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Tuesday, May 21, 2024

GRICE E SOLARI

   GIOELE ^OLARI   Lib. doc, (li Filosofia del diritto nella E» Università di Torino     C.     LA SCU0LA r7     DEL     DIRITTO NATURALE     NRLLE     dottrine etico -giuridiclie dei secoli XVil e XVill     TORINO   FRATELLI BOCCA EDITORI   LIBRAI DI S. M. IL RB d'iTALIA     ROMA MILANO FIRENZE   Corse. 216 Corso Vittorio Em., 21 F. Lumacbi Sucu.   Depoait. gener. per la Sicilia : O. FIORENZA, Palermo   1904     Digitized by VjOOQ le     Digitized by VjOOQ IC     -w«K«sp^^-     LA SCUOLA DEL DIRITTO NATURALE .   NELLE DOTTRINE ETICO-aiUBIDICHE DEI SECOLI XVH E XVIH     § 1.     SOMMABIO: 1. Scienza e filosofia nel XVXI secolo — 2. La filosofia e la riforma  cartesiana — 3. Le soiense morali e. i'indlrisso raiionale — i. Garatteri propri  dei sistemi metafisici — 6. Valore e significato della scnola.del diritto naturale  — 6. Il rapporto tra morale e diritto secondo la sonola del diritto natnrale.   1. — La niiuo nazione delle scienze giuridiche e sociali fu  il grande lavoro del secolo XIX: essa segui l'applicazione del-  l'indagine storica e positiva allo studio "dei fatti morali e  sociali. Le condizioni però che prepararono e resero possibile  una tale rinnovazione devono rintracciarsi nel «periodo meta-  fisico delle scienze morali che segna il risveglio dell* intelletto  umano in traccia di nuove direzioni air infuori delle premesse  teologiche e dogmatiche. Le grandi idealità etico-giuridiche  che vediamo affermarsi e svolgersi nel campo dei fatti colla  Rivoluzione Francese trovano la loro elaborazione astratta e  ideale nei sistemi filosofici che sbocciarono vari e numerosi  in quell'epoca di rara fecondità intellettuale che abbraccia i  secoli XVII e XVIII. Lo spirito anti-teologico penetrava allora  nelle manifestazioni del pensiero nella sua duplfce direzione, la  scientifica e la filosofica; ma nonostante questo carattere co-     Digitized by VjOOQ IC     - 6 -     -^«ii     mune, per molti altri rispetti filosofia e scienza tendevano a  distinguersi e a contrapporsi, generandosi tra esse un con-  trasto che solo in epoca vicina a noi doveva comporsi. L'ori-  gine e i motivi del contrasto devono rintracciarsi nella di-  stinzione accentuala da Cartesio tra la mens e la res ecctensa,  tra lo studio della materia di cui si occupavano sopratutto  le sciente e lo studio dello spirito che parve costituire il  campo proprio della speculazione filosofica. Fin dal loro primo  costituirsi le scienze bandirono ogni apriorismo teologico e  razionale; esse si mantennero rigorosamente empiriche, og-  gettive, analitiche, né intesero l'importanza e la necessità di  una generalizzazione filosofica dei loro risultati. Del resto nò  lo sviluppo delle scienze era tale da comportare una filosofia  naturale, né l'indirizzo metafisico e razionale della filosofia  poteva conciliarsi colle tendenze materialistiche della scienza.  La separazione della scienza dalla filosofia non era che la  espressione della concezione dualistica dell'uomo e della sua  natura, concezione che Cartesio e sul suo esempio i cultori  delle scienze naturali accentuavano, certamente nell'intento  di sfuggire alla sospettosa vigilanza della Chiesa. Sta di fatto  che dal 600 in poi le scienze incontrarono sempre minóri re-  sistenze da parte della Chiesa: ciò deve in gran parte attri-  buirsi alla cura gelosa dei loro cultori di condurre l'indagine  scientifica con metodo rigorosamente obbiettivo evitando ogni  discussione sulle cause prime dei fenomeni studiati nonché  sulle conseguenze ultime per le quali dal campo solido e si-  curo della scienza si passava nel campo infido e pericoloso  della filosofia. La scienza potè solo affermarsi e svolgersi as-  sumendo veste e significato anti-filosofico.   2. — La rinnovazione della filosofia iniziata da Cartesio deve  intendersi in un senso ben diverso da quello con cui fu intesa  la rinnovazione della scienza, cosi come l'anima che formava  il presupposto della filosofia era concepita come un principio  sostanzialmente diverso dalla materia, oggetto dell'indagine  scientifica. Mcntj'C neìÌQ scienze della natura contro l'autoriià     Digitized by VjOOQ IC     — 7 —   non pur della fede ma della ragione stessa pre^ialse Tautorità  del fatto osservato, nella filosofia la ragione sola non sorretta  né dalla rivelazione né dall'esperienza sensibile diveniva cri-  terio di verità. Lo spirito per altro della riforma cartesiana  era profondamente sovvertitore: per essa la metafisica razio-  nale assurgeva al grado di scienza prima, sostituendosi alla  teologia nel fornire alle altre scienze i principi primi : scossa  la cieca fede nell'autorità, le tendenze razionaliste e critiche  dell'intelletto umano potevano affermarsi in una serie inde-  finita di sistemi. Le conseguenze della riforma cartesiana  passarono inavvertite finché essa non usci dal dominio teore-  tico e metafisico: né si deve dimenticare che il metodo car-  tesiano rigorosamente deduttivo ricordava nella forma lo sco-  lastico, e della scolastica era conservata la concezione psi-  cologica. Il carattere innovatore della riforma cartesiana co-  minciò a farsi palese nelle sue applicazioni alle scienze morali.  3. — I nuovi metodi in uso nelle scienze fisiche non si  comprendeva come potessero applicarsi alla scienze morali.  Tali metodi parvero propri delle scienze il cui oggetto era la  natura, in guisa che alle stesse menti più spregiudicate e  indipendenti da preconcetti teologici non balenò l'idea, fami-  gliare nei tempi moderni, di considerare le scienze morali alla  stregua delle scienze fisiche e naturali. A ciò si opponeva la  concezione psicologica dell'anima sostanziale, fornita di facoltà  intellettive e volitive, fondamento delle scienze teoretiche e  pratiche. Tale dottrina psicologica continua ad essere la pre-  messa delle concezioni etico -giuridiche che si originarono dalla  riforma cartesiana. Nel 700 nel sistema del Wolff, che riassume  il lavoro filosofico anteriore, la psicologia figura ancora pres-  soché inalterata nelle sue basi tradizionali. Si comprende  quindi come le scienze morali dovessero assumere veste e  carattere metafisico e colla filosofia trasformarsi sulle basi del  razionalismo critico. Troviamo pertanto due elementi nelle di-  scipline morali e giuridiche dei secoli XVII e XVIIl: un  elemento tradizionale costituito dalla concezione psicologica     Digitized by VjOOQ IC     - 8 ^   deiraniraa e delle facoltà concepite come forze generatrici di  tutti i fatti dello spirito: un elemento nuovo, implicito nella  riforma cartesiana, secondo cui la ragione umana era fatta  capace di trovare i principi delle scienze dello spirito all'in-  fuori della religione e dell'autorità. È bene però fin d'ora notare  che assai prima della riforma del metodo filosofico per opera  di Cartesio, le scienze giuridiche, sotto l'influsso delle condi-  zioni storiche e sociali mutate, avevano iniziato la loro trasfor-  mazione in senso razionale.   4. — Le scienze morali nel loro primo costituirsi a scienze  autonome e indipendenti mostrarono la spiccata tendenza a  modellarsi sulle scienze matematiche e geometriche. Il carat-  tere deduttivo di queste scienze, la forza di evidenza che sca-  turiva dalle loro premesse e dimostrazioni^ le rendeva parti-  colarmente attraenti in un'epoca in cui la speculazione andava  razionalizzandosi. Meglio di ogni altra scienza esse mostra-  vano la forza e la potenza dell'intelletto umano, fatto capace  di costruire colle sole, sue forze un edificio mirabile per pre-  cisione, simmetria, eleganza. Parve che un analogo procedi-  mento potesse applicarsi alle scienze dello spirito e che ba-  stasse andar in cerca di idee chiare e distinte per trarre da  esse un sistema filosofico capace di resistere agli assalti del  dubbio e della critica. E per circa due secoli assistiamo a una  singolare fioritura di sistemi metafisici, che hanno comune  fondamento l'ipotesi, essere le leggi dello spirito umano e col-  lettivo generalizzazioni conseguite mediante lo studio dei fatti  della coscienza individuale e collettiva. Si definisce l'uomo, lo  Stato, la società, il diritto, il bene supremo astrattamente all'in-  fuori della realtà psicologica e storica: per lo più il principio  da cui si move risponde al consentimento universale o si fonda  sulla osservazione interiore e necessariamente unilaterale  dello spirito umano: talvolta gli stessi principi tradizionali,  spogliati di ogni veste dogmatica servono di fondamento alla  deduzione che procede rigorosa sdegnando il controllo e la ve-  rifica cei fatti. La fctj ultura logica e sisten:aiica è costante     Digitized by VjOOQ IC     - 9 -   carattere al quale si riconosce la dottrina metafisica, che si  presenta in un numero grande di sistemi, riflettenti le variabili  condizioni d'animo e di mente dell'autore; lo stesso principio  si presenta in forme e gradazioni diverse per il concorso di  cause soggettive indefinibili. La potenza dell'intelletto misura  l'altezza talvolta vertiginosa delle concezioni metafisiche, che  prpcedono, sotto l'azione della logica interna che le incalza,  senza limiti prestabiliti, senza freni di sorta.   A noi è facile rilevare l'errore di tali costruzióni metafi-  siche. Come già Aristotele e più ancora gli Scolastici, i me-  tafisici del secolo XVII facevano consistere la conoscenza nella  generalizzazione logica, la quale consiste nel ricondurre un  concetto più determinato a un- concetto meno determinato ma  più esteso. Per essi, dice il Masci (1), la lerie logica dei con-  cetti e la serie reale coincidono e l'universale è causa. Tale  generalizzazione ha come risultato un" astratto, un genere, .  un'entità mentale che contiene meno dèi particolari dai quali  è astratto e come tale non può servire a intendere e spiegare  la realtà complessa e concreta. Ben diversamente procede la  generalizzazione nelle matematiche e nelle scienze naturali:  le formule matematiche e le leggi scientifiche sono generalità  comprensive, cioè non contengono meno ma più delle formule  che ne derivano, o dei casi particolari da cui le leggi sono  indotte. Il diritto di natura, l'uomo di natura, lo Stato e la  società di natura Sono le idealità astratte da cui trassero  alimento i sistemi etico-giuridici dei secoli XVII e XVIII.   5. — Sarebbe però errore paragonare le discussioni sul di-  ritto naturale con quelle scolastiche sui generi e le essenze  delle cose. Le teorie sul diritto naturale acquistavano un  valore speciale per l'epoca in cui sorsero, per. le condizioni  sociali e politiche che le generarono, per le conseguenze che ne  derivarono. Tali teorie non erano né vane né inutili: esse  erano l'espressione di bisogni reali, di tendenze prepotenti, di     (1) ^aecì,. Logica, (Napoli, Pierro, 1899) p. 237-238*     Dhgitized by VjOOQ IC     ^ 10 —   istinti mal repressi di rivolta, di reazione contro il passato:  esse ufFermavano la volontà di sciogliersi per ciò che riguarda  la vita morale e giuridica dalle tradizioni, dall'influenza op-  pressiva dello Stato e della Chiesa, alleati a danno doirindi-  viduo e della sua libertà esterna e interna: esse nascondevano  un'idealità vivamente sentita che tendeva a tradursi nel do-  minio del reale: in esse si sente l'eco dell'anima moderna che  sdegna i vincoli creati dal privilegio o dall'interesse, che astrae  dalla realtà oppressiva e anela a un sogno lontano di ugua-  glianza, di felicità, di pace. Sotto questo aspetto la dottrina  del diritto naturale è in sommo grado significativa e può es-  sere studiata con utilità e interesse anche nei tempi nostri  non foss'altro per la corrispondenza con le odierne idealità  sociali che preparano, come quella, nuove condizioni del vivere  collettivo.   6. — Colla, scuola del diritto naturale acquista particolare  importanza la questione dei rapporti tra la morale. e il diritto.  Sotto le parvenze di una discussione teorica essa implicava  una grave questione di indole politica, dalla cui soluzione  dipendeva il raggiungimento di quelle idealità che costitui-  vano la ragion d'essere della scuola del diritto naturale. Il  terreno per una separazione della morale dal diritto era stato  preparato dalla Chiesa stessa, la quale per le sìie finalità re-  ligiose richiamando di continuo l'individuo alla spontaneità e  alla indipendenza della vita interiore da ogni costringimento  esterno, aveva efficacemente contribuito ad acuire il senso  della personalità e della resistenza contro qualsiasi imposi-  zione di autorità esterna fosse essa ecclesiastica o politica.  Il movimento protestante intese appunto a emancipare la co-  scienza individuale dalle imposizioni arbitrarie della Chiesa  romana. Se la Riforma fu da un lato un grido di protesta contro  gli abusi di autorità compiuti dalla Chiesa a danno di quella  libertà di critica che anche in materia religiosa deve essere  riconosciuta all'individuo, la scuola del diritto naturale in-  sorse dal canto suo contro le pretese dello Stato di invadere     Digitized by VjOOQ IC     -- 11 -   colle sue le^i il campo riservato alla religione e alla morale,  di penetrare cioè in quella sfera di interiorità che deve essere  sottratta all'azione dello Stato e del diritto come quella che  costituisce la garanzia dell'individuo e della sua libertà in-  teriore contro lo Stato. La scuola del diritto naturale intuì  che nella questione dei rapporti tra diritto e morale era im-  plicita quella dei rapporti tra l'individuo e lo Stato, e tale  questione in un'epoca in cui l'individuo scendeva in lotta  contro lo Stato* in difesa dei cosidetti diritti naturali, che  erano in realtà i diritti di personalità, assumeva significato  particolare.   Ciò serve in parte a spiegare l'importanza assunta dalle  dottrine giuridiche su quelle strettamente morali e teologiche  nei secoli XVII e XVIII. I principi morali non erano in di-  scussionCi nò si vagheggiavano riforme morali : la morale  evangelica rispondeva pur sempre alla coscienza etica gene-  rale: e se troviamo per parte dei filosofi tentativi diretti a  dare alla morale un fondamento razionale, bisogna riconoscere  che tali tentativi non riuscirono a scuotere la base dogmatica  della morale, in ordine alla quale la Chiesa, fosse cattolica o  protestante, continuò a esplicare un'azione decisiva e quasi  incontrastata. La questione dell'epoca più che morale era poli-  tica e sociale; la Chiesa stessa più non poteva opporre- eflìcace  resistenza al sorgere di nuove teorie tendenti a delimitare  l'azione dello Stato nei suoi rapporti coU'individuo. Qualunque  sia il giudizio che sull'opera della scuola del diritto naturale  si può arrecare, sarà pur sempre per essa titolo esclusivo di  merito l'aver efficacemente contribuito a quel processo di  differenziazione per cui il diritto distinguendosi non pur dalla  religione ma anche dalla morale, ha acquistato un suo con-  tenuto specifico. Epperò a nostro credere il valore e il signi-  ficato delle dottrine etico-giuridiche sorte nei secoli XVII e  XVIII è misurato dal grado con cui seppero tale distinzione  porre e accentuare.     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     ar3W8S5Fl*«f r     — 13 ^   che mentre regolavano i rapporti di coesistenza tra le due  autorità, servissero di norma alla condotta degli individui e  degli Stati. S. Tommaso e Dante personificano in sé le due  correnti e diedero alla morale e al diritto un significato ri-  spondente al modo diverso con cui intendevano il rapporto  tra Chiesa e Impero.   8. — S. Tommaso riassunse nell'opera sua monumentale  tutti gli sforzi della Scolastica diretti a conciliare il Cristia-  nesimo colla filosofia, la rivelazione colla ragione, lo spirito  colla materia, la terra col cielo. Ma tale conciliazione suona  per S. Tommaso subordinazione e talvolta sacrificio e disco-  noscimento dei diritti della ragione, degli interessi umani e  civili alle esigenze religiose e teocratiche. Ciò deve dirsi so-  pratutto in ordine alle scienze morali, che dovendo tradurre  nei fatto gli ideali •cristiani, abbisognavano di un fondamento  saldo ed incrollabile. La volontà divina è fonte per gli sco-  lastici di ogni moralità pubblica e privata. Il rapporto tra  religione e morale non destò interesse di sorta nel Medio Evo,  tanto era universalmente radicata l'opinione che la morale  doveva trarre dalla religione il suo fondamento, le sue sanzioni :  gli stessi avversari più risoluti della Chiesa non sollevarono  dubbi al riguardo. Il compito della filosofia in ordine alla mo-  rale si riduceva pertanto a dar forma e veste razionale alle  massime evangeliche, e tale fu il lavoro compiuto da Tommaso,  le cui dottrine morali mentre dominarono incontrastate nel  Medio Evo, sono destinate ad esser in ogni tempo abbracciate  da quanti non vogliono appagare la ragione col sacrificio delle  credenze religiose. Maggiore interesse doveva destare il rap-  porto tra morale e diritto, come quello che si riconnetteva al  dissidio tra potere laico ed ecclesiastico. Non bisogna dimen-  ticare che nel Medio Evo il diritto appariva generalmente  come l'espressione della autorità civile, mentre in fatto di mo-  rale dominava incontrastata l'autorità della Chiesa. Tale stato  di cose provocava un secreto dissidio tra norme giuridiche e  morali, dissìdio che teologi e difensori dell'Impero cercarono     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     '^^**7V^-1*f"S^F)S^?^^^     - 15 -   siastica e laica, di cui Tuna disconosceva i diritti della ragione  e della società civile, l'altra troppo servile alla tradizione  romana non era riuscita a raccogliere a sistema le sue dot-  trine, Dante si interpose sovrano. Come nel suo poema aveva  cercato di conciliare gli interessi del corpo con quelli dello  spirito sulla base della mutua indipendenza e correlazione,  cosi nel risolvere la questione dei rapporti fra i due poteri  egli mette in rilievo Fazione morale della Chiesa di fronte a  quella dello Stato, la cui attività si esplica sopratutto mediante  il diritto. Nel campo morale Dante, se si toglie qualche fugace  accenno ad una morale più larga e umana, si mantiene rigo-  rosamente stretto ai principi e alle dottrine scolastiche: ma  ciò non fa che accentuare viemeglio la sua indipendenza e  originalità di criterio nel trattare la natura del diritto in  ordine ai limiti e alle funzioni dello Stato. Dante più che  giurecons.ulto è filosofo del diritto (1); l'importanza della de-  finizione che di questo diede sfuggi forse a lui stesso, certo non  fu compresa dai contemporanei e dovettero passare molti se-  coli prima che per opera del Vico il suo concetto fosse raccolto  e sviluppato (2). Per Dante il diritto scaturisce dalle condizioni  sociali, esso è un « vinculum humanae societatis » inteso a  mantenere tra gli uomini associati l'equilibrio, che le inevita-  bili disuguaglianze umane tendono di continuo a rompere: esso  non ha origini soprannaturali, più che al perfezionamento del-  l'uomo singolo tende al progresso della società, di cui è norma  direttiva la legge, destinata ad attuare quel concetto di mi-  sura, di proporzione, di equilibrio che sta a fondamento del  diritto. Se da un lato Dante riconosce come precipuo scopo  della morale l'attuazione della virtù e nel suo poema si pro-     (1) Carle, Vita del diritto, 2» ediz., p. 234.   (2) Così Dante defiaisce il diritto : « las est realis ac persona lisbomiuia  ad hominem proportio, qino servata hominnm societatem conserva t, cor-  rnpta corrumpit ». (De Monarchia, II, 5). La legge è da lui deli n ita :  « regala directi va vitae »: (id. I, 16) — la ginstizia poi è, secondo Dante  € quaedam rectitado sive regala, obliqaam hinc inde abiiciens » (id. I, 18),     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     """^^mm^^^m.     a quelli deplorati da Dante in ordine alla confusione del po-  tere laico e religioso; tale corrispondenza accresce- valore ai  suoi argomenti, alle sue dottrine, le quali possono ancor oggi  utilmente concorrere alla soluzione della dibattuta questione.  10. — Il tentativo di Dante di gettar le basi di una filosofia  giuridica, non fu coronato da successo: fu l'opera di un genio  che precorre i tempi. Il seme però da lui posto, gelosamente  custodito per tradizione non interrotta, fu raccolto nell'età  moderna e concorse efficacemente allo sviluppo della filosofia  etico-giuridica italiana. Dopo lui, le due correnti ripresero  ciascuna la propria via; l'ostilità si fece più viva, le differenze  più profonde. I giuristi con Bartolo e Baldo si mantennero  sopra un terreno esclusivamente pratico, sdegnando le teorie,  e rifuggendo da qualsiasi tentativo di raccogliere a sistema  filosofico le loro idee. Libero rimase il campo alle teorie etiche  e giuridiche di S. Tommaso; la Chiesa dominando sovrana nel  campo dei fatti e in quello delle intelligenze fini per creare  intorno a sé una legislazione, una scienza e un'arte a base  teologica; sull'ordine religiosa si volle foggiare non solo  l'ordine morale, ma ancora l'ordine giuridico e sociale (1).  La teologia scolastica parve assorbire tutte le altre scienze  nella propria grandezza. Ma all'occhio dell'osservatore at-  tento non riusciva diffìcile scoprire nel seno stesso della teo-  logia, il germe della decadenza, dovutar alla esagerazione del  principio a cui si informava. Particolarmente dissolvitrice fu  l'opera dei Nominalisti nelle scienze morali. Essi erano i di-  fensori deU'indeterminismo etico, in quanto consideravano la  volontà assolutamente libera, non mossa né dalla ragione né  dalla divinità, e riponevano l'eccellenza morale nella confor-  mità tutta esteriore ai precetti religiosi e morali. Per tal modo  l'Etica cristiana si laicizzava, nonostante la proclamata ob-  bedienza assoluta in materia religiosa. Duns Scotus e Gu-     (1) Carle, op. cit., p. 239.     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     ^^^->-fr'     - 19 -   nasconde una nuova orientazione della mente umana di fronte  ai problemi della natura e della vita.   In ordine sopratutto alle scienze morali, il naturalismo e  Tumanesimo sono tra i prodotti più notevoli del Rinascimento.  La natura colla ricca varietà de' suoi fenomeni attrasse gli  spiriti irrequieti, infiammandoli di sé, e sottraendoli alla con-  templazione della vita celeste. La Scolastica aveva trascurato  e disprezzato lo studio della natura. Gli spiriti religiosi del  Medio Evo guardavano alla natura con un senso di misterioso  terrore, quasi presagissero il pericolo che dal penetrarne i  misteri potesse derivare alle loro credenze. Ma per Tuomo  moderno lo studio della natura fu la palestra nella quale  prima si addestrò all' infuori del campo chiuso della Scola-  stica: tale studio doveva pertanto assumere particolare ca-  rattere antireligioso e antiteologico: aprendo la via alle in-  venzioni e scoperte, costituiva un grave pericolo per il prin-  cipio di autorità e per la rivelazione.   L'umanesimo accenna alla profonda modificazione che il  poncetto dell'uomo, della sua natura, della sua finalità subiva  nel Rinascimento. Il corpo rivendicava impaziente i suoi di-  ritti da secoli conculcati; le soddisfazioni dei sensi non tro-  varono più alcun ritegno; un senso nuovo di umanità si diffuse  in aperto contrasto coU'ascetismo medievale ; la vita terrena  non più coordinata colla futura, cessò di apparire un mezzo  per acquistare una finalità sua propria. Il desiderio di vivere  in un mondo le cui bellezze si svelavano sempre più attraenti  allo sguardo, di soddisfare stimoli a lungo repressi opperò  indomiti, il ridicolo gettato a larga mano sulle idealità che  avevano formato la delizia del Medio Evo, finirono per dar  vita al sensualismo morale, più che esposto nei libri pra-  ticato nel fatto, al quale non riusci a sottrarsi neppure la  Chiesa. L'Epicureismo nella sua parte meno nobile, e nel suo  significato volgare, divenne l'ideale morale del Rinascimento.  Quest'ultimo trovò nello stato delle coscienze un terreno pre-  disposto al suo sviluppo, opperò si comprende come la morale,     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     - SI -   13. — Le idee morali che si generarono dalla Riforma e  dal Rinascimento non furono nel secolo XVI raccolte a sistema  filosofico: ciò in parte si deve alla Chiesa di Roma che dopo  di avere riformato sé stessa, iniziò un movimento di reazione  contro lo spirito del Rinascimento e il moto protestante, in  parte si deve allo spirito non meno intollerante ed ascetico  delle nuove confessioni religiose. Gli audaci tentativi di pen-  satori forti e originali, quali il Telesio, il Bruno, il Campanella,  furono soffocati: ad essi rimase la gloria di esser stati i pre-  cursori perseguitati e incompresi dei- metodi e dei sistemi filo-  sofici dell'età moderna. L'Etica fu soprafatta dallo spiritualismo  risorgente, e rimase asservita alla-religione: il protestantesimo  non fece che ribadire tali vincoli e ritardarne l'emancipa-  zione. Le voci che invocavano per la morale un'esistenza indi-  pendente dalla religione non mancarono. Montaigne e Charron  in Francia, il Bruno in Italia pensarono e scrissero in tal  senso, ma passarono per sovvertitori della religione e della  morale e i loro sforzi, rimasti isolati, non esercitarono azione  efficace sul progresso scientifico della morale. Su quest'ultimo  esercitò un'influenza diretta e decisiva il rinnovamento delle  scienze giuridiche, le quali nel costituirsi a scienze filosofiche  indipendenti attrassero nell'orbita loro la morale, sottraendola  cosi lentamente all'azione della religione e preparandone la  definitiva emancipazione.   Nel Medio Evo non si era formato un diritto filosofico di-  stinto dalla morale, e le scienze giuridiche propriamente dette  si riassumevano nell'opera dei pratici intesa a piegare la  norma di diritto romano agli usi, consuetudini, statuti che la  scomposta vita medievale aveva generato: ma tale lavoro di  adattamento a misura che i tempi progredivano, e le condi-  zioni sociali si modificavano si faceva sempre più diffìcile e  ingrato. Col Rinascimento sorge tutta una nuova schiera di  giureconsulti che il Vico chiama filologi: non distratti dai  bisogni della pratica, essi si preoccuparono solo di far rivivere  il diritto romano nelle sue fonti e ne' suoi testi antichi, che     Digitized by VjOOQ IC     - 2à —   )0 e degli interpreti avevano profondamente  di revisione e di ricostruzione storico-filo-  >mpiuta, segnò un'era nuova negli studii di  la se fu di grande giovamento alla conoscenza  fonda dei testi dell'antico diritto, essa scre-  do dei pratici, accentuando la discrepanza tra  e le condizioni nuove di vita sociale, rendeva  3rso a nuovi principii giuridici. E questa era  >nza finale a cui portava la Riforma combat-  e teocratiche della Chiesa e la sua azione  30 e sociale. Ma più che tutto fu stimolo de-  tudio filosofico del diritto la formazione degli   toria della convivenza sociale il Medio Evo  jeriodo di transizione dalla Città antica allo  lotto un aspetto esso fu un crogiuolo in cui   si venne dissolvendo ne' suoi elementi pri-  un altro aspetto fu un periodo di incubazione  •ma di convivenza sociale. Il feudo prima, il  versi per origine, costituzione, carattere si  -zionarsi della sovranità in un numero grande  azioni politiche, che di fatto vivevano di vita  idente. Dai feudi e dai municipii in perpetua   vennero svolgendo gradatamente organismi  t seconda della prevalenza dell'elemento feu-  5, si dissero contee, signorie, principati. Queste  associazione politica in Italia si mantennero  3 prepararono l'asservimento allo straniero;  bissate e abbattute dal potere regio risorto,  ritto di sovranità. Dall'azione concorde del  polo si formarono pertanto gli Stati moderni,  itrati e con carattere nazionale. 4c Lo Stato   il Carle (1), occupa un posto di mezzo fra il   t., p. 276.     Digitized by VjOOQ IC     - 23 -*   particolarismo del Medio Evo, rappresentato dai feudi e dai  municipii, e il cosmopolitismo della Chiesa e dell'Impero».^  Sorto nelle lotte tra la Chiesa e T Impero, lo Stato moderno  si mantenne ugualmente lontano dalle dottrine teocratiche e  dalle tradizioni romane. Né le une nò le altre potevano effi-  cacemente concorrere al lavoro di organizzazione interna, di  unificazione legislativa, giudiziaria, amministrativa dello Stato:  del tutto insufficienti apparvero quando si pose il problema dei  rapporti di reciproca convivenza fra i diversi Stati, sorti dallo  sfacelo dell'unità medievale. In occasione di esso sorsero i  giureconsulti filosofi^ e i primi sistemi di filosofia del diritto.  15. — La violenza, l'astuzia, la frode, come servirono a  formare gli Stati moderni, cosi costituirono l'arte di governo  a cui principi e sovrani apertamente ricorsero per consolidare  e conservare il potere, il Macchiavelli fu maestro insuperato  di questa politica violenta e immorale che si inspirava solo  alle dure necessità dei tempi. In ogni epoca l'intelletto umano  traviato dall'ambiente e dalle condizioni di vita esteriore, si  rigenera e si apre nuove vie astraendo dalla realtà, rifacendosi  a certi principii generali che rimangono pur sempre patri-  monio inalienabile della natura ragionevole dell'uomo. La  ragion naturale fu la fonte da cui i giureconsulti filosofi tras-  sero nel 500 norma e criterio a regolare la vita degli Stati.  Si venne per opera loro formando una scienza nuova, detta  del diritto naturale la quale, nel suo comparire, parve ricon-  nettersi ai concetti del jus gentium, e del jus naturale ela-  borati dai giureconsulti romani nell'ultima fase di sviluppo  dell'antico diritto. L'espressione « jus gentium » significò dap-  prima presso i Romani i principii di diritto che il magistrato  era chiamato ad applicare quando non essendo comune alle  parti in causa la qualità di cittadino romano, era inapplicabile  lo «jus civile »; praticamente comprendeva i principii di diritto  comunemente ammessi e riconosciuti da tutti i popoli coi quali  1 Romani erano più a contatto (1). Lo jus gentium non aveva il     (2) Bitohiei Naturai righta, London 1895, p. 37 e seg.   Digitized by VjOOQ IC     - 24 -   3 determinato del jus civile : applicato sopra  argo, regolando rapporti più complessi doveva  ispirarsi all'equità e nel fatto accostarsi al  e dì natura, che i Romani avevano appreso  eca. Lo jus gentiuni fini per confondersi col jus  colTestensione progressiva della cittadinanza,  e differenze politiche tra le varie parti del-  sto xeanQ a comprendere popoli diversi per  li, leggi : allora si formò nel seno dei giure-  etto largo e generale del jus naturale che Ul-  r. quod natura omnibus animalibus docuit (2) »  generalità e indeterminatezza era suscettibile  iplicazione. In Roma quindi lo jus naturale fu  ossario delle speciali condizioni politiche dei-  si svolse per gradi dal jus civile e dal jus  etti di jus gentium e di jus naturale risorgono  carattere e significato diverso. Nel 500 lo jus  come in Roma la generalizzazione del diritto  appresenta da un lato un indirizzo di riforma,  lisce una fonte di diritto affatto nuova, che il  i rapporti fra gli Stati, da poco tempo costi-  saria. Epperò lo jus naturale fu dapprima invo-  i rapporti di pace e di guerra fra i vari Stati,  gentium, che corrisponde solo di nome al jus  nani, e che meglio potrebbe chiamarsi un jus  azionale. Questo nuovo jus gentium aveva ca-  ie in quanto le sue norme si inspiravano ai  a retta e illuminata ragione voleva applicati  i diversi Stati. Se non che lo jus naturale pur  tosse da rapporti di carattere pubblico inter-  iva un nuovo metodo nel campo delle scienze  ava le basi filosofiche del diritto, e fini per  ipo del diritto privato, sottoponendone a re-   I, 2.     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     — 36 -   morale stessa. Il perfezionamento deiruomo-individuo  iteressa cosi come interessano le questioni attinenti la  olitica e giuridica degli Stati: la vita contemplativa  di apparire come l'ideale della perfezione, e si cominciò  ire la necessità di formare più che l'uomo, il cittadino,  l'uomo nella pienezza de' suoi diritti civili e politici :  moriva lo svolgersi delle dottrine giuridiche, così come  icuranza degli interessi terreni favori nel Medio Evo  fezionamento interiore dell'uomo, da cui si svolge la vita  3. Né solo ad una inversione del rapporto tra morale e  ) assistiamo nel passaggio dall'Evo medio al moderno,  l una totale confusione di criterii e di principii tra le  3ienze: nel Medio Evo la confusione si avvera a tutto  ^io della morale, nel 500 assistiamo al sacrificio di  ultima agli interessi del diritto. Tutte le opere sul di-  laturale presentano uno spiccato carattere di indistin-  fra la morale e il diritto, e ben può dirsi in linea ge-  ) che la scuola metafisica non riuscì a distinguerne  aente i rispettivi dominii, malgrado gli sforzi fatti da  ) de' suoi più celebri rappresentanti.  — Pure anche la scuola metafisica ha la sua impor-  nello studio dei rapporti tra morale e diritto. Sorta in  zione allo spìrito teologico, essa raccolse anzitutto i suoi  nel trovare alle scienze morali una base indipendente  religione. Era questo compito delicato e difficile, se si  alla natura della questione, all'opposizione vivissima  diverse Chiese, cattolica e protestanti, mossero a quanti  ano in dubbio il loro diritto a regolare la condotta, alla  one grande delle tradizioni spiritualiste, che nell'età  na trovarono nuovi e autorevoli rappresentanti. Né qui  5stò l'opera della scuola metafisica : essa affrontò la que-  dei rapporti tra morale e diritto, che teologi e cultori  ritto naturale continuavano per cause diverse a mante-  confusi: essa si rese esatto conto delle conseguenze ul-  che datale indistinzione potevano derivare nel definire  ti dell'azione dello Stato.     Digitized by VjOOQ IC     • e*     - 27 -   Il modo di intendere l'uomo e la sua natura può assumersi a  criterio di classificazione dei diversi indirizzi che in ordine al  rapporto tra morale e diritto sorsero in seno alla scuola metafi-  sica. Il Grozio e la sua scuola traggono dalla natura socievole  dell'uomo il fondamento delle loro concezioni etico-giuridiche:  nella storia del rapporto tra morale e diritto essi rappresen-  tano l'indirizzo giuridico più che filosofico, ma il concetto da  cui movevano se giovava agli interessi del diritto, disconosceva  le energie intrinseche dell'uomo da cui si svolge la vita mo-  rale. Hobbes e in genere i filosofi inglesi fondano la distinzione  tra morale e diritto sulla natura egoistica dell'uomo, e rap-  presentano l'indirizzo utilitario e individualista. L'indirizzo  cartesiano, che culmina in Emanuele Kant, eleva e nobilita  la ragione umana, la quale cerca in sé stessa un precetto  categorico e assoluto, che possa esser posto qual fondamento  all'edifizio morale e giuridico. Da ultimo questi diversi con-  cetti, entrando come elementi costitutivi della filosofia francese  del secolo XVIII, gettano le basi di una filosofia sociale, da  cui traggono vita e significato la morale e il diritto. Questi  diversi indirizzi derivano il loro carattere metafisico dal con-  cetto imperfetto o parziale, che si formano della natura  umana: con tutto ciò si collegano strettamente colle vicende  storiche e politiche dei tempi e dei paesi che li produssero:  più particolarmente essi preparano quelle premesse teoriche  che la Rivoluzione francese cercherà tradurre nella realtà.     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     — 29 —   analizzata nella .sua essenza, ne' suoi elementi costitutivi, essa  parve fornire i principii atti a regolare la vita degli individui  e degli Stati : tali principii, superiori alla volontà degli uomini,  non soggetti alle mutevoli vicende storiche, trovavano nell'or-  dine stesso delle cose create la loro base salda e incrollabile.  Si andò cosi generalizzando il concetto del diritto naturale,  espressione ultima dell'ordine dell'universo nel campo dei  rapporti individuali e sociali. Mira costante dei cultori del  diritto naturale fu di risalire, mediante un processo di astra-  zione rigorosamente applicato, dall'uomo storico quale nella  realtà si presenta co' suoi vizii, abitudini, pregiudizii, tradi-  zioni, costumanze all'uomo naturale, quale appariva al lume  di una ragione illuminata, spogliato delle qualità e determina-  zioni successive che sono l'opera lenta ed inevitabile del  tempo e della storia: l'uomo naturale venne pertanto a con-  trapporsi all'uomo storico, come l'ideale al reale, l'astratto al  concreto, l'universale al particolare, l'assoluto al relativo. Si  comprende allora come il diritto dovesse intendersi, l'insieme  delle norme e delle facoltà spettanti all'uomo naturale, e a  somiglianza di questo dovesse considerarsi assoluto, immu-  tabile, universale, in contrapposto al diritto storico, quale era  inteso dai giureconsulti pratici e filologi.   La ricostruzione dell'uomo naturale dischiuse la via alla  concezione dello stato di natura; si ricostruì l'uomo collet-  tivo cosi come si era fatto per l'uomo singolo. Le tristi condi-  zioni politiche del 500 parvero giustificare la credenza in una  profonda alterazione della società umana quale là natura e la  ragione consigliavano, opperò fecero sorgere il concetto di  una società ideale, riunione di uomini regolati nei loro reci-  proci rapporti dalle norme del diritto naturale e contrapposta  alla società storica e reale.   Nel concetto largo e indeterminato che dell'uomo e dello  stato di natura si formarono i giureconsulti e i filosofi del 500,  noi possiamo riscontrare la causa originaria della confusione  tra morale e diritto. Questi due concetti a misura che si allon-     Digitized by VjOOQ IC     — 30 —   realtà storica tendono a confondersi in una  iella quale scompaiono le differenze specifiche,  ridica, quando si derivi non dal concetto di  aimente organizzata, ma dall'uomo individuo e  ira, facilmente assume forma e contenuto etico,  natura, concepito all'infuori di ogni organizza-  generava rapporti di carattere morale più che  •iva lo svolgersi di doveri più che di obbliga-   iparsi del diritto naturale furono non i filosofi,  iulti. Trionfando dei tentativi e delle incertezze   Ugone Grozio iniziava il nuovo indirizzo nello  tto. Contro di lui uscirono dal seno della Chiesa  sitori, di cui fu mira costante la conciliazione  eriche sul diritto naturale colle dottrine reli-  ali. Nelle vicende di queste due scuole, si rias-  ione giuridica nelle scienze morali,  in cui visse ed esplicò la sua attività Ugone  il periodo delle lotte religiose e dei contrasti   quali gli Stati moderni parvero uscire rifatti  alle fondamenta. Tutto si rinnova nel periodo  chiude colla pace di Westfalia; il lavoro di  liversi elementi dapprima contrastanti, è com-  i di guerra, l'arte di governo, si trasformano  geniale di uomini quali il Richelieu, Gustavo  ). Al succedersi non interrotto di uomini illustri  la politica nel campo dell'azione, fa riscontro   pensiero la prevalenza quasi esclusiva degli  se politiche e sociali. Ugone Grozio ha un'im-  jerto minore di quella dei grandi dell'età sua,  iicU et comaais utilitatis causa sociatus ».     Digitized by VjOOQ IC     — 35 —   della norma proposta per farla considerare giuridica. Né meno  profondamente radicata era l'idea che la vita morale si con-  centrasse nell'individuo, al cui perfezionamento interiore do-  veva sopratutto mirare: opperò era naturale la tendenza a  considerare come giuridica ogni norma diretta a regolare  rapporti esterni sorgenti tra gli individui, o tra questi e lo  Stato, o sopratutto tra Stati diversi, senza por mente che  tali norme si traevano da quello stesso principio, da cui in  epoca non di molto posteriore altri avrebbe derivato la vita  morale.   Grozio pur assecondando l'indirizzo generale favorevole alle  costruzioni astratte, tradisce la naturale tendenza del suo  ingegno verso gli studii giuridici ; egli riconosce l'importanza  decisiva della tradizione e dell'autorità nel determinare i rap-  porti di natura giuridica, intravede la distinzione tra morale  e diritto quando osserva che la morale è inseparabile dalla  religione (1) e là ove parla di un diritto nel suo vero o stretto  senso {eius juris qvtod propìzie tali nomine appellatur) e di un  diritto in un senso improprio, che noi meglio faremmo rien-  trare nel campo della morale (2). Ancora distingue Grozio tra  ciò che è dovuto per debito di giustizia e ciò che è dovuto  per motivi di liberalità, misericordia, affetto, ossia per obbligo  morale (3). Il dominio di sé e dei propri appetiti costituisce  per Grozio un obbligo che non può imporsi né per forza d'armi.     (1) Op. oit. Proleg. $ 2, n. 2: altrove osserva ohe le verità del diritto  sono tali ohe anche l'ateo è costretto ad ammetterle e praticarle.   (2) Cfr, Op. cìt. Proleg. $ 8, 9, 10: al $ 44 dice: « cum injtistitia non  aliaju naturam habeat qnam alieni umrpationem ecc. ». Con tale espres-  sione Grozio coglie la vera uatnra del giusto e delP in giusto.   (3) Cfr. Op. cit. Lib. Il, e. ir, $ 16: « Illud quoque sciendum, si quia  quid debet non ex justitia propria sed ex virtute alia, puta liberalitate,  gratia^ misericordia, dilectioue, id sicut in foro exigi non potest, it^ nec  armis depoaci ». — Altrove (Op. cit. Libro II, e. vii, $ 4) fa rientrare  il dovere di allevare i figli nella sfera del diritto in seuao ampio, oasia  della morale. Si noti che Grozio non parla nell'opera sua di doveri : il  ano silenzio prova ch'egli li escludeva dal campo della filosofia giuridica,  e li considerava appartenenti alla religione o alla morale.     Digitized by VjOOQ IC     v:*^^^     — 36 —   irtù di legge. L'adempimento di tale obbligo, se può  nella sfera del diritto naturale largamente inteso,  interessare che indirettamente l'ordine giuridico-  )onde si vede che Grozio intuì le esigenze della vita  e tra i cultori di diritto naturale solo seppe evitare  :uenze estreme, a cui conduceva l'applicazione del  azionale in ordine al diritto, meritandosi giustamente  il nome di giureconsulto del genere umano,  tezza che Grozio dimostra nel distinguere la morale  to, si riflette nella determinazione dei rapporti tra  ) e Stato. Secondo la dottrina di Grozio lo Stato non  istenza e una realtà propria, distinta dagli individui  impongono: esso deriva la sua esistenza da un patto  volontario che gli uomini, seguendo i dettami della  stringono tra di loro per conseguire gli scopi propri  )cietà razionale, la pace e la sicurezza (1). Di qui  zione di uno Stato immutabile ne' suoi diritti e nelle  igazioni, la cui opera è intesa ad attuare l'utile co-  bene pubblico. Pur riconoscendo il carattere astratto  irio di tale concezione, non può negarsi l'idea feconda  ssa si conteneva, esser lo Stato distinto e indipen-  Llla persona del Principe. Fondando la Stato sopra  3 razionale e immutabile, scuotendo dalle fondamenta  e comune al suo tempo che lo personificava nel prin-  )zio sottraeva lo Stato alle vicende dei governanti,  lastie, delle forme di governo; determinando i limiti  lizioni per l'esercizio della sovranità, egli pronunciava  ,nna della tirannide e dei governi assoluti (2).  Grande pertanto viene ad essere l'importanza di Grozio  )ria delle scienze morali. Per apprezzarlo al suo giusto     Op cit. Proleg, $ 15, 16 ove P A. afferma che il patto origiuò  civile e la società civile.   Op. cit. Libro II, e. iv, ove tratta della coudizioiie giuridica  ;i, e sopratutto il capo XIV in cui parla dei doveri e obblighi  pf, ecc.     Digitized by VjOOQ IC     - 37 -   valore bisogna tener conto della condizione creata alla Chiesa  e*airimpero dai tempi nuovi. Le dottrine della Chiesa inspi-  rate alle massime evangeliche mal potevano piegarsi a rego-  lare rapporti d'indole politica. Lo Stato moderno era sorto in  opposizione ai principii ecclesiastici, e svolgevasi all'infuori  dell'azione morale della Chiesa, la quale manteneva ancora  incontrastato il suo dominio nell'intimità delle coscienze in-  dividuali. E coir autorità della Chiesa nei rapporti sociali  era venuta meno l'autorità dell'Imperatore, che in altri tempi  personificava in sé l'ordine sociale e politico ed era chiamato  giudice supremo delle controversie tra i popoli cristiani. La  teorica dell'illimitata volontà del sovrano in materia giuridica  e politica andava radicandosi ed estendendosi ovunque : essa  portava alla separazione assoluta tra morale e diritto, al trionfo  dell'utile, dell'egoismo, e apriva la via alla tirannide più o-  diosa. I popoli venivano ad esser abbandonati all'arbitrio del  Principe, e la forza e la violenza diventavano sinonimi di  diritto e di giustizia. Grozio che sentiva vivo nell'animo il  desiderio dèi bene, l'amore alla libertà e alla giustìzia, si levò  con tutta la vigoria del suo intelletto contro il diffondersi di  tali teorie : alla volontà illimitata di principi increduli e spre-  giudicati égli oppose l'autorità eterna e immutabile della ra-  gione: all'egoismo imperante nei rapporti tra sudditi e sovrano,  e dei popoli tra loro, egli oppose la concezione di un diritto  e di uno Stato naturale, derivati dall'umana natura: nella  guerra stessa egli mostrò come le leg^i non rimangono mute.  I popoli moderni devono pertanto riconoscere in Grozio il  primo autorevole difensore dei loro diritti, e delle loro libertà :  come tale egli precorre i razionalisti del secolo scorso, ma di  essi non conobbe le esagerazioni: passando dalle concezioni  teoriche alle applicazioni pratiche, egli ammise e adottò tem-  peramenti, pei quali si rileva giureconsulto e uomo d'azione.  24. — Grozio esercitò una notevole influenza sullo sviluppo  ulteriore delle scienze morali : egli aveva fatto convergere nel  suo sistema due indirizzi diversi, l'indirizzo filosofico razionale,     Digitized by VjOOQ IC     — 38 —   amente giuridico, derivata dalla storia  sti due indirizzi, il primo più rispon-  e intorno a sé più numerosi seguaci,  va per il momento eclissarsi, e confon-  [uelle della scuola storica, che solo più  irsi nel campo delle scienze morali. Tra  nente si inspirarono alle dottrine di  e Samuele Pufendorf. Egli appartiene  secolo XVII, quando l'era delle lotte  e il periodo della formazione degli Stati  imente tramontato. La questione dei  Stati aveva perduto di attualità e di  L considerare nella coscienza dei popoli  ipii proclamati da Grozio. Maggior in-  estioni attinenti la sovranità, la costi-  li Stati, i rapporti tra i sudditi e il  del diritto. Pufendorf si propone ap-  lla parte del sistema di Grozio, che  in forma di prolegomeni all'opera sua;  originale, ma di svolgimento e di siste-  tro questi confini Pufendorf riesce in-  : di Grozio egli svolge il lato filosofico  uridica, e disconoscendo la distinzione  le nel sistema di Grozio era adombrata  3nuta: subisce l'influenza de' nuovi in-  i all'epoca sua si erano affermati nelle  generale per opera di Cartesio, nelle  colare per opera di Hobbes e di Spinoza,  ja tenta senza riuscirvi l'applicazione  ) allo studio del diritto naturale (1), e  jolutiste subisce l'influenza di Hobbes,  li combatterlo e di far trionfare le idee     la jìiris unìversalìs methodo mathematlcaf Hagae     Digitized by VjOOQ IC     — 39 —   Per Pufendorf Toiiesto e il giusto, che sono gli elemei  generatori della vita morale e giuridica, non hanno esisten  obbiettiva: sono qualità soggettive inerenti non alle cose i  alle azioni, in quanto queste si conformano alla legge pi  scritta dalla volontà di un superiore, il quale viene pertar  ad essere la fonte della vita morale e giuridica (1). Morale  diritto hanno comuni le origini, e la natura : la morale este  ai rapporti sorgenti tra le persone diventa giustizia, la e  osservanza non pur esteriore, ma intrinseca costituisce  dovere (2). Con Grozio ammette l'ipotesi dello stato di natui  concepito all'infuori di ogni istituzione civile, nel quale le leg  della condotta sono imposte dalla ragione in conformità al  natura socievole dell'uomo, da cui scaturisce il principio g  neratore del diritto naturale, e tutta la serie dei doveri e  l'uomo ha verso sé stesso (3). Necessità egoistiche di sicurez  più che naturali sentimenti di benevolenza hanno indotto {  uomini a uscire dallo stato di natura, a stringere un co  tratto da cui trae origine la società civile, la legge positi^  lo Stato (4). Nella società civile fonte della morale e del (  ritto è la volontà del principe (5): in questa parte Pufend(     (1) Cfr. Pnfe^idorf : Dejure naturae etgentium (1672). Libro I, e. 2, $  « Honestas sive necessitas moralis et tarpitudo suut affectiones actiom  huiuaDarum, ortae ex couvenientia aut disconveuientia a norma seu le[  lex vero est inssum superioris ; non apparet qnomodo honestas aut ti  pitndo intelligi possit ante legeni et citra snperìoris impositionem »  Cfr. anche Lib. I, e. vi, $ 4 : € lex est decretum quo snperior sibi snbìecti  obligat ». Cfr. anche id. id. $ 6 e seg.   (2) Cfr, Pufendorf, Op. cit. Libro I, e. vii, $ 3 e per il conce  della giustizia cfr. id. id. $ 6, 7 e seg.   (3) L'A. tratta dello stato di natura nel Libro II, e. il, Op. cit. Vllo Stato (2). Cosi se da un lato disconosce completamente   natura del diritto, trasformandone la dottrina in una dot-  ina dei doveri dell'uomo, dall'altro fa della volontà del so-  dano la fonte di ogni obbligazione morale e giuridica col  Lcrificio incondizionato dell'individuo e delle sue naturali  ndenze agl'interessi dello Stato.   25. — Al Pufendorf spetta incontrastato il merito di aver  lCCoUo a sistema il materiale che da ogni parte sulle orme   Grozio si era andato accumulando: quindi in lui i caratteri  onerali e le conseguenze ultime dell'indirizzo che mette capo  Grozio e che sul continente trovò largo seguito di cultori,   manifestano nelle forme più spiccate. Studiando Pufendorf  )i possiamo misurare tutta là portata scientifica e pratica  dio stqdio sul diritto naturale, il quale costituisce la scienza  iciale dell'epoca, intorno alla quale gli spiriti nuovi, deside-  »si di riforme si raccolgono per tentare la soluzione dei più •  ariati problemi religiosi, etici, politici. Si viene pertanto  aturando nel campo delle scienze morali una rinnovazione  laloga a quella^ che si andava dispiegando nel campo delle  ienze fisiche e naturali. Nella storia del diritto naturale,  :*ozio rappresenta la mente inspiratrice, il Pufendorf la mente  ►ordinatrice. Si comprende allora come in Pufendorf dovesse  jcentuarsi la confusione tra morale e diritto. Anch'egli di-     ci) Op. cit. Libro VII, e. i, $ 3 o sopratutto $ 4.  (2) Op. cit. Libro VII, e. il, } 8.     Digitized by VjOOQ IC     - 41 -   stingue tra « forum internum et exteriium », ma quello abban-  dona alla teologia e fa materia della filosofia giuridica il vasto  campo del forum externum ossia della condotta in generale  ne' suoi rapporti esteriori (1). Nell'estensione assunta dalla  scienza del diritto naturale, svoltasi all'infuori della religione  e sopra basi razionali, tendente a quella costanza e immuta-  bilità, che in altri tempi attribuivasi alle manifestazioni della  volontà divina, si nascondeva un pericolo grave per l'avvenire  delle scienze morali. La confusione tra morale e diritto nelle  forme esagerate, ch'essa assume nei sistemi di Hobbese di Pu-  fendorf, minacciava risolversi nel fatto in una tirannia delle  coscienze per parte dello Stato, analoga a quella che in altri  tempi erasi deplorata per parte della Chiesa* Chi si rese per-  fetta coscienza del pericolo e corse al riparo fu Cristiano  Thomasius.   26. — Spirito irrequieto e veemente, ingegno satirico, sprez-  zante Thomasius ebbe la mania del nuovo, non però, come  spesso capita, del paradossale: che anzi il suo odio per gli  aristotelici, il suo disprezzo per la metafisica rappresentavano  in lui la reazione del senso comune contro il convenzionalismo  aristocratico della scienza ufficiale, le sottigliezze inutili e  dannose nelle quali il pensiero del suo tempo si perdeva; fu  sua mira costante rianimare la filosofia col contatto della  realtà, infonderle uno spirito nuovo, e sopratutto indirizzarla  ad uno scopo di utilità individuale e sociale (2). Era naturale  ch'egli si volgesse di preferenza verso gli studii di diritto  naturale, che rappresentavano l'indirizzo nuovo e nello stesso     (1) Vedi in proposito la critica severa che il Leìbuitz fa dei prinoipii  esposti dal Pufendorf, cli^ egli teneva in poco conto e come filosofo e  come giureconsulto. — Leibnitz : Opera, Ed. Dutens, Voi. IV, Parte in,  pag. 275 e seg.   (2) Thomasias (1655-1728) nel 1681 insognò matèrie giuridiche a  Lipsia : nel 1690 per sfuggire alle persecuzioni esalò a Berlino presso  l'Elettore Federico III, che gli offerse nel 1694 una cattedra all'Università  di Halle.     Digitized by VjOOQ IC     — 42 -   npo pratico della scienza filosofica. Anche in questo campo,  r non uscendo dall'indirizzo iniziato dal Grozio e continuato  1 Pufendorf, ebbe modo di dar prova del suo spirito originale.  \bbiamo di Thomasius due opere sul diritto naturale (1),  ritte a distanza di 17 anni, le quali misurano il progresso  to dal suo pensiero in questo periodo di tempo. Vissuto  i la fine del secolo XVII e il principio del nuovo, egli rias-  me quanto prima di lui si era fatto nel campo degli studii  iridici, e si fa eco delle tendenze nuove, da cui si gene-  rono riUuminismo tedesco e la filosofia kantiana. Nella  ima delle opere sopra ricordate noi possiamo scorgere tutta  ifluenza esercitata da Grozio e da Pufendorf sul suo pen-  iro: con essi concorda nel dare alla scienza del diritto  turale come fondamento la natura socievole dell'uomo sot-  lendolo ad ogni vincolo teologico (2), nell'accettare le finzioni  Ho stato di natura e del patto per la costituzione della sc-  ita civile (3), nel derivare, sull'esempio di Pufendorf, il  •itto dalla volontà di un superiore (4). Fin da questa prima  era Thomasius mostra di meglio comprendere la natura del  •itto, affermando recisamente che non si dà diritto fuori  Ila società, né società senza diritto (5) : ma non pone ancora  'suoi veri termini la questione dei rapporti tra morale e  'itto: ciò fece solo più tardi sotto la pressione di speciali  •costanze di fatto e per motivi pratici, che costituiscono la  usa intima e motrice di tutto lo sviluppo della sua dottrina.  27, — La Sassonia, in cui Thomasius viveva insegnando a  psia, era in quell'epoca teatro di aspri dibattiti religiosi,  protestantesimo attraversava in Germania una crisi labo-  )sa. Le lunghe, interminabili polemiche teologiche ne avevano     [1) InstUutiones jurisprudentiae divinoCj 1688. — Fundamenta juris naiurae  gentium ex sensu communi deducta ecc. 1705*   [2) Cfr. InstUutiones ecc. Libro I, e. iv, $ 55 e 63.   ;3) C(r, Institutiones ecc. Libro III, e. vi, $ 12, 26, 29 e seg.   [4) Op. cit. Libro I, e. i, $ 82.   [5) Cfr. Op. cit. Libro I, e. i, $ 100, 101.     1     Digitized by VjOOQ IC     — 43 —   profondamente falsato il carattere: la fiducia del popolo, la  influenza sul costume erano scosse, perchè non potevano con-  ciliarsi col dogmatismo arido, intollerante, scolastico, al quale  si era ridotta la vita religiosa. Si destò allora un movimento  di reazione, noto sotto il nome di « Pietismo » che ebbe a  primo legislatore se non a promotore lo Spener, e che propo-  nevasi di far rinascere il sentimento religioso nelle sue forme  schiette e popolari. Le lotte tra ortodossi e Pietisti, condotte  con un'acrimonia incredibile minacciavano risolversi iii moti  separatisti: gli eccessi di misticismo, a cui i Pietisti si ab-  bondonavano, provocarono l'intervento dei principi, partigiani  dichiarati degli ortodossi: si promulgarono editti di repres-  sione, e i Pietisti furono perseguitati, processati, condannati  come colpevoli di stregonerie: la tortura, l'inquisizione per  opera dei protestanti parvero ritornare in onore. Thomasius  prese parte attiva a questi avvenimenti: nel movimento pie-  tista egli vide il ritorno ad un sentimento religioso più vero  e naturale. I Pietisti e quanti erano accusati di malia tro-  varono in lui un difensore tanto più efficace in quanto alla  sua mente di giureconsulto tali processi costituivano altret-  tanti attentati alla libertà di coscienza, un'invasione della  pubblica autorità in campo che doveva considerarsi sottratto  all'azione punitiva. In occasione di tali fatti egli si rese conto  del pericolo derivante dalla mancanza del criterio distintivo  tra ciò che era di competenza della morale e ciò che rien-r  trava nella sfera del diritto. Tali idee maturarono nell'esilio,  a cui egli stesso andò incontro e si presentano in forma de-  finita nell'opera sul diritto naturale pubblicata nel 1705 (1).  28. — Thomasius nella sua tendenza al nuovo, ne' suoi  intendimenti pratici fu sotto molti aspetti benemerito della     (1) Thomasius combattè la tortura e i processi contro le streghe nel-  l'opera 4L De crimine magiae ». Federico II disse di lui che aveva riven-  dicato alle donne il diritto di vivere senza pericolo. La difesa dei Pietisti  e i primi accenni alla distinzione tra morale e diritto si trovjino nelVo-     Digitized by VjOOQ IC     - 44 -   filosofia tedesca. Prima di Kant egli intravide il nesso esistente  tra il problema conoscitivo, etico e giuridico: primo osò af-  fermare che la ragione non deve andar disgiunta dal senso,  e che solo la conoscenza dei fenomeni è fonte di certezza.   Nel rispettare ed accrescere l'essenza delle cose consiste  il bene, e la maggior felicità dell'uomo costituisce lo scopo  ultimo della morale. Nel concetto amplissimo di diritto natu-  rale Thomasius fa rientrare la morale e il diritto, ma nel  determinare il principio generatore abbandona Pufendorf, so-  stituisce al principio della socialità l'istinto alla felicità, e  ^ su di questo fonda il criterio di distinzione tra le due scienze,  di cui l'una tende ad attuare la felicità interna, l'altra la  felicità esterna (1).   Né solo per lo scopo diverso a cui mirano si distinguono,  secondo Tiiomasius, la morale e il diritto, ma anche e sopra-  tutto per la natura dell'obbligazione, la quale si presenta  nelle due scienze diversa per ciò che riguarda l'origine, l'og-  getto, i caratteri. L'obbligazione giuridica nasce dal comando  di un superiore, ossia trae la sua forza obbligatoria da una  forza esterna: l'obbligazione morale invece scaturisce dall'in-  timo della coscienza individuale, e più propriamente dall'ap-  prensione di un male o di un pericolo al quale l'agente si  espone nell'atto di agire (2).   In ordine all'oggetto, l'obbligazione giuridica si riferisce  solo a rapporti esterni sorgenti tra uomini uniti dal vincolo  di società. L'obbligazione morale invece ha una sfera di ap-  plicazione molto più larga: essa non solo comprende i rapporti  esterni, ma ancora gli interni che l'uomo ha verso sé stesso (3).     pera € Sai diritto dei principi evangelici neUe controversie teologiche ».  In questa parte non ho potato valermi, come mi valsi altrove, dell'opera  magistrale del Buffini sulla « Libertà religiosa ». Ed. Bocca, Torino 1901,  Voi. I, e. IV, $ 12.   (1) Cfr. Fundamenta ecc. Libro I, e. 4, $ 35 e sopratutto al e. 6, $ 21.   (2) Cfr. Op. cit. Libro I, e. 4, $ 58 e seg. e e. 5, $ 1 e seg.   (3) Cfr. Op. cIt. Libro I, e. 5, $ 17 e seg.     Digitized by VjOOQ IC     — 45 —   Precisando meglio il suo concetto Thomasius aggiui  oggetto dell'obbligazione morale possono essere Vhom  il decornun, mentre dell'obbligazione giuridica solo lo,  Sotto questi tre concetti rientrano tutti i doveri: Vhc  comprende i doveri che l'uomo ha verso sé stesso, i  riassumono nel principio di fare a sé quello che si à  altri faccia: il decorum e ìojusium abbracciano tutti  verso gli altri: ma di essi, i doveri di convenienza e  lenza rientrano nel decorwn, i doveri di giustizia nello,  11 diritto pertanto non solo non è ciò che di sua n  semplicemente onesto, ma neppure consiste in ciò e  sua natura semplicemente decoroso.   Da queste premesse deriva il carattere negativo e  dell'obbligazione giuridica, il carattere positivo e im  della obbligazione morale (1). Il diritto deve limitarsi a  quelle azioni che appaiono inconciliabili con una vita  ordinata: donde la necessità che abbia limiti fissi e celle sclei>ze fpotall.   SOMMABIO : 31. Bacone e saa posizione nella storia del pensiero ~ 82. Bac  e le scienze morali — 88. Etica e scienza civile in Bacone — 84. Il metod  Hobbes ^ 35. Hobbes e i suoi tempi — 86. Sistema etico-giuridico di Hot  — 37. Il rapporto tra morale e diritto in Hobbes — 88. L'opposizione a Hobi  Cumberland — 89. Locke e i suoi tempi — 40. Morale e diritto in Locki  41. Da Locib a Hume — 42. Humé e i suoi tempi — 48. Filosofia di Hum  44. Rapporto tra morale e diritto in Hume — 45. Adam Smith e sua im]  tanza — 46. Sistema etico-giuridico di Smith — 47. Conclusione.   31. — Bacone è il profeta della nuova epoca, è il Mosè e  ha dischiuso la vista della nuova terra promessa. Questo C(  cetto espresso dal Macaulay (1) non risolve la dibattuta qi  stione risguardante il posto che Bacone occupa nella sto:  del pensiero. A risolverla conviene considerare a parte Baco  e l'opera sua, Bacone e i suoi tempi, Bacone in rapporto a  sviluppo del pensiero scientifico e filosofico posteriore.   Considerata in sé stessa l'opera di Bacone racchiude un a  significato, come quella che, sotto un'apparente riforma  metodo, prelude ad un nuovo orientamento del pensiero, ad  rinnovamento radicale del sapere. Sotto tale aspetto Bacc  occupa un posto eminente non solo nella storia delle scien  come ritiene l'Adam (2), ma ancora della filosofia. Primo e  assorse al concetto tutto moderno e per l'epoca sua prematu  dell'unità dello scibile sulle basi della filosofia naturale r  novata dal metodo induttivo. Per Bacone l'unità del metod  correlativa all'unità della scienza, e questa è a sua volta  riflesso e il prodotto della unità che si ammira nella natu  Le scienze formano un tutto unico e continuo in cui le pa  si distinguono, ma non si separano; quando una reale se]  razione si verifica, la parte divisa isterilisce e muore. T;     (1) Cfir. il noto saggio del Macaulay (Lord Bacon, EssaySf ed. Tauchn  III, pag. 144-45).   (2) Ch, Adam, Philosojìhie de Francis Bacon, 1890, ed. Alcan, p. 4     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     — 51 —   secolo XVII sulla via tracciata da Bacone: non la scienza,  poiché il prevalere degli studii astronomici sullo studio delle  scienze naturali propriamente dette, fece preferire il metodo  geometrico al metodo strettamente induttivo di Bacone (1):  non la filosofia che segui un metodo soggettivo ed empirico  più che positivo quale era da Bacone indicato. Nell'azione di-  retta a scuotere il giogo della teologia ben si rivela Bacone  figlio dell'epoca sua, ma tra i dogmatici e gli scettici egli si  apri una via sua propria, che non fu né la razionale di Car-  tesio né l'empirica di Hobbes. Bacone è il vero precursore di  quella filosofia positiva, che il Comte doveva nel secolo XIX  opporre alle aberrazioni metafisiche (2); di ciò può. far prova  la sua dottrina etico-giuridica.   32. — Sotto l'aspetto speciale delle scienze morali Bacone ò  non fu preso in considerazione o non fu rettamente giudicato  sia per parte di coloro che vollero derivare da lui lo svolgi-  mento del pensiero etico inglese, sia per parte di quelli che  negano alle sue dottrine morali ogni valore. Ciò si deve in  parte a Bacone stesso il quale più che un sistema etico-giu-  ridico svolto nelle sue singole parti, ci lasciò l'abbozzo di un  sistema, il quale non attrasse mai l'attenzione degli studiosi,  mentre pur permetteva la ricostruzione intera del suo pen-  siero.   Due furono le preoccupazioni costanti di Bacone in ordine  alle scienze morali : sottrarle al dominio della, teologia e della  metafisica. Col Montaigne e col Charron egli ebbe comune lo     (1) Le scienBe naturali dopo le scoperte del Vinci, del Serveto, del-  l' Harvey, subirono un arrèsto nel secolo xvii di fronte ai notevoli pro-  gressi dell'astronomia e con essa delle scienze matematiche : la geometria  in particolare divenne per oltre un secola la scienza madre, alla cui in-  iSaeDza non seppero sottrarsi le stesse scienze morali. È noto che Bacone  fa fierapiente avverso all'estensione delle matematiche allo studio della  natura.   (2) Il Comte accennando all'unificazione del sapere come allo scopo  ultimo della filosofia posi ti vn^ e costretto a ricordare le geniali intuizioni  di Bacone {Cours de philoso^hie posUivef I, p. 50 e p. 59-60 ediz. 1869).     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     WTJ^^SfTT     — 53 —   sofi inglesi che lo seguirono, e solo può riconnettersi ai t  tativi fatti nel secolo XIX per dare alle scienze morali  fondamento positivo. Elemento generatore delle scienze moi  è per Bacone la natura, in ciò coerente al principio secoi  il quale la scienza della natura non solo è scienza madre  cui tutte le altre devono coordinarsi, ma in tanto ha valor  significato in quanto può servire a dar norma e indirizzo a  vita individuale e collettiva (1).   33. — Nella classificazione delle scienze posta da Bacoi  l'Etica e il Diritto rientrano nel largo campo delle sciei  relative all'uomo; ma mentre l'Etica è il ramo più nobile de  Filosofia umana, che studia l'uomo a sé, in quanto consta  elementi corporei e spirituali, il Diritto colla Politica cos  tuisce la parte fondamentale della filosofia civile, la qu  move dal presupposto dell'uomo associato e già eticamei  formato (2).   I rapporti e i limiti tra le due scienze sono in tal me  implicitamente segnati: l'Etica forma l'individuo, la Scien  civile mediante il diritto provvede alla prosperità e alla pi  interna di uno Stato : quindi differiscono tra loro per l'ogget  lo scopo, la sfera diversa in cui si svolgono. Niun dubbio e  il contenuto della scienza civile, risultando di elementi as$  varii e disparati, con grande difficoltà si lascia ridurre a le|     e abbia letto le sue opere. Certo conobbe Vanìni nel 1612 a Londra»  sopratntto apprezzò il Telesìo che chiama « amantem veritatis et scien  ntileni, hominam novoram primuin ».   (1) La decadenza della filosofia morale e civile è attribuita da Bacne notevole, per quanto non avvertita, nella  ndividuo segue suo malgrado il moto generale  cui riflette i sentimenti, le idee, le tendenze,  on può far assegnamento sull'azione di queste  Qè subisce i vincoli e le repressioni sociali  formazione dell'uomo interiore. Ancora l'Etica  ne interna dell'uomo, e sulla bontà dell'inten-  insiste: per la vita e per il progresso sociale  liformità esteriore degli atti alla legge, e per  D servire mezzi sensibili e materiali, l'uso dei   agli scopi della morale. Le proporzioni stesse  sua stessa perennità di esistenza, la comples-  iti che lo costituiscono sviluppano un gioco  Bazione, per cui le cause deleterie agiscono  3 insensibilmente: nei singoli individui, data  vita, e la costituzione più semplice del loro  ^uenze delle azioni disoneste si svolgono più  lutamenti nell'opinioni e nei costumi sono più  i. Per tal modo Bacone sotto colore di accen-  Ità diverse, contro cui l'Etica e la Scienza  ttare, tocca le differenze tra le due discipline,  apporti che corrono tra individuo e Stato. Le   devono tener conto delle condizioni variabi-  li vidui : le norme giuridiche valgono per l'or-  forme, perchè più vasto, dello Stato, e in esso     osserva Bacone (De Aug, Lìb. Vili, e, i) che Soggettò  è pili di ogni altro « materiae immersum^ ideoque  mata redncitur ».     Digitized by VjOOQ IC     ^ 55 ^   scompaiono le differenze dell'individuo, che è l'atomo della  vita sociale (1).   La stessa modernità di vedute Bacone dimostra nel trattare  a parte l'Etica e il Diritto (2). Dal modo di comportarsi degli  esseri in natura, egli trae la soluzione del problema teorico  relativo alla natura del bene (3). Ogni cosa in natura, esistendo  ad un tempo per sé e come parte di un tutto, tende a con-  servarsi, accrescersi, moltiplicarsi: cosi esiste per l'uomo un  bene individuale e collettivo; nello svolgere sé stesso e le  proprie facoltà in guisa da rendersi atto a far il bene del  tutto, di cui fa parte, sta la perfezione morale dell'uomo. De-  terminata la natura del bene, bisogna che l'uomo sia in grado  di raggiungerlo con una serie di mezzi, che solo può indicare  lo studio della costituzione psichica speciale di ciascuno,  variabile secondo i tempi, i luoghi, l'età, il sesso. In ciò  sta la morale pratica, nel trattare la quale il moralista deve  fare come il medico che studia il corpo umano per conoscerne  i mali e indicarne i rimedii. Lo studio del bene collettivo fa  parte dell'Etica non della filosofìa civile come a tutta prima  potrebbe p/irere. Finché prepariamo ed educhiamo l'uomo a  convivere in società, a preferire il bene comune al proprio,  la vita attiva alla contemplativa, noi non usciamo dai limiti  e dai compiti della morale (4). *     (1) I rapporti tra l'Etica e la Scienza civile sono svolti da Bacone nel  Libro vili, e. T, del De Augmentis.   (2) La dottrina etica di Bacone è contennta nel Libro VII del De Aug-  ìnentis : la dottrina giuridica nel lib. VIII, e. m, sopratatto nell' « Exemplum  iractatus de justitia universali; sive de fontibus juris > che è aggiunto come  appendice al libro Vili.   (3) Distribuisce Bacone la dottrina etica in due parti: l'una teorica  € de exemplari boni » tratta della natura del bene ; l'altra pratica « de  regimine et cultura animi » tratta delle norme atte a conformare l'animo  al bene : senza quest'oltima, la prima è come una statua « pulchra quidem  aspectu, sed motu et vita destituta » (De Aug. Lib. VII, e. in).   (4) In quella guisa che è cosa diversa fabbricare una macchina, e met-  terla in moto, così la scienza civile si distingue dalla dottrina del bene  coUettivo che conforma l'animo alla vita sociale.     Digitized by VjOOQ IC     — se-  nato moralmente l'individuo, entra in campo la Scienza   avente per oggetto l'uomo congregato. Nell'abbozzo fi-  lasciatoci da Bacone è la parte che presenta maggiori  3 e imperfezioni. Però nel trattare dell'azione dello Stato  ipporti interni fra i cittadini, azione che si esplica me-  ì il diritto, Bacone dà novella prova di larghezza e ori-  tà di vedute (1). Il diritto non è fine a sé stesso, ma   per procurare il benessere materiale e morale del po-  Nel trattare di legislazione Bacone dichiara dì voler se-  un metodo suo proprio, distinto da quello adottato dai  consulti filosofi e pratici, dei quali i primi fanno leggi  jinarie per stati immaginarli, i secondi sono schiavi  leggi e degli usi locali, non hanno la guida dei prin-  che è condizione di equanimità e sincerità nei giudizii.  :islatore deve conoscere la filosofia civile, e l'equità  ale da un lato, ed essere dall'altro esperto conoscitore  >stumi e dei bisogni del popolo, pel quale fa le leggi (2).  , varietà delle leggi può bene associarsi, secondo Ba-  alla loro unità, poiché sotto le moltiformi leggi degli  e dei popoli, non é difficile rintracciare certi principii  Lstizia costanti, su cui può elevarsi un sistema di legis-  le ideale, a cui tutte le leggi diverse si riconducono, e  i tutte discendono (3). Ma la sapienza del legislatore non  solo consistere nel conoscere e determinare le legum  ma ancora nell'applicazione della legge (4). Quest'aspetto   La dottrina deUo Stato è da Bacone distìnta in dne parti : Tiina  mo 8ive de repuhlica administranday l'altra de justitia universaUf sive  ihu8 juriSy ossia la parte politica e la giuridica (De Atig, Lib. Vili).  Xr. De Aug, Libro Vili in fine, ove dice: « philosopbi multa prò-  , dictn pulchra, sed ab usu remota. Jnrisconsnltì antem, suae qnisqne  leguin, yel etiam romanorum aut pontificiarum, placitis obnoxii,  sincero non ntnntnr, sed tanquam e vincnlis sermocinantur »'•  I!fr. De justitia univeì^sali, Aph. 6.   i La saggezza del legislatore, egli scrive, consiste non solo nellM-  li giustìzia, ma nella sua applicazione^ nel prendere in considera-  mezzi per i quali le leggi sono reso certo, le cause e 1 rimedi delle  Lcertezze ».     Digitized by VjOOQ IC     - 57 -   formale del diritto, trascurato dai fìlosofl del diritto naturale,  ,ha un'importanza nell'attuare gli scopi della giustizia, che non  sfuggi a Bacone; se vario è il contenuto delle leggi, la forma  è costante e può ridursi ad assiomi; se la perfezione delle  le^i non può facilmente ottenersi, almeno devesi cercare la  certezza coi mezzi formali. Là certezza è condizione neces-  saria per conseguire VaequUasjuris, ossia l'uniforme interpre-  tazione e applicazione della legge, da cui dipende la efficacia  e l'autorità del diritto sostantivo (1).   Poco meno di due secoli dovevano trascorrere prima che le  idee di Bacone fossero accolte e applicate: certo a principio  del secolo XVII erano premature. Bacone fece come colui che  avendo trovato una nuova via vi si slancia con entusiasmo e  la percorre rapidamente fino alla fine: ma gli altri per tal via  non lo seguirono come quella che contrastava troppo alle ten-  denze e ai metodi filosofici del secolo: ailcora la mente umana  non aveva condotto il metodo razionale alle sue estreme con-  seguenze per ricredersi, e porsi sulla via più modesta, ma più  sicura aperta da Bacone alle scienze morali.   34. — Hobbes fu chiamato il primo discepolo di Bacone : tale  filiazione intellettuale, sostenuta fra gli altri dal Kuno Fischer,  fu generalmente accolta: le stesse relazioni personali che cor-  sero tra Bacone e Hobbes parvero confermarla. Il Wundt stesso  fa dell' Hobbes un continuatore di Bacone nel campo delle  scienze morali (2). Studii più recenti vennero in opposto pa-  rere, a noi crediamo col Lange, collo Jodl, col Sidgwick, che  si debba negare qualsiasi rapporto di filiazione tra Hobbes e  Bacone (3). La diversità del metodo rispettivamente usato fu  ornai posta fuori di dubbio dal Lange e dallo Jodl (4). Il Lange   (1) Il criterio deUa bontà di una legge sta in ciò ch'essa sia « intima-  tione certa,' praecepto jnsta, executione commoda, cum forma politiae  congrua, et generans virtutem in subditis * (Ib. Aph. 7).   (2) Cfr. Wnndt: Ethik, Libro II, e. ni.   (3) Cfr. Sidgwick : Outlines of the history of Ethics, 2* ediz. London,  1888, p. 158.   (4) Cfr. Jodl: Gesc'xiichte der Ethik, Voi. I, 1882, p. 109.     Digitized by VjOOQ IC     ^ 58 ^   definisce il metodo di Bacone induttivo, quello dell' Hobbes  ipotetico-deduttivo, ossia cartesiano (1). Mentre il primo pro-  cede analiticamente movendo dall'individuo per elevarsi €\  genere e quindi giungere direttamente alle cause reali dei  fenomeni, salvo poi ricorrere alla deduzione per utilizzare e  generalizzare le verità discoperte, Descartes e sulle sue traccio  l'Hobbes procedono sinteticamente premettendo la teoria a  guisa di ipotesi, spiegando mediante essa i fenomeni, per  poi controllare la bontà della medesima facendo ricorso alla  esperienza, a cui spetta la pai'te principale e decisiva nella  dimostrazione. Ninna comunanza quindi di metodo tra Bacone  e Hobbes: entrambi ricorsero all'esperienza, ma Bacone vi  ricorse per elevare su di essa la scienza, Hobbes per con-  fermare la teoria, posta innanzi come ipotesi. Osserva il Lange  che il metodo ipotetico-deduttivo è assai più vicino al vero  processo seguito nello studio della natura che non quello  induttivo di Bacone (2): qualunque sia il valore di tale afferma-  zione, essa è vera pel secolo XVII, nel quale prevalsero l'astro-  nomia e le scienze matematiche. A questo metodo, prevalente  nel campo stesso delle scienze naturali, non ancora trasfor-  mato in razionale puro per opera dei fanatici seguaci di Car-  tesio, appartiene Hobbes. Questi contrariamente a Bacone  studiò ed apprezzò le matematiche: in istretto rapporto coi  tempi egli riconobbe e accolse senza restrizioni (ciò che non  fece Bacone) gli importanti risultati ottenuti nel campo delle  scienze naturali: e mentre a Copernico rivendicava l'onore  di aver fondato l'astronomia, a Galileo la fisica, all'Harvey la  fisiologia, sperava che altri potesse dire lo stesso di lui in  ordine alla filosofia politica. Come Cartesio egli mosse da un  presupposto teorico alla costruzione del suo sistema, e cercò  nella esperienza e osservazione fisiologica argomenti a sostegno  della sua teoria.     (1) Cfr. Lange: Histoire du matórialisme, 1877, Voi I, p. 249.   (2) Lange: Op. cit., Voi. I, p. 249.     Digitized by VjOOQ IC     p''yiHBI'PUV''^l-l'^. * — '•     - 5& -     35. — La filiazione tra Bacone e Hobbes come non e«i  I)el metodo cosi non esiste né diretta né indiretta per la (  trina. Se comune ad entrambi é l'avversione ai vieti pres  posti metafisici e teologici, nonché il sentimento di ribelli  all'autorità di Aristotele e la tendenza a secolarizzare  scienze morali, non per questo si può dire col Wundt  Hobbes continuò Bacone (1), ma solo che entrambi subir  le stesse condizioni generali dell'epoca, ciò che non impe»  Hobbes di elevare una metafisica di nuovo genere, div€  dall'antica teologica, ma non meno contraria alla filosofia  coniana. Ma se con Bacone subi l'influsso generale del ten  non da lui Hobbes trasse motivo e ispirazione a scrivere  cose morali e civili, ma direttamente dalle condizioni pa  colari dell'Inghilterra del suo tempo. Egli non assiste ind  rente e quasi ignaro come Bacone ai gravi rivolgimenti poli  e religiosi che agitavano il suo paese e che dovevano a\  una importanza decisiva sull'avvenire del popolo inglese:  vi partecipa direttamente, proponendo quella che a lui pa  la vera soluzione, e sopratutto richiamando sui problemi  rali, religiosi, politici l'attenzione degli studiosi e degli uon  di Stato che sotto l'influenza delle sue dottrine dovevano  vidersi in due campi opposti e ostili. E cosi mentre Bac  isolandosi dai suoi tempi non sollevò intorno all'opera proj  né le ire né le lodi dei contemporanei, Hobbes inspirandosi  suoi scritti direttamente ai fatti che prepararono la Gra  Rivoluzione inglese, esercitò un'influenza decisiva sull'i  rizzo e sullo sviluppo ulteriore delle scienze morali.   La rivoluzione che si andava maturando nell'Inghilt^  nella prima metà del secolo XVII, era ad un tempo ec(  mica, politica, religiosa; ma nelle sue diverse forme essa ]  presentava pur sempre l'emancipazione dell'individuo dai  coli che ne ostacolavano la libera attività. Proprio in (  secolo l'Inghilterra cessava di essere un paese esclusivam(     (1) Wundt: Op. cit., Lib. II, e. ni.     Digitized by VjOOQ IC     - 60 -   agricolo per divenire in un certo grado paese commerciale  e manifatturiero; la proprietà mobiliare frutto del lavoro si  affermava vigorosamente di fronte alla proprietà terriera,  nata dalla conquista: cadevano le corporazioni d'arti e me-  stieri, i monopolii, i privilegi; lo Stato cominciava a legit-  timarsi in proporzione della libertà e dei vantaggi che de-  rivavano all'individuo (1). L'individualismo economico metteva  capo all'individualismo politico: una trasformazione in senso  democratico dello Stato si rendeva oramai inevitabile; a mi-  sura che la coscienza della propria forza si diffondeva nella  classe media lavoratrice cresceva l'avversione contro il lusso  smodato di Corte, contro le arbitrarie imposizioni, contro le  indebite ingerenze dello Stato, di cui volevansi ridotte al mi-  nimo le funzioni, e si voleva controllata l'azione nei rapporti  coi cittadini. L'individualismo economico e politico traeva  nuova forza dalle credenze religiose sorte dalla Riforma Pro-  testante. Il Calvinismo penetrato in Inghilterra nella sua forma  più rigida, aveva prodotto i Presbiteriani scozzesi, e i Puri-  tani inglesi. Era appunto nell'essenza del Calvinismo demo-  cratizzare le credenze religiose, porre l'uomo in rapporto di-  retto colla divinità, farne l'interprete della legge e della vo-  lontà divina, senza bisogno di intermediarii, che facevano ser-  vire la religione a scopi ambiziosi e politici.   Il trionfo dell'individualismo nelle sue diverse forme non  fu senza contrasti: esso lottò contro le tendenze reazionarie  e assolutiste del potere regio che ebbe ad alleata docile e  passiva la Chiesa anglicana o episcopale. Non rimasero i forti  pensatori dell'epoca estranei e indifferenti alla lotta: tra tutti  si distinse l'Hobbes, la cui dottrina concepita quando più acca-  nita ferveva la lotta, trovò eco profonda negli animi. E l'in-     (1) Cfr. per le condizioni economiche deU* Inghilterra in quest'epoca il  Cnnningham, « English Commerce and Industry « (II, p. 67-97) — per  le condizioni politiche il Burgess, « Politicai Science and Comparative  Constitutional law » (Voi. I, Bk. iri, e. 1) — per le condizioni religiose  il Ruffini, « Libertà religiosa » (Voi. I, e. iii, J 11).     Digitized by VjOOQ IC     - 61 —   fluenza da lui esercitata fu in proporzione del disinteresse e^  della sincerità dell'opera sua di scrittore. All'assolutismo non  fu condotto da motivi di interesse personale, ma da quello  stesso individualismo che trionfo colla Rivoluzione, e che in  niun tempo trovò un più forte e convinto sostenitore; ma ap-  punto per ciò parve all'Hbbbes che l'assolutismo solo potesse  contenere lo sfrenato egoismo della natura umana. Il vecchio  e il nuovo vengono pertanto stranamente a incontrarsi nella  dottrina dell'Hobbes senza confondersi (l): la base psicologica  del suo sistema, rispondendo ad un lato costante della natura  umana, potè vivere di vita propria, e servir di punto di par-  tenza allo sviluppo ulteriore del pensiero etico inglese, indi-  pendentemente dalla forma politica da lui vagheggiata. Per  opera dell'Hobbes penetrava nel campo della speculazione fìlor  sofica e sopratutto delle scienze morali quell'individualismo,  che fino allora ne era stato lontano per l'influenza delle op-  poste teoriche del diritto divino, e della morale cristiana, e  vi penetrava nella sua forma più rigida senza temperamenti  di sorta. Di qui la importanza e il significato della dottrina  etico^iuridica dell'Hobbes.   36. — L'Hobbes intese sopratutto col suo sistema risolvere  un problema politico, e a questo subordina come mezzo al fine  la morale e il diritto. Anche sotto tale aspetto più che a  Bacone egli deve riconnettersi a quella corrente generale di  pensiero, che originatasi dalla Riforma e svoltasi nella for-  mazione degli Stati moderni, aveva elaborato il concetto di  una legge di natura, ossia di una norma ideale, morale e giu-  ridica ad un tempo, tratta dallo studio della natura umana,  su cui dovevansi modellare i rapporti politici. Ma contraria-  mente al Grozio e ai cultori del metodo razionale, l'Hobbes  nello studio dell'uomo e nella concezione di uno stato e di  una legge di natura diffida della ragione e della storia, e si     (1) Con frase felice U Tulloch chiama THobbes « un radicale a servizio  della reazione ».     Digitized by VjOOQ IC     — 62 —   si esclusivamente dei risultati   condotta con criterii empiri  % lui come a un precursore d  5 altri si preoccupa delle esig  lobbes con concetto assai più r   dell'operare umano, e sili i  eri, della osservazione psicolc  il suo sistema. Quindi è che   Hobbes devonsi, secondo noi,  ma fondata sull'osservazione ]  jato carattere empirico-indutti   i risultati della prima ha car  r runa l'Hobbes sopravive a' s  iza per l'elaborazione ulterio  •a partecipa alle astrazioni mei  mpo psicologico Hobbes è un  ) nell'uomo due sostanze, ma (   psichici; il moto dei corpi si  ai nostri sensi, che lo trasmett  : segue la sensazione, ossia ui  reazione dall'interno all^esteri  d allontanare l'oggetto esterno   od ostacola la vita, ossia a i  ile : effetti soggettivi concomitj  e e il dolore. Il piacere è la mis  . In questa concezione material  ra si fondano la moralità e il erò non perde nella società civile la sua perso-  ica e morale: lo Stato riposa pur sempre sul ta-  > e sulla tacita cooperazione degli individui e la  rova limiti efficaci in una saggia separazione di  )ntrollo permanente del popolo, nella legge stessa  cui le leggi civili non possono contraddire (3).  nenticare che nel sistema politico di Locke spiega  )cisiva la pubblica opinione, le cui norme rispon-  sialmente a quelle della legge di natura, modifi-  . costume e dagli usi locali, sono tali da tenere  acemente cosi le azioni dell'individuo come quelle  iti.   sistema etico-giuridico del Locke, come in quello  due diversi indirizzi convergono, l'indirizzo utili-  ;o, e l'indirizzo metafisico-razionalista, proprio dei  iritto naturale. È innegabile che nella determi-  flne e dei motivi della moralità, egli continua e  3todo di osservazione psicologica iniziato dal-  i senza allargarne i limiti fino a comprendere gli  ili tra le condizioni della felicità e i motivi di  combattere poi l'innatismo, egli rappresenta un  presso sull'Hobbes, in quanto dischiuse la via, da   non percorsa, alla conoscenza sperimentale e po-  moralità.     e. II.   e. vr, VII e viir.   cìt., e. X, Bull^Bsteusione e limiti del potere legislatÌTO.     Digitized by VjOOQ IC     - 75 —   D'altro canto nella parte ricostruttiva il Locke è un ra-  zionalista, subisce l'influenza della scuola del diritto naturale,  e segue con Cumberland l'indirizzo di Grozio distaccandosi  dall'Hobbes e dalla sua dottrina. Infatti nel Locke il concetto  della legge di natura presenta un carattere di universalità  e di obbiettività che in Hobbes originariamente non ha, e la  sua teorica del governo, scritta à giustificazione di fatti com-  piuti, e rappresentando le aspirazioni popolari è le idealità  politiche de' tempi nuovi, era destinata a esercitare un'in-  fluenza notevole in Francia ove la trasformazione sociale ed  economica in senso individualista stava iniziandosi. La con-  cezione della legge di natura, come norma razionale, il con-  cetto dell'individuo fatto sovrano ed esecutore della medesima,  i principii della sovranità popolare, d'uguaglianza, della sepa-  razione dei poteri sono dal Locke enunciati nella forma più  suggestiva e diventano patrimonio comune delle coscienze  nuove. Ma se era più consentanea alle aspirazioni^e alle esi-  genze razionali dell'epoca, la teorica del Locke mancava di  quel fondamento positivo che riscontrasi invece nell'Hobbes,  la cui dottrina dello stato di natura, fondata sull'osservazione  ristretta ma vera della natura umana, si ravvicina ne' suoi  risultati assai più che non quella del Locke alle reali condi-  zioni dell'uomo preistorico.   La teorica della legge merita speciale attenzione in Locke  come quella che rappresenta un tentativo fatto per distin-  guere la morale dal diritto e stabilirne i rapporti reciproci  sopra una base nuova, suscettiva di svolgimento e di progresso.  In omaggio alle idee dominanti il Locke assorge al concetto  di una legge di natura generatrice di ogni altra, misura ob-  biettiva, universale, immutabile della condotta in generale:  ma questa legge soddisfa ad una esigenza puramente teorica  e ha una esistenza ideale, mentre nel fatto si risolve in  legge civile e in legge del costume, che rispondono rispetti-  vamente alla legge giuridica e alla legge morale. L'ordine  naturale obbiettivo rappresentato dalla legge di natura *i     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     -77 —   operatasi in- quel secolo per parte dei non -conformisti, là  quale colla lunga oppressione scosse 1* influènza tirannica della  Chiesa ufficiale. A. misura che il dispotismo politico e religioso  perdeva terreno cresceva l'interesse per le indagini di natura  morale, e civile. Hobbes e Locke avevano posto i germi per  un nuovo orientamento degli studi morali, iniziando l'indagine  psicologica: ma mentre l'uno fu indotto dalla logica inesorabile  de' suoi principii a soffocarne i risultati nel dispotismo, l'altro  cercò temperare le premesse psicologiche, ancor sempre ri-  strette e unilaterali, facendo ricorso ad elementi razionali. Il  dualismo tra ciò che era risultato dell'analisi psicologica e le  esigenze della ragione e della pubblica opinione, si risolve  dopo Locke in due indirizzi distinti, personificati nel Clarke  e nello Schaftesbury.   Nel Clarke (1) la ragione riacquista intero e incontrastato  quel primato nella formazione della moralità e del diritto che  la scuola empirica tendeva a scuotere in favore della volontà:  movente all'azione e criterio di moralità è l'evidenza e la cer-  tezza dei principi! morali, non innati nell'uomo o rivelantisi  intuitivamente all'intelletto, ma razionalmente dedotti dai rap-  porti immutabili e naturali delle cose. Le idee morali e giuri-  diche vengono per tal modo a confondersi colle verità intel-  lettuali, la necessità lògica si converte in necessità morale, e  il dovere diventa Passenso necessario dato alla suprema ra-  gione delle cose. Il razionalismo penetrava col Qlarke in In-  ghilterra, distinguendosi a un tempo dall'innatismo professato  anteriormente dalla scuola di Cambridge, dall'intuizionismo  posteriore del Butler e del Reid: esso rispondeva alla segreta  ispirazione di molti di trovare, secondo il concetto espresso  dal Locke, alla condotta una base cosi sicura come quella tro-  vata da Newton alla meccanica. Ma tale indirizzo inteso a  fondare le scienze morali e giuridiche su principii astratti     (l) Cfr. del Clarke Topera pubblicata nel 1705 col titolo: « A Biscourse,  concerning the Being and Jttrihutes of God ecc, >.     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     fm^     — 79 -•   il quale, sottratto alla ragione e alla riflessione, è fondato sul  senso, divenuto capace non pur di impulsi egoistici ma anche  altruistici. Con Schaftesbury sono definitivamente acquistati  all'etica empirica due concetti nuovi: la naturalezza delle af-  fezioni socievoli, che concorrono coH'amor di sé a regolare le  azioni umane, — il senso morale, ossia un elemento tutto in-  teriore sostituito alla volontà divina e umana, alla ragione  stessa come criterio di approvazione, e fatto capace di de-  terminare all'azione. Senonchè il difetto di rigore scientifico  nelle affermazioni dello Schaftesbury, l'ottimismo esagerato che  lo anima tolsero efficacia e autorità alla sua dottrina, ugual-  mente combattuta da liberi pensatori come Mandeville e da  ortodossi. I germi da lui posti furono raccolti e innalzati a  dignità di sistema da Hutcheson, il noto fondatore della Scuola  Scozzese.   Nell'Hutcheson il problema della condotta assume l'ampio  e sistematico svolgimento, di cui dopo il Cumberland. non si  aveva avuto esempio (1). Anche per Hutcheson fonte origi-  naria della vita morale e giuridica è il senso morale, elevato  a criterio modellatore e ordinatore degli affetti umani, tra i  quali esso dà il primo posto alle affezioni benevoli, aventi un  grado diverso di estensione e quindi di eccellenza intrinseca.  Dalle forme della simpatia, pietà, gratitudine, amore, affetti  domestici, amicizia, patriottismo, l'affetto benevolo si eleva  gradatamente fino all'amore verso l'umanità in generale, spo-  gliandosi mano mano degli elementi impulsivi, violenti, egoi-  stici per raggiungere uno stato di calma determinazione verso  il bene di tutti (2). La ragione non spiega un'attività sua  propria nello sviluppo della vita morale ; essa deve solo con-     (1) Le opere principali di Hntoheson sono: An Inquiry into the Ori-  ginai of our ideas of Beauty and Virtm (1725-26), e qneUa postnma edita  dal figlio dell' A. nel 1755 : A System of Maral Philosophy, Ci siamo valsi  dì qaest'alttma peU'edizìone francese del 1770.   (2) Cfr. Sy steme, voi. I^ lib. I, e. IV, ove tratta del «enso morale.     Digitized by VjOOQ IC     — 80 —   ire e confermare sulle basi dell'osservazione e dell'espe-  a le naturali manifestazioni del senso morale. Dall'eser-  delle affezioni socievoli e disinteressate scaturiscono i  ri più puri e durevoli, e deriva all'uomo il massimo  : donde la perfetta armonia e corrispondenza tra virtù  icità. Il senso morale come ci fa rilevare la bontà, così  intuire il carattere del giusto nell'azione, carattere che  ^ela nelle affezioni tendenti al bene generale; vien cosi  nata la coincidenza tra bontà e giustizia, tra azione  a e giusta in guisa che basta agire bene per agire giusto,  me pertanto è il fondamento psicologico della morale e  liritto. Ma se l'intenzione è condizione necessaria perchè  :ione sia buona e giusta intrinsecamente (bontà aliate-  ), per gli scopi e le conseguenze pratiche della condotta  i, secondo Hutcheson, la bontà formale, ossia la confor-  anche solo esteriore ai dettami del senso morale (1).  ) spiega perchè Hutcheson passando dai principii teorici  costruzione concreta di un sistema di norme etico-giu-  fie si preoccupa sopratutto di assicurare la bontà for-  come quella che più interessa la convivenza sociale:  e scopo sostituisce al criterio soggettivo del senso mo-  il criterio oggettivo del bene pubblico . per determinare  oralità più propriamente la giustizia dell'azione, adot-  ) il principio che divenne in epoca posteriore la base  istemi utilitarii, ai quali prepara la formola (2). Preoc-  to quindi del bene pubblico e della bontà formale, l'Hut-  )n doveva insensibilmente esser portato a sacrificare alle  nze giuridico-sociali, gli interessi della moralità propria-  e detta : lo prova il fatto che nell'indicare le norme di     Cfr. Op. cìt.y ibid.y lib. Ili, ove spiega i concetti di giustizia e di  tizia^ di bontà materiale e formale, di diritto e di legge, di diritti  ti e imperfetti.   Ecco le parole precise di Hutcheson: « that action is best which  res the greatest happiness for the greatest numbers » . Questa for-  corrispoude a quella di Bentham.     Digitized by VjOOQIC     1fVa«fr'J»K •?.!•"%     - 81 -   condotta esso segue il sistema e la classificazione dei giurisi  anziché quella dei moralisti (1). Questo costante equivoco ti  moralità e diritto si rivela ancora nella distinzione da li  posta tra diritti (e quindi obbligazioni) perfetti e imperfetl  di cui solo i primi sono assolutamente necessari alla vii  sociale, e possono essere coattivamente imposti, mentre i s  libertà ; Voi. II, lib. II, in cui tratta del governo civile (e. iv), del co  tratto sociale (o. v), delle leggi civili (e. ix).   (3) Cfr. W. G. Miller, Laio of nature and nationa in Sootland, Edinbur  1896: saggio primo, p. 3-35 ove si tratta della filosofìa giurìdica del  Scuola scozzese, e in particolare del sistema dell' Hutcbesou,     6     Digitized by VjOOQ IC     -82 -   condotta. Senonchè il fondamento  ra capace di analisi ben più pro-  lato della dottrina dell'Ha tcheson  th, per opera dei quali la teorica  lo deirosservaÉione psicologica ap-  )lsero e si perfezionarono.  'Hutcheson nel campo delle scienze  dell'Hume e dello Smith ed ebbe a  a. La rivoluzione del secolo XVII  ilterra la triplice trasformazione  ja. Col trionfo del sistema paria-  io, della libertà religiosa sull'in-  a libertà economica sul protezio-  Llismo sotto tutte le sue forme si  dominio incontrastato. Nella Scozia  storiche, la rivoluzione aveVa pre-  antesimo contro il sistema episco-  il trionfo della libertà nazionale  da un lato, dell'intransigenza re-  :ico dall'altro (I). La lotta politica  luove energie commerciali e indu-  ►cata da questioni religiose: epperò  entrambi i paesi conseguita, essa  pagnata e integrata dalla libertà  necessario che l'annessione della  enuta definitivamente nel 1707, e  a rivoluzione, esplicassero i loro  esse scuotere il giogo della super-  , religiosa. Né deve far meraviglia  III, proprio quando più fioriva lo  storia del pensiero uomini come  le loro dottrine, contrarie all'in-  , non trovarono eco nella Scozia,   M)«a, Torino, Boccs^, 1901, 1, e. iii, p. 166.     Digitized by VjOOQ IC     ^^^^     -68-   mentre esercitarono grande influenza in Inghilterra, ove fu-  rono apprezzate e discusse : secondariamente Tesser essi nati  e cresciuti nell'ambiente scozzese spiega le caratteristiche  del loro intelletto, e sopratutto la natura del metodo seguito,  che «fu essenzialmente deduttivo e contrario all'induzione em^  pirica dominante in Inghilterra. Vedemmo l'Hutcheson trarre  dal postulato indimostrabile del senso morale tutto il suo  sistema filosofico: analogamente fece lo Smith movendo dalla  simpatia: l'Hume fu avversario dichiarato dell'indirizzo ba-  coniano, e subordinò costantemente il fatto all'idea (1).   Speciale importanza hanno l'Hume e lo Smith in ordine alla  determinazione del rapporto tra morale e diritto: per opera  loro il problema si avviò verso una soluzione che fu sotto  molti aspetti notevole e decisiva.   43. — L'osservazione empirica della natura umana confer-  mata dall'esperienza fece convinto l'Hume che esiste un'attività  interiore originaria e istintiva, il senso morale che determina  all'azione, e che la ragione può solo regolare ed esplicare.  L'Hume non si preoccupò tanto dì studiare direttamente  questa facoltà innata dell'uomo e di penetrarne la natura,  quanto piuttosto di rilevarne gli effetti e le manifestazioni  oggettive e soggettive. L'azione determinata dal senso morale,  ossia l'azione virtuosa è oggettivamente utile, soggettivamente  piacevole: perciò il giudizio sulla moralità dell'azione, il mo-  tivo dell'approvazione e disapprovazione morale, la determi-  nazione di ciò che l'Hume chiama il merito personale si ri-  solvono oggettivamente nella valutazione del grado di utilità  inerente all'azione, soggettivamente nell'intensità del piacere  provato. Né si creda che l'Hume limiti le manifestazioni del  senso morale all'utile e al piacere individuale : egli riesce a ge-  neralizzare e ad umanizzare i concetti dell'utile e del piacere  mediante la simpatia, per la quale ciò che è solo utile ìndi-     ci) SaUe condizioni politico-sociali della Scozia in quest'epoca e sopra-  ttutto si^l ci^rattere della filosofia scozzese cir, i} Btickle, Op. cit» 9, xx,     Digitized by VjOOQ IC     e piacere soggettivo e variabile diventa utile generale  e comune. Il senso morale e la simpatia vengono per tal  costituire i motivi psicologici della morale dell'Hume,  l'utile e il piacere in senso largo ne costituiscono le ma-  ioni e i criteri di valutazione pratica e immediata. Ma  l'minatezza di tali concetti allarga oltre misura il campo  3rale fino a comprendere in essa, secondo il concetto  ;uttociò che è naturale : il dissidio dell'etica cristiana  ihe è utile e piacevole e ciò che è razionale e morale, tra  ha carattere obbligatorio e ciò che è meramente spon-  istintivo è pressoché scomparso nell'etica di Hume.  Pochi come Hume hanno inteso e accentuato la distin-  a morale e diritto. L'Hume non era solo filosofo ma  ippassionato, e autorevole parve ogni qual volta emise  rere sopra questioni economiche, politiche, religiose (1).  e e diritto non hanno comunanza di origine, di natura,  >. Mentre la morale si svolge dall'intima costituzione  tura umana, la giustizia si origina per riflessione dalle  ì della civile convivenza. La giustizia non può conciliarsi  ito di natura quale era descritto dall'Hobbes, che la  resa impossibile, e neppure collo stato di natura imma-  ni Rousseau, che l'avrebbe resa superflua; essa si svolge  lente colla convivenza sociale, nella quale essa tende  to a garantire la proprietà privata. La morale si svolge  riduo, e alla felicità dell'individuo intende: i suoi pre-  nno carattere di spontaneità e di indeterminatezza,  3lli che si fondano sul senso morale, proprio di ciascun  e di natura misteriosa. La morale si vale essenzial-  jlla cooperazione dei singoli, e le fasi del suo progresso  rapporto col grado di sviluppo e di perfezione rag-  agli individui. La giustizia non trae origine dal sen-     'anno prova le sue notevoli opere storiche, e i saggi namerosi  )ta, suUa bilancia commerciale, sul credito, snU' interesse ecc.,  noto saggio : The Triturai hUtory oif religion»     Digitized by VjOOQ IC     iimento ma dalla ragione: essa ha costantemente di mira  l'interesse del tutto, alla cui stregua e non a quella dell'in-  dividuo le sue norme devonsi valutare e giustificare. Frutto  di calcolo e di riflessione, imposte dalla necessità della con-  vivenza, le norme di giustizia costituiscono altrettanti attentati  alla libertà e felicità dell'individuo; quindi mentre sono coat-  tive, devono essere al minimo ristrette, precise, determinate.  Le norme morali sono come le pietre ciascuna delle quali  concorre all'erezione dell'edificio; le norme di giustizia sono  come la volta che sta per la mutua cooperazione di tutte le  sue parti non per l'azione isolata delle singole pietre che la  compongono. La natura stessa della giustizia rende inevitabili  gli Stati e i governi, che la conquista e l'usurpazione più che  il consenso fanno sorgere, e che l'azione del tempo e il con-  solidarsi degli interessi finiscono per legittimare (1).   La figura di Hume ha un'importanza notevole nella storia  delle idee morali e giuridiche dell'Inghilterra: egli riassume  per molti aspetti il passato e prelude a nuovi indirizzi di pen-  siero. Concorda coU'Hobbes e col Locke nel rilevare il carattere  razionale o convenzionale delle norme di giustizia: con Hut-  cheson difese la morale del sentimento contro gli Intellettua-  listi : nel ridurre al minimo l'azione dello Stato, nel restringere  la giustizia alla difesa della proprietà egli subì l'influenza  dell'individualismo dominante all'epoca sua in Inghilterra:  nell'importanza data ai concetti della simpatia e dell'utile apri  la via da un lato allo Smith dall'altro lato al Bentham.   Sintomatico per il metodo è il dispregio che Hume ebbe pei  fatti (2), a cui raramente fece ricorso per confermare le sue     (1) Le dottrine etico-giuridiche deU' Hume sono contenute particolar-  mente nei seguenti saggi : 1) e An inquiry concerning the principles of  morals »; 2) « Of the origin of goyerument »; 3) « That polìtìcs may be  reduced to a scìence »; 4) « Of the first principles of government »; 5) « Of  the originai contract ».   (2) Questa è la ragione per la quale THume fu ingiustamente severo  nel giudicare Bacone* Cfr. Ektory ofEngland, Lond» 1789 t« vi, p. 194-19d«     Digitized by VjOOQ IC     ai quali ad ogni modo riservò un posto secondario e  aato alle idee. L'eccezionale acume e potenza d'intel-  rmise all'Hume di intuire il vero, e di trarre da' suoi  lì conseguenze non contradette dai fatti (1): per lui la   la religione, il diritto hanno un corso naturale, che  me solo può determinare, e che spesso contraddice alla  storica (2): determinare questo corso ideale delle cose  Ito precipuo della filosofia.   - L'analisi dei sentimenti in quanto sono stimoli all'o-  umano fu con larghezza e originalità di vedute conti-  la un terzo grande pensatore scozzese. Adamo Smith,  isse con metodo deduttivo tutta la sua dottrina eco-  dall'esame dei sentimenti egoistici, cosi come fece dei  inti altruistici o simpatici la base della vita morale.  > oeconomicus da un lato, l'homo eihicus dall'altro  secondo lo Smith, a movente dell'azione sentimenti   Moral sentiments e Wealih of nations anziché con-  5i, come vogliono alcuni, si completano a vicenda e  )no due esempi insuperabili di astrazione psicologica  a con logica geniale e rigorosa (3).  mpatia è un sentimento originario e irreducibile dei-  associato. Essa consiste in un accordo di sentimenti,  accordo ha luogo in noi, quando i sentimenti che  agnano l'azione nostra si accordano coi sentimenti di  30sto spettatore imparziale, che si erige a giudice in     provano le sne affermazioni geniali e confermate dagli stadi pò-  iiU' origine deUe religioni e dei governi, sulla condizione deU'uomo  1^ sai fenomeni economici ecc.   a deUe opere pili originali di Hume è The naturai history of re*  cui arriva alla conclusione vera che il politeismo ha preceduto  n monoteismo : la prova però che ne dà è essenzialmente teorica  ca.   le osservazioni del BUckle, Op. cit. e. xx, sul metodo seguito  th, e sui caratteri della sua filosofìa. Cfr. anche Lange, Histoire  aliarne f Paris, 1879, Voi. ii, p. 684-685. Lo Smith pubblicò The   moral sentiinente nel 1759 e nel 1776 pubblicò Wealth of nations.     Digitized by VjOOQ IC     'i«^r:     noi di noi stessi ; ha luogo fuori di noi quando il nostro sen-  timento si accorda coi motivi e col l'intenzione dell'agente da  un lato, coi sentimenti della persona che è termine dell'azione  dall'altro (1). L'Hume fece scaturire la simpatia dalla consi-  derazione degli effetti utili e piacevoli dell'azione : non tenne  conto dello stato emotivo proprio di chi compie l'azione e di  chi la riceve. Lo Smith più che agli effetti esteriori dell'azione  rivolse la sua attenzione al sustrato psicologico dell'azione  stessa, e distinse nettamente la simpatia diretta o soggettiva  coi motivi e l'intenzione dell'agente, la simpatia indiretta o  oggettiva collo stato d'animo della persona a cui l'azione si  riferisce. Dire che un'azione è conveniente o sconveniente,  buona o cattiva, significa solo simpatizzare o non simpatizzare  colla causa o coi motivi che determinarono l'agente a com-  pierla. Questo senso di simpatia diretto che nel giudicare  l'azione nostra o di altri jion tien conto delle conseguenze  dell'azione, ma dell'accordo di sentimenti di chi giudica im-  parzialmente l'azione e di chi la compie costituisce il dominio  proprio della morale (2).   46. — Il fondamento psicologico della giustizia, che Hume .  aveva disconosciuto facendo della giustizia opera esclusiva  della riflessione e della ragione, deve ricercarsi nella simpatia  indiretta o oggettiva, cioè nella simpatia che nasce dalla cor-  rispondenza coi sentimenti di chi è termine dell'azione.   L'azione benefica o dannosa fa simpatizzare col beneficato  col danneggiato e desta in questi e negli spettatori impar-  ziali un senso di gratitudine o di risentimento verso l'autore.  In questo impulso retributivo, in questo stimolo al contrac-  cambio, che dalla persona interessata si diffonde a quanti  contemplano imparzialmente l'azione, noi troviamo la ragion  d'essere del merito e del demerito, del premio e della pena,     (1) Cfr. Theory ecc., Parte i, Seo. i, e. i.   (2) Lo Smith tratta della simpatia diretta o soggettiva nella Parte t  dell'opera sua; in occasione dei giudizi sulla proprietà delle azioni.     Digitized by VjOOQ IC     «^ 88 ^     ^^"^i^mm     erio per distinguere le azioni beneficile é le  Le manifestazioni della beneficenza sono posi-  mo limite nella loro esplicazione: il senso di  lanifesta sopratutto negativamente quando cioè  )voca la reazione e la pena. Le azioni che non  danno né vantaggio, che non meritano né premio  destano né simpatia né antipatia, o in altre pa-  Ltudine né risentimento, costituiscono la classe  giuste, in quanto rivelano in chi le compie il  intimento di giustizia, ma non l'animo disposto   1).   Smith che il senso naturale di simpatia può  ,to (2). Non sempre noi siamo in condizione di  idici imparziali e sereni delle nostre azioni: le  itutto tendono a corrompere il nostro giudizio e  Lizzare con motivi d'azione non degni di appro-  ?o canto nel giudicare le azioni da altri compiute,  3re tratti in inganno dai risultati meramente  ?imii dell'azione, dall'utile o dal piacere che ne  are. Non é a credere che lo Smith disconosca  li questi elementi estrinseci dell'azione: é prov-  e l'utile e il piacere da un lato, il successo  tino simpatia, e costituiscano un criterio pratico  ila bontà dell'azione: ma tali elementi devono  lostri giudizii, nel regolare la simpatia un posto  secondario (3).   re la serenità e imparzialità dei nostri giudizii  e il demerito dell'azione, si rendono pratica-     )atia oggettiva lo Smith tratta nella Parte ii Op. cit. in  itinieuto di merito o demerito deUe azioni. Sui rapporti  ) giustizia y. Op. cit. parte ii, sec. ii^ e. 1-3.  ò del traviamento del senso di simpatia, cfì*. parte ii,  parte in, e. 4.  3naa dell'utilità sul sentimento di approvazione, v. Op«     Digitized by VjOOQ IC     -8à -   inente indispensabili norme generali direttive. Queste norme,  che resp3rienza ripetuta, non l'intuizione, ha suggerito, si  presentano con caratteri e natura diversa, secondochè ten-  dono a regolare i'esplicarsi dell'attività benefica, oppure sono  dirette a impedire le lesioni del senso di giustizia: le une non  escono dal campo della morale, le altre hanno carattere pro-  priamente giuridico.   La natura della beneficenza è tale che non si presta  ad essere ridotta in formole precise e minute : il suo campo  è illimitato, opperò la norma che ne regola l'esplicazione  non può che esser vaga e indeterminata. D'altro canto il  carattere negativo della giustizia, ne restringe il campo di  esplicazione : le sue norme segnano i confini oltre i quali l'at-  tività dell'individuo, esplicandosi, lede il senso della giustizia:  pertanto devono essere precise, chiare determinate. Per ser-  virmi del paragone dello Smith, le norme di giustizia sono  come le regole di grammatica, poche, precise, determinate: le  norme di beneficenza hanno l'indeterminatezza e l'elasticità  propria delle regole del bello scrivere che ninno può precisare  e costringere in poche formole.   L'osservanza delle norme generali, sieno esse di beneficenza  di giustizia, è condizione di benessere e di sicurezza sociale.  Ma nulla è più contrario alla natura della beneficenza della  coazione: essa vive di libertà, di spontaneità. Per quanto  possa desiderarsi che i vincoli sociali traggano forza e con-  sistenza dall' affetto e dalla mutua assistenza, l'esercizio delle  virtù benevole può consigliarsi ma non coattivamente imporsi.  Ma se l'osservanza delle norme di beneficenza è condizione di  perfezionamento e di prosperità della vita sociale, l'osservanza  delle norme di giustizia è condizione di esistenza: la vita  sociale è possibile anche se i rapporti tra i suoi membri, a  somiglianza dei rapporti che sorgono tra i membri di una so-  cietà commerciale, non sono regolati dalla beneficenza, ma da  mere considerazioni di interesse: ma senza le norme della  giustizia si rende inevitabile la dissoluzione sociale, Che se sj     Digitized by VjOOQ IC     tien conto della naturale debolezza dei vincoli sociali di fronte  alla forza degli stimoli egoistici, si comprende come solo colla  coazione e con un ben regolato sistema di pene si può garan-  tire l'osservanza delle norme di giustizia, che rappresentano il  minimum di sacrificio individuale che la vita sociale richiede  per sussistere. Nei rapporti colla vita sociale, dice lo Smith,  lo norme di giustizia stanno alle norme di beneficenza, come  in un edificio il muro maestro sta alle decorazioni (1).   Mostrò peraltro lo Smith di avere della giustizia un concetto  non esclusivamente negativo : egli osserva che nello stato di  natura, cioè anteriore alla società costituita civilmente, tutti  essendo eguali, la giustizia non può avere che un significato  s erettamente negativo: ma nelle società civili in cui abbiamo  distinzioni di classi, in cui abbiamo superiori e inferiori, l'a-  zione dei governanti non deve solo esplicarsi nel senso di  impedire Vivjuria, ma deve promuovere la prosperità morale  dolio Stato imponendo norme positive di vera beneficenza. Se-  nonchè, osserva giustamente lo Smith, l'azione del legislatore  nel campo riservato alla beneficenza, quando non sia prudente  . e illuminato, costituisce un grave pericolo per la libertà, la  sicurezza, la giustizia (2).   Rimprovera lo Smith agli antichi di avere esteso l'indeter-  minatezza propria delle norme morali alle norme riferentisi  alla giustizia. Nel difetto opposto incorsero^ i casuisti medio-  evali nello sforzo fatto di sottoporre a regole minute e compli-  cate tutti gli atti della vita morale e giuridica degli individui.  I cultori del diritto naturale nel determinare le norme da im-  porsi coattivamente invasero bene spesso il campo riservato  alla morale. In tutti lo Smith nota la deplorevole coufusione  tra norme morali e giuridiche, il disconoscimento dei criteri  coi quali le une e le altre devono essere stabilite. Ammette     (1) Cfr. suU' origine delle norme morali, op. cit.. Parte III, e. 4 : sai  caratteri di tali norme, sui rapporti tra norme di beneficenza e di giustizia:  op» cit., Parte III, e. 5-6.   (8) Cfr, Op. cit., Parte II, Seo. II, o. 1.     Digitized by VjOOQ IC     - &1 -^   atìcóra lo Smith la ragiofle d'essere del diritto naturale, ÓSàia  di un complesso di norme generali e costanti, capaci di fornire  una meta ideale alle leggi positive (1). .   La dottrina dello Smith è un capolavoro di analisi psico-  logica condotta con metodo deduttivo. Per la prima volta ve-  diamo la questione dei rapporti tra morale e diritto risolta al  lume della psicologia. L'aver fatto astrazione dagli elementi  egoistici concorrenti nell'operare umano, giovò a mettere in  rilievo gli elementi altruistici o simpatici, di cui vivono sopra-  ttutto i rapporti morali e sociali, ma giustificò l'accusa di unila-  teralità opposta alla sua dottrina. L'analisi della simpatia ne  avrebbe certo allargato la base, non essendovi dubbio che a  costituire la simpatia concorrono pure elementi egoistici. Ma  il difetto maggiore della teoria dello Smith, difetto che nel de-  terminare 1 rapporti tra morale e diritto si rende più evidente, è  l'assoluta mancanza della veduta storica, la quale se non poteva  distruggere le sue affermazioni psicologiche, avrebbe giovato  certamente à completarle e ad estenderle.   47. — Il progresso delle scienze morali dall'Hobbes allo Smith  fu sotto ogni riguardo notevole : esso fu parallelo alla trasfor-  mazione economica, politica, religiosa che in Inghilterra si  andò attuando nei secoli XVII e XVIII. Hobbes e Locke inte-  sero sopratutto a emancipare le scienze morali dalla teologia  e trovare loro un fondamento nuovo : al principio divino con-  siderato dalla filosofia tradizionale come fonte di moralità,  l'uno sostituì la volontà del principe, l'altro la legge di na-  tura, elaborata dalla coscienza popolare e che si concreta in  legge civile e in legge del costume. I filosofi scozzesi affer-  marono il fondamento psicologico delle scienze morali, deri-  vandole dal senso morale e dalla simpatia. Ad essi dobbiamo  i primi tentativi fatti per distinguere la morale dal diritto.     (1 Notevole a questo riguardo la Sez. IV, Parte VII, Op. cit., circa  i metodi seguiti dai diversi scrittori nel determinare le norme pratiche  di moralità.     Digitized by VjOOQ IC     - 92 -   L* Hobbes e il Locke non intesero l'importanza teorica e pira-  tica di tale distinzione.   Le condizioni economiche e politiche dell'Inghilterra richia-  marono su di essa l'attenzione. L'invasione dello Stato o meglio  del principe nel campo riservato alla moralità, cosi come nel  campo dei rapporti economici, era norma dominante nel se-  colo XVIL La riforma protestante, lungi dallo scuotere, aveva  riaffermato tale principio. L'autorità civile in Inghilterra as-  serviva a sé la religione, mentre in Scozia ne era asservita.  In entrambi i casi il risultato era identico, il disconoscimento  (li ogni distinzione tra norme morali e giuridiche. Il movi-  mento individualista che si diffuse in Inghilterra nei secoli  XVII e XVIII rappresenta la reazione contro le indebite in-  gerenze dello Stato nei rapporti economici, religiosi e morali,  la difesa di ciò che parve patrimonio intangibile dell'indi-  viduo. La discussione circa i limiti del potere dello Stato nei  suoi rapporti coll'individuo, doveva teoricamente presentarsi  come questione concernente i rapporti tra morale e diritto,  e cosi fu intesa e trattata dall' Hume e dallo Smith. L'Hume  fa aperto avversario dell'invasione dello Stato nel campo dei  rapporti non solo economici, ma anche morali: secondo lui  l'azione dello Stato non deve esplicarsi che negativamente  e solo a difesa della proprietà, alla quale riduceva il con-  tenuto del diritto. A questo poi negava ogni origine psi-  cologica, limitandosi a giustificarne l'esistenza dal punto di  vista razionale e della necessità sociale. Lo Smith con veduta  più larga e scientifica ricerca nella natura stessa dell'uomo  un criterio di distinzione tra morale e diritto : Vimpulso re-  tributivo mentre provoca il senso di gratitudine verso l'azione  benevola, giustifica psicologicamente la reazione verso l'azione  ingiusta: né deve, secondo lui, l'azione dello Stato manife-  starsi in senso esclusivamente negativo, ma deve in deter-  minate circostanze, per quanto cautamente e colle dovute ga-  ranzie, potersi estendere a favorire il progresso morale. Se-  nonchò la storia posteriore delle scienze morali abbandona     Digitized by VjOOQ IC     l'indirizzo psicologico perfezionato dallo Smith, per riattaccar  all'Hume, il quale, avendo posto a criterio misuratore del bei  e del male, del giusto e dell'ingiusto il concetto dell' util  schiudeva la via a Bentham e all'indirizzo utilitarista. Ti  le cause di tale arresto devesi ricordare il metodo deduttr  seguito dallo Smith nell'indagine psicologica, metodo che i  chiedeva qualità personali di astrazione e di sintesi, poss  dute in grado eminente dallo Smith, ma non facili a riscoi  trarsi in altri. Si aggiunga che alle esigenze della prati-  parve meglio rispondere il criterio oggettivo dell'utile, ci  teneva conto delle conseguenze dell'azione, che non i crite  soggettivi fondati sui moventi psicologici o interiori dell'azioE  Che se la dottrina morale dello Smith per tali ragioni non e  venne popolare, ed esercitò scarsa influenza all'epoca sua  confronto alla dottrina utilitaria, essa però al risorgere de^  studi positivi di psicologia, fu in molte sue parti conferma  e apprezzata al suo giusto valore.   Che se vogliamo stabilire un parallelo tra la scuola d  diritto naturale in Germania, e quella empirica inglese in o  dine alla questione dei rapporti tra morale e diritto, noi tr  veremo che in entrambi i paesi essa fu provocata dalla n  cessità di difendere l'individuo contro l'ingerenza dello Sta  in materia di morale e di religione. Il movimento culmina  Germania col Thomasius, in Inghilterra con Hume e Smitl  senonchè là le resistenze furono maggiori, la questione fu sopr  tutto sollevata e con grande calore discussa dai giureconsu!  allo scopo di salvaguardare la libertà morale e religiosa, ment  irf Inghilterra l'invasione dello Stato fu sopratutto combattu  in favore della libertà economica. Ad ogni modo il risulta  finale fu in entrambi i paesi di mettere in rilievo l'import an:  teorica e pratica della questione.     Digitized by VjOOQ IC     §5.  Vlf>^itlxzo cmtt^mimtio ideile sclei^ze ff|otall.   SOmiABIO : 4& CftrtMlo • Tepoca ioa - 49. Cutesio • 1« loianM morali —  fio. Ma1«branoh« • V indiriuo ■piritaalitta-oartMÌano nella soienae morali —  61. L'Olanda a il ■iitama atico-ciuridioo di Spinosa — S2. Le oondiaioni poli-  tloha • rali^oM dalla Qar mania nal leoolo XV^II — 63. La dottrina etico-  giuridica di Leibnia — 64. L'opera metodica del Wolff — 66. Parallelo tra  l'indiriaio flloeoflco e ginridico nelle loienae morali.   48. — Chiunque voglia ricercare le origini prossime dei  metodi e indirizzi diversi che si riscontrano nel campo delle  scienze morali dell'età moderna, deve risalire al secolo XVII  e precisamente ai tre paesi che di tali indirizzi furono i  centri di origine e di sviluppo: l'Olanda, l'Inghilterra, la  Francia. Dove la riforma religiosa gettò più profonde radici,  dove le mutate condizioni economiche affrettarono l'avvento  dello Stato moderno, ivi si svolse vivace l'opposizione allo  spirito teologico, e le questioni d' indole morale e politica sor-  sero numerose e insistenti. La Riforma non impedi anzi per  molti riguardi accentuò V intransigenza religiosa (1): le guerre  religiose divamparono ovunque con questo solo risultato di  rendere necessario l'intervento spregiudicato dello Stato, e  di far sentire il bisogno di dottrine politiche e giuridiche  dapprima, morali poi, indipendenti da ogni presupposto Teli-  gioso. Col comporsi delle questioni religiose l'attenzione fu  rivolta allo Stato e ai rapporti sorgenti tra Stato e individuo:  gli interessi morali e giuridici vennero per tal modo ad oc-  cupare il primo posto.   Questo processo storico, comune a tutti i paesi nei quali  penetrò la Riforma, si manifestò prima che altrove in Olanda,  Inghilterra, Francia: in questi paesi abbiamo con Grozio, con  Bacone, con Cartesio i fondatori dei nuovi indirizzi di pen-  siero, dei quali alcuni, come quelli di Grozio e di Hobbes     (l) Cfr. Ifuffini, Op. cit. I, e. 1, J 5,     Digitized by VjOOQ IC     ■* «n^;v;^r--jV' "     - 95 ^   farono direttamente determinati dalla necessità di trovare un  fondamento nuovo alle sciènze morali, mentre quelli di Bacone  e di Cartesio, mirando a un generale rinnovamento del metodo  e del sapere jOilosofico, solo indirettamente sovvertirono le basi  ti'adizionali delle scienze morali.   La Francia in particolare fu per oltre quarant'anni teatro  di sanguinose lotte religiose: la vita politica e intellettuale  del paese parve subire un arresto: più che la forza dell'armi  valse a predisporre gM animi alla conciliazione e alla tolle-  ranza lo scetticismo morale e religioso, che s' impadroni degli  animi stanchi e disillusi, e che rappresenta la reazione inerte  del buon senso, dello spirito laico e liberale contro il dogma-  tismo religioso, cattolico e protestante. Privo di ogni carat-  tere scientifico e ricostruttivo, tale scetticismo scaturiva dalla  impotenza, dalla sfiducia nella capacità intellettiva, e si svolse  sopratutto nel campo pratico per opera di quei cattolici mo-  derati, chiamati i Politici che formatisi tra l'intemperanza  e l'intransigenza dei partiti, furono efllcaci cooperatori della  politica illuminata e tollerante di Enrico IV. Rappresentanti  di questo scetticismo pratico e popolare furono il Montaigne  e lo Charron : essi non si fecero banditori di metodi e sistemi  nuovi, ma entrambi, e sopratutto lo Charron in forma garbata  si fecero a sostenere principii che in quell'epoca dovevano  sembrare rivoluzionarli, quali ad esempio che l'errore reli-  gioso non costituisce reato, che le opinioni religiose sono il  prodotto dell'abitudine, che le differenze che dividono intorno  ad esse gli uomini sono puramente formali, che è possibile la  morale senza il fondamento religioso. L'aver fatto buon viso  a quéste idee, l'esser stati i loro autori letti e apprezzati  prova non tanto che i tempi erano maturi per accogliere tali  principii, che lo spirito irreligioso e l'ateismo fossero diff*usi,  quanto piuttosto la stanchezza e l'impotenza degli animi a  reagire contro il diffondersi di tali idee che trovavano nella  storia dolorosa e recente qualche conferma. Ad ogni modo se  tala scetticismo non ebbe alcuna importanza teorica, ne ebbe     Digitized by VjOOQ IC     'VlOTQH     una grande pratica: esso preparò quello stato degli animi che  ;e possibile il trionfo di Enrico IV, l'Editto di Nantes, e  a politica inspirata non agli interessi religiosi, ma civili e  itici del paese. La politica di Enrico IV fu elevata a sa-  mie sistema dal Richelieu, di cui fu meta costante T inte-  nse dello Stato inteso come espressione dell'unità nazionale  'interno, come preminenza assoluta di fronte all'estero,  olto da ogni preoccupazione di classe, di religione, di mo-  e, umiliando all'uopo la nobiltà, reprimendo i tentativi di  lellione dei protestanti, facendo della tolleranza la base  ila politica. Al Richelieu deve la Francia nel secolo XVII  sua grandezza politica, il consolidamento dell'unità hazio-  le, il risveglio intellettuale. Ed è degno di nota che proprio  andò la politica del Richelieu aveva toccato il massimo  iluppo, appariva il « Discorso sul metodo » di Descartes, de-  nato a produrre nel campo filosofico effetti analoghi a quelli  eseguiti dal Richelieu nel campo della politica. Il successo  e l'opera di Cartesio incontrò in Fi*ancia, quando l'eco delle  te religiose non era ancor spenta, dimostra il progresso delle  je; al dubbio pratico sterile e vano sottentrava il dubbio  iagatore e scientifico (1\   49. — L'influenza di Cartesio nella storia delle scienze  >rali supera per molti riguardi quella pur tanto notevole  ircitata da Grozio e da Bacone. A tutti fu comune l'av-  rsione verso i metodi e i sistemi tradizionali e teologici;  L se Grozio fu sopratutto preoccupato di sottrarre alla in-  enza della religione il fondamento del diritto e contrappose  metodo teologico il metodo storico-razionale che alla so-  done delle controversie giuridiche mostravasi particolar-  jnte adatto, Bacone, fatto audace dai progressi mirabili  Ila scienza, fu condotto a proclamare la generale trasfor     1) Cfr. suUe vicende religiose in Francia il Kuffini, Op. cit., I,  [V, § 15. — Sulle condizioni storiche deUa Francia U Bnckle, Op. cit.,  Viil#     Digitized by VjOOQ IC     - 97 -   mazione ^el sapere filosofico e scientifico, sulla  plicazione del metodo induttivo. Ma quel dualism  e materia che costituiva l'essenza della filosofia  e che Bacone aveva attenuato nell'unità del met(  risorge per opera di Cartesio, la òui dottrina se  della metafisica manifesta evidente la tendenza  lismo, cioè verso l'unità di tutte le cose nello sp  mantiene netta la distinzione tra materia estesa  appare essenzialmente dualistica nel metodo e nel (   L'aver accentuato questo dualismo permise a Ci  ad altri del suo secolo, di essere ad un tempo file  ziato: a tale dualismo provvidenziale devesi se (  volando sul rapporto" tra il mondo psichico e il  rale potè trattare con metodo soggettivo i fatt  accogliere nello studio della natura un metodo  duttivo, che si avvicina assai più di quello di Bz  processo seguito da chi studia la natura (2). Secc  la causalità domina sovrana nella natura fisica (  questa esula ogni .concetto di finalità: tutto v  forza di proprietà immanenti nei corpi e secondi  riabili, che la scienza deve determinare non eh  particolare al generale, come proponeva Bacone,  tosto alle cause reali dei fenomeni, ma piuttostc  corso ad ipotesi da controllarsi coU'esperienza (:   L'originalità e l'importanza di Cartesio più eh  delle indagini scientifiche, si esplicò sopratutto ne     (1) Cfr. La vi osa, Filosofia scientifica del diritto in Tngh  Claiison, 1897, p. 7.   (2) L'osservazioue e la denomiuazione di metodo ipotet  del La Ugo, Histoire du matérialismef Paris, 1877, Voi. I,  mazioiitì dui Lauge è vera e trova couferma in alcaui pai  sul Metodo; ma dove completarsi col metter in rilievo il  diverso che lo stesso Cartesio proponeva per lo stadio dt  e che i>nò considerarsi psicologìco-deduttivo.   (3) Sotto questo aspetto Cartesio cooperò efficacemente  materialismo. Cfr. Lange, Op. cit., Voi. I, p. 222 e seg     Digitized by VjOOQ IC     - 98 -   sofico. Le scienze dello spirito, di cui le scienze morali erano  parte integrante, all'epoca di Cartesio continuavano a mante-  nere stretti legami colla teologia. In questa parte Bacone fu  e rimase per lungo tempo nell'Inghilterra stessa un solitario.  K La filosofia che si svolse in Inghilterra sulle traccio di Hob-   bes, con tendenze essenzialmente pratiche, rifletteva troppo  / strettamente il carattere e le speciali condizioni politiche e   k religiose del popolo inglese per incontrare favore sul conti-    Spinoza riasHUiue hi dottrina cartesiana relativa al nirofoii(la che egli faceva tra il mondo delle idee e il mondo dei fatli.   (3) La quarta pai-te mpie in virtù  di sentimenti che il desiderio della vita ossia il desiderio a  perseverare nell'essere fa nascere: la nozione del male e del  bene sta nella tristezza o nella gioia che accompagna il desi-  derio contrastato o soddisfatto: questo stato psicologico unito  all'esperienza genera per gradi la nostra scienza e costituisce  la causa vera del progresso morale. E coli' elevazione morale  dell'uomo va di conserva la sua elevazione intellettuale. A  misura che l'uomo si fa libero cioè obbedisce alle determina-  zioni del suo proprio essere all' infuori dell'azione degli agenti  esterni, la visione dei rapporti delle cose in Dio si fa sempre  più adeguata, finché al sommo dell'evoluzione verità e virtù  si confondono nell'amore intellettuale di Dio, sintesi della mo-  ralità, della conoscenza, della felicità.   La dottrina di Spinoza segna un progresso reale e decisivo  nella storia delle scienze morali : essa costituisce il punto di  partenza di tutti gli indirizzi di pensiero che si delinearono  nella filosofia posteriore. L'indirizzo intellettualista che vo-  leva regolata la condotta su verità eterne, immutabili stabi-  lite dalla ragione, lo spiritualismo che poneva il fondamento  della vita morale in Dio, l'empirismo edonista e utilitario che  ricercava nell'uomo la tendenza affettiva sul cui predominio  doveva elevarsi la morale, tutti si riscontrano sapientemente  coordinati nella dottrina di Spinoza in virtù del negato dua-  lismo tra spirito e materia. La sua morale si svolge nell'uomo  stesso mediante un progressivo e autonomo perfezionamento  della natura umana che non contemporaneamente ma successi-  vamente é sentimento e ragione, necessitata e libera, egoistica  e altr teistica. Facendo 4el sentimento Jo stimolo cì\e sospinge     Digitized by VjOOQIC     -.113-   Tuomo a sublimarsi, a spiritualizzarsi, a' conoscere il pQsto  che occupa nel gran mare dell'essere, Spinoza evitò Terrore  fondamentale del razionalismo.   Spinoza fonda l'etica sull'egoismo, né parla di tendenze psi-  cologiche di carattere sociale: a questo riguardo subì l'influenza  dell'individualismo dell'epoca. Come per Hobbes e per Male-  branche cosi anche per lo Spinoza l'unione sociale è qualcosa  di secondario: l'uomo è un modo% di Dio, non è una cellula  dell'organismo sociale: la beneficenza attiva, le tendenze so-  ciali hanno valore subordinato alla personalità dell'individuo:  il determinarsi nell'operare da considerazioni altruistiche e  simpatiche significa rendersi schiavo di emozioni passive, e  trascurare quel perfezionamento interiore, su cui sopratutto  si fonda la vita morale. Ma individualismo e utilitarismo non  significano per Spinoza oppressione del prossimo, sete di van-  taggi esteriori: l'egoismo illuminato e sapiente si identifica  coll'altruismo: il vero utile è solo ciò che è razionale.   Da ultimo^ facendo l'uomo capace di elevarsi a Dio e di vi-  vere della vita stessa di Dio, Spinoza diede alla morale un  carattere profondamente religioso: l'individuo al sommo della  evoluzione intellettuale e morale si assorbe nella contempla-  zione di Dio. Per lui come per Malebranche l'assorbimento  dell'uomo in Dio è indice di perfezione e di scienza. Ma mentre  Dio per Malebranche è un principio vivo e reale che agisce  direttamente e attivamente sull'uomo, per Spinoza è un prin-  cipio razionale indeterminato, che risponde a esigenze razio-  nali. Il panteismo di Spinoza è geometrico, quello del Male-  branche è sentimentale. La religione di Spinoza è privilegio  di poche nature elette, capaci di abbracciare i profondi rap-  porti che legano Dio all'uomo: quella di Malebranche era pur  sempre la religione tradizionale e popolare nutrita di fede e  di amore, fondata sulle audaci e immediate intuizioni del  sentimento (1).     (1) Cfr. Jodl, Op. cìt., Voi, I. e. 10, 34 Abs., § 2; 4 Abs, ove tfatt^     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     - 115 -   sicurezza : per forza di cose sì forma sopra il diritto naturale  e il potere dei singoli, un potere e un diritto collettivo o ci-  vile, colla funzione speciale di mantenere tutti nella sfera del  diritto e di garantirne l'esercizio. Il potere collettivo, una  volta sorto, si organizza, diventa Stato e si svolge per^ gradi  secondo le tendenze proprie di ogni essere. Con una conce-  zione ancora inadeguata de' suoi scopi e delle sue funzioni,  nella necessità di affermarsi contro la prepotenza delle pas-  sioni individuali, lo Stato deve dapprima necessariamente  assumere forma dispotica : esso concentra in sé tutti i diritti,  regola con le sue norme le manifestazioni della vita politica,  intellettuale, morale e religiosa degli individui, eccede nella  sua azione ogni limite razionale. Ma il dispotismo, come già-  l'anarchia primitiva, trova in sé stesso rimedio. Esso ri-  sponde ad una condizione di cose necessaria ma transitoria:  unica forma di governo possibile quando si deve opporre la  violenza della repressione alla violenza delle passioni, esso  diventa, a misura che la coscienza di sé si risveglia nell'in-  dividuo, uno strumento sempre più debole e pericoloso di go-  verno (1). Lo Stato non può a lungo contare sull'obbedienza  puramente esteriore degli atti, quando ad essa si accompagna  la ribellione interna dei sentimenti. Epperò il passaggio dal  dispotismo a un sistema liberale di governo, diventa condi-  zione di vita e di durata per il potere sociale e si concreta  nella lotta per la graduale emancipazione dell'individuo dalla  tutela dello Stato, ossia per la graduale differenziazione tra  i diritti naturali e soggettivi da un lato, di esclusiva spettanza  dell'individuo, in ordine ai quali l'azione dello Stato non può  essere che negativa, e deve limitarsi a garantirne la libera     (1) Ad. Menzel, MaohiavelU-Studien in Zeitacrift fUr das Privai und  offent. Bechi (Voi. XXIX, fas. 3-4) tratta dei rapporti e analogie tra Ma-  chiaveUi e Spinoza. Questi cita lo storico fiorentino dae volte (Trac, poli-  Ucu8^ e. V, § 7 e Ct X, § 1) e mQstr^ di t^i^^^^lo ^^ grande consjd^razio^e,     Digitized by VjOOQ IC     - 116 -   iiritti oggettivi dairaltro costituenti la poten-  tto proprio dello Stato e che diventano per Tin-  a osservarsi nell'interesse collettivo. In Spinoza  mente espresso il concetto che lo Stato deve  sua azione di ogni considerazione di carattere  ISO (1). Qualunque riserva altri possa fare circa  ntendere il diritto naturale (2), non vi è dubbio  '0 filosofo seppe come Spinoza affermare con  diritti del pensiero e della coscienza indivi-  allo Stato. Nella dottrina sua politica si sente  >tta che l'individuo moderno doveva sostenere  patrimonio sacro de' suoi diritti naturali, cioè  che riflettono l'esplicazione della sua perso-  contro le usurpazioni del dispotismo. Più di  non solo intese ma vivamente senti il rapporto  'a morale e diritto, il quale rientrava nel con-  > tra individuo e Stato, contrasto che fu per  nello che era stato per il Medio Evo il con-  sa e Impero. L'ideale politico di Spinoza era  rmonica dell'individuo collo Stato, dell' inte-  ri pubblico, della libertà morale colla libertà  :ione morale nell'individuo, l'evoluzione poli-  devono procedere concordi e integrarsi reci-  ►regressivo riconoscimento da parte dello Stato  'ali, corrisponde nell'individuo una coscienza  ^ dell'interesse pubblico e una sottomissione  itanea e incondizionata alla volontà sociale,  odo gradualmente delineando quello stato di  'azione delle parti nel tutto infinito, che si     teol. pol.y e. XVIII e xx. — Cfr. Raffini, Op. cit.,   Storia della filosofia del diritto (tradazione Conforti, To-  II, Sez. I, p. 114. — Lor minio r, Philoao^hie du dvQitf  bro IV, § 7,     Digitized by VjOOQ IC     r     fili ijijj - U H^^     - li?-     presentava dapprima come una fanta:  gione umana (1).   La teoria teocratica del diritto di^  di Hobbes, la teoria del contratto so(  fendorf rientrano nella concezione spi  che nel suo sistema la potenza e qui]  partecipa della potenza infinita, ossi  che si genera, secondo Hobbes, dallo  sione e di guerra, secondo lo Spinoza  principio della evoluzione morale e se  la tendenza alla vita sociale sia con  tendenza a vivere, si può ben parlare  tratto tacito e spontaneo, inteso a re^  dividui e Stato, che sono poi i rappc  e giuridica. La logica dei fatti dove  delle idee: nessun altro sistema filosofi  trovò nella realtà storica tanta cor  incontrò la concezione etico- giuridic  nell'età moderna ebbe a lottare per  pregiudizio religioso, e al dispotismo  azioni ai principi di cui si fece soster  nel secolo XVII (2).   52. — Il Cartesianismo dalla Frane  fu alleato del dogma, daH'Olanda, ov  trionfo della ragione autonoma, si di  opera dei Leibniz, ingegno universale  seppe unire Tiramaginazione poetica d  e temperare gli slanci del pensiero C(  tica. Di mezzo al popolo tedesco, di  carattere, le aspirazioni, le condizion  missione, e più di ogni altro concorse a     (1) Cfr. Delbos, Op. cit., e. vir, vni.   (2) Cfr. Delbos, Op. cit., Farteli, ove tn  neU'età moderna.     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     di Stati, ne aveva posto in evidenza l'interna debolezza; tutto  era in essi da riformare e costituire; mancavano i criterii per  regolare i rapporti tra i vari Stati, tra l'autorità civile ed ec-  clesiastica, tra le varte confessioni religiose nello stesso Stato:  sopratutto importava garantire l' individuo, la sua personalità  contro le indebite ingerenze dello Stato e della Chiesa, alleati  a' suoi danni. Gli stessi problemi, le stesse difficoltà accompa-  gnarono ovunque il sorgere degli Stati moderni, e la loro so-  luzione fu compito speciale dei giureconsulti e dei cultori dei  diritto naturale (1).   Grozio in Olanda, Hobbes in Inghilterra avevano elaborato  sistemi etico-giuridici rispondenti alle esigenze razionali del-  l'epoca, e alle tendenze individualiste dei popoli moderni. Pu-  fendorf, conciliando i principi! di entrambi, raccogliendoli a  sistema chiaro e ordinato seppe renderli famigliari e noti in  Germania, dando loro una portata pratica che altrimenti non  avrebbero avuto. La scuola del diritto. naturale soprafatta dalla  filosofia in Olanda, dalla morale in Inghilterra, si svolse ri-  gogliosa in Germania, ove mantenne più a lungo il suo carat-  tere originario, e per oltre un secolo prevalse sopra ogni altro  indirizzo di pensiero: assorta a dignità di scienza sociale, e  politica essa forni le armi all'individuo in lotta contro il dispo-  tismo dello Stato e. della Chiesa ufficiale, per rivendicare le  sue libertà politiche e civili, religiose e morali. La questione  della libertà religiosa, quella dei rapporti tra morale e diritto,  altrove trattate da .filosofi, da moralisti, o da teologi, furono  in Germania discusse dai giuristi, come quelle che erano con-  siderate questioni essenzialmente giuridiche, che rientravano     (1) Sai Damerò e attività dei giarecoasalti pratici e filologi io OteV"  mania nel secolo XVII cfr. R. Stintzìug, Geachichte der deutechen Reohu  swi88en8ohaftf Mtiuchen - Leipzig, 1880, ove però nessana parte è fatta ai  enitori del diritto natarale. Sotto qaesto aspetto, e per la giarispradenza  tedesca del secolo XVIII è da consaltarsi la contìanazione dell'opera dello  Stinzing fotta da E. Landsberg ohe pubblicò nel 1898 il volome teraso  e quarto.     Digitized by VjOOQ IC     •* 120 —   nelle questioni più larghe dei rapporti tra Chiesa é autorità  civile da un lato, tra individuo e Stato dall'altro. E mentre i  Pietisti rappresentavano la protesta del sentimento contro le  abitudini ufficiali ed esteriori della Chiesa, nonché contro  l'esclusione della comunità dei fedeli dal governo della mede-  sima, i giuristi, giovandosi della logica giuridica, prepararono  il trionfo della libertà religiosa e di coscienza, contrapponendo  da un lato al sistema episcopale il sistema territoriale^ che  limitava i poteri del sovrano al governo esteriore della Chiesa,  contrapponendo dall'altra alla varietà discorde delle confes-  sioni religiose, il concetto unitario di una religione naturale,  sulla base di pochi dogmi di carattere morale, da tutti facil-  mente accettabili (1). D'altro canto la distinzione tra forum  internum ed externuìn elaborata dalla scuola del diritto na-  turale, offriva un criterio empirico, ma praticamente oppor-  tuno per separare la sfera giuridica da quella morale e regolare  i rapporti tra individui e Stato.   53. — Per opera dei cultori del diritto naturale e dei Pie-  tisti il movimento in favore delia libertà si era diffuso in  Germania, destando le latenti energie del popolo, avviandolo  per vie nuove verso nuovi ideali (2j. Ad agevolare l'opera del  progresso, ad assicurarne i risultati concorse efficacemente il  Leibniz, a cui l'universalità e profondità dell'ingegno, i lunghi  viaggi compiuti in Francia, in Inghilterra, in Italia (3), le  estese relazioni coi dotti e i principi di ogni paese, giovarono  per prender parte attiva a tutte le correnti della vita pubblica e     (1) Cfr. Raffini, Op. cit., p. 232 e seg.   (2) Cfr. quanto da noi fa detto saUa Scuola del diritto naturale in Ger-  mania al § 3.   \ji) n Leibniz soggiornò due anni in Italia (1689-90) e vi conobbe il  Bianchini a Roma, il Viviani a Firenze, il Grandi a Pisa, il Muratori a  Modena, il Malpigbi a Bologna. Abbiamo lettere scritte da Leibniz al  FardeUa, astronomo e filosofo a Padova, e poi dietro insistenza deUo stesso  Leibniz, nominato professor© di filosofia a Napoli. II FardeUa fu maestro  di Vico. — Cfr. Foucher de Careil, Nouvelles lettrea et opusoulee de  Leibniz, 1857, Introduzi ne.     Digitized by     Google     dell'attività scientifica del suo tempo, e per farvi partecipa  suo paese. Tutta l'attività veramente prodigiosa di Leibn  costantemente rivolta ad armonizzare le vedute esclusive  dominavano all'epoca sua in politica, in morale, in fìlos  nelle scienze. Egli polemizzò coi Cartesiani per il metodo  Locke pel problema conoscitivo, coi giansenisti e con ^i  branche per questioni teologiche, con Spinoza pe' suoi prin  metafisici ed etici, con Pufendorf sul fondamento del di  naturale. Nell'opera sua filosofica convergono le corrent  pensiero più disparate, e dopo di averne rilevato le coni  dizioni, le esagerazioni, talora le riproduce corrette e :  grate, talora le ripudia ricostruendole su altre basi: se d  iato integra le idee di Cartesio e di Locke sul metodo e si  rigine dell'idee, dall'altra parte contrappone teorie sue prc  ai sistemi di Spinoza e di Pufendorf.   li Leibniz ha stretti vincoli colla corrente teologico-cc  siana che trionfava in Francia con Malebranche: come qi  era credente sincero. A Dio lo portava il senso dell'uni  dell'armonia dell'universo, acuitosi in lui per gli studi  scoperte fatte nel campo delle scienze fisiche e matemati  L'idea di Dio non lo lasciava indilferente, ma lo riempi\  entusiasmo, di gioia serena e tranquilla, gli comunicava  senso schietto e profondo di venerazione e di amore all'in)  e al di sopra di qualsiasi confessione positiva. Il sensc  reale e della vita in tutte le sue forme lo trattenne dal m  cismo e dalle esagerazioni del Pietismo; e mentre in IS  branche teologia e filosofia si compenetrano e quasi si  fondono, in Leibniz procedono parallele e distinte (1).   Nella restaurazione dei diritti della ragione contro i   spregio in cui era tenuta dagli scolastici e dai mistici, Lei   ben può considerarsi successore e continuatore dello sp   . cartesiano: ma allo stesso tempo non crede al contrasto j     (1; Sai rapporti tra Leibniz e MalebraDche cfr. Ollé-Laprunej  cit., Voi. II, e. 1.     Digitized by VjOOQ IC     — l22 —   /   da Cartesio tra ragione e fede e vi sostituisce la necessità del-  l'armonia; né partecipa alle esagerazioni dei Cartesiani del-  llepoca sua, che erigevano a dogma l'onnipotenza della ragione  e ripudiavano qualunque altra forma di conoscenza. Epperò  tra il Locke che considerava il senso esterno (sensazione)  integrato dal senso interno (riflessione) fonte di conoscenza  nel campo delle scienze morali e Cartesio che riconosceva  solo l'autorità della ragione, Leibniz si attenne a una via  intermedia, distinguendo il metodo razionale (anaZisis per  S2lium) diretto a disciplinare la ragione, a porla in grado di  sfruttare i dati del senso e dare chiarezza e precisione geo-  metrica alle verità conosciute solo imperfettamente e confu-  samente, — e il metodo naturale (analisis per gradus) che  procede per gradi dal noto all'ignoto, secondo la via offerta  dalla natura stessa, trasformando i problemi semplificandoli,  formulando leggi generali, su cui poter fondare il ragiona-  mento. L'autorità, l'esperienza storica, costituiscono un valido  aiuto per lo studio delle scienze morali, e utile freno alle  astrazioni e alle intemperanze della ragione (1).   In ordine alla dibattuta questione circa l'origine delle idee  che Locke sosteneva acquisite dal senso, i Cartesiani innate  nello spirito chiare e distinte, Leibniz sostiene che non dai  sensi e dall'esperienza solo noi deriviamo le nostre conoscenze.     1     (1) Cfr. God. Guil. Leibnitii opera philosophica quae exMant latina^ gallicaf  germanioa, edidit J. E. Erdmann (Pars prior) 1840. lu uua lettera a un  amico, 1695 (v. Erdmaun, p. 123) il Leibuiz dice,  (Erdmanzi) p. 669)«     Digitizedby Google I     -126-   e confuse dì Leibniz rispondono alle rappresentazioni adeguate  e inadeguate di Spinoza, e come questi supplisce la conoscenza  mediante Temozione, cosi Leibniz supplisce la rappresenta-  zione mediante lo sforzo, e la rappresentazione chiara mediante  uno sforzo chiaramente conscio che involge la felicità e con-  siste nell'amor di Dio e de' nostri simili. Leibniz facendo  dell'individuo specchio dell'universo e immagine di Dio veniva  a porre a ugual grado l'amor di Dio e del prossimo: e se si  pensa alla impossibilità di esercitare l'amore verso Dio, l'amor  del prossimo diventa sorgente precipua della moralità pra-  tica (1). In ciò veniva a distinguersi da Spinoza e da Male-  branche, i quali, assorti nella divinità, consideravano secon-  darie e derivate le tendenze altruistiche. Ancora distinguono  Leibniz da Spinoza l'ottimismo e l'idea di sviluppo: l'uno  procedeva dalla fiducia illimitata nelle energie inesauribili  della natura umana, l'altra dal considerare la tendenza alla  perfezione, legge fondamentale della natura e dello spirito (2).  Tali caratteri congiunti a un senso vivo di umanità che tra-  spira da tutta la sua concezione etica, spiegano l'influenza  grande che questa esercitò in Germania nel secolo XVIII.   Nel campo del diritto naturale (3) il Leibniz si pose in op-  posizione con Pufendorf, il quale dìscostandosi dalla tradizione  di Grrozio, tendeva a far del diritto l'espressione arbitraria  della volontà di un superiore, anziché derivarlo dai rapporti  eterni inerenti all'ordine naturale delle cose. La distinzione  tra forum internum ed eocternum posta dal Pufendorf per se-     (1) Cfr. Noìiveau eoe, lib. U, o. 20.   (2) Cfr. Nouveaueoc.f lib. II, e. 21.   (3) NeUa parte 3» del tomo IV, dell'edizione delle opere del Leibniz  fatta dal Datens, sono raccolte le piti note opere giuridiche del Leibniz:  ma molti altri scritti di natura giaridica rimangono inediti. L'edizione  pili recente e più completa delle opere del Leibniz è quella curata da  I. Geihardt, t Die phylosophischen Schriften von Leibniz », Berlin,  1875 1900: ma videro la luce solo sette volumi, e le opere giuridìcbe  non sono ancora pubblicate. — Cfr. sulle idee giuridiche del Leibniz il  Landsbefg, Op. cit., Voi. III, e. i, § 4, p. 23-31.     Digitized by VjOOQ IC     - 126 -   era morale dalla giuridica era un criterio dì di-  trinseco e artificiale. Nell'intenzione di Pufendorf  ternum era il campo proprio del diritto naturale,  )rum internum era dominio esclusivo della filo-  sa; con ciò estendeva oltre misura la sfera Mei  ^ale, mentre confondeva la religione colla morale,  [vendica alla filosofia il forum internum, e senza   i diritti della teologia vuol costituita su basi  strina razionale dei doveri interni, ch'egli chiama  :ale: d'altro canto non crede possa limitarsi il  liritto naturale ai rapporti esteriori di condotta,  ne delle obbligazioni verso Dio che si svolgono  della coscienza. Egli rimproverava al Pufendorf  i di attitudini filosofiche, che gli impediva di ri-  ncipii di ragione e derivare da essi la dottrina   diritto (1).   di diritto naturale che formano il contenuto della  nno con le verità etiche comune l'origine e lo  in quanto procedono non dalla volontà (Pufendorf)  iza di Dio (Spinoza) ma dalla sua infinità sapienza   dai rapporti eterni e immutabili inerenti alla   cose, e si riflettono nello spirito confusamente  di intuizioni innate e di tendenze altruistiche, da  )no per gradi sempre più elevati di perfezione la  ;a e la vita sociale. La giustizia è la virtù sociale  za, e di essa è anima la generosità per cui l'uomo  ce di compiere nei rapporti con altri, azioni ra-  e della sua origine divina. Definendo la giustizia  lientis » Leibniz la fa consistere nella benevolenza  ssia nell'abito di provar piacere all'altrui felicità     2k aspra che, contro il suo costume, il Leibniz move al  •ntenuta nei « Monita quaedam ad 8, Pufendorfii principia »  >0. cit.). .  rvationes de principio juris, § 9,     Digitized by VjOOQ IC     - 187 -   sotto la guida della sapienza, che è la scienza della felicità  individuale e sociale (1).   Il diritto ha uno sviluppo parallelo alla vita sociale, e  coU'ampliarsi di questa quello allarga il suo contenuto. Esiste  un diritto positivo e volontario frutto del costume e del volere  dei governanti: esso comprende da un lato il jus civile che  regola la vita interiore di uno Stato, e trae la sua forza da  colui che ha nelle mani il supremo potere, dall'altro il jus  gentium che regola i rapporti tra Stati diversi e si forma per  tacito consenso di popoli. Il diritto volontario o positivo svol-  gendosi tende a modellarsi sul diritto naturale i cui principii  si estendono oltre i limiti di uno Stato particolare per abbrac-  ciare la società del genere umano, e inspirarsi alle esigenze  razionali dell'uomo astrattamente considerato, sciolto dalle  limitazioni di tempo e di luogo, che sono una conseguenza  della sua natura animale. Il diritto naturale concepito dal  Leibniz come una facoltà naturale a cui risponde una neces-  sità morale (dovere, obbligazione) si manifesta sotto tre forme  che ne costituiscono altrettanti gradi di perfezione. Nel pe-  riodo primitivo di sviluppo delle società umane, il diritto si  manifesta nella forma di jus strictum, o di giustizia commu-  nativa che si inspira al precetto: neminem laedere^ precetto  che presuppone l'uguaglianza di tutti gli uomini, e risponde  alle più elementari e imprescindibili condizioni del vivere  sociale. In un grado più elevato di sviluppo sociale, le disu-  guaglianze derivanti dalle attitudini e dai meriti diversi, dalle  distinzioni di classe e di condizione civile, fanno prevalere il  concetto deWaequitaSy q della giustizia distributiva, che in-  spirandosi al precetto: unicuique suum tribuere, genera da  un lato doveri di indole morale (gratitudine, beneficenza),  dall'altro la facoltà di chiedere ciò. che per gli altri è solo  compito di equità prestare. Vi è una terza fonte di diritti e     (l) Sai concetto di giustizia cfr. le lettere (sopratutto la VII, Vili, X)  scritte dal lueibni? a Hea. Eru. Kestnertpn (si trovano nel Dutens),     Digitized by VjOOQ IC     .^Tf?     - 128 -   di obbligazioni, la pietas, che si inspira al precetto: honeste  vivere, attua i fini della giustizia divina, scaturisce dall'or-  dine e armonia delle cose: essa risponde alle esigenze della  società universale degli esseri intelligenti che hanno comune  la credenza nella immortalità dell'anima e riconoscono in Dio  il reggitore supremo dell'universo (1).   L'uomo viene pertanto, secondo il Leibniz, a far parte d'una  triplice società, della società particolare di uno Stato, della  società più ampia del genere umano, della società universale  divina:. ognuna di queste società ha il suo legislatore, i go-  vernanti, la ragione. Dio; tutte svolgono il concetto di giu-  stizia, ampliandone progressivamente il contenuto, e gene-  rando una triplice serie di norme, civili, naturali e divine.  Ciò che trattiene l'uomo nell'ambito della legge e lo spinge a  conformare le sue azioni all'interesse collettivo, che è poi  quello della giustizia, non è solo la paura, l'interesse, l'egoismo :  3gli può essere tratto al bene e al giusto anche da naturale  propensione e rettitudine dell'animo, da energie altruistiche  ben più profonde ed efficaci, dall'amore, dalla pietà. Lo studio  poi delle azioni in quanto sono giuste o ingiuste, ossia in  [juanto sono utili o dannose in rapporto alle finalità proprie  di ciascun ordine di società, è compito speciale della giurì-  sprudenza, la quale, sfruttando le tendenze altruistiche del-  IHiomo, si fa interprete dell'interesse generale nel suo triplice  ^rado di sviluppo e detta norme dirette alla conservazione  B al perfezionamento sociale : « justum est quod societatem  ratione utentium perficit » (2).     (1) La teoria del Leibniz sul diritto naturale e sulle diverse fasi di svi-  luppo del medesimo è svolta nelle due dissertazioni premesse al « Codex  diplomaticus » .   (2) Cfr. doperà giovanile di Leibniz : Nova Mvthodus disoendae dooendaeque  jurisprudentia (1667). — In essa dice (Pars II, § 14): >S55l     — 134 —   notevole è il significato e l'estensione data  naturale. Nel suo concetto questo dovrebbe  ie di filosofia pratica universale, ossia di  ^ettiva, (1) a cui spetta porre i principii  me alla natura dell'uomo e delle cose: il  ipplicazione spetta all'etica soggettiva, (2)  mezzi per i quali l'uomo bene usando delle  ^uendo la virtù conseguire la felicità e ar-  one. In questa parte soggettiva il rigore  neno ed elementi eudemonistici e utilitari  r ai seguaci di opposti indirizzi di pensiero,  portanza dell'esperienza e del senso comune,  il dolore gli stimoli direttivi dell'intelletto  cita diventa l'indice misuratore della per-  >sta tendenza a fare del perfetto l'equiva-  concepire l'ordine delle cose da un punto  e utilitario, doveva insorgere il Kant. Ac-  :gettiva il Wolff riconosce la necessità di  le del diritto civile, destinata ad adattare  ùtto naturale alle esigenze della vita so-  [10 cerchiamo nel Wolff un criterio per la  zione del diritto civile rispetto al diritto  presenta l'insieme dei principii etici. La  itto perfetto e imperfetto, posta da Tho-.  tema del Wolff importanza secondaria, né,  1 Wolff indicò il criterio per distinguere  1 non coattivi.   nel Leibniz manca la coscienza della im-  ^uere la morale dal diritto; in quella vece     ► oggettiva è trattata dal Wolff neUa Philoaophia   >licata uel 1739.   ni è argomento della Philosophia moralis sive Ethica   ractata pubblicata nel 1750.   i d'essere delle InMHntiones juria naturae et gentium     Digitized by VjOOQ IC     — 135 -   abbiamo la tendenza a ricondurre entrambi a una fonte unica,  al diritto naturale. L'interesse collettivo distinto e indipen-  dente dal benessere individuale non fu inteso dal Wolff: la vita  sociale, e quindi il diritto che ne è l'espressione, devono so-  pratutto concorrere al perfezionamento e alla felicità dell'in-  dividuo: la perfezione altrui deve intendersi subordinatamente  alla propria e come mezzo per meglio perfezionare sé stesso.  Non si può però negare che la filosofia del Wolff, spogliata  della forma scolastica di cui egli si compiacque rivestirla,  era in istrettà corrispondenza collo spirito dei tempi, e pre-  parò quel' movimento illuminista, di cui l'eudemonismo, l'ot-  timismo, il perfezionismo individuale e sociale furono i ca-  ratteri più spiccati, e che cooperò efficacemente a sollevare  l'individuo contro le oppressioni dello Stato e della società.  55. — La corrente cartesiana nelle scienze morali dalla  Francia ove ebbe le origini si estesa all'Olanda e alla Ger-  mania: quivi solo trovò terreno favorevole al suo naturale  sviluppo: il genio profondo e conciliante del Leibniz seppe  tenerla ugualmente lontana dal panteismo mistico del Male-  branche, dal panteismo razionalista dello Spinoza e dischiuse  al Wolff la via per elevare un completo sistema che tutto  abbracciasse il vasto campo del sapere filosofico. In Germania  venne per tal modo delineandosi un sistema razionalista che  ne' suoi metodi, ne' suoi principii, nelle sue finalità si con-  trappose a quello che dopo Hobbes e Locke si era venuto  jS3rmando in Inghilterra per merito sopratutto della scuola  scozzese. Nel campo etico l' indirizzo tedesco movendo dal  concetto astratto dell'uomo, considerato particolarmente come  essere razionale, aveva prodotto un intero sistema rispon-  dente ad esigenze razionali, inteso a metter in evidenza  l'ideale etico più che l'aspetto concreto e storico della morale,  riuscendo per tal via al realismo e all'ottimismo etico: l'in-  dirizzo inglese poco tenero della logica concatenazione delle  idee, ma più direttamente interessato a rilevare gli elementi  soggettivi e irrazionali dell'uomo, fu indotto a trovare nelle     Digitized by VjOOQ IC     — 136 —     ^ ' ''AB     dsteriose regioni del sentimento il fondamento della vita  lorale. Ma entrambe queste correnti di cui l'una mette capo   I Wolff, l'altra all'Hume, obbediscono a esigenze filosofiche  hanno di mira la soluzione di un problema etico più che   iuridico. Se hanno strette attinenze colla scuola del diritto  aturale non la costituiscono essenzialmente, e rappresentano  iuttosto l'estensione dei principii etici a regolare rapporti  iuridici e sociali, di cui non intendono quasi mai la vera  atura e che subordinano quasi costantemente alla morale.   II particolare la corrente razionalista tedesca, se giovò a  ottrarre le scienze morali alla teologia e all'empirismo, osta-  olò sotto un certo aspetto il processo di differenziazione tra  fiorale e diritto, in quanto tendeva a ricondurre alla ragione  .stratta la morale e il diritto, perdendo di vista i caratteri  iifferenziativi, per accentuare a scopo di unità e di armonia   caratteri comuni.   A questo riguardo la scuola del diritto naturale o dei giu-  econsulti filosofi iniziata da Grozio e che in Germania so-  ►ratutto si svolse col Pufendorf e col Thomasius, mantenen-  [osi distinta dalla corrente filosofico-cartesiana, se non sempre  ibbedi alle esigenze logiche, mostrò di apprezzare al loro  :iusto valore i problemi interessanti la vita giuridica in  lontrapposizione alla vita etica. La coscienza di tale opposi-  ;ione appare sopratutto in Thomasius, a cui si deve il primo  entativo realmente efficace per separare la sfera giuridica  [alla morale. La scuola del diritto naturale venne pertanto  n Germania a scindersi in due campi nettamente distinti e  ;he si svolsero paralleli: l'uno filosofico personificato dal  Adolfi*, l'altro più propriamente giuridico personificato dal  ?homasius: a Kant spettava riassumerli nel suo sistema e  >orre su nuove basi il problema dei rapporti tra morale e  liritto.     Digitized by VjOOQ IC     . 3 '.*     — 137 —   §6.  Vico 6 le sciet^ze elicoH^iatiolicl^e It) Italia.   SOMMABIO: 58. Condizioni generali d'Italia nel secolo XVII —57. Galileo eia  filosofia naturale — 56. Gli studi giuridici e il rinnovaménto della filosofia  in Italia — 59. Vicende degli studi giuridici in Italia — 60. Gli studi giuridici  in Napoli nella prima metà del secolo XVII: giureconsulti pratici — 61. Il  progresso degli studi giuridici in Napoli nella seconda metà del secolo XVIII.:  giureconsulti eruditi : d'Andrea e Gravina — 62. La Vita Civile di P. M. Doria  — 63. Bisv«glio filosofico in Napoli nella seconda metà del secolo XVII —  64. Posizione di Vico in ordine agli indirizzi filosofici del suo tempo — 65. Vico  contro Cartesio e la questione del metodo nelle scienze morali — 66. Il cri-  terio della .verità nel Vico — 67. Il Vico e gli studi giuridici — 68. La filosofia  del diritto nel Vico — 69. Il rapporto tra morale e diritto — 70. Il diritto nella  sua formazione storica — 71. Diritto e scienza sociale — 72. Le sorti di Vico e  i critici cattolici — 73. Seguaci di Vico: Stellini e Duni — 74. Conclusione.   56. — Nei secoli XVI e XVII nei principali paesi d'Europa  si va delineando la struttura dello Stato moderno tra le ro-  vine dei rapporti feudali e dei privilegi municipali, in mezzo  agli sconvolgimenti delle lotte religiose sotto l'azione unifica-  trice delle monarchie assolute. Inghilterra, Francia, Austria,  Spagna, sul finire del XVI secolo già si presentano poten-  temente unificate nella persona del sovrano, i cui interessi  parvero identificarsi coli' interesse generale del popolo. La  formazione dello Stato moderno si accompagna ovunque col  sorgere della scuola del diritto naturale, a cui spettava in-  dicare i principi giuridici adatti al nuovo ordine di cose. A  questo movimento di concentrazione e di unificazione politica  che percorse l'Europa provocando il ridestarsi di energie  nuove, di una coscienza politica e civile moderna, rimase in-  teramente estranea l'Italia divisa in numerosi stati, deboli e  discordi» i quali come assistettero senza commuoversi alle  controversie religiose e alle guerre di prevalenza tra Spagna  e Francia, cosi accettarono senza opporsi le nuove condizioni  create dall'Europa alla penisola col trattato di Chàteau-Cam-  brésis. L'umanesimo se aveva fatto rivivere l'Italia nel passato  glorioso classico, l'aveva distratta dal presente in cui si ma-     Digitized by VjOOQ IC     'XTT'     — 138 —   > gli eventi destinati a modificare profondamente il  ll'umanità. Mancava all'Italia la coscienza di un in-  )ubblico e comune, intorno a cui raccogliere le energie  3, epperò doveva ricevere dal di fuori, da autorità  nemiche forza e impulso a progredire. La reazione   e l'influenza spagnuola, rivolgendo ai propri scopi e   le risorse economiche e morali del paese, costituirono  ;e servitù politica e religiosa, che pesò per oltre un  ille sorti del popolo italiano.   atamente il sistema di governo inaugurato da Filippo  jna, fatto per rovinare e soffocare qualunque forma di  ì, aveva in sé stesso molte cause di instabilità e di  i. La potenza veramente meravigliosa raggiunta dalla  lel XVI secolo, frutto di fortunate combinazioni sto-  ^ll'abilità tutta personale dei re che si succedettero da  do il Cattolico a Filippo II, non accompagnata da un  idente elevamento della coscienza civile e dell'intel-  popolo spagnolo, non poteva che essere transitoria ed  La politica di Filippo li, diretta a restaurare il Medio  )ffocare ogni manifestazione di vita nuova, a contra-  rcè uno spirito protettore violento e tirannico ogni   di emancipazione intellettuale e religiosa, se era de-  . un sicuro insuccesso nei paesi nei quali lo spirito  Torma, come in Olanda, o l'influenza del classicismo,  Italia, oppose valida resistenza, trionfò pienamente  igna, dove l'alleanza secolare degli interessi nazionali  5i, i sentimenti di fedeltà e di riverenza tradizionali   alla estrema ignoranza e superstizione, tolsero al po-  ^nolo ogni possibilità di reazione (1). Per tal modo     Buckle^ Op. cit., e. xv ove si fa la storia dell'intelletto spa-  » età moderna, e si mettono efficacemente in rilievo le oaase di  deUa Spagna rispetto agli altri paesi. — È sintomatico il fatto  ffini, (Op. cit.) facendola storia della libertà religiosa nei di-  ì di Earopa non nomina la Spagna, evidentemente perchè questa  porse l'occasione.     Digitized by VjOOQ IC     ^^^'     alla Spagna toccò iu sorte n  lo spirito reazionario e proto  berta e del progresso. In ciò  la quale, dopo di aver riform  Concilio di Trento, e di aver  i Gesuiti e l'Inquisizione, spiej  sistematicamente inspirata a  denza nuova.   Fu ripetuto e si ripete tut  corrente della Spagna e della (  unica della decadenza Italia  mazione deve rettificarsi di 1  delle condizioni d'Italia nel s  cadenza politica d'Italia in e  dominio spagnolo e alla reas  cercarsi nella sopravvivenza  avevan fatto l'Italia forte e fii  delle Signorie e del Rinascin  in Italia, come altrove, contri  mento protestante e dalla for  partecipò attivamente alle g  alle grandi lotte che commos  la sua non fu immobilità, sii  Spagna e ne segnò la decade  secolo XVII le idee, le passic  secolo anteriore attenuate o a  dell'Europa iniziano un nuovo  il passato per rinnovarsi dal]  il suo corso storico e trae da     (1) La nota pessimista prevale nei  preconcetto portò il Ferrari (La  Parte I, e. iv) a considerare conio e  si produsse di notevole in Italia. 1  fondamento di tali giudizi intorno  diamo il Forti (Istituzioni civilif F     Digitized by VjOOQ IC     — 140 -   gli elementi per rinnovare sé stessa. Il dominio spagnolo potè  affermarsi e sostenersi giovandosi dell'indifferenza politica del  popolo italiano : ma se influi sulle forme esteriori di vita, non  ne estinse le energie intime e vitali : a misura che la Spagna  nel corso del seicento andò perdendo di autorità, di dignità,  di potenza, Tltalia vera, quella che sembrava estinta sotto il  giogo straniero si ridesta, mostra di conoscere le nuove condi-  zioni di vita moderna, si afferma d'un tratto tra le altre nazioni,  le precorre mostrando che la servitù politica e civile non si-  gnifica morte d'un popolo quando l'anima si mantiene salda e  forte. Il classicismo era pur sempre una forza viva e operante  nella vita del popolo italiano e ne costituì l'elemento unifi-  catore, spiegando un'azione analoga a quella compiuta altrove  dalla religione o dalla monarchia.   Come il dominio spagnolo, cosi la reazione cattolica, che  richiama alla mente l'Inquisizione, i roghi, le arti gesuitiche,  esplicò un'azione del tutto esteriore sull'andamento generale  del pensiero italiano. La istintiva ripugnanza degli Italiani  alle guerre di religione, la indifferenza opposta al movimento  della Riforma, l'azione energica spiegata dalla Chiesa secon-  data dai governi nel reprimere i pochi centri infetti di eresia, la  divisione politica dell'Italia in piccoli Stati, numerosi e rivali,  aventi vedute diverse in fatto di politica religiosa, la presenza  del Papato, che doveva seguire una linea di condotta prudente  e moderatrice, se da un lato rendevano inutili le misure re-  pressive, dall'altro tolsero loro efficacia e intensità. La reazione  doveva spuntarsi contro il temperamento degli Italiani, abituati  per lunga consuetudine a quello sdoppiamento psicologico, non  privilegio di poche personalità ma proprio di quanti erano  intelligenti e colti, per cui sapevano conciliare la sincerità  delle credenze colle audacie del pensiero : solo la forma este-  riore del pensiero e delle opinioni doveva subire restrizioni e  accomodamenti, e ciò spiega le frequenti concessioni e gli ac-  corti espedienti a cui ricorsero anche i più alti intelletti, per  non offrire il fianco a inutili persecuzioni. E invero, nonostante     Digitizedby Google     — 141 —   il malgoverno degli Stati, lo sfruttamento permanente delle  energie produttive del paese, l'ignoranza delle plebi sistema-  ticamente insubordinate e affamate, la mancanza di virtù pub-  bliche e civili, di una coscienza politica nazionale, il pensiero  italiano nelle strettoie in cui doveva muoversi, si mantenne  più che mai desto, dando novelle prove della sua inesauribile  fecondità (1).   57. — L'Italia, unica tra i paesi dell'Europa, offre l'esempio  nel secolo XVII di una produzione intellettuale in cui l'antico  e il moderno si associano, e mentre da un lato conserva e  perpetua la tradizione classica del cinquecento, dall'altro  elabora forme nuove e precorre i tempi moderni. Scienza e  filosofia trovano nel seicento cultori e innovatori, il cui nome  basta per porre l'Italia al livello e al disopra delle altre  nazioni europee. L'Italia ebbe nel seicento il suo Bacone nel  Galileo, il suo Cartesio nel Campanella, come più tardi doveva  avere il suo Grozio nel Vico, il cui pensiero si educò e si  formò nell'ambiente e secondo le tendenze di quel secolo. La  Toscana e il Regno di Napoli furono rispettivamente i centri  del pensiero scientifico e filosofico. La Toscana, culla dell'arte  nel trecento per opera di Dante, fu Ja culla della scienza nel  seicento per opera di Galileo. Nulla di più inesatto, sopratutto  rispetto al Galileo della frase del Ferrari « essere stata l'Italia  nel seicento il paese delle grandi eccezioni » : non fu una ec-  cezione il Galileo, il quale riassunse in sé il lavoro di molte  generazioni precedenti, e fu il capo d'una scuola numerosa  di seguaci che ne continuarono gloriosamente le orme. Un  secolo prima il Vinci aveva proclamato l'esperienza >ola in-  terprete della natura e aveva inaugurato il felice connubio  della matematica coi dati sperimentali in cui propriamente  consiste il pregio e la novità del metodo galileiano. Prima di  Galileo, Telesio aveva detto che la natura è il gran libro in     (1) Sai carattere toUerante degli Italiani in materia religiosa efr. R a f f i n i,  Op. cit., p. 475.     Digitized by VjOOQ IC     — 142 —   s   cui si contiene tutta la filosofìa : il Galileo additò i caratteri  coi quali il libro era scritto. Prima di Cartesio, il Galileo coa-  cepi le forze naturali come capaci di peso e di misura, e dai  rapporti ideali delle quantità cercò intuire i rapporti reali  dei fatti. Prima di Bacone egli insegnò che il senso porge la  materia greggia dell'esperimento e che dall'osservazione deve  nìuovere la ricerca scientifica. Per tal guisa il Galileo se da  un lato precorre, dall'altro supera, completandoli, Bacone e  Cartesio nello studio dei fatti naturali. In lui l'esperienza e  il ragionamento, quella fondata sul senso, questo sulla ragione,  si associano e si completano a vicenda. A Bacone invece parve  sufficiente la semplice osservazione, a Cartesio la speculazione  pura(l). Il metodo naturale fuori d'Italia si sdoppiava in due  indirizzi opposti, in Italia e più specialmente in Toscana per  opera dei continuatori del Galileo si mantenne nella sua in-  tegrità e divenne lo spirito informatore dell'Acciidemia del  Cimento (2). Galileo non usci dal campo dei fenomeni fisici :  sotto questo aspetto fu superato da Cartesio e da Bacone, di  cui l'uno creava per le scienze speculative un metodo nuovo,  l'altro consigliava l'estensione del metodo sperimentale alle  scienze morali. Ad associare il metodo razionale e sperimen-  tale, Bacone e Cartesio, nello studio delle scienze morali so-  pravvenne il Vico che restaurò la filosofia italica, come Galileo  aveva restaurato la filosofia naturale.   58. — Il rinnovamento filosofico in Italia fu assai più lento  e contrastato. Sulla scorta del Mamiani e del Gioberti noi  potremmo facilmente rintracciare in Italia fin dal secolo XV  una triplice azione diretta contro la scolastica, la teologia,  Aristotele (3). Né mancano nuovi sistemi che contraddicono   (1) Sai precursori di Galileo e sul metodo galileiano ne' suoi rapporti  con quello adottato da Bacone e da Cartesio cfr. Fiorentino, Beìmardino  Tele8i0f Firenze, 1874, II, e. 13.   (2) Cfr. A. E e che r, La fisica spei'imentale dopo Galileo nella « Vita ita-  liana » Sec. XVIII. Parte III.   (3) Cfr. Mamiani, Del rinnovamento della filosofia antica italianaf Pa-  rigi, 1834, Parte I, e. 3-5. — In quest'opera, come nelle opere più note     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     — 144 —   rinnovamento della filosofìa italica. Tale corrente è rappre-  sentata dalle scienze giuridiche e morali.   Altrove osservammo che nell'Europa moderna l'impulso ad  una trasformazione filosofica derivò da esigenze di carattere  morale e giuridico. L'Italia pur non sottraendosi a questa le^e  tenne diverso cammino. In Olanda, Inghilterra, Germania sorse  e si affermò la scuola del diritto naturale: scarsa e imperfetta  era la tradizione giuridica in questi paesi,' e del tutto insuf-  ficiente a soddisfare le nuove esigenze create dalla formazione  dello Stato moderno. Il concetto di un jiis natiirae che per-  metteva alla ragione di sciogliersi dai vincoli dell'autorità e  della tradizione giuridica del passato, divenne il fulcro intorno  a cui si svolse una letteratura etico-giuridica copiosa, desti-  nata a dare nuove basi alle scienze morali. Ma né in Francia  né in Italia sorse una vera scuola di diritto" naturale: in  Francia fu soffocata nel suo sorgere dal dispotismo reazionario  di Luigi XIV: in Italia non aveva ragion d'essere per la man-  cata formazione dello Stato moderno. Il diritto filosofico che  altrove procede dalla ragione in opposizione alla tradizione  giuridica, in Italia scaturisce spontaneo e per filo non inter-  rotto dalla tradizione giuridica stessa, trasformata e adattata  alle nuove condizioni dei tempi moderni. Solo per questa via  si può spiegare la restaurazione giuridico-filosofica compiuta  dal Vico, e vien meno quel carattere di eccezionalità che an-  cora circonda la figura del grande pensatore napoletano, a  cui spettava nel campo delle scienze morali, come al Galileo  nel campo delle scienze naturali, riassumere il passato e di-  schiudere l'avvenire. * .   59. — Le scienze giuridiche fornirono anche all'Italia oc-  casione alla restaurazione filosofica, la quale per altra via  avrebbe incontrato difficoltà quasi insor/nontabili. Alla glossa  di Irnerio e di Accursio (secoli XI e XII) ossequente alla let-  tera della legge, era seguita con Bartolo e Baldo (secolo XIV)  la scuola degli interpreti, i quali applicando alle leggi la dia-  lettica scolastica, accomodarono il diritto romano alle esigenze     Digitized by VjOOQ IC     — 145 —   del foro e alle necessità dei tempi, ampliandone e  done il contenuto, facendo spesso opera di legislatc  di giureconsulti (1). Tali interpreti costituirono la  giureconsulti pratici, la quale si mantenne nume  fluente in Italia nei secoli XVI e XVII (2). Neil'  ignoranza e confusione delle leggi, i pratici contrib  serva il Carle, a svolgere quell'aspetto della scienza  che chiamasi ora giurisprudenza (3).   Sul finire del Medio Evo l'amore della critica stoi  logica applicata agli studi giuridici vi produsse una  schiera di giureconsulti culti o eruditi, che astraci  sogni della pratica, deplorando le alterazioni che  dei pratici i testi del diritto romano avevano subito,  con ardore ammirabile a purgare la lezione dei test;  l'antico diritto « colla cura, dice il Carle, con cui si  una statua antica i cui frammenti sieno disgiunti gì  altri ». Dalla scuola dei giureconsulti culti iniziat  da filologi come il Poliziano e il Valla e da giurecom  l'Alciato, svoltasi sopratutto in Francia col Cuiacic  i primi romanisti, e i primi storici del diritto (4).   La diversità di scopi e di indirizzi mantenne a li  e ostili i giureconsulti pratici e colti, per quanto  cassero fin dal secolo XVI tentativi per conciliare e  i due indirizzi (5). E mentre in altri paesi di Euroj     (1) Carle, Vita del diritto, Torino, 1890, p. 227.   (2) Il Vico vi accenna nel De universi juris eoe. (Proloquiì   (3) Carle, Op. cit., p. 298.   (4) Ricordiamo Jne italiani il Sigonio e il Pancirolo. —  Op. cit., I, p. 447.   (5) Ricordiamo Alberico Gentile il qnale pur appari  scuola dei giureconsulti colti ne criticò aspramente le esaj  Dialoghi siigli interpreti delle leggi (pubblicati a Londra nel  Gentile fu ad un tempo nelle numerose sue opere pratico ed ^^:''WH.-;     — 147 —   terra di conquista e la volontà dispotica del principe tien  luogo di legge, — in cui i viceré nominati per tre anni po-  tevano impunemente violare la legge pur di arricchire nel più  breve tempo possibile, dopo di aver inviato a Madrid 8,000,000  di scudi.— in cui l'educazione era affidata ai Gesuiti e la  Chiesa dominava le coscienze e la vita civile colla supersti-  zione, colle sue ricchezze, co' suoi privilegi, col numero enorme  di corporazioni religiose e di fondazioni — in cui il popolo  ignorante e affamato era sempre pronto alla rivolta inconsulta  — in cui l'amministrazione della giustizia era corrotta, la  distribuzione dei tributi ingiusta, il commercio insignificante,  l'agricoltura abbandonata, le campagne percorse da banditi —  in cui l'arte e la letteratura erano servili — in cui il sistema,  feudale si perpetuava co' suoi abusi e la nobiltà si corrompeva  nell'ozio (1).   In questo periodo di generale decadimento l'attività intel-  lettuale si esercitai a nel foro e nelle materie giuridiche. La  giurisprudenza- era il campo aperto agli studiosi, e raccoglieva  intorno a sé quanto di più eletto per ingegno e coltura esi-  steva in Napoli. I pratici erano in prevalenza, ma si distin-  guevano per acume giuridico, per l'analisi profonda dei fatti,  per la rara diligenza nel porre le questioni. L'influenza dei  curiali e l'alta considerazione in cui erano tenuti costituiva  l'unica difesa contro le frodi, le ingiustizie, i disordini del mal  governo. Il giureconsulto inspirandosi all'equità naturale com-  pieva opera sociale notevole, poiché trovava per tal via modo  di supplire alla insufficienza o mancanza della legge scritta (2).     (1) SaUe condizioDÌ generali di Napoli iu questo periodo ofr. Giano o ne,.  Storia eivile del Regno di Napoli, Libri XXXIII-XXXVIII.   (2) Parlando deUo stato della giurisprudenza napoletana in questo pe-  riodo il Gian none, Op. oit., Libro XXXIV, e. 8, dice che « gli avvocati  di questi tempi non collocavano molto studio nell'oratoria, sicché i loro  aringhi comparissero al foro luminosi e pomposi : si studiavano ricavar  l'eloquenza più dalle cose che dagli ornamenti dell'arte. Perciò i loro  discorsi in Ruota erano corti e tutto sugo : il principal loro studio era nel  porger con metodo ed energia i fatti ecc. ».     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     — 149 —   il Caravita, TAulisio, giureconsulti di gran nome  poranei del Vico.   Né solo gli studi giuridici attinenti alla prat  incremento e lustro nella seconda metà del secol  Napoli, ma anche gli studi storici del diritto ce  intendimento filosofico trovarono un degno rappres  Gian Vincenzo Gravina. Questi portò la interpretazi  della scuola napoletana alla sua maggior perfezioi  iniziò gli studi sulla storia e sulle origini del dirit  raccogliendo tutte le conoscenze che si avevano  medesimo, indovinando il nesso tra le varie parti  le lacune, facendo opera pe' suoi tempi nuova e  Nella produzione giuridica del Gravina è evidente  far servire il diritto romano a scopi filosofici (2). Tra  restringevano la legge naturale alla legge raziona  che ne allargavano il concetto fino a derivarla dal  golanti l'universo, il Gravina si attiene a una so  termedia che doveva più tardi svolgere e accentu;  L'uomo, secondo il Gravina, per la sua natura corporei  alia legge generale delle cose che è legge di moto  di conservazione e di evoluzione continua : per la i  spirituale ha una legge sua propria che è legge di  di moti volontari. Per diritto naturale il senso de^  narsi alla ragione, il cui cibo è la virtù, e il cui ]  pace dell'animo, conseguita per mezzo della conosc  naie delle cose (3). La vita sociale si inizia colla far  flcata nel padre a cui spetta per diritto naturale Ti  mestico. Dalla necessità degli scambi sorgono i cont:     (1) Lo riconosce il Vi 11 ari nel suo saggio sol Filangieri, (S  critica, politica, Firenze 1898).   (2) I principi di filosofia giuridica del Gravina si trovane  e nei primi sedici capi del Libro III dell'opera sua maggio  juris oivilis libri treSy Napoli, Mosca, 1713. — Nel I libro fa 1  origini e del progresso del diritto romano pubblico e privai   (3; Gravi na. De origine juris, Lib. II, e. 1-9.     Digitized by VjOOQ IC     — Ì50 —   generano rapporti più ampi, fondati non sopra vincoli  uè, ma sulla considerazione del vantaggio comune, di  isura la legge, definita giustamente da Platone « distri-  lentis ». Su questa base dell'interesse comune e sul-  io delle società private di commercio, si formano le  civili, di cui sono organi necessari, la legge ossia la   voluntas intesa a regolare i rapporti sociali, e la  : potestas a cui spetta prevenire e reprimere anche  amente le violazioni delle leggi (1). Se l'idea dell'onestà  mto universale e costante della legge, questa può assur  >rme diverse secondo i tempi, i luoghi, il carattere dei  inche i rapporti tra levarle società civili devono essere  L da ragione, e il diritto che ne deriva costituisce il di-  sile genti, le cui violazioni giustificano le guerre intese  ionfare nei rapporti fra gli Stati la ragione sugli istinti  ì antisociali (2). Come nell'interno di uno Stato ai saggi  mti alla ragione espressa in leggi scritte spetta gover-   ai sudditi, schiavi del senso, obbedire, così nei rapporti  zionali spetta agli Stati più civili dominare e sottomet-  i Stati che violano le norme del diritto naturale. Il  a. previene il Vico nella ricerca delle cause per le quali  i sorgono, si conservano, rovinano. Se non che il Gra-  )n essendo assorto al concetto di società come un tutto  ;o e considerandola solo come la somma degli individui  compongono, ricerca tali cause nell'uomo e fa dipendere  t)rio sociale dall'equilibrio di tutte le facoltà dell'indi-  ^). Precorrendo il futuro egli mostra le sue predilezioni  sverno popolare (4) e mette in evidenza l'importanza  3 medio o terzo stato per mantenere l'ordine e l'armonia  [verse classi sociali (5). jNel diritto e nella costituzione     p. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. lO-lS".  r. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. 14.  r. Gravina, Lib. III, ci.  r. Gravina, Lib. III, e. 16.  r. Gravina, Lib. Ili, e. 14.     Digitized by VjOOQ IC     — 151 —   politica del popolo romano, alla cui illustrazione l'opera sua  di giureconsulto è sopratutto intesa,' il Gravina, come più tardi  il Vico, vedeva l'esempio ideale da semr di guida e di inse-  gnamento agli uomini politici e ai giuristi (1).   La filosofia giuridica del Gravina non ha valore che per  l'epoca e le circostanze in cui sorse : in essa la funzione etica  del diritto non si distingue dalla sua funzione sociale, la legge  naturale si confonde colla legge morale, come per gli antichi  il sommo bene è riposto nella virtù congiunta alla felicità e  acquistata colla scienza (2): ma nel Gravina troviamo i germi  dell'indirizzo che doveva prevalere in Italia col Vico, cioè lo  studio storico del diritto romano fatto servire a illustrare  principi teorici, e alla ricerca delle leggi regolanti il corso  delle nazioni (3).   62. — Del risveglio effettuatosi in Napoli nelle scienze mo-  rali e giuridiche, è novella prova la Vita Civile di Paolo Mattia  Boria, alla cui pubblicazione, avvenuta nel 1700, il Doria, non  ancora distratto dalle polemiche cartesiane, fu forse indotto  dalla lettura delle opere del Gravina, o più probabilmente  dalla famigliarità col Caravita, nella cui casa conveniva col  Vico (4). Il Doria nell'opera sua si dimostra, a differenza del     (1) Cfr. del Gravina H libro « De romano imperio »- in cai tratta deUa  costituzione deUMmpero romano come della costituzione ideale.   (2) Le idee religiose del Gravina furono dal lato dogmatico queUe dei  cattolici del suo tempo, ma con questi fu in disaccordo nel campo etico.  La sua Hydra mistica è una critica severa della morale gesuitica mostrando  una grande indipendenza di pensiero.   (3) Il Vico conobbe il Gravina verso il 1714, lo ricorda con espressioni  di stima e di affetto nella Autobiografia. Se non ne cita le opere, ciò non  deve attribuirsi a malanimo o a distrazione^ come afferma il Cantoni,  (G, B. Vico, Torino, 1867, p. 88), ma al fatto che nel Vico anche le idee  altrui si elaboravano e si trasformavano in guisa da diventare sue pròprie  e originali.   (4) Paolo Mattia Doria (1662-1746) di famiglia genovese, visse e morì  a Napoli dove erasi recato fanciullo. Fu amicissimo di Vico il quale lo  ricorda neXV Autobiografia, e gli dedica il iasimano quelli che vogliono ricavare la politica dalla sola pratica e  i filosofi che credono potersi governare il mondo ooll'astralta metafisica.  — Nella Vita Civile, Parte I, e. ii, dice « che la politica e la morale sa-  rebbero la stessa cosa e non vi sarebbe punto bisogno di politica^ qualora  le norme di moralità fossero da tutti comprese e attuate ».   (3) Doria, Op. cit., p. 27.     Digitized by VjOOQ IC     /- 163 -   La politica deve fondarsi sulla conoscenza della natura umana  quale appare alla ragione : solo per tal via si potrà evitare  Tempirismo e ridurre la politica a sistema. Come non è vero  giureconsulto chi dalle leggi particolari del luogo non sa elevarsi  alla ragion della legge, cosi non è vero politico colui che ha  solo una naturale e raffinata malizia, spoglia di ogni cono-  scenza dell'uomo, de' suoi rapporti coll'ordine delle cose, del-  l'essenza della vita civile, di ciò che contribuisce alla felicità  degli uomini (1). Dalla metafisica, che pel Doria significa co-  noscenza degli universali a scopo di applicazione pratica, deve  la politica trarre il suo fondamento scientifico. Nello studio  dell'uomo il Doria segue l'indirizzo psicologico mediano proprio  della filosofia italica e che il Vico doveva svolgere : rileva il  dualismo tra spirito e materia, ammette che a costituire la  vita morale concorrono la ragione e il senso, l'universale e  il particolare, che la felicità consiste nella retta conoscenza  e nel buon uso dei sensi, che naturale è l'inclinazione alla  vita sociale, che l'uomo per necessità della sua natura tende  a emendarsi, a cercar rimedio ai mali, a sollevarsi gradata-  mente dal senso, ossia dai particolari agli universali principi,  cioè alle idee innate del vero e dell'onesto (2). Tutti questi con-  cetti ravvalorati dalla esperienza storica ritornano nel Vico.  Alla morale impossibilità dell'uomo di possedere tutte le virtù  e al fatto che tutti sono forniti di qualche virtù, supplisce la  vita civile, la cui vera essenza sta nel comporre armonicamente  insieme le energie virtuose disperse nei singoli, in guisa che  si aiutino reciprocamente, e si formi una condizione di cose  atta ad assicurare a ciascuno la felicità (3).   11 Doria dopo aver ricostruito razionalmente o piuttosto psi-  cologicamente l'origine e l'essenza della vita civile, cerca, come     (1) Cfr. Doria, Op. cit., p. 38.   (2) Cfr. il Capo II delia parte prima dove è esponila la dottrina i)sico-  logica del Doria.   (3) Cfr. Doria, Op. cit., p. 92-93.     Digitized by VjOOQ IC     ^z.^^?»:^:^^     — 154 -   più tardi il Vico, nella storia conferma a' suoi principi. Re-  spinta l'ipotesi di una pretesa età dell'oro, riconosce che gli  uomini, cresciuti di numero, premuti dal bisogno attraversa-  rono un periodo di lotte e di violenze, da cui uscirono racco-  gliendosi e organizzandosi intorno a uno di loro più forte che  li difendesse : si costituirono allora le famiglie e si ebbero i  governi patriarcali. Quando gli uomini non paghi della difesa  aspirarono a un genere di vita più regolare e civile, fecero  ricorso al prudente che dettasse leggi ordinate alla umana  felicità. Colle leggi e ordinamenti si iniziò la vita civile che si  svolse dapprima nelle città, poi nei regni e si ebbero le monar-  chie, trasformatesi col tempo in aristocrazie e in democrazie. Col  graduale estendersi e complicarsi della vita civile, l'economia  domestica si fa commercio, la difesa della casa si trasforma  in vasta arte di guerra, la naturai prudenza diventa scienza  di governo o politica. Una progressiva divisione di poteri ossia  di ordini si rende necessaria, e si formano le classi dei guer-  rieri, dei legislatori, dei magistrati, i quali a loro volta vanno  distinguendosi in magistrati di politica, di giurisdizione, di  commercio. Tra i sudditi poi si vanno formando le classi dei  padroni e dei servi : da quelli si svolge la nobiltà, da questi  la ricca varietà dell'arti servili. Dalla . storia di Roma trae  il Doria argomenti ed esempì alla dimostrazione della sua  dottrina (1). Passando dalla costituzione politica a descri-  vere le fasi del progresso sociale, quale risulta dalla storia,  il Doria pone come legge regolante il corso dell'umanità il  graduale passaggio dalla vita barbara o difettosa alla vita  civile moderata da leggi scritte, e da ultimo alla vita civile  pomposa, in, cui la civiltà si accompagna col lusso e colla  magnificenza degli esteriori ornamenti. La vita pomposa ge-  nera l'ozio e il popolo ricade nella servitù (2).     (1) Cfr. Doria, Op. cit., I, e. in e iv.   (2) Cfr. Doria, Op. cit., I, e. v, ove si descrivono diffusamente le  diverse fasi deUa vita civile.     Digitized by VjOOQ IC     4..^     — 165 --   Per quanto erroneo sia il concetto fondamentale della dot-  trina civile del Doria, noi crediamo di trovare in essa i germi  di molte idee e dottrine svolte più tardi dal Vico. Il con-  cetto che la filosofia deve tendere a scopo pratico, che anche  la politica può fondarsi su principi saldi e costanti tratti  dalla conoscenza dell'uomo e delle sue passioni, la storia e  sopratutto la romana invocata a conferma della dottrina, la  progressiva differenziazione degli ordini e dei poteri, il pas-  saggio graduale dell'umanità dalla barbarie alla vita civile e  il ritorno fatale alla barbarie, il progresso identificato col  passaggio dal senso alla ragione, sono concetti che ritornano  nel Vico svolti ed estesi a nuove e più lontane conseguenze.  L'opera del Doria, molto apprezzata ai suoi tempi, non fu. senza  influenza sui principi italiani ancora infetti da machiavellismo,  incitandoli a saggie e razionali riforme: essa precorre i tempi  e non merita l'obblio in cui è tenuta dagli storici della filo-  sofia del diritto. Ad ogni modo essa getta viva luce su quel-  Tambiente di Napoli in cui fu concepita e pubblicata, e nel  quale si maturava il genio di Vico.   63. — Il progresso negli studi giuridici e sociali in Napoli  nella seconda metà del secolo XVII, non era che il riflesso  di una. ben più larga e profonda trasformazione del pensiero  napoletano al contatto delle correnti filosofiche europee, le  quali, penetrate in Napoli malgrado l'attenta vigilanza della  Chiesa, si erano rapidamente diffuse conquistando gli spiriti  oramai maturi ad accoglierle. Prime a conquistare il favore  delle nuove generazioni furono le dottrine di Epicuro e di  Locke, come quelle che interessavano la vita pratica e schiu-  devano un ideale morale che era in aperto contrasto colle  idee e coi sentimenti tradizionali (l). La rivoluzione iniziatasi     (1) n Vico uéìV Autoìnografia ci dice che « Del tempo nel quale egli  partì da Napoli (1685) si era cominciata a coltivare la filosofia di Epicuro  sopra Piar Gassendi, e due auui dopo ebbe novella che la gioventti a tutta  voga si era data a celebrarla ». — Ciò conferma il Doria nell'introduzione  air opera : Difesa della metafi»ioa degli antichi contro G, Locke eco, (1732,).     Digitized by VjOOQ IC     - 156 —   nel costume si estese al campo speculativo e l'occasione fu  offerta da Cartesio nelle cui opere filosofi, giuristi, matematici,  fisici e fisiologi trovarono argomenti per un nuovo indirizzo  di metodo e di studi. Negli ultimi decenni del seicento e fin  verso la metà del secolo XVIII Cartesio fu in Napoli nome  di battaglia e di partito: esso significava libertà di pensiero,  opposizione ad Aristotele, al principio di autorità, allo scola-  sticismo, all'erudizione filolcfgica e storica, all'empirismo: esso  divenne l'arma poderosa che servi a scuotere, dice il Giannone,  il durissimo giogo che la filosofia dei chiostri aveva posto sopra  la cervice dei napoletani (1). Primo a introdurre in Napoli e  a far conoscere la dottrina di Cartesio fu Tomaso Cornelio (2)  (secolo XVIl), medico e naturalista della scuola del Telesio,  il quale ebbe ad alleati influenti il giureconsulto Francesco  d'Andrea, il medico Leonardo da Capoa, e sopratutto Gregorio  Caloprese (3), che approfondi la dottrina cartesiana e primo  si diede a insegnarla. Del favore che Cartesio incontrò in  Napoli sul finire del secolo XVII fa prova l'Accademia degli  Investiganti istituita in casa propria dal marchese dell'Arena,  allo scopo di studiare e discutere la filosofia cartesiana col  concorso e l'adesione di quanti si distinguevano in Napoli, per  coltura e ingegno nei più diversi rami del sapere (4).   Al primo periodo di entusiasmo e di fanatismo, di ammira-  zione cieca per le nuove idee che venivano dal di fuori, suc-  cesse un lungo periodo di reazione e di opposizione tendente a  richiamare le menti alle buone tradizioni della filosofia italica,  a restaurare il platonismo che già nel cinquecento era stato     (1) Cfr. Giannone, Op. cit., Lìb. XL, e. 5.   (2) Del Cornelio parla il Fiorentino, Op. cit., II.   (3) Il Vico (Auiob,) lo chiama « gran filosofo renatista ».   (4) In quest'epoca abbiamo una vera ri&oritura di accademie in Napoli :  oltre a quella degli Investiganti ricordata dal Giannone, Op. e 1. cit.,  notiamo qnella fondata da Gaetaiio Argento alla quale conveniva il Gian-  none ; quella fondata dal duca di Medina Coeli ; quella degli Infuriati ri-  cordata dal Vico nella Autobiografia^ quella degli Oziosi, senza tener conto  delle numerose private.     Digitized by VjOOQ IC     — 157 —   valido strumento di guerra contro Aristotele e la Scolastica.  Anima dell'opposizione contro Cartesio, l'idolo del giorno, fu  il Vico, al quale le varie correnti di pensiero che si erano  andate svolgendo in Napoli nella seconda metà del secolo XVII  nel campo delle scienze giuridiche e filosofiche convergono:  egli potè apparire un genio solitario solo perchè fu l'astro  luminoso, dice il Villari, in cui si concentrò la luce di tutta  uaa moltitudine di minori pianeti (1), perchè riassunse in sé  tutta un'epoca e sui materiali da questa forniti elevò un si-  stema di cui i contemporanei non potevano valutare l'impor-  tanza, e di cui parve egli stesso volesse rimandare all'avvenire  la prova dei fatti.   64. — Nell'opposizione contrergli indirizzi filosofici prevalenti  all'epoca sua Vico non fu solo: egli ebbe ad alleati quanti per  avversione a Cartesio e allo scolasticismo miravano a restau-  rare la filosofia platonica e a richiamare gli ingegni al culto  della tradizione italica. Tra questi devesi ricordare il Doria,  il quale dopo aver combattuto Cartesio nel campo della geo-  metria, della fisica, della metafisica, si fece a sostenere il  platonismo in armonia colla dottrina cristiana. Il suo tentativo  lasciò gli animi indifferenti: a lui nocque il carattere polemico  delle sue opere, l'esagerazione con cui combattè senza distin-  zione tutti gl'indirizzi nuovi di pensiero solo perchè non ri-  spondenti alle sue predilezioni filosofiche (2).     (1) CIt. il saggio sul Filangieri del Villari in Saggi di storia aHitea  e politica, Firenze, 1898. — Il Villari, iJ Carle sono tra quelli che  cooperarono a sfatare la leggenda di genio solitario che unita all'altra di  genio incompreso si era andata dopo il Ferrari creando intorno al Vico,  e che fu accolta sopratntto dai critici francesi (Michelet, Michaud,  Jan et). Il Bovio (Conferenza su Vico in Vita i^aZiana, secolo X Vili) dice  che il Vico non fu genio incompreso, ma deve annoverarsi tra i pensa-  tori solitari, che sono quelli che hanno larghe visioni e piccola prova. —  Giustamente osserva il Villari (Luogo oit,)^ che tale errore nacque dal-  l 'esser generalmente poco o punto conosciuta la storia degli studi che  allora fiorivano in Napoli.   (2) Il Vico nella AtUobiografia dice che il Doria frequentava con lui le  conversazioni le quali avevano luogo in casa di D. Nicolò Caravita e di     Digitized by VjOOQ IC     — 151   Ben altra importanza ed efl  Vico. Essa trovava fondamento  zione ricevuta, negli studi da 1  delle sue naturali tendenze ini  scientifiche e particolarmente n  ingegno spiccatamente italiano  Vatolla ritornò in Napoli nel  suoi studi, e le sue opinioni fi  sono quelle che troviamo svolte  discorso sul metodo degli studi  tìquissima (1710). In questo pei  soflche del sapere. Delle diverse  che agitavano l'ambiente di ?  sfuggi all'osservazione e alla mei     Vito di Sangro. Parlando del Doria il  mirava come sublime ed originale in (  e cornane nei platonici >. Ciò fece a mi  tesiano, mentre il p.'isso di Vico prov;  tempo in maggior pregio del Vico la do  se il Doria fu per qualche tempo seguac  un deciso avversario. Egli cominciò v  l'applicazione da lui fatta del metodo  lo combatteva nel campo metafisico n  alla filosofia di Renaio des CarieSy non  loaofia di P, M, Dona con la quale si  Queste due opere gli suscitarono cont  principe della Scalea, discepolo del Gal  contro il Doria nell'opera intitolata Bi  Doria oppose nello stesso auuo le su  monografia citata del Geriui, p. 21-:  Difesa della metafisica degli antichi e  che in questi contrasti tra cartesiani e  del Vico: ciò deve, secondo noi, attr  in quest'epoca ne' suoi nuovi studi gii  diretta parte a questioni di carattere fil  comune il desiderio che gli Italiani «  delle scienze degli oltramontani, dov  pienza in quella guisa che fecero i 1  Misantropo, Parte II, 1737).     Digitized by VjOOQ IC     "^'^*?ji^«;ifT^f3r^     — 159 —   egli accolse interamente poiché era profondamente convinto  che nessuna rispondeva al carattere nostro nazionale e alle  esigenze delle scienze morali che costituirono il campo proprio  in cui si affermò sin dal principio il suo ingegno, e alle quali  ebbe sempre rivolto il pensiero sia nella scelta degli autori  da formar oggetto di studio, sia nella scelta del metodo da  seguire, sia nel porre il criterio della verità, sia nel deter-  minare la natura e la finalità dell'uomo (1).   Nelle sue predilezioni per Platone e Tacito già si intravvéde  quel dualismo tra il senso e la ragione, che doveva essere il  fulcro intorno a cui si svolgono le scienze morali e il corso  storico dell'umanità. Con Platone lo spirito, il mondo delle idee  esce per la prima volta fuori dall'involucro mutevole del senso.  Niuno prima e dopo di lui seppe dare dell'uomo, quale do-  vrebbe essere secondo la sua natura razionale, un concetto  più vero e profondo. Colla guida di Platone Vico avrebbe po-  tuto in seguito rintracciare nell'uomo e nelle sue manifesta-  zioni individuali e collettive gli elementi costanti e universali.  Tacito descrivendo l'uomo reale dominato dai sensi e dalle  passioni, che opera spesso inconsciamente dietro lo stimolo  degli istinti, dei bisogni, delle utilità poteva costituire ottima  guida per la conoscenza dell'uomo storico e di ciò che vi è  di vario e di mutevole nelle azioni umane. Tacito completava  Platone e sulla scorta di entrambi la chiave per la compren-  sione dell'uomo singolo e collettivo era trovata.     (1) n carattere mentale del Vico possiamo desumere daUa serie deUe  sne opere, e daUa vita scritta da lui stesso. 'NéìV Autohiografia il Vico fa  sé stesso oggetto di osservazione, descrive la saa vita mentale, ci dà la  genesi delle sue opere, il procedere del suo pensiero. Primo il Carle rilevò  la stretta analogia tra il Diaoorso sul metodo di Cartesio e la Vita del Vico  (Cfr. Carle, Op. cit., p. 295 nota). Ma Tanaìisi psicologix^a fatta dai due  pensatori sopra sé stessi li condusse a conseguenze opposte. Cartesio si  convinse della necessità di concentrarsi in sé stesso e di ricavar la sciènza  col proprio intelletto. H Vico invece si convinse che l'uomo deve guardarsi  bene dall'esser solo a pensare una cosa^ perchè o si mata in Dio o si pone  in contraddizione col senso comune.     Digitized by VjOOQ IC     — 160 —   Per ciò che riguardava Tordine e il metodo da seguire nello  studio dell'uomo, il Vico, guidato dal suo ingegno divinatore  fermò l'attenzione su Bacone. Non dimentichiamo che per tutto  il secolo XVII e XVIII le opere di Bacone passarono inosser-  vate nella stessa Inghilterra per la prevalenza incontrastata  che vi assunse il metodo soggettivo nello studio delle scienze  morali (1). Gli stessi enciclopedisti, ammiratori di Bacone (2),  lo celebrarono come fondatore del metodo induttivo, ma non  ne rilevarono l'importanza in ordine alle scienze morali: pochi  nello stesso secolo XIX diedero valore al suo trattato De Avg-  mentis che al Vico parve giustamente dischiudere un'era  nuova nello studio delle scienze morali, come quello che mentre  faceva rientrare anche quest'ultime nel vasto campo delle  scienze sottraendolo all'impero della metafisica, indicava alla  loro restaurazione il metodo induttivo. Nel culto per Bacone  il Vico rimase a lungo solo in Italia e fuori. Il Vico comprese  e svolse il concetto adombrato da Bacone di porre le scienze  morali sulla salda base dell'osservazione storica e psicologica:  egli costituisce l'anello di congiunzione tra Bacone e Oomte  che con piena coscienza volle restaurato tutto il sapere filo-  sofico sulle basi del metodo induttivo. Ma se Bacone aveva ri-  levato le lacune del sapere umano e indicato il nuovo metodo  di indagine, non aveva detto il modo con cui colmare tali la-  cune, come praticamente applicare il metodo dell'osservazione  allo studio delle scienze morali : l'una e l'altra cosa fece il Vico  e potè con giusto orgoglio dire di aver creato una scienza nuova.   Platone, Tacito, Bacone, vengono per tal modo a personificare  i tre capisaldi della filosofia vichiana applicata agli studi  morali e sociali, la ricerca dell'universale nel particolare,  dell'idea nel mutevole succedersi delle azioni umane mediante     (1) Vedi sopra pag. 49 e seg., saU'opera e suUe sorti di Bacone.   (2) Primi a far conoscere Bacone in Francia furono Voltaire neUe sue  « Lettere Persiane» (1734) e il Diderot nel sno « Discorso preliminare  aU' Enciclopedia » (1753).     Digitized by VjOOQ IC     — 161 —   un procedimento di induzione (1). L'uomo nel concetto di Vico  deve assumersi nelle scienze morali nelle integrità della sua  natura, né deve esser lecito al filosofo di foggiarsi una natura  umana che contraddice al senso comune e alla realtà delle  cose. L'analisi psicologica non deve spingersi al punto di  far violenza alla natura. La specializzazione soverchia delle  scienze se rende gli uomini dotti nei particolari li rende meno  atti ad abbracciare il sapere nella sua integrità (2): essa poi  riesce particolarmente dannosa alle esigenze delle scienze  morali aventi carattere e scopo pratico e che presuppongono  Tuomo operante nell'interezza della sua natura tra i due poli  estremi del senso e della ragione, dell'istinto e della libertà,  secondo una legge di progressivo predominio degli elementi  razionali sopra i sensibili. Le scienze morali devono valersi  di concetti sintetici e i cultori delle medesime devono essere  uomini d'ingegno, cioè, capaci di scorgere il comune tra cose  lontane e disparate (3).   Fermo in tali concetti il Vico doveva trovarsi in disaccordo  cogli indirizzi di pensiero dominanti in Napoli e che in pic-  cole proporzioni riflettevano gli indirizzi di pensiero che in  seno alla filosofìa moderna si erano andati delineando nel  secolo XVII e che il Vico riconduceva genialmente a cor-  renti di idee che avevano dominato nell'antichità. Scarsa e  difettosa era la conoscenza che il Vico aveva dei sistemi filo-  sofici antichi e moderni (4) : ma suppliva con una intuizione     (1) lu una lettera a Mousigaor Gaeta il Vico definisce l'indazione se-  condo il concetto di Bacone. — Per le opere del Vico ci siamo valsi della  edizione napoletana 1858-1869 in otto volumi curata dal Ferrari: ad essa  ci riferiremo per le citazioni. "L^ Epistolario del Vico fa parte del Voi. VI.   (2) Il Vico svolge tale concetto nella sua Prima orazione tenuta a Na-  poli nel 1699. — Cinque orazioni di Vico ancora inedite furono pubblicate  dal Galasso nel 1869 e formano l'ottavo volume deiredizione citata.   (3) Cfr. De Antiquissimaf Voi. I, ediz. cit., e. vii, § 3.   (4) Sappiamo che il Vico conosceva Platone nelle opere del Fi e ino,  Epicuro In quelle del Gassendi; egli confuse Zenone stoico con Zenone  eleatico e cadde in altri simili errori.     U     Digitized by VjOOQ IC     — 162 —   asi sempre felice, la quale gli permetteva di rilevare il ca-  tterò generale delle varie dottrine e sopratutto di intrave-  rne le lontane conseguenze nel campo pratico. Senza preoc-  parsi dei pericoli e delle inimicizie a cui egli, povero e  cora oscuro, si esponeva, parlò un linguaggio nuovo di verità  standosi pubblicamente contro i critici compiacenti, contro  L ostinati delle sette, contro gli impostori che infestano il  andò degli studiosi (1), contro i falsi dotti che studiano per   sola utilità (2), e i dotti cattivi che amano più l'erudizione  Le la verità (3). Tra coloro che si occupano di scienze mo-  li condanna senza pietà gli stolti che non vedono né le verità  trticolari né le universali, gli illetterati astuti abili nell'a-  ltare la scienza alla pratica, i dotti imprv/Xenti sprezzanti  realtà e tendenti a tradurre nella pratica le loro teorie (4).  Non era invidia o umore bilioso o spirito di parte che in-  iravano il Vico ma profondo amore del vero, nobile risenti-  ento contro quanti, sfruttando la scienza, ne compromettevano   serietà con grave danno dell'educazione. L'intimo connubio  L'egli vagheggiava tra filosofia ed educazione (5), lo rese av-  irsario delle dottrine filosofiche che non si indirizzavano a  nder migliori gli uomini e a guidarli verso la felicità indi-  duale e collettiva.   Di Epicuro combatte il materialismo che non riesce a spie-  ,re le cose della mente: e la sua morale chiama « morale di  iccendati chiusi nei loro orticelli » fatta cioè per uomini  litari non destinali a vivere in società, che pretende rego-  re i doveri della vita coi piaceri dei sensi. Morale solitaria     [1) Cfr. Orazione terza del 1701.   [2) Cfr. Orazione quarta del 1704.   [3) Cfr. Lettera al P. Bernardo Giaoohi del 12 ottobre 1720, Ediz. cit.,  1. VI.   '4) Cfr. il De nostri temporis eco,, Voi. I, ediz. cit., § 7.  [5) Il carattere pedagogico dell'opera del Vico fu rilevato dal Tommaseo,  ìggio 8U Vioo)\ dal Flint (Fico, Edinburgh 1884); dai Gerini {Soì^ttoH  ìagogici italiani del secolo XVIII, Paravia, 1901).     Digitized by VjOOQ IC     — 163 —   cioè « di meditanti che studiano non sentir passione >  la morale degli Stoici, alleati dei Cartesiani, come qu I, § 3, 4, 7, 9), nel De Antiquisaima (ediz. cit., I, e. vii, § 4), nella  Risposta seconda al « G-iornale dei letterati d* Italia » (ediz. cit., I, p. 173,  181, 184), nelle lettere (ediz. cit., VI) all'Esperti (1726), al P. de Vitry  (1726;, al Solla (1729).   (2) Aòntamente osserva il Vico che « il metodo geometrico trasportato  in cose che non sono numeri e misure prova qualunque cosa » {Bisp, al  Oiom, eoo», ediz. cit., I, p. 181).     Digitized by VjOOQ IC     — 166 —   che può raggiungersi nelle scienze fisiche aventi un oggetto  determinato e nelle quali si cerca la causa per cui molte  cose si eflTettuano in natura, non nelle scienze morali che  h^nno per oggetto i fatti degli uomini, la cui natura è incer-  tissima per l'intervento dell'arbitrio, in guisa, che delle molte  cause di un sol fatto non si può mai dire quale sia la vera.  Porre alle scienze morali per fine il vero, bandire da esse  il verosimile è condannarle alla sterilità e all'impotenza. Il  Vico, superando Bacone, precorre le più moderne dottrine  positive circa il metodo da seguirsi nelle scienze morali. Tra  ì Cartesiani fautori della critica, che vogliono banditi i veri  secondari e pongono il primo vero fuori del senso, che vogliono  educate le menti all'analisi, logorandole in sottigliezze e mi-  nuzie senza tener conto dell'indole dell'animo umano, delle  sue tendenze alla vita civile, dei vizi, delle virtù, del carat-  tere e del costume secondo l'età, il sesso, la condizione, la  famiglia, la nazione, che si illudono di ridurre a norma tutto  ciò che si attiene alla vita e fanno troppa fidanza sulle norme  der metodo, che finiscono per ostacolare l'ingegno e distrug-  gere la curiosità — e i fautori della topica, seguaci di Aristo-  tele, che, paghi di un sapere empirico, si affidano ciecamente  all'autorità, il Vico propugna l'unione della critica colla topica,  cioè della dimostrazione coll'invenzione, dell'analisi colla sin-  tesi, del vero col verosimile, della ragione col senso comune.  Solò per tal via l'uniformità si consegue nell'operare e si  formano non gli scienziati, ma gli uomini prudenti, gli oratori,  gli uomini di Stato, che è lo scopo proprio delle scienze morali.  66. -^. La dottrina del metodo si completa nel Vico con  .quella relativa al criterio di verità ch'egli contrappose al cri-  terio cartesiano della percezione chiara e distinta ottenuta  per mezzo dell'osservazione interiore (1). Il Vico affrontando  una delle più ardue questioni di metafisica non perdette mai     (1) La questiouò del criterio di verità è trattata dal Vico nel De An-  tiqui88imaf Capo I.     Digitized by VjOOQ IC     — 167 —   di mira le esigenze delle scienze morali, e il suo pensiero  riassunse nella formola della conversione del vero col fatto,  cioè che conoscere una cosa significa farla. Mediante l'intel-  letto l'uomo conosce e conoscere significa comporre insieme  tutti gli elementi di una cosa e formarsene la perfetta idea.  L'intelligenza umana, a differenza della divina, ha un potere  di comprensione limitato, poiché degli elementi costitutivi  delle cose solo gli esterni, e parzialmente anche questi,  riesce a combinare: opperò se l'uomo può pensare a tutte le  cose, non può che intendere quelle che fa, ossia quelle di cui  arriva a comprendere la genesi o la guisa di formazione.  La scienza per Vico è essenzialmente genetica ìr\ quanto si  riduce alla conoscenza del modo o delle cause con cui una  cosa è prodotta {vere scire per causas scire). I limiti della  conoscenza sono quelli del potere. Di qui l'incertezza e im-  perfezione delle scienze morali, le quali avendo pei* oggetto  le azioni umane che non possono riprodursi e sono continua-  mente mutevoli, non possono proporsi a loro unico scopo il vero,  mentre le scienze sperimentali hanno un grado di verità assai  maggiore in quanto studiano la natura riproducendola, e le  scienze matematiche racchiudono il grado massimo di verità  in quanto sono prodotti mentali, vere e proprie creazioni dello  spirito. Il Vico parlando di produzione della cosa come sino-  nimo di conoscenza della cosa non intende, come mostra di  credere il Cantoni (1), una produzione ideale, ma una produ-  zione reale, che trova cioè un qualche riscontro nella realtà  quale appare ai nostri sensi. La chiara e distinta idea della  cosa non può assumersi a criterio del vero, come sostiene  Cartesio, poiché il pensare distintamente a una cosa non si-  gnifica ancora conoscere il contenuto della medeisima, e iioh  ci autorizza ad affermare la realtà della cosa_ pensata,. La  certezza di pensare non é scienza ma coscienza : scienza si ha     (1) Cfr. Cantoni, Op. cit., Parte I, o. iri. — La miglior interpretazione  del pensiero metafìsico del Vico ò quella data dal Flint, Op. oit., o. vi| § 2.     Digitized by VjOOQ IC     - 168 -   delle cose la cui verità è dimostrata o dimostrabile, cioè delle  cose che riusciamo a fare, mentre la coscienza è proprio di  quelle cose di cui non possiamo dimostrare il modo di loro e^-  stenza. Neppure lo scettico dubita di pensare e di esistere, ma  dichiara solo di ignorare le cagioni del pensiero, ossia come  esso ha esistenza: il pensiero è indizio, non causa della realtà.  Una critica più acuta e stringente del principio metafìsico  cartesiano non si potrebbe immaginare e ninno prima di lui  può vantare di averla fatta. La coscienza può attestarci la  esistenza delle cose ma per intuizione non per dimostrazione ;  apprendere le cose non ancora significa conoscerne la natura.  Per tal modo il Vico elevava una distinzione netta tra verità di  scienza e di coscienza, tra verità di ragione e di sentimento ò  per usar la sua espressione abituale tra ciò che è vero e ciò  che è certo (1). Dell'esistenza di Dio, dell'anima, dei principi  delle scienze morali possiamo avere una cognizione certa  ma non vera. Di quanto il Vico restringe il campo del vero  di altrettanto allarga la cerchia del certo, pel quale riconosce  che unico criterio applicabile è il senso comune. Il Vico però  a differenza dei positivisti moderni non eleva una barriera  insuperabile tra la sfera del certo, delle credenze e- la sfera  della verità, della scienza : egli ammette che le verità di sen-  timento, di intuizione, sieno capaci collo svolgersi della ri-  flessione di trasformarsi in veri scientifici : anzi egli pose  come legge generale dello, spirito individuale e collettivo e  delle sue singole manifestazioni il graduale e progressivo pas-  saggio dalla coscienza alla scienza, dalla autorità alla ragione,  dal certo al vero. Quanti nell'età moderna si fecero sostenitori  della relatività del sapere, accolsero, senza ricordarlo, il pru-  dente criterio del Vico: ma di essi più accorto, il Vico mostrò     (1) Il vico usa le espressioni ve^'o e certo in un significato speciale: per  lui è vero ciò che si converte col fatto ; certo è .tutto ciò che si fonda  sul senso comune, ossia le verità intuite ma non dimostrate. Noi invece  siamo soliti considerare termini equivalenti il vero e il certo.     Digitized by VjOOQ IC     - 169 —   di intendere e di apprezzare anche le idee e sentimenti che  hanno il loro fondamento nell'autorità del senso comune. Egli  era profondamente convinto che le scienze morali non possono  astrarre dal verosimile per correr dietro a una vana e for-  male apparenza di vero che trova nella realtà continue smen-  tite (1).   Il De Antiquissima chiude il periodo filosofico-critico del  pensiero di Vico: le dottrine in esso esposte sono in regolare  armonia colle - sue opere posteriori, di cui formano il presup-  posto metafisico. Il Libet^ meiaphisicus ribadisce il concetto  che la vera sapienza è operativa e la filosofia non deve solo  proporsi la solitaria e sterile verità ma ancora l'utilità e la  dignità della vita. Il Vico non si restrinse a una critica ne-  gativa, mentre critica integra: e come sul terreno metafisico  e metodico aveva integrato Bacone e Cartesio, cosi si prepa-  rava a integrare Grozio nel campo etico e giuridico.   67. — Le predilezioni del Vico per gli studi giuridici rimon-  tano al primo periodo della sua vita, allorché imbevuto ancora  di metafisica scolastica, dietro consiglio del padre si applicò  àgli studi legali per un periodo di cinque anni (1680-1685). La ca-  suistica giuridica, rappresentata allora in Napoli da D. Fran-  cesco Verde indispose il Vico, come quella che si perdeva nel  casi particolari senza elevarsi a principi razionali : ottimo  esercizio di memoria, egli osserva, ma tortura dell'intelletto (2).     (1) La dottrina metafisica del Vico ancora aspetta di esser giudicala al  sno giusto valore. Esagerarono nelle lodi per uiì sentimento di legittimo  orgoglio nazionale, il Mamiaui, il Gioberti, il Siciliani: la snatu*  rarono adattandola ai propri sistemi filosofici gli hegeliani (Spaventa,  Vera, Fiorentino) e gli spiritualisti (Rosmini): mostrò di non com-  prenderla affatto il Cantoni, che chiama W^Liher metaphiaious « una strana  anomalia nella storia del pensiero di Vico ». — Non ci convince intera-  mente l'affermazione del Labanca(6^. B, Vico e i suoi orifici oaitolioif  Napoli, 1898) che il Vico fece della metafisica dogmatica e cristiana, fon-  dandosi sul fatto che i critici cattolici del secolo XVIII la considerarono  tale e non sollevarono dubbi al riguardo.   (2) Cfr. Autobiografia per tutte le notizie biografiche in questo paragrafo  indicate.     Digitized by VjOOQ IC     — 170 --   li interpreti antichi e gli interpreti   parve riscontrare i filosofi dell'equità   storici del diritto civile romano: fin   i di far convergere i due indirizzi a   itto filosofico. A formarsi una coltura   ale scopo, il Vico attese per un periodo   li a elaborare è a fissare quei principi   lostituire il sustrato metafisico di tutte   (1). Non trascurò il Vico neppure in   giuridici : ne abbiamo la prova nella   so sul metodo (1708) delle vicende sto-   per metterne in evidenza il carattere  )mento per un nuovo indirizzo degli  rva il Vico che in Grecia la giurispru-  ntemente divisa tra filosofi, prammatici,  ►onevano i principi razionali attinenti   gli altri fornivano le leggi agli oratori  eloquenza l'equo. In Roma la giurispru-  origini divisa tra giureconsulti-filosofi  no dal lungo esercizio delle pubbliche  elaborazione della civil prudenza sacra  ano dalla parola allo spirito della legge  [uo, gli uni custodi del giusto, gli altri  iretà moderna le diverse parti della  assunte in una sola dottrinagli giure-  aratore, ha cessato di essere filosofo;  interesse privato, a cui giova partico-  ifica il pubblico interesse, meglio tute-   1 Vico traeva motivo per insistere sulla  'equità naturale colla filosofia giuridica   per lui era la dottrina del pubblico   rende i uove anni passati neUa solitndiue di   ani poi trascorsi in NapoU fino alla pubblica-   1710).   9 eco. (1708), i 12-13 (ediz. cit.).     Digitized by VjOOQ IC     ^^OÈL.     IP^^^^ -     - 171 -   reggimento che i Greci apprendevano dai filoj  dalla pratica stessa delle cose pubbliche, mentr  Vico era trascurata tanto dai pratici preoccup  trionfare l'equo e Futile privato, quanto dagli er  far risorgere in tutta la sua purezza il diritto ;  rendersi conto delle nuove esigenze dei tempi.  Il divisamente di richiamare gli studi giurid  sua divisi tra la pratica e l'erudizione ad una b  si venne meglio determinando nel Vico colla coi  del Gravina e sopratutto colla lettura del Grozio  ai tempi di Vico il Grozio era pressoché ignora  Gravina mostra di non averne approfittato. Tale  verso Grozio era naturale in Italia, estranea al  mazione dello Stato moderno e strettamente lej  dizione giuridica e all'autorità del diritto roman  cercato reagire il Grozio (2). Ma ben intese i  scuola del diritto naturale di cui era stato fonda  aveva efficacemente cooperato a restaurare qi  del pubblico reggimento, di cui difettavano i no  sulti. Si comprendono pertanto le sue simpatie  lui posto nel novero degli autori prediletti acca  a Tacito, a Bacone. Il Grozio era assorto al e     (1) Il Vico neìV Autobiografia ci fa sapere che la Vita é  pubblicata nel 1716 gli conciliò € la stima e l'amicizia d  letterato d'Italia signor G. V. Gravina col quale coltivò s  denza infiuo ch'egli morì *. Il Gravina morì nel 1718. Le  provano che egli conosceva di fama anche prima di qu£  vina, e certamente ne aveva letto le opere, — Il Vico p(  l'opera del Grozio « nell' apparecchiarsi a Scrivere la F  cioè verso il 1714.   (2) L'opera del Grozio era stata messa sìlV Index Ex^  Chièsa cattolica. La sincerità delle credenze religiose no  Vico di studiare e apprezzare scrittori condannati dalla  ma per prudenza si astenne molte volte dal citarne i n  citandoli li citò vagamente e quasi di sfuggita. In leti  abbondano le citazioni di scrittori stranieri e mostra di co:  nei concetti fondamentali .     L     Digitized by VjOOQ IC     — 173 —   arsale sottratto a delimitazioni di tempo e di luogo,  na e immutabile di giusto che il Vico con Platone  innata e propria della natura razionale dell'uomo,   aveva cercato far scaturire dallo studio della  le lingue dei popoli diversi ed estendere alla gran  mere umano. La lettura di Grozio forni al Vico  i prender conoscenza dei divèrsi indirizzi che  del diritto naturale si erano andati svolgendo in   Germania, Francia, nel secolo XVII. Di Hobbes,  yle, ricorda il nome e le opere e riassume in poche  issime l'indirizzo generale del loro pensiero in or-  lenze giuridiche e sociali (1). Altrove mostra co-  stemi di Selden e Pufendorf, di cui associa costan-  dottrina relativa alle origini della società umana  ii Grozio. Ma a quest'ultimo il Vico direttamente  e conciliandolo colle nostre tradizioni giuridiche.  zò assorgere dal concetto dell'equità naturale, eia-  pratici, col sussidio del diritto romano, restaurato  i, a quell'idea eterna del giusto che il Grozio aveva  mte derivato dalla ragione umana,  ordine ai fondamenti filosofici delle scienze morali,  del Vico è per molti aspetti definitiva. Nessun  pensiero antico e moderno sorto in seno alle scienze  mostra di ignorare : di tutti rilevò acutamente le  difetti. I Greci avevano trattato della giustizia e  in termini troppo generali e astratti, i Romani in     '. Vno^ (Proloquium^f ove ricorda il Principe del Maccbiavellì,  ìli' Hobbes, il Tractatua theologico-politicua dello Spiuoza, il  1 Bayle. — "SeW Autobiografia accenna ad uua corrispondenza  is, di cui mostra apprezzarne il valore. . — Questa conoscenza  iutte le correnti fìlosoficbe e giuridicbe dell'epoca sna fa ri-  urie nella sna opera recentissima, La filosofia del diritto nello  ), Parte I, lib. IIF, e. iv, § 129 nota, Torino, Unione tip,  ontro coloro, sopratutto stranieri^ cbe facendo la storia del  Je non ricordano affatto il Vico.     Digitized by VjOOQ IC     — 173 —   concreto : gli antichi interpreti non conobbero che le esigenze  della pratica, i nuovi astrassero da ogni indagine di carattere  filosofico per concentrarsi nello studio filologico dei testi di  legge. Hobbes, Spinoza, Bayle fecero dell'utile o del piacere il  criterio del diritto, fecero del timore o del contratto il fon-  damento della società, dell'arbitrio la fonte della legge. Grozio  stesso tratta del diritto naturale delle genti e trascura il  diritto civile (1), opperò se quello rispondeva a esigenze razio-  nali, questo lo contraddiceva nel fatto. I^'uomo di Hobbes che  agisce sotto lo stimolo dell'utile e del bisogno è condannato  dalla ragione, ma trova conferma nell'esperienza della storia.  La scienza del diritto naturale sembrava dibattersi tra i due  termini opposti della ragione e del senso, dellar filosofia e della  storia senza speranza d'uscita : a risolvere la contraddizione  si accinse il Vico. Il concetto di un'armonia provvidenziale  balenata alla mente del Leibniz per comporre il dualismo me-  tafisico tra anima e corpo, ricorre per una strana coincidenza  nel Vico per comporre la corrispondente contraddizione nel  campo delle scienze morali (2). Filosofia e storia, idea e sen-  sazione, scienza e coscienza, ragione e autorità, lungi dal-  l'escludersi si richiamano, si integrano, si spiegano a vicenda  nell'uomo, nelle sue varie fasi di sviluppo, nelle sue manife-  stazioni individuali e collettive. La dottrina pertanto del  diritto naturale o universale che il Vico identificava colla  dottrina civile in opposizione alla dottrina morale (3), si fonda  sulla duplice base del vero e del certo, ed è svolta nel De Uno  da un punto di vista puramente astratto (4).  L'idea del giusto innata nell'uomo non è che un aspetto     (1) Del juB civile il Vico accoglie la definizione di Ulpiano: « quod  neqae in totum a j are naturali recedit, nec per omnia ei servit, sed  partim addit partim detrahit ».   (2) Cfr. Ferrari, Op. cit., Parte II, e. ni.   (3) Cfr. De Uno eoe* (Proloquium)f ediz. citata, volume II.   (4) Il Vico pubblicò il De uno universi juna principio et fine uno nel  1720. Egli chiama universale ciò che altri chiamava diritto naturale.     Digitized by     Google     Digitized by VjOOQ IC     pijBM!,^ wiL^-»-»^,-':' .--^ ■     — 175 —   scambio dei beni, che segui alla prima divisione dei campii  passò da forme violenti e arbitrarie a forme sempre più ra-  zionali e si generò il dominio. La volontà dapprima dispotica  e sfrenata, nell'usare dei beni e delle persone, facendosi sempre  più moderata e ragionevole generò la libertà; l'attività gui-  data dal senso, fu conservazione e tutela della vita fisica,  guidata dalla ragione divenne tutela e conservazione della  personalità intellettuale e morale (1). La proprietà, in quanto  è ristretta alle cose finite e corporee, la tutela in quanto è  difesa del corpo, la libertà in quanto è libera estrinsecazione  degli affetti dell'animo costituiscono il diritto naturale pri-  mario che Ulpiano defini: quod natura omnia animalia  docuìL avente carattere negativo in quanto indica ciò che la  ragione non riprova ma permette, if dominio, la libertà, la  tutela, sciolti dal senso e regolati dalla ragione costituiscono  il diritto naturale secondario o necessario, che Giustiniano  defini quod naiuralis ratio inter omnes homines constitiiit  et apud omnes gentes peraeque custoditur, in quanto vieta e  comanda conformemente all'eterno vero. Le due parti del nii-  ritto civile ne costituiscono rispettivamente la materia e la  forma, il corpo e l'anima, l'elemento mutevole ed eterno, la  ragione civile e naturale, ossia la mens legis e la. ratio legis,  di cui l'una è ir certo delle leggi che spectat ad uiilitatem  qua variante variatur^ l'altra è il vero delle leggi, cioè la  conformazione della legge al fatto, che spectat ad honestaiem  qtme aeterna est (2).   Dalla libertà, proprietà, tutela, si genera Vauctoritas, la quale  lungi dall'essere creazione arbitraria del legislatore, come  vorrebbe Hobbes, ha il suo fondamento nella natura stessa  dell'uomo, in quanto questi conoscendo ciò che è proprio della  sua natura, lo vuole e lo attua colla mente e col corpo. Questa     (1) Sui concetti di libertà, proprietà, difesa e loro genesi psicologica cfr.  De Uno, e. 71 e seg.   (2) Sui rapporti tra diritto primario e secondario cfr. De Uno, e. 75 e feg.     Digitized by VjOOQ IC     — 176 —   aìicioritas naturale o razionale attuata nei fatti costituisce  VauctorUas jtiris, la quale fu dapprima monastica, spontanea  espressione della personalità individuale, propria degli uomini  che vivono solitari all' infuori di qualsiasi organizzazione so-  ciale: poi costituita la famiglia diventa domestica ed è l'es-  pressione del dispotismo ancora rozzo e violento dei patres :  infine col formarsi degli Stati diventa civile, ed è l'espressione  dell'intelligenza, volontà, attività collettiva, ossia della per-  sonalità civile (1).   Dal diritto civile proprio di ciascun popolo si distingue il  diritto civile comune, ossia il diritto naturale dei giurecon-  sulti fondato sui comuni costumi dei popoli (2) : abbiamo da  ultimo il diritto naturale dei filosofi, dedotto da' principi pu-  ramente razionali e riferito alla gran città del genere umano (3).  Col diritto privato si svolge parallelamente il diritto pubblico.  Primo a sorgere è il governo degli ottimati, reso necessario  dalla tulela dell'ordine, proprio degli uomini forti, poco amanti  delle conquiste ma molto della loro libertà e dignità: esso si  regge colle costumanze e mantenendo inalterato e arcano il  diritto. Dalle repubbliche di ottimati, numerose ma piccole, i  popoli molli e rozzi passano alle monarchie, i popoli di ingegno  acuto ma molli cadono presto sotto i tiranni, mentre i popoli  di ingegno acuto e forti si organizzano in repubbliche libere  e popolari, sulla base dell'eguaglianza del suffragio, della li-  bertà di opinione, dell'egual diritto agli onori. Mediante patti  statuti si possono costituire governi misti e temperati a  base monarchica, aristocratica o democratica (4).     (1) ^{jXV auotoritas e sue forme cfr. De Uno, e. 88 e seg.   (2) Il Vico lo chiama jus civile omnium dvitatum eommune — {De Uno,  e. 118), o ju8 naturale gentium {Ih., e. 136), e ad esso riferisce la de-  finizione del ju8 civile data da Gaio: « omnes popnli qui legibns fet mo-  ribns reguntnr, partim ano proprio, partim communi omniam hominum  jnre utuntur t.   (3) Cfr. sui rapporti tra jus naturale gentium et philoeophorum, De Uno,  0. 136.   (4) Sulle tre forme fondamentali di governo di ottimati, regio, libero,     Digitized by     Google      — 177 —   11 De Uno ha tutti i caratteri di un vero e prò  di filosofia giuridica, che il Vico con novità ec  espressione chiama constantia jw^is. Per esso il  una posizione netta e precisa di fronte ai tre in(  mentali che vedemmo essersi distintamente delii  alla scuola del diritto naturale e che dovevano  secolo XVII accentuarsi e arrivare alle consegue  Ai seguaci di Hobbes, moderni epicurei, il Vico  l'esclusiva importanza data agli elementi sensibi  e perciò mutevoli del diritto. Ai cartesiani, mode  Vico contesta la possibilità di formare una teoi  del diritto colla guida esclusiva della ragione,  conto degli appetiti, degli affetti, degli interes  tanta parte della vita dell'uomo e della società  due indirizzi estremi il Vico si attiene all'indiriz  che tra tutti aveva mostrato di intendere la comi  natura umana e di assorgere al concetto di un dir  universale, depvandolo dalla ragione associata  e alla storia. Ma del Grozio non fu il Vico pediss(  come il Pufendorf Egli lo integra sotto, un dupl:  vista, filosofico e storico. Vedremo come nell'uso  pretazione della tradizione e della storia il Grozi  il paragone con Vico : ci basti per ora affermare  Uno il Vico supera in rigore e profondità di concet  giuridica contenuta nel De jure belli et pacis.   In questo trattato il Grozio si rivela più giur  erudito che filosofo: i suoi principi filosofici sono  ben determinati: gli fa difetto il rigore logico, Y  matico, la precisione nel definire e nel distingue]  cipì opposti talvolta non sa decidersi per nessun  sempre riesce a farli concorrere alla dimostrazi  assunto. Il Vico rilevò questi difetti del Grozio     rispondenti rispettivamente ai tre concetti fondamentali de  tutelaf dominiOt libertày cfr. De UnOj e. 138 e seg.   12     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     — 179 —   rizzo mediano più rispondente alle esigenze delle scienze  etico-giuridiche, ancora imperfetta e quasi incosciente nel  Grozio è attuata dal Vico con rigore di principi e con piena  coscienza. E mentre il suo sistema filosofico sembra coordinarsi  ai sistemi sorti in seno alla scuola del diritto naturale, nel  fatto egli non fa che continuare l'opera degli interpreti nostri  che avevano portato l'elaborazione dell'equità naturale ad un  alto grado di perfezione: egli ne compie e corona l'edifìzio colla  dottrina dell'equità civile.   69. — Fu accusato il Vico di aver confuso l'etica col diritto,  di non aver avuto chiara la coscienza dei loro rapporti e dei  loro caratteri differenziativi (1). L'accusa, se fondata, farebbe  torto al suo acume e sarebbe in contraddizione col senso finis-  simo per cui egli sapeva sceverare il fatto giuridico dagli altri  fattori concorrenti. A noi pare che anche sotto questo aspetto  il Vico affermi la sua superiorità di fronte ai giusnaturalisti,  ponendo la questione dei rapporti tra morale e diritto sopra  nuove basi atte a facilitarne la soluzione. Prima del Thomasius  noi assistiamo per parte dei sistemi usciti dalla scuola del di-  ritto naturale a un progressivo assorbimento del fatto morale  nella sfera giuridica ; il concetto del diritto si allarga fino a  comprendere la vita morale e vien meno ogni criterio di distin-  zione tra le discipline etiche e le giuridiche. Il Vico ebbe certo  coscienza di tale confusione quando afiermò che per opera dei  seguaci di Hobbes e di Cartesio erano rinnovellati gli antichi  sistemi degli Epicurei e degli Stoici, di cui gli uni confon-  devano la giustizia colla felicità e coll'utilità, gli altri colla  onestà e colla virtù morale (2). Non sfuggi al Vico Timpo-     (1) Cfr. Cantoni, Op. oit., p. 93. — Dei moderni critici del Vico il  Cantoni fu quello che mono ri usci ad afferrare la dottrina metafisica e  giuridica del Vico. Di ciò lo rimproverano il Siciliani, Op. cit., p. 141  e il La banca, Op. cit. p. 108 e seg.   (2) Cfr. Carle, La filosofia del diritto nello Stato moderno, (Torino, Unione,  1902), Parte I, lib. Ili, e. v, ove tratta da un punto di vista del tutto  nuovo della elaborazione dell'idea di giustizia nell'età moderna.     Digitized by VjOOQ IC     — 180 —   teiiza degli Epicurei e degli Stoici antichi e moderni ad as-  sorgere al concetto del giusto, nel quale gli elementi del-  l'utile e dell'onesto, dell'interesse e della moralità, insieme  convengono. Da un punto di vista puramente pratico in antico  i Romani, nell'età moderna gli interpreti della scuola di Bar-  tolo e Baldo, avevano elaborato il concetto deWequo-bono, in-  teso a commisurare l'utile tra gli uomini viventi in società  secondo le norme dell'onesto. Il diritto naturale, che l'Hobbes  derivò dall'utile e i seguaci di Cartesio tendevano a far deri-  vare dall'onesto, è dal Vico fatto scaturire dal concetto inter-  medio deWequo òono. Per lui infatti il diritto naturale est utile  aeie>^no commensu acquale (1), cioè è Vaequwn bomim dei  giureconsulti romani e dei nostri interpreti antichi.   Prima del Vico il Grozio e il Leibniz avevano cercato di  svolgere il diritto naturale sull'ampia base dell'utile e di ele-  menti razionali di natura etica: ma il Grozio non arrivò a  fondere i diversi elementi in un concetto unitario che servisse  di fondamento sicuro al suo sistema, il Leibniz stabili un rap-  porto puramente metafisico tra l'utile, il giusto, l'onesto,  astraendo dai bisogni della pratica. Mancò ad entrambi la  base salda della tradizione romana su cui il Vico elevò la  sua dottrina filosofica. Il Grozio e il Leibniz trascurarono il  concetto dell'equo e assorsero al concetto del giusto colla  guida esclusiva della ragione : il Vico pervenne al giusto per  naturale svolgimento dell'equo. Per il Vico il giusto è un  genere, un'astrazione, un'idea: come tale si distingue dall'equo  che è l'idea del giusto tradotta nel fatto, in quanto cioè tien  conto delle ultime circostanze dei fatti (2).   Ninno prima del Vico aveva tentato una genesi psicologica del  diritto nei suoi rapporti colla morale e cogli altri elementi della     (1) Cfr. De Uno ecc», ediz. citata, § 44.   (2) Nel Ve Ant, (ediz. cit., e. ii, § 15) il Vico dopo aver detto che v&i' .     Digitized by VjOOQ IC     — 182 -   ►e Uno il rapporto tra diritto e morale è trattato da un punto  L vista essenzialmente metafisico: nelle opere posteriori do-  iva essere svolto sulla base dell'osservazione psicologica e  )lla storia.   70. — Nel Da Uno il Vico appare il filosofo del diritto in-  so a porre i fondamenti metafisici di una dottrina civile. Il  ritto vi si rivela nei suoi cai'atteri universali e costanti  lale espressione dell'eterno vero, rispondente alla natura  izionale deiruomo. Potrebbe alcuno credere che il Vico avesse  ,tto opera aprioristica analoga ai sistemi usciti dalla scuola  3l diritto naturale. In realtà il Vico aveva seguito diverso  immino: la sua filosofia giuridica non 9ra opera arbitraria  ìlla ragione, ma il risultato di una potente astrazione fatta  >pra materiali ofierti dalla storia del diritto. Al Vico sa-  )bbe parsa opera vana una dottrina filosofica del diritto,  le non avesse trovato' nel fatto conferma. Il criterio della  mversione del vero col fatto doveva farlo convinto che il  ritto filosofico se veramente risponde alla natura umana  ^trattamente considerata, non può trovarsi in contraddizione  )\ fatti e se contraddizione esiste essa è transitoria. La lo-  ca delle idee deve per essere vera identificarsi e confondersi  fila logica e l'ordine delle cose. Ma tale identificazione è  Dta e graduale: dapprima il diritto esiste come fatto, si attua  tto l'azione della necessità e dell'utilità; solo in uno stadio  ogredito di riflessione l'uomo avverte sotto le mutevoli forme  oriche il progressivo attuarsi dell'idea eterna del giusto.  Dimostrare col sussidio della filologia, cioè della storia lar-  .mente intesa la progressiva attuazione nell'ordine dei fatti  il diritto naturale, divenne la meta a cui si indirizzarono  ricerche e gli studi del Vico. Tale dimostrazione egli doveva  pprima chiedere al diritto romano ricostruito ne' suoi testi  nuini dai giureconsulti colti e nella sua storia dal Gravina,  diritto romano appariva a lui come ai giureconsulti nostri.  Gravina, al Doria un prodotto di formaziorie naturale e  3ntanea mirabilmente atto a servir di guida e di modello per     Digitized by VjOOQ IC      — 183 —   la determinazione delle leggi costanti e universali che segue  il diritto nella sua evoluzione storica. Dominato da questo con-  cetto che rispondeva alle nostre più costanti tradizioni il Vico  si diede nel De Consianiia (1) a ricostruire con larghezza e  originalità di vedute il diritto romano per trarne argomenti  alla dimostrazione de' suoi principi filosofici. La scuola del di-  ritto naturale fin dal suo sorgere col Grozio aveva dichiarato  guerra aperta al diritto romano: Descartes erasi levato contro  gli studi storici e filologici. Il Vico posto nell'alternativa di  negare la storia o la filosofia, l'autorità o la ragione, il di-  ritto romano o il diritto naturale non ebbe un momento di  esitazione: si attenne alla tradizione romana mostrando come  da essa potessero derivarsi principi per una concezione filo-  sofica del diritto. Egli volle essere l'anello di congiunzione tra  i metafisici e gli storici del diritto. Come vi è una fisica e una  metafisica della natura, cosi vi è un diritto fisico e metafisico.  Il diritto fisico è il diritto romano quale esiste nella storia:  il diritto filosofico fondato sulla contemplazione astratta della  natura umana se non vuol essere arbitrario deve potersi con-  vertire nel fatto. A questa condizione il diritto fisico per forza  naturale di cose finisce per incontrarsi e coincidere col di-  ritto filosofico. Di qui ir rimprovero da lui mosso da un lato  a Platone per aver confuso il giusto ideale col giusto eterno,  l'uno inconvertibile, l'altro convertibile col fatto, dall'altro a  Qrozio e a Pufendorf per non aver tenuto conto della storia  e per aver foggiato un diritto filosofico che non è praticato  nel costume (2).   La storia di Roma si inizia colla guerra di tutti contro  tutti. Da questa guerra esce la feudalità solitaria delle fa-  miglie che comandano ai clienti e lottano contro i nomadi.     (t) Il De Constantia jurisprudentis diviso in due parti, De Constantia Phi-  losophiae (breve riassunto dei princìpi filosofici ampiamente esposti nel De  Uno) e De Constantia Philologiaej fu pubblicato nel 1721.   (2) Tali rimproveri si possono leggere nella Prima Scienza Nuova (1726),  libro I, e. 3 e 5.     Digitized by VjOOQ IC     - 184 -   Ili séguito alle rivolte dei clienti i patrizi si chiudono nelle  città, si organizzano in ordini, combattono i ribelli e dai vinti  si formano le plebi. Ma queste col tempo cresciute di numero  si rivoltano di nuovo, e l'aristocrazia è costretta a cedere, a  estendere al popolo leggi, campi, matrimoni, cittadinanza. Cogli  imperatori abolite le classi e i privilegi, le leggi appaiono  altrettante generalità filosofiche. Scompare l'antico diritto  rozzo e violento e la forza dell'autorità si confonde con quella  della ragione. L'armonia tra il senso e la ragione, tra il vero  e il certo, tra filosofia e filologia sembrava raggiunta. Ma nel  trarre dalla storia di Roma il corso ideale del diritto, il Vico  dovette colmare lacune, completare tradizioni, adottare un'arte  nuova di critica e di interpretazione atta a penetrare il signi-  ficato di intere epoche storiche e fondata sulla osservazione  psicologica e sullo studio delle lingue.   La ricostruzione storica del diritto romano dischiuse al Vico  la via alla ricostruzione storica del diritto quale si manifesta  ne' suoi caratteri costanti nel mondo delle nazioni. Ma ben  comprese il Vico che tale ricostruzione non. poteva dirsi com-  pleta se il fenomeno giuridico non era studiato ne' suoi rap-  porti colla religione, colla morale, colla politica considerati  come altrettanti prodotti storici che si svolgono parallelamente  al diritto e ne attraversano le stessi fasi di formazione.   Nella Prùna Scienza Nuova (1) il diritto naturale non è  più studiato come prodotto storico di un popolo particolare,  ma come formazione collettiva, cioè come la scienza dell'uomo  solitario che vuol la salvezza della sua natura e la conquista  per gradi nel consorzio sociale sotto la pressione delle neces-  sità e delle utilità. Alla mancanza di documenti storici, di  tradizioni certe, di testimonianze sicure supplì il Vico colle  sue intuizioni audaci e divinatorie, coll'autorità del senso  comune che è la mente dell'uomo collettivo da cui traggono     (1) Fu pubblicata nel 1726, ed è sopràtutto notevole per la formazione  storioa e sociale del diritto.     Digitized by     Google        — 185 —   origine quelle massime di sapienza volgare in cui tutti i po-  poli convengono e sono universalmente praticate.   Dal primitivo stato di solitudine e di abbandono in cui manca  ogni freno al senso e il diritto è sinonimo di forza l'uomo  invaso da terrore religioso esce contraendo stabili unioni in  sedi fisse. La famiglia rappresenta la prima fase dello sviluppo  sociale: solidamente costituita sul principio religioso essa si  allarga fino a comprendere quanti per sfuggire ai pericoli e  alla miseria della vita nomade invocano la protezione dei  forti. Costumi, diritto, politica riflettono in questo antichis-  simo stadio di vita sociale lo stato mentale dell'uomo. A uomini  ignoranti e superstiziosi, privi del necessario alla vita, insof-  ferenti di freno, amanti dellasolitudine, devono convenire re-  ligioni spaventose e crudeli, costumi barbari ma moderati. È  questo il periodo divino o teologico del diritto naturale in cui  mancando le leggi, i diritti si custodiscono colle religioni. I  padri sono sapienti, sacerdoti, re nelle famiglie che costitui-  scono una libera e assoluta monarchia (1).   CoU'ampliarsi delle famiglie in gentes, coU'ammutinarsi dei  plebei e conseguente organizzarsi dei paires in ordini e nelle  città, sorgono i governi aristocratici e quindi i regni eroici.  Le plebi lottano per la libertà di ragione, per Tuguaglianza  dei diritti, per il possesso dei campi. I costumi sono sempre  severi ma meno feroci, il diritto eroico si mantiene rigido,  crudele, arcano, privilegiato (2).   • Ma gli eroi decadono convertendosi in tiranni ; nelle città i  plebei ottengono di esser parificati ai nobili nel godimento dei  diritti e si iniziano i governi civili nella forma di repubbliche  libere o di monarchie civili. I costumi si ingentiliscono e con  essi si fa umano e civile il diritto naturale. CoU'estendersi  della naturale equità delle leggi sorgono i filosofi a meditare     (1) Circa i caratteri del diritto, deUa morale, della politica iu questo,  primo periodo cfr. P. S. N,, lib. II, e. 18, 19-20, 39, 48.   (2) Del diritto, della morale, politica eroica U Vico tratta, 26., lib. II,  e. 17, 24 22, 30-31, 44, 51.     ■ Digitized by VjOOQIC     — 186 —   il vero delle cose e con essi si iniziano la metafisica e le  diverse scienze e arti. Dai rapporti fra le città si svolge il  diritto naturale delle nazioni, e dall'unione delle nazioni il  diritto universale del genere umano (1).   Per tal modo le varie fasi di aggregazione sociale, le forme  di governo, i costumi, il diritto si succedono secondo una legge  costante riflettendo il corso delle idee espresse a loro volta  nelle lingue. I concetti di diritto civile, di, diritto naturale,  delle genti, non più considerati da un punto di vista pura-  mente astratto, non più ristretti a un popolo determinato ci  si presentano concetti vivi e reali, formazioni storiche stretta-  mente legate col graduale sviluppo dello spirito umano nelle sue  manifestazioni individuali e collettive. Nella Prima Scienza  Nuova l'idea predominante è pur sempre l'evoluzione storica  del diritto considerato, come dice il Carle, la quintessenza  dell'aggregato sociale. In Roma il diritto sembrava assorbire  tutti gli altri elementi della vita sociale in guisa da apparire  quasi l'elemento esclusivo; perciò il Vico volle porsi da un  punto di vista più elevato per meglio determinarne i caratteri,  le leggi universali e costanti del suo eterno divenire storico.   71. — Il problema relativo alla natura socievole dell'uomo,  all'origine della società e della sovranità, era stato argomento  di vivaci discussioni in seno alla scuola del diritto naturale.  Tale problema, osserva il Carle, era necessariamente implicito  nel concetto da cui aveva esordito il pensiero filosofico mo-  derno, secondo cui l'uomo come tale, cosi come esce dalle mani  di natura e non in quanto fa parte di un qualche gruppo so-  ciale, è capace di diritto. Dei due termini, individuo e società,  per tal modo dissociati solo al primo, nei vari sistemi usciti  dalla scuola del diritto naturale, fu attribuita esistenza reale (2).     (1) Dei tempi umani tratta il Vico, io., lib. II, e. 37, 46, 54.   (2) Vedi Carle, Fil, del Dir, nello Staio moderano f Parte I, lib. Ili, e. vr,  in cai è trattato l'argomento deirindivìduo e della società nella moderna  filosofia del diritto. Vedi sopratutto i §§ 146-148 in cui si discorre della  ipotesi di uno stato di natura, deUa genesi della società e sovranità.     Digitized by VjOOQ IC     - 18   Airìndividualismo religioso, filo  repoca era naturale compierne  della società. Tutti gli indirizz:  scienze morali nel secolo XVII  pito, uno stato di natura aiiter  l'uomo godeva di una indipende  sconfinata, e da cui sarebbe us(  lontari accordi, nei quali riponev  come della sovranità. 11 Grozio,  turalmente socievole, ammise ne  un periodo, circa un secolo, di  Yenne meno il sensimi natii7^a  homines. Tale stato di nomadi,  dette necessario ammettere per  prietà privata, e del rispetto et  tale. Lo ritenne composto di se  allo stato civile per un certo e  di famiglia. Il Pufend^rf, sull'c  decaduti gentili come uomini «  senza aiuto divino ». L'Hobbes i  carattere di tendenza originaria  dal senso, dagli appetiti, dagli  natura come un vero stato ferin  stato di natura anteriore alla s  mebondi se non furibondi come \  della tradizione medioevale coni  dal Grozio, Giovanni Selden (1) \  tilità decaduta non si era mai  l'intervento diretto della diviniti  con criterio diverso la storia deg  Gli stessi problemi si affacciar-     (1) L'opera del Selden, dotto ebn  col titolo : De jure naturali et gentium   (2) Cfr. Labanca, Op. cit., e. vii     Digitized by VjOOQ IC     ' T^- «^ if -.j^w^y;     - 188 -   contrasto coi filosofi solitari o monastici, fautori  alismo egoista e razionalista, mentre riservò tutte  itie per i filosofi politici, le cui opere erano intese  ire Tuomo nella civile società. Nella sua ammira-  pistianesimo, nella sua avversione pel movimento  entrava come elemento la considerazione- deirin-  ociale ch'egli giudicava compromesso dallo spirito  ta che animava la Riforma. La sua ammirazione  ch'egli si compiace di chiamare sociniano (1), non  gine. Nell'avvertire i pericoli dell' individualismo  ielle scienze morali, nell'additarne le cause, nel-  L rimedi, il Vico fu solo ed inascoltato. Nel De Uno  natura socievole dell'uomo e delle origini e cause  3nza sociale da un punto di vista puramente astratto  ntegrare il Grozio e a contrapporsi ai cartesiani  di Hobbes. Nella Seconda Scienza Nvxyoa egli si  ire del problema la dimostrazione storica e psico-  lendo a conclusioni che fanno di lui il precursore  ìza sociale (2). Il fatto che risalendo alle origini   dà la qualifica di sociuiano a Grozio in due passi deUa PrivMi  , ed. cit., IV, lìb. I, e. 5; lib. II, e. 3, e in entrambi i  to degli uomini immaginati da Grozio originariamente bivoni  deboli, soli e bisognosi di tutto; il Vico chiama tale ipotesi  Il Labanca, Op. cit., p. 211, corregge l'affermazione del  >8i sul fatto che il Grozio era ariuiniano e che scrìsse una  contro Sociuo. A questo lavoro del Grozio contro Socino non  iffini neir opera citata sulla Libeì'tà religiosa: in quella vece  argomenti decitivi la stretta affinità tra la dottrina di Socino  arminiaui. — « Il Grozio, dice il Rnffini, proclamava alta-  bnona intesa con i Sooiuiani, coi quali e specialmente col  [ìtimo rapporto epistolare. » — L'affermazione del Vico non  destituita di fondamento. — Cfr. Ruffini, Op. cit*,*p. 108.  fu più studiato da letterati, filosofi e storici che non da  nze morali e sociali. In generale i crìtici del Vico non ri-  to sociologico della Seconda Scienza Nuova, Vi accennano  dliani: lo dimostrò ampiamente il Carle nelle sue « Lezioni  \ale » (inedite) da cui sono tratti molti concetti in questo  tenuti.     Digitized by VjOOQ IC     .^i^^tuiAkiifl     — 189 —   più remote della storia non si ha memoria di uoi  airinfuori del consorzio civile, costituisce per il  mento decisivo in favore dell'esistenza originaria  che è quanto dire della natura socievole delì'uon  cose fuori del loro stato naturale non possono a  durare. Il presupposto della Secoìida Scienza Ni  l'umanità abbia un corso uniforme ed immutabile  nata da leggi costanti, che tutti gli uomini nor  membri di un gran corpo che non muore mai,  istante per il continuo mutare degli individui si  molteplice ed uno ad un tempo. Religioni, leggi, : altrove lo definisce: « mente illii-   sbta, cuor retto e lingua fedele interprete di entrambi » mettendo in   vo Parmonia che deve esistere fra le diverse facoltà.   ) Tali principi assiomatici il Vico chiama e dignità > e sono iu   ) 114.   ) Cfr. Dignità, 1, 2, 32, 34, 54,     Digitized by     Google     '3^"**5^i*1jPF*K*»^^^7'' ^", "' ■     — 191 —   sapere il vero deHe cose si attiene nell'operare al certo, a ciò  che a lui sembra vero, al senso comune (1). — L'uomo in qua-  lunque stadio e condizione di vita sociale ama principalmente  l'utile proprio; a misura che la cerchia dei suoi interessisi,  allarga alla famiglia, alla città, alla nazione, al genere umano,  si estende d'altrettanto il suo egoismo (2). — Dalle necessità e  utilità della vita regolate dal senso comune, trae sopratutto  l'uomo impulso ad operare: esse costituiscono il criterio saldo  per l'interpretazione della condotta presente e futura. A be-  neficare, a contrarre i vincoli sociali, ad accettare le diverse  forme di governo, le leggi, le istituzioni, sino gli uomini sopra-  tutto tratti dall'utile che ne ritraggono (3). — Prima a svol-  gersi nell'uomo è la vita del senso, poi quella del sentimeato,  quindi della ragione : epperò se prima gli uomini sentono senza  avvertire, poi avvertono con animo perturbato e commosso,  finché da ultimo riflettono con mente pura. — - Il progresso mo-  rale è in stretto rapporto collo sviluppo psichico: quando sieno  successivamente soddisfatte le necessità, le utilità, le comodità  della vita, l'uomo che npn domina gli appetiti e non intende  la voce della ragione, si abbandona al piacere, al lusso, finché  non rovina nella dissolutezza (4). Tali osservazioni di psicologia  individuale il Vico completa con osservazioni generali di psi-  cologia collettiva. I popoli, come gli uomini, hanno periodi di  infanzia e di giovinezza: fatti adulti invecchiano e quindi  muoiono. I popoli rozzi e barbari come i fanciulli favellano  per universali,' sono inclini a imitare, hanno vigorosa la me-  moria, vivida la fantasia, debole il raziocinio, profondo il culto  delle tradizioni ; lentamente e per gradi si inducono a rinun-  ciare alla loro libertà, ai loro patri costumi : ribelli a ogni  freno sono domati dalla religione: impenetrabili nella loro     (1) Dig., 9, 11, 12.   (2) S. S. N., lib. I, Del Metodo.   (3) mg., 80.   (4) Dig., 53, 66.     Digitized by VjOOQ IC     — 1^2 —   barie cedono alla violenza delle guerre o alle attrattive  commerci. I costumi dei popoli sono dapprima crudi, poi  eri, quindi si ingentiliscono, per farsi nell'ultima fase del  ) sviluppo raffinati e dissoluti (1).   .'osservazione psicologica si completa nel Vico collo studio  oU'interpretazione della storia, ch'egli chiama la biografia  l'umanità. Gli studi storici all'epoca sua erano degnamente  presentati in Italia dal Giannone e dal Muratori. Il Giannone  lon aveva tratto dalla storia una scienza nuova, aveva certa-  ite studiato la storia con criteri nuovi. In lui troviamo non  olito espositore dei fatti politici, ma lo studioso della vita  ile e interiore dello Stato : primo mostrò di saper ragionare  fatti, e di trarne argomenti alla dimostrazione di una  i (2). Il Muratori fece della critica e della erudizione storica  ì a sé stessa : ricercatore e raccoglitore indefesso e sagace  )lvette, dice il Manzoni, « tante questioni, tanto più ne  e, ne sfrattò tante inutili e sciocche »: ma egli non penetra  •e il fatto, non raccoglie a unità tante cognizioni : di queste  L vede né i principi né le conseguenze (3). Sotto questo  etto egli fu il vero contrapposto del Vico, il quale si formò     [) Dig.y 45, 48, 50, 52, 67, 71, 102.   }) Pietro Giannone (1676-1748), appartiene a qneUa schiera di ginre-  »nlti storici ed eruditi c\t^ aU'epoca di Vico iUnstravano Napoli. Fa allievo  Domenico Aulisio (1649-1717), e frequentò la casa di Gaetano Argento,   > avvocato e magistrato di Napoli (1661-1730). Dopo veut'anni di la-   > il Giannone pubblicò nel 1723 in Napoli la sua Storia civile del Regno  Napoli divisa in quaranta libri in cui si fa difensore dei diritti dello  » contro le usurpazioni deirautorità ecclC'iiastica. — Il Vico conobbe  o il Giannone ma non lo ricorda per evidenti ragioni di prudenza.  \)lì Muratori (1672-1750) pubblicò l'opera sua maggiore « Rerum  Icarum Soriptoros » nel periodo 1723 1738. — Il Vico ricorda il Muratori  ma lettera al Gaeta del 1737 a proposito del trattato di Filosofia morale   il Muratori pubblicò nel 1735. — Il Manzoni, {Opere varie, Milano,  aelli, 1845, p. 16 3-171) contrapponendo il Muratori al Vico dice « che  rvando i loro lavori^ par qyasi di vedere, con ammirazione e con  •lacere insieme, due. gran forze disunite, e nello stesso tempo come uu  ame d'un grand'effetto che sarebbe prodotto dalla loro riunione >.     Digitized by VjOOQ IC     ,^sd2&ìi     r^ ' .■ ^ ly tfW^ C^? - ve     — 193 —   della storia un largo concetto fino a comprendere in essa t  le manifestazioni umane, la interpretò agli effetti delle sci^  morali, se ne valse per la costituzione di una scienza nu  Egli spinge il suo sguardo nelle epoche più oscure, là e  più scarse e misteriose sono le memorie e le tradizioni,-  aiuta con criteri derivati dalle proprietà costanti della moli, Pierre, 1898.   (2) Cfr. Labauca, Op. cit.> per le notìzie biografiche o bibliografiche  intorno ai citati critici cattolici.     Digitized by VjOOQ IC     — 202 —   Thomasius, Wolff, critica la dottrina dello stato ferino del  Vico chiamandola erronea impiaque e dimostrandola contraria  alla Sacra Scrittura, alia Provvidenza, alla metafisica, alla  storia profana greca e latina (1). L'accusa di empietà solle-  vata dal Pinetti colpiva non pur il Vico, ma quanti ne am-  mettevano la dottrina dello Stato ferino : tra questi il Duni  che rispose con acredine (2). Di qui fu offerta al Finetti l'oc-  casione di scrivere V Apologia (3), in cui sottoponeva la Scienza  Nuova a una critica minuta per rilevarne i principi contrari  alla rivelazione e alla fede. Ribadisce il Finetti la critica  contro lo stato ferino, rimprovera al Vica di intendere la  Provvidenza in un modo non sempre conforme alla teologia  cattolica, di aver disconosciuto l'azione del Cristianesimo nel  Medio Evo, di aver preferito solo a parole la storia sacra alla  profana, di aver bandito Dio dalla storia.   I fatti posteriori resero giustizia all'oculatezza del Finetti  nel mettere i cattolici e gli studiosi in guardia contro il veleno  tanto più temibile quanto meno avvertito che nella Scienza  Nuota si nascondeva. Nel Vico non fu abbastanza rilevato quel  fenomeno di sdoppiamento psicologico a cui ci avevano abituato  i, nostri grandi scrittori del cinquecento e che in Italia fu il  mezzo più efficace per sfuggire alle persecuzioni e per conci-  liare la sincerità della credenza colla libertà del pensiero. Se  non si tien conto di questo fatto la figura del Vico appare  incomprensibile: in lui bisogna tener costantemente distinte  le due figure dell'uomo e del pensatore. Come uomo il Vico fu     (1) Il Finetti era veneto, sacerdote, censore ufficiale dei libri da proibirsi  come contrari alla fede cattolica. — Cfr. La banca, Op. cit.   (2) La Eisposta apologetica del Dani è del 1766.   ■ (3) Fu pubblicata dal Finetti nel 1767 sotto il pseudonimo di Filandro  Miaoterio (cioè amante dell' Mwawo e sprezzante del /mtio), Ricordiamo che  la controversia tra il Duni e il Finetti si era così allargata in Roma da  originare le due scuole dei ferini e antiferini, — Ij^ Apologia era passata  inoSvServata agli studiosi del Vico: spetta al Labanca l'onore di averla  fatta 'conoscere nel suo contenuto storico -e critico.     Digitized by VjQOQ IC     .^^ÉLi     - 203 •—   sinceramente cattolico: la sua religiosità risulta non tanto  dalle sue insistenti dichiarazioni fatte nelle opere destinate  al pubblico, quanto dalle lettere private e da alcuni passi  déìV Autobiografia in cui non preoccupato di far pompa delle  sue credenze, manifesta intero l'animo suo. I critici cattolici  del resto, il Finetti stesso, non elevarono dubbi al riguardo:  essi si limitavano a dire che il Vico non poteva sempre con-  siderarsi cattolico nelle sue dottrine. Nel distinguere l'uomo  dallo scrittore essi intuirono il vero, e noi dobbiamo seguirli  per questa via premettendo che le accuse e i rimproveri dei  critici cattolici si convertono per noi in altrettanti titoli di  onore.   Al Vico non sfuggi il pericolo che a lui e alla dua dottrina  poteva derivare dalla critica cattolica, e non tralasciò occa-  sione per spuntarne gli strali: ma questi furono abbastanza  acuti per far di lui una vittima della scienza, sebbene, osserva  il Labanca, non vi fosse da parte de' suoi critici il deliberato  proposito di esserne carnefici. Dato il temperamento del Vico  non temprato alla lotta, timido e servile al punto di abbando-  narsi ad azioni poco dignitose, ad adulazioni convenzionali,  sempre incerto del domani, preoccupato di non perdere le  potenti protezioni da cui traeva i mezzi per vivere e gli aiuti  per pubblicare le sue opere, si comprende come la lotta sorda,  persistente dei critici cattolici, ben più di quella che potevano  movergli i cartesiani, doveva esser per lui motivo di con-  tinue paure e di tormenti fisici e morali (1).     (1) Nel 1701 essendo scoppiata in Napoli una con giara contro il viceré  Filippo, il Vico scrisse contro i faziosi l'opuscolo « De parthenopea oonju»  ratione »: nel 1707 con l'entrata degli Austriaci in Napoli trionfarono le  idee dei congiurati. Il Vico fu pronto a lodare nel 1707 i vituperati del  1701. — Nel 1715 scrisse quattro libri intorno alle gesta di Antonio Carafa  e fece un eroe di un uomo ignobile e odiato universalmente. — II. Vico fu  molto ammirato ma poco amato da' suoi contemporanei : le cause de' suoi  dolori erano in parte in lui stesso. Sappiamo che morì di infermità men-  tale ed era nevrastenico. Nella lettera indirizzata al P. Bernardo Giacchi  nel 1720 il Vico allude chiaramente ai critici cattolici quaiido parla di dotti     Digitized by VjOOQ IC     — ao4 —   Se si pensa alle miserande condizioni dei liberi pensatori nei  paesi cattolici (1), ai pericoli a cui si esponevano, sopratutto  in Napoli sotto il governo prima spagnolo poi austriaco, si  comprenderà lo stato d'animo del Vico, audace nello scrivere,  timido di carattere, portato nelle sue dottrine ad offrire ad un  tempo il fianco all'offesa e alla difesa. Malgrado le dichiara-  zioni contrarie del Vico, nella Scienza Nuova si trovano i  germi di una profonda rivoluzione nelle scienze morali. Lo  spirito innovatore era implicito nel titolo stesso : il Vico aveva  la coscienza di aver fatto opera del tutto nuova, e nuovo era  ricercare del mondo umano le leggi sue proprie di sviluppo,  senza chiederle alla teologia, alla rivelazione; nuovo e rivo-  luzionario era far del mondo umano autore e fattore l'uomo  ad esclusione della divinità; nuovo e ardito era rintracciare  il vero nelle favole, nei miti, negli- errori della tradizione pa-  gana; nuovo e pericoloso era fare della Provvidenza un prin-  cipio immanente nella storia e trasformare la religione in un  prodotto storico, derivandola per legge naturale dal timore,  dal bisogno di vivere immortali, dall'istinto delle analogie,  dalla curiosità di spiegare i fenomeni dell'universo ; sopratutto     cattivi f % quali colle tinte di una simulata pietà lo oppnmevano, néll-a stessa  guisa ohe sempre han soluto rovinare coloro ohe hanno fatto- nu^ve disooverte,  — Il Labauca, Op. cit., e. m, trae argomento dal fatto che i critici  cattolici non attaccarono il De Antiquissima per affermare che il Vico fece  deUa metatisica cristiana e teologica. Secondo noi il silenzio della critica  cattolica ha altre caa-te. Nelle prime opere il Vico non uscì dal campo  filosofico e rese servizio alla causa cattolica nel combattere Cartesio, Hobbes,  Locke : ma nel De Constantia e nella Scienza Nuova egli invadeva il campo  dell'erudizione storica sacra e profaua, facovasi egli stesso innovatore,  doveva suscitare legittimi sospetti da parte di critici abituati a considerare  vero Dantico e falso il nuovo.   (1) Basti dire che il Muratori per pubblicare un libro sulla moderazione  degli spiriti nelle cose di religione (1714), dove pure confutava l'arminiano  Ledere, e riconosceva al principe la facoltà di procedere anche con l'e-  stremo suplicio contro gli eretici, dovette stamparlo in Francia sotto falso  nome: con tutto ciò dice il R uff ini, Op. cit., p. 510, « le diatribe degli  intransigenti gli piovvero addosso e non schivò il temuto indice se non  per il bene, chè^ gli voleva Benedetto XIV ».     Digitized by VjOOQ IC     5^v,-. 3. ^-,^-     — 205 —   gravi erano le conseguenze per il dogma dal far derivare il  genere umano da uno stato ferino di isolamento senza reli-  gione. Erano pertanto fondati i timori dei critici cattolici e  reali i pericoli da essi affacciati per la causa della fede. Solo  l'abilità del Vico nel trovar espedienti atti a tranquillizzare  gli animi timorati, a coprire le audacie del suo pensiero, a  dar veste cattolica all'opera sua, solo le protezioni di cui  godeva nell'alte sfere del mondo ecclesiastico (1), e la convin-  zione ch'era in tutti della sincerità delle sue credenze, solo  la profondità dei concetti e l'oscurità della forma, che toglie-  vano popolarità all'opera sua, poterono salvarlo dalle perse-  cuzioni, ma non valsero a far tacere la critica.   A due finzioni sopratutto il Vico ricorse per temperare le  asprezze del suo pensiero e garantirsi contro l'accusa di eresia  e di empietà. Egli pone ogni cura nel dichiarare che la Prov^  videnza concepita come principio trascendente, è l'architetta  del mondo delle nazioni, che queste si svolgono secondo un  disegno eterno preordinato dal Creatore e che gli uomini non  sono che mezzi e strumenti alla attuazione dei disegni divini.  in ciò sembrava accogliere il dogma cattolico della divina prov-  videnza, ma non era che una lustra, poiché alla Provvidenza  cosi concepita il Vico si aff*retta a negare qualsiasi azione  diretta e indiretta sulla storia, la quale si svolge esclusiva-  mente per opera dell'uomo conforme alle sue tendenze e alla  sua natura, salvo a fatti compiuti dichiarare che questi sono  in corrispondenza colla volontà di Dio. La Provvidenza e la  religione ritornano pur di continuo nella Scienza Nuova, ma  in un senso del tutto diverso: La Provvidenza perde ogni ca-  rattere, teologico, diventa piuttosto, come già ebbe ad osservare     (1) n Vico dedicò la prima (1726) e la seconda (1730) edizione della  Scienza Nuova al card. L. Corsini, che in poi papa Clemente XII dal  1730 al 1740, evidentemente allo scopo di crearsi nn potente mecenaterin-  fatti tale dedica conservò quantonqne il Corsini, ricchissimo di censo, fin  dalla prima edizione si fosse scusato presso lui di non potergli fornire :i  mezzi per la stampa, mezzi che il Vico si provvide vendendo uà anello.     Digitized by VjOOQIC     — 206 —   innelli, la persuasione che gli uomini hanno di Dio su loro :  religione poi perde ogni carattere positivo per divenire il  ko religioso in generale, che stimola e accompagna la ci-  ta dei popoli nei loro inizi e prepara nei tempi umani il  onfo della sapienza riposta o filosofica. Nessun accenno tro-  imo a idee intolleranti, neppure per stornare da sé le ire  cattolici : la tolleranza traspira dal concetto largo e mo-  'UO che egli si formò della religione. Il Vico portò un con-  buto prezioso alla causa della libertà religiosa, per quanto  1 apprezzato: egli che invocava la tolleranza per sé la  èva per gli altri. Altri potè con argomenti e teoriche ra-  naliste cooperare al trionfo della libertà religiosa ; il Vico  cooperò trasportando le questioni religiose dal campo delle  e al campo dei fatti, mostrando l'origine e la formazione  ;urale delle religioni, traendo dai fatti la loro giustifica-  ne, astraendo da qualsiasi forma di religione particolare.  li per tal modo ponevasi da un punto di vista nuovo e che  -èva ingenerare l'equivoco: la veduta storica se lo rese da  lato fautore della religione e del culto nazionale, dall'altro  portava suo malgrado ad escludere dalla storia ogni reli-  ne rilevata : potè quindi fornire argomenti tanto ai fautori  mto agli avversari della libertà religiosa (1).     l) Dena larghezza di vedute del Vico in fatto di religione fanno prova  stndl da lai fatti degli autori protestanti più. avverai alla Chiesa  }olica, le sue amichevoli relazioni con uomini apertamente fautori della  rtà religiosa come il Ledere e il Thomasius. — Avversò la Riforma  testante per una ragione storica piti che religiosa ; ne condannava le  lenze individualiste, ribeUi ad ogni freno di autorità. — Non cre-  mo che il Vico sìa stato deciso avversario della toUeranza religiosa  le mostra di credere il Ruffini, Op. cit., p. 511. Tale convinzione  ^uffini fonda particolarmente sopra un passo della Seconda Scienza Nuova  3ui il Vico dice: € le nazioni, se non sono prosciolte in un'ultima li-  ba di religione, lo che non avviene se non nella loro ultima decadenza,  [) naturalmente rattenute di ricevere dei tadi straniere». — Il Raffini  ima paradossale e mostruoso tale principio e a ragione se Pinterpre-  one da lui data fosse la vera : ma ci sia permesso dubitarne.* Il passo  luestione si legge nel libro secondo della Seconda Scienza Nuo^àf e pre-     Digitized by VjOOQ IC     ^Mà^     — 207 —   La seconda finzione a cui ricorse il Vico per evitarle ine-  vitabili conflitti coi testi sacri fu quella di separare la storia  degli Ebrei da quella dei Gentili. Alla stessa finzione per lo  stesso motivo avevano- fatto ricorso il Grozio e il Pufendorf.  Il popolo ebreo era considerato come un popolo eletto, la cui  storia si era svolta eccezionalmente sotto la diretta azione di  Bio all'infuori delle leggi naturali e ordiiiarie di sviluppo ^  cui erano sottostati i Gentili, che formavano per altro l'uma-  nità. Là distinzione fu accolta ed accentuata dal Vico, il quale     cisameute là ove il Vico tratta deU* astronomia poetica. Premettiamo che il  secondo libro deUa S» S. N» si intitola « Della sapienza poetica » ed è la  ricostrnzione deUa storia relativa ai tempi favolosi e oscuri. Dopo di aver  discorso della metafisica, della lingua, della morale, della vita famigliare  e politica di quest'epoca primitiva, il Vico passa a studiarne le concezioni  cosmografiche e astronomiche. L'astronomia poetica assume per il Vico  un particolare significato : essa è la storia religiosa degli antichissimi po-  poli:, gli dei e gli eroi sarebbero stati trasportati dalla terra in cielo a  popolarvi i pianeti e le costellazioni, che rispettivamente dagli dei o dagli  eroi prendono nome. Per agevolare la via al « ritrovamento dell' aaitronomia  poetica » il Vico pone alcuni principi filologici e filosofici ; tra questi ultimi  troviamo quello sopracitato, il quale espresso in forma generale e rife-  rito a tutte le nazioni senza distinzione di tempo e di luogo può far cre-  dere ad una implicita condanna della libertà religiosa. Ora noi crediaoK)  che in questo passo la religione è considerata da un punto di viata sto-  rico e non teologico, e che l'affermazione del Vico, sebbene espressa in  forma generica, voleva essere la constatazione di un fatto storico parti-  colarmente riferito ad epoche primitive. È noto che i popoli primitivi  senza conoscere il dogma della esclusiva salvazione sono gelosissimi delle  loro credenze religiose, considerate come parte di loro stessi e precipui  fattori di educazione e di unità nazionale. Sappiamo ancora esser stata  convinzione del Vico (assai discutibile del resto) esser le nazioni nella loro  barbarie impenetrabili, e che le infiltrazioni straniere di qualunque natura  né snaturano il carattere e sono elemei^ti di decadenza. Interpretato stori-  camente il passo di Vico e non come affermazione di un principio teorico  trova fondamento nella storia di tutti i popoli antichi, ai quali del resto  la maggior parte dalle osservazioni filosofiche del Vico devono riferirsi. —  Certamente non troviamo nelle opere del Vico apertamente proclamato il  principio della libertà religiosa : ciò del resto non fecero né il Doria né  il Giannone, i quali (osserva il Kuffiui, Op. cit., 513 nota) non osando  esprimere esplicitamente le loro opinioni tolleranti ricorsero all'espediente  di lodare la tolleranza del Komani.     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     — 210 —   traddire alle nostre tradizioni e alle esigenze del nostro  LO nazionale. Sarebbe stato strano che al sistema del Vico  e mancata in Italia l'opposizione cattolica; può invece  iar meraviglia il fatto che mancò al Vico in Italia quella  lizione che non mancò ad altri capiscuola all'estero. Bi-  la per altro non dimenticare che l'Italia sopportava le  ^eguenze della duplice secolare servitù politica e religiosa,   il risveglio delle coscienze e delle menti alla vita mo-  ia mancò in Italia quasi affatto nel seicento, fu lento e  trastàto nel settecento, e segui sotto lo stimolo di in^u^  inieri che traviarono l'intelletto italiano dalle sue naturali  iizioni. Queste però, sebbene deboli e incerte, si conservano,  3po il Vico noi le possiamo rintracciare sia nelle dottrine  ora asservite alla tradizione scolastica, sia nelle dottrine  )irate agli influssi stranieri.   a dottrina del Vico tra i cattolici trovò i seguaci più fedeli.  . essi ricordiamo lo Stellini e il Duni. Lo Stellini svolse  3ndo il metodo e il concetto del Vico la filosofia morale,  >uni la filosofia giuridica: malgrado le loro credenze sin-  imente religiose cercano entrambi dei fatti etici e giu-  ci la formazione naturale, movono dallo studio dell'uomo  le appare all'osservazione psicologica e storica all'infuori  qualsiasi premessa dogmatica e religiosa (1).   Duni è l'autore di un intero sistema di filosofia giuridica  quale le dottrine del Vico si riproducono chiare e or-  ite (2). Il Vico aveva posto nella vis veri il comun fonda-  ito delle scienze morali. Già il Finetti aveva acutamente  jrvato che non il vero in genere, ma il vero in ispecie,  le naturalis ordo rerum deve assumersi a fondamento del     ) Per ciò ohe rigaarda lo Stellini e la saa dottriua morale cfr. nostro  'oblema morale > Torino, Bocca, 1900, p. 230-238.  ) Il Dani nato a Matera fa professore all'Università di Kòma per  inove anni dal 1752-1781. Tra le sae opere ricordiamo il Saggio sulla  spradenza universale (1760) e la Scienza del oostu^e ossia sistema df  io universale (1775).     Digitized by VjOOQ IC     - 211 —   diritto universale (1). Di questa critica del Finetti risente la  distinzione stabilita dal Duni tra vero matematico, metafisico,  morale. Non il vero in genere, ma quella forma speciale di  vero che dicesi morale è il fondamento del diritto universale,  che è la scienza del costume ossia della condotta umana  largamente intesa., Sul vero morale si fondano l'etica e il di-  ritto (2).   Il Duni nel porre il criterio di distinzione tra morale e di-  ritto, riproduce sostanzialmente la dottrina del Vico. Questi  aveva derivato la morale dall'interno sentimento del pudore, il  diritto dallo svolgersi e dall'estrinsecarsi della libertà. Il Duni  non usa i termini pudore e libertà, ma ricorre alle espres-  sioni equivalenti, ma più generiche e comuni, di onestà e di  giustizia. L'onesto è il vero morale riferito alla condotta in-  teriore dell'individuo; il giusto è il vero morale riferito alla  condotta esterna dell'uomo in quanto fa parte della società:  l'uno non esce dall'individuo, l'altro suppone il consorzio so-  ciale: l'uno si risolve nell'equilibrio delle facoltà umane e  nella purezza dell'intenzione, l'altro nella retta distribuzione  tra gli uomini de' vantaggi e delle utilità. Non vi è dubbio  che il Duni iutese chiaramente il rapporto tra morale e  diritto: ma forse ne accentua troppo l'opposizione, mentre il  Vico insiste piuttosto sulla loro coordinazione e accanto al  pudore che è un fatto di coscienza pone il costume che è il  fatto etico collettivo e che prepara ma non costituisce ancora  il fatto giuridico (3).   Non crediamo che il Duni abbia interpretato esattamente  il concetto del Vico facendo derivare il diritto delle genti da  quelle antichissime costumanze che si andarono formando du-  rante l'età patriarcale per l'autorevole e sovrana volontà dei  padri di famiglia e che si incontrano pressoché uniformi in     (1) Cfr. Finetti, Op. oit. (ediz. di Venezia del 1764), Voi. II, p. 113.  (3) C£r. Duni, Scienza del oostume {ed, napoletana del 1775), lib. II, e. ix.  (3) Cfìr. QcU rapporto tra ^iuatp e onesto. Punì, Op. cit.^ lib, 11^ e. vil^     Digitizedby VjOOQIC.     -.-•-TT VavVy     -Sla-  tti i popoli. Formatesi colle città le società civili, tali co-  imanze modificate e adattate alle speciali condizioni di  npo e di luogo avrebbero costituito il diritto civile,  [n altre parole secondo il Duni il diritto di natura è il di-  to filosofico quale appare alla mente rischiarata dal vero,  Q ottenebrata dagli afletti e dall'errore: il diritto delle genti  il diritto civile sono formazioni storiche rispondenti ai due  idi di aggregazione sociale della famiglia e della città. Il  itto poi civile svolge l'equità naturale e la civile, di cui  na si ispira al privato interesse l'altra al pubblico (I). Nel  ni le dottrine e i principi del Vico diventano famigliari  iccessibili alle menti meno colte. È doveroso riconoscere  e le sorti del Vico in Italia nel secolo XVIII sono stret-  nente legate al nome del Duni. Negli scritti, dalla cattedra  Roma per oltre venticinque anni il Duni tenne desto il  Ito e la tradizione del Vico negli studi giuridici. Cattolico  li stesso potè con tanta maggior efficacia difenderne la me-  )ria e gli scritti contro i cattolici intransigenti, frustrandone  secreto desiderio di far condannare come eretiche e peri-  tose le opere del Vico (2). Egli fece opera più di avvocato  e di critico: fu più amante del Vico che della verità: ma  si tien conto delle tristi condizioni in cui versavano le  enze morali e giuridiche in Italia nella seconda metà di  el secolo, minacciate dalla reazione cattolica da un lato.  He influenze materialiste francesi dall'altro, l'opera del Duni  'Otta a far conoscere nella sua genuina purezza le dottrine  l Vico e a salvarle dalle conseguenze di una condanna ec-  isiastica non può a meno che essere altamente apprezzata.     1) La formazione storica del diritto deUe geùti e civile è argomento  . libro HI, Duni, Op. cit.   2) Sopra accennammo alla polemica tra il Dani e il Fìnetti in ordine allo  bo ferino. Qui ricorderemo che la Biaposta apologetica del Duni fu stam-  a con l'approvazione del Giorgi, professore di Scrittura nell'Università  Roma e del Nerini, consultore del Sauto Officio. Si voUe così dare una  3ntita ufficiale al Finetti, il quale non volle perciò apparire l'autore  la Apologia che pubblicò con altro nome.     Digitizedby VjOOQIC     - 2ià -   Negli ultimi decenni del secolo quando in Italia e sopratutto  in Napoli gli ingegni subivano il fascino degli enciclopedisti,  la tradizione del Vico impedi l'asservimento completo del  nostro pensiero filosofico: liberi pensatori come il Pagano, il  Filangeri, il Coco trassero dalla Scienza Nuova gli elementi  più originali e duraturi delle loro opere.   Se non può pertanto sostenersi che la tradizione del Vico  sia stata svolta e apprezzata al suo giusto valore in Italia,  non può neppure ammettersi che sia andata perduta. Il pen-  siero filosofico italiano nel secolo XIX ondeggiò incerto tra  la tradizione spiritualista e gli indirizzi di origine straniera  del sensismo, dell'hegelianismo, del positivismo. Ma è notevole  il fatto che dai seguaci delle scuole più diverse l'autorità del  Vico fu invocata in appoggio dei loro sistemi e da tutti il Vico  fu considerato come il rappresentante di un indirizzo di pen-  siero essenzialmente italiano.   74. — L'età classica dei capiscuola e dei sistemi di diritto  naturale si chiude col Vico, la cui dottrina se da un lato è  in rapporto colle correnti del pensiero filosofico dell'epoca,  dall'altro lato per gli elementi storici é psicologici, di cui si  arricchisce, preannunzia sistemi e indirizzi venuti in onore  in tempi posteriori. Ben può dunque il Vico considerarsi un  gigante del pensiero^ una mente comprensiva che della realtà  vide gli aspetti più diversi e seppe fonderli, unificarli in una  dottrina che per i tempi in cui sorse può veramente chiamarsi  nuova. L'importanza del Vico sta nell'aver posto a fii^eno e a  guida della speculazione filosofica la realtà, o il fatto, come  egli diceva, nell'aver intuito il metodo proprio delle scienze  morali, nell'aver dato alla sua speculazione il fondamento saldo  della psicologia e della storia, nell'aver analizzato l'uomo in  se e nella sua natura socievole, nell'aver tratto da elementi  disparati e opposti un sistema che ha tutti i caratteri di una  sintesi filosofica, storica, sociale. Per questo l'opera sua pre-  senta in sommo grado i caratteri della modernità e perennità .  della modernità in quanto anticipa sull'indirizzo storico, so«     Digitized by VjOOQ IC     - àu -   ologico, psicologico nello studio dei fatti morali; della peren-  ta in quanto a' suoi insegnamenti l'intelletto umano ritornerà  mpre dalle estreme, eterne aberrazioni dell'idealismo e del  lalismo.     §7.   I^a SGixoim del dlfltto t^atUfale  Qe^sUol tappotti coiriliafx)li7lSfX)o e col l^aiftlsf^o.   )MMABIO : 75. Origine, sviluppo e caratteri deU'IUazninisino — 76. La scnola  del diritto naturale nei suoi rapporti coU'IllaininiBnio — 77. L'illuminismo  in Francia e suoi caratteri — 78. L'Illuminismo in Germania e l'opera dei  giuristi — 79. L'IUuminismo in Italia e suo carattere generale — 80. La  scuola del diritto naturale nei suoi rapporti ooUa dottrina giuridica di  E. Kant.   75. — La scuola del diritto naturale rappresenta una nuova  ientazione intellettuale in ordine ai fenomeni giuridici e  ciali: essa fu l'opera ad un tempo di filosofi e di giuristi,  seppe contrapporre alle istituzioni che avevano per sé la  rza dell'autorità e della tradizione le armonie ideali di una  ta conforme alla natura delle cose, ossia ai principi univer-  li e immutabili della ragione. A questo rivolgimento intel-  ttuale si aggiunge verso la metà del secolo XVIII per opera  m di filosofi, ma di pubblicisti, letterati, uomini di Stato, un  svolgimento delle coscienze, espressione di un nuovo modo di  nsiderare il mondo sociale e morale, noto sotto il nome di  uminismo. Tra l'Illuminismo e la Scuola del diritto naturale  rrono stretti rapporti, ma anche profonde differenze. .Agli  opi del presente lavoro basti affermare che l'Illuminismo è  i fenomeno assai complesso, risultante di elementi diversi,  sieme fusi e diretti ad uno scopo ultimo di riforma sociale  politica. L'Illuminismo non può considerarsi una filiazione     Digitized by VjOOQIC/ ■     Digitized by VjOOQ IC     tè. — Non deve sembrar strano il nome di razionalisti ap-  plicato ai principali rappresentanti deirilluminismo. Tale nome  è giustificato per due motivi : anzitutto perchè le manifesta-  zioni più spiccate del materialismo del secolo XVIII presen-  tano tutti i caratteri di costruzioni razionali, nelle quali la  fantasia e il ragionamento suppliscono spesso la insufficienza  e la scarsità dei dati di fatto oflferti dalle scienze ancora in  formazione r in secondo luogo perchè le idealità sociali e giu-  ridiche, che la scuola del diritto naturale aveva elaborato,  rivivono nell'epoca dell'Illuminismo e ne costituiscono il fat-  tore aprioristico e razionale. L'origine contrattuale della so-  'cietà e dello Stato, i concetti dell'uomo e della società di natura  rappresentano il contributo che la scuola del diritto naturale  arrecò all'Illuminismo. Tali concetti che negli scrittori del  diritto naturale rispondevano essenzialmente ad una esigenza  razionale, negli Enciclopedisti ricompaiono arricchiti di un  contenuto sentimentale, in forma poetica e attraente acqui-  stando per questo solo una efficacia pratica che prima non  avevano.   Nell'Illuminismo pertanto venivano a convergere tutte le  diverse correnti della speculazióne filosofica e scientifica dei  secoli XVII e XVIII e assieme fuse vennero a costituire una  nuova più vasta corrente a intenti di riforma e di trasfor-  mazione morale, religiosa, politica, sociale. La Chiesa e lo  Stato, le due iorze maggiori che da secoli tenevano soggiogati  gli spiriti e ne impedivano ogni libera espansione furono prese  di mira: da un lato le premesse materialiste, gli stretti rap-  porti col progresso e le applicazioni delle scienze naturali  rendevano l'Illuminismo antireligioso e nelle sue ultime con-  seguenze ateo; dall'altro lato le concezioni dello stato di na-  tura e del contratto sociale battevano in breccia le teorie  del diritto divino, nonché il fondamento dei governi assoluti.  Il materialismo esplicò la sua influenza sovvertitrice nel campo  religioso e morale : la scuola del diritto naturale scosse le basi  tradizionali dell'autorità e dello Stato. Se si aggiunge che     Digitized by VjOOQ IC     -ài?-   l'Illuminismo non fu solo movimento di idee m;  sentimenti, che si distinse per la sua cieca fede i  del sapere, nella trasformazione della società per  scienze, nelle energie inesauribili dell'uomo, fati  creare a sé stesso i suoi propri destini, si com  esso in sé racchiudesse tutte le condizioni per  l'antico regime e preparare le condizioni della v   77. — L'Illuminismo è un fenomeno generale del t  ovunque i popoli si destano ad una vita nuova, 1  lavoro e dalla scienza, . ovunque si acquista cosi  de' propri diritti e si avvertono i sintomi di un ;  rispondente agli ideali di giustizia e di prosperiti  e sociale, il fenomeno dell'Illuminismo' appare,  tutti i paesi si presenta cogli stessi caratteri.   La Francia fu la patria dell'Illuminismo e da ei  in altri paesi sopratatto in Germania e in Italia,  in Francia l'Illuminismo si svolge co' suoi carati  cali, ci si presenta completamente sviluppato. F  cipio del secolo XVIII in Francia lo scetticisr  Bayle aveva distolto le menti dal passato pre  ad accogliere teorie più consentanee ai tempi. A  fase di scetticismo dissolvitore , di critica nega  il periodo in cui le più elette intelligenze si fa  dere le dottrine scientifiche e filosofiche dell'Ing  è considerata la terra della libertà e del progres;  le sue forme. A questa fase risalgono i rapporti  tra la Francia e l'Inghilterra, gli scritti polemici  diretti a far trionfare in Francia il sistema di  pera del Montesquieu intesa a far conoscere  politiche e costituzionali inglesi. In un terzo  luminismo entra in una fase costruttiva; abl  lato col La Mettrie e col Cabanis i primi 1  trarre la vita intellettuale e morale dal sustra  e fisiologico dell'uomo, dall'altro col Condillac  derivare dal senso la vita dello spirito; più tar     Digitized by VjOOQ IC     -218 -   abbozza un sistema morale informato all'egoismo e al pre-  supposto dell'uomo preoccupato solo della propria felicità:  da ultimo il barone d'Holbach in un'opera che fu il codice  la bibbia del materialismo del secolo XVIII riduce a si-  stema le leggi del mondo fisico e morale. £ parallelamente  a questa concezione naturalista e meccanicista del mondo e  della vita vediamo per opera del Diderot, del Rousseau, del  Morelly, del Mably risorgere la fede in uno stato di natura,  sinonimo di moralità e di felicità, vediamo l'opera della ragione  e della volontà invocata a dar origine e svolgimento alla  società e allo Stato. E quest'ultima corrente di natura ideale  e che aveva per se l'autorità di quasi due secoli di specula-  zione, più consentanea alle tendenze razionaliste di un'epoca  per la quale le concezioni materialiste erano premature, finì  per prevalere e per dare al movimento illuminista quel carat-  tere ideale e razionale nel quale si manifesta nella rivoluzione  francese.   78. — In Germania l'Illuminismo francese penetrò per l'in-  fluenza personale di Federico il Grande, la cui corte divenne  il ritrovo geniale delle più elette intelligenze dell'epoca. Il fa-  vore che il grande uomo di stato dimostrò per il movimento di  idee sorto dall'Illuminismo rispondeva oltreché a un bisogno  della mente, ad un alto disegno politico. Preoccupato della  rigenerazione intellettuale e morale del suo popolo Federico  il Grande comprese come l'avvenire di esso dipendeva dal  grado nel quale avrebbe partecipato alle nuove correnti di  pensiero. Ma astraendo dalle tendenze e dalle vedute politiche  personali di Federico II devesi riconoscere che il materia-  lismo inglese e francese non trovò accoglienza in Germania,  né prevalse contro l'idealismo spiritualista che poneva capo  al Leibnitz (I), per quanto non si possa negare che anche la  speculazione del Leibnitz e del Wolflf informata all'eudemo-     (1) Cfr* Lange, Hietoire du matérialisme, Paris, 1877 (trad, francese),  I, Parte quarta, o. IV,     i     Digitized by VjOOQ IC     -^     Digitized by VjOOQ IC     ■^     gli studiosi delle scienze giuridiche ed economiche, i quali  possono trovare in Italia Tattuazione anticipata di quelle ri-  forme legislative e finanziarie che altrove furono provocate  dai torbidi rivoluzionari. E bisogna riconoscere che in Italia  i principi meno stretti alla tradizione, più a contatto col po-  polo seppero attuare quanto dì meglio T illuminismo in sé riu-  niva spontaneamente, con perfetta coscienza, senza attendere  la pressione degli avvenimenti. Nello studio poi deirillumi-  nismo italiano non può trascurarsi un elemento non derivato  dal di fuori ma del tutto nostro, la tradizione cioè del pen-  siero del Vico, che si rivela, come già accennammo, in tutte  le opere uscite dalle menti più elette dell'epoca e che senza  dubbio concorse a dare un indirizzo pratico, un fondamento  più saldo, una fisionomia particolare all'Illuminismo italiano.   Ma l'argomento da noi appena sfiorato dell'Illuminismo ita-  liano merita per la sua importanza una trattazione speciale,  e qui non si voleva che richiamare l'attenzione sul carattere  generale ch'esso presenta e per cui si distingue dall'Illumi-  nismo francese e tedesco.   80. — La scuola del diritto naturale non ha solo stretti  rapporti coll'Illuminismo ma rientra come elemento integrante  nel nuovo indirizzo filosofico che si personifica in Emanuele  Kant. Il Kantismo se fu per il suo stesso carattere critico  una reazione contro la speculazione filosofica dei secoli XVII  e XVIII, rappresenta d'altra parte uno svolgimento di quelle  idee che la scuola del diritto naturale aveva in due secoli  elaborato. Il carattere di reazione si rivela sopratutto nella  parte teoretica della speculazione kantiana. La critica della  conoscenza e della ragione umana nella ricerca del vero, che  il Kant considerava come il problema fondamentale della fi-  losofia, era implicitamente la critica e la condanna di tutti  i sistemi usciti dalle diverse scuole filosofiche, nessuno dei  quali aveva rispettato quei limiti oltre i quali la ragione  umana non può conoscere il vero. Per questa parte il Kant  si contrappone al passato e apre vie nuove alla speculazione     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     — 222 —   Stato nei suoi rapporti coirindividuo e a stabilire quella   d'interiorità che deve considerarsi interamente sottratta  alsiasi coazione esteriore e da cui si originano i cosi   diritti soggettivi dell'uomo e del cittadino.   concezione stessa di un diritto naturale non è abban-  ta dal Kant, ma è solo presentata sotto un diverso aspetto,  non cerca il fondamento del diritto naturale nella espe-  rà e nell'osservazione empirica dell'uomo come l'Hobbes  >pure nell'autorità e nell'universale consenso come Grozio,  iella ragione stessa, e riduce tutta la scienza del diritto  cognizione sistematica del diritto naturale. Da ultimo  nò che riguarda il concetto e le funzioni dello Stato, il  ; se non si foggiò uno stato di natura, vagheggiò certo  stato di ragione, ossia uno stato che i moderni chiame-  3ro piuttosto di diritto, non avente altro scopo all'infuori  lello di garantire il diritto ossia di assicurare l'accordo   libertà. Che se un siffatto concetto dello Stato non può  >ndersi collo Stato sognato dagli Illuministi e dai giusna-  listi, che ha per fine la felicità e il perfezionamento dei  dini, non vi è dubbio che nei due casi il metodo seguito  jostrurlo è identico e lo Stato giuridico di Kant è una  uzione altrettanto astratta e arbitraria quanto è più   dello Stato paterno di Thomasius e di Wolff. Sotto  atto pertanto del metodo seguito, dei risultati ottenuti  lobbiamo considerare la dottrina giuridica del Kant un  pale svolgimento della dottrina elaborata dagli spiriti  linati del secolo XVIII, che in Germania all'epoca in cui  I Kant, si confondono coi seguaci della scuola del diritto  pale.     Digitized by VjOOQ IC     Digitized by VjOOQ IC     - 224 -   Pag.   § 4. — Tommaso Hóbhes e Vindirizzo empirico nelle scienze  morali 49 93   Sommario: 81. Bacone e sua posisione nella storia del pensiero   — 32. Bacone e le scienze morali ~ 33. Etica e scienza ci-  vile in Bacone ~ 34. Il metodo di Hobbes — 35. Hobbes e  i suoi tempi — 36. Sistema etico -^inridico di Hobbes — 37. Il  rapporto tra morale e diritto in Hobbe<t — 38.. L'opposizione  a Hobbes : Cnmberland — 39. Locke e i snoi tempi ~ 40. Mo-  rale e diritto in Locke — 41. Da Locke a Home -^ 42. Hnme  ei snoi tempi — 43. Filosofia di Hnme — 44. Rapporto tra  morale e diritto in Hnme — 45. A. Smith e sna importanza   — 46. Sistema etico-ginridioo di Smith — 47. Conclnsione.   § 5. — L'indirizzo cartesiano nelle scienze morali . . 94-136   Sommario : 48. Cartesio e l'epoca sna — 49. Cartesio e le scienze  morali — 50. Malebranche e l'indirizzo spiritualista-cartesiano  nelle scienze morali — 51. L'Olanda <o il sistema etico-giu-  ridico di Spinoza — 52. Le condizioni politiche e religiose  della Germania nel secolo XVII •— 53. La dottrina etico-giu-  ridica di Leibniz — 54. L'opera metodica del Wolff — 55. Pa-  rallelo tra riudirizzo filosofico e giuridico nelle scienze morali.   § 6. — Vico e le scienze etico-giuridiche in Italia . 137-213   Sommario: 56. Condizioni generali d'Italia nel secolo XVII —  57. Galileo e la filosofia naturale — 58. Gli stndl giuridici e  il rinnovamento della filosofìa in Italia — 59. Vicende degli  studi giuridici iu Italia — 60. Gli stndl giuridici in Napoli  nella prima metà del secolo XVII: giureconsulti pratici —  61. n progresso degli studi giuridici in Napoli nella seconda  metà del secolo XVIII : g^iureconsulti eruditi : d'Andrea e  Gravina — 62. La Vita Civile di P. M. Dorìa — 63. Risveglio  filosofico in Napoli nella seconda metà del secolo XVII —  64. Posizione di Vico in ordine agli indirizzi filosofici del suo  tempo — 65. Vico contro Cartesio e la questione del metodo  nelle scienze morali — 66. Il criterio della verità nel Vico —  67. n Vico e gli studi giuridici — 68. La filosofia del diritto  nel Vico — 69. Il rapporto tra morale e diritto — ^ 70. Il  diritto nella sua formazione storica — 71. Diritto e scienza  sociale — 72. Le sorti di Vico e i critici cattolki — 73. Se-  guaci di Vico: Stellini e Dnni — 74. Conclusione.   § 7. — La Scuola, del diritto naturale ^ne' suoi rapporti   coli' Illuminismo e col Kantismi . . . . ' 214-222   Sommario: 75. Origine, sviluppo e caratteri dell'Illuminismo —  76. La scuola del diritto naturale nei suoi rapporti coll'Ulu-  minismo — 77. L' Illuminismo in Francia e suoi caratteri   — 78. L' Illuminismo in Germania e l'opera dei giuristi —  79. L'Illuminismo in Italia e suo carattere generale — 80. La  scuola del diritto naturale nei suoi rapporti colla dottrina  giuridica di E. Kant.            -!     DigitLzed by     Google     Digitized by VjOOQ IC 

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