui l'azione si 
riferisce. Dire che un'azione è conveniente o sconveniente, 
buona o cattiva, significa solo simpatizzare o non simpatizzare 
colla causa o coi motivi che determinarono l'agente a com- 
pierla. Questo senso di simpatia diretto che nel giudicare 
l'azione nostra o di altri jion tien conto delle conseguenze 
dell'azione, ma dell'accordo di sentimenti di chi giudica im- 
parzialmente l'azione e di chi la compie costituisce il dominio 
proprio della morale (2). 

46. — Il fondamento psicologico della giustizia, che Hume . 
aveva disconosciuto facendo della giustizia opera esclusiva 
della riflessione e della ragione, deve ricercarsi nella simpatia 
indiretta o oggettiva, cioè nella simpatia che nasce dalla cor- 
rispondenza coi sentimenti di chi è termine dell'azione. 

L'azione benefica o dannosa fa simpatizzare col beneficato 
col danneggiato e desta in questi e negli spettatori impar- 
ziali un senso di gratitudine o di risentimento verso l'autore. 
In questo impulso retributivo, in questo stimolo al contrac- 
cambio, che dalla persona interessata si diffonde a quanti 
contemplano imparzialmente l'azione, noi troviamo la ragion 
d'essere del merito e del demerito, del premio e della pena, 



(1) Cfr. Theory ecc., Parte i, Seo. i, e. i. 

(2) Lo Smith tratta della simpatia diretta o soggettiva nella Parte t 
dell'opera sua; in occasione dei giudizi sulla proprietà delle azioni. 



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«^ 88 ^ 



^^"^i^mm 



erio per distinguere le azioni beneficile é le 
Le manifestazioni della beneficenza sono posi- 
mo limite nella loro esplicazione: il senso di 
lanifesta sopratutto negativamente quando cioè 
)voca la reazione e la pena. Le azioni che non 
danno né vantaggio, che non meritano né premio 
destano né simpatia né antipatia, o in altre pa- 
Ltudine né risentimento, costituiscono la classe 
giuste, in quanto rivelano in chi le compie il 
intimento di giustizia, ma non l'animo disposto 

1). 

Smith che il senso naturale di simpatia può 
,to (2). Non sempre noi siamo in condizione di 
idici imparziali e sereni delle nostre azioni: le 
itutto tendono a corrompere il nostro giudizio e 
Lizzare con motivi d'azione non degni di appro- 
?o canto nel giudicare le azioni da altri compiute, 
3re tratti in inganno dai risultati meramente 
?imii dell'azione, dall'utile o dal piacere che ne 
are. Non é a credere che lo Smith disconosca 
li questi elementi estrinseci dell'azione: é prov- 
e l'utile e il piacere da un lato, il successo 
tino simpatia, e costituiscano un criterio pratico 
ila bontà dell'azione: ma tali elementi devono 
lostri giudizii, nel regolare la simpatia un posto 
secondario (3). 

re la serenità e imparzialità dei nostri giudizii 
e il demerito dell'azione, si rendono pratica- 



)atia oggettiva lo Smith tratta nella Parte ii Op. cit. in 
itinieuto di merito o demerito deUe azioni. Sui rapporti 
) giustizia y. Op. cit. parte ii, sec. ii^ e. 1-3. 
ò del traviamento del senso di simpatia, cfì*. parte ii, 
parte in, e. 4. 
3naa dell'utilità sul sentimento di approvazione, v. Op« 



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-8à - 

inente indispensabili norme generali direttive. Queste norme, 
che resp3rienza ripetuta, non l'intuizione, ha suggerito, si 
presentano con caratteri e natura diversa, secondochè ten- 
dono a regolare i'esplicarsi dell'attività benefica, oppure sono 
dirette a impedire le lesioni del senso di giustizia: le une non 
escono dal campo della morale, le altre hanno carattere pro- 
priamente giuridico. 

La natura della beneficenza è tale che non si presta 
ad essere ridotta in formole precise e minute : il suo campo 
è illimitato, opperò la norma che ne regola l'esplicazione 
non può che esser vaga e indeterminata. D'altro canto il 
carattere negativo della giustizia, ne restringe il campo di 
esplicazione : le sue norme segnano i confini oltre i quali l'at- 
tività dell'individuo, esplicandosi, lede il senso della giustizia: 
pertanto devono essere precise, chiare determinate. Per ser- 
virmi del paragone dello Smith, le norme di giustizia sono 
come le regole di grammatica, poche, precise, determinate: le 
norme di beneficenza hanno l'indeterminatezza e l'elasticità 
propria delle regole del bello scrivere che ninno può precisare 
e costringere in poche formole. 

L'osservanza delle norme generali, sieno esse di beneficenza 
di giustizia, è condizione di benessere e di sicurezza sociale. 
Ma nulla è più contrario alla natura della beneficenza della 
coazione: essa vive di libertà, di spontaneità. Per quanto 
possa desiderarsi che i vincoli sociali traggano forza e con- 
sistenza dall' affetto e dalla mutua assistenza, l'esercizio delle 
virtù benevole può consigliarsi ma non coattivamente imporsi. 
Ma se l'osservanza delle norme di beneficenza è condizione di 
perfezionamento e di prosperità della vita sociale, l'osservanza 
delle norme di giustizia è condizione di esistenza: la vita 
sociale è possibile anche se i rapporti tra i suoi membri, a 
somiglianza dei rapporti che sorgono tra i membri di una so- 
cietà commerciale, non sono regolati dalla beneficenza, ma da 
mere considerazioni di interesse: ma senza le norme della 
giustizia si rende inevitabile la dissoluzione sociale, Che se sj 



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tien conto della naturale debolezza dei vincoli sociali di fronte 
alla forza degli stimoli egoistici, si comprende come solo colla 
coazione e con un ben regolato sistema di pene si può garan- 
tire l'osservanza delle norme di giustizia, che rappresentano il 
minimum di sacrificio individuale che la vita sociale richiede 
per sussistere. Nei rapporti colla vita sociale, dice lo Smith, 
lo norme di giustizia stanno alle norme di beneficenza, come 
in un edificio il muro maestro sta alle decorazioni (1). 

Mostrò peraltro lo Smith di avere della giustizia un concetto 
non esclusivamente negativo : egli osserva che nello stato di 
natura, cioè anteriore alla società costituita civilmente, tutti 
essendo eguali, la giustizia non può avere che un significato 
s erettamente negativo: ma nelle società civili in cui abbiamo 
distinzioni di classi, in cui abbiamo superiori e inferiori, l'a- 
zione dei governanti non deve solo esplicarsi nel senso di 
impedire Vivjuria, ma deve promuovere la prosperità morale 
dolio Stato imponendo norme positive di vera beneficenza. Se- 
nonchè, osserva giustamente lo Smith, l'azione del legislatore 
nel campo riservato alla beneficenza, quando non sia prudente 
. e illuminato, costituisce un grave pericolo per la libertà, la 
sicurezza, la giustizia (2). 

Rimprovera lo Smith agli antichi di avere esteso l'indeter- 
minatezza propria delle norme morali alle norme riferentisi 
alla giustizia. Nel difetto opposto incorsero^ i casuisti medio- 
evali nello sforzo fatto di sottoporre a regole minute e compli- 
cate tutti gli atti della vita morale e giuridica degli individui. 
I cultori del diritto naturale nel determinare le norme da im- 
porsi coattivamente invasero bene spesso il campo riservato 
alla morale. In tutti lo Smith nota la deplorevole coufusione 
tra norme morali e giuridiche, il disconoscimento dei criteri 
coi quali le une e le altre devono essere stabilite. Ammette 



(1) Cfr. suU' origine delle norme morali, op. cit.. Parte III, e. 4 : sai 
caratteri di tali norme, sui rapporti tra norme di beneficenza e di giustizia: 
op» cit., Parte III, e. 5-6. 

(8) Cfr, Op. cit., Parte II, Seo. II, o. 1. 



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- &1 -^ 

atìcóra lo Smith la ragiofle d'essere del diritto naturale, ÓSàia 
di un complesso di norme generali e costanti, capaci di fornire 
una meta ideale alle leggi positive (1). . 

La dottrina dello Smith è un capolavoro di analisi psico- 
logica condotta con metodo deduttivo. Per la prima volta ve- 
diamo la questione dei rapporti tra morale e diritto risolta al 
lume della psicologia. L'aver fatto astrazione dagli elementi 
egoistici concorrenti nell'operare umano, giovò a mettere in 
rilievo gli elementi altruistici o simpatici, di cui vivono sopra- 
ttutto i rapporti morali e sociali, ma giustificò l'accusa di unila- 
teralità opposta alla sua dottrina. L'analisi della simpatia ne 
avrebbe certo allargato la base, non essendovi dubbio che a 
costituire la simpatia concorrono pure elementi egoistici. Ma 
il difetto maggiore della teoria dello Smith, difetto che nel de- 
terminare 1 rapporti tra morale e diritto si rende più evidente, è 
l'assoluta mancanza della veduta storica, la quale se non poteva 
distruggere le sue affermazioni psicologiche, avrebbe giovato 
certamente à completarle e ad estenderle. 

47. — Il progresso delle scienze morali dall'Hobbes allo Smith 
fu sotto ogni riguardo notevole : esso fu parallelo alla trasfor- 
mazione economica, politica, religiosa che in Inghilterra si 
andò attuando nei secoli XVII e XVIII. Hobbes e Locke inte- 
sero sopratutto a emancipare le scienze morali dalla teologia 
e trovare loro un fondamento nuovo : al principio divino con- 
siderato dalla filosofia tradizionale come fonte di moralità, 
l'uno sostituì la volontà del principe, l'altro la legge di na- 
tura, elaborata dalla coscienza popolare e che si concreta in 
legge civile e in legge del costume. I filosofi scozzesi affer- 
marono il fondamento psicologico delle scienze morali, deri- 
vandole dal senso morale e dalla simpatia. Ad essi dobbiamo 
i primi tentativi fatti per distinguere la morale dal diritto. 



(1 Notevole a questo riguardo la Sez. IV, Parte VII, Op. cit., circa 
i metodi seguiti dai diversi scrittori nel determinare le norme pratiche 
di moralità. 



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- 92 - 

L* Hobbes e il Locke non intesero l'importanza teorica e pira- 
tica di tale distinzione. 

Le condizioni economiche e politiche dell'Inghilterra richia- 
marono su di essa l'attenzione. L'invasione dello Stato o meglio 
del principe nel campo riservato alla moralità, cosi come nel 
campo dei rapporti economici, era norma dominante nel se- 
colo XVIL La riforma protestante, lungi dallo scuotere, aveva 
riaffermato tale principio. L'autorità civile in Inghilterra as- 
serviva a sé la religione, mentre in Scozia ne era asservita. 
In entrambi i casi il risultato era identico, il disconoscimento 
(li ogni distinzione tra norme morali e giuridiche. Il movi- 
mento individualista che si diffuse in Inghilterra nei secoli 
XVII e XVIII rappresenta la reazione contro le indebite in- 
gerenze dello Stato nei rapporti economici, religiosi e morali, 
la difesa di ciò che parve patrimonio intangibile dell'indi- 
viduo. La discussione circa i limiti del potere dello Stato nei 
suoi rapporti coll'individuo, doveva teoricamente presentarsi 
come questione concernente i rapporti tra morale e diritto, 
e cosi fu intesa e trattata dall' Hume e dallo Smith. L'Hume 
fa aperto avversario dell'invasione dello Stato nel campo dei 
rapporti non solo economici, ma anche morali: secondo lui 
l'azione dello Stato non deve esplicarsi che negativamente 
e solo a difesa della proprietà, alla quale riduceva il con- 
tenuto del diritto. A questo poi negava ogni origine psi- 
cologica, limitandosi a giustificarne l'esistenza dal punto di 
vista razionale e della necessità sociale. Lo Smith con veduta 
più larga e scientifica ricerca nella natura stessa dell'uomo 
un criterio di distinzione tra morale e diritto : Vimpulso re- 
tributivo mentre provoca il senso di gratitudine verso l'azione 
benevola, giustifica psicologicamente la reazione verso l'azione 
ingiusta: né deve, secondo lui, l'azione dello Stato manife- 
starsi in senso esclusivamente negativo, ma deve in deter- 
minate circostanze, per quanto cautamente e colle dovute ga- 
ranzie, potersi estendere a favorire il progresso morale. Se- 
nonchò la storia posteriore delle scienze morali abbandona 



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l'indirizzo psicologico perfezionato dallo Smith, per riattaccar 
all'Hume, il quale, avendo posto a criterio misuratore del bei 
e del male, del giusto e dell'ingiusto il concetto dell' util 
schiudeva la via a Bentham e all'indirizzo utilitarista. Ti 
le cause di tale arresto devesi ricordare il metodo deduttr 
seguito dallo Smith nell'indagine psicologica, metodo che i 
chiedeva qualità personali di astrazione e di sintesi, poss 
dute in grado eminente dallo Smith, ma non facili a riscoi 
trarsi in altri. Si aggiunga che alle esigenze della prati- 
parve meglio rispondere il criterio oggettivo dell'utile, ci 
teneva conto delle conseguenze dell'azione, che non i crite 
soggettivi fondati sui moventi psicologici o interiori dell'azioE 
Che se la dottrina morale dello Smith per tali ragioni non e 
venne popolare, ed esercitò scarsa influenza all'epoca sua 
confronto alla dottrina utilitaria, essa però al risorgere de^ 
studi positivi di psicologia, fu in molte sue parti conferma 
e apprezzata al suo giusto valore. 

Che se vogliamo stabilire un parallelo tra la scuola d 
diritto naturale in Germania, e quella empirica inglese in o 
dine alla questione dei rapporti tra morale e diritto, noi tr 
veremo che in entrambi i paesi essa fu provocata dalla n 
cessità di difendere l'individuo contro l'ingerenza dello Sta 
in materia di morale e di religione. Il movimento culmina 
Germania col Thomasius, in Inghilterra con Hume e Smitl 
senonchè là le resistenze furono maggiori, la questione fu sopr 
tutto sollevata e con grande calore discussa dai giureconsu! 
allo scopo di salvaguardare la libertà morale e religiosa, ment 
irf Inghilterra l'invasione dello Stato fu sopratutto combattu 
in favore della libertà economica. Ad ogni modo il risulta 
finale fu in entrambi i paesi di mettere in rilievo l'import an: 
teorica e pratica della questione. 



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§5. 
Vlf>^itlxzo cmtt^mimtio ideile sclei^ze ff|otall. 

SOmiABIO : 4& CftrtMlo • Tepoca ioa - 49. Cutesio • 1« loianM morali — 
fio. Ma1«branoh« • V indiriuo ■piritaalitta-oartMÌano nella soienae morali — 
61. L'Olanda a il ■iitama atico-ciuridioo di Spinosa — S2. Le oondiaioni poli- 
tloha • rali^oM dalla Qar mania nal leoolo XV^II — 63. La dottrina etico- 
giuridica di Leibnia — 64. L'opera metodica del Wolff — 66. Parallelo tra 
l'indiriaio flloeoflco e ginridico nelle loienae morali. 

48. — Chiunque voglia ricercare le origini prossime dei 
metodi e indirizzi diversi che si riscontrano nel campo delle 
scienze morali dell'età moderna, deve risalire al secolo XVII 
e precisamente ai tre paesi che di tali indirizzi furono i 
centri di origine e di sviluppo: l'Olanda, l'Inghilterra, la 
Francia. Dove la riforma religiosa gettò più profonde radici, 
dove le mutate condizioni economiche affrettarono l'avvento 
dello Stato moderno, ivi si svolse vivace l'opposizione allo 
spirito teologico, e le questioni d' indole morale e politica sor- 
sero numerose e insistenti. La Riforma non impedi anzi per 
molti riguardi accentuò V intransigenza religiosa (1): le guerre 
religiose divamparono ovunque con questo solo risultato di 
rendere necessario l'intervento spregiudicato dello Stato, e 
di far sentire il bisogno di dottrine politiche e giuridiche 
dapprima, morali poi, indipendenti da ogni presupposto Teli- 
gioso. Col comporsi delle questioni religiose l'attenzione fu 
rivolta allo Stato e ai rapporti sorgenti tra Stato e individuo: 
gli interessi morali e giuridici vennero per tal modo ad oc- 
cupare il primo posto. 

Questo processo storico, comune a tutti i paesi nei quali 
penetrò la Riforma, si manifestò prima che altrove in Olanda, 
Inghilterra, Francia: in questi paesi abbiamo con Grozio, con 
Bacone, con Cartesio i fondatori dei nuovi indirizzi di pen- 
siero, dei quali alcuni, come quelli di Grozio e di Hobbes 



(l) Cfr. Ifuffini, Op. cit. I, e. 1, J 5, 



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■* «n^;v;^r--jV' " 



- 95 ^ 

farono direttamente determinati dalla necessità di trovare un 
fondamento nuovo alle sciènze morali, mentre quelli di Bacone 
e di Cartesio, mirando a un generale rinnovamento del metodo 
e del sapere jOilosofico, solo indirettamente sovvertirono le basi 
ti'adizionali delle scienze morali. 

La Francia in particolare fu per oltre quarant'anni teatro 
di sanguinose lotte religiose: la vita politica e intellettuale 
del paese parve subire un arresto: più che la forza dell'armi 
valse a predisporre gM animi alla conciliazione e alla tolle- 
ranza lo scetticismo morale e religioso, che s' impadroni degli 
animi stanchi e disillusi, e che rappresenta la reazione inerte 
del buon senso, dello spirito laico e liberale contro il dogma- 
tismo religioso, cattolico e protestante. Privo di ogni carat- 
tere scientifico e ricostruttivo, tale scetticismo scaturiva dalla 
impotenza, dalla sfiducia nella capacità intellettiva, e si svolse 
sopratutto nel campo pratico per opera di quei cattolici mo- 
derati, chiamati i Politici che formatisi tra l'intemperanza 
e l'intransigenza dei partiti, furono efllcaci cooperatori della 
politica illuminata e tollerante di Enrico IV. Rappresentanti 
di questo scetticismo pratico e popolare furono il Montaigne 
e lo Charron : essi non si fecero banditori di metodi e sistemi 
nuovi, ma entrambi, e sopratutto lo Charron in forma garbata 
si fecero a sostenere principii che in quell'epoca dovevano 
sembrare rivoluzionarli, quali ad esempio che l'errore reli- 
gioso non costituisce reato, che le opinioni religiose sono il 
prodotto dell'abitudine, che le differenze che dividono intorno 
ad esse gli uomini sono puramente formali, che è possibile la 
morale senza il fondamento religioso. L'aver fatto buon viso 
a quéste idee, l'esser stati i loro autori letti e apprezzati 
prova non tanto che i tempi erano maturi per accogliere tali 
principii, che lo spirito irreligioso e l'ateismo fossero diff*usi, 
quanto piuttosto la stanchezza e l'impotenza degli animi a 
reagire contro il diffondersi di tali idee che trovavano nella 
storia dolorosa e recente qualche conferma. Ad ogni modo se 
tala scetticismo non ebbe alcuna importanza teorica, ne ebbe 



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'VlOTQH 



una grande pratica: esso preparò quello stato degli animi che 
;e possibile il trionfo di Enrico IV, l'Editto di Nantes, e 
a politica inspirata non agli interessi religiosi, ma civili e 
itici del paese. La politica di Enrico IV fu elevata a sa- 
mie sistema dal Richelieu, di cui fu meta costante T inte- 
nse dello Stato inteso come espressione dell'unità nazionale 
'interno, come preminenza assoluta di fronte all'estero, 
olto da ogni preoccupazione di classe, di religione, di mo- 
e, umiliando all'uopo la nobiltà, reprimendo i tentativi di 
lellione dei protestanti, facendo della tolleranza la base 
ila politica. Al Richelieu deve la Francia nel secolo XVII 
sua grandezza politica, il consolidamento dell'unità hazio- 
le, il risveglio intellettuale. Ed è degno di nota che proprio 
andò la politica del Richelieu aveva toccato il massimo 
iluppo, appariva il « Discorso sul metodo » di Descartes, de- 
nato a produrre nel campo filosofico effetti analoghi a quelli 
eseguiti dal Richelieu nel campo della politica. Il successo 
e l'opera di Cartesio incontrò in Fi*ancia, quando l'eco delle 
te religiose non era ancor spenta, dimostra il progresso delle 
je; al dubbio pratico sterile e vano sottentrava il dubbio 
iagatore e scientifico (1\ 

49. — L'influenza di Cartesio nella storia delle scienze 
>rali supera per molti riguardi quella pur tanto notevole 
ircitata da Grozio e da Bacone. A tutti fu comune l'av- 
rsione verso i metodi e i sistemi tradizionali e teologici; 
L se Grozio fu sopratutto preoccupato di sottrarre alla in- 
enza della religione il fondamento del diritto e contrappose 
metodo teologico il metodo storico-razionale che alla so- 
done delle controversie giuridiche mostravasi particolar- 
jnte adatto, Bacone, fatto audace dai progressi mirabili 
Ila scienza, fu condotto a proclamare la generale trasfor 



1) Cfr. suUe vicende religiose in Francia il Kuffini, Op. cit., I, 
[V, § 15. — Sulle condizioni storiche deUa Francia U Bnckle, Op. cit., 
Viil# 



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- 97 - 

mazione ^el sapere filosofico e scientifico, sulla 
plicazione del metodo induttivo. Ma quel dualism 
e materia che costituiva l'essenza della filosofia 
e che Bacone aveva attenuato nell'unità del met( 
risorge per opera di Cartesio, la òui dottrina se 
della metafisica manifesta evidente la tendenza 
lismo, cioè verso l'unità di tutte le cose nello sp 
mantiene netta la distinzione tra materia estesa 
appare essenzialmente dualistica nel metodo e nel ( 

L'aver accentuato questo dualismo permise a Ci 
ad altri del suo secolo, di essere ad un tempo file 
ziato: a tale dualismo provvidenziale devesi se ( 
volando sul rapporto" tra il mondo psichico e il 
rale potè trattare con metodo soggettivo i fatt 
accogliere nello studio della natura un metodo 
duttivo, che si avvicina assai più di quello di Bz 
processo seguito da chi studia la natura (2). Secc 
la causalità domina sovrana nella natura fisica ( 
questa esula ogni .concetto di finalità: tutto v 
forza di proprietà immanenti nei corpi e secondi 
riabili, che la scienza deve determinare non eh 
particolare al generale, come proponeva Bacone, 
tosto alle cause reali dei fenomeni, ma piuttostc 
corso ad ipotesi da controllarsi coU'esperienza (: 

L'originalità e l'importanza di Cartesio più eh 
delle indagini scientifiche, si esplicò sopratutto ne 



(1) Cfr. La vi osa, Filosofia scientifica del diritto in Tngh 
Claiison, 1897, p. 7. 

(2) L'osservazioue e la denomiuazione di metodo ipotet 
del La Ugo, Histoire du matérialismef Paris, 1877, Voi. I, 
mazioiitì dui Lauge è vera e trova couferma in alcaui pai 
sul Metodo; ma dove completarsi col metter in rilievo il 
diverso che lo stesso Cartesio proponeva per lo stadio dt 
e che i>nò considerarsi psicologìco-deduttivo. 

(3) Sotto questo aspetto Cartesio cooperò efficacemente 
materialismo. Cfr. Lange, Op. cit., Voi. I, p. 222 e seg 



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- 98 - 

sofico. Le scienze dello spirito, di cui le scienze morali erano 
parte integrante, all'epoca di Cartesio continuavano a mante- 
nere stretti legami colla teologia. In questa parte Bacone fu 
e rimase per lungo tempo nell'Inghilterra stessa un solitario. 
K La filosofia che si svolse in Inghilterra sulle traccio di Hob- 

bes, con tendenze essenzialmente pratiche, rifletteva troppo 
/ strettamente il carattere e le speciali condizioni politiche e 

k religiose del popolo inglese per incontrare favore sul conti- 

<] nente. Spettava a Cartesio l'onore di avviare per vie nuove 

le scienze dello spirito e assicurarne l'ulteriore sviluppo. Contro 
t;' la rivelazione, la tradizione, l'esperienza dei sensi e del mondo 

f esterno che da secoli costituivano le fonti di conoscenza del 

I mondo interiore, Cartesio oppose non la negazione^ ciò che 

^' sarebbe stato per que' tempi prematuro e pericoloso, ma un 

1;, concetto a lunga scadenza assai più dissolvente, il dubbio. Du- 

I bitando di tutto il sapere per tali vie acquisito, isolandosi da 

|; quanto poteva disturbare il processo di introspezione, Cartesio 

p^ arrivò a scovare nel profondo della coscienza alcune idee 

u chiare e distinte, resistenti al('analisi, rivestite della più ri- 

fi gorosa evidenza, costituenti i veri primarii, assoluti, le pre- 

( messe indiscutibili, da cui le scienze morali devono potersi 

|- dedurre logicamente. Per tal modo mentre il vero razionale 

tt nella natura è solo ipotetico e costituisce base incerta di de- 

£ duzione se non è confermato dalla esperienza, per le scienze 

fc dello spirito le idee chiare e distinte, risultato dell'osservazione 

l' psicologica, contengono una verità infallibile, sono la base 

^ salda del sapere: la verifica sperimentale nulla può aggiun- 

fc gere a ciò che si rivela logicamente necessario. Erroneamente 

f: da alcuni si proclama Cartesio il fondatore e il legislatore 

^r del metodo razionale : il suo metodo fu essenzialmente psico- 

h logico-deduttivo: per lui la ragione è un mezzo, non la fonte 

della conoscenza : egli non trasse, come fecero poi i raziona- 
listi, il sapere dalla ragione, ma mediante la ragione dall'osser- 
vazione psicologica. Facendo dell'Io vivo e reale, non astratto, 
g^fferniato con processo iatrospettivo, la base delle scienza mo- 



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— 99 - 

rali, Cartesio si distingueva ad un tempo dai teologi e dai 
razionalisti, di cui gli uni ne cercavano il fondamento fuori 
dell'uomo nel principio divino, gli altri nella ragione o in un 
principio puramente razionale. Dovere e diritto, anziché in un 
mondo sopranaturale, venivano, secondo Cartesio, a trovarsi 
in una sfera ideale comune, superiore alla materia, sottratti 
alle necessità naturali e all'impero della causalità. Come 
Lutero col proclamare il libero esame intendeva ricondurre il 
sentimento religioso dall'esterno nell'intimità della coscienza, 
cosi Cartesio, obbedendo suo malgrado alle tendenze indivi- 
dualistiche dell'epoca sua, riconduceva l'uomo in sé stesso 
agli effetti delle scienze morali e lo incitava a trarre da sé 
medesimo il motivo del suo operare (1). Con Cartesio l'indi- 
viduo rivendica fieramente la sua autonomia, la sua libertà 
di pensiero e di azione; la via all'individualismo e al sog- 
gettivismo etico-giuridico era dischiusa, mentre il carattere 
di universalità e immutabilità che il presupposto teologico 
assicurava alla norma etica era comj)romesso : invano Cartesio 
avvertendo il pericolo .corse al riparo ripudiando il dubbio 
pratico, e dichiarando che agli scopi della vita morale bastano 
la rivelazione e le leggi divine e umane: ciò che nell'intenzione 
sua era una semplice rivoluzione teorica, doveva tramutarsi 
in una rivoluzione di fatto. 

Notevoli sono le conclusioni a cui pervenne Cartesio stu- 
diando l'uomo, nel quale il mondo dello spirito e quello della 
materia sembrano congiungersi, e che costituisce il centro da 
cui si svolgono e a cui si indirizzano le scienze morali. Tutte 
le manifestazioni psichiche dell'uomo si riducono per Cartesio 
alla funzione dell'intendere: la volontà, concepita libera e 



(1) Sotto questo aspetto deve approvarsi P affermazione del Lermìuier 
(Philosophie du droit, Bruxenes, 1832, p. 284) accolta dal Buckle, Op. 
cifc., e. vili, secoudo coi Cartesio fa U successore e il complemento di 
Lutero. Ciò scaturisce dallo spirito della filosofìa cartesiana, e il Lange, 
(Op. cife., Voi. I, p. 484), che combatte tale giudizio si lasciò forse traviare 
i\s\ì estrattore di Csi^rte^io tin^ido ed ossequente al dogm^.. 



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- iOl - 

dividuo e nello Stato. Tutto faceva credere che la F*rancia 
fosse por attuare una trasformazione economica, politica, re- 
ligiosa, intellettuale, analoga a quella che si svolgeva quasi 
nella stessa epoca in Inghilterra. Ma tale illusione fu ben 
presto distrutta dagli avvenimenti che tennero dietro alla 
morte del Richelieu, e all'avvento al trono di Luigi XIV. 11 
movimento tendente a rialzare il prestigio dello Stato e del- 
l'autorità regia, a favorire col processo di unificazione del 
paese l'accentramento dei poteri, si trasformò per opera di 
Luigi XIV in un sistema di governo dispotico e personale, 
apertamente ostile alle tendenze individualiste dell'epoca, alle 
generose e libere iniziative provocate dalla politica del Ri- 
chelieu. Lo spirito di fronda che commosse per qualche tempo 
la nobiltà fu vano ed effimero: lasciò indifferente il popolo, a 
cui faceva difetto qualsiasi coscienza politica per influire ef- 
ficacemente sulle sorti del paese. Il patronato regio, lo spirito 
l^rotettore largamente applicato in politica, in letteratura, in 
economia, in religione, distruggendo colla libertà politica la 
libertà di pensiero rese inevitabile il ritorno al passato anche 
nel campo delle scienze morali. 

Per ingraziarsi il clero cattolico e averlo cooperatore al suo 
sistema di governo. Luigi XIV si fece feroce persecutore degli 
Ugonotti, e sostenitore severo della ortodossia religiosa; ca- 
ratteri del suo regno furono l'intolleranza, la diffidenza verso 
ogni nuovo indirizzo di pensiero, il servilismo in tutte le sue 
forme, la consacrazione religiosa dello spirito reazionario e 
protettore (1). Distolti dallo studio dei problemi politici e ci- 
vili, gli intelletti francesi si abbandonarono con giovanile ar- 
dore alle dispute religiose e teologiche: le vecchie questioni 
metafisiche sulla predestinazione, sui rapporti di Dio col mondo, 
della libertà colla grazia, del premio e castigo colla morale, 
risorsero agitando gli animi per modo da provocare nel seno 



(1) Cfr. Sulla politica di Lnlgi XIV, le severe ma giuste osservazioni 
del BucklO) Op. cit., o. xi« 



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'^^«M 



- 102 ^ 

stesso del clero cattolico dispute vivaci e dissensioni profonde, 
alle quali si mantenne del tutto estraneo il popolo e il paese (1). 

Contro i Gesuiti, rappresentanti della tradizione tomistica 
e aristotelica, poco propensi alle speculazioni, contrarii a ogni 
eccesso in senso mistico o idealista, gelosi e vigili custodi del 
dogma, maestri insuperati nell'arte di conoscere gli uomini e 
di adattare il dogma alle mutevoli esigenze della vita reale, 
creatori di quella casuistica morale che è un vero monumento 
di opportunismo pratico, si levarono indirizzi diversi di pen- 
siero religioso, procedenti tutti dalla stessa fonte, dal misti- 
cismo, ossia dal bisogno di un sentimento religioso più intimo 
e intenso, non soffocato da un inutile e vano formalismo, meno 
vincolato alla realtà: di qui il favore concesso alle dottrine 
di Platone e di S. Agostino, il movimento giansenista, il quie- 
tismo di Fenelon, indirizzi tutti che si alimentavano di quanti 
avversavano il gesuitismo in politica e in morale, e il carat- 
tere ufficiale e nazionale della Chiesa (2). 

Tra i Gesuiti e gli aristotelici da un lato e le ribellioni in 
senso mistico dall'altro, si interpose Malebranche, a cui parve 
evitare gli errori in cui cadevano i mistici, temperandone gli 
ardori e gli eccessivi entusiasmi collo spirito cartesiano. Car- 
tesio in Malebranche diventa l'alleato di S. Agostino e di Pla- 
tone. La ragione impedita di esplicarsi in altri campi, si pone 
p3r opera del Malebranche a servizio del dogma e si raffina 
nel tentativo di razionalizzare le credenze e aprire nuove vie 
alla filosofia cristiana. Per temperamento, .per il carattere 
stesso della Congregazione dell'Oratorio (3) a cui apparteneva, 



(1) Cfr. Jodl-, Op. cit., Voi. I (1882), e. vili, 3 Abs., § 1-2. 

(2) Cfr. Sui rapporti tra la filosofia del Malebranche e gli altri indiriazi 
di pensiero dell'epoca, l'opera dell' Olle -Lap rune, La philosophie de Ma- 
lebranche, Paris, 1870, Voi. II, e. i. 

(3j La Congregazione dei Preti dell'Oratorio era stata approvata da 
Paolo IV, nel 1613, ed ebbe a fondatore il cardinale De BeruUe : ne' snoi 
statati, nel suo indirizzo si contrapponeva ai Gesuiti t in filosofia segniva 
Platone e S. Agostino. 



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f 



- 103 - 

Malebranche era portato all' idealismo e al misticismo : alla 
scuola di Platone e di S. Agostino, prima ancora di conoscere 
Ccirtesio, egli aveva attinto le sue convinzioni religiose e fi- 
losofiche. L'ammirazione e la riconoscenza ch'egli poi nutri 
profonda per Cartesio, si spiegano pensando che il metodo car- 
tesiano, introspettivo, psicologico, gli dava modo di ricercare 
nell'intimità della coscienza, là ove il sentimento e l'intui- 
zione dominano, il fondamento razionale di quell'unione di 
tutte le cose in Dio, di quell'azione incessante, universale, 
immediata di Dio col mondo, in cui egli credeva coll'entu- 
siasmo del mistico (1). Ragione e fede che Descartes e i ra- 
zionalisti dopo di lui tennero con gran cura distinte, in Ma- 
lebranche concorrono senza confondersi : entrambe sono fonte 
e criterio di verità, hanno eguale autorità: la fede origina il 
sentimento e l'intuizione confusa di quelle verità che solo la 
ragione rende chiare ed evidenti. I dogmi, come i fatti per la 
fisica, sono veri ma non evidenti, e devono essere dimostrati : 
ascoltare la ragione significa ascoltare Dio stesso, e i suoi re- 
sponsi in noi : veniva cosi Malebranche a recare un colpo 
mortale al principio di autorità, e anteponeva all'autorità di 
Aristotele e della Chiesa stessa l'autorità della ragione, ossia 
della coscienza chiara e distinta. 

Descartes aveva contrapposto il pensiero {mens) all'esistenza: 
Malebranche dal fatto del pensiero trae la necessaria esistenza 
degli oggetti pensati ossia delle idee, le quali non sono come 
per Descartes mere modificazioni e prodotti dello spirito, o 
immagini delle cose, ma conformemente alla dottrina platonica, 
sono l'archetipo di tutto ciò che può essere, hanno esistenza 
vera e reale, indipendente dalle cose a cui si riferiscono.. Il 
mondo materiale è l'ombra del mondo intelligibile, il quale 
solo ha valore e rappresenta la realtà vera. Tutte le idee si 



(l) Per una fedele e ampia esposizioQO del sistema filosofico del Male- 
branche si paò consultare l'Ollè-Laprune, Op. cit., Voi. I, e Henry 
Jol^i Malebranche, Paris, 1901. 



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-- 1Ò5 - 

di ogni tempo a intendere e a risolvere la questione dei rap- 
porti tra morale e diritto. Per Malebranche Dio non è solo 
causa òubsistendi e ratio intelligendi, ma anche ordo vivendi. 
L'ordine universale e immutabile, quale procede dai rapporti 
di perfezione delle idee, è fondamento della morale: l'amore 
abituale di quest'ordine, che la ragione fa conoscere, costi- 
tuisce la virtù e implica la forza e la libertà del volere. L'Ìt 
deale morale dell'uomo sta nell'unione intima e costante con 
Dio: l'amor del prossimo, la società, lo Stato hanno un inte- 
resse derivato e secondario : la solitudine, la contemplazione, 
meglio che il vivere sociale, conducono all'ideale morale. Di 
diritti non può parlarsi, dacché la morale stessa deve servire 
a scopi mistici e religiosi. La distinzione tra morale e diritto, 
tra morale religiosa e profana, che si andava all'epoca sua 
accentuando colla separazione della Chiesa dallo Stato, cobti- 
tuiva per Malebranche il più grave pericolo per l'unità della 
vita morale, la quale poteva solo ristabilirsi, facendo di Dio il 
termine e il principio delle azioni umane. 

Ma quando il Malebranche esce dal campo cliiuso delle sue 
speculazioni per considerare la vita reale e la vede svolgersi 
in contraddizione all'ottimismo ideale del suo sistema, sull'e- 
sempio degli spiritualisti di tutti i tempi, ricorre alla solita 
finzione del peccato originale, ai soliti adattamenti e diventa 
pessimista come Hobbes. La vita reale rappresenta allora il 
regno del male e della forza irrazionale : le norme etico-giu- 
ridiche, deviate dal loro principio, devono piegarsi alle esi- 
genze imposte dalla sicurezza e dalla corruzione dell'umana 
natura (1). Distrutta l'unità della vita morale, si rende neces- 
saria la duplice direzione civile ed ecclesiastica. La Chiesa 
si vale a' suoi scopi della norma morale diretta al perfezio- 



(t) « La force o la loi des brutes, egli osserva, ceUe qui a deferé au 
lioii ^empire des auiinanx est deveune la maitresse parmi les hommes ». 
— £ altrove (Traité eoo,. Voi. II, e. xi, § 4) dice che la legge umana 
non è piii la legge vera, cioè la legge deUa ragione come non lo è il re« 
gelamento di un ergàstolo. 



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^ lòé- 

namento interiore deiruomo ; lo Stato provvede al manteni- 
mento della pace e della sicurezza sociale per mezzo di norme 
giuridiche, dirette a regolare i rapporti esteriori di condotta. 
Il Malebranche vuole la Chiesa e lo Stato dipendenti da Dio, 
fonte di giustizia e d'autorità, ma liberi e indipendenti nella 
loro azione : edotto dagli avvenimenti dell'epoca sua, stigma- 
lizza come inutile e tirannica l'azione dello Stato diretta a 
imporre doveri religiosi, e a violare i sacri diritti della 
coscienza (1). 

Sostenere la libertà e l'indipendenza della Chiesa di fronte 
allo Stato, significa per Malebranche difendere la morale ossia 
la religione contro le esigenze del diritto, ossia contro il pre- 
valere degli interessi umani e civili. I rapporti tra lo Stato 
e la Chiesa si erano invertiti passando dal Medio Evo all'Evo 
moderno : nel Medio Evo lo Stato doveva difendersi contro le 
tendenze teocratiche della Chiesa: ma nei secoli XYII e XVIII 
il giurisdizionalismo minacciava cogli interessi religiosi anche 
quelli della morale. Il Malebranche nel combattere le illecite 
ingerenze dello Stato in materia di fede e di morale, cooperò 
inconsciamente a separare la sfera del diritto da quella della mo- 
rale, per quanto non concepisse questa disgiunta dalla religione. 
Né deve sembrar strano che il Malebranche trascurasse i rap- 
porti esteriori di condotta : accenna oscuramente e quasi di 
passaggio ai diritti naturali che il principe deve osservare, e 
a cui devono i cittadini far ricorso per trarre un criterio di 
condotta nei loro rapporti coi governanti (2), ma si astiene 
dal toccare le garanzie pratiche destinate a ottenere il rispetto 
dei diritti naturali : come francese del secolo di Luigi XIV 
non poteva dire di più ; come spiritualista preoccupato sopra- 
tutto degli interessi religiosi e morali, doveva consigliare in 
fatto di politica l'obbedienza e la rassegnazione. Questa dichia- 



(1) Cfr. Ti\ de Mot. y Parte II, e. vi. 

(2) Op. cit«, Parte II, e. ix. — £ sintomatico il fatto che Tespressione 
I diritti naturali » è sottolineata nel testo originale* 



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l'azione di impotenza, questo invito alla docilità passiva, 
l'indifferenza politica,'è carattere comune ai sistemi si 
tualisti, alla cui ombra il dispotismo prospera e le rivoluz 
si preparano. 

Il razionalismo posto a servizio del dogma, ebbe in M 
branche il più autorevole rappresentante : di qui la sua 
portanza e l'influenza esercitata sopra quanti cercarono 
l'età moderna di conciliare la ragione colla fede. In on 
alla questione dei rapporti tra morale e diritto, l'indirizzo 
Malebranche è sopratutto notevole in quanto affermand 
base religiosa della morale, non faceva che separarne vie] 
le sorti da quelle del diritto. L'unità delle scienze mora! 
Dio aveva nel Malebranche il valore d'una semplice affei 
zione teorica, che lasciava sussistere un dualismo inconc 
bile tra morale e diritto : su altra base, che non fosse h 
ligiosa, dovevano unificarsi le scienze morali, pur mantem 
distinti i loro rapporti. 

51. — 11 Cartesianismo, per le riserve stesse del suo 
datore, non ebbe tanta importanza come dottrina quant 
ebbe come metodo. Il metodo induttivo, personificato in Ba( 
divenne il metodo proprio delle scienze naturali; il me 
Cartesiano parve invece costituire il procedimento pr< 
delle scienze filosofiche, ristrette oramai allo studio del m 
interno, ossia ai problemi riguardanti l'uomo e la societ 
Francia, all'ombra del dispotismo, il Cartesianismo, per e 
del Malebranche, si esaurisce nello sforzo vano di infoi 
nuovo vigore nei principii e nelle credenze religiose, e 
serva quel carattere soggettivo, che parve imprimergli il 
datore: in Olanda, sotto un regime di libertà, per opei 
Spinoza, esso riveste carattere oggettivo, e diventa capa 
nuovo sviluppo. 

L'Olanda occupa un posto notevole nella storia delle se 
morali: nel secolo XVII sopratutto fu centro di una viti 
litica e intellettuale assai intensa, tenne desta in Euro 
fiamma della libertà di pensiero e di culto, divenne 1 



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- loà- 

provvidenziale ai perseguitati per causa politica e religiosa (1). 
La separazione dal Belgio avvenuta nel 1579 segnè per l'Olanda 
Li duplice emancipazione dal giogo politico della Spagna, dal 
giogo religioso di Roma. Il predominio e l'intransigenza dei 
Calvinisti, le loro tendenze teocratiche, le lotte tra Rimostranti 
e Contro-Rimostranti parvero per un istante compromettere 
le sorti del paese: ma gli Arminiani alleati coi Sociniani sul 
terreno della tolleranza finirono di fatto per prevalere e il 
loro trionfo preparò il primato dell'Olanda nelle arti, nelle in- 
dustrie, nella potenza politica. 

Il pensiero filosofico in Olanda doveva particolarmente ri- 
volgersi alla soluzione dei problemi politici e morali all' infuori 
di ogni preoccupazione politica e religiosa. A tale intento 
mirarono i due maggiori intelletti che l'Olanda produsse in 
quell'epoca: Ugone Grozio e Benedetto Spinoza. Il Grozio ap- 
partiene alla generazione che lottò per il trionfo della libertà 
religiosa e in difesa degli interessi civili contro la tirannide 
teocratica: giureconsulto più che filosofo egli -intese sopratutto 
vussicurare al diritto una base razionale in contrapposizione 
alla tradizionale del diritto divino, senza però avere una 
cliiara coscienza del criterio di distinzione tra la sfera giu- 
ridica e la sfera morale. Spinoza appartiene alla generazione 
susseguente che vide attuato il principio di tolleranza e gli 
altri principii liberali, e ne poteva constatare i benefici ri- 
sultati. P]gli intese sopratutto risolvere il problema morale, 
p)ichè la religione a misura che perdeva terreno nel campo 
politico, asserviva a sé la morale e con questa la coscienza 
djir individuo. Ma la soluzione del problema morale all'infuori 
dolla religione, implicava la soluzione del problema filosofico 
stesso. 

Nei filosofi inglesi l'interesse per le questioni morali pro- 
cedeva da esigenze politiche e sociali, nello Spinoza .da un 
, bisogno intimo, individuale. Le fortunate condizioni in cui 



(1) Cfr, Ruffini, Op. cit., e. ii, § 7. 



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- 109 - 

venne a trovarsi l'Olanda a mezzo il secolo XVII, a 
perchè mettevano V individuo al coperto da persecuzior 
ed ecclesiastiche, dovevano renderlo più sensibile a qu 
flitto interiore tra sentimento e ragione che, colla dee 
delle idealità religiose, si acni nell'età moderna e e 
fonte di dubbio, di irrequietudine. Tale conflitto, che i 
sava sopratutto la vita morale, si personificò nel seco! 
nello Spinoza, anche per le speciali vicende della vita; ' 
come ateo dal seno della religione ebraica, esposto ] 
motivo alla pubblica disistima, fu messo nella condiz 
giustificare di fronte a sé stesso la propria condotta, 
tuazione, del tutto eccezionale in quell'epoca, di un uo 
non era membro di alcuna confessione religiosa, e e 
sentiva vivissimo l'amore al vero, e al buono, generaliz: 
nell'età moderna, doveva accrescere l'importanza di S 
la cui vita fu l'espressione coerente della sua dottrina 
mostrazione più solenne che l'uomo può dare a sé una 
di condotta capace di conciliare le esigenze del seni 
con quelle della ragione. Questo dualismo, che rientri 
dualismo fondamentale tra spirito e materia, e che 
gione aveva risolto arbitrariamente ma in guisa da ap 
le esigenze unitarie dello spirito umano, con Cartesio 
centua, con Spinoza si fa interno all'uomo e si intravec 
tendenza al monismo. Da Cartesio Spinoza apprese a d 
del senso, delle fonti tradizionali del sapere, a isolarsi dal 
per raccogliersi in sé e affidarsi alla sola autorità d( 
gione (i). Ma il razionalismo che in Cartesio e in Malel 
si conserva soggettivo, in quanto entrambi sulla scori 
osservazione psicologica arrivano al pensiero, cioè a u 
cipio soggettivo, a un fatto di coscienza, e da esso ti 



(l) KeU^'ntrodnzìone aUe opere < Principia philosophiae more geon 
moìistrata > Spinoza riasHUiue hi dottrina cartesiana relativa al ni< 
Cfr. Tedizione delTopero di Spinoza futtt^ dal Bruder e pub 
Lipsia Del 1843, Voi. I, 



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- 110- 



"'^'''^ 



il sistema, diventa oggettivo in Spinoza, in quanto al pensiero 
contrappone Tessere o la sostanza, cioè un principio che è 
catisa sui, (1) e sta da sé indipendentemente dal soggetto pen- 
sante; tale principio in Spinoza non è il risultato di un'in- 
dagine psicologica, ma è frutto di astrazione: Tessere o la 
sostanza nella sua massima indeterminazione è il principio 
primo, è l'assoluto, è Dio (2). Tutte le cose determinate al 
lume della ragione sono necessarie conseguenze (affezioni, 
modi) della sostanza divina, la quale trovasi in tutte le cose 
cosi come l'essenza della pietra (lapideltas) in tutte le pietre: 
tutto deriva da Dio, e tutto trovasi con esso in necessario 
rapporto: ma se tra le cose più che un rapporto di causa ad 
effetto, vi è un rapporto di principio a conseguenza, se la con- 
nessione tra le medesime è puramente logica e razionale, il 
sapere filosofico deve potersi dedurre da un unico principio 
con procedimento analogo a quello della geometria. Nella ne- 
cessaria e razionale connessione di tutte le cose con Dio non 
trovano più luogo i concetti di libertà, di vero e di falso, di 
buono e di cattivo, di giusto e ingiusto, di perfetto e di im- 
perfetto. Dio è una sostanza unica che persiste e si svolge 
mediante attributi infiniti, di cui ciascuno esprime l'eterna 
e infinita essenza della sostanza stessa: la sua azione in 
quanto è lo sviluppo logico e necessario della sua essenza, 
non è libera, né è subordinata a cause finali, a disegni pre- 
stabiliti. Cadono pertanto tutte le teorie dirette a conformare 
i giudizii e le azioni a modelli immutabili ed eterni di verità 
e di perfezione. Ma questa costruzione razionale e geometrica 
vale in quanto la natura è considerata nel suo insieme, ossia 
è ricondotta al suo principio ed è studiata nei rapporti colla 
sua causa, {natura naturans): ma se si considera in sé, stac- 
cata dalla sostanza divina, nella infinita molteplicità delle 



(1) Cfr. Elhica ordhie geonietrioo demonsirataf Parte I, Definizione 3 (Ed. 
Bruder, Voi. I). 

(2) Cfr. Op. Ethiea, I, Def. 6, 



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- Ili - 

esistenze particolari, ciascuna delle quali ha una individua- 
lità sua propria e leggi sue proprie di sviluppo {natura na- 
turata), ricompaiono le distinzioni e le limitazioni, vengono 
meno i rapporti razionali e necessarii, e l'osservazione e la 
esperienza divengono i mezzi proprii di studio (1). 

Il metodo razionale, nel concetto di Spinoza, non crea nò 
discopre la realtà finita, ma mira solo a comprenderla scien- 
tificamente, a metterne in rilievo i legami colla sostanza in- 
finita: esso non vuol sostituirsi al metodo sperimentale, a cui 
spetta la determinazione reale dei modi finiti. Allora si com- 
prende perchè nell'uomo studiato in sé, staccato dalla sostanza 
divina hanno ragione di essere i concetti di libertà, le distin- 
zioni di bene e male, di giusto e ingiusto, e ricompaiono i 
dualismi, le contraddizioni che sembrano costituire l'essenza 
immutabile della sua natura, mentre non rispondono che a 
condizioni transitorie e poco evolute di esistenza (2). 

Riconosce lo Spinoza che Io stato iniziale dell'uomo è uno 
stato di imperfezione e di miseria fisica, intellettuale e morale: 
manca in lui la pace dell'animo, la visione adeguata del vero: 
solo per la via lunga e faticosa dell'esperienza seminata di 
dolori e di contrasti egli si toglie a questo stato di servitù 
per tendere verso lo stato di libertà ossia di ragione (3). Il 
desiderio di vivere ossia la tendenza a perseverare nell'essere 
costituisce il vero e solo niotore della vita, il fondo attivo 
della natura umana: il rapporto di vizio a virtù è il rapporto 
del desiderio disperso, incoerente e il desiderio concentrato e 



(1) Cfr. sul siguificato di natura nMurantj e naturata Etilica, I prop. 
29 Schol. 

(2) Cfr. V. Del b 08, « Le prohlème maral dans la philosophie de Spinoza », 
Paris, 1893, Parte I, e. 3-6. — Le coutraddizioni che molti critici, tr.i cui 
il Turbigli© nel suo lavoro « JS, Spinoza e le trasformazioni del suo pen- 
siero* (Roma, 1875) rimproverano allo Spinoza, procedono dalla distinzione 
X>rofoii(la che egli faceva tra il mondo delle idee e il mondo dei fatli. 

(3) La quarta pai-te <lell'i?//iicrt tratta « de servitute huniana seu de 
affecluuiu viribus » — la quinta « de potentia intellectiis seu de libertate 
}4 umana », 



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- 112 - 

utile, sottratto alla pressione e alla violenza delle cause 
esterne. Lo sforzo verso la virtù è lo sforzo per cui il desi-* 
derio si eleva da ciò che sembra buono, utile, vero, a ciò che 
è buono, utile, vero realmente. Ma questa conversione del- 
l'apparenza nella realtà non si compie per mezzo di un mec- 
canismo astratto: né la ragione, né il libero arbitrio, né. la 
conoscenza astratta del bene giovano: essa si <M>mpie in virtù 
di sentimenti che il desiderio della vita ossia il desiderio a 
perseverare nell'essere fa nascere: la nozione del male e del 
bene sta nella tristezza o nella gioia che accompagna il desi- 
derio contrastato o soddisfatto: questo stato psicologico unito 
all'esperienza genera per gradi la nostra scienza e costituisce 
la causa vera del progresso morale. E coli' elevazione morale 
dell'uomo va di conserva la sua elevazione intellettuale. A 
misura che l'uomo si fa libero cioè obbedisce alle determina- 
zioni del suo proprio essere all' infuori dell'azione degli agenti 
esterni, la visione dei rapporti delle cose in Dio si fa sempre 
più adeguata, finché al sommo dell'evoluzione verità e virtù 
si confondono nell'amore intellettuale di Dio, sintesi della mo- 
ralità, della conoscenza, della felicità. 

La dottrina di Spinoza segna un progresso reale e decisivo 
nella storia delle scienze morali : essa costituisce il punto di 
partenza di tutti gli indirizzi di pensiero che si delinearono 
nella filosofia posteriore. L'indirizzo intellettualista che vo- 
leva regolata la condotta su verità eterne, immutabili stabi- 
lite dalla ragione, lo spiritualismo che poneva il fondamento 
della vita morale in Dio, l'empirismo edonista e utilitario che 
ricercava nell'uomo la tendenza affettiva sul cui predominio 
doveva elevarsi la morale, tutti si riscontrano sapientemente 
coordinati nella dottrina di Spinoza in virtù del negato dua- 
lismo tra spirito e materia. La sua morale si svolge nell'uomo 
stesso mediante un progressivo e autonomo perfezionamento 
della natura umana che non contemporaneamente ma successi- 
vamente é sentimento e ragione, necessitata e libera, egoistica 
e altr teistica. Facendo 4el sentimento Jo stimolo cì\e sospinge 



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-.113- 

Tuomo a sublimarsi, a spiritualizzarsi, a' conoscere il pQsto 
che occupa nel gran mare dell'essere, Spinoza evitò Terrore 
fondamentale del razionalismo. 

Spinoza fonda l'etica sull'egoismo, né parla di tendenze psi- 
cologiche di carattere sociale: a questo riguardo subì l'influenza 
dell'individualismo dell'epoca. Come per Hobbes e per Male- 
branche cosi anche per lo Spinoza l'unione sociale è qualcosa 
di secondario: l'uomo è un modo% di Dio, non è una cellula 
dell'organismo sociale: la beneficenza attiva, le tendenze so- 
ciali hanno valore subordinato alla personalità dell'individuo: 
il determinarsi nell'operare da considerazioni altruistiche e 
simpatiche significa rendersi schiavo di emozioni passive, e 
trascurare quel perfezionamento interiore, su cui sopratutto 
si fonda la vita morale. Ma individualismo e utilitarismo non 
significano per Spinoza oppressione del prossimo, sete di van- 
taggi esteriori: l'egoismo illuminato e sapiente si identifica 
coll'altruismo: il vero utile è solo ciò che è razionale. 

Da ultimo^ facendo l'uomo capace di elevarsi a Dio e di vi- 
vere della vita stessa di Dio, Spinoza diede alla morale un 
carattere profondamente religioso: l'individuo al sommo della 
evoluzione intellettuale e morale si assorbe nella contempla- 
zione di Dio. Per lui come per Malebranche l'assorbimento 
dell'uomo in Dio è indice di perfezione e di scienza. Ma mentre 
Dio per Malebranche è un principio vivo e reale che agisce 
direttamente e attivamente sull'uomo, per Spinoza è un prin- 
cipio razionale indeterminato, che risponde a esigenze razio- 
nali. Il panteismo di Spinoza è geometrico, quello del Male- 
branche è sentimentale. La religione di Spinoza è privilegio 
di poche nature elette, capaci di abbracciare i profondi rap- 
porti che legano Dio all'uomo: quella di Malebranche era pur 
sempre la religione tradizionale e popolare nutrita di fede e 
di amore, fondata sulle audaci e immediate intuizioni del 
sentimento (1). 



(1) Cfr. Jodl, Op. cìt., Voi, I. e. 10, 34 Abs., § 2; 4 Abs, ove tfatt^ 



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- 115 - 

sicurezza : per forza di cose sì forma sopra il diritto naturale 
e il potere dei singoli, un potere e un diritto collettivo o ci- 
vile, colla funzione speciale di mantenere tutti nella sfera del 
diritto e di garantirne l'esercizio. Il potere collettivo, una 
volta sorto, si organizza, diventa Stato e si svolge per^ gradi 
secondo le tendenze proprie di ogni essere. Con una conce- 
zione ancora inadeguata de' suoi scopi e delle sue funzioni, 
nella necessità di affermarsi contro la prepotenza delle pas- 
sioni individuali, lo Stato deve dapprima necessariamente 
assumere forma dispotica : esso concentra in sé tutti i diritti, 
regola con le sue norme le manifestazioni della vita politica, 
intellettuale, morale e religiosa degli individui, eccede nella 
sua azione ogni limite razionale. Ma il dispotismo, come già- 
l'anarchia primitiva, trova in sé stesso rimedio. Esso ri- 
sponde ad una condizione di cose necessaria ma transitoria: 
unica forma di governo possibile quando si deve opporre la 
violenza della repressione alla violenza delle passioni, esso 
diventa, a misura che la coscienza di sé si risveglia nell'in- 
dividuo, uno strumento sempre più debole e pericoloso di go- 
verno (1). Lo Stato non può a lungo contare sull'obbedienza 
puramente esteriore degli atti, quando ad essa si accompagna 
la ribellione interna dei sentimenti. Epperò il passaggio dal 
dispotismo a un sistema liberale di governo, diventa condi- 
zione di vita e di durata per il potere sociale e si concreta 
nella lotta per la graduale emancipazione dell'individuo dalla 
tutela dello Stato, ossia per la graduale differenziazione tra 
i diritti naturali e soggettivi da un lato, di esclusiva spettanza 
dell'individuo, in ordine ai quali l'azione dello Stato non può 
essere che negativa, e deve limitarsi a garantirne la libera 



(1) Ad. Menzel, MaohiavelU-Studien in Zeitacrift fUr das Privai und 
offent. Bechi (Voi. XXIX, fas. 3-4) tratta dei rapporti e analogie tra Ma- 
chiaveUi e Spinoza. Questi cita lo storico fiorentino dae volte (Trac, poli- 
Ucu8^ e. V, § 7 e Ct X, § 1) e mQstr^ di t^i^^^^lo ^^ grande consjd^razio^e, 



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- 116 - 

iiritti oggettivi dairaltro costituenti la poten- 
tto proprio dello Stato e che diventano per Tin- 
a osservarsi nell'interesse collettivo. In Spinoza 
mente espresso il concetto che lo Stato deve 
sua azione di ogni considerazione di carattere 
ISO (1). Qualunque riserva altri possa fare circa 
ntendere il diritto naturale (2), non vi è dubbio 
'0 filosofo seppe come Spinoza affermare con 
diritti del pensiero e della coscienza indivi- 
allo Stato. Nella dottrina sua politica si sente 
>tta che l'individuo moderno doveva sostenere 
patrimonio sacro de' suoi diritti naturali, cioè 
che riflettono l'esplicazione della sua perso- 
contro le usurpazioni del dispotismo. Più di 
non solo intese ma vivamente senti il rapporto 
'a morale e diritto, il quale rientrava nel con- 
> tra individuo e Stato, contrasto che fu per 
nello che era stato per il Medio Evo il con- 
sa e Impero. L'ideale politico di Spinoza era 
rmonica dell'individuo collo Stato, dell' inte- 
ri pubblico, della libertà morale colla libertà 
:ione morale nell'individuo, l'evoluzione poli- 
devono procedere concordi e integrarsi reci- 
►regressivo riconoscimento da parte dello Stato 
'ali, corrisponde nell'individuo una coscienza 
^ dell'interesse pubblico e una sottomissione 
itanea e incondizionata alla volontà sociale, 
odo gradualmente delineando quello stato di 
'azione delle parti nel tutto infinito, che si 



teol. pol.y e. XVIII e xx. — Cfr. Raffini, Op. cit., 

Storia della filosofia del diritto (tradazione Conforti, To- 
II, Sez. I, p. 114. — Lor minio r, Philoao^hie du dvQitf 
bro IV, § 7, 



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r 



fili ijijj - U H^^ 



- li?- 



presentava dapprima come una fanta: 
gione umana (1). 

La teoria teocratica del diritto di^ 
di Hobbes, la teoria del contratto so( 
fendorf rientrano nella concezione spi 
che nel suo sistema la potenza e qui] 
partecipa della potenza infinita, ossi 
che si genera, secondo Hobbes, dallo 
sione e di guerra, secondo lo Spinoza 
principio della evoluzione morale e se 
la tendenza alla vita sociale sia con 
tendenza a vivere, si può ben parlare 
tratto tacito e spontaneo, inteso a re^ 
dividui e Stato, che sono poi i rappc 
e giuridica. La logica dei fatti dove 
delle idee: nessun altro sistema filosofi 
trovò nella realtà storica tanta cor 
incontrò la concezione etico- giuridic 
nell'età moderna ebbe a lottare per 
pregiudizio religioso, e al dispotismo 
azioni ai principi di cui si fece soster 
nel secolo XVII (2). 

52. — Il Cartesianismo dalla Frane 
fu alleato del dogma, daH'Olanda, ov 
trionfo della ragione autonoma, si di 
opera dei Leibniz, ingegno universale 
seppe unire Tiramaginazione poetica d 
e temperare gli slanci del pensiero C( 
tica. Di mezzo al popolo tedesco, di 
carattere, le aspirazioni, le condizion 
missione, e più di ogni altro concorse a 



(1) Cfr. Delbos, Op. cit., e. vir, vni. 

(2) Cfr. Delbos, Op. cit., Farteli, ove tn 
neU'età moderna. 



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di Stati, ne aveva posto in evidenza l'interna debolezza; tutto 
era in essi da riformare e costituire; mancavano i criterii per 
regolare i rapporti tra i vari Stati, tra l'autorità civile ed ec- 
clesiastica, tra le varte confessioni religiose nello stesso Stato: 
sopratutto importava garantire l' individuo, la sua personalità 
contro le indebite ingerenze dello Stato e della Chiesa, alleati 
a' suoi danni. Gli stessi problemi, le stesse difficoltà accompa- 
gnarono ovunque il sorgere degli Stati moderni, e la loro so- 
luzione fu compito speciale dei giureconsulti e dei cultori dei 
diritto naturale (1). 

Grozio in Olanda, Hobbes in Inghilterra avevano elaborato 
sistemi etico-giuridici rispondenti alle esigenze razionali del- 
l'epoca, e alle tendenze individualiste dei popoli moderni. Pu- 
fendorf, conciliando i principi! di entrambi, raccogliendoli a 
sistema chiaro e ordinato seppe renderli famigliari e noti in 
Germania, dando loro una portata pratica che altrimenti non 
avrebbero avuto. La scuola del diritto. naturale soprafatta dalla 
filosofia in Olanda, dalla morale in Inghilterra, si svolse ri- 
gogliosa in Germania, ove mantenne più a lungo il suo carat- 
tere originario, e per oltre un secolo prevalse sopra ogni altro 
indirizzo di pensiero: assorta a dignità di scienza sociale, e 
politica essa forni le armi all'individuo in lotta contro il dispo- 
tismo dello Stato e. della Chiesa ufficiale, per rivendicare le 
sue libertà politiche e civili, religiose e morali. La questione 
della libertà religiosa, quella dei rapporti tra morale e diritto, 
altrove trattate da .filosofi, da moralisti, o da teologi, furono 
in Germania discusse dai giuristi, come quelle che erano con- 
siderate questioni essenzialmente giuridiche, che rientravano 



(1) Sai Damerò e attività dei giarecoasalti pratici e filologi io OteV" 
mania nel secolo XVII cfr. R. Stintzìug, Geachichte der deutechen Reohu 
swi88en8ohaftf Mtiuchen - Leipzig, 1880, ove però nessana parte è fatta ai 
enitori del diritto natarale. Sotto qaesto aspetto, e per la giarispradenza 
tedesca del secolo XVIII è da consaltarsi la contìanazione dell'opera dello 
Stinzing fotta da E. Landsberg ohe pubblicò nel 1898 il volome teraso 
e quarto. 



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•* 120 — 

nelle questioni più larghe dei rapporti tra Chiesa é autorità 
civile da un lato, tra individuo e Stato dall'altro. E mentre i 
Pietisti rappresentavano la protesta del sentimento contro le 
abitudini ufficiali ed esteriori della Chiesa, nonché contro 
l'esclusione della comunità dei fedeli dal governo della mede- 
sima, i giuristi, giovandosi della logica giuridica, prepararono 
il trionfo della libertà religiosa e di coscienza, contrapponendo 
da un lato al sistema episcopale il sistema territoriale^ che 
limitava i poteri del sovrano al governo esteriore della Chiesa, 
contrapponendo dall'altra alla varietà discorde delle confes- 
sioni religiose, il concetto unitario di una religione naturale, 
sulla base di pochi dogmi di carattere morale, da tutti facil- 
mente accettabili (1). D'altro canto la distinzione tra forum 
internum ed externuìn elaborata dalla scuola del diritto na- 
turale, offriva un criterio empirico, ma praticamente oppor- 
tuno per separare la sfera giuridica da quella morale e regolare 
i rapporti tra individui e Stato. 

53. — Per opera dei cultori del diritto naturale e dei Pie- 
tisti il movimento in favore delia libertà si era diffuso in 
Germania, destando le latenti energie del popolo, avviandolo 
per vie nuove verso nuovi ideali (2j. Ad agevolare l'opera del 
progresso, ad assicurarne i risultati concorse efficacemente il 
Leibniz, a cui l'universalità e profondità dell'ingegno, i lunghi 
viaggi compiuti in Francia, in Inghilterra, in Italia (3), le 
estese relazioni coi dotti e i principi di ogni paese, giovarono 
per prender parte attiva a tutte le correnti della vita pubblica e 



(1) Cfr. Raffini, Op. cit., p. 232 e seg. 

(2) Cfr. quanto da noi fa detto saUa Scuola del diritto naturale in Ger- 
mania al § 3. 

\ji) n Leibniz soggiornò due anni in Italia (1689-90) e vi conobbe il 
Bianchini a Roma, il Viviani a Firenze, il Grandi a Pisa, il Muratori a 
Modena, il Malpigbi a Bologna. Abbiamo lettere scritte da Leibniz al 
FardeUa, astronomo e filosofo a Padova, e poi dietro insistenza deUo stesso 
Leibniz, nominato professor© di filosofia a Napoli. II FardeUa fu maestro 
di Vico. — Cfr. Foucher de Careil, Nouvelles lettrea et opusoulee de 
Leibniz, 1857, Introduzi ne. 



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dell'attività scientifica del suo tempo, e per farvi partecipa 
suo paese. Tutta l'attività veramente prodigiosa di Leibn 
costantemente rivolta ad armonizzare le vedute esclusive 
dominavano all'epoca sua in politica, in morale, in fìlos 
nelle scienze. Egli polemizzò coi Cartesiani per il metodo 
Locke pel problema conoscitivo, coi giansenisti e con ^i 
branche per questioni teologiche, con Spinoza pe' suoi prin 
metafisici ed etici, con Pufendorf sul fondamento del di 
naturale. Nell'opera sua filosofica convergono le corrent 
pensiero più disparate, e dopo di averne rilevato le coni 
dizioni, le esagerazioni, talora le riproduce corrette e : 
grate, talora le ripudia ricostruendole su altre basi: se d 
iato integra le idee di Cartesio e di Locke sul metodo e si 
rigine dell'idee, dall'altra parte contrappone teorie sue prc 
ai sistemi di Spinoza e di Pufendorf. 

li Leibniz ha stretti vincoli colla corrente teologico-cc 
siana che trionfava in Francia con Malebranche: come qi 
era credente sincero. A Dio lo portava il senso dell'uni 
dell'armonia dell'universo, acuitosi in lui per gli studi 
scoperte fatte nel campo delle scienze fisiche e matemati 
L'idea di Dio non lo lasciava indilferente, ma lo riempi\ 
entusiasmo, di gioia serena e tranquilla, gli comunicava 
senso schietto e profondo di venerazione e di amore all'in) 
e al di sopra di qualsiasi confessione positiva. Il sensc 
reale e della vita in tutte le sue forme lo trattenne dal m 
cismo e dalle esagerazioni del Pietismo; e mentre in IS 
branche teologia e filosofia si compenetrano e quasi si 
fondono, in Leibniz procedono parallele e distinte (1). 

Nella restaurazione dei diritti della ragione contro i 

spregio in cui era tenuta dagli scolastici e dai mistici, Lei 

ben può considerarsi successore e continuatore dello sp 

. cartesiano: ma allo stesso tempo non crede al contrasto j 



(1; Sai rapporti tra Leibniz e MalebraDche cfr. Ollé-Laprunej 
cit., Voi. II, e. 1. 



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— l22 — 

/ 

da Cartesio tra ragione e fede e vi sostituisce la necessità del- 
l'armonia; né partecipa alle esagerazioni dei Cartesiani del- 
llepoca sua, che erigevano a dogma l'onnipotenza della ragione 
e ripudiavano qualunque altra forma di conoscenza. Epperò 
tra il Locke che considerava il senso esterno (sensazione) 
integrato dal senso interno (riflessione) fonte di conoscenza 
nel campo delle scienze morali e Cartesio che riconosceva 
solo l'autorità della ragione, Leibniz si attenne a una via 
intermedia, distinguendo il metodo razionale (anaZisis per 
S2lium) diretto a disciplinare la ragione, a porla in grado di 
sfruttare i dati del senso e dare chiarezza e precisione geo- 
metrica alle verità conosciute solo imperfettamente e confu- 
samente, — e il metodo naturale (analisis per gradus) che 
procede per gradi dal noto all'ignoto, secondo la via offerta 
dalla natura stessa, trasformando i problemi semplificandoli, 
formulando leggi generali, su cui poter fondare il ragiona- 
mento. L'autorità, l'esperienza storica, costituiscono un valido 
aiuto per lo studio delle scienze morali, e utile freno alle 
astrazioni e alle intemperanze della ragione (1). 

In ordine alla dibattuta questione circa l'origine delle idee 
che Locke sosteneva acquisite dal senso, i Cartesiani innate 
nello spirito chiare e distinte, Leibniz sostiene che non dai 
sensi e dall'esperienza solo noi deriviamo le nostre conoscenze. 



1 



(1) Cfr. God. Guil. Leibnitii opera philosophica quae exMant latina^ gallicaf 
germanioa, edidit J. E. Erdmann (Pars prior) 1840. lu uua lettera a un 
amico, 1695 (v. Erdmaun, p. 123) il Leibuiz dice, < che il Cartesìauisiuó 
ìq ciò che ha di buono non era che Tanticamera della vera filosofia », e 
altrove (Epis. ad J. Thomasium, 1669, Erdmann, p. 48) dice, «che in 
Cartesio amava solo eius metodi propositumf ma non l'applicazione del me- 
desimo ».^ Cfr. anche l'estratto di una lettera à l'abbé Nicaise, (Erdmann, 
p. 120). — Cfr. anche il « Discours de la conformité de la foi avec la 
raison » (Erdmann, p. 479). — Sulla distinzione tra i due metodi, ra- 
zionale e naturale, cfr. la notevole epistola ad Hngens (in Erdmann), e 
n Nouveau essais sur Ventendement humain (1703) Libro II, e. 22, Libro IV, 
e. 12. — Il Foucher de Carelli Op. cit., pubblicò nel 1857 tre lettere 
di Leibniz inedite intorno a Descartes e al Cartesianismo. 



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hia dall*attività propria deljo spirito, la quale trasforma le idee 
originariamente confuse e indeterminate in idee chiare e di- 
stinte (1). 

L'opposizione a Spinoza costituisce il punto centrale della 
filosofia di Leibniz, il quale senti in sé stesso quel fascino che 
la dottrina spinoziana doveva esercitare sul popolo tedesco, 
di cui erano già spiccate le tendenze all'idealismo unitario, 
all'astrazione, alle deduzioni logiche e razionali. Il contrasto 
con Spinoza si manifesta sul terreno metafisico e morale. Tutto 
il sistema filosofico di Leibniz in quanto è ricostruttivo e non 
solo critico e negativo, tende a contrapporsi a quello di Spi- 
noza : nel fatto egli si assimila lo spinozismo trasformandolo. 
Spinoza concepisce la sostanza come panteista, Leibniz come 
individualista: per quello la sostanza è l'unità infinita di tutto 
ciò che esiste, per questi la sostanza è l'esistenza individuale 
assolutamente indipendente. Le monadi a differenza dei modi 
spinoziani, sono dotate di attività propria, sono centri d'azione 
e di appetizione, bastano a sé stesse, costituiscono altrettanti 
mondi a sé, diversi per grado di perfezione, per ricchezza di 
contenuto rappresentativo, formanti nel loro insieme un si- 
stema eterno, un'armonia perfetta e prestabilita. Alla potenza 
infinita della sostanza di Spinoza non determinata da alcuna 
qualità, Leibniz oppone l'infinita perfezione della monade su- 
prema, all'unità essenziale dell'Essere la molteplicità innu- 
merevole degli Esseri, all'ordine della deduzione l'ordine del- 
l'armonia, all'indifferenza della natura la tendenza della natura 
al meglio, alla necessità geometrica la necessità morale e la 
finalità. Leibniz concepiva sotto forma di sviluppo e d'armonia 
ciò che Spinoza concepiva sotto forma di atto immediato e di 
identità pura (2). 



(1) Cfr. Nouveau eco,, Lib. IV^ e. 4; lib. II, e. i, nonché le « Bedexious 
sor l'essai de l'entendemeut hamaiu de Locke » (Erdmann, p. 186). 

(3) Sui rapporti tra U Leibniz e lo Spinoza cfr. il Delbozj Op. cit.| 
Parte II — il Lange, Op. cit., Voi. I, p* 419* 



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n 



I - 124 - 

[ Queste difforonzo tra i due maggiori intelletti speculativi 

I i]A secolo XVII debbono attribuirsi a motivi etici e religiosi (1). 

La dottrina individualistica della sostanza portò Leibniz al 
cinicetto di un Dio personale, creatore e governatore del mondo, 
difensore dell'ordine morale in stretto accordo colle credenze 
e coi dogmi dominanti. L'etica sua ha fondamento teologico 
non in quanto dipenda dalla volontà arbitraria di Dio, ma in 
quanto è espressione necessaria della sua eterna essenza. I 
[irincipii morali rientrano nel novero di quelle verità eterne 
che lo spirito umano riflette in sé stesso assieme all'ordine 
immutabile dell'universo e trasforma, evolvendosi, in verità 
chiare e distinte capaci di servire alla costruzione di un'etica 
dimostrativa con procedimento rigorosamente deduttivo (2). Ma 
la conoscenza confusa o chiara dei principii morali per deter- 
minare la volontà all'azione morale deve associarsi all'istinto 
originario della felicità, che ha per contenuto un sentimento 
di perfezione e che svolgendosi si concreta in piaceri sem- 
pre [)iu durevoli e lontani. Il più alto grado di felicità e 
quindi di perfezione si accompagna colla tranquillità piena del- 
Tuniuio, che è gaudio mentale e soddisfazione interiore (3). 
Né solo dell'eudemonismo etico ma ancora del determinismo 
etico si fece sostenitore Leibniz. Come per Spinoza cosi per 
Leibniz l'uomo è libero nel senso che non è necessitato o 
coatto, ma può determinarsi da sé, secondo motivi razionali, 
sottraendosi all'azione delle cause esterne (4). Né qui si li- 
mitano i rapporti stretti tra Leibniz e Spinoza: per entrambi 
l'azione morale é razionale, l'immoralità essendo difetto di 
perfezione, un errore prodotto da idee confuse. Le idee chiare 



(1) Lo afferma anche il Wandt, Op. cit., e. ni, § 2 « Leibuiz ». Sulla 
(lottriua etica di Leibniz cfr. Jodl, Op. cit., Voi. I, e. xi. 

(2) Sali' applicazione del metodo geometrico e matematico alle scienze 
metafisiche e morali cfr. Nouveau essai eoe,, lib. II, e. 22, lìb. 17, e. 12. 

(3) Cfr. Nouveau ecc^ lib. II, e. 21, § 41. — Nel breve trattato e De vita 
beata » il Leibniz tratta della saggezza ossia deUa scienza della felicità. 

(4) C£r. il breve trattato « De libertate > (Erdmanzi) p. 669)« 



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-126- 

e confuse dì Leibniz rispondono alle rappresentazioni adeguate 
e inadeguate di Spinoza, e come questi supplisce la conoscenza 
mediante Temozione, cosi Leibniz supplisce la rappresenta- 
zione mediante lo sforzo, e la rappresentazione chiara mediante 
uno sforzo chiaramente conscio che involge la felicità e con- 
siste nell'amor di Dio e de' nostri simili. Leibniz facendo 
dell'individuo specchio dell'universo e immagine di Dio veniva 
a porre a ugual grado l'amor di Dio e del prossimo: e se si 
pensa alla impossibilità di esercitare l'amore verso Dio, l'amor 
del prossimo diventa sorgente precipua della moralità pra- 
tica (1). In ciò veniva a distinguersi da Spinoza e da Male- 
branche, i quali, assorti nella divinità, consideravano secon- 
darie e derivate le tendenze altruistiche. Ancora distinguono 
Leibniz da Spinoza l'ottimismo e l'idea di sviluppo: l'uno 
procedeva dalla fiducia illimitata nelle energie inesauribili 
della natura umana, l'altra dal considerare la tendenza alla 
perfezione, legge fondamentale della natura e dello spirito (2). 
Tali caratteri congiunti a un senso vivo di umanità che tra- 
spira da tutta la sua concezione etica, spiegano l'influenza 
grande che questa esercitò in Germania nel secolo XVIII. 

Nel campo del diritto naturale (3) il Leibniz si pose in op- 
posizione con Pufendorf, il quale dìscostandosi dalla tradizione 
di Grrozio, tendeva a far del diritto l'espressione arbitraria 
della volontà di un superiore, anziché derivarlo dai rapporti 
eterni inerenti all'ordine naturale delle cose. La distinzione 
tra forum internum ed eocternum posta dal Pufendorf per se- 



(1) Cfr. Noìiveau eoe, lib. U, o. 20. 

(2) Cfr. Nouveaueoc.f lib. II, e. 21. 

(3) NeUa parte 3» del tomo IV, dell'edizione delle opere del Leibniz 
fatta dal Datens, sono raccolte le piti note opere giuridiche del Leibniz: 
ma molti altri scritti di natura giaridica rimangono inediti. L'edizione 
pili recente e più completa delle opere del Leibniz è quella curata da 
I. Geihardt, t Die phylosophischen Schriften von Leibniz », Berlin, 
1875 1900: ma videro la luce solo sette volumi, e le opere giuridìcbe 
non sono ancora pubblicate. — Cfr. sulle idee giuridiche del Leibniz il 
Landsbefg, Op. cit., Voi. III, e. i, § 4, p. 23-31. 



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- 126 - 

era morale dalla giuridica era un criterio dì di- 
trinseco e artificiale. Nell'intenzione di Pufendorf 
ternum era il campo proprio del diritto naturale, 
)rum internum era dominio esclusivo della filo- 
sa; con ciò estendeva oltre misura la sfera Mei 
^ale, mentre confondeva la religione colla morale, 
[vendica alla filosofia il forum internum, e senza 

i diritti della teologia vuol costituita su basi 
strina razionale dei doveri interni, ch'egli chiama 
:ale: d'altro canto non crede possa limitarsi il 
liritto naturale ai rapporti esteriori di condotta, 
ne delle obbligazioni verso Dio che si svolgono 
della coscienza. Egli rimproverava al Pufendorf 
i di attitudini filosofiche, che gli impediva di ri- 
ncipii di ragione e derivare da essi la dottrina 

diritto (1). 

di diritto naturale che formano il contenuto della 
nno con le verità etiche comune l'origine e lo 
in quanto procedono non dalla volontà (Pufendorf) 
iza di Dio (Spinoza) ma dalla sua infinità sapienza 

dai rapporti eterni e immutabili inerenti alla 

cose, e si riflettono nello spirito confusamente 
di intuizioni innate e di tendenze altruistiche, da 
)no per gradi sempre più elevati di perfezione la 
;a e la vita sociale. La giustizia è la virtù sociale 
za, e di essa è anima la generosità per cui l'uomo 
ce di compiere nei rapporti con altri, azioni ra- 
e della sua origine divina. Definendo la giustizia 
lientis » Leibniz la fa consistere nella benevolenza 
ssia nell'abito di provar piacere all'altrui felicità 



2k aspra che, contro il suo costume, il Leibniz move al 
•ntenuta nei « Monita quaedam ad 8, Pufendorfii principia » 
>0. cit.). . 
rvationes de principio juris, § 9, 



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- 187 - 

sotto la guida della sapienza, che è la scienza della felicità 
individuale e sociale (1). 

Il diritto ha uno sviluppo parallelo alla vita sociale, e 
coU'ampliarsi di questa quello allarga il suo contenuto. Esiste 
un diritto positivo e volontario frutto del costume e del volere 
dei governanti: esso comprende da un lato il jus civile che 
regola la vita interiore di uno Stato, e trae la sua forza da 
colui che ha nelle mani il supremo potere, dall'altro il jus 
gentium che regola i rapporti tra Stati diversi e si forma per 
tacito consenso di popoli. Il diritto volontario o positivo svol- 
gendosi tende a modellarsi sul diritto naturale i cui principii 
si estendono oltre i limiti di uno Stato particolare per abbrac- 
ciare la società del genere umano, e inspirarsi alle esigenze 
razionali dell'uomo astrattamente considerato, sciolto dalle 
limitazioni di tempo e di luogo, che sono una conseguenza 
della sua natura animale. Il diritto naturale concepito dal 
Leibniz come una facoltà naturale a cui risponde una neces- 
sità morale (dovere, obbligazione) si manifesta sotto tre forme 
che ne costituiscono altrettanti gradi di perfezione. Nel pe- 
riodo primitivo di sviluppo delle società umane, il diritto si 
manifesta nella forma di jus strictum, o di giustizia commu- 
nativa che si inspira al precetto: neminem laedere^ precetto 
che presuppone l'uguaglianza di tutti gli uomini, e risponde 
alle più elementari e imprescindibili condizioni del vivere 
sociale. In un grado più elevato di sviluppo sociale, le disu- 
guaglianze derivanti dalle attitudini e dai meriti diversi, dalle 
distinzioni di classe e di condizione civile, fanno prevalere il 
concetto deWaequitaSy q della giustizia distributiva, che in- 
spirandosi al precetto: unicuique suum tribuere, genera da 
un lato doveri di indole morale (gratitudine, beneficenza), 
dall'altro la facoltà di chiedere ciò. che per gli altri è solo 
compito di equità prestare. Vi è una terza fonte di diritti e 



(l) Sai concetto di giustizia cfr. le lettere (sopratutto la VII, Vili, X) 
scritte dal lueibni? a Hea. Eru. Kestnertpn (si trovano nel Dutens), 



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.^Tf? 



- 128 - 

di obbligazioni, la pietas, che si inspira al precetto: honeste 
vivere, attua i fini della giustizia divina, scaturisce dall'or- 
dine e armonia delle cose: essa risponde alle esigenze della 
società universale degli esseri intelligenti che hanno comune 
la credenza nella immortalità dell'anima e riconoscono in Dio 
il reggitore supremo dell'universo (1). 

L'uomo viene pertanto, secondo il Leibniz, a far parte d'una 
triplice società, della società particolare di uno Stato, della 
società più ampia del genere umano, della società universale 
divina:. ognuna di queste società ha il suo legislatore, i go- 
vernanti, la ragione. Dio; tutte svolgono il concetto di giu- 
stizia, ampliandone progressivamente il contenuto, e gene- 
rando una triplice serie di norme, civili, naturali e divine. 
Ciò che trattiene l'uomo nell'ambito della legge e lo spinge a 
conformare le sue azioni all'interesse collettivo, che è poi 
quello della giustizia, non è solo la paura, l'interesse, l'egoismo : 
3gli può essere tratto al bene e al giusto anche da naturale 
propensione e rettitudine dell'animo, da energie altruistiche 
ben più profonde ed efficaci, dall'amore, dalla pietà. Lo studio 
poi delle azioni in quanto sono giuste o ingiuste, ossia in 
[juanto sono utili o dannose in rapporto alle finalità proprie 
di ciascun ordine di società, è compito speciale della giurì- 
sprudenza, la quale, sfruttando le tendenze altruistiche del- 
IHiomo, si fa interprete dell'interesse generale nel suo triplice 
^rado di sviluppo e detta norme dirette alla conservazione 
B al perfezionamento sociale : « justum est quod societatem 
ratione utentium perficit » (2). 



(1) La teoria del Leibniz sul diritto naturale e sulle diverse fasi di svi- 
luppo del medesimo è svolta nelle due dissertazioni premesse al « Codex 
diplomaticus » . 

(2) Cfr. doperà giovanile di Leibniz : Nova Mvthodus disoendae dooendaeque 
jurisprudentia (1667). — In essa dice (Pars II, § 14): < Jurìsprudentia est 
scientia actionum, quatenus justae vel injuatae dicuntur. Justum atque 
injustum est, quidquid publice utile vel damnosum est. Publice id est 
primum Deo, dein generi humano, denique reipublicae ». — E al § 15 
4ice: '< potentia moralis dicitur jus^ necessitas moralis dìcitur obligatio ». 



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— 129 — 

La concezione etico-giuridica del Leibniz mostra chiaramente 
che mancava a lui la coscienza della necessità di separare 
la sfera morale da quella giuridica, né mostrò di intendere 
come in tale questione fossero in gioco gli interessi della 
libertà individuale. La tendenza in lui dominante di scorgere 
nelle cose l'armonia e l'unità, se gli giovò per rilevare i rap- 
porti di concordanza tra la religione, la morale e il diritto, 
gli impedi di rilevarne i caratteri differenziativi, e di segnare 
a ciascuno di questi aspetti della vita individuale e collettiva 
la sfera sua propria di azione. Egli fa rientrare tutte le azioni 
che si ispirano al pubblico interesse nel vasto concetto della 
giustizia, il cui contenuto è essenzialmente etico. Egli afferra 
la vera natura del diritto solo quando accenna al diritto vo- 
lontario, dAjus strictiim, alla società particolare degli Stati : ma 
parlando della società del genere umano, termine del diritto 
naturale, si vede chiaro ch'egli vuol intendere una società 
morale, mentre la società universale non è per lui che una 
società religiosa. Le esigenze e le norme giuridiche dei singoli 
Stati devono subordinarsi alle esigenze e norme morali, ed 
entrambe alle religiose. Le premesse metafìsiche impedirono 
al Leibniz di assorgere al concetto della società come un tutto 
avente un'esistenza sua propria, distinta da quella individuale: 
per lui la società è pur sempre la somma degli individui, e 
l'interesse pubblico si risolve nell'interesse particolare dei 
singoli. In fondo tutte le virtù, la giustizia compresa, si fondano 
sulla conoscenza chiara e questa è anzitutto un attributo 
individuale, che involge l'amore di altri solo come conseguenza. 
Di qui si comprende come il Leibniz facesse scaturire il fon- 
damento della morale e del diritto dall'ordine generale delle 
cose, e dall'intima natura dell'individuo, trascurando l'origine 
sociale del diritto: e quando volle dare al diritto una fonte 
sua propria distinta da quella morale e religiosa, ricorse 
alla volontà dei governanti, e cadde nell'errore ch'egli con 
eccessiva severità rimproverò al Pufendorf Leibniz giovò agli 
interessi della filosofìa giuridica in quanto la pose in rapporto 



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— 130 — 

colla filosofia morale e giurìdica e colla teologia, ma agli in- 
teressi della libertà religiosa e civile giovò assai più la di- 
stinzione empirica tra forum interniim ed externum dei giu- 
reconsulti filosofi. li' influenza del Leibniz, tanto notevole in 
Germania nel campo etico e filosofico, fu negativa per il 
progresso degli studi giuridici e politici : il suo nome non 
figura tra i difensori della libertà religiosa e delle libertà ci- 
vili ; la causa della libertà trovò i suoi difensori tra i giuristi, 
i quali lavorando alla separazione del diritto dalla morale, 
fecero per le libertà individuali quello che i fautori della nota 
teorica della divisione dei poteri fecero nell'interesse delle 
libertà politiche (1). 

54. — Il Leibniz aveva fatto opera frammentaria: le sue 
dottrine filosofiche, sparse in un numero infinito di opere, il 
più delle volte scritte a seconda che l'occasione gliene por- 
geva il destro, furono raccolte e ordinate a sistema da Cri- 
stiano Wolff. Attraverso il lavoro di ordinamento e di adat- 
tamento compiuto dal WolfF, la figura del Leibniz apparve in 
tutta la sua grandezza, e le sue dottrine, fatte famigliari, pe- 
netrarono nelle coscienze e divennero leva poderosa al pro- 
gresso del popolo tedesco. L'età, di cui Wolff fu maestro ri- 
spettato e universalmente riconosciuto, poco propensa al nuovo. 



(1) Il Raffini, (Op. cit., p. 258, nota 1) ricorda del Leibniz il libro: 
De la toìérance des religionSy 1693, ma non potè vederlo. Sarebbe stato in- 
teressante conoscere le idee del Leibniz in proposito. Non vi è dabbio che 
il Leibniz personalmente era tollerante ; ma egli più che la libertà e la 
reciproca tolleranza delle varie confessioni religiose sorte in seno al Cri- 
stianesimo, ne vagheggiava la conciliazione sopra una base cornane, così 
come vagheggiava Tarmonia tra religione, morale, diritto. — Lo Sta hi 
(Op. cit., p. 137) dice che al Leibniz spetta l'onore dì aver primo distinto 
la morale dal diritto. Ciò deve intendersi nel senso che mentre prima del 
Leibniz si contrapponeva il diritto naturale ftlla teologia, il Leibniz pose 
accanto al diritto naturale e alla teologia anche la filoso&a morale : ma 
egli non stabilì i limiti tra queste diverse scienze, anzi tende ricondurle 
ad nnica fonte e a confonderle insieme. Di ciò lo rimprovera anche il 
Jan et, Hietoire de la eoience politique dans ses rapporU aveo la morale, 
Paris, 1887, Voi. II, p. 244. 



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— 131 — 

attese sopratutto a sfruttare il movimento di restaurazione 
filosofica iniziato dal Leibniz, a diffonderne le idee e a renderne 
duraturi i risultati. Nel periodo che dalla morte del Leibniz 
(I7I6) va fin verso la metà del secolo XVIII, e precisamente 
fino airassunzione al trono di Federico II, la Prussia acquista 
il primato militare nella Germania, e si prepara a divenirne 
il centro politico e intellettuale (1). Nel periodo di sosta e di 
transizione cade l'opera filosofica del Wolff. 

Il Leibniz, imbevuto dello spirito cartesiano, aveva battuto 
in breccia Taristotelismo : ma l'efficacia dell'opera sua si rende 
evidente nel sistema filosofico del Wolff, che di scolastico non 
ha che la forma esteriore, mentre nel contenuto le correnti 
nuove di pensiero si intravedono nello sforzo fatto, sull'esempio 
del maestro, di conciliarle. Con senso profondo di opportunità, 
il Wolff non insiste sui concetti delle monadi, e dell'armonia 
prestabilita, trovati dal Leibniz per contrapporli a Spinoza, 
come quelli che avrebbero distolto le menti da altri ben più 
notevoli principi, disseminati a profusione nel Leibniz, e che 
per il loro carattere largo e conciliante, si prestavano alla 
costruzione di un sistema razionale, capace di essere univer- 
salmente accettato. 

Nel costruire il suo sistema etico-giuridico, il Wolff applicò 
rigorosamente il jnetodo che il Leibniz aveva chiamato di- 
nnostrativo, consistente nel derivare la morale dalla pura ra- 
gione, con procedimento analogo a quello in uso nelle scienze 



(1) Federico I, (1688-1713) di Prussia aveva favorito gU studi: sap- 
piamo che forn\ i mezzi a Pufendorf per compiere il suo lavoro, fondò 
Talli versità di Halle, illustrata da Thomasius ; su disegno del Leibniz fondò 
la Società reale di Berlino. La sua seconda moglie. Sofia Carlotta, intro- 
dusse in Prussia le eleganze del vivere sociale, Tamore del sapere e delle 
arti. Essa ebbe assiduo carteggio con Leibniz, di cui fu frutto la Teodicea. 
Ma questo risveglio intellettuale fu arrestato quando sah al trono Federico 
Guglielmo I (1713-1740), avverso ai letterati e ai filosofi, che spiegò tutta 
la sua attività nell'educazione militare del suo popolo. Avendo giudicato 
pericolosa per F esercito la dottrina del Wolff, lo costrinse ad abbandonare 
gli Stati prussiani nel 1721. 



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— 132 — 



matematiche, di cui il Wolff era profondo cultore (1). La sua con- 
cezione, mentre continua e svolge la tradizione idealista iniziata 
dal Leibniz, si mantiene ugualmente lontana dal razionalismo 
oggettivo dello Spinoza, e dal soggettivismo etico che in Hume 
aveva trovato la sua più spiccata espressione. La Germania 
mancava ancora di un completo sistema filosofico che potesse 
competere col sistema aristotelico-scolastico, o coi sistemi sorti 
nell'età moderna in Inghilterra per opera di Hobbes e succes- 
sori, in Olanda per opera di Grozio e Spinoza, in Francia per 
opera del Malebranche. Leibniz aveva posti i principi, e in- 
dicato il metodo : a Wolff spettava trarne il sistema. 

La natura dell'uomo e l'intima essenza delle cose, derivate 
non dall'esperienza, ma astraendo da essa e conforme a esi- 
genze puramente razionali, costituiscono i postulati fondamen- 
tali del. suo sistema. La legge di perfezione è le^e generale 
dell'universo : essa rappresenta l'ordine eterno e immutabile, 
su cui si fonda la legge naturale, sottratta per tal guisa alla 
volontà arbitraria non pur degli uomini, ma di Dio stesso. La 
legge naturale o di perfezione che l'uomo può conoscere col 
retto uso della ragione (2), e che tende ad attuare progres- 
sivamente in sé stesso, è fonte di obbligazione e quindi di 
diritto naturale (3). Nulla impedisce di concepire uno stato di 
natura originario, in cui l'uomo riconosce e applica i diritti 
e i doveri naturali, che sono quelli della sua natura razio- 
nale, rispondenti all'ordine generale delle cose. Lo stato di 
natura non può che essere uno stato di libertà e di ugua- 
glianza assoluta, in cui ninno ha impero sopra altri e il jits 
ad omnia domina sovrano, né conosce altri limiti all' infuori 



(1) Il Wolff ÌQseguò per molti anni matematica e fìsica neU' Università 
di Halle. Dopo il 1721 insegnò fìlosofìa nell'Università di Marburg. Qui 
nel 1730 pubblicò l'intero suo corso di filosofia. Più tardi Federico II 
di Prussia lo richiamò ad Halle come professore di jus naturale e di jìu 
gentium. 

(2) Cfr. Phil. prat, univ., § 129. 

^3) Ib. Ib., § 269, — Cfr. Prefazione al « Jns naturae et gentium », 



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— 133 — 

di quelli segnati da ragione, ossia dall'ordine delle cose. In 
questa forma primitiva di vita sociale, noi possiamo rappre- 
sentarci la formazione naturale della società domestica, nonché 
il formarsi, coU'estèndersi della occupazione, della proprietà 
privata con tutti i diritti che ne derivano. Per tal modo una 
società avventizia, caratterizzata dallo svolgersi della orga- 
nizzazione famigliare e della proprietà privata, si sovrappose, 
senza distruggerla, alla società naturale, e accanto ai diritti 
e doveri fondati sulla natura delle cose, si aggiunsero di- 
ritti e doveri fondati sul consenso. Ma neppure la società 
avventizia provvede bastevolmente alle necessità della vita, 
alla sicurezza e alla pace comune: la legge di perfeziona- 
mento progressivo spinge gli uomini a stringere un patto per 
la formazione della civiias, o società civile^ la quale si renda 
interprete dell'interesse collettivo e provveda al benessere di 
tutti : e con nuovo patto si procede all'ordinamento della civitas 
colla creazione dello Stato e dell'imperio civile: donde una 
terza fonte di diritti e di obbligazioni, procedenti dagli scopi di 
collettivo perfezionamento che la civitas si propone. Questa non 
sopprime i diritti e le obbligazioni dello stato di natura : ma 
nell'interesse comune può il legislatore sospendere o limitarne 
l'esercizio con norme o leggi positive, le quali vengono per tal 
modo a svolgersi non in opposizione, ma integrando il diritto 
naturale. Dalle leggi politiche o civili procedono le distinzioni 
tra diritti perfetti e imperfetti, secondochè le norme di diritto 
civile sono o non provvedute di coazione — tra azioni giuste 
e ingiuste, secondochè sono o no contrarie al diritto perfetto di 
un altro — eque e non eque, secondochè sono o non contrarie 
al diritto imperfetto di un altro. L'insieme degli uomini riu- 
niti in società civile costituisce il popolo o la gens : le genti 
corrispondono agli individui nello stato di natura : i rapporti 
tra esse sono regolati dal jus gentium, che è il diritto natu- 
rale nei rapporti tra diversi popoli (1). 



(1) Cfr* i passi relativi neUe Inatitutiones jurU naturae eoo* 



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— 134 — 

notevole è il significato e l'estensione data 
naturale. Nel suo concetto questo dovrebbe 
ie di filosofia pratica universale, ossia di 
^ettiva, (1) a cui spetta porre i principii 
me alla natura dell'uomo e delle cose: il 
ipplicazione spetta all'etica soggettiva, (2) 
mezzi per i quali l'uomo bene usando delle 
^uendo la virtù conseguire la felicità e ar- 
one. In questa parte soggettiva il rigore 
neno ed elementi eudemonistici e utilitari 
r ai seguaci di opposti indirizzi di pensiero, 
portanza dell'esperienza e del senso comune, 
il dolore gli stimoli direttivi dell'intelletto 
cita diventa l'indice misuratore della per- 
>sta tendenza a fare del perfetto l'equiva- 
concepire l'ordine delle cose da un punto 
e utilitario, doveva insorgere il Kant. Ac- 
:gettiva il Wolff riconosce la necessità di 
le del diritto civile, destinata ad adattare 
ùtto naturale alle esigenze della vita so- 
[10 cerchiamo nel Wolff un criterio per la 
zione del diritto civile rispetto al diritto 
presenta l'insieme dei principii etici. La 
itto perfetto e imperfetto, posta da Tho-. 
tema del Wolff importanza secondaria, né, 
1 Wolff indicò il criterio per distinguere 
1 non coattivi. 

nel Leibniz manca la coscienza della im- 
^uere la morale dal diritto; in quella vece 



► oggettiva è trattata dal Wolff neUa Philoaophia 

>licata uel 1739. 

ni è argomento della Philosophia moralis sive Ethica 

ractata pubblicata nel 1750. 

i d'essere delle InMHntiones juria naturae et gentium 



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— 135 - 

abbiamo la tendenza a ricondurre entrambi a una fonte unica, 
al diritto naturale. L'interesse collettivo distinto e indipen- 
dente dal benessere individuale non fu inteso dal Wolff: la vita 
sociale, e quindi il diritto che ne è l'espressione, devono so- 
pratutto concorrere al perfezionamento e alla felicità dell'in- 
dividuo: la perfezione altrui deve intendersi subordinatamente 
alla propria e come mezzo per meglio perfezionare sé stesso. 
Non si può però negare che la filosofia del Wolff, spogliata 
della forma scolastica di cui egli si compiacque rivestirla, 
era in istrettà corrispondenza collo spirito dei tempi, e pre- 
parò quel' movimento illuminista, di cui l'eudemonismo, l'ot- 
timismo, il perfezionismo individuale e sociale furono i ca- 
ratteri più spiccati, e che cooperò efficacemente a sollevare 
l'individuo contro le oppressioni dello Stato e della società. 
55. — La corrente cartesiana nelle scienze morali dalla 
Francia ove ebbe le origini si estesa all'Olanda e alla Ger- 
mania: quivi solo trovò terreno favorevole al suo naturale 
sviluppo: il genio profondo e conciliante del Leibniz seppe 
tenerla ugualmente lontana dal panteismo mistico del Male- 
branche, dal panteismo razionalista dello Spinoza e dischiuse 
al Wolff la via per elevare un completo sistema che tutto 
abbracciasse il vasto campo del sapere filosofico. In Germania 
venne per tal modo delineandosi un sistema razionalista che 
ne' suoi metodi, ne' suoi principii, nelle sue finalità si con- 
trappose a quello che dopo Hobbes e Locke si era venuto 
jS3rmando in Inghilterra per merito sopratutto della scuola 
scozzese. Nel campo etico l' indirizzo tedesco movendo dal 
concetto astratto dell'uomo, considerato particolarmente come 
essere razionale, aveva prodotto un intero sistema rispon- 
dente ad esigenze razionali, inteso a metter in evidenza 
l'ideale etico più che l'aspetto concreto e storico della morale, 
riuscendo per tal via al realismo e all'ottimismo etico: l'in- 
dirizzo inglese poco tenero della logica concatenazione delle 
idee, ma più direttamente interessato a rilevare gli elementi 
soggettivi e irrazionali dell'uomo, fu indotto a trovare nelle 



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— 136 — 



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dsteriose regioni del sentimento il fondamento della vita 
lorale. Ma entrambe queste correnti di cui l'una mette capo 

I Wolff, l'altra all'Hume, obbediscono a esigenze filosofiche 
hanno di mira la soluzione di un problema etico più che 

iuridico. Se hanno strette attinenze colla scuola del diritto 
aturale non la costituiscono essenzialmente, e rappresentano 
iuttosto l'estensione dei principii etici a regolare rapporti 
iuridici e sociali, di cui non intendono quasi mai la vera 
atura e che subordinano quasi costantemente alla morale. 

II particolare la corrente razionalista tedesca, se giovò a 
ottrarre le scienze morali alla teologia e all'empirismo, osta- 
olò sotto un certo aspetto il processo di differenziazione tra 
fiorale e diritto, in quanto tendeva a ricondurre alla ragione 
.stratta la morale e il diritto, perdendo di vista i caratteri 
iifferenziativi, per accentuare a scopo di unità e di armonia 

caratteri comuni. 

A questo riguardo la scuola del diritto naturale o dei giu- 
econsulti filosofi iniziata da Grozio e che in Germania so- 
►ratutto si svolse col Pufendorf e col Thomasius, mantenen- 
[osi distinta dalla corrente filosofico-cartesiana, se non sempre 
ibbedi alle esigenze logiche, mostrò di apprezzare al loro 
:iusto valore i problemi interessanti la vita giuridica in 
lontrapposizione alla vita etica. La coscienza di tale opposi- 
;ione appare sopratutto in Thomasius, a cui si deve il primo 
entativo realmente efficace per separare la sfera giuridica 
[alla morale. La scuola del diritto naturale venne pertanto 
n Germania a scindersi in due campi nettamente distinti e 
;he si svolsero paralleli: l'uno filosofico personificato dal 
Adolfi*, l'altro più propriamente giuridico personificato dal 
?homasius: a Kant spettava riassumerli nel suo sistema e 
>orre su nuove basi il problema dei rapporti tra morale e 
liritto. 



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. 3 '.* 



— 137 — 

§6. 
Vico 6 le sciet^ze elicoH^iatiolicl^e It) Italia. 

SOMMABIO: 58. Condizioni generali d'Italia nel secolo XVII —57. Galileo eia 
filosofia naturale — 56. Gli studi giuridici e il rinnovaménto della filosofia 
in Italia — 59. Vicende degli studi giuridici in Italia — 60. Gli studi giuridici 
in Napoli nella prima metà del secolo XVII: giureconsulti pratici — 61. Il 
progresso degli studi giuridici in Napoli nella seconda metà del secolo XVIII.: 
giureconsulti eruditi : d'Andrea e Gravina — 62. La Vita Civile di P. M. Doria 
— 63. Bisv«glio filosofico in Napoli nella seconda metà del secolo XVII — 
64. Posizione di Vico in ordine agli indirizzi filosofici del suo tempo — 65. Vico 
contro Cartesio e la questione del metodo nelle scienze morali — 66. Il cri- 
terio della .verità nel Vico — 67. Il Vico e gli studi giuridici — 68. La filosofia 
del diritto nel Vico — 69. Il rapporto tra morale e diritto — 70. Il diritto nella 
sua formazione storica — 71. Diritto e scienza sociale — 72. Le sorti di Vico e 
i critici cattolici — 73. Seguaci di Vico: Stellini e Duni — 74. Conclusione. 

56. — Nei secoli XVI e XVII nei principali paesi d'Europa 
si va delineando la struttura dello Stato moderno tra le ro- 
vine dei rapporti feudali e dei privilegi municipali, in mezzo 
agli sconvolgimenti delle lotte religiose sotto l'azione unifica- 
trice delle monarchie assolute. Inghilterra, Francia, Austria, 
Spagna, sul finire del XVI secolo già si presentano poten- 
temente unificate nella persona del sovrano, i cui interessi 
parvero identificarsi coli' interesse generale del popolo. La 
formazione dello Stato moderno si accompagna ovunque col 
sorgere della scuola del diritto naturale, a cui spettava in- 
dicare i principi giuridici adatti al nuovo ordine di cose. A 
questo movimento di concentrazione e di unificazione politica 
che percorse l'Europa provocando il ridestarsi di energie 
nuove, di una coscienza politica e civile moderna, rimase in- 
teramente estranea l'Italia divisa in numerosi stati, deboli e 
discordi» i quali come assistettero senza commuoversi alle 
controversie religiose e alle guerre di prevalenza tra Spagna 
e Francia, cosi accettarono senza opporsi le nuove condizioni 
create dall'Europa alla penisola col trattato di Chàteau-Cam- 
brésis. L'umanesimo se aveva fatto rivivere l'Italia nel passato 
glorioso classico, l'aveva distratta dal presente in cui si ma- 



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— 138 — 

> gli eventi destinati a modificare profondamente il 
ll'umanità. Mancava all'Italia la coscienza di un in- 
)ubblico e comune, intorno a cui raccogliere le energie 
3, epperò doveva ricevere dal di fuori, da autorità 
nemiche forza e impulso a progredire. La reazione 

e l'influenza spagnuola, rivolgendo ai propri scopi e 

le risorse economiche e morali del paese, costituirono 
;e servitù politica e religiosa, che pesò per oltre un 
ille sorti del popolo italiano. 

atamente il sistema di governo inaugurato da Filippo 
jna, fatto per rovinare e soffocare qualunque forma di 
ì, aveva in sé stesso molte cause di instabilità e di 
i. La potenza veramente meravigliosa raggiunta dalla 
lel XVI secolo, frutto di fortunate combinazioni sto- 
^ll'abilità tutta personale dei re che si succedettero da 
do il Cattolico a Filippo II, non accompagnata da un 
idente elevamento della coscienza civile e dell'intel- 
popolo spagnolo, non poteva che essere transitoria ed 
La politica di Filippo li, diretta a restaurare il Medio 
)ffocare ogni manifestazione di vita nuova, a contra- 
rcè uno spirito protettore violento e tirannico ogni 

di emancipazione intellettuale e religiosa, se era de- 
. un sicuro insuccesso nei paesi nei quali lo spirito 
Torma, come in Olanda, o l'influenza del classicismo, 
Italia, oppose valida resistenza, trionfò pienamente 
igna, dove l'alleanza secolare degli interessi nazionali 
5i, i sentimenti di fedeltà e di riverenza tradizionali 

alla estrema ignoranza e superstizione, tolsero al po- 
^nolo ogni possibilità di reazione (1). Per tal modo 



Buckle^ Op. cit., e. xv ove si fa la storia dell'intelletto spa- 
» età moderna, e si mettono efficacemente in rilievo le oaase di 
deUa Spagna rispetto agli altri paesi. — È sintomatico il fatto 
ffini, (Op. cit.) facendola storia della libertà religiosa nei di- 
ì di Earopa non nomina la Spagna, evidentemente perchè questa 
porse l'occasione. 



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^^^' 



alla Spagna toccò iu sorte n 
lo spirito reazionario e proto 
berta e del progresso. In ciò 
la quale, dopo di aver riform 
Concilio di Trento, e di aver 
i Gesuiti e l'Inquisizione, spiej 
sistematicamente inspirata a 
denza nuova. 

Fu ripetuto e si ripete tut 
corrente della Spagna e della ( 
unica della decadenza Italia 
mazione deve rettificarsi di 1 
delle condizioni d'Italia nel s 
cadenza politica d'Italia in e 
dominio spagnolo e alla reas 
cercarsi nella sopravvivenza 
avevan fatto l'Italia forte e fii 
delle Signorie e del Rinascin 
in Italia, come altrove, contri 
mento protestante e dalla for 
partecipò attivamente alle g 
alle grandi lotte che commos 
la sua non fu immobilità, sii 
Spagna e ne segnò la decade 
secolo XVII le idee, le passic 
secolo anteriore attenuate o a 
dell'Europa iniziano un nuovo 
il passato per rinnovarsi dal] 
il suo corso storico e trae da 



(1) La nota pessimista prevale nei 
preconcetto portò il Ferrari (La 
Parte I, e. iv) a considerare conio e 
si produsse di notevole in Italia. 1 
fondamento di tali giudizi intorno 
diamo il Forti (Istituzioni civilif F 



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— 140 - 

gli elementi per rinnovare sé stessa. Il dominio spagnolo potè 
affermarsi e sostenersi giovandosi dell'indifferenza politica del 
popolo italiano : ma se influi sulle forme esteriori di vita, non 
ne estinse le energie intime e vitali : a misura che la Spagna 
nel corso del seicento andò perdendo di autorità, di dignità, 
di potenza, Tltalia vera, quella che sembrava estinta sotto il 
giogo straniero si ridesta, mostra di conoscere le nuove condi- 
zioni di vita moderna, si afferma d'un tratto tra le altre nazioni, 
le precorre mostrando che la servitù politica e civile non si- 
gnifica morte d'un popolo quando l'anima si mantiene salda e 
forte. Il classicismo era pur sempre una forza viva e operante 
nella vita del popolo italiano e ne costituì l'elemento unifi- 
catore, spiegando un'azione analoga a quella compiuta altrove 
dalla religione o dalla monarchia. 

Come il dominio spagnolo, cosi la reazione cattolica, che 
richiama alla mente l'Inquisizione, i roghi, le arti gesuitiche, 
esplicò un'azione del tutto esteriore sull'andamento generale 
del pensiero italiano. La istintiva ripugnanza degli Italiani 
alle guerre di religione, la indifferenza opposta al movimento 
della Riforma, l'azione energica spiegata dalla Chiesa secon- 
data dai governi nel reprimere i pochi centri infetti di eresia, la 
divisione politica dell'Italia in piccoli Stati, numerosi e rivali, 
aventi vedute diverse in fatto di politica religiosa, la presenza 
del Papato, che doveva seguire una linea di condotta prudente 
e moderatrice, se da un lato rendevano inutili le misure re- 
pressive, dall'altro tolsero loro efficacia e intensità. La reazione 
doveva spuntarsi contro il temperamento degli Italiani, abituati 
per lunga consuetudine a quello sdoppiamento psicologico, non 
privilegio di poche personalità ma proprio di quanti erano 
intelligenti e colti, per cui sapevano conciliare la sincerità 
delle credenze colle audacie del pensiero : solo la forma este- 
riore del pensiero e delle opinioni doveva subire restrizioni e 
accomodamenti, e ciò spiega le frequenti concessioni e gli ac- 
corti espedienti a cui ricorsero anche i più alti intelletti, per 
non offrire il fianco a inutili persecuzioni. E invero, nonostante 



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— 141 — 

il malgoverno degli Stati, lo sfruttamento permanente delle 
energie produttive del paese, l'ignoranza delle plebi sistema- 
ticamente insubordinate e affamate, la mancanza di virtù pub- 
bliche e civili, di una coscienza politica nazionale, il pensiero 
italiano nelle strettoie in cui doveva muoversi, si mantenne 
più che mai desto, dando novelle prove della sua inesauribile 
fecondità (1). 

57. — L'Italia, unica tra i paesi dell'Europa, offre l'esempio 
nel secolo XVII di una produzione intellettuale in cui l'antico 
e il moderno si associano, e mentre da un lato conserva e 
perpetua la tradizione classica del cinquecento, dall'altro 
elabora forme nuove e precorre i tempi moderni. Scienza e 
filosofia trovano nel seicento cultori e innovatori, il cui nome 
basta per porre l'Italia al livello e al disopra delle altre 
nazioni europee. L'Italia ebbe nel seicento il suo Bacone nel 
Galileo, il suo Cartesio nel Campanella, come più tardi doveva 
avere il suo Grozio nel Vico, il cui pensiero si educò e si 
formò nell'ambiente e secondo le tendenze di quel secolo. La 
Toscana e il Regno di Napoli furono rispettivamente i centri 
del pensiero scientifico e filosofico. La Toscana, culla dell'arte 
nel trecento per opera di Dante, fu Ja culla della scienza nel 
seicento per opera di Galileo. Nulla di più inesatto, sopratutto 
rispetto al Galileo della frase del Ferrari « essere stata l'Italia 
nel seicento il paese delle grandi eccezioni » : non fu una ec- 
cezione il Galileo, il quale riassunse in sé il lavoro di molte 
generazioni precedenti, e fu il capo d'una scuola numerosa 
di seguaci che ne continuarono gloriosamente le orme. Un 
secolo prima il Vinci aveva proclamato l'esperienza >ola in- 
terprete della natura e aveva inaugurato il felice connubio 
della matematica coi dati sperimentali in cui propriamente 
consiste il pregio e la novità del metodo galileiano. Prima di 
Galileo, Telesio aveva detto che la natura è il gran libro in 



(1) Sai carattere toUerante degli Italiani in materia religiosa efr. R a f f i n i, 
Op. cit., p. 475. 



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— 142 — 

s 

cui si contiene tutta la filosofìa : il Galileo additò i caratteri 
coi quali il libro era scritto. Prima di Cartesio, il Galileo coa- 
cepi le forze naturali come capaci di peso e di misura, e dai 
rapporti ideali delle quantità cercò intuire i rapporti reali 
dei fatti. Prima di Bacone egli insegnò che il senso porge la 
materia greggia dell'esperimento e che dall'osservazione deve 
nìuovere la ricerca scientifica. Per tal guisa il Galileo se da 
un lato precorre, dall'altro supera, completandoli, Bacone e 
Cartesio nello studio dei fatti naturali. In lui l'esperienza e 
il ragionamento, quella fondata sul senso, questo sulla ragione, 
si associano e si completano a vicenda. A Bacone invece parve 
sufficiente la semplice osservazione, a Cartesio la speculazione 
pura(l). Il metodo naturale fuori d'Italia si sdoppiava in due 
indirizzi opposti, in Italia e più specialmente in Toscana per 
opera dei continuatori del Galileo si mantenne nella sua in- 
tegrità e divenne lo spirito informatore dell'Acciidemia del 
Cimento (2). Galileo non usci dal campo dei fenomeni fisici : 
sotto questo aspetto fu superato da Cartesio e da Bacone, di 
cui l'uno creava per le scienze speculative un metodo nuovo, 
l'altro consigliava l'estensione del metodo sperimentale alle 
scienze morali. Ad associare il metodo razionale e sperimen- 
tale, Bacone e Cartesio, nello studio delle scienze morali so- 
pravvenne il Vico che restaurò la filosofia italica, come Galileo 
aveva restaurato la filosofia naturale. 

58. — Il rinnovamento filosofico in Italia fu assai più lento 
e contrastato. Sulla scorta del Mamiani e del Gioberti noi 
potremmo facilmente rintracciare in Italia fin dal secolo XV 
una triplice azione diretta contro la scolastica, la teologia, 
Aristotele (3). Né mancano nuovi sistemi che contraddicono 

(1) Sai precursori di Galileo e sul metodo galileiano ne' suoi rapporti 
con quello adottato da Bacone e da Cartesio cfr. Fiorentino, Beìmardino 
Tele8i0f Firenze, 1874, II, e. 13. 

(2) Cfr. A. E e che r, La fisica spei'imentale dopo Galileo nella « Vita ita- 
liana » Sec. XVIII. Parte III. 

(3) Cfr. Mamiani, Del rinnovamento della filosofia antica italianaf Pa- 
rigi, 1834, Parte I, e. 3-5. — In quest'opera, come nelle opere più note 



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— 144 — 

rinnovamento della filosofìa italica. Tale corrente è rappre- 
sentata dalle scienze giuridiche e morali. 

Altrove osservammo che nell'Europa moderna l'impulso ad 
una trasformazione filosofica derivò da esigenze di carattere 
morale e giuridico. L'Italia pur non sottraendosi a questa le^e 
tenne diverso cammino. In Olanda, Inghilterra, Germania sorse 
e si affermò la scuola del diritto naturale: scarsa e imperfetta 
era la tradizione giuridica in questi paesi,' e del tutto insuf- 
ficiente a soddisfare le nuove esigenze create dalla formazione 
dello Stato moderno. Il concetto di un jiis natiirae che per- 
metteva alla ragione di sciogliersi dai vincoli dell'autorità e 
della tradizione giuridica del passato, divenne il fulcro intorno 
a cui si svolse una letteratura etico-giuridica copiosa, desti- 
nata a dare nuove basi alle scienze morali. Ma né in Francia 
né in Italia sorse una vera scuola di diritto" naturale: in 
Francia fu soffocata nel suo sorgere dal dispotismo reazionario 
di Luigi XIV: in Italia non aveva ragion d'essere per la man- 
cata formazione dello Stato moderno. Il diritto filosofico che 
altrove procede dalla ragione in opposizione alla tradizione 
giuridica, in Italia scaturisce spontaneo e per filo non inter- 
rotto dalla tradizione giuridica stessa, trasformata e adattata 
alle nuove condizioni dei tempi moderni. Solo per questa via 
si può spiegare la restaurazione giuridico-filosofica compiuta 
dal Vico, e vien meno quel carattere di eccezionalità che an- 
cora circonda la figura del grande pensatore napoletano, a 
cui spettava nel campo delle scienze morali, come al Galileo 
nel campo delle scienze naturali, riassumere il passato e di- 
schiudere l'avvenire. * . 

59. — Le scienze giuridiche fornirono anche all'Italia oc- 
casione alla restaurazione filosofica, la quale per altra via 
avrebbe incontrato difficoltà quasi insor/nontabili. Alla glossa 
di Irnerio e di Accursio (secoli XI e XII) ossequente alla let- 
tera della legge, era seguita con Bartolo e Baldo (secolo XIV) 
la scuola degli interpreti, i quali applicando alle leggi la dia- 
lettica scolastica, accomodarono il diritto romano alle esigenze 



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— 145 — 

del foro e alle necessità dei tempi, ampliandone e 
done il contenuto, facendo spesso opera di legislatc 
di giureconsulti (1). Tali interpreti costituirono la 
giureconsulti pratici, la quale si mantenne nume 
fluente in Italia nei secoli XVI e XVII (2). Neil' 
ignoranza e confusione delle leggi, i pratici contrib 
serva il Carle, a svolgere quell'aspetto della scienza 
che chiamasi ora giurisprudenza (3). 

Sul finire del Medio Evo l'amore della critica stoi 
logica applicata agli studi giuridici vi produsse una 
schiera di giureconsulti culti o eruditi, che astraci 
sogni della pratica, deplorando le alterazioni che 
dei pratici i testi del diritto romano avevano subito, 
con ardore ammirabile a purgare la lezione dei test; 
l'antico diritto « colla cura, dice il Carle, con cui si 
una statua antica i cui frammenti sieno disgiunti gì 
altri ». Dalla scuola dei giureconsulti culti iniziat 
da filologi come il Poliziano e il Valla e da giurecom 
l'Alciato, svoltasi sopratutto in Francia col Cuiacic 
i primi romanisti, e i primi storici del diritto (4). 

La diversità di scopi e di indirizzi mantenne a li 
e ostili i giureconsulti pratici e colti, per quanto 
cassero fin dal secolo XVI tentativi per conciliare e 
i due indirizzi (5). E mentre in altri paesi di Euroj 



(1) Carle, Vita del diritto, Torino, 1890, p. 227. 

(2) Il Vico vi accenna nel De universi juris eoe. (Proloquiì 

(3) Carle, Op. cit., p. 298. 

(4) Ricordiamo Jne italiani il Sigonio e il Pancirolo. — 
Op. cit., I, p. 447. 

(5) Ricordiamo Alberico Gentile il qnale pur appari 
scuola dei giureconsulti colti ne criticò aspramente le esaj 
Dialoghi siigli interpreti delle leggi (pubblicati a Londra nel 
Gentile fu ad un tempo nelle numerose sue opere pratico ed < 
anche considerarsi cultore del diritto naturale, da lui posto a 
deU^ opera sua maggiore « De jure belli » in cui precorre G 
questa pai-te egli subì Tinfluenza dell'ambiente politico e relig 
gbilterra (in cui visse dal 1581-1608) e Popera sua non ebb 

10 



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— 147 — 

terra di conquista e la volontà dispotica del principe tien 
luogo di legge, — in cui i viceré nominati per tre anni po- 
tevano impunemente violare la legge pur di arricchire nel più 
breve tempo possibile, dopo di aver inviato a Madrid 8,000,000 
di scudi.— in cui l'educazione era affidata ai Gesuiti e la 
Chiesa dominava le coscienze e la vita civile colla supersti- 
zione, colle sue ricchezze, co' suoi privilegi, col numero enorme 
di corporazioni religiose e di fondazioni — in cui il popolo 
ignorante e affamato era sempre pronto alla rivolta inconsulta 
— in cui l'amministrazione della giustizia era corrotta, la 
distribuzione dei tributi ingiusta, il commercio insignificante, 
l'agricoltura abbandonata, le campagne percorse da banditi — 
in cui l'arte e la letteratura erano servili — in cui il sistema, 
feudale si perpetuava co' suoi abusi e la nobiltà si corrompeva 
nell'ozio (1). 

In questo periodo di generale decadimento l'attività intel- 
lettuale si esercitai a nel foro e nelle materie giuridiche. La 
giurisprudenza- era il campo aperto agli studiosi, e raccoglieva 
intorno a sé quanto di più eletto per ingegno e coltura esi- 
steva in Napoli. I pratici erano in prevalenza, ma si distin- 
guevano per acume giuridico, per l'analisi profonda dei fatti, 
per la rara diligenza nel porre le questioni. L'influenza dei 
curiali e l'alta considerazione in cui erano tenuti costituiva 
l'unica difesa contro le frodi, le ingiustizie, i disordini del mal 
governo. Il giureconsulto inspirandosi all'equità naturale com- 
pieva opera sociale notevole, poiché trovava per tal via modo 
di supplire alla insufficienza o mancanza della legge scritta (2). 



(1) SaUe condizioDÌ generali di Napoli iu questo periodo ofr. Giano o ne,. 
Storia eivile del Regno di Napoli, Libri XXXIII-XXXVIII. 

(2) Parlando deUo stato della giurisprudenza napoletana in questo pe- 
riodo il Gian none, Op. oit., Libro XXXIV, e. 8, dice che « gli avvocati 
di questi tempi non collocavano molto studio nell'oratoria, sicché i loro 
aringhi comparissero al foro luminosi e pomposi : si studiavano ricavar 
l'eloquenza più dalle cose che dagli ornamenti dell'arte. Perciò i loro 
discorsi in Ruota erano corti e tutto sugo : il principal loro studio era nel 
porger con metodo ed energia i fatti ecc. ». 



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— 149 — 

il Caravita, TAulisio, giureconsulti di gran nome 
poranei del Vico. 

Né solo gli studi giuridici attinenti alla prat 
incremento e lustro nella seconda metà del secol 
Napoli, ma anche gli studi storici del diritto ce 
intendimento filosofico trovarono un degno rappres 
Gian Vincenzo Gravina. Questi portò la interpretazi 
della scuola napoletana alla sua maggior perfezioi 
iniziò gli studi sulla storia e sulle origini del dirit 
raccogliendo tutte le conoscenze che si avevano 
medesimo, indovinando il nesso tra le varie parti 
le lacune, facendo opera pe' suoi tempi nuova e 
Nella produzione giuridica del Gravina è evidente 
far servire il diritto romano a scopi filosofici (2). Tra 
restringevano la legge naturale alla legge raziona 
che ne allargavano il concetto fino a derivarla dal 
golanti l'universo, il Gravina si attiene a una so 
termedia che doveva più tardi svolgere e accentu; 
L'uomo, secondo il Gravina, per la sua natura corporei 
alia legge generale delle cose che è legge di moto 
di conservazione e di evoluzione continua : per la i 
spirituale ha una legge sua propria che è legge di 
di moti volontari. Per diritto naturale il senso de^ 
narsi alla ragione, il cui cibo è la virtù, e il cui ] 
pace dell'animo, conseguita per mezzo della conosc 
naie delle cose (3). La vita sociale si inizia colla far 
flcata nel padre a cui spetta per diritto naturale Ti 
mestico. Dalla necessità degli scambi sorgono i cont: 



(1) Lo riconosce il Vi 11 ari nel suo saggio sol Filangieri, (S 
critica, politica, Firenze 1898). 

(2) I principi di filosofia giuridica del Gravina si trovane 
e nei primi sedici capi del Libro III dell'opera sua maggio 
juris oivilis libri treSy Napoli, Mosca, 1713. — Nel I libro fa 1 
origini e del progresso del diritto romano pubblico e privai 

(3; Gravi na. De origine juris, Lib. II, e. 1-9. 



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— Ì50 — 

generano rapporti più ampi, fondati non sopra vincoli 
uè, ma sulla considerazione del vantaggio comune, di 
isura la legge, definita giustamente da Platone « distri- 
lentis ». Su questa base dell'interesse comune e sul- 
io delle società private di commercio, si formano le 
civili, di cui sono organi necessari, la legge ossia la 

voluntas intesa a regolare i rapporti sociali, e la 
: potestas a cui spetta prevenire e reprimere anche 
amente le violazioni delle leggi (1). Se l'idea dell'onestà 
mto universale e costante della legge, questa può assur 
>rme diverse secondo i tempi, i luoghi, il carattere dei 
inche i rapporti tra levarle società civili devono essere 
L da ragione, e il diritto che ne deriva costituisce il di- 
sile genti, le cui violazioni giustificano le guerre intese 
ionfare nei rapporti fra gli Stati la ragione sugli istinti 
ì antisociali (2). Come nell'interno di uno Stato ai saggi 
mti alla ragione espressa in leggi scritte spetta gover- 

ai sudditi, schiavi del senso, obbedire, così nei rapporti 
zionali spetta agli Stati più civili dominare e sottomet- 
i Stati che violano le norme del diritto naturale. Il 
a. previene il Vico nella ricerca delle cause per le quali 
i sorgono, si conservano, rovinano. Se non che il Gra- 
)n essendo assorto al concetto di società come un tutto 
;o e considerandola solo come la somma degli individui 
compongono, ricerca tali cause nell'uomo e fa dipendere 
t)rio sociale dall'equilibrio di tutte le facoltà dell'indi- 
^). Precorrendo il futuro egli mostra le sue predilezioni 
sverno popolare (4) e mette in evidenza l'importanza 
3 medio o terzo stato per mantenere l'ordine e l'armonia 
[verse classi sociali (5). jNel diritto e nella costituzione 



p. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. lO-lS". 
r. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. 14. 
r. Gravina, Lib. III, ci. 
r. Gravina, Lib. III, e. 16. 
r. Gravina, Lib. Ili, e. 14. 



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— 151 — 

politica del popolo romano, alla cui illustrazione l'opera sua 
di giureconsulto è sopratutto intesa,' il Gravina, come più tardi 
il Vico, vedeva l'esempio ideale da semr di guida e di inse- 
gnamento agli uomini politici e ai giuristi (1). 

La filosofia giuridica del Gravina non ha valore che per 
l'epoca e le circostanze in cui sorse : in essa la funzione etica 
del diritto non si distingue dalla sua funzione sociale, la legge 
naturale si confonde colla legge morale, come per gli antichi 
il sommo bene è riposto nella virtù congiunta alla felicità e 
acquistata colla scienza (2): ma nel Gravina troviamo i germi 
dell'indirizzo che doveva prevalere in Italia col Vico, cioè lo 
studio storico del diritto romano fatto servire a illustrare 
principi teorici, e alla ricerca delle leggi regolanti il corso 
delle nazioni (3). 

62. — Del risveglio effettuatosi in Napoli nelle scienze mo- 
rali e giuridiche, è novella prova la Vita Civile di Paolo Mattia 
Boria, alla cui pubblicazione, avvenuta nel 1700, il Doria, non 
ancora distratto dalle polemiche cartesiane, fu forse indotto 
dalla lettura delle opere del Gravina, o più probabilmente 
dalla famigliarità col Caravita, nella cui casa conveniva col 
Vico (4). Il Doria nell'opera sua si dimostra, a differenza del 



(1) Cfr. del Gravina H libro « De romano imperio »- in cai tratta deUa 
costituzione deUMmpero romano come della costituzione ideale. 

(2) Le idee religiose del Gravina furono dal lato dogmatico queUe dei 
cattolici del suo tempo, ma con questi fu in disaccordo nel campo etico. 
La sua Hydra mistica è una critica severa della morale gesuitica mostrando 
una grande indipendenza di pensiero. 

(3) Il Vico conobbe il Gravina verso il 1714, lo ricorda con espressioni 
di stima e di affetto nella Autobiografia. Se non ne cita le opere, ciò non 
deve attribuirsi a malanimo o a distrazione^ come afferma il Cantoni, 
(G, B. Vico, Torino, 1867, p. 88), ma al fatto che nel Vico anche le idee 
altrui si elaboravano e si trasformavano in guisa da diventare sue pròprie 
e originali. 

(4) Paolo Mattia Doria (1662-1746) di famiglia genovese, visse e morì 
a Napoli dove erasi recato fanciullo. Fu amicissimo di Vico il quale lo 
ricorda neXV Autobiografia, e gli dedica il < Le Antiquiseim^ ». II Tommaseo, 
(Saggio su Vioo), lo disse legato al Vico di fida e signorile amioiMa» — Il 



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— 152 — 

Gravina, più filosofo che giureconsulto: in lui parla il mora- 
lista, l'educatore più che l'uomo di legge (1). La politica, se- 
condo lui, si giustifica solo in quanto gli uomini non seguono 
i precetti della morale : essa è la scienza e l'arte di guidare 
gli uomini al bene e alla felicità loro malgrado, avvalorando 
le sue norme colla minaccia delle pene (2). Egli considera la 
vita sociale da un punto di vista puramente etico, ad esclu- 
sione di ogni considerazione giuridica. Il Doria contrappone 
la sua dottrina politica a quella del Macchiavelli, a cui rim- 
provera di aver fondato la politica sullo studio degli uomini 
quali sono, di aver dell'uomo rilevato solo la natura viziosa, 
di aver proceduto induttivamente da osservazioni particolari 
a massime generali e non deduttivamente da principi univer- 
sali saldi e costanti. Il Doria invece muove dagli uomini quali 
dovrebbero essere, ^ intende contrapporre alla politica mali- 
ziosa del Macchiavelli la sua politica virtuosa^ nella quale la 
costanza e l'universalità dei principi si concili colle esigenze, 
della pratica (3). 



Doria non cita mai nelle sue opere il Vico, forse perchè non ne ebbe mai 
l'occasione, essendosi in seguito applicato a studi matematici e filosofici. — 
La 1» edizione della Vita Civile è del 1700, la 2^ del 1710. — Noi ci siamo 
valsi deir edizione Poraba (1852 in Nuova Biblioteca popolare, classe IV, 
Poetica)* condotta sulla napoletana del 1729, riveduta ed accresciuta dal 
Doria. — Per le notizie biografiche e bibliografiche intorno al Doria cfr. 
la monografia del G or ini, P. M, DoHa filosofo e pedagogista, Asti, Bri- 
gnolo, 1899. 

(1) Il Doria scrisse anche un trattato bvlW Educazione del Principe, che 
è aggiunto in appendice alla Vita Civile. 

(2) Così definisce il Doria la politica : « la scienza con la quale si con- 
ducono i popoli all'esercizio della morale per lo mezzo di leggi dalla me- 
tafisica dedotte e per lo mezzo di buoni retti ordini da saggi legislatori 
instituiti». Cfr. Doria, Bagionamenti e poesie varie, 1737, Rag. VI, ove 
8i l>iasimano quelli che vogliono ricavare la politica dalla sola pratica e 
i filosofi che credono potersi governare il mondo ooll'astralta metafisica. 
— Nella Vita Civile, Parte I, e. ii, dice « che la politica e la morale sa- 
rebbero la stessa cosa e non vi sarebbe punto bisogno di politica^ qualora 
le norme di moralità fossero da tutti comprese e attuate ». 

(3) Doria, Op. cit., p. 27. 



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/- 163 - 

La politica deve fondarsi sulla conoscenza della natura umana 
quale appare alla ragione : solo per tal via si potrà evitare 
Tempirismo e ridurre la politica a sistema. Come non è vero 
giureconsulto chi dalle leggi particolari del luogo non sa elevarsi 
alla ragion della legge, cosi non è vero politico colui che ha 
solo una naturale e raffinata malizia, spoglia di ogni cono- 
scenza dell'uomo, de' suoi rapporti coll'ordine delle cose, del- 
l'essenza della vita civile, di ciò che contribuisce alla felicità 
degli uomini (1). Dalla metafisica, che pel Doria significa co- 
noscenza degli universali a scopo di applicazione pratica, deve 
la politica trarre il suo fondamento scientifico. Nello studio 
dell'uomo il Doria segue l'indirizzo psicologico mediano proprio 
della filosofia italica e che il Vico doveva svolgere : rileva il 
dualismo tra spirito e materia, ammette che a costituire la 
vita morale concorrono la ragione e il senso, l'universale e 
il particolare, che la felicità consiste nella retta conoscenza 
e nel buon uso dei sensi, che naturale è l'inclinazione alla 
vita sociale, che l'uomo per necessità della sua natura tende 
a emendarsi, a cercar rimedio ai mali, a sollevarsi gradata- 
mente dal senso, ossia dai particolari agli universali principi, 
cioè alle idee innate del vero e dell'onesto (2). Tutti questi con- 
cetti ravvalorati dalla esperienza storica ritornano nel Vico. 
Alla morale impossibilità dell'uomo di possedere tutte le virtù 
e al fatto che tutti sono forniti di qualche virtù, supplisce la 
vita civile, la cui vera essenza sta nel comporre armonicamente 
insieme le energie virtuose disperse nei singoli, in guisa che 
si aiutino reciprocamente, e si formi una condizione di cose 
atta ad assicurare a ciascuno la felicità (3). 

11 Doria dopo aver ricostruito razionalmente o piuttosto psi- 
cologicamente l'origine e l'essenza della vita civile, cerca, come 



(1) Cfr. Doria, Op. cit., p. 38. 

(2) Cfr. il Capo II delia parte prima dove è esponila la dottrina i)sico- 
logica del Doria. 

(3) Cfr. Doria, Op. cit., p. 92-93. 



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— 154 - 

più tardi il Vico, nella storia conferma a' suoi principi. Re- 
spinta l'ipotesi di una pretesa età dell'oro, riconosce che gli 
uomini, cresciuti di numero, premuti dal bisogno attraversa- 
rono un periodo di lotte e di violenze, da cui uscirono racco- 
gliendosi e organizzandosi intorno a uno di loro più forte che 
li difendesse : si costituirono allora le famiglie e si ebbero i 
governi patriarcali. Quando gli uomini non paghi della difesa 
aspirarono a un genere di vita più regolare e civile, fecero 
ricorso al prudente che dettasse leggi ordinate alla umana 
felicità. Colle leggi e ordinamenti si iniziò la vita civile che si 
svolse dapprima nelle città, poi nei regni e si ebbero le monar- 
chie, trasformatesi col tempo in aristocrazie e in democrazie. Col 
graduale estendersi e complicarsi della vita civile, l'economia 
domestica si fa commercio, la difesa della casa si trasforma 
in vasta arte di guerra, la naturai prudenza diventa scienza 
di governo o politica. Una progressiva divisione di poteri ossia 
di ordini si rende necessaria, e si formano le classi dei guer- 
rieri, dei legislatori, dei magistrati, i quali a loro volta vanno 
distinguendosi in magistrati di politica, di giurisdizione, di 
commercio. Tra i sudditi poi si vanno formando le classi dei 
padroni e dei servi : da quelli si svolge la nobiltà, da questi 
la ricca varietà dell'arti servili. Dalla . storia di Roma trae 
il Doria argomenti ed esempì alla dimostrazione della sua 
dottrina (1). Passando dalla costituzione politica a descri- 
vere le fasi del progresso sociale, quale risulta dalla storia, 
il Doria pone come legge regolante il corso dell'umanità il 
graduale passaggio dalla vita barbara o difettosa alla vita 
civile moderata da leggi scritte, e da ultimo alla vita civile 
pomposa, in, cui la civiltà si accompagna col lusso e colla 
magnificenza degli esteriori ornamenti. La vita pomposa ge- 
nera l'ozio e il popolo ricade nella servitù (2). 



(1) Cfr. Doria, Op. cit., I, e. in e iv. 

(2) Cfr. Doria, Op. cit., I, e. v, ove si descrivono diffusamente le 
diverse fasi deUa vita civile. 



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4..^ 



— 165 -- 

Per quanto erroneo sia il concetto fondamentale della dot- 
trina civile del Doria, noi crediamo di trovare in essa i germi 
di molte idee e dottrine svolte più tardi dal Vico. Il con- 
cetto che la filosofia deve tendere a scopo pratico, che anche 
la politica può fondarsi su principi saldi e costanti tratti 
dalla conoscenza dell'uomo e delle sue passioni, la storia e 
sopratutto la romana invocata a conferma della dottrina, la 
progressiva differenziazione degli ordini e dei poteri, il pas- 
saggio graduale dell'umanità dalla barbarie alla vita civile e 
il ritorno fatale alla barbarie, il progresso identificato col 
passaggio dal senso alla ragione, sono concetti che ritornano 
nel Vico svolti ed estesi a nuove e più lontane conseguenze. 
L'opera del Doria, molto apprezzata ai suoi tempi, non fu. senza 
influenza sui principi italiani ancora infetti da machiavellismo, 
incitandoli a saggie e razionali riforme: essa precorre i tempi 
e non merita l'obblio in cui è tenuta dagli storici della filo- 
sofia del diritto. Ad ogni modo essa getta viva luce su quel- 
Tambiente di Napoli in cui fu concepita e pubblicata, e nel 
quale si maturava il genio di Vico. 

63. — Il progresso negli studi giuridici e sociali in Napoli 
nella seconda metà del secolo XVII, non era che il riflesso 
di una. ben più larga e profonda trasformazione del pensiero 
napoletano al contatto delle correnti filosofiche europee, le 
quali, penetrate in Napoli malgrado l'attenta vigilanza della 
Chiesa, si erano rapidamente diffuse conquistando gli spiriti 
oramai maturi ad accoglierle. Prime a conquistare il favore 
delle nuove generazioni furono le dottrine di Epicuro e di 
Locke, come quelle che interessavano la vita pratica e schiu- 
devano un ideale morale che era in aperto contrasto colle 
idee e coi sentimenti tradizionali (l). La rivoluzione iniziatasi 



(1) n Vico uéìV Autoìnografia ci dice che « Del tempo nel quale egli 
partì da Napoli (1685) si era cominciata a coltivare la filosofia di Epicuro 
sopra Piar Gassendi, e due auui dopo ebbe novella che la gioventti a tutta 
voga si era data a celebrarla ». — Ciò conferma il Doria nell'introduzione 
air opera : Difesa della metafi»ioa degli antichi contro G, Locke eco, (1732,). 



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- 156 — 

nel costume si estese al campo speculativo e l'occasione fu 
offerta da Cartesio nelle cui opere filosofi, giuristi, matematici, 
fisici e fisiologi trovarono argomenti per un nuovo indirizzo 
di metodo e di studi. Negli ultimi decenni del seicento e fin 
verso la metà del secolo XVIII Cartesio fu in Napoli nome 
di battaglia e di partito: esso significava libertà di pensiero, 
opposizione ad Aristotele, al principio di autorità, allo scola- 
sticismo, all'erudizione filolcfgica e storica, all'empirismo: esso 
divenne l'arma poderosa che servi a scuotere, dice il Giannone, 
il durissimo giogo che la filosofia dei chiostri aveva posto sopra 
la cervice dei napoletani (1). Primo a introdurre in Napoli e 
a far conoscere la dottrina di Cartesio fu Tomaso Cornelio (2) 
(secolo XVIl), medico e naturalista della scuola del Telesio, 
il quale ebbe ad alleati influenti il giureconsulto Francesco 
d'Andrea, il medico Leonardo da Capoa, e sopratutto Gregorio 
Caloprese (3), che approfondi la dottrina cartesiana e primo 
si diede a insegnarla. Del favore che Cartesio incontrò in 
Napoli sul finire del secolo XVII fa prova l'Accademia degli 
Investiganti istituita in casa propria dal marchese dell'Arena, 
allo scopo di studiare e discutere la filosofia cartesiana col 
concorso e l'adesione di quanti si distinguevano in Napoli, per 
coltura e ingegno nei più diversi rami del sapere (4). 

Al primo periodo di entusiasmo e di fanatismo, di ammira- 
zione cieca per le nuove idee che venivano dal di fuori, suc- 
cesse un lungo periodo di reazione e di opposizione tendente a 
richiamare le menti alle buone tradizioni della filosofia italica, 
a restaurare il platonismo che già nel cinquecento era stato 



(1) Cfr. Giannone, Op. cit., Lìb. XL, e. 5. 

(2) Del Cornelio parla il Fiorentino, Op. cit., II. 

(3) Il Vico (Auiob,) lo chiama « gran filosofo renatista ». 

(4) In quest'epoca abbiamo una vera ri&oritura di accademie in Napoli : 
oltre a quella degli Investiganti ricordata dal Giannone, Op. e 1. cit., 
notiamo qnella fondata da Gaetaiio Argento alla quale conveniva il Gian- 
none ; quella fondata dal duca di Medina Coeli ; quella degli Infuriati ri- 
cordata dal Vico nella Autobiografia^ quella degli Oziosi, senza tener conto 
delle numerose private. 



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— 157 — 

valido strumento di guerra contro Aristotele e la Scolastica. 
Anima dell'opposizione contro Cartesio, l'idolo del giorno, fu 
il Vico, al quale le varie correnti di pensiero che si erano 
andate svolgendo in Napoli nella seconda metà del secolo XVII 
nel campo delle scienze giuridiche e filosofiche convergono: 
egli potè apparire un genio solitario solo perchè fu l'astro 
luminoso, dice il Villari, in cui si concentrò la luce di tutta 
uaa moltitudine di minori pianeti (1), perchè riassunse in sé 
tutta un'epoca e sui materiali da questa forniti elevò un si- 
stema di cui i contemporanei non potevano valutare l'impor- 
tanza, e di cui parve egli stesso volesse rimandare all'avvenire 
la prova dei fatti. 

64. — Nell'opposizione contrergli indirizzi filosofici prevalenti 
all'epoca sua Vico non fu solo: egli ebbe ad alleati quanti per 
avversione a Cartesio e allo scolasticismo miravano a restau- 
rare la filosofia platonica e a richiamare gli ingegni al culto 
della tradizione italica. Tra questi devesi ricordare il Doria, 
il quale dopo aver combattuto Cartesio nel campo della geo- 
metria, della fisica, della metafisica, si fece a sostenere il 
platonismo in armonia colla dottrina cristiana. Il suo tentativo 
lasciò gli animi indifferenti: a lui nocque il carattere polemico 
delle sue opere, l'esagerazione con cui combattè senza distin- 
zione tutti gl'indirizzi nuovi di pensiero solo perchè non ri- 
spondenti alle sue predilezioni filosofiche (2). 



(1) CIt. il saggio sul Filangieri del Villari in Saggi di storia aHitea 
e politica, Firenze, 1898. — Il Villari, iJ Carle sono tra quelli che 
cooperarono a sfatare la leggenda di genio solitario che unita all'altra di 
genio incompreso si era andata dopo il Ferrari creando intorno al Vico, 
e che fu accolta sopratntto dai critici francesi (Michelet, Michaud, 
Jan et). Il Bovio (Conferenza su Vico in Vita i^aZiana, secolo X Vili) dice 
che il Vico non fu genio incompreso, ma deve annoverarsi tra i pensa- 
tori solitari, che sono quelli che hanno larghe visioni e piccola prova. — 
Giustamente osserva il Villari (Luogo oit,)^ che tale errore nacque dal- 
l 'esser generalmente poco o punto conosciuta la storia degli studi che 
allora fiorivano in Napoli. 

(2) Il Vico nella AtUobiografia dice che il Doria frequentava con lui le 
conversazioni le quali avevano luogo in casa di D. Nicolò Caravita e di 



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— 151 

Ben altra importanza ed efl 
Vico. Essa trovava fondamento 
zione ricevuta, negli studi da 1 
delle sue naturali tendenze ini 
scientifiche e particolarmente n 
ingegno spiccatamente italiano 
Vatolla ritornò in Napoli nel 
suoi studi, e le sue opinioni fi 
sono quelle che troviamo svolte 
discorso sul metodo degli studi 
tìquissima (1710). In questo pei 
soflche del sapere. Delle diverse 
che agitavano l'ambiente di ? 
sfuggi all'osservazione e alla mei 



Vito di Sangro. Parlando del Doria il 
mirava come sublime ed originale in ( 
e cornane nei platonici >. Ciò fece a mi 
tesiano, mentre il p.'isso di Vico prov; 
tempo in maggior pregio del Vico la do 
se il Doria fu per qualche tempo seguac 
un deciso avversario. Egli cominciò v 
l'applicazione da lui fatta del metodo 
lo combatteva nel campo metafisico n 
alla filosofia di Renaio des CarieSy non 
loaofia di P, M, Dona con la quale si 
Queste due opere gli suscitarono cont 
principe della Scalea, discepolo del Gal 
contro il Doria nell'opera intitolata Bi 
Doria oppose nello stesso auuo le su 
monografia citata del Geriui, p. 21-: 
Difesa della metafisica degli antichi e 
che in questi contrasti tra cartesiani e 
del Vico: ciò deve, secondo noi, attr 
in quest'epoca ne' suoi nuovi studi gii 
diretta parte a questioni di carattere fil 
comune il desiderio che gli Italiani « 
delle scienze degli oltramontani, dov 
pienza in quella guisa che fecero i 1 
Misantropo, Parte II, 1737). 



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"^'^*?ji^«;ifT^f3r^ 



— 159 — 

egli accolse interamente poiché era profondamente convinto 
che nessuna rispondeva al carattere nostro nazionale e alle 
esigenze delle scienze morali che costituirono il campo proprio 
in cui si affermò sin dal principio il suo ingegno, e alle quali 
ebbe sempre rivolto il pensiero sia nella scelta degli autori 
da formar oggetto di studio, sia nella scelta del metodo da 
seguire, sia nel porre il criterio della verità, sia nel deter- 
minare la natura e la finalità dell'uomo (1). 

Nelle sue predilezioni per Platone e Tacito già si intravvéde 
quel dualismo tra il senso e la ragione, che doveva essere il 
fulcro intorno a cui si svolgono le scienze morali e il corso 
storico dell'umanità. Con Platone lo spirito, il mondo delle idee 
esce per la prima volta fuori dall'involucro mutevole del senso. 
Niuno prima e dopo di lui seppe dare dell'uomo, quale do- 
vrebbe essere secondo la sua natura razionale, un concetto 
più vero e profondo. Colla guida di Platone Vico avrebbe po- 
tuto in seguito rintracciare nell'uomo e nelle sue manifesta- 
zioni individuali e collettive gli elementi costanti e universali. 
Tacito descrivendo l'uomo reale dominato dai sensi e dalle 
passioni, che opera spesso inconsciamente dietro lo stimolo 
degli istinti, dei bisogni, delle utilità poteva costituire ottima 
guida per la conoscenza dell'uomo storico e di ciò che vi è 
di vario e di mutevole nelle azioni umane. Tacito completava 
Platone e sulla scorta di entrambi la chiave per la compren- 
sione dell'uomo singolo e collettivo era trovata. 



(1) n carattere mentale del Vico possiamo desumere daUa serie deUe 
sne opere, e daUa vita scritta da lui stesso. 'NéìV Autohiografia il Vico fa 
sé stesso oggetto di osservazione, descrive la saa vita mentale, ci dà la 
genesi delle sue opere, il procedere del suo pensiero. Primo il Carle rilevò 
la stretta analogia tra il Diaoorso sul metodo di Cartesio e la Vita del Vico 
(Cfr. Carle, Op. cit., p. 295 nota). Ma Tanaìisi psicologix^a fatta dai due 
pensatori sopra sé stessi li condusse a conseguenze opposte. Cartesio si 
convinse della necessità di concentrarsi in sé stesso e di ricavar la sciènza 
col proprio intelletto. H Vico invece si convinse che l'uomo deve guardarsi 
bene dall'esser solo a pensare una cosa^ perchè o si mata in Dio o si pone 
in contraddizione col senso comune. 



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— 160 — 

Per ciò che riguardava Tordine e il metodo da seguire nello 
studio dell'uomo, il Vico, guidato dal suo ingegno divinatore 
fermò l'attenzione su Bacone. Non dimentichiamo che per tutto 
il secolo XVII e XVIII le opere di Bacone passarono inosser- 
vate nella stessa Inghilterra per la prevalenza incontrastata 
che vi assunse il metodo soggettivo nello studio delle scienze 
morali (1). Gli stessi enciclopedisti, ammiratori di Bacone (2), 
lo celebrarono come fondatore del metodo induttivo, ma non 
ne rilevarono l'importanza in ordine alle scienze morali: pochi 
nello stesso secolo XIX diedero valore al suo trattato De Avg- 
mentis che al Vico parve giustamente dischiudere un'era 
nuova nello studio delle scienze morali, come quello che mentre 
faceva rientrare anche quest'ultime nel vasto campo delle 
scienze sottraendolo all'impero della metafisica, indicava alla 
loro restaurazione il metodo induttivo. Nel culto per Bacone 
il Vico rimase a lungo solo in Italia e fuori. Il Vico comprese 
e svolse il concetto adombrato da Bacone di porre le scienze 
morali sulla salda base dell'osservazione storica e psicologica: 
egli costituisce l'anello di congiunzione tra Bacone e Oomte 
che con piena coscienza volle restaurato tutto il sapere filo- 
sofico sulle basi del metodo induttivo. Ma se Bacone aveva ri- 
levato le lacune del sapere umano e indicato il nuovo metodo 
di indagine, non aveva detto il modo con cui colmare tali la- 
cune, come praticamente applicare il metodo dell'osservazione 
allo studio delle scienze morali : l'una e l'altra cosa fece il Vico 
e potè con giusto orgoglio dire di aver creato una scienza nuova. 

Platone, Tacito, Bacone, vengono per tal modo a personificare 
i tre capisaldi della filosofia vichiana applicata agli studi 
morali e sociali, la ricerca dell'universale nel particolare, 
dell'idea nel mutevole succedersi delle azioni umane mediante 



(1) Vedi sopra pag. 49 e seg., saU'opera e suUe sorti di Bacone. 

(2) Primi a far conoscere Bacone in Francia furono Voltaire neUe sue 
« Lettere Persiane» (1734) e il Diderot nel sno « Discorso preliminare 
aU' Enciclopedia » (1753). 



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— 161 — 

un procedimento di induzione (1). L'uomo nel concetto di Vico 
deve assumersi nelle scienze morali nelle integrità della sua 
natura, né deve esser lecito al filosofo di foggiarsi una natura 
umana che contraddice al senso comune e alla realtà delle 
cose. L'analisi psicologica non deve spingersi al punto di 
far violenza alla natura. La specializzazione soverchia delle 
scienze se rende gli uomini dotti nei particolari li rende meno 
atti ad abbracciare il sapere nella sua integrità (2): essa poi 
riesce particolarmente dannosa alle esigenze delle scienze 
morali aventi carattere e scopo pratico e che presuppongono 
Tuomo operante nell'interezza della sua natura tra i due poli 
estremi del senso e della ragione, dell'istinto e della libertà, 
secondo una legge di progressivo predominio degli elementi 
razionali sopra i sensibili. Le scienze morali devono valersi 
di concetti sintetici e i cultori delle medesime devono essere 
uomini d'ingegno, cioè, capaci di scorgere il comune tra cose 
lontane e disparate (3). 

Fermo in tali concetti il Vico doveva trovarsi in disaccordo 
cogli indirizzi di pensiero dominanti in Napoli e che in pic- 
cole proporzioni riflettevano gli indirizzi di pensiero che in 
seno alla filosofìa moderna si erano andati delineando nel 
secolo XVII e che il Vico riconduceva genialmente a cor- 
renti di idee che avevano dominato nell'antichità. Scarsa e 
difettosa era la conoscenza che il Vico aveva dei sistemi filo- 
sofici antichi e moderni (4) : ma suppliva con una intuizione 



(1) lu una lettera a Mousigaor Gaeta il Vico definisce l'indazione se- 
condo il concetto di Bacone. — Per le opere del Vico ci siamo valsi della 
edizione napoletana 1858-1869 in otto volumi curata dal Ferrari: ad essa 
ci riferiremo per le citazioni. "L^ Epistolario del Vico fa parte del Voi. VI. 

(2) Il Vico svolge tale concetto nella sua Prima orazione tenuta a Na- 
poli nel 1699. — Cinque orazioni di Vico ancora inedite furono pubblicate 
dal Galasso nel 1869 e formano l'ottavo volume deiredizione citata. 

(3) Cfr. De Antiquissimaf Voi. I, ediz. cit., e. vii, § 3. 

(4) Sappiamo che il Vico conosceva Platone nelle opere del Fi e ino, 
Epicuro In quelle del Gassendi; egli confuse Zenone stoico con Zenone 
eleatico e cadde in altri simili errori. 



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— 162 — 

asi sempre felice, la quale gli permetteva di rilevare il ca- 
tterò generale delle varie dottrine e sopratutto di intrave- 
rne le lontane conseguenze nel campo pratico. Senza preoc- 
parsi dei pericoli e delle inimicizie a cui egli, povero e 
cora oscuro, si esponeva, parlò un linguaggio nuovo di verità 
standosi pubblicamente contro i critici compiacenti, contro 
L ostinati delle sette, contro gli impostori che infestano il 
andò degli studiosi (1), contro i falsi dotti che studiano per 

sola utilità (2), e i dotti cattivi che amano più l'erudizione 
Le la verità (3). Tra coloro che si occupano di scienze mo- 
li condanna senza pietà gli stolti che non vedono né le verità 
trticolari né le universali, gli illetterati astuti abili nell'a- 
ltare la scienza alla pratica, i dotti imprv/Xenti sprezzanti 
realtà e tendenti a tradurre nella pratica le loro teorie (4). 
Non era invidia o umore bilioso o spirito di parte che in- 
iravano il Vico ma profondo amore del vero, nobile risenti- 
ento contro quanti, sfruttando la scienza, ne compromettevano 

serietà con grave danno dell'educazione. L'intimo connubio 
L'egli vagheggiava tra filosofia ed educazione (5), lo rese av- 
irsario delle dottrine filosofiche che non si indirizzavano a 
nder migliori gli uomini e a guidarli verso la felicità indi- 
duale e collettiva. 

Di Epicuro combatte il materialismo che non riesce a spie- 
,re le cose della mente: e la sua morale chiama « morale di 
iccendati chiusi nei loro orticelli » fatta cioè per uomini 
litari non destinali a vivere in società, che pretende rego- 
re i doveri della vita coi piaceri dei sensi. Morale solitaria 



[1) Cfr. Orazione terza del 1701. 

[2) Cfr. Orazione quarta del 1704. 

[3) Cfr. Lettera al P. Bernardo Giaoohi del 12 ottobre 1720, Ediz. cit., 
1. VI. 

'4) Cfr. il De nostri temporis eco,, Voi. I, ediz. cit., § 7. 
[5) Il carattere pedagogico dell'opera del Vico fu rilevato dal Tommaseo, 
ìggio 8U Vioo)\ dal Flint (Fico, Edinburgh 1884); dai Gerini {Soì^ttoH 
ìagogici italiani del secolo XVIII, Paravia, 1901). 



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— 163 — 

cioè « di meditanti che studiano non sentir passione > 
la morale degli Stoici, alleati dei Cartesiani, come qu< 
insegna pratiche di vita impossibili alla condizione i 
porta a disumanarsi e a non sentir passione. (1). Ch 
metafisica di Locke metafisica della moda, e osserva ce 
acume ch'egli cercò di sposare Epicuro con Platone (2) 
tenero si dimostrò contro Aristotele, l'idolo degli Scoi 
cui generi o universali ottenuti per astrazione e '\ 
contenuto sono inutili alla scienza e fomite di interi 
questioni come quelli che non possono dare che nozion 
e generali delle cose, mentre la verità risulta di ci( 
completamente determinato (3). Le critiche più acerbe 
riserva per l'idolo del giorno, Cartesio: esse implicando 
stione del metodo meritano di essere particolarmente r 
65. — Combattendo il metodo cartesiano il Vico noi 
favorire il ritorno ai vecchi sistemi e metodi di studio 
dagli Scolastici: ninno meglio di lui seppe rilevare 
d'origine del ragionamento sillogistico, per cui non si st 
un rapporta tra cose diverse ma non si fa che far ri 
le specie in generi di ugual natura, mentre i generi, p 
contenuto, non possono servire a spiegare le specie pii 
minate e complesse (4). Il Vico loda Cartesio per aver 
mate l'attenzione sul proprio sentimento come regola d 



(1) Il Vico associa solitamente Epicurei e Stoici nena sua cr 
essi parla in molti punti delle opere sue senza mai smentirsi, m 
hiografiay nell'orazione per la morte della contessa d'Aspremont, 
tera all'abbate Esperti (1726), nella Scienza Nuova (dignità V), 

(2) Cfr. Lettera alVEsperti, Voi. VI, ediz. cit. 

(2) Cfir. De Antiq.y e. li, ove tratta dei danni derivanti dall'i 
universali nelle scienze giuridiche e morali. — Acutamente ivi os 
« i generi conducono in errore i iilosoiì, come i sensi conducom 
nei pregiudizi » e che « il favellare per universali è proprio dei 
e dei barbari ». 

(4) È assai importante a questo riguardo il Capo Vili del 1 
ove si passano in rassegna i modi di ragionare di diverse scu< 
fiche antiche e moderne. 



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— 164 — 

per aver liberato gli intelletti dalla cieca adorazione dell'au- 
torità, per aver favorito l'ordine del pensare (1). Ciò che a 
Cartesio e più ai Cartesiani il Vico rimprovera sono gli abusi 
e le esagerazioni del loro principio metodico. La posizione 
del Vico rispetto a Cartesio e ai Cartesiani ricorda quella 
del Leibniz, col quale il Vico ha tanti punti di contatto e 
che fu merito del Ferrari avere rilevato (2). Le attinenze 
che corrono tra Vico e Leibniz non devono attribuirsi a re- 
ciproci influssi (3), ma alle esigenze dialettiche del loro in- 
gegno e sopratutto all'analoga funzione storica da essi rispet- 
tivamente esercitata in Germania e in Italia. Come il Leibniz 
in Germania si interpose tra le diverse correnti filosofiche, 
dando alle medesime coordinazione e unità, e divenne il punto 
di partenza per lo sviluppo ulteriore del pensiero tedesco, 
cosi il Vico tra i diversi indirizzi segui un indirizzo me- 
diano e originale meglio rispondente alle tradizioni e all'in- 
gegno italico, per quanto l'indole speciale degli studi a cui 
si applicò, per i quali non pur l'Italia ma nessun altro paese 
di Europa poteva dirsi maturo, tolse a lui di esercitare in 
Italia un'influenza paragonabile a quella esercitata in Ger- 
mania dal suo grande contemporaneo. Nell'opposizione a Car- 
tesio il Vico supera il Leibniz per efficacia e profondità: 
sopratutto rilevò le dannose conseguenze che alle scienze 
morali potevano derivare dai due cardini del metodo carte- 



(1) Cfr. Risposta seconda al « Giornale dei letterati d* Italia » (fine), Voi. I, 
ediz. cit., p. 184. 

(2) Cfr. Ferrari, Op. cit.. Parte II, e. iii. — Cfr. anche il Siciliani, 
il quale dedica un intero capo (Op. cit., e. vii). a rilevare le analogie e 
le differenze tra il Vico e il Leibniz. — Cfr. Flint, Op* cit., p. 1^7. 

(3) n Cantoni e il Werner mostrano di credere che il Vico sopra- 
tatto in ordine alla sua teoria dei punti metafisici svolta nel De antiqnis- 
sima, fii inspirasse al Leibniz. Ma ciò deve escludersi, perchè non risalta 
in nessun modo che il Vico traesse profìtto dell'opere dèi Leibniz, citato 
solo due volte incidentalmente nella Seconda Scienza Nìiova e in una lettera 
a Monsignor Gaeta, senza data, ma scritta verso la fine del 1737. Dello 
stesso parere sono il Siciliani, il Flint, il Labànca. 



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— 165 - 

siano, poter l'uomo colla forza esclusiva della sua ragione 
venir in possesso di tutto il sapere, e doversi le scienze mo- 
rali trattare con metodo geometrico (1). Seguire il proprio 
giudizio nella ricerca del vero significava per i Cartesiani 
disprezzo della tradizione, dell'autorità, della storia, dell'espe- 
rienza, significava bandire dal campo del sapere tutte quelle 
cognizioni che non ammettono una dimostrazione rigorosa, 
ma che pure si fondano sul senso comune, traggono motivo 
di vero dal fatto che sono considerate vere dal maggior nu- 
mero e costituiscono il criterio e la guida dell'operare umano. 
Il metodo di Cartesio se da un lato può dare illusione di sa- 
pere e apparenza di dimostrazione al falso, se può garbare 
ai molti che sdegnano gli studi lunghi e pazienti e vogliono 
apprendere molto in breve, dall'altro disconosce la natura 
delle scienze morali, alle quali meglio si adatta l'analisi psi- 
cologica per cui penetriamo nei ciechi labirinti del cuore 
umano per scoprirvi i motivi di uuiformità delle azioni. Mo- 
vere da definizioni, da postulati, da assiomi per trarre con 
metodo geometrico le scienze morali, credere che basti la 
percezione chiara e distinta del bene per attuarlo, è, osserva 
il Vico, prendere gli uomini per numeri e figure, è illudersi 
di poterli muovere a nostro talento, è disconoscere la natura 
stessa del metodo il quale deve variare e moltiplicarsi se- 
condo la diversità e moltiplicazione delle materie oggetto di 
studio (2). La causa originaria che trasse Cartesio in errore 
fu di aver posto il vero come ùnico fine degli studi, fine 



(1) Il Vico associa quasi costantemente neUe prime sae opere e nelle 
lettere la critica di Cartesio e la questione del metodo. I passi piti note- 
voli si possono riscontrare neW Autobiografiaf nel De nostri temporie, (edìz. 
cit;.> I, § 3, 4, 7, 9), nel De Antiquisaima (ediz. cit., I, e. vii, § 4), nella 
Risposta seconda al « G-iornale dei letterati d* Italia » (ediz. cit., I, p. 173, 
181, 184), nelle lettere (ediz. cit., VI) all'Esperti (1726), al P. de Vitry 
(1726;, al Solla (1729). 

(2) Aòntamente osserva il Vico che « il metodo geometrico trasportato 
in cose che non sono numeri e misure prova qualunque cosa » {Bisp, al 
Oiom, eoo», ediz. cit., I, p. 181). 



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— 166 — 

che può raggiungersi nelle scienze fisiche aventi un oggetto 
determinato e nelle quali si cerca la causa per cui molte 
cose si eflTettuano in natura, non nelle scienze morali che 
h^nno per oggetto i fatti degli uomini, la cui natura è incer- 
tissima per l'intervento dell'arbitrio, in guisa, che delle molte 
cause di un sol fatto non si può mai dire quale sia la vera. 
Porre alle scienze morali per fine il vero, bandire da esse 
il verosimile è condannarle alla sterilità e all'impotenza. Il 
Vico, superando Bacone, precorre le più moderne dottrine 
positive circa il metodo da seguirsi nelle scienze morali. Tra 
ì Cartesiani fautori della critica, che vogliono banditi i veri 
secondari e pongono il primo vero fuori del senso, che vogliono 
educate le menti all'analisi, logorandole in sottigliezze e mi- 
nuzie senza tener conto dell'indole dell'animo umano, delle 
sue tendenze alla vita civile, dei vizi, delle virtù, del carat- 
tere e del costume secondo l'età, il sesso, la condizione, la 
famiglia, la nazione, che si illudono di ridurre a norma tutto 
ciò che si attiene alla vita e fanno troppa fidanza sulle norme 
der metodo, che finiscono per ostacolare l'ingegno e distrug- 
gere la curiosità — e i fautori della topica, seguaci di Aristo- 
tele, che, paghi di un sapere empirico, si affidano ciecamente 
all'autorità, il Vico propugna l'unione della critica colla topica, 
cioè della dimostrazione coll'invenzione, dell'analisi colla sin- 
tesi, del vero col verosimile, della ragione col senso comune. 
Solò per tal via l'uniformità si consegue nell'operare e si 
formano non gli scienziati, ma gli uomini prudenti, gli oratori, 
gli uomini di Stato, che è lo scopo proprio delle scienze morali. 
66. -^. La dottrina del metodo si completa nel Vico con 
.quella relativa al criterio di verità ch'egli contrappose al cri- 
terio cartesiano della percezione chiara e distinta ottenuta 
per mezzo dell'osservazione interiore (1). Il Vico affrontando 
una delle più ardue questioni di metafisica non perdette mai 



(1) La questiouò del criterio di verità è trattata dal Vico nel De An- 
tiqui88imaf Capo I. 



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— 167 — 

di mira le esigenze delle scienze morali, e il suo pensiero 
riassunse nella formola della conversione del vero col fatto, 
cioè che conoscere una cosa significa farla. Mediante l'intel- 
letto l'uomo conosce e conoscere significa comporre insieme 
tutti gli elementi di una cosa e formarsene la perfetta idea. 
L'intelligenza umana, a differenza della divina, ha un potere 
di comprensione limitato, poiché degli elementi costitutivi 
delle cose solo gli esterni, e parzialmente anche questi, 
riesce a combinare: opperò se l'uomo può pensare a tutte le 
cose, non può che intendere quelle che fa, ossia quelle di cui 
arriva a comprendere la genesi o la guisa di formazione. 
La scienza per Vico è essenzialmente genetica ìr\ quanto si 
riduce alla conoscenza del modo o delle cause con cui una 
cosa è prodotta {vere scire per causas scire). I limiti della 
conoscenza sono quelli del potere. Di qui l'incertezza e im- 
perfezione delle scienze morali, le quali avendo pei* oggetto 
le azioni umane che non possono riprodursi e sono continua- 
mente mutevoli, non possono proporsi a loro unico scopo il vero, 
mentre le scienze sperimentali hanno un grado di verità assai 
maggiore in quanto studiano la natura riproducendola, e le 
scienze matematiche racchiudono il grado massimo di verità 
in quanto sono prodotti mentali, vere e proprie creazioni dello 
spirito. Il Vico parlando di produzione della cosa come sino- 
nimo di conoscenza della cosa non intende, come mostra di 
credere il Cantoni (1), una produzione ideale, ma una produ- 
zione reale, che trova cioè un qualche riscontro nella realtà 
quale appare ai nostri sensi. La chiara e distinta idea della 
cosa non può assumersi a criterio del vero, come sostiene 
Cartesio, poiché il pensare distintamente a una cosa non si- 
gnifica ancora conoscere il contenuto della medeisima, e iioh 
ci autorizza ad affermare la realtà della cosa_ pensata,. La 
certezza di pensare non é scienza ma coscienza : scienza si ha 



(1) Cfr. Cantoni, Op. cit., Parte I, o. iri. — La miglior interpretazione 
del pensiero metafìsico del Vico ò quella data dal Flint, Op. oit., o. vi| § 2. 



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- 168 - 

delle cose la cui verità è dimostrata o dimostrabile, cioè delle 
cose che riusciamo a fare, mentre la coscienza è proprio di 
quelle cose di cui non possiamo dimostrare il modo di loro e^- 
stenza. Neppure lo scettico dubita di pensare e di esistere, ma 
dichiara solo di ignorare le cagioni del pensiero, ossia come 
esso ha esistenza: il pensiero è indizio, non causa della realtà. 
Una critica più acuta e stringente del principio metafìsico 
cartesiano non si potrebbe immaginare e ninno prima di lui 
può vantare di averla fatta. La coscienza può attestarci la 
esistenza delle cose ma per intuizione non per dimostrazione ; 
apprendere le cose non ancora significa conoscerne la natura. 
Per tal modo il Vico elevava una distinzione netta tra verità di 
scienza e di coscienza, tra verità di ragione e di sentimento ò 
per usar la sua espressione abituale tra ciò che è vero e ciò 
che è certo (1). Dell'esistenza di Dio, dell'anima, dei principi 
delle scienze morali possiamo avere una cognizione certa 
ma non vera. Di quanto il Vico restringe il campo del vero 
di altrettanto allarga la cerchia del certo, pel quale riconosce 
che unico criterio applicabile è il senso comune. Il Vico però 
a differenza dei positivisti moderni non eleva una barriera 
insuperabile tra la sfera del certo, delle credenze e- la sfera 
della verità, della scienza : egli ammette che le verità di sen- 
timento, di intuizione, sieno capaci collo svolgersi della ri- 
flessione di trasformarsi in veri scientifici : anzi egli pose 
come legge generale dello, spirito individuale e collettivo e 
delle sue singole manifestazioni il graduale e progressivo pas- 
saggio dalla coscienza alla scienza, dalla autorità alla ragione, 
dal certo al vero. Quanti nell'età moderna si fecero sostenitori 
della relatività del sapere, accolsero, senza ricordarlo, il pru- 
dente criterio del Vico: ma di essi più accorto, il Vico mostrò 



(1) Il vico usa le espressioni ve^'o e certo in un significato speciale: per 
lui è vero ciò che si converte col fatto ; certo è .tutto ciò che si fonda 
sul senso comune, ossia le verità intuite ma non dimostrate. Noi invece 
siamo soliti considerare termini equivalenti il vero e il certo. 



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- 169 — 

di intendere e di apprezzare anche le idee e sentimenti che 
hanno il loro fondamento nell'autorità del senso comune. Egli 
era profondamente convinto che le scienze morali non possono 
astrarre dal verosimile per correr dietro a una vana e for- 
male apparenza di vero che trova nella realtà continue smen- 
tite (1). 

Il De Antiquissima chiude il periodo filosofico-critico del 
pensiero di Vico: le dottrine in esso esposte sono in regolare 
armonia colle - sue opere posteriori, di cui formano il presup- 
posto metafisico. Il Libet^ meiaphisicus ribadisce il concetto 
che la vera sapienza è operativa e la filosofia non deve solo 
proporsi la solitaria e sterile verità ma ancora l'utilità e la 
dignità della vita. Il Vico non si restrinse a una critica ne- 
gativa, mentre critica integra: e come sul terreno metafisico 
e metodico aveva integrato Bacone e Cartesio, cosi si prepa- 
rava a integrare Grozio nel campo etico e giuridico. 

67. — Le predilezioni del Vico per gli studi giuridici rimon- 
tano al primo periodo della sua vita, allorché imbevuto ancora 
di metafisica scolastica, dietro consiglio del padre si applicò 
àgli studi legali per un periodo di cinque anni (1680-1685). La ca- 
suistica giuridica, rappresentata allora in Napoli da D. Fran- 
cesco Verde indispose il Vico, come quella che si perdeva nel 
casi particolari senza elevarsi a principi razionali : ottimo 
esercizio di memoria, egli osserva, ma tortura dell'intelletto (2). 



(1) La dottrina metafisica del Vico ancora aspetta di esser giudicala al 
sno giusto valore. Esagerarono nelle lodi per uiì sentimento di legittimo 
orgoglio nazionale, il Mamiaui, il Gioberti, il Siciliani: la snatu* 
rarono adattandola ai propri sistemi filosofici gli hegeliani (Spaventa, 
Vera, Fiorentino) e gli spiritualisti (Rosmini): mostrò di non com- 
prenderla affatto il Cantoni, che chiama W^Liher metaphiaious « una strana 
anomalia nella storia del pensiero di Vico ». — Non ci convince intera- 
mente l'affermazione del Labanca(6^. B, Vico e i suoi orifici oaitolioif 
Napoli, 1898) che il Vico fece della metafisica dogmatica e cristiana, fon- 
dandosi sul fatto che i critici cattolici del secolo XVIII la considerarono 
tale e non sollevarono dubbi al riguardo. 

(2) Cfr. Autobiografia per tutte le notizie biografiche in questo paragrafo 
indicate. 



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— 170 -- 

li interpreti antichi e gli interpreti 

parve riscontrare i filosofi dell'equità 

storici del diritto civile romano: fin 

i di far convergere i due indirizzi a 

itto filosofico. A formarsi una coltura 

ale scopo, il Vico attese per un periodo 

li a elaborare è a fissare quei principi 

lostituire il sustrato metafisico di tutte 

(1). Non trascurò il Vico neppure in 

giuridici : ne abbiamo la prova nella 

so sul metodo (1708) delle vicende sto- 

per metterne in evidenza il carattere 
)mento per un nuovo indirizzo degli 
rva il Vico che in Grecia la giurispru- 
ntemente divisa tra filosofi, prammatici, 
►onevano i principi razionali attinenti 

gli altri fornivano le leggi agli oratori 
eloquenza l'equo. In Roma la giurispru- 
origini divisa tra giureconsulti-filosofi 
no dal lungo esercizio delle pubbliche 
elaborazione della civil prudenza sacra 
ano dalla parola allo spirito della legge 
[uo, gli uni custodi del giusto, gli altri 
iretà moderna le diverse parti della 
assunte in una sola dottrinagli giure- 
aratore, ha cessato di essere filosofo; 
interesse privato, a cui giova partico- 
ifica il pubblico interesse, meglio tute- 

1 Vico traeva motivo per insistere sulla 
'equità naturale colla filosofia giuridica 

per lui era la dottrina del pubblico 

rende i uove anni passati neUa solitndiue di 

ani poi trascorsi in NapoU fino alla pubblica- 

1710). 

9 eco. (1708), i 12-13 (ediz. cit.). 



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- 171 - 

reggimento che i Greci apprendevano dai filoj 
dalla pratica stessa delle cose pubbliche, mentr 
Vico era trascurata tanto dai pratici preoccup 
trionfare l'equo e Futile privato, quanto dagli er 
far risorgere in tutta la sua purezza il diritto ; 
rendersi conto delle nuove esigenze dei tempi. 
Il divisamente di richiamare gli studi giurid 
sua divisi tra la pratica e l'erudizione ad una b 
si venne meglio determinando nel Vico colla coi 
del Gravina e sopratutto colla lettura del Grozio 
ai tempi di Vico il Grozio era pressoché ignora 
Gravina mostra di non averne approfittato. Tale 
verso Grozio era naturale in Italia, estranea al 
mazione dello Stato moderno e strettamente lej 
dizione giuridica e all'autorità del diritto roman 
cercato reagire il Grozio (2). Ma ben intese i 
scuola del diritto naturale di cui era stato fonda 
aveva efficacemente cooperato a restaurare qi 
del pubblico reggimento, di cui difettavano i no 
sulti. Si comprendono pertanto le sue simpatie 
lui posto nel novero degli autori prediletti acca 
a Tacito, a Bacone. Il Grozio era assorto al e 



(1) Il Vico neìV Autobiografia ci fa sapere che la Vita é 
pubblicata nel 1716 gli conciliò € la stima e l'amicizia d 
letterato d'Italia signor G. V. Gravina col quale coltivò s 
denza infiuo ch'egli morì *. Il Gravina morì nel 1718. Le 
provano che egli conosceva di fama anche prima di qu£ 
vina, e certamente ne aveva letto le opere, — Il Vico p( 
l'opera del Grozio « nell' apparecchiarsi a Scrivere la F 
cioè verso il 1714. 

(2) L'opera del Grozio era stata messa sìlV Index Ex^ 
Chièsa cattolica. La sincerità delle credenze religiose no 
Vico di studiare e apprezzare scrittori condannati dalla 
ma per prudenza si astenne molte volte dal citarne i n 
citandoli li citò vagamente e quasi di sfuggita. In leti 
abbondano le citazioni di scrittori stranieri e mostra di co: 
nei concetti fondamentali . 



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— 173 — 

arsale sottratto a delimitazioni di tempo e di luogo, 
na e immutabile di giusto che il Vico con Platone 
innata e propria della natura razionale dell'uomo, 

aveva cercato far scaturire dallo studio della 
le lingue dei popoli diversi ed estendere alla gran 
mere umano. La lettura di Grozio forni al Vico 
i prender conoscenza dei divèrsi indirizzi che 
del diritto naturale si erano andati svolgendo in 

Germania, Francia, nel secolo XVII. Di Hobbes, 
yle, ricorda il nome e le opere e riassume in poche 
issime l'indirizzo generale del loro pensiero in or- 
lenze giuridiche e sociali (1). Altrove mostra co- 
stemi di Selden e Pufendorf, di cui associa costan- 
dottrina relativa alle origini della società umana 
ii Grozio. Ma a quest'ultimo il Vico direttamente 
e conciliandolo colle nostre tradizioni giuridiche. 
zò assorgere dal concetto dell'equità naturale, eia- 
pratici, col sussidio del diritto romano, restaurato 
i, a quell'idea eterna del giusto che il Grozio aveva 
mte derivato dalla ragione umana, 
ordine ai fondamenti filosofici delle scienze morali, 
del Vico è per molti aspetti definitiva. Nessun 
pensiero antico e moderno sorto in seno alle scienze 
mostra di ignorare : di tutti rilevò acutamente le 
difetti. I Greci avevano trattato della giustizia e 
in termini troppo generali e astratti, i Romani in 



'. Vno^ (Proloquium^f ove ricorda il Principe del Maccbiavellì, 
ìli' Hobbes, il Tractatua theologico-politicua dello Spiuoza, il 
1 Bayle. — "SeW Autobiografia accenna ad uua corrispondenza 
is, di cui mostra apprezzarne il valore. . — Questa conoscenza 
iutte le correnti fìlosoficbe e giuridicbe dell'epoca sna fa ri- 
urie nella sna opera recentissima, La filosofia del diritto nello 
), Parte I, lib. IIF, e. iv, § 129 nota, Torino, Unione tip, 
ontro coloro, sopratutto stranieri^ cbe facendo la storia del 
Je non ricordano affatto il Vico. 



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— 173 — 

concreto : gli antichi interpreti non conobbero che le esigenze 
della pratica, i nuovi astrassero da ogni indagine di carattere 
filosofico per concentrarsi nello studio filologico dei testi di 
legge. Hobbes, Spinoza, Bayle fecero dell'utile o del piacere il 
criterio del diritto, fecero del timore o del contratto il fon- 
damento della società, dell'arbitrio la fonte della legge. Grozio 
stesso tratta del diritto naturale delle genti e trascura il 
diritto civile (1), opperò se quello rispondeva a esigenze razio- 
nali, questo lo contraddiceva nel fatto. I^'uomo di Hobbes che 
agisce sotto lo stimolo dell'utile e del bisogno è condannato 
dalla ragione, ma trova conferma nell'esperienza della storia. 
La scienza del diritto naturale sembrava dibattersi tra i due 
termini opposti della ragione e del senso, dellar filosofia e della 
storia senza speranza d'uscita : a risolvere la contraddizione 
si accinse il Vico. Il concetto di un'armonia provvidenziale 
balenata alla mente del Leibniz per comporre il dualismo me- 
tafisico tra anima e corpo, ricorre per una strana coincidenza 
nel Vico per comporre la corrispondente contraddizione nel 
campo delle scienze morali (2). Filosofia e storia, idea e sen- 
sazione, scienza e coscienza, ragione e autorità, lungi dal- 
l'escludersi si richiamano, si integrano, si spiegano a vicenda 
nell'uomo, nelle sue varie fasi di sviluppo, nelle sue manife- 
stazioni individuali e collettive. La dottrina pertanto del 
diritto naturale o universale che il Vico identificava colla 
dottrina civile in opposizione alla dottrina morale (3), si fonda 
sulla duplice base del vero e del certo, ed è svolta nel De Uno 
da un punto di vista puramente astratto (4). 
L'idea del giusto innata nell'uomo non è che un aspetto 



(1) Del juB civile il Vico accoglie la definizione di Ulpiano: « quod 
neqae in totum a j are naturali recedit, nec per omnia ei servit, sed 
partim addit partim detrahit ». 

(2) Cfr. Ferrari, Op. cit., Parte II, e. ni. 

(3) Cfr. De Uno eoe* (Proloquium)f ediz. citata, volume II. 

(4) Il Vico pubblicò il De uno universi juna principio et fine uno nel 
1720. Egli chiama universale ciò che altri chiamava diritto naturale. 



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— 175 — 

scambio dei beni, che segui alla prima divisione dei campii 
passò da forme violenti e arbitrarie a forme sempre più ra- 
zionali e si generò il dominio. La volontà dapprima dispotica 
e sfrenata, nell'usare dei beni e delle persone, facendosi sempre 
più moderata e ragionevole generò la libertà; l'attività gui- 
data dal senso, fu conservazione e tutela della vita fisica, 
guidata dalla ragione divenne tutela e conservazione della 
personalità intellettuale e morale (1). La proprietà, in quanto 
è ristretta alle cose finite e corporee, la tutela in quanto è 
difesa del corpo, la libertà in quanto è libera estrinsecazione 
degli affetti dell'animo costituiscono il diritto naturale pri- 
mario che Ulpiano defini: quod natura omnia animalia 
docuìL avente carattere negativo in quanto indica ciò che la 
ragione non riprova ma permette, if dominio, la libertà, la 
tutela, sciolti dal senso e regolati dalla ragione costituiscono 
il diritto naturale secondario o necessario, che Giustiniano 
defini quod naiuralis ratio inter omnes homines constitiiit 
et apud omnes gentes peraeque custoditur, in quanto vieta e 
comanda conformemente all'eterno vero. Le due parti del nii- 
ritto civile ne costituiscono rispettivamente la materia e la 
forma, il corpo e l'anima, l'elemento mutevole ed eterno, la 
ragione civile e naturale, ossia la mens legis e la. ratio legis, 
di cui l'una è ir certo delle leggi che spectat ad uiilitatem 
qua variante variatur^ l'altra è il vero delle leggi, cioè la 
conformazione della legge al fatto, che spectat ad honestaiem 
qtme aeterna est (2). 

Dalla libertà, proprietà, tutela, si genera Vauctoritas, la quale 
lungi dall'essere creazione arbitraria del legislatore, come 
vorrebbe Hobbes, ha il suo fondamento nella natura stessa 
dell'uomo, in quanto questi conoscendo ciò che è proprio della 
sua natura, lo vuole e lo attua colla mente e col corpo. Questa 



(1) Sui concetti di libertà, proprietà, difesa e loro genesi psicologica cfr. 
De Uno, e. 71 e seg. 

(2) Sui rapporti tra diritto primario e secondario cfr. De Uno, e. 75 e feg. 



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— 176 — 

aìicioritas naturale o razionale attuata nei fatti costituisce 
VauctorUas jtiris, la quale fu dapprima monastica, spontanea 
espressione della personalità individuale, propria degli uomini 
che vivono solitari all' infuori di qualsiasi organizzazione so- 
ciale: poi costituita la famiglia diventa domestica ed è l'es- 
pressione del dispotismo ancora rozzo e violento dei patres : 
infine col formarsi degli Stati diventa civile, ed è l'espressione 
dell'intelligenza, volontà, attività collettiva, ossia della per- 
sonalità civile (1). 

Dal diritto civile proprio di ciascun popolo si distingue il 
diritto civile comune, ossia il diritto naturale dei giurecon- 
sulti fondato sui comuni costumi dei popoli (2) : abbiamo da 
ultimo il diritto naturale dei filosofi, dedotto da' principi pu- 
ramente razionali e riferito alla gran città del genere umano (3). 
Col diritto privato si svolge parallelamente il diritto pubblico. 
Primo a sorgere è il governo degli ottimati, reso necessario 
dalla tulela dell'ordine, proprio degli uomini forti, poco amanti 
delle conquiste ma molto della loro libertà e dignità: esso si 
regge colle costumanze e mantenendo inalterato e arcano il 
diritto. Dalle repubbliche di ottimati, numerose ma piccole, i 
popoli molli e rozzi passano alle monarchie, i popoli di ingegno 
acuto ma molli cadono presto sotto i tiranni, mentre i popoli 
di ingegno acuto e forti si organizzano in repubbliche libere 
e popolari, sulla base dell'eguaglianza del suffragio, della li- 
bertà di opinione, dell'egual diritto agli onori. Mediante patti 
statuti si possono costituire governi misti e temperati a 
base monarchica, aristocratica o democratica (4). 



(1) ^{jXV auotoritas e sue forme cfr. De Uno, e. 88 e seg. 

(2) Il Vico lo chiama jus civile omnium dvitatum eommune — {De Uno, 
e. 118), o ju8 naturale gentium {Ih., e. 136), e ad esso riferisce la de- 
finizione del ju8 civile data da Gaio: « omnes popnli qui legibns fet mo- 
ribns reguntnr, partim ano proprio, partim communi omniam hominum 
jnre utuntur t. 

(3) Cfr. sui rapporti tra jus naturale gentium et philoeophorum, De Uno, 
0. 136. 

(4) Sulle tre forme fondamentali di governo di ottimati, regio, libero, 



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— 177 — 

11 De Uno ha tutti i caratteri di un vero e prò 
di filosofia giuridica, che il Vico con novità ec 
espressione chiama constantia jw^is. Per esso il 
una posizione netta e precisa di fronte ai tre in( 
mentali che vedemmo essersi distintamente delii 
alla scuola del diritto naturale e che dovevano 
secolo XVII accentuarsi e arrivare alle consegue 
Ai seguaci di Hobbes, moderni epicurei, il Vico 
l'esclusiva importanza data agli elementi sensibi 
e perciò mutevoli del diritto. Ai cartesiani, mode 
Vico contesta la possibilità di formare una teoi 
del diritto colla guida esclusiva della ragione, 
conto degli appetiti, degli affetti, degli interes 
tanta parte della vita dell'uomo e della società 
due indirizzi estremi il Vico si attiene all'indiriz 
che tra tutti aveva mostrato di intendere la comi 
natura umana e di assorgere al concetto di un dir 
universale, depvandolo dalla ragione associata 
e alla storia. Ma del Grozio non fu il Vico pediss( 
come il Pufendorf Egli lo integra sotto, un dupl: 
vista, filosofico e storico. Vedremo come nell'uso 
pretazione della tradizione e della storia il Grozi 
il paragone con Vico : ci basti per ora affermare 
Uno il Vico supera in rigore e profondità di concet 
giuridica contenuta nel De jure belli et pacis. 

In questo trattato il Grozio si rivela più giur 
erudito che filosofo: i suoi principi filosofici sono 
ben determinati: gli fa difetto il rigore logico, Y 
matico, la precisione nel definire e nel distingue] 
cipì opposti talvolta non sa decidersi per nessun 
sempre riesce a farli concorrere alla dimostrazi 
assunto. Il Vico rilevò questi difetti del Grozio 



rispondenti rispettivamente ai tre concetti fondamentali de 
tutelaf dominiOt libertày cfr. De UnOj e. 138 e seg. 

12 



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— 179 — 

rizzo mediano più rispondente alle esigenze delle scienze 
etico-giuridiche, ancora imperfetta e quasi incosciente nel 
Grozio è attuata dal Vico con rigore di principi e con piena 
coscienza. E mentre il suo sistema filosofico sembra coordinarsi 
ai sistemi sorti in seno alla scuola del diritto naturale, nel 
fatto egli non fa che continuare l'opera degli interpreti nostri 
che avevano portato l'elaborazione dell'equità naturale ad un 
alto grado di perfezione: egli ne compie e corona l'edifìzio colla 
dottrina dell'equità civile. 

69. — Fu accusato il Vico di aver confuso l'etica col diritto, 
di non aver avuto chiara la coscienza dei loro rapporti e dei 
loro caratteri differenziativi (1). L'accusa, se fondata, farebbe 
torto al suo acume e sarebbe in contraddizione col senso finis- 
simo per cui egli sapeva sceverare il fatto giuridico dagli altri 
fattori concorrenti. A noi pare che anche sotto questo aspetto 
il Vico affermi la sua superiorità di fronte ai giusnaturalisti, 
ponendo la questione dei rapporti tra morale e diritto sopra 
nuove basi atte a facilitarne la soluzione. Prima del Thomasius 
noi assistiamo per parte dei sistemi usciti dalla scuola del di- 
ritto naturale a un progressivo assorbimento del fatto morale 
nella sfera giuridica ; il concetto del diritto si allarga fino a 
comprendere la vita morale e vien meno ogni criterio di distin- 
zione tra le discipline etiche e le giuridiche. Il Vico ebbe certo 
coscienza di tale confusione quando afiermò che per opera dei 
seguaci di Hobbes e di Cartesio erano rinnovellati gli antichi 
sistemi degli Epicurei e degli Stoici, di cui gli uni confon- 
devano la giustizia colla felicità e coll'utilità, gli altri colla 
onestà e colla virtù morale (2). Non sfuggi al Vico Timpo- 



(1) Cfr. Cantoni, Op. oit., p. 93. — Dei moderni critici del Vico il 
Cantoni fu quello che mono ri usci ad afferrare la dottrina metafisica e 
giuridica del Vico. Di ciò lo rimproverano il Siciliani, Op. cit., p. 141 
e il La banca, Op. cit. p. 108 e seg. 

(2) Cfr. Carle, La filosofia del diritto nello Stato moderno, (Torino, Unione, 
1902), Parte I, lib. Ili, e. v, ove tratta da un punto di vista del tutto 
nuovo della elaborazione dell'idea di giustizia nell'età moderna. 



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— 180 — 

teiiza degli Epicurei e degli Stoici antichi e moderni ad as- 
sorgere al concetto del giusto, nel quale gli elementi del- 
l'utile e dell'onesto, dell'interesse e della moralità, insieme 
convengono. Da un punto di vista puramente pratico in antico 
i Romani, nell'età moderna gli interpreti della scuola di Bar- 
tolo e Baldo, avevano elaborato il concetto deWequo-bono, in- 
teso a commisurare l'utile tra gli uomini viventi in società 
secondo le norme dell'onesto. Il diritto naturale, che l'Hobbes 
derivò dall'utile e i seguaci di Cartesio tendevano a far deri- 
vare dall'onesto, è dal Vico fatto scaturire dal concetto inter- 
medio deWequo òono. Per lui infatti il diritto naturale est utile 
aeie>^no commensu acquale (1), cioè è Vaequwn bomim dei 
giureconsulti romani e dei nostri interpreti antichi. 

Prima del Vico il Grozio e il Leibniz avevano cercato di 
svolgere il diritto naturale sull'ampia base dell'utile e di ele- 
menti razionali di natura etica: ma il Grozio non arrivò a 
fondere i diversi elementi in un concetto unitario che servisse 
di fondamento sicuro al suo sistema, il Leibniz stabili un rap- 
porto puramente metafisico tra l'utile, il giusto, l'onesto, 
astraendo dai bisogni della pratica. Mancò ad entrambi la 
base salda della tradizione romana su cui il Vico elevò la 
sua dottrina filosofica. Il Grozio e il Leibniz trascurarono il 
concetto dell'equo e assorsero al concetto del giusto colla 
guida esclusiva della ragione : il Vico pervenne al giusto per 
naturale svolgimento dell'equo. Per il Vico il giusto è un 
genere, un'astrazione, un'idea: come tale si distingue dall'equo 
che è l'idea del giusto tradotta nel fatto, in quanto cioè tien 
conto delle ultime circostanze dei fatti (2). 

Ninno prima del Vico aveva tentato una genesi psicologica del 
diritto nei suoi rapporti colla morale e cogli altri elementi della 



(1) Cfr. De Uno ecc», ediz. citata, § 44. 

(2) Nel Ve Ant, (ediz. cit., e. ii, § 15) il Vico dopo aver detto che v&i'<y 
ed isquo per i latini hanno lo stesso valore, aggiunge: « aequum ultimis reì^um 
circumstaniiis spectatuTy queniadmodum justum genere ipso ». 



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^jC-sc-^r-^f, 



- 181 •- 

vita civile. Religione, morale, diritto, hanno per 
la vis veri, per cui l'uomo avverte lo stato di ( 
cui si trova e cerca di uscirne. Primo a desta 
di timore verso il nume donde si genera la pietc 
e ravvalora il pudore o senso morale, forza irri 
riosa che si svolge nella intimità della cose 
vergogna del proprio stato corrotto, freno a! 
agli affetti dell'animo (1). Ultima sorge la libert 
come forza esterna sulle cose e sulle persone 
necessario complemento della personalità. Il e 
pudore e la libertà ossia tra morale e diritto si 
diViduo, si svolge nella società. Sotto l'influei 
alleato colla pietà si genera il costume, freno < 
sogni e degli appetiti. Il regolamento delle libe 
e quindi degli interessi genera il diritto, che 
la proporzione da osservarsi dagli uomini vive 
nell'operare a proprio vantaggio. Per tal guis; 
forza del vero che colla cupidigia combatte, 
forza del vero che regola le libertà e gli intere 
tra virtù e diritto fu inteso dal Vico come raj 
G ce)'to, tra vero di ragione e vero di sentime 
un vero che si cinge del profumo della bellezza 
siede la evidenza delle verità matematiche : 
nell'animo, l'altro. nella mente spoglia di affet 
Distinzione non significa per Vico necessari 
sizione : virtù e diritto svolgendosi -sono desti] 
reciproco aiuto. Il pudore è il sostegno più f 
naturale e ne è guida sicura di interpretazione 
metafisica vagheggiata dal Vico tra il vero e 
nelle scienze etico-giuridiche armonia tra diri 



(1) Sul pudore cfr. De UnOy § 51, 7, e sopratutto B 
logiae, e. li:. — Cfr. sul rapporto tra morale e diritto in 
Op. cit., e. XIII. 

(2) Cfr. De Uno, § 51, 7. * Pudore universum jus nat 
eoque solo totum consisti t > . 



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— 182 - 

►e Uno il rapporto tra diritto e morale è trattato da un punto 
L vista essenzialmente metafisico: nelle opere posteriori do- 
iva essere svolto sulla base dell'osservazione psicologica e 
)lla storia. 

70. — Nel Da Uno il Vico appare il filosofo del diritto in- 
so a porre i fondamenti metafisici di una dottrina civile. Il 
ritto vi si rivela nei suoi cai'atteri universali e costanti 
lale espressione dell'eterno vero, rispondente alla natura 
izionale deiruomo. Potrebbe alcuno credere che il Vico avesse 
,tto opera aprioristica analoga ai sistemi usciti dalla scuola 
3l diritto naturale. In realtà il Vico aveva seguito diverso 
immino: la sua filosofia giuridica non 9ra opera arbitraria 
ìlla ragione, ma il risultato di una potente astrazione fatta 
>pra materiali ofierti dalla storia del diritto. Al Vico sa- 
)bbe parsa opera vana una dottrina filosofica del diritto, 
le non avesse trovato' nel fatto conferma. Il criterio della 
mversione del vero col fatto doveva farlo convinto che il 
ritto filosofico se veramente risponde alla natura umana 
^trattamente considerata, non può trovarsi in contraddizione 
)\ fatti e se contraddizione esiste essa è transitoria. La lo- 
ca delle idee deve per essere vera identificarsi e confondersi 
fila logica e l'ordine delle cose. Ma tale identificazione è 
Dta e graduale: dapprima il diritto esiste come fatto, si attua 
tto l'azione della necessità e dell'utilità; solo in uno stadio 
ogredito di riflessione l'uomo avverte sotto le mutevoli forme 
oriche il progressivo attuarsi dell'idea eterna del giusto. 
Dimostrare col sussidio della filologia, cioè della storia lar- 
.mente intesa la progressiva attuazione nell'ordine dei fatti 
il diritto naturale, divenne la meta a cui si indirizzarono 
ricerche e gli studi del Vico. Tale dimostrazione egli doveva 
pprima chiedere al diritto romano ricostruito ne' suoi testi 
nuini dai giureconsulti colti e nella sua storia dal Gravina, 
diritto romano appariva a lui come ai giureconsulti nostri. 
Gravina, al Doria un prodotto di formaziorie naturale e 
3ntanea mirabilmente atto a servir di guida e di modello per 



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— 183 — 

la determinazione delle leggi costanti e universali che segue 
il diritto nella sua evoluzione storica. Dominato da questo con- 
cetto che rispondeva alle nostre più costanti tradizioni il Vico 
si diede nel De Consianiia (1) a ricostruire con larghezza e 
originalità di vedute il diritto romano per trarne argomenti 
alla dimostrazione de' suoi principi filosofici. La scuola del di- 
ritto naturale fin dal suo sorgere col Grozio aveva dichiarato 
guerra aperta al diritto romano: Descartes erasi levato contro 
gli studi storici e filologici. Il Vico posto nell'alternativa di 
negare la storia o la filosofia, l'autorità o la ragione, il di- 
ritto romano o il diritto naturale non ebbe un momento di 
esitazione: si attenne alla tradizione romana mostrando come 
da essa potessero derivarsi principi per una concezione filo- 
sofica del diritto. Egli volle essere l'anello di congiunzione tra 
i metafisici e gli storici del diritto. Come vi è una fisica e una 
metafisica della natura, cosi vi è un diritto fisico e metafisico. 
Il diritto fisico è il diritto romano quale esiste nella storia: 
il diritto filosofico fondato sulla contemplazione astratta della 
natura umana se non vuol essere arbitrario deve potersi con- 
vertire nel fatto. A questa condizione il diritto fisico per forza 
naturale di cose finisce per incontrarsi e coincidere col di- 
ritto filosofico. Di qui ir rimprovero da lui mosso da un lato 
a Platone per aver confuso il giusto ideale col giusto eterno, 
l'uno inconvertibile, l'altro convertibile col fatto, dall'altro a 
Qrozio e a Pufendorf per non aver tenuto conto della storia 
e per aver foggiato un diritto filosofico che non è praticato 
nel costume (2). 

La storia di Roma si inizia colla guerra di tutti contro 
tutti. Da questa guerra esce la feudalità solitaria delle fa- 
miglie che comandano ai clienti e lottano contro i nomadi. 



(t) Il De Constantia jurisprudentis diviso in due parti, De Constantia Phi- 
losophiae (breve riassunto dei princìpi filosofici ampiamente esposti nel De 
Uno) e De Constantia Philologiaej fu pubblicato nel 1721. 

(2) Tali rimproveri si possono leggere nella Prima Scienza Nuova (1726), 
libro I, e. 3 e 5. 



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- 184 - 

Ili séguito alle rivolte dei clienti i patrizi si chiudono nelle 
città, si organizzano in ordini, combattono i ribelli e dai vinti 
si formano le plebi. Ma queste col tempo cresciute di numero 
si rivoltano di nuovo, e l'aristocrazia è costretta a cedere, a 
estendere al popolo leggi, campi, matrimoni, cittadinanza. Cogli 
imperatori abolite le classi e i privilegi, le leggi appaiono 
altrettante generalità filosofiche. Scompare l'antico diritto 
rozzo e violento e la forza dell'autorità si confonde con quella 
della ragione. L'armonia tra il senso e la ragione, tra il vero 
e il certo, tra filosofia e filologia sembrava raggiunta. Ma nel 
trarre dalla storia di Roma il corso ideale del diritto, il Vico 
dovette colmare lacune, completare tradizioni, adottare un'arte 
nuova di critica e di interpretazione atta a penetrare il signi- 
ficato di intere epoche storiche e fondata sulla osservazione 
psicologica e sullo studio delle lingue. 

La ricostruzione storica del diritto romano dischiuse al Vico 
la via alla ricostruzione storica del diritto quale si manifesta 
ne' suoi caratteri costanti nel mondo delle nazioni. Ma ben 
comprese il Vico che tale ricostruzione non. poteva dirsi com- 
pleta se il fenomeno giuridico non era studiato ne' suoi rap- 
porti colla religione, colla morale, colla politica considerati 
come altrettanti prodotti storici che si svolgono parallelamente 
al diritto e ne attraversano le stessi fasi di formazione. 

Nella Prùna Scienza Nuova (1) il diritto naturale non è 
più studiato come prodotto storico di un popolo particolare, 
ma come formazione collettiva, cioè come la scienza dell'uomo 
solitario che vuol la salvezza della sua natura e la conquista 
per gradi nel consorzio sociale sotto la pressione delle neces- 
sità e delle utilità. Alla mancanza di documenti storici, di 
tradizioni certe, di testimonianze sicure supplì il Vico colle 
sue intuizioni audaci e divinatorie, coll'autorità del senso 
comune che è la mente dell'uomo collettivo da cui traggono 



(1) Fu pubblicata nel 1726, ed è sopràtutto notevole per la formazione 
storioa e sociale del diritto. 



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— 185 — 

origine quelle massime di sapienza volgare in cui tutti i po- 
poli convengono e sono universalmente praticate. 

Dal primitivo stato di solitudine e di abbandono in cui manca 
ogni freno al senso e il diritto è sinonimo di forza l'uomo 
invaso da terrore religioso esce contraendo stabili unioni in 
sedi fisse. La famiglia rappresenta la prima fase dello sviluppo 
sociale: solidamente costituita sul principio religioso essa si 
allarga fino a comprendere quanti per sfuggire ai pericoli e 
alla miseria della vita nomade invocano la protezione dei 
forti. Costumi, diritto, politica riflettono in questo antichis- 
simo stadio di vita sociale lo stato mentale dell'uomo. A uomini 
ignoranti e superstiziosi, privi del necessario alla vita, insof- 
ferenti di freno, amanti dellasolitudine, devono convenire re- 
ligioni spaventose e crudeli, costumi barbari ma moderati. È 
questo il periodo divino o teologico del diritto naturale in cui 
mancando le leggi, i diritti si custodiscono colle religioni. I 
padri sono sapienti, sacerdoti, re nelle famiglie che costitui- 
scono una libera e assoluta monarchia (1). 

CoU'ampliarsi delle famiglie in gentes, coU'ammutinarsi dei 
plebei e conseguente organizzarsi dei paires in ordini e nelle 
città, sorgono i governi aristocratici e quindi i regni eroici. 
Le plebi lottano per la libertà di ragione, per Tuguaglianza 
dei diritti, per il possesso dei campi. I costumi sono sempre 
severi ma meno feroci, il diritto eroico si mantiene rigido, 
crudele, arcano, privilegiato (2). 

• Ma gli eroi decadono convertendosi in tiranni ; nelle città i 
plebei ottengono di esser parificati ai nobili nel godimento dei 
diritti e si iniziano i governi civili nella forma di repubbliche 
libere o di monarchie civili. I costumi si ingentiliscono e con 
essi si fa umano e civile il diritto naturale. CoU'estendersi 
della naturale equità delle leggi sorgono i filosofi a meditare 



(1) Circa i caratteri del diritto, deUa morale, della politica iu questo, 
primo periodo cfr. P. S. N,, lib. II, e. 18, 19-20, 39, 48. 

(2) Del diritto, della morale, politica eroica U Vico tratta, 26., lib. II, 
e. 17, 24 22, 30-31, 44, 51. 



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— 186 — 

il vero delle cose e con essi si iniziano la metafisica e le 
diverse scienze e arti. Dai rapporti fra le città si svolge il 
diritto naturale delle nazioni, e dall'unione delle nazioni il 
diritto universale del genere umano (1). 

Per tal modo le varie fasi di aggregazione sociale, le forme 
di governo, i costumi, il diritto si succedono secondo una legge 
costante riflettendo il corso delle idee espresse a loro volta 
nelle lingue. I concetti di diritto civile, di, diritto naturale, 
delle genti, non più considerati da un punto di vista pura- 
mente astratto, non più ristretti a un popolo determinato ci 
si presentano concetti vivi e reali, formazioni storiche stretta- 
mente legate col graduale sviluppo dello spirito umano nelle sue 
manifestazioni individuali e collettive. Nella Prima Scienza 
Nuova l'idea predominante è pur sempre l'evoluzione storica 
del diritto considerato, come dice il Carle, la quintessenza 
dell'aggregato sociale. In Roma il diritto sembrava assorbire 
tutti gli altri elementi della vita sociale in guisa da apparire 
quasi l'elemento esclusivo; perciò il Vico volle porsi da un 
punto di vista più elevato per meglio determinarne i caratteri, 
le leggi universali e costanti del suo eterno divenire storico. 

71. — Il problema relativo alla natura socievole dell'uomo, 
all'origine della società e della sovranità, era stato argomento 
di vivaci discussioni in seno alla scuola del diritto naturale. 
Tale problema, osserva il Carle, era necessariamente implicito 
nel concetto da cui aveva esordito il pensiero filosofico mo- 
derno, secondo cui l'uomo come tale, cosi come esce dalle mani 
di natura e non in quanto fa parte di un qualche gruppo so- 
ciale, è capace di diritto. Dei due termini, individuo e società, 
per tal modo dissociati solo al primo, nei vari sistemi usciti 
dalla scuola del diritto naturale, fu attribuita esistenza reale (2). 



(1) Dei tempi umani tratta il Vico, io., lib. II, e. 37, 46, 54. 

(2) Vedi Carle, Fil, del Dir, nello Staio moderano f Parte I, lib. Ili, e. vr, 
in cai è trattato l'argomento deirindivìduo e della società nella moderna 
filosofia del diritto. Vedi sopratutto i §§ 146-148 in cui si discorre della 
ipotesi di uno stato di natura, deUa genesi della società e sovranità. 



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- 18 

Airìndividualismo religioso, filo 
repoca era naturale compierne 
della società. Tutti gli indirizz: 
scienze morali nel secolo XVII 
pito, uno stato di natura aiiter 
l'uomo godeva di una indipende 
sconfinata, e da cui sarebbe us( 
lontari accordi, nei quali riponev 
come della sovranità. 11 Grozio, 
turalmente socievole, ammise ne 
un periodo, circa un secolo, di 
Yenne meno il sensimi natii7^a 
homines. Tale stato di nomadi, 
dette necessario ammettere per 
prietà privata, e del rispetto et 
tale. Lo ritenne composto di se 
allo stato civile per un certo e 
di famiglia. Il Pufend^rf, sull'c 
decaduti gentili come uomini « 
senza aiuto divino ». L'Hobbes i 
carattere di tendenza originaria 
dal senso, dagli appetiti, dagli 
natura come un vero stato ferin 
stato di natura anteriore alla s 
mebondi se non furibondi come \ 
della tradizione medioevale coni 
dal Grozio, Giovanni Selden (1) \ 
tilità decaduta non si era mai 
l'intervento diretto della diviniti 
con criterio diverso la storia deg 
Gli stessi problemi si affacciar- 



(1) L'opera del Selden, dotto ebn 
col titolo : De jure naturali et gentium 

(2) Cfr. Labanca, Op. cit., e. vii 



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' T^- «^ if -.j^w^y; 



- 188 - 

contrasto coi filosofi solitari o monastici, fautori 
alismo egoista e razionalista, mentre riservò tutte 
itie per i filosofi politici, le cui opere erano intese 
ire Tuomo nella civile società. Nella sua ammira- 
pistianesimo, nella sua avversione pel movimento 
entrava come elemento la considerazione- deirin- 
ociale ch'egli giudicava compromesso dallo spirito 
ta che animava la Riforma. La sua ammirazione 
ch'egli si compiace di chiamare sociniano (1), non 
gine. Nell'avvertire i pericoli dell' individualismo 
ielle scienze morali, nell'additarne le cause, nel- 
L rimedi, il Vico fu solo ed inascoltato. Nel De Uno 
natura socievole dell'uomo e delle origini e cause 
3nza sociale da un punto di vista puramente astratto 
ntegrare il Grozio e a contrapporsi ai cartesiani 
di Hobbes. Nella Seconda Scienza Nvxyoa egli si 
ire del problema la dimostrazione storica e psico- 
lendo a conclusioni che fanno di lui il precursore 
ìza sociale (2). Il fatto che risalendo alle origini 

dà la qualifica di sociuiano a Grozio in due passi deUa PrivMi 
, ed. cit., IV, lìb. I, e. 5; lib. II, e. 3, e in entrambi i 
to degli uomini immaginati da Grozio originariamente bivoni 
deboli, soli e bisognosi di tutto; il Vico chiama tale ipotesi 
Il Labanca, Op. cit., p. 211, corregge l'affermazione del 
>8i sul fatto che il Grozio era ariuiniano e che scrìsse una 
contro Sociuo. A questo lavoro del Grozio contro Socino non 
iffini neir opera citata sulla Libeì'tà religiosa: in quella vece 
argomenti decitivi la stretta affinità tra la dottrina di Socino 
arminiaui. — « Il Grozio, dice il Rnffini, proclamava alta- 
bnona intesa con i Sooiuiani, coi quali e specialmente col 
[ìtimo rapporto epistolare. » — L'affermazione del Vico non 
destituita di fondamento. — Cfr. Ruffini, Op. cit*,*p. 108. 
fu più studiato da letterati, filosofi e storici che non da 
nze morali e sociali. In generale i crìtici del Vico non ri- 
to sociologico della Seconda Scienza Nuova, Vi accennano 
dliani: lo dimostrò ampiamente il Carle nelle sue « Lezioni 
\ale » (inedite) da cui sono tratti molti concetti in questo 
tenuti. 



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.^i^^tuiAkiifl 



— 189 — 

più remote della storia non si ha memoria di uoi 
airinfuori del consorzio civile, costituisce per il 
mento decisivo in favore dell'esistenza originaria 
che è quanto dire della natura socievole delì'uon 
cose fuori del loro stato naturale non possono a 
durare. Il presupposto della Secoìida Scienza Ni 
l'umanità abbia un corso uniforme ed immutabile 
nata da leggi costanti, che tutti gli uomini nor 
membri di un gran corpo che non muore mai, 
istante per il continuo mutare degli individui si 
molteplice ed uno ad un tempo. Religioni, leggi, < 
verni, arti, scienz^Oj sono le manifestazioni di qu 
che si svolge eterno ijel tempo e nello spazio. Coi 
reale esistenza di un organismo sociale, convinto 
gole scienze lo fanno conoscere nei diversi aspetti 
la possibilità di una scienza che valesse a farcel 
nel suo insieme, nella sua grande unità organici 
origini e nel suo sviluppo (1). Nova scientia te 
scrivere il Vico nel por mano all'opera sua dest 
tracciare nella storia il corso costante e immuta 
manità. Egli si compiace contrapporre il mondo civ 
della natura esterna per affermare che se di qiiesta 
penetrati i misteri, quello rimaneva sempre un e 
cifrato: ciò potè avvenire perchè la mente umai 
dai sensi e attratta dalle cose esterne, deve du: 
intendere sé medesima, cosi come l'occhio vede t 
getti che stanno fuori di sé, ma non vede sé st 
per mezzo dello specchio. Il disegno cosi della na 
come del mondo civile appare architettato da un 
suprema : ma come i fatti naturali si succedono S( 
leggi che la scienza rileva, cosi il mondo civile i 
uomini, che lo attuano secondo la propria natura 



(1) Cfr. E. Amari, Critioa di una Scienza delle legislaz 
Genova, 1887, e. ix, § 97 e seg. 



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— 190 — 

►pri. Per tal modo il Vico conciliava la fede nella Prov- 
enza colla necessità di spiegare umanamente e per vie 
;urali il mondo delle gentili nazioni (1). 
l metodo da seguirsi per la costruzione della nuova scienza 
èva, secondo il Vico, essere duplice, psicologico e storico, 
rincipi del mondo sociale devono anzitutto rintracciarsi 
le modificazioni della mente umana. In essa devono ritro- 
*si i germi delle istituzioni sociali e i loro diversi gradi 
svolgimento progressivo. Fin dalle sue prime opere il Vico 
)va mostrato di intendere la natura umana nelle sue ten- 
ize e nei suoi caratteri costitutivi (2): ma solo nella Se- 
da Scienza Nuova, riassume tutto il lavoro anteriore di os- 
vazione psicologica in principi assiomatici che racchiudono 
fonde verità da tenersi presenti da chiunque si fa a studiare 
Qondo umano (3). Nelle Orazioni e nel De Uìxo le osserva- 
li relative all'uomo e alla sua natura sono frutio di 
lizione geniale: nella Seconda Scienza Nuova esse ricom- 
3no in forma di assiomi fondati sul senso comune e rispon- 
ti alla esperienza storica. Se talvolta fece difetto al Vico 
prova dei fatti e le testimonianze tratte dalla storia sono 
itrarie e forzate, spesse volte accadde che la critica storica 
teriore confermò le sue geniali divinazioni. L'uomo, egli 
Brvà, spiega le cose ignorate o oscure o dubbie secondo la 
. natura, valendosi delle cognizioni che già possiede, mo- 
ido dalle cose presenti per giudicare le lontane* traspor- 
do sé stesso nelle cose inanimate (4).. — Se l'uomo non può 



.) Cfr. S. S, N,f Libro I, 7V Prìncipi, — Osserva il Vico che se da 

lato la S, N. ò <i una teologia civile ragionata della Provvidenza di- 

k » dall^altro è « una storia delle umane idee », Labro I, Del Metodo. 

\) Nel De Uno il Vico aveva definito Puomo: « un conoscere, Volere, 

kre fi^nito che tende all'infinito >: altrove lo definisce: « mente illii- 

sbta, cuor retto e lingua fedele interprete di entrambi » mettendo in 

vo Parmonia che deve esistere fra le diverse facoltà. 

) Tali principi assiomatici il Vico chiama e dignità > e sono iu 

) 114. 

) Cfr. Dignità, 1, 2, 32, 34, 54, 



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— 191 — 

sapere il vero deHe cose si attiene nell'operare al certo, a ciò 
che a lui sembra vero, al senso comune (1). — L'uomo in qua- 
lunque stadio e condizione di vita sociale ama principalmente 
l'utile proprio; a misura che la cerchia dei suoi interessisi, 
allarga alla famiglia, alla città, alla nazione, al genere umano, 
si estende d'altrettanto il suo egoismo (2). — Dalle necessità e 
utilità della vita regolate dal senso comune, trae sopratutto 
l'uomo impulso ad operare: esse costituiscono il criterio saldo 
per l'interpretazione della condotta presente e futura. A be- 
neficare, a contrarre i vincoli sociali, ad accettare le diverse 
forme di governo, le leggi, le istituzioni, sino gli uomini sopra- 
tutto tratti dall'utile che ne ritraggono (3). — Prima a svol- 
gersi nell'uomo è la vita del senso, poi quella del sentimeato, 
quindi della ragione : epperò se prima gli uomini sentono senza 
avvertire, poi avvertono con animo perturbato e commosso, 
finché da ultimo riflettono con mente pura. — - Il progresso mo- 
rale è in stretto rapporto collo sviluppo psichico: quando sieno 
successivamente soddisfatte le necessità, le utilità, le comodità 
della vita, l'uomo che npn domina gli appetiti e non intende 
la voce della ragione, si abbandona al piacere, al lusso, finché 
non rovina nella dissolutezza (4). Tali osservazioni di psicologia 
individuale il Vico completa con osservazioni generali di psi- 
cologia collettiva. I popoli, come gli uomini, hanno periodi di 
infanzia e di giovinezza: fatti adulti invecchiano e quindi 
muoiono. I popoli rozzi e barbari come i fanciulli favellano 
per universali,' sono inclini a imitare, hanno vigorosa la me- 
moria, vivida la fantasia, debole il raziocinio, profondo il culto 
delle tradizioni ; lentamente e per gradi si inducono a rinun- 
ciare alla loro libertà, ai loro patri costumi : ribelli a ogni 
freno sono domati dalla religione: impenetrabili nella loro 



(1) Dig., 9, 11, 12. 

(2) S. S. N., lib. I, Del Metodo. 

(3) mg., 80. 

(4) Dig., 53, 66. 



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— 1^2 — 

barie cedono alla violenza delle guerre o alle attrattive 
commerci. I costumi dei popoli sono dapprima crudi, poi 
eri, quindi si ingentiliscono, per farsi nell'ultima fase del 
) sviluppo raffinati e dissoluti (1). 

.'osservazione psicologica si completa nel Vico collo studio 
oU'interpretazione della storia, ch'egli chiama la biografia 
l'umanità. Gli studi storici all'epoca sua erano degnamente 
presentati in Italia dal Giannone e dal Muratori. Il Giannone 
lon aveva tratto dalla storia una scienza nuova, aveva certa- 
ite studiato la storia con criteri nuovi. In lui troviamo non 
olito espositore dei fatti politici, ma lo studioso della vita 
ile e interiore dello Stato : primo mostrò di saper ragionare 
fatti, e di trarne argomenti alla dimostrazione di una 
i (2). Il Muratori fece della critica e della erudizione storica 
ì a sé stessa : ricercatore e raccoglitore indefesso e sagace 
)lvette, dice il Manzoni, « tante questioni, tanto più ne 
e, ne sfrattò tante inutili e sciocche »: ma egli non penetra 
•e il fatto, non raccoglie a unità tante cognizioni : di queste 
L vede né i principi né le conseguenze (3). Sotto questo 
etto egli fu il vero contrapposto del Vico, il quale si formò 



[) Dig.y 45, 48, 50, 52, 67, 71, 102. 

}) Pietro Giannone (1676-1748), appartiene a qneUa schiera di ginre- 
»nlti storici ed eruditi c\t^ aU'epoca di Vico iUnstravano Napoli. Fa allievo 
Domenico Aulisio (1649-1717), e frequentò la casa di Gaetano Argento, 

> avvocato e magistrato di Napoli (1661-1730). Dopo veut'anni di la- 

> il Giannone pubblicò nel 1723 in Napoli la sua Storia civile del Regno 
Napoli divisa in quaranta libri in cui si fa difensore dei diritti dello 
» contro le usurpazioni deirautorità ecclC'iiastica. — Il Vico conobbe 
o il Giannone ma non lo ricorda per evidenti ragioni di prudenza. 
\)lì Muratori (1672-1750) pubblicò l'opera sua maggiore « Rerum 
Icarum Soriptoros » nel periodo 1723 1738. — Il Vico ricorda il Muratori 
ma lettera al Gaeta del 1737 a proposito del trattato di Filosofia morale 

il Muratori pubblicò nel 1735. — Il Manzoni, {Opere varie, Milano, 
aelli, 1845, p. 16 3-171) contrapponendo il Muratori al Vico dice « che 
rvando i loro lavori^ par qyasi di vedere, con ammirazione e con 
•lacere insieme, due. gran forze disunite, e nello stesso tempo come uu 
ame d'un grand'effetto che sarebbe prodotto dalla loro riunione >. 



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— 193 — 

della storia un largo concetto fino a comprendere in essa t 
le manifestazioni umane, la interpretò agli effetti delle sci^ 
morali, se ne valse per la costituzione di una scienza nu 
Egli spinge il suo sguardo nelle epoche più oscure, là e 
più scarse e misteriose sono le memorie e le tradizioni,- 
aiuta con criteri derivati dalle proprietà costanti della m< 
umana e dall'esperienza dei fatti più conosciuti. Egli sa 
tutte le nazioni si illudono di avere antichissima origine, 
l'ordine delle idee risponde all'ordine delle cose, che idee i 
formi riscontrate in popoli diversi e lontani devono avere 
fondamento comune di verità, che le tradizioni volgari ha 
pubblici motivi di vero, che certi concetti trovansi espr 
in tutte le lingue, che i parlari volgari fanno testimonia 
degli antichi costumi dei popoli, che le leggi delle dodici 
vole e i poemi di Omero sono storie civili degli antichi rora 
e greci, che la poesia, le favole, la mitologia, contengono < 
menti di vero, che le lingue riflettono nel loro svolgersi 
stato mentale dei popoli (1). Crea per tal modo un'arte crii 
nuova dei fatti storici, per la quale, poesia, leggi, simboli, i 
numenti, etimologie, riti, formole, dottrine, divengono materi 
prezioso per la ricostruzione del mondo sociale e umano. 
Dopo di avere gettate le basi e stabiliti i principi e il i 
todo della nuova scienza, il Vico si fa a descrivere il prece 
delle cose sociali. Neil' immaginar l'uomo vivente fuori d( 
società in uno stato ferino, il Vico subì l'influenza dell'epe 
Ma se ben si guarda, la descrizione dello stato ferino fa 
dal Vico presenta analogie colla descrizione dell'uomo pri 
tivo e delle sue condizioni fatta dai moderni. Fantastica 
romanzesco è lo stato di natura del Grozio, del Pufendorf, ( 
l'Hobbes, non interamente quello del Vico, fondato sulla ] 
cologia e sulla storia integrata da felici intuizioni. Ai s( 
plicioni solitari di Grozio, deboli e bisognosi di tutto, e 
abbandonati di Pufendorf senza cura e aiuto divino, ai lic 



(1) Vedi Dignità, 3, 13, 16, 17, 19, 20, 22, 64. 
18 



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— 194 — 

ziosi violenti di Hobbes, ai sapienti immaginati da Platone, il 
Vico sostituisce uomini immani e fieri, quali la tradizione dei 
Giganti ci ha conservato, in preda a passioni bestiali, a con- 
cubiti vaghi, privi di qualsiasi idea religiosa, di ogni senso 
di pudore e di umanità, nomadi e degradati cosi da apparire 
più bestioni che uomini (1). 

Colpiti da terrore religioso alla vista degli spettacoli na- 
turali gli uomini giganti cominciarono a venerare gli dei: la 
vergogna del loro stato corrotto li indusse a celebrare giuste 
nozze, a seppellire i cadaveri in sedi fisse. Mentre altri potè 
ricostruire la società movendo da pretesi diritti naturali, che 
la riflessione filosofica poteva solo insegnare, il Vico convinto 
che tutti gli inizi delle cose sono rozzi e semplici e devono 
dai fatti ricavarsi, risale colla scorta della sapienza volgare 
ai primordi della umanità per stabilire ch'essa è in germe 
contenuta nelle tre istituzioni o foedera generis fiumani delle 
religioni, dei matrimoni, delle sepolture, nelle quali tutti i 
popoli convengono e che per concorde testimonianza della tra- 
dizione, del senso comune del genere umano, delle lingue, 
costituiscono i fondamenti e i principi da cui si inizia la storia 
dell'umanità (2). 

Riconosce il Vico che i vari aspetti della vita sociale non 
si svolgono indipendenti, ma contemporàneamente, in guisa 
che il progresso dell'uno riflette e spiega il progresso in altri 
aspetti conseguito: escluse invece gli influssi esercitati da un 



(1) Pochi, anolie dei moderni, hanno reso giustizia al Vico in ordine 
aUa sua dottrina deUo stato ferino. Eppure egli ebbe il gran merito, ri- 
conosciutogli dal Labanca, Op. cit., p. 215, di avere trasformato la 
ipotesi giuridica dello stato di natura in una tesi storica per intendere 
non solo il giure naturale, ma ancora la naturale storia di tutti i popoli 
gentili. Per il Vico lo stato ferino non è come per THobbes il vero stato 
naturale e primordiale degli uomini, ma uno state innaturale ; por Ini lo 
stato di natura veramente tale è lo stato sociale. Epperò la dottrina dello 
stato ferino nel Vico è tu tt' altro che un romanzo o romanzetto della iSoienza 
nuova come i critici hanno per lo piti affermato. 

(2) Cfr. S, S, N., lib. I, De* Pnncipi, 



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— 195 — 

popolo sopra un altro. Fu questo errore, poiché se Tuniforn 
o costanza di tendenza e di natura può spiegare Tuniforir 
delle istituzioni in popoli diversi e lontani, essa non escli 
l'influenza esercitata da un popolo sopra un altro, e il vinc 
di ereditarietà che si stabilisce tra le varie stirpi. 

Il corso seguito dall'umanità nel suo lento e graduale s 
luppo, è distinto dal Vico in tre periodi o epoche, il peri( 
divino, eroico, umano. Queste tre fasi hanno un fondarne] 
psicologico e si riflettono in tutte le manifestazioni della v 
collettiva (1). 

La natura dell'uomo pel predominio del senso e della fj 
tasia fu dapprima naturalmente poetica, portata a dar v 
alle cose inanimate, a creare una moltitudine di dei tem 
e rispettati. Il sentimento della propria forza e invidualità 
progresso di tempo trasformò gli uomini in altrettanti er 
fieri della loro origine divina, dominati da forti passioni, 
ultimo la natura umana, fatta intelligente e quindi modes 
benigna, ragionevole, riconobbe per leggi la coscienza, la i 
gione, il dovere. 

Il costume fu dapprima asperso di religione e di pietà qi 
si conviene a uomini di recente usciti dallo stato di natui 
libertà, infieriti nell'armi, ribelli ad ogni legge, ad ogni v; 
colo sociale, che solo potevano sentire il freno della religioj 
Col prevalere della vita del sentimento su quella del sensc 
dell'apposito, i costumi si fanno eroici, misti di magnanimi 
e di orgoglio, per diventare civili e umani collo svolgersi de 
riflessione e della coscienza. 

Il diritto fu dapprima di ragion divina, proprio di uomi 
superstiziosi e fieri che divinizzano la forza: quindi si id€ 
tifico col potere fisico, finché da ultimo appare dettato dal 
ragione umana. La legge, che é l'attuazione del diritto, 
dapprima l'espressione della volontà degli dei, da interpi 



(1) Il corso deUe cose umane e sociali è dal Vico descritto nel lib. ] 
della S. ^.N. 



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— 196 — 

'si da sacerdoti: quindi si concreta in parole e in forinole sa- 
anientali da interpretarsi letteralmente : da ultimo diventa 
spressione di un principio di ragione, capace di piegarsi 
la infinita varietà dei fatti. 

5e è vero che i governi devono rispondere alla natura dei 
poli governati e le istituzioni riflettono il grado di civiltà 
Ile nazioni, ai primi governi teocratici o di diritto divino 
ccedettero governi di nobili o di aristocratici, finché da ul- 
no sorsero i governi popolari e umani (1). Tali forme di 
verno rispondono ai tre stadi di aggregazione sociale attra- 
rsati dall'umanità, delle famiglie, delle città, delle nazioni. 
L famiglia rappresenta lo stadio patriarcale dell'umanità: in 
sa i padri sono ad un tempo sapienti, sacerdoti, re : essi 
ercitano una specie di imperio monarchico, solamente sog- 
tto a Dio, sulle cose, sui figli, su quanti per sfuggire ai 
ricoli della vita nomade si aggregano alle famiglie nella 
lalità di clienti (2). Nelle città si svolgono le contese tra i 
►bili, successori degli antichi padri, e i plebei, clienti am- 
utinati. Gli uni lottano per i loro privilegi, gli altri per 
iguaglianza dei diritti. Succede la demagogia e la tirannide 
►polare che prepara le condizioni al sorgere delle monarchie 
al formarsi delle nazioni (3). Finché prevalsero i nobili, la 
[uità civile non si distingueva dalla naturale: l'interesse 
ivate dei nobili era quello dello Stato. Ma col trionfo delle 
ebi la ragion privata si distingue dalla ragion di Stato : i 
ebei preoccupati dei loro privati interessi svolgono l'equità 
Lturale ed abbandonano ai principi la cura del pubblico in- 
resse e dell'equità civile (4). 
La legge dei tre stadi é dal Vico riscontrata in tutti gli 



(1) Cfr. Dignità, 69. 

(2) Cfr. Dig., 72, 77, 78, 79, 82. 

(3) Cfr. Big., 92, 96. 

(4) Cfr. S, S, N,f lib. IV, coroUario aUe tre specie di ragioni. — L'e- 
lità civile e uaturale sono definite neUe dignità 110 e 114. 



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- 19? - 

aspetti della vita sociale ed è strettamente unita con quella 
dei ricorsi. Le società come gli individui quando hanno toc- 
cato l'acme o il grado più alto di sviluppo decadono e si dis- 
solvono. Gli uomini quando hanno raggiunto i commodi della 
vita cominciano ad abbandonarsi ai piaceri, al lusso e fini- 
scono nella dissolutezza. Sotto l'influenza della civiltà i popoli 
si fanno prima raffinati, poi dissoluti. Ai tempi in cui domi- 
nano gli uomini specchio di ogni virtù privata e civile suc- 
cedono dapprima tempi in cui le grandi virtù si accompagnano 
nei governanti coi grandi vizi, poi i tempi in cui comandano 
i tristi riflessivi, da ultimo assistiamo al prevalere dei furiosi, 
dei dissoluti, degli sfacciati. La libertà naturale accompagna 
gli sforzi dei popoli per procurarsi le necessità e i commodi 
della vita: ma l'abbondanza delle ricchezze, la superfluità degli 
agi prepara la servitù civile (1). Nel concetto del Vico la de- 
cadenza è condizione di progresso. A por un freno alla libidine 
sfrenata degli uomini eslegi si formano le famiglie :.i poteri 
esorbitanti dei padri sui clienti sono principal causa del foi*- 
marsi delle città : gli abusi dei nobili contro i plebei pre- 
parano i governi popolari : 'gli eccessi della libertà portano 
alle monarchie assolute: ai mali della tirannide i popoli trovan 
rimedio nel passare in soggezione di popoli più civili e forti: 
che se le nazioni arrivano al punto di voler disperdere sé 
medesime vanno a salvarne gli avanzi dentro le solitudini, 
donde qual fenice nuovamente risorgono rifacendo in breve il 
cammino percorso (2). Il Vico non intende chiudere l'umanità 
in cicli che si ripetono eternamente, non nega il progresso 
indefinito dell'umanità, ma vuol porre in evidenza il fatto che 
la dissoluzione di un ordine di cose esistenti porta in sé i 
germi di un ulteriore progresso, e anche quando la decadenza 
sembra completa e la barbarie assoluta i germi della civiltà 



(1) Cfr. Dig,, 66, 67, 68, 94. 

(2) La dottrina deUa decadeuza e del ricorso delle coso umaue è trattata 
nel Hbro V della S. S. N. 



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— 198 — 

trascorsa non vanno interamente dispersi, ma l'umanità si 
rinnovella riproducendo gli stadi di vita sociale già percorsi 
quasi per trarne novello vigore a meglio progredire (1). 

L'originalità e l'importanza del Vico nelle scienze giuridiche 
e sociali non sta nell'aver posto nuovi problemi, ma nell'averne 
data una nuova spiegazione. La scuola del diritto naturale 
aveva posto i problemi relativi alla natura socievole dell'uomo, 
all'origine della società, del potere politico, e ne aveva dato 
la soluzione metafisica. Vico chiese alla storia la soluzione. 
Le conclusioni a cui perviene sono, discutibili, ma il metodo 
proposto è il solo che nel campo delle scienze morali può con- 
durre ad una soluzione positiva e scientifica. Dallo studio 
astratto e poi storico del fenomeno, giuridico il Vico fu natu- 
ralmente portato allo studio della società. La scienza sociale 
che prima di lui vagava nelle astrazioni e nelle utopie, assuma 
nella Scienza Ntwva carattere concreto e positivo. La que- 
stione dei rapporti tra morale e diritto diventa storica e so- 
ciologica. Al difetto della prova dei fatti suppli il Vico colla 
intuizione; questa però non è arbitraria ma fondata sull'os- 
servazione psicologica, la quale come gli permise di fissare lo 
sguardo nelle tenebre del passato a scoprirvi il vero, cosi gli 
fece intravvedere molte verità, di cui l'avvenire preparava la 
dimostrazione. 

72. — La dottrina del Vico non ebbe né in Italia né fuori 
un'influenza paragonabile a quella che esercitarono altri si- 
stemi usciti dal seno della scuola del diritto naturale. La 
solitudine si venne creando intorno al nome e alla dottrina 
del Vico: né il malvolere, né l'essersi egli isolato dai tempi, 
né l'esser rimasta sconosciuta o incompresa l'opera sua non 



(1) La teoria dei ricorsi fornì sopratutto argomento di critica agli stu- 
diosi del Vico. — I più la respinsero, pochi l*accolser.o ma senza inten- 
derla: al Carle, Vita del dirittOy p. 200, nota, spetta l'onore di averla 
riabilitata, e di averne dimostrato la conformità colle più recenti scoperte 
embriologiche e sociologiche. 



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— 199 -- 

possono oramai più esser addotte a cause del fatto. Pochi 
altri scrittori ebbero l'onore che al Vico toccò di vedere il 
proprio nome citato, le opere proprie riassunte e discusse in 
Italia e all'estero (1). Altre cause di cui alcune personali del 
Vico altre generali e proprie dei tempi in. cui scrisse devono 
tenersi in conto per spiegare lo strano fatto. Il Vico appar- 
tiene alla schiera di quei pensatori che non godono né possono 
godere di grande popolarità per le loro peculiari qualità di 
ingegno e di stile. Il Vico è troppo spiccatamente italiano cosi 
nel concepire come nello scrivere per esser dagli stranieri 
letto e giudicato al suo giusto valore (2). In Italia poi pochi 
lo leggono per la difficoltà di famigliarizzare col suo stile con- 
cettóso e rude, che fa di lui come, di Dante un autore che si 
rende chiaro e^si fa apprezzare in seguito a lunga e paziente 
meditazione. Infatti le prime sue opere scritte in latino e più 
in istretto rapporto coi tempi furono assai più lette e cono- 
sciute che non le diverse edizioni d^lla Scienza Nuova, scritte 
in italiano, nelle quali l'originalità e la personalità del pen- 
siero e della forma appajono più spiccate. 

Altre cause d'indole più generale concorsero a diminuire 
l'influenza del Vico. 1 suoi rapporti coll'epoca e in particolare 
colla scuola del diritto naturale, se sono evidenti nella prima, 
fase del suo pensiero finché si mantenne sul terreno filosofico, 
e tratta del diritto e della morale da un punto di vista astratto^ 
diventano sempre più deboli nelle ultime opere in cui si fece 
a dare dei problemi deirepoca una soluzione storica, creando 



(1) L'orazione De nostri temporis fu lodata dal giureconsulto olandese 
Brenokmann di passaggio in Italia, —-Il De Antiquisaima fn largamente 
riassunto e discusso dal Gimmale dai Itìtterati che si pubblicava a Venezia 
e il Th omasi US ne dava un cenuo nelle Neuare Zeitangen di Lipsia. — 11 
De Uno e il De Constantia furono assai lodati dairarmiuiano teologo Gio- 
vanni Ledere, che ne fece una larga rassegua nella Bibliotèque anoienne 
et moderne, — In Italia i)0i le opere del Vico erano universalmente cono- 
scinte e ammirate. — Cfr. la prefazione del Predari alPedizione della 
S, N. contenuta nella Biblioteca dei comuni italianij Torino, 1852. 

(2) Il Flint, Op. cit., e. I, lo paragona per questo rispetto al Bu ti e r. 



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— 200 - 

ad un tempo una scienza ed uno stile nuovo. L'era dei sistemi 
metafisici non poteva dirsi ancora chiusa : il favore che essi 
incontravano, il fascino che esercitavano sulle menti illumi- 
nate di quel secolo XVIii a cui spettava divinizzare la ra- 
gione e ricostruire con essa la società, T imperfezione della 
critica storica e la scarsa efficacia dimostrativa attribuita alla 
storia e alla tradizione, dovevano togliere valore alle ultime 
e più notevoli opere del Vico. L'unione dell'indirizzo storico 
coU'indirizzo metafisico, della filosofia colla filologia vagheg- 
giata dal Vico non rispondeva ai gusti dell'epoca. Sotto questo 
aspetto il Vico, nato e cresciuto nell'ambiente di Napoli, mostrò 
di ignorare le esigenze dell'epoca moderna. Egli vide nelle teorie 
di Grozio, Hobbes, Locke, Cartesio, l'espressione di idee indi- 
viduali non di un'epoca: non vide nelle condizioni nuove create 
dalla Riforma all'Europa, le cause che giustificavano le co- 
struzioni metafisiche che segnano il risveglio del pensiero 
filosofico moderno. Immerso nello studio del passato oscuro e 
remoto, perdette la visione del presente, ma per ciò stesso fu 
mésso in grado di precorrere l'avvenire. L'aver astratto dalle 
ragioni storiche che sole potevano giustificare le dottrine me- 
tafisiche dei giusnaturalisti, permise al Vico di rilevarne le 
unilateralità e i difetti, di temperarne le esagerazioni conia 
veduta storica. Ma per ciò stesso preveniva i tempi, e se potè 
essere ammirato non fu seguito. 

Neppure l'Italia, dove pure il culto delle tradizioni classiche 
era gelosamente custodito e dove il movimento politico e pro- 
testante dell'Europa non aveva gettato radici, segui la via 
tracciata dal Vico. Il rinnovamento filosofico da lui iniziato 
fu bruscamente interrotto dall'illuminismo francese, diffuso in 
Italia e sopratutto in Napoli poco dopo la metà del secolo XVIII, 
profondamente contrario allo spirito informatore della Scienza 
Nuova. A impedire che una vera tradizione si svolgesse in- 
torno all'opera del Vico si aggiunsero in Italia la persistenza 
della tradizione scolastico-spiritualista, e gli sforzi fatti dai 
critici cattolici per screditare la Scienza Nuova, mostrandone 
i pericoli per la fede. 



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- Sòl - 

Bisogna riconoscere che furono sopratutto i critici òattolicì 
quelli che nel secolo XVIII tennero viva e desta l'attenzione 
intorno alla Scienza Nuova\ soli ne intuirono l'importanza e 
la novità e colpirono nel segno nel rilevarne i pericoli per la 
religione e per il fondamento delle scienze morali (1). 

L'ortodossia del Vico e dell'opera sua è meno discussa oggi 
di quello che lo fosse nel secolo XVIIL Pare a noi non si possa 
dubitare dei sentimenti cattolici del Vico, e della conformità 
delle sue dottrine ai principi e ai dogmi della Chiesa Catto- 
lica. Altrettanto sicuri però non si mostrarono i critici cattolici 
nel secol.o XVIII, e trattandosi di giudici competenti, dall'intuito 
finissimo, che non avrebbero trovato di meglio che trarre dalla 
Scienza Nuova argomenti in favore delle loro credenze, la loro 
opinione al riguardo assume un'importanza e un significato 
particolare. 

Bisogna anzitutto riconoscere col Labanca che i critici cat- 
tolici che si occuparono del Vico e della Scienza Nuova erano 
persone di non comune dottrina, sopratutto dotte nella storia 
sacra e profana, e non erano punto fanatici e oppositori siste- 
matici : lo dimostrano il rispetto e l'ammirazione sincera per 
il Vico, gli errori storici da essi rilevati nell'opera sua, e l'in- 
negabile fondamento della loro critica dal punto di vista del- 
l' interesse della religione e della fede. Tra tali critici i più 
noti furono Damiano Romano, il Rogadei, il Lami, e sopratutto 
Gianfrancesco Finetti, nelle cui opere è riassunto tutto il 
lavoro della critica cattolica intorno alla Scienza Nuova nel 
secolo XVIII (2). Il Finetti era deciso avversario dei nuovi 
indirizzi' sorti in seno alla scuola del diritto naturale : per 
combatterli nell'interesse della religione e della dottrina cat- 
tolica scrisse l'opera De principiis juris naiurae (1764), in 
cui dopo di aver confutato i sistemi di Hobbes, Pufendorf, 



(1) Cfr. Popera sotto ogni rapx)orto notevole del Labanca, G. B, Vico 
e i suoi critioi cattoUoi, N;a|>oli, Pierre, 1898. 

(2) Cfr. Labauca, Op. cit.> per le notìzie biografiche o bibliografiche 
intorno ai citati critici cattolici. 



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— 202 — 

Thomasius, Wolff, critica la dottrina dello stato ferino del 
Vico chiamandola erronea impiaque e dimostrandola contraria 
alla Sacra Scrittura, alia Provvidenza, alla metafisica, alla 
storia profana greca e latina (1). L'accusa di empietà solle- 
vata dal Pinetti colpiva non pur il Vico, ma quanti ne am- 
mettevano la dottrina dello Stato ferino : tra questi il Duni 
che rispose con acredine (2). Di qui fu offerta al Finetti l'oc- 
casione di scrivere V Apologia (3), in cui sottoponeva la Scienza 
Nuova a una critica minuta per rilevarne i principi contrari 
alla rivelazione e alla fede. Ribadisce il Finetti la critica 
contro lo stato ferino, rimprovera al Vica di intendere la 
Provvidenza in un modo non sempre conforme alla teologia 
cattolica, di aver disconosciuto l'azione del Cristianesimo nel 
Medio Evo, di aver preferito solo a parole la storia sacra alla 
profana, di aver bandito Dio dalla storia. 

I fatti posteriori resero giustizia all'oculatezza del Finetti 
nel mettere i cattolici e gli studiosi in guardia contro il veleno 
tanto più temibile quanto meno avvertito che nella Scienza 
Nuota si nascondeva. Nel Vico non fu abbastanza rilevato quel 
fenomeno di sdoppiamento psicologico a cui ci avevano abituato 
i, nostri grandi scrittori del cinquecento e che in Italia fu il 
mezzo più efficace per sfuggire alle persecuzioni e per conci- 
liare la sincerità della credenza colla libertà del pensiero. Se 
non si tien conto di questo fatto la figura del Vico appare 
incomprensibile: in lui bisogna tener costantemente distinte 
le due figure dell'uomo e del pensatore. Come uomo il Vico fu 



(1) Il Finetti era veneto, sacerdote, censore ufficiale dei libri da proibirsi 
come contrari alla fede cattolica. — Cfr. La banca, Op. cit. 

(2) La Eisposta apologetica del Dani è del 1766. 

■ (3) Fu pubblicata dal Finetti nel 1767 sotto il pseudonimo di Filandro 
Miaoterio (cioè amante dell' Mwawo e sprezzante del /mtio), Ricordiamo che 
la controversia tra il Duni e il Finetti si era così allargata in Roma da 
originare le due scuole dei ferini e antiferini, — Ij^ Apologia era passata 
inoSvServata agli studiosi del Vico: spetta al Labanca l'onore di averla 
fatta 'conoscere nel suo contenuto storico -e critico. 



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- 203 •— 

sinceramente cattolico: la sua religiosità risulta non tanto 
dalle sue insistenti dichiarazioni fatte nelle opere destinate 
al pubblico, quanto dalle lettere private e da alcuni passi 
déìV Autobiografia in cui non preoccupato di far pompa delle 
sue credenze, manifesta intero l'animo suo. I critici cattolici 
del resto, il Finetti stesso, non elevarono dubbi al riguardo: 
essi si limitavano a dire che il Vico non poteva sempre con- 
siderarsi cattolico nelle sue dottrine. Nel distinguere l'uomo 
dallo scrittore essi intuirono il vero, e noi dobbiamo seguirli 
per questa via premettendo che le accuse e i rimproveri dei 
critici cattolici si convertono per noi in altrettanti titoli di 
onore. 

Al Vico non sfuggi il pericolo che a lui e alla dua dottrina 
poteva derivare dalla critica cattolica, e non tralasciò occa- 
sione per spuntarne gli strali: ma questi furono abbastanza 
acuti per far di lui una vittima della scienza, sebbene, osserva 
il Labanca, non vi fosse da parte de' suoi critici il deliberato 
proposito di esserne carnefici. Dato il temperamento del Vico 
non temprato alla lotta, timido e servile al punto di abbando- 
narsi ad azioni poco dignitose, ad adulazioni convenzionali, 
sempre incerto del domani, preoccupato di non perdere le 
potenti protezioni da cui traeva i mezzi per vivere e gli aiuti 
per pubblicare le sue opere, si comprende come la lotta sorda, 
persistente dei critici cattolici, ben più di quella che potevano 
movergli i cartesiani, doveva esser per lui motivo di con- 
tinue paure e di tormenti fisici e morali (1). 



(1) Nel 1701 essendo scoppiata in Napoli una con giara contro il viceré 
Filippo, il Vico scrisse contro i faziosi l'opuscolo « De parthenopea oonju» 
ratione »: nel 1707 con l'entrata degli Austriaci in Napoli trionfarono le 
idee dei congiurati. Il Vico fu pronto a lodare nel 1707 i vituperati del 
1701. — Nel 1715 scrisse quattro libri intorno alle gesta di Antonio Carafa 
e fece un eroe di un uomo ignobile e odiato universalmente. — II. Vico fu 
molto ammirato ma poco amato da' suoi contemporanei : le cause de' suoi 
dolori erano in parte in lui stesso. Sappiamo che morì di infermità men- 
tale ed era nevrastenico. Nella lettera indirizzata al P. Bernardo Giacchi 
nel 1720 il Vico allude chiaramente ai critici cattolici quaiido parla di dotti 



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— ao4 — 

Se si pensa alle miserande condizioni dei liberi pensatori nei 
paesi cattolici (1), ai pericoli a cui si esponevano, sopratutto 
in Napoli sotto il governo prima spagnolo poi austriaco, si 
comprenderà lo stato d'animo del Vico, audace nello scrivere, 
timido di carattere, portato nelle sue dottrine ad offrire ad un 
tempo il fianco all'offesa e alla difesa. Malgrado le dichiara- 
zioni contrarie del Vico, nella Scienza Nuova si trovano i 
germi di una profonda rivoluzione nelle scienze morali. Lo 
spirito innovatore era implicito nel titolo stesso : il Vico aveva 
la coscienza di aver fatto opera del tutto nuova, e nuovo era 
ricercare del mondo umano le leggi sue proprie di sviluppo, 
senza chiederle alla teologia, alla rivelazione; nuovo e rivo- 
luzionario era far del mondo umano autore e fattore l'uomo 
ad esclusione della divinità; nuovo e ardito era rintracciare 
il vero nelle favole, nei miti, negli- errori della tradizione pa- 
gana; nuovo e pericoloso era fare della Provvidenza un prin- 
cipio immanente nella storia e trasformare la religione in un 
prodotto storico, derivandola per legge naturale dal timore, 
dal bisogno di vivere immortali, dall'istinto delle analogie, 
dalla curiosità di spiegare i fenomeni dell'universo ; sopratutto 



cattivi f % quali colle tinte di una simulata pietà lo oppnmevano, néll-a stessa 
guisa ohe sempre han soluto rovinare coloro ohe hanno fatto- nu^ve disooverte, 
— Il Labauca, Op. cit., e. m, trae argomento dal fatto che i critici 
cattolici non attaccarono il De Antiquissima per affermare che il Vico fece 
deUa metatisica cristiana e teologica. Secondo noi il silenzio della critica 
cattolica ha altre caa-te. Nelle prime opere il Vico non uscì dal campo 
filosofico e rese servizio alla causa cattolica nel combattere Cartesio, Hobbes, 
Locke : ma nel De Constantia e nella Scienza Nuova egli invadeva il campo 
dell'erudizione storica sacra e profaua, facovasi egli stesso innovatore, 
doveva suscitare legittimi sospetti da parte di critici abituati a considerare 
vero Dantico e falso il nuovo. 

(1) Basti dire che il Muratori per pubblicare un libro sulla moderazione 
degli spiriti nelle cose di religione (1714), dove pure confutava l'arminiano 
Ledere, e riconosceva al principe la facoltà di procedere anche con l'e- 
stremo suplicio contro gli eretici, dovette stamparlo in Francia sotto falso 
nome: con tutto ciò dice il R uff ini, Op. cit., p. 510, « le diatribe degli 
intransigenti gli piovvero addosso e non schivò il temuto indice se non 
per il bene, chè^ gli voleva Benedetto XIV ». 



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5^v,-. 3. ^-,^- 



— 205 — 

gravi erano le conseguenze per il dogma dal far derivare il 
genere umano da uno stato ferino di isolamento senza reli- 
gione. Erano pertanto fondati i timori dei critici cattolici e 
reali i pericoli da essi affacciati per la causa della fede. Solo 
l'abilità del Vico nel trovar espedienti atti a tranquillizzare 
gli animi timorati, a coprire le audacie del suo pensiero, a 
dar veste cattolica all'opera sua, solo le protezioni di cui 
godeva nell'alte sfere del mondo ecclesiastico (1), e la convin- 
zione ch'era in tutti della sincerità delle sue credenze, solo 
la profondità dei concetti e l'oscurità della forma, che toglie- 
vano popolarità all'opera sua, poterono salvarlo dalle perse- 
cuzioni, ma non valsero a far tacere la critica. 

A due finzioni sopratutto il Vico ricorse per temperare le 
asprezze del suo pensiero e garantirsi contro l'accusa di eresia 
e di empietà. Egli pone ogni cura nel dichiarare che la Prov^ 
videnza concepita come principio trascendente, è l'architetta 
del mondo delle nazioni, che queste si svolgono secondo un 
disegno eterno preordinato dal Creatore e che gli uomini non 
sono che mezzi e strumenti alla attuazione dei disegni divini. 
in ciò sembrava accogliere il dogma cattolico della divina prov- 
videnza, ma non era che una lustra, poiché alla Provvidenza 
cosi concepita il Vico si aff*retta a negare qualsiasi azione 
diretta e indiretta sulla storia, la quale si svolge esclusiva- 
mente per opera dell'uomo conforme alle sue tendenze e alla 
sua natura, salvo a fatti compiuti dichiarare che questi sono 
in corrispondenza colla volontà di Dio. La Provvidenza e la 
religione ritornano pur di continuo nella Scienza Nuova, ma 
in un senso del tutto diverso: La Provvidenza perde ogni ca- 
rattere, teologico, diventa piuttosto, come già ebbe ad osservare 



(1) n Vico dedicò la prima (1726) e la seconda (1730) edizione della 
Scienza Nuova al card. L. Corsini, che in poi papa Clemente XII dal 
1730 al 1740, evidentemente allo scopo di crearsi nn potente mecenaterin- 
fatti tale dedica conservò quantonqne il Corsini, ricchissimo di censo, fin 
dalla prima edizione si fosse scusato presso lui di non potergli fornire :i 
mezzi per la stampa, mezzi che il Vico si provvide vendendo uà anello. 



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— 206 — 

innelli, la persuasione che gli uomini hanno di Dio su loro : 
religione poi perde ogni carattere positivo per divenire il 
ko religioso in generale, che stimola e accompagna la ci- 
ta dei popoli nei loro inizi e prepara nei tempi umani il 
onfo della sapienza riposta o filosofica. Nessun accenno tro- 
imo a idee intolleranti, neppure per stornare da sé le ire 
cattolici : la tolleranza traspira dal concetto largo e mo- 
'UO che egli si formò della religione. Il Vico portò un con- 
buto prezioso alla causa della libertà religiosa, per quanto 
1 apprezzato: egli che invocava la tolleranza per sé la 
èva per gli altri. Altri potè con argomenti e teoriche ra- 
naliste cooperare al trionfo della libertà religiosa ; il Vico 
cooperò trasportando le questioni religiose dal campo delle 
e al campo dei fatti, mostrando l'origine e la formazione 
;urale delle religioni, traendo dai fatti la loro giustifica- 
ne, astraendo da qualsiasi forma di religione particolare. 
li per tal modo ponevasi da un punto di vista nuovo e che 
-èva ingenerare l'equivoco: la veduta storica se lo rese da 
lato fautore della religione e del culto nazionale, dall'altro 
portava suo malgrado ad escludere dalla storia ogni reli- 
ne rilevata : potè quindi fornire argomenti tanto ai fautori 
mto agli avversari della libertà religiosa (1). 



l) Dena larghezza di vedute del Vico in fatto di religione fanno prova 
stndl da lai fatti degli autori protestanti più. avverai alla Chiesa 
}olica, le sue amichevoli relazioni con uomini apertamente fautori della 
rtà religiosa come il Ledere e il Thomasius. — Avversò la Riforma 
testante per una ragione storica piti che religiosa ; ne condannava le 
lenze individualiste, ribeUi ad ogni freno di autorità. — Non cre- 
mo che il Vico sìa stato deciso avversario della toUeranza religiosa 
le mostra di credere il Ruffini, Op. cit., p. 511. Tale convinzione 
^uffini fonda particolarmente sopra un passo della Seconda Scienza Nuova 
3ui il Vico dice: € le nazioni, se non sono prosciolte in un'ultima li- 
ba di religione, lo che non avviene se non nella loro ultima decadenza, 
[) naturalmente rattenute di ricevere dei tadi straniere». — Il Raffini 
ima paradossale e mostruoso tale principio e a ragione se Pinterpre- 
one da lui data fosse la vera : ma ci sia permesso dubitarne.* Il passo 
luestione si legge nel libro secondo della Seconda Scienza Nuo^àf e pre- 



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^Mà^ 



— 207 — 

La seconda finzione a cui ricorse il Vico per evitarle ine- 
vitabili conflitti coi testi sacri fu quella di separare la storia 
degli Ebrei da quella dei Gentili. Alla stessa finzione per lo 
stesso motivo avevano- fatto ricorso il Grozio e il Pufendorf. 
Il popolo ebreo era considerato come un popolo eletto, la cui 
storia si era svolta eccezionalmente sotto la diretta azione di 
Bio all'infuori delle leggi naturali e ordiiiarie di sviluppo ^ 
cui erano sottostati i Gentili, che formavano per altro l'uma- 
nità. Là distinzione fu accolta ed accentuata dal Vico, il quale 



cisameute là ove il Vico tratta deU* astronomia poetica. Premettiamo che il 
secondo libro deUa S» S. N» si intitola « Della sapienza poetica » ed è la 
ricostrnzione deUa storia relativa ai tempi favolosi e oscuri. Dopo di aver 
discorso della metafisica, della lingua, della morale, della vita famigliare 
e politica di quest'epoca primitiva, il Vico passa a studiarne le concezioni 
cosmografiche e astronomiche. L'astronomia poetica assume per il Vico 
un particolare significato : essa è la storia religiosa degli antichissimi po- 
poli:, gli dei e gli eroi sarebbero stati trasportati dalla terra in cielo a 
popolarvi i pianeti e le costellazioni, che rispettivamente dagli dei o dagli 
eroi prendono nome. Per agevolare la via al « ritrovamento dell' aaitronomia 
poetica » il Vico pone alcuni principi filologici e filosofici ; tra questi ultimi 
troviamo quello sopracitato, il quale espresso in forma generale e rife- 
rito a tutte le nazioni senza distinzione di tempo e di luogo può far cre- 
dere ad una implicita condanna della libertà religiosa. Ora noi crediaoK) 
che in questo passo la religione è considerata da un punto di viata sto- 
rico e non teologico, e che l'affermazione del Vico, sebbene espressa in 
forma generica, voleva essere la constatazione di un fatto storico parti- 
colarmente riferito ad epoche primitive. È noto che i popoli primitivi 
senza conoscere il dogma della esclusiva salvazione sono gelosissimi delle 
loro credenze religiose, considerate come parte di loro stessi e precipui 
fattori di educazione e di unità nazionale. Sappiamo ancora esser stata 
convinzione del Vico (assai discutibile del resto) esser le nazioni nella loro 
barbarie impenetrabili, e che le infiltrazioni straniere di qualunque natura 
né snaturano il carattere e sono elemei^ti di decadenza. Interpretato stori- 
camente il passo di Vico e non come affermazione di un principio teorico 
trova fondamento nella storia di tutti i popoli antichi, ai quali del resto 
la maggior parte dalle osservazioni filosofiche del Vico devono riferirsi. — 
Certamente non troviamo nelle opere del Vico apertamente proclamato il 
principio della libertà religiosa : ciò del resto non fecero né il Doria né 
il Giannone, i quali (osserva il Kuffiui, Op. cit., 513 nota) non osando 
esprimere esplicitamente le loro opinioni tolleranti ricorsero all'espediente 
di lodare la tolleranza del Komani. 



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— 210 — 

traddire alle nostre tradizioni e alle esigenze del nostro 
LO nazionale. Sarebbe stato strano che al sistema del Vico 
e mancata in Italia l'opposizione cattolica; può invece 
iar meraviglia il fatto che mancò al Vico in Italia quella 
lizione che non mancò ad altri capiscuola all'estero. Bi- 
la per altro non dimenticare che l'Italia sopportava le 
^eguenze della duplice secolare servitù politica e religiosa, 

il risveglio delle coscienze e delle menti alla vita mo- 
ia mancò in Italia quasi affatto nel seicento, fu lento e 
trastàto nel settecento, e segui sotto lo stimolo di in^u^ 
inieri che traviarono l'intelletto italiano dalle sue naturali 
iizioni. Queste però, sebbene deboli e incerte, si conservano, 
3po il Vico noi le possiamo rintracciare sia nelle dottrine 
ora asservite alla tradizione scolastica, sia nelle dottrine 
)irate agli influssi stranieri. 

a dottrina del Vico tra i cattolici trovò i seguaci più fedeli. 
. essi ricordiamo lo Stellini e il Duni. Lo Stellini svolse 
3ndo il metodo e il concetto del Vico la filosofia morale, 
>uni la filosofia giuridica: malgrado le loro credenze sin- 
imente religiose cercano entrambi dei fatti etici e giu- 
ci la formazione naturale, movono dallo studio dell'uomo 
le appare all'osservazione psicologica e storica all'infuori 
qualsiasi premessa dogmatica e religiosa (1). 

Duni è l'autore di un intero sistema di filosofia giuridica 
quale le dottrine del Vico si riproducono chiare e or- 
ite (2). Il Vico aveva posto nella vis veri il comun fonda- 
ito delle scienze morali. Già il Finetti aveva acutamente 
jrvato che non il vero in genere, ma il vero in ispecie, 
le naturalis ordo rerum deve assumersi a fondamento del 



) Per ciò ohe rigaarda lo Stellini e la saa dottriua morale cfr. nostro 
'oblema morale > Torino, Bocca, 1900, p. 230-238. 
) Il Dani nato a Matera fa professore all'Università di Kòma per 
inove anni dal 1752-1781. Tra le sae opere ricordiamo il Saggio sulla 
spradenza universale (1760) e la Scienza del oostu^e ossia sistema df 
io universale (1775). 



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- 211 — 

diritto universale (1). Di questa critica del Finetti risente la 
distinzione stabilita dal Duni tra vero matematico, metafisico, 
morale. Non il vero in genere, ma quella forma speciale di 
vero che dicesi morale è il fondamento del diritto universale, 
che è la scienza del costume ossia della condotta umana 
largamente intesa., Sul vero morale si fondano l'etica e il di- 
ritto (2). 

Il Duni nel porre il criterio di distinzione tra morale e di- 
ritto, riproduce sostanzialmente la dottrina del Vico. Questi 
aveva derivato la morale dall'interno sentimento del pudore, il 
diritto dallo svolgersi e dall'estrinsecarsi della libertà. Il Duni 
non usa i termini pudore e libertà, ma ricorre alle espres- 
sioni equivalenti, ma più generiche e comuni, di onestà e di 
giustizia. L'onesto è il vero morale riferito alla condotta in- 
teriore dell'individuo; il giusto è il vero morale riferito alla 
condotta esterna dell'uomo in quanto fa parte della società: 
l'uno non esce dall'individuo, l'altro suppone il consorzio so- 
ciale: l'uno si risolve nell'equilibrio delle facoltà umane e 
nella purezza dell'intenzione, l'altro nella retta distribuzione 
tra gli uomini de' vantaggi e delle utilità. Non vi è dubbio 
che il Duni iutese chiaramente il rapporto tra morale e 
diritto: ma forse ne accentua troppo l'opposizione, mentre il 
Vico insiste piuttosto sulla loro coordinazione e accanto al 
pudore che è un fatto di coscienza pone il costume che è il 
fatto etico collettivo e che prepara ma non costituisce ancora 
il fatto giuridico (3). 

Non crediamo che il Duni abbia interpretato esattamente 
il concetto del Vico facendo derivare il diritto delle genti da 
quelle antichissime costumanze che si andarono formando du- 
rante l'età patriarcale per l'autorevole e sovrana volontà dei 
padri di famiglia e che si incontrano pressoché uniformi in 



(1) Cfr. Finetti, Op. oit. (ediz. di Venezia del 1764), Voi. II, p. 113. 
(3) C£r. Duni, Scienza del oostume {ed, napoletana del 1775), lib. II, e. ix. 
(3) Cfìr. QcU rapporto tra ^iuatp e onesto. Punì, Op. cit.^ lib, 11^ e. vil^ 



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-.-•-TT VavVy 



-Sla- 
tti i popoli. Formatesi colle città le società civili, tali co- 
imanze modificate e adattate alle speciali condizioni di 
npo e di luogo avrebbero costituito il diritto civile, 
[n altre parole secondo il Duni il diritto di natura è il di- 
to filosofico quale appare alla mente rischiarata dal vero, 
Q ottenebrata dagli afletti e dall'errore: il diritto delle genti 
il diritto civile sono formazioni storiche rispondenti ai due 
idi di aggregazione sociale della famiglia e della città. Il 
itto poi civile svolge l'equità naturale e la civile, di cui 
na si ispira al privato interesse l'altra al pubblico (I). Nel 
ni le dottrine e i principi del Vico diventano famigliari 
iccessibili alle menti meno colte. È doveroso riconoscere 
e le sorti del Vico in Italia nel secolo XVIII sono stret- 
nente legate al nome del Duni. Negli scritti, dalla cattedra 
Roma per oltre venticinque anni il Duni tenne desto il 
Ito e la tradizione del Vico negli studi giuridici. Cattolico 
li stesso potè con tanta maggior efficacia difenderne la me- 
)ria e gli scritti contro i cattolici intransigenti, frustrandone 
secreto desiderio di far condannare come eretiche e peri- 
tose le opere del Vico (2). Egli fece opera più di avvocato 
e di critico: fu più amante del Vico che della verità: ma 
si tien conto delle tristi condizioni in cui versavano le 
enze morali e giuridiche in Italia nella seconda metà di 
el secolo, minacciate dalla reazione cattolica da un lato. 
He influenze materialiste francesi dall'altro, l'opera del Duni 
'Otta a far conoscere nella sua genuina purezza le dottrine 
l Vico e a salvarle dalle conseguenze di una condanna ec- 
isiastica non può a meno che essere altamente apprezzata. 



1) La formazione storica del diritto deUe geùti e civile è argomento 
. libro HI, Duni, Op. cit. 

2) Sopra accennammo alla polemica tra il Dani e il Fìnetti in ordine allo 
bo ferino. Qui ricorderemo che la Biaposta apologetica del Duni fu stam- 
a con l'approvazione del Giorgi, professore di Scrittura nell'Università 
Roma e del Nerini, consultore del Sauto Officio. Si voUe così dare una 
3ntita ufficiale al Finetti, il quale non volle perciò apparire l'autore 
la Apologia che pubblicò con altro nome. 



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- 2ià - 

Negli ultimi decenni del secolo quando in Italia e sopratutto 
in Napoli gli ingegni subivano il fascino degli enciclopedisti, 
la tradizione del Vico impedi l'asservimento completo del 
nostro pensiero filosofico: liberi pensatori come il Pagano, il 
Filangeri, il Coco trassero dalla Scienza Nuova gli elementi 
più originali e duraturi delle loro opere. 

Se non può pertanto sostenersi che la tradizione del Vico 
sia stata svolta e apprezzata al suo giusto valore in Italia, 
non può neppure ammettersi che sia andata perduta. Il pen- 
siero filosofico italiano nel secolo XIX ondeggiò incerto tra 
la tradizione spiritualista e gli indirizzi di origine straniera 
del sensismo, dell'hegelianismo, del positivismo. Ma è notevole 
il fatto che dai seguaci delle scuole più diverse l'autorità del 
Vico fu invocata in appoggio dei loro sistemi e da tutti il Vico 
fu considerato come il rappresentante di un indirizzo di pen- 
siero essenzialmente italiano. 

74. — L'età classica dei capiscuola e dei sistemi di diritto 
naturale si chiude col Vico, la cui dottrina se da un lato è 
in rapporto colle correnti del pensiero filosofico dell'epoca, 
dall'altro lato per gli elementi storici é psicologici, di cui si 
arricchisce, preannunzia sistemi e indirizzi venuti in onore 
in tempi posteriori. Ben può dunque il Vico considerarsi un 
gigante del pensiero^ una mente comprensiva che della realtà 
vide gli aspetti più diversi e seppe fonderli, unificarli in una 
dottrina che per i tempi in cui sorse può veramente chiamarsi 
nuova. L'importanza del Vico sta nell'aver posto a fii^eno e a 
guida della speculazione filosofica la realtà, o il fatto, come 
egli diceva, nell'aver intuito il metodo proprio delle scienze 
morali, nell'aver dato alla sua speculazione il fondamento saldo 
della psicologia e della storia, nell'aver analizzato l'uomo in 
se e nella sua natura socievole, nell'aver tratto da elementi 
disparati e opposti un sistema che ha tutti i caratteri di una 
sintesi filosofica, storica, sociale. Per questo l'opera sua pre- 
senta in sommo grado i caratteri della modernità e perennità . 
della modernità in quanto anticipa sull'indirizzo storico, so« 



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- àu - 

ologico, psicologico nello studio dei fatti morali; della peren- 
ta in quanto a' suoi insegnamenti l'intelletto umano ritornerà 
mpre dalle estreme, eterne aberrazioni dell'idealismo e del 
lalismo. 



§7. 

I^a SGixoim del dlfltto t^atUfale 
Qe^sUol tappotti coiriliafx)li7lSfX)o e col l^aiftlsf^o. 

)MMABIO : 75. Origine, sviluppo e caratteri deU'IUazninisino — 76. La scnola 
del diritto naturale nei suoi rapporti coU'IllaininiBnio — 77. L'illuminismo 
in Francia e suoi caratteri — 78. L'Illuminismo in Germania e l'opera dei 
giuristi — 79. L'IUuminismo in Italia e suo carattere generale — 80. La 
scuola del diritto naturale nei suoi rapporti ooUa dottrina giuridica di 
E. Kant. 

75. — La scuola del diritto naturale rappresenta una nuova 
ientazione intellettuale in ordine ai fenomeni giuridici e 
ciali: essa fu l'opera ad un tempo di filosofi e di giuristi, 
seppe contrapporre alle istituzioni che avevano per sé la 
rza dell'autorità e della tradizione le armonie ideali di una 
ta conforme alla natura delle cose, ossia ai principi univer- 
li e immutabili della ragione. A questo rivolgimento intel- 
ttuale si aggiunge verso la metà del secolo XVIII per opera 
m di filosofi, ma di pubblicisti, letterati, uomini di Stato, un 
svolgimento delle coscienze, espressione di un nuovo modo di 
nsiderare il mondo sociale e morale, noto sotto il nome di 
uminismo. Tra l'Illuminismo e la Scuola del diritto naturale 
rrono stretti rapporti, ma anche profonde differenze. .Agli 
opi del presente lavoro basti affermare che l'Illuminismo è 
i fenomeno assai complesso, risultante di elementi diversi, 
sieme fusi e diretti ad uno scopo ultimo di riforma sociale 
politica. L'Illuminismo non può considerarsi una filiazione 



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tè. — Non deve sembrar strano il nome di razionalisti ap- 
plicato ai principali rappresentanti deirilluminismo. Tale nome 
è giustificato per due motivi : anzitutto perchè le manifesta- 
zioni più spiccate del materialismo del secolo XVIII presen- 
tano tutti i caratteri di costruzioni razionali, nelle quali la 
fantasia e il ragionamento suppliscono spesso la insufficienza 
e la scarsità dei dati di fatto oflferti dalle scienze ancora in 
formazione r in secondo luogo perchè le idealità sociali e giu- 
ridiche, che la scuola del diritto naturale aveva elaborato, 
rivivono nell'epoca dell'Illuminismo e ne costituiscono il fat- 
tore aprioristico e razionale. L'origine contrattuale della so- 
'cietà e dello Stato, i concetti dell'uomo e della società di natura 
rappresentano il contributo che la scuola del diritto naturale 
arrecò all'Illuminismo. Tali concetti che negli scrittori del 
diritto naturale rispondevano essenzialmente ad una esigenza 
razionale, negli Enciclopedisti ricompaiono arricchiti di un 
contenuto sentimentale, in forma poetica e attraente acqui- 
stando per questo solo una efficacia pratica che prima non 
avevano. 

Nell'Illuminismo pertanto venivano a convergere tutte le 
diverse correnti della speculazióne filosofica e scientifica dei 
secoli XVII e XVIII e assieme fuse vennero a costituire una 
nuova più vasta corrente a intenti di riforma e di trasfor- 
mazione morale, religiosa, politica, sociale. La Chiesa e lo 
Stato, le due iorze maggiori che da secoli tenevano soggiogati 
gli spiriti e ne impedivano ogni libera espansione furono prese 
di mira: da un lato le premesse materialiste, gli stretti rap- 
porti col progresso e le applicazioni delle scienze naturali 
rendevano l'Illuminismo antireligioso e nelle sue ultime con- 
seguenze ateo; dall'altro lato le concezioni dello stato di na- 
tura e del contratto sociale battevano in breccia le teorie 
del diritto divino, nonché il fondamento dei governi assoluti. 
Il materialismo esplicò la sua influenza sovvertitrice nel campo 
religioso e morale : la scuola del diritto naturale scosse le basi 
tradizionali dell'autorità e dello Stato. Se si aggiunge che 



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-ài?- 

l'Illuminismo non fu solo movimento di idee m; 
sentimenti, che si distinse per la sua cieca fede i 
del sapere, nella trasformazione della società per 
scienze, nelle energie inesauribili dell'uomo, fati 
creare a sé stesso i suoi propri destini, si com 
esso in sé racchiudesse tutte le condizioni per 
l'antico regime e preparare le condizioni della v 

77. — L'Illuminismo è un fenomeno generale del t 
ovunque i popoli si destano ad una vita nuova, 1 
lavoro e dalla scienza, . ovunque si acquista cosi 
de' propri diritti e si avvertono i sintomi di un ; 
rispondente agli ideali di giustizia e di prosperiti 
e sociale, il fenomeno dell'Illuminismo' appare, 
tutti i paesi si presenta cogli stessi caratteri. 

La Francia fu la patria dell'Illuminismo e da ei 
in altri paesi sopratatto in Germania e in Italia, 
in Francia l'Illuminismo si svolge co' suoi carati 
cali, ci si presenta completamente sviluppato. F 
cipio del secolo XVIII in Francia lo scetticisr 
Bayle aveva distolto le menti dal passato pre 
ad accogliere teorie più consentanee ai tempi. A 
fase di scetticismo dissolvitore , di critica nega 
il periodo in cui le più elette intelligenze si fa 
dere le dottrine scientifiche e filosofiche dell'Ing 
è considerata la terra della libertà e del progres; 
le sue forme. A questa fase risalgono i rapporti 
tra la Francia e l'Inghilterra, gli scritti polemici 
diretti a far trionfare in Francia il sistema di 
pera del Montesquieu intesa a far conoscere 
politiche e costituzionali inglesi. In un terzo 
luminismo entra in una fase costruttiva; abl 
lato col La Mettrie e col Cabanis i primi 1 
trarre la vita intellettuale e morale dal sustra 
e fisiologico dell'uomo, dall'altro col Condillac 
derivare dal senso la vita dello spirito; più tar 



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-218 - 

abbozza un sistema morale informato all'egoismo e al pre- 
supposto dell'uomo preoccupato solo della propria felicità: 
da ultimo il barone d'Holbach in un'opera che fu il codice 
la bibbia del materialismo del secolo XVIII riduce a si- 
stema le leggi del mondo fisico e morale. £ parallelamente 
a questa concezione naturalista e meccanicista del mondo e 
della vita vediamo per opera del Diderot, del Rousseau, del 
Morelly, del Mably risorgere la fede in uno stato di natura, 
sinonimo di moralità e di felicità, vediamo l'opera della ragione 
e della volontà invocata a dar origine e svolgimento alla 
società e allo Stato. E quest'ultima corrente di natura ideale 
e che aveva per se l'autorità di quasi due secoli di specula- 
zione, più consentanea alle tendenze razionaliste di un'epoca 
per la quale le concezioni materialiste erano premature, finì 
per prevalere e per dare al movimento illuminista quel carat- 
tere ideale e razionale nel quale si manifesta nella rivoluzione 
francese. 

78. — In Germania l'Illuminismo francese penetrò per l'in- 
fluenza personale di Federico il Grande, la cui corte divenne 
il ritrovo geniale delle più elette intelligenze dell'epoca. Il fa- 
vore che il grande uomo di stato dimostrò per il movimento di 
idee sorto dall'Illuminismo rispondeva oltreché a un bisogno 
della mente, ad un alto disegno politico. Preoccupato della 
rigenerazione intellettuale e morale del suo popolo Federico 
il Grande comprese come l'avvenire di esso dipendeva dal 
grado nel quale avrebbe partecipato alle nuove correnti di 
pensiero. Ma astraendo dalle tendenze e dalle vedute politiche 
personali di Federico II devesi riconoscere che il materia- 
lismo inglese e francese non trovò accoglienza in Germania, 
né prevalse contro l'idealismo spiritualista che poneva capo 
al Leibnitz (I), per quanto non si possa negare che anche la 
speculazione del Leibnitz e del Wolflf informata all'eudemo- 



(1) Cfr* Lange, Hietoire du matérialisme, Paris, 1877 (trad, francese), 
I, Parte quarta, o. IV, 



i 



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-^ 



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■^ 



gli studiosi delle scienze giuridiche ed economiche, i quali 
possono trovare in Italia Tattuazione anticipata di quelle ri- 
forme legislative e finanziarie che altrove furono provocate 
dai torbidi rivoluzionari. E bisogna riconoscere che in Italia 
i principi meno stretti alla tradizione, più a contatto col po- 
polo seppero attuare quanto dì meglio T illuminismo in sé riu- 
niva spontaneamente, con perfetta coscienza, senza attendere 
la pressione degli avvenimenti. Nello studio poi deirillumi- 
nismo italiano non può trascurarsi un elemento non derivato 
dal di fuori ma del tutto nostro, la tradizione cioè del pen- 
siero del Vico, che si rivela, come già accennammo, in tutte 
le opere uscite dalle menti più elette dell'epoca e che senza 
dubbio concorse a dare un indirizzo pratico, un fondamento 
più saldo, una fisionomia particolare all'Illuminismo italiano. 

Ma l'argomento da noi appena sfiorato dell'Illuminismo ita- 
liano merita per la sua importanza una trattazione speciale, 
e qui non si voleva che richiamare l'attenzione sul carattere 
generale ch'esso presenta e per cui si distingue dall'Illumi- 
nismo francese e tedesco. 

80. — La scuola del diritto naturale non ha solo stretti 
rapporti coll'Illuminismo ma rientra come elemento integrante 
nel nuovo indirizzo filosofico che si personifica in Emanuele 
Kant. Il Kantismo se fu per il suo stesso carattere critico 
una reazione contro la speculazione filosofica dei secoli XVII 
e XVIII, rappresenta d'altra parte uno svolgimento di quelle 
idee che la scuola del diritto naturale aveva in due secoli 
elaborato. Il carattere di reazione si rivela sopratutto nella 
parte teoretica della speculazione kantiana. La critica della 
conoscenza e della ragione umana nella ricerca del vero, che 
il Kant considerava come il problema fondamentale della fi- 
losofia, era implicitamente la critica e la condanna di tutti 
i sistemi usciti dalle diverse scuole filosofiche, nessuno dei 
quali aveva rispettato quei limiti oltre i quali la ragione 
umana non può conoscere il vero. Per questa parte il Kant 
si contrappone al passato e apre vie nuove alla speculazione 



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— 222 — 

Stato nei suoi rapporti coirindividuo e a stabilire quella 

d'interiorità che deve considerarsi interamente sottratta 
alsiasi coazione esteriore e da cui si originano i cosi 

diritti soggettivi dell'uomo e del cittadino. 

concezione stessa di un diritto naturale non è abban- 
ta dal Kant, ma è solo presentata sotto un diverso aspetto, 
non cerca il fondamento del diritto naturale nella espe- 
rà e nell'osservazione empirica dell'uomo come l'Hobbes 
>pure nell'autorità e nell'universale consenso come Grozio, 
iella ragione stessa, e riduce tutta la scienza del diritto 
cognizione sistematica del diritto naturale. Da ultimo 
nò che riguarda il concetto e le funzioni dello Stato, il 
; se non si foggiò uno stato di natura, vagheggiò certo 
stato di ragione, ossia uno stato che i moderni chiame- 
3ro piuttosto di diritto, non avente altro scopo all'infuori 
lello di garantire il diritto ossia di assicurare l'accordo 

libertà. Che se un siffatto concetto dello Stato non può 
>ndersi collo Stato sognato dagli Illuministi e dai giusna- 
listi, che ha per fine la felicità e il perfezionamento dei 
dini, non vi è dubbio che nei due casi il metodo seguito 
jostrurlo è identico e lo Stato giuridico di Kant è una 
uzione altrettanto astratta e arbitraria quanto è più 

dello Stato paterno di Thomasius e di Wolff. Sotto 
atto pertanto del metodo seguito, dei risultati ottenuti 
lobbiamo considerare la dottrina giuridica del Kant un 
pale svolgimento della dottrina elaborata dagli spiriti 
linati del secolo XVIII, che in Germania all'epoca in cui 
I Kant, si confondono coi seguaci della scuola del diritto 
pale. 



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- 224 - 

Pag. 

§ 4. — Tommaso Hóbhes e Vindirizzo empirico nelle scienze 
morali 49 93 

Sommario: 81. Bacone e sua posisione nella storia del pensiero 

— 32. Bacone e le scienze morali ~ 33. Etica e scienza ci- 
vile in Bacone ~ 34. Il metodo di Hobbes — 35. Hobbes e 
i suoi tempi — 36. Sistema etico -^inridico di Hobbes — 37. Il 
rapporto tra morale e diritto in Hobbe<t — 38.. L'opposizione 
a Hobbes : Cnmberland — 39. Locke e i snoi tempi ~ 40. Mo- 
rale e diritto in Locke — 41. Da Locke a Home -^ 42. Hnme 
ei snoi tempi — 43. Filosofia di Hnme — 44. Rapporto tra 
morale e diritto in Hnme — 45. A. Smith e sna importanza 

— 46. Sistema etico-ginridioo di Smith — 47. Conclnsione. 

§ 5. — L'indirizzo cartesiano nelle scienze morali . . 94-136 

Sommario : 48. Cartesio e l'epoca sna — 49. Cartesio e le scienze 
morali — 50. Malebranche e l'indirizzo spiritualista-cartesiano 
nelle scienze morali — 51. L'Olanda <o il sistema etico-giu- 
ridico di Spinoza — 52. Le condizioni politiche e religiose 
della Germania nel secolo XVII •— 53. La dottrina etico-giu- 
ridica di Leibniz — 54. L'opera metodica del Wolff — 55. Pa- 
rallelo tra riudirizzo filosofico e giuridico nelle scienze morali. 

§ 6. — Vico e le scienze etico-giuridiche in Italia . 137-213 

Sommario: 56. Condizioni generali d'Italia nel secolo XVII — 
57. Galileo e la filosofia naturale — 58. Gli stndl giuridici e 
il rinnovamento della filosofìa in Italia — 59. Vicende degli 
studi giuridici iu Italia — 60. Gli stndl giuridici in Napoli 
nella prima metà del secolo XVII: giureconsulti pratici — 
61. n progresso degli studi giuridici in Napoli nella seconda 
metà del secolo XVIII : g^iureconsulti eruditi : d'Andrea e 
Gravina — 62. La Vita Civile di P. M. Dorìa — 63. Risveglio 
filosofico in Napoli nella seconda metà del secolo XVII — 
64. Posizione di Vico in ordine agli indirizzi filosofici del suo 
tempo — 65. Vico contro Cartesio e la questione del metodo 
nelle scienze morali — 66. Il criterio della verità nel Vico — 
67. n Vico e gli studi giuridici — 68. La filosofia del diritto 
nel Vico — 69. Il rapporto tra morale e diritto — ^ 70. Il 
diritto nella sua formazione storica — 71. Diritto e scienza 
sociale — 72. Le sorti di Vico e i critici cattolki — 73. Se- 
guaci di Vico: Stellini e Dnni — 74. Conclusione. 

§ 7. — La Scuola, del diritto naturale ^ne' suoi rapporti 

coli' Illuminismo e col Kantismi . . . . ' 214-222 

Sommario: 75. Origine, sviluppo e caratteri dell'Illuminismo — 
76. La scuola del diritto naturale nei suoi rapporti coll'Ulu- 
minismo — 77. L' Illuminismo in Francia e suoi caratteri 

— 78. L' Illuminismo in Germania e l'opera dei giuristi — 
79. L'Illuminismo in Italia e suo carattere generale — 80. La 
scuola del diritto naturale nei suoi rapporti colla dottrina 
giuridica di E. Kant. 










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