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Sunday, June 2, 2024

GRICE ITALICO A/Z R

 

 

Grice e Rabirio: la ragione conversazionale e l’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Orto. Criticised by Cicerone for oversimplifying the school’s doctrines in order to reach a wider audience – “which reminds me of me.” – Grice.

 

Grice e Raimondi: la ragione conversazionale e l’implicatura del gatto persiano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Insegna a Roma. Contribusce alla rinascita dell’idealismo contro il Lizio che domina la filosofia. Pubblica la Data di Euclide. Le coniche di Apollonio di Perga. Autore di molti commentari, specialmente su alcuni libri della Synagoge, nota anche come Collectiones mathematicae, di Pappo d’Alessandria e sui trattati di Archimede. Membro dell'accademia fondata da Aldobrandini, nipote di Clemente VIII. -- è celebre soprattutto per essere stato il primo direttore scientifico della Stamperia orientale medicea, o Typographia Medicea linguarum externarum, fondata a Roma da Ferdinando de' Medici. L'attività principale svolta dalla stamperia e, con l'appoggio di Gregorio XIII, la pubblicazione di saggi nelle per favorire la diffusione delle missioni cattoliche in Oriente. Forma un gruppo di ricerca costituito da Vecchietti,  inviato pontificio ad Alessandria d'Egitto e in Persia, dal fratello Gerolamo, da Orsino di Costantinopoli, neo-fita ebreo convertito, e di Terracina. In un periodo in cui Roma intrattene buone relazioni diplomatiche con la dinastia Safavide, al potere in Persia  essi riuscirono a recuperare diversi manoscritti della bibbia in lingue orientali – “which were fun” – Grice. Sono portati a Roma più di una ventina di testi biblici ebraici e giudeo-persiani, tra cui i libri del Pentateuco, tra i pochi sopravvissuti ai giorni nostri.  La tipografia si trasfere a Firenze, in conseguenza dell'elezione di Ferdinando a duca di Toscana. E avviata la stampa delle opere. Sono pubblicate dapprima una grammatica filosofica ebraica e una grammatica filosofica caldea. Seguirono: una edizione arabo dei vangeli, di cui furono tirate MMM copie; un compendio del Libro di Ruggero di al-Idrisi;  Il canone della medicina di Avicenna. Il duca gli vende la stamperia, chi  a sua volta la cedette al figlio di Ferdinando, Cosimo II, salito al trono. La stamperia chiuse poiché la realizzazione di volumi nelle lingue orientali non si è rivelata economicamente conveniente (“The same happened with Austin’s attempt at Blackwell’s.” Grice). Pubblica una grammatica araba intitolata “Liber Tasriphi”. Il suo grande progetto e quello di pubblicare una bibbia poliglotta comprendente le VI lingue principali del cristianesimo orientale: I siriaco, II armeno, III copto, IV ge'ez, V arabo e VI persiano. I manoscritti appartenuti alla stamperia orientale medicea sono disseminati in diverse istituzioni: la biblioteca medicea laurenziana di Firenze, la biblioteca nazionale di Firenze, la biblioteca apostolica vaticana, la biblioteca nazionale di Napoli, la biblioteca marciana di Venezia. Giovanni Battista Vecchietti, su iliesi cnr.  L'editoria del principe, ovvero la stampa ufficiale delle istituzioni laiche e religiose. Per la dedicazione al re Ruggero II di Sicilia.  Tipografia Medicea Orientale, su thesaurus. cerl. Piemontese, La Grammatica persiana; Bibas, La Stamperia medicea orientale, in, Un Maestro insolito (Firenze, Vallecchi); Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Liber Tasriphi compositio est Senis Alemami: Traditur in eo compendiosa notitia coniugationum verbi Arabici, Roma, Medicae, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, manoscritti persiana. Grice: “I tried to study Persian once, but J. L. Austin said that it was useless!” -- Giovan Battista Raimondi. Giambattista Raimondi. Raimondi. Raimondi. Keywords: il gatto persiano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Raimondi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Raio: la ragione conversazionale e l’ermeneutica dell’io e del tu – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Insegna a Napoli. Si occupa in particolare dell'ermeneutica. Saggi: “Antinomia e allegoria”; “Il carattere di chiave”, “Ermeneutica del simbolo” (Napoli, Liguori); “Il simbolismo tedesco. Kant Cassirer Szondi” (Napoli, Bibliopolis); “Conoscenza, concetto, cultura” (Firenze, La Nuova Italia); “Meta-fisica delle forme simboliche” (Milano, Sansoni); L'io, il tu e l'es: saggio sulla "Meta-fisica delle forme simboliche" (Macerata, Quodlibet); Rivista "Studi filosofici".  Giulio Raio. Raio. Keywords: ermeneutica dell’io e del tu, Szondi --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Raio” – The Swimming-Pool Library

 

Grice e Raulica: la ragione conversazionale all’isola! l’implicatura del barone  -- l’origine dell’idee – il fondamento della certezza – filosofia siciliana – filosofia sicula – dello spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla terminare -- corso di filosofia: ossia, re-staurazione  della filosofia -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo Italiano Essential Italian philosopher. Grice: “Italian philosophers can be fun: there’s ventura, and there’s Bonaventura, who was actually fidanza, i.e. fidence, as in confidence.” Noto per il suo sostegno alla causa della rivoluzione siciliana. Studia a Palermo. Insegna a Roma. Si distinse come apologeta, scrittore e predicatore, sopra-ttutto grazie alla sua "Orazione funebre di Pio VII.” La sua carriera da filosofo inizia come esponente della corrente contro-rivoluzionaria. Teatino. Intraprese l'attività di predicatore. La sua eloquenza, sebbene a volte esagerata e prolissa, e veemente e diretta ed ottenne grande fama. Con l'elezione di Pio IX al soglio pontificio, acquisì un ruolo politicamente prominente. Sostenne la legittimità storica e giuridica della rivoluzione siciliana. Auspica la ri-fondazione del regno della Sicilia indipendente all'interno di una con-federazione italiana di stati sovrani. Ministro pleni-potenziario e rappresentante del governo siciliano a Roma.  La sua posizione a Roma divenne delicata per via della proclamazione della repubblica romana  e dell'esilio di Pio IX. Rifiuta l'offerta di un seggio all'assemblea costituente, maoltre ad invocare la separazione tra potere temporale e spirituale riconosce la repubblica romana a nome del governo rivoluzionario di Palermo. Altri saggi: “La scuola de' miracoli: ovvero, Omilie sopra le principali opere della potenza e della grazia di Gesù Cristo, figliuolo del dividno e salvatore del mondo”; “Il tesoro nascosto: ovvero, omilie sopra la passione del nostro signor Gesù cristo”;  La madre del divino, madre degl’uomini: ovvero, spiegazione del mistero della SS. vergine a piè della croce”; “Le bellezze della fede ne' misteri dell’epifania: ovvero, La felicità di credere in Cristo e di appartenere alla vera chiesa”; “I disegni della divina misericordia sopra le Americhe: panegirico in onore di Martino de Porres, terziario professo dell'ordine de’ predicatori”; “Il potere politico”; “Saggio sul potere pubblico, o esposizione della legge naturali dell'ordine sociale”; “Dello spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla terminare”; “La ragione filosofica”; “La tradizione e i semi-pelagiani della filosofia: ossia, Il semi-razionalismo svelato”; “Saggio sull'origine delle idee e sul fondamento della certezza”; “Della falsa filosofia”; “Nuove omelie sulle donne del vangelo”; “Corso di filosofia: ossia, re-staurazione  della filosofia”; “Sopra una camera di pari nello STATO pontificio”; “La questione sicula sciolta nel vero interesse della Sicilia, Napoli e dell’Italia”; “Memoria pel riconoscimento della Sicilia come stato sovrano ed indipendente”; “Menzogne diplomatiche, ovvero esame dei pretesi diritti che s'invocano del gabinetto di Napoli nella questione sicula”; “Discorso funebre pei morti di Vienna la religione e la libertà”; “Raccolta di elogi funebri e lettere necrologiche; Il pensiero politico d'ispirazione cristiana. Atti del seminario Erice, Guccione, Firenze. Andreu R.: saggio biografico, "Regnum Dei", Bergamaschi, R.: fra tradizionalismo e neo-tomismo [AQUINO], Milano, Cremona Casoli, Un illustre siciliano”; "Rassegna Storica del Risorgimento", Cultrera, Generale dell'ordine dei Teatini, Palermo; Giurintano C., Aspetti del pensiero politico nel "De jure publico ecclesiastico"; Istituto per la Storia del Risorgimento, Palermo, Guccione, Democrazia. Murri, Sturzo e le critiche di Giobetti, Palermo, Ila-Palma, Guccione, Alle radici della democrazia” Palermo; Guccione, Un omaggio clandestine; in  "Nuova Antologia", Pastori, “La rivoluzione napoletana in "Rassegna siciliana di Storia e Cultura", Romano, La vita e il pensiero politico, Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Regione Siciliana. Martinucci, Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale. Gioacchino Ventura dei baroni di Raulica, Gioacchino Ventura Da Raulica. Gioacchino Ventura di Raulica. Raulica. Keywords: l’origine dell’idee – il fondamento della certezza, la legge naturale dell’ordine sociale, la sicilia come stato sovrano ed independente. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Raulica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Reale: la ragione conversazionale del capretto di Kant --  erote demone mediatore, o del gioco delle maschere nel convito – filosofia italiana – Luigi Speranza (Candia Lomellina). Filosofo italiano.  Ho la ferma convinzione che l’ACCADEMIA e la più grande associazione o gruppo di gioco filosofico in assoluto comparso sulla terra, e che il compito di chi lo vuole comprendere e fare comprendere agl’altri, pur avvicinandosi sempre di più alla verità, non può mai avere fine. Studia a Casale Monferrato e Milano sotto OLGIATI. Insegna a Parma e Milano. Fonda il centro di ricerche di meta-fisica.  La sua tesi di fondo è che la filosofia antica dei romani crea quelle categorie e quel peculiare modo di pensare che hanno consentito la nascita e lo sviluppo della scienza e della tecnica dell'occidente.  I suoi interessi spaziano lungo tutto l'arco della filosofia romana antica e i suoi contributi di maggior rilievo hanno toccato via via APPIO, CICERONE, ANTONINO, Aristotele, Platone, Plotino, Socrate e Agostino. Studia ognuno di questi filosofi andando, in un certo senso, contro corrente e inaugurandone una lettura nuova.  La ri-lettura che da di Aristotele e del LIZIO in generale – tanto influente a Roma -- contesta l'interpretazione di Jaeger, secondo il quale i saggi del LIZIO seguirebbero positivisticamente un andamento storico-genetico che partirebbe dalla teo-logia, passerebbe per la meta-fisica, per approdare infine alla scienza. Reale sostenne invece la fondamentale unità del pensiero metafisico del LIZIO.  Ne “La filosofia antica”, mette in evidenza come la filosofia di Teofrasto nel LIZIO si diffuse per l'aspetto scientifico con un'ampiezza del tutto paragonabile a quella del maestro Aristotele, rivelando però uno scarso spessore nella speculazione filosofica. Da Stratone in poi, ciò provoca un ripiegamento della scuola del LIZIO verso l'ambito della fisica e delle scienze empiriche.  Per quel che riguarda L’ACCADEMIA, importando in Italia gli studi della scuola accademica di Tubinga, mette in crisi l'interpretazione romantica di Platone stesso, che risale a Schleiermacher, e rivalua il senso e la portata delle dottrine non scritte, vale a dire gli insegnamenti che gl’accademici hanno tenuto solo oralmente all'interno della villa al ginnasio dell’Accademia e che conosciamo dalle testimonianze dei discepoli. In questo senso, l’accademia risulterebbe essere il testimone e l'interprete più geniale di quel peculiare momento della civiltà che passa dalla cultura dell'oralità a quella della scrittura. Negli studi su Plotino, contesta la tesi di fondo di Zeller che vede nel grande accademico il principale teorico del pan-teismo e dell'immanentismo. Al contrario, R. ri-legge Plotino come il campione della trascendenza metafisica dell'uno.  L'interpretazione che ha dato di Socrate, analogamente, si propone di risolvere le aporie della cosiddetta questione socratica, entrata in un vicolo cieco dopo gli studi di Gigon, secondo cui di Socrate non possiamo sapere nulla con certezza. R. inaugura, invece, un nuovo modo di interpretare Socrate, non solo cercando di risolvere dall'interno le testimonianze contraddittorie degl’allievi, ma soprattutto guardando al contesto della filosofia italica prima di Socrate e dopo Socrate. In questo modo, balzerebbe agl’occhi la scoperta socratica del concetto di ‘animo’ (greco – animos) o anima come essenza e nucleo pensante dell'uomo. Socrate dice che il compito dell'uomo è la cura dell'anima o dell’animo: la psico-terapia, potremmo dire. Che poi oggi l'animo e interpretato in un altro ‘senso’, questo è relativamente importante. Socrate per esempio non si pronuncial sull'immortalità dell'animo, perché non ha ancora gl’elementi per farlo, elementi che solo con emergeno coll’Accademia. Ma, nonostante ancora oggi si pensa che l'essenza dell'uomo sia l’animo. Molti, sbagliando, ritengono che l’animo e una creazione semitica: è sbagliatissimo. Per certi aspetti il concetto di ‘animo’ e di immortalità dell'animo è contrario alla dottrina semitica che parla invece di risurrezione dei corpi degl’uomini. Che poi i primi filosofi della patristica utilizzano categorie della filosofia antica, e che quindi il suo apparato concettuale sia in parte basato sulla filosofia antica non deve far dimenticare che il concetto dell’animo è una concezione aria. L'Occidente viene da qui. Infine, per quanto riguarda all’africano Agostino,  tende a ricollocarlo  nel contesto dell’Accademia dell’antichità e quindi nel momento dell'impatto del dell’ebraismo con filosofia aria italica cercando di scrostarlo di tutte le successive interpretazioni dell'agostinismo medioevale. Ritiene, poi, che la cifra spirituale che caratterizza la filosofia d’Occidente sia costituita dalla filosofia italica. È stato infatti il logos a caratterizzare le due componenti essenziali della filosofia d’Occidentre e precisamente a fornire gli strumenti concettuali per elaborare l’ebraismo, dando luogo, così, a quella peculiare mentalità da cui sono scaturite la scienza e la tecnica. Ma se la cultura d’non si capisce senza la filosofia aria degl’italici, questa a sua volta non si capisce senza la meta-fisica come studio dei veliani dell’unità dell'essere. Il lavoro che svolge, studiando i filosofi italici – CROTONE, VELIA, GIRGENTI, ecc. -- vuole anche servire a un confronto fra la meta-fisica antica e quella moderna. La preferenza che accorda all’accademia dipende dal fatto che la scuola di Atene è, con la seconda navigazione di cui parla nel Fedone, la creatora di questa problematica. Si fa così porta-voce di un meditato ritorno alle radici della nostra cultura attraverso la riproposta dei classici filosofi italici. E in sintonia con la Scuola di Tubinga rinnova l'interpretazione, mettendo in luce la primaria importanza delle dottrine non scritte di cui riferiscono gli allievi del fondatore stesso dell’Accademia -- Aristotele  del Lizio in primis. In “Per una interpretazione dell’Accademia” fa affiorare l'immagine di una accademia diversa, una accademia orale e in certo senso dogmatica. Del resto, non è forse l’accademia stessa (ad esempio, nella Lettera VII) a garantirci che la sua filosofia dev'essere ricercata altrove rispetto agli scritti? Lo stesso corpus degli scritti dell’accademia, giuntoci nella sua interezza (circostanza, questa, unica nella storiografia della filosofia antica), non presenta, invero, quell'unità sistematica che ci si dovrebbe attendere, il che, ancora una volta, depone a favore della tesi secondo cui l’accademia cerca altrove, e precisamente nelle dottrine non scritte. Studia anche la metafisica del Lizio, smaschererebbe la tesi fatta valere da Jaeger, secondo cui l'opera non presenta un'unitarietà ma sarebbe piuttosto una sorta di zibaldone filosofico -- e, in particolare, il libro XII risalir ebbein forza del suo spiccato interesse teologico alla didattica del Lizio. Lungi dal risolversi in un coacervo di scritti risalenti a differenti epoche e contesti, la Meta-fisica del Lizio rileva R. è profondamente unitaria. Al centro c'è la definizione della meta-fisica come scienza della causa e del principio, dell'essere in quanto tale, della sostanza, dei dei e della verità. In “La saggezza antica”, R. sostiene che tutti i mali di cui soffre l'uomo d'oggi hanno proprio nel nichilismo la loro radice e che un'energico questi mali implicano il loro sradicamento, ossia la vittoria sul nichilismo, mediante il recupero di un ideale e di un valore supremo, e il superamento dell'a-teismo. Ma quello che egli propone non è affatto un ritorno a-critico a certe idee della antica filosofia italica, ma l'assimilazione e la fruizione di alcuni messaggi della saggezza antica, che, se ben recepiti e meditati, possono, se non guarire, almeno lenire i mali degl’uomini, corrodendo le radici da cui derivano. In una siffatta prospettiva, può acquistare un valore eminentemente filosofico anche la filosofia in lingua latina in Seneca, a suo parere ingiustamente trascurato da una lunga tradizione che non gl’ha riconosciuto alcuna cittadinanza filosofica, per il fatto di non avere nato romano. In “La terapia dell'anima” (Bompiani, Milano) riprende, ancora una volta, l'idea che la filosofia degl’antichi in questo caso, quella di Seneca puo costituire un farmaco per l'animo dilaniato degl’uomini. Oltre al campo specifico della filosofia antica, si occupa a vario titolo anche della storia della filosofia posteriore. Per esempio, nella stesura del noto “Manuale di filosofia” per i licei edito dalla scuola oltre alla direzione delle collane filosofiche classici della filosofia, Testi a fronte della Bompiani e I filosofi per Laterza.  Oltre a questo, i suoi principali scritti sono: “ Il concetto di filosofia prima e l'unità della Meta-fisica del LIZIO” (Vita e Pensiero, Milano); “Il Lizio” (Laterza, Bari); Storia della filosofia antica (Vita e Pensiero, Milano); “Il pensiero occidentale dalle origini (Scuola, Brescia); Per una nuova interpretazione dell’Accademia” (CUSL, Milano); “Proclo” Laterza, Bari); “Filosofia antica” (Jaca, Milano); “Saggezza antica” (Cortina, Milano); “Eros demone mediatore. Il gioco delle maschere nel "Simposio" dell’Accademia” (Rizzoli, Milano); “L’accademia: alla ricerca della sapienza segreta” (Rizzoli, Milano, Bompiani, Milano, La nave di Teseo, Milano); “La Meta-fisica del Lizio” (Laterza, Bari); Raffaello: La "Disputa", Rusconi, Milano); “Corpo, anima e salute: il concetto di uomo" (Collana Scienza e Idee, Cortina, Milano) – cf. Grice, ‘urina sana, corpo sano, medicina sana – scremento sano -- “Socrate. Alla scoperta della sapienza umana” (Rizzoli, Milano); “La filosofia antica” (Vita e Pensiero, Milano); ““Radici culturali e spirituali dell'Europa” (Cortina, Milano); “Storia della filosofia romana” (Bompiani, Milano, Collana Il pensiero occidentale, Bompiani); “Valori dimenticati dell'Occidente” (Bompiani, Milano); “ L'arte di Muti e la Musa accademica” (Bompiani, Milano); “Agostino” (Bompiani, Milano); “Wojtyla: un pellegrino dell'assoluto” (Bompiani, Milano); “Auto-testimonianze e rimandi dei Dialoghi dell’Accademia alle dottrine non scritte" (Bompiani, Milano); “Storia della filosofia” (Scuola, Brescia); “Salvare la scuola nell'era digitale” (Brescia, Scuola); “Responsabilità della vita: un confronto fra un credente e un non credente” (Milano, Bompiani); “Mi sono innamorato della filosofia” (Milano, Bompiani); “Romanino e la «Sistina dei poveri» a Pisogne” (Milano, Bompiani); “Filosofia” (Scuola, Brescia); Introduzione, traduzione e commentario della Meta-fisica del Lizio, su archive. Bompiani, Traduzioni e commenti R. ha tradotto e commentato molte opere dell’Accademia, del Lizio e dell’Accademia romana -- la sua nuova edizione delle Enneadi è stata pubblicata  nella collana "I Meridiani" della Mondadori. Pubblica per Bompiani il poderoso volume I presocratici, da lui presentato come la prima traduzione integrale. Nonostante in Italia ne è già uscita una traduzione da Giannantoni edita da Laterza. Sostene la presenza di lacune e manomissioni nel Giannantoni, lacune e manomissioni che sarebbero dovute, a parere di R., all'ossequio all'ideologia e all'egemonia culturale marxista, secondo cui in quel periodo gl’intellettuali di area comunista dominano la scena in campo editoriale. CANFORA, in risposta alle accuse di R., sostene la natura pubblicitaria e l'inconsistenza del ragionamento. Si sostene che, se influenza c'è stata nel Giannantoni, essa è stata di matrice idealistica, hegeliana e crociana – CROCE (si veda). Qualsiasi omissione è da evitare, specie se non è segnalata nel testo. Con riguardo alla presunta irrilevanza di taluni tagli operati da Giannantoni sottolinea come i capretti a volte segnano la storia della filosofia più di alcuni filosofi e togliere questi animali dai frammenti, così come far sparire dei cavolfiori, si tasformarsi in una censura. Di Seneca, cura le opere in "Seneca. Tutti gli scritti". Interprete dell’Accademia, La Stampa, Ripensando l’Accademia e l’accademicismo” (Milano, Vita e Pensiero). Dimostra la profonda unità concettuale di questi saggi di filosofia prima, mettendo in luce come Jaeger e condizionato dal positivismo e dalla teoria dell'evoluzione della cultura secondo le tre tappe di teologia-metafisica-scienza. Il concetto di filosofia prima e l'unità della "Meta-fisica" di Aristotele” (Milano, Bompiani); Storia della filosofia antica. La fondazione della botanica e il suo guadagno essenziale. Verso una nuova immagine dell’accademia, Milano, Vita e Pensiero, Cfr., in particolare, Il paradigma romantico nell'interpretazione dell’accademia, di Krämer, Napoli,  La filosofia antica, Milano,  Jaca. Ha ragione, bisogna imparare ad accettare la morte, Corriere della Sera.  Il concetto di filosofia prima (cf. Grice) e l'unità della meta-fisica di Aristotele, Milano, Vita e Pensiero, La filosofia di Seneca come terapia dei mali dell'anima, Milano, Bompiani, In memoriam. Pur riconoscendo a Giannantoni una statura di studioso di prim'ordine, sostiene che molti marxisti non presentano talune cose nella loro effettiva realtà. Pur non potendosi parlare di complotto, nel testo di Laterza curato da Giannantoni mancano in un'edizione chiamata l'unica integrale italiana decine e decine di passi che elenco in 4 pagine all'inizio della mia traduzione dei veliani e crotonensi. Ci sono inoltre indebite aggiunte assenti nell'originale. Una raccolta di tal fatta, nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure molte note di queste ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti filosofi. Svuotare, ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero confronto. Ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva. Naturalmente, sul piano pubblicitario, si comprende la auto-esaltazione. La mia traduzione è più completa della tua, come il mio bucato è più bianco del tuo. Ma anche la pubblicità bisogna saperla fare. Ci sono lauree brevi da poco istituite in proposito. Particolarmente inconsistente appare il ragionamento. Eccolo nella sintesi fornita dal suo intervistator.  Giannantoni e molto bravo, e questo lo sapevamo anche senza il supporto di R., Laterza è innocente del sopra menzionato reato ideologico. La colpa è della penetrazione comunista. Sembra quasi di sognare. Ma questa è la caricatura dell'antica cantilena sui comunisti padroni dell'editoria italiana. Per confutare questa sciocchezza BOBBIO si limita a trascrivere i titoli del catalogo Einaudi. E infatti come negare l'affiliazione bolscevica di BOBBIO? Che pena. Si fa riferimento all'osservazione secondo la quale le omissioni di Giannantoni riguardano aspetti poco rilevanti per un marxista come il frammento 23 di Orfeo -- un mal-ridotto frustulo papiraceo in cui si fa cenno ad un rituale misterico. Queste, e consimili, sono le omissioni rimproverate dal neo-presocratico R. Sembra del tutto irrilevante sapere se Kant, quando scrive la Critica della ragion pratica, mangia capretto o una particolare minestra. Alla storia della filosofia questo poco interessi. Ma sapere se un *orfico* o un crotonese mangia capretto è MOLTO significativo dal punto di vista filosofico. Se l’orfico crotonese s’astene, allora e vegetariano e, come tale, non ha condiviso la ritualistica italica in cui si consumeno le carni offerte ai dei e si lasciano ai dei gl’aromi per segnare la distanza tra gl’uomini e i dei. In sostanza, l’orfico crotonese crede, evitando il capretto, in una filosofia in cui gl’uomini e i dei sono legati. Non è un capretto né una vacca quello che manca in Giannantoni. Mancano in un'edizione chiamata l'unica integrale decine e decine di passi che elenco in 4 pagine all'inizio della mia traduzione dei Presocratici. Ci sono inoltre indebite aggiunte assenti nell'originale. Una raccolta di tal fatta, nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure molte note di queste ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti autori. Svuotare, ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero confronto. Ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva. Laudatio. Radice, Tiengo, Seconda navigazione. Omaggio (Vita e Pensiero, Milano); Grampa, "Ritornare a Crotone: intervista a sulla sua «Storia della filosofia antica»", Vita e Pensiero. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La mia accademia bocciata. Il cattolico amico dell’accademia. Critico l’accademia di R. il marxismo non c'entra. La dittatura culturale del marxismo, in Corriere della Sera, Treccani Storia della filosofia antica. Dalle origini a Socrate. Ospitato su gianfranco bertagni. R. Storia della filosofia antica. Platone e Aristotele. Storia della filosofia antica. I sistemi dell'Età ellenistica.   L’ECLETTISMO ACCADEMICO A ROMA   CON CICERONE E CON VARRONE    1. La posizione filosofica assunta da Cicerone — Come Filone e An-  tioco sono i più tipici rappresentanti dell’Eclettismo greco, così Ci-  cerone è il più caratteristico rappresentante dell’Eclettismo romano.!   Antioco si colloca decisamente a destra di Filone, diremmo con  metafora moderna, mentre Cicerone prosegue piuttosto sulla linea  di Filone. Il primo elabora un Eclettismo decisamente dogmatico,  il secondo un Eclettismo cautamente e moderatamente scetticheg-  giante.   Non c’è peraltro dubbio che, dal punto di vista speculativo, Ci-  cerone resti al di sotto sia dell’uno che dell’altro, non presentando  alcuna novità che sia paragonabile alle formulazioni del probabilismo  positivo del primo o alla sagace critica antiscettica del secondo.   Se, in sede di storia della filosofia greca e romana, ci occupiamo di  Cicerone è soprattutto per motivi culturali più che speculativi.    ! Cicerone nacque nel 106 a.C. ad Arpino. Si accostò fin da giovane alla filo-  sofia, che coltivò con interesse e costanza. Tuttavia l’amore della filosofia fu lungi  dall’assorbire per intero tutte le energie e gli interessi di Cicerone. Egli, infatti, si sentì  prevalentemente portato alla vita pubblica, alla vita forense e alla vita politica. Perciò  la sua scelta di fondo fu per la retorica, ossia per l’oratoria. La sua carriera oratoria  inizia già nell’81 a.C. e ne 76/75 a.C. inizia la sua attività politica, con la sua elezione  a questore. Da allora in poi Cicerone legò spesso il suo nome a clamorosi processi e a  importanti avvenimenti politici. Morì nel 43 a.C., ucciso dai soldati di Marc’ Antonio.  Dei suoi maestri di filosofia abbiamo già detto, e diremo ancora nel testo. Le numero-  se opere di filosofia di Cicerone pervenuteci furono da lui scritte nell’ultimo periodo  della sua vita. Nel 46 scrisse i Paradoxa Stoicorum; nel 45 gli Academzica, due dialoghi  intitolati a Catullo e a Lucullo, di cui fece una seconda redazione, in cui compariva-  no come interlocutori Attico e Varrone (degli Acaderzica priora ci è rimasto il libro  II Lucullus, degli Academica posteriora il libro I e frammenti). Del 45 è anche il De  finibus bonorum et malorum. Nel 44 furono pubblicate le Tusculanae disputationes, il  De natura deorum e il De offictis. A queste opere vanno inoltre aggiunte: il De fato, il  De divinatione, il Cato maior de senectute e il Laelius de amicitia. Da ricordare, infine,  sono le opere politiche De re publica e De legibus. Del De re publica ci sono giunti i  primi due libri, non completi, frammenti del III, del, IV, del V e gran parte del libro  VI, che già nell’antichità ebbe vita autonoma col titolo Sorzziuzz Scipionis. Diamo  dettagliate indicazioni nello Schedario, s.v. Per i rapporti fra Cicerone e Platone, cfr.  l’eccellente raccolta di testi in Dòrrie, op. cit., Bausteine 25-31, pp. 212-258.    1508. LIBRO VI - SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    In primo luogo, Cicerone offre, in certo senso, il più bel paradigma  di pensiero eclettico, che è come dire il più bel paradigma della più  povera delle filosofie, e, in certo senso, la più antispeculativa delle  speculazioni.   In secondo luogo, Cicerone è di gran lunga il più efficace, il più  vasto e il più cospicuo ponte attraverso il quale la filosofia greca si è  riversata nell’area della cultura romana e, poi, in tutto l'Occidente. E  anche questo è un merito non teoretico, ma di mediazione, di diffusio-  ne e di divulgazione culturale, e comunque di altissima classe.   Ciò non toglie, però, che Cicerone abbia intuizioni felici e anche  acute su problemi particolari, specie su problemi morali. Il De officiis  è, probabilmente, la sua opera più vitale. Inoltre, presenta anche ana-  lisi penetranti. Tuttavia, si tratta di intuizioni e di analisi che si colloca-  no — per così dire — a valle della filosofia; sui problemi speculativi che  stanno a monte egli ha poco da dire, come del resto in questo ambito  hanno poco da dire quasi tutti i rappresentanti della filosofia romana.   Già i maestri frequentati da Cicerone indicano chiaramente la ge-  ografia del suo pensiero. Da giovane udì l’epicureo Fedro e, più tardi,  anche Zenone epicureo; sentì anche le lezioni dello stoico Diodoto,  conobbe a fondo il pensiero di Panezio e allacciò stretti rapporti di  amicizia con Posidonio; fu influenzato da Filone di Larissa in modo  decisivo e, inoltre, udì per un certo tempo anche le lezioni di Antioco  di Ascalona.   Inoltre, lesse Platone, Senofonte, le opere pubblicate di Aristotele,  alcuni filosofi della vecchia Accademia e del Peripato, ma sempre con  i parametri della filosofia del suo tempo.   Da tutti prese e in tutti cercò conferme su determinati problemi,  eccettuati forse i soli Epicurei, coi quali polemizzò accesamente.   Egli stesso si autodefinì espressamente come «Accademico», e  come Accademico della corrente filoniana: anche per lui, infatti, /a  probabilità positiva è alla base della filosofia.   Nell’operare la fusione eclettica delle varie correnti, dunque, Cice-  rone non diede contributi essenziali, perché tale fusione era già stata  operata dai maestri che egli aveva udito. Cicerone si limitò a ripropor-  la in termini latini e ad amplificarla non qualitativamente — giacché  questo non era possibile — ma quantitativamente.    2. Il probabilismo eclettico ciceroniano — Dicevamo sopra che Cice-  rone respinge il tipo di eclettismo di Antioco e assume, invece, una  posizione simile a quella di Filone di Larissa: il «dogmatismo ecletti-    CICERONE 1509    co» di Antioco gli sembrava alquanto incauto, mentre il «probabili-  smo» filoniano lo appagava pienamente.  Come avevano fatto molti dei nuovi Accademici, Cicerone adotta il  metodo della discussione del «pro» e del «contro» su ogni questione.  Questo metodo gli offre grandi vantaggi:    1) in primo luogo, gli offre la possibilità di far conoscere le varie  posizioni dei filosofi in materia, facendo largo sfoggio della sua eru-  dizione;   2) in secondo luogo, gli offre la possibilità di valutare la consisten-  za delle opposte tesi;    3) in terzo luogo, il raffronto di opposte idee gli offre la possibilità  di scegliere la soluzione più probabile;    4) infine, da buon oratore e avvocato, trova che questo metodo  costituisce un perfetto esercizio di eloquenza.    Dunque, il raffronto non deve portare alla «sospensione del giudi-  zio», bensì al ritrovamento del «probabile» e del «verosimile» e anche  all'esercizio retorico.   Ecco le precise parole del nostro filosofo che mettono bene a fuoco  questo punto:    A me è sempre piaciuta la consuetudine dei Peripatetici e degli Ac-  cademici di discutere in ogni problema il pro e il contro: non soltanto  perché questo sistema è l’unico adatto per scoprire in ogni questione  l'elemento di verosimiglianza, ma anche per l'ottimo esercizio che ciò  costituisce per la parola.    Ma il passo ci permette di fare anche un’altra riflessione.   Cicerone pone e risolve i problemi filosofici sempre in chiave pre-  valentemente culturalistica e mai direttamente, ossia in maniera pura-  mente teoretica. Le questioni che egli imposta sono quelle che già altri  hanno sollevato, e anche le soluzioni che sceglie sono per lo più quelle  già proposte in tutto o in parte da altri.   E così si spiega perfettamente come il suo «moderato Scetticismo»  — per sua stessa confessione — non derivi tanto dalle difficoltà che in-  trinsecamente sollevano i problemi della conoscenza e del criterio del-  la verità (per esempio gli errori dei sensi, e simili), quanto dalle diffi-    2 Tusc. Disput., II, 3,9=1, 18, 3 Dérrie; traduzione di A. Di Virginio.    1510 LIBRO VI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    coltà che scaturiscono dal dissenso circa le soluzioni di quei problemi  che sono state proposte dai vari filosofi.   Di conseguenza, risulta anche chiara la ragione per cui, da un lato  il «dissenso» dei filosofi sconcerti Cicerone, mentre dall’altro lo con-  forti in pari modo il «consenso», quando ci sia, al punto che egli non  esita a fare di tale consenso ur criterio di probabilità.   Il «vero», dunque, è irraggiungibile, come prova il dissenso dei  filosofi; tuttavia restano il «probabile» e il «verosimile», che sono se  non il vero stesso, ciò che tuttavia al vero più si avvicina.   Dice Cicerone nel De natura deorum:    Non siamo di quelli che negano in assoluto l’esistenza della verità:  ci limitiamo a sostenere che a ogni verità è unito qualcosa che vero  non è, ma tanto simile a essa che quest’ultima non può offrirci alcun  segno distintivo che ci permetta di formulare un giudizio e di dare il  nostro assenso. Ne deriva che ci sono delle conoscenze probabili le  quali, benché non possano essere compiutamente accertate, appaiono  così nobili ed elevate da poter fungere da guida per il saggio.’    Nel De officiis Cicerone ribadisce:    Mi si chiede però, e proprio da uomini di lettere e colti, se io creda  di agire con sufficiente coerenza, quando, mentre osservo che nulla può  essere conosciuto con certezza, tuttavia e soglio disputare di altre que-  stioni e in questo stesso momento cerco di dare regole sul dovere. A co-  storo vorrei che fosse abbastanza noto il mio pensiero. Giacché io non  sono di quelli il cui animo vaga nell’incertezza e non ha mai un principio  da seguire. Quale sarebbe infatti la nostra mente, 0, piuttosto, la nostra  vita, quando fosse tolta ogni norma non solo di ragionare, ma anche  di vivere? Come gli altri affermano la certezza di alcune e l'incertezza di  altre cose, noi invece, dissentendo da loro, sosteniamo la probabilità di  alcune cose e l’improbabilità di altre. Che cosa, dunque, mi può impedi-  re di seguire ciò che mi sembra probabile e di disapprovare ciò che mi  sembra improbabile, e di fuggire così, evitando la presunzione di recise  affermazioni, la temerarietà, che è lontanissima dalla vera sapienza?*    E a questo «probabile» si perviene non legandosi dogmaticamente  ad alcuna Scuola, ma restando liberi di scegliere ecletticamente ciò  che pare più verosimile. Nelle Tuscolazze leggiamo:    } De nat. deorum, I, 5, 12, traduzione di U. Pizzani; cfr. Acad. pr., II, 31, 98 e ss.  4 De offictis, II, 2, 7-8, traduzione di Q. Cataudella.    CICERONE 1511    Esiste libertà di pensiero, e ognuno può sostenere ciò che gli pare;  per me, io mi atterrò al mio principio, e cercherò sempre in ogni que-  stione la probabilità massima, senza essere legato alle leggi di nessuna  scuola particolare che debba per forza seguire nella mia speculazione.”    Il «probabilismo» di Cicerone è, in tal modo, strutturalmente con-  giunto col suo «eclettismo»: l’uno sta a fondamento dell’altro e vice-  versa, e ambedue hanno radice, più che teoretica, culturale e storica,  come sopra dicevamo.   Questo ben spiega — tra l’altro — come, a seconda dei problemi  che Cicerone tratta, il probabile si assottigli fino a diventare dubbio,  oppure, per contro, si consolidi fino a diventare quasi certezza.    3. Logica: il criterio della verità - Anche Cicerone, come tutti i filosofi  del suo tempo, ritiene che il compito precipuo della filosofia consi-  sta nello stabilire il «fine dell’uomo», e quindi la natura del «sommo  bene», e che, per poter far questo, occorra stabilire quale sia il criterio  del vero:    Queste sono le questioni massime in filosofia: il criterio della verità  e il fine dei beni, né può essere sapiente chi ignori o il principio del  conoscere o il termine dell’appetizione, così da non sapere da dove si  debba partire o dove si debba arrivare.°    Iniziamo dall’esame del «criterio del vero», che è il punto di par-  tenza.   In primo luogo, Cicerone accoglie positivamente la testizzonianza  dei sensi.   Non l’accoglie a livello di certezza assoluta, ossia a livello di cer-  tezza tale da meritare l’assenso totale, ma 4 livello di probabilità (si  ricordino le posizioni di Filone e di Antioco). L'evidenza dei sensi e  dell’esperienza è, dunque, un primo criterio: chi nega queste eviden-  ze, sovverte la possibilità stessa della vita.”   Un secondo criterio Cicerone lo trova nel «senso comune», nel  «consenso universale degli uomini» (nonché nel consenso dei dotti).  Egli usa anzi espressioni che riecheggiano una certa forma di «inna-  tismo», che si rifà, molto alla lontana, all’innatismo platonico e, più    > Tusc. disp., IV, 4,7.  6 Acad. pr., II, 9, 29.  ? Cfr. Acad. pr, II, 31,99.    1512. LIBROVI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    da vicino, alla dottrina della «prolessi» che — come abbiamo visto — è  comune sia al Giardino sia al Portico.   Così Cicerone — per limitarci all'ambito che maggiormente inte-  ressa — ammette non solo che la natura umana ci abbia dato serzina  innata delle virtù, cioè naturali disposizioni alla virtù, ma che abbia  altresì ingenerato size doctrina notitias parvas rerum maximarum, per  raggiungere le medesime virtù.   Ed è precisamente questo generico innatismo la vera motivazione  che gli fa ritenere come probante il senso comune e il consenso di tutti  gli uomini.   Naturalmente, Cicerone non ci sa dire di più a questo proposito:  risale dal «senso comune» e dal «consenso universale» a nozioni da-  teci naturalmente, cioè «innate», e con questo crede di aver raggiunto  un criterio dotato di evidenza tale da non aver bisogno di ulteriore  fondazione.    4. Fisica — Per i problemi «fisici» — cioè per il grosso dei problemi  cosmo-ontologici che le filosofie ellenistiche includevano nella dot-  trina della physis — Cicerone mostra pochissimo interesse. Ciò è ben  conforme al sentire squisitamente romano, il quale solo se vede una  precisa valenza pratica si interessa ai problemi speculativi.   Naturalmente, egli fa eccezione per i problemi di Dio e dell’anima,  che sono strettamente legati all’etica, nel senso che condizionano, in  ultima analisi, il senso ultimo della medesima.   Per quanto concerne la soluzione dei problemi metafisici e ontolo-  gico-cosmologici egli nutre uno scetticismo molto più spinto che per  tutto il resto. Non li sa impostare e risolvere, soprattutto per il motivo  che non gli interessano esistenzialmente. Perciò gli è anche più como-  do affermare che sulla natura delle cose è molto più facile dire corze  non sia la verità che non come sia, e che tutto è circonfuso di tenebre  che non si possono squarciare:    Tutte queste cose ci restano nascoste, occultate e circonfuse di  dense tenebre, al punto che nessun acume di umano ingegno è così  grande, da saper penetrare nel cielo o entrare dentro la terra.!°    Tuttavia egli prudentemente non ritiene che siano da bandire del  tutto le questioni fisiche, perché la considerazione della natura è, in    8 Tusc. disput., III, 1,2.  ° De finibus, V, 21, 59.  !0 Acad. pr., II, 39, 122.    CICERONE 1513    ogni caso, cibo e sostentamento della mente, forza che ci sorregge e  che ci porta in alto e, portandoci così in alto, ci permette di guardare  con nuova ottica le cose umane e quindi di ridimensionarle. Consi-  derando le cose celesti e sublimi, si comprende come le cose terrestri  siano piccole e meschine. Senza contare, poi, la gioia spirituale che noi  proviamo allorché ci imbattiamo, se non nell’irraggiungibile vero, in  qualcosa di verosimile:    Non penso [...] che si debbano bandire queste questioni dei fisi-  ci. Infatti la considerazione e la contemplazione della natura è come  naturale pascolo degli animi e degli ingegni. Ci innalziamo, ci sembra  di diventare più grandi, disprezziamo le cose umane, e pensando alle  cose superiori e celesti, disprezziamo queste nostre come piccole e  vili. La stessa indagine di cose grandissime e occultissime ci dà dilet-  to. Se poi accade che qualcosa ci sembri verosimile, allora l’animo si  riempie di piacere umanissimo.!!    Come si vede, è sempre in chiave etica e antropologica che Cicero-  ne affronta i problemi.!?    5. Pensieri teologici — Sull’esistenza di Dio Cicerone non sembra nu-  trire dubbi. Il consenso di tutti i popoli è per lui la prova più solida:    Quanto all’esistenza degli dèi, la prova più solida che se ne possa  addurre è questa, a quel che pare: non c’è popolo, per quanto barba-  ro, non esiste uomo al mondo, per selvaggio che sia, che non abbia  nella mente almeno un’idea della divinità. Sugli dèi molti hanno delle  convinzioni errate, e questo fatto normalmente è dovuto all’influenza  corruttrice dell’abitudine: ma tutti quanti credono nell’esistenza di  una forza e di una natura divina, e questa convinzione non è effetto di  un precedente scambio di idee fra gli uomini e di un accordo generale,  né ha trovato appoggio in istituzioni o leggi: ora, in ogni questione, il  consenso dei popoli si deve considerare legge di natura.!    Analogamente, Cicerone non ha dubbi sulla Provvidenza: sia le  cose esterne dimostrano di essere state finalizzate in funzione dell’uo-  mo, sia la forma e la struttura dell’uomo stesso e dei suoi organi ricon-  fermano una organizzazione finalistica.   E dire organizzazione finalistica è dire Provvidenza.!*    !! Acad. pr., II, 41, 127.   1° Ibidem.   3 Tusc. disput., 1, 13, 30.   14 Cfr. De nat. deor., passim.    1514 LIBRO VI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    Nulla ripugna a Cicerone più della concezione meccanicistica pro-  pria dell’atomismo epicureo: un casuale e meccanico accozzamento  delle lettere dell’alfabeto non potrà mai — dice sensatamente Cicerone  — generare gli Arzali di Ennio:!    Come non provare meraviglia, a questo punto, se qualcuno ritiene  che corpi solidi e invisibili siano trascinati dalla forza del loro peso  e che dalla loro fortuita unione sia derivato il mondo con tutti i suoi  splendori e le sue bellezze? Chi fosse disposto ad ammettere una cosa  del genere non vedo perché non dovrebbe anche ritenere che, se si  raccogliessero da qualche parte in un numero molto elevato di esem-  plari le ventuno lettere dell’alfabeto foggiate in oro o in altro materiale  e le si gettassero a terra, dovrebbero ricostituirsi tutti gli Armati di En-  nio ormai pronti per la lettura: un risultato che il caso non riuscirebbe  forse a realizzare neppure limitatamente a un solo verso. !    Più incerto si mostra, invece, Cicerone quando deve prendere po-  sizione circa la natura di Dio.   Egli, in primo luogo, crede all’unità di Dio. Ma come concepire-  mo, dal punto di vista ontologico, questo Dio-uno?   Chi fin qui ci ha seguito non può aver dubbi sul fatto che alla do-  manda non potremo avere se non risposte ambigue e oscillanti fra spi-  ritualismo e materialismo. E, questo, non già per ragioni contingenti,  ma per motivi strutturali. In effetti, o si recuperavano i risultati della  «seconda navigazione» platonica e il senso del trascendente, oppure  le affermazioni sulla spiritualità di Dio dovevano rimanere senza alcun  fondamento teoretico. Nelle Tuscolane leggiamo:    E la divinità stessa, quale noi ce la rappresentiamo, non può essere  concepita che come uno spirito indipendente, libero (vers soluta qua-  edam et libera), e privo di ogni elemento corruttibile: uno spirito che  tutto sente e tutto muove, ed è a sua volta dotato di eterno movimento.!$    Ma l’espressione «7ens soluta quaedam et libera» non ci deve trar-  re in inganno, perché questa z2ers soluta et libera non può essere pen-  sata da Cicerone in funzione della categoria del soprasensibile, tant'è  che egli finisce per accettare l’ipotesi stoica che si tratti di aria e fuoco,  oppure anche dell’aristotelico etere.!”    5 De nat. deor., II, 37,93.  16 Tusc. disput., 1, 27, 66.    CICERONE 1515    6. Idee sull’anima — Analogamente egli non dubita dell'immortalità  dell’anima, giacché è la natura stessa che ha posto in noi questa con-  vinzione, tanto è vero che tutti si preoccupano di quello che sarà dopo  la morte.!8   Questo è per Cicerone il più valido argomento a favore dell’im-  mortalità, anche se non esita a riprendere, di rincalzo, le tradizionali  prove di estrazione platonica.! L'anima è ciò che ci congiunge a Dio  ed è quasi il punto di tangenza che l’uomo ha con Dio:    Niente di quello che sta sulla terra può spiegare l'origine dell’ani-  ma, perché in essa non c’è nulla che sia misto o composto, nulla che  si possa considerare derivato o formato dalla terra, nulla che abbia la  natura dell’acqua, dell’aria o del fuoco. In effetti, nella composizio-  ne di questi elementi, non rientra nulla che abbia la proprietà della  memoria, dell’intelligenza, del pensiero, che possa ritenere il passa-  to, prevedere il futuro, abbracciare il presente: questi sono attributi  esclusivamente divini e non si potrà mai trovare per loro altra prove-  nienza che non sia la divinità. L'anima, insomma, ha un’essenza e una  natura del tutto speciali, e ben distinte da quelle degli altri elementi  comuni e a noi noti. Pertanto, qualunque sia la natura di quell’entità  che sente, che conosce, che vive, che agisce, essa deve essere necessa-  riamente celeste e divina, e di conseguenza eterna. E la divinità stessa,  quale noi ce la rappresentiamo, non può essere concepita che come  uno spirito indipendente, libero, e privo di ogni elemento corruttibile:  uno spirito che tutto sente e tutto muove, ed è a sua volta dotato di  eterno movimento. Di questa specie e di questa medesima natura è  l’anima umana.?    Naturalmente, anche a proposito del problema della natura dell’a-  nima si notano le stesse incertezze e le stesse oscillazioni che abbiamo  notato a proposito del problema della natura di Dio. E la radice di  queste incertezze è la medesima: la natura dell’anima è filosoficamente  determinabile solo in funzione della categoria del soprasensibile; altri-  menti si cade inesorabilmente nel materialismo.   E, infatti, poco prima del passo letto, Cicerone scrive:    E certo, se la divinità è aria o fuoco, come lei è fatta l’anima  dell’uomo: quella sostanza celeste non ha in sé né terra né liquido, e    ! Cfr. Tusc. disput., I, 26, 65.  18 Tusc. disput., 1, 14,31.   19 Tusc. disput., I, 12, 50 ss.  20 Tusc. disput., I, 27, 66.    1516 LIBROVI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    questi due elementi sono egualmente assenti dall'anima umana. Se poi  esiste una quinta essenza, quella introdotta da Aristotele, essa rientra  sia nella divinità sia nell’anima.?!    Ma aria, fuoco e la stessa quinta essenza sono, appunto, sempre e  solo materia.    7. Pensiero morale — La parte della filosofia che di gran lunga più  interessa Cicerone — come abbiamo già rilevato — è l’etica. E non è  quindi senza ragione che le sue due opere più vive siano quelle Suz  doveri e Sul fine dei beni e dei mali.   Più che mai è vero per Cicerone che non la aristotelica pura attività  contemplativa, ma la attività pratica e sociale è regina. Ecco un passo  molto eloquente:    Ritengo siano più conformi alla natura quei doveri che promanano  dal sentimento sociale, che non quelli che promanano dalla sapienza,  e questo può essere affermato dal seguente argomento, che, se a un  uomo sapiente toccasse una condizione di vita tale che, affluendo a lui  le ricchezze più varie, egli potesse dedicarsi in piena tranquillità allo  studio e alla contemplazione di tutte quelle cose che sono degne di  essere conosciute, tuttavia, se la solitudine fosse così grande che non  potesse vedere nessun uomo, egli preferirebbe morire [...]. Infatti,  la conoscenza e la contemplazione (della natura) sarebbero in cer-  to modo manchevoli e imperfette, se non dovesse seguir loro alcuna  attività concreta; e questa attività si manifesta specialmente nell’assi-  curare l’utilità degli uomini; riguarda, dunque, la società del genere  umano; perciò questa deve essere anteposta alla scienza.”    Ma, anche in questo ambito specifico, si cercano invano delle no-  vità di fondo in Cicerone.   Egli discute le etiche dei sistemi epicureo, stoico, accademico e pe-  ripatetico; respinge in blocco la morale epicurea e procede a eclettici  accomodamenti fra le altre.   Da un lato, egli è portato ad ammirare soprattutto la morale stoica,  da un altro lato fa concessioni alla morale accademica e a quella peri-  patetica (che egli considera sostanzialmente identiche).    21 Tusc. disput., I, 26, 65.   2 De offictis, I, 43, 153 (nel passo omesso dopo i puntini Cicerone parla della  superiorità della sophia sulla phroresis, ma autocontraddicendosi in modo impres-  . ) p  sionante).    CICERONE 1517    Cicerone non può, infatti, accettare il principio stoico che solo il  sapiente è buono e tutti gli altri sono viziosi, perché — egli rileva — la  sapienza dello stoico sapiente è tale che «alcun mortale ancora non ha  raggiunto», e perciò egli propone di considerare ciò che è nella con-  suetudine e nella vita comune, non quello che è nelle pure aspirazioni  e nei puri desideri.”   Anche per lui il principio fondamentale della morale è seguzre la  nostra natura individuale nel rispetto della generale natura umana.   Questo richiamo alla natura dell’uomo, che è anima e corpo, per-  mette a Cicerone di temperare la morale stoica e rivendicare anche  i diritti del corpo, giacché è necessario vivere biologicamente, ossia  soddisfare alle esigenze del corpo, proprio per poter ulteriormente  soddisfare alle esigenze della ragione. E, così, per questo aspetto, egli  si schiera dalla parte dei Peripatetici, come già Panezio e Posidonio  avevano in parte fatto.   Ma poi torna agli Stoici nel riportare la virtù interamente alla ra-  gione, dissentendo dalla tipica concezione aristotelica della virtù etica  come via di mezzo fra opposte passioni.   E come gli Stoici, egli ritiene la virtù «autosufficiente» e bastevole  per la vita felice. E sembra allearsi con gli Stoici anche nel concepire il  saggio come privo di passioni e imperturbabile.   Infine, anche le rivendicazioni dell’umana libertà nell’opera Su/  Fato vanno ben poco oltre la pura affermazione di una libertà intui-  tivamente colta: i moti volontari dell’anima non hanno cause esterne  ma dipendono da noi, nel senso che ne è causa la natura stessa della  nostra anima.    8. Conclusioni sul pensiero ciceroniano — Quando Cicerone dai prin-  cìpi scende all’analisi dei «doveri intermedi» (quelli che gli Stoici chia-  mavano kathekonta), allora mette in evidenza tutta la sua intelligenza  e assennatezza pratica.   Ma qui siamo, ormai, non più nel campo della filosofia in senso  stretto, ma piuttosto in quello della fenomenologia morale.   D'altra parte è inevitabile che tutte le notazioni e i rilievi originali  che si ritrovano in Cicerone nell’ambito delle analisi morali non va-  dano oltre il piano fenomenologico e restino teoreticamente in certo  senso un poco informi.    ® De amicitia, 5,18.  24 Cfr. De officiîs, I, 31, 110.    1518. LIBROVI- SCETTICISMO, ECLETTISMO, NEOARISTOTELISMO E NEOSTOICISMO    Le ambigue risposte ai problemi ontologici e antropologici dell’E-  clettismo non gli permettono — proprio per ragioni strutturali — di  spingersi oltre.   Come giustamente ha scritto il Marchesi, «Cicerone non ha dato  nuove idee al mondo [...]. Il suo mondo interiore è povero per la ra-  gione che dà ricetto a tutte le voci».   Il suo contributo maggiore sta, dunque, nella fusione e divulgazio-  ne della cultura antica e, in questo ambito, egli è veramente una figura  essenziale nella storia spirituale dell'Occidente. «Anche qui — è ancora  il Marchesi che scrive — si manifesta la forza divulgatrice e animatrice  dell’ingegno latino: perché nessun Greco sarebbe stato capace di dif-  fondere, come ha fatto Cicerone, il pensiero greco per il mondo».    9. La figura di uomo dalle conoscenze enciclopediche di Varrone —  Uomo di vaste conoscenze filosofiche come Cicerone, fu anche Var-  rone Reatino. Egli fu propriamente un enciclopedico: già i suoi con-  temporanei lo giudicarono il più colto dei Romani.   Più che di una filosofia di Varrone si può parlare di implicanze  filosofiche della sua cultura generale.   Contrariamente a Cicerone, che come abbiamo visto segue Filone  di Larissa, egli si schiera dalla parte di Antioco, e gli resta in larga  misura fedele.   La sua concezione dell’anima come «pneuma» e del Divino come  «Anima del mondo» sono in perfetta sintonia appunto con l’Ecletti-  smo stoicizzante antiocheo.   E le sue idee morali non presentano novità di rilievo.   La dottrina filosofica per cui egli è più noto consiste nella distin-  zione delle tre forme di teologia (una distinzione che ha radici molto  antiche):    a) la «teologia favolosa o mitica» dei poeti;  b) la «teologia naturale» propria dei filosofi;    c) la «teologia civile», che si esprime nelle credenze e nei culti delle  Città.    5 C. Marchesi, Storia della filosofia latina, Milano 19718, I, p. 317. Per uno sta-  to della questione, una dettagliata analisi del pensiero filosofico di Cicerone e per  aggiornamenti bibliografici, si veda l’opera citata supra, p. 1481, nota 23, capitolo  VI, che contiene la trattazione del nostro autore a cura di G. Gawlick e W. Gòrler,  pp. 991-1168.   26 E nato a Rieti nel 116 a.C. ed è morto nel 27 a.C.    VARRONE 1519    È fuori dubbio che Varrone ritenesse la seconda forma di teologia  come la più vera.   Tuttavia, il Boyancé rileva quanto segue: «da tempo alcuni filosofi  si sforzavano di dare un posto alla teologia dei poeti e delle Città. Si  trattava della tradizione storica dei Greci e di Roma e Varrone aveva  un rispetto tutto romano di questa tradizione. L’erudito, in lui, rispet-  toso in particolare della storia delle parole, credeva di poter fonda-  re la verità dei filosofi. [...] Tutto ciò non avveniva in Varrone senza  esitazioni, dubbi e scacchi, di cui aveva consapevolezza. Ma egli era  sostenuto dal fervore delle sue convinzioni e dalla vastità delle sue  conoscenze»?    2? P. Boyancé, Les implications philosophiques des recherches de Varron sur la re-  ligion bumaine, in «Atti del Congresso Internazionale degli Studi Varroniani», Rieti  1976, I, p. 161. Cfr. Schedario, s.0    PARTE XX Giovanni Reale. Reale. Keywords: Crotone, Velia, Crotonensi, la scuola di Crotone, la scuola di Velia, I veliani, Parmenide, Girgentu – filosofia siciliana – magna Grecia non e Sicilia --. I confine della magna Grecia – filosofia italica, filosofia italiana – la filosofia nella peninsula italiana in eta anticha – filosofia Latina, filosofia romana. Catalogo di Nome di Filosofi Italici, il poema di Parmenide, il poema di Girgentu, il poema di Velia, la porta rossa di Velia, Zenone di Velia, Filolao di Taranto, Gorgia di Lentini, Archita di Taranto, studi degl’antichi italici da I romani, Etruria e Magna Grecia, le radice etrusche della filosofia romana, fisiologia, teoria dela natura, uomo, la moralia, la colloquenza o dialettica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Reale” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Reghini: la ragione conversazionale -- numero tri-angolare, numero qua-drato, numero pi-ramidale -- l’implicatura del numero sacro crotonese, e il simbolismo duo-decimale del fascio littorio etrusco -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Grice: “It’s difficult to call Reghini a philosopher; yes, he was interested in Pythagoras – but to what extent can, in spite of Russell, number GROUND a whole philosophy?” Studia a Pisa. Insegna a Roma. Promotore della setta di Crotone, è affiliato a vari gruppi dell'esoterismo italiano. Entra nella società teo-sofica e ne fonda la sezione romana. Fonda a Palermo la biblioteca di teo-sofia filo-sofica. È iniziato a Memphis di Palermo, rito massonico di supposta origine egizia. Entra a Firenze nella loggia Lucifero, dipendente dal Grande Oriente. Adere al martinismo papusiano, diretto da SACCHI, verso le carenze della cui maestranza e pubblicistica apporta una demolizione magistrale. È chiamato d’ARMENTANO, che lo avvia allo studio della scuola di Crotone. Entra nel supremo consiglio universale del rito filosofico italiano, dal quale però si dimise, non havendo infatti un'alta opinione dello stato della massoneria in Italia. Insignito del XXXIII massimo grado del rito scozzese antico e accettato, entra a far parte come membro effettivo del supremo consiglio, di cui è cancelliere e segretario.  Gl’anni della grande guerra vedeno discepoli e maestri della schola italica pitagorica partire volontari per il fronte. Non rimase inerte innanzi al sorgere dell’istanze interventiste. Partecipa attivamente alla manifestazione romana del maggio, culminata in Campidoglio, tesa ad ottenere la dichiarazione di guerra. Accolto nell'accademia militare di Torino come allievo ufficiale di Genio, parte volontario per il fronte, ottenendo sul campo il grado di capitano di Genio. Lui ed il suo maestro ARMENTANO creano a Roma l'associazione pitagorica, che riprende le fila di precedenti esperienze e si richiama operativamente al sodalizio pitagorico. Fonda e anima varie riviste, con interventi sagaci e ricchi di dottrina. Scrive sul papiniano “Leonardo”, dando vita ad “Atanór, Ignis, e UR, con COLAZZA,  EVOLA (si veda) come direttore, PARISE, ed ONOFRI. Contrasti d'idee e caratteriali prevalser nel rapporto di collaborazione fra lui ed EVOLA, provoca la scelta evoliana di allontanamento di questi, assieme a PARISE, dalla rivista “UR” -- rivista sórta a esprimere al pubblico della cultura l'intento dell'occulto Gruppo di Ur -- dove il maestro fiorentino pubblica con l'eteronimo di ‘Pietro Negri’. E se ne ha anche strascichi giudiziari. Infatti EVOLA tenta di farlo incriminare per affiliazione massonica -- affiliazione che costituiva reato dopo l'imposizione di scioglimento dell’associazioni segrete decretata dal regime fascista. Ma il potere giudiziario opta infine per un accordo tra i due onde evitare uno scandalo. Per via del condizionamento repressivo fascista volto all'emarginazione di tanti esponenti dell'esoterismo italiano – ARMENTANO parte per il Brasile --, ormai isolato si ritira dalle attività pubbliche e a Budrio si dedica all'insegnamento nel circolo quirico filopanti, alla meditazione in chiave pitagorica delle scienze matematiche. Ottenne riconoscimenti  dei lincei e dall'accademia per la sua opera sulla restituzione della geo-metria pitagorica. Il Crepuscolo dei Filosofi regalato dal suo autore, Papini all’amico Arturo al suo ingresso nella loggia fiorentina ‘Lucifero.” Nel fronte-spizio una dedica ad inchiostro, scolorito dal tempo, ‘Al fratello R. il suo PAPINI’ in R., pitagorico, su il manifesto  Rito filosofico italiano, Massa, “Pagine esoteriche” (Finestra, Trento). In questa qualità firma il decreto del suo scioglimento (riprodotto in Sessa, I sovrani grandi commendatori e storia del supremo consiglio d'Italia del rito scozzese antico ed accettato, Palazzo Giustiniani (Bastogi, Foggia), in seguito all'approvazione alla camera dei deputati del progetto di legge sulla disciplina delle associazioni, presentato da MUSSOLINI,  mirante allo scioglimento della massoneria. Iacovella, "Il barone e il pitagorico”, Vie della Tradizione, Cfr. la recensione fatta ne da Guénon. Altri saggi: ““Parola sacra e parola di passo dei gradi”; “Il mistero massonico” (Atanor, Roma); “Geo-metria pitagorica” (Basilisco, Genova); “Il numero sacro nella tradizione pitagorica”; “Il numero sacro e la geo-metria pitagorica”;  Il fascio littorio, ovvero il simbolismo duo-decimale”; “Il fascio etrusco” (Basilisco, Genova); “Il numero sacro nella tradizione crotonese” (Ignis, Roma); “Del numero”; Prologo Associazione culturale Ignis, Dell'equazione indeterminata di secondo grado con due incognite” (Archè/pizeta); “Della soluzione dell'equazione di tipo Pell x2-Dy2=B e del loro numero” (Archè/pizeta); “Il numero tri-angolare, il numero qua-drato, il numero pi-ramidale  a base tri-angolare, il numero pi-ramidale a base qua-drata” (Archè/pizeta); “Dizionario filologico” (Associazione culturale Ignis"), Cagliostro, ("Associazione culturale Ignis"), “Considerazioni sul rituale dell'apprendista libero muratore” (Phoenix, Genova); “Paganesimo, scuola di Crotone, Massoneria” (Mantinea, Furnari, Messina); “Per la restituzione della massoneria crotonese italica (Raffaelli, Rimini); “La tradizione crotonese massonica” (Melita, Genova);  “Trascendenza di spazio e tempo”, Mondo Occulto (Napoli, ASEQ). Cura “De occulta philosophia” di AGRIPPA (Fidi, Milano);  I Dioscuri, Genova; La Sapienza pagana e crotonese (La Cittadella.  I Libri del Graal. Geminello Alvi, R., il massone pitagorico che ama la guerra, Corriere della Sera; Paradisi, Il pitagorico che sogna l’impero, L’Indipendente, Luca, "Un intellettuale neo-pitagorico tra massoneria e fascismo" (Atanòr, Roma); Parise, "Nota su R.", in calce a “Considerazioni sul rituale dell'apprendista libero muratore” (Phoenix, Genova); Sestito, “Il figlio del sole” (Ancona, Associazione Culturale Ignis); Via romana agli Dei Amedeo Rocco ARMENTANO, Evola  Parise, Schiavone, a metà strada tra fascismo e massoneria, su archivio storico. Centro Giorgi Scuola Normale Superiore di Pisa, Breve biografia su mathematica. Boni, Omaggio su rito simbolico; Un pitagorico dei nostri tempi; Bizzi, La Tradizione occidentale. Grandi massoni. Illustre matematico e anti-fascista -- grande oriente. Pitagorico, su ilmanifesto.  Derivo l’espressione di «corrente tradizionalista romana» dal po¬   deroso (e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon. Tradizio¬  ne e civiltà, Napoli 1985, pp. 179-210, in cui, nel VI cap., intitolato ap¬  punto Il tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del  tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente  che col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singo¬  li casi, che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene  organizzata in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche co¬  muni, ideologicamente e politicamente parlando, ma ad una tendenza  che potè as sumere aspetti e sfaccettature diverse, come proprio i casi di  Reghini, Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici) sono a dimo¬  strare.    17          zioni (8) e che non mancherà di ulteriori sviluppi.   In questa sede sarà sufficiente fare rapido riferi¬  mento a quell’epoca gravida di grandi e decisive tra¬  sformazioni che fu il Rinascimento italiano. È so¬  prattutto nel corso del XV secolo che tradizioni oc¬  culte, sopravissute per secoli nel più grande segreto,  paiono ricevere nuova linfa e l’impulso ad una nuo¬  va manifestazione dal contatto con personalità del¬  l’Oriente europeo di altissima rilevanza intellettuale,  come quella di Giorgio Gemisto Pletone, il grande  rivitalizzatore della filosofia platonica negli ultimi  anni dell’Impero d’Oriente e fondatore di un cena¬  colo esoterico a Mistra, la medievale erede dell’anti¬  ca Sparta, all’interno del quale, oltre a conservare  testi dell’antichità pagana (come le opere dell’impe¬  ratore Giuliano, che vi venivano trascritte), si cele¬  bravano veri e propri riti e si elevavano inni in onore  degli dèi olimpici (9).   La figura e la funzione di Giorgio Gemisto Pleto¬  ne sono ancora troppo poco note in generale e, in  Italia, non ancora studiate (10). In genere, ci si limi-    (8) Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della tradizio¬  ne sacrale romana, parti I e II, in «Arthos», voi. V, numeri 21 e 25  (1980-82), pp. 1-13, 275-281; parte III, voi. VI, n. 29(1985), pp. 149-157;  vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della Vitto¬  ria, con un’introduzione di R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi. Edi¬  zioni del Basilisco, Genova 1987.   (9) Si tenga conto che nel sud del Peloponneso sono attestati, a livello  popolare, culti nei confronti degli dèi classici sino al IX secolo della no¬  stra era.   (10) In lingua italiana mancano ancora del tutto studi approfonditi.    18    ta a citare, a proposito di lui, la sua partecipazione  al Concilio di Firenze e l’istituzione dell’Accademia  Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella villa di Ca-  reggi (o «delle Cariti», o «Muse»), concepita da Co¬  simo il Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnificosu suggestione del Pletone. Ma gli effetti dovettero  essere ancora più interessanti e gravidi di conseguen¬  ze, se si considerino i legami, ad esempio, fra Gior¬  gio Gemisto Pletone e Sigismondo Pandolfo Mala-  testa. Signore di Rimini: colui che ne sottrarrà il ca¬  davere agli Ottomani (1464), i quali avevano occu¬  pato Mistra nel 1460, onde deporlo pietosamente in  un’arca marmorea del suo famoso «Tempio Malate¬  stiano». Lo stesso Malatesta dovette pure essere in  rapporto con la ben nota «Accademia Romana» di  Pomponio Leto (11), propugnatore, scrive il von Pa-  stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo    Ci si dovrà pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi  sul platonismo del Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II),  Sansoni, Firenze 1936; P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale  del Rinascimento, in «Vie della Tradizione», X, 39 (1980), pp. 139-147  (ci viene comunicato ora, che a cura dello stesso P. Fenili è in corso di  stampa un’antologia di brani di Pletone, dal titolo «Paganitas», lo  squarcio nelle tenebre, per Basala Editore di Roma). Di recente, ci è ca¬  pitato di leggere in un’insolita pubblicazione, una rivistina satirica di si¬  nistra, un reportage da Mistra singolarmente informato e documentato  su Gemisto Pletone e la sua scuola (cfr. P.LO SARDO, La repubblica  dei Magi. Da Sparta alla Firenze del '400, in «Frigidaire», 56-57, luglio-  agosto 1985, pp. 55-63).   (11) Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater sanctissi-  mus), 1 ’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta, il quale    19          dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori   «spregiava la religione cristiana ed usciva in vio¬  lenti discorsi contro i suoi seguaci... venerava il ge¬  nio della città di Roma. (...) Quale rappresentante  di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬  simo, si schierarono ben presto attorno a Pompo¬  nio un certo numero di giovani, spiriti liberi dalle  idee e dai costumi mezzo pagani. (...) Gli iniziati  consideravano la loro dotta società come un vero  collegio sacerdotale alla foggia antica, con alla te¬  sta un pontefice massimo, alla quale dignità fu  elevato Pomponio Leto» (12).   Si noti che sembra certa l’adesione alla cerchia del  Leto del principe Francesco Colonna, Signore di Pa-  lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto l’autore  della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬  sto molto citato, ma molto poco letto e soprattutto  compreso, dove, in ogni modo, una sapienza ermeti¬  ca si sposa all’esaltazione, non tanto filosofica.    fu notoriamente nemico dei papi e ammiratore del movimento pagano  di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon et le platonisme de Mistra, Paris 1956,  p. 344, nota. L’opera del Masai è a tutt’oggi la più completa esistente  sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto Pletone). Si noti che il Pla¬  tina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo, discepolo di Pletone, e che un  altro antico discepolo, il Cardinal Bessarione, si prodigò per la liberazio¬  ne da Castel Sant’Angelo dei membri dell’Accademia Romana nel 1468,  dopo che furono accusati dal papa Paolo II — non senza fondamento  — di «paganesimo». 11 Masai (op. cit., p. 343) si domanda se l’Accade¬  mia Romana «non fosse in qualche modo una filiale di quella di  Mistra».   (12) L. von PASTOR, Storia dei Papi, voi. II, Roma 1911, pp. 308-309.    20    quanto mistica, del mondo della paganità romano¬  italica, culminante nella visione di Venere Genitrice.   Se si rifletta al fatto che Francesco Colonna, rea¬  lizzatore fra il 1490 e il 1500 del nuovo imponente  palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio di  Fortuna Primigenia (ancora oggi ben identificabili  nelle strutture originali), vantava discendenza diret¬  ta dalla gens Julia e quindi da Venere (13), si potrà  allora intravedere come l’apporto vivificante della  corrente sapienziale reintrodotta in Italia da Gemi¬  sto Pletone si fosse incontrato col retaggio gentilizio  di una tradizione antichissima, gelosamente custodi¬  to nel silenzio dei secoli col tramite di alcune fami¬  glie nobiliari italiane, in ispecie laziali, generosa¬  mente fruttificando: nel senso di spingere ad un rin¬  novamento tradizionale non solo l’Italia, ma persi¬  no, ad un certo momento, lo stesso papato, se avven¬    ti 3) Risulterà forse sorprendente apprendere come i Colonna posse¬  dessero ancora fino ai nostri giorni (è documentato almeno sino al  1927) il «feudo» originale di Giulio Cesare, Boville (Frattocchie d’Alba-  no). Sempre fino al 1927 era visibile nel giardino Colonna al Quirinale  l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia (notizie ricavate da:  P. COLONNA, I Colonna, Roma 1927, pp. 5-6). Tolomeo 1 Colonna  ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e Julia stirpe  progenitus (cfr. P. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia Italiana»,  X, 1931). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia Poli¬  phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di France¬  sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980.  Si veda anche: OLIMPIA PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte del¬  l’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in considerazione  della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco Colonna, la conside¬  ra come un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce (/ Rosa¬  croce, Milano 1982, pp. 76 e sgg.).    21          ne che poco mancò che salisse al soglio pontificio  quel cardinale Giuseppe Bassarione che fu discepolo  diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui giudicato,  come scrisse in una lettera privata ai figli del mae¬  stro dopo la sua morte, «il più grande dei Greci do¬  po Platone» (14).    Ma altri tempi tristi dovevano giungere, tempi in  cui sarebbe stato più prudente tacere, come dimo¬  strò il bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori, av¬  volgenti nell’anno di Cristo 1600 il corpo, ma non  l’animo, di Giordano Bruno, rivivificatore generoso,  ma impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che  trovavano analoga eco — frutto di una linfa non  mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale — nella  poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese  Tommaso Campanella, lui pure oggetto di odiose  persecuzioni.   Bisognerà giungere sino all’unità d’Italia, parzial¬  mente realizzatasi nel 1870 con la fine della millena¬  ria usurpazione temporale dei papi, per trovare una  situazione mutata. A questo punto bisogna chiarire  una volta per tutte, con la maggiore evidenza, che  dal punto di vista del tradizionalismo romano l’uni¬  tà d’Italia — indipendentemente dai modi con cui    (14) Si dovrà ricordare che il Bessarione raccolse cum pietate nel suo  studio le opere e i manoscritti del maestro, in particolare alcuni fram¬  menti apertamente pagani delle Leggi, dotandone poi la Biblioteca  Marciana da lui fondata, a Venezia.    22    potè in effetti verificarsi (modi spesso arbitrari e  prevaricatori della dignità e delle sacrosante autono¬  mie di diverse popolazioni italiche) e dall’azione di  certe forze sospette (Carboneria, massoneria e sette  varie) che per i loro fini occulti poterono agevolarla  — era e rimane condizione imprescindibile e necessa¬  ria per ritornare alla realtà geopolitica dell’Italia au-  gustea (e dantesca): quindi per propiziare il rimani¬  festarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine  che ab origine a quella realtà geografica — consa¬  crata dalla volontà degli dèi indigeti — sono legate.   È un dato che si dovrà tenere ben presente, per  meglio intendere certi fatti che avremo modo di  esporre in seguito.    Intanto, negli ultimi anni del XIX secolo è nell’a¬  ria qualcosa di nuovo e antico insieme, che verrà av¬  vertito dalle anime più sensibili.   Fra queste, il grande poeta Giovanni Pascoli, con  un equilibrio ed una compostezza veramente classi¬  ci, valendosi di una sensibilità non inferiore a quella  con cui in quegli stessi anni conduceva l’esegesi di  certi lati occulti della dantesca Commedia, con il se¬  guente sonetto (e col corrispondente testo in esame¬  tri latini, da noi non riprodotto) celebrava in una  semplice aula scolastica la solennità del 21 aprile  1895:    23         «L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio,  leva il fumido muso ad una branca  d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca,  e n’echeggia il frondifero Palazio.   Una mano sull’asta, una sull’anca  del toro, l’arator guarda lo spazio:  sotto lui, verde acquitrinoso il Lazio;  là, sul monte, una lunga breccia bianca.   È Alba. Passa l’Albula tranquilla,   sì che ognun ode un picchio che percuote   nell’Argileto l’acero sonoro.   Sopra il Tarpeio un bosco al sole brilla,  come un incendio. Scende a larghe ruote  l’aquila nera in un polverio d’oro» (15).   Allo scadere del secolo, nel 1899, è un fatto nuovo  di ordine archeologico il punto di riferimento im¬  portante ed essenziale per il secolo che sta per aprir¬  si: la scoperta nel Foro da parte dell’archeologo Gia¬  como Boni (un nome che non dovremo scordare) del  cippo arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger (VI sec.  a.C.), in cui l’iscrizione in caratteri antichi del termi¬  ne RECHI ( = regi) attesta documentariamente l’ef¬  fettiva esistenza in Roma della monarchia e, con  quanto ne consegue, la sostanziale fondatezza della  tradizione annalistica romana, trasmessa nel corso  di innumerevoli generazioni, dai primi Annales Ma¬  ximi dei pontefici sino a Tito Livio e, al termine del-    (15) G. PASCOLI, Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento  latino, Zanichelli, Bologna 1925, p. 29. 11 lettore esperto potrà notare  come in pochi versi il poeta abbia saputo sapientemente concentrare  particolari nomi evocativi di determinate realtà primordiali dell’Urbe.    24    l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes sacerdotali  ed a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori  della sapienza delle origini, come poterono essere un  Macrobio ed un Marziano Capella nel V secolo.   È come se, fisicamente, una parte di tradizione ro¬  mana si esponesse improvvisamente alla luce del so¬  le a smentire l’incredulità e l’ipercriticismo della  scuola tedesca, che, in nome di un presunto realismo  scientifico, aveva respinto in blocco le più antiche  memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi se¬  guaci italiani, come quell’Ettore Pais che nella sua  Storia di Roma (ristampata innumerevoli volte fino  in piena epoca fascista) aveva negato ogni tradizione  da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli  in aria, senza alcuna base, né storica, né filologica.   Risulta che Giacomo Boni fu in corrispondenza  con un altro principe romano, pioniere degli studi  islamici e deputato al parlamento nei banchi della  sinistra: Leone Caetani duca di Sermoneta, principe  di Teano, marito di una principessa Colonna.   Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato l’au¬  tore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca sin  dal 1852, dove si sosteneva l’identità di Enea col  dantesco «messo del cielo» che apre le porte della  Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli iniziati di  Eieusi (16): quello stesso che nel 1870, già vecchio e  quasi cieco, fu il latore a Vittorio Emanuele II dei    (16) Cfr. M. CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina  Commedia di Dante Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello 1894.    25           risultati del plebiscito che sanciva l’unione di Roma  all’Italia.   Proprio Leone Caetani sarebbe stato l’autorevole  tramite attraverso cui si sarebbero manifestate al¬  l’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam  (operativa proprio negli anni della scoperta del La¬  pis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz (cioè Ciro  Formisano di Portici) — che la definì talvolta come  Schola Italica — determinate influenze derivanti  dall’antica tradizione romano-italica se, come scrive  l’esoterista Marco Daffi {alias il conte Libero Ric-  ciardelli) (17) è lui il misterioso «Ottaviano» (altro  riferimento alla gens Julia!) autore nel 1910, nella ri¬  vista «Commentarium» diretta dal Kremmerz, di un  articolo sul dio Pan e di una lettera di congedo dalla  redazione in cui egli riafferma in tali termini la pro¬    ti?) «Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona veramente auto¬  revole, autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di Kremmerz tanto  da potere essere ritenuto portavoce di sede superiore (...) Don Leone  Caetani, Duca di Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI, Giuliano  Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest, Genova  1981, pp. 62 e 84). Gli scritti firmati da «Ottaviano» in «.Commenta¬  rium» sono tre: La divinazionepantéa (n. 1 del 25 luglio 1910), Per Giu¬  seppe Francesco Borri (n. 3 del 25 agosto 1910), Gnosticismo e inizia¬  zione (n. 8-10 di novembre-dicembre 1910). In quest’ultimo scritto, con¬  sistente in una lettera di congedo come collaboratore della rivista, si ri¬  manda all’opera di un altro personaggio che, come «Ottaviano», doveva  riconnettersi allo stesso ambiente iniziatico gravitante alle spalle dell’or¬  ganismo kremmerziano: l’avvocato Giustiniano Lebano, autore di un  curioso libretto intitolato Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola ani¬  ma o anche col corpo? (Torre Annunziata 1899), in cui nuovamente si  accenna al «ramoscello dorato del segreto, ossia la voce mistica di con¬  venzione» (p. 66) che Enea presenta a Proscrpina.    26    pria fede pagana:    «... non sono che pagano e ammiratore del paga¬  nesimo e divido il mondo in volgo e sapienti (...)  volgo, che i miei antenati simboleggiavano nel ca¬  ne e lo pingevano alla catena sul vestibolo del Do-  mus familiae con la nota scritta: Cave canem; ca¬  ne perché latra, addenta e lacera» (18).   In quegli stessi anni (a partire dal 1905) era co¬  minciata l’attività pubblicistica ed iniziatica di Ar¬  turo Reghini (1878-1946). La sua importanza fra i  più autorevoli esponenti europei della Tradizione, e  del filone romano-italico in particolare, risiede cer¬  tamente non tanto nel tentativo, vano e fatalmente  destinato all’insuccesso, per quanto disinteressato,  di rivitalizzare la massoneria al suo interno (19),  quanto nell’attenzione da lui portata allo studio ed    (18) OTTAVIANO, Gnosticismo e iniziazione, cit., p. 210.   (19) Tentativo che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito  Filosofico Italiano, fondato nel 1909 dal Reghini, Edoardo Frosini ed  altri (il 20 ottobre 1911 vi sarà accolto come membro onorario Aleister  Crowley...), ma dall’esistenza effimera, dal momento che sin dal 1919 si  fuse con la massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza  del Gesù. 11 Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di  Raoul Palermi, molto favorevole nei confronti del fascismo, sino ai  provvedimenti contro le società segrete del 1925. Giovanni Papini ha de¬  dicato alcune pagine nel contempo pungenti e commosse ad Arturo Re¬  ghini di cui fu amico negli anni giovanili, cosi concludendo: «Arturo  Reghini visse, povero e solitario, una vita di pensiero e di sogno: anch’e¬  gli difese e incarnò, a suo modo, il “primato dello spirituale’’. Nessuno  di quelli che lo conobbero potrà dimenticarlo» (Passato remoto (1885-  1914), ed. L’Arco, Firenze 1948, p. 129).    27         alla riscoperta della tradizione classica e romana,  che gli era stato dato in compito di rivitalizzare «in  segreto», così come egli stesso si esprime in una let¬  tera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nel nu¬  mero di aprile 1914 di «Ultra»:   «sai bene come il nostro lavoro, puramente meta¬  fisico e quindi naturalmente esoterico, sia rimasto  sempre e volontariamente segreto» (20).   In tal modo il Reghini ben si inseriva nel filone  della corrente tradizionalista romana, in quella sua  variante che si può legittimamente definire «orfico-  pitagorica» (21), col contributo di numerosi scritti,  soprattutto sulla numerologia pitagorica, sparsi fra  molti articoli e opere impegnative, come Per la resti¬  tuzione della geometria pitagorica (1935; rist. 1978),  I numeri sacri della tradizione pitagorica massonica  (postumo 1947; rist. 1978), Aritmosofia (postumo    (20) A. REGHINI, La «tradizione italica», in «Ultra», Vili, 2 (aprile  1914), p. 69.   (21) Allo stesso modo, di tradizione ermetica «egizio-ellenistica» si  potrebbe parlare per il filone essenzialmente seguito dalla corrente  kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste correnti possa preten¬  dere di identificarsi con il filone centrale deWa tradizione romana (come  vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei nostri giorni),  rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed espressioni validis¬  sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della tradizione romana  è altra cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo stesso ne è al di sopra  nella sua essenza originaria. Per cercare di comprendere la cosa, si dovrà  riflettere sul simbolismo e sulla funzione del dio Giano, non per caso  divinità unica e propria della sacra terra laziale.    28    1980) ed il tuttora inedito Dei numeri pitagorici (22).   Con questa attività egli avrebbe perseguito la mis¬  sione affidatagli da un’antica scuola iniziatica di tra¬  dizione pitagorica della Magna Grecia (23) allorché,  ancora giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da  colui che sarebbe divenuto il suo maestro spirituale:  Amedeo Rocco Armentano (24), calabrese, ufficiale  dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe il Reghini.   Ad Amedeo Armentano (1886-1966) apparteneva    (22) Di recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa del  Reghini (1986), è stata edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesi¬  mo, pitagorismo, massoneria, ed. Mantinea, Fumari 1986, a cura del¬  l’Associazione Pitagorica, un gruppo costituitosi solo nel giugno 1984  con un poco iniziatico «atto notarile» (sic), ma che vanta diretta discen¬  denza dal gruppo del Reghini. La raccolta è stata purtroppo eseguita  con dilettantismo, senza criteri ed inquadramenti storico-filologici e gli  scritti reghiniani (uno addirittura incompleto) non seguono nè un ordi¬  ne logico, nè cronologico. Il saggio suW Interdizione pitagorica delle fa¬  ve si potrà leggere ora completo in «Arthos» n. 30 (1986, ma stampato  1987).   (23) DIOGENE LAERZIO (Vili, 56) ricorda come il pensiero di Pi¬  tagora avesse trovato accoglienza presso gli Italioti della Magna Grecia:  «Come dice Alcidamante tutti onorano i sapienti. Così i Pari onorano  Archiloco, che pur era blasfemo, e i Chii Omero, che era d’altra città (...)  e gli Italioti Pitagora» (Die fragmente der Vorsokratiker, a cura di H.  Diels-W. Kranz; trad. ital. Bari 1981, v. I).   (24) Per alcune notizie su Armentano (ed una sua foto), cfr. R. SE-  STITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino interno dell’Associazio¬  ne Pitagorica, 111, 1-4 (1986), pp. 1-3. Di Armentano si vedano le Massi¬  me di scienza iniziatica, commentate dal Reghini in vari numeri di  «Atanòr» ed «Ignis» (1924-25). Negli anni Trenta Armentano lasciò l’I¬  talia per il Brasile, dove morì. È sintomatico come anche «Ottaviano»  in quel periodo si sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a Vancou¬  ver in Canada.    29         quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve¬  detta diroccata, su di uno scoglio deserto» (25) dove,  con gran dispiacere di Sibilla Aleramo, il giovane  protagonista del romanzo Amo, dunque sono (Mon¬  dadori, Milano 1927), «Luciano» {alias Giulio Pari¬  se), avrebbe dovuto «diventare mago» in compagnia  di un amico non nominato, vale a dire proprio il  Reghini.   Fu proprio nella torre di Scalea, in Calabria, che  il Reghini rivide nell’estate 1926 il testo della tradu¬  zione italiana deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa,  a cui premise un ampio saggio di quasi duecento pa¬  gine su E.C. Agrippa e la sua magia. Vi scriveva, fra  l’altro:    «E perciò, in noi, il senso della romanità si fonde  con quello aristocratico e iniziatico nel renderci  fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze e  deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui sarà  possibile di rimettere un po’ a posto le cose, e noi  speriamo che ci venga consentito, una qualche vol¬  ta, di riportare alla luce qualche segno dell’esoteri¬  smo romano. Quanto alla permanenza di una  “tradizione romana”, si vorrà ammettere che se  una tradizione iniziatica romana pagana ha potu¬  to perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più as¬  soluto mistero. Non è quindi il caso di interloquire  con affermazioni e negazioni» (26).    (25) S. ALERAMO, Amo, dunque sono, cit., p. 15. Cfr. p. 50: «Lu¬  ciano, Luciano, e tu vuoi essere mago! M’hai detto d’aver già operato  fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma realmente accadute».   (26) A. REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C. AGRIPPA,    30    Il 1914 è un anno molto importante, sotto diversi  aspetti, per i tentativi di rivivificazione della tradi¬  zione italica. Nel numero di gennaio-febbraio 1914  di «Salamandra», in un articolo dal titolo fortuna¬  to, poi ripreso da Evola, Imperialismo pagano, il Re¬  ghini coglieva occasione, scagliandosi contro il par¬  lamentarismo ed il suffragio universale che favoriva  cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e l’immu¬  tabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre  ricollegata nella sua visione al pitagorismo, si sareb¬  be trasmessa attraverso le figure di alcuni grandi ini¬  ziati sino ai nostri giorni (27). In ottobre, dalle pagi¬  ne di «Ultra», precisava nello stesso tempo, in un  importante articolo dottrinario, che:   «Il linguaggio e la razza non sono le cause della  superiorità metafisica, essa appare connaturata al  luogo, al suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput  mundi, la città eterna, si manifesta anche storica¬  mente come una di queste regioni magnetiche del¬  la terra. (...) Se noi parleremo del mito aureo e so¬  lare in Egitto, Caldea e Grecia prima di occuparci  della sapienza romana, non è perché questa derivi  da quella, ché il meno non può dare il più» (28).    Lm Filosofia occulta o la Magia, voi. I, rist. Mediterranee, Roma 1972,  pp. XCIII-XClV, nota.   (27) L’articolo fu poi ripubblicato in «Atanòr», I, 3 (marzo 1924),  pp. 69-85 (oggi nella ristampa anastatica a cura dell’omonima casa edi¬  trice di Roma).   (28) A. REGHINI, Del simbolismo e della filologia in rapporto alla  sapienza metafisica, in «Ultra», Vili, 5 (ottobre 1914), p. 506.    31          Intanto, nella notte del solstizio d’inverno del  1913, si era verificato un insolito episodio, gravido  di future conseguenze: in seguito a misteriose indi¬  cazioni, nei pressi di un antico sepolcro sull’Appia  Antica era stato rinvenuto, a cura di «Ekatlos» (29),  accuratamente celato e protetto da un involucro im¬  permeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i  segni di un rituale.   «Ed il rito — riporta «Ekatlos» (30) — fu celebra¬  to per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi  sentimmo, meravigliati, accorrervi forze di guerra  e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella sua lu¬  ce le figure vetuste ed auguste degli “Eroi” della  razza nostra romana; e un “segno che non può fal¬  lire” fu sigillo per il ponte di salda pietra che uo¬  mini sconosciuti costruivano per essi nel silenzio  profondo della notte, giorno per giorno».   «Il significato, le vere intenzioni e le origini di tali    (29) Lasciamo ogni responsabilità circa l’identificazione di «Eka¬  tlos» con il principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo  autore (si tratta, peraltro, certamente di C. Mutti, fanatico integralista  islamico) di una postilla alla parziale traduzione francese della rivista  evoliana «Krur» (TRANSILVANUS 1984, A propos de l’article d’Eka-  tlos, seguito da una Note sur Leone Caetani, in: J. EVOLA, Tous les  écrits de «Ur» & «Krur», 111 [Krur 1929], Arché, Milano 1985, pp. 475-  486). Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi note (in cui ancora una  volta si dimostra come tra fanatismo religioso e via iniziatica esista un  divario invalicabile) la pesante responsabilità delle poco ragguardevoli  espressioni usate nei confronti del benemerito principe romano.   (30) EKATLOS, La «Grande Orma»: la scena e le quinte, in «Krur»,  I, 12 (dicembre 1929), pp. 353-355, oggi in: GRUPPO di UR, Introdu¬  zione alla Magia, voi. Ili, Roma 1971, pp. 380-383.    32    riti pongono un problema», osserva il Di Vona (31),  «ma il loro fine immediato fu esplicito, e come tale  è stato dichiarato. (...) Esso fu compiuto nel dovuto  modo da un gruppo che si propose di dirigere verso  la vittoria italiana la I Guerra Mondiale».   Ma l’episodio ha un seguito: il 23 marzo 1919  (giorno in cui cade la festa romana del Tubilustrium,  o consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato  a Milano, nella famosa riunione di Piazza Sansepol-  cro, il primo Fascio di Combattimento (dal 1921 de¬  nominato Partito Nazionale Fascista). Fra gli astanti  vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva  riesumato l’antico rituale, preannuncio a Benito  Mussolini: «Voisarete Console d’Italia». E fu la stes¬  sa persona che, qualche mese dopo la Marcia su Ro¬  ma, il 23 maggio 1923, vestita di rosso, offrì al Capo  del Governo un’arcaica ascia etrusca, con «le dodici  verghe di betulla secondo la prescrizione rituale le¬  gate con strisce di cuoio rosso» (32).   Con tale atto dal sapore sacrale, come è evidente.    (31) P. DI VONA, Evola e Guénon, cit., p. 202.   (32) EKATLOS, art. cit., p. 382, nota. La notizia è riportata con altri  particolari nel «Piccolo» di Roma del 23-24 maggio 1923, p. 2 [cfr. Ap¬  pendice 1]. Particolare curioso: la sera stessa del 23 maggio Mussolini  parti in aereo alla volta di Udine, onde potere inaugurare il giorno dopo,  24 maggio, anniversario dell ’entrata in guerra, il monumentale cimitero  di Redipuglia, alla presenza del Duca d’Aosta. La sera del 24, sulla via  del ritorno verso Roma, l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto,  ad un atterraggio di fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca  Cere, donde forse proveniva l’arcaico fascio.    33             le correnti più occulte portatrici della tradizione ro¬  mana avrebbero voluto propiziare una restaurazione  in senso «pagano» del fascismo.   Altri episodi concomitanti concorrono a rafforza¬  re questa supposizione. Dopo essere stata composta  proprio nel 1914, fra il 21 aprile ed il 6 maggio 1923  (altre significative coincidenze di date), fu rappre¬  sentata sul Palatino la tragedia Rumori: Romae sa-  crae origines (il solo terzo atto), col beneplacito e la  presenza plaudente di Benito Mussolini. La tragedia  (o, meglio, alla latina, il Carmen solutum) risulta  opera di un certo «Ignis» (pseudonimo sotto cui si  celerebbe l’avvocato Ruggero Musmeci Ferrari Bra¬  vo), che risulta godere di appoggi assai influenti, co¬  me quello di Ardengo Soffici [cfr. Appendice 11], e  appare, specialmente in quel terzo carmen che fu re¬  citato, più che una semplice rappresentazione sceni¬  ca, un vero e proprio atto rituale: un rito di consa¬  crazione, certamente denotante nell’autore, o nei  gruppi restati nell’ombra di cui egli era emanazione,  una conoscenza non solo filologica della tradizione  romana (si pensi che in intermezzi scenici vengono  cantati, al suono di flauti, i versi ianuli e iunonii dei  Fratres Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti,  come lascia intendere il rito di incisione su lamine  auree dei nomi arcani deU’Urbe e l’esegesi, voluta-  mente incompleta, dei significati del nome di Roma.   Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fa¬  sciste affinché i simboli da esse evocate, come l’aqui¬  la o il fascio, non restassero puro orpello di facciata,  continuerà sino al 1929, che è anche l’anno in cui    34    Rumon verrà pubblicata, in splendida edizione uffi¬  ciale, dalla Libreria del Littorio, con i frontespizi or¬  nati di caratteri arcaici romani, disegnati apposita¬  mente nel 1923 da Giacomo Boni, lo scopritore del  Lapis Niger già da noi incontrato, il quale avrà il pri¬  vilegio poco dopo, alla sua morte (1925), di essere  inumato sul Palatino stesso (33).   Ancora noteremo come sintomatica l’uscita, nello  stesso 1923, della Apologia del paganesimo (Formig-  gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro collaboratore  delle iniziative pubblicistiche di Evola [cfr. Appendi¬  ce III].   Fra il 1924 e il 1925 uscirono le due riviste «di stu¬  di iniziatici» «Atanòr» ed «Ignis», dirette da Arturo  Reghini, e in cui iniziò una collaborazione il giovane  Evola: affronteranno con un rigore ed una serietà  inconsuete, per l’eterogeneo ambiente spiritualista  dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di parti¬  colare interesse: vi comparvero, per la prima volta in  Italia, scritti di René Guénon, fra cui a puntate, pri¬  ma ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È  peraltro evidente come il contenuto di queste riviste  non avesse un valore puramente speculativo, come  dimostrano gli scritti di «Luce» suirO/7M5 magicum  (Gli specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri di    (33) Fu proprio Giacomo Boni che, risalendo ai modelli d’origine, mi¬  se a punto il prototipo del fascio romano (oggi al Museo dell’Impero)  per il Regime Fascista: è quello che compare sulle monete da due lire di  quel periodo (cfr. V. BRACCO, L’archeologia del Regime, Volpe, Roma  1983).    35           «Ignis», che preludono a quelli del successivo Grup¬  po di Ur. Ma intanto l’auspicata svolta in senso pa¬  gano da parte del fascismo sperata dalla corrente  tradizionalista romana non solo stenta a verificarsi,  anzi è messa pericolosamente in forse dalle mene de¬  gli ambienti cattolici e clericali. Nel n. 5 del maggio  1924 di «Atanòr» Reghini con parole di fuoco de¬  preca alcune espressioni pronunciate da Mussolini  in occasione del Natale di Roma:   «Il colle del Campidoglio, egli ha detto, "‘dopo il  Golgota, è certamente da secoli il più sacro alle  genti civiir. In questo modo l’On. Mussolini, in¬  vece di esaltare la romanità, perviene piuttosto ad  irriderla ed a vilipenderla. (...) Noi ci rifiutiamo di  subordinare ad una collinetta asiatica il sacro colle  del Campidoglio».   E nel n. 7 di luglio, dopo il delitto Matteotti:   «... ecco un clamoroso delitto politico viene a  sconvolgere la vita della nazione, ad agitare gli ani¬  mi. (...) Investito da popolari e da ogni gradazione  di democratici, a Mussolini non resterebbe che  battere la via dell’imperialismo ghibellino, se non  esistesse un partito che già lo sta esautorando...  tengano ben presente i nostri nemici che, nono¬  stante la loro enorme potenza e tutte le loro pro¬  dezze, esiste ancor oggi, come è esistita in passato,  traendo le sue radici da quelle profondità interiori  che il ferro e il fuoco non tangono, la stessa catena  iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e seco¬  larmente perseguitata».   L’ordine del giorno Bodrero e le successive leggi    36    sulle società segrete tolgono ulteriore spazio all’atti¬  vità pubblicistica del Reghini, che peraltro conflui¬  sce, fra il 1927 e il 1928, nel «Gruppo di Ur», for¬  malmente diretto da Julius Evola.   A noi qui non interessa tanto esaminare il lavoro  di ricerca esoterico svolto dal Gruppo di Ur, cui par¬  teciparono, come è noto, personalità appartenenti  alle principali correnti esoteriche operanti in quegli  anni in Italia, dai pitagorici ai kremmerziani, dagli  steineriani (antroposofi) ai cattolici eterodossi come  il De Giorgio, quanto sottolineare come in quella se¬  de dovesse essere stato, almeno in parte, ripreso il  programma di influenzare per via sottile le gerarchie  del fascismo, nel senso già voluto dal gruppo mani¬  festatosi nel 1913 con la testimonianza di «Ekatlos»  (che, non lo si dimentichi, viene riportata proprio  nel terzo dei volumi che raccolgono le testimonianze  di tutto il gruppo — in apparenza slegata da esse —  successivamente apparse col titolo di Introduzione  alla Magia). In un inserto per i lettori comparso nel  n. 11-12 di «Ur» (1927), Evola poteva scrivere: «...  possiamo dire che una Grande Forza, oggi più che  mai, cerca un punto di sbocco in seno a quella bar¬  barie, che è la cosidetta “civilizzazione” contempo¬  ranea — e chi ci sostiene, collabora di fatto ad una  opera che trascende di certo ciascuna delle nostre  stesse persone particolari».   Del resto, molti anni più tardi, Evola stesso di¬  chiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobio¬  grafia spirituale che l’intento del Gruppo era stato  quello, oltre a «destare una forza superiore dr servi-    37           re d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di far  sì che «su quella specie di corpo psichico che si vole¬  va creare, potesse innestarsi per evocazione, una vera  influenza dall’alto», sì che «non sarebbe stata esclu¬  sa la possibilità di esercitare, dietro le quinte, un’a¬  zione perfino sulle forze predominanti nell’ambien¬  te generale» (34). Un’indagine ben più approfondi¬  ta, come si vede, meriterebbe di essere svolta sugli  evidenti tentativi di rivitalizzazione, all’interno del  Grupo di Ur (35), delle radici esoteriche e dei conte¬  nuti iniziatici della tradizione romana: a parte i con¬  tributi dello stesso Evola (che firmerà come «EA» e,  pare, anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di cui  ricordiamo l’importante saggio (nel HI volume) Sul  «sacro» nella tradizione romana, ancora una volta  fondamentale resta l’apporto del Reghini (che firma  come «PIETRO NEGRI»): egli, nella relazione Sul¬  la tradizione occidentale, sulla scorta di un’attenta  esegesi delle fonti antiche (soprattutto Macrobio) e  di personali acute intuizioni, nonché di probabili  «trasmissioni» iniziatiche, non esiterà ad indicare  nel mito di Saturno il «luogo» ove è racchiuso il sen¬  so e il massimo mistero iniziatico della tradizione    (34) J. EVOLA, Il cammino del cinabro, Milano 1972 (li ed.), p. 88.   (35) Un esame generale, storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è sta¬  to da me compiuto in lingua tedesca, come studio introduttivo alla ver¬  sione tedesca del I volume di Introduzione alla Magia (Ansata Verlag,  Interlaken 1985). Si tratta del notevole ampliamento, riveduto e corret¬  to, di un mio precedente studio già apparso in «Arthos» n. 4-5  (1973-74).    38    romana, un’indicazione utilizzata e sviluppata ulte¬  riormente nel nostro recente Dèi e miti italici.   Intanto, nella seconda metà del 1927, una serie di  articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e  chiesa cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Cri¬  tica fascista» di Bottai e in «Vita Nova» di Leandro  Arpinati, e la successiva comparsa, nella primavera  del 1928, di Imperialismo pagano, che quegli articoli  raccoglieva e sviluppava, riversarono proprio sul  Gruppo di Ur pesanti attacchi clericali, fra cui è in¬  teressante segnalare quello particolarmente violento  e ambiguo, del futuro papa Paolo VI, Giovanni Bat¬  tista Montini, allora assistente centrale ecclesiasti¬  co della Federazione Universitari Cattolici Italiani  (F.U.C.I.), che aveva come organo culturale la rivista  «Studium» (redazione a Roma e a Brescia). Dalle  pagine di «Studium» il Montini accusava «i maghi»  riuniti attorno a Evola di «abuso di pensiero e di pa¬  rola (...) di aberrazioni retoriche, di rievocazioni fa¬  natiche e di superstiziose magie» (36).    (36) G.B.M., Filosofia: una nuova rivista, in «Studium», XXIV, 6  (giugno 1928), pp. 323-324. Oltre che del futuro Paolo VI (certamente  il più nefasto fra i papi di questo secolo), apparvero in «Studium» anche  gli attacchi del futuro ministro democristiano del dopoguerra Guido  Gonella {Un difensore del paganesimo, ivi, gennaio 1928, pp. 28-31; //  nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, ivi, aprile 1928, pp. 203-  208), cui Evola replicò — dopo averlo definito «un tale il cui nome  esprime felicemente che vesti gli si confacciano più che non quelle della  romana virilità» — nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo paga¬  no. Contro Imperialismo pagano (le nostre citazioni sono tratte dalla  ristampa del 1978, presso Ar di Padova) si scomodò tutto Ventourage  del giornalismo clericale, da «L’Osservatore Romano» a «L’Avvenire»,    39            Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso, inequivo¬  cabile e tragico appello da parte di esponenti della  «corrente tradizionalista romana», prima del triste  compromesso del Concordato, affinché il fascismo,  come si esprimeva Evola, «cominciasse ad assumere  la romanità integralmente e a permearne tutta la co¬  scienza nazionale», così che il terreno fosse «pronto  per comprendere e realizzare ciò che, nella gerarchia  delle classi e degli esseri, sta più su: per comprendere  e realizzare il lato sacro, spirituale, iniziatico della  Tradizione» (p. 162). A questo scopo Evola non ri¬  sparmiava taglienti critiche alle gerarchie del  Regime:    «Il fascismo è sorto dal basso, da esigenze confuse  e da forze brute scatenate dalla guerra europea. Il  fascismo si è alimentato di compromessi, si è ali¬  mentato di retorica, si è alimentato di piccole am¬  bizioni di piccole persone. L’organismo statale che  ha costituito è spesso incerto, maldestro, violento,  non libero, non scevro da equivoci» (p. 13).    Di più: Evola, nel 1928, prevedeva addirittura gli    al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la pubblicistica fascista fautrice  dell’intesa col Vaticano, da «Educazione fascista» a «Bibliografia fasci¬  sta», sino alla stessa bottaiana «Critica fascista» che aveva ospitato i  primi articoli evoliani.    40    esiti e gli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale:    «L’Inghilterra e l’America, focolari temibili dei  pericolo europeo, dovrebbero essere le prime ad  essere stroncate, ma non occorre di certo spendere  troppe parole per mostrare che esito avrebbe una  simiie avventura sulla base dell’attuale stato di fat¬  to. Data la meccanizzazione della guerra moder¬  na, le sue possibilità si compenetrano strettamente  con la potenza industriale ed economica delle  grandi nazioni...» (pp. 88-89).   Era dunque necessario che il fascismo, che «bene  o male ha messo su un corpo. Ma... non ha ancora  un'anima» (p. 13), si rivolgesse senza esitazioni a  quella della Roma precristiana prima che fosse trop¬  po tardi, sì da «eleggere l'Aquila e il fascio e non le  due chiavi e la mitria a simbolo della sua rivolu¬  zione» (p. 138).   «Nostro Dio può essere quello aristocratico dei  Romani, il Dio dei patrizi, che si prega in piedi e  a fronte alta, e che si porta alla testa delle legioni  vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli  afflitti che si implora ai piedi del crocifisso, nella  disfatta di tutto il proprio animo» (p. 163).   L’il febbraio 1929 il governo di Mussolini firma¬  va a nome del Re d’Italia, dal 1870 considerato dai  papi un «usurpatore», il cosiddetto Coneordato con  la Chiesa Cattolica (37) e nasceva il monstrum giuri-    (37) Che il cosiddetto Concordato abbia sortito un effetto a dir poco  nefasto sulle sorti, non solo dello stesso fascismo (come le vicende stori-    41          dico della Citta del Vaticano (38). Veniva con ciò  tolta ogni speranza residua di azione all’interno de¬  gli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che di Re-  ghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più  in ombra, del «tradizionalismo romano»: alcuni di  loro, come già si è accennato in nota, abbandonaro¬  no per sempre l’Italia per il Nuovo Continente nel  corso degli anni Trenta.    Restava il «programma minimo» indicato ancora  da Evola in Imperialismo pagano, secondo cui il fa¬  scismo avrebbe dovuto:   «promuovere studi di critica e di storia, non parti-  giana, ma fredda, chirurgica, sull’essenza del cri¬  stianesimo (...). Contemporaneamente dovrebbe  promuovere studi, ricerche, divulgazioni sopra il  lato spirituale della paganità, sopra la sua visione  vera della vita» (p. 125).    che successive ben presto dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini  e di Evola), ma della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo an¬  cora oggi sulla nostra pelle, dopo che un quarantennale dominio  clericale-borghese ha provveduto, quasi in ogni campo, ad addormenta¬  re la coscienza delle «masse» ed a stroncare, con un autentico «terrori¬  smo di Stato», qualsiasi velleità di reazione delle minoranze coscienti  della necessità di mutare uno stato di cose ormai incancrenito.   (38) «Mussolini non si era reso conto che prima di lui uomini non so¬  lo autoritari, ma dal potere assoluto — gli Ottoni, gli Svevi, perfino  Carlo V ecc. — si erano dovuti pentire di ogni intesa, patto e transazio¬  ne con la Santa Sede. (...) ogni intesa tra Santa Sede e Stato italiano  avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico della validità    42    Chi avesse pensato che la «Scuola di Mistica Fa¬  scista», fondata significativamente poco dopo la  «Conciliazione», nell’aprile 1930 nell’ambito del  G.U.F. di Milano per opera di Nicolò Giani, avrebbe  svolto una funzione del genere, avrebbe dovuto ben  presto ricredersi amaramente. In realtà, il sentimen¬  to religioso dichiarato di quella che avrebbe voluto  costituire Vélite politico-intellettuale del fascismo si  configurava con precisione come cattolico. Lo di¬  chiara, in una maniera che non potrebbe essere più  esplicita, lo stesso fratello del «Duce», Arnaldo  Mussolini, in un discorso tenuto alla Scuola nel  1931:    «La nostra esistenza deve essere inquadrata in una  marcia solida che sente la collaborazione della  gente generosa e audace, che obbedisce al coman¬  do e tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni cosa  nostra, vicina o lontana, piccola o grande, contin¬  gente od eterna, nasce e finisce in Dio. E non parlo  qui del Dio generico che si chiama talvolta per  sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio  nostro Signore, creatore del cielo e della terra, e  del suo Figliolo che un giorno premierà nei regni  ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà, spe¬  riamo, i molti difetti legati alle vicende della no¬  stra esistenza terrena» (39).    dei principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni del¬  lo Stato italiano» (N. SERVENTI, Dal potere temporale alla repubblica  conciliare. Volpe, Roma 1974, p. 42).   (39) Cfr. «11 Popolo d’Italia» del 1° dicembre 1931. Sulla «Scuola di  Mistica Fascista», si veda: D. MARCHESINI, La scuola dei gerarchi,  Feltrinelli, Milano 1976.    43            E il filosofo Armando Carlini, discutendo della  nuova mistica, ravvisava la nota più originale del fa¬  scismo proprio nel suo presupposto «religioso, anzi  cristiano, anzi cattolico» (40); perché «il Dio di  Mussolini vuol essere quello definito dai due dogmi  fondamentali della nostra religione (...): il dogma  trinitario e quello cristologico» (41).   Quel programma che abbiamo detto «minimo»  cercherà Evola più tardi in parte di compiere con  l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni collabo¬  ratori attorno al «Diorama filosofico», la pagina  speciale che, con uscita irregolare e alterna, quindi¬  cinale e mensile, curò per dieci anni, dal 1934 al  1943, all’interno del quotidiano cremonese di Fari¬  nacci, «11 Regime Fascista». La tematica della tradi¬  zione romana, esaminata nei suo simboli, nei suoi  miti, nella sua forza spirituale, ritorna qui frequen¬  temente negli scritti dello stesso Evola, di Giovanni  Costa (già da noi incontrato), di Massimo Scaligero  e di diversi collaboratori stranieri, come Edmund  Dodsworth (appartenente alla famiglia reale britan¬  nica) e lo storico tedesco Franz Altheim. Analoghe  collaborazioni sono fornite dall’allora giovane An¬  gelo Brelich, in quell’epoca sconosciuto, ma destina¬  to nel dopoguerra a ricoprire degnamente l’impor-    (40) A. CARLINI, Mistica fascista, in «Archivio di studi corporati¬  vi», voi. XI (1940), p. 299.   (41) ID., Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del fascismo, Roma  1942, p. 56.    44    tante cattedra, che fu del Pettazzoni, di Storia delle  Religioni nell’Università di Roma, e da Guido De  Giorgio, già collaboratore di «Ur» e di altre iniziati¬  ve evoliane. Nel contesto della corrente da noi defi¬  nita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio oc¬  cupa una posizione piuttosto anomala e tale che il  Reghini avrebbe visto con sospetto: egli infatti con¬  cepisce in Roma la sede eterna, geografica e storica,  ma soprattutto metafisica, in grado di unire in sé  stessa la religione pagana e il cristianesimo, tesi ela¬  borata soprattutto ne La tradizione romana, uscita  postuma solo nel 1973 (42). D’altra parte, è lo stesso  De Giorgio a ribadire con sorprendente sicurezza la  persistenza del culto di Vesta in un misterioso cen¬  tro, nascosto e inaccessibile:   «Il fuoco di Vesta (...) arde inaccessibilmente nel  Tempio nascosto ove nessuno sguardo profano sa-    (42) L’uscita alle stampe di questa edizione (presentata come Ed. Fla-  men, Milano 1973) offre contorni alquanto misteriosi. In ogni caso, il  manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della nota  introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori  del «Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei fascicoli  omonimi [si veda poi]), da un antico componente del Gruppo di Ur, che  noi sappiamo corrispondere al «TAURULUS» del 1929, cioè Corallo  Reginelli, tuttora vivente.   L’uscita della Tradizione romana, in ogni modo, è stata 1 ’occasione  per una salutare riflessione sul tema da parte dell’ambiente tradizionali¬  sta nella prima metà degli anni Settanta, sia da parte cattolica (si veda¬  no il bollettino «Il rogo», operante fra il 1974 e il 1976 e la successiva  rivista «Excalibur»), sia da parte propriamente «pagana» (si veda la no¬  stra recensione dell’opera del De Giorgio, confortata da un parere di  Evola, in «Arthos» n. 8: essenziale come punto di ripresa del discorso  sulle origini della tradizione romana).    45             prebbe penetrare e a lui deve l’Europa intera la sua  vita e il prolungamento della sua agonia. Da questo  fuoco occulto partono scintille che alimentano le  crisi e risollevano periodicamente l’esigenza del ri¬  torno alla Romanità attraverso le varie vicende di  cui s’intesse la storia delle nazioni europee conside¬  rata geneticamente, internamente e non sul piano li¬  mitatissimo della contingenza dei fatti e degli  uomini» (43).    Queir immane conflitto, già previsto da Evola nel  1928, e che anche il De Giorgio giudicava del tutto  inefficace, «se non addirittura letale per lo spirito e  il nome di Roma» (44), avrà in effetti come risultato  più manifesto, per i fini dello studio che qui andia¬  mo conducendo, di occultare del tutto le fila della  corrente di pensiero di cui siamo andati ripercorren¬  do la trama.   Solo verso la fine degli anni Sessanta è proprio la  ristampa dell’evoliano Imperialismo pagano (e la  scelta pare significativa), curata nel 1968 dal «Cen¬  tro Studi Ordine Nuovo» di Messina (45), a tentare    (43) G. DE GIORGIO, op. di., p. 245 (vedi anche pp. 239 e 243).   (44) ibidem, p. 296.   (45) L’edizione, ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne  tolta subito dalla circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si  può considerare oggi una vera rarità bibliografica.    46    di riannodare i termini di un antico discorso:   «L’angoscioso grido d’allarme rivolto dall’Autore  in quel lontano 1928 a Benito Mussolini per met¬  terlo in guardia contro il ventilato proposito della  cosiddetta “Conciliazione’)) — si afferma nell’a¬  nonima introduzione — «risuona oggi con inusi¬  tata attualità e fa si che Imperialismo pagano ven¬  ga guardato come un oracolo».   Ed è proprio provenendo dalle fila di «Ordine  Nuovo», un’organizzazione che lo stesso Evola ha  tenuto in buona considerazione (46) — almeno fino  a che, sul finire del 1969, la sua ala borghese¬  modernista, condotta da Rauti, non confluì nel  MSI (47) — che comincia ad agire, tra la fine degli  anni Sessanta ed i primi anni Settanta, il «Gruppo  dei Dioscuri», con sede principale a Roma e dirama¬  zioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’in¬  terno del «Gruppo dei Dioscuri» venissero riprese    - (46) Cfr. J. EVOLA, Il cammino del cinabro, cit., p. 212: «L’unico  gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere in compro¬  messi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo».   (47) L’interesse dei «tradizionalisti romani» nei confronti di «Ordine  Nuovo» si esaurisce sin dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una  parte, la frazione rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui  ed estenuanti «giochi di potere» (!?) all’interno del partito e in decla¬  mazioni populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta «Nuova  Destra» proviene quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed  ambiguamente compromissorio), dall’altra, la frazione «movimentista»  ed extraparlamentare condotta da Clemente Oraziani ed altri si smarrì  nelle velleità inconcludenti e pericolose della «lotta di popolo», con  conseguente ed inevitabile suo annientamento da parte del Potere vero...    47             tematiche e pratiche operative già in uso nel «Grup¬  po di Ur» ed è perlomeno probabile che lo stesso  Evola ne fosse al corrente.   Fatto sta che nei quattro «Fascicoli dei Dioscuri»,  usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma da una  parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il tra¬  dizionalismo dovrebbe far riferimento, ritornano  con grande evidenza.   Per l’anonimo autore del primo «Fascicolo dei  Dioscuri», intitolato Rivoluzione tradizionale e sov¬  versione (Centro di Ordine Nuovo, Roma 1969), il  più grande dei meriti di Evola è quello:   «di avere rammentato il destino di Roma quale  portatrice dell’Impero Sacro Universale e di avere  tratto da tale verità le necessarie conseguenze in  ordine alle idee-forza che devono essere mobilitate  per una vera rivoluzione tradizionale» (p. 20).   Qualche anno dopo, al termine del terzo «Fasci¬  colo» intitolato Impeto della vera cultura (tradotto  poi anche in francese nel 1979), il mito di Roma vie¬  ne additato come l’unico che sia in grado di condur¬  re ad una superiore unità gli sforzi di tutti i tradizio¬  nalisti italiani:   «a tutti i tradizionalisti, anziché proporre uno dei  tanti miti soggetti a rapido e facile logoramento, si  può ricordare la presenza di una forza spirituale  perennemente viva e operante, quella stessa che il  mondo classico ed il medio-evo definirono l’AE-  TERNITAS ROMAE» (p. 18).    48    Il «Gruppo dei Dioscuri» ebbe notevole impor¬  tanza come cosciente riconnessione alle precedenti  esperienze sapienziali e come indicazione, per taluni  elementi particolarmente sensibili dell’area della de¬  stra radicale, di possibili indirizzi e sbocchi futuri  del «tradizionalismo romano», anche se la partico¬  lare via operativa scelta e, soprattutto, la mancata  qualificazione di taluni componenti, porterà ben  presto alla distruzione dall’interno del Gruppo stes¬  so, di cui non si sentirà più parlare già prima della  metà degli anni Settanta (ci viene detto che frange  disperse del gruppo continuerebbero a sussistere so¬  prattutto a Napoli). È tuttavia da supporre che alcu¬  ni dei gruppi periferici, sia pure trasformati, ne ab¬  biano continuato il retaggio se, ad esempio, a Messi¬  na nel 1975, molto probabilmente nell’ambito di al¬  cuni dei vecchi membri del «Gruppo dei Dioscuri»  viene elaborato un testo dottrinale ed operativo, a  circolazione interna, sotto forma di «lezioni» di un  maestro a un discepolo, piuttosto interessante. La  via romana degli dèi:   «Diremo anzitutto dell’essenza della tua religiosi¬  tà, fornendo alla tua mente profonda gli argomen¬  ti per una serie di esercizi di meditazione affinché  con saldo cuore, tu possa prepararti all’assolvi¬  mento del rito» (48) [cfr. anche Appendice IV].    (48) N.N., La via romana degli dèi. Istituto di Psicologia Superiore  Operativa, Messina 1975 (ciclostilato ad uso interno), p. 1.    49             E certamente non priva di connessioni genetiche  col gruppo romano appare la sortita, improvvisa,  verso la fine degli anni Settanta, nella stessa Messi¬  na, del «Gruppo Arx», successivamente editore del  periodico «La Cittadella» e degli omonimi quader¬  ni, in cui senza alcuna attenuazione i possibili itine¬  rari di approccio alla «via romana degli dèi» sono  indicati attraverso la cosciente riappropriazione del-  Vanimus romano-italico, rivissuto nel rito stesso, e  nel rigetto, sostanziale e formale, di ogni adesione a  forme anche esteriori del culto cristiano.    Quanto segue è storia dei nostri giorni, dal mo¬  mento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta vi  è stata una nuova cosciente ripresa del moderno  «movimento tradizionalista romano», una cui rima¬  nifestazione «pubblica» si estrinsicherà in una data  ed in un luogo alquanto significativi. Infatti nel  1981, il 1° marzo (data in cui iniziava l’anno sacro  romano), a Cortona (donde in epoca primordiale  Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso alla volta  della Troade) si tenne un importante Convegno di  studi sulla Tradizione italica e romana (49), che, a    (49) Gli Atti sono stati pubblicati nel numero speciale triplo di «Ar-  thos» n. 22-24, daU’omonimo titolo, di pp. 192. Per una sintetica analisi  sulla diversa valenza del termine «italico» nei vari interventi, cfr. R.  DEL PONTE, Che cos’è la tradizione italical, in «Vie della Tradizio¬  ne», XV, 57 (gennaio-marzo 1985), pp. 1-3.    50    parte l’emergenza di differenti prese di posizone dei  tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre  la questione — non puramente dottrinale o formale  — di una cosciente riconnessione aWaurea catena  Saturni della tradizione indigena da parte di chi, pur  in quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore,  intenda coscientemente riassumere il fardello delle  proprie radici etniche e spirituali. Successivamente  ad un nuovo Convegno, tenutosi nel dicembre 1981  a Messina, sul Sacro in Virgilio (50), la rielaborazio¬  ne dottrinale e la ridefinizione concettuale dei valori  difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo  romano» (di cui è parte cospicua anche l’apparire  alle stampe di alcune collane di libri specifiche) (51)  si è spostata su un piano più interiore, ma la loro  presenza è destinata a riaffiorare a livello di influen¬  za sottile e indiretta di gruppi o ambienti eticamente  sensibili di un’area superante i limiti stessi del mon¬  do della «destra politica».   Il futuro dimostrerà se la funzione di questa mi¬  noranza (ben cosciente di esserlo) si limiterà ad una    (50) Gli Atti sono stati pubblicati in buona parte nel numero speciale  di «Arthos» n. 20 (uscito successivamente al n. 22-24), daH’omonimo  titolo, di pp. 72.   (51) Ci limiteremo a ricordare la collana «1 Dioscuri» per le ECIG di  Genova, in cui figurano L’oltretomba dei pagani di C. Pascal, il mio  Dèi e miti italici. La religiosità arcaica dell ’Eliade di N. D’Anna e Arca¬  na Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di «Studi Pagani» del  Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di antichi (Giuliano Au¬  gusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi, De Angelis,  Beghini, Evola ecc.).    51           pura e semplice azione di testimonianza, sia pure  «scomoda» per molte cattive coscienze. Il «mito ca¬  pacitante» di Roma, come l’antica fenice, è destina¬  to a risorgere continuamente dalle sue ceneri, poiché  riposa nella mente feconda degli dèi archegeti di  questa terra.    Appendici documentarie    52    53        I    Da: «Il Piccolo» di Roma, 23-24 maggio 1923,   p. 2:   «Il Fascio littorio a Mussolini»   Il giorno 19 scorso, presentata dall’esimia prof.a  Regina Terrazzi, fu dall’on. Mussolini ricevuta la  dott.a prof.a Cesarina Ribulsi, che offriva al Presi¬  dente del Consiglio come augurio per la data del  XXIV Maggio un fascio littorio da lei esattamente  ricostruito secondo le indicazioni storiche e icono¬  grafiche.   L’ascia di bronzo è proveniente da una tomba  etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra col foro  per la legatura al manico: alcuni esemplari simili so¬  no conservati nel nostro Museo Kircheriano.   Le dodici verghe di betulla, secondo la prescrizio¬  ne rituale, sono legate con stringhe di cuoio rosso  che formano al sommo un cappio per poter appen¬  dere il fascio, come nel bassorilievo per la scala del  Palazzo Capitolino dei Conservatori.   Il fascio ricomposto con elementi antichissimi e  nuovissimi è stato offerto al Duce come simbolo del¬  la sua opera organica di ricostruzione dei valori del¬  la nostra stirpe allacciando le vetuste origini alle for¬  me più vibranti dell’attività gagliarda e rinnovata  che prende le mosse dal XXIV Maggio 1915.   La rudezza espressiva del Fascio è ingentilita dal  contrasto tra il verde della patina bronzea e il rosso    55         del cuoio che ricorda la stessa armonica tonalità che  producono le colonne di porfido presso la porta di  bronzo àcWheroon di Romolo, figlio di Massenzio,  al Foro Romano.   L’offerta era accompagnata da una epigrafe latina  dedicatoria composta dall’offerente, la quale nel¬  l’Università Popolare fascista svolge una fervida  opera di propaganda di romanità viva.   Il Duce gradì l’augurio ed il voto accogliendoli  colla sua consueta serena nobiltà, non senza un se¬  gno della vivacità del sorridente suo spirito latino:  «Lei mi ha dato una lezione di storia» — osservò in  tono scherzoso. Singolari parole in bocca di chi dà  e darà non poco a fare agli storici futuri.   (La notizia è riportata in una rubrica dedicata a  «I solenni riti del XXIV Maggio», senza indicazione  di paternità).    56    II    Da: IGNIS, Rumori. Sacrae Romae origines, tra¬  gedia in cinque carmi. Editrice Libreria del Littorio,  Roma 1929.   pag. non numerata, IV dopo il frontespizio:   LETTERA DI ARDENGO SOFFICI A S.E.  MUSSOLINI   Mio caro Presidente, (...) permettimi ti dia, scritte  e sottoscritte anche da me, che ne resto garante, al¬  cune prove di pregi eccezionali della tragedia, che, in  fondo, in un vero poema epico delle origini, è l’esal¬  tazione di oggi della nostra stirpe. Comincio da un  mio giudizio, già a te noto; Rumori è tragedia roma¬  na che può stare a paro col Giulio Cesare di Shake¬  speare (...) ti fo osservare che il titolo di Poeta di Ro¬  ma, dato da Jean Carrère ad ignis, si è dato solo a  Virgilio e ad Orazio: Augusto, vive, oggi, tra noi tut¬  ti in ispirito, più per questi due poeti, da lui protetti,  che per la sua politica imperiale.   E tu vedi come Rumori sia stato giudicato, prima  ancora che esistessero l’idea e la forza fascista, tra¬  gedia degna di Roma (...) quando competenti — dai  nostri a Carrère, ed a me che sono l’ultimo al giudi¬  zio del 1923 — corrono all’iperbolico per lodare Ru¬  mori di ignis bisogna concludere che ci si trova da¬  vanti ad un’opera d’arte somma, e per fortuna no¬  stra, d’arte italiana — opera che è, anche per se stes-    57         sa, di alto significato politico, e di spirito fascista  (...) Mi rileggo, e mi credo, caro Presidente ed amico  carissimo, di averti scritto una lettera storica. Fai  che non sia stata scritta invano, ma invece il tuo no¬  me vada unito a quello della tragedia Rumori, al  poema di Roma e degno di Roma: e di questo lega¬  me in avvenire, spero che tu possa essere un po’ gra¬  to al tuo affezionato amico e devoto   ARDENGO SOFFICI   pag. successiva non numerata:   IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI  Caro Soffici,   bisogna assolutamente far marciare Rumori. 11  Governo appoggia fervidissimamente l’iniziativa  perché essa rientra nel grande quadro della rinascita  nazionale.   Saluti fascisti e cordialissimi.   f.to MUSSOLINI   Roma, 7 marzo 1923    pagg. CLXV-CLXVI (Carme terzo):   AUGURE   Manifesto è dunque: amor — essere — ROMA.  Se tutte move, ed incende, le create cose...  legge si è — Amor — dell’universo vita...  così, un tanto Nome, a noi predice:    58    dono di regno e potestà sovra ogni terra,  e dello spirito, e d’imperio.   Confirmato si è, per te, prodigioso il vaticinio.   Non pronunciati mai più sien i Nomi occulti...  su la Città terribili chiamerebbero fortune...   Li trasmettano, oralmente, i Pontefici ai Pontefici.  Né mai più, tu, l’eccelso pronuncia Nome palese,  se concluso non avrai, prima, il solco sacro.  Permesso e commesso mi è: Nunziare, allora,  in gran letizia, al Popolo... quel Nome  che licito non più mi è dire   quando, già per tre volte, qui, in tre diversi suoni,  de la gran Madre nostra il Nome risonò.   {Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per nu¬  merare i significati del nome).   Di significati cinque:   È... ’l Nome palese, latore, con l’occulto:   Chiama la Città: Valentia... Ròbure... Virtù!  e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice!   Vostra — nei nomi vostri — oh Re! suoi fondatori...  Come del grande Rumon: URBE: la Città del  Fiume!   {Pausa)   Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare,  in così breve Verbo, sì pieni... tanti arcani.   Mirifici! donando Nomi nove:   in quattro occulti ed un — Medio — palese,   e quando, nove, siamo al Rito.    59       Ili    Da: G. COSTA, Apologia del paganesimo, A.F. For-  mìggini Editore, Roma 1923, pagg. 69-70:   Il pagano è, per definizione, buono. Né un greco,  né un romano avrebbero concepito che l’uomo po¬  tesse esser qualcosa di diverso da ciò, che in lui liti¬  gassero per così dire due nature, che la manifestazio¬  ne esterna fosse diversa dall’interna, che né nella vi¬  ta individuale, né in quella sociale vi fossero mezzi  termini, transazioni, compromessi. Esso è quello  che naturalmente è, cioè buono, come ideale supre¬  mo della vita, come dovere, come necessaria fatalità  insita nelle cose umane. Egli vive quindi la vita inte¬  ramente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo,  con un pragmatismo sano e forte che non ammette  ipocrisie, doppiezze, scuse.   Solamente all’uomo cosiddetto moderno è stato  concesso, per virtù di dottrine religiose e culturali  che si sono formate a lui d’intorno, una distinzione  ed una separazione del suo essere intimo, spirituale,  psicologico, dal suo essere apparente, esteriore, ma¬  teriale. All’antico quando di questa scissione appar¬  ve per un momento la possibilità, egli ne cacciò da  sé l’idea, ne biasimò perfino la concezione.   La concezione pagana della vita ha fatto perciò  l’uomo tutto d’un pezzo, ne ha affermato il caratte¬  re, ne ha provocato 1 ’azione. Ecco perché la vita nel  paganesimo ha avuto tutto il suo massimo sviluppo  ed è stata accettata non come un male, ma come un    60    bene che bisognava con interezza di carattere vivere  interamente e sanamente per sé e per gli altri.   pag. 91:   Per stabilire l’equilibrio l’uomo deve tornare al  paganesimo poiché il cristianesimo si è mostrato di¬  vina opera cui le sue spalle non sanno sottostare.   Ma paganesimo è sincerità e l’uomo deve ritorna¬  re ad essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto per  due millenni il suo desiderio di seguire il messaggio  cristiano e la sua manifesta impotenza di non saper¬  lo fare, deve risolversi in armonia se egli vuol sanare  in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la carne debbono  avere il medesimo valore ed il loro prevalere non può  essere determinato che da circostanze speciali di in¬  dividuo, di momento e di luogo che l’uomo può in-  travvedere, non deve violare con convinta testardag¬  gine. L’equilibrio di queste forze, l’esteriore e l’inte¬  riore, quindi, deve essere nella dottrina, come nella  vita, assoluto.    61           IV    Da: Im via romana degli dèi, ciclostilato anonimo,  Messina 1975 pagg. 41-42:   L'immagine di un dio è lo stemma della Forza che  essa rappresenta. A tutti i fini pratici tali immagini  sono personae, perché qualsiasi cosa possano essere  nella realtà esse sono state personalizzate e forme di  pensiero sono state proiettate su un altro piano (...)   Alcune di queste immagini e le loro attribuzioni  sono così antiche e sono state costruite con tanta  ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di rico¬  struirsi da se stesse, durante l’eventuale lavoro di  meditazione, che l’allievo può fare su una divinità.  Resta un minimo «invito», un minimo stimolo, per¬  ché il meccanismo scatti e l’immagine si ricompon¬  ga, sia pure su un piano semplicemente psichico.  Così, della limatura di ferro, dispersa su un piano,  si raccoglie intorno ad un magnete che venga posto  in mezzo. Se il magnete è forte esso attirerà i granelli  anche se essi sono pochi e molto distanti...    62     AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO  (im -    da «Ygieia», 111, 1-4 (dicembre 1986)    63             Arturo Reghini  (1878-1946)    64    0 Piscio littorio a Mussolini   n florno If »cor*o. pr^eniaU dalla tsl-  bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa.  aOltnl rlotwta la doti.» pmf.» Osarina RI-  baiai cba offriva al Proatdanta dr’. Conti¬  guo romo aufurln la data de) XXIV  Mabfio «n falcio littorio da lei eaattamcDte  licoatndto lecoudo la lodicaslonl atorictie  e leooograflclia.   l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa  tomba etmaca hlmtneoarta ed ba la forma  aorra eoi foro per la Vantura hi manico:  alcool eaamplan slmili sono coosenrat: :.«!  nostro Ma.*«o Klrcberiamo. é   La dodict verace di l>ctulla. ascondo la  prescrizione rit'iale. sono legala con tiri¬  sele ^ cuoio rosso cba formano al tonimo  ua cappio per poter appendere fi fascio,  conta nel ba.MorUiero per la acala del Pa  lazzo Capitolino dd Conaenalori.   Il Fascio ricomposto con elementi antl-  fhlHilmt a nuoTltaUnl k stato offerto al  Dora come simbolo della saa opera onra-  ntea di rieoatruztona del valori della no-  Mra attrpa allacciando le veia«ie origini  alla fonn* più vibranti dell'attività ga-  giarda a rinnovata cha prendo la mosse  ^ XXIY Maggio 19t8  Là rudezza espressiva dal Fascio è in-  gantlHta dal contrasto tra (I verde della  patind bronsea e U rosso del molo che ri¬  corda la stes.aa armonica tonalità che pm-  doeono le colonne di porfido presso la por¬  ta di bronzo deD'brroon di Itomdlo, figlio  41 Massenzio al Foro Romano.   L'oflerla efa accompagnata da ani epl-  graia latina dedicatoria composta dall'or-  farente. la quale nell'UntvcnUtà Popolare  faartsta avolga una fervida opera di pro-  pafgada di romani Ih viva.   n Duca gradi raugorto a fi voto acro-  Mlaodoll colla sua consueta serena nobiltà.  2«m senza tm segno della vivacità del sor>  ridaots ano spirito latino: • Let mi ba dato  nna testone di storia • — osservò In tono  aehanoao. Btngolart parole In bocca di r.hl  db a darà non poca a fare agli storici fu-  tnrl    Riproduzione da «11 Piccolo».  V. pag. 55.    65 Arturo Reghini. Reghini. Keywords: implicature, il fascio etrusco, scuola di Crotone, il fascio littorio, simbolismo duodecimale, Cuoco, il fascio etrusco – Pitagora dell’Etruria, Evola, numero tri-angolare, numero qua-drato, numero pi-ramidale, la logica del numero – il concetto di numero in Frege – Austin, Grice.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Reghini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Regina: la ragione conversazionale dell’esse e dell’inter-esse, o degl’uomini complementari, la potenza e il valore – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sabbioneta). Filosofo italiano.  Grice: “When Urmson said that for Prichard, duty cashed out in interest, he was right! But we must wait for Regina to emphasise Kierkegaard’s punning on interest – which literally means, ‘being in between’! The interesting (sic) thing is that Kierkegaard exploits the old Roman aequi-vocation between the alethic (being in between) and the practical (Prichard, ‘duty as interest’). Studia a Milano sotto SEVERINO, laureandosi con una tesi su Lavelle e Heidegger. Insegna a Macerata, Verona, e Cagliari. Progetto «Tempus», relativo all'organizzazione presso Sarajevo e Mostar di un master sulla tolleranza religiosa. Saggi: “Ripresa, pentimento, perdono” (Verona); “L'essere umano come rapporto: l’antropologia filosofica e teologica di Kierkegaard.” Forum, Conferenza Episcopale Italiana, Progetto culturale della Chiesa. Insegna a Verona. Si basa su Kierkegaard, Nietzsche e Heidegger (“the greatest living philosopher” – Grice). In Heidegger evidenzia l'importanza del ruolo sapienziale assegnato alla finitezza dell'uomo. In Kierkegaard vede invece da cui partire per costruire una ontologia e una antropo-logia basate su una concezione dell'essere: l'esse come “inter-esse.” L'essere come inter-esse -- nella doppia valenza ontologica ed etica -- pone il pensante in rapporto con un'ulteriorità che, nel trascenderlo, ne accentua e personalizza il differire. La metafisica fondata sull’ “inter-esse” cessa di essere onto-teologia, ossia nient'altro che proiezione idola-trica della logica umana.  Sarajevo; “Dal nichilismo alla dignità dell'uomo” (Vita e Pensiero, Milano); “Esistenza e sacro” (Morcelliana, Brescia); “L'arte dell'esistere” (Morcelliana, Brescia); Romera, “Acta Philosophica”, recensione a Noi eredi dei cristiani e dei Greci (Poligrafo, Padova). Il termine è stato acquisito da  Heidegger. “Gesù e la filosofia” (Morcelliana, Brescia); “L'uomo complementare: potenza e valore” (Morcelliana, Brescia); “Servire l'essere” (Morcelliana, Brescia); “La differenza viva: per una nuova concettualità” (Sentiero, Verona); “Noi eredi dei Greci” (Il Poligrafo, Padova); “La soglia della fede: la domanda su Dio” (Studium, Roma); “L'arte dell'esistere” (Morcelliana, Brescia). Umberto Regina. Regina. Keywords: uomini complementari – potenza e valore, essere ed interesse, esse ed interesse, Heidegger (? – il termino, acquisito da Heidegger), Prichard, duty and interest, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Regina” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Renier: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Treviso). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Studia in Camerino, Urbino, ed Ancona, a Bologna, sotto CARDUCCI, Torino, e Firenze, sotto BARTOLI. Insegna a Torino. Fonda il “Giornale storico della litteratura e la filosofia italiana”, «profonden dovi, negli studi particolari, nelle rassegne, negli annunci analitici e in un ricchissimo notiziario, un vero inesauribile tesoro di cultura, di notizie, di rilievi. Cura importanti edizioni critiche e monografie. I suoi saggi critici spaziano attraverso tutta la letteratura e la filosofia italiana. “Il tipo estetico della donna nel medio evo” (Ancona, Morelli); Isabella d'Este Gonzaga” (Roma, Vercellini); “Mantova e Urbino” (Torino, Roux); “La cultura e le relazioni letterarie d'Isabella d'Este Gonzaga (Torino, Loescher); “Svaghi critici” (Bari, Laterza); Luzio, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d'Este Gonzaga, Sylvestre Bonnard. Vendittis, Letteratura italiana. I critici,  Milano, Marzorati, Renda, Operti, Dizionario storico della letteratura italiana (Torino, Paravia); Letteratura italiana. Gli Autori,  Torino, Einaudi. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Rodolfo Renier. Renier. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Renier” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rensi: TRASEA – l’implicatura – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Villafranca di Verona). Filosofo Italiano. Grice: “Only in Italy does a philosopher get his obituary when still alive!” Studia a Verona, Padova, e Roma. Insegna a Genova. Iscrittosi al partito socialista, si reca a  Milano per assumere la direzione del giornale “La lotta delle classi sociali”, collaborando assiduamente anche alla turatiana Critica Sociale e alla Rivista popolare. A seguito delle misure repressive adottate dal governo, e per sfuggire alla condanna del tribunale militare per aver preso parte ai mossi operai milanesi, stroncati dall'esercito con la strage del generale sabaudo Beccaris, è costretto a cercare rifugio in Svizzera. Frutto dell'esperienza ticinese e la pubblicazione de “Gl’anciens régimes e la democrazia diretta” (Colombi, Roma) in cui difende il principio della democrazia diretta del sistema istituzionale federalista. Collabora con numerosi articoli ai fogli radicali Il Dovere di Bellinzona, la Gazzetta Ticinese e L'Azione di Lugano, nonché alla rivista socialista e pacifista Coenobium. Ri-entra in Italia per stabilirsi a Verona dedicandosi alla filosofia del linguaggio – “o semantica.” A seguito della campagna libica, vi è la rottura col partito socialista, poiché  si è schierato con l'interventismo di Bissolati. Pubblica “Il fondamento filosofico del diritto” (Petremolese, Piacenza). Altri due volume seguono: “Formalismo e a-moralismo giuridico” (Cabianca, Verona) e “La trascendenza: studio sul problema morale” (Bocca, Torino), ove sviluppa un idealismo trascendente. Insegna a Bologna, Ferrara, Firenze, e Messina. L'esperienza della grande guerra manda in crisi (“alla merda”) la sue convinzione idealistica, conducendolo verso lo scetticismo – della ‘scessi’, come la chiama --, la cui prima formulazione sono i “Lineamenti di filosofia della scessi” (Zanichelli, Bologna). Sostene che la guerra distrue la fede ottimistica nell'universalità della ragione, sostituendola con lo spettacolo tragico della sua pluri-versalità, vale a dire dell'irriducibile conflittualità dei diversi punti di vista. Espose nella “Filosofia dell'autorità” (Sandron, Palermo) la traduzione politica di questa concezione. Poiché tutti i punti di vista politici sono sullo stesso piano, quello che anda al potere lo fa con un atto di forza, tacitando tutti gl’altri punti di vista. In questo saggio si è scorta una prima GIUSTIFICAZIONE dell'autoritarismo fascista. Tuttavia, dopo una prima simpatia per il fascismo, ne divenne un fiero avversario quando MUSSOLINI con metodi un po ‘anti-democratici’ comincia a perseguire un disegno dittatoriale ispirandosi a GIULIO CESARE – o duca/duce. R., non Mussolini, sottoscrisse il Manifesto degl’intellettuali o filosofi anti-fascisti di CROCE, pagando questa scelta con la sospensione,  dalla cattedra di filosofia a Genova. Arrestato e rinchiuso in carcere. Solo un abile stratagemma escogitato dall'amico e collega SELLA, che pubblica sul “Corriere della Sera” il necrologio del filosofo, diffondendo così la falsa notizia della sua morte, induce il duce a rimetterlo prontamente in libertà. Il dittatore teme l'ondata di sdegno sollevatasi per i metodi oppressivi del regime. Per la sua coerenza agl’ideali di libertà, sube il definitivo allontanamento dalla cattedra, è, comandato, da vigilato speciale, presso il centro bibliografico dell'ateneo genovese, per la compilazione della biografia ligure. Nonostante il doloroso distacco dalla scuola dove insegna, continua la sua attività filosofica e collabora al quotidiano socialista genovese Il Lavoro, l'unico foglio che accoglie testi di personalità che non hanno fatto atto di sotto-missione al fascismo.  Ricoverato al ospedale Galliera mentre infuria  il bombardamento della flotta inglese su Genova, per essere operato d'urgenza. Tuttavia l'azione militare danneggia alcune sale dell'edificio e i medici doveno rinviare l'intervento, una fatalità che non lascia scampo a R. Ai funerali pochi amici ed ex allievi poterono seguire per breve tratto il carro funebre. La polizia, che vieta questo devoto omaggio, dispersa il funerale, schedando alcuni discepoli. R., anche morto, tura il potere. Sulla tomba nel cimitero di Staglieno un'epigrafe riassume uno stile di vita ed esprime il suo dissenso, la sua resistenza e indipendenza filosofica. ETSI OMNES NON EGO. La sua filosofia si è sviluppata  dopo l'approdo alla scessi in direzione del realismo e del materialismo critico. Un realismo materialistico quindi, che considera derivato, con una certa libertà interpretative, dal criticismo. Arrriva ad ipotizzare che Kant puo pensare alla cosa in sé come a una più nascosta essenza materiale della cosa stessa.  La sua filosofia non e esente da paradossi concettuali e da mutamenti continui che lo hanno portato a cadere in alcune contraddizioni e incoerenze. Ma va anche considerato che al di sopra d’esse a dominare è comunque un forte pessimismo, che non è solo esistenziale, ma anche gnoseologico. Sia il mondo, sia la mente umana sono irrazionali. Ma supponiamo che un tale fatto esteriore ai nostri orologi, destinato al controllo di questi, non esiste, e che i nostri orologi continuassero a discordare. Come potremmo allora, in mancanza di quel fatto esteriore obbiettivo e nel discordare dei singoli nostri orologi, conoscere l’ora che è? Ora questo è appunto il caso delle nostre ragioni. Non c’è l’oggetto esterno ad esse, l’esterno modulo-ragione, su cui controllarle e che le giudichi, ed esse discordano tra di loro. Come conoscere l’ora che è della ragione? Per esempio egli ha sostenuto che, siccome la filosofia ha una storia che si snoda nel tempo, ciò significa che un pensiero vero e unico non può esistere e che perciò nel suo procedere ed evolvere essa nega continuamente sé stessa. Contro l'idealismo di GENTILE, allora imperante, che considera la storia una realizzazione progressiva dello spirito e della ragione, ha una visione negativa della storia, come assurdo caso e vana ripetizione.  C'è storia dunque perché ogni presente, ossia la realtà, è sempre falsa, assurda e cattiva, e perciò si vuol venirne fuori, passare ad altro, quel passare ad altro in cui, unicamente, la storia consiste. C'è storia, insomma, l'umanità corre nella storia, per la medesima ragione per cui corre un uomo che posa i piedi su di un sentiero cosparso di spine o di carboni ardenti. La sua critica della religione si sviluppa poi in un'aperta apologia dell'a-teismo. Sembra quasi di poter cogliere uno dei tratti dell'a-teismo in un saggio “Sopra lo amore di FICINO (si veda). FICINO  propone una visione dell'amore come amore eterno che ritorna come desiderio di ogni grado ontologico di ritornare al bene e al tutto. Propone una nuova interpretazione di questa tipica teologia dell’ACCADEMIA, vedendo nell'amore ipotizzato da Ficino in realtà un preludio a quelle che diventeranno due tra le più influenti correnti filosofiche: l'idealismo e il volontarismo. L'amore come totalità dei diversi, o come volontà nelle vesti di matrice essenziale del tutto, mette da parte il bisogno dell’amore trascendente e sussurra l'ipotesi di un a-teismo, forse professato tra le righe dai più celebri filosofi.  Filosofo profondamente problematico e inquieto, fine però per approdare a un forte pessimismo ontologico ed esistenziale, che lo spinse verso derive spiritualistiche, forse latenti nelle sue riflessioni fin dalle origini nelle “Lettere spirituali”. In quest'opera, come anche nell “La morale come pazzia” (Guanda, Modena), delinea una sorta di mistica dei valori e un'etica concepita come l'azzardo dell'uomo che scommette sul bene in un universo cieco e indifferente. Nella sua “Autobiografia intellettuale” suddivide in tre periodi la sua evoluzione. Un primo misticismo idealistico. Un secondo relativismo scettico materialistico e ateo. Un terzo misticismo spiritualistico come ultimo approdo della sua filosofia.  Il primo è un misticismo di tipo platonico dell’ACCADEMIA, in cui sono presenti anche elementi di San Paolo e di Malebranche. Scrive “L’antinomie dello spirito” (Petremolese, Piacenza); “Sic et non: meta-fisica e poesia” (Romaa, Roma); “La trascendenza: studio sul pensiero morale”. Il secondo periodo nasce dal suo sconcerto di fronte alle violenze della grande guerra e lo porta alla negazione di qualsiasi razionalità della realtà. Pensa infatti che se gl’uomini ricorrono sistematicamente alla violenza per risolvere i loro conflitti, questo significa che la ragione in sé non esiste, e che si tratta dell'illusione dell'uomo di pensare che si puo dare ordine al caos. L'irrazionalità della realtà si trova espressa in “Lineamenti di filosofia della scessi”; “La filosofia dell'autorità”; “La scessi estetica” (Zanichelli, Bologna); “Polemiche anti-dogmatiche” (Zanichelli, Bologna); “Interiora rerum – la filosofia dell’assurdo” (Milano, Unitas); “Realismo” (Milano, Unitas); “Apologia dell'a-teismo” (Formiggini, Roma); e “L’aporie della religione”. Il secondo periodo è altresì caratterizzato da un avvicinamento al positivismo materialistico e dal rifiuto dell'idealismo di CROCE e di GENTILE. In esso va registrata anche una rivisitazione del panteismo di Spinoza, che interpreta alla maniera dei teologi, quindi come a-teistico perché  nega il divino personalizzato del mono-teismo. Pensa anche di realizzareuna sintesi di scessi e realismo perché se solo la scessi è il modo reale e utile di porsi di fronte al mondo, essa è anche l'unica verità possibile. Si tratta anche del momento di punta del nichilismo, perché si afferma che siccome l'unica cosa certa e stabile è la morte, ed essa è il nulla, solo il nulla possede una verità. Prevale una forma di misticismo che non sorge, però, improvvisamente, essendo già chiaramente presente nelle opere maggiormente influenzate dalla scessi. Quest'ultima è, infatti, sempre sollecitata da un'innata, profonda religiosità, sicché non stupisce che il filosofo si apra alla voce del divino, poiché cerca nella negazione assoluta un criterio positivo che consenta la negazione stessa. A questo periodo appartengono: “Critica della morale”; "Critica dell'amore e del lavoro”; “Paradossi di estetica e dialoghi dei morti” (Corbaccio, Milano); “Frammenti di una filosofia del dolore e dell’errore, del male e della morte” (Guanda, Modena); “La filosofia dell'assurdo” e “GORGIA (si veda) -- Autobiografia intellettuale – la mia filosofia – testamento filosofico” (Corbaccio, Milano). Isolato in vita nel mondo filosofico italiano, nel quale domina l'idealismo crociano-gentiliano, trova la comprensione di pochi intellettuali a lui affini. È stato quest'ultimo a creare la formula della scessi credente, che in forme diverse ha dominato i pochi studi sulla sua filosofia. Oggi trova la collocazione nell'ambito del nichilismo. Per alcuni, tale collocazione resta comunque riduttiva rispetto alla vastità della sua filosofia, che andrebbe ancora approfondito. La trascuratezza nei suoi confronti sta nel fatto che la cultura italiana è stata dominata dall'idealismo e dall'esistenzialismo. Legato alla cultura socialista, si caratterizza per una certa dose di eclettismo e per una forte componente umanitaria, distante dal materialismo storico marxiano e riconducibile, più agilmente, nel novero dei filosofi vicini al socialismo utopista. Se durante l'attività politica in Italia aderisce all'idea della lotta delle classi sociali, l'esperienza svizzera lo porta a ri-considerare tale concezione dei rapporti di forza nella storia, ri-dimensionandone la portata. Infatti, l'ant-agonismo tra proletariato e borghesia è circo-scrivibile ad alcune realtà contingenti e non costituirebbe un'invariante delle relazioni socio-politiche. E se, da un lato, il suo realismo politico lo porta ad apprezzare le teorie elitistiche del conservatore MOSCA (si veda), dall'altro, la matrice umanitaria e socialista emerge nell'esaltazione degli istituti della democrazia diretta, caratterizzanti il sistema costituzionale svizzero, considerati come l’unico in grado di far emergere la volontà popolare e di permettere l'emancipazione delle classi lavoratrici. L'elogio ai regimi federalisti appena citati, e il contingente recupero di CATTANEO sono sintomatici di un altro aspetto del suo orizzonte culturale: la feroce critica dell'istituto monarchico -- tanto nell'accezione assolutista, quanto in quella temperata del costituzionalismo borghese ottocentesco -- appannaggio di una vicinanza con il programma del partito repubblicano. Mostra un pessimismo storico verso il risorgimento, la disapprovazione intransingente del ruolo, ritenuto ambiguo e ostile al riscatto sociale del proletariato, della casa regnante dei Savoia e l'appartenenza alla massoneria.  Influenze "Atomi e vuoto e il divino in me", queste parole di Rensi hanno ispirato Lobaccaro nella composizione della canzone Rosa di Turi dei Radiodervish. Altri saggi: “Una Repubblica italiana: il Canton Ticino, "Critica sociale", Milano), “L'immoralismo di Nietzsche” (Carlini, Genova); “Il genio etico ed altri saggi” (Laterza, Bari); “Sulla risarcibilità del danno morale” (Cooperativa,Verona); “L’istinto morale” (Riuniti, Bologna); “L'orma di Protagora” (Treves, Milano); “Principi di politica im-popolare” (Zanichelli, Bologna); “Introduzione alla scessi etica” (Perrella, Napoli); “Teoria e pratica della re-azione politica” (Stampa, Milano); “L'amore e il lavoro nella concezione della scessi” (Unitas, Milano); “Dove va il mondo?, «Inchiesta fra gli scrittori italiani» (Libreria Politica Moderna, Roma); “L'irrazionale, il lavoro, l'amore” (Unitas, Milano); "Terapia dell'a-teismo" (Castelvecchi, Roma);  “Apologia della scessi” (Formiggini, Roma); “Autorità e libertà: le colpe della filosofia” (Politica, Roma); “Il materialismo critico” (Sociale, Milano); “Spinoza” (Formiggini, Roma); “Scheggie: pagine di un diario intimo” (Bibl. Ed., Rieti); “Cicute: dal diario di un filosofo” (Atanòr, Todi); “Impronte: pagine di un diario” (Italia, Genova); “Raffigurazioni: schizzi di filosofi e di dottrine” (Guanda, Modena); “L’a-porie della religione” (Etna, Catania); “Sguardi: pagine di un diario” (Laziale, Roma); “Passato, presente, future” (Cogliati, Milano); “Motivi spirituali dell’ACCADEMIA” (Gilardi, Milano); “Scolii: pagine di un diario” (Montes, Torino); “Vite parallele di filosofi: l’accademia e CICERONE” (Guida, Napoli); “Critica della morale” (Etna, Catania); “Figure di filosofi: ARDIGÒ e GORGIA” (Guida, Napoli); “Poemetti in prosa e in verso” (Ist., Milano); "La morale come stato d'eccezione?" (Castelvecchi, Roma); “TRASEA (si veda) contro la tirannia” (Oglio, Milano) – FASCISMO E STORIA ROMANA – la critica -- ; “Lettere spirituali” (Bocca, Milano); “Sale della vita -- saggi filosofici” (Oglio, Milano); “La religione -- spirito religioso, misticismo e a-teismo” (Sentieri Meridiani, Foggia); “Contro il lavoro -- saggio su L’ATTIVITA PIU ODIATA DALL’UOMO” (Gwynplaine, Camerano);  “Le ragioni dell'irrazionalismo” (Orthotes, Napoli); “Su LEOPARDI” (Bruni, Torino). – “Il filosofo dissidente, Pastorino, Uomini e idee della Massoneria. La Massoneria nella storia d'Italia, Roma, Atanor sub voce (in ordine cronologico), R. Istituto di Studi filosofici, Roma); Untersteiner, Interprete del pensiero antico (Bocca, Milano); La scessi estetica (Zanichelli, Bologna); Cuneo, Conti e C., Cuneo); Un moralista, Italia, Resta (SIAG, Genova); Poggi (Azzoguidi, Bologna); “Il problema generale della giustizia e della giustizia penale” (Vallardi, Milano); Rossi, “L’deale di Giustizia” (Bocca, Milano); Buonaiuti, “La scessi credente” (Partenia, Roma); Mignone, “Leopardi e Pascal” (Corbaccio, Milano); Nonis, La scessi etica, Studium, Roma, Morra; R., Scessi e mistica in R. (Ciranna, Siracusa); Tecchiati, Alla mostra del libro filosofico", La Voce di Calabria, Palmi, Bassanesi, La coscienza tragica” (Filosofia, Torino); Alpino, La collaborazione di Rensi alla rivista "Pietre" (Marzorati, Milano); Liguori, “La scessi giuridica” (Giuffrè, Milano); Noce, "Tra Leopardi e Pascal, ovvero l'auto-critica dell'a-teismo negativo", in Una giornata rensiana, Marzorati, Milano, Sciacca, “Una giornata rensiana” (Marzorati, Milano); Perano, Il problema della verità nella scessi di Rensi” (Lateranense, Roma); Mas, Tra democrazia e anti-democrazia” (Bulzoni, Roma); Santucci, Un irregolare: Tendenze della filosofia italiana nell'età del fascismo, Pompeo, Faracovi, Belforte, Livorno; Rognini, “Dal positivismo al realismo” (Benucci, Perugia); L'inquieto esistere” (EffeEmmeEnne, Genova); Boriani, La questione morale nel positivismo” (Melusina, Roma); Silva, “La ribellione filosofica” (Genova,  Liguori); Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo. La coerenza critica, Il sentiero dei perplessi. Scetticismo, nichilismo e critica della religione in Italia da Nietzsche a PIRANDELLO (si veda), La Città del Sole, Napoli, Gianinazzi, Intellettuali in bilico, Milano, Ed. Unicopli, Emery, Lo sguardo di Sisifo: R. e la via italiana alla filosofia della crisi: con una nuova  rensiana, Marzorati, Settimo Milanese,  Mancuso, Tra democrazia e fascismo, Aracne, Roma, Serra, Tra dissoluzione del socialismo e formazione dell'alternativa nazionalista” (Angeli, Milano); Meroi (Olschki, Firenze); “L’eloquenza del nichilismo, SEAM, Formello); Pezzino, Scacco alla ragione” (C.U.E.M.C., Catania);  Castelli, Un modello di Repubblica; la politica e la Svizzera (Mondadori, Milano); Greco, politica, autorità, storia, Viaggi di carta, Palermo); P. Serra, “La rivolta contro il reale, Città Aperta,  Enna); A.  Montano, “Ethica ed etiche” (Napoli); G. Barbuto, Nichilismo e stato totalitario: libertà e autorità” (Guida, Napoli); Greco, la filosofia morale, Viaggidicarta, Palermo, Mancuso; Montano, Irrazionalismo e impoliticità Rubbettino, Mannelli, Meroi, filosofia e religione (Storia e letteratura, Roma). Lobagueira,  Documenti, Trento; Mascolo, Il corso infernale della storia. L'influenza di Schopenhauer nella filosofa, in Ciracì, Fazio, Schopenhauer in Italia, Lecce, Pensa Multi Media, Bruni, “Il leopardismo filosofico” (Firenze, Le Lettere); “Filosofo della storia, Firenze, Le Lettere, Bignami E. Buonaiuti, Croce, Ghisleri, Manifesto degli intellettuali antifascisti Ad. Tilgher, Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. R. il filosofo dimenticato. scomodo nichilista di Volpi l'"irregolare" di Martinetti. Di qui, con evidenza, un elemento evolutivo nel “Trasea, contro la tirannia” (Corbaccio dall’oglio, Milano) -- dove R. introduce elementi di giudizio nei confronti dei regimi statali che pregiano maggiormente le «questioni materiali e spirituali rispetto all'effcienza dell'amministrazione -- quasi a dire che non è possibile accettare l'affermazione tirannica del potere, anche se questo risulta poi operativo ed efficiente, perché essa coarta eccessivamente lo spazio della personalità individuale. Di qui il limite della stessa filosofia dell'autorità, la cui estensione trova nel rispetto della moralità e interiorità un limite; e che tale limite sia valicato si intuisce dalla crescita dell'im-moralità pubblica -- delazione, adulazione etc. ne sono i fenomeni rivelatori. Questa vicenda è descritta con riferimento all'impero d’OTTAVIANO a Nerone inclusi, e, alla data di stesura, intuitivamente e obliquamente  allusiva al fascismo. Cf. Il CICERONE di Rensi. Spero enim homines mtellecturos  quanto sit omnibus odio crudelitas et  quanto amori probitas et clementia.   C. Cassio in Cic., Ad farri. Cicerone era vicino ai sessantanni, quando lo  Stato legale romano, che già precedentemente aveva subito terribili scosse, ma che mediante una  saggia riforma avrebbe potuto rinvigorirsi sul suo stesso tronco senza frattura o soluzione di continuità, riceveva da GIULIO (si veda) Cesare il colpo di grazia. Non è più necessario rivendicare la grandezza  di CICERONE contro le denigrazioni di Mommsen  e di altri due o tre storici tedeschi. Egli non  e una ràbula e un politico superficiale. Bensì  un uomo di stato dallo sguardo ampio e sicuro,  nel cui animo si radica e vive di vita vigorosissima tutta la grande tradizione politica romana, [Una bella e vivace confutazione di Mommsen si  può leggere nel saggio di Horncffer, Cicero und die  Gegenwarl, contenuto nel volume Das Klassische Idealm Lipsia, Klinkhardt. Horneffer però rivendica  solo il valore di Cicerone come epistolografo e oratore,  non come FILOSOFO.] e pur senza che l’animo servilmente vi soggiacesse,  ma, anzi, insieme, con la chiara coscienza della  nuova direzione che quella tradizione dove prendere, e della misura e forma in cui dove prenderla, per svilupparsi fecondamente e superarsi vivificandosi. Accanto a ciò, mente che s’e impadronita di tutta la più alta cultura dell'epoca: Demostene e Platone insieme pel suo paese, come  riconosce Moellendorf . Accanto  a ciò, una squisitissima sensibilità artistica e una  passione vivacissima per le cose d’arte. Basta vedere quanto “vehementer” com’egli stesso dice,  attende che Attico gli mandasse sculture ed oggetti artistici greci: “genus hoc est voluptatis rneae” (Ad Att.); e  basta aver letto attentamente le sue orazioni e  aver scorto il perfetto senso d’arte con cui sono costruite e che vi circola. Accanto a ciò, infine,  una sensibilità in generale per le cose, le persone, gl’eventi, gl’affetti, così moderna, che in lui, nella sua pronta e multiforme impressionabilità, ritroviamo  interamente noi stessi: e il suo dolore erompente  e pieno di accenti passionali per la morte della  figlia Tullia, è il palpito d’un cuore dei nostri  tempi. Uomo, in una parola; assolutamente completo. Un pensatore di così sottile e sicuro buon gusto  e di cosi grande penetrazione storica (e particolarmente [Il rimprovero che gli si fa di debolezze e incertezze è uno dei soliti rimproveri che gl’eroi  di poltrona hanno quasi sempre occasione di rivolgere al grande che si è trovato a dover davvero vivere avvolto da un gigantesco turbine d’avvenimenti, e che nemmeno se fosse stato mille volte più grande poteva abbracciarne tutte le fila, come è invece agevole a quelli che non fanno se non pacificamente rileggerli nel loro tranquillo gabinetto venti secoli dopo. Egli non e debole ed incerto nè nella repressione della congiura di CATILINA (si veda), nè  nella lotta per la salvezza della costituzione contro il cesarismo rinvelenito da MARC’ANTONIO (si veda), lotta che  chiuse cosi gloriosamente la sua carriera mortale. Le sue incertezze d’altri momenti sono unicamente  frutto della sua profonda moralità. Perché l’uomo fondamentalmente morale e intelligente, in mezzo a cataclismi enormi che travolgono gl’individui come fuscelli, quali quelli in cui CICERONE si trova,  mentre non può operare contro coscienza, e per questa, che pure sarebbe l’unica via possibile, salvarsi o tornare a grandeggiare, però avverte anche  i pencoli micidiali a cui espone sè ed 1 suoi operando secondo coscienza: e la condotta risultante è necessariamente quella che tracciano le  fluttuazioni di tale angoscioso conflitto interno.] circa la storia romana) come Montesquieu ne dà questongiudizio. Ciceron, selon moi, est un des plus grands  espnts qui aient jamais été -- Pensées diverses -- Ab illis est periculum si peccare, ab hoc si recte  fecero, nec ullum in his malis consilium periculo  vacuimi inveniri potest (Ad Att.). Quando  i frangenti in cui un uomo si trova realmente a  vivere sono davvero quelli così delineati, si può  domandarsi se sia umanamente possibile la rettilineità che esigono da lui coloro che poi spulciano comodamente gl’eventi della sua vita. Sicuro e  diritto, in tali circostanze, è l'uomo amorale che  non sente scrupoli: il cinico ed elegante arrivista  CELIO RUFO, che a CICERONE dava questo consiglio (Ad. Di'.). Suppongo che non ti  sfugga come nelle discordie politiche interne gl’uomini debbano seguire, finché si lotta senz’armi,  la parie più onesta, ma la più forte quando vengono in gioco guerre ed eserciti, e stabilire che  è migliore ciò che è più sicuro. CELIO RUFO, del  resto ottimo filosofo, tanto che per molti umanisti ed altri dotti è ancor oggi il miglior modello  di stile. Ma CICERONE e un uomo di coscienza.  Questa soltanto, non la sua incapacità mentale,  la causa della sua rovina. Egli e andato con POMPEO (si veda), non già sedotto  dalla speranza della vittoria, ma quando la causa  di costui era ormai pressoché perduta e con la  piena nozione di tale condizione di cose, e mentre GIULIO Cesare, MARC’Antonio, Celio, per cercar di trattenerlo  almeno neutrale, gli fanno offerte larghissime:   secuti non spem, sed officium (Ad Div.).  Vi era andato essendo consapevole, non solo dell’inettitudine e impreparazione di Pompeo e di  quelli che sono con lui, ma altresi del fatto che  poco o nulla c’e da sperare da essi circa la  restaurazione della legalità, animati come costoro sono da propositi di persecuzione sillana (Ad Att.), e   chiaro ormai essendo che dai pompeiani non meno  che dai cesariani non si pensa che a far man  bassa dello Stato --  regnandi contendo est -- Ad  Att. -- dominatio quaesita ab utroque est,  non id actum beata et honesta civitas ut esset. Vi era andato straziato dall’ idea  d una guerra civile e unicamente in obbedienza a  considerazioni d ordine morale. E’ la coscienza  che ci costringe, scrive ad Attico, a staccarci da Cesare più ancora se vincitore che se vinto, per non essere solidali con ciò che segue  alla sua vittoria, stragi, estorsioni, violenze -- et  turpissimorum honores, et regnum non modo Romano homini, sed ne Persae quidem cuiquam tolerabile. E andato da Pompeo, senza illusioni  e speranze, unicamente per senso del dovere. Sed valuit -- scrive a Cecina -- apud me  plus pudor meus quam timor -- veritus sum deesse  Pompeii saluti, cum ille aliquando non defuisset  meae. ltaque vel officio, vel fama bonorum, vel  pudore victus, ut in fabulis Amphiaraus, sic ego  prudens ac sciens, ad pestem ante oculos positam  sum profectus -- Ad Div. Egli sa  cioè di andare alla rovina e vi anda in obbedienza a yu principio d'onore (pudor) e di gratitudine,  per quel poco che Pompeo aveva fatto onde richiamarlo dall’esilio.  Pudori tamen malui famaeque cedere quam salutis meae rationem ducere  riconferma a M. Mario. E ritornando  più tardi in una lettera a Torquato, che aveva  anch’egli seguito la parte pompeiana, su quell’episodio a entrambi comune, sente di poter ricordare in cospetto al correligionario politico -- nec  nos victoriae praemiis ductos patriam olim et liberos et fortunas reliquisse, sed quoddam nobis  officium iustum et pium et debitum reipublicae  nostraeque dìgnitati videbamur sequi, nec cum id  faciebamur tam eramus amentes ut explorata nobis  esset victoria. Ne è questa un’opportunistica configurazione postuma della sua condotta di quel tempo. Basta percorrere la sua corrispondenza con il cosidetto “ATTICO” -- suo amico intimo e suo  editore, uomo consumato nell’ impresa di tener il  piede in più staffe e nella difficile arte di conservarsi amici i vincitori senza inimicarsi i vinti -- per constatare che tale veramente, cioè il senso del  dovere, e il nobile sentimento da cui fu mosso. Officu me deliberalo cruciat, cruciavitque  adhuc. Cautior certe est mansio. Honestior existimatur traiectio (Ad Att). E quando  Pompeo è pressoché spacciato e stretto da tutte  le parti, e Cicerone è ritornato in Italia, egli si  cruccia proprio di questo suo atto da cui gli sarebbe derivato vantaggio e che poteva quindi essere reputato abile, e si rammarica di non essere  stato con Pompeo sino alla fine -- numquam  enim illus victoriae socius esse volui. Calamitatis  mallem fuisse (Ad Att.). Il principio,  insomma, che in un’altra posteriore circostanza,  piena di pericoli mortali, nella sua lotta contro Antonio, egli enuncia a Planco così. Mihi maximae curae est, non de mea quidem vita, cui satisfeci vel aetate vel factis vel gloria, sed me patria sollicitat -- ( Ad Dio.), questo è il principio che domina costantemente nell’animo di Cicerone, insieme con l’insormontabile ripugnanza,  o meglio con 1’impossibilità, di venir meno al  rispetto verso se stesso. Allorché, essendo Cesare  incontrastato padrone, l’accomodante Attico gli  dà il consiglio di obbedire ai vincitori. Non  mihi quidem, egli risponde, cui sunt multa potiora (Ad Att.). Certo, un uomo mosso prevalentemente da sentimenti di tale natura, nelle tragiche vicende pubbliche da cui si trova avvolto Cicerone, va al  fondo. Resta a vedere se ciò sia un indice di  inferiorità o se non lo sia piuttosto quel successo  che è raggiunto -- e la cosa è facile --  in grazia dell’assenza di tali sentimenti, della mancanza d’ogni  freno etico, dell insensibilità ad ogni scrupolo di coscienza, della nessuna riluttanza a violare cinicamente ogni principio di diritto e di morale. Nè r uomo che comincia la sua carriera  attaccando coraggiosamente nell’orazione prò Roselo  un favorito potentissimo di SILLA, e un pavido.  Dimostra ancora di non esserlo nel suo consolato. L’apparenza  di timidità da lui talvolta offerta, deriva da ciò  che egli, come dice di sè, si preoccupa grandemente dei pericoli nella rappresentazione e raffigurazione mentale anticipata di essi, non già che  titubasse poi ad affrontarli nella realtà. Quintiliano  narra. Parum fortis videtur quisbusdam. Quibus  optime respondit ipse, non se timidum in suscipiendis, sed in providendis periculis. E’ press’a poco ciò che egli scrive a Toranio. Mi accusano di essere timido -- eram piane,  timebam enim, ne evenirent, quae acciderunt. Mi diceno timido -- quia dicebamus ea futura,  quae facta sunt (Ad Dio.). Nè è giusto  accusarlo di non aver saputo intuire con chiarezza  le situazioni e di essersi per questa deficienza di  sguardo gettato a corpo perduto a combattere per  soluzioni che la realtà escludeva. È questa la solita iniqua condanna che ì posteri, aggiungendosi  ai contemporanei nell’incensare i vincitori e nel  dare il calcio dell’asino ai vinti, pronunciano contro  colui che difende la causa rimasta storicamente soccombente. Quasiché il fatto che una causa sia rimasta storicamente sconfitta dimostri anche che e giusto e logico che essa lo fosse. Quasiché il mero  fatto, il fatto del successo, sia anche verdetto di  giustizia e logicità, quasiché assai spesso la causa  storicamente prostrata non sia quella che avrebbe  dovuto vincere. Che la cosa stia così nel caso di  Cicerone, lo dimostra il fatto che la causa da lui combattuta e che vinse costituì LA ROVINA DELLA VITA DI ROMA. Basta per accertarsene constatare che  NELLA STESSA NOSTRA MEMORIA DI POSTERI LA VITA DI ROMA RESTA CHIARAMENTE PRESENTE E ATTIRA LA NOSTRA APPASIONATA ATTENZIONE APPUNTO SINO AD OTTAVIANO. Ci rimangono ancora come appendice già torbida  i primi imperatori. Poi tutto ci si confonde dinanzi in un lungo stato comatoso chiazzato di  continui sussulti sanguigni, in cui -- se non siamo storici di professione -- non distinguiamo piu ne nomi,  nè persone, nè eventi, di cui non ricordiamo, NE C’IMPORTA RICORDARE, più nulla. Si rammenti come, per es., scorge Roma Massimo d’Azeglio. Fra tutti gli stati dell’antichità è Roma  quello che ho in maggior stima, FINO ALL’EPOCA DEI GRACCHI, intendiamoci ! lo ammiro que’ tempi durante i quali domina la legge -- durante i quali le più bollenti passioni agitate  dai più vitali interessi, non cercano altr armi nè altre  vittorie che un voto ne’ Comizi. E poco prima. Se  è giusto e vero il principio fondamentale delle società  moderne, essere la legalità di un governo dipendente dalla volontà del popolo che vi è governato, vorrei sapere se l’umanità consultata avrebbe ne’ tempi dei Romani votato Nemmeno i mezzi che egli aveva messo in opera per sostenere la causa che soccombette, erano inadeguati. Tutto, invece, egli aveva provvisto; tutto  quanto era necessario perchè essa vincesse: aveva  cercato di assicurare ad essa l’appoggio e la  fedeltà dei maggiori personaggi militari e politici; aveva costituito e messo in campo eserciti  poderosi; con la sua parola tenne altissimo il  tono morale del popolo all’ interno. Se la causa  non vinse, lo si deve, non a un fato storico, a  condizioni incoercibili insite nella realtà e sfuggite  allo sguardo di Cicerone, o al logos immanente  nella storia. Ma unicamente a due o tre puri casi,  che potevano accadere diversamente e in tal modo  rovesciare la situazione. Dice in qualche luogo SERBATI che uno de’ mezzi, co’ quali l’uomo  può sciogliere la propria mente da molti pregiudizi e da’ legami delle consuetudini sensibili, si è  l’esercitarsi a considerare le cose non solo come  sono, ma come potrebbero essere. Se vogliamo applicare questo precetto al periodo di  storia in discorso -- come Renouvier in Uchwnie  l’ha applicato in modo grandemente interessante a  tutta la storia occidentale dagli Antonini in poi -- scorgeremo agevolmente che due o tre futili casi, per l'impero (Miei Ricordi, Barbera, Antologia Pedagogica cur. di Pusinieri, Rovereto, Mario] i quali fossero avvenuti diversamente, sarebbero  bastati a cambiare del tutto la faccia delle cose;  se, p. e., LEPIDO non avesse tradito, o se un giavellotto l’avesse ucciso quando egli si mosse per  portar soccorso a MARC’ANTONIO ormai disfatto, se PLANCO  non avesse fatto il doppio giuoco, ciò sarebbe bastato per far di Cicerone il capo dello Stato romano, e perchè egli occupasse nella politica di  Roma d’allora, e nella storia, il posto d’OTTAVIANO.  E quanto lo stato romano e la posterità sarebbero stati più fortunati se il potere fosse venuto  in mano ad un uomo di rettitudine profonda e  di vivo senso del diritto e del dovere, come Cicerone, anziché ad un uomo la cui bassezza d’animo è provata luminosamente dal fatto che, avendo  cominciato ancora puer o adolescens, come sempre  Cicerone lo chiama -- sed est piane puer n \Ad  Att.-- ad essere qualcosa solo per l’appoggio datogli appunto da Cicerone e con lo strisciarsi umilmente ai suoi piedi -- a me postulat  primum ut clam conloquatur mecum Capuae vel  non longe a Capua... ducem se profitetur nec nos  sibi putat deesse oportere -- binae uno die mihi  litterae ab Octaviano -- deinde ab Octaviano cotidie litterae, ut negotium susciperem, Capuani  venirem, iterum rem publicam servarem » ; mihi  totus deditus „ ; “ nobiscum hinc perhonorifice   et amice Octavius — Ad Att., non si trattenne dal sacrificare ad  una propria maggiore ascesa la vita di colui che l’aveva sorretto nei suoi primi passi. Uomo egli,  si, veramente, pusillanime, che vinse le guerre solo  per mezzo dei suoi generali e specialmente di Agrippa, e non aveva il coraggio di presentarsi  nel campo se non dopo che Agrippa gli annunzia la vittoria (Svet. Aug.). Fondamentalmente istrione e poseur come risulta dal fatto,  narrato da Svetonio (Aug.), che non comunica mai nemmeno con sua moglie senza scrivere prima e leggere ciò che voleva dire, nonché  dall’altro, sempre narrato da Svetonio, che  egli ama stilizzare a particolare espressività e luminosità i suoi occhi -- quibus etiam existimari  volebat inesse quiddam divini vigoris, gaudebatque. Octave lui, a Sesto Pompeo, fit deux guerres  laborieuses ; et après bien de mauvais succès il le vainquit por i’habilité d’Agrippa. Je crois qu’Octave est le  seul de tous les capitaines romains qui ait gagné l’affection  des soldals en leuv donnant sans cesse des marques d’une  làcheté naturelle „ (Montesquieu, Grandeur et Dócadence des Romains. Tanto GIULIO Cesare quanto OTTAVIANO hanno l’abitudine di citare dei versi delle Fenicie di  Euripide. E la citazione che l’uno e l’altro aveva scelto  è rivelatrice del loro rispettivo carattere. Cesare ama  citare i versi -- “se c' è un caso in cui sia bello VIOLARE IL DIRITTO, è quando lo si VIOLA – cf. H. P. GRICE – FLOUT, VIOLATE --  per conseguire la  tirannide -- citazione signifìcatiice dello spirito violento e  illegale. OTTAVIANO ama citare il versoL è meglio  per un generale procedere al sicuro (àacpaÀr/c) che essere ardito (ihf aouc) -- citazione significatrice della vigliaccheria -- cfr. Cicer. De Off. e Svetonio  Aug.] si qui sibi acrius contuenti quasi ad fulgorem solis  vultum summiteret e infine in modo palmare dalle  parole -- ecquid iis videretur mimum vitae commode transigisse -- e dalla citazione greca richiedente l’applauso per la commedia ben riuscita,  con cu; egli chiuse la sua esistenza. Uomo  che desta particolare antipatia precisamente in  grazia del suo proposito di moralizzare la vita  romana; perchè niente è più ripugnante del dissoluto che si da il compito di costringere gli altri  alla virtù e posa a restauratore della morale pubblica; e OTTAVIANO cambia tre mogli prendendo l’ultima al manto sotto ì suoi stessi occhi,  conducendola con sé in un altra stanza donde e  ritornata spettinata e con gli orecchi rossi, e poi  introducendola in casa propria INCINTA D’UN ALTRO; aveva commesso le oscenità che narra  Svetonio, irripetibili, tranne forse una -- adultena quidem exercuisse ne amici quidem  negant -- e dopo ciò faceva udire le parole ammonitrici di vita austera e imprende a ricondurre  i costumi alla prisca severità. La scandalosa condotta di sua figlia e di sua nipote, che condusse  -- A cool head, an unfeeling heart, and a cowardly  disposition, promtcd finn al thè age of nmeieen, to assume  thè maske of hypocrisy, which he never afterwards laid  aside. With thè saine hand, and proba’bly with thè same  temper, he signed thè proscription of CICERONE and thè  pardon of Cinna. His virtues, and even his vices, are  artifìcial -- Gibbon, Decime and Fall] all’esilio di entrambe, e di OVIDIO (si veda) complice o pronubo, dimostra che nella sua famiglia stessa si ha il senso netto del come si puo prendere sul serio una riforma morale che pretendeva attuare un individuo di siffatta ìndole e di siffatti  precedenti. Non ostante che all’epoca del trionfo di Cesare si avvicinasse alla sessantina, Cicerone non era  uomo che non sa comprendere i tempi. Li  comprende benissimo, più profondamente e sapientemente di Cesare e di Ottavio. La sua mente  e in pieno vigore. Subito dopo quell epoca egli  poteva scrivere quei suoi saggi di FILOSOFIA che suscitano l’ammirazione dei contemporanei e sono letti con entusiasmo o rispetto da tutte [Coglie veramente nel segno Aurelio Vittore: Cum esset luxuriae serviens erat eiusdem vitii severissimus ultor,  more hominum, qui in ulciscendis vitiis, quibus ipsi veliementer indulgent, acres sunt. E s. può dire d.  lui quel che Boissier dice di Domiziano: 1 ar malheur,  ce prince si sevère pour les defauts des autres, etait lui-mème très vicieux. 11 avait fait des lois rigoureuses contre  l’adultere et il vivait publiquement avec sa mèce, la bile  de Titus, qu’il avait enlevée à son mari et dont il causa  la mort en essayant de la taire avorter. Ce contraste etait  choquant, et il n’ ignorait pas qu’on en etait indigne (Tacite).] le generazioni successive. Poco più oltre egli  svolgeva anzi la sua azione politica più abile, più  decisa, piu energica e più importante, e, insieme,  con le filippiche raggiungeva un’altezza da lui  ancora non tocca nella forma d’arte che gli era  propria -- “divina„ chiama giustamente un giudice certo non facile, Giovenale, la seconda  di esse. La sua idea di portare alla luce del  mondo politico, sotto la sua direzione, il pronipote e figlio adottivo di Cesare, ancora ragazzo  -- ha  appena diciannove anni --, accordandogli anche onori che a molti pareno eccessivi, e di  riuscire così giovandosi del nome di Ottavio a far  rientrare il ribollente partito cesariano nell’ordine costituzionale e a dominare in tal modo una situazione difficilissima, e una idea geniale, abilissima, da politico grandemente avveduto, l’unica [Sull immensa influenza esercitata da Cicerone sui   a t“ di tutti ' tempi ' veg § asi ‘'furiente  r “, Z r fe ,v C f er , 0 o ™ Wandel dcr Jahrhunderte  I d-' P r a ' ed ;. lj^ 9 ) Strachan-Davidson nella  sua Vita di Cicerone, Heroes of thè Nations Series, dice giustamente che se si dovesse decidere quale degli  filosofi romani maggiormente influì sul mondo moderno, la decisione sarebbe in favore di Cicerone —  hrasmo, scrivendo ad un amico, dice che, se da giovane   aonr enVa rf matUra anda sempre più  apprezzando Cicerone. Ld è proprio giusto il noto giud. Z .o di Quintiliano. Ille se profecisse sciat, (e s. può  aggiungere: tanto gusto letterario, quanto in retti Jne  etico-politica) cui Cicero valde placebit. G. Sensi . y ita paratiti « di due fila.ofi] idea che in quel terribile cataclisma poteva dar  buoni frutti. Non è sua colpa se 1 idea non riuscì,  e proprio sopratulto per la perfidia senza scrupoli  del futuro Augusto. Per quanto avveduto e grandemente intelligente, un uomo di Stato fondamentalmente onesto come Cicerone, non fa entrare  nel suo giuoco la supposizione di una perfidia  enorme, di gran lunga travalicante la media nequizia umana, come fu quella di Augusto; nè si  può accusarlo di incapacità se non ve la fa entrare,  e se essa gli si rizza impensatamente dinanzi mandando a picco i suoi piani più accortamente e  sapientemente elaborati. Cicerone  assume risolutamente, nel momento più pieno di  vicissitudini e pericoli, la parte di leader del Senato e del popolo romano, come egli stesso scrive  a Cornificio -- me principem Senatui populoque  romano professus sum (Ad Dio.). Spiega un’attività prodigiosa, tanto verso gl’eserciti  quanto rispetto alla situazione interna, per dirigere   [Giustamente Platone osserva (Rep.) che  le persone oneste sono facili ad essere ingannate dai  malvagi perchè non hanno in sé il modulo dei sentimenti  di costoro (fire oòv. s'/ovre? èv éaotoT; ^ 7 iapaos'y|J.axa  óp. 0 i 07 ia{H) tot; nove^oi?) ; mentre però il malvagio, abilissimo nel suo comportamento coi malvagi, resta ingannato quando tratta coi buoni, perchè, giudicando da se,  e ignorando le indoli onesti, vede dappertutto inganni  (àruaT&v Tiapà xaipòv xaì àYVOtòv uytè; fjU'o;)] la lotta contro Antonio; getta di nuovo, attesta  scrivendo ancora a Cornificio, 1 fondamenti dello  Stato con la prima Filippica: “ fundamenta ieci  reipublicae „ (Ad D/v.); e al giocondo Peto conferma quanto abbia fatto, quanto  faccia e come ritenga che se dovesse in tale sua  azione perdere la vita l’avrebbe spesa bene ; “ sic  tibi, mi Peto, persuade, me dies et noctes mini  aliud agere, nihil curare, nisi ut mei cives salvi  liberique sint : nullum locum praetermitto monendi, agendi, providendi : hoc demque animo  sum, ut si in hac cura atque admistratione vita  mihi ponenda sit, praeclare actum mecum putem -- Ad Div. In questi primi mesi  del 43, Cicerone fu veramente il princeps, ch’egli  aveva idealizzato nel De republica : consigliere,  esortatore, ispiratore del Senato, dei consoli, dei  governatori delle provincie. Non è questa  la condotta d un uomo le cui facoltà spirituali siano  illanguidite. Ma, sopratutto, a prova della sua esatta comprensione dei tempi, basta ricordare come la riforma che occorreva allo Stato romano, pessimamente attuata, secondo attestò la susseguente vita  Amateli, Cicerone, (Bari, Laterza). Jamais Ciceron n a joue. un plus grande róle politique  qu à ce moment ; jamais il n’a mieux mérité ce nom d’hom-  me d Etat que ces ennemis lui refusent (Boissier, Cr-  céron et ses amis -- dell’Impero, da Cesare e da Augusto, fosse stata  prospettata per primo da Cicerone nel De Repubblica. L’introduzione, cioè, d’un nuovo e più  fermo principio d’autorità sotto forma di un rector  rerumpublicarum d’un moderator reipublicae d’un princeps civitatis (De Ti,ep.). Senonchè Cicerone, con molto maggior senso della  necessaria continuità di sviluppo dello Stato romano  e con molta maggior disinteressata cura di esso,  non intendeva che questa riforma dovesse rivolgersi a distruzione della costituzione esistente, bensì  che dovesse ingranarsi in essa e formarne un naturale complemento e uno svolgimento spontaneo  e logico ; “ homines non tarai commutandarum  quam evertandarum rerum cupidos, egli giudica  i cesariani -- De Off., mentre per lui la  costituzione romana, come esattamente nota lo  Zielinski, era “ capace di ogni progresso in quanto  questo conducesse all’accettazione e allo sviluppo  di idee feconde (fordeTnder), non di idee distruttive. La differenza tra il modo con cui egli  concepiva la riforma e il modo con cui la attuarono Cesare ed Augusto è si può dire scolpito  dalle seguenti sue due proposizioni : “ me nun-  quam voluisse plus quemquam posse quam universam rempublicam (jdd Div.); ego  sum, qui nullius vim plus valere volui, quam honestum otium. Ovvero: la differenza tra la concezione ciceroniana del princeps  e la pratica applicazione fattane da Cesare è resa  nel bell’ emistichio con cui Lucano descrive il modo di operare di quest’ultimo -- gaudens viam fecisse ruina. Basta riflettere a tutto ciò per scorgere tosto  che non solo la mente di CICERONE era nel suo  pieno vigore, ma altresì la sua comprensione dei  tempi (se per questa s’intende, non già furbesca  valutazione personalmente opportunistica delle circostanze, ma avvertimento delle necessità profonde  che ad un dato momento si presentano nella vita  sociale e politica d’un paese) era perfetta. Il  sovversivismo di Cesare è provato dal dolore  che per la sua morte manifestarono sopratutto gl’Ebrei  (qui etiam noctibus continuis bustum frequentabant -- Svet, Caes., cioè precisamente coloro che nel seno  nello stato romano, da essi violentemente odiato, costituivano la catapulta diretta a farlo saltare, e che, sotto la  veste del Cristianesimo, a farlo saltare effettivamente riuscirono. Si può anzi con sicurezza dire che l’impero romano si  deve agl’ebrei, perchè sono i loro lunghi tetri lamenti  intorno al cadavere di GIULIO Cesare che suscitarono nella plebaglia quella sommossa per e attorno al rogo del dittatore, la quale fa prender nuova forza al cesarismo. É  noto come per la commozione popolare che lo straziante  rito ebreo provoca colle sue lugubri lamentazioni orientali,  se ne ingenerò quel tumulto che dove mutare la faccia  de! mondo, mandando in fumo i diplomatici accordi con  Bruto e Cassio, che dovettero fuggire in Illirio : sicché ne  vennero le lunghe guerre civili e l’Imperio di Augusto „  (Ottolenghi, Voci JOriente, Lugano, Mente possente, senso politico sicuro, comprensione dei tempi piena. Non si può dunque attribuire a deficienze intellettuali il modo con cui  Cicerone valutò Cesare e il movimento da costui  capeggiato. Egli non vide certamente Cesare come  la sua figura si è plasmata nella storia, che corona  con eternità d’ apoteosi tutto ciò che ha trovato  in ogni presente la consacrazione del bruto successo di (atto. Lo vide come glielo presentava la  realtà immediata. Lo vide come lo vide Catullo:   Pulcre convenit improbis cinaedis,   Mainurrae pathicoque Caesarique. E questo Caesar era proprio Caio Giulio Cesare  e quel Mamurra (da Catullo soprannominato Mentula) il suo generale del genio. A permettere al  quale di  mangiare  (il verbo si usava anche in  latino con questo preciso significato) milioni su  milioni, il commovimento politico aveva principal¬  mente servito. Doveva essere una cosa nota a  tutti, se Catullo la mette correntemente in versi:   Cinaede Romule, haec videbis et feres?   Es inipudicus et vorax et aleo. Eone nomine, imperator unice, Fuisti in ultima occidentis insula.   Ut ista vostra diffutata Mentula  Ducenties comesset aut trecenties ? Cinaede Romule Romolo debosciato, impudico, vorace e giuocatore: cosi Catullo vede Cesare. E press’a poco così lo vede Cicerone.   Egli non scorge Cesare, quale il fanatismo interessato dei seguaci e poi gli storici l’hanno costruito: gli storici, i quali (in generale) non fanno  mai altro se non aggiungere, per supino servilismo  postumo, la loro adulatrice consacrazione al suc¬  cesso di fatto e di solito non osano mai, per la  paura di passar per “singolari,,, sviscerare il  clamoroso successo di fatto ottenuto da un grande nella età in cui visse, mettendone coraggiosamente  in luce le vere molle, spessissimo casuali, o basse,  o vili, ma sempre invece per essi è grande colui che nella sua epoca le circostanze, o la  perfidia, o i misfatti hanno portato in alto. Si vous avez une vue nouvelle, une idée origi nale, si vous présentez !es hommes et les choses sous  un aspect inattendu, vous surprenez le lecteur. Et le lecteur n’aime pas à ótre surpris. Il ne cherche jamais  dans une histoire que les sottises qu’ il sait dejà. Si  vous essayez de l’instruire, vous ne ferez que l’humilier  et le fàcher. Ne tentez pas de l’éclairer, il criera que  vous insultez à ses croyances... Un historien originai est  1 objet de la défiance, du mépris et du dégoùt universels.  Questo è l’abituale comportarsi degli storici, secondo la  satira, aggiustatissima, che ne schizza A. France, L’ ile  des Pingouins. Ci sarebbe solo da aggiungere che spesso il servilismo degli storici verso i pesonaggi della storia che scrivono serve al loro servilismo  verso i personaggi della storia che vivono. Cicerone vede Cesare muoversi davanti ai suoi occhi,  nella vita vera, non nella luce abbagliante del  mito. Esso gli appare screditato, corrotto, senza  senso di morale nè privata nè pubblica, uomo la  cui vita, i cui costumi danno la certezza che si  condurrà male : e sopratutto la danno la gente che  lo circonda. O Dii, qui comitatus ! in qua erat  area scelerum! scrive ad Attico, dopo  uno dei suoi abboccamenti con lui. Egli sa che  Cesare aveva cominciato a costruirsi la sua potenza  accaparrandosi e tenendo alle proprie dipendenze  i manigoldi audaci e bisognosi. Egli scorge. Nell' interessantissima antologia di pagine storiche  di Chateaubriand, testé pubblicata dall’editore Tallandier  sotto il titolo Scénes et portrails historiques, si legge. Tout personnage qui doit vivre ne va point  aux générations futures tei qu’ il était en réalité: a quelque  distance de lui, son epopèe commence : on idéalise ce  personnage, on le transfigure ; on lui attribue une puissance,  des vices et des vertus qu’ il n’eut jamais ; on arrange les  hasards de sa vie, on les violente, on les coordonne à  un système, Les biographes répètent ces mensonges ; les  peintres fixent sur la toile ces inventions et la posterité adopte le fantóme. Bien fou qui croit à l’histoire. L’histoire est une  pure tromperie „. E Montesquieu, dal canto suo aveva già  osservato : “ Les places que la posterité donne sont sujettes,  corame les autres, aux caprices de la fortune „ ( Grandeur  et décadence des Romains. Habebat hoc omnino Caesar : quem piane per-  ditum aere alieno egentemque, si eumdem nequam homi¬  nem audacemque cognorat, hunc in familiaritatem libentissime recipiebat (Fi/.radunata attorno a Cesare tutta la gente equivoca  e sospetta, violenta e disperata, tutte le anime dannate, vexu (<x (Ad Att. IX. 18), “ omnes damnatos,  omnes ignominia affectos, omnes damnatione igno-  miniaque dignos, omnem fere inventutem, omnem  illam urbanam et perditam plebem (Ad Att.,), tutti i giovani circa i quali pensava che “ma¬  ximas republicas ab adolescentibus labefactas,, (De  Seti.), tutti coloro ch’egli chiamava « perdita  iuventus (Ad Att.) e poc’anzi « barbatuli iuvenes, grex Catilinae »), feccia  di Romolo, i precursori di quella che  poi Giovenale denominerà «turba Remi»;  cosicché, egli scrive ad Attico, intorno a Cesare  è raggruppato tutto il canagliume della penisola,  cave autem putes quemquam hominem in Italia  turpem esse, qui hinc absit; osservazione identica a quella che è costretto a fare il  cesariano Sallustio: occupandae reipublicae in  spem adducti homines, quibus omnia probo ac luxu-  ria polluta erant, concorrere in castra tua (De Rep.  Ord.). Come Catullo, Cicerone vede con  disgusto i cesariani ormai dominatori darsi al lusso  ed al fasto, giuochi, cene, delizie, mentre Balbo  (altro comandante del genio di Cesare e sua longa  manus in Roma) si costruisce dei palazzi, “quae  coenae? quae deliciae?... at Balbus aedificat „ “(Ad  Att), e Antonio scorrazza l’Italia confi) Val la pena di riportare tutto il passo perchè esso ducendosi dietro in una lettiga aperta la sua amante  in un’altra sua moglie, “ septem praeterea coniun-  ctae lecticae amicarum sunt an amicorum ? „ l^/JJ  Att. X, IO) (I). Tutto ciò desta in Cicerone  una nausea invincibile: “ nosti enim non modo sto¬  machi mei, sed etiam oculorum, in hominum insocontiene un’osservazione di indole psicologica e morale  eternamente vera e colta da Cicerone dalla vita stessa  che lo circonda. At Balbus aedificat ; tl yàp «ÒTfij  péÀst ; Verum si quaeris, homini non recta sed vuluptaria quaerenti nonne [kfifwTai ? „ Cioè: “ Balbo pensa a  costruirsi palazzi. Che importa a lui di tutto ciò ? E in  verità, se a un uomo non sta a cuore la dignità e la coscienza, ma solo il suo interesse, fa bene a far così : può  dire ho vissuto   La ributtante figura d’Antonio risalta scolpita non  solo nelle lettere di Cicerone, ma, più ancora nelle Filippiche (v. specialmente FU. He.). Pagine che  stanno a dimostrare una volta di più come, in una situazione politica tirannica ed eslege, anche persone notoriamente  turpi possano salire ai più alti gradi, perchè il controllo  dell opinione pubblica e la possibilità di censure sono sop¬  presse dalla forza e la gente costretta al silenzio. Non  ostante, in un primo tempo Cicerone, usando l’avveduta  prudenza dell’uomo politico, aveva cercato di persuadere  quasi amichevolmente Antonio a rimanere nell'orbita della  legge. Ciò con la Fil. I, di cui è il caso di citare le se¬  guenti righe : “ Sin consuetudinem meam, quam in repu-  blicam semper habui, tenuero, id est, si libere, quae sen-  tiam, de republica dixero; primum deprecor ne irascatur,  deinde, si haec non impetro, peto ut sic irascatur, ut civi lentium indignitate, fastidium (Ad T)iv. Quanto a Cesare, egli è per Cicerone “ hominem  amentem et miserum che non ha mai conosciuta  neppur l’ombra dell'onestà, che considera la tirannide come il maggior dono degli Dei, (Ad Alt.), capace di ogni scelleraggine,  omnia taeterrime facturum, uomo del quale  “ vita, mores, ante facta, ratio suscepti negotii, sodi „ fanno ritenere che non potrà comportarsi se  non perdite. La sua  condotta sarà anche resa peggiore di quel che per  l’indole di lui sarebbe, dal fatto che il vincitore nella  guerra civile deve pur contro sua volontà operare ad  arbitrio di coloro che l’hanno aiutato a vincere. Omnia, scrive a Marcello, sunt misera in bellis  civilibus ; sed miserius nihil, quam ipsa victoria :  quae etiamsi ad meliores venit, tamen eos fero- [La stessa ripulsione, e per la stessa ragione, Filippo destava in Demostene. È circondato (egli dice) da  ladri, da adulatori, da gente che si abbandona a immoralità che non oso neanche ripetere. E De¬  mostene si illudeva che anche perciò Filippo sarebbe caduto. Geloso e ambizioso com' è (egli dice) allontana gli  uomini di valore, che gli danno ombra ; gli uomini assennati e morigerati, che sono rivoltati dalle sue immoralità  (àxpaafav xoO pioti -/.al xal xopSaxia|jioOs)   sono da lui cacciati e ridotti a nulla, TrapEwaHa'. xal sv  Ò'jSevò; s!va'. |ispei (ib. 18). Ma pur troppo i fatti  hanno sempre provato che è vana speranza contare che queste ragioni facciano cadere un uomo dal potere. L’esigenza  morale non trova sanzione nella storia e nella politica. ciores impotentioresque (più sfrenati) reddit ; ut  etiamsi natura tales non sint, necessitate esse cogantur ; multa enim victori eorum arbitrio per quos  vicit, etiam invito, facienda sunt„ (Ad Div.).  E su questo stesso pensiero insiste anche con Cor-  nificio (Ad ©iv. Xil, 18). Bellorum enim ci-  vilium hi semper exitus sunt, ut non ea soium fiant,  quae velit victor, sed etiam, ut iis mos gerendus  sit, quibus adiutoribus sit parta victoria La situazione scaturita dalla vittoria di Cesare  appare a Cicerone un mostruoso sfacelo dell’eticità  pubblica. “ Tutto allora in Roma precipitava a  rovina, religione, costumi, esercito, cittadinanza, popolo, senato, magistrati, privati ; e in quel rovescio  d’ogni cosa umana e divina, poneva i fondamenti  sanguinari la tirannia degli imperatori Cicerone vede come non appena Cesare, annientati i  suoi avversari, e rimasto solo sulla scena politica,  ha messo violentemente le mani sullo Stato, e in Il modo genuinamente italiano di considerare Cesare  è quello che un veramente grande italiano, il Carducci,  ci presenta nei due sonetti II Cesarismo , che cominciano  con le parole, estremamente significanti e pregnanti,  Giove ha Cesare in cura. Ei dal delitto  Svolge il diritto, e dal misfatto il fatto.   Entrambi i sonetti mentano di essere attentemente letti,  con la nota al v. 14 del secondo, che li accompagna.  Barzellotti, Delle Dottrine Filosofiche nei libri  di Cicerone.  seguito a ciò “ omnia delata ad unum sunt (jdd  Div.) al punto che Cesare redige in casa  sua, a suo libito, quelli che devono apparire come  senatusconsulta (Ad Div.), si formi un’atmosfera di falsità, di servilismo, di adulazione uni¬  versale, tanto da parte di privati quanto di enti  pubblici, cosicché non si distingue più il sentimento  sincero dalla simulazione, “ signa perturbantur,  quibus voluntas a simulatione distingui posset «  (Ad Att. Vil); (1) quell’adulazione e quel  servilismo, che, diventati poi a poco a poco oramai di rito, Lucano, più tardi sotto NERONE, stigmatizza con magnifici versi, facendone risalire  1' inizio appunto al dominio di Cesare. Cette abjection de la patrie releva I’ àme de  Cicéron par l’indignation et par la honte. La victoire de  Cesar, au lieu de l’en rapprocher, l’en éloigna. Le succès,  qui est la raison du vulgaire, est le scandale des grandes  àmes (Lamartine, Cicéron, Calmati - Levy, 1874,  pag. 167). E’ un libro, poco conosciuto, in cui Lamartine,  in forma simpaticamente piana e scevra da ogni erudizione,  presenta, nella sua nobile luce, e con accenti assai elevati,  la figura di Cicerone. Ne vogliamo, a conferma di precedenti osservazioni, estrarre ancora due passi. “ Les ambi-  tieux, les factieux, les séditieux, les corrupteurs et les cor-  rompus, la jeunesse, la populace et la soldatesque, les  barbares mèmes enrólés dans les Gaules, étaient avec  Cesar.  Coriolan... n’avait rien fait de plus  monstrueux... et cependant l’histoire a flétri Coriolan et a  déifié Cesar. Voilà la justice des hommes irréfléchis, qui  prennent le succès pour juge de la moralité des événements. Namque omnes voces, per quas iam tempore tanto  Mentimur dominis, haec primum repperit aetas.   Qua, sibi ne ferri ius ullum, Caesar, abesset,   Ausonias voluit gladiis miscere secures,   Addidit et fasces aquilis et nomen inane  Imperii rapiens signavit tempore digna  Maestà nota. Cicerone vede come, appena risultò che Cesare  era saldamente stabilito al potere, non solo i sovversivi ma anche gl’ottimati le vecchie figure  Si avverte che la parola  imperium qui non significa il nostro impero ma officio pubblico legale Lucano vuol dire che Cesare copri l’usurpazione, assumendo falsamente il semplice nome d’un officio  pubblico legale. Come è noto, è sopratutto col nome di  potestà tribunicia che ( usurpazione si effettuò. Nel libro,  ricco di dottrina e di acume, di G. Niccolint, Il Tribunato della Plebe (Hoepli) si mostra che 1’ impero  si costitui deformando e nell’ istesso tempo assorbendo la  potestà tribunicia. « L'impero non era, in ultima analisi,  che il trionfo della democrazia [più esatto sarebbe dire:  demagogia], e se chi aveva fondato il suo potere sul partito  democratico, non poteva abolire la pericolosa magistratura,  non gli restava che appropiarsela nella sua sostanza, se  non nella forma esteriore... Cosi la temuta magistratura,  nata per difendere la libertà del popolo, che conteneva  perciò elementi di sovranità atti a svilupparsi in tirannide costituiva ora l’essenza del potere civile del monarca. 11 contegno adulatorio e vilmente opportu¬  nistico comincia con gli uomini il cui prototipo è Attico.  C’est assurément ce qui nous répugne le plus dans sa  vie ; il a mis un empressement fàcheux à s’accomoder au  regime nouveau „ (Boissier, Cicéron et ses amis).  politiche, abili a restar sempre a galla, “ huic se  dent, se daturi sint „, sia pure perchè terrorizzati,  sebbene essi ora dicano che lo erano quando ossequiavano Pompeo (Ad Alt); come essi  se^ venditant „ a lui, mentre i'municipi fanno di  lm vero Deum, e il grosso del  pubblico sta inerte, passivo, indifferente, non pensa  che alla propria tranquillità (otium), non rifiuta,  come non ha mai rifiutato, nemmeno la tirannide  dummodo otiosi essent, non si  occupa che dei campi, delle ville, dei quattrini,  nihil prorsus aliud curant nisi agros, nisi villulas,  msi nummolos suos; atonia che  si aggravo ancora più tardi quando diventava po^  tenie Antonio : “ mihi stomachi et molestiae est  populum romanum manus suas non in defendenda   YA/I own ," plaudendo consumere (Ad Att.  AV| . lU- Ma questa prosternazione e adula- [Anche qui si riscontra un parallelo nella potente  e \ ibrante invettiva di Demostene per l’inerzia dei Greci  del suo tempo. Non e senza ragione (egli dice) che i  Greci una volta avevano a cuore la libertà e ora invece  hanno a cuore la servitù. Gli è che allora (prosegue) vi   iTera^ C ° Sa 'vi  Persian ° e fece la Grecia   def rarH mVlnC |! bl 6 “ T* ® “ mare : ed era la fermezza  (Filla 36 C 37ìT 81 asciavano corrompere e comprare   uiterr di bene ** Gr “ j .' 1 era un tempo non avere   fil ventre el’“7 qUa 'Ì la misura della felicità  e il ventre e 1 inguine (xig yaatpl jisxpoOvtsc xaì iole   V ' l0X ° tS Tr ' v £tJ °aqtovtav) l a libertà fu bevuta alla     zione universale, questo continuo panegirismo ormai diventato di prammatica, non è, per Cicerone,  se non un’universale falsificazione di coscienza,  quella stessa per cui più tardi egli osservava che  i cittadini gementi sotto l’oppressione avevano dato  a Cesare colpevole dell’ orrendo parricidio della  patria il titolo di parens patriae : “ potest cuiquam  esse utile faedissimum et taeterrimum parricidium  patriae, quamvis ìs, qui se eo abstnnxerit, ab oppressi civibus parens nominaretur ? ,, {De Ojf.) Questa situazione che fa fremere d’orrore Cicerone, nella quale egli trova che non c e   salute di Filippo e di Alessandro. E, data questa vostra  viltà e servilità, (dice altrove) è mutile che speriate nella  malattia o nella morte di Filippo : anche se muore, vi  creerete tosto voi stessi un altro Filippo, "ay^Éu; upet;  gxepov OIXiotvov Tìsir/ae-re (Fil.). In questo stesso luogo, volendo Cicerone dimostrare  che l'utile e il giusto non possono distinguersi, scrive fra  l'altro : « Hanc cupiditatem [quella di Cesare di voler  dominare tirannicamente la patria] si honestam quis esse  dicit, amens est ; probat enim legum et libertatem mteritum,  earumque oppressionem taetram et detestabilem glonosam  putat ». Come, aggiunge, può essere ciò utile all usurpatore?  Anche i re legittimi hanno avversari ; « quanto plures ei  regi putas, qui exercitu popuh romani populum ipsum  romanum oppressisset ? Ricco com’era d’un pathos etico affine a quello di  Kant, si intuisce chiaramente dalle sue lettere e dai suoi  scritti che egli sentiva profondamente, come il filosofo  tedesco, che il “ dovere relativo alla dignità dell umanità  in noi, e che è per conseguenza un dovere verso noi  piu posto“ non modo pudori, probitati, virtuti, rec-  tis studiis, bonis artibus, sed omnino Iibertati ac   Dh ), gli appare sopraia!,„  basata sulla menzogna e sul falso, perchè sotto  1 adesione, 1 adulazione, l’apoteosi che l’atmosfera  ufficiale orma, impone, circola larghissimamente  quel malcontento e quell’esecrazione generale verso  ì distruttori dello Stato legale, che egli constatava  già precedentemente quando essi avevano iniziata  tale loro opera di demolizione (“ sumiTITJm odium  omnium hominum in eos qui tenent omnia ; mutationis tamen spes nulla Ad Alt.). Questa esecrazione generale, sotto le parvenze dell’ossequio più profondo, s’è ora concentrata in Cesare,  il quale, dopo poco tempo di dominio, ormai in  realta persino “ egenti ac perditae multiludini in  odium acerbissimum venerit. Invero,  Cesare stesso sapeva d’essere odiato e di dover  esserlo, sopratutto per la posizione di superiorità  e distanza, così urtante al senso cittadinesco romano, che egli aveva finito per prendere : dopo  la sua uccisione, Mazio racconta a Cicerone che    stess., può esprimersi in modo più o meno chiaro nei  seguent, precetti: non siate schiavi degli uomini: non  permettete che , vostri diritti siano impunemente calpe¬  stati „ (Dottr. della Virtù § 12). Che è, del resto, il  precetto evangelico : \ii) r £veafre SotW.c- àv&pdmwv (1,   SU V1 ’ 2 ' 3 1 t V Xeu ^ e P t( É Xptaxòs   UylCWXw!]) ^ ” 4Xlv tu r»   G. Reati . Vita parallele di due filosofi   avendo dovuto una volta Cesare far fare antica¬  mera a quest ultimo, aveva detto : se un uomo  come Cicerone deve attendere per essere introdotto  da me e non può a piacer suo parlarmi, “ ego  dubitem quin summo in odio sim „ ? (Ad Att.  XIV, 1 e 2) A proposito dell’uccisione di Cesare. Vi sono molti  i quali pensano che perchè Bruto era stato « perdonato »  da Cesare e poi anzi « beneficato », egli dirigendo  il  tradimento e l’uccisione del suo benefattore, abbia dato  « perfido esempio di cuore ingrato e irreverente » (Corradi). Questa opinione è la tipica prova della completa  mancanza d’ogni senso di ciò che è diritto. Proprio il fatto  che Cesare gli aveva perdonato », doveva essere per  Bruto una giusta ed onesta ragione di più per abbonirlo.  Bruto aveva preso le armi contro Cesare in difesa dello  Stato legale : dunque conforme al diritto. Decidere sul suo  caso, condannarlo od assolverlo, spettava alle autorità legali  (Senato), non a un individuo. Il solo fatto che non già le  leggi o le autorità legalmente costituite, ma l’individuo  Cesare, potesse a suo beneplacito interrompere o far  proseguire i processi, ordinare condanne o assoluzione,  assolvere Bruto, perdonare a Bruto (quasiché condannare  od assolvere, e, peggio, « perdonare », supposto si trattasse  di delitto, fosse di competenza d’un individuo, e quasiché  questo stesso fatto non comprovasse lo sfasciamento dello  stato legale compiuto da Cesare) era una ragione di più  per avversare e condannare legittimamente l’uomo e il  sistema, e per ricorrere ad ogni mezzo onde liberarsene.  Che, per citare un altro fatto, onde far ritornane Marcello  dall esilio ì senatori abbiano dovuto pregare un individuo,  gettarsi ai piedi d un individuo, dell' individuo Cesare, è  un fatto che doveva legittimamente suonar condanna per   Era, insomma, la situazione che un filologo italiano contemporaneo descriveva di recente crn  tutta esattezza così: La crescente potenza di  Cesare, il quale, dopo la funesta giornata di Farsalo, erigendosi a signore assoluto, e sopprimendo  la libertà della vita politica di Roma, aveva, per  primo, inaugurato la lunga e mostruosa serie degli questo individuo, che si sovrapponeva in tal guisa alle  leggi : condanna, anche quando  perdonava, perchè  precisamente così dimostrava che dipendeva, non più dalle  leggi assolvere o condannare, ma da lui perdonare o no.  Piena ragione ha Seneca quando in un capitoletto pieno  di considerazioni interessanti circa l’atto di Bruto, dice che  egli non aveva ragione di gratitudine verso Cesare, perchè  questi non aveva acquistato il diritto di fare il bene se  non violando il diritto e perchè chi non uccide non arreca  un beneficio, ma si astiene da un maleficio : in ius dandi  beneficii iniuria venerai; non enim servavit is, qui non  interficit, nec, beneficiun dedit, sed missionem. -- De Benef.. Del pari piena ragione ha Cicerone, il quale, ad  Antonio, che gli rinfacciava come un benefizio usatogli di  non averlo ucciso al suo sbarco a Brindisi, rispondeva :  questo è lo stesso beneficio di cui potrebbe vantarsi un  assassino per non aver ucciso taluno : « quod est aliud  beneficium latronum, nisi ut commemorare possint iis se  dedisse vitam, quibus non ademerint ?  (Fil.).  E si noti ancora che Seneca e Lucano, vivendo entrambi  alla corte di Nerone, il quale, pure, era della casa Giulia, poterono il primo dare a Bruto la massima delle lodi  facendo dire da Marcello a sè stesso: “ tu vive Bruto  miratore contentus (Ad Helviam), il secondo  dipingere nel suo poema con smaglianti colori di grandezza morale “ magnanimi pectora Bruti mperatori romani ; la viltà degli adulatori, che  disertavano il partito dei vinti per quello più van-  taggioso dei vincitori ; le mene degli ambiziosi,  che, r er trar partito dalle circostanze ad accu¬  mular potenza e ricchezze, pullulavano su su dal  fondo di quella corrotta società, come marcida  fungaia dal fondo d’un’ acqua stagnante ; le crudeltà dei prepotenti, che volevano, anche a mezzo  di violenze e di sangue, aprirsi un varco nella  folla dei concorrenti a quella specie d’albero della  cuccagna ch’erano le usurpazioni dei poteri dello  Stato con le loro mille seduzioni e promesse di  dominio e di saccheggio dei beni pubblici e pri¬  vati ; il vivo cordoglio e l’abbandono sconsolato  in cui vivevano, nell’esilio volontario o non volon¬  tario, le anime dei virtuosi e degli onesti, fautori  del partito repubblicano ; tutto insomma contribuiva  a mostrare l’immagine dell’irreparabile catastrofe. Anziché assopirsi, cresce a dismisura nelle classi  non mai dome nel loro caratteristico orgoglio, il  malcontento per il nuovo regime... La miseria in¬  tanto cresce spaventosamente in Roma e nella  provincia ; lo spettro della fame s’aggira nelle  campagne desolate e incolte dell’ Italia ; le classi  medie e il popolino sono ridotti alla miseria ed  alla disperazione... Torme di miserabili si vedono  per ogni dove languire d’ozio e di fame U. Moricca, Introd. a Cicer. De Finibus, Torino,  Chiantore Ora, tanto appare a Cicerone falsa e menzognera  la situazione che egli è certo che non può durare.  La maschera di clemenza di Cesare e le sue bugie  circa la restaurazione finanziaria (“ divitiarum in  aerario „) sono cadute; è impossibile che egli e  i suoi, non d’altro capaci che di scialacquare, riescano ad amministrare soddisfacentemente le pro-  vincie e lo Stato ; cadranno da sè, per gli errori  propri, “ per se, etiam languentibus nobis ,,, “ aut  per adversarios aut ipse per se, qui quidem sibi  est adversarius unus acerrimus. Questa tirannide  non può reggere sei mesi, “ iam intelliges id regnimi vix semenstre esse posse Probabilmente, ciò di cui Cicerone avrebbe sopra¬  tutto incolpati i cesariani è che essi cadevano in quell’errore che il Romagnosi descrive così : “ La temerità e  l’intolleranza sono i vizi che sogliono guastare questo procedimento [inventivo dell’ incivilimento). Si pecca di teme¬  rità allorché si tentano innovazioni o rifiutate dalla natura  o non preparate sia nei fondamenti, sia dal tempo. Si  pecca d’intolleranza allorché si vuole seminare e raccogliere ad un sol tratto, e però si passa ad infierire con¬  tro attriti che da se stessi vanno cessando in forza della  riforma fondamentale già praticata. Siate severi nel man¬  tenere la giustizia, e nel rimanente lasciate operare il  tempo sul fondo ben disposto. 1 vostri stimoli artificiali,  le vostre correzioni minute, invece di giovare nuociono,  invece di affrettare ritardano; e se per caso avrete un  frutto precoce, ne avrete mille falliti » {Dell’ Indole e dei  Fattori dell’ Incivilimento, Avvertimento finale). Auree pa¬  role d’uno dei nostri massimi pensatori politici, che an¬  drebbero anche oggi meditate e tenute presenti. Alle Tale previsione di Cicerone andò incontro ad  nna smentita colossale. Quella “ divinatio „ dell’andamento degli eventi che egli, ricavatala dallo  studio e dalla pratica, aveva la coscienza di pos¬  sedere ( 1 ), qui gli fallì del tutto. E' vero che Cesare quali vanno accostate, sempre ad illustrazione del senti¬  mento politico, che, in quelle perturbate circostanze, si  sprigionava vivo in Cicerone, le seguenti: “ guai a quel  popolo, nel quale, spento il punto d’onore, non prevalgono che poteri individuali! „ (/„,/. di Ciò. FU Giurispr.   T e ° r \. P \ 1,1 C - 1V ): nonché la sua affermazione  dei diritti dell uomo, da lui chiamati “ originaria padro¬  nanza naturale di ogni individuo “ Quelli che vennero  appellati diritti dell'uomo formano appunto il complesso  di questa originaria padronanza. L’indipendenza, la libertà  1 eguale inviolabilità e il diritto di difesa e di farsi render  ragione, sono tutte condizioni di questa originaria padronanza „ (Lett. a G. Valeri , Cu, quidem divinationi hoc plus confidimus, quod  ea nos mhil in his tam obscuris rebus tamque perturbatis  umquam omnmo fefellit. Dicerem, quae ante futura dixissem,  ni vererer ne ex eventis fìngere viderer » (Ad Dio. VI,  o). Exitus, quem ego tam video animo, quam ea quae  ocuiis cemimus » (Ad Dio. Tamquam ex aliqua  specula prospexi tempestatem futuram. Questa  sicura previsione degli eventi, questo sicuro presentimento,  Cicerone lo possedeva in effetto. Anche nella circostanza  suaccennata egli prevedeva giusto, preveveva cioè quello  che tutto faceva ritenere dover accadere. Se i fatti si svolsero  in senso del tutto opposto alla sua previsione, si può, in  un certo senso, dire che ebbero torto i fatti, non Cicerone;  cioè che la realtà è irrazionale e casuale, e che mai vi  tu un periodo di storia che sia stato come quello irrazionale  e casuale.   fu ucciso poco dopo e probabilmente lo fu quando  e perchè divenne chiara a tutti I’ impossibilità in  cui egli era di dominare la situazione, di riordi¬  nare cioè seriamente lo Stato e di soddisfare insieme le brame dei suoi seguaci (1), cosicché  Mazio — uno dei pochi cesariani onesti, che, come  risulta da una sua nobilissima lettera (Ad T)iv. , non aveva sfruttato Cesare vivo, e che  gli rimase fedele anche morto, e anche durante  quel momento in cui, subito dopo l’uccisione del  dittatore, il cesarismo sembrava crollato e i cesa¬  riani in pericolo — diceva, deplorandone la morte:   che catastrofe ! non c’è più rimedio ; se lui,  con 1’ ingegno che aveva, non trovava la via d’u¬  scita, (exitum non reperiebat), chi la troverà  ora ? ,, (Ad Att.). Ma dopo la morte  di Cesare, come appunto prevedeva Mazio le cose  finirono per peggiorare rapidamente. Anche Cice¬  rone è costretto a constatarlo. Il tiranno perì (egli  dice) ma vive la tirannia (Ad Att. Va però tenuta presente anche la profondissima  osservazione di Montesquieu : « Il étoit bien difficile que  Cesar pùt défendre sa vie ; la plupart des conjurés étoient  de son parti ou avaient été par lui comblés de bienfaits :  et la raison en est bien naturelle. Ils avoient trouvé de  grands avantages dans sa victoire : mais plus leur fortune  devenoit meilleure, plus ils commen 9 oient à avoir part  au malheur commun : car, à un homme qui n’ a rien, il  importe peu à certains égards en quel gouvernement il  vive » (Grandeur et décadence d siamo liberali dal re dai regno (yìj Di,. /aj' fi marzo non consolano più come  pnma (Ad AH. XIV, 12, 22): stolta L iZZ  Martmrum consolano, animis usi sumus virilibus  cooubs puenbbus ; excisa est arbor, non avulsa   ^ i, fi ; e st . a ‘° Iasc,al ° vi vo in Antonio  1 erede del regno (ih. XIV, 21); si poteva con   piu libertà parlare contra illas nefarias partes   xiv r vivo che non uccitó   ' X V ’ 1 : lnfine crebbe meglio che Cesare   vivesse ancora “ nonnumquam Caesar desideran-  dus , Infatti, la situazione era di¬  ventata quale la descrive ad Attico così • “ S ed  vides magistrati ; si quidem illi magistratus'; vides  tyranni satellites m impems ; vides eiusdem exer-  cniis ; vides in latere veteranos In conseguenza il sistema di governo che Cicerone  prevedeva non poter durare un semestre, durò  invece, continuamente aggravandosi o peggiorando  per quattordici secoli, cioè per quanto visse l’impero bizantino.   Ma la fallacia di questa previste   la torio all. mente di Cicerone. E' la fallacia  propria delle menti profondamente razionali, che  hanno una fede inconcussa nella ragione ; e la  mente di Cicerone era appunto secondo la felice  dennizione che ne dà Io Zielinski, un “ Aufkà-  rungsvers tand. A codeste menti è impossibile  (I) O. c. .ammettere che la mostruosità, l’irrazionalità, l’assurdo vengano a tradursi permanentemente nel fatto,  si facciano solida e stabile realtà. "Ciò è assurdo,  quindi è impossibile „ ; questo è per siffatte menti  un canone assolutamente insopprimibile, sradicando  il quale essa sentirebbero di strappar le proprie  medesime radici. A cagione della stessa forza della  loro compagine razionale, è ad esse impossibile  riconoscere che il fatto che una cosa sia assurda  non impedisce menomamente che essa divenga  realtà e che anzi quasi sempre nella storia umana  avviene che ciò che all’ inizio la mente scorgeva  come cosa “ assurda », “ pazzesca „, implacabil¬  mente ciò non ostante si realizza. Come buon  platonico Cicerone non poteva a meno di essere  fermamente convinto che oòx eattv Sit àv xij |a£r;ov  xoótotj xaxòv TTaìfoi y) Xóyou? (juar^aag (Fed..).  Nel logos egli aveva indefettibile fede. Egli scorgeva  dietro a sè, fin dove 1 occhio della memoria poteva  giungere, soltanto governo di popolo. Questo era per  lui una conquista permanente» della civiltà, la civiltà stessa, la civiltà che non può perire. Con tale  forma di governo il suo spirito si era immedesi¬  mato ; essa faceva parte essenziale della sua coscienza d uomo, formava il cardine su cui poggiava  tutta la sua vita spirituale Pensare che tale   Che tale stato d'animo fosse non solo ciceroniano ma romano, emerge anche da ciò che l’indignazione per la caduta di quella forma di governo si  formi potesse crollare e permanentemente scomparire, era come pensare che potesse precipitare  tutto ciò che si è sempre visto stabile, la terra,  il sistema solare, ciò che è l’incarnazione di un’eterna legge della natura. Sempre gli uomini quan-  o si sono trovati in una fase di cangiamento analoga a quella in cui si trova Cicerone_e   tanto più quanto più la loro mente era fortemente  razionale hanno emesso la medesima errata previsione di lui ; ciò è assurdo, quindi impossibile,  quindi non può durare. prolunga sino in S. Ambrogio, in cui, da signore romano  d antica razza quale era, la romanità viveva ancora, Hic  erat pulchemmus rerum status, nec insolescebat quisquam  perpetua potestate, nec diuturno servitio frangebatur. Nemo  audebat alium servitio premere, cuius sibi successuri in  honorem mutua forent subeunda fastidia; nemini labor  gravis quem dignitas «ecutura relevaret. Sed postquam do-  mmandi libido vindicare coepit indebitas et ineptas nolle  deponere potestates... continua et diuturna potentia gignit  msolentiam. Quem invenias Hominem qui sponte deponat  impenum et ducatus sui cedat insigne, fiatqe volens nu-  mero postremus ex primo? {Hexameron).  . ^ osa & nota : lo stesso errore, la stessa   illusione— nobilissimo errore ! troviamo, come già si  e rilevato, in Demostene, il dramma della cui vita fa  esattamente riscontro a quello di Cicerone. Anche Demo-  j. en „ e . p - e - ne,,a seconda Olintiaca prevedeva che la potenza  di rilippo era alla fine ; npÒQ a ùvfjv tfy.ec ~riv teXsut^v  t« «payiiax aòttji (§ 5). E questa previsione era per  lui principalmente fondata appunto sul fatto che una potenza  costrutta sulla malvagità non può durare. Oò yàp gcmv,  Il dramma, terribile dramma, della vita di Ci¬  cerone, è appunto questo. II dramma dell’uomo   oìjy. laxiv, u> àvopEg ’Avrjvatoi, àSixoùvta -/.al èruop-  xoOvxa xa: ^£'joÓ|ìsvov Sóvajuv j3ej3aiav XTiqaaad’at...  xwv jrpà^ewv xàg àp%à<; xxl xàg ÒTtofliaeig àX^S-sT;  xa’. òtxaiag Etvai /tpcaTjxei. E nemmeno dieci  anni dopo Filippo trionfava definitivamente a Cheronea.  Ad ogni momento troviamo questi pensieri nelle orazioni  di Demostene, che perciò sono cosi istruttive circa le  illusioni in cui il « razionalismo » induce gli uomini. Ma  neppure la battaglia di Cheronea guarì Demostene dal1 illusione. Plutarco narra che quando Filippo fu assassinato,  Demostene comparve nell’assemblea, raggiante, tpatSpòg,  splendidamente vestito, incoronato: con la morte dell’uomo,  secondo lui, la costruzione improvvisata ed effimera doveva  certo crollare. E quando Alessandro si fece avanti a sorreggerla Demostene rideva di quel ragazzo imbecille, ndsioa  xai |ia T txT)V (Plot., Dem.). Ma la costruzione  fondata sulla perfidia, e che perciò, secondo Demostene,  non poteva reggersi, sboccò invece nel trionfo addirittura  fantastico ottenuto appunto da Alessandro. Gli uomini non  possono rassegnarsi a credere che una politica malvag-a  possa ottenere un successo duraturo, che il male trionfi  permanentemente. Pur troppo, invece, è questa una pia  illusione; e le cose vanno precisamente cosi. E gli astrattisti,   1 razionalisti, gli spiritualisti, non sanno ricavare dal  male che sotto ì loro occhi permanente trionfa, neppure  quell unico bene che vi si potrebbe ricavare: quello cioè  di essere definitivamente istrutti dell andamento assolutamente arazionale, alogo, ateo, del mondo e della vita.  Chiusi nel loro mondo dei meri concetti, è a quelli e  alle deduzioni da quelli che continuano a credere, anziché  aprire gli occhi ai fatti. < Sapiunt alieno ex ore petuntque  res ex auditis potius quam sensibus ipsis » (Lucr.).  che con disperazione vede rovinare intorno a sè  senza possibilità di salvezza il mondo civile di  cui la sua più intima vita stessa era intessuta, il  mondo razionale e trionfare ineluttabilmente,  in causa impia, victoria etiam foedior  ( T)e  Off.), l’ingiustizia ed il male, una  forma di mondo umano “ impensabile assurda,,.  11 dramma della coscienza eticamente desta che  vede con orrore ciò che essa giudica aberrazione  morale e iniquità acquistare ufficialmente il carat¬  tere di nobiltà, grandezza, elevazione, e avviarsi  a restare definitivamente sotto questo aspetto nella  storia. Quando si fa a poco a poco chiaro nella  mente di Cicerone 1 ineluttabilità dell’evento, quando  egli è ormai costretto a vedere che non c’è più  speranza, a domandarsi: quae potest spes esse  in ea republica, in qua hominis impotentissimi  (violento) atque intemperantissimi armis oppressa  sunt omnia ? „ (Ad Div.); quando deve constatare che “ tot tantìsque rebus urgemur, nullam  ut allevationem quisquam non stultissimus sperare  debeat „ (Ad Div.), il suo strazio non ha  confini- Ciò che già precedentemente, quando tale  condizione di cose si delineava, egli cominciava  a sentire, civem mehercule non puto esse qui  temporibus his ridere possit „ (Ad. Div.),  diventa ora il suo stato d’animo permanente. La  vita non ha più sorriso : “ hilaritas illa nostra  erepla mihi omnis est. Il suo grido è quello del coro degli Spiriti nel Fausi. Du hast zerstòrt   Die schòne Welt Mit màchtiger Faust; Sie stiirzt, sie zerfàllt! Ein Halbgott hat sie zerschlagen ! Wir tragen   Die Triimmern ins Nichts hinuber Und kiagen   Uber die verlorne Schòne.   Questo dramma strappa a Cicerone espressioni  di dolore profondamente dilacerante. E la sua  corrispondenza è forse la lettura più viva che l’an¬  tichità e probabilmente la letteratura d’ogni tempo  ci offra, appunto perchè, come in nessun altro scritto, vi si scorge con l’immediata evidenza della vita  vissuta e quasi vedessimo la cosa svolgersi giorno  per giorno sotto i nostri occhi, come sotto quel  dramma sanguini il cuore d’un uomo. Certo anche la  terribilità della sua rovina personale affligge gravemente Cicerone : “ natus enim ad agendum   semper aliquid dignum viro, nunc non modo a-   gendi rationem nullam habeo, sed ne cogitandi   quidem (Ad Div.) ; ed egli ha ragione   di deplorare di essere stato travolto proprio nel  momento in cui avrebbe potuto e dovuto, cogliendo  il frutto dell’opera della sua vita, toccare l’apice  della sua carriera. Omnis me et industriae meae  fructus et fortunae perdidisse Casu  nescio quo in ea tempora aetas nostra incidit, ut  cum maxime florere nos oporteret, tum vivere  edam puderet. Certo anche la rovina che incombe sulla sua famiglia e specialmente sulla sua figlia lo tortura.Quibus in miseriis  una est prò omnibus quod istam miseram patre,  patrimonio, fortuna omni spoliatam relinquam  (Ad Att. XI, 9). Ma ciò che forma il crepacuore  di Cicerone non è la sua situazione personale,  bensì il baratro in cui è precipitato lo Stato. Sed tamen ipsa republica nihil mihi est carius  (Ad Dio.). “ Ego enim is sum,  qui nihil umquam mea potius, quam meorum ci-  vium causa fecerim. Ma ora ? Ego  vero, qui, si loquor de re publica, quod oportet,  insanus, si, quod opus est, servus existimor, si  taceo, oppressus et captus, quo dolore esse debeo ? (Ad Att.). Due sono sopratutto le note in cui erompe  1 espressione di questo suo strazio. In primo luogo,  andarsene, andarsene dovunque, pur di non veder  più simili cose: “ evolare cupio et aliquo pervenire  ubi nec ‘Pelopidarum nomea nec facta audiam „  egli ripete con un tragico antico (ib. VII, 28, 30,  Ad Att.); “ ac mihi quidem  iam pridem venit in mentem bellum esso aliquo  exire, ut ea quae agebantur hic, quaeque dice-  bantur, nec viderem nec audirem (Ad ‘Dio. IX,  2); “ longius etiam cogitabam ab urbe discedere,  cuius iam etiam nomen invitus audio. Tu mi sembravi pazzo (scrive a Curio) quando  abbandonasti Roma per la Grecia, ora veggo che  sei “ non solum sapiens, qui hinc absis, sed etiam  beatus : quamquam quis, qui aliquid sapiat, nunc  esse beatus potest ? „ (Ad Db. VII, 28). E’ il  desiderio che si fa strada persino nei suoi trat¬  tati, p. e. nelle Tusculane, dove parlando di Da-  marato. Io giustifica cosi : “ num stulte anteposuit  exilii libertatem domesticae servituti? O, se andarsene non si può, almeno ritirarsi in  solitudine : “ nunc fugientes conspectum scelerato-  rum, quibus omnia redundant, abdimus nos, quam-  tum licet, et saepe soli sumus „ (De Off.). In secondo luogo, morire. “ Perire satius est,  quam hos videre „ (Jd Db. Vili, 1 7) Mortem]  quam etiam beati contemnere debebamus, prop-  terea quod nullum sensum esset habitura (I), nunc    (1) Che cosa pensi intimamente Cicerone della vita  futura, risulta, non già dal quadro, avente scopi puramente  estrinseci, che traccia nel Somnium Scipionis. ma dalla  sua corrispondenza Oltre il passo sopra ricordato, e due  altri, (Ad Dw.) ricordati più innanzi, basterà  citare: « Fraesertim cum impendeat, in quo non modo  ^ or ,*. v erum finis etiam doloris futurus sit. E anche in altre opere di Cicerone questo suo  vero pensiero si manifesta. Cosi nelle Tusculane. Mors. aeternum nihil sentienti receptaculum. Cosi in  Pro Marcello (IX) c Q uo d (la fine) cum venit, omnis  voluptas preterita prò mhilo est, quia postea nulla est  futura» Cosi in Pro Cluentio: quid  ei tamdem almd mors eripuit, praeter sensum doloris ? sic affecti, non modo contemnere debeamus, sed  etiam optare » ( ib. V. 21); la filosofia sembra  < exprobrare quod in ea vita maneam, in qua  nihil insit, nisi propagatio miserrimi temporis ; non si sa <si aut hoc lucrum est  aut haec vita, superstitem reipublicae vivere  ; « nam mori millies praestitit quam haec  pati (Ad. AH.) ; « eis conficior curis,  ut ipsum quod maneam in vita, peccare me exi-  stimem > (Ad Div.);  mortem cur con-  sciscerem causa non visa est, cur optarem, multae  causae. In uno spirito, così profondamente romano, cioè volto all’attività pratica  e civica, la desolazione dello Stato faceva spuntare questo pensiero: « Ipsi enim quid sumus ?  aut cum diu haec curaturi sumus ? » (jdd Att.); quid vanitatis in vita non dubito quin  cogites  (Ad Div.). Cosi, pur nell'atto che  prevede la prossima caduta del cesarismo, dice :   Allo stesso modo la pensava Cesare, il quale nel discorso,  riferito da Sallustio, da lui tenuto in Senato circa la pena  da darsi ai complici di Catilina, si oppose alla pena di  morte appunto perchè con questa cessa la coscienza e  quindi ogni male : « Eam cuncta mortalia dissolvere ; ultra  neque curae neque gaudio locum esse» (Cat.). Va  però notato che Cicerone dà un’altra interpretazione a  questo punto del discorso di Cesare. Cesare cioè era  contrario alla pena di morte. Egli « intelligit, mortem a  diis immortalibus non esse supplici causa constitutam, sed  aut necessitatem naturae, aut laborum ac miseriarum  quietem esse. -- In S. Catilinam.). id spero vivis nobis fore ; quamquam tempus  est nos de illa perpetua iam, non de hac exigua  vita cogitare » (Ad. Att.). E il pensiero della  morte come unico scampo e rifugio viene a grandeggiargli dinanzi in modo, che bene spesso lo  vediamo insinuarsi anche nei suoi scritti teorici :  così, p. e., nel proemio del terzo libro del De  Oratore : « sed 11 tamen rei publicae casus secuti  sunt, ut mihi non erepta L. Crasso a dis immor-  talibus vita, sed donata mors esse videatur;  e così nelle Tusculane : multa mihi ipsi ad  mortem tempestiva fuerunt, quam utinam potuissem obire ! nihil enim iam acquirebatur, cumulata erant officia vitae, cum fortuna bella restabant. Morte per sè, morte per coloro che  amiamo ; questo soltanto è ciò che lo status  ipse nostrae civitatis ci costringe a desiderare: cum beatissimi sint qui liberi non susceperunt,  minus autem miseri qui his temporibus amiserunt,  quam si eosdem, bona, aut denique ahqua republica,  perdidissent... non, mehercule, quemquam audivi  hoc gravissimo, pestilentissimo anno adolescentulum  aut puerum mortuum, qui mihi non a Diis immorta-  libus ereptus ex his miseriis atque ex iniquissima  conditione vitae videretur (Ad Div.).   Ne solo nell animo di Cicerone il trovarsi « in  tantis tenebris et quasi parietinis rei publicae induceva il desiderio di sfuggire a  questo sfacelo con la morte ; ma tale sentimento  era certo diffuso. Nella bellissima lettera con cui Servio Sulpicio cerca di consolare Cicerone per  la morte della figlia, 1 argomento principale che  egli fa valere e, nelle circostanze presenti, “ non  pessime cum iis esse actum, quibus sine dolore  licitum est mortem cum vita commutare e che  Tullia visse finché visse lo Stato, “una cum republica fuisse „ (Ad Dio.) ; al che Cicerone  dolorosamente risponde che l’attività pubblica lo  consolava dei dolori domestici, l’affettuosa intimità  con la famiglia delle traversie pubbliche, ma ora  “ nec eum dolorem quem a re publica capio do-  mus iam consolari potest, nec domesticum res publica . Ed anche in Catullo, il disgusto invincibile suscitatogli dai “ turpissimorum  honores „, disgusto che faceva gemere dal suo  canto Cicerone, cosi ; “ o tempora ! fore cum dubitet Curtius consulatum petere? „ (Ad Att., e circa Vatinio) suscita 1’ aspirazione  alla morte :   Quid est, Catulle ? quid moraris emori ? Sella in curulei struma Nomus sedet,   Per consulatum peierat Vatinius ;   Quid est, Catulle ? Quid moraris emori ?  Donde attinge Cicerone qualche conforto in  questa immensa iattura ? Non dal foro che egli  (interessante confessione) dichiara di non aver mai  amato e nel quale del resto oggi non c’è più nulla  da tare : “ quod me in forum vocas, eo vocas,  unde, etiam bonis meis rebus, fugiebam : quid enim  mihi cum foro, sine iudiciis, sine curia ? „ (Jld  Jltt.). Era il momento in cui i vincitori  della violenta lotta politica, giravano per Roma  baldanzosi ed allegri, e i sostenitori dello Stato  legale, battuti, erano melanconici : “ Mane salutarne domi et bonos viros multos sed tristes (1),  et hos laetos victores, qui me quidem perofficiose  et peramenter observant „ {Ad Div.). Due  di essi, anzi, Irzio e Dolabella, si erano messi a  prender lezioni d’eloquenza da lui, o forse, con  questo pretesto, lo sorvegliavano per conto di Cesare. Anche queste lezioni recano a Cicerone qualche sollievo {yld Di\>.). In maggior mi¬  sura, egli ne ricava dal far udire, quando e come  era possibile, qualche parola di ammonimento. Così,  pur avendo risoluto di non più parlare in Senato,  allorché sulla universale istanza di questo, Cesare  amnistia Marcello (che non aveva fatto nessun  passo per essere richiamato e sembrava non desiderarlo — e che fu, del resto, assassinato da un  suo impiegato nel momento in cui stava per partire alla volta di Roma), Cicerone prende la pa-   (0 La voce dei gaudenti sfruttatori di situazioni im¬  morali rinfaccia sempre a coloro che le condannano, come  un torto, di essere afflitti o melanconici. Cosi quella voce  si fa udire, secondo Seneca : c Istos tristes et superciliosos  alienae vitae censores, suae hostes, publicos paedagogos  assis ne feceris » (Ep.) rola per ringraziare il dittatore ; ma sa anche attraverso i ringraziamenti esporgli il parere più  libero e ^coraggioso che forse mai Cesare abbia  sentito. Quodsi rerum tuarum immortalium (egli  ha 1 ardue di significargli) hic exitus futurus fuit,  ut devictis adversariis rem publicam in eo statù  relinqueres, in quo nane est, vide quaeso, ne tua  divina virtus admirationis plus sit habitura quam  glonae „. (Pro Marc.). Tu devi, egli incalza,  preoccuparti della vera gloria, del giudizio che da¬  ranno i posteri sulle tue azioni, saper considerare  ciò che tu fai, non cogli occhi abbacinati dei con¬  temporanei, ma con quelli di coloro che giudiche¬  ranno le cose a distanza, nell’avvenire. Se tu non  avrai ristabilito la vera legalità nello Stato, tu sa¬  rai certo sempre ricordato, ma non con giudizio  concorde : “ erit inter eos etiam, qui nascentur,  sicut mter nos fuit, magna dissensio, cum alii lau-  dibus ad caelum res tuas gestas efferent, alii for-  tasse ahquid requirent, idque vel maximum, nisi  belli cmlis incendium salute patriae restinxeris, ut  illud fati fuisse videatur, hoc consilii. E questo un nobilissimo linguaggio da cittadino  onesto e d’animo forte ; linguaggio che, bisogna  riconoscerlo, Cesare sa ascoltare, come altri e ben  più vivaci attacchi contro di lui, con tolleranza ed  equanimità, civili animo. -- Svet,, Caes.. Anche Cicerone nella sua corrispondenza talvolta  constata che Cesare andava orientandosi a mitezza. P. e.: L intolleranza, l’oppressione, l’uso del potere per  far tacere censure al detentore di esso, e persino  per impedire di rispondere agli attacchi, comincia  con Augusto ; ed è ciò che fa uscire Asinio Pollione (lo stesso, alla nascita del cui figlio il servile  Virgilio, pronto a vendersi a tutti i potenti e a  prostituire poi il suo genio a colui che tra questi  occupa nella storia per bassezza e nequizia uno degli    “ nam et ipse, qui plurimum potest, quotidie mihi delabi ad acquitatem et ad rerum naturam videtur „ Ad Dio.  VI, 10!, Che cosi fosse (ed è la stessa cosa che accadde  con OTTAVIANO) è naturale, perchè, se un uomo non è straordinariamente perverso, il suo grande successo e trionfo  personale lo rende incline alla benevolenza verso gli altri,  a diffondere anche intorno il sentimento di felicità che il  successo gli dà. Solo un uomo dal cuore fondamentalmente malvagio nel suo più pieno e grandioso trionfo,  quando ogni cosa gli va a seconda, diventa sempre più  duro e crudele, e non è pago se non condisce quel trionfo  col darsi la sensazione di poter a suo beneplacito tormentare, perseguitare, far soffrire altri uomini. Tale era  Siila, secondo le parole che Sallustio mette in bocca ad  Emilio Lepido : “ Cuncta saevus iste Romulus, quasi ab  externis rapta, tenet, non tot exercituum clade neque con-  suhs et aliorum principum, quos fortuna belli consumpse-  rat, satiatus : sed tum crudelior, curri plerosque secundae  res in miserationem ex ira vertunt. -- Hist. Fragni. Raramente, si, ma però talvolta avviene che un uomo, favorito dalia più straordinaria fortuna, diventi sempre più  bramoso di far del male agli altri. “ Felicitas in tali ingenio avaritiam, superbiam ceteraque occulta mala pate-  fecit. -- Tac., Hist.. “Itimi posti, Ottavio, dedicò la sconciamente  cortigiana e piagg.atr.ee Egloga IV) nell’elegante  epigramma, riportato da Macrobio (Satura II 4)  che non si può più scrivere dove in risposti si  può proscrivere : temporibus triumviralibus PoIIio  cuna fescenmnos ,n eum Augustus scripsisset, ait:   g taceo ; non est emm facile in eum scribere  qui potest proscribere (2)   Più ampio conforto ricavò Cicerone dagli studi,  bbene una volta fuggevolmente accenni che forse  senza la sua cultura sarebbe più atto a resistale!  exculto emm animo nihil agreste, nihil inhuma-   (I) Si vegga nel libro diV. Alfieri D»/ p • , »    I  J1 '> e la dimostrazione che questa   viltà ha in Virg.ho guastato l’arte. “Quella parte divTna  e ha per base il vero robusto pensare e sentire tm-,1  niente manca in Virgilio „ (L. II C VI) “ V  -esse avuto nell’animo quella   P napesco, assai maggiore sarebbe stato egli stesso e  quindi assai maggiore il suo libro „ (L. II C VI •  vegga anche il C. Vili) E il Canti 1 . Ci  j ;• , C S ‘   uh. ed. I. 582 n 94.«V- r ÌU '. Sorla de S^ Italiani,   V l D < ’ VIRGILIO si lascia traricchire   anche Boissier, L’opposition sous tes Césars p. I3Ì”   RnU 1 j- qUe f°, . t epigramma ’ senza citare la fonte il   Les e Rom P - r0ba . b,,mente a memor ia, la seguente versione:  Les Komains disaient avec raison qu’ il est rare mi’ ™  num est „. (Ad Alt. XII, 46) ; e sopratutto dallo  studio della filosofìa, la passione per la eguale '’quo-  tidie ita ingravescit, credo et aetatis maturitate ad  prudentiam et his temporum vitiis, ut nulla res alia  levare animum molestiis possit. „ (Ad Dio. IV, 4).  Le sue lettere di questo periodo sono piene delle  sue attestazioni che non vive se non negli studi  filosofici e non trae conforto che da essi. Ad aumentare  questo conforto, ad aiutarlo a stornare il pensiero  dalle calamita dello Stato, s aggiunge la sua atti¬  vità di scrittore. Sono questi gli anni della sua  intensa e feconda produzione filosofica. “ Nisi mihi  hoc venisset in mente, scribere ita nescio quae,  quo verterem me non haberem (Jld Alt.) Equidem credibile non est, quantum scribam  die, quin etiam noctibus, nihil enim sommi. Nullo enim alio modo a miseria quasi  aberrare possum. Vero è che le afflizioni e le ìnquietitudmi, I incertezza dell’avvenire, derivanti dal pessimo andamento degli affari  pubblici, non permettono piena pace nemmeno nello  studio : Utinam quietis temporibus, atque aliquo,  si non bono, at saltem certo statu civitatis, haec  inter nos studia exercere possemus ! „ Però, ap¬  punto in tali circostanze, “ sine his cur vivere velimus? -- d Dio. Così nascono i saggi di FILOSOFIA di Cicerone, circa i quali si cita  sempre per aiutare a deprezzarli la fuggevole frase “sono copie” cascatagli dalla penna scrivendo al suo amico e certo come convenzionale espressioni   t Xlì Vf fr ° nte j 1Iammiraz ' on e di lui (Ad  X ’ I 52 ’ ma 51 dimentica di affrontare tale  fra e con le sue numerose e consuete esternaziom  dalle quali risulta che ben altra era la stima ch’egli   off" 3 de ‘ pr0pr ;. scrltti ' “ Res difficiles „ (ib. XII  38) egli dice di star scrivendo ; quanto alle Jìc-   G Q rto -5 C ° nVInt ,° “ U ‘, Ìn f3lÌ 8 enere ne aVud  , cos quidem simile quidquam „ (ib. XIII 1 3)-   le chiama “ argutolos libros „ ^ XIli.Y 8 ,00^   XIII 19? ac n ra ? posset supra ” r/4.   XIII, 9); 1 libri del De Oratore gli sono “ ve -   hementer probati (ib.) e così il De Finibus ib   ?AJ ÀI XvT i , soddisfa Attico   bl v ’ im7 e M) e l0ra,OT L'P'a (M   AA- ( ’ 8 ^ eSpnme anehe ,a sua Propria soddisfazione per queste due opere; mihi vakle   pbcent, maHem tibi dice dei libri, perduti d!  Giona (Ad Ali). In particolare, i| e  sua opere filosofiche LE TUSCULANE, che facilmente si prendono per un mero esercizio letterario, sono  invece un saggio profondamente vissuto, rampollato  da a tragica realtà di vita i cui Cicerone si dibatte e che come tale, come idoneo cioè a fornir conforto e forza in quelle circostanze dove  essere generalmente sentito, e certo da Attico se  Cicerone gl, scrive -- quod prima disputatio Tuscu ana te confirmat, sane gaudeo. Neque enim  ndhim est perfugium aut melius aut paratius. Bel saggio, che in ogni epoca, nelle medesime circostanze da cui  esso è nato, è servito allo scopo per cui era stato  scritto – DIE EROICA DER ROMISCHEN PHILOSOPHIE, come con calzante espressione lo definisce Zielinski. Ma il supremo conforto di Cicerone è  un altro.  Esso consiste non tanto nell’ immergersi nella  FILOSOFIA come un’occupazione mentale opportuna  a distornare il pensiero da quello che poi Lucano,  il grande poeta anti-cesariano, define“ ius sceleri  datum, quanto nel rivivere in sè I CONCETTI DELLA FILOSOFIA come atti a fornire forza d'animo per affrontare e sopportare le sciagure derivanti da una situazione politica e sociale particolarmente triste. FILOSOFIA cioè non come “ostentationem scientiae, sed legem vitae „ (Tusc.). Anche in lui, per usare l’espressione di cui poi si  servì Marco Aurelio zi 5 óypaia. Giustissimamente il Moricca. Saremmo forse anche noi tentati di ritenere l’operetta tulliana un’amplificazione rettorica, se non pensassimo che quelle parole sono scritte per una generazione d’uomini nelle cui orecchie esse andavano diritte al cuore. Un saggio di morale dell’epoca di Cicerone è da considerarsi non come una fredda e vuota argomentazione  rettorica bensi come un’eco squillante delle voci del passato, che sale dalle tombe e vince i secoli. Secondo il testo di Trannoy (Les Belles Lettres).  bisogno di vivere tali precetti A' i ,• .  ventar succo e sangue e il f T l d ‘ faHl dl  gere a ciò, Cicerone Lnl f" 0 S ° rZ ° per 8 iun '  maniera singola,«sima, scnVoSo^v"' 0 i'I “ na  consolazione a se stesso “ D • Un ^ ro dl  profecto anfe me TeZ. ^Z 'T ***  consolarer ; que m librum jf . me per i‘ tera s  serint librari; affirmo tibi^nuLm” 3 " 1 S ‘,^'P'  esso talem ; totos die® U c °nsolationem   quid, sed t n^sper 1 C ; ,b ° 5 T“ qU ° proflci ™  XII 14) p t,sper im P e dior, relaxor „ (Ad 4tt   « 'a ll'Tlzr ™ di r'*   d«„e meditazioni morali!^ e8mam0 le Mslre   '4«fr-r v lLStó et,r°d servire 4   IL PORTICO, di cui poi in ,CaZI ° ne Pra ' ÌCa de,, °  e d oppressivi, uomm Lme° Tm "p" ^ tehi   vid.o Prisco fornirono ° Peto ed EI ’   e che successivamente si anc ° Ta p ‘ù insigni,   .1 hiosofo :z :L: r , ai cristiano, il sacerdnie • ’ p ° SCIa> n el mondo   c„i i,Tat'„ e ' „x:; a ” d f molti tenevano costantemente in d m ° nre ’ anZI  rettoredi coscienza e confortatore, iHoro ZofoOX . Plauto, fatto morire da Neron» •  mi istanti assistito e confortato dai “ / V ‘ ene " ei 3U0 ' u,tl  Cerano e Musonio (Tac., Ann. XwTv)), Trlse’  O Socrates et socratici viri! -- esclama Cicerone, qui, veramente riguardo a traversie di carattere privato). Numquam vobis gratiam referam  Un immortales quam m ihi ista prò nihilo (Ad Alt. ). Attico (egli scrive al suo liberto e segretario Tirone) mi vide agitato, crede che sia sempre lo stesso, “nec videt quibus presidii philosophiae  septus sim -- Ad Div. La disperata  e rovinosa condizione dello Stato -- quidem ego  non ferrem nisi me in philosophiae portum con-  tulissem. “ Equidem et haec et  omnia quae homini accidere possunt sic fero ut  PHILOSOPHIAE magnam habeam gratiam, quae me  non modo ab sollecitudine abducit, sed etiam contra omnes fortunae impetus armat, tibique idem  censeo faciendum, nec, a quo culpa absit, quid-  quam m malis numerandum -- Ad Div.  E noi vediamo veramente questo pensiero centrale  del PORTICO, cioè lo sforzo di distornare il  proprio interesse da ogni cosa esteriore per concentrarlo unicamente nel nostro comportamento, e  m ciò trovare appagamento e pace (questo, come  si può chiamare, ottimismo della disperazione, che  e il solo che resta nei momenti di maggiormente  infelici condizioni esterne, perchè vuole appunto,  riconoscendo tale inguaribile infelicità, trovare an-    Demetrio: e Seneca dice di Cano.  dato al supplizio da Caligola -- prosequebatur illuni  Losophus suus -- (De Tranq. An.). man-   phi-    i cora una tavola di salvezza), vediamo questo pensiero centrale dello stoicismo svelarsi sempre più  chiaro agli occhi di Cicerone e proprio come postogli innanzi delle circostanze di fatto. Sic enim  sentio, id demum, aut potius id solum esse miserum quod turpe est (Ad Att.). Video philosophis placuisse iis  qui mihi soli videntur vim virtutis tenere, nihil esse  sapientis praestare nisi culpam -- (Jld Dio..  Cogliamo il procedere di questa appassionante tragedia, per cui un uomo di indole ilare e disposto  a gioire delle cose, degli spettacoli naturali, delI arte, della letteratura, delle relazioni sociali, dell’attività pubblica e anche della ricchezza, è, a  poco a poco, dal rovinio politico, risospinto entro  se stesso e costretto a vedere e cercare la felicita soltanto nel proprio retto comportarsi. Le  meditazioni filosofiche (scrive a VARRONE) ci recano ora maggior frutto “sive quia nulla nunc in  re alia acquiescimus, sive quod gravitas morbi  tacit, ut medicmae egeamus eaque nunc appareat,  cuius vim non sentiebamus cum valebamus -- Ad  r i0 ’. Naturalmente con questo alto sentimento a cui Cicerone è ora pervenuto, il pensiero della morte, qui fonte anchesso di consolazione e forza, viene a intrecciarsi. Nunc vero,  eversis omnibus rebus, una ratio videtur, quicquid  e veni t ferre moderate praeserlim cum omnium rerum  mors sit extremum magna enim consolatio est cum  recordere etiamsi secus acciderit te tamen recta vereque sensisse --Ad Div. Nec enim  dum ero angar alia re, cum omni vacem culpa ;  et si non ero, sensu omnino carebo. Il crollo dello Stato è cosa gravissima -- tamen  ita viximus et id aetatis iam sumus, ut omnia quae  non nostra culpa nobis accident, fortiter ferre debeamus (Jld Div.). E tali pensieri, tali alti ed austeri conforti ed  incoraggiamenti, i grandi spiriti di quel periodo si  scambiavano tra di loro, prova, sia di quanto il  dolore per la catastrofe dello Stato era largamente  sentito, sia della estensione che a lenimento di  questo dolore siffatto ordine di pensieri allora aveva  preso. Era la genuina visuale del PORTICO a cui i nefasti  avvenimenti politici aveva tutti guidati -- non aliundo pendere, nec extrinsecus aut bene aut male vivendi suspensas habere rationes -- Ad Div. Se Cicerone ad ogni momento ripete di sè  quidquid acciderit, a quo mea culpa absit, animo forti feram (Ad Div.), nec  esse ullum magnum malum praeter culpam; sed tamen vacare culpa magnum est  solatium; se per sè pensa fortunato, quam existimo levem et imbecillam, animo  firmo et gravi, tamquam fluctum a saxo frangi  oportere; se l’esperienza di quella dolorosissima fase lo fa approdare alla definitiva conclusione che in omni vita sua quemque a recta conscientia transversum unguem non oportet discedere (Ad Att.) — queste sono amici, « a Lucccio7“'“ 8 “ 1 «  f'umanas contemnentem et opule C on^t r 7 "* c„ g „„ vi „ {Ad0 7   casu, et deiicto h Z ,n non aP r l “ 1U,piludi ”' non  veri „ (ih V |7) ’ M a i ° rum ln,una commo-   Pme.;/ cu,pl'ai picca,tT'° ; ■" “ÌJ—*   digni et Ss TstrrdublteTo; ^  ea maxime conducant ! P ° SSimus ’   V. 19 ) : e a Torquato ‘ ‘ f T Tectl8s '™" (A.   praesertim quae absit a   ancora a Torauato • “ ■ P , V1 ’ 2 )> e   delio Stato) vereor ne I ^ n 3 ' (,a rovina  teperiri, praete, i|| am q “ a TtaMa"e“ “ P °7   “r: e®, atque noTZIt,»   questi sentimenti ogni IralToìtTd' !“l “ 7 ° a  anch’egli aveva bisogno ’’No|!\e oh ■ - ' 7 ?   scrive Sulpicio in morte di Tullia) Cicerón ^ 1 ^ '  et eum aui a Ine ' '-' ,cer °nem esse  9 ' 3l,,S COnsuer,s Praecpere et dare consilium... quae alns praecipere soles, ea tute tibi  subirne, atque apud animum propone; vidimus ali-  quotiens secundam pulcherrime te ferre fortunam  fac ahquando intelligamus adversam quoque té  aeque ferre posse. Dalle lettere di Cicerone si potrebbe così ricavare un antologia di massime di vita del PORTICO da  servire efficacemente in ogni tempo al ripresenarsi di analoghe circostanze (e tale è forse sopratutto la ragione per cui queste lettere suscitarono  in ogni tempo I ammirazione, anzi il culto di nobili animi), pm efficacemente ancora che non i suoi  trattati, come le TUSCULANE e il DE OFFICIIS, ove  egli da sistemazione teorica alle medesime idee  1 qual, però appunto perchè non contengono se'  non quelle .dee morali che, suscitate in Cicerone  dalle vicende di ogni giorno, riempiono la sua corrispondenza, ci si ridimostrano, non mere esercitazioni letterarie, ma anzi saggi cresciuti su dalla  vita vera e scritti col sangue che le ferite inferte  da questa fanno stillare dal suo cuore. Herzenphilosophen chiama giustamente Cicerone Plutarco racconta che un giorno OTTAVIANO essendosi accorto che un suo nipote scorgendolo nasconde impaurito un saggio sotto la  (1)0. dt., 112    toga, glielo prende, e visto che e di Cicerone ne  legge un tratto, poi lo reshtui al ragazzo, dicendo uomo dotto e amante della patria, Xó r ,o : *vl'  ?. «rat, io T ,o £ *«l Tardo (come al so’   hto) riconoscimento del meriti di colui che egli ha raggirato, tradito, abbandonato al carnefice Ma  Cicerone e qualcosa di più. Spirito altissimo e   st'anzetn m n “'T'? 1 "”'’ da »! le circo-  ero \ „ j " 6 r 1 ' **' vivere, espres.   sero, m ragione di tale sua sensibilità, una soma   d dolore enorme, egli seppe da questa esperienza  d, dolore trarre un-espenenza morale di elevazione   e di purificazione del dolore stesso nel fuoco della  filosofia intesa come via, di cui molti ,„ e b   dTrendl' ' aPaC '' QUeS '° * P a,ll “ la "”ente ciò  che rende appassionatamente attraente la sua grande   figura alla quale veramenle-secondo un penTero   che trova eco sino m Giovenale -e   Roma' ltf !a " “ u la 8erva arl “lazione lo dava   Sr p a,t a , a, ' ebl> ' a,hibl,Ì, ° N di ' P ad - Sed Roma parentem,   Roma patrem patriae Ciceronem libera dixit.  Altri saggi:  Pesco Piente Fu , un [Mi|an0i CogliariJ.  f? Ap ° r ' e Jella R'Hgiont [Catania, - Etna 1  Motwl Spirituali Platonici [Milano, Gilardi e Noto]   nSTT, d ' W Jr aZl0nalim0 |N«poli. Guida],  Materialismo C„„ c0 [R om ., CaS a ^ ^   Pagine di Diario :    Scheggio [Rieti, Biblioteca Editr.J,  Cicute [Todi, Atanórj.   Impronte [Genova, Libt. Ed. Italia]  Sguardi [Roma. La Laziale],   Scolli [Torino, Montes, ],   Imminenti :    Critica deir Amore e del Lavoro [Catania.  Critica della Morale [Catania, “ Etna ..    " Etna J. Giuseppe Rensi. Rensi. Keywords: filosofia dell’autorita, autorita e liberta, Gorgia, Gorgia ed Ardigo, Santucci, Tendenze della filosofia italiana nell’eta del fascismo, Gentile, necrologio, Ardigo, Platone, Cicerone, Ficino, Bradley, Bosanquet, diritto e forza, filosofia della storia, Gogia, Elea, Velia, Elea ed Efeso, Gorgia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rensi” – The Swimming-Pool Library. Rensi.

 

Grice e Ressibio: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean cited by Gamblico.

 

Grice e Resta: la ragione conversazionale e le masserizie della mutua fiducia conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bari). Filosofo Italiano. Grice: “I like Resta; I was reading a book on golf that the Italians define, as I would cricket, as the game of ‘fiducia,’ so it is nice to see that Resta has tried to formulate some ‘rules,’ as we would call them, for trust. The cover of the essay is especially fascinating, as it depicts two acrobats on a circus ring. Where ‘fiducia’ becomes a matter of life and death – or a vital evolutionary tract, if often ‘ciecco,’ as Resta puts it. His research reminds me of Warnock on ‘trust’ in “The object of morality.”  Essential Italian philosopher. Filosofo. Nominato Alfiere del Lavoro. Studia a Bari. Insegna a Bari e Roma. Dirige un seminario sulla cultura giuridica alla fondazione Basso-Issoco. Colabora a "Sociologia del Diritto" e "Politica del Diritto".  Spazia  dai temi classici della filosofia dfino a temi di particolare attualità quali quelli riguardanti l'infanzia, i diritti dei minori e il bio-diritto. Particolarmente interessanti sono i saggi nei quali indaga sul significato e sui risvolti giuridici del concetto di "farmaco" come anti-doto necessario alla violenza. Saggi: “Conflitto e giustizia” (Bari, De Donato); “Diritto e sistema politico” (Torino, Loescher); “L' ambiguo diritto” (Milano, Angeli); “Poteri e diritti, Torino, Giappichelli); “La certezza e la speranza: diritto e violenza” (Roma, Laterza). Le stelle e le masserizie: paradigmi dell'osservatore” (Roma, Laterza); “L'infanzia ferita” (Bari, Laterza); “Il diritto fraterno” (Bari, Laterza); “Diritto vivente” (Bari, Laterza); “Le regole della fiducia” (Bari, Laterza); bio-diritto. Eligio Resta. Resta. Keywords: della fiducia, le stelle e le masserizie. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Resta” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Restaino: la ragione conversazionale ed Antonino e compagnia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Alghero). Filosofo Italiano. Grice: “Only in Italy, a philosopher philosophises about cartoons!” Filosofo. Studia e insegna a Cagliari e Roma. Studia la storia della filosofia  e dell'estetica. Il suo saggio forse più noto è una “Storia del fumetto: da Yellow Kid ai manga” (POMBA, Torino) che non ha mancato anche di suscitare alcune polemiche, fino al punto che un gruppo di appassionati di fumetti lancia una petizione chiedendo alla casa editrice il ritiro del saggio, accusato di contenere gravi lacune ed errori. Gabrielli, Petizione contro l’POMBA per la Storia del Fumetto, Lo Spazio Bianco, Plazzi, Il fantasma del fumetto, in il Mulino, Bologna, Mulino. La fortuna di Comte, Comte sansimoniano, in Rivista critica di storia della filosofia, Comte scienziato, Comte filosofo, Mill e la cultura filosofica, La Nuova Italia, Firenze, Mill: Scritti scelti, Principato, Milano, “Scetticismo e senso comune” (Laterza, Bari); Hume, Riuniti, Roma, Filosofia e post-filosofia” (Angeli, Milano); Storia dell'estetica” (Pomba, Torino); “Storia della filosofia, fondata d’Abbagnano, in collaborazione con Fornero e Antiseri, La filosofia contemporanea (Pomba, Torino); La filosofia inglese, in La Filosofia; Paganini, Piccin-Vallardi, Padova, Storia della filosofia, Pomba Libreria, Torino, La Rivoluzione Moderna. Vicende della cultura (Salerno, Roma); Giovanni Franco Restaino. Restaino. Keywords: Antonino e compagnia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Restaino” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Ricordi: la ragione conversazionale eil Nerone di Manfridi, Seneca o dell’essere per amore, e gl’inganni dell’infinito di Leopardi sulle ceneri di Pasolini nell’inferno d’Aligheri – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Se è vero che Shakespeare inventa l'umanità, è altrettanto vero che egli l'ha poi divisa, il più delle volte, tra due grandi generi di rappresentanti: e questi passano davvero per le categorie dell’accademia degli platonici e il lizio degl’aristotelici. Merk Ricordi, in arte Teddy Reno e la produttrice e distributrice cinematografica Vania Protti. Studia a Roma e Napoli. Studia l’ermeneutica con Ronconi. Attore con Stoppa, Lavia, e Filippo. Inizia la carriera registica che lo ha visto spesso anche interprete nei propri allestimenti. Questi sono stati salutati sempre da un forte e caloroso successo di critica e pubblico. Si dedicato a Shakespeare, alla drammaturgia antica, al teatro tedesco dell'età romantica, ma anche e costantemente ai contemporanei introducendo autori come Rohmer, Amann, Norén.  Si ricordano “Medea” e “Fedra” di Seneca, Trio in mi bemolle di Rohmer e Dopo la festa di Amann, Anfitrione di Kleist e Don Giovanni e Faust di Grabbe, “Canti nel deserto” e Gl’inganni dell'infinito di LEOPARDI (si veda), “Le ceneri di Roma” e Orgia di PASOLINI, Creditori di Strindberg e Demoni di Norén, Romeo e Giulietta, Macbeth e Amleto di Shakespeare, Lame e NERONE di Manfridi. Pubblicat su LEOPARDI (si veda), Shakespeare, Schiller e il concetto di teatralità: “Lo spettacolo del nulla” (Bulzoni) e Essere e libertà (Bulzoni). Pubblica "Le mani sulla cultura" (Gremese), una denuncia assai netta dell'egemonia storica della sinistra sull’arti, che si ravvisa in modo particolare nel "Teatro politico". Direttore del Teatro Stabile d'Abruzzo a L'Aquila. Inaugura il corso di questo teatro, dirigge e interpreta Edipo Re di Sofocle e Anfitrione di Kleist, e insieme dedicato vari incontri al teatro di poesia.  Consigliere di amministrazione del Teatro di Roma. Collabora a Liberal, per le cui edizioni pubblicato il saggio "Ideologia di Amleto” (Liberal). Pubblica "Shakespeare filosofo dell'essere" (Milano, Mimesis), saggio che si riassume nella tematica di una nuova “Filosofia del dramma”. Questo saggio rappresenta il sui progetto dedicato alla drammaturgia esistenzialista. Pubblica "Filosofia del bacio" (Mimesi), e "PASOLINI e le ceneri di Roma, o un filosofo della libertà" (Mimesis). Pubblica il suo saggio teoretico più rilevante, "L'essere per l'amore" (Mimesis).  ALIGHIERI (si veda) per Roma e nel mondo. Inizia un Progetto filosofico su Alighieri -- saggistico ma anche teatrale e comunicativo. "ALIGHERI per Roma", con la lettura in luoghi significativi della "Città Eterna" -- Mausoleo di Cecilia Metella, Arco di Giano, Terme di Caracalla e Terme di Diocleziano -- di VII Canti dell'Inferno. Realizza un primo documentario per Rai 5 -- ricevendo il plauso della critica e grande riscontro dal pubblico. Pubblica “Filosofia della Commedia di Aligheri,” dedicato alla cantica dell'Inferno. “Il grande teatro shakespeariano” (Mimesis); “Filosofia della Commedia di ALIGHIERI -- L’Inferno – Il Purgatorio ” (Mimesis) “ALIGHERI -- per Roma: Inferno” Rai; La grande magia di ALIGHERI può essere capita soltanto ascoltandola a viva voce", in Spettacoli, La Repubblica. Intervista di Grattarola. Franco Ricordi. Ricordi. Keywords: essere per amore, il Nerone di Manfridi, Seneca, Pasolini, le ceneri di Roma, gl’inganni dell’infinito, Leopardi, Alighieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ricordi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Righetti: la ragione conversazionale e la critica della ragione ecologica, o l’etica dello spazio -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Si concentra soprattutto sui temi dell’estetica. Fonda “La Stanza Rossa” sull rapporto arte-comunicazione. Affianca alle ricerche precedenti altri filoni di indagine, volti prevalentemente all’ambito della riflessione meta-etica.. Studia l’ecologia. Pubblica «Iride», «Dianoia» e «Millepiani».   Ecoinciviltà. La ragione ecologica spiegata all’umanità civile” (Mucchi, Modena); “La ragione ecologica: intorno all’etica dello spazio” (Mucchi, Modena); “Etica dello spazio: per una critica ecologica al principio della temporalità” (Mimesis, Milano); “Dall’assenza d’opera all’estetica dell’esistenza” (Mucchi, Modena); “Forme della “verità”: follia, linguaggio, potere, cura di sé” (Liguori, Napoli); “La fantasia e il potere” (Mucchi, Modena); “La Stanza Rossa. Tras-versalità artistica” (Costa, Milano); “Soggetto e identità: il rapporto anima-corpo” (Mucchi, Modena). Cf. Grice, “From the banal to the bizarre: method in philosophical psychology.” Stefano Righetti. Righetti. Keywords: la ragione ecologica, o l’etica dello spazio, linguaggio, la pietra di bismantova. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Righetti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rignano: la ragione conversazionale della teleo-nomia -- filosofia fascista – filosofia italo-giudea – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Livorno). FIlosofo italiano.  Grice: “I love Rignano, but I would not consider him a philosopher, in that he never attended a course on philosophy!” Studia a Pisa e Torino. Laureato, si interessa subito ai problemi filosofici collegati alla ricerca scientifica. Fondatore della Rivista di Scienza. Fonda a Bologna “Rivista di Scienza” per Zanichelli. La rivista assunse il nuovo titolo di “Rivista di sintesi scientifica” -- cf. Grice on einheit der wissenschaft. La rivista nasce con il proposito di opporsi alla eccessiva specializzazione a cui era giunta la ricerca scientifica danneggiata per questo da criteri troppo specifici e restrittivi. Gli  fondatori, e in particolare R., si proponeno di superare il particolarismo delle scienze per una visione più estesa gettando un ponte fra cultura umanistica e quella scientifica ed elaborando una "sintesi" -- o unità o continuita -- tra le scienze della natura e le scienze dell'uomo.  In questo modo la filosofia, libera da legami nei confronti dei sistemi prefissati, poteva dedicarsi a promuovere la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad impostare in modo più ampio i problemi delle teorie. Nei saggi che pubblica su “La rivista de sintesi scientifica” ha modo di mettere in rilievo le sue capacità di divulgatore e di condurre i suoi studi in completa autonomia dal mondo accademico ufficiale elaborando la sua concezione filosofica ispirata soprattutto dalla corrente positivistica. Chiede a Freud un'esposizione della psicoanalisi con le indicazioni di quali rami del sapere potessero essere interessati alle teorie e all'esperienze psicoanalitiche. Freud scrive “Das Interesse an der Psycho-analyse”, pubblicato sulla rivista. Si interessa di psicologia e biologia ed è noto soprattutto per la sua ipotesi della proprietà mnemonica, secondo la quale la sostanza vivente sarebbe in grado di ricordare le condizioni fisiologiche dell’iniziali situazioni fisiche determinate dall'ambiente esterno e quindi di riprodurle nel prosieguo della vita biologica.  Questa sua teoria consente a lui di operare nella biologia un compromesso tra una visione meccanicistica della realtà naturale e una finalistica, vitalistica. Per il meccanicismo infatti non è possibile pensare che nell'ambito degli organismi viventi vi sia il proposito immanente di conseguire una finalità ma d'altra parte è innegabile he nel mondo organico sia presente una sorta di TELEO-NOMIA particolare per ogni essere vivente tale da giustificare l'idea che, durante il periodo di adattamento all'ambiente, questi conservi una specie di traccia fisica mnemonica persistente e trasferibile ereditariamente. Si interessa anche di filosofia della psicologia – o psicologia filosofica --  ma quando intese indicare lo statuto epistemologico della teoria psicologica, il tipo di scientificità che ad essa compete, in modo da definire i rapporti con la scienza naturale da una parte e con quella umana dall'altra, si orienta verso soluzioni intermedie, che spesso complicavano più che risolvere i problemi. Coerentemente al suo programma di sintetizzare opposti sistemi, elabora anche una concezione economica di tipo socialista marxista che è in accordo con il liberismo. Altre saggi: “Per una riforma socialista del diritto successorio” (Bologna, Zanichelli);  “Di un socialismo in accordo colla dottrina economica liberale” (Torino, Bocca); “Sulla trasmissibilità dei caratteri acquisiti: ipo-tesi d'una centro-epigenesi” (Bologna, Zanichelli); “L'adattamento funzionale e la teleologia psico-fisica” (Bologna: Zanichelli); “Che cos'è la co-scienza?” (Bologna, Zanichelli); “Il fenomeno religioso” (Bologna, Zanichelli); “Il socialismo” (Bologna, Zanichelli); “Dell'attenzione: contrasto affettivo e unità di co-scienza” (Bologna, Zanichelli); “Dell'origine e natura mnemonica delle tendenze affettive” (Bologna, Zanichelli); “Per accrescere diffusione ed efficacia all’università popolari” (Milano, Compositrice); “La vera funzione delle università popolari” (Roma, Antologia); “Vividità e connessione” (Bologna, Zanichelli); “L'evoluzione del ragionamento” (Bologna, Zanichelli); Il nuovo programma dell'Un. pop. milanese: primo anno d'esperimento, Como, Cooperativa comense; Bari; Le forme superiori del ragionamento” (Bologna, Zanichelli); “Democrazia e fascismo” (Milano, Alpes). “Dizionario di filosofia, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il ragionamento in rapporto   al finalismo della vita.    Brevi parole ci basteranno per trarre la conclusione del  nostro lavoro. L'analisi di questa facoltà suprema della mente,  quale è il ragionamento, ci ha condotto a constatare come  esso sia tutto costituito, in definitiva, dal giuoco reciproco  delle due ‘attività fondamentali e primordiali della nostra  psiche : le intellettive e le aftettive; le prime consistenti nella  semplice evocazione mnemonica di percezioni od imagini del  passato ; le seconde manifestantisi come tendenze o aspirazioni  dell'animo nostro verso un dato fine, al cui raggiungimento  è rivolto il ragionamento stesso.   Abbiamo visto l’attività affettiva entrare in giuoco nel  ragionamento, non solo direttamente colla sua opera evocatrice  e selettrice ed escluditrice delle imagini sensoriali, bensì anche  sotto forma di altre facoltà dello spirito che da essa derivano.  Così la facoltà di fare attenzione a quanto si pensa, e quindi  di mantenere la coerenza del pensiero -e. di esercitare lo spi-  rito critico, quella di imaginare combinazioni nuove a mezzo  di elementi mnemonici vecchi, la facoltà di classificare e di  porre un po’ d’ordine nell’infinita e caotica congerie di fatti  che cadono sotto i nostri sensi, quella di creare concetti sempre  più generali ed astratti, e così via: tutte queste facoltà di  attenzione, di’ coerenza, di critica, d’ imaginazione, di classi-  ficazione e d’astrazione, che elevano a mano a mano il ragio-  namento dalle sne forme intuitive primordiali alle più alte  deduzioni della scienza, si sono palesate alla nostra analisi    396 E. RIGNANO    avere tutte un sostrato di natura affettiva. Abbiamo visto,  parimente, avere origine affettiva anche la deformazione che  subisce il ragionamento, quando dalla sua forma costruttrice  e creatrice passa all’altra intenzionale, puramente classifica-  toria, per lo più sterile, di cui le manifestazioni più tipiche  sono il ragionamento dialettico e il ragionamento metafisico.  Abbiamo visto, in seguito, l’ influenza che le tendenze affettive  hanno nel determinare le varie forme di mentalità logica.  Abbiamo visto, infine, le forme patologiche stesse del ragio-  namento essere dovute, esse pure, a cause di pretta natura  affettiva.   L'attività affettiva ci appare, lina come impregnante  per così dire di sè tutte le manifestazioni del nostro pensiero.  Si può dire, anzi, essere essa l’unica ed effettiva costruttrice  che, servendosi del materiale intellettivo di puri ricordi ima-  ginativi, immagazzinati nelle nostre accumulazioni mnemoniche  sensoriali, erige ogni e qualsiasi edificio del nostro raziocinio,  dal più umile dell’animale più infimo al più sublime dell’uomo  di genio.   Ma questa facoltà affettiva, che così ci appare il grande  artefice, incitatore e moderatore ad un tempo, della nostra  mente, vedemmo essere alla sua volta dovuta alla proprietà  mnemonica fondamentale; anzi, di questa proprietà mnemo-  nica della sostanza vivente essere essa la manifestazione più  genuina e più diretta.   Di guisa che questa facoltà mnemonica, che già vedemmo    in altre nostre opere spiegarci i fenomeni biologici più fon:    damentali, — dal preordinato adattamento morfologico degli  organismi e dall’inconsciamente preveggente comportamento-  istinto degli animali alla trasmissibilità dei caratteri acquisiti,  della quale tanto 1° evoluzione filogenetica che lo sviluppo  ontogenetico sono la diretta conseguenza, — questa facoltà    mnemonica ci si appalesa ora come capace di fornirci, da    sola, anche tutte le manifestazioni più svariate della psiche.  Se ad Archimede bastava un sol punto d'appoggio per sol-  levare il mondo, alla energia vitale basta questa sua proprietà  mnemonica per dar luogo a tutte le manifestazioni finalistiche  più caratteristiche della vita e per creare tutto il meccanismo  pensante e ragionante della mente.   Già vedemmo questa facoltà mnemonica potersi definire  come la capacità di riprodurre, per cause interne, quegli stessi    CAPITOLO XVII. 397    stati fisiologici specifici, a produrre i quali la prima volta fu  necessaria l’azione delle energie del mondo esterno. Tentammo  anche «di precisarne il meccanismo coll’ ammettere a base di  ogni fenomeno vitale l’energia nervosa e col dotare quest’ul-  tima della proprietà dell’accumulazione specifica, cioè a dire  col supporre che ciascuna accumulazione nervosa sia atta a  dare come « scarica » unicamente quella medesima specificità  della corrente nervosa di « carica », dalla quale l’ accumula-  zione stessa sia stata deposta. Ma mettiamo pur da banda  tale ipotesi ; 1’ importante sta in ciò, che per avere le mani-  festazioni biologiche e psicologiche più fondamentali della vita  basta supporre nell’ energia nervosa, in più delle proprietà  comuni a tutte le energie del mondo inorganico, néent’ alt70  che la proprietà mnemonica.   Non è, infatti, come molti sostengono, la proprietà di  adattamento all'ambiente ciò che distingue energia vitale  dalle energie del mondo inorganico. Tale proprietà di adatta-  mento è comune a queste come a quella. È ciò che dimostra  qualsiasi sistema fisico-chimico, il quale, ove venga ad avere  disturbato il suo equilibrio dinamico da qualche mutamento  sopraggiunto nelle condizioni esterne, si dispone con esse  in un equilibrio dinamico nuovo, cioè a dire « reagisce » e  < si adatta » a queste condizioni ambientali mutate. Così,  p. es., se fermiamo a metà colle dita la corda di un pendolo  che oscilla, questo si adatta alle nuove condizioni mettendosi  ad oscillare più rapidamente. Se le pile d’un ponte vengono  a restringere la sezione d’un fiume, l’acqua rigurgita a monte  fino a che l’aumentata sua velocità fra le pile la fincecia de-  tluire nella stessa quantità di prima. Il raggio di luce al mo-  mento di entrare in un mezzo trasparente più denso si rifrange.  E l’intensità della corrente elettrica, ferma restando la diffe-  renza di potenziale ai poli, si commisura alla resistenza del  circuito. Tutte queste sono altrettante forme di adattamento  a mutate circostanze esterne da parte delle energie del mondo  inorganico, le quali, prima di trasformarsi in altre forme ener-  getiche, assumono piuttosto, finchè è possibile, le più diverse  modalità, che permettano loro di proseguire nella forma stessa  in cui già si trovano attive. Ciò che manca loro, in confronto  all'energia vitale e nervosa, è unicamente la facoltà mnemo-  nica, cioè la facoltà, ripetiamo, di riprodurre queste modalità  energetiche di adattamento per sole cause interne, senza bisogno    398 î E. RIGNANO    che si ripresentino nella loro integrità quelle circostanze am-  bientali che la prima volta costrinsero la rispettiva forma di  energia ad assumere queste modalità di adattamento.   Ora abbiamo visto questa proprietà mnemonica essere  appunto ciò che dà alla vita il suo aspetto finalistico, cioè  quello di essere mossa da forze « a fronte » anzichè dalle sole  forze « a tergo ». Il fine verso cui gravita l’uomo colle sue  tendenze affettive, le circostanze esterne ad affrontare le quali  si avvia inconscio l’animale col suo comportamento complesso  dettatogli dall’istinto, il rapporto ambientale ‘al quale sarà  adatto l’organo che l'embrione plasma nell’ utero materno  fungono ora da « vis a fronte » in quanto furono « vis a tergo »  nel passato e in quanto le attività fisiologiche, allora deter-  minate nell’organismo da queste circostanze esterne e da  questi rapporti ambientali, hanno lasciato un’accumulazione  mnemonica di sè, la quale costituisce ora, essa stessa, la vera  ed effettiva « vis a tergo » che dirige e muove lo sviluppo e  l'istinto e la condotta cosciente dell’ essere vivente.   E il ragionamento, messo in moto dall’una o dall’ altra  affettività primaria, controllato di continuo dall’affettività se-  condaria del relativo stato d’attenzione, e poi dalla primaria  stessa e da altre affettività ad essa strettamente connesse  sospinto verso le forme più elevate e più astratte, è di questo  aspetto finalistico della vita la manifestazione più alta e più  complessa.   Da ciò il tragico eterno contrasto fra la nostra vita inte-  riore, tutta impegnata di finalismo, che sente questo finalismo  essere carne della propria carne e sangue del proprio sangue,  e l’inanimato mondo esterno, che, per quanto ansiosamente  scrutato per secoli e secoli, da nessuna finalità sembra in-  vece essere mosso. Tragico ed eterno contrasto, questo, fra  il microcosmo essenzialmente finalistico e il macrocosmo pu-  ramente meccanico, che costituisce il sostrato profondo della  lotta più che millenaria fra la scienza e la religione, la prima  costretta dalla ragione basata sui fatti a negare una finalità  all’universo, la seconda invece irresistibilmente sospinta dalle  più intime fibre del sentimento ad affermarla.   Questo contrasto fra la ragione e il sentimento non avrà  forse mai fine, a meno che l’uomo si rassegni a cercare, non  più nell’universo tutto, bensì entro l’ambito più ristretto del  solo mondo della vita, col quale ha comunanza di origine e    CAPITOLO XVII. 399    di natura, la ragione ultima della propria condotta, la finalità  suprema della propria esistenza. E questa comunanza di ori-  gine e di natura, se profondamente intesa, non mancherà al-  lora di infondergli un sentimento di simpatia e di solidarietà  verso tutti gli esseri, in genere, capaci di godere e di sof-  frire, e di amore e di altruismo verso la famiglia umana, in  ispecie, in cui più forte e ‘più conscio, perchè all’apice del-  l'evoluzione organica, batte il ritmo della vita. Sarà tratto  pertanto dal più profondo senso stesso del dovere a combat-  tere ovunque, con opere di bene e di equità, ogni causa di  dolore e a favorire ogni occasione di letizia, — diminuzione  l’uno e aumento l’altra di attività vitale, — e a promuovere  nel tempo stesso ogni forma di progresso sociale, ogni mani-  festazione di bellezza, ogni slancio verso l’ideale, aftinchè  sempre più completa e più serena e più elevata si svolga  l’esistenza umana e sempre più radiosa e più pura risplenda  nell'universo la face della vita. Eugenio Rignano. Rignano. Keywords: diritto successorio, vitalismo, democrazia e fascismo, liberismo, liberalismo, socialismo, “Scientia”, filosofia italo-giudea, teleo-nomia. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rignano” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rigobello: la ragione conversazionale o dell’allargamento interpersonale del razionale – l’intenzionalità rovesciata – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Badia Polesine). Filosofo italiano. Il nostro rapporto con gl’altri deve sempre farci essere un interrogativo per loro. Fra i principali rappresentanti italiani del personalismo. Dopo gli studi liceali a Padova consegue la laurea in filosofia, quale allievo di STEFANINI e PADOVANI. Insegna a Padova, Perugia e Roma. Spazia dalla meta-fisica, all'etica e la filosofia politica, alla storio-grafia. Collaboratore a Studium. Ripensa il personalismo partendo dal presupposto per cui esso, potendo anche costituire un possibile complemento integrativo ed estensivo alla meta-fisica non puo comunque considerarsi una dottrina filosofica definita bensì una posizione che mette in primo piano il concetto di "persona" (cf. Strawson, “Il concetto di persona”). Il personalismo non è in contraddizione con la meta-fisica  bensì ne puo costituire un proficuo ampliamento psico-logico, etico, antropo-logico. Uno dei suoi contributi più originali consiste nel personificare -- proprio per il tramite del personalismo -- la ragione meta-fisica attraverso quel processo di integrazione fra l’esistenzialismo e la filosofia classica. Ri-esamina nel suo evolversi, nonché compara criticamente e storicamente, questo concetto di “persona” alla luce della storia della filosofia fino ad arrivare alla filosofia romana – il schiavo non è persona -- chiamando in causa anche l'ermeneutica, la filosofia morale e la sua storia. Ne risulta, quindi, che il concetto di persona – nel diritto romano repubblicano -- deve anzitutto essere inteso in un senso giuridico. Non deve essere confuso con quello derivante dal concetto d’esistenza della filosofia esistenzialistica, che nega la possibilità che le persone possono governare la loro vita, in quanto ritenute prive di auto-dominio. Infine, le persone, pur nella sua reale concretezza, non sono sostanze. Tutto ciò ha costituito una delle tematiche principali in cui s'è venuta a delinearsi la sua filosofia, la persona e l’interpretazione. Una seconda tematica della sua attività di ricerca scaturisce dagl’insegnamenti, per certi versi anti-tetici fra loro, dei due suoi maestri, ovvero quelli di STEFANINI, grazie ai quali egli individua un primo polo di convergenza delle sue riflessioni filosofiche attorno alla nozione fenomenologica di un mondo della vita, e quelli di PADOVANI, incentrati sulla meta-fisica tradizionale e ruotanti attorno alla nozione di trascendenza con i suoi limiti. Ogni altra questione filosofica sembra snodarsi o essere compresa fra questi due poli di convergenza che egli sintetizza nella trascendenza, la legge morale, e il mondo della vita. Altro ambito tematico apre la prospettiva personalistica al dialogo col mondo moderno e contemporaneo, con l'etica, la politica, la religione, puntualizzando in particolare la sua valenza etica e politica nell'analisi della realtà sociale in cui le persone viveno ed agisce, nonché esprime il suo dissenso non su basi ideologiche ma come critica del sistema dominante. Questo tematica puo quindi chiamarsi in dialogo con il mondo contemporaneo. Come esponente di punta del personalismo italiano, storicamente rappresentato da STEFANINI, CARLINI, SCIACCA, e PAREYSON, rivolvela sua attenzione ad una ri-visitazione originale del personalismo comparato con l'etica e la politica, grazie a cui è emersa, oltre alla limitatezza della dimensione trascendentale, sia quella rilevanza civica assunta dalla persona umana come testimone della sua epoca che la sua responsabilità di cittadini. Mette in evidenza come il personalismo si distingua nella critica mossa al sistema idealista, che non ha attecchito nella filosofia d'oltralpe.  Riprende le e tematiche più tipiche della struttura delle persone umane e le relative implicazioni metafisiche in “Prossimità e ulteriorità” (Rubbettino). Inoltre, da sempre interessato anche all'ermeneutica pubblica “L'apriori ermeneutico” (Rubbettino). Altre saggi: “Oltre lo storicismo” (Studium); “Ricchezza e povertà della metafisica classica” (Humanitas); “Il problematicismo di SPIRITO (si veda) come empirismo coscienziale assoluto: note sul significato del nostro tempo, in Rassegna di Umanesimo e antropo-centrismo; La disponibilità come abito etico del rapporto autorità-libertà, Istituto editoriale del Mezzogiorno, Napoli, Kant e l'indirizzo idealistico, Il problema del linguaggio storio-grafico, Perugia, “Condizionamenti socio-logici e linguaggio morale” in Sociologia e filosofia; Socrate e la formazione dell'uomo politico, in Civitas,  Esperienza di fede e struttura del sapere, Studium, CROCE (si veda), perché possiamo e non possiamo dirci ‘crociani’, Coscienza. Mensile del movimento ecclesiale di impegno culturale, La riflessione sull'etica, Etica oggi: comportamenti collettivi e modelli culturali, Re e Poppi, Fondazione Lanza e Gregoriana, Roma,  Il tempo nello spiritualismo, Il concetto di tempo. Società filosofica italiana, Caserta, Casertano, Loffredo, Napoli, “Persona, trascendentale, ermeneutica” in Filosofi italiani, Riconda e Ciancio (Mursia, Milano); La storia nella coscienza (AVE, Roma); L'intellettualismo in Platone (Liviana, Padova); Platone, Senofonte, Aristotele: il messaggio di Socrate” (Scuola, Brescia); “Introduzione di una logica del personalismo, Quaderni dell'Istituto di Pedagogia di Padova (Liviana, Padova); L'itinerario speculativo dell'umanesimo contemporaneo, Quaderni dell'Istituto di Pedagogia di Padova (Liviana, Padova); L'educazione umanistica e la persona. Saggio di una filosofia dell'insegnamento umanistico” (Scuola, Brescia); “Determinazione ed ulteriorità nel Kant pre-critico” (Silva, Milano-Genova); “I limiti del trascendentale in Kant” (Silva, Milano); “La certezza morale, filosofia morale relazioni tenute a Perugia nell'A.A. (CLEUP, Perugia); “Legge morale e mondo della vita” (Abete, Roma); La morale radicale” (Perugia, Perugia); “Struttura e significato” (Garangola, Padova); “Antropologia” (Antenore, Padova); “Modelli storio-grafici di morale” (Frama Sud, Chiaravalle Centrale); “Ricerche sul trascendentale kantiano” (Antenore, Padova); “Dal romanticismo al positivismo” (Marzorati, Milano); “Il regno dei fini” (Bulzoni, Roma); “Il personalismo” (Città Nuova, Roma); “L'impegno ontologico” (Armando, Roma); “Il futuro della libertà” (Studium, Roma); “Politica e pro-mozione umana” (Scuola, Brescia); “Perché la filosofia” (Scuola, Brescia); “Studi di ermeneutica” (Città Nuova, Roma); “Verso una nuova didattica della storia” (Sei, Torino); “Persona e norma nell'esperienza morale” (Japadre, L’Aquila); “Certezza morale ed esperienza religiosa” (Vaticana, Vaticano); “Kant: che cosa posso sperare” (Studium, Roma); “Lessico della persona umana” (Studium, Roma); “L'immortalità dell'anima” (Scuola, Brescia); “Soggetto e persona: ricerche sull'autenticità dell'esperienza morale” (Anicia, Roma); “Autenticità nella differenza” (Studium, Roma); “Attualità della lettera ai Romani” (AVE, Roma); “Il divino oltre i saperi: tra teologia e filosofia” (San Paolo, Milano); “Interiorità e comunità. Esperienze di ricerca in filosofia (Studium, Roma); Oltre il trascendentale, Pubblicazioni della Fondazione Spirito, Roma, L'altro, l'estraneo, la persona, Città Nuova Editrice, Roma, La persona e le sue immagini, Città Nuova, Roma, L'estraneità interiore (Studium, Roma); Le avventure del trascendentale. Contributi al Convegno del Centro studi filosofici di Gallarate (Rosenberg, Torino); “Umanità e moralità” (Studium, Roma); “Immanenza metodica e trascendenza regolativa” (Studium, Roma); “L'apriori ermeneutico: domanda di senso e condizione umana” (Rubbettino, Mannelli); “Prossimità e ulteriorità: una ricerca ontologica per una filosofia prima” (Rubbettino, Mannelli); “L'insuperabile singolarità dell'avventura umana: dalla determinazione completa alla rottura metodologica” (Ramo, Rapallo); “Vita e ricerca. Il senso dell'impegno filosofico, intervista Alici” (Scuola, Brescia); “L'intenzionalità rovesciata: dalle forme della cultura all'originari” (Rubbettino, Mannelli); “Struttura ed evento: tempo di vivere, tempo di dare testimonianza alla vita, la vita come testimonianza” (Rubbettino, Mannelli); “Dalla pluralità delle ermeneutiche all'allargamento della razionalità” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Ciascuno di noi nell'incontro con l'altro deve essere tale da suscitare curiosità e interesse di conoscenza reciproca (Presentazione a Alici, Grassi, Salmeri, Vinti (Studium); “La filosofia come testimonianza, Rivista bimestrale, Studium, Roma. Berti ha R. come docente supplente di filosofia quando è ancora studente liceale. Cfr. Berti, "Origini del pensiero di R.", in: Alici, Grassi, Salmeri e Vinti, “La filosofia come testimonianza” (Studium. Cfr. Berti, "Origini del pensiero", in Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, La filosofia come testimonianza, Studium, Roma, Cfr. pure il contributo di Borghesi, "La dialettica tra struttura e significato", nella stessa collectanea.  Oltre quelli delle Parti II e III, si vedano soprattutto i vari contributi presenti nella Parte I della collectanea in suo onore: Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, la filosofia come testimonianza,  Studium, Roma, Cfr. Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, cit.  Cfr. i vari contributi presenti nella miscellanea:  Estraneità interiore e testimonianza. Studi in onore, Pieretti, ESI-Edizioni Scientifiche Italiane, Perugia); Cfr. pure "Biografia, pensiero e opere", Bollettino della Società Filosofica Italiana  nella rubrica Filosofi allo Specchio,  Cfr. Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, cit.  Per questi aspetti centrali del pensiero, si vedano soprattutto i contributi presenti nella prima parte della collectanea in suo onore: Alici, Grassi, Salmeri e Vinti, La filosofia come testimonianza, Studium, Cfr. Alici, Grassi, Salmeri e Vinti, Ricordo, Umanità e moralità, in Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia, In memoriam: In ricordo straneità interiore e testimonianza. Studi in onore, Pieretti, Scientifiche Italiane, Napoli-Perugia, Alici, Grassi, Salmeri e  Vinti, R., la filosofia come testimonianza, studio in suo onore, evento organizzato a Perugia in collaborazione con Roma Tor Vergata e la LUMSA, Perugia/Roma, i cui atti sono stati pubblicati, Alici, Grassi, Salmeri e Vinti,  Studium, Dotto, Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano,  Baccarini, Passione dell'originario: fenomenologia ed ermeneutica dell'esperienza religiosa, studi in onore” (Studium, Roma). Vita e ricerca. Il senso dell'impegno filosofico (Interviste), Alici recensione di Din, Padova. Video di un'intervista a cura di Valentini, fatta a Roma. Armando Rigobello. Rigobello. Keywords: l’allargamento del razionale, ‘struttura e significato’, il regno dei fini, comunita, Grice on human vs. person, Strawson, the concept of the person, Ayer, the concept of a person. In personam, persona sui iure, persona populum (Cicero).  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rigobello” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rimini: la ragione conversazionale, o del significato totale, la percezione del pane e Socrate è seduto – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Rimini). Filosofo italiano. Il primo a conciliare gli sviluppi delle idee d’Occam ed Aureolo. Questa sua sintesi ha un impatto duraturo. Insegna a Bologna, Padova, Perugia, e Rimini. Da lezioni sulle sentenze di Lombardo. Oltre alla sua opera principale, il commento alle sentenze di Lombardo, scrive diversi saggi, tra cui: “De usura,” “De IV virtutibus cardinalibus” – cf. Grice, philosophy, like virtue, is entire --  e un estratto del commento alle sentenze, il “De intentione et remissione formarum,” un’appendice sulla IV distinctio del I libro del commento alle sentenze, una tabula super epistolis. Augustin. Manifesta una certa attitudine sincretistica tra gli sviluppi d’Occam ed Aureolo. Mostra analoga tendenza anche nella ri-costruzione e dell'analisi del processo della percezione animale e umana e il conoscere umano, nelle quali si fondono in maniera originale elementi etero-genei desunti da Aristotele del Lizio, Agostino e Ockham. Causa un grave fraintendimento della sua filosofia, è qualificato come tortor infantium, per la supposizione di aver condannato alle pene eterne i bambini che muoiono senza il battesimo. In realtà espone tale dottrina senza pronunciarsi. Talvolta è indicato quale antesignano dei nominalisti. Altre saggi: “Gregorii lettura super I et II Sententiarum”; “De imprestantiis venetorum”. Mazzali, Gori, Manuale di filosofia medievale, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di filosofia.  Now two important consequences follow from Gregory's definition of the object of complex knowledge as the significatum totale of the conclusion. Firstly, it entails a proposition of a special kind which meets the requirements of both demonstration and experience.? Not every proposition does so. Indeed Gregory dis-tinguishes three different kinds of propositions. They are in two categories. The first is of mental images representing actual spoken words, or statements, from which they are directly derived and which vary according to the language in which they are framed: for example Greek or Latin.3 The second is of mental images which have no direct correlation with words; it consists in purely mental concepts undiversified by language, the same for all men.  These are the mind's natural signs prior to words, which have been instituted to express them.* They are divided into those which are  (bid, pono etiam tetio quod propositio aliqua non est ipsam esse veram  2 Secundo, idem est obiectum scientie et assensus sciabilis, sive assensus sit scientia sive distinguatur. Nam ei quod quis scit assentit, sed obiectum assensus sciabilis est significatum conclusionis. Ei enim assentit quis habens demon-strationem quod significat conclusio demonstrationis (ibid., O).  a Quidam enim est earum que sunt vocalium enuntiationum imagines vel similitudines ab exterioribus vocibus in anima derivate, vel per ipsam ficte, iuxta modum qui infra dist. 3 declarabitur de abstractione et fictione in anima  conceptuum. Et iste non sunt eiusdem rationis in omnibus  * Quidam vero genus est enuntiationum mentalium que nullarum suntultimately founded upon sense experience and those which are not.  The former, whether they originate directly or indirectly by simple or complex knowledge, or just inhere in the mind, have their source in external things; they are as much the property of the deaf and dumb as of other men, for experience, not words, is their agent. The other group, on the contrary, owes nothing to external knowledge; its images belong to propositions which are held as matters of belief or opinion and remain unverified. ? They do not come within the province of knowledge.  Of these three groups only the second represents both know-ledge and assent.? The first consists simply of words, devoid of either knowledge or judgement; the third of judgement, or assent, divorced from knowledge. Gregory includes in the third category dissent since it is the negative act of assent.®  The effect of this classification is to isolate statement, know-similitudines vocum, nec secundum illarum diversitatem in hominibus habentibus diversificantur. Sed eadem sunt secundum speciem apud omnes idipsum naturaliter significantes quid vocales eis subordinate ad significandum ad placitum et per institutionem significant; et ille sunt illa verba que nullius lingue sunt, et vocalia verba exteriorius sonantia (Prol., q.I, a.3, 4 F-G).  secundum enuntiationum mentalium subdividitur:  quantum quedam immediate ex rerum intuitivis notitiis incomplexis, tanquam ex partialibus causis vel ex alis complexis vel incomplexis, ex illis mediate vel immediate causatis, seu ex habitibus ex talibus notitiis complexis derelictis causantur, vel forsitan etiam quedam non ex aliquibus incomplexis notitiis causantur, sed sunt simpliciter prime venientes in mentem naturaliter (ibid., G Quedam vero sun que non ex talibus primis notitis rerum aliquo predic  torum modorum causantur, cuiuismodi sunt enuntiationes quibus quis enuntiat mente et iudicat sic vel sic esse aut non esse, non cognoscens tamen intuitive, aut alia notitia prima vel ex intuitiva derivata, que sic sit vel non sit, sicut enuntiat in mente quis dum credit vel opinatur (ibid., G-H).  3 Secundi autem generis propositiones et enuntiationes sunt et notitie et  assenus (ibid., H).  1. propositiones primi generis sic sunt enuntiationes quod non sunt notitie formaliter, necque assensus, non plus quam enuntiationes vocales quibus sunt similies (ibid.).  • Tertii autem generis propositiones et enuntiationes quidem sunt et assensus,  sed non notitii ibid.).  6 Ex his autem sequitur quod dissensus non est aliquis actus intellectus a quolibet assensu distinctus, quinimmo quilibet est assensus quidam. Quod probatur, quantum cum assensus mentalis sit enuntiatio, dissensus erit enuntiatio sibi opposita (ibid.).ledge, and judgement as separable elements in a mental demons-tration. One does not imply the other, so that the statement can obtain either exclusively or in combination with knowledge or judgement. ' Only when all three are joined together can there be a true demonstration. The statement alone tells whether something is or is not, according to whether it is affirmative or nega-tive, * knowledge enables us to ascertain its truth or falsity; assent (or belief) affords the judgement necessary to any demonstration" and is thereby the means by which a conclusion is reached.® Gregory, then, unlike Ockham, keeps assent and knowledge separate; although, when present together in the same demons-tration, they are all part of a single mental action, we have seen that propositions containing one do not logically imply those containing the others. The separation between them gives rise to the second consequence in Gregory's treatment of complex know-ledge. For since assent has to be to a proposition embodying a statement of truth, the object of assent is the proposition, not an external object. Consequently the object of assent is a complex, as opposed to a simple, signification; or as Gregory puts it, it is  Ulterius sequitur ex istis quod non omnis mentalis enuntiato est assensus, licet omnis assensus sit mentalis enuntiato. Et quod quamvis omnis notitia complexa... sit mentalis cuntiatio, non tamen e contrario omnis mentalis enuntiatio est talis notitia. Item quod quamvis omnis notitia complexa sit assensus, non quilibet tamen assensus est talis notitia (ibid., 1). quia est circa obiectum scientie, quod proprie est illud quod significatur per conclusionem demonstrationis, ut patet ex primo articulo, intellectus habet actum enuntiandi et actum cognoscendi et actum credendi seu assentiendi (ibid., 3 K). 3 nam per ipsam conclusionem enuntiat sic esse, si est affirmativa, vel non sic esse, si est negativa (ibid., L)  4 Cognoscit etiam sic esse sicut enuntiat (ibid.).  5 unde primo Posteriorum dicitur,  quod scire est per demonstrationem  intelligere, et quod demonstratio est syllogismus faciens scire. Non solum autem enuntiat et cognoscit sic esse, sed etiam credit seu assentit quod ita est (ibid.).  * Prima [conclusio] est quod conclusio demonstrationis mentalis propric accepte est assensus de sic esse sicut ipsa significat (ibid., 3 Q).  'ga conclusio est quod circa taliter demonstratum vel scitum non sunt ponendi tres actus distincti in anima ad enuntiandum conclusionem et cogno-scendum et credendum, seu assentiendum, sic esse vel non sic esse; sed quod idem actus sufficiat ad hoc, et idem actus est conclusio, notitia, et assensus (ibid.).a complexe significabile.! Its meaning derives not from direct sen-sory experience but from mental activity. It is an expression, as opposed to thing, describing a set of relations which has no direct correspondence to an actual object. Hence, although Gregory has throughout stressed that the truth of any proposition rests upon its foundation in experience, this is not the same as saying that it can in itself be directly encountered. Its reality is of a different order; verbal rather than actual.  Now there are three ways in which something? can be said to be. In its most general sense it embraces any sign, simple or complex, true or false; secondly it can denote any sign which is true; finally in its strictest sense it is confined to that which is actually in being, and conversely by this criterion that which does not so exist is nothing. While by the first and second modes the totale significatum can be said to exist, by the third it cannot, as, for example, to say that man is an animal is both a statement and a true one but not something which can be seen in itself.® Gregory, as H. Élie has shown in Le complese significabile, here opens the way to what is akin to scepticism in making a distinction between verbal statements and sensory reality. In his case, however, it had the opposite effect, since it enabled him to recognize a true description without seeking to identify it with any specific object in rerum natura. As applied to God's attributes, the divine persons, and sin, we shall see that the innovation of the complexe significabile was employed to reassert the most rigorous traditionalism.  If it is here that complex and simple knowledge diverge, it is also the point at which they meet, for the absence of direct experience in complex knowledge compels it to depend for its truth upon simple knowledge: no simple knowledge, no true  Ad probationem dico quod non assentimus proprie loquendo nisi signi-ficabili per complexum, nec aliunde vere dicimur assentire alicui complexo, nisi quia assentimus ei quid ipsum significat (Prol. q.1, a.1, 2 F). He regards the terms aliquid, ens, and res as synonymous (ibid., 1 Q). Ibid. * Ibid., 2 A.  5 Tertio modo sumuntur ista ut significant aliquam essentiam sive entitatem  existentem, et hoc modo quid non existit dicitur nihil (ibid.).  * Cum dicitur utrum istud totale significatum sit aliquid, dico quod, si aliquid sumatur pro primo vel secundo modo, est aliquid; si vero tertio modo sumatur, non est aliquid, unde homo esse animal non est aliquid... (ibid.).complex knowledge, is the law governing all valid mental demonstration. There is a constant order between what can be known directly in itself and the judgements which can be made about it; and ultimately the guarantee for the validity of the latter lies in the truth of the former.? As Gregory says, a proposi-tion is true or false in accordance with the truth or falsity of that to which it refers. Experience is therefore the final arbiter, appeal to which transcends the findings of a conclusion taken in itself and so gives rise to the totale significatum.  From this there follows, finally, the conclusion, or corollary, so momentous for fourteenth-century cosmology, that knowledge of one thing does not entail knowledge of another. It springs  *logically from Gregory's findings over the object of complex knowledge in which judgement must be based upon simple knowledge, and has two aspects. One is Gregory's sustained re-buttal of the contention of St. Thomas and Henry of Ghent that there can be a single habit for all knowledge. Apart from in-  stancing the absurdities to which this would lead, in allowing everything to be deduced from first principles, Gregory bases his arguments upon the character of complex knowledge. Firstly, as we have seen above, a demonstration is true only if it can be verified, and this applies equally to each of the components which make it up. Thus the knowledge (and habit) of the conclusions is not the same as knowledge of the principles; one does not engender the other. Secondly, each proposition must be reached by a separate act of verification: far from knowledge of one lead-ing to knowledge of another, we can know one proposition and  1 Aut notitia conclusionis, id est enuntiabilis per conclusionem, sit notitia nobis naturaliter ex alia prior notitia, aut non. Si non, ergo non est scientia  proprie loquendo (ibid., a.4, 6 L).  = Ibid., a.3, 4 I-K.  3 unde illud dicitur falsum enuntiabile, cuius enuntiatio est falsa, vel esset falsa si esset, et illud verum, cuius enuntiatio est vera, vel esset vera si formaretur.  Vel aliter, illud dicitur verum quod est enuntiabile per veram enuntiationem, illud falsum quod per falsam (ibid., a.1, 2 D).  * Ibid., q-3, a.I, 13 C.  " non sequitur notitia conclusionis eque preexigit notitiam premissarum,  sicut notitia terminorum (ibid., O).  *nulla autem una enuntiatione nobis naturaliter possibili possunt tam diversa enuntiabilia enuntiari (ibid., C.).yet be ignorant of others,' for each refers to its own object;ª it can be particular, universal, affirmative, negative, according to its significatum totale. Thirdly, only that knowledge which derives from direct experience can be complete knowledge: to know something a priori is not to know something on account of some-thing else but to infer it from a premiss.' Thus the proposition which tells us that the moon is liable to eclipse does not tell us that such and such an opaque body is the cause of a particular eclipse; that can only be known directly. Knowledge, then, far from being a unity governed by a common habit and a common set of principles is individual, resting ultimately upon specific, veri-fiable experiences.  The other aspect of the individuality of knowledge lies in the status of the subject. Duns Scotus had held that the subject of any knowledge contained virtually within itself all the truths pertain-ing to it, and that in God, as the first subject, inhered the habit of all truths." Gregory rejects this view. A subject, and its proper-ties, he says, can be understood in one of two ways: as the terms of a proposition? or as things themselves for which the terms stand.® In the first sense they can obtain either formally in them-selves, if the proposition is a composite one comprising distinct  1 Notitia unius principii potest stare cum ignorantia alterius... (Prol. 9-3,  aI. Significata principiorum sunt alia et alia, et unum non cognositur per  alud, igitur non est unus habitus (ibid., H).  3 constat autem quod demonstrationis aliqua est propositio universalis et aliqua particularis, aliquando etiam aliqua est propositio affirmativa, aliqua negativa. Item de diversus predicatis vel subiectis obiective sunt, sicut aliud significatum totale est unius propositionis demonstrationis vocalis, aliud alterius  (ibid., B).  • Ad confirmationem dicendum quod aliud est dictu scire est cognoscere hoc propter hoc. Aliud est dictu scire est cognoscere quod est propter hoc.  Primum enim universaliter verum est... Secundum autem non universaliter, tum quia ille qui scit aliquid precise a priori et per causam non cognoscit quod hoc est propter hoc (ibid., 14 C-D).  Ibid., D. Op. Ox. I, Prol. q.3, and Rep. Par. q.I, as cited in margin (15 F). › premitto quod subiectum et passio in proposito possunt dupliciter accipi: uno modo pro terminis mentalibus quorum unus vel formaliter secundum se  vel quas significant (ibid.).parts, so that both the subject and properties are separate from each other.' Alternatively, if the proposition is not composite but simple, standing for only one term, as it were, then the subject and its properties are equivalent, in the event of which one can be predicated of the other.* In every case the subject and the proper-ties, whether as terms in a mental proposition or as self-subsisting entities, are not implied in each other: that is, one does not virtually contain the other,a nor does one entail knowledge of the other.* In the first place, if the property were contained virtually within the subject, it would not be a property, for it would then become a different thing from the subject, and, as Duns says, be joined to the latter in a causal relation as its effect. Thus, in the case of say a straight line which is divisible, the line and its divisi-bility would become separable entities, so that either, by God's power, the divisibility could exist without the line, or the line, as virtually containing its own divisibility, could divide itself— both absurd. The same position is reached with whatever is con-sidered, as for example, the separation of a creature from his property of annihilability, leaving the latter with no subject.? It is equally inapplicable to God, in whom nothing inheres virtually,  and to the celestial bodies.®  Ibid. Si vero propositio non sic componatur.. tunc inquam talis passio mentalis non nisi equivalenter dicitur predicari de subiecto (ibid.). Prima (conclusio] est accipiendo subiectum et passionem secundo modo, non omme subiectum scientie vel principii continet virtualiter primo suam passionem (ibid., 15 H). Secunda quod notitia subiecti non sic continet, scilicet, primo virtualiter notitiam passionis, et si subiectum et passio primo modo accepta non sunt aliud quam notitie incomplexe subiecti et passionis secundo modo acceptorum, ut aliqui volunt, tunc idem dictum, primo modo accipiendo subiectum et passionem, quod subiectum non continet passionem (ibid., H-I.) Ibid., I. * Si ista passio est alia res etc., vel est aliqua res actu existens in linea, qua ipsa linea est formaliter divisibilis, que vocatur divisibilitas; vel linea non est divisibilis per huius divisibilitatem quam habet actualiter, sed per divisionem quam habet possibiliter. Si detur primum, possibile erit per dei potentiam esse lineam absque tali natura. Patet, tum quia accidens potest esse sine subiecto...  Si detur secundum, igitur linea, quando dividitur, causat divisionem in seipsa, quod est absurdum (ibid., K-L).  7 Ibid., M.  * Ibid., N.In the second place, among nothing created does knowledge of one thing entail virtual knowledge of another such that the know-ing of one thing is the cause of knowing something else.1 This conclusion shows the degree to which the Ockhamist cosmology of individual experience had gained currency, even if, as we have stressed, this does not imply scepticism or a purely critical out-look. As we have seen, all knowledge of the external world, that is knowledge which deals with creatures and their relation to one another, depends upon direct experience of what is known.  Hence immediate (intuitive) knowledge of one thing cannot by its very nature engender intuitive knowledge of another not itself directly experienced. Similarly, abstractive knowledge, since it is dependent upon what has previously been known, cannot give rise to further knowledge either intuitively or abstractively.?  Gregory has no difficulty in showing that no virtual knowledge can meet these conditions: knowledge of man does not in itself entail virtual knowledge of his capacity for beatitude or his ability to smile;? in knowing of the existence of rhubarb we do not thereby know virtually its curative properties in purging choler.* To be known these attributes have to be experienced for  themselves.  Thirdly, if our propositions are true only when founded on experience, conversely our experiences do not in themselves lead to demonstrations—the source of scientia in the strict sense.» Thus we can have distinct and separate intuitive knowledge of both rhubarb and of its curative powers without thereby knowing it, as  1.. quia nulla notitia unius rei continet primo virtualiter notitiam alterius.  Loquor de rebus creatis (Prol. q.4, a 1, 15 0).  3 per notititiam intuitivam unius rei non potest haberi intuitiva alterius... et per consequens non primo virtualiter continetur a notitia intuitiva alterius, nec secundum... quia nulla talis [abstractiva notitia] potest haberi nisi pre-habita intuitiva eiusdem rei... Nec tertium potest dici. Tum quia abstractiva non potest esse prima, et per consequens nec primo continere. Tum quia multo minus per abstractivam unius rei potest haberi intuitiva alterius quam per intuitivam (ibid., P).  3 Ibid., O.  4 Ibid., Q.  5 Tertia conclusio probatur, nam multe sunt propositiones immediate que  sunt principia artis et scientic, in quibus predicantur passiones proprie de subiectis, nec tamen ad eas sumendas sufficit notitia incomplexa ctiam distincta  subiecti et notitia distincta passionis (ibid., 16 B).a universal truth, that rhubarb purges choler: this is the property of propositions which make up complex knowledge.' Thus, simple knowledge does not virtually contain complex know-ledge.* In the same way, one principle cannot be inferred from another, for in any demonstration each has to be known imme-diately, nor can the conclusion be known from the subject or knowledge of the subject.' We have thus, as it were, boxed the compass in rejecting any source of knowledge other than simple intuitive experience and any means of understanding (or scientia) other than complex propositions. In the one case each component must be given in experience; in the other a separate mental process of affirmation and negation is needed. Neither therefore permits knowledge, least of all universal knowledge, through one first and all-embracing subject; as this would short-circuit the processes necessary for reaching a true demonstration as just adumbrated. In short, since one thing cannot be known from another, and cause cannot be inferred from effect, there can be no way to the universal knowledge contained in propositions other than by individual experience; while, for their part, individual propositions must be combined into a demonstration before they yield universal truths.  What, then, is the subject of knowledge? If the subject is taken to mean that which is signified in reality, as opposed to one element in a mental proposition, and knowledge is regarded as that which is signified in a specific demonstration, then the subject of knowledge is that which is. Thus in the statement that a line is I etiam si quis novit(a) quod hoc singulare rheubarum est purgativum cholere, et illud, et sic de pluribus, ad habendum notitiam universalem, quod omne rheubarum etc, necessario requiritur quedam alia notitia universalis non causata ex illis singularibus (ibid., 16 C).  (a) Ms. Univ. 196: noverit.  * Ex his patet quod notitie incomplexe subiecti distincte et predicati seu passionis non continet primo virtualiter notitiam complexam principii (ibid., D).  3 Quarta conclusio quod unum principium non continet primo virtualiter aliud seu una premissa aliam (ibid., 1s I).  quia subiectum seu notitia subiecti non continet primo virtualiter pro-positiones immediatas, igitur nec conclusionem (ibid.). Quinta [conclusio] quod subiectum scientie non continet virtualiter primo omnes veritates illius scientie... (ibid.).divisible the subject is the line as divisible.' If, however, we speak of the subject as part of a mental demonstration, then the subject is one part of the total knowledge thus gained; for, unlike the object of knowledge, which is reached by a complex of judgement and experience, the subject is simple.? Taking knowledge in the wider sense as a collection of conclusions all pertaining to a single body of scientia, there will then be as many subjects of such knowledge as there are conclusions and objects known,* as in the case of the subjects which go to make up logic or medicine. Here the determining factor will be the nature of the subject in question." Accordingly, Gregory's entire treatment of the relation of the different kinds of knowledge, and of their parts, to one another is governed by the experience which we gain of them. The validity of anything known springs from the evidence which experience provides, and that experience can only be of individuals. It is at once the bond which unites and the barrier which divides the simple and the complex, the subject and the object. (3) SELF-EVIDENT KNOWLEDGE  There remains to be considered self-evident knowledge. It difters from both purely simple individual apprehension and trom demonstration, and indeed strictly speaking from a proposition at all, in dealing with necessary truths immediately evident to all.  As defined by Gregory, it is a statement or its equivalent, the  1 dico quod subiectum scientie est illud quid scitur per illam esse tale. Et ratio subiecti, seu esse subiectum, est scire esse tale vel tale, verbi gratia, huius scientia qua scitur omnem lineam rectam finitam esse divisibilem in duo media.  Subiectum est linea; ipsa enim scitur esse divisibilem etc., et ipsam esse subiec-tum huius scientie non est aliud quam ipsam sciri esse divisibilem etc (Prol.  supposito quodtalis conclusio mentalis non sit actus simplex...sed essenti-aliter sit composita ex subiecto et predicato sicut propositio vocalis et scripta ...et sic subiectum scientie est pars scientie actualis (ibid., L).  ..quia subiectum secundum omnes est aliquid incomplexum (ibid., M). Si vero loquamur de scientia secundo modo dicta, sicut eius sunt plures conclusiones et plura obiecta scita, sic etiam sunt plura subiecta (ibid.). * Et ista patent discurrendo per ea que communiter assignantur subiecta in scientiis... quam etiam per rationem, quantum non apparet taliter qualiter tot partiales scientie dicantur ad unam scientiam totalem pertinere (ibid., P).Gregorius Ariminensis. Gregorio da Rimini. Rimini. Keywords: complesso significabile, semplice, complesso, animale, pane, l’animale percezione del pane, Socrate is seated, truth-functionality, scuola italiana, scuola di Bologna, studi generali in Italia, studio di Rimini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rimini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rinaldini: la ragione conversazionale -- del cimento del Lizio -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Ancona). Filosofo italiano. Studia a Bologna. A servizio di  Urbano VIII, ottenne da Barberini, nipote del papa, la supervisione delle fortezze di Ferrara, Bondeno e Comacchio. Insegna a Pisa. Amico di GALILEI e BORELLI, il quale lo soprannomina Simplicio per la sostanziale fedeltà al LIZIO. È in corrispondenza. Uno dei soci fondatori del Cimento. Tuttavia ha numerose controversie con i suoi amici e con Redi e Ruberti. Nonostante il conformismo, si oppone alla teoria della virtù zoo-genetica delle piante, sostenuta dagl’altri accademici del cimento, precedendo Malpighi con l'ipotesi che anche gl’insetti delle galle nascessero d’uova deposte da individui della stessa specie.  Insegna a Padova. Saggi: “Philosophia rationalis, atque entità naturalis.” Un'altra delle sue glorie è la sua proposta di scala termo-metrica utilizzando come riferimento fisso il congelamento e l’ebollizione dell'acqua all'ordinaria pressione atmosferica. Prropone di dividere l'intervallo in XII gradi. Altre saggi: “Opus algebricum” (Ancona, Salvioni); “Opus mathematicum” (Bologna, Dozza); “Mathematica italiana”; “Geometra pro-motus” (Padova, Frambotti); “Ars analytica mathematum” (Firenze, Cocchini); “Ars analytica mathematum” (Padova, Frambotti); “De resolutione atque compositione mathematica, Padova, Frambotti, Philosophia rationalis, naturalis, atque moralis opus in quo praesertim physica universa ex accuratis naturalium effectuum observationibus deducta et ubi rei natura patitur geometrice demonstrata exhibetur, Padova, Frambotti, Ad artem quam ipse conscripsit mathematum analyticam para-lipomena” (Padova, Frambotti); “Commercium epistolicum” (Padova, Frambotti). Redi scienziato e poeta alla corte dei Medici, Lo sviluppo delle ricerche sulle galle,  Redi scienziato e poeta alla corte dei Medici  Pighetti, Il vuoto e la quiete: scienza e mistica: Cornaro e Rinaldini (Milano: Angeli); Dizionario biografico degli italiani, Roma, Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Museo Galileo di Firenze. SECTIO PRIMA. crjuairKpifaf/jfrox, et quanta sit roam necefinat. CII ani)iu/r>orrpro- dtni m Utut NATURALI  tr nrmenlir/anNJliu. SONI auccin nomine dd>et intelligi, quod auditu percipitur ciim omne id fomnefle dicaturi noo umen 1'onus omnis cRvox» sed Uleunuutimodo qui animalis orc  PROFERTVR. Sonus emm ex corporum jacrirque pcrculEo- ne muhiriril efficitur} TONVS tamen ilJe dumtaxat qoiab animali eftcitur  nonmodo  quocunauc>  fcd  ons  prolatione»  vox  nuncupaturi  6c  iurc  quidem  per  suturalia  dicitur  mTlrumcnta formatustum   expiica- cioois maions gratia tum etiam sonum excludendi  CAVSA I qui  cUi  forfan ore ab aminali prolatus  nono  tamen  per  vocis  iniirumenta  fbmutus  fit  >   ItekaiSr  Multa  pottd  fum  advocem  eftbrmandam  inAru-  uiuBe-  mentanatur x;  PULMONES videlicet  guttur  dentes    u W . lingua » labra  &c.cquibus LINGVA prarertimen qu  cii varia  fui  Rexione» txKitioneque et ad  palatum denccT^    que  conhmChone  acrem  ex  p^ote  in  os  vitali  fiicul-  cueitae  vsmucf  atqi  pulmonis  agitatione  deducum nrietate mira franzit  percutit atque componit. Ita voce tn  tuodoTatur»  ac  tamas  vocum,  vcrbonimq;  varietates  e^rmai . Hinc mirabilis illa vcrboiunu» copia}hinc magnus cloqueittiz thcfaunK.   Tocii  di»  Vox  autem  vatiam»  atqoe  multiplicem  fafaitpar-  Bifioin^  ciiioneui)  elini  pnmd  diuidatur  in  illam  quf NIHIL SIGNIFICAT}nfcdulitz  ac ARTICVLATA fic homini  propriz  st  exteris  conucnirc non  poflint.  lu  qurdem  Philosophus T'uces»inquit»/«nr at«»nimiruinfi; na  earum  PASSIONVM^qtu;  SVNT IN ANIMO   per  pa  (fiones  incelli  geo  mcmis CONCEPTVS. Hxc  .tutem  vox»  quam  homo»  quatenus  rationis  particeps  fibi  vendicat  propriam»  rc^  dicetur,  qux  mentis  CONCEPTVS poteA  imnifena-  rc  • £x his quidcmintclligcs » quid  mtcnltdifitiir.i-  m$  imer  fermonan»  sonum  et vocem i naaifenno  quidem  cA  hominis » vox  animalis » sonus autem corporis. Agdnuncquanta fit vocum vtilitii quancanecef  Vnluu  fitas paucis aperiamoj. Heraclitus  ciufquc  iorcs»cq'iorumnumcro  Cratylus»  putabant  verbis*'*  '  niJiil  exprimendum»  fcd  horum  loco  digttts»  geAi-  bufquc  manuum  ad  mentis  conceptus  manifcAandos  vtendumi  non  quod  voces  aliquo  iiabcteni  odio  fcd  quoniamnihil  Aabilc>nUuiqoc  firmum  arbitrabamur»  quin  omma  in  continuo  efie  fluxu  dicebant»  proinde- 9ue dum vox profenurquod exprimendum crai>cran  !uAe putabant. Non inficiandum fanc quibufdam SIGNIShominem  Homine ad  intimiores  animi SENSVS ex promendos  indtgerC. alinumio cum nihil poiTit interius latens ac in mente regium Tmint NOTIFICARI, mfiali cuius REI sensibivs opimlationc  fi- animiqut ue przfidio. Hinc fiinum ejl illud, quod prtttr fui agnitionem, quam m^rrrr sensihus, facit nos tentre  i» cognitionem ALTERIVS  . Vt  voxiAa»lJowo»praterfpe.®  cicin»  quam  imprimit in auditu tanquain  lonus nos  in  alterius  pma in humanz nanirx cognitionem deducit. HuiufnKsdi proinde li.um dic debet  vt,  co  pcrlcnfuscognuo  dcocniamusm  cognitioitcm  rei ctim  qua SIGNIFICAT  fignuiv}  fiabci  connexionem. Iu fit VT SIGNIFICARE non fitaR  quam  aliquid  aliud  a   fe  diflinCtm   cognofccmi  reptxTcmaiO  .  Quamohrcir^  jdco^nofcentcm  fotciuiam cmrcprxfc,H^ai quarareptx- fentatiorji hgii».n   TamcUj  *I\-.  r »purr,.cn cogitari. Wv'aVi«‘n mienram «ft VOX, Vx A'  H aiuH Ctreli  Reiuliim  Diprtttunit  DuUtBic*.    tnleii  conecptnm  tlteri  d atque  ngiuBcet»  vt  funt  oculi manus et id genus  aUa » tamen  inter  omnia  Tcrbii  princeps  debetur  locus  >aim  his  »qaio  quid  humana  mens  perceperit»  longe  melnis atquO  commodius quamc cemiignis  eaprinu» declarari  qocpoint   Veees  ad  Vocesad  resnianirrflandaaomnind  Becclfanarnon  m mtnK  Tunt  »cum  ad  id  non  mediocri  tu  opportuna  itgna  repe*  lcftarvd«a  riantur;  nemini  tamen  infictandum»  idonea  przler  o inA  tim  ad  hoc  munus  efTc  inArumenta  , & forfan  etiam  necedant  jptilTima  , cum longe  quidem  facilius  atque  com “II*' roodms,  quaccunque  concipimus»  ammoque  ge-  rimus» per voces qudmperaliaAgnanobisliceat cxplicare.  fi  Kakt lotera  in vonbus momenti  fti  ad ciuilcm   vium  ducendam  neminem  pratcrti  fi  nonnihil  ad-  phirimB**  ttcrtCTit » non  par lim oblidlamcmiquemlibct et voca-  qaeetMa.  Ji  fennone  delumcrei itcmquead amicitiam  focieta-  cit.adci-  temque  exercendam  conduccrc»  addocendum»  ad  btkn  vi  intenogandumjaddicendum  »adurxcipienduni»ad  ttoi  dc|  finiul  & ad  petenda  con/ilia  conterre.   MuiIhI  WiJabtiia  denique  vocis  potilTHinim  humana»  qua  hanlMa  caterorum  animantium  voci  multis  nominibus  ante-  vocu  e6  ccliie  videtur  indoles atque NATVRA.  H^ccnimma-  ditie.  xinia,ficorpufcu!i  moJcmexiguamrefpicias{h«  vana admodum  pro  varietate.fingulorum } h  litauis  in  primis  htcdrnique  fuir m  teneritatis acmollitudinis maxime enim  Hqgitur»  frangitur»  ac  Ace-  tur niht!que  pluribus  fiexionibus  prpeipue  in  cantu  commutatur  { nunc in longum  trahitur  continuato spiritu»  nunevariaturinfiexo  nuncconcifo diiUn-  guitur  modo falfis voabus mollitur modo entis atque feueris intenditur quandoque deorfum a furo-  ma  vcl  Ultujvcl  per  gradus  prteeps  ruiti  non  rard  fiur-  fumahimo  pariter  attollitur.   Nedum  autem  vtilitas verom etiam  neccAitas  vocum cA  explorata   fine  ipfis  enim  haud  fieri  potcA » n  anmd  ienla»  atque  conceptus hominibus loco quidem abfemibus traCfuque temporis futuris manu Acnnjr  quod scribendo verba  literifque CONSIGNANDO ailcquimur  iac  id  fine  vocibus  obtineri  non  potcAj  quid  cmm  liceris  confignaremus  antmraUontVoeibus  pgn^catiocoKHtmat  i‘ Vletib.  TT  Veteres  ilioa  philosophames  Heraclitum  Jl  Cratylum 'k  Pythagoreos  omnes  dcnwniia»  t«mut  no  cyt  .t » VI  dicerent  NOMINA  fuifle  REBVS i natura  im-  n na  te  pofica  »& rem  vnaroquamque  pro  1'ui  conditione  for  boi  a M*  tuam  luilic  nomen»  vun et  eJficaciam  habens  ad  illam  t«ia  &ir*e*primendam»  ainue  repryfenandaro»  vc  fapientis  ft  irapofi*  nmnus  videretur »mud  noua  rebus  imponere  nomi-  na»  fed  cuique  natura  tributum  peculiare»  &prc  |»rium  inquirere. Hcrn,ogencs  contra  fignificandi  vim  omnem  in  vocibus  hominum  voluntati  penitus  reterebat  acceptam»  mhilm hoc tribuendum natur  potans, cum  fonuit6  fingulia  rebus  nomiru  quoquO  lugula  tuerim  impoAta.   Vocet  nfi  Voces  non  omnes  vnmfmodi  fum; propterea  qudd  alique vtfufpirta»  GEMITVS Ac.  qus  nimirum  arti-  vomIib  ifon  fum non ex homrnum IMPOSITIONE ar-  •iiom.  |)i(f2tuue»  Icd  fui  NATVRA SIGNIFICANC. Arcicuiaesau-  tctn»quc  Ium»  non  ucm»fed  ex  hominum  impofitionc»  ac  placiiOiquod  AriAoicIci eleganter exprcAti  diccns»  J^omenftgnifitut fteimditm fUettum y nwniam  natura. MminM*  nidlam.  ^x\i\n  , CnmUoraiiotfl  SIGNIFICAT fsgnifica'  UtunoH^^iUinfinmcnumtftdftatndm  fiatittmi In quo ducem habuit Platonem» apodquemlo Cratylo hzc eadem exprcAa legimus. Ab his nec facr* Paginz dtflcntiunt  in  ijs  enim  cA feriptum  Dnu  om^atf>iiiRtfnrra4d«^dos»qu« placuerint  nomina  rebus  imponeit..   Et  certe   fi  res  quolibet  ab  ipla  natura  fuum  obeinuifi  fet  nomc>nulIi  dubium  »quin  omnes  populiinationdqs  omnes  eodem  nonnncresiiiasappcilaredcbuillcnt. Quod a veritate  quanrurr.  fit  alienum   cuicun*]uc  •  cene  perfpc^um  animaducncmi  rem  aliquam  duicr-  fis  nomirubus  apud  diucrfas  gentes  atque rutionec  exprimi ) eandem  itidem  vocem  vel  in  diuerfis  linguarum generibus  diucrfii  penitus  denotare  i vcl  in  vna_j   3uidcm  aliquid  finalia  veru  nihil  fignificarc  . Ineo em etiam Idiomatc frequenter aqumoex voces  occurnint  qus abfque omm PROPORTIONIS fundamento diversa significam; fic etiam voces fynonitrx ncnipd fienificationis ciufdeiu  quamuis  vocis  fubAantii  dil-  fcr.'m.    Tainctfi  autem  res  ita  fi:  [habeat»  non  tnficiandum  MulniOt  tamen»  multa  quidem  cAe  nomirta  determinatis  rebus  fignificandi simpefiu  non  temere  amue  fortuito  >fcd datiopera»&  exinAituto quodarnnlle  Platoni ttne-  mori»  literifque  traditum  cAjidque  ficvfurpauduin  mulca  fcUictt  nomina  talem   ac  cantam  cum  rebus  conucnienciaro » ac  proportionem  obtinere » vc  ad  ci-  primendas  illas  pre  cztcris  idonea  line ) Neque  hino  aliquem  admiratio  fubeat  inam  etfi  libera  voIuntacC-s  stomina  rebus  poirmc  imponi } cognitis tamen rerum naturis  et proprietatibus congruum  ac  idoneum  nomen  l'cicc  qui  fingulis  imponere»  datum  erit } Oc   cenc  hoc  fapientis  ac Prudentii cA munus { isenia  ciim  rerum  naturas  probe  cognoueric»  confemanea.»»  consruentiaque  nomina  ad  tllas  denotandas  prudenter feliget.  &c  profeCld  nomen  iAud  lebemah  zpnd  Hcbnros  Deo  Optimo  Maximo  congruit  appnmc    cum  quod cAa  fi;  ipfo » & Derfuamemfuiam  quodr  qucnecefle  c*pic  >necvnquam  delinet  »&cA  tbns»ac  origo  lotitii  eflc » cuiufino^  Deus  eA  fignificac .   Nominis  ad  rem  iAa  proportio  contingit  vel  per  Noiuis»  etymologiam  in  eo  confiAcmem   vtcum  prius  fuerit  ad  rem^  nomen  impofitum  ad  quidpiamfignificandum  »fiini-  ledeindenomenad  rem  itidem  fiiuilcm  denotandam  adhibeatur)  quamuis  eo  tandem  deueniendum»  vc  nomen  citra  quamlibet  etymologiam  ad  rem  ligni-  candam  vfurpetur . Ica  quidem  Logica  dicitur  a Itigot »   Phylica  i fityfu » homo  ab  humo,  & id genus alu. Eli  itidem  aJiud vnde proportionis ratio  nempe  nomi-  numcum  rebus  fignificandis  cognatio  quadam   qu«  penes  foQum  attenditur»  propterea  quod  tnultxltinc  voces  humiles  atqfuefuaues  ad  res  qualdamprxeipud  figniheandas  talis  conditionis» idonea.  Alta  vera  alpe-  riores  naturi  func»quaadrearcpr^encandasinquibu#  alpehus  maxime conueniences lunt  ac  oppornuue .   t^idfignificathYoeit,  cui,  &4fuidf^nific(t.   Tria  ^   TRia  igitur  in  praienda  fum  confideracu  digni^-  ****'  fima . Et  quid  fit  vocisligmficatio*  A:  cui  ngo^  aaS  fiti.1 1 & quid  penpiam  figmficctur . *can   Vtcxocdixri  prund } tnepte  admodum  quidam    Digi!ijccj  !:v  CjO(    Nihil flB '   M>cc  i-   fiuScMit  ni|i.,fi    SiSi»Tmt4i  :.  jf   ii|^1ignIfiqn^aiKli^  ffi^obcitiBa  m:;ti  prait^ai(lAg|»Acarefio(eir Ideoijircr*  rproirrifniu  nonuciiQsipdco^Aofcamu$>  itdur  ifio{>t>(!o;:;oiucartFrismamft^cu]us.  Non  inficien-  dam tamen  i vfii  venire  po(Tc, ut  re  ipfl  protcren»  &    . Attdiwafeidem;  cumpo(ntquiJ)*«anieA>  (ib.CKcna/eiHi  VDci.  gttttioociudaidcducttur»  qnod  torfan  cx  cum animo  Niptf&u^ueTnfiab in- exciderat»  Nd:  idctn dc  protcreno;  oiiliuwmium  j  . jf»adoinuihisf«d)or»  dum  enim hica hi  loquiiuti  «eirfu d4Curto:;niti-  ac^notiminhabnc. hac  prxtcritdj  nom  rmiOU  ruiTiHrntiririrni  ffl( , inctuTdcni  rcinocitiamdedaci- .   i*  quadam  pro.  Setinoirailmvocibutabiblai  poteA  » quin&;  noti-  lkttv«’   ttamiho)aitclo»]ucntis»  &rcm  crprcflani  per  ^4   rriiiflitp  volita ffioCTi^W  impo/ita>  nec  non  lupponat  icuniquilqucderccogmca  Icloqoi  cx- uiui   •dif   .Aie%uiAea(a  *_^tealdIi  eliquciu  rcfpcCtanrcoi>  iHTicntiicognolcatjqaononimmcritdPhiJofopban-ieA,  qui  JteefiWi  xubil  igitur  uuimui))  tium  animos  dubitatio  fubipdc  rciignihcau  pci  vo-  fc  i»o(kiI   denominatioaem  i^defunipiain (Igiuticarc qupar ,ex- quidem habft  I vimqt  J^i^rcndumobuocti  vt  homi9am  iuiiTc  de-  um aliquid  (tbi  denoti-  I illam  proferat  vocem  >  illud  idem  imeUiga?  »*  ;%e£^alem  eilbdenomina-  rccdaderiuatani.  ttonem eandem  per  cari cum  quali  vir-  )lcat  invoccrelatio-  animo  gignendam. cem  n >>ito‘-c   InfuJ^  quibufdam est  vifum  per  vocci  prinw  incn>  ^T^™***  tis CONCEPTVS secundo  fiiplarfigniricant  ciimpotiils  primo  RES  conceptas  (igniHcan  cxiAiininduitUi  ,51^^  quod  degatuer  apud  Anllocdem  exprclfum  iegt-  uppoaa-   »1  *t   linquit  1 jScri nm potffl  t vt  rct  ip/ji  frtenltt  dtfputmui  nominthu  ytmirr  fissis . Putalwt  cnitn  aflumi nomina  ad  res  ccmccpras  denotandas»  quod  comprobatum  inde  pariter  inrclligcs)  qudd  primus  humani  generis  }»rciis  animalibus  n-om.na  quidetn  impgfuic»  nominibusqupfuis  animantia  cunela  nun  cupauit  icxquu  hicilc  tnicUtgcs  >no(ninibiores  ipios  Agnihcart .   In  hanc  autem  Imtcncbm  adducoriquoniam  id  sx>t  Ibo»  af»  pnrad  figni/icat»  ad  quod  prirnb  denotandum    itutionc  liominum  lini  imp^a   Prnnd  fune  autem  J*  uoces  impolioe  ad  res  Agnificandas   has  igitur  priraii  Jj*     icmrmtono-   Jiwfenir^lii^tr^»^  expU-   e -r- X"  ligniHcant.  oho.4iiilhJ^^  £t oend  uoctbus id  prim^ligfuiicariputandumiin  4  ctiiu$ NOTITIA iuiiiwncdt2ce»^moqocnosillxdcdu- Aluadd»   ^^^^steodum  proptetta  ia  eunt.  Jdporr6funcresipf«>hxpromdepfiu)6%ai»  ctu*  r».  phyficc  cognitio,  ficancur.  w®*  „ _^^nt  concrcttonc mate-  QiuU ade6venim»ut etiam  uoecsantmiooeeeMv  Vm«c«   aiiii^riamininierfo>nivox  denotantes*  dirc^c  tesngnthcaredicendsmtiotuonaafifai.' Jt^propterca-tamumcioon-  enim  cognitioncs concepcufuccognofciinus*  vocibus  ficann»   qqptjiichgi  Bipriiis  caufa  mentem  au-  utimur  ad  illos significandosicauc non  fccus*  acre*  *"*>  ^  omoqfdi^eaqtit  hic  enim  ob  vocis  in>.  liquz  res  cognitu  fe  habeant)  atque  adcocognicio   apHpiBii  j&cftAa^quwdeipnisConitioneha-  quatenus  rcscognicacA*  per  proprium  Agnibeatur  Imi  bc^Mlitttuf^co^nmtctde^uotormallequitur. nomcn. dx««i{«  oiuff  ^l^iscwfiv&iMbe^CT^picndumyVtvoxid  (it>  TatuetA autem  uocibus  res  cognitis  (igtii£cari  di-   mM  pfo^nat  coctionis  atquin  ceremus»  tamen  id  nbnfvufurpanduminuafirctn  uni  Qgo  (*•«  tpQ^j^a^rriCxcitarequc  co^i-  &:  comeionem  ntiWaudicnttmmaU-   tisuoabuscoi*''^  ‘ ^   Atyi  gflCi"  fi»IT€r.  ''   ’ *0'  iVc"’^«fa«icaoubos  qip»t-  •    in  wcBtt ilje^niinaiuili^SWcis  prodii , quod  ||liin'  quod  audietj  •>  iK  pnmo  concepti»)  ct^mcioneiuc  ferum  uocibmn^tHcan-  attingit.  C^areobrem  i^uens»  vt  iine  huiulmo-   '»tc  |voaft)ir^uat(.nuau|mirumconimlocoJubffieutKadobic*  di  conceptu  nequit  alctri  quidquam    ea  liqutdem  eft  humani  audicasiinc  iUo  percipere .  lumT  intflJtgcmi* conditio,  vt nihil afleqtacuK^tulatio»  • 'B*|karte autem  loqumU  prarter  commemoiamm^Tl^  ^  koi  coooqitwn alia indem NOTITIA, /iueconecinus  ,nuem   i^indtci »du»miftrantibus comparetur*  Quod  igitur  in  aho  vlunrnumappclUfaOreqairirur.  NifienimquilpUm   proW  tcBucrir,quodcm*cepitaiiima,.linjuu^rofc-   qyencc  id  ccrtddedaratc  non  poterit  picc  mirum,  vo>  rkinaiS  ^ehimloccfconceptuuin  rubror^antufi  conceptos  eaim  vt*  ob idvenjm,quacanquc(uit i^ib^ligniHcande,iu^ tinuM pommtufinmence  QiMdadcoVerum. Ttfatu  ad  loquendutn  de  re  aliqua  pnchabuiflenodeiam,  ied oportet  * ut  d^^liloq  armilla rdc qua fkfcruiocDgnofcacur.  Ninfor*  fu  eft  de    deba . rius  eA  animo  haud  Itoct  nobi«  perctpefe,  ndt  quibuf*  dam  ^CTii'd»Ubua,prafertiinuocibu8  (ucrit  eapreflunr»  l^unc  icitur  in  m^iim  concc|>tus  menets  uocibut  iV  gmhcart  dicuntur^  hoc  Tentu  ca  iunt  ufurpando^  ,  quz  dc  uocibusdtci  Tolcnt , nCmpc  qiidd  mcmiscoiv  ccpius exprimant , eorundcmqnc  notufint, acli^na}  non  ad  cum  modum, quo  Hma  remtn  cHc  dicuntur, sed  quaccnos  conceptuum foco Tubrogantur. Hinc    auditi  uoce  bene  licet  arguere  cognitionem  Ic^ucn*  ccquiTpiimcaruiforcnttdquerem vocirqidigTtiAcario  rc aliqua  u.  jn. k...  nem  Ignorans,  certum  aliqwod  vocabulum  proferat  fr^halxiiC   quodapudalioidctermiatoe/igiithcationisnc,  tnne  icnutit».  autemn)XnonvelutadH«afi50atidumapta>^dutro-  nus  quidrrn  profcnir}  ucauibusquibuldam  contingit , dum  vocesqualdam  o^Wnunt,  quibus  nihil  pbnd  figniheant , cilm  mhi!  concipiam, teli articulans  vo-  mo,  co*  MS  prononcient,  quo mattr^iter  tantum  voces  pro>  gnol»  '  Icrrcdicunn^.  tuc«   ^ At  inaudieote  nullumiap^ptam, millamuc  noti     ri»  ftine  quibus  amdetj  idque  ceni  dc  coOTicionis  "'“*®®**   ; L. c    i!ur»«i  fluueor  ad  rationem  quand?m  rcJpcxit  «cxquafccim*  {uadcrcnimncun  quoniam  hac  potitis  mmiflerio   ■iiuf^d  dum  quamUmi  etyrroJogiam  anlam  certum  iiiipo  vocis,  in  audientis  meme  gigni  procrcaiique  di^;  luJie^  «n  4f  ncndinomtndefumplttiiionaJraiionemillam»  led  non tgiturhscprztequduaii^iQa, quippe, qnxvo>  ^ uuut.  ^ «...  i,  L.  j-.,.  T--  .it-  ■lt(cnuficaniiscrtwai»,Pcr'    Hinc  etiam  diuerlis  concepubus, vocesdiuerlic  vart^que  relpomlcmi  itaridelicet  ut  eadem  in  re,  6  plurcs  inucmanciir  rationes,  fccunduir  qaas A:  plurei  conceptus  Ibrmari  queant } VOCES mdem  plures  ex-  tern, cum  ijs  proportionem  habenies. Nccpropre- rca fvnomniz reputanda i huiufmodi  enim  ut  tint  ne  duin  rem  eandem , Icd  litcundum  eaudem  rationem»  eundcmqueconccpuim  ftgnincarc  debent.   AUcsefl  prxtcrcundum  ,quovl  trcqucncer  ufii  vcni-   «oDcepnt  re  ToU  t, ui  aliuslu  conceptiuex  q«o  Tumitur  vox , &  iqriblu-  alius, ad queinalTuinitur.  Primusemm  nominis i»>   iiiur   araiiufjid  qu'   potius  ad  itmiplam  IfgniHcandam.  luiJlcquidcm  aducrtens Numcnfuprfltnumprofpiccrc, ac  pronidc-  xe, Dei  proinde  nomine  dignum  exiihinamc, non^  quod  hoc prorpicientiam>acprouidcntiam,lcd  No*  men  ipTum, cuius cil prorpiccre ac piouidcrc significare  vellet.   ¥(  tem  lUud  etiam  libenter  adi)riam, quod  »nt  vocescon-  ceptoumloco  fubrogamur   ita  pro  eorum  diUmdio-  ne  ,condhionequc  voces  diftmguumuT ..  Ali*  igitur  (impliccs,incomj>lcx*que, primae intcHc-  coiQ    adeoaS  hoc  etiam  uocis  fccxccnda^gni&ario,  uc  nedum  vox  polTit  ie  mentem  redttccre,qua  alioqum  U  qui  audit  aliquando  cognouiile  ropponicuri^etiam  hadlmos  prorfus  incogniu  iMmifi:uaie,acqi noci^are  polTic  "  ••*  ^4-   Hatc  tamennili  rcdldduteme^eRntr  facile  noi  in  ci>  rorem  deducent.  Htccrte  It  abfoluid  hacintcIlUan*  tur maxtmd  fum  i iTritait  remota ciim  luud  heri  ” poflit,  ut  audiendo  qtiifpiamincdligacuny^  igno*  rara  lignilicatione  j u nat^t  profiuncict  altq^u  , "t   funt  parw  nwmero; jtddsenttrimmus  totius  oratio-   nisl^iiicatumperc renonpotAitdingularumvo-  ’  cum  hgniHcadonc  ignoratd   oportet enim  dc  hac  vo- . ?   ced^^no^tumpiahabuffic,  St  ita  dc  rciiq4is,  uc  retn^int^igot  exprclTaoi  p»  integram  orationem*  ,    M  qu?tan*n  nullo  modo  tunc  in  inAte  fdideat,   ‘ntrolpcdioncrcipropofityieifiquidcm  fiteUe  con-  hoccnmctiftivcritirenullum habet coraroerciunu,  flabit in LOQUENTE,  et AUDIENTE simul  ahquam.cogni  ciim fi prahJcric, quamtamenobiiuiodelcuerit, non  ruacio.  titmcinrequiri,  qu^-cuiufmodi fu,  explicandum  fu-  fulKciat ; fed-opotxc atficiliarum vocum SIGNIFICATA    DypKtpcreft.  Vtautemi  uuniftfiis  ad  iiumis^rfpjcita-s  nomHc, utS'ocibus  tudms  vocum  in  memoriam  is»  lutMii  cd.  gredum  hietf  c videamur, non pigebit in memonam gnihcatio  reccurrat, quod  «ft  eorum  in  habitu  noti*  ccpnMvI.  fedq^ere,  cognitionem,  (fueconcc^in  mentis  in  non  -‘ ^   iimicuLic  vltioMtuin/lr  ulniiiatudifiribuiiiliefonum  vocis tan   — I Illi;;   n    nim,hiercm{igaiiicatan  aumgit)  illum  on.mndnc-  ccdanmntam  cx  pane  loqucmis,  qu2m  aumcncis,  cuique  paiaiii  efl  ) ik  apenum  i non  enim  hcct  quid-  quamaupvoccfignilicarc  , nifi   vocetn  ipiaoi  nos  tbqaoRcs,  & audu-ract  iiidcm  imclltgamusi  quod  ne^  miiu debet adrpirauoncm ingerere,  vorenim  e>  ip vnum, qua  fubfiiilum  c^ura  i n igitur  imeUedus  cognoicuualkqttitundin  quo  Vito  figit  obtutum    tiammbere.  icdpociiumco»  4ju%haiKtuco^  carciJtovtamutQlibivulc^mnurum  maudiouisani-   «dKwero  opoim.  Iu  parucrfxpcquifptanj  «»umcoRmtio«einmduccrcjqoamobrcni pcrfcctcli-  «VitJum.  *°***M*rxioc«tkHK*dodrinaqucaicett05td(lircit>qu2RU7t-  gntiicare.cA  «idem  perh^dam  rei  co'4nitiuBcinin;'C‘  ic  uno  qmro  iciuemi  quoniam  tt/i  pniubere  notuiaiu-*  rcrc:utdar^,quiddintiu4*quefrgindctrej  cAcctcla-  iS«nut.    oportet  dc  fiwgulafu/n  vocum  ftffudcati  auodcA  tajn  • grqutddtcaciuaiiiincuiiUcntlnuiionouiianL^ hacfaabiracpgno^rc,  non  taiiicnneceflceit j ine  (farr«diAiiiAcquc  cn^icci^  ranafVcqua- a Uja-   idd^c  ('tfn^tdarnmvocam/umiiicieBpcnitusiroo-  curfVOcancqnK-nprotvrat  »qiuedarain>  peiferfam*   V9a*do  rsc  i*imde  nec  a&a , nec  habitiulU  cogp^cic  t nuita.* ue  cor; nitioncra  non  pntheat  > ptoGsCld  rem  ii  pcrli>  wmenexillts  vocibus  apud  cam£pndcandivmiol>-  daamq(icnocitiatqaflcqiiatur;illeprocu!du-  C^tmiantreipil vox nullam figniHca adtviinolHmec»  biopcrfcClc>diIUiidcquerem  ti^itacallc dicetur,  «urtloqttonitfk^atidiauisammiiu  conuemaiK*  0|  Voccatamcttuon poliunt  pcilediuifera audienti i  luc prolati vo^hucincciligetubimiV. . quimlunottloqucnti,  ligniricarejacque  adedpr*-  AAsalis  ^ mcdli^es  .  ut  opmor  yqoidde  cognitionis  bemio  nouamrci  notinam  cura  aoJicna  res  abundo  pcrfn«dumpnrreqQi^  perrpcdaooai'ucnt»prati]3rcultnnumcpo:enc>  rem  au«  fvi  isip^  (tcanoneilyTcd  Aad/ica  adom  i & exercitium  lign^  Nec  inconiubo  |nmcul«m  ajt(.Cbmi  raiAitocs»  d^m    vcchecn»  uc  eun  co£oorcar)'cdmtierinoapoin(> i^notx>^e^a  hic  ell  fermo: vel  per  raodumcxcitan-  '  qi^^i   diexercitio.   rnamyoxqtnnhremproutconcepuinlignihcat , tt  >n     Non fie impedimento ertt>  in  babitu nodtia  con>  igitur  perti^lid^quaniipfa  concepta  tuent  jii^n  i|.  filUus » hac  cnimhabitif  vokadhdcpotefVattditmch  .care  poteticjquamobccm  ut  voccj  quod  non con^-ept-  Bniiuuin  in  mX^tun  coKiMifi:endi*|ebi  tantam  babim  mustiigobSc^^ noobcec|icanecpcrfectiuii^mr.va- peteepom dediscere ) l^autero  fi^iiicaciore^di*  rciniiuisi«led^cotKeptumt%niticareliccj4.  v'u-  cetut  ca«quxreuocat  inCiciiiem«qaod  aiias/iocum»  cctcnim  l^uun^c  conceptui  j ijideniquc  pru rnu.  a tqoepmpcdbsin  fuerat.  . Dcrci'pondcnc}cuiuImudii^ituxiufum>casquu.^-j.:   HincfadliqaidemiBceUiges^fktiusqQidpiafliene   cHeooercc;.*  loquirqudraltdniBciretcdmiliudvechiaro^iprot'  £t«rtc^voc«KC(Mcepcuttmfocolubro?amur>n  i ''«*■  ” fcae,vtlprC|Telniemepn*clcrat$fiocautcfttiddat  liuiitmcJbgo*  curhis  mx pcifcclioms  mcnturi  k-  iiK0^ttx’rei./4iidiemit  Bainvo  cognitioncith ing> . ponBere non  tkbeamsioco  tiqmdemconccpiiisim^   * ' xaciqud ad Oaun loquimur» cui uunen nihil  lignifi-*  perf^Ic  rcpfxlbicamti  fubfVttuta  vox  impcircCic  ti*   caxeUctt  i ei  oOTon^ia  pc^pedb  tine, aeexdorau   ai^abit   (^ctmdraodum  lococonccpius  rem  p;r«    Sedhlc  noniidulscquirpUmf^upcibituidubium.  KdcxcprxlcmajKiBTot itidem  fubUuuta  pcrtlclc  li*  mpq£  otunufBvnnrepoAitj  utaliquisuceodo  uocil^ps»  Sc  gmticabic.  Ncqtiemlrum»  namrocesomnem  lii^ni-  veltmponctidoyVd  un|dmpro^iend6  iiias»qwA.'  hcanfli  vim  hab^cdictimur.. quatenus  loco  conevp-  gniticaxe  poihint  rcmperkclius  dgttiHca»  quano^  xusun  fubfUtuamdr»  'quibus  natotd  mamitliarc.)»  icait  u*  ip&mee  ct^no&ax . ^ rcprxfemaxc  conuenit .   d>*"i^S  ^cbnsqmdcmdiAicultxs»mamcainen«xparte  ')d  parucc  bancueriutemruminopereconHnnat.  . ■ ortum  ducemexdiuerfomodo  acraiendi  pertedio-  Si  quis  rei  conceptum  immediate  quidem  altcnpol^  ratiT'^  lKmcoerfiriorBB/&eBdmct{bca4laodint^O)  quo  fcconendcxetcarcis»cmraanifelutioricrct»  maio*  *  m f«||Voxxei%miic3t^no6tiamprxbcrepqtefi{ec(taucera  xems- ^ct^oremue  notitiam  rei  conceptx ct  ua  Bliona mnnqngfuppctant  j dc adoftcndcndain  fen-  maoilmaii conceptus  aDcqtu  non  poflex  quam  iit  e««  nuamaifirmaiuem ik  ad  MmoiJbandim negan-  idem  conceptus.  Hoc  n^is  autem  de  uocc  dicem  im|tarncnc?»r>ediun  llgnidcatio  vocis » jcd etiam QOXpcrlcCtiOfrm^ qujm  m loquentc  notitiam  indu*  pcr/edbo  dpt^catioms  dqpc^cti  (iquiJem  iu»a^  . ceie  poliet  '.Vndemautem  m loqucntc  non  poHcc .  XRJiomniBinorrmucreitigniiicatxBOtitiamvoKiJia»  ■ £t ut ingmucfiuearihuc tantum abc/liutlrcqucnccr  cis*  mifitifoe icm  ipbun percie  %oihcaie  dicitur,  penire  u(ufoleat*aocibosndura pcricciacnnomiam  B^rtita rcidefl  lUafBtl^tO >quxmcogniuonOj  iniudiencssammuniiaduci*  quam  m loqmntelk. %ni/}c4Xioaeq»c'pot^^*ttendi>iicmpecIarias»acqne  Qisod Plarodi l^le  pcrfpc^umi  ac  expioraramac-  'ddhiHSiodiuTi  ciBriuBjdiiluB^ufoefcs^ognolctcur)  cepimus*  cum  de  Deo  loqueos  diceie  conlueuiilct*  fcppnecas  iodexa  conerpo^   dum  pcopriou  quiddi**  dt^ile  clio*  peumi  i^udlcCtu  peicipcte cioqut  ucid   impoHibilc.   ;   • .    A-.W. -    u    »1    d»tl$  RrntUin^  Dijftriatmet  DUUBit^,    Skfr»U-  7d am«ni  paffim  cMitingere nobis com^namcA)  iit>  caTu»mcnucr(>tprotuIcr(t>  uodfam  aJhaeai*   0a  «i^fii|uisenimqui(lpiafnocuIisvfDrpct«  atque  adc6in*> lertquidpiamfj^nificaiunn  (k; cilm conccpms attcrv  tue«Tttr« haud potcricemif^voQibuireinocicumal»  didcocat  >cuiusloooivudIioinineshQiuiipodtrcmio  Mt«acc6  teri  pate^icere»  qui  rem  eandem  aiueocuida  non  ha-  fubAtiw  (blctj  quainiMrcm  fi  duo  lint » qniljabcanc  >boerit»ruxqucTifionisv*aqndcIaramnotkiamnoiu>  inzquaics conceptus > ijfdcrotamciivocibusutaj^r»  iucrtt  coiUecutusi  quoniam»  ut  hoc  pauos  perfi/in-  coDdcn>qticremK>ncniadhibcaat)  a^taliter  hgnifica*  ftni» DequiiUQiPCTfcd^  res  oocibosea primi  buht«  Vtcntm  cadeui de  r«  conceptus  haberi  pofTunt   fi|nirican*  Loqueos  Noneotansctiiddico»  quafi taoi dtuerCts  adinue*  cmm  videndo  claram  aeque  findam  ret  notuian\,.»  ntri  vam>  Icmt  conceptus  mcnco  i fcd  c»haitn  allero, diuerial   imungdpntbcndumaflcnfnminducK.  JUeigiturvi»  iDflttutasfuiilcvocrsps nmabilcmdtucrliutcnicon>  iusopituJationecoputionem  adipilcitui':  alceraite»  cepeuum*  Non  negandum  tamen  vocesccoKepnbtucI  ,   fiacionis»n-.cdijs vocibus  fkdbe*prxMiojrci  nottoam-»  proportione  rdpon^ere » m quo  dariortf » fic  diflro*  acqniru   Igitur  qui  foquuor  miniflecio  vocumnequic  chores  quis  4o  rcquspiaiuiIiM  ^bucrit  * co  ctianu*  audienti tanipcdrdbmbotiriam ingerere I quoniam  chnutydifiinChust  dc  aperriu^rctoipram  vocibuf  bic  non  eodem  utitur  CDCnolccnds  modo   Iciitca  explicare  ibieat*   proprix  vifionis  qmi  Ulc  ruam  fibi  notitiam  coiopa»  Qua  autcin*vtruas  in  humana  mmisconceptiboi   rautiat*  iocfi»  csdcmipntadexxcrn&sroc^traasiundicursut   •ufietn-  Sed  hic  aliam  veritatem  qccadtare  non  licet   nimi-  enhn  cognitio  verd  vel/aUo  repnrrentet  obieCtum: ita  •ingttjvt  !>}[nlxpe  contingere»  Ut  vores  pcrlrciiUs  rem  au;licn>  «nxcogiuuo^mexprmicns  rem  illam  nl  falso'  tifignificenc»quamnou  iiiloqoenci «ocitandolciii-  /tgriilkat'  Ncqucmltumvoxenimtdt^  rmi  •0^'j^i   cec  m audiente  cognliioncm  in  labita  conliuutam  clt  qnontam  concepsns  loco  cadenp  de  re  rtiblVuat-  fieniMt  ^iquttenimreialicuiascUrani»dinhiaamucnodtiai)i  tut » ita  vcrffigiiiMa^ptopuereaqDdtilocovericon-  quioinD  filcrit adeptus»  poOir.odumea dc It  nibU  cc^iunss  Geptus;rals6auteui^qtfDnumrd{(U'C>nceprisloco{ui>   M (k  fa>.ilumdeipiaJoqucrta»atidic»  quaniuii  indiimuma  togauir*   qiKMi*  vdutiiiuui»inquoeiurdcmtc; notitia admoduniim*  'Vroz>inumcA*nequid  vcrlus*quidque^firasfit  Qpij   pertecta  cfi»AioL'^rai  txpexictur  utiquccogmtio>  invoabaa»ufenamu>.  £amporr6dcno«mnacioncm  riacsraunucnr»  fiiii'zquc  iint»^  mqutr^  notitiam»  quam  in  l'c  habeat»  induci. fign)ncactoncprobcMCi(or'/qu«  ciiincxhancmis  Ji^***'*   Hoc  plaufibikihncnuximd  rationi  con  entaneom»  butaus  in  exuinfc^  quadam  detximmatton;coa'N  quoniam  nedum  voci  concedenda  vis  ilia  ingerendi  ibt  hun^modi  qu  vocibmclK»puuidum   Pfoiivlclthounnesootlcnc  xificntemuidemexcitaMipuliuin  iQlubicu»  quacfi  anipUusubccminiidtquarigniricaaorieQrurpare  »nu!>*  pciicClionc  mneat»  aefuperet  stlam»  qui IeK]uemts  laeausinu-ujOrcdpmuiiunela^.itcdpcrlolasciRrin*  amrrnsmtrirroatur  «cuiNcaiprafie^quarnouiiercxcv'  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quodprafertim  Yniucrfalism  hic  medii  traiimioHeconfe-  7    ^ialm\Timquta  ad pradicamentorum  notatam  sntellKlmtisre^Utudini  fsmmopereconferentemtnedsmYtilii  ijla  y ,umV.  io^^fod  mtuffaria eflspradicamentafiquidemborum  qumaueYnmerfalnm  fme prxdica&ilium  funt  tndma-  k«  pr«.  tmoitiMeonm  quemlibet  af^misgeneTioui, mfpeaeiperdtfferetttias  Yfquead Yliima  indiuidita  diuidatufi  (p  djcaaio .  fnprutaUt^  oUrsbuta  ifsadnectaniur,ita  Yt  in  eorb  errainattone  nihilfrequentiusMam  hxc»de  quibusloquimut  l>c  q«t>  ymmrfaiuttYfwrpentMr.'tumqniaadfmgsda infirumentalcgkahacmagno pereconducstnotitta^&quidtmad  *«iueilaii  dtffMitiemts  quemau  Ynius  cuutfqi  res  definis  io  per  gemu,  (p  differentiam : deferiptio  per  proprium,Yei  per  multae  afwuuai^safmsdfumpta  tradcndaffi^^  Jl£ diuifmemmern» poptcreaqsMin^entiaJabusdmfiwdsus^^^  ftntm  JfrrmiM  I ataiJnlMii3 fiibiritMmmacciJmudiflTiSMwrvIlmilxo  y^irms,  xnplinmus.   M ima Otiakmt, mipiiiutmfiiim est definitio, veldferntia, u ohniodoffiflimeidefnbitbodimm-  ffrmdut  ifiettiamad  olt4o  VrMtpuatauunYtilitati  ob  quaerat  opera  pretium hanc (r.a^i^toii/m m/iiiHerrj uetfait» t^^amiiufouda  t qmmiamYtdapradicamentitdifceptatioadintelleaionmdirigendamcondiKit,  qitstenus ante  bw,  yitit  ociimfeTmnomnssmgnnafifpectei, differentiafqne conjlstuit, Yt fuhindHong melius, atque facilius in du, i*T*^ V  peretpertipc  bac  contemplaiio,quatenus  nuais  tamen  ab^rabie  omnia  ad  hac  qusnqt   t^sredigit,  imdle&umdocen^,qMulfitgenHs,qntdfpecies&Cn  ut  uleriti  fuas  extreere poGit  operatmet  m id  supg^ttdm  proteli, &adtsunent9n  < Carlo Renaldini. Carlo Rinaldini. Rinaldini. Keywords: cimento, cimentare, provando e riprovando, del Cimento, filosofia naturale, filosofia razionale, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rinaldini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rindaco: la ragione conversazionale o, la setta di Lucania – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. Giamblico sometimes spells his name “Bindaco” (non si veda).

 

Grice e Riondato: la ragione conversazionale o del metodo dell’etologia filosofica – filosofia italiana. Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano. Studia a Padova sotto STEFANINI, FERRABINO, PADOVANI, e DIANO. Studia l’Aristotele neo-latino. Uno dei galileiani. Ezio Riondato. Riondato. Keywords: il metodo dell’etologia, morale, morale classica, Aristotele neo-latino, Epitteto, l’enuniciazione, dell’interpretazione in Aristotele, crisi, metafisica e scienza in Aristotele. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Riondato” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Riverso: o, la ragione conversazionale della la forma del segno romano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Studia a Napoli. Insegna a Salerno e Napoli. Spazia dalla filosofia critica ed analitica, alla logica formale, ed è stato esperto in problemi di linguistica, di filosofia delle scienze e delle culture. Saggi: “Colpa e giustificazione nella re-azione anti-immanentistica del "Roemerbrief" barthiano”; “Teo-logia esistenzialistica”; “La costruzione interpretativa del mondo”; “L’epistemo-logia genetica”, “Meta-Fisica e Scientismo”; “Filosofia e analisi del linguaggio”; “Dalla magia alla scienza”, “Conoscenza e metodo nel sensismo degl'ideologi”; “L’esperienza estetica”; “La filosofia d’Occidente, Corso di storia della filosofia, Natura e logo, La razionalizzazione dell'esperienza,  La filosofia analitica, La filosofia,  Individuo, società e cultura. La psicologia del processo culturale, L’immagine dell'universo. Astronomia e ideologia, Il pragmatismo, La spiritualità, Il linguaggio nella filosofia romana antica, Democrazia, iso-nomia e stato,  Una corrente filosofica; riferimento e struttura; Il problema logico-analitico in Strawson, Democrazia e gioco maggioritario, Filosofia del tempo,  La civilta e lo stato romano; Alle origini del pensiero politico, La carica dell'elettrone, Esperienza e riflessione, Forma culturale e paradigma umano; Le tappe del pensiero filosofico nella cultura d’Occidente, Paradigmi umano e educazione, Filosofia del linguaggio, Dalla forma al significato, Cose e parole, Come BRUNO (si veda) inizia a parlare: Diario di una maestra di sostegno, “La rimozione dell'eros nel giansenismo”, Civiltà, libertà e mercato nella città italica antica (Roma). Un viaggio al centro dell'immaginario religioso e mistico che ha influenzato l'umanità,  morale e dottrina, Cogitata et scripta,  Filosofo del linguaggio, La Tribuna. Semiosi iconica e comprensione della terra.   Intorno al pensiero di Karl Barth. Colpa e giustificazione nella reazione antiimmanentistica del "Roemerbrief" barthiano.  CEDAM. Padova 1951. 70 pp. Introduzione. - Il problema della giustificazione. - Prima della giustificazione.- La salvezza è nella fede . - L'istante della crisi. - Giustificazione e grazia. - Osservazioni critiche. - Appendice. La teologia esistenzialistica di Karl Barth Istituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli.1955. 428pp. Introduzione.- La teologia dommatica secondo Barth.-Senso e valore di una teologia. - Il problema di Dio. - Il Dio della Rivelazione. - Il Dio rivelatore. - La Rivelazione oggettiva : Gesù Cristo. - La Bibbia: Testimonianza scritta della Rivelazione. - La Rivelazione nel soggetto che la riceve. - La Fede. - La Creazione nel sistema di Karl Barth. - L'antropologia barthiana. - Valutazione dell'antropologia barthiana. - Il Creatore e le sue creature. - Redenzione e Giustificazione nel barthismo . - Cristo Redentore. - L'ecclesiologia. - La morale di Karl Barth. - L'evoluzione del pensiero di Karl Barth. - Conclusione. - Appendice bibliografica. La costruzione interpretativa del mondo, analizzata dall' epistemologia genetica Istituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli 1956. 322pp Introduzione. - La nascita e lo sviluppo dell'intelligenza nei lavori di Jean Piaget. - L'epistemologia genetica e il pensiero contemporaneo. - L'interpretazione del reale.- Adattazione e divenire. - La struttura del concetto. - Lo schematismo concettuale del sapere. - Volontà e intelligenza. - Conclusione. Metafisica e scientismo. Con un'appendice sulla logica di C.S.Peirce Istituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli 1957. 150pp Introduzione.-Atomismo e genetica concettuale. - Psicologia, logica e matematica. - Il substrato metafisico della logica. - Il substrato metafisico delle matematiche.-Il substrato metafisico della fisica. - Psicologia e metafisica. - Conclusione. -Appendice. La logica di Charles Sanders Peirce. Il pensiero di Bertrand Russell. Esposizione storicocritica. Istituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli 1958. 568pp.Seconda edizione Libreria Scientifica Editrice, Napoli 1967. Introduzione. - La logia dei "Principi della matematica".- La logica dei "Principia mathematica".- La filosofia della mente e della conoscenza. - La filosofia della natura .- I problemi del linguaggio. - L'umanesimo di Russell . - Sociologia e politica. - Conclusione. - Scritti di Bertrand Russell. - Scritti su Bertrand Russell. Introduzione alla filosofia e all'analisi del linguaggioIstituto Editoriale del Mezzogiorno. Napoli 1960. 324pp. La filosofia del linguaggio nel pensiero antico. - Filosofia e analisi del linguaggio nel pensiero cristiano e medioevale. - La filosofia del linguaggio nel pensiero moderno e contemporaneo. - Le ricerche attuali di filosofia e analisi del linguaggio.-Il problema logico. - Il problema sintattico. - Il problema psicologico. - Il problema semantico.- Il problema grammaticale. - Conclusione. Dalla magia alla scienza Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1961, 130pp. Introduzione. - Magia e scienza. - Scontro di Weltanschauungen . - L'euristica rinascimentale. - Lo schema interpretativo "macrocosmo-microcosmo". -Caratteri dell'interpretazione magico-rinascimentale e caratteri dell'interpretazione scientifico- seicentesca. - Natura viva o natura morta? Sintesi o antitesi? - La lotta contro la spiritualità magico-rinascimentale. - Matematica e spiritualità scientistica. - L'esperimento. - La tecnica. - Una polemica sull' "Harmonia mundi". - Una polemica sulla divinizzazione dell' universo. - La vittoria dello spirito scientista. I problemi della conoscenza e del metodo nel sensismo degl'ideologi Libreria Scientifica Editrice. Napoli. 1962. 282pp. Introduzione. - Etienne Bonnot Abbé de Condillac. - Pierre Cabanis. - Joseph Marie de Gérando. - Antoine Louis Claude Destutt de Tracy. -Charles Bonnet. - François Xavier Bichat.- Gli altri ideologi. - Pierre Laromiguière. - Antonio Genovesi. - Francesco Soave. - Melchiorre Gioia. - Giandomenico Romagnosi.- Melchiorre Delfico. - Pasquale Borrello. - Marie François Pierre Gauthier Maine de Biran. - Ideologia e pessimismo. -Henry Beyle Stendhal. - Conclusione. Analisi dell'esperienza estetica Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1963. 350pp. Introduzione. - L'atteggiamento estetico. - I linguaggi dell'arte. - L'opera d'arte. - Il mondo dell'arte. - Conclusione. II ed. ampliata, ivi,1967. 360pp. Il pensiero occidentale. Corso di storia della filosofia.Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1964. 3 voll. 142 + 120 + 180. - Vol. I . I presofisti. - I sofisti e Socrate. - Platone. - Aristotele. - La filosofia dell'età ellenistica. - La filosofia greco-orientale. - Il Cristianesimo e la patristica. - Sant'Agostino. - Le origini della scolastica. - I grandi problemi della scolastica. - San Tomaso. - La scolastica dopo San Tomaso. - Vol. II . L'età del Rinascimento. - La crisi della spiritualità rinascimentale e il nuovo orientamento nello studio della natura. - Cartesio ed Hobbes. - Il cartesianismo. - La sopravvivenza del panteismo. - Leibniz. - Vico. - Locke. - Berkeley ed i platonici di Cambridge. - L' illuminismo. - Kant. - Vol. III. L'età del Romanticismo. - Hegel. - Discepoli ed oppositori di Hegel. - Lo spiritualismo italiano. - L'età del positivismo. - La crisi del positivismo. - L'età che viviamo. - Il movimento logico-scientifico. - Il movimento fenomenologico. - Il movimento analitico-linguistico.- Conclusione. - Dizionarietto di termini filosofici. Le tappe della pedagogia nel mondo occidentale. Corso di storia della pedagogia ad uso degl'istituti magistrali e dei candidati ai concorsi magistrali e direttivi.. Con un'appendice sulla letteratura infantile. Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1964. 146pp.  L'educazione nel mondo omerico. - L'educazione nell'aristocrazia postomerica. - L'educazione nella democrazia ateniese. - La pedagogia di Platone. - La pedagogia di Isocrate. - L'educazione nell'età ellenistica. - L'educazione romana. - Cristianesimo e formazione dell' uomo. - L'educazione nel Medio Evo. - La pedagogia dell'Umanesimo e del Rinascimento.- L'antinaturalismo seicentesco e la ricerca del metodo dell'educazione. - Il rinnovamento illuministico della pedagogia. - La pedagogia nell'età del Romanticismo. - La pedagogia del Risorgimento italiano. - La pedagogia scientifica e il Positivismo. - La pedagogia attuale. - Le scuole nuove. - Conclusione. Appendice. Il pensiero di Ludovico Wittgenstein Libreria Scientifica Editrice. Napoli . 1964. 390pp.  Introduzione. - La filosofia del "Tractatus logico-philosophicus".- La logica del "Tractatus logico-philosophicus".- La fondazione della matematica. - Nuove vie per l'analisi filosofica. - le analisi dei "Libri blu e marrone".- Le "Ricerche filosofiche".- La matematica senza fondamenti. - Conclusione.- Bibliografia. Natura e logo. La razionalizzazione dell'esperienza da Omero a Socrate. Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1966. 464pp.  Introduzione. - La visione omerica del mondo. - La vita, il mondo e il divino alle soglie dell'età classica. - La razionalizzazione dell'esperienza nella scuola di Mileto. - Il pitagorismo e lo sviluppo della matematica. - Il razionalismo eleatico. - Il razionalismo eracliteo. - L'equilibrio dinamico dell'universo empedocleo. - Lo scientismo di Anassagora.- L' atomismo. - La razionalizzazione storiografica. - I limiti della razionalizzazione: il tragico e il comico. - La crisi del logo. - La filosofia analitica in Inghilterra Armando. Roma 1969. 338pp.  L'analisi nella tradizione filosofica inglese. - Analisi e pensiero scientifico a Cambridge.- L'analisi neopositivistica in Inghilterra. - L'insegnamento di Wittgenstein a Cambridge. - La revisione dell'analisi logica. - Il percepire. - Il soggetto e la mente. -Dio. - Dall'etica alla metaetica. - Conclusione. - Bibliografia. Il pensiero di Ludovico Wittgenstein. Seconda edizione interamente rifatta. Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1970. 484pp. La filosofia oggi Armando. Roma. 1971. 301 pp. Introduzione. - L'orientamento fenomenologico. - L'orientamento marxista. - L'orientamento dell'analisi chiarificatrice. - L'orientamento dell'analisi ricostruttiva. - Jean Paul Sartre. - Enzo Paci. - L'istituto di filosofia della Accademia delle scienze dell' URSS. - Gyorgy Lukacs. - Peter Frederick Strawson. - Gilbert Ryle. - Willard Van Orman Quine. - Alfred Jules Ayer. - Conclusione. Individuo, società e cultura. Introduzione alla psicologia dei processi culturali Armando. Roma 1971. 240pp. Trad. in spagnolo: Individuo, sociedad y cultura - Editorial Verbo Divino. Estella (Navarra) 1974. 260pp.  Seconda edizione italiana. Armando. Roma 1983. 184pp. Cultura e processo culturale. - Schemi e schematismi psicologici. - Gli schemi linguistici. - Gli enunciati che funzionano da schemi culturali. - Schemi d'interazione e strutture dei gruppi. - L'unità strutturale di una cultura. - La dinamica assiologia nei processi culturali. - L'inserzione di un individuo in una cultura.- Il divenire delle culture. - Conclusione. La nostra immagine dell'Universo. Astronomia e ideologia. Edizioni Beta. Salerno 1971. 200pp.  Introduzione. - Cosmologia ed immagine dell'Universo.-I precedenti storici della nostra immagine dell'Universo.- L'immagine dell'Universo all'inizio del nostro secolo. - L' immagine dell'Universo dopo Einstein.- Conclusione. Il pensiero di Bertrand Russell. Esposizione storicocritica. Terza edizione interamente rifatta. Libreria Scientifica Editrice. Napoli 1972. 414 pp.  Introduzione. - Da Hegel a Leibniz. - Il platonismo delle relazioni. - Dall'atomismo logico allo scetticismo analitico. - L'umanesimo di Russell. - Società e politica. - Conclusione. - Opere di Bertrand Russell. - Opere su Bertrand Russell. Il pragmatismo Edizioni Beta. Salerno. 1972. 262pp. Introduzione. - Charles Sanders Peirce. -William James. - John Dewey.- George Herbert Mead. - Clarence Irwing Lewis. -Ferdinand Canning Scott Schiller. - Conclusione. Aspetti della spiritualità europea dal '500 al '600Edizioni Beta. Salerno .1973. 430pp. Introduzione.- Motivi e figure del naturalismo rinascimentale. - Momenti della riscossa antinaturalistica.- Corneille fra amore e ragione. - Il dramma di Racine.- Il tormento di Pascal. - Milton ed il Puritanesimo.- Conclusione. Il linguaggio nel pensiero filosofico e pedagogico del mondo antico Armando. Roma. 1973. 262pp.  Le prime riflessioni sul linguaggio. - La nascita dell'analisi linguistica. - Il "logos" dalla scienza alla religione. - Il linguaggio nel pensiero patristico. - La riflessione sul linguaggio alla fine della cultura antica. Democrazia, Isonomia e Concetto di Stato Edizioni Beta. Salerno. 1975. 510pp.  Prefazione. - Equilibrio e vita pubblica nella Grecia antica. - La politica aristocratica di Platone. - Lo Stato e la felicità umana in Aristotele. - Il gioco democratico. Le correnti filosofiche del '900 Fratelli Conte Editori. Napoli. 1976. 192pp.  Introduzione. - Il pragmatismo. - La filosofia dell'azione e l'intuizionismo. - I neokantiani. - I neoidealisti. - Il logicismo. - Il positivismo logico. - La fenomenologia. - L'esistenzialismo. - La filosofia analitica.- Il marxismo.- Pagine scelte di filosofi del '900. Riferimento e struttura. Il problema logico-analitico e l'opera di Strawson. Armando. Roma. 1977. 240pp. La polemica sulla denotazione e il riferimento. - Uso linguistico e verità. - La logica formale. - Soggetto e predicato. - Linguaggio e ontologia. - Strutture e forme dell'intenzionalità.- Conclusione. Democrazia e gioco maggioritario Armando. Roma. 1977. 192pp.  L'esperienza politica dei Greci. - Idee e domande dei tempi nuovi. - La nostra esperienza. - Un gioco che può sfuggire di mano. - Conclusione. Filosofia analitica del tempo Armando. Roma. 1979. 240pp.  La menzione del tempo nel pensiero antico. - Trasformazioni semantiche dei discorsi sul tempo. - Nuovi problemi linguistici sul tempo. - Denotazione e non-denotazione nella semiosi discorsiva sul tempo.- Problemi semantici e sintattici dei discorsi sulla temporalità.- Conclusione. Ideologia e società nell'Islam Gentile Editore. Roma. 1979. 244pp. Vicende e problemi delle origini. - Dagli Ommiadi agli Abbasidi: organizzazione sociale e sviluppo ideologico. - La frantumazione politica e l'avvento dei Turchi.-Le differenziazioni dell'ideologia islamica. - L'apertura alla filosofia. - I tre grandi della filosofia islamica. - Filosofia e scienze. - Filosofia illuminativa e sufismo. - Conclusione La città e lo Stato. Alle origini del pensiero politico occidentale. Edizioni Borla. Roma. 1982. 350pp.  Dal villaggio alla comunità urbana. - Dai palazzi minoici alla polis greca. - La "polis" e il paradigma commerciale. - La sfida persiana. - Il paradigma ateniese.- Critiche e proposte di Platone. - Lo Stato e l'appagamento umano in Aristotele. - Conclusione.- Tavole prospettiche. - Bibliografia. Millikan e la carica dell'elettrone Editrice La Scuola. Brescia. 1982. 112pp.  L' atomo e l'elettrone. - Le ipotesi di Franklin. - La constatazione di nuovi fenomeni. - Faraday, l'induzione elettromagnetica e il campo di forza. - Metafisica ed elettromagnetismo. - Campo elettromagnetico e linee di forza. - Dal campo di forza al campo di particelle. - Il campo nel ripensamento di Maxwell. - Nuove idee sull' elettricità. - Gli elettroni. - Campo e materia negli elettroni.- La teoria dell'elettrone in Lorentz e in J.J. Thomson. - Elettroni e quanti.- La radioattività. - Il procedimento di Millikan. - Osservazioni metodologiche. -Sviluppo della nozione di elettrone. - L'elettrone nella fisica odierna. - Un problematica filosofica. - Millikan e la sua opera scientifica.- "La mia impresa della goccia d'olio". Esperienza e riflessione, le tappe della filosofia e della scienza nella cultura occidentale Edizioni Borla. Roma 1983. 3 voll. 384 + 448 + 470 pp.  - Vol. I. Introduzione. - Le origini della civiltà greca e la scuola ionica. - Influenze iraniche e nuove riflessioni sul mondo della Ionia. - Pitagora e la filosofia nella Magna Grecia. - La nascita della scienza e il pensiero di Anassagora e di Democrito. - La sofistica e lo sviluppo socio-culturale. - Socrate e Platone. - Aristotele. - L' uomo nelle prospettiva medica. - L' organizzazione del tempo umano e dell'ecumene. - L' età ellenistica. - Lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie. - Istanze religiose e filosofiche nel mondo greco-orientale. - Il cristianesimo e la patristica. - Sant' Agostino e il suo tempo. - La cultura islamica. - La cultura europea nell'Alto Medio Evo e le origini della Scolastica. - La rinascita della città ed il fiorire della Scolastica. - Tomaso d'Aquino. - La Scolastica dopo Tomaso d'Aquino.  - Vol. II. Introduzione. - Il trionfo del naturalismo. - Umanesimo, Rinascimento e naturalismo. - Vita, luce e gloria. - Le realizzazioni scientifiche del Rinascimento. - Filosofi del Rinascimento. - Società, politica e storia nel cinquecento. - La reazione contro lo spirito rinascimentale. - Il trionfo della razionalità. - Il nuovo atteggiamento verso la natura. - Cartesio ed Hobbes. - Il trionfo dello spirito seicentesco.- I rapporti tra la sostanza estesa e la sostanza pensante. - Leibniz e lo sviluppo della matematica. - Newton, la fisica ed il sistema del mondo. - Vico e la storia come metascienza. - Locke, Berkeley, Hume. - La filosofia dell' Illuminismo.- Scienze e tecnologie nel settecento. - Emanuele Kant. - Vol.III. Introduzione. - Il Romanticismo. - Il romanticismo filosofico. - Hegel ed i suoi discepoli. - La filosofia in Francia ed in Italia nell'Età del Romanticismo. - La trasformazione del meccanicismo. - La nuova immagine del mondo.-Il positivismo francese. - Il positivismo inglese. - Il positivismo in Germania e in Italia. - Il marxismo. - Idealismo e pragmatismo in America. - Idealismo e logicismo in Inghilterra. - La psicologia e la nuova immagine dell'uomo. -Fenomenologia ed esistenzialismo. - L'opposizione al positivismo. - Crisi della fisica e nuove filosofie della scienza. - La filosofia analitica e la nuova epistemologia. - La scienza dei nostri giorni. - Oggi e domani.  Piaget. Filosofo, epistemologo, psicologo e pedagogista. Edizioni Borla. Roma 1985. 120pp.  Prefazione. - La filosofia: passione e delusione. - Logica e psicologia. - Concetto di logica. - Classi, reticoli, gruppi e raggruppamenti. - Equilibrio e logica. - Alla ricerca dell'equilibrio operativo. - Dal movimento alla logica. - Il mondo degli oggetti e l'intelligenza sensorio-motrice. - Rappresentazione preoperatoria ed operazioni concrete. - Il linguaggio preoperatorio. - Il linguaggio delle operazioni concrete. - Le strutture formali. - Circolo delle scienze e loro autonomia. - Il pensiero puro. - L'epistemologia genetica dell'aritmetica. - L'attività del numerare. - Matematica e realtà. - La geometria e la costruzione dello spazio. - Alla radice psicologica della meccanica.- Le idee di forza, di conservazione e di causa.-Dai concetti del fanciullo alle costruzioni della scienza. - La psicologia. - Il contributo di Piaget alla psicologia. - Il contributo di Piaget alla pedagogia. - Piaget e gli altri. - Conclusione. L'Islam. Crogiuolo d' idee, di problemi, di angosce.Armando . Roma 1985. 310 pp.  Nomadismo e urbanizzazione nell'Arabia preislamica. - Muhammad: la sua opera ed il suo insegnamento. - Diffusione e lacerazioni della Umma dopo Muhammad. - L'assalto all'Europa cristiana. - Il mondo islamico nei tempi moderni. - L'Islam uno e multiforme.Sviluppi dottrinali in area sunnita. - Zandaqa, Latinismo, walayat e falsafa. - I falasifa.-Macrocosmo e microcosmo. - Sapienza orientale e sufismo. - Conclusione. Forme culturali e paradigmi umani. Le tappe del pensiero filosofico e pedagogico nella cultura occidentale. Edizioni Borla. Roma 1988. 3 voll., 392 + 384 + 544 pp. - Vol. I. Introduzione. - Educazione e visione del mondo nelle società più antiche. - Ideali umani e visione del mondo nella Grecia arcaica. - Sviluppi della cultura nella Ionia. - Nuovi atteggiamenti verso l'umano e il divino. - La fioritura culturale in Magna Grecia e Sicilia. - Cultura e educazione nella Atene del V sec. A. C. - Platone e i problemi del suo tempo. - Saggezza retorica e saggezza medica. - Aristotele. - Civiltà e educazione nell'Età Ellenistica. - Filosofia e cultura nelle Età Ellenistica ed Ellenistico-Romana. - La Romanità: educazione, scuola e cultura. - Fermenti religiosi orientali e nascita del Cristianesimo. -La fine del mondo antico. - Sant'Agostino e la patristica. - Cultura islamica e idee filosofiche. - Cultura e scuola in Occidente nell' Alto Medio Evo. - La Scolastica. - Da San Tomaso alla Tarda Scolastica. - Vol. II. Introduzione. - L'Umanesimo. - Il Rinascimento. - Uomo e natura. - Gigantismo e comicità dell'uomo. - Rinnovamento umano e acquisto del sapere. - La lacerazione religiosa dell'Occidente. - La reazione antirinascimentale. - Un nuovo metodo per capire. - Capire la natura per dominarla. - Sopravvivenze rinascimentali e platoniche. - Sviluppi dell'educazione nel seicento. - Il razionalismo filosofico. - Il secolo dei lumi. - Vico e il settecento italiano. - Il settecento inglese. - Il settecento francese. - Gian Giacomo Rousseau filosofo e pedagogista. - L'illuminismo tedesco e Immanuel Kant. - Vol. III. Introduzione. - Il Romanticismo. - Il Romanticismo filosofico. - Il Romanticismo e la teologia protestante. - La pedagogia nell' età del Romanticismo. - Hegel e l'Hegelismo. - Filosofia e pedagogia nell'Italia risorgimentale. - Il Positivismo e la cultura francese dell' ottocento. - Il Positivismo e la cultura inglese dell' ottocento. - Il Positivismo e l'assetto ideologico dello Stato italiano. - Marx e la cultura tedesca dell' ottocento. - Idealismo, naturalismo e pragmatismo negli Stati Uniti. - L' opposizione al Positivismo. - Fenomenologia ed esistenzialismo. - L' uomo nella psicologia. - Innovazioni scolastiche e nuove idee pedagogiche. - La filosofia come analisi del discorso. - La filosofia come epistemologia e come ermeneutica. - L'uomo occidentale oggi. - La pedagogia oggi. Paradigmi umani e educazione Anicia. Roma 1990. 152 pp.  L' indeterminatezza originaria dell' uomo. - I determinanti culturali. - Cultura e autocoscienza. - I paradigmi umani. - Paradigmi e casi paradigmatici. - Paradigmi e pedagogia. - Il nostro momento storico. Filosofia del linguaggio. Dalla forma al significato. Città Nuova Ed. Roma 1990. 216 pp.  La ricerca della forma logica. - La forma logica da realtà sussistente a linguaggio perfetto. Ermeneutica della forma e del significato. - La rifondazione neopositivistica della scienza.l significato in una nuova luce. - Chiarezza linguistica e onestà sociale. - Metodo critico-analitico e filosofia odierna. - Conclusione. Cose e parole nella traduzione interculturale. Edizioni Borla. Roma 1993. 254 pp.  La traduzione radicale. - Tradurre il diverso. - Riferimento e traduzione. - 'Theòs' e 'Dio'. - Le cose del mondo.- Conclusione. Come Bruno iniziò a parlare. Diario di una maestra di sostegno. Presentazione di Emanuele Riverso.Edizioni Osanna ,Venosa 1994.  Presentazione. Diario scritto da E. Riverso e presentato come anonimo di una maestra di sostegno di scuola materna. La rimozione dell'Eros nel Giansenismo. Abelardo - Biblioteca di Gabriele Chiusano. Editore in Gaeta. 1995. 156 pp. Da Baio a Giansenio. - Giansenio contro concupiscenza e libidine. - Rimozione e Educazione. - Un caso pedagogicamente difficile. - Conclusione. Civiltà, libertà e mercato nella città greca antica.Working Papers n. 16, 1995, della Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli ( LUISS, Roma) 50 pp. Capire l'Islam. Atheneum, Firenze 2003. 248 pp. Prefazione. I parte. L'insieme dottrinale dell'Islam: Chiarificazione di alcuni termini. Le rivelazioni e il testo coranico. Contenuti e temi coranici. Lo stile. Il contesto storico-culturale: i precedenti ebraico-giudaici. Il contesto culturale: la parentela arabo-giudaica. Nuove frustrazioni giudaiche e i cugini del desero. Motivi giudaici nel Qur'an. Mutuazioni coraniche dal Cristianesimo. L'ermeneutica coranica dal Cristianesimo. L'ermeneutica cranica. Gli ahadîth. Le sarî'ah e il fîqh. La ummah depositaria della Rivelazione.- II parte. La formazione storica del mondo islamico. Coscienza storica e Islam. Dalla trasmissione orale alle scritture storiche. La vita del profeta. I primi khulafah nella tradizione sannita. La ricostruzione sciata delle vicende califfati e i critici occidentali. Muhammad, le origini dell'Islam e la critica storica occidentale. Le ricostruzioni alternative delle origini islamiche. Dagli Umayyadi agli Abbasidi. Il califfato abbaside. La disintegrazione del califfato abbaside e l'arrivo dei Turchi. L'impero selgukide e la fine del califfato di Baghdad. L'espansione islamica verso Occidente. Gli Ottomani e l'espansione oltre l'India. La condizione dei vinti.- III parte. La fioritura culturale dei secoli IX-XIV: Dall'oralità del nomadismo alla cultura del libro. L'emergenza della cultura islamica scritta. L'assimilazione della cultura letteraria greca. Ontologia greca e traduzioni in arabo. I Mu'tazilah e la razionalizzazione dell'Islam. La razionalizzazione moderata dell' Asciarismo. I falasifa. Studi scientifici. Studi storici. Speculazioni esoteriche e produzione letteraria. Pittura, scultura e architettura.- IV parte. I Musulmani oggi. La decadenza. La Rinascenza Safavide. L'aggressione degli Occidentali. I problemi dei Musulmani di oggi. Dal Babismo al panislamismo. L'Iran tra laicismo e teocrazia. La soluzione teocratica di Khomeini e il resto del mondo islamico. Gli Islamisti e Sayyd Qutb.- Dizionarietto. Iran, Da Zarathuštra all’ Islâm. Un viaggio al centro dell’immaginario religioso e mistico che ha influenzato l’umanità. (titolo dell’autore: Immagini iraniche da Zarathuš-tra all’ Isl?m ). Atheneum, Firenze 2003, 192 pp. Prefazione. Introduzione: 1 Le genti arie ( o indo-europee) nello spazio indo-iranico. 2.L’Irân prima degli Arii. 3. L’arrivo degli Ario-Iranici. 4. Medi e Persi. 5. Il costituirsi delle strutture socio-politiche nell’Irân Indo-Europeo. 6. La percezione del reale e l’immaginario nelle genti ario-iraniche. 7.Il clan degli Achemenidi. 8. I. L’immaginario di Zarathuštra: 1. La collocazione di Zarathuštra nella tradizione ufficiale. 2. Achemenidi e Zoroastrismo. 3. Dall’immaginario politeistico alla riforma di Zarathuštra. 4 La riforma di Zarathuštra. 5. Il nuovo sistema di immagini. 6. Conservazione e modifiche dell’immaginario zoroastriano. II . Fuoco, luce, fravaši e Saošyant : l. Il fuoco nell’immaginario zoroastriano. 2 . Il fuoco-luce irradiante o ?var?na. 3. Fravaši. 4 Saoš-yant. III La catastrofe: 1. L’immaginario zoroastriano messo alla prova. 2. Il risveglio dell’immagnario zoroastriano. 3. Certezze in crisi. 4. La catastrofe venuta dal deserto. IV. L’immaginario sciìta : 1 . Gli Zoroastriani sotto l’Islâm. 2. Dissenso sociale e im-maginario esoterico. 3 Sciìsmo ed esoterismo. 4. Il Mahdî nell’immaginario sciìta. V. Il fuoco-luce nello Sciìsmo e nel Sufismo: 1. Sufismo e Sciismo. 2. Šiâboddîn Yahyâ Su-hrawardî e l’immaginario della Luce Orientale. 3.Šîrâzî. 4. L’immaginario cosmologico nell’Irân islamizzato. Osservazioni conclusive. Bibliografia.Indice. Islâm, morale e dottrina. Atheneum, Firenze 2005, 255 pp. I. La Šarî’ah e le sue fonti: 1, La Šarî’ah o Legge Morale, 2 Le fonti della Šarî’ah: il Qur’ân, 3 Le fonti della Šarî’ah: La Sunnah, 4 Le fonti secondarie della Šarî’ah: al-I?mâ, al-Qiyâs e al-I?tihâd, 5 Le scuole di Fîqh. II. Temi fondamentali della Šarî’ah: Gli obblighi di culto del Musulmano: 1 l’ Imân e la sua manifestazione, 2 La preghiera, 3 Altri obblighi. Il matrimonio e la famiglia: 1 Il matrimonio secondo la legge islamica, 2 La scelta del partner, 3 Impedimenti, 4 La poligamia, 5 La dote (Mahr), 6 Il divor-zio (Talâq), 7 Il mantenimento della moglie e dei figli. La normativa penale della Ša-rî’ah: 1 Idee generali, 2 Pene fissate dal Qur’ân. La vita economica: 1 La trasmissio-ne ereditaria, 2 Le attività commerciali ed i contratti, 3 Economia e società. III. La vi-sione cranica del mondo: 1 Allâh, i suoi attributi ed il mondo creato da lui, 2 La vicenda umana. IV La rielaborazione razionalistica : 1 Contatti culturali fuori d’ Arabia, 2 L’Islâm e la cultura greco-ellenistica, 3 Mutaziliti ed Asciariti, 4 Asciarismo e Muta-kallimûn, 5 Altri movimenti dottrinali. V, I falâsifa ed i loro oppositori: 1 I falâsifa: al Kindî. 2 I falâsifa: al-Fârâbî. 3 I falâsifa: al Râzî. 4 I falsâfa: Ibn Sînâ . 5 Contro i falâsifa: Al-Ghazâlî. VI La falsafa nell’Andalus e nel Maghreb : 1. Ibn Bâ??ah e Ibn Tufayl, 2. Ibn Rušd. 3. Panteismo e misticismo in Ibn ‘Arabî. 4. Un fayalasuf della sto-ria : Ibn Khaldûn. 5. Una filosofia della storia in prospettiva nomadica. VII Lo studio magico e sperimentale della natura: 1 Ermetismo e Sciìsmo. 2. Il Rasâ’il degli Ikwân al-Safâwa Khullân al-Waf‘â. 3 Ahmad al-Bîrûnî. VIII. La teosofia della luce orientale: 1 Eredità mazdeistiche, esoterismi e misticismo nell’ Islâm. 2. Motivazioni e prassi dei Sufî. 3. Mondo immaginale e teosofia della luce orientale. 4. L’eredità di Suhrawardî. Conclusioni storico-critiche: 1. Le origini islamiche secondo la tradizione. 2. Le origini islamiche secondo altre fonti. 3. Il disimpegno bizantino nell’area siro-palestinese (Al-Šâm) . 4. La nascita politico-religiosa dell’unità supertribale araba. 5. Storia critica dei primordi della dottrina e dell’etica islamiche. Indice analitico. Bibliografia. Cogitata et scripta. Giannini Editore. Napoli 2007. 200 pp. I. 1. Lidealismo gentiliano. 2. Il linguaggio gentiliano. 3. Benedetto Croce. 4. La logica come scienza del concetto puro. 5. L'Esistenzialismo di Sartre. 6. Gli altri esistenzialisti. 7. Da Kierkegaard a Barth. 8. Epistemologia e psicologia. 9. La psicologia. 10. L'opera di Piaget. 11. La logica formale. 12. La metafisica e la ricerca storica. II. 1. Dalla magia alla scienza. 2. La nascita della scienza e la cultura occidentale. 3. Analisi semantica e filosofia del linguaggio. 4. Linguaggio ed esperienza estetica. 5. Ludovico Wittgenstein. 6. Io, Wittgenstein e la nuova filosofia analitica. 7. Natura e Logo. 8. Bilancio sulla filosofia analitica. III. 1. Interessi socio-culturali. 2. Giambattista Vico. 3. Bruner. 4. Linguistica ed etnologia. 5. Altre ricerche di filosofia analitica. 6. Immaginazione e linguaggio iconico. 7. Filosofia della scienza. 8. Approccio alla nuova scienza: neurologia e coscienza di sé. 9. Genesi evolutiva dell'uomo e del linguaggio. Il pensiero. 10. Cosmologia e geologia. 11. Fisica e cosmologia. IV. 1. Sistemi dottrinali e iconici. 2. rapporti e confronti fra culture. 3. Nuovo approccio alla cultura islamica. 4. Culture e organizzazione sociale. 5. Convinzioni, cogetture, dubbi, sospetti e valutazioni. Dati biografici. Pubblicazioni Alle origini del Corano (in preparazione) Aporie e difficoltà del positivismo logico" in Sophia 1953, XXI, n.1, pp. 43-52. Pubbl. anche in Sapienza 1953, VI, fass. 1-2, pp. 72-84. "Caroli Barth in doctrinam catholicam de gratia recentissimae difficultates refutantur" in Angelicum 1954, XXXI, n.1, pp. 31- 45. "Insufficienza del positivismo logico" in Sapienza 1954 , VII, n.2, pp. 180 - 202. "Neoilluminismo, neorazionalismo e trascendentalismo della prassi" in Sapienza 1955, VIII, n.1, pp. 18 - 46. "Ludovico Wittgenstein e il simbolismo logico", Estratto dal vol.LXVII degli Atti dell' Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti In Napoli , 1956, 38 pp. "Barth, Karl" , voce in Dizionario biografico degli autori , Bompiani, Milano 1956 , vol. I , p. 183. "Problematica della filosofia odierna" , in Sapienza 1956, IV n.1, pp. 33 - 44. "L'esistenzialismo teologico di Karl Barth" in Sapienza 1956, IV , n.1 pp. 370 - 382 "Cristianesimo e mito" in Digest Religioso 1957, 3, pp. 37 - 41. "Epistemologia, epistemologia genetica e implicanze filosofiche" in Sapienza 1957, V, n.6, pp. 419 - 460. "L' epistemologia genetica e la formazione del concetto" , Estratto dal vol. LXIX degli Atti dell'Accademia si Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli, 1958, 69 pp. "Il costruzionismo e la sua fondazione critica" , Estratto dal vol. LXIX degli Atti della Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli, 1958 , 52 pp. "Nozioni e problemi di epistemologia", Estratto da Asprenas 1959, VI, n.1, 86 - 103 "Vladimiro Jankélévitch o alle soglie dell'ineffabile", in Giornale di Metafisica , 1959, XIV, pp. 502 - 537. "Cristianesimo e peccato" in Studi Cattolici, 1959, III, n. 13, pp. 10 - 18. "La filosofia della scienza e i limiti dello scientismo" , in Sapienza 1959, VII, nn.3 - 4 pp. 287 - 323. "Il valore della logica in Edmondo Husserl" , Estratto da Sapienza, 1960, VIII, nn. 3 - 4, pp.251 - 256. "Discours philosophique et image physique" in Atti del XII Congresso Internazionale di Filosofia, Sansoni, Firenze 1960 vol. IV pp. 279 -286. "Il paradosso del mentitore ", Estratto da Rassegna di Scienze filosofiche , 1960, XIII, n.4. 32 pp. "La storicità del pensiero filosofico ( psicologia sociale e filosofia) ", Estratto da Atti dell'Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli, 1960, LXXI , 62pp. "La storiografia e la metodologia scientifica contemporanea ", in Cultura e Società (Salerno), 1960, I fas. 3, pp. 578 - 621. "I problemi della filosofia attuale al Congresso di Venezia", in Cultura e Società (Sa-lerno), 1960, I fas. 3. "La filosofia delle forme simboliche di Ernesto Cassirer", in Giornale di Metafisica, 1961, XIV, n.1, pp.17 - 38. "Il problema della conoscenza nell' empirismo di C. D. Broad ", Estratto da Sapienza, 1961,IX, nn. 5 - 6, pp. 411 - 440. "L' antropologia spiritualistica di Maine de Biran". Estratto da Asprenas (Napoli), 1961, VIII, n.4 , pp. 399 - 424. "Le premesse del problema di Dio". In Asprenas (Napoli), 1961, VIII, n.1, pp.5 - 26. "Problematica del protestantesimo attuale : la Bibbia (Bultmann, Barth, Cullmann)". Estratto da Sapienza, 1961, IX , n. 1. 16 pp. "Neopositivismo e Metafisica secondo Louis O. Kattsoff". Estratto da Rassegna di Scienze Filosofiche , 1961, XIV, n.1, 24 pp. "I problemi della ricerca scientifica nella prospettiva di Karl R. Popper". In Rassegna di Scienze Filosofiche, 1961, XIV, nn. 3 - 4. pp.240 - 265 "Expérience culturelle de notre époque". Tradotto in cinese da Wu Ming-shih e pubblicato nella rivista cinese il cui titolo in inglese è Contemporary Thought Quarterly 1961, I n.1. Hsintien, Taipei, Taiwan. "Cristocentrismo e demitizzazione nella problematica del protestantesimo attuale" in Studi Cattolici, 1961, V, n.25 Verità e libertà" in Atti del XVIII Congresso Nazionale della Società Filosofica Italia-na Palumbo, Palermo 1961, vol. I , pp. 435 - 442. "Connotazione e denotazione". Estratto da Rassegna di Scienze Filosofiche, 1962, XV, n.1. 29 pp. "L'argomento ontologico". Estratto da Rassegna di Scienze Filosofiche, 1962, XV,n.2; pp.128 - 168. "L'ottimismo cristiano nel pensiero di Karl Barth" , in Studi Cattolici, 1962, VI , n.31; pp.9 - 14. "Il linguaggio come interpretazione e comunicazione" in Il Dialogo (Urbino) 1962 quaderni18 -19; pp. 65 -83. "Fenomenologia e ontologia in Martino Heidegger", Estratto da Rassegna di Scienze Filosofiche, 1962, XV nn. 3 - 4 , pp.286 - 318. "La filosofia di fronte alle scienze ", in Atti del XIX Congresso Nazionale di Filoso-fia, Adriatica Editrice, Bari, 1962, vol. II, pp. 653 - 661. "La controversia sull'argomento ontologico" in Studia Patavina 1963, X, n.1, pp.66 - 89 "Genesi e funzione del linguaggio" , in Asprenas 1963, X, n. 1, pp. 3 - 17. "Arturo Pap filosofo della scienza", in Rassegna di Scienze Filosofiche, 1963, XVI, n. 4, pp. 357 - 363. "Logica e metafisica in Roberto Pavese", in Sapienza, 1963, XVI, pp.107 - 129. "L'analisi del linguaggio come metodo di indagine filosofica", in Rassegna di Scienze Filosofiche, 1963, XVI, n.1, pp. 23 - 66. "Idee per una filosofia dello sviluppo umano", in Rassegna di politica e di storia, 1963,IX, n. 102, pp.27 - 30 "L'evoluzione del pensiero politico occidentale". Estratto da Rassegna di politica e di storia, 1963,IX n. 106, 4 pp. "L'esperimento: esame critico-epistemologico" in La Nuova Critica, Studi e rivista di filosofia della scienza, 1963, fas. IV, pp. 11 - 38. 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Dov'è finita la libertà di studio?" in Servizio informazioni AVIO ( Armando, Roma) 1967, XI, nn. 7 - 8, pp. 159 - 162. "Analisi del linguaggio ed epistemologia genetica" in Servizio informazioni AVIO (Armando, Roma) 1967, XI , n. 2 pp. 72 - 75. "Dizionarietto di termini filosofici e pedagogici: Variabile e funzione" in Servizio informazioni AVIO (Armando, Roma) 1968, XII, nn. 2-3 , pp. 132-134. "Significato e verità delle proposizioni in Russell" in Giornale Critico della Filosofia Italiana 1968, fas. III, pp. 429 - 442. "Spunti di indagine fenomenologica nelle 'Philosophische Bemerkungen' di Wittgenstein", in Rivista di Studi Salernitani, 1968 n.1, gennaio - giugno, pp.175 - 187. "Saggio di assiologia operazionistica" in Rivista di Studi Salernitani, 1969, n.3, gennaio - giugno ( saggio firmato con Enzo Calogero ). "Il principio di verificabilità" in Logos (Napoli) 1969, I, pp.70 - 113. "Il movimento umanistico inglese" in Logos (Napoli) 1969, III, pp.659 - 667. 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"L' evocazione iconica nello Pseudo-Longino" , in Il Sublime. Contributi per la storia di un'idea, Morano, Napoli 1983, pp. 83 - 102. "La scuola vivaio di camorrismo?" in Servizio informazioni AVIO 1983, XXV, 3 - 4, pp. 68 - 72. "Il 'significato' fra interpretazione e certezza" in Discorsi 1983, III, pp. 279 - 300. "Perplessità sui termini del problema [ crisi della ragione]" in Individualità e crisi della ragione, Atti del Convegno di Lanciano, 1983, Editoriale B.M. Italiana, Roma, pp.194 - 196. "Che cosa è pensiero? L' unità dell' Essere" in Atti dei Convegni Lincei. Convegno promosso dal Centro Linceo Interdisciplinare di Scienze Matematiche e loro Applicazioni, Accademia dei Lincei, Roma 1985, pp. 309 - 320. "Il 'demoniaco' o il progresso? " in Nuova Civiltà delle Macchine 1984, II, pp. 78 - 83. "History as Metascience: A Vichian Cue to the Understanding of the Nature and Development of Sciences" in New Vico Studies, 1985, III, pp. 49 - 59. 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Revue de Sciences Humaines, 1997, XLIX pp. 13-28. "Logica e semantica del nous aristotelico e del cogito cartesiano" in Riscontri 1998, XX, pp. 35 - 51. "Filogenesi, ontogenesi e biologia del linguaggio: strutture superficiali e strutture profonde" in Scienza e Sapienza 1998, III, pp. 61 - 132. "I diritti e le pene" in La giustizia tra etica e diritto, Fascicolo di Il Contributo, Centro per la Filosofia Italiana, 1998, XIX pp. 13 - 18. "La place de Descartes dans la culture occidentale" , in Revue Tunisienne des Etudes Philosophiques, 1998, XIII pp. 83 - 94. " Nominare i morti " in Società di Filosofia del Linguaggio. Annuario 1998 , Roma 1998 pp.75 - 98. "L'Imaginaire métaphysique" in Metalogicon , 1999, XII pp. 81 - 88. "Descrizione mentalistica e descrizione fisica" in Riscontri, 1999, XXI pp. 51 - 66. "Globalizzazione e pluralità di culture" in Scienza e Sapienza, 1999, IV, pp. 55 - 137. "Presentazione" del volume: Vincenzo De Santis, Louis Althusser. Un interprete trascurato di Marx. Palladio, Salerno 1999, pp.7- 10. 263."Amputazioni e modifiche cerebrali" in Corporeità 1999, XII , pp.5 - 7. "The Language of Evidence in English Law" in M. Carapezza e F.Lo Piparo , a cura di, La regola linguistica. Atti del VI Congresso di studi della Società di Filosofia del Linguaggio, Novecento, Palermo 2000, pp. 119 - 127; ed in Metalogicon, XIV, 2001 pp. 49-60. "De l'imaginaire naturel à l'imaginaire techno-génétique" in Rachida Triki, a cura di, Arts et Transcréation, Association Tunisienne d'Esthétique et de Poïétique, Editions Wassiti, Tunis 2001, pp.57 - 66. "La sémantique du temps" in Le Temps. Revue Tunisienne des Etudes Philosophiques, XVI, 2001 pp.17-29. "Il Mediterraneo dall' antichità all'Islâm" in Riscontri, 2001, XXIII, pp. 33-47. "Presentazione" di: Alfredo Di Cicilia, Basi neurali e fattori ambientali nello sviluppo del linguaggio, Dema, Bagnoli Irpino 2002 pp.1-4. "Russell's Logic in Tractatus logico-philosophicus", in P. Frascolla, a cura di Tractatus logico-philosophicus:Sources,Themes,Perspectives. Proceedings of the International Workshop, Lagopesole 25th-26th October 2000, Università degli Studi ndella Basilicata, Potenza 2002. "Giambattista Vico e Ibn Khaldun sull'origine delle nazioni" in Riscontri 2002, XXIV, pp.35-61. "Il problema storiografico delle origini islamiche" in Riscontri 2002, XXIV, pp. 39-65. "La paix pour une société balancéee" in AA.VV. La philosophie et la paix. Actes du XXVIIIème Congrès International de l'Association de Sociétés de Philosophie de Langue Française 29 août- 2 septembre 2000, Vrin, Paris 2002 tome II, pp. 747- 751. "L'invention persuasive dans la rhétorique d'Aristote" in Association Tunisienne d'Esthétique et de Poïétique, CRÉATION, nécessité et hasard>, Textes réunis par Rachida Triki, El-Menzah (Tunisie) 2003 pp.29-36.  "Muscoli, sport e riabilitazione" in Corporeità ( pubbl. effettiva 2003 agosto) 2000,XIII, pp. 8-13. "Il problema storiografico delle origini islamiche" in Riscontri 2002, XXIV, pp. 39-65. "Ruolo degli ahâdîth nell' Islâm " in Riscontri 2004, XXVI pp.45-63. "Società occidentale e società islamica" in Filosofia e società, di Biblioteca, Gaeta 2003-2004 pp.43-56. "La Cupola della Roccia e le origini islamiche" in Riscontri 2004, XXVI pp. 53-74. "Migliorare i muscoli attraverso il genoma" in Corporeità (pubbl. effettiva ottobre 2005) 2003, XVI pp.3-7. "On Denoting : 100 years. Russell's Theory of Descriptions" in Metalogicon (2005) XVIII, 2 pp. 29-40. "Perche' il Convitto?", in 1807-2007 Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II Napoli. Oltre il Bicentenario. La Memoria dell'Istituzione. A cura di Vincenzo Raccioppi. Napoli, maggio 2007, pp.25-43.Emanuele Riverso. Riverso. Keywords: la forma del segno, la tappa, le tappe, riferimento, ri-ferire, vico, animale raggionavole, magia e scienza, Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Riverso” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Roccoto: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). To be identified.

 

Grice e Rodano: la ragione conversazionale dell’immunità e della comunità, o l’implicatura dei comunisti – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano . Fondatore del “catto-comunismo.”  E tra i fondatori del movimento dei cattolici comunisti, poi sinistra cristiana. Studia a Roma. Frequenta la Scaletta. Milita nell'azione cattolica e nella FUCI presieduta da Moro. Entra in contatto e collabora con anti-fascisti d'ispirazione cattolica -- Ossicini, Pecoraro, Tatò e altri -- comunista -- Bufalini, Amendola, Ingrao, Radice e altri --, del partito d'azione e liberali -- Malfa, Solari, Fiorentino fra gl’altri. Partecipa al movimento dei cattolici anti-fascisti. Con Ossicini e Pecoraro tra i promotori e dirigenti del partito co-operativista sin-archico -- poi partito comunista cristiano -- e ne redige i principali documenti. Fa parte, con Alicata e Ingrao, del trium-virato dirigente le II distinte organizzazioni clandestine, comunista e comunista cristiana. Scrive saggi sull’Osservatore Romano. Arrestato dalla polizia fascista in una generale retata dei militanti del partito comunista cristiano, e deferito al tribunale speciale con altri suoi dirigenti. Il processo non ha luogo per la caduta del fascismo. Nel periodo badogliano ha intensi scambi d'idee con i compagni di partito e altre personalità anti-fasciste sulla linea da seguire. Stringe amicizia con Luca e Pintor. Collabora al “Lavoro”, diretto da Alicata, comunista, Vernocchi, socialista, e Gaudenti, cattolico. Sotto l'occupazione nazista di Roma fonda il movimento dei cattolici comunisti, e ne redige i documenti teorico-politici. Scrive saggi sui 14 numeri usciti alla macchia di “Voce operaia”, organo dello stesso movimento dei cattolici comunisti. Liberata Roma, il movimento di cattolici comunisti prende il nome di partito della sinistra cristiana. Vi confluiscono i cristiano-sociali di Bruni. Vi partecipano anche Balbo, Sacconi, Barca, Amico, Chiesa, Valente, Mira, Tatò, Tedesco, Parrelli, Tranquilli, e Rinaldini.  Stringe un rapporto di amicizia e collaborazione -- che non sarà privo di momenti di dissenso critico --con Togliatti. Su Voce Operaia, pubblicata adesso legalmente, scrive numerosi saggi. In IV di essi sostiene la prosecuzione dell'IRI e ciò segna l'inizio della sua amicizia con Mattioli. S'incontrano, a casa di R. e con la sua mediazione, Togliatti e Luca, primo, cauto sondaggio reciproco tra mondo cattolico e movimento comunista italiano. A conclusione di un congresso straordinario, il partito della sinistra cristiana si scioglie. Sostiene, con argomentato vigore, che non è più utile una formazione cattolica di sinistra, poiché incombe alla classe operaia nel suo insieme e perciò al partito comunista il compito di affrontare la questione cattolica, superando le pre-giudiziali a-teistiche e del dogmatismo marxista. Si adopera perciò per ottenere modifiche nello statuto del partito comuista, che consentano l'iscrizione e la militanza in esso indipendentemente dalle convinzioni ideo-logiche e religiose, modifiche che saranno adottate dal partito comunista nel suo congresso. Entrato nel partito comunista,  scrive su periodici ufficiali di tale partito o ad esso vicini. Particolarmente numerosi i suoi saggi su Rinascita. Vi ha largo spazio l'invito ai cattolici a lavorare in politica e nelle altre dimensione della storia comune degl’uomini in spirito di laicità, evitando quindi improprie commistioni con la fede religiosa. Questa posizione approfondita nel corso di tutta la sua opera ed essenziale per comprenderla contrasta con la linea della chiesa di Pio XII, che coglie l'occasione di due suoi saggi sulla condizione economica del clero (Rinascita) per comminargli l'interdetto dai sacramenti, accusandolo di fomentare la lotta di classe all'interno delle gerarchie (L'interdetto e tolto sotto Giovanni XXIII). Cura i saggi politici di “Lo Spettatore”. Scrive sul Dibattito Politico, diretto da Melloni e Bartesaghi, teso a una difficile mediazione tra le posizioni politiche del mondo cattolico e di quello comunista e socialista, nel distinto riconoscimento dei rispettivi valori e motivi ideali. Vi collaborano tra gli altri Chiarante, Magri, Baduel, Salzano. Durante il pontificato di Giovanni XXIII opera, tramite Togliatti, per la trasmissione ai dirigenti della proposta, primo, cauto sondaggio reciproco tra mondo cattolico e movimento comunista italiano.  A conclusione di un congresso straordinario, il PSC si scioglie. R.sostiene, con argomentato vigore, che non è più utile una formazione cattolica di sinistra, poiché incombe alla classe operaia nel suo insieme e perciò al PCI il compito di affrontare accolta, di uno scambio di messaggi in occasione del compleanno di papa Roncalli. L'iniziativa sarà il primo segno di disgelo tra URSS e s. sede. Si svolge un serrato dialogo tra R. e NOCE (si veda), che mette in chiaro la diversità delle rispettive posizioni. Fonda con Napoleoni La Rivista trimestrale, affrontando nodi teorici e politici di fondo. Ancora con Napoleoni, e Ranchetti, dirige la scuola di scienze politiche ed economiche,  rivolta a militanti del movimento. Collabora alla rivista “Settegiorni”, diretta d’Orfei e Pratesi, in cui fra l'altro scrive una serie di interventi d'intensa riflessione teologica, le Lettere dalla Valnerina. Chiusasi l'esperienza della Rivista Trimestrale, R. scrive sui Quaderni della Rivista Trimestrale, diretti da Reale, cui collaborano, insieme a Sacconi, Salzano, Tranquilli, Gasparotti, Rinaldini, Reale, Agata, Vincenti, Montebugnoli,  Padoan, Sacconi, Zevi, R. e R., ed altri.  Lo si considera l'esponente più autorevole del “catto-comunismo”: "i rapporti di R. con il mondo cattolico sono stati indagati a fondo. Quelli con Togliatti -- che furono rapporti personali assai intensi -- assai poco, come quelli con Berlinguer -- all'Istituto Gramsci si conservano tre vaste memorie che scrive per Berlinguer -- anche se il rapporto stretto di questi con Tatò è sufficiente a delinearne l'influenza".  Nella stagione del compromesso storico proposto da Berlinguer e oggetto prima di attenzione, poi di cauta convergenza da parte di Moro, R. elabora i fondamenti teorici di una politica diretta a non ridurre l'incontro tra le grandi forze storiche del comunismo, del socialismo e del cattolicesimo democratico a una mera operazione di governo, ma a farne una strategia di lungo periodo di trasformazione della società. Quella stagione e quelle prospettive vengono improvvisamente troncate dall'ASSASSINIO DI MORO. S'intensificano, all'epoca, i suoi contatti personali con esponenti del PCI, del PSI, della DC e di altri partiti -- Malfa, Malagodi, Visentini -- su problemi politici a breve e lungo termine. Pubblica saggi su vari periodici e sul quotidiano Paese Sera, quasi settimanalmente. Altre saggi: “Sulla politica dei comunisti” (Boringhieri, Torino); “Questione demo-cristiana e compromesso storico” (Riuniti, Roma), “Lenin da ideologia a lezione” (Stampatori, Torino); “Lettere dalla Valnerina” (Pratesi, La Locusta, Vicenza); “Lezioni di storia possibile” -- Tranquilli e Tassani (Marietti, Genova); “Lezioni su servo e signore” – Tranquilli (Riuniti, Roma); “Cattolici e laicità della politica” Tranquilli (Riuniti, Roma); “Cristianesimo e società opulenta” – Mustè (Storia e letteratura, Roma). Saggi sono spubblicati in numerosi periodici e quotidiani, tra i quali l'Osservatore Romano, Primato, Voce Operaia  Rinascita Il Politecnico, Unità, Vie nuove, Società, Cultura e realtà, Lo Spettatore Italiano, Il Contemporaneo, Il Dibattito Politico, Argomenti, La Rivista Trimestrale, Settegiorni, Quaderni della Rivista Trimestrale, Paese Sera, Città Futura, Nuova Società, e Il Regno. I saggi più importanti, pubblicati sulla Rivista Trimestrale e sui successivi Quaderni, sono “Risorgimento e democrazia, Il processo di formazione della società opulenta”; “Il pensiero cattolico di fronte alla società opulenta”; “Egemonia riformista ed egemonia rivoluzionaria”; “Nota sul concetto di rivoluzione”; “Significato e prospettive di una tregua salariale; “Il centro-sinistra e la situazione del paese”; “Marx, A proposito del convegno delle ACLI a Vallombrosa”; “Su alcune questioni sollevate dal movimento studentesco; “Con Dopo Praga: considerazioni politiche sulla storia del movimento operaio, A proposito dell'autunno caldo”; “Considerazioni sulla dialettica sociale dell'opulenza”; “La peculiarità del partito comunista”; “Dopo il congresso del partito comunista: il nodo al pettine”, “I germi di comunismo”; “La questione demo-cristiana”; “La proposta del compromesso storico”; “Dopo la morte di Mao Tse-tung: la lezione di una grande esperienza, con Tranquilli; “Considerazioni sulla strategia dei comunisti italiani”; “Egemonia e libertà delle opinioni”; “Considerazioni sui fenomeni di eversione”; “La politica come assoluto”; “Note sulla questione”; “La specificità umana e condizione storica: dopo la lettera di Berlinguer al vescovo di Ivrea: laicità e ideologie”; “Alla radice della crisi”; “L'incompatibilità tra capitalismo e democrazia”; “È possibile una soluzione reazionaria?” “Idee e strumenti della manovra reazionaria”; “Roluzione” “Rivoluzione”; “Filosofia della storia”; Rivoluzione in Occidente e rapporto con l'URSS,  Il senso di una grande lezione: per una lettura critica di Lenin”; “Per un bilancio del compromesso storico”; “Innovazione e continuità”; “Contratti e costo del lavoro: imprese e sindacati, partiti e istituzioni”; “La chiesa di fronte al problema della pace”. Craveri, Una critica pregnante, in Mondoperaio, Teorico del compromesso storico Archivio la stampa. Noce: Lettera a R. -- Regno-attualità  --; Cinciari: Cattolici comunisti, n Enciclopedia dell'anti-fascismo e della resistenza, Milano; Bedeschi: Cattolici e comunisti (Feltrinelli, Milano); Cocchi, Montesi: Per una storia della Sinistra cristiana (Coines, Roma), Casula: Cattolici-comunisti e Sinistra cristiana (Mulino, Bologna); Tassani: Alle origini del compromesso storico (EDB, Bologna); Ruggieri, Albani: Cattolici comunisti? (Queriniana, Brescia); Repetto: Il movimento dei cattolici comunisti: problemi storici e politici -- Quaderni della Rivista Trimestrale; Ricordo, Broglio, "Un cristiano nella sinistra", in "Nuova Antologia", Giannantoni, Alema, Ingrao: Dibattito in Rivista Trimestrale, Nuovo Spettatore Italiano, Bella: “Lo Spettatore Italiano” (Morcelliana, Brescia); Papini: Tra storia e profezia: la lezione dei cattolici comunisti (Univ., Roma); Landolfi, R.: la rivoluzione in Occidente, Palermo, Ila Palma, Raimondo: solitudine e realismo del comunista cattolico (Galzerano, Salerno); Tronti: Una riflessione -- in Rivista Trimestralen; Manacorda: lettore di Marx in Critica marxista; Napoleoni, Cercate ancora (Riuniti, Valle); Napoleoni, Teoria politica; Noce: Il comunista (Rusconi, Milano); Tranquilli: Fede cattolica e laicità della politica -- in Teoria Politica; Tranquilli: Realtà storica e problemi teorici della democrazia  -- in Bailamme, Reale: Sulla laicità: considerazioni intorno alle relazioni fra atei e credenti -- in Novecento, Bellofiore: Pensare il proprio tempo. Il dilemma della laicità in Napoleoni, in Per un nuovo dizionario della politica (Riuniti, Roma);  Capuccelli, Lucente: La riflessione teorica di R. dalla Sinistra Cristiana alla “Rivista Trimestrale” -- tesi di laurea in scienze politiche, Milano -- Istituto Gramsci: Convegno commemorativo di R., Roma --; Mustè, “Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino); lbani: La storia comune degli uomini. Ri-leggendo R. -- in Testimonianze, Papini: La formazione di un cattolico -- Tra la Congregazione mariana La Scaletta e il liceo Visconti, in Cristianesimo e storia, Possenti: Cattolicesimo e modernità. Balbo, Noce, R. (Milano); Mustè: Fra NOCE e R.: il dibattito sulla società opulenta, La Cultura; Mustè: R.: laicità, democrazia, società del superfluo (Studium, Roma). "Cristianesimo e società opulenta", a cura e con introduzione di Mustè (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, Parlato: L'utopia in Manifesto, Melchionda: R. (in Aprile, Rosa, "R.; il cristianesimo e la società opulenta", in "Ricerche di storia sociale e religiosa", Chiarante: Tra Gasperi e Togliatti. Memorie (Carocci, Roma; Pandolfelli: Marxismo, Scienze politiche, Roma; Tassani:"Il Belpaese dei Cattolici", Cantagalli, "La traccia e la prospettiva teorica di R." MORO, R. e la storia del 'partito cattolico' in Italia", in Botti, Storia ed esperienza religiosa. Urbino, Quattro Venti, Hanno detto di lui: la sua vita testimonia, in modo esemplare, quanto possa essere forte, nell’uomo, la dedizione all’impegno intellettuale e ai grandi ideali, tra i quali la politica intesa nel senso più nobile e più alto dell’accezione. Portatore d’una fede religiosa profondamente sentita e sofferta, ha avuto costantemente con sé il dantesco “angelo della solitudine”: durante l’intera sua vita, infatti, mai si è sottratto al rovello e al dubbio; mai ha preferito la comoda via dei pigri, degli opportunisti e dei neutrali. La sua prima scelta di campo nell’Italia divisa in due,  fu doppiamente coraggiosa: la resistenza al nazi-fascismo ed il tentativo di conciliare nel Movimento dei cattolici comunisti i valori della tradizione cristiana e cattolica con quelli della rivoluzione d’ottobre. E così continuò senza paura e con sacrificio personale in tutti questi anni promuovendo con le sue tesi, tra consensi e dissensi, un continuo dibattito. La sua “inquietudine” è, dunque, sincera e feconda, sorretta da uno spirito virile, ma al fondo sensibile ed umanissimo. Certamente sarà ricordato dallo storico del futuro con queste sue peculiarità di intellettuale originale, pugnace e coraggioso. In questo modo l’ho visto e conosciuto, e così rimarrà per sempre nella mia memoria. Pertini, Quaderni della Rivista Trimestrale. Ritengo che la sua vita e la sua opera abbiano fornito una prova concreta e significativa della validità di due principi che egli ha serenamente professato e praticato e che, anche con il suo personale contributo, sono acquisiti al patrimonio teorico e ideale del partito comunista. Il primo è la distinzione e l’autonomia reciproca della politica e della fede religiosa -- o della convinzione filosofica o del “credo” ideologico. Il secondo è l’affermazionefatta da Togliatti, formulata in una tesi approvata dal X congresso del partito e sviluppata poi nelle tesi del XV congresso secondo la quale un cristianesimo genuinamente vissuto non soltanto non si oppone, ma è anche in grado di sollecitare un’azione che può contribuire alla battaglia per la costruzione di una società più umana, più libera e più giusta di quella capitalista. Berlinguer, Quaderni della Rivista Trimestrale. C’era nella sua avversione al misticismo, all’indistinto, all’anarchismo, una grande lezione di umanesimo storico e costruttivo. La drammaticità con cui sentiva i rischi di un capovolgimento della democraziavissuta nei suoi angusti limiti democraticisticiin corporativismo e in anarchia, e, quindi, la possibilità di una replica autoritaria, è tuttora inscritta nella nostra vita quotidiana, nella fase che stiamo attraversando. Bene: distinguere per collegare; stabilire i confini del campo di ciascuno, da cui discende l’autonomia della politica dalla religione e dalle ideologie. Per questo ritengo che occorra respingere le sollecitazioni di quanti pensano di poter rimuovere la questione di fondo posta da R.. Quella questione oggi riguarda, a mio avviso, il confine mobile tra progresso e conservazione” Occhetto, Quaderni della Rivista Trimestrale, Per chi ha seguito, anche talvolta dissentendo, la filosofia di R. e lo ha spesso messo a confronto con la visione di MORO, appare chiaro che gli insegnamento di R. come quelli di MORO non hanno solo valore per la ricostruzione storica di una fase politica conclusa, ma hanno invece valore e significato come guida per la costruzione di un processo di allargamento della democrazia, di sviluppo e di confronto e di un dialogo che sono ancora più che mai attuali, perché attuali e non risolti sono i grandi problemi nazionali che richiedono sì maggioranze e governi più efficaci e risoluti, ma anche un più largo consenso popolare da realizzarsi col confronto, col dialogo, con la partecipazione, sia pure a vario titolo, ad un unico disegno di tutte le forze politiche rappresentative dell’intera realtà popolare. Galloni, Quaderni della Rivista Trimestrale, “benché creda che la storia sia opera di molti, e non di singole personalità pur spiccatissime, ho sempre ritenuto che il ruolo esercitato da R. nella vicenda italiana di questi decenni sia stato assolutamente fuori del comune, e portatore di cambiamento come a pochissimi altri è stato dato. Ciò dico soprattutto in riferimento alla storia e alle trasformazioni del partito comunista italiano, nei cui confronti Rodano ha esercitato una funzione liberatrice e maieutica che, se non temessi di far torto alla complessità del processo di un grande movimento di massa e agli innumerevoli apporti di cui esso è sostanziato, non esiterei a definire demiurgica.»  Valle, Quaderni della Rivista Trimestrale. Lasciamo ad altri le banalità sul consigliere del principe o sul consulente per i rapporti con il mondo cattolico o con il Vaticano. Togliatti ne fu attratto e interessato certo, anche perché l’esperienza di R., le sue riflessioni, le sue frequentazioni arricchivano il Partito di qualcosa che altrimenti non sarebbe venuto. Forse qualcosa di analogo era stato per Gramsci e per Togliatti l’incontro con Godetti. Che conoscesse e stimasse Ottavini, che fosse intimo di Luca, non era importante perché ciò rappresentava un “canale”. E iuttosto decisivo che un giovane così ascoltasse e parlasse, che si trovasse a casa sua tra i comunisti, che per farlo soffrisse fino alla persecuzione vaticana, riuscendo sempre ad essere fedele nel senso più pieno del termine. Paietta, Quaderni della Rivista Trimestrale. Rrimane uno dei pochi uomini la cuia filosofia rende possibile l’appellativo di femminista anche per un appartenente al sesso maschile. La sua continua attenzione dalla questione femminile derivava, certo, da una molteplicità di circostanze. Vi influiva la ricerca su quello che egli stesso define il processo di umanizzazione dell’uomo, nel cui quadro la liberazione della donna costitusce ben più di una semplice componente o misura, ma piuttosto una delle condizioni decisive per una reale, generale fuoruscita dall’alienazione e dallo sfruttamento umano. Oggi più d’uno ambirebbe, revanchisticamente, a considerare conclusa la stagione femminista. E invece il vero problema per le donne, per la democrazia, per il mutamento, è la perpetuazione e il saldo attestarsi a un livello superiore del femminismo. Per questo il messaggio che può ben a ragione essere definito femminista nell’accezione più onnicomprensiva ed elevata, risulta tuttora rivolto alla speranza e soprattutto all’impegno: quell’impegno per cui egli ha consumato generosamente, e certo positivamente anche per la causa femminile, tutta intiera la sua vita. Tedesco, Quaderni della Rivista Trimestrale. Il mio primo interrogativo riguarda le scelte politiche che egli ha fatto, ponendosi come cattolico in contrasto con alcune direttive ecclesiastiche. Dove ha trovato forza e serenità, pur con sofferenza, per queste opzioni non rinunciando alla sua fede e alla sua appartenenza ecclesiale, sempre professata? Non ho trovato altra risposta che la sua fede teologale. La fede di Franco non era credenza dottrinale, magari utilizzata ideologicamente, o sottomissione alla gerarchia che poi si muta in ribellione; era adesione cosciente e ferma a Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, ancora vivente nella Chiesa. Questa fede comporta quel “sensus fidei” (ne ha parlato il Vaticano II nella Lumen Gentium) che diventa giudizio pratico nelle concrete situazioni per scelte che siano conformi alla volontà di Dio. È il discernimento di cui parla san Paolo nella Lettera ai Romani (12, 2) e che tanta parte ha nella dottrina spirituale cristiana. D. Torre, Quaderni della Rivista Trimestrale, Il rapporto con la chiesa, sia come comunità di fede che come istituzione, senza mediazioni di un partito cattolico rappresentava per R. un’occasione e una garanzia per depurare il movimento comunista non solo dall’ateismo scientista, ma anche di una visione totalizzante della rivoluzione politica e sociale. Il mito del regno dei cieli sulla terra e di una storia senza alienazioni. Corrispettivamente il movimento comunista e il portatore necessario di una trasformazione della società che non si presentasse come inveramento e compimento della razionalità illuministica, della rivoluzione borghese, ma anche e soprattutto come loro rovesciamento dialettico, e perciò offre un fondamento storico e materiale ad un mondo in cui le persone diventano centro e misura, liberate dalla rei-ficazione capitalistica, e perciò stesso base reale di un pieno sviluppo di un cristianesimo, non integralista, ma consapevole, diffuso, praticabile. Magri. Melchionda, in "Aprile", Dall'utopia alla secolarizzazione, Vassallo, Il consigliere di Berlinguer che ama la Contro-Riforma. Giornalista politico, Franchi, Corriere della Sera, Archivio storico. Treccani L'Enciclopedia italiana". Franco Rodano. Rodano. Keywords: immunità e comunità – filosofia italiana – i comunisti, il laico, democrazia, revoluzione, lotta di classe, societa opulenta, peculiarita dei comunisti italiani, anti-fascismo, arrestato dai fascisti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rodano” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rodippo: la ragione conversazionale ante la diaspora – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico.

 

Rogatiano: la ragione conversazionale della filosofia della gotta – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A senator whose tutor is Plotino. He credits Plotino for helping him realise the importance of leading a frugal existence. He himself fasts every other day – to which he attributes his recovery from gout. Rogatiano.

 

Rogo: la ragione conversazionale dell’allievo di Filone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A pupil of Filone at Rome. Tertilio Rogo.

 

Grice e Romagnosi: la ragione conversazionale della Roma antica, e l’implicatura dei IV periodi: o, dal segno alla logìa -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Salsomaggiore). Filosofo Italiano. Important Italian philosopher. L'etica, la politica ed il diritto si possono bensì dis-tinguere, ma non dis-giungere. Non esiste un'etica pratica, se non mediante la buona legge e la buona amministrazione. Studia a Piacenza e Parma. Insegna a Parma e Pavia. Membro della società letteraria di Piacenza, dove legge i suoi saggi: “Discorso sull'amore considerato come motore precipuo della legislazione”; “Discorso sullo stato politico della nazione romana e italiana”; “L’opinione pubblica. Uno degl’Ortolani. Pubblica la “Genesi del diritto penale”; Cosa è eguaglianza e, Cosa è libertà; Primo avviso al popolo romano, che mostrano simpatie rivoluzionarie. Il suo incarico gli procura contrasti con il principe di Trento, Thun. Questi gli concede comunque il titolo di consigliere aulico d'onore. Schiere contro i principi della rivoluzione francese. Accusato di giacobinismo, è incarcerato a Innsbruck. Scrive “Delle leggi dell'umana perfettibilità per servire ai progressi delle scienze e delle arti”. Scopre gl’effetti magnetici dell'elettricità. R. anticipato la scoperta dell'elettro-magnetismo. Pubblica “Quale e il governo più adatto a perfezionare la legislazione civili”. Fonda il “Giornale di giurisprudenza universale”. Pubblica l’Istituzioni di Diritto amministrativo e Della costituzione di una monarchia costituzionale rappresentativa. Rerduna intorno a Milano una scuola o gruppo di giocco alla quale si formarono alcuni dei nomi più illustri del risorgimento: Ferrari (si veda), Cattaneo (si veda), Cantù (si veda), Defendente S. (si veda) e G. Sacchi (si veda). Collabora alla biblioteca italiana. Pubblica L’Assunto primo della scienza del diritto naturale. È arrestato e incarcerato a Venezia con l'accusa di partecipazione alla congiura ordita da Pellico, Maroncelli e Confalonieri. Pubblica “Dell'insegnamento primitivo delle matematiche” e “Della condotta delle acque”.  Pubblica l’Istituzioni di civile filosofia ossia di giurisprudenza teorica. Dirige gl’Annali Universali di Statistica  Tra i maggiori filosofi italiani, nel rinnovamento del pensiero giuridico italiano richiesto dalla necessità di codificare i nuovi interessi delle classi borghesi emersi con la rivoluzione francese e consolidati nel successivo codice napoleonico, è legata alla fondazione di una nuova scienza del diritto pubblico, penale e amministrativo, con uno spirito scientifico illuministicamente volto all'unificazione delle scienze giuridiche, naturali e morali. Studia pertanto la vita sociale nelle sue componenti storiche, giuridiche, politiche, economiche e morali. Considera l'uomo nelle forme della sua esistenza storica, nei modi in cui concretamente pensa e agisce in un contesto sociale determinato. In questo modo lo studio della storia rivela lo sviluppo dell'incivilimento umano.  Nella “Genesi del diritto penale”, opera che gli dette notevole fama e non solo in Italia, riprendendo tesi di BECCARIA, pone i problemi dell'utilità della punizione, della natura della colpa e del diritto. Dà una GIUSTIFICAZIONE RAZIONALE della società che gl’appare un'unione necessaria tra gl’uomini, dialetticamente rapportati nel rispetto di una disciplina condivisa. L'uomo è lo stesso sia nello stato di natura che in quello di società, malgrado le diversità delle forme sociali. Pertanto gl’uomini hanno un diritto di socialità importante e sacro, quanto quello della conservazione di se stesso. La società è per R. l'unico stato naturale dell'uomo, respingendo così la dottrina di uno stato di natura *anteriore* allo stato sociale. Il cosiddetto stato di natura è solo un diverso stato sociale nella storia dell'umanità. Nell'introduzione allo studio del diritto pubblico universale, premesso che ogni complesso giuridico di basarsi sul bisogno della comunità, sostiene che lo scopo del diritto e il rafforzamento delle strutture civili e politiche della società. Nell'Assunto primo della scienza del diritto naturale, riprende temi sviluppati nella genesi del diritto. Sostiene che nella natura è tanto il principio di individualità quanto quello di socialità, e, pertanto, lo sviluppo umano avviene naturalmente verso uno stato di società, l'unico in cui si sviluppa l'incivilimento - termine ricorrente nei suoi scritti - un continuo processo verso stadi più avanzati di perfezionamento morale, civile, economico e politico.  E ancora nel Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento, con esempio del suo risorgimento in Italia si pone il problema di quale sia il motore del progresso umano nella storia. La tesi è che la società umana è l'organismo fattore di progresso, essendo in sé dotata di forze agenti in particolari condizioni storiche e ambientali. Lo sviluppo civile, suddiviso da R. in IV periodi -- I l'epoca del senso e dell'istinto, II l'epoca della fantasia e delle passioni, III l'epoca della ragione e dell'interesse personale e IV l'epoca della previdenza e della socialità -- vede un costante trasferimento, agl’organismi pubblici rappresentativi, delle funzioni sociali come se la natura si trasferisse progressivamente nella funzione rappresentativa. Il punto d'arrivo della civiltà è una forma sociale in cui prevalgono la proprietà e il sapere. Tale processo non è lineare. Il diritto ROMANO si afferma in condizioni civili arretrate. Ma, come una macchina i cui meccanismi migliorano nel tempo, la sua azione progressivamente perfezionata fa sorgere dal fondo delle potenze attive un sempre nuovo modo di ri-azioni e quindi d’effetti variati. L'incivilimento appare così una cosa complessa risultante di molti elementi e da molti rapporti formanti una vera finale unità simile a quella di una macchina, la quale scindere non si può senza annientarla. Il motore di siffatta macchina è il COMMERCIO, sviluppato a sua volta dal progresso dello stato sociale. Guardando allo sviluppo storico nazionale, vede nel medio-evo l'epoca in cui la città diviene luogo di aggregazione di possidenti, artisti, commercianti e dotti, favorendo le condizioni per la nascita dello stato italiano dallo stato romano anche se ai comuni medievali manca uno spirito politico nazionale perché presero la strada dal ramo industriale e commerciale per giungere al territoriale. Essi dunque ripigliarono l'incivilimento in ordine inverso. In quest'ordine trovarono i più gravi ostacoli avendo dovuto separare la professione dell’armi da quella del’arti e della mercatura. Per questo, bisogna sempre porsi il problema di un corretto modo di sviluppo e ora, nella società industriale, l'incivilimento è una continua disposizione delle cose e delle forze della natura pre-ordinata dalla mente ed eseguita dall'energia dell'uomo in quanto tale disposizione produce una colta e soddisfacente convivenza. Nella collezione degl’articoli di economia politica e statistica civile si trova espressa la fiducia nella sviluppo capitalistico e nella libera concorrenza economica, difesa contro le tesi di SISMONDI che vede nello sviluppo industriale una spaventosa sofferenza in parecchie classi della popolazione. I poteri pubblici fano rispettare le corrette regole della libertà di con-correnza, cosa che non avviene in Inghilterra dove ora si favorisce il popolo contro i mercanti, ora i possidenti e i mercanti contro il popolo e intanto si applica ancora il protezionismo. E inoltre un paese in cui non si applica IL DIRITTO ROMANO, fonte di equità civile. La mentalità empirica degl’inglesi non consente loro di pre-vedere ma solo di constatare i fatti. Polemizza col Saint-Simon, dottrinario che ostacola la libera con-correnza, assegna ogni ramo d'industria a guisa di privilegio personale, favorisce il popolo miserabile contro i produttori e abolire il diritto di eredità. I saintsimoniani vogliono far lavorare e poi lavorare senza dirmi il perché. Progresso non è che lavoro. Questo è l'ultimo termine, questo è il premio. L'uomo, secondo Saint–Simon, dovrebbe sempre progredire lavorando con una indefinita vista e senza stimolo. Ma voler far progredire l'industria e il commercio col togliere la possidenza è come voler far crescere i rami col distruggere il tronco. La proprietà ha un carattere naturale e, come la natura è la base di ogni società, negare la proprietà significa distruggere ogni possibilità di convivenza civile. Partendo dalla sua vasta esperienza giurisprudenziale e politica, auspica una nuova forma di filosofia civile, che studia le forme e condizioni dell'incivilimento storico della nazione romana e la nazione italiana, scoprendo la legge massima e unica delle vicende politiche, sociali e culturali dei popoli.  Riguardo al problema gnoseologico, per R. la conoscenza proviene dai sensi ma la sensazione non è di per sé ancora conoscenza, la quale si ottiene solo quando l'intelletto ordina e interpreta le sensazioni secondo proprie categorie, definite logiche – logìe --, con cui diamo segnature razionali alle segnature positive. Chiama compotenza questa mutua concorrenza di sensazioni provenienti dall'esterno e di elaborazione della nostra mente. Una logìa non è una idee formata nel momento della nostra nascita, ma a sua volta è il risultato della riflessione operata sull'esperienza empirica. La logìa è dunque a posteriori rispetto alla sensazione passata e a priori rispetto alla sensazione attuale. Pertanto, la conoscenza è in definitiva un a posteriori con un contenuto base empirico. Ma cosa conosciamo in realtà? I sensi non danno conoscenza delle cose in sé, ma di ciò che percepiamo delle cose. Conosciamo la rappresentazione che ci formiamo della cosa. Se il fenomeno non e copie esatta del reale, tuttavia è UN SEGNO a cui corrisponde in natura un’essere reale. Pertanto, una cosa esiste fuori di noi, non è una creazione dell’io trascendentale.  Non essendoci evidentemente posto per una meta-fisica nella sua costruzione filosofica, R. è attaccato dagl’spiritualisti e in particolare dal puritano SERBATI (si veda). Può a buon diritto essere considerato il precursore del positivismo italiano. Considera la contrapposizione di classico e romantico – nata nell'immediatezza della restaurazione e trascinatasi per oltre un ventennio con implicazioni letterarie, linguistiche e anche politiche - come impropria. Cerca di dare una soluzione alla controversia attraverso la sua concezione ilichiastica -- cioè relativa al tempo – cf. Grice, La costruzione ilichiastica dell’io -- della letteratura, secondo la quale la filosofia e consone all'età e al gusto del popolo romano e del popolo italiano, e suggere che le opere contemporanee dovessero corrispondere sempre al pensiero moderno di un popolo. L'ilichiastismo si rifà in sostanza alle sue concezioni sulla formazione della civiltà. Così espose la sua dottrina in Della Poesia, considerata rispetto alle diverse età della nazione romana e della nazione italiana. Sei tu romantico? Signor no. Sei tu classico? Signor no. Che cosa dunque sei? Sono “ilichiastico”, se vuoi che te lo dica in greco, cioè adattato alle età. Misericordia! che strana parola! Spiegatemela ancor meglio, e ditemi perché ne facciate uso, e quale sia la vostra pretensione.  La parola “ilichiastico” che vi ferisce l'orecchio è tratta dal greco, e corrisponde al latino “aevum”, “aevitas” -- e per sincope, “aetas”, “età,” la quale indica un certo periodo di tempo – nell’unita longitudinale della filosofia --, e in un più largo senso, il corso del tempo. Col denominarmi pertanto “ilichiastico,” io intendo tanto di riconoscere in fatto una filosofia relativa all’età, nelle quali si sono ri-trovato  e si trova il popolo romano e il popolo italiano, quanto di professare principj, i quali sieno indipendenti da fittizie istituzioni, per non rispettare altra legge che quelle del gusto, della ragione e della morale. Ma la divisione di romantico e classico, voi mi direte, non è dessa forse più speciale? Eccovi le mie risposte. O voi volete far uso di queste due parole, ‘classico’ e ‘romantico,’ per indicare nudamente il tempo, o volete usarne per contrassegnare il *carattere* della filosofia nelle diverse età. Se il primo, io vi dico essere strano il denominare ‘classica’ la filosofia romana antica, e filosofia romantica la media e moderna. L’eta antica (palio-evo), l’eta media (medio-evo), e l’eta moderna (neo-evo), sono fra loro distinti non da una divisione artificiale e di convenzione, ma da una effettiva rivoluzione. Se poi volete adoperare le parole di ‘classico’ e di ‘romantico’ per contrassegnare il carattere della filosofia romana e della filosofia italiana nelle diverse età, a me pare che usiate di una denominazione impropria. Quando piacesse di contrassegnare la filosofia coi caratteri delle tre diverse età – I: paleo-evo, II: medio-evo, III: neo-evo), parmi che dividere si potrebbe in I filosofia eroica (filosofia romana antica), II filosofia teocratica (filosofia del medio-evo), e III filosofia civile (neo-evo, moderna eta). Questi caratteri hanno successivamente dominato tanto nella prima coltura, che è sommersa dalle nordiche invasion dei barbari longobardi – dimenticami i goti – e d’arii -- , quanto nella seconda coltura, che è ravvivata e proseguita fin qui. Questi caratteri non esistettero mai puri, ma sempre mescolati. Dall'essere l'uno o l'altro predominante si determina il genere, al quale appartiene l'una o l'altra produzione filosofica. Vengo ora alla domanda che mi faceste, se io classico o romantic. E ponendo mente soltanto allo spirito di essa, torno a rispondervi che io non sono (né voglio essere) né romantico, né classico, ma adattato  alla mia eta, ed al bisogno della ragione, del gusto e della morale. Ditemi in primo luogo. Se io fossi nobile ricco, mi condannereste voi perché io non voglia professarmi o popolano grasso, o nobile pitocco? Alla peggio, potreste tacciarmi di orgoglio, ma non di stravaganza. Ecco il caso di un buon italiano in fatto di filosofia. Volere che un filosofo italiano sia tutto classico, egli è lo stesso che volere taluno occupato esclusivamente a copiare diplomi, a tessere alberi genealogici, a vestire all'antica, a descrivere o ad imitare gl’avanzi di medaglie, di vasi, d'intagli e di armature, e di altre anticaglie, trascurando la coltura attuale delle sue terre, l'abbellimento moderno della sua casa, l'educazione odierna della sua figliuolanza. Volere poi che il filosofo italiano sia affatto romantico, è volere ch'egli abiuri la propria origine, ripudj l'eredità de' suoi maggiori per attenersi soltanto a nuove rimembranze -- specialmente germaniche: i longobardi. Voi mi domanderete se possa esistere questo terzo genere, il quale non sia né classico né romantico? Domandarmi se possa esistere è domandarmi se possa esistere una maniera di vestire, di fabbricare, di “con-versare”, di scrivere, che non sia né antica, né media, né moderna. La risposta è fatta dalla semplice posizione della quistione. Ma questo III genere e desso preferibile ai conosciuti fra noi. Per soddisfarvi anche su tale domanda osservo primamente che qui non si tratta più di qualità, bensì di bellezza o di convenienza. In secondo luogo, che questa quistione non può essere decisa che coll'opera della filosofia del gusto, e soprattutto colla cognizione tanto dell'influenza dell'incivilimento sulla filosofia, quanto degl’uffizj della filosofia a pro dell'INCIVILIMENTO. Non è mia intenzione di tentare questo pelago. Osservo soltanto che questo III genere non può essere indefinito. E necessariamente il frutto naturale dell'età nella quale noi ci troviamo, e si troveranno pure i nostri posteri. Noi dunque non dobbiamo sull'ali della meta-fisica errare senza posa nel caos dell'idealismo, per cogliere qua e là l’ idea archetipo di questo genere. Dobbiamo invece seguire la catena degli avvenimenti, dai quali nella nostra età, essendo stata introdotta una data maniera di sentire, di produrre, e quindi di gustare e di propagare il bello, ne nacque un dato genere, il quale si poté dire perciò un frutto di stagione di nostra età. Per quanto vogliamo sottrarci dalla corrente, per quanto tentiamo di sollevarci al di sopra dell’ignoranza e del mal gusto comune, noi saremo eternamente figli del tempo e del luogo in cui viviamo. Il secolo posteriore riceve per una necessaria figliazione la sua impronta dal secolo anteriore. E tutto ciò derivando primariamente dall'impero della natura che opera nel tempo e nel luogo, ne verrà che il carattere filosofico, comunque indipendente dalle vecchie regole dell'arte, perché flessibile, progressivo, innovato dalla forza stessa della natura, e necessariamente determinato, come è determinato il carattere degl’animali e delle piante, che dallo stato selvaggio vengono trasportate allo stato domestico. Posto tutto ciò, l'arbitrario nel carattere della filosofia cessa di per sé. Si puo allora disputare bensì se il bello ideale coincide o no col bello volgare. Se il gusto corrente possa essere più elevato, più puro, più esteso; ma non si potrà più disputare se le sorgenti di questo bello debbano essere la mitologia pagana degl’antichi romani – o dei longobardi -- piuttosto che i fantasmi cristiani, i costumi cavallereschi piuttosto che gl’eroici, le querce, i monti o i castelli gotici, piuttosto che gl’archi trionfali, le are e i templi ROMANI. Il carattere attuale sarà determinato dall'età attuale e dalla località. Vale a dire dal genio nazionale romano e dal genio nazionale italiano eccitato e modificato dalle attuali circostanze, il complesso delle quali forma parte di quella suprema economia, colla quale la natura governa le nazioni della terra. Finisco questo discorso col pregare i miei concittadini a non voler imitare le femminette di provincia in fatto di mode, e ad informarsi ben bene degli usi della capitale. Leggano gli scritti teoretici, e soprattutto le produzioni di LA FILOSOFIA SETTENTRIONALE, e di leggieri si accorgeranno che se havvi in essa qualche pizzo di romantica poesia, niuno si è mai avvisato né per teoria né per pratica di essere né esclusivamente romantico né esclusivamente classico nel senso che si dà ora abusivamente a queste denominazioni. Troveranno anzi essersi trattati argomenti, e fatto uso di similitudini e di allusioni mitologiche anche in un modo, che niun LATINO O ROMANO antico MERIDIONALE si sarebbe permesso. Il solo libro dell'Alemagna della signora di Staël ne offre parecchi esempi.  Il pretendere poi presso di noi il dominio esclusivo classico, egli è lo stesso che volere una poesia italiana morta, come una lingua italiana morta. Quando il tribunale del tempo decreta questa pretensione, io parlo con coloro che la promossero. Durante il periodo del regno italico, è iniziato massone nella loggia r. giuseppina di Milano, di cui è in seguito oratore e maestro venerabile. È grande esperto all'atto della fondazione del grande oriente esponente di primo piano della massoneria di palazzo Giustiniani, grande oratore aggiunto del grande oriente e in questa funzione autore di vari discorsi massonici. Altri saggi: “Genesi del diritto penale”; “Che cos'è uguaglianza”; “Che cos'è libertà”, “Introduzione allo studio del diritto pubblico universale”; “Principi fondamentali di diritto amministrativo”, “Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa”; “Dell'insegnamento primitivo delle matematiche”; “Della condotta delle acque”; “Che cos'è la mente sana?”; “Della suprema economia dell'umano sapere in relazione alla mente sana”; “Suprema economia dell'umano sapere”; “Della ragion civile delle acque nella rurale economia”; “Vedute fondamentali sull'arte logica”; “Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento con esempio del suo risorgimento”; in Collezione degli articoli di economia politica e statistica e civile, con annotazioni di Giorgi (Milano, Perelli e Mariani); Opere, Milano, Perelli e Mariani, La scienza delle costituzioni,  I Discorsi Libero-Muratori, L'acacia Massonica, Scritti filosofici, Milano, Ceschina, Scritti filosofici (Firenze, Monnier); Stringari, R. fisico; Lanchester, R. costituzionalista, Giornale di storia costituzionale, Macerata: EUM-Edizioni Università di Macerata, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori (Mimesis-Erasmo, Milano-Roma); Studi in onore, Milano, Giuffrè, Per conoscere R., Milano, Unicopli, Albertoni, “La vita degli stati e l'incivilimento dei popoli nella filosofia politica di R.” (Milano, Giuffrè); Mereu, “L'antropologia dell'incivilimento in R. e CATTANEO (si veda)” (Piacenza, La Banca); E. Palombi, “Introduzione alla Genesi del Diritto penale” (Milano, Ipsoa); Tarantino, Natura delle cose e società civile. SERBATI e R.” (Roma, Studium); Treccani Dizionario di storia, Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, L'Unificazione, Dizionario biografico degl’italiani, Il contributo italiano alla storia del Pensiero. Gian Domenico Romagnosi. Romagnosi. Keywords: scienza simbolica, scienza simbolica degl’antichi romani, il vico di Romagnosi, la terza Roma, la prima Roma, la prima eta, la terza eta, la logica di Genovese, la matematica, Sacchi, Cattaneo, incivilamento, gl’italiani, la nazione italiana. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Romagnosi," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Romanoto: la ragione conversazionale e l’implicatura -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). To be identified.

 

Grice e Roncaglia: la ragione conversazionale alla palestra – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo Italiano. Studia a Roma e Firenze sotto GREGORY (si veda) e MAIERÙ (si veda). Insegna a Tuscia e Roma. Si dedica alla storia logica fra il medio-evo e Leibniz. Saggi: “Intero e frammentazione” (Roma, Laterza); Rivista di filosofia dell'intelligenza artificiale e scienze cognitive ; “Palaestra rationis: una discussione sulla copula e la modalità” (Firenze: Olschki); Università Roma Tre. Dimissioni organi consultivi Mi BACT. Note a margine del concorso per CCCCC funzionari del Ministero Beni Culturali: mezzo bibliotecario per ogni biblioteca? E la tutela di libri e manoscritti chi la fa? Tuscia. Gino Roncaglia. Roncaglia. Keywords: palestra. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Roncaglia” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Ronchi: la ragione conversazionale e la ragione conversativa -- il conversativo, o, filosofia della comunicazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Forlì). Filosofo Italiano. Si laurea a Bologna e consegue il dottorato a Milano sotto SINI. Insegna all’Aquila. Dirige “Filosofia al presente” per Textus, di L’Aquila e “Canone minore” per Mimesis di Milano. Dirige la scuola di filosofia Praxis. Si dedica alla passione -- “Sapere passionale” (Spirali, Milano) e alla questione della comunicazione intesa filosoficamente come partecipazione alla verità e fondamento ontologico della stessa pratica filosofica (“Teoria critica della comunicazione: dal modello vei-colare al modello conversazionale” (Mondatori, Milano) -- Grice: “I like ‘conversativo,’ Almost a Spoonerism for ‘conservative’!” --; “Filosofia della comunicazione. Il mondo come resto e come teo-gonia” (Boringheri, Torino). Propone  una revisione del modello vei-colare o standard della comunicazione e una critica al paradigma linguistico del vivente. Al problema della raffigurazione e al suo rapporto col dicibile nella filosofia è invece dedicato “Il bastardo: figurazione dell’invisibile e comunicazione indiretta” (Marinotti, Milano). Grice: “This shows a distinction between ‘ingelese italianato.’ To call indirect communication bastard would be a bit too much at Oxford!” --. Grazie ai suoi studi su Bergson si è segnalato come una voce significativa della cosiddetta “Bergson renaissance”. – cf. Grice, “Speranza e la cosidddetta “Grice renaissance””. In “L’interpretazione” (Marietti, Genova) e  “Una sintesi” (Marinotti, Milano) guarda a Bergson come a un filosofo in grado di dare risposta a questioni tuttora aperte del dibattito filosofico. Bergson non è un filosofo irrazionalista, spiritualista, ostile alla scienza e ai suoi metodi. Per lui la filosofia è un metodo rigorosamente empirista, che consente la massima precisione possibile nella descrizione dei fenomeni. Bergson è anzi il filosofo che cerca di emancipare la scienza da quanto di meta-fisico è ancora inconsapevolmente presente nelle sue pratiche. Con le sue celebri nozioni di “durata” e di “memoria” (cfr. Grice, “Personal identity: my debt to Bergson”) ha costruito un nuovo modello di intelligibilità del divenire, alternativo a quello del Lizio, in grado finalmente di spiegare, senza riduzionismi, il “vivente” quale e descritto dalla biologia evoluzionista.  Il pensiero bergsoniano è presentato come uno snodo essenziale della filosofia. La sua dirompente attualità è mostrata attraverso un confronto sistematico con la fenomenologia, l’esistenzialismo, l’ermeneutica, il pensiero della differenza e l'epistemologia della complessità. Al tempo stesso però,  Bergson è ricollocato dall’interno della tradizione filosofica come un capitolo, tra i più alti, dell’indagine filosofica sulla natura: un capitolo che continua l’opera di quei filosofi e di quei teologi che, dai accademici a Cusano fino a Grice e GENTILE, hanno provato a pensare la natura come vita vivente e come divinità immanente.  Impegnato in una definizione e ri-abilitazione del filosofico contro il pericolo della sua dismissione (“Come fare: per una resistenza filosofica”, Feltrinelli, Milano), proprio grazie al confronto con Bergson e ai filosofi amici di quest’ultimo -- Grice, and Grice’s immediate sources: Gallie and Broad -- define la sua posizione filosofica inscrivendola in una costellazione ben precisa, ancorché minoritaria -- “Canone minore: verso una filosofia della natura” (Feltrinelli, Milano). Empirismo radicale, realismo speculativo e “pragmatica” “trascendentale” sono le definizioni che, più di altre, esprimono il senso e la direzione della sua ricerca, improntata com'è a criticare quella che chiama “la linea maggiore della filosofia” e che definisce dualistica, soggettivistica e antropo-centrica. In una parola: moderna.  Da Kant sino a Derrida, la filosofia è stata infatti caratterizzata dal primato accordato alla finitudine, alla contingenza, all'intenzionalità griceiana, alla negazione e al linguaggio e la semiotica. La filosofia di questa linea maggiore è, in fondo, un’antropo-logia cui oppone una filosofia del processo radicalmente monista e immanentista che contesta la tesi dell'eccezione umana e che non pone come apriori il principio della correlazione soggetto-mondo -- anche nella versione offertane dall'ermeneutica e dalla fenomenologia. Alla svolta trascendentale kantiana è opposta quella cosmologica whiteheadiana e, al dispositivo aristotelico del Lizio potenza/atto, dispositivo insufficiente a cogliere la natura naturans, la nozione di gentiliana di “actus purus”. La linea minore della filosofia è, infatti, anche e soprattutto una linea megarica che, alla potenza logico-linguistica e umana troppo umana dei contrari, sostituisce una potenza che non può non esercitarsi -- sia essa quella dell’uno di Plotino, della sostanza di Spinoza o della durata di Bergson. La filosofia della linea minore è una filosofia del processo -- categoria che oppone all’aristotelica Kinesis del Lizio -- che, pur confutando il nulla e il possibile come pseudo-problemi, non sacrifica il carattere creativo e dinamico del reale. Il problema filosofico del rapporto uno-molti da sempre al centro della riflessione cioè risolto nei termini di una co-generazione reciproca fra i differenti per natura, in cui questa differenza non di grado tra il principio e il principiato funziona come causa dell’immediato essere uno dei molti ed esser molti dell’uno, ossia come la causa di quella unità cangiante di tutte le cose che  chiama immanenza assoluta.  Altri saggi: “Luogo comune: verso un'etica della scrittura” (Bocconi); “La scrittura della verità: per una genealogia della teoria” (Jaca, Milano);  – modello conversativo. Grice: “As I say, I like ‘conversativo;’ perhaps I should adopt it! ‘conversative,’ rather than the pompous ‘conversational’! -- Liberopensiero. Lessico filosofico della contemporaneità (Fandango, Roma); Brecht. Introduzione alla filosofia (et al., Correggio ) Zombie outbreak: la filosofia e i morti-viventi (Textus, L'Aquila ); Credere nel reale (Feltrinelli, Milano); Dispositivi (Orthotes, Napoli) -- realismo speculativo, Sini, Gentile. Ronchi. Keywords: filosofia della comunicazione, immanenza, in defense of the minor league, natura naturans, Gentile, atto puro, implicatura conversativa. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ronchi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rosandro: la ragione conversazionale degl’amici filosofi – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher who becomes an acquaintance of Elio Aristide.

 

Grice e Rosatti: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano Marcello Vitali Rossati.

 

Grice e Rosselli: la filosofia italiana nel ventennio fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Important Italian philosopher. There is a R. Circle in Rome. Teorico del socialismo liberale, un socialismo riformista non marxista direttamente ispirato dal laburismo inglese e dalla tradizione storico-politica del radicalismo liberale e libertario. Fonda a Firenze il foglio clandestino “Non mollare e insieme a Nenni, la rivista milanese “Il quarto stato”. Fonda il movimento anti-fascista “giustizia e libertà”, che combatté per la repubblica nella guerra civile spagnola, all'interno della colonna italiana R., costituita assieme agl’anarchici. Ucciso in Francia insieme con il fratello R. da assassini legati al regime fascista. Nato da una famiglia politicamente attiva, avendo partecipato alle vicende del Risorgimento italiano: Pellegrino R., tra l'altro zio della futura moglie di Nathan, sindaco di Roma, è un seguace e stretto collaboratore di MAZZINI (si veda) ed un Pincherle è nominato ministro nella Repubblica di S. Marco, instauratasi nel Triveneto a seguito d'una massiccia insurrezione anti-asburgica guidata da Manin e Tommaseo.  I R. abitato per un considerevole periodo a Vienna. Si trasferirono a Roma. Qui, dopo la propria nascita, venne alla luce il fratello R.  La madre, separata, si trasferì con i suoi figli a Firenze, dove frequentarono la scuola. R. mostra in quel periodo poco interesse per gli studi e la madre lo ritira dal ginnasio, facendogli frequentare la scuola tecnica. L'entrata in guerra dell'Italia è accolta con entusiasmo dai R., decisamente interventisti. Il fratello maggiore è arruolato come ufficiale di fanteria e muore in combattimento. R. collabora al foglio di propaganda «Noi», fondato dal fratello, anche se l'editoriale Il nostro programma, è redatto con buone probabilità da lui. Il manifesto, che l'ingenuità di due ragazzi indirizza verso una fiduciosa speranza in un mondo migliore, propone sin da allora alcuni tratti fondamentali della sua personalità, ossia un amore incondizionato per l'umanità e la spinta all'azione nel solco dello spirito mazziniano, che lo inserisce nel filone dell'interventismo democratico. Per «Noi», licenza saggi, uno sulla rivoluzione russa, altro sull'entrata in guerra degli Stati Uniti. “Libera Russia” esalta il risveglio del paese di Gorkij, Tolstoj e Dostoevskij, supremi interpreti di un rinnovamento in atto già dal secolo precedente, per cui la rivoluzione non e che il punto culminante di una lunga preparazione all'avvento di una società più giusta. Vi è tutta una massa che sale lentamente, inesorabilmente. La marcia si puo ritardare ma non impedire. Dei recentissimi eventi, inoltre, viene esaltata la componente pacifica, la loro attuazione relativamente non violenta.  Il saggio “Wilson” mostra tutta la fiducia nutrita per l'uomo che define il conflitto come “una guerra per porre fine alle guerre”, uno slogan che rappresenta bene le sue speranze di e di tutta la famiglia R..  È chiamato alle armi. Frequenta a Caserta il corso allievi ufficiali e venne assegnato a un battaglione di alpini in Valtellina. La guerra finisce senza che egli avesse dovuto sottomettersi al battesimo del fuoco. Il contatto con militari e molto importante per lui. Apprezza la massa furon posti in grado di comprendere tante cose che sarebbero loro certamente sfuggite nel loro isolamento di classe o di professione. Diplomatosi all'istituto tecnico, si iscrive a Firenze al corso di scienze sociali, laureandosi a pieni voti con una tesi, Sindacalismo italiano,” e si prepara a sostenere anche gl’esami di maturità classica per ottenere il diritto di frequentare altri corsi universitari. Tramite il fratello, conosce Salvemini, professore a Firenze, che e da allora un costante punto di riferimento per entrambi i fratelli. Gli fa rivedere il suo saggio sul sindacalismo rivoluzionario, che giudica non un saggio critico, equilibrato, sostanzioso, ma in essa e incapsulata un'idea fondamentale: la ricerca di un socialismo che fa sua la dottrina liberale e non la ripudiasse. S’avvicina al partito socialista, simpatizzando, in contrapposizione all'allora maggioritaria corrente massimalista di Serrati, per quella riformista di Turati, che egli ha poi modo di conoscere a Livorno durante lo svolgimento del congresso del partito, che sance la definitiva scissione dell'ala di sinistra interna filo-bolscevica che prende il nome di partito comunista, e scrive svariati saggi per “Critica Sociale”. MUSSOLINI sale al potere. I riformisti di TURATI sono espulsi dal partito socialista. Si trasfere a Torino, dove frequenta il gruppo della “rivoluzione liberale», in quel momento fortemente impegnata in senso anti-fascista, e con la quale incomincia a collaborare. Conosce Matteotti, del partito socialista unitario, nel quale erano confluiti GOBETTI (si veda) e la componente riformista espulsa dal partito socialista, come Rossi. A Firenze, il gruppo dei socialisti liberali che si raccoglie intorno alla figura carismatica di Salvemini inaugura un circolo di cultura. Oltre ai R. vi sono Calamandrei, Finzi, Frontali, Jahier, Limentani, Niccoli e Rossi. Gli ex-combattenti del circolo adereno all'associazione anti-fascista “Italia libera”. Si laurea a Siena, con “Prime linee di una teoria economica dei sindacati operai” e parte per Londra, stimolato dal desiderio di conoscere la capitale del laburismo, di seguire i seminari dei fabiani e di assistere al congresso delle unioni operaie. Vi è anche Salvemini, che tene un seminario sulla storia della politica estera italiana al King's. Tornato in Italia grazie anche ai buoni uffici di Salvemini, si impiega come assistente volontario a Milano. Prosegue la sua collaborazione a “Critica Sociale” di Turati. Vi pubblica un articolo, invitando il partito socialista a rompere con il marxismo, che giudicava espressione di cieco e tortuoso dogmatismo, per mettersi piuttosto sulla linea di un sano empirismo all'inglese. Collabora con la rivista del partito socialista unitario, «Libertà», scrivendo proprio un saggio sul movimento laburista inglese. Dopo il delitto Matteotti s'iscrive al partito socialista unitario. Spera invano che in Italia si costituisse una seria opposizione anti-fascista moderata in grado di offrire un'alternativa politica alla borghesia che guarda con simpatia al fascismo. Una di queste avrebbe potuto essere l'unione democratica nazionale d’Amendola, alla quale adere il fratello. D’Inghilterra invia al giornale del partito socialista unitario la «Giustizia», le corrispondenze sull'evolversi della situazione politica inglese, successiva alla vittoria elettorale dei conservatori e alla rottura dell'alleanza tra laburisti e liberali. E pessimista sulle condizioni politiche dell'Italia. La secessione aventiniana non produce effetti, con i suoi sterili tentativi di accordo con il re, con i generali e i fascisti dissidenti. Del resto, i fascisti stano re-agendo. Lo dimostrano anche devastando il circolo di cultura, che, come non basta, venne chiuso dal prefetto con una singolare motivazione. La sua attività provoca il giusto risentimento del partito dominante. Lasciato l'incarico a Milano, insegna a Genova. Scrive a Salvemini. Forse non ha apparentemente alcuna positiva efficacia, ma io sento che abbiamo da assolvere una grande funzione, dando esempi di carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi. Appare così con la collaborazione di Rossi, Salvemini, Calamandrei, Traquandi, Vannucci e il fratello, che ne ha proposto il nome, il foglio clandestino “Non mollare”. Alcuni redattori della rivista sono Traquandi, Ramorino, Rossi, Emery, e i due R. La denuncia di un tipografo provoca la repressione e la dispersione d’alcuni tra i redattori del foglio. Rossi riusce a fuggire a Parigi, Vannucci in Brasile, Salvemini è arrestato a Roma è denunciato per vilipendio del governo fascista. In attesa del processo, messo in libertà provvisoria, a causa delle minacce dei fascisti, passa la notte a Firenze, in casa dei R., che non sono ancora fra i sospettati. Gli squadristi però, venuti a conoscenza del fatto, devastano l'abitazione il giorno dopo. Scrive R. ad Ansaldo. Io sono di ottimo umore e l'altra sera ho financo bevuto alla distruzione compiuta! Se i signori fascisti non hanno altri moccoli, possono andare a dormire. Aspetteranno a lungo la mia rinuncia alla lotta. Ormai preso di mira dai fascisti, è aggredito a Genova mentre si reca all'università e poi disturbato durante la sua lezione, con la richiesta del suo allontanamento. Si attiva infine lo stesso ministro dell'economia, Belluzzo, che chiede il suo licenziamento. A questo punto, prefere dimettersi.  Pochi giorni dopo, a Firenze, sposò con rito civile una laburista venuta a Firenze a insegnare nel British Institute, conosciuta da R. al circolo della cultur. Lapide commemorativa: «In via Ancona vive il martire anti-fascista e qui ha sede la redazione del ‘Quarto stato,’ rivista socialista a difesa della libertà e della democrazia. R. vive a Milano, dove fonda con Nenni la rivista «Il quarto stato’. La rivista ha vita breve, venendo chiusa con l'entrata in vigore della legge sui provvedimenti per la difesa dello stato fascista italiano. Scopo della pubblicazione è il tentativo di rappresentare un punto d'incontro di tutte le forze socialiste e di sviluppare temi di politica culturale al cui centro e il perfezionamento degl’uomini e l'elevamento della vita dei cittadini.  Con Treves e Saragat costitue un trium-virato che, costitue clandestinamente il partito socialista dei lavoratori, che prende il posto del partito socialista unitario, sciolto d'imperio dal regime fascista a causa del FALLITO ATTENTATO A MUSSOLINI da parte del suo iscritto ZANIBONI. Bova, Turati, R., Pertini e Parri a Calvi in Corsica dopo la fuga in motoscafo da Savona.  Oganizza con Oxilia, Pertini e Parri l'es-patrio di Turati a Calvi in Corsica, con un moto-scafo partito da Savona. Mentre Turati, Pertini e Oxilia proseguirono per Nizza, Parri e Rosselli, ritornati con il moto-scafo a Marina di Carrara, SONO ARRESTATI, nonostante tentassero di sostenere d’essere reduci d’una gita di piacere. È accusato anche di aver favorito la fuga d’Ansaldo, di Silvestri, di Treves e di Saragat.  Venne detenuto nelle carceri di Como, poi inviato al confino di Lipari in attesa del processo. Quando e ricondotto da Lipari a Savona per essere processato, nell'isola siciliana giunge il fratello, condannato a V anni di confino.  Al processo si difende attaccando il regime fascista. Il responsabile primo e unico, che la coscienza degl’uomini liberi incrimina è il fascismo che con LA LEGGE DEL BASTONE, strumento della sua potenza e della sua nemesi, inchioda in servitù milioni di cittadini, gettandoli nella tragica alternativa della supina acquiescenza o della fame o dell'esilio. La sentenza, rispetto alle previsioni, e mite: X mesi di reclusione e, avendone già scontati VIII, avrebbe potuto essere presto libero. Ma una nuova legge speciale permisero alla polizia di infliggergli *altri* III anni di confino da scontare a Lipari. La vita al confino trascorre con le letture filosofiche di Croce, Mondolfo, l’epistolario di Marx ed Engels, e Kant. Intanto, si prepara la fuga, che venne organizzata dall'amico di Salvemini Tarchiani. Evase da Lipari con Nitti e Lussu, con un moto-scafo guidato dall'amico Oxilia diretto in Tunisia, da cui poi i fuggiaschi raggiunsero la Francia.  Nitti narra  l'avventurosa evasione in “Le nostre prigioni -- e la nostra evasione”, mentre R. racconta le vicende del confino e dell'evasione in “Fuga in IV tempi”. A Parigi, con Lussu, Nitti, e un gruppo di fuoriusciti organizzati da Salvemini, e fra i fondatori del movimento anti-fascista "Giustizia e libertà". “Giustizia e Liberta” pubblica diversi numeri della rivista e dei quaderni omonimi ed e  attiva nell'organizzazione di diverse azioni dimostrative, tra cui il volo sopra Milano di Bassanesi. Critica appassionatamente il marxismo ortodosso, colonna portante della stragrande maggioranza dei vari schieramenti politici socialisti. Il socialismo liberale propugnato da R. si caratterizza quale una creativa sintesi della tradizione del marxismo revisionista, democratico e riformista -- quello, tra gli altri, di Bernstein, Sombart, Turati e Treves -- ed il socialismo non marxista, libertario e de-centralista -- come quello di Merlino, Salvemini, Cole, Tawney e Jászi.  Attacca dirompente contro lo stalinismo della terza internazionale che, con la formula del “social-fascismo” accomuna  social-democrazia, liberalismo borghese e fascismo. Non stupisce perciò che uno fra i più importanti stalinisti, Togliatti,  define il socialismo liberale un magro libello anti-socialista e R. un ideologo REAZIONARIO che nessuna cosa lega alla classe operaia. “Giustizia e libertà” adere  alla concentrazione anti-fascista, unione di tutte le forze anti-fasciste non comuniste – REPUBBLICANI, socialisti, CGL -- che intende promuovere e coordinare ogni possibile azione di lotta al fascismo. Pubblica i "Quaderni di giustizia e libertà".  Dopo l'avvento del nazismo in Germania, “Giustizia e liberta” sostenne la necessità di una rivoluzione preventiva per rovesciare i regimi fascista e nazista prima che questi portassero a una nuova tragica guerra, che a “Giustizia e Liberta” sembra l'inevitabile destino dei due regimi.  Bandiera della colonna italiana, nota anche come centuria giustizia e libertà, che sostenne i repubblicani nella guerra civile spagnola. Scoppie in Spagna la guerra civile tra i rivoltosi dell'esercito filo-monarchico, che effettuarono un colpo di stato, e il LEGITTIMO GOVERNO REPUBBLICANO del fronte popolare di ispirazione marxista. È subito attivo nel sostegno alle forze repubblicane, criticando l'immobilismo di Francia e Inghilterra. I fascisti aiutano FRANCO con uomini e armi agl’insorti. Combatte la sua prima battaglia. Cerca poi di costituire un vero e proprio battaglione -- intitolato a Matteotti.  La prima formazione italiana, che prende poi, dopo l'uccisione dei due fratelli, il nome di colonna italiana R., annovera tra i 50 e i 150 uomini, reclutati fra gl’esuli italiani in Francia dal movimento “Giustizia e libertà” e dal comitato anarchico. Tra questi c'erano anche gl’anarchici Marzocchi e Berneri. Marzocchi scrive sulla comune esperienza anti-fascista di anarchici e di militanti di “Giustizia e Libertà”, "R. e gl’anarchici".  In un discorso, pronuncia la frase che poi diverrà il motto degli anti-fascisti italiani: "Oggi in Francia, domani in Italia". È con questa speranza segreta che siamo accorsi in Ispagna. Oggi qui, domani in Italia. Fratelli, compagni italiani, ascoltate. È un volontario italiano che vi parla dalla radio. Non prestate fede alle notizie bugiarde della stampa fascista, che dipinge i rivoluzionari come orde di pazzi sanguinari alla vigilia della sconfitta. A contrasti con gl’anarchici si dimette da comandante della colonna e fonda il battaglione Matteotti. Soggiorna a Bagnoles-de-l'Orne per delle cure termali, dove è raggiunto dal fratello. Sono uccisi da una squadra di miliziani della Cagoule, formazione eversiva di destra francese, su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di Ciano. Con un pretesto sono fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di pistola. R. muore sul colpo; il suo fratello, colpito per primo, venne finito con un'arma da taglio. I corpi vennero trovati due giorni dopo. I colpevoli, dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti a essere prosciolti. I R. sono sepolti nel cimitero monumentale parigino del Père Lachaise. I familiari ne traslarono le salme in Italia, a Trespiano. Salvemini tenne il discorso commemorativo alla presenza del presidente della Repubblica. La tomba riporta il simbolo della spada di fiamma, emblema di “Giustizia e Liberta”, e l'epitaffio scritto da Calamandrei. Giustizia e liberta. Per questo morirono per questo vivono. L'unico saggio pubblicato da R. mentre è in vita è "Socialismo liberale", scritto durante il confino a Lipari, in una situazione di semi-prigionia. “Socialismo liberale” si pone in una posizione eretica rispetto ai partiti della sinistra italiana del suo tempo -- per i quali “Il capitale” di Marx, variamente interpretato, è ancora considerato come la bibbia. Indubbiamente è presente l'influsso del laburismo inglese, da lui ben conosciuto. In seguito ai successi elettorali del partito laburista, R. è infatti convinto che l'insieme delle regole della democrazia liberale sono essenziali non solo per raggiungere il socialismo, ma anche per la sua concreta realizzazione -- mentre nella tattica leninista queste regole, una volta preso il potere, debbono essere accantonate. Pertanto, la sintesi del pensiero rosselliano è: "il liberalismo come metodo o mezzo, il socialismo come fine". Pisacane, L'idea di rivoluzione propria della dottrina marxista è fondata sulla concezione della dittatura del proletariato -- che, in realtà, già ai tempi di R. si sta traducendo, in unione sovietica, nella dittatura del vertice di un solo partito. Essa viene respinta da R., a favore di una rivoluzione che, come si nota nel programma di “Giustizia e liberta”, è un sistema coerente di riforme strutturali mirate alla costruzione di un sistema socialista che non rinnega, ma anzi esalta, la libertà individuale e associativa. Alla luce dell'esperienza spagnola -- difesa dell'organizzazione sociale di Barcellona compiuta dagli anarchici durante la guerra civile -- e dell'avanzata del nazismo, R. radicalizza la sua posizione libertaria. Influenzato dalle idee di Mazzini e di Pisacane, R. propugna il socialismo liberale: il fine è il socialismo, il metodo o mezzo il liberalismo, un metodo o mezzo che garantisce la democrazia e l'autogoverno dei cittadini. Il liberalismo deve svolgere una funzione democratica, il "metodo o mezzo liberale" è il complesso di regole del gioco che tutte le parti in lotta si impegnano a rispettare, regole dirette ad assicurare la pacifica convivenza dei cittadini, delle classi, degli stati, a contenere le lotte -- peraltro desiderabili se limitate. La violenza è giustificabile come risposta ad altra violenza -- per questo è giusta la lotta contro il franchismo e sarebbe stata auspicabile in Italia una rivoluzione violenta in risposta al fascismo. Il socialismo è una logica conclusione del liberalismo. Socialismo significa libertà per tutti. R. ha fiducia che la classe del futuro è la classe proletaria, la borghesia deve fare da guida al proletariato. Il fine è la libertà per tutte le classi.  Archivio R. Bio. Tranfaglia, Dall'interventismo a “Giustizia e Libertà” (Bari, Laterza). Il circolo di cultura a Firenze, chiuso da Mussolini, e  rifondato a liberazione di Firenze appena avvenuta, per iniziativa del Partito d'Azione e dei soci superstiti e intitolato ai R.. Assunse così il nome di circolo di cultura politica R. La sua prima manifestazione è presieduta da Calamandrei. Con decreto del presidente della repubblica è stata costituita ed eretta in ente morale la Fondazione Circolo R. per sostenerne l'attività.  Martino: Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Turati nelle carte della R. Questura di Savona in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, Savona, e Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura, Gruppo editoriale L'espresso, Roma. Commissione di Milano, ordinanza contro lui (“Intensa attività antifascista; tra gli ideatori del giornale clandestino “Non mollare” uscito a Firenze. Favoreggiamento nell'espatrio di Turati e Pertini”), Pont, Carolini, L'Italia al confine, Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali, Milano, ANPPIA, La Pietra,  Cfr. Commissione di Firenze, ordinanza contro N. R.  (“Attività antifascista”), Pont, Carolini, L'Italia al confino  Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali,  Milano, ANPPIA, La Pietra, Cfr. La storia sotto inchiesta: Fuga da Lipari, un esilio per la liberta trasmesso da Rai Storia. Il discorso di R. su Roma civica.net  in.  Fiori, Casa R., Einaudi); Franzinelli, “Il delitto R.: anatomia di un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Altre saggi: “Oggi in Spagna, domani in Italia” (Einaudi, Torino); “Scritti politici e auto-biografici (Polis, Napoli); Ciuffoletti e Caciulli (Lacaita, Manduria); Lettere Salvemini, Tranfaglia, «Annali della Fondazione Einaudi, (Torino); “Socialismo liberale” (Einaudi); Il Quarto Stato» di Nenni e Rosselli, Zucàro, Sugar Co, Milano, Epistolario familiar (SugarCo, Milano); Socialismo liberale, J. Rosselli (Einaudi, Torino); Socialismo liberale, J. Rosselli, introduzione e commento di Bobbio, «Attualità del socialismo liberale» e «Tradizione ed eredità del liberal-socialismo», Einaudi Tascabili. Saggi, Scritti dell'esilio. «Giustizia e libertà» e la concentrazione anti-fascista Costanzo Casucci, Collana Opere scelte” (Einaudi, Torino); “Scritti politici, Ciuffoletti e Bagnoli, Guida, Napoli, -- una grossa anteprima del libri. Scritti dell'esilio. Lo scioglimento della concentrazione anti-fascista, Casucci (Einaudi, Torino); Liberalismo socialista e socialismo liberale, Terraciano (Galzerano, Casalvelino Scalo), Giustizia e libertà, Limiti e Napoli, prefazione di Larizza, Roma, con la tesi sul sindacalismo (Firenze). Scritti scelti, Furiozzi, “Quaderni del Circolo R.” (Alinea Editrice, Firenze); Salvemini, “Scritti Vari”, Agosti e Garrone, Feltrinelli, Milano, Opere scelte, Cultura e società nella formazione, buona anteprima del pensiero di Salvemini con i rapporti e la grangia politica correlata Gremmo "Alla Cagoule" Silenzi e segreti d'un oscuro delitto politico. Storia Ribelle, Biella. Garosci, "Vita", U, Roma, Giustizia e Libertà, Levi, "Ricordi” La Nuova Italia, Firenze («Quaderni del Ponte»). Merli, "Il dibattito socialista sotto il fascismo. Lettere di Morandi, Rivista storica del socialismo», ricompreso in Id., "Fronte anti-fascista e politica di classe. Socialisti e comunisti in Italia,  Donato, Bari, Movimento operaio; Tranfaglia, "Dall'interventismo all'antifascismo", «Dialoghi del XX», Cfr. il  informazioni su volume "R. e l'Aventino: l'eredità di Matteotti", «Il movimento di liberazione in Italia», Cfr. stralcio di "L’Aventino. L'opposizione diventava per la prima volta opposizione, minoranza; come minoranza, avrebbe potuto darsi una psicologia virile, d'attacco. Ma aveva troppi ex nelle sue file, era troppo appesantita da uomini che avevano gustato le gioie del potere e della popolarità.»  «Fu questo il miracolismo dell'Aventino. Credere di poter vincere con le armi legali l'avversario che ha già vinto sul terreno della forza. Pregustare le gioie del trionfo mentre si riceve la botta più dura. Evitare tutti i problemi. Gobetti dice. L’Aventino ha un mito, il mito della cautela" -- sperando che la borghesia dimentichi Quanto alle masse popolari, che si mostravano nei primi giorni in stato di effervescenza, guai a chi avesse tentato metterle in movimento! Solo i comunisti e le minoranze giovani chiesero lo sciopero generale. Ma le opposizioni non vollero, per non spaventare la borghesia e il sovrano. R. dall'interventismo a «Giustizia e Libertà»" (Laterza, Bari, Biblioteca di cultura moderna); in appendice: scritti di R. e Lettera di R. a Nenni; "Dal processo di Savona alla fondazione di Gustizia e Liberta, Le fonti di «Socialismo liberale»", «Il movimento di liberazione in Italia», Lolli, "Alcuni appunti per una lettura del «Socialismo liberale»  di R.", «Il pensiero politico», Fedele, "Lo «Schema di programma» di «Giustizia e Libertà», Belfagor, Bagnoli, "L'esperienza liberale di R.,, Italia Contemporanea, L'antifascismo rivoluzionario dei «Quaderni di Giustizia e Libertà»", «Ricerche Storiche», Santi Fedele, "Storia della concentrazione anti-fascista prefazione di Tranfaglia (Feltrinelli, Milano); Garbari, "I «vinti» della Resistenza. Nel quarantesimo del sacrificio di R. e R.", «Studi Trentini di Scienze Storiche», a"«Quarto Stato» di Nenni e R.", Tavola rotonda fra Bauer, Grimaldi, Spadolini, Zucàro, «Critica Sociale», Valiani, "Il pensiero e l'azione”, Nuova Antologia, Tranfaglia, "L'anti-fascismo", «Mondo Operaio», Vivarelli, "Salvemini", «Il pensiero politico», Poi compreso Spadolini, "R. nella lotta per la libertà", con lettere tra Reale e R., «Nuova Antologia», Colombo, "R. e il «Quarto Stato»", «Nord e Sud», "Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia d'Italia", Atti del convegno internazionale organizzato a Firenze dall'Istituto storico della Resistenza in Toscana, dalla Giunta regionale toscana, dal Comune di Firenze, dalla Provincia di Firenze (Nuova Italia, Firenze); Bauer, "R. e la nascita di Giustizia e Liberta in Italia". Petersen, “Giustizia e Libertà in Germania”; Guillen, "La risonanza in Francia dell'azione di Giustizia e Liberta e dell'assassinio dei R.”; Rosengarten, "R. e Trentin, teorici della rivoluzione italiana”; Salvadori, "Giellisti e loro amici degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale". Fedele, "Giellisti e socialisti dalla fondazione di GL alla politica dei fronti popolari”; Zunino, "Giustizia e Libertà e i cattolici”;  Garosci, "Le diverse fasi dell'intervento di Giustizia e Libertà”; Marzocchi, “Gli’anarchici"; citazione sottostante da un articolo di Finetti. Infatti considera una barbarie le stragi di anarchici in Catalogna, tra cui l'uccisione di  Berneri, l'anarchico che lo affiancava nella guida della prima colonna italiana formata da MMM anti-fascisti, i primi accorsi -- e si ricorda, nel prosieguo, anche la ferma presa di posizione delle brigate partigiane di Giustizia e Libertà quando Canzi e rimosso da comandante unico della XIII zona operante nel piacentino e grazie a questa presa di posizione e reintegrato dopo un breve arresto. Le brigate partigiane di Giustizia e Libertà sono  in gran parte influenzate dal pensiero di R.. Tommasini, "Testimonianza --  L'eredità di Giustizia e Libertà". Piane, "Rapporti tra socialismo liberale e liberalsocialismo". Codignola, “Giustizia e Liberta e Partito d'azione". Tranfaglia, "R.", in "Il movimento operaio italiano; “Dizionario biografico", Andreucci e Detti, Editori, Roma, Colombo, "R. e il socialismo liberale", «Il Politico», Bagnoli, "Di un dissidio in «Giustizia e Libertà». Lettere di Levi, Giua, Chiaromonte, Garosci  «Mezzosecolo», Centro studi Gobetti, Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, Annali Cirillo, "Il socialismo", Fasano, Cosenza); Lussu, "Lettere  e altri scritti di «Giustizia e Libertà»", Brigaglia, Libreria Dessì, Sassari. informazioni su Storia della Sardegna di Brigaglia, son presenti correlazioni fra i succitati personaggi. "Le componenti mazziniana e cattaneanea in Salvemini e nei R.. Belloni",   Convegno, Domus Mazziniana, Pisa. Arti Grafiche Pacini & Mariotti, Pisa,  Comprende: Colombo, "Il «Quarto Stato»" Varni, "Derivazioni mazziniane nella concezione sindacalista di R.", Ceva, "Aspetti politici dell'azione di R. in Spagna",  Tramarollo, "R. e il regime",  Bagnoli, "Il revisionismo di R.", in "Guida alla storia del partito socialista. La ripresa del pensiero socialista tra eresia e tradizione", Talluri, «Quaderni del Circolo R.», Galasso, "La democrazia da CATTANEO (si veda) a R.", (Monnier, Firenze); «Quaderni di storia», R. , Una tragedia italiana" (Bompiani, Milano); Kostner, "R. e il suo socialismo liberale", Lalli, Poggibonsi, Linee politiche; Bagnoli, "Tra pensiero politico e azione", Passigli, Firenze, Colombo, "R. e il socialismo liberale", in "Padri della patria. Protagonisti e testimoni di un'altra Italia", Angeli, Milano, («Ricerche storiche» ). Invernici, "L'alternativa di «Giustizia e Libertà». Economia e politica nei progetti del gruppo di R.", Angeli, Milano («Studi e ricerche storiche»). Valiani, "Da Mazzini alla lotta di liberazione", «Nuova Antologia», Scacchi, Colombo, presentazione di Spadolini, Casagrande, Lugano,  («Quaderni europei»). Vivarelli, "Le ragioni di un comune impegno. Ricordando Salvemini, R. e R., i, Rossi", «Rivista Storica Italiana», Spadolini, "R. e R.: le radici mazziniane del loro pensiero", Passigli, Firenze («Letture R.»). Malandrino, "Socialismo e libertà. Autonomie, federalismo, Europa da R. a Silone" (Angeli, Milano);  Bandini, "Il cono d'ombra: chi armò la mano degl’assassini dei fratelli R.?", SugarCo, Milano, Colombo, "I R., due guardiani per l'albero della libertà", "Voci e volti della democrazia. Cultura e impegno civile da Gobetti a Bauer", Monnier, Firenze («Quaderni di storia»), Nel nome dei R.. Quaderni del Circolo R.», Angeli, Milano,  Muzzi. "A più voci, Arfé, Casucci, Garosci, Malgeri, Rapone, “Scritti dell'esilio", Il Ponte, Il carteggio dei R. con Silvestri", Gabrielli, «Storia Contemporanea», Fedele, "E verrà un'altra Italia. Politica e cultura nei «Quaderni di Giustizia e Libertà»" (Angeli, Milano, Collana di Fondazione di studi storici Turati); Ciuffoletti, Il mito della rivoluzione russa e il comunismo", in "Socialismo e Comunismo,  Il Ponte, Bagnoli, "La lezione di R., La nuova storia. Politica e cultura alla ricerca del socialismo liberale, Festina Lente, FNicola Tranfaglia, "Sul socialismo liberale"; "Dilemmi del liberalsocialismo", Bovero, Mura, Sbarberi (Nuova Italia, Roma, «Studi Superiori,  Scienze Sociali»). Atti del convegno "Liberal-socialismo: OSSIMORO o sintesi?", organizzato ad Alghero Dipartimento di Economia istituzioni e società dell'Università Sassari. -- fu pubblicato il primo numero di “Libertà”, periodico legato all'ala socialista del movimento antifascista, il sottotitolo fu la frase di Marx ed Engels: Alla società borghese, con le sue classi e con i suoi antagonismi di classe, subentrerà un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti e, su invito Treves, Mondolfo e Levi, Rosselli scrive un articolo “Il partito del lavoro in Inghilterra” in cui R. riafferma una parte del suo pensiero del periodo. Il partito laburista in base agl’elementi che lo compongono può definirsi come una federazione di gruppi economici e di gruppi politici. In realtà è l'organizzazione politica federativa ed associativa del movimento operaio più vecchio e potente del mondo.  Suppa, "Note su R.: temi per due tradizioni", in I volume "dilemmi del liberal-socialismo, Puppo, Il Quarto Stato, L'attualità di R. e del socialismo liberale. Dialoghi tra: Bosetti, Foa, Maffettone, Marzo, Tranfaglia, Supplemento a di Croce Via, Edizioni Italiane, Napoli, Atti del dibattito svoltosi a Napoli  in occasione della presentazione italiana del volume "Liberal socialism", lavoro di Urbinati, tradotto da William McCuaig, Princeton, Princeton, Urbinati, "La democrazia come fede comune", «il Vieusseux»,  Bagnoli, Rosselli, "Gobetti e la rivoluzione democratica. Uomini e idee tra liberalismo e socialismo", La Nuova Italia, Firenze («Biblioteca di Storia»). Casucci, "La caratteristica ", con un vademecum, «Belfagor», Visciola, Limone, "I Rosselli. Eresia creativa, eredità originale", Napoli, Guida, Graglia, "Unità europea e federalismo. Da Giustizia e Libertà a Spinelli", il Mulino, Bologna) "Il dibattito europeista e federalista in «Giustizia e Libertà»", «Storia Contemporanea», Lisetto, Le élites. Una teoria tra l'elitismo democratico e la democrazia partecipativa", «Scienza & Politica», Pagine scelte di economia, Visciola e Ruggiero, Firenze, Le Monnier,  Mastellone, "Il partito politico nel socialismo liberale «Il pensiero politico», Furlozzi, "R. e Sorel", «Il pensiero politico», L'eredità democratica da Bignami a R.", Angeli, Milano, Mastellone, La rivoluzione liberale del socialismo»". Con scritti e documenti inediti. Olschki, Son riportati testi pubblicati da R. non inseriti nel  I delle «Opere scelte». R., “Dizionario delle idee", Bucchi, Riuniti, Martino, Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura, Roma, Gruppo editoriale L'espresso, Franzinelli, "Il delitto R.: anatomia di un omicidio politico" (Mondadori, Milano); Dilettoso, "La Parigi e La Francia di R.: sulle orme di un umanista in esilio", Biblion, Milano. Bagnoli. Il socialismo delle libertà. Polistampa, Milano, Bagnoli. Socialismo, giustizia e libertà. Biblion, Milano, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Iacchini, Socialismo liberale ma... vero!, Movimento Radical Socialista brigata Garibaldi. Archivio dei R.. I fratelli R., genesi di un delitto impunito. Berneri. Vite parallele d’Ortalli (da "Umanità Nova" Fondazione R., Centro di ricerca, Circolo R. Firenze,  "Pecora" Socialista e liberale. Bilancio critico di un grande italiano, su politica magazine. Spini, "Perché i R. parlano ancora a questa Italia", sul sito repubblica. Carlo Alberto Rosselli. Keywords: sindacalismo, sindacalismo revoluzionario, laburismo, partito laburista, I fabiani, Mill, Bonini, liberalismo, sindacato, sindicato nella storia italiana, sindacato in Roma antica, socialismo liberale – l’ossimoro di R.. Refs.: Luigi Speranza, “Rosselli e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Rosselli.

 

Grice e Rosselli: la filosofia italiana nel ventennio fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Diresse il mensile “Noi”. Discusse con SALVEMINI  la tesi di laurea su “MAZZINI (si veda) e il movimento operaio”. Pubblica saggi su riviste storiche italiane, tra’altri, “MAZZINI e Bakunin: XII anni di movimento operaio in Italia” (Torino, Einaudi), e  “PISCANE nel Risorgimento italiano” (Torino, Einaudi) -- raccolti in “Saggi sul Risorgimento italiano” (Torino, Einaudi). Inizia a far politica ed è col fratello R. (si veda) tra i fondatori del giornale "Noi". Col fratello e con Calamandrei, e col patrocinio di Salvemini, fonda un circolo di cultura -- chiuso dai fascisti. Fa parte dei fondatori del gruppo fiorentino di “Italia libera”, fra cui, oltr’al fratello, Bocci, Rochat, Vannucci, Traquandi. Adere alla fondazione dell'unione nazionale delle forze liberali e democratiche promossa d’Amendola, e partecipa alla fondazione del giornale anti-fascista clandestine, “Non Mollare”. Arrestato e condannato a V anni di confino a Ustica. Rilasciato, venne nuovamente arrestato e condannato a V anni di confino a Ustica e Ponza, dopo la fuga da Lipari del fratello. Ottenne, su intercessione di Volpe il passaporto, con una sollecitudine che ad alcuni amici, tra cui Calamandrei, parve sospetta e motivata dal fine di arrivare attraverso lui al rifugio del suo fratello. A Bagnoles-de-l'Orne è assassinato d’una squadra di miliziani della Cagoule, formazione eversiva di destra su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di Ciano. Con un pretesto vengono fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di pistola. R. muore sul colpo, R., colpito per primo, viene finito con un'arma da taglio. I corpi vengono trovati due giorni dopo. I colpevoli, dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti ad essere prosciolti.  Commissione di Firenze, ordinanza contro R.  (“Attività antifascista”). Pont, L'Italia al confine: l’ordinanze d’assegnazione al confino emesse dalle commissioni provinciali, Milano (ANPPIA/La Pietra),  Ustica celebra la libertà dei R., profilo di Volpe, profile nel sistema informatico dell'archivio di stato di Firenze. Fiori, Casa R., Einaudi, Franzinelli, Il delitto R.: anatomia d’un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Altri saggi: “ “Inghilterra e regno di Sardegna” (Torino, Einaudi); Ciuffoletti, “Un filosofo sotto il fascismo: lettere e scritti vari” (Firenze, Nuova Italia); Colombo, I colori della libertà fra storia, arte e politica” (Milano, Angeli);Belardelli (Catanzaro, Rubettino); Visciola, “La scuola di storia moderna e contemporanea. La prima fase della ricerca di storia diplomatica, in Politica, valori e idealità, Maestri dell'Italia civile, Rossi, Roma, Carocci, Visciola, “Soi "maestri". Il rinnovamento della storiografia italiana fra le due guerre, in i R.: eresia creativa eredità originale, Visciola e Limone, Guida, Napoli, Visciola, Uno filosofo salla ricerca della libertà in tempi difficili: appunti sparsi per una biografia complessiva ancora da scrivere, in I fratelli R.. L'antifascismo e l'esilio, Giacone e Vial, Roma, Carocci, Tramarollo, “Tra mazzinianesimo e socialismo”,  Belardelli, Un filosofo anti-fascista” (Passigli, Firenze); «Il filo rosso». Il carteggio di i R. con Silvestri, Gabrielli, Storia, Franzinelli, “Il delitto R.: anatomia d’un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Treccani Dizionario di storia, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sabatino, R.. Nello Rosselli. Rosselli. Keywords: risorgimento, Mazzini, operaismo, movimento operaio, risorgimento italiano, Piscane. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rosselli: la ragione conversazionale dell’apologeticus, o implicature cucullate -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gimiliano). Filosofo italiano. Far dobbiamo onorevole menzione di lui, letterato insigne del suo tempo e filosofo di grido, Cattedratico in Napoli ed in Salerno; il quale, a dir del Barrio, partitosi pel genio di visitare l'Africa, e ucciso dal proprio schiavo. Della famiglia di cui è stata la madre del celeberrimo Scorza, matematico distintissimo, istruttore, autore di merito, ed illustratore della scienza per metodi ed invenzioni, morto non ha guari in Napoli. Conchiudendo adunque, pare non dubbio essere stato Nifo calabrese di origine, ed avere avuto tra noi i primi rudimenti di letteratura, tali da avergli dato a vivere. Dal contesto di scrittori calabresi, contemporanei alcuni, e vivuti altri dopo breve tempo della morte di lui, a cui noto veniva per recente tradizione, chiaramente se ne rivela il vero. Discepolo del celebre NIFO (si veda), per la sua dottrina e prescelto a leggere filosofia per più anni a Salerno. Saggi: “Apologeticus adversus cucullatos philosophiae declamatio ad Leonem X Oratio habita Patavi in principio suarum disputationum; “De propositione de inesse secundum Aristotelis mentem libellu” --- LIZIO -- ; “Universalia Porphiriana”. Calabria, Le biografie degl’uomini illustri delle Calabrie, Accattatis, Di questo filosofo si occupano nei loro studi, tra gli altri, Zambelli e Franco. "Rosselli di Gimigliano. Dalle origini a noi" (O/esse) che ricostruisce la sua vita e le sue opera. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. L'Apologeticus adversos cucullatos è un'opera del filosofo Tiberio Rosselli (1490 Gimigliano - 1560 Africa), pubblicata nel 1519 a Parma grazie a Girolamo Sanvitale che accoglie il filosofo calabrese presso la sua corte di Fontanellato.  Apologeticus adversos cucullatos Autore Tiberio Rosselli 1ª ed. originale 1519 Genere Apologia Lingua originale latino La prefazione dell'Apologeticus che consiste in una storia delle vicende che portano alla sua composizione, è dedicata al vescovo di Lodi, Ottaviano Sforza, figlio naturale di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano. Alla fine dell'Apologeticus si legge una peroratio, che non è più rivolta allo Sforza, ma al Conte di Belforte, Gerolamo San Vitale di Parma, suo mecenate.   Dopo questa Peroratio, si legge la declamatio e infine sei brevi componimenti poetici in lode all'autore; chiude il foglio il seguente colofone: “Tiberii Russiliani Sexti Calabri Apologetici Finis ad laudem Individuae Trinitatis”.  L'esemplare parigino reca sul frontespizio, sotto i titoli, un breve “Ad librum Carmen”, composto da due distici elegiaci; mentre nell'ultimo foglio sotto il colofone presenta la seguente annotazione a mano: “Parmae MDXX”, e cioè il luogo e la data della stampa.   Che il libro sia stato stampato a Parma viene confermato da Girolamo Armellini, il quale, nel suo libro, intitolato Jesus vincit, scritto proprio contro l'Apologeticus, fornisce queste notizie:  «...dopo l'abiura sotto riportata, temendo tutti i luoghi sicuri, profugo delle varie scuole d'Italia, si portò a Parma...ivi di nascosto stampò l'opera sua velenosa; scoperto il suo inganno da me inquisitore, (come richiedeva il diritto) viene chiamato in giudizio, coperto dallo scudo della contumacia; viene condannato all'anatema, vengono requisiti i volumi stampati, vengono interdetti e bruciati. Dopo che in seguito venne scoperto fuggiasco a Pisa, e, cosa veramente impudente, nel mentre andava in cerca di una cattedra di filosofia, per mezzo della quale potesse infettare i giovani col veleno della sua perfidia, con la forza e l'aiuto dell'allora reverendissimo Cardinale Dè Medici ed ora Papa Clemente VII codannammo che fosse arrestato e che in tale posizione fosse rinchiuso nelle carceri di Firenze; da queste carceri tuttavia col favore di alcuni scappò libero prima che gli fosse fatto il processo.»  Tiberio scampa all'ira di Armellini, il quale non potendolo processare, compone contro di lui lo scritto già menzionato, il cui lungo titolo richiama tutti i capitoli dell'Apologeticus.Tiberio Russiliano-Sesto. Tiberio Rosselli. Rosselli. Keywords: apologeticus, adversus cucullatos philosophiae; de propositione de inesse, universalia porphiriana, Lizio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rossetti: la ragione conversazionale del fratello perduto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vasto). Filosofia italiana. Grice: “A philosopher can also discover an ‘antro di pipistrelle.”” Filosofo, illuminista poli-edrico, poeta estemporaneo, tragedio-grafo, archeologo e speleo-logo, da Martuscelli. Studia a Napoli e Roma. Si trasfere a Elba. Ceelbra la liberazione del gran ducato di Toscana con il canto estemporaneo“La superbia dei galli punita” (Firenze, Gio). Si sposta in Sardegna, sotto la protezione del vice-ré Carlo. A Sassari compose e rappresenta la tragedia “Morte di S. Gavino” (Oristano, Arborense). Si sposta in Provenza, a Nizza, dove scopre la piramide di Falicon, che gl’ispira un poema, “La grotta di Monte-Calvo” (Parma). In seguito, si trasfere a Torino, dove conosce Caluso, e si stabilisce a Parma. Inizia a dirigere “Il Taro”. Altri saggi: “Cantata in occasione d'essere l'augusto imperator de’francesi Napoleone I coronato re d'Italia” (Parma, Luigi); La note” (Parma, Paganino); “Alla tomba di Hoffsteder” (Parma, Luigi); “Ode saffica” (Parma, Giuseppe Paganino); “Le nozze d’Esculapio De Cinque” (Lanciano, Carabba); “Annibale in Capua (Napoli, Flautina); A. Lombardi, Storia della letteratura italiana” (Venezia);  Andreola, Biografia degl’uomini illustri del regno di Napoli’ Gervasi,  La famiglia Pietrocola di Vasto; Spadaccini, “R. e le sue battaglie per la libertà”; R. e quei versi ispirati dalla cacciata dei francesi, Catania, R. e la grotta del monte Calvo, Mugoni, “Il fratello perduto: R. e R.”, in Studi medievali e moderni. Nei panni dello speleo-logo ante litteram, si avventura in una cavità del monte Calvo, scoprendo nelle viscere della terra un antro, che ama definire fascinoso ed insieme orribile. Ne celebra la scoperta con la pubblicazione di “La grotta del monte Calvo”; dato alle stampe a Torino, per i tipi di Domenico Pane, Parma. A Pezzana sub-entra nella direzione. Si mostra più attento alle notizie scientifiche e contribue ad introdurre nel periodico notizie leggere, come favole e indovinelli che il più delle volte incensano il nome di Napoleone. Con la sua direzionei supplementi al periodico, da semplici elenchi riguardanti le vendite per espropriazioni forzate, si trasformamo in pagine che arricchiscono i contenuti culturali e di svago della testata. Marchesani, Storia di Vasto, Apruzzo Citeriore, Napoli, Torchi dell'Osservatore Medico, retro copertina di Spadaccini, “R. e la Grotta di Monte Calvo: tra mistero e leggenda” (Lanciano, Torcoliere); Martuscelli. Saggi: “Opere” (Parma, Paganino); “Ai liberatori dell'Italia: ode di Tavanti; Chiari nella Condotta, Anelli, Ricordi di storia vastese, Arte della stampa, Oliva, “Abum di famiglia: documenti, testimonianze, immagini” (Lanciano, Carabba); Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Domenico Rossetti. Rossetti. Keywords: il fratello perduto, la Dora, L’Emonia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossetti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rossi: la ragione conversazionale della volontà e della temperanza -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Appignano del Tronto). Filosofo italiano. Grice: “Rossi touches many Griciean points: universalia, strength of will, and etc. – he also commented, like I did, on Aristotle’s metaphysics.” Attivo filosofo fra Aureolo e Rimini, dalla parte di Occam e Cesena, e oppositore di Giovanni XXII, nelle dispute dei fraticelli, che portarono alla sua espulsione dall'ordine. Ha idee innovative e spesso influenti in teologia filosofica, filosofia naturale, metafisica e teoria politica.  Soprannominato come "doctor succinctus" e "doctor praefulgidus", come osservabile dalle iscrizioni su uno degli affreschi del convento di Bolzano, e studiato e commentato soprattutto per alcune tesi risalenti del suo commento alle sentenze, i Libri IV Sententiarum dichiarazioni autorevoli sui passi biblici che l'opera riune di LOMBARDO. Le sue vedute contribuiscono all'evoluzione della filosofia basso-medievale. Appignano del Tronto fa parte all'epoca della Marca di Anconada. Nacque da una famiglia con il nome di Rossi (Rubeus). Studia sotto Scoto. Insegna a Perugia. Sottoscrive la risoluzione con la quale viene dichiarata lecita la tesi secondo la quale Cristo e gl’apostoli non mai possedeno beni. Prende parte attiva alle lotte interne riguardanti la povertà che divide l'ordine. Insieme a Michele da CESENA, Occam e BONAGRAZIA di Bergamo, sostenne una regola di assoluta povertà per i successori di Cristo e per la chiesa. Si ribella a Giovanni XXII, sostenendo il suo avversario, l'imperatore Ludovico. I francescani che rifiutano la condanna della critica dei frati minori della bolla Cum inter nonnullos di Giovanni XXII sono accusati d’eresia. Questo avvicina l'ordine allo schieramento anti-papale rappresentato da Ludovico. Questi era divenuto ostile a Roma  dopo che Roma rifiuta la conferma e l'incoronazione come imperatore dopo l'elezione a re di Germania, preferendogli Federico I. Ludovico scomunicato, rispose con un Appello. Con esso Roma fra l'altro, viene accusato d’eresia, quindi delegittimato per la sua presa di posizione nella disputa sulla povertà. Lo scontro divenne acceso, la conciliazione di CESENA  al capitolo di Lione falle. Cesena venne convocato e trattenuto ad Avignone insieme a BONAGRAZIA da Bergamo ed Occam.  R. come lector nello studio generale dell'ordine, sottoscrive una protesta redatta da CESENA  contro l'operato di Giovanni XXII. Ludovico i giunge in Italia, prende la corona imperial. Dichiarato deposto Giovanni XXII. Nomina Pietro da Corbara, con il nome di Niccolò V.  Scomunicato da Giovanni XXII, R. decide di raggiungere, fuggendo, Ludovico a Pisa con i suoi con-fratelli prigionieri. Ancora una volta si ribella per protestare contro la sua scomunica. A Pisa i quattro pubblicano un documento, l'”Appellatio maior”, nel quale Giovanni XXII e dichiarato eretico per la sua posizione nella questione della povertà. Lui e i suoi compagni andano però perdendo le simpatie all'interno dell'ordine. Il tentativo di CESENA di impedire lo svolgimento del capitolo generale convocato a Parigi falle, mentre la riunione dell'ordine conferma la scomunica di CESENA ed elesse, quale nuovo ministro generale Guiral Ot, ovvero Geraldo di ODDONE, favorevole alla curia. Lui e i suoi compagni sono condannati ed e formalmente confermata la loro scomunica. R. ispira la protesta espressa nelle “Allegationes religiosorum virorum”, che dichiara invalida la deposizione di Cesena e l'elezione di Oddone, per l'esclusione di metà degl’aventi diritto alla partecipazione al capitolo. I quattro francescani, con Marsilio da Padova, entrano a far parte della curia di Ludovico. Con lui, raggiunsero Monaco di iera, ove si stabilirono nel convento. Perseguitato dalle autorità ecclesiastiche in Italia, fa una ritrattazione formale -- che dove servire da esempio per tutti i dissidenti successivi -- e si riconcilia con la chiesa e con l'ordine.  Nel Improbatio, si concentra sulla determinazione di quando e dove i diritti di proprietà hanno origine per sostenere la convinzione che Cristo vive in povertà assoluta. Distingue tra due tipi di proprietà: la proprietà prima della caduta di Adamo, e la proprietà dopo. La proprietà prima della caduta di Adamo, nota anche come la proprietà dello stato pre-lapsario, momento in cui tutte le creature del divisno si rallegrarono nella felicità, sono profondamente collegati tra loro, e condivisa nella creazione del divino. La proprietà dopo la caduta d’Adamo è stata causata dal primo peccato d’Adamo, rendendo la questione del diritto di proprietà distintamente umana. Giovanni XII nega che l'origine della proprietà è legato agl’esseri umani, sostenendo che e il peccato d’Adamo in sé ad esserne la causa. R. convene che, senza peccato non c’è il diritto di proprietà. Tuttavia, il peccato non porta immediatamente al concetto di diritto di proprietà. Sostenne che la legge umana è responsabile della formazione del concetto di diritto di proprietà, non la legge divina. Usa la storia di Caino e Abele, citando volontà corrotta di Caino per sostenere la sua convinzione. Fiorirono una serie di studi nel contesto della filosofia naturale in relazione alla dottrina del Lizio del movimento applicata al moto del proiettile. Per Aristotele un corpo inanimato si muove spontaneamente verso il loro luogo naturale. Un corpo in movimento deve alla presenza continua, e per contatto, di un motore che dirige il corpo verso un’altra direzione. Già Filopono mosso logiche obiezioni a questa dottrina.  Con la definizione di un “impeto”, la discussione prosegue, ripresa d’AQUINO.  Solo con R. si giunse a conclusione. La sua teoria sul moto del proiettile o moto para-bolico, indicato come virtus de-relicta (forza rimanente), è descritta nelle sezioni di suoi commenti sulle Sentenze che spiegano la consacrazione dell'Eucarestia, in una quaestio sull’efficacia dei sacramenti. Il moto di un corpo è causato da una forza lasciata dal corpo che agiva su di essa forza, quella forza residua impressa al proiettile durante il lancio. A differenza della teoria dell'inerzia che ha lo scopo di spiegare solo il fenomeno naturale, la sua teoria della virtu de-re-licta è una spiegazione che include i fenomeni naturali e sopra-naturali. Questa virtu derelicta spiega diversi tipi di moto perpetuo e finite ed è destinato a tener conto delle variazioni innaturali. Gli elementi chiave della de-re-licta virtu includono:  Un corpo viene messo in moto da un altro corpo, che lascia la forza rimanente in corpo in movimento. All'inizio di un dato movimento, la ‘de-re-licta’ virtu puo lavorare con o contro la naturale disposizione del corpo in movimento. Se funziona *contro* il corpo in movimento, la virtus derelicta si dissipa ed eventualmente lascia il corpo, cessando il moto. Se funziona *con* il corpo in movimento, la virtus derelicta rimane nel corpo, provocando il potenziale moto perpetuo. Ci sono stati diversi filosofi prima del suo tempo, come ad esempio Richard Rufus di Cornovaglia che sembrano disporre già di versioni della “virtus derelicta”. Quindi non è chiaro se questa teoria sia veramente originta autonomamente da lui. Tuttavia, filosofi come Buridano e Odonis utilizzano la teoria di R. per affinare i propri concetti di virtus derelicta, confermando che gioca un ruolo chiave nell'evoluzione della filosofia sulla fisica. Nel secondo libro dei Commentari sulle Sentenze, si focalizza su come la volontà potrebbe agire contro la ragione con conseguente colpevolezza morale. Se la volontà potrebbe o agire prima, o contro giudizio razionale. La volontà è la causa dell'azione. Dopo che l’agente elabora un giudizio, la sua volontà decide di agire sia in conformità con tale giudizio o *contro* di esso. La volontà e il termine medio tra giudizio e azione. Senza di volonta, il giudizio richiederebbe un'azione, negando il concetto di libero arbitrio e colpevolezza morale. Inoltre, la volontà dell’agente è sotto una legge che *obbliga* a compiere un atto buono. Senza questo impegno non ci sarebbe peccato, o colpevolezza morale. Per rispondere a come la volontà dell’agente puo andare contro tale obbligo, distingue tra l’atto apprensivo e l’atto gidicativio. L’atto apprensivo è necessario per far funzionare la volontà. L’atto apprensivo è frutto della cognizione intellettuali e del giudizio. L’atto giudicativo è formato dalla *conoscenza* più complessa in cui il ragionamento si applica giudiziosamente. La volontà non richiede un atto giudicativo da eseguire. Ciò spiega come gl’esseri umani sono in grado di peccare. La volontà non dipende da un giudizio *razionale*. Per evitare l'obiezione che il giudizio è necessario per il ragionamento e non può essere ignorato nel processo deliberativo, offre un'ulteriore distinzione tra *conoscenza* apprensiva e *conoscenza* giudicativa, e due tipi di giudizi riflettenti razionali. Queste distinzioni consentono un giudizio da selezionare su un'altra causa della forza che riceve da essere *selezionato* dalla volontà. Altri saggi: “Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir reprobus, una confutazione alla bolla papale di Giovanni XII. Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in librum Sententiarum. Affronta i principali temi: le relazioni delle persone divine all'interno della trinità e il rapporto tra il creatore e il mondo, la libertà di dio nel creare, la pre-scienza divina e la pre-destinazione alla salvezza. “Sententia et compilatio super libros Physicorum Aristotelis Quaestiones praeambulae et Prologus” -- Riflette sullo statuto scientifico della teologia e della metafisica. Distingue primi libri prima ad decimam Questes super metaphysicam. Repertorium biblicum Medii Aevi, IMatriti Visita triennale di O. Civelli, Picenum seraphicum, Ratisbona, Chronica de ducibus ariae, Leidinger, in Mon. Germ. Hist., M. Firenze, Compendium chronicarum fratrum minorum, in Arch. franc. hist., Emmen, in Lex. fA. Heysse, Descriptio codicis Bibliothecae Laurentianae Florentinae S. Crucis, Plut. A. Heysse, Duo documenta de polemica inter Gerardum Oddonem et Michaelem de Caesena, Perpiniani, Monachii,  in Arch. franc. hist., A. Pompei, Enciclopedia filosofica, Venezia, cfr. anche impeto, Possevino, Apparatus sacer, Venezia; A. Tabarroni, Paupertas Christi et apostolorum. L'ideale francescano in discussione Roma A. Teetaert, Deus et homo ad mentem I. Duns Scoti. Acta Congressus scotistici Vindobonae, Roma; C. Dolcini, “Crisi di poteri e politologia in crisi” (Bologna); “C. Dolcini, Il pensiero politico di Michele da Cesena,  Faenza, Roma, Schabel, Il determinismo, Picenum Seraphicum. C. Schabel, “La virtus derelicta e il contesto del suo sviluppo” in C. Schabel, “La dottrina sulla predestinazione di Rossi,” Picenum Seraphicum, F. Giambonini, Giovanni dalle Celle, L. Marsili, Lettere, Firenze, Repertorium Commentariorumin Sententias Petri Lombardi, F. Tinivella, Enciclopedia cattolica, Vaticano, Gonzaga, De origine seraphicae Religionis franciscanae, G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli nel Piceno, Ascoli, G. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, Brescia, G. Sbaraglia, Scrittori francescani piceni; G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci, Roma; I.A. Fabricius, Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis, Firenze; L. Wadding, Annales minorum, Quaracchi, L. Wadding, Scriptores Ordinis Minorum quibus accessit syllabus illorum qui ex eodem Ordine pro fide Christi fortiter occubuerunt, priores atramento, posteriores sanguin. christianam religionem asseruerunt, recensuit Fr. Lucas Waddingus ejusdem Instituti Theologus, ex Typographia Francisci Alberti Tani, Roma,  Ludger Meier, De schola franciscana Erfordiensi. N. Glassberger, Chronica, in Analecta franciscana, II, Ad Claras Aquas; Schneider, Mariani, “Francisci de Marchia sive de Esculo, Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in librum Sententiarum, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, Sententia et compilatio super libros Physicorum Aristotelis, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Due Sermoni, Archivum Franciscanum Historicum Nazareno Mariani, Francesco di Appignano OFM, Contestazione, Appignano del Tronto, Nazareno Mariani, Francisci de Esculo, OFM, Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir reprobus, ed. (= Spicilegium Bonaventurianum) Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia, “Quaestiones super Metaphysicam”; Spicilegium Bonaventurianum), Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi”; “Distinctiones primi libri a prima ad decimam”; Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N.  Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi; “Distinctiones primi libri a undecima ad vigesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata, N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi. Distinctiones primi libri a vigesima noa ad quadragesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata); N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi”; “Quaestiones praeambulae et Prologus, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata); N. Mariani, Franciscus de Esculo, “Improbatio”, Grottaferrata); Mariani, “Questioni sulla metafisica”, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Minorita, Chronica. Cividali, Il beato G. dalle Celle, in Mem. dell'Accad. dei Lincei,   Gauchat, Cardinal Bertrand de Turre, Ord. min. conc.   "Quaestiones in Metaphysicam", Serino. Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, R. Lambertini, “La proprietà di Adamo”; “Stato d'innocenza ed origine del dominium nel Commento alle Sentenze e nell'”Improbatio” di F. d'Ascoli, in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, Bennett, Offler, Guillelmi de Ockham Opera politica, Mancunii S. Baluze Mansi, Miscellanea novo ordine digesta, Lucae, Cipriani, Dizionario ecclesiastico (Torino); Collectanea franciscana, Nani, Duba, Carron, Etzkorn, “Francisci de Marchia, “Quaestiones in secundum librum Sententiarum”, Reportatio, Quaestiones,  Leuven; Eckermann, Hugolini de Urbe Veteri Commentarius in quattuor libros Sententiarum.  Francesco d'Ascoli, Francesco della Marchia, Francesco d'Appignano, Francisco de Esculo, Franciscus Pignano, Franciscus Rubeus, Francesco Rossi, Schneider, A proposito della teoria dell'mpetus nella filosofia della natura. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos; cum adnotationibus ad Syllabum matyrum eorundem ordinum, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma, Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Roma, Napoli, Biblioteca Nazionale. Explicit fratris Francisci de Marchia super primum Sententiarum secundum reportationem factam sub eo tempore, quo legit Sententias Parisius anno Domini; Commento ai primi sette libri della “Metaphysica” di Aristotele, N. Minorita, Cronaca, G. Pamiers, Quodlibet  “Acta, gesta et facta fuerunt praedicta coram religiosis et honestis viris, fratribus Ordinis Minorum”, Francisco de Esculo, in sacra theologia doctore et lectore tunc in conventu Fratrum Minorum de Avenione. Lambert, Povertà francescana;  La dottrina dell'assoluta povertà di Cristo e degli apostoli nell'Ordine francescano, Biblioteca Francescana, Cf. MS Firenze, Biblioteca Laurenziana, Santa Croce, pluteo, sinistra,  Appellatio maior, N. Minorita, Chronica. Cui appellationi et provocationi incontinenti adhaeserunt et eam approerunt religiosi viri frater Franciscus de Esculo, doctor in sacra pagina. F. d'Ascoli, Occam, Enrico di Talheim e Bonagrazia da Bergamo, Allegationes religiosorum virorum, Baluze-Mansi in Miscellanea, Lucca e dallo Eubel in Bullarium Franciscanum, Roma,  Lambertini, “Rossi e Occam: alcuni aspetti di un rapporto non facile, Convegno su Francesco d'Appignano; Jesi, Terra dei Fioretti;  Lambertini, F. d'Appignano ed Occam: alcuni aspetti di un rapporto non facile in AConvegno su F. d'Appignano; Jesi, Edizione Terra dei Fioretti;  G. Filipono, Commentari alle opere di Aristotele, “Sulla generazione e corruzione”; “Sull'anima”; “Analitici primi”; “Analitici secondi”; “Le Categorie, Fisica, Meteorologia  Fabio Zanin, Francis of Marchia, Virtus Derelicta.   --  "How is Strength of the Will Possible? (cfr. H. P. Grice, “I’ll show Davidson how continentia and temperantia are POSSIBLE!”). Dopo la grande edizione critica di Mariani, Grottaferrata, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Centro Studi Francesco d'Appignano. Francesco Rossi della Marca. Rossi. Keywords: continentia, temperanza, giudizio, giudicazione, volonta, volere, atto apprensivo, appresione, atto giudicativo, conoscenza apprensiva, conoscenza giudicativa, decisione, libero arbitrio, colpavolezza morale, agire l’atto buono, possibilita della colpavolezza morale, la legge, la volonta sotto la legge, giudizio razionale, agire razionale, ragionamento, conclusione, sillogismo pratico, elezione, la caduta d’Adamo, la teoria dell’elezione e la deliberazione, i peripatetici, virtus de-re-licta, teoria del moto, moto perpetuo, virtus contro il corpo, virtus con il corpo, volonta con il giudizio, volonta contro il giudizio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rossi: l’implicatura di Lucrezio – filosofia italiana -- Luigi Speranza (San Giorgio). Filosofo italiano. "Il più grande e puro metafisico" nelle parole di VICO (si veda). Vive a Montefusco. Studia a Napoli. Scrive diverse saggi tra cui il più importante rimane “Della mente sovrana del mondo”.  Altri aggi: Considerazioni di alcuni misteri divini, raccolti in tre dialoghi,  Dell'animo dell'uomo,  Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. IS PUTAZ10NE UNICA   DELL’ ANIMO   DELL UOMO   DEPUTAZIONE UNICA   Nella quale fi fciolgono principalmente  gli Argomenti di Tito Lucrezio  Caro contro all’Immortalità.   OPERA   DEL SIGNOR   D. TOMMASO ROSSI   Abate Infoiato di S. Giorgio ec.   -J> fi D *-   All’ Illustrissimo Signor Marchese   D. LO RENZO   BRUNASSI -   . *§i*   IN VENEZIA MDCCXXXVI.   . Con Licenza de' Superiori .     Digitizecf by Google    rw>5'*     !     •yr&Si fftm/rbr   Nil tam diffìcile eff , qtiiu qiuerendo  inveffigari poffìet .   Ter. Heautontim, A3, 4 . Se. r.     %   1   ■ Digitized by Gingie    ILLUSTRISSIMA   %   ■9 ...     SIGNORE —      tv     Ella dimora , che  in quefta noftra  Città di Montefufcolo per   al - 1    kti     'DigmzSa by Coogl    alcun tempo fatta avete ,  tanti argomenti di virtù ,  e nel riguardevole Uffizio  di Regio Uditore , e in_>  tutti gli utti -cibila vita^  avete dati ; che in ogni  parte di quella ben am-  pia Provincia , la lode , e’1   nome voftro nelle bocche  ♦ •   degli Uomini rifuona da  per tutto . Per la qual co-  fa io non folamente ho  dovuto rivolgermi verfo  di V oi ad ammirarvi , ed  amarvi con tutti gli altri ;  ma ancora ho potuto alla   de-    Digitized by Gf)ogle    degniffima perfona voftrà  alcun particolare oflequio  preftare : e fi il mio libro  dell’ Immortalità dell’ A-  nimo , che ora efee alla.,  pubblica luce, dedicare, e  confecrare . Concioffiachè  la V irtù fola di per fe, fen-  za dover altro cercare , fia  potentiffima cagione , per-  ché riveriamo, ed onoria-  mo colorò , che adorni ne  fieno: e più quelli , che nel  più alto feggio di lei col- •  locati veggiamo . Nel che  nondimeno , mentre l’af-  : ' • fe-    lezione dell’ animo rive-  . lente , e divoto ho fegui-   ta ; nel tempo medefìmo  all’ opinione del libro , e  I9ia?r ip cr e do a -baflanza  a ver provveduto. Percioc-  ché io non dubito, che-»  v quella mia Opericciuola ,   (qualunque ella ha) oltre  a’ confini dell’ Italia , ed  • oltre al ter mi ne d ella pre-  fenteEtà,inRegioni rimo-  te , ed a futuri tempi coll’ •  • autorità del tifone volo , e  chiaro nome voffro nom>  abbia a trapaliate. Gran-  de    Digitizécl by Google    de fermamente , e di gran  laude degna è la Virtù vo-  ftra , che fin dalla prima  giovanezza con perpetuo  tenore , belle , e laudevo-  li Opere ed alle private.,  pe rione, ed alle pubbliche  cofe profittevoli arrecan-  do, fi è dimoftrata . Nel     ti lumi di Giurifprudenza,    quanti ivi fono , ri luffe.,  ella con grande ammira-  zione di tutti : poiché ap-  pena varcati tre luftri , a  prò di litiganti , e di rei , '  tifiti a dot-    V    • • . 0   . ‘ dotte , ed eleganti , e fpi-  ritofeOrazioni vi udirono  * * recitare . Per la qual cofa .»■   di dì in dì Tempre più cre-  ' * , fcendo l’ opinione del va- -   lor voftro , del pregevole  ornamento della Toga di  Giudice della Gran Cor-  te maturamente fu il vo-  ■ ■ ■   ftro merito onorato . E in  * quel gra vidimo Miniftero   con lucidezza di feienza ,  e con incredibile coftanza  il dritto cammino del V e-  ro Tempre tenendo , e in  ogni affare la prudenza-^   ufan-   t ; •   ♦ •   *9 » •   • *   • % »   \ •   . ' ^ Digitizedby Google      ufando ; cosi bene avete *  adoperato, che l’approba-  zione , e l’amore di ognu- * •  no , e in quefti vicini ben  avventu roti tempi il fa-  vore ancora della Maeftà  del Gloriofiffimo Re no-  iìro avete meritato. Quin-  ‘ di l’ alta di lei Regai prov-  videnza , il -primo onore  confervandovi intero, a  moderare i Tribunali del-  le Provincie, ed a tenerne  gli errori , e le corruttele  lontanila conofciuta V ir-  tù voftra ha prefcelta . E  a 2 ben    C        t    #    . Digitized by Google    ben la Città noftra innan-  zi ad ogni altra, e tutta la  Provincia , delle diritte,  fagge , e fcorte maniere-,  voftre con comune ripo-  fo , e comun contento co-  pioii frutti han ricolti . Ne  folamente nella nobili^  ma fcienza delleLeggi,ma  in altre parti ancora dell’  umano fapere Voi avete  molte fatiche , e vigilie-,  collocate: le quali e la no-  ja adergono di quegli ftu-  dj , e ne ajutano l’ intelli-  genza , e la cognizione di-  ' > •; la-    Digitized by Google    latano, e compiono dell’  Uomo . Ne finalmente^,  nelle pulitezze , e ameni-  tà delle Lingue più belle  non avete ancora efercita-  to lo ’ngegno : poiché con  elette Poefie tofcane e la-  tine, della nobile Acade-  mia Cofentina , e della,,  famofa Arcadiadi Roma ,  ove liete aferitto , avete  fuperata l’ opinione . Ma  la voftra loda più ricca , e  adorna £ difeopre , e più  chiara , e luminofa nelle  dovizie, e negli fplendori   del-    delle magnifiche , e me-  morande laudi del Signor  Duca di San Filippo vo-  ftro degniffimo Padre . Le  quali fe non diftintamen-  te narrare, ne degnamen-  te celebrare , che non è  luogo , ne io con niuno in-  gegno potrei ; perchè fon  pur voihe , debbo alme-  no in alcun modo addita-  re. E in particolare alcuna  parte del veramente ma-  ravigliofo governo , che  delle pubbliche cofe egli  ha fatto, nel confiderabile   . .Ma-    Digitizéd t    Magiftrato di Eletto del  Popolo debbo rammenta-  re in ogni modo . A quel-  la importantiffima ammi-  ri ideazione in tempi diffi-  cili , e pericolofì , con tutti  i fuffragj più volte chia-  mato il Signor Duca , con  mirabil fapienza , e con.»  incredibile iludio, e fatica i  pubblici affari ha condotr  ti a felice fine . Egli la pub-  blica falvezza fempre me-  ditando , e a quella ogni  penfiero, ed ogni operai  rivolgendo, una cofa affai   dif-      4    difficile ha confeguita: che  per tutto il tempo, che  quell’ immenfo pefo ha_»  foftenutó, giammai ne per  colpa murray-rtc-per qua-  lunque fortunofo evento ,  ne di fterilità , ne di guer-  re, ne di altro fimigliante,  nella Città , e nel Regno  la fcarfità , e la fame fiali  potuto introdurre . Per-  ciocché , oltre ad ogni al-  tro ingegno di fcorto prov-  vedimento , in ogni tem-  po da lontane Regioni per  lunghi tratti di mare co- t   « P io -   » * * i   ~’i • »- , . . _   •_ * . * — - ’ • . Digitizèd by Google    piofe annone fonofì fatte  approdare ne’noflxi Porti .  Nel che con raro efempio  di carità verfo la Patria ,  di o/Iequio verfo il Princi-  pe , delle fue proprie fo~  ftanze molto oro ha pro-  fufo . Sopra tutto di eter-  na memoria degno è quel-  lo, cheneiravvicinamen-  todelle vittoriofe Infegne  dell’invitto, pio, felice^.  Re noftro, in tempi pieni  di timori , e di fofpetti ,  premendo ancora il no-  lfro Suolo le armi nemi-  t'àìf b che;    s    che; mercè de’fuoi alti  configli , nella Città , e  contorni ogni cofa videfi  tranquilla , e quieta . Or-  che le rapine , le occifio-  ni , i tumulti , che i trifti ,  e iediziofi Cittadini in fo-  Iniglianti tempi meditar  fogliono , tenefiè dalla..  Città lontani; Egli folleci-  , tamente le cofe alla vita  neceflarie appreftando 5 e  gli animi feroci della ple-  be mitigati , e addolciti »  co’ Signori conciliandola   tran-    Digitized by Google    v    tranquillità , e la pace nel-  la Città, e quindi in tutto  il Regno fuori di ogni opi-  nione ritenne . Onde po-  tè dirti allora , che eglf il  Signor Duca la Città fai-  va , falve le vite , e  foflanze de’ Cittadini al  Gloiiofo Re noflro avefle  ' conferva te . Caro pei - tan-  „ * to al Re , alla Regai Cit-  „ tà, ed al Regno, a.fublinii .  degnità fi è veduto meri-  tevolmente afcefo. E pri-  ma il pregevoliffimo ono-  : - - re ottenne già di dover   b 2 Egli    Mf    Digitized by Google    Egli colla fua Famiglia ,  in uno qual più voleffe de’  nobiliffimi Seggi , fra Pa-  trizj effer annoverato, e  delcritto-. Pe^qticfte vie ,  e con ifplendidiffime affi-  nità la fua Cafa nel più al-  to luogo de’ Baroni , e Si-  gnori del Regno ha folle-  vata. Oltre al le nobili Fa-  miglie Spina della Sarde-  gna , e Poliaftri della.*  fplendida Nobiltà Cofen-  tina, in donando a Voi in  Ifpofa la Signora Marche-  fa D. Marianna Orenghi ,   Da-    4    Dama di rare doti , tutti i  pregi di quella nobiliffima    Famiglia nella fua propria   Cala ha trasferiti.Per chiù- ' .    quella chiariffima Fami- .  glia ella è nobile in Ven-  timiglia ,Città principale  pofla nel fuolo di Geno-  • va . Ella è altresì nobile  in Roma , rocca dell’Eccle-  iiaftico Imperio. Ed ivi a  > | quella Repubblica faggi  ,>, Togati » e prodi Capita-  - ni ; equi Senatori in Cam- '    dere in brieve giro più cofe     pidoglio , qual fu un Gio-    van    *    Digitized tty Google    van Angelo Orenghi , e_>  degniffimi Prelati , e Car-  , dinali ; tra quali il Car-  dinal Niccolò Orenghi di  onorata memoria , alla-,  Chiefa ha donati . In ol-  tre alla Signoril Cafa Maf-  fa degli antichi Baroni del  Vaglio gli Orenghi Eret-  tamente appartengono : '  della qual Cafa fu già l’A-  va paterna della Signora  Marchefa , che del loda-  tiffimo a memoria noftra  Cardinal Girolamo Maf-  facafanatte , è degnifsi- -   ma    Digitized by Google    ma Pronipote. Quella pic-  ciola parte delle voftre_>  amplissime lodi ho io qui  potuto ricordare, molte,'  e grandi cofe lafciate ad-  dietro . Dal che nondi-  . meno lì può vedere , che  di fommo pregio è la mia  fperanza , che ’l mio li-  bro , che ora al volil o me-  rito inchinato vi prefen-  to , dedico , e confacro j  ficcome 1’ accefo delìde-  riadel di voto animo mio  contenta in parte ; cosi  fra molte genti , e pe r mol-  • . : . . " te .    / ■ .   te età debba effe re .dure-  vole memoria della fervi-  ti! mia ; della quale fopra  ogni altra cofa del Mondo  onorandomi--, -volentieri  mi confermo f'- 1    Di U. S. Illuftriflima    ma rno   Divotifs . , eri Obbligatifs. Servitore  - L' Abate Roflì di S. Giorgio .    piqiliiCd by C ÌOOglc    PREFAZIONE.     Oicbè può avvenire , che quefa  mia Difputa capiti nelle mani  di alcuni , che le vane fittili-  t'a , e, pregiudizj feguono ancora  della vo/gar Ftlofofia ; e' fa di  me fieri , che io qui alcuna cofa ne dica ,  che mi pare dover dire per liberarla , fe  è pnjjìbilc , dalle coloro accufe . Imperoc-  ché eglino cerfh mente bia finteranno leu*  maniera di filofofare , che io ho prefo a  feguire : e le dottrine , che vi arreco t  tutte, o parte come nuove , e frane ri-  fiuteranno : e nelle ofeurità , nelle quali  forza è che alcuna volta fi abbattano, e  dove da' fienfi , e parlari loro i miei fi  dipartono ,come fogliono in sì fatte accu -  fe di leggieri trascorrere \ fufpicberanno  ancora per avventura , che alcuna cofcu»  vi fi a fionda , che colle verità della' no-  fra Santa Religione non ben confenftt ,  Or io innanzi ad ogni altra cofa /* Alti fi  fimo Dio chiamo in tefliShnio , che con-,   * c quefa    + t    quejla tuia fatica altro non ho io intefo ,  che quelle verità , quanto più per me fi  è potuto , nell ’ ordine naturale ancora co *  fumi della Filofofia avvalorare , e oi di quel torrente d’Eloquenza divina , con la qua-  e vi avete fatta una fpezie di favellare tutta vo-  :lra propia ? perch è p ropia di co tal Jcienza ? Del-  a bellezza, e’ leggiadra de’ traf porti , che ufate_»  tutti opporti, dome debbono eflere , a quelli , che  ufa l'eloquenza Umana ; perchè quefta debbe fare  dello fpirito corpo , e voi in certo modo fate del  corpo fpirito. Voi liete degno, Signor D. Tomma- \  fo, non già di Montefufcolo , ma della più famofa  Univerfità dell’ Europa. Laonde poiché la voilra mo-  dedia, eguale alla voftra gran dottrina, e virtù ve  ne fa contento, almeno giovate il Mondo di coterta  fappfentiflìma Scritturai la quale l’aflìcuro, che re-  cherà gloria, non che a Napoli, all’ Italia tutta ,  con merito grand irti rno inverfo della Pietà , che fi ri-  fonda in utilità di tutte le Repubbliche , e molto più  Criftiane: e vi fo divota riverenza.     ■ . : > J .'ii' . i 1 : f-    ». » / . \ \ 1 • ‘f * -   » • -• J » • • i » - » .J ? i •   Uantunque negl* infelici  tempi del Gentilefimo  denfiflìme tenebre d’ i-  gnoranza delle cofc Divi-  ne, (alvo il Popolo Ebreo,  premettero tutta l’Umana  generazione ; pure per lo Covrano magi-  llero della Mondana fabbrica , e per l’or-  dinato, e collante corfo de’ moti , e delle  generazioni da una parte , e per la virtù  dell’Umana intelligenza, c per 1* interna,  e comun legge , e regola delle operazio-  ni della vita ,dall’ altra ; delle quali cofe,  quella è certa , ed illultre lignificazione ,  e quella è chiara, ed indubitata cognizio-  ne di Dio ; aggiuntevi ancora te reliquie  della tradizione de’ primi. Uomini; pec  tutte quelle cagioni , era nondimeno nel-  le menti degli Uomini altamente infitta   A Topi-     «NI      nz DELL* ANIMO  T opinione dell’ autorità , e del principa-  toDivino, edinfieme dell’ Immortalità  degfi Animi umani , e del t fa patta inferno  opinioni di' loro al futuro Secolo . E tra’Filofofi,i più  gravi, e fublimi, purgata la Religione dal-  della Satura h ttolta moltiplicazione delle Deità , e  divinale dei r dalFaltrc feoncezze, e fozzure della V ol-  aumdeirvo- f U p Cr ttizione , vennero a conofcere,   on folo Autore dover vi etterc, e un folo  Arbitro di tutte le cofe:c la Divina origi-  ne , e Timmortal condizione degli Animi  noftri, e le pene degli fcellerati, e i premji  degl’innocenti ebbero per fermi, e più  minuti , ed ofeuri , febbene ne la forma-   zionc dell’ Univerfo, per potere, ed in-   ■ gegno di mente fovrana; ne l’informazio-  ne del corpo umano , per condizione di  mente inferiore informante , compren-  dere potettero ; tuttavia la più parte di  loro , ne provvidenza di Mente Eterna ,   r ne realità di Animo Immortale in altro   modo negarono , che, nel Mondo la rea-  4* lità del Divino cflere, e nell’ Uomo , la .   verità del dovere onefto ritenendo . Il   ■ - che i moderni Epicurei con tutta laco-   ** # pia de’ lumi de’ noftri avventurofi tempi   non fanno ; come quelli , che per eftrema   ma-    Digitized by Google    ir    DELL’UOMO. ?  malizia , ò cecità , non de l tut to convin-  ti , per non potere concedere in Dio rea-  lità di Edere fenza verità di legge , e nell*   Uomo verità di legge fenza realità di na-  tura foffanziale ; e per non volere l’una  per l’altra in Dio , e nell’ Uomo rirenerc;  fi gittan più tofto negli effremi dell'em-  pietà del totale annullamento di ogni  realità, e di ogni verità Divina, ed umana.   Ora per forza di que’ naturai» lumi , e di  quelle antiche origini , e’ non è da mara-  vigliare , che Lucrezio, il più fiero nemi-  co del culto , e dell' Immortalità , abbia  nondimeno per vere, ed affermi alquante  cofe , che l’infelicità de’fuoi tempi fol po-  tè fare, che noi conduceflfero per diritto  cammino al conofcimento del Y r cro . Le  quali prima di ogni altra cofa convien  notare, con alcune altre offervazioni , %   che lafciate addietro, più intrigata, e ma-  lagcvole fenza dubbio rederebbono l’ in-  traprefa inveftigazione . E in prima quel  Filofofo, dopo avere argomentato, che f/To Lucrezio  i tre Volgari Elementi , l’Acqua , l’Aria , g^EicZnti  e’I Fuoco doveflono l’Animo, e 1* Anima non vagliano   dell’ Uomo poter comporre ; ."■'«g* p°' LE3Èi2  con apertiflime parole, che quelle tre Na- gfUe.   A 2 tu-    Jflfc.   :      m    v      .lì   .aÉ    Bt   m    S*    «fitti    *      ftkjili   Jfr !    4    «    il   fr    ■. 4 t    f V'   ,,4 * %4   É*>      .* 4 .    r>    j2^ W        m    Anìmofecon -  do Lucrezio  fon di altro  genere, dcu*  que' dm ve -  gnono agli oc-  cb\ e agli al -  tri fenfi*    ♦DELL’UOMO. 7  chi ; ma d’ altro genere più fublime, e  più vigorofo, e più mobile di gran lunga.   Nunc age , moveanf animum res accise : tir unde ^monl   Qu >**'«» i > nilfimo , dove fuole ella rifuggire per  trarne comuni (limi argomenti in tutte le '  piùofcure, e malagevoli quiftioni della  Natura. Qnefto tcgttt*tnfinito, nel qua-  cureineU c** le truovano eflì e copia per ogni fuftanza,  mafatuol 1 * c d ingegno per ogni lavoro, c virtù , e  r infinito. ' porere per ogni maniera di operazione.   Sicché vergendo, non potere al fortuno-  foconcorfo degli atomi lagrande, e mae-  ftrevole opera dell’ Uni verfo afloluta-  mentc affegnare;dicono f che per un tem-  po infinito , dopo infiniti varj accozza-  menti , fien finalmente gli aromi potuto  a quel termine pervenire, come nel. li-  ‘ ' bro v:   Nani certè neque confìtto primordi* rerum  Ordine quoque fuo, atque fataci mente locar unt:   Nec quo: quoque darent motu: pepigere profetici .   Sed quia multa modi: multi: prìmordia rerum  Ex infinito )*m tempore peretta plagi:-,   Ponderi bufque fui : confuerunt concita ferri,   Omnimditque coire , atque ormila ^er tentare ,   Qut r-    Oigitized by Google    '"DELL* UOMO. Ma   «v   Qutcumque inter fe pqffent congrega crenrez  Troptèrea Jìi , ufi magnum vulgata fer   piane , e Semplici cogitazioni noflre. E ,  in fine è affai malagevole a ritrovar cotal  ■Uyr. . .r’iVero a forza di fillogiftici ragionamen-  ti ; poiché l’una parte, e l’altra della  contradizione , contradicenti fillogifmi  quinci, e quindi fomminiflrano , e vie  « più inviluppano la difficoltà . Onde i più _  fenfati , e collanti fon coflretti a fofpen-  deré i giudizj; ed i malavveduti, c leg-  gieri fi rivolgono a difendere 1’ uno de*  due Conrradittorj , e fra loro di vili l* un  contro dell’ altro oftinatamente com-  battono . Il Vero minuto , c fcompiglia-  to della foflanza materiale ùmilmente e’  non può ne forma fantallica dipingere,  ne intellettuale , o ragionevole efpri-  mere , nc conchiudere fillogifmo per  una contraria ragione. 11 noflro intendi-  mento, poiché dalla parte dell’ Animo è  unirà , che aduna , c contiene il numero,  che è la vera diffinizione dell’Intelligen-  za , ed è manifefla nel raccoglimento,  che ella fa del numero della materia nej.  fenfo, e de’ fenfi nella cognizione, e_,   , ' delle varie cognizioni nell’ univerfale,   cd   0    Digitized by Uoogle    DELL’UOMO. 25   cd in fe medcfima , per quella cagione»,  non può raggiugnere , c diftinguere quel-  lo ccce/Iivo sminuzzamento, e dilfipa-  menro , ne può accozzarlo , e cederlo  a comporne 1’ eftcnfione . E poi una af-  fai ardua imprefa di pervenirvi con argo-  menti : perciocché la mente dell’Uomo  nel fuo intendere, che è il Tuo edere,  non avendo niuna abilità per quella ma-  niera di Vero cotanto a lei dilfi migliaa-  te, fenza feorta , e fenza lume fi svia-,  qua, e là adirquctlo, o quello con mal  fondati ragionamenti; ficcome è mani-  fedo nelle molte , e varie fentenze , del-  le quali niuna ha niuno pofitivo argo-  mento per fondare il proprio Vero ; e  tutte, e ciafcuna han molti, e forti ar-  gomenti per abbattere il Vero contrario  delle contrarie . Quindi ficuramente , fe  T amor delle parti non in rutto gli accie-  cafie, porrebbon giungere finalmente a  conofccre , che il Vero non può trovarli  nel dil’cioglimenro degli enimmi in uno  de contradittorj , ma dee ricercarli nel  temperamento, e nell’ accordo delle con-  tradizioni , e nel viluppo degli enimmi,  e nelle maraviglie. Stando così le cofe,  ♦ D come      •*. •    y      ■ - à    2 6 DELL» ANIMO  come abbimi noi divifato, gli Epicurei  antichi preoccupati da quel pregiudizio ,  e i Novelli fpaventati dall’ apparente^,  contradizione , o affatto non han ricerca-  to il Vero maravigliofo , o leggiermente  i ~ facendolo, tolto quelli alla preoccupa-   zione, e quelli allo fpavento cedendo ,   , ' fonofi late iati fedurre dalle vicende delle   forme corporali ad aver per cert3 la mor-  talità degli Animi noflri , con ifconvolgi-  roento , c rovina della Naturale , e della  , ' Morale feienza, e della Ci vile 3 e della Di-   vina altrelì.E qui lien terminati gli avver-  timenti, dopoi quali è ormii tempo di fa-  re quello, che gli Epicurei non han fat-  to, cioè di farci a confidcrare l’ inrendi-  mentodeli’ Uomo , l’ effenza , la proprie-  tà, e le operazioni lue : nc per tanto tutta  la felva degli argomenti , che di là , o al-  tronde trar fi poffono , penfiamo di alle-  gare , che sì trapaleremmo i limiti di uua  Difpura, eforfi alquanto ci difeofterem-   Sì arrecala mo dalla P ro P°H l foluzione , m t tanti , e  teiere timo- tali ne feerremo , quanti, e quali credere-   ijlinzlonf mo P'ùf ,ire al propolìto fenza rincrefce-  delle idee del- Vole proliffltà .   JtiU* ‘Iute ^ in primo luogo conviene allegare la   ria, a,em diftin-    Digitized by Google    A* Jb    DELL* UOMO. 27  dirtinzione, e la dilucidazione dell’Idce  della Mente, c della Materia, che ivi.,  altra guìfa propofta , che da’ Volgari non  fi è fatto finora , e farà ella un gagliardif-  fìmo argomento dell’ immaterialità dell*  Animo, ed agli altri argomenti maggior  forza , e lume fomminillrcrà , che arre-  cheremo dappoi. Per non tacer nulla di  quelle co fe, che lafciate addietro ofeure-  rebbono la dottrinajleldee dellaMateria,  e della Mente , s’io non erro , elle in noi,  e con noi nafeono a quello modo . Nell*  Uomo di corpo, e di anima comporto,  (cheunquefia l’Animo ) per erta coftitu-  zione nafee certamente il fenfo del pro-  prio corpo , il qual fenfo apprende la pri-  ma, ed ampia , e comune azion Tonifican-  te della lortanza corporale : Similmente  da quella cortituzione mcdefima rifulta  la cognizione , o cogitazione del proprio  animo, e del proprio intendimento , Ia^.  quale comprende , ed efprime la prima ,  ed ampia, e comune fignificazione del-  1 ’ Edere mentale . Quelle due Idee così  dirtinte , con dirtinte lignificazioni , ed  cfpretTioni, fono ad ogni uno per la co-  feienza della propria cognizione , e del   D 2 prò-          Digitized by Google    1    28 DELL* ANIMO  proprio fenfo manifede jdccome è a tut-  ti parimente manifeda la contenenza, o  inclusone , e la lignificazione , o efpref-  fion loro . Cioè 1* Idea del corpo chiara-  mente contiene, ed include , e lignifica,  ed efprime P eftenfionc ; e 1* idea dell’  Animo, e dell’ Intendimento con pari  lucidezza la cogitazione efprime, e in-  clude, e contiene. Orio non poffo ac-  quetarmi a quello , che gli altri fanno,  che da quelle fole idee della mente , £«.  della materia, e da quelle fole contencn- ,  ze , fenza dir altro , traggon 1’ argomen-  to della didinzione delle due Sudanze.  A mio giudizio con troppa fretta con-  iar mqftra ìl chiudono , che 1* e de n za del corpo da F  difetto dcll'ar- Sdendone, c non già P Intelligenza , o   de' cartellante Cogl fazione ; e che 1 cuenza dell Ani-  in far quella mo la Cogitazione, o Intelligenza, e non  fazione? 0 ' già 1’ Edenfionc . Ma credo in ogni modo  doverd andare più oltra , e più a minuto  olTervare lecofc, per poter su fondamen-  tapiù falde, e più ampie fondare quella  importantidìma confeguenza . Per mo-  drar di padaggio il difetto , e la debolez-  za di quel corto ragionamento; P eden-  fione, che il corpo di fe apprefenta ad   ap-    »   DELL’UOMO. 29  apprendere, certamente ella è quell'eder  medefimo , che nella coftituzione dell’  Uomo, e per quella coftituzione può il  corpo oggettare,e lignificare; e che l’in-  tendimento noftro dall’altra parte può  percepire, ed apprendere: ma non è già  egli certo , che quella lignificazione cosi  fatta arrechi il primo , e principal edere  corporale, in cui è dovere che fi riponga  laSuftanza, o Edenza ;o almeno none  cofa delira, che il corpo con quel foloef-  fere tutta la fua edenza, o Suftanza ap-  presemi all’Animo a comprendere. Oltre  a ciò l’ eftenfìone , come è un edere uni-  forme , e univcrfale ; così è il più tenue,  e leggiero, ed è come nel frontifpizio del-  la propria codituzione dell’ Edenza cor-  porale locato ; il quale perciò la proprie-  tà, cioè la propria differenza , che è l’atto  e la forma , onde fi termina , e compie V  edenza, Secreto , e ripodo,non può disco-  prire , ed efporre al primo SenSo , ed alla  prima percezione dell’Uomo . E quella^,  uniformità, e comunità , di più per que-  lla fteda ragione di edere uniforme , e»,  comune, è neceffariamente confuSa, e  indiftinta: che pe r tanto certezza, e chia-   rez-    Digitized by Google    f      30 DELL’ ANIMO  rezza niuna in niuna guifa può infondere  nell’ idea.La qual cofa tanto più è da cre-  dere, che nella fofianza delCorpo del rut-  to di vifìbile è uopo, che una moltitudine  di particularità infieme adunandofi , ve-  gna a confonderfi in una uniforme , e co-  mune percezione in quella prima Idea,  eh c ancor effa dal fuo lato fottile, leggie-  ra, cftrema, cojnune , uniforme, indiftm-  ta . Or chi potrà dire , che in quella in-  diftinzione, e confufione, ed in quella  leggerezza ,ed eftremità di cofe , d’ idee,  c di fignificazioni, ripor fi polla l’eftenza?  Per dir tutto in poche parole, quella fi-  gnificazione elfendo come una produz-  zionc della foftanza corporale , che di là  ft propaga nel fenfo dell’ (Jomojegli è fen-  za dubbio un manifcfto errore ,il riporvi  il primo , e principale, e ftante , e pro-  fondo e fiere , qual’ è, e qual efter dee l’ef-  fenziale delle cofe. Finalmente fe 1» Idea  contiene, e comprende , ed efprime 1*  efìenfione, fermamente ella 1* adegua an-  cora, e fi combacia con lei, che altri-  menti come polla comprenderla , e con-  tenerla , non fi può dire . Adunque l*  /idea , e 1* Animo , diciam così , ideante ,   fi ve-    Digitized by Goògle    *    DELL’ UOMO. 31  fi vede per quella via , che coll* ellenfio-  ne che apprende, ed efprime, pofla eften-  derfi ancor elfo , e sì P Animo nell’ idea  dell’ ellenfione dal lato della potenza , e*  pareeftenfo, quantunque nell’ideadella  cognizione, dalla parte dell’ obbictto ,  tale non fi ravvili . Ed allo ’ncontro, per-  che l’idea della cogitazione non è dell*  Animo folo ; li perchè animo folitario  non è nell’ Uomo, onde il corpo ancora  nelle produzioni mentali dee in alcun.»  modo concorrere ; fi perchè nella cogni-  zione de’ materiali obbietti, ne impref-  fione , uè efpreflione fenza corporale ef-  tenfionefi può .concepire ; per quella ca-  gione il corpo dalla fu3 parre fi fa vedere  in alcuna guifa cogitante dal lato della  potenza; avvegnaché dalla parte dell’  obbietto, come tale non fi ravvili nell*  idea deli’ ellenfione . Or come in quella  ultima oppofizione si è fatto , così in tut-  te le altre, quanto fi è detto del corpo ,  per far vedere l’insufficienza dell’idea  dell’ ellenfione a dimolìrare 1’ Eflenza  corporale , tanto con altrettante parole  fi può dir dell’ Animo , per fare intende-  re, che l’Idea della cogitazione none   fuf-    Digitized by Google    ■3 a DELL’ANIMO   (ufficiente a poter diffinire l’ effienza , o  lultanza mentale , In fine non debbo fa-  lciar di dire, che il volere colle prime,  c (empiici , c comuni idee dell’ Animo  il voler noftro diffinire l’ c (lenze delle cole , è per  lenze deill_> Dio cola tanto pericolola , quanto e per-  ' refe eolie fri- verfa maniera di filofofare . Alle quali ra-  "cìidee^è'co- g* on * quando io pongo mente, inrendo  fei pericolofa, bene perchè quella celebre dimoftrazio-  nc Cartefiana in quel modo propoda,fia  (lata , e fia ancora da moiri con ogni ar-  gomento fieramente combattuta . Adun-  que per quelle due prime (empiici idee..,  della Mente, e della Materia , e per quel-  le indiftinte, e comuni loro lignificazioni,  non può giuftamente venirli a quella gra-  viffima conchiufione;ma è neceffiario ri-  guardare per tutta 1’ effienza corporale ,  e in tutte le fu e forme , e modi , e moti ,  ed operazioni;ed oltre ciò offiervare tut-  ta Ledendone del fenfo , quanto egli c  nel proprio corpo congiunto, o quanto  da circolanti corporali obbietti riceve.  Ed ancora in tutta l’ effienza mentale , ed  in tutte le fue forme , e modi per tutta la  capacità della Cofcienza , e della Scien-  za , quanto in fe medefima vede , o dall’   altre    Digitized by Google    )    DELL’UOMO. 33  altre cofe raccoglie*, e ciò fatto, fe_  troverai!!, che nell’ Elfcnza del Corpo  la fola Eftenfione fifeerne da per tutto  fenza niun eflerc, o potere di Cogita-  zione, o intelligenza ; e nell’ £lfenza_,  mentale, fé feorgeraflì folo intelligen-  za , o cogitazione in ogni ricetto fenza  niun edere, o modo di ettenfione; al-  lora , e non prima fi potrà conchiude-  re , che quefte fieno certamente due™.  Elfenze , o foftanze , l’ una dall’ altra™,  realmente didime. La ragione del do-  ver negare alle fempliei idee quel che  fi crede dover concedere all’intera, e  compiuta cognizione della feienza , el-  la è , a chi ben v> attende , chiariflima.  La fignificazione , ed efpreflion partico-  lare, e manchevole, qual’è quella del-  le fempliei idee , già ella molro , o po-  co laici il in tenebre una parte dell’ ef-  fenza , che non è in niun modo ligni-  ficata, ed efprelTa : onde volcndofi a_>  quella elfenza donar qualche attribu-  to, non fi può fare lenza gran temerità:  conciottiachè ragionevolmente debbafi  dubitare , fe nella parte non lignificata  vi rimanga afeofa alcuna ragione efclu-   E dente      Digitized by Google      r     w    X» %     34 DELL’ ANIMO  dente quello attributo , che le fi vorreb-  be concedere , e volendofi negare , non  può niuno , falvo fe non è fconftgliato,  e temerario , rifolverfiafarlo: percioc-  ché fi dee poter fufpicare, che nella^  parte non lignificata alcuna ragion fi  rimanga, che includa quel cotale attri-  buto, che le rivorrebbe negare. Adun-  que l’ Idea del corpo , che contie nc l’cf-  tenfione ( qualunque ella fia ) cfTcndo  pur nondimeno particolare , forza è che  ne lafci in dubbio , fe altro vi fia nell’  effenza corporale , che includa la cogi-  tazione, o intelligenza; e fimilmcnte_,  qualunque ella fia 1’ idea della cogita-  zione dell’ Animo , e quantunque didi n-  ta , e chiara fi voglia , giacché ella è .  particolare, ne fa per quella cagion fof-  picare,che altro pofla efTervi nell’ Ani-  mo, che includa Fedendone . E pertan-  to per fi fatte idee non può giammai giu-  gnerfi a tale , che quelle due Eflenze fi  veggano in tanta luce, che chiaramen-  te apparifea l* Animo efTer foftanza_»  cogitante , o intelligente . Ma nel  fatto di una intera , e perfetta lignifi-  cazione le cofe danno altrimenti; im-   peroc-    >    v    Digitized by Google    i    DELL’UOMO. is  perocché ogni elTenza col fuo mcdefimo  edere lignificando, per modo che l’ef-  fere medefimo fia lignificare , e’1 lignifi-  care altroché federe non fia ,cdel tut-  to imponibile , che la lignificazione co-  tanto dall* efifere fi difcofti,e quello da  quella cotanto fi diparta , che tutta inte-  ra una lignificazione niente affatto ligni-  fichi , di un ampio elfere che fi c; e che un  ampio intero elfere non fia nulla affatto  di una perfetta lignificazione, che fi ha.   Ora egli è, o agevolmente può elfere ad v *   ognuno manifefto , che in quanto colla., zioneficon -  Icorta’del fenfo , e col cammino della_, ^caadejbe-  feienza li olferva , o fi argomenta nella  materia, di foftanze , forme , lavori, ; • %  movimenti, generazioni , e qualunque  operazione, per tutta cotaf ampia, ed  intera lignificazione niente affatto fi feor-  ge , ne pur leggiermente adombrato , ne  di effenza, ne di modi di effer della men-  te : ed è parimente , o può di leggieri  efferc a tutti manifefto, che per tutta  la fignificazione , ed efpreffion mentale,  che ci viene o dalla feienza , o dalla  cofcienza, nulla affatto di materia, ne  cffenziale , ne modale, nc edere, ne ope- «   ■ E i rare    ■ b*/   . . . ' , Digitized by Google    3 6 DELL’ ANIMO  rare vi fi (cerne . Adunque egli è im-  ponibile, che la materia fia, o che ab-  bia, o produca tutto il magnifico ede-  re mentale, e che niente di quell’ ede-  re dimoftri in niuna parte dell’ ampia , ed  intera Tua lignificazione ; e che la Men-  te fia , o che abbia tutto l* edere mate-  riale, e niente di quello dimoftri in_»  niuna parte dell’ ampia, ed intiera li-  gnificazione Tua . Tanto era da fard,  che non fi è fatto, per condurre quel-  ; v Vi*’ la dimoftrazione ad una chiaridi ma chia-  rezza   La ragione, che dalli materia drit-  delP immorta- tamente efclude la cogitazione , per la-   mo Umano* 11 * ^ ^iare °S n ‘ circuizion di parole, ella  11 ° non è altro , che quella reai diftinzio-  ne, che per tutta la foftanza materia-  le per ogni parte s’interna, per modo  che niuna parte c della materia , che o  in altre parti da fe contenute ella non  fia da dividere ; o che niente contenen-  do , non fi debba ad una ftrema minu-  tezza di ogni contenenza vuota ridur-  re . Per cotal ruinofa diftinzione , la fo-  ftanza della materia, o nell’un modo,  * o nell’ altro, ella è tutta diftinta , e tut-    Digitized by Google    (DELL* UOMO. , 37  ta divifibilc: tutte le Tue parti fon Fune  fuori dell’ altre, foni’ une all’ altre av-  veniticcie ,ed eftranee; non fi potendo  a niun patto ritrovare parte della ma-  teria per nello di reale identità nell’  altra implicata . Anzi di vantaggio il  tutto medcfimo fi può dire in certo mo-  do , che e’ non fia, c non infida nelle»,  fue parti: inquanto che il tutto non è  tale unità , che intera, ed indivifa nel  numero delle parti fi eftenda . E le_*  •parti allo ’ncontro in certa guifa pur  puoffi affermare , che non fieno nel  tutto , inquanto che elle non fono di  quel numero , che fenza confufione_,  benché indiflinte , nel tutto fi adunino.  In sì fatta maniera di efTere , più fiate in  più luoghi altrove efplicata , è cofa^  manifefta , che le parti non poffono in-  fra di loro in guifa alcuna comunicare;  ne 1* une nell’ altre per niuna via pe-  netrare; ne può avvenire giammai, che  elle in niun modofcambievolmente fi  contengano , o comprendano , o inchiu-  dano : Ne finalmente comunicazione,  o penetrazione , o contenenza , com-  prendone ,o inclufione alcuna può ef-   fere    I    L'imfene-  trabVita del-  la Materia ,  ovejh da ri -  fOì’re .      $« DELL* ANIMÒ  «fere ne pur fra ’I tutto , e le parti ^ Or  tutto quello novero di ragioni, che vi-  cendevolmente l’une 1* altre implican-  do , fono ccrtiffime produzioni della  reai diftinzionc, che noi fotto una ap.  pellazion comprendiamo d’impenetra-  bilità, come le contrarie con un fol no-  me di penetrabilità nominiamo; quelle  ragioni , dico, fon la (lefliilima cecità,  O amenzia della materia. Siccome quel-  la profonda , e difcorrevole diftinzion  reale difperde ogni penetrazione, e co-  municazione di elTenza , cosi fa ancora  di ogni penetrazione , e comunicazione  di fcienza. Conciofliachè la Scienza, o  intelligenza , ed ogni cognizione , e co-  gitazione, altro che comunicazione , e  penetrazione non fia: ficcome la fcomu-  nicazione , e l’ impenetrabilità, altro non  fono che cecità , o fconofcenza . Per  Dio la facilità fola , e’1 chiarore di que-  lla luminofa dimoftrazione potrebbe per  avventura per un fol momento farne  travvedere la fermezza , e la ficurezza.  Imperocché come può la materia in-  tendere quello , che non contiene ? E  come contenere quello , che elTa non è ?   Per    * Oigitized by Google    DELL’ UOMO. 39  Per qual via, e con qual potere fi effon-  derà la materia ad includere colla co-  nofeenza quello , che efclude coll’ ef-  fenza?Come diftinta effondo dall’ altre  cofe, ‘comunicherà con quelle medefìme  per apprenderle ? Come dentro di fé ,  e quali da fé (leda diftinta, ed efclufa,  potrà o a fé ri volger fi , o in fe il fuo  edere raccòrrò , per intender fe , e le  cofe fue ? In qual modo pofta fuori del-  le cofe, che ella non è, e fuori di fe  niedelìma , che non contiene, potria  1* altrui , o’I fuo proprio edere dentro  di fe conchiudere coll’ intelligenza ?  Qual farà il fentimento di quel tanto  deuro, quanto celebrato principio , che  l’operare fiegue all’ edere , fe non que-  llo ; che federe è regola, e norma dell*  operare : che quale, e quanta è Ceden-  za , tale , e tanta eder dee 1’ operazione:  che l’operazione non può fuori eftender-  d dell’edenza: che in dnc l* operare è  una produzione dell’cderc, dechè l’effon-  zada operante; d’operare mededmo,el’  operazione da edftente , e da edo edere  a rincontro. Per le quali certi (lime regole  fedi maggior lume abbifognade, vie più lì   dichia-    V.     4 o DELL’ ANIMO   dichiarerebbe ciò, che diciamo ; che non  fi può contenere, ne includer quello,  che non fi è ; come quello che non fi con-  tiene, ne include , non fi può intendere.  Adunque certifiimo argomento, e chia-  rifiìmo di cecità, ed infenfatezza , è la-  diftinzion reale coll’ impenetrabilità,  fcomunicazione, ed efclufion materiale.  La diltinzione , che per varj divarie co-  fe , e diflacca 1’ eflenze , e proibifce le  coriofcenze; nella coftituzione dcll’intut-  to divifibile material fotlanza giugneall’  ecceflo di diftinguere ; per modo che af-  fatto ogni comunione tronca di eden za,  ed ogni via chiude d’ intelligenza . La-  onde e’ non è da maravigliare , fe in  tutte le Lingue più belici’ intelligenza  colla penetrazione , comprenfione, con-  tenenza , ed inclufione è lignificata ; e  con contrarie appellazioni è lignificata  la fconofcenza. Ed è da ammirar molto ,  che i novelli Filofofi fien così ciechi ,  che la cecità della Materia per quella  via non abbiano ravvifata, che fi pre-  fenta nel primo afpetto delle cofe , non  che nel procefio dell* invelligazione.   Con dimoftrare la cecità della mate-  ria    Digitized by Cìoogle      ~rr . — *’-• —    DELL’ UOMO. 4i , ,  ria, abbiamo inficme dimoftrata 1’ im-  materialità della mente ; Imperocché fe  la materia è cieca, perchè ella è di vi-  libile, la mente dee eflere indi vilibiie ,  perchè è intelligente . Pur nondimeno  c uopo in efla intelligenza oflervar la  di lei immaterialità, come in efla natura  diviflbilc la cecità , c l’amenzia abbiam’  oflervata. Adunque fe la Mente cono- °V e f ,a  fce le fue cognizioni , come per la pri- trabiitàdei-  ma, e più interna , più lucida notizia I* Mente.  della colcienza è certiflimo, ella certa-  mente le Tue cognizioni , e 1’ eflere di  quelle, e ’i fuo medefimo dee in fc con-  tenere : e con quelle Tue operazioni , e  con tutto il fuo eflere , per pcnetrevo-  le comunione , e per indiflolubil neflo  d’ identità , efler dee una cofa mede-  lima realmente indiflinta , ed indivifa.   E poiché per mezzo delle cognizioni  apprende tante cofe, quante ve n’ ha_,  in tutte l’Iflorie, e in tutte le Scienze,  ed Arti; la Mente quell’ immenfa am-  piezza, e quel novero infinito di forme  memorabili , fcibili , ed agevoli con-  terrà tutte nel fuo intendere, e nel fuo  eflere penetrando , e includendo :   F con    . . J      , ?»    Digitized by Google    42 DELL’ANIMO  con reai neffo tutte le cofe compren-  dendo, cd unificando nella Tua intelli-  genza ; e la Tua intelligenza in tutte le  cofe eftendendo, indiftinta, ed indi vi-  ta da quelle così, come è dal fuo efte-[  re medcfimo,e dalle fue medeGmc cogni.  zioni.Dal che chiaramente fi feerne, cfter  l’intelligenza, e per confequcnte 1* Eflcn-  za mentale con tutta quell’ ampiezza , e  4 ; con tutta quella dovizia , che accennata  ■ abbiamo efier, dico, nondimeno indiftin-  ta, femplice, ed indivifibile.Concioflìachc  comunione, penetrazione , e inclufione__,   Veneu-abi- fono co ip indiftinzione , o identità una  ■ hta , e rden- r ...   tiù fono um cola, c per poco una ragione , o notizia  c»fa medejì. medefima . Siccome la reai diftinzione  fminuzzaper tutto la foftanza della ma*  teriajondel’eflere materiale è impenetra-  bile^ incomunichevole ; così la penetra-»  zione , la comunione , e l’ inclufione per  tutto realmente conduce, e connette l’in.  telligenza ; onde l’ intendere , e 1’ eflere-  mentale efter dee indiftinto, femplice*  ed indivifibile , immateriale , e immorta*  le. Certamente la fola eftre ma chiarezza  di quefta dimoftrazione a non fani intel-  letti può per avventura far dubitare   della    Digitized by Googlè    DELL’ UOMO. 4?  della fermezza per un momento . Im-  perocché come potrebbe la Mente, o  non contenere quel , eh’ intende, o non  eflerc quel , che contiene, o edere da .  ciò che contiene realmente diftinta ?   Come mai potrà efcludere, e (termina-  re coll’eft’enza quel, che include coll’in-  telligenza ? Come fopra di fe ritornan-  do, o in fe il fuo effere raccogliendo A )■ * 0 -  ad intender fe, e le fu e cognizioni ;  trebbe poi cfler tutta in fe, e quafi  fe realmente diftinta, ed efclufa ? E in  fine il proprio, e 1* altrui edere , nell*  intelligenza accogliendo , come può av-  venire , eh’ ella fia pofta fuori delle co-  fe,che intende, e che efler dee, e fuori di '  fe medefima ancora, qual certamente  larcbbe , fe fuflc divifibile , e materiale ?   Non ci ha dcll’indivifibi!ità,c dell’imma-  terialità argomento più ficuro di quel-  lo , che eia penetrabilità, e della co-  munione, che è l’intelligenza. L’Iden-  tità , che per varj gradi di varie cofe  fomminiftra 1* intelligenza, c connette  l’edenza; nella coftituzion della mente  giugnendo fino alla penetrabilità, ed  infelfionc , che adduce ogni comunio-  .. : Fa ne    •#    Digitized by Google    . •*   ./ •* ^ ^ ^   44 DELL’ANIMO  ne di eflere, ed ogni lume d’intendere,  viene in tanta chiarezza , che egli è  una maraviglia , che alcun de* Filofofi  abbia difperato di poter trovare (uf-  ficiente ragione deli’ Immortalità dell*   Animo dell* Uomo, la quale fenza fa-  tica d’inveftigazione nel primo afpctto  delle cofe ci fi apprefenta.   ■g?** Con quello argomento fenza fallo  ^ffHré P, °mate- fino il fondo è fiato difcopcrto dell’  riale quale efienza materiale, che è la reai diftin-  deU^mmte 2 j one ^ e j a di vifibilità , onde la cecità ,  e 1’ infenfatezza immediatamente di-  pende . E infiemcmente il principio,  e 1* origine dell’ efienza mentale ab-  biam ritrovato , che è la reale indiftin-  zione , e 1’ indivifibilità ; onde l* im-  , materialità , e immortalità neccflaria-  mente difcendono. - *   ' Ora da quel primo fondamento del   , - materiale eflere , molte altre proprietà  procedon della materia: ciò fono mu-  tabilità , e mobil ita ; novità, e contingen-  .) , za ; impotenza , ed inerzia ; e in fine fug-   ^gezione , c dipendenza , che tutta l* ef-  fenza della materia adempiono per av-  ventura . Come altresì da quel princi-  pi» ^ pio   . ■?   «   # - • •   • . ^Digitised by Qoogle    DELL’ UOMO. 45  pio dell' Efler mentale molte proprietà  provengono della mente : quali fono,  coflanza , ed immobilità ; neceffità , ed  antichità ; potenza , ed arte; e finalmen-  te libertà , e independenza , che tutto  1 ’ effer mentale fi può credere, che_  adeguino. Le quali cofe fono altrettan-  ti fermiflìmi argomenti, 1 * une della ceci-  tà della Materia, e l’ altre dell’ Immor-  talità della Mente . Ma alla difputa di  fi fatte ragioni e’ fa di meftieri premet-  tere una confiderazione , con utilità de*  novelli Epicurei , per fargli fin da ora  argomentare la debolezza degli argo-  menti Lucrcziani : e di tutti gli altri , per  agevolargli l’ inrelligerfza di quanto im-  prendiamo a dire di quelle ducEffenze.Io  prefuppongo, che quelli novelli abbian  già fatto quel, che gli antichi non pen-  farono di fare , o fecero leggiermente ,  e trafeuratamenre : cioè che abbiano  afTai filofofato fopra la Natura imma-  teriale ; che nondimeno per la cagio-  ne , che dirò , fi fian rimafi nell’errore.  Prendendo eglino la corpulenza, e la for-  za fenfibile della materia per falda, e chia-  ra verità, e realità; e per la finezza, e   fotti-    4 tutto corporeo , e dirtolu-  bile, e mortale apparifee ; e dall’ altra ,  per gli altri argomenti fi feerne incor-  poreo , ed Immortale : non può niuno  ne a quello, ne a quello, ne alla mor-  talità, ne all’ immortalità , non prima  avendola va nità de’ contrari argomen-  ti dimoftrata , fe non per temerità, e  per capriccio attenerfi . E trovandoli  per avventura amenduele parti inacef-   fibiii f    «"ÌMI -'*T*   « W*f       m-    ?:      Digitized by Google    4 S DELL’ ANIMO   libili, cd inoperabili , c dovere allora,  che fi temperi , e fi mitighi la forza degli  uni, e degli altri argomenti, affinchè o un  qualche comune effetto infieme lor for-  za comunicando , arrechino ; o lor forza  dividendo, in diverfe foftanze , o modi,  divedi effetti producano . Nel qual tem-  - pcramento,e mitigamento egli è fenza  ,e fallo riporto il Vero maravigliofo : co-  me del Vero della Mente abbiamo già  detto doverfi fare: e come a fuo luogo  in quefta medefima Difputa, col favor  di Dio , noi faremo in effetto . Frattan-  to fe lo feopo degli argomenti Lucrc-  ziani è , che la Ragione , e l’Animo  dell’ Uomo fia del tutto diffolubile, e  mortale ; che egli prende da diffipamen-  ti , fucccffioni, vicende, e mutamenti,  •che vi fi veggono : e per contrario i  contrarj argomenti vanno a dimoftrare ,  che la fortanzial ragione, e I’ Animo  egli è in fe medefimo indiffolubile , ed  immortale; non c egli un giurto, e ra-  gionevole temperamento, e mitigamen--  to del contrarto degli argomenti , il di-  re, che l* Animo debba effere in fe, e  verfo di fe immortale per forza de’ fe-  -tèéà condi    * .    ;    DELL» UOMO. 49 »   condi argomenti ; e che la forza de’ pri-  mi più oltra non vaglia a conchiudere,  fe non che l’Animo lia dall’ Uomo dif-  folubile , e in quello fentimento , e in  quello rifguardo mortale ancora?   La fola Compofizione , che è nell’   Uomo, ella è fufficientiflima cagione di  ogni variazione, la qual perciò a quel-  la compolìzione fola puoflì attribuire :  onde necelfità di dover dedurre , che-,  elTd Natura ragionevole immediaramen-  te patifca que’fvariamenti, ed ella deb-  ba clTer caduca e mortale , non vi li ,  fcorge niuna affatto. Gli fcadimenti,  gli avanzi, i eominciamenti,e i lini fo-  no varie guifc, evarj modidieffa com-  polizione.La compofizione è principio, ' ». 41   c radice di ogni variazione. La natura ^luziongeL  ragionevole , quantunque ella in le da ti gli argo-  mutamenti corporali immune , e libera; nienti ima*  tuttavia congiunta colla variabile ma-  reria, dee neceffariarnentfc non in altra  guifa , che variando, difpiegar le fue«  ragionevoli operazioni. Sarà quella Tem-  pre una generai foluzione affai fondata,  c forte di tutti gli argomenti di Lucre-  zio , che può offufear eziandio quella  • * G - appà-'    1 >        •; ¥    Digitized by Google    V t    *0 DELL’ANIMO   apparente evidenza, con che ha prefi  i materiali intelletti de’ Cuoi feguaci:  e’1 farà ella Tempre, finché eglino non  auran dimoftrata 1’ impofiibilità della.,  natura immateriale , o 1* impoflibilità  del concorfo , ed unione della medefi-  ma colla materia , e che a natura im-  materiale fia ripugnante, il potere con  quelle variazioni, che nell’ Uomo veg-  giamo , in niuna guifa operare. Il che  ficcome finora non han fatto, così non  éda credere, che fian per fare in avve-  nire . Ora ritorniamo al propofico, per  dimofirare in oltre per la mutabilità,  o mobilità cieca la Natura materiale; e  per l* immutabilità, o immobilità , im-  mortale l’intelligente: come già prima  . nbbiam fatto, per la reale difiinzione,  ed efclufione dell’ una, e per la reale_  indifiinzione , ed inclufione dell’ altra .  Nell’ eftenfione , o efirapofizione, che  - firZlonc' 1 ^- ne ^ a materia è manifcfta, noi feorgendo  Ucecita della allora quella difiinzione , ed efclufione,  de tornir* ne argomentammo la cecità , ed amenzia:  e nell’ intelligenza , che è in noi , e nell*  e (Ter noftro evidente, veggendol’indiftin-  zione ,e P inclufione ; quindi raccogliem-  mo    , •*» • •    tal ila de Hi  Mente .    1    Dig[tized by Google    DELL’UOMO. 51  mo dover la mente edere indivifibile, ed  immortale. Ora nell’ eftrapofizione me- - 4 -v   dcfima , di più la mutabilità , la mobilità,  e’1 moto oflcrvando ; e nell’ intelligen- r  za , di più la immutabilità ,e l’immobi-  lità, e la quiete ritrovando ; di nuovo  1* una, e l’altra conchiufione dell’ una,  e dell’altra natura verremo a provare. V -.=■ -  L’ Eftrapofizione , per cominciar dalla  prima, c la radice di ogni variazione, . 1   mutazione, e moto ; perciocché man-  cando alla materia unità reale , che_, * .  aduni ,0 unifichi le parti , e 1’ edere  dell’une nell’ altre implichi, e le Arin-  ga, e fermi indillolubilmente ; per ne-  celfltà deonfi poter le parti 1* un e dall’ \  altre feparare, e fcambiarft infra di lo-  ro , e variare, c mutare, e muovere.   Il reai numero delle parti, l’une dall’  altre in realtà diftinte , e 1’ une fuori ~ -*   dell* altre eftftenti, è il medcfimo etter  mobile, e variabile della materia: c Ia_,  fletta mutabilità , e mobilità: è il prin-  cipio di ogni attuai variazione , c mu-  tazione , e moto . Il difetto di quella rea-  le unità, che contenga il numero a quel ^ Materia,  modo , é il verace vuoto, col quale, e . -   . G 2 nel _    Di^itized by Google     wr      r *   -* u      «i*S    *    ** DELL’ANIMO   nel quale dee poter muoverli la mate-  ria: che gli Epicurei ad altra manie-  ra di fallo vuoto trafportano; e i no-  velli Peripatetici , e i traviati de’ Car-  tcfiani n:egano a torto, quello vero vuo-  to con quel falfo degli Epicurei confon-  dendo. V Annone delle parti, Fune  all altre in ordine al luogo fuccedcn-  ti , è come un fluflo , c una fuga delle  medelime per Io fpazio: la quale di fua  natura domanda I’ attuai variazione, c  mutazione, e ’I moto attuale. Il moto  allo ’ncontro egli è l’atto dell’ eflenfio-  ne, o efirapofizionc : ed è prefcnte,ed  attuai efienfione , e fuccelfione . Nel mo-  to di per fc conlìderato non folamenre  e lubricità, e flufTo , e fuccelfione di  parti in ordine al luogo; onde le parti  fieno 1’ une fuori dell’ altre allogate : ma  e altresì fluflo f e fuccelfione in ordine  a tempo; onde le parti fieno I’ unc_,  dopo dell’ altre nel tempo efifienti : di-  modo che ognuna delle parti del moto •  allora ella è, quando 1’ altre fue com-  pagne o fono già preterite, o fono per  efiere in futuro: che o più non fono,  o ad elTere non fono ancora pervenute.   Il        + 4    Y      DELL’ UOMO. 53  II che vero cdendo , come infallante-  mente è ; qual maggiore (Minzione può  avervi dell’ edere , e del non edere ?  qual più certa efclufione di quella, che  Pelle r fa del nulla, ed il nulla fa del Ee Ae-  re all* incontro ? come ciò , che c , può  mai procedere egli a contenere, ed in-  cludere quello che non è, quantunque  o fia dato da prima, o debba edere dap-  poi ? ficcome non vi ha maggior diftin*  zione dell’ edere, e del nulla , ne più  chiara efclufione ; perciocché il nulla,  che non è a niun patto, c ogni efclufio-  ne di ogni realità; e l’ edere che real-  mente è, è ogni efclufione di ogni nul-  lità del non edere: così non ci ha mo-  do più potente a diftinguere, ed cfclu-  dere,cpcr confegucnte più certo , e  più chiaro modo di efcluderc , ed eftin-  gucre ogni intelligenza di quello, che  è il moto, che perchè fia, 1’ edere, c’1  non edere congiunge inficine : le cui par-  ti deono edere tali , che una edendo ,  T altre afFarto non fono, dovendo e(Fc-  re o preterite, o future. Non eie, ne  può eflervi più chiaro argomento dice-    o nio-      cita, ed infenfatezza, della mutabilità,     J' 30é-' UHP    nn. 1 — a  \ "W" 2   •* Wa-       * >• ' le     *    Digitized by    DELL» UOMO. ^  le parti non poflbn Pune dalPaltre fce-  vcrarfi , ne (cambiarli infra di loro, ne  murarli , o muoverli in niuna guifa . J  L’identità delle parti, l’unc nelP elTere "   dell’ altre infiflenri , P unc nell’ altre pe-  netranti^ deflfo elTere invariabile , ed  immobile dell’ intelligenza , è elTa in va- #•   riabilita, ed immobilità, e coftanza, e  virtuofa quiete della mente. L’ inclu-  sone è la virtù maravigliofa , che Uri-  gne,e aduna, e contiene, econferma_. . -1   P clTcnza mentale ad eder libera, e im-  mune dalle mutazioni , e da moti della  materia , e ad elTere in quello riguar-  do invariabile, ed immobile, e quieta.   Quella identità, ed inclulione è ella il Ver 5  verace pieno della Mente, che ne i voi- Tra ma-  gari Peripatetici, ne gli fciocchi de’ Car- ta!e '  tefiani , e tanto meno gli Epicurei in-  tendere non han potuto finora. L.’infi- - ^ > Y'  llenza, ed infeifione delle parti, che ne  luoghi eftendono,ne difpergono tem-  pi , è quello che ogni corporale lubri-  cità, e fltilTo, e fuccelfione allontana^. • ** ì   dall’ elTere intelligente. Ma di cotalin- -  fillenza,o penetrazione , o inclufione,  egli è da fapere, che altra cofa non è,   che    f •.    JDigitiz’ed by Google    t    5 6 DELL’ANIMO *   che (lane l’atro, che 1’ Idea, o perce-  zione . L* intelligenza è principale ,  radicai percezione, ed Idea: e 1* Idea,  o percezione , è prefente , ed attuale  intelligenza; nella quale 1* immobilità,  cd invariabilità del mentale edere, e  1* indivilibilità , e Immortalità in chia-  ridimo lume lì difeoprono . La prefen-  te ,cd attuai percezione dell’ Idea , niu-  na parte della potenza intelligente , e  niuna parte dell’ intendevole obbierto  preterendo , o in futuro rifervando,  cioè ogni parte della cofa , che inten-  de ,infieme comprendendo tutto aduna  in un atro , ed in una prefenza di un  femplice edere indi vifibiìe . Poiché l’ in-  telligenza penetrando , ed includendo  tende all’ influenza di ogni fuo clTere^  in una unità di eflenza: la percezione  c, prefente, ed attuale inclusone, c pe-  netrazione , ed influenza. Ella è l’atto  di quella virtù, c la fermezza, c’1 ri-  pofo, e la quiete della mente, nella..,  pod'cdìone dell’ edere , c del fapere .  Non vi ha maggiore indiftinzione , ed  inclufione dell* ogni edere , cioè di quel-  la edenza, che tutto il fuo proprio ef-    DELL’UOMO 57   fere poflìede, che di fé, e delle fue co-  fc ogni nullità efcludendo , include ogni  fua realità: onde l’atto, e la prefenza,  cioè il prefente edere attuale , che ogni  realità a fe appartenente contiene , è  nel colmo dell’ indidinzione , e dell’ in-  elulione, che ogni nullità, e vacuità, e  lubricità, e fluflo, e mutamento efclu-  de. Tal fermamente è la percezione,  o idea , le cui parti sì elleno fono a fe  prefenti , che una parte eflendo , tutte  l’ altre con quella, ed in quella eder  deono fenza edenfione di luoghi , e fen-  za fucccflìone di tempi ; tutta prefen-  te, ed in atto in fe, e con fcco tutto  il fuo edere conchiudendo. Siccome il  moto edende, e (minuzza , e difperge  le parti della materia; ed è perciò eda  variazione , e mutazione : così la per-  cezione , o idea, diciam così, intende,  e conclude tutto l’ edere della Mente :  e per tanto è la dedìdima invariabilità,  o immobilità, o permeglio dire, è edo  ftabilimcnto , ed eda quiete della Men-  te . Non è nella natura, ne in Cielo,  ne in Terra unione più dretta , ne piu  intima , ne più falda, e indidblubiledel-   H la    L    58 DELL’ANIMO  la percezione: non ci è della percezio-  ne più ficuro , ne più chiaro argomen-  to d’invariabilità, ed immobilità , e di .  . quiete . La Mente che nell’ inclufione ,   ttjftmo arco - e penetrazione deir intelligenza fi di-  menio d' m- moftra femplice edere, ed indivifibile ,      faòlaìwia!' ^ cm P^ ce » penetrabile. La Materia per  la compofizione , edeftenfione,o eftra-  pofizione è divifibilc, variabile , mobi-  le : la Mente per la penetrazione, ed  ♦ inclufione è immobile, ed invariabile.   La Materia ha il fuo proprio atto della  ; , propria edenza, che è il moto: la Men-   te, ella ancora ha il fuo proprio dei  proprio edere ,che è F Idea. Nell’ eden*  dono , efcludone , variazione, e moto  la Materia dimoftra da fua cecità, ed  amenzia: e la Mente ndia'penetrazio&  ne , inclufione , invariabilità , ed, immo-  ti lì bilica    Digitized by-Google    s .    remcLa    DELL’UOMO. 59  biliti fi diicopre indiviiibiie , ed immor-  tale. Non ci ha cofc più tra fe diver-  fc, della Materia, e della Mente: non re  ci ha piu evidente contrarietà di quel- / ra U M/e-  la, che è tra l’Idea della Mente, e ’1 rìsela Mam-  molo della Materia. Ma affinchè niu •  no rivolgendoli alla materia , ed alla  mente deli’ Uomo, ed a’ mori , ed alle  idee del medefimo, non fi turbi, o eoa  tacita oppofizionc non contratti quella  nottra dimoftrazione ; promettiamo in  luogo più opportuno di quella Difputa  far vedere , come nel congiungimento  di quelle diverfe nature, e di que’ di-  verfi modi-, vie più venga adilluttrarfi,  e confcrmarfi la prefente dottrina.   Dall* eflerc indiftinto , penetrevole , * *   ed inclufivo dell’ intelligenza , e* fegue Quarta dì-  di neceffirà , che l’ intelligenza eflcr deg-  già interminata, e univerfale : come-, tdfà-Atuu  dall’ eflerc dillinto , impenetrabile , ed uc  elclufivo della materia , necefli riamen-  te avviene, che la materia debba efler  terminata, e particolare. E benché la  penetrazione , ed inclufione chiaramen-  te voglia aver con beco infiniti, eduni-  verfalitir e l’ efclufionc , ed impenetra.-   H 2 bilità    Digttized by Googk    1    60 DELL’ANIMO  bilità pur con pari chiarezza arrechi  terminazione , e particolarità, anzi più  torto la penetrazione , ed inclufione-,  paja eflere non altro, che erta infini-  tà, cd univerfalità: e 1 * efclufione , ed  impenetrabilità colla particolarità , e-»  terminazione pajano edere una mede-  lima ragione ; contuttociò quelle due  ragioni fono due nuovi rilucenti (Timi  lumi , co* quali nuovamente per nuo-  ve vie rinveniremo coll’ uno la ce-  cità , ed infenfatezza delia materia ,  e coll’ altro l’ immaterialità , ed immor-  talità della Mente . Le quali cofee’ per-  ciò conviene , quanto più c podibile ,  fpiegare ,e dichiarare paratamente. Per  ^Aeco- cominciar quindi , Univerfale c quello,  che tutte le cofe , o quelle che gli appar-  tengono , cioè tutto il numero , e tut-  ta la varietà delle differenze , forme , e  modi pienamente contiene, e sì contien  egli ciò che e’ contener dee , che le for-  me ,o le differenze per lungo ordine di  cagioni l’ une dall’ altre procedenti , e  tutte da una prima, e principale pen-  denti , effo Univerfale dee produrre-,,  eziandio. Una principale unità per altri   mezza.    Digitized-by Google    DELL’ UOMO. 6 1  mezzani principi inferiori, che indi pro-  vengono, ed ordinatamente gli uni agli  altri fuccedono, con fucceffive produ-  zioni fi eftende fino all* cflremiti degli  ultimi particolari a contenergli, e pro-  durgli. Or quella cflenza, o nozione,  o ragion di univerfale , manifefta mente  ella efler dee indivifibile,ed immateria-  le. Conciofliachè eflere immateriale , ed  indivtfibile altro e* non fia, che eflere  in tutti, e con tutti i particolari , e tut-  ti comunicando , penetrando, includen-  do, adunare in una fempliee, indi via-  bile unità di efienza, o foftanza. Senza  quella principale unità contenente, e  unificante , ficura mente le diftinzioni , e  le differenze de* particolari fminuzze-  rebbono , e difperderebbono ogni co-  municazione , e contenenza: e fenza_»  quel numero contenuto , fenza fallo  T uhità rimarrebbe ruota di ogni pie-  nezza , e ubertà . Or 1* intelligenza^  deir Uomo , che ella efprimendo, eraf-  fojtiigliando , fi eftenda da per tutto> a  imprendere ,e conchiuder tutto il nu-  mero , e tutta la varietà dell’ Univerfo  i* Iftorie, e le Scienze x eT Arti il roa-  ni fe-    y ♦    V.jt. ,    62 DELL’ANIMO,  nifdhno a chi che fia. Adunque l’Uni-  verfale ,chc non altro , che una ragio-  ne, o nozione , o Idea parendo elTere  da fé nel primo afpetto non dimoftra  realità ; li Icorge pofcia , ed è reale»,  nell’intelligenza; la cui realità il chia-  ro lume della cofcienza a tutti dimo-  ftra. E l’intelligenza, che è una reali-  tà, o reai natura, o foftanza; c pertan-  to nel primo afpetto non arreca uni-  verfalità; fcernefi pofcia aver vera uni-  verfalità nell’ idea,o nozione, o ragio-  ne dell’ Univerfalc ; la cui immateriali-  tà a tutti innanzi appretta 1* evidenza»,  della ragione . Cotal ritorno, e fcam-  bievole fomminiftramento proprio dì  qualunque più invitta, e piu illultre di-  moftrazione non intendongli Epicurei:  onde nell’ LJniverfale , che di per fe i  {blamente nell’ idea della Mente, tur-  tocche ben vi veggano indivifibilirà, ed  immaterialità; credon pur nondimeno  non più che ideale , e immaginario V elle-  re immateriale: e poi nell’ intelligenza ,  che è , e fi vede edere folo in nature  particolari , febben ravvifano univerfa-  lità; pur ii fanno a credere, che mate-  HNUti riale ,    j Digitized by Google    DELL/ UOMO. 6;   riale, e divisibile efler debba quella na-  tura univerfale ; dovendo per forza»*  di sillogiftica dimollrativa conneffione,  all’ Univerfale , per l’ intelligenxi , con-  ceder realità; cd all’ intelligenza , per  l’ univerfale donare immaterialità . Ma  egli è ben uopo quella univerfalità, che  nell’Arte, nell’ litoria, e nella Scienza  fi manifefta , deferivere più particolar-  mente : affinchè quello argomento non  paja anzi un lavoro di fantafìa , che  vero, e fermo, e fondato in Sicure , e  indubitabili realità . La nollra intelli-  genza, come ognun vede, mifura tutti  i modi dell’ eftenfionc , e diftingue, e  diffinifee tutte le forme del numero ;  onde eHa è aritmetica , e geometrica : ed  al medefimo modo tutte ancora le va-  rie fpezie , e varie operazioni delle co*  fe oflerva, e difeerne, ed eftima ; on-  de ilìorica, e fisiologica può divenire.  Non è adunque la Mente una partico-  lar diterrainata dimenfione, ne c un»*  certo, e particolar numero ditermina-  to; ne finalmente è ella certa ,e diter-  minata forma , o fpezie di quelle, O  quelle nature; ma efler dee, ed è uni>  4 P» P verfal    ftwrtl* I      Univer fatiti  deità Screma*  del P Arte , e  della Storia .      (Séif 4/.  ^4 * V        V,    '* { *    St>\     °S n ‘ cofa efplicando , e argomen-  tando: che è Io tteflo che dire, che ella  i numeri, e i peli, e le mifure, colla_,  univerfalità , dentro di.fc il molto nell*  ~ . : uno accogliendo, e il molto dall’ uno    [M    ■ v ;    ri-    »... v.    ' A: • ~ • ^    r    /+    DELL* UOMO. 69  riproducendo , diftingue , ed efprime:  ficcome con più ragioni nel noftro Vo-  lumetto Metafilico abbiam provato per  ogni parte .Ora dalla univcrfalità, della  quale abbartanza fi è favellato, trapaf-  fiamo alla necertità, ed antichità per ri-  coglierne altri argomenti.   Ma io non prendo ad ofiervare Pef-  fere necertario , per trar quindi dritta-  mente  Immortalità  nuovo, c contingente per argomentar-  ne cecità , ed infenfatezza nella mate-  ria . Perciocché agevol cola è ad inten-  dere , quanto nell’ indiftinzione la ne-  c ertiti, ed antichità ; tanto nella necef-  fità , ed antichità 1* ertere indi vifìbile ,  ed immateriale: ed al primo afpctto,  come /iella dirtinzione della materia fi  ravvifa torto novità, e contingenza j co-  sì nella novità ; c contingenza 1* efler  cieco, ed infenfato fenza molto (len-  to fi riconofce . Onde il far quegli ar-  gomenti , farebbe più torto di ciò eh*  è (lato detto, una riftucchevole ripeti-  zione , che di nuovo ingegno, una di-  moftrazione novella. Benché non porta   negarli    #    argomenti d’ immaterialità , ed * 1   salirà nella Mente : ne 1* erter    m   ■*   . ss» a        * ' -Digitfted by Google    « •K'j    « • •    . ,7© DELL’ ANIMO  negarti, che la ncccifità fopra la indica-  zione; e la contingenza fopra la diftin-  xione aggiungono una, come dicono,  nuova formalità. Adunque nella necef-  fita. fi vuol notar folamenteil primato,  .e’1 principato del proprio edere : che  è*il più forte de’ nobililfimi argomenti  Platonici, da più degli .Autori trattato  con poca dcgnità.E nella contingen-  za deefi moftrare fol la fuggezionc, e  la dipendenza , che meglio di ogni altra  cofa ne conduce a quel Vero , che nella  materia andiam ricercando . E vuolfi per  tanto dcfcrivcrc prima la necclfirà, e_  poi la contingenza: avvenendo per fimi-  glianti acribologie, che mirabilmente e  l’ idee fi dichiarino, e li fortifichino gli  argomenti. Or la neceflità, che altro è   Jìù*cbeelia fc non identità , o inclufione_  Jìa . dell’clferc in una fempliee unità; onde   l’efienza con ogni fua parte , e con fe-  co medefimaè infeparabilmente connef-  fa ? E poiché un cotal nello non può  conccpirfi che fia, fe non infra più Ra-  gioni, o elementi, o parti ; 1’ identità  dell’uno col numero inclufo;e del nu-  mero coll’ uno includente; c delle par-  ti    if. -    *    ’• Digitizec    DELL* UOMO. 71  tr del numero infra di loro in quell’uno»  medefnno, e’ farà certamente il nello  della uccelliti . E in fine non potendo»  tutto ciò edere fenza intrinfeco produ--  cimento , e fenza intrinfeco procedo  dell’ uno dall’ altro; nelj’ efienza necef»  faria , necelfiria mente eflèr dee princi-  pio, mezzo, e fine:, così che il princi-  pio internamente produca il mezzo, c’I  fine, e a quelli comparta tutto il fuo  edere , e in tutto 1* eflere di quelli fi  diffonda • e ’l mezzo , e ’l fine vicende-  volmente tutto il loro edere nel prin-  cipio rifondino , e in quello ritornino ,,  e fi ripolino . La necelfita è edenza.,  avente unità , e numero ,. principio ,  mezzo , e fine per interne comunica-  zioni indivifibilmente congiunti . E adun-  que la necelfita in fc , e con feco ,,eL-  da fe medefima , ed avendo in fc mer.  **ìzo , e fine prodotti da un principio,,  che è ella medefima ; viene con ciò  avere il primato, e ’l principato del fua>  proprio edere , da ogni altra edenza m?  quello rifguardo libera, c indipenden-  te. Dichiarate così quelle nozioni, di-'  eiamo’ che la neceflirà, o non è ella_,  MI» . a fiat-       •*       • r    v          “nitiVarl    l.    ,T>    » ;        . rx    *■-    \ uX '    T ..    (. *    V «   • Vk *• *.   K T'      -■ *-    ; v      - . • -* V ~   [ • rV‘      te.    -a    * * -V    ; u.   e procaccievolc la fcien-   onde pròve' za • Quello è dedò ficuramente tutto il  i ™ . nerbo di quel famofo argomento pla-  tonico, che T Anima dell’ Uomo muo-  va fe medelima: e perciò da fe dipar-  tirli, ed abbandonare fe (leda a vcrun__»  patto non poifa giammai. E di queiral-  tro pur di Platone , che nel primo è im-  plicato , cioè che l’Anima dell’ Uomo,*'  fia eda vita, onde il corpo fia , e li di?  t ca vivente : e per tanto finir di vivere  platonico del? per niuna contraria forza di natura non  immortaliti . poflain niuna guifa. Perciocché qual’ai-  tra cola è ella la vita , fe e* non è un«,  atto perenne , e podcrofo nelP edere, e  nell* operare? la vita è edcnza attuola,  ed atto eflenziale, o foilanziale: è ede-  re, ma perfetto, pieno, vigorofo ope-  rante : è ella altresì operare, ma faldo,  tobufto, incettante. La qual cofa uni-  camente è polla nella generazione,  comunicazione dell’ edere . Nella vita  adunque è pofleflione dei proprio cfse-    I    DELL* UOMO. 7 $  re, e del proprio operare, che fi diftin-  gue , e fpecifica nella pollone del  vero , e del retto , e della fcienza , e  della legge, col potere ad apprenderlo,  e confeguirlo : e nella pofseflione del  proprio potere, colla fcienza ad inten-  derlo, e a reggerlo colla regola. La vi-  ta perfetta è il fapere, volere, e po-  tere della mente . Ma fonovi nondime-  no certi gradi d’ imperfetto vivere, per  gli quali a quella fommità della vita  mentale, dall’imo d’ impcrfcttiflìme vi-  te fi afccnde , che altrove forfè dile-  gueremo . , > :    «     •di-    vediamo ora della Novità , e Contin-  genza della materia , e del fuo eflere^ f .  fpregcvole, fuggetro, e dipendente . Il v  che, per quel che dell’ intelligenza det-  to abbiamo , come facile a comprende-  re , preftamente in pochi motti fpedire-  roo. Siccome nell* inclufione dell’ intel-  ligenza è il vincolo della neccffità ma- . ' i   mfcfio ;cosi nella efclufione della mate- \ • • 4  ria chiaramente feernefi l’ infragnimen- >   to, e ’1 difcioglimento della contingen- ebetekj*   L * contingenza ella è sì fatta , che Z£ s l™. 1  • parti , 1 ’ une all’ altre fono rtra-   «**• K 2 mere,   • ■ , . • ' ì   . • * * Digitizeà by Google    la Mate-  ria fi fpopjia  dì ogni prin -   CÌpGtO «    7 6 DELL* ANIMO.   nierc,avveniticcie ,e nuove; ed al tut-  to ancora, che non in altra guifa, che  i* une all’ altre avvenendo, e congre-  gandoli infierae, compongono; e 1’ une  dall’ altre dipartendoli , c fegregando- -  fi, agevolmente depongono. Come  rincontro per le ragioni medefime , il  tutto alle parti Tue, onde ora è coftrut-  to , ed ora diftrutto , egli è Uranio,  nuovo, e avveniticcio. E giacche l’ in-  diftinzione decedere è il nodo infolu-  biie della necedità ; ben egli è uopo , '  che nell* ogni diftinzione- tanta contin-  genza li ritrovi , quanta non può edere  altrove. La Materia adunque per cotai  difetti non può in fe edere, ne confetf  co, ne da fe;ne può avere interni prin-  cipi , mezzi , c fini per interne comu-  nioni infcparabilmente infieme avvinti.   Il perchè non potendo muovere, o reg-  gere fe medefìma dentro di fe ; ne_,  fuori di fe altrove in altre cpfe pe-  netrare a muovere , o reggere foftanze  da fe diftinte ; è forza che ella fi ri-  manga nuda d’ogni primato , e princi-  pato di edere, c di operare, fenza lu-  me di faperc , fenza nume di volere, .   , ZT . ' efen-    Dtgitfzed by Google    DELL’UOMO. 77  C fenza fermezza di potere , di fcienza ,  di arte, e di regola fprovveduta , eie- v  ca , infenfata , inerte, informe, ed im- a  potente del tutto. Quel capo di fogge -• ' ■  zione, e di dipendenza , fecondo quel-  la generai ragione del non edere , egli  è come radice di tre più proprie,  più fpeciali dipendenze: il primo di non  intendere alcun edere, o vero; l’altro  di non appetir retto, o bene niuno,c’l  terzo, ed ultimo di non avfcre niun_»  vigore verfo niun obbietto , di muove-  nte fe medefima . E qui altresì è cofa de-  gna di maraviglia , che in quel generai  difetto, è manifefto lo fcioglimento ,  e’1 fluita della contingenza, quafi dei  non edere; onde 1* edenza , o fuftanza ^  della materia è rifolubile , caduca,  temporale . La qual contingenza fi diri-  va, e comparte ne’ tre capi fudeguen-  ti: deche nel primo di quelli c la con-  tingenza del non fapere; onde la Ma-  teria è cieca, ed infenfata :c nel fecon-  do è la contingenza del non volere ; ,  onde la Maceria è difinchinevole , ed  indifferente : e nel terzo è quella del  non potere, onde la Materia è pigra,   e feio-    Digitized by Google    78 DELL* ANIMO   e fcioperata . Quello egli c tutto il fà-   yf reomento mofo argomento Ariftotelico di là pre-  Anjtotelico rii r r •   dciu Divini . *° » che qualunque corpo fi muova , e    ta    debba da altro corpo efler moflfo : on-  de per non procedere in infinito , abbia  ad efTcrvi un primario principio, da fe  movente il tutto . Conciofliachè , come il  potere della Mente ritorna nel Capere , e  nel volere, per gir colla cognizione ver-  fo il vero , che fi conofce , e coll’amore  verfo il rètto, che fi appetifee ; così il  non potere della materia fi ellende al  non Capere , e al non volere il vero ,  che non s’ intende , e ’l buono, che non  fi vuole . Adunque come nella coCcien-  n za dell’ Uomo ,da que’ tre principi del»-  trìnci} j men - le tre poteftk mentali fi perviene, a co*  **• noCcerel’ Immortalità della mente dclP  Uomo; onde poi di più conoCcijmo la  cecità , ed inCenCarezza della materia; co-  sì nella conoCcenza, che abbiamo della  Materia, fimilmente da’ tre principi de*  vizj materiali , fi comprende la cecità  di quella Coftanza , e 1* inerzia , e 1* in-  differenza, ed impotenza:* onde poi ve-  gniamo a conoCcere 1* infinito Capere,  volere, e potere della mente del Mon-   do.    De*    Dlgitized by Google    DELL’ UOMO. 79  -, do . Imperocché il primario generai ca-  po viziofo, ci mette dinanzi agli occhi Come da tre  il difettofo lubrico edere della Mare- ^{Tcomjce  ria: onde argomentali infinita efl'enza , l’impotenza^  che l’abbia dovuta trarre dal nulla. Il  primo fpczial vizio del non Capere, ne zadeltaMe * h  fa intender chiaramente il difordinato, Um  ,c turbolento, ed informe edere della_,  medefimajonde fi argomenta infinita  lapienza, che coftanza, ed ordine, e— ;  .forma le abbia donato. Il fecondo, e’I  terzo del non volerete del non potè- *>- ,   re, fa veder l’ edere materiale del tut-  to impotente , ed inetto: onde fi racco-  glie dovervi edere Comma benevola po- vV t-  teda, ed onnipotente Nume, che drit-  ti, e fruttiferi inchinamenti , e moti le  abbia conceduti . L’ uno , e T altro è egli  un ben triplicato argomento dell r Im-  mortalità della Mente dell’ Uomo,e_  dell’ efidenza della Mente del Mondo •  c della fuggezione , e dipendenza della  Materia particolare dalla Mente parti-  colare dell* Uomo; e della materia uni-  verfale mondana dalla mente univerfa-  le del Mondo. Il quale Aridotelico ar-  gomento nondimeno , menti tenebrofe,*   v altri      • • «■   4W4    ■'   i A .->***«*  Vii*.    T-'    . * »    > I '    QigitizcKt-ty    v»^***Ó * 1  . ■ -»   -* ‘,i fc    Cowf /* della Scien-  za ,   mento , quel Filofofo riftretto dentro  de’ confini deli’ attività del fenfo dalle-,  materiali origini, che in quelle ofeurt-  tà, e in quelle anguftie poflono parere  e’ prende, e così efprime ne’ feguenti  ve rii . -m* j w*     DHLL’ UOMO 85   Tum cum gìgnimur , & viu cum limen humus :  i&wrf ftu conveniebat , uti cum corfore , cìr «nà  Caw membris videatur in ipfo fanguine creJTe ;   velut in cavea per fe Jìbi vivere folam  Conventi , ut fenju corpus tamen affluat orane .    Siccome contro all* efiftenza della».  Mente univerfale , 1* argomento , che  dalla fenfuale origine del Mondo trag-  go* 1 più i novelli , che i prifehi Epicu-  rei, cioè che nell’Uomo, e nel Mon-  do, altro che *1 corfo de’ penlìeri loro,  ed altro che la mole, e i moti della  materia non veggendo ; nell’ Uomo al-  sfro che un fugace penfiero , e nel Mondo  altro che mobile materia non elTere ar-  gomentano ; quell’ argomento , dico,  per quella fola dottrina delle due fpc-t  2,c di foftanze , c di origini , fenza far  altro, rimane fviluppato,c fpianatoper  ogni parte. Perciocché, fe niun di lo-  ro, non convinte prima di vanità le fpi-  rituali follarne, e le fpirituali origini ,  che con chiari , ed invitti argomenti  abbiam dimoflrate, crede di premerci  ancora coll 'apparenze delle origini fen-  dali ; egli è Scuramente uno feempio.   ■*** Con    at ti    8 6 DELL’ ANIMO v   Con tutto ciò e’ fa di meftieri , che  quelle inviabili origini in quello luogo  in alcun modo almeno deferivamo .  Adunque poiché 1* eflfer neceflario , e_  T efler eterno fono i primi , e più cer-  ti, e più fplendidi lumi dell’ umana co-  gnizione; e poiché 1' infolubilc della.*  neceflità, e 1’ antico dell’ eternità fon  proprie doti dell’elTenza indillinta , pe-  netrevole, e comunicante; e* non altro-  ve , che nelle tre principali forme del  fapere,del volere , e del potere indi-  ftinzione , penetrazione, e comunicazio*  ne può rinvenirle d’altra parte e* non  ci ha cofa più fparuta, e vana, e fug-  gevole della contingenza , c della novi-  tà , le quali quanto dal vincolo della_*  neceflità, e dal primato dell’ eternità li  dipartono , altrettanto dall’ edere, e dal  conofcere fi allontanano ; e come la no-  vità , e la contingenza fono proprie.,  dell’ cflenza tutta divilìbile , e impene-  trabile della materia, così alla medefl-  ma materia la neceflità, e antichità, o  eternità fono improprie, e repugnanti;  e finalmente poiché non altrove 1’ ogni  diftinzione, colla divifibilità,e impene-    dell; uomo- sj   trabilità ritrovali, che nella cecità, in-  differenza , e impotenza materiale; Poi-  ché, dico r tutte quelle cole per luci-  dilfime nozioni, e per certilTimi argo-  menti fon vere , e manifelle , e con-  te : egli è in ogni modo da dire, che la  neceflità, e V eternità non già nel vuo-  to^ nel nulla, ma nel pieno, e neH’cf-  fererne nell* edere della materia difttn-  ta, divifibile , impenetrevoFe, e con-  tingente, e nuovo; ma nell’ edere del-  la mente, fndiflinto, indi vifibile, pene-  trevole, necelfario, ed eterno, lì deb-  bano allogare. Anzi che la neceflità ,  ed eternit* fiano Ta fteflìflima mental  natura primaria, e lovranare che FjLj  M ente prima altro ella non ITa, cheef-  fa neceflità, cd eternità, di Capere, vo-  lere , e potere dotata . La quale per  Letìfere necelfario, ed eterno, da uni-  co , fupremo , libero , e indipendente  principio' del fuo elfere , che è l r ogni  eflfere fpiritnafe ; e dell’ elfere della ma-  teria, che è l r ogni edere corporale, cut  abbia ogni folhnza , ed ogni potere con-  ceduto, ed apprettata ogni forma. Por,  perchcogni particolare alfuouniverfale,   come    88 DELL* ANIMO '  come a Fonte rivolo fi dee riportare ;  Umilmente è da tener per fermo , che-*  come la materia dell’ Uomo dall’ im-  menfa felva dell’ Univerfale materia el-  la è tratta ; così la Mente particolare  del medefimo ,dall’ infinito potere della  Mente univerfale è provenuta . Ma la  Mente dell* Uomo, benché ella è in al-  cun modo di neceflità,e di antichità  partecipe , e delle tre forme ornata ;  onde può fignoreggiare la Materia, e di  -vita, moto, fenfo, c d’ideali forme fi-  gnificanti cogitative , e fenfitive fornir-  la ; tuttavia perchè ella è finita , e par-  ticolare, non può dominar la Materia,  ne con produzioni di foftanze, ne con  introduzioni di reali forme. Dal che li  raccoglie efler dritto della Mente uni-  verfalc, che ella, come ha prodotta, e  moda, e moderata la Materia univerfa-  le per la formazione di tutte le fpezic  delle cofe mondane, ad edere; così pa-  rimente abbia prodotto, e moda, e fi-  gurata la materia particolare per 1* in- *  formazione , onde fieno l’idee, e forme ■ .  fignificanti a fentire,e a conolccre . Nel  qual noftro diviiamento è pure , a mio   * giu-   #   » ;   # • i   / • . . **   ? * .   .‘^fliqitizedjay. Google     DELL’UOMO. 89  giudizio , memorevole un bel cambio  di libertà, e di dipendenza tra la Men-  te particolare, e la particolar materia  nella coftituzione dell’Uomo . Imperoc-  ché la Mente , comechè per le tre for-  me mentali aver deggia primato, liber-  tà, ed indipendenza ; con tutto ciò per-  chè è terminata, e particolare, non può  ella da fé trarre la Materia al fuo con-  sorzio, ed alla compofizionc dell’ Uo-  mo: onde per la particolarità , e termi-  nazione, ella è in quello ancora, e fug-  gett 3 ,e dipendente : e la materia, ben-  ché per le tre forme viziofe materiali ,  di Tua natura fia dipendente , e ferva ;  nulladimanco , perchè è ella con tan- '  to ingegno formata, che debba eflcrc  informata al fenfo , ed alla cognizione ;  è libera , ed independente dalla materia  univcrfale . Conciollìachè quella forma,  che è magifterio di Sovrano Sapere , non  Solamente la Sottragga alla debolezza ,  cd alla cecità della materia, ad ogni al-  tra formazione di per Se impotente ;  ma oltre ciò la debba diftinguere , e Se-  gregare dall* univerSal Seminario , e dal-  la formazione universale dell’ altre co-   •M Se.   ' ¥      ri.      1    »     t . Digjtized by Google   > • • : ^    4 »    Vera orìgi-  ne dell' Uomo  rintracciata  col lume del-  la filofofia .      Origini ma-  faiche ezian-  dio all’ umano  faPere chiare ,  efuminofe .      90 DELL» ANIMO  fe . Sicché per quelle vie vienfi a co-  nofccre eziandio, che dalla mente uni-  vcrfale, non già la fola mente partico-  lare per creazione; ma infieme la par-  ticolar materia deir Uomo, quanto al-  la formazione , immediatamente è do-  vuta procedere . Quella è ella 1* origi-  ne deir Uomo, che con quell’ altra del  Mondo giunte infieme , fono il vero  pieno, perfetto, armonico , e maravi-  gliofo delle facre origini mofaiche, con  ogni ragione ,c con ogni legge , c rego-  la concordi : quanto ofeure a’ baffi , e ca-  liginofi intelletti , tanto a’ fublimi , e  purgati eziandio dentro i confini dell*  umano faperc Iuminofe . Laddove e»,  manchevoli, e difordinate, ed inette ,e  da ogni ragione , e regola difeordanti ,  le origini di Diodoro, e di Lucrezio, e  d’ altri fenfuali Filofofanti , anche al lu-  me del mondano fapere per falle fi ri-  conofcono .   Per fare come un Epilogo delle co-  fe della natura dell’ Animo finora de-  putate ; prima abbiam provato , che*.  1* Animo è ineftenfo, e penetrevole .  Secondo , che elTo è immobile, ed inva-   ria-    *    . Dinlti7    #    DELL* UOMO. 9 i  riabile .Terzo, interminato , ed umver-  fale T abbiam dimoftrato ; inquanto Tini-  mobilità , e T infinità fi oppongono alla  mobilità, e finizione materiale . Quar-  to , che e’ debba avere dell’ edere ne-  ceffario, ed antico . Quinto , ed ulti-  mo che egli abbia libertà , cd indipen-  denza , e primato , e principato del  proprio efTere , e dell’ alrrui . Da tut-  te , e ciafcuna delle quali ragioni egli  fi è conchiufo , dover T Animo in__.  ogni modo edere immateriale , ed im-  mortale. Di più colf ultimo argomen-  to del primato , abbiamo feoperta la va-  nità di uno de’ principali argomenti dell*  Avverfario . Ma quante ragioni abbiamo  allegare, per convincerne della diverfi-  tà delle due nature dell* Animo , e del  Corpo ; e per conofcere T edere fpiri-  tuale,ed Immortale dell’ uno, e T eder  cieco, ed infenfato dell’ altro ; altret-  tanti oftacoli pare che dinanzi ci fiamo  opporti , per non intendere il concorfo,  e la congiunzion loro a coftituire un_i  principio di edere , e di operare nelT  Uomo. Imperocché quanta fra quelle^  due nature è diderenza nella foftanz#  Mto* M 2 dell’ ci-    *» DELL’ ANIMO  .deir edere , e nella maniera dell’ opera-  re; altrettanta ripugnanza pare dover-  vi edere ad unirli infieme alla coftitu-  zione di una natura . La qual diflicultà  ella è tale, che come l’altra dell’unità  dell’ edere, e dell’ operare dell’ Uomo ,  prima ha fofpinti gli Epicurei a credere  che l’animo, e ’l corpo fiano una me-  defima natura; così la difficoltà del po-  tere edere due nature diverfe , gli ha»,  poi nell’ errore vie più confermati .  Gonciodiachè prima fi prefentò loro in-  nanzi quella unità , onde facilmente»,  ConcKiufero la dmiglianza delle due na-  ture : e pofeia contro ad ogni più forte  argomento, che l’animo di altra natu-  ra dover edere dimoftrade , han fatto  riparo con quella ripugnanza : che na-  ture cotanto diverfe non potelfono con-  venire infieme a comporre una medeli-  ma eflenza . Sicché tutti gli argomenti  della mortalità da quelli due capi , che  ora abbiamo additati , difendono . Ed  ancora quella immaginata ripugnanza ,  cotanto ella ha potuto fopra lo fpirito  di alcuni moderni Filofofanti ; che per  le loro vie , e giuda i loro principi ,    1    DELL’UOMO. 93  non potendo eglino unire infieme lana-  tura fpirituale, e la corporale a formar  1 ’ Uomo , fonofi rivolti a voler riftrin-  gere, e rinferrare la foftanza dell’ Ani- irrori di  mo chi ìh una parte , e chi in un* al- t&StS.  rra acl i^elabro ,come già argomentato tomo alta Se.  avea Lucrezio, che dovette farfi ; ******   T animo di fuori venitte a compor l’Uo- *  mo , e non gii col corpo da fimiglianti  principi nafcefle . Or chi crederebbe -  che anzi quella diverfirà è ben ella la ,  cagione, onde la natura fpirituale, e  la corporale fono inchinevoli, e prette  a convenire infieme , o nel mondo alla  formazione per lo produci mento di tut-  te le fpezie materiali , o nell’ Uomo a  produr 1* Uomo, e le forme fenfitive,  e lagionevoli all informazione? 1 cotan-  to egli è vero, che P inveftigazione ,  dal principio male avviata, per tutto  il corfo, poi fino alla fine fa traviargli  Uomini dalle verità, quantunque age-  voli, e piane. E per difingannareognu-  no, noi dicemmo gii, che la Mente 7  per 1 inclufionc , o penetrazione è ella *  i n S e & nj °fa f attuo fa y operante; e per la  raedefima cagione è altresì invariabile,, •   w ^ «P«   • f    I   DigitizóJ by Coogle    514 DELL* ANIMO,  e per così dire,impallìbile, o impazien-  te: e che la Materia, per l’ efclufione ,  o impenetrabilità è infenfata, viziofa ,  fcioperata ; e per tanto è oltre ciò mu-  tabile, e per così dire, paflibile , o pa-  ziente: poiché immobilità, ed invaria-  bilità, che della Mente c propria, egli  c il medeiimo , che impaflibilità , o im-  pazienza: e mobilità, o mutabilità, che  della Materia efler propria dimoftram-  mo , è lo flelTo che pazienza, o paflibi-  lità. In quella impaflibilità , per cui la  Mente non può edere moda, mutata,  o variata, e* può parer vizio, o difet-  to , e nondimeno è virtù: e propriamen-  te ella c l’atto pieno, perfetto , vigo-  rofo, onde la Mente è, ed intende tut-  to ciò che eder dee, ed intendere: ed  infieme produce ad edere , ed efprime  a conofccre ogni foradiera edenza. E  così la padibilità, o pazienza, per cui  la materia non è immobile, e invaria-  bile , può parere virtù ; e tuttavia è vi-  zio: e propriamente ella è la potenza  vacua, imperfetta, inferma, onde Ia_#  materia non ha proprie forme di ede-  re , ne d’ intendere ; ne di produrre, ne    *    DELL’ UOMO. 9*  di efprimere realità, o idee nell’ altre  cofe . E ficcome V atto mentale , che-  per 1* immobilità fembra dover edere  infertile, ed informe, dalla fua unitali  conduce alla moltitudine, a produrre-,  molte , e varie forme di edere , e da  intendere nella variabil materia ; così  la potenza materiale, che per la mobi-  lità par dover edere fertile , e formo-  fa,da fe trafcorre ne’ difordini,e negli  errori . Ma ben ella dalla moltitudine  all* uno,, cioè ar conciglio, all* ordine ,  ed alla forma eder può condotta per  forza, ed ingegno della Mente , La_*   Materia da fe non ha forma , ne atto ^nzTddl^L  alcuno; ma per quello appunto ella è virtù della-*  tutta capace, ed abile a ricevere ogni ^detuM^  forma, ed ogni atto. La fodanza eden- mia..  fa, rutta didinta , e di viflbile della ma-  teria , che in dividendo o non mai ad  alcun termino perviene, o termina in  indivifibili edremità: quanto per quedo  ella apparifce mobile, e variabile ; tan-  to s’ intende eder pieghevole , ed arren-  devole , ed odequiofa a prendere tutte  le forme , e i modi,, che *1 fapere, e  volere mentale può ritrovare . Se la^   ma-     Digitized by Google    9 6 DELL’ANIMO  materia non forte tale qual’ è , eftenfa ,  impenetrabile, divifibile, e variabile in  ogni modo ; non potrebbe ella efler ca-  pace a ricevere forme, ne reali operan-  ti nel Mondo, ne ideali lignificanti nell’  Uomo . Se la Mente non forte ineften-  fa, indiftinta, immobile , ed invariabile;  non avrebbe ella ne potere , ne inge-  gno di forme; ne potrebbe aver virtù,  ne modo d’ informar la materia . La_.  leggerezza , ed incortinila, e variabili-  tà, ella è della abilità della materia ad  erter formata, o informata. La fermez-  za , e cortanza , ed immobilità , ella è def-  fa virtù della Mente a formare , o in-  formar la materia . La Mente per la  virtù, che è il fuo atto, è principio del-  le cofe operante . La Materia per lo di-  fetto, che è il fuo edere potenziale , è  principio delle cofe, per così dire,paf-  fivo . Quella è la più rimota attitudine ,  e capacità della materia per la produ-  zione del Mondo, e per la cortiruzione  dell’ Uomo a concorrere, e a congiu-  gnerfi colla Mente. Ma altro e* fa ben  di meftieri , che polTa edere vicino appa-  recchio a sì grandi opere maravigliofc .    /I DELL* UOMO. 97  La Materia , fecondo l’ opinione di  coloro, che nell’inizio delle cofe vo-  gliono il vuoto , dee edere fcompiglia-  ta, e fparfa in moti difordinati , e tur-  bolenti : e fecondo 1* altra degli altri ,  che noi vogliono, dee darli immobile,  e fcioperata: nell’uno, e nell’altro fi-  ftcma ad ogni formazione inetta , ivi per  lo fcompiglio,e difordine, che proi-  bire ogni fruttuofa compofizione , equi  per 1* immobilità , e fcioperaggine, che  toglie affatto ogni sforzo ad ogni in-  traprefa. Il perchè gli uni, e gli altri  per viediverfe s’ingegnan di adempier  quei difetti della materia, e di appa-  recchiarla, e condurla alla formazione .  Ma lafciato da parte dare il contrado  di quelle rimotc origini , che qui non  ha luogo; egli è certiflimo , che la ma-  teria di per fe impotente, ed infruttuo-  fa , con due condizioni può pervenire a  comporfi , e variarli , e a comporre , e  produrre i var j frutti delle varie fpezie  delle cofe. L’uno è il contatto, che_  aduna le parti ; l’ altro è il confenfò , o  concerto , che unifce infieme i movi-  menti. La Materia quando ha le parti   N con-    Due condi-  zioni necejpi-  riea compor-  re , e Variar  la Materia •    ;     98 DELL’ANIMO  congiunte in un lol corpo , e i moti  cofpiranti in un fol moto; allora è ella  nel colmo dell’ eflere variabile , e pie-  ghevole , e offequioSo . La Materia pria  Sminuzzata , e raffinata , colle parti in-  ficine accolte , e co* moti tutti in uno  convegnenti , ha la maggiore Squisitez-  za dell* eflere paffibile, o paziente, che  è,o a raflomigliar l’ idee mentali moda-  li , o a congiugnersi con idea Softanzia-  le, la più vicina , e più pronta diSpofi-  zione. Imperocché in quello fiato, con  quelle doti la materia in certa guiSa al-  lora è con Seco , e da Se , ed in Se : ed  ha il primato , e *1 principato del Suo  proprio eflere , nel tutto le parti adu-  nando; e ’l tutto alle parti eftendendo ;  e le parti fra loro, e col tutto infieme  giungendo : ficchè ne moto in una par-  te può SuScitarfi , che per tutte V altre  parti non diScorra , e per tutto in ogni  lato non fi diffonda ; ne modo , o for-  ma può imprimerli in una parte , che»,  ad ogni altra infiememente da ogni ban-  da non fi comunichi . Con che la ma-  teria tanto all* eflere mentale fi avvici-  na , che ben può tutte le idee dclla_.   UBeJÈt ■ • men- .             •jJ, iwO   '   • »** j.v»W    DELL’ UOMO. 99  mente agevolmente cipri mere , e tutti  i numi prontamente efeguire , c la fu-  ftanziale idea fecondare , e con quella  Erettamente collcgarfi acoftituir l’idea,  e ’1 nume dell’ Uomo . Colla copia , e  col contatto delle parti , e col confcn-  fo, ed armonia de’ moti, la materia ha  tutta la felva, c tutto il potere , e tut-  ta l’abilità per appreftare a Mente fu-  periore tutte le forme delle cofe , colla  produzione di tutte le fpezie mondane^  c per appreftare fe medefima a Mente  conforte , per la coftiruzione dell’ Uo-  mo, col producimento di tutte le for-  me ideali fenfirive, c ragionevoli.   Ma per deferivere più particolarmen-  te la maravigiiofa unione delia Mente,  e della materia nell’Uomo, non già per hmfrabÙZ^,  confermarla, che di già abbiam fatto ;  è uopo affifarci ad oflervare le opera- t^Materi  zioni dell’ animo noftro : che giufta il nell'Uomo  veriflimo volgar principio, quale 1’ ef-  fer delle cofe, tale ancora è l’operare:  e vicendevolmente qual è quello, tale  efter dee quello infallantemente . Quan-  do l’Uomo apprende le forme fcnfibili  della materia circoftante ; e in appren-  . » N 2 dendo    Sì prende  ad adombrare -    Digitized-by Google    .t i»    . : * \      100    f:    .. ^ Coro* Al-»   . A lente apfrc-   r da le formai   ì • de' fenjtbili   obbietti •    li       *    '> 3 - 4 »    E; V '     DELL* ANIMO  dendo quelle forme da* piccioli indizj -,  c rudimenti negli organi de* fenfi intro-  dotti , come altrove abbiam ricordato,  le difpiega , e dilata ; certamente allo-  ra la mente nodra , e raccoglie in uno i  numeri , ed adegua le dimenfioni , ed  efprime le modificazioni della materia .  In quelle fcnfuali figurazioni la mente  ha per fuo oggetto la materia formata ;  e in quell’ edere della materia, diciatti  così, obbiettivo, la mente fi congiugne  in alcun modo colla materia ;ficchè or-  nandoli delle di lei forme , dentro di fc  nel fuo eflere eftende , fpiega , e figura  la material fodanza . Similmente quan-  do da’ geometrici elementi , e dalle-,  combinazioni, e da’fillogifmi , la Men-  te dell’ Uomo da fc giugne a trovare  forme artificiose , da trasmettere nella  materia ; quelle forme medefime , nel  fuo medefimo edere codruifce ; molti  particolari in uno , cioè nell’ una* fua_.  Semplice , e indivifi&ile edema , eden-  Stoni, figure, e numeri effigiando . Adun-  que nelle mentali nodre operazioni, due  cofe quanto certe , tanto memorevole  intervengono* L’una è, che la Mente      con      Vf.    V   M      * Oigitized by Gòogie      • -    VÙk' i, %    dimento . Per quello novello fiflema.»  coflrutto fopra faldilfime fondamenta ,  S* intende bene quali fieno i principi  . ; . LHj dell* Uomo: e le maniere dell’ operare ,  utilità del come colle più interne, e più fecrete  nuovo fijiema guife dell* eflere mirabilmente confen-  tano : e la Mente dell’ Uomo , e dell’ U-  niverfore la materia dell’ uno , e dell'  altro: e TofTequio di quella, e di quel-  la materia :c la virtù di quella Mente,  e di quella ; dell’ una a formare , e dell'   altra    ■*, A.    \    :: JL ■*:    Digitized Grtogl»    • . \      DELL’UOMO. io 5   altra ad informare, con mille altre ve-  rità finora alla maggior parte degl’ in-  gegni nafcofte , vegnono a conofcerfi  chiaramente. Sopra tutto per quefta_r>  dottrina , 1* argomento di Lucrezio , che  dal confenfo dell’animo, e del corpo,  il contatto di quelle foftanze ; e dal con-  tatto l’uniforme natura di amendue*. Vucrezio.  vuol concludere ;'nel quale tanto con-  fìdanoi novelli Epicurei ; fi difcopre-chc    Secondo  argomento di    | / l   'egli è ufeito dal più cupole più rene-  brofo fondo dell’umana ignoranza . L’ar-    gomento è efpreflo in que’ verfq : - hit. Uh        H, *tm   e. L bt. enim propellere membra ,    «-    f I.v ’ -   Corpoream docet effe. Ubi. enim  Corripere exjomno corpus , mutar eque vultum ,   Atque hominem tqtum regere , ac ver far e videturz   {Quorum nil fieri fine ta8u pqffe videinus^ '1   J«M! r i t.*V. ‘.   &   ^ i.   H£ t. ‘ fi    io 6 DELL* ANIMO   mentale, che è la penetrazione, e i’ in»  elulione . E che 1’ eftenfione, la fuccef-  fione, e ’l moto con quel contatto , e  con quel contenta, fono il più pronto,  c predo inchinamento, ed olTequiodel-  la materia. E in fine, che P oflequio ap-  prettato con quelle condizioni , e’1 pò-  cere efaltato con quelle doti , fono la  maniera più adattata, e più conface vo-  le di unire infìeme la Mente , c la Ma-  teria alla coftituiione dell’ Uomo .   Ma fe Lucrezio colla feorta de’ tan-  fi non potè penetrare in quelle profon-  dità ; almeno dalla poteflà , e dall' im-  perio, che P Animo ha fopra il corpo,  potea coll* efempio d* illullri Filotafi  alcuna cofa argomentare di più prege-  vole, che non ha fatto. Tanto più, che  quella prerogativa cosi bene efprirae  in quelli verta : 0   Citerà pars arùieé per totum dljjìta corpus   Paret, & ad numen mentiti momenque movetur :   ' a* * - • ^   \dque Jìbi Jolutn per fi fipit , cSr fibi goudeti   Cum ncque res animami neque corpus commove t ulta •   Concioflìachè lo fptendore di cotal   prin-      Pigitized by GoogU      • • . , tn«  » wn    io8 DELL’ ANIMO  folo , ma tutti in un colpo avrem ricili  i nervi di tutta 1’ argomentazione Lu-  creziana . E benché con dimoftrarc lo  fcambievole inchinamento , c combacia-  mento di quelle nature , fi è in parte-,  (pianata la difficultà ; tuttavia ci c altro  da dire ancora , per farne da prcflo ad  offervare quella maravigliofa unità. Nel  fenfo , e nella cognizione dell’ Uomo ,  o per la percezione delle efterne for-»  me, o per la concezione dell’ interne  idee ; egli è da por mente ad una cola  affai memorevole , che non fi è finora  nelle bocche udita , ne su i libri letta  delle novelle famiglie de’ Filofofanti :  cioè, che quanto da noi , o concependo  fi penfa, o con percezioni fi apprende,  tutto dee effere in fé raccolto , accon-  cio , ordinato, e comunicante: e nien-  te , che o diflìpato fia , o confufo, o  difcordantc , può ne effere efpreffo da-  gli edemi obbietti, ne per interne idee  figurato . L’ obbietto del noftro fenfo ,  e della noftra cogitazione , proporzio-  nevolmente fecondo che più , o men-»  vive , e chiare fono le fenfazioni , e le  idee , egli de’ bene effere ordinarameu-  • j , . ■ i * o te    — . Digi^ed by GoogUf    DELL* UOM O. .109  te confetto , c congegnato: licchè le par-  ti ciafcuna al fuo luogo adattate, etra  loro congiunte compongano ciò che_  deono comporre: e poi per lo moto, il  tutto colle parti , e le parti col tutto , _ .   ed infra di loro, comunichino infieme  vicendevolmente . Imperocché, come  altrove è flato detto , qual’ è nella Mcn- OlfaV è la  te la penetrazione , e 1’ inclufione ; tal’ L///ES,  è il moto nella materia: onde la pene- limato  trazione, un moto della natura fpiri- ne ^ t,AaUr,a '  tuale fi può dire che fia ; c ’l moto all’  incontro una penetrazione della corpo- '  ralc. Oltre a ciò la confettura, e’inu-  mero, e le dimenfioni con arte voglion  ettere difpofte: ed in numero , c mifu-  ra regolatamente vuole il moto per tut-  to da un capo all’ altro trascorrere :e di  quindi nella fua origine ridondare: e-,  tutto ciò variamente, fecondo il vario  ingegno , c ’l vario modo delle cofe .   Conci oflìac he , come nell’ efprelfione_*  dell’ efterne fignificazioni , o azioni , - »   tutto l’ ingegrio, e tutto il movimento  vien da fuori , e fi riproduce nel fenfo  dell’Uomo; così nelle figurazioni inter-  ne, a formar 1* opere dell’ arte , tutto   r in-   V /   I* *   Digitized by Google    /    JT     Luce , e le-  nebre che fia-  to elle.    I     ,no DELL» ANIMO  T ingegno, e ’l movimento dall* inter-  no fenfo dell* Uomo provenendo, nel-  le materie efteriori pofcia fi diffonde .  Fermamente ove è diflipamento , tu-  multo , difordine , e difeordanza , qui-  vi ci ha egli un chaos tenebrofo al fen-  fo , ed all’ intendimento dell’ Uomo : ed  ove è adunamento , ordine , e concor-  dia con vigore , ed attività; ivi èchia-  riflima luce . Sicché le tenebre non fi  può dire, che altro elle fieno, fc noru»  che difordine , e dilpergimento , e di-  feordanza di parti, e di movimenti: e  la luce all’ incontro ben fi può crede-  re , che altro ella non fia , che piena ,  vigorofa, ed ordinata comunicazione di  modi , e di moti . Perchè la Mente dell’  Uomo è ragione, ordine , regola, vir-  tù, ed atto penetrevoleje le operazio-  ni mentali, fono elleno o elementi, o  congiungmmenti , o fillogifmi di feien-  ze , e di arti ; non può per tanto la».  Mente altrimenti operare , che fimi-  glianti modi ordinati, e ragionevoli, ed  attuofi, e penetrevoli, o per le forma-  zioni producendo, o riproducendo per  1* efprelfioni. Cioè adire,ficcome ali*    in-    Bigiteed by Google    DELL’ UOMO. in  intendimento noftro fon naturali , e prò- „ >  prj gli elementi, o generi, le combina-  zioni, e i fillogifmi dialettici, metafifi-  ci , geometrici , ed altri d’ altre Facol-  tà , e Scienze, che tutti dal copiofofon- **  te della foftanziale, ed univerfal ragio-  ne , eh’ è della Mente , produconfi ; così  folamente le acconcie,ed ordinate, e  ragionevoli , e penetrevoli forme,  modi , ancora dell’ efterne fignificazio-  ni , ed azioni fono al medefimo inten-  dimento adattate, e proprie: e feonve-  nevoli, e fconcie , e difadatte , e per  confeguente infenfibili , edifintendevoli  fono le cofe difordinate , e feompiglia-  te, e difeordanti . La qual cofa , per  quello tante tolte da noi ricordato  principio , che qual è delle cofe Fede-  re , taf è T operare , è affai chiara , e ma-  nifella . E come le Scienze, e 1* Arti  fono ampliarne tele di ragioni, e di mo- ze te e /^ m  di, e lavori con penetrevole comunio ■ fino mfiìffi-  ne conteftej e le fignificazioni efterne ,  che figurano, c fiedono il fenfo , firnil- * *. ^   mente con forme, e modi, e moti mi-  furati, e comunicanti compongono di  cofe fatte, o nate la Storia ; così è da   tenere •    Digitized by Googl    ii2 DELL’ ANIMO  tenere per fermo, che Cielo , Terra,  Mare, e tutta la macchina mondana, di  elementi, e di congiunzioni , e fillogif-  mi aritmetici, geometrici , e fiatici co-  ftrutta; e di copiofe,e vigorofc forze,  e moti fornita, da un principio per tut-  te le linee fino all* ultime eftremità ,  per continuata ferie gli uni dagli altri  procedenti , tutra confcco medefim.'L,  comunichi, e in fe medefima fotti Ita , e  da fe a fe , da’ principj a mezzi, c fini,  virtù, c vita fommimftri . I quali modi,  e mori j maeftrcvoli ingegni di fovrana  fapienza , ne’l fenfo noflro, ne 1* inten-  dimento può diftinguere , e fccrnere a  . V niun patto: e chi di proprio ingegno a  s ^ fuo modo di fingergli ardifce , egli è  \ certamente un infano. E per li quali   modi, perchè ordinati, e ragionevoli ,  .la materia è, per così dire , fcibile; e  è non per fe fletta : perchè d i fe flef-   f er onevor*' c ^ a ® inferma ,ed informe, dal divi-  ìntlol no Platone per tal cagione condannata  duce la Men . a rimanerli in perpetue tenebre fe pot-  rà . Ecco adunque del conofcimento  dell* informazione un aliai notabile pro-  fitto . La Materia dell’ Uomo , per ordi-  « ne.    ■/ * ■    ir .    • Qigitizqd'by    m    9 k ì.ì      DELL’ UOMO. P  ne , ed incatenamcnto de' principi , mez-  Zl , e fini , tanto nella fabbrica dell' or-  gano .quanto nell’ influenza del moto,  ella e comporta con tale ingegno, che  tutta m fe infittente, ed in fe raccolta,  e per tutto operante, e rivolta ad ap-  prendere le forme efterne degli obbiet-  ti elterni , e a produrre l’ interne degl’  interni : e fecondo querte , e quelle , che  fanno un concerto di lumi a profittar  nella icienza, a regolare la vita , c ad  operare nell'arte . L* altre naturali com-  polizionl, e l’univerfo medefimo della  Matura , non fono in altro modo , che  per e fiere efpreflTe da idea nel fenfo , c ^ :   ne i a n.°f; ta210ne: ma Ia magnifica ope-  ra dell umano comporto è tutta ordi-  nata ad efprimere, ed apprenderle co-  le. Il corpo organico è un arrificiofifli-   P/ r ef P rimere , e raflbmiglta-  re tutte le forme, e apprendere e fUn ca ** cor t°   bile Tfl ,e - azi** ^   de fpeciofi , ed attuofi obbietti circo- ^   flanti . La materia dell’ Uomo a quel   modo coftrutta , e modificata è infine   una mente materiale . Adunque la Men-   P te.     : y    . \   «    > ■   ♦ «    _ iDigitized by Google    r unità diir  Uon w.    1      ar    ri4« DELL’ ANIMOI   tc , modificata fecondo quella ordina*  fì fwV» ta » c ragionevole modificazione del cor-  po organico, in primo luogo fente , o  avverte quella fua modificazione : e per  tal cagione , e in oltre per 1* intima^,  unione , avverte ancora, o fente laMa-*ì  teria congiunta. Conciofliachè quanto  quel modo V è apprettato dalla formai  corporale; tanto ella da fe per naturai  virtù lo produca : ficcome appunto av-  viene nelle minute, e variabili , e lievi  informazioni de’ fenfi, e delle cogita-  zioni particolari . Comunque egli ciò  fia , la Mente fenza fallo i* universa»  compofizione delle parti, e V univerfo  confenfo de* moti, che tutte le parti in  uno, e tutti i moti in un fol moto con-  giunge, por P influenza de’ principi ne*  mezzi , e ne* fini , e per lo ritorno di  quelli in quelli ;Ia compofizione , dico,  e’1 confenfo univerfale, prima conclu-  de nell’ unità della ifua univerfal cogi-  tazione ; e poi , in quanto è modificata  ne’ principi, fente quivi il ritorno de*  mezzi, e de’ fini: ed in quelli allo’ncon-  tro , fecondo i quali fimilmente è mo-  dificata , fente 1’ influHo de’ principi :   onde    ->*t         »    Oigitized by_Googl(    DELtWOMO. il s   onde viene a formarli un confenfo luci-  do , univerfale , con che più efprefla-  mente avverte , e fenre la Tua unione)  p’I corpo organico congiunto, e tutte  le parti, e tutte le azioni fra loro Team*  {fievolmente comunicanti . E in cotal  modo, della materia con ferma , e (U*  bile modificazion ragionevole, ordina-  ta al fenfo ,ed allo ’ntendimento ; e deN  la Meme, che è erta lòftanzial ragione,  che per naturai producimento , e per  P unione del corpo , nel corpo imprem  de quella modificazione medefimajdell*  uno , e dell’ altro ftretri infieme , ed  uniti , in quello già deferitto intreccio  di (labili , e fondamentali percezioni ,   •fa fic ne il fenfo ragionevole , e la cogi- dei fenfo   tazion fenfuale , che è la Natura dell’ e della cog?-  Uomo. Ne è da lafciare addietro, che uz,one •  de’ due modi di operare, l’uno della»,  diftribuzione dell’ univerfale ue* molti  ^particolari , e l’altro del raccoglimen-  to de’ molti particolari nell’ univerfale,   -da Mente qui con quello fecondo mo-  rdo adopera ; poiché di molte partile  -di molti momenti , e movimenti forma  un corpo folo,ed un folo movimento:   P 2 fic-    ^Oigitized by Google    i \6 DELL» ANIMO  ficcome fa delle forme aritmetiche , e  geometriche , e dell* altre di lor natura  eflenfe, e divifibili , che aduna nell’ine-  ftenfa , e indi visìbile fua cogitazione ;  così nelle concezioni , quando ella da  fe le inventa ; come nelle percezioni r  quando ella in quelle già inventate , e  fatte s’ incontra . Laddove per contra-  rio nelle percezioni degli obbietti eter-  ni , nell’organo univerfale dell’ univer-  fal fenfo,e ne’ particolari de’ fcnfi par-  ticolari , la fua unità , ed univerfalità  già piena, e feconda comparte ne’ mi-  nuti indizj , o immagini , all’ impreso-  ne, che ne riceve; tutte dall’intimo  univerfal fenfo, e cogitazione riprodu-  cendole . E ormai , a mio credere , ri-  trovata già 1* unità dell’ effenza , e del-  la operazione dell’ Uomo . Poiché ogni  unità, o metafilica, o fifica,o etica,  di arte , od altra come che fia , fe vi ’  ha di altro genere , certamente ella fi  compie per unione di atto, e di poten-  za; così che, o per identità, o per na-  turai produzione, o per azion morale,  o artificiofa , 1’ atto colla potenza, c-  quella con quello fi avviluppino infa-  me ,    Digitizgd by Google    DELL'UOMO.  © fievole fi difeopre . Imperoc-  ché primamente il fenfo lucido ragione-  vole , che dalla coftituzione delle due  nature rifulta.è quello , che nafce,e fi  eltingue coli* Uomo : e che propria-  mente per gli varj gradi dell’ età quel-  le variazioni , e quelle vicende patifee:  e non è già la pura , e lineerà intelli-  genza della parte pura , e lineerà fpiri-  tuale . Quel fenfo, che è univerfale ,  nella già cfplicata univerfal modifica-  zione della materia congiunta , al va-  riare della materia medefima, ne’ varj  particolari modi, e moti, che al moto,  e modo univerfale fopravvengono , o  dentro dell’Uomo fufcitati, o di fuori  tra fm e Hi , ancor elio dee elfcr varia-  mente figurato, e mollò . E quando nel  procedo dell’ età, al variare degli anni,  o ancora per morbo , o per qualunque  altra cagione i modi ,e moti li perver-  tono, e turbano, o illanguidifcono , o  celiano, o fi cancellano in parte , o in   tutto-    “ Ditgitized by Cooglc    12 6 DELL* ANIMO  tutto ; allora forza è che quel fenfo , di  che parliamo, più , o meno , tutto , o  parte pervertito, e difordinato, ofpa-  ruto, o deformato ne vegna. Ne’ qua-  li cangiamenti, nella parte materiale, e  non altrove, come defcrivonfi i modi,  c fi miniftrano i moti; così i difordini,  e » fopimenti, e i vuoti , ed ogni altro vi-  zio principalmente addivengono. E da  quel lato, onde eflo fenfo è di condi-  toli variabile, e mortale, a tutti quei  cangiamenti , ed accidenti è fortopofto ,  falva , e intera, e illibata rimanendo la  parte pura dell’intelligenza , che a quel-  le varietà la fola univcrfal cognizione,  o cogitazione fomminiftra , c’ tutte-,  quelle varietà lènza moltiplicazione , e  fenza giunta riproduce. E qualunque  fa la (ecreta guila della unione delle-,  due nature, e cheunque ne rifiliti,!!  Mente , ficcome nella reale, e (labile  informazione del corpo organico , che  è come foftanzial percezione , indiflin-  ta, c indivifa , include, c penetra , ed  adegua il vario lavoro di quella prima',  e (labile modificazione ; e come nelle  percezioni, che fono ideali , e leggiere ,   e fu-    r DELL’ UOMO. 127  c fugaci informazioni , fimilmente indi-  ftinra, indivifa , e invariata, penetra, c  include , ed efprime quei varj minuti  modi particolari ; c sì quella prima fo- .  ftanzial modificazione , come quelle fe-  condane accidentali dall’ unità, e dall’  univerfalità della fua virtù , e natura»,  produce , o riproduce ; così quando  quei modi, c moti fi turbano, o ceda-  no, o fi cancellano tutti, o parte ; la v   Mente allora, o in parte, o all’ intutto  fofpende le lue produzioni , c depone  quelle modificazioni fenza pervertimcn- gbi di 'modi  to,e fenza detrimento della fua foftan- corporali. ■  za, falva,ed intera prima nel fenfo uni-  vcrfale' raccogliendoli ; e poi, fe elfo *  univerfal modo, e moto organico cof-  fa, o fi cancella ; nella fua propria uni-  tà, ed univerfalità della fua pura natu-  ra , e intelligenza raccolta , li rivolge  ad altri obbietti , e di altre forme fi  adorna , ad altro vivere , e ad altro  fapere . ' 'f   Quella nofira foluzione non lafcia»,  luogo a dubitare della vanità, ed infcr-  mezza dell’argomento Lucreziano. Im-  perocché nel noftro fillema tutti , dr-   cram J    * vv        rz8 ^DELL’ANIMO  ciani così , i fenomeni delle fenfuali,e  ragionevoli operazioni deli’ Uomo, con  quei crefcimenti , e fallimenti venendo  pianamente efplicati: ficchè ,dato che—   È intelligenza dell* Uomo fia fodanzia-  le, e la materia fia bruta, c cieca , co-  me noi affermiamo, e niegano gli Epi-  curei ; le operazioni della ragione , e—  del fenfo pur nondimeno così dareb-  bono elle, come ora danno; per certo  che quell* argomento il più riputato ,  non vale a concluder nulla . Che fe poi  fi pon mente, che gli Epicurei , con tut- «  to l’ingegno loro, non han finora potu-  to da niun modo, o moto argomenta-  re della materia niuna diffidenza , e-  abilità all’ opere fenfuali ragionevoli  dell’Uomo; tantoché l’imprefa di fpie-  gare quei fenomeni difperando, hari—  lafciata dare; allora certamente la no-, -  dra foluzione farà ancora dell’ edere-  fpirituale,e immortale dell’Animo una  novella dimodrazione. E per ìfcorgere  la convegnenza , eia bellezza della dot-  trina, tutto il penfamento è qui ora-  tempo di rapportare. Noi adunque pri-  ma poniamo due tra fe lontaniffime-f;:   cdre-    r*       -   av    A      ' / /    DELL’UOMO. 129   eftremità , 1’ una del più e ccelfo flato  di perfetta intelligenza, e l’ altra della  più bada condizione della cecità della  materia. Le quali Mente , e materia  in quelle eftremità conflderiamo , che  amendue per contrarie ragioni ugual-  mente da fe sbandifcono ogni docilità.  L’ intelligenza perfetta da un lato, per  1 °& n * includono , e penetrazione do-  vrebbe ella certamente ogni lubricità ,  e fluflo,e fucceflione efcludere di dot-  trina: e si perfetta dottrina , e perfet-  ta feienza in ogni tempo pofledere : e  non mai in niun tempo docile poter ef-  fere ; che fenza il lubrico , e ’l vicende-  vole di variate, e fugaci percezioni , e  ragioni non può ftare.La Materia dall*  altro lato, nell’ eftremo deli’ impoten-  za, e deformità , per la dimoftrata im-  penetrabilità , ed ogni efclufione , doci-  le in niuna guifa non può ella eflèr  giammai : fe la docilità con tutta la fua  incoftanza.e lubricità , pur tuttavia in-  cludono, e penetrazione inftantemente  domanda .   Appreflo , quelle due nature da quell* *-  eftremità argomentiamo poter ricede-   4 R re    -    zza* '    > v    » . t    , Digitizetì by Googlc      4 *t   X +W    rM    •o    l'J’    * * »    . ' f    130 DELL’ ANIMO   re a quello modo: Cioè, che Ueflfere  mentale da quella fublimità , per varj  gradini di varie foftanze giù dechinan-  do, giunga finalmente a poter congiun-  gerfi in uno colla materia , e a poter  cfprimere modi , c mori materiali : e  che T eifer della materia dall’ imo di  fila imperfezione, per varj gradi di va-  riate forme , e lavori innalzandoli fu  pervenga al fine , fino a collogarfi , e  ftrignerfi. colla Mente, e a poter railo-  migliare, e lignificare modi fpirituali ,  e mentali: e così nell’ Uomo , in cui ,          t 0    ìu      i      M *1 §F 1 • *   ' ; ■ -   7 ■ by.   . &*■ - •:    •Go    t    DELL’ UOMO. 13 1 ,  in fine quell’ingegno medefimo,fe non *   altro, ci (copre l’origine dell’ errore.   Perciocché la Mente piegando all’ imo  dell edere mentale, c la materia ergen-  doli al lammo dell’ edere materiale a  formar 1 Uomo; in quella natura , e_> - •"  propriamente nel fenfo lucido, la Men-  te per 1 edendoni , e variazioni mate-  riali , e la materia per gl’ ingegni , e lu-  mi mentali li tengono afcole : onde la  Mente , materiale edere ; e la materia  poter edere mentale gli Epicurei han_» Cagiont-*  creduto, alle fole lignificazioni fenfua  li rivolti . Ma eglino avrebbon potuto w‘.  penfare, che fe la Mente nella propria  fua altezza non potria mentir la mate- r   ria : e la materia nelle fue natie badez-  zc non può fimigliare la Mente ; per-  che i \ i la Mente in chiara luce feerne-  rebbefi immateriale ; e qui la materia  chiaramente infenfata,c cieca fi ravvi-  ferebbe; nell’Uomo , ove 1 ’ una fotto  alle fembianze dell’ altra fi tiene afeo-  fa , è una neeelfità , che ne 1* effer cieco  della materia , ne 1’ immaterialità della  mente, per altra via , che per quella^  degli argomenti col cammino della ra-  ’*** *■ Ri gio- ; *      • Digjtized by Googlp    *3* DELL* ANIMO   gione non fi podano ritrovare .   Quella è certamente una nuova di-  moftrazione , che abbiam tratta dalP in-  telligenza, rifguardata nell’ idea di fo-  vrana perfezione : laddove tutte le al-  tre prima allegate fono (late tolte dall*  intelligenza , confiderata nel fuo edere  generale , e comune : avvegnaché dalla  comunità de’ generi all’ idee perfette, e  da quelle a quelle fiavi commerzio , e  comunicazione vicendevole di cogni-  ' zioni,e di feienze, come nel primo ca-  pitolo della noftra Metafilica abbiamo  dimollrato .   Colla dottrina della univerfal perce-  zione, che fidamente 1* anima contri-  ' buifee a* varj modi , e mori , che nella  materia avvengono; e con quella dell’  univerfal fenfo dall* unione delle due.*  nature rifultante , che c la proprietà  dell* Uomo, e che propriamente per ca-  gion della parte materiale , dee con_>  quei moti, e modi efler modificato, e  modo; con quella dottrina , dico , tut-  C te le altre difficoltà vegnono ancora a  • dillrigarfi degl’ impedimenti, e de’ tur-  cibamenti, che cagiona l’ebbrezza; e de’   deliri,   . 7 * . r * /   * r    «   DELL’UOMO. 133  delirj, e de’fopimenri , edetarghi, che  certi morbi arrecano ; e in particolare  il pericolofo diflipamcnto , che produce  la velenofa forza dell’ Epilelfia , ed ogni  altro fìmigliante accidente . Che come  tutte convegnono in quell* uno argo-  mento generale delle variazioni , che_  dalla materia nelle operazioni dell* ani-  mo trapalano a turbare, o interrompe-  re, o abolire il fapcre ; così tutte con  quell’ una generai dottrina , ugualmen-  te per ogni parte fviluppate rimango-  no. Cioè dire, che quegli accidenti, che*l  vino, e’I veleno epilettico , come Lucre-  zio l’appella, e gli altri malori induco-  no nell’ Uomo , fono eglino folamente  valevoli a difordinare , o interrompe-  re, o affatto caffare le forme fenfitive,  e cogitative ne* moti , e modi corpora-  li, e non altra cofa altrove . I quali  lafcia allora la Mente di più avvivare ,  e illuftrare in tutto, o in parte, eoa-»  fofpendere, come fu detto abbiamole  fue produzioni , e con deporre le mo-  dificazioni: ed indi prima ne’ principali  feggi corporali , e poi , fe più oltra è  (dipinta , nella fua propria unità , ed    134 * DELL’ ANIMO   univerfalità fi ritira da quello ffrazio.   Ma è in alcun modo diftinto 1* argo-  mento del timore , e del lutto, che—  ^Lucrezio • amareggiando, ed affannando l’animo,  foventi volte conducon l’Uomo a mo-  rire. Imperocché in quel primiero ca-  po di argomenti de’ varj gradi dell’età,  e de’ varj accidenti de’ morbi , le va- *  ^ riazioni immediatamenre , c principal-  mente il corpo immutano, ed offendo-  no : le quali perchè nelle operazioni dell’   - . animo ancora trasfondono i difetti, e i  difordini ; per quefto folo , fono a Lucre-  ' zio argomento di mortalità. Ma il timo-   re, c ’l lutto fono morbi dell’ animo, e  l’animo immediatamente, e propriamen-  te conturbano , e affliggono : e quando  • l’Uomo per quelle offefe viene a fini-  re , nell’ animo è il principio , e V ori-  gine del danno, e dall’ animo al corpo  . trapaffa ; fìccomc per contrario ne’mor-  bi corporali , dal corpo all’ animo Lu-  crezio argomenta , che debba la mor-  , • te trapaffa re . Così ugualmente per gli   morbi, che fono manifeffe cagioni del-  la morte corporale , perchè varie paf-  fioni nell’ animo inducono; e dalle paf-  .. . fioni,    Digitized by Google    DELL’UOMO. i-35  doni ,che fono manifede offcfc dell’ani-  mo, perchè c morbo , e morte al cor-  po arrecano; pare à Lucrezio dall’ima  parte , e dall’ altri potere la mortalità  dell’animo argomentare : c poi dclla_,  cu ragione dell’ uno, e dell’ altro propo-  ne come un nuovo argomento , fog-  giugnendo.   Addere enimpartes , aut ordine trajicere &quume(l y  Aut ali quid pr or funi de fummx detrabere illuni ,  Commutare animum quicumque adori tur ,*    *    ,?83r DELL’ANIMO  * le cogitazioni, e tra le fen(azioni,e gli   * V affetti ; così tra' le cogitazioni , e gli af-  fetti c più ffretta appartenenza, e con-   r • neflìonerper modo che non mai, ne co-  a • gitazione fenza ogni fenfo di affetto,  ne affetto fenza ogni lume di cogita-  zione fi può trovare . Da cotcfte cole  Quii fiati (ì fa chiaro, che come il fapcre , cosi  '1 volere dell’ Uomo non è la pura , e  fincera parte dell’ animo ; ma è quel vo-  - lece proprio dell’Uomo, di fenfo infic-  ine , e di ragione commifto , che dall’  unione delle due nature dee rifultarc .  Laonde i varj moti, e modi delle va-  ' i r ie affezioni, o paffioni propriamente in   • - : quel volere , e non già nella parte pu-   ra dell’ animo le loro vicende ingerif-  ’ m cono: e le anzie , e gli affanni , e i tedj  ' del timore , e del lutto quella parte-,  conturbano , e corrompono fino a con-  dur 1’ Uomo mi fero alla morte . E dell’  Animo avvien folo, come nc’ modi del  Capere , che fofpenda le produzioni , e  diponga le modificazióni del volere ; e  . intatto, e purgato, e puro fi ritiri nel-   • la fua univerfalità , per rivolgcrfi ad   altri obbietti con altri amori più puri,   ■ e più ,    DELL’UOMO.: 139   e più finceri . Ma perchè noi nei pre-  fente ragionamento del fa pere dell’ Uo-  mo, di altro genere di operazioni 4 che  delle fcnfuali,e fantastiche non abbiati!  fatto menzione; non è per tanto , che  dentro gli angufti confini del fenfo , e  dell’ efpreilioni fensuali , debba efler ri-  stretta la cogni'zion noftra . Da quelli  univerfal cogitazione , o cognizione ,  ficcome perchè dalla parte corporale è  ella fenfitiva , ne debbon nafeere Itu,  fenfazioni , e l* efpreilioni di fenfibili  obbietti; così perchè dalla parte imma-  teriale, e ragionevole, ed intelligente,  le ragionevoli cognizioni provenire ne  debbono. Siccome nel fenfo univerfa-  le , per fomma finezza , pieghevolezza,,  c mobilità , e per uniformità di virtù ,  e di foftanza, onde è come un genere  generaliifimo del fentire , fono i primi  elementi, o principi , onde rutte le par*»  ticolari fenfazioni, ed efpreilioni fenfi-  bili formate ne vengono; così in efTa_,  cogitazione , o cognizione , da ogni altra  cofa fceverata, ed in fe r ccolta, fono  tutti gli clementi , o principi delle ra-  gionevoli produzioni, e delie Scienze,   S a che    r 4 o DELL/ ANIMO  che cd elfa cognizione è infieme gene-  rale cflenza, e generai conofcenza : e i  fuoi elementi , onde è coftituita , fono .  inficmemente parti, o principi di quel-  la eflenza ad edere ; e fono prime no-  zioni, o ragioni di conofcere, o inten-  dere alla Scienza . Cotefto è il bivio deh  fapere dell’ Uomo, nel quale in oltre.,  è da notare, che TUomo nella via del  fenfo è analitico , conducendofi da’ par-  ticolari a gli universali ; e nella via. del-  la Scienza è Sintetico , dagli universali  ai particolari avviandosi. Ma gli ele-  menti del SenSo, in quanto Sono minu-  ti, imperfetti, informi, fon pure come  altrettanti generi: e le nature fenfibili-y -  in quanto perfette, e compiute , fono  * anco in quel riguardo particolari. E le  eflenze perfette ragionevoli , e intelli-  gibili, perciocché quando vi fi pervie-  ne , illuminano tutta la Scienza , fono  come univerSali: e i generi , perchè fo-  no imperfetti, ed ofeuri, in quello ri-  guardo fono come particolari da ripu-  tare . Similmente come il fapere , così  il volere, o dalla parte impura fenfua-  le genera volontà, ed affetti foraiglian-    Bìvìodel  jà ^cre delP    Picji tizeti ^ Gpogle    • V    • DELL’ UOMO. 141   ti , dietro a gl* incitamenti del fenfo ;  o dalla parte pura fpirituale produce»,  voleri, ed affezioni ragionevoli dietro  alla guida della Ragione. E quello è il  bivio della vita ,in cui fcorgonli le ori-  gini delle due celebrate porzioni dell* V *'  Uomo ,che il volgo de’ Filofofi , quan-  to con magnifici parlari decantavamo  con ofcuri fenfi intriga , ed ofeura .   Adunque la Mente noftra, per la virtù  tante fiate ricordata , e in tanti modi  provata di muovere , e reggere fe ftef-  fa , prima fopra le fenfazioni medefime . '*'' ** # •   E ixti tiMnet certo : velut aurei , atque oculi funi ,   Atq\ aliifenfus , qui vitam cumque gubcriumt: .   t   Et Dilati mnust atque ‘ oculut t ntirefvs féorjltttv   Secreta a ‘nobis nequeunt fentiret neque effe :   Sed tamen in parvo linquuntur fenipore tali i _ ,   , Sic animus per fe non quii fine corpore , dr ip/ó   ' Efse hominet illiut quafi quod va; efse videtur :   .'■o'F 1 .' Qs, ■ t #   Sive aliud quidvts potius coniunaius et   i • .«li*» > ■yjp r i M**-   Etagere quondoquidem e****#*, corpus, adixret .   V.v . -tftbv* "■ o >s   * Tutto il nerbo di quello argomen-  to egli è r a mio credere*!!) quella una   r fola     Digitized by Google      DELL* UOMOa 147   fola cofa riporto ; che 1* operare , fia^  del Tutto , di cui è ancora 1* edere :  onde a niuna delle parti , che *1 com-  pongono , quell* edere , e quell’ opera-  re medefimo debba edere attribuito  Il fentire adunque, e *1 ragionare dell*   Uomo, che certamente è dell’ Uomo’,  cioè del comporto, e del tutto , all’amo  mo folitario non dee poter convenire :  c per confeguente 1* animo folo , fenza  il corpo , e fenza 1* Uomo , non può  fentire , ne ragionare , ne affatto ede-  re : fcevero di fenfo,e di ragione, non  potendo già avvenire , che l’animo da  in niun modo . Si aggiunge a quefto ,  che P eder di Parte è fermamente effe- ^ t  re di relazione, o di rapporto ; onde»,  la parte al tutto appartenga, e col tut-  to da congiunta infeparabilmente . Egli T-V*  è vero, che ci ha alcun genere di parte,  che verfo di fe condderata , ella anco-  ra è un tutto : quali fono le parti del .1 «à-J  tutto cftenfo, e variabile, e quali in»,  ogni altra accidentale compodzione .   Con tutto ciò cotali parti, quando elle *  fono fegregate dal tutto, perdon quell’  eder di parte, con ogni altra cofa, che    Digitized by .Google    I    148 DELL’ANIMO  in quel rifguardo lor conveniva. E che  Lucrezio a quefto ancora abbia rifguar-  dato, dalla dottrina del medefimo in-  torno alla indivifibilità de’ primi corpi ,  è manifefto . Volendo egli indivifibilt  quei primi elementi , e volendogli va-  riamente figurati ; acconfente bene ,  che quelli abbian parti , non già avve-  niticcie , ma natie ; non quinci , e quin-  di raccolte a compor P elemento , ma  in quello nate: il cui edere , tutto fia  dell’ elemento , che le contiene ; ed ab-  biano a quello necefTario rapporto ;on-  . de Pune dalP altre , e dal tutto non_,  poffano per qualunque potere effer fe-  parate giammai . Il luogo di Lucrezio  ciUd^Lucre- è alquanto malagevole ad intendere j  zio , non ’m - Picchè P acutezze de* più nobili Spofi-  tor ‘ P oturo falciar delufe . Il qual  jj>ojì on % nQ j ^ er j a p ua importanza abbiara volu-  to qui arrecare, ed mterpetrare .   , I»,   Tum porri , quorum e/l exttmum quodque cacumen  Corforìs ìll\us % quei noftri cerner* fenfitt  Jam nequeunt : hi nimhrutn fine fartibuy extat >   , \ Et minima cwtfat naturai nec fuit umquam '    Uh. U    JL    Ver    bigitized by Coogle    I    .V    K.    DELL* UOMO. 149   Ter fe fecretum , neque pofìbac effe v debiti  Alterius quoniam ejìrpfum : frinì* quoque ,  fluire a/ùe fìmiles ex ordine parte: *   Agmine condenfo naturavi eorforis explent .   quoniam per fe nequeunt confi are ^neceffe ejl  H*rere , ««c/e ?«e  Hatura nitri-  tale Jì truova  la vera ragio-  ne di ejfer un  tutto .    t.    152 DELL’ ANIMO  domanda, che dentro di fe abbia a con-  tenere tutte (e parti , onde è coftitui-  to: e la parte allo Scontro vuol’ efler  tale, che tutta quanta ella è, con ogni  fuo eflere , (la , diciam così, incorpora-  ta nel tutto . Di modo che l* eflere del  tutto in quello principalmente confida ,  che contenga le Tue parti in guifa,chc  non pofla ne eflere, ne intenderli , len-  za che lia,e s’intenda con quella con-  tenenza : e 1’ edere di parte in quello  lia unicamente riporto , che debba del  tutto eflere , e nel tutto abbia ad ede-  re contenuta ; licchè non eflere giam-  mai, ne pofla immaginarli lenza quel rap-  porto , e lenza quella , per così dire ,  partiva inclusone .Se quello è vero, co-  me è appreflo di erto Lucrezio ancora ;  egli è da tenere per fermo , che la ve-  race , e fincera , e perfetra condizione  dell’ efler tutto, altrove , che nella na-  tura fpirituale , c mentale non pofla_,  rinvcnirfue che la natura corporale, e  bruta non più , che di una imperfetta  limiglianza di quell’ eflere lia capace '  Imperocché la natura mentale , per Io  fenfo ,e per l’ intelligenza di le, e dell'   altre    DELL’UOMO. r Si  altre cofe che fente,ed intende ; chia-  ramente dimoftra dover ella contener  fé medefima, e 1’ altre eflcnze con ogni  identità, e comunicazione: e fé mede-  lima,e 1* altre eflenze dover penetrare  da per tutto. Con che quella inclufio-  ne , e quella contenenza , che *1 tutto  ha delle Tue parti, e quel paflivo incor-  poramento , con cui le parti fono nel  tutto, dimoftra dover fola perfettamen-  te pofledere. Nella qual cofa è princi-  palmente riporto il reciproco rapporto,  e la neccflaria conneflione , onde il tut-  to dalle parti , e quelle da quello , e»,  1* unc dall* altre non portano fepararrt .  Per contrario la natura corporale tut-  ta per ogni vcrfo limitata, ed efclufa,  c diftinta , di quella inclufione , e di  quello incorporamento non è capevo-  le:febbene, come qui, ed altrove ab-  biam dichiarato, può la Materia per fi-  nezza , e per fublimità , ed attività di  foftanze , e per conneflione di parti , e  confenfo di moti cotanto ingentilirli,  che vegna tanto , quanto a Materia è  poflibile , un tutto perfetto a raflomi-  gliare. Oltre a ciò, contenenza , ed uni-   V ver-    Ì54 DELL’ ANIMO   vcrfalità fono una cofa medefima :   Teflere un tutto, e l’ edere univerfale,  fono una medefima elfenza . Donde fi  può intendere , che alla perfezione del  tutto, due cofe vi fi richieggono necef  fariamenrc ; l* una , chc’l tutto debba  aver perfetta pienezza in ampia indivi»  fibile unità; l’altra, che tutti i partico-  lari , che gli appartengono, dentro  quella pienezza fiano realmente com-  prefi . Benché quelle due condizioni ad  una fola finalmente pofiono riferire :  concioflìachè , ne perfetta contenenza.,  fenza palfiva inclufione , ne pafliva in-  clufione fcnza perfetta contenenza , pof-  fa clfervi in alcun modo . Per cotclle_  leggi , primieramente ogni fpezie di tut-  to, generalmente confiderato quell’ ef-  fere , dee con tutte le fue cofe efl'erc-, • •   in fe medefimo riftrcrto,e chìufo,e da Goog[e    •J    t  gegno, colla noftra principal dottrina  potta fcioglierlo di leggieri ; pure per  produrnoi il frutto delle noftre fpecu- ’ \  {azioni , ci rifolviamo a parte trattar-  lo. Adunque quel che di tutti gli altri  argomenti abbiam fatto , e faremo ap-  prettò; di quello argomento ancora fac-  ciamo al prefcntc; ingegnandoci a più  potere fortificarlo da ogni parte . La_.  neceflità del dover 1* Anima fcparata ef-  fcr fornita de’ cinque fenfi , che Lucre-  zio fcmbra voler confermare colle im-  magini de’ Pittori , e de’ Poeti , che at-    • ' •    tedino    • ■** -l   ’ . m   t   Digitizecfby Goòglc      k    DELL’ UOMO. 161  tedino l'antico comun fcntimento , ella  è in fatti da quel Fiiofofo data appog-  giata fopra quel fermidìmo principio ;  che ogni edenza , o natura comune»,  dee con alcuna delle fue differenze , o  proprietà elfer diterminata neceffaria-  mente : e che fenza ogni fua differen-  za , o proprietà non può ella dare in_»  niuna guifa. Siccome allo’ncontro, pro-  prietà ,o differenza niuna e! può avervi  mai fenza il fondamento, diciam così,  della Natura, o edenza comune. Per-  ciocché 1 * Anima con generai fenfo , e  percezione delie cofe , per ogni modo  dover edere; anzi altro, che quel fen-  fo , e quella generai percezione non ef-  fere , egli è ad ognun che vi ponga»»  mente , manifedo .Dal che fegue bene,  che il fenfo, e la percezione generale ,  come con alcuna delle fue proprietà  e particolari forme eder dee compiu-  to, e perfetto; così quelle proprietà, e  particolarità medelime di necedità egli  implica nell’Anima . Fermamente non  può capirfi a niun patto, come l* Ani-  ma feparata poffa aver niun fenfo , o  percezione , che nel tempo medefimo   X ella    m:    m ^      • j|C      .    Digitized by  M "A..    Go4    Sottilità dì  Lucrezio non  inteja da gli  Sfojìtori,    161 DELL’ ANIMO  ella nc veda, ne oda ,nc per niuno de-  gli altri fenfi particolari, niuna percezio-  ne abbia degli obbietti. Dall’altra par-  te , 1’ impoflibilità di avergli in quello  flato, egli è per certo una gran fottili-  tà , con che Lucrezio la compruova ,  che niuno degli Spofitori ha potuto pe-  netrare finora .Onde, e nel variar In-  iezioni, che ftanno bene, e nel fupplir-  vi i fcnfi,che non vi mancano, eglino  fonofi affaticati in vano . Prende egli  a conliderare i fenfl in idea, fecondo le  loro, per così dire , formalità metafi-  ficamente,c gli rapporta all’Anima : e  infieme gli confiderà nelle loro realità ,  e corpulenze filicamente , e gli riferif-  ce al corpo: e poi argomenta, che co-  me i fenfì, ne effere , ne operare pofTono  feparatamente dall’ Anima ; così allo  fteffo modo non deono potere , ne ede-  re , ne operare feparati dal corpo , e—  dall* Uomo . Concioffiachè 1* Anima ila  l’uno Ideale, o formale, o metafilico,  onde le proprietà , o differenze de* par-  ticolari fenfi debbano procedere ; c—  1* Uomo, e’I corpo fia V uno Reale, o  materiale , o tìfico , nel quale quelle—   pro-    *.v ' ^ Digitized by Google    DELL’ UOMO. 1 63   proprietà , e differenze medcfime deb-  bano eflere incorporate diverfamente ,  fecondo quei diverfi rifguardi , di di- ' >   verfi principi , e procefTi.Con ciò vie-  ne egli a conchiudere , che poiché l’Ani-  ma da una parte non può edere sforni- 7  ta de’ fenfije dall’ altra non può in niu-  na guifa efferne provveduta • che ella  non può ne fentire , ne in altro qua-  lunque modo operare, ne effere affatto  dal corpo , e dail’Uomo feparata . Udia-  mo le parole fue proprie, e poi vegnia-  mo alla Soluzione.   Vr eterea fi immortali t natura animai efi , Lib. 111.   Et fentire poiefi fecreta a corpore nqfiro :   QuinqueiMt opinor)eam/aciendum efifenfibus auHantt  Ntc ratione alia nofmet proponet e nobis   " i t *   Tofiumus infermi animai Acheronte vocari.   riHores itaque , & f criptorum Stola priora  Sic animai introduxerunt fenfibut cucì ai r  L * At ne 1* natura ragionevole , ed intelli-  gente , e’I Tuo operare efplichiarao , e  la fenfibile non lafciamo addietro, deo-  no difdire che nel più alto, e puro dell*  intelligenza medcfima, quanto a Uomo  è conceduto , poggiando , a quelle fubli-  mità non afccndtamo ? Ma nulladiman-  co in cotali cofe, affai probabili ragio-  ni , e dove di farlo ci è permelfo , giu-  fte dimoftrazioni allegando , V affare  condurremo a tale, che anzi da defide-  rio di più oltra conofcere accefi , che  da difperazione di potervi altro edere,  confufi rimanghiamo. Per rifecare ogni  rincrefcevolc lunghezza , io dico fulla  e lucidezza .  Sicché il fenfo dell’ Uomo , ove egli è  più virtuofo, e più lucido j quivi è in  quefle , e quelle parti diflinto , c divi-  io : ed ove è unito, ed uno ; ivi è tor-  bido, confufo, ed ofuro. Ma nello fla-    r   è    w    V Anima-,  fepnrntn dee  potere operare  con piìi fran-  cbezza , e vir-  tù .    1 6 * DELL’ANIMO   to della Separazione , fenza far violenza  nc a ragione , ne a cofa alcuna , e’ ci  convien credere, che l'Anima fottratta  a quelle gro(Tezze,e da quelle angurie  Sprigionata , a voler riguardare la natu-  ra di lei, e la fua virtù naturale , quel  potere medefimo , che ella ha fopra la ;  materia penetrcvole , con più Sovrani-  tà^ più vigore efcrcitar polla; e mag-  gior copia di maggior finezza, ed atti-  vità di quella materia dominare. E per  confcguente non riftretta fra quei can-  celli , ne in quelle nnnurczze fpartita ;  ma dilatata, e in fc raccolta, con uil-  folo ampliamo fenfo universale , polla  e più diftinramcntc (cernere , e più al-  tamente penetrare , e più chiaramente  apprendere tutte le forme ,e tutte le«,  azioni delle cofe materiali . Se l’Uomo  per virtù dell’ Anima ha imperio, e po-  reftà Sopra la materia pcnetrevole in»  terna ; e dona a quella , e nc riceve a  rincontro le modificazioni ; e col mini-  fierio della medefima produce il fenfo ,  e la cogitazione univerfale ; e fecondo  la divilata varietà in tante maniere il  difiignuc , quante in noi le ne veggo-  no;    Digitized byCoogle    DELL’UOMO. i 1 pri ,? cip >   primi , e’1 temperamento loro , c l va-  ftarata. g j 0 ingegno de* lavori , e tutte le gene-  razioni , e le fufianae , e gli ordinati  procedimenti » e k virtuofe influenze   • v de*    ikir    Digitized by Google    DELL* UOMO- 175  de’ Celefti corpi, e tutto il concerto r  e ’1 fiftema del Mondo, e la cottruzio-  ne dell* Uomo può meglio efplorare r  e penetrare , ciascuna fecondo la pro-  pria capacità r e virtù . Perciocché è  da credere , che le menti finite emen-  do, abbiano le proprie fpirituali tnodi-i  ficazioni ; onde fieno dall’ infinito cir-  coferitte, ed infra di loro diftinte.Ein  particolare, che la menre dell’ Uomo,  per una cotal proprietà di più fra ella *  propriamente inchinata , ed adattata a  congiugnerfi colla materia per la corti-  tuzione deli’ Uomo . Per quefti nottri  divifamenti s’intende ciò, che dir vol-  lero quei Filofofi,che di certi veli cor-  porali , gli Spiriti puri diceano dover ef*  fere provveduti ; e alcuni Padri , che  le Anime e gli Angeli corporee fo-  ftanze riputarono. Cioè non altro eglino  a-ver voluto infirmare da quello r che  noi della maniera di operare dell’Ani-  mo feparara abbiam conchiufo , fi dee:  tenere per fermo . Cosi fimilmente è da  interpetrare quella Sentenza , che la_.  Mente d’ un’ altra mezzana natura ab-  bisogni , per potere attemperai alla   ma**    9 +    ,'fc*   fc •      i74 DELL’ANIMO  materia * Finalmente , che la villa Tifac-  ela non per inrromilfionc della luce». ' . 1   efterna nell’occhio, ma per eftramillio-  ne della interna verfó gli obbietti ; è  fenza dubbio nata dalla cognizione dell*  imperio, e potere della Mente fopra la  materia penetrevole , e dal minifterio,  ed oflequio di quella verfo di quella :  onde è il vigore della virtù mentale al-  la produzione, o alla percezione delle  cofe.E qui poffumo dire aver termina-  ta la Dilpnra colla foluzione degli ar-  gomenti più principali, e più forti. Per-  chè dopo avere ben fondata la reai di-  fìinzionc dell’ intelligenza : e dopo ave-  re altri punti ftabiliri, così come fatto  abbiamo delle più rilevanti verità ; gli  argomenti , che ci rimangono, così leg-  gieri, e piani 1} difcoprono; che più per  non parere, che nftuf aulente gli tralan-  diamo , che per necdfiti , che abbiano  di particolar foluzione , gli dobbiam ri-  cordare, a ciafcuno argomento adattan-  do quelle generali dottrine : il che fa-  rem brevemente. E prima veggiamo di  quello, che c in quei verfi efpreflo:     \    Dkjitized by Gooole    •V    -*1    DELL’ UOMO. 175   Denìque cum corpus ncque at per far e mimai  Dìjjìdium , quirt in tetro tabefcat odore r  Quid dubitar quin ex imo y penitufque coorta  Emanar iti uti fumus y diffufa anima vis 1  Atque ideo tanta mutatum fu tre ruina  Conciderit corpus pcnitus I quia mota loco funt  Fundamenta forar anima r manantque per artus ,  Terque viarum omnes fiexus y in corpore qui funt r  Atque / or amina : multi modi s ut nofcere pojjìs  Difpertitam anima naturavi exijje per artus 5 *   Et prius effe /ibi diflraclam corpore in ipfo ,  Quitm prolapfa forar enaret in aCris aurar **    *1 '    Vi, UT,      Settimo  argomento’  di Lucre-  zio .    ' x   ‘‘1 0 •          £    Dalla. dillofuzione , c putrefazione  del corpo umano r che al dipartimento 1  dell’Anima fegue immantinente , vuol  Lucrezio inferire r che L’ Anima debba  eflere fparfa per tutto il corpo : che i  di lei principj componenti fieno con_*  quelli del corpo talmente intralciati T c  intrigati ; che quella eflcr 'debba la ca-  gione , onde al dipartirti- dell’ Anima ,  una totale fovverfione al corpo ne av-  venga : ficchè tutto fi cangi , e impu-      \      • m-    *■    Dkjitaed by Goggfe    i*j* DELL" ANIMO  tridifca., c tramandi fuora 1* intollcrabil  fetore - E poi ne’ feguenti verfi foggi ti-  gne , che il folo deliquio , avvegnaché  allora 1 ’ Anima non vada via , ma foi  difiratta , o opprefla languifca ; tanti  cangiamenti nel volto , e negli occhi ,  e in tutto il corpo produce ; quanti le  grida, e le lagrime badino a rifvcgli3re   ^riterfetri ^ e ’ circoftanti . De* più migliori Inter-  no» ban capì- pcrri di Lucrezio, non bene han capi-  la la forza ù t;1 la forza dell’ argomento . Eglino mo-  MntO'. arS ° firan di credere , che quel Filofofo te-  glia , che F Animo , e l* Anima flano  una medefuna cofa ; e quanto qui dice  dei doverfi in morte difperderc i com-  ponimenti dell’Anima , onde il corpo  imputridifca ; che tanto intenda di dire  dell’ Animo , e dell’ Anima infieme ,  E una natura coll’ altra confondendo »  crvvéro prendendo efli 1* Anima per la  fola parte incorporale ; e quella idea t *  e quell’ appellazione alla mafia degli  umori , e degli fpiriti non concedendo ,  fecondo quefto lor proprio fentimcnto.  prendono l’argomento Lucrcziano:  fon contenti di rifponder folamentc ,  che la putrefazione , e ’l fetore del cor-   po    Digitizéd    *      DELL’UOMO. 177  po morto , non è effetto della divifio-  ne, e del dilfipamento dell’ Anima; ma  di altra cagione tutto diverfa. La qual .  rifpofta, fe vuolfi comprendere la par- ... ,  te fenfuale , è certamente falfa : c fe ,  meffa da banda la fenfuale , come quel-  la , cui V appellazione , e 1* idea di ani- * J '  ma non convegna , della fola parte in-  corporale fi vuole intendere ; c fenza  dubbio fcempia, ed inetta: perciocché  corre a far difcfa , dove non bifogna : . .   e quella parte , ove è indrizzata 1’ op- . ...   pofizione , fcoperta lafcia , e fenza di-  Fefa. Si aggiugne a quello , che quando  Lucrezio dice , dover efTere dal profon- '• t *'  do fcolfi i fondamenti dell’ Anima , e  fuora difTipati , e difperfi ; dicono eflì ,  che con ciò s’intenda elfer 1’ animo il ,  fondamento del corpo; il che è ancora  vero: ma eglino non intendon già per  fondamenti i primi componenti , il  cui dilTipamenro cagioni quello effetto. : .  ne’ corpi morti: che è per certo un non #   - affatto intendere 1 * argomento . Ad un- cye f e “ c e re *j } 0 e  que Lucrezio tratto dalla forza del ve- PAAimi^L*  ro, tenne per fermo, che 1 ’ Anima , c  1 * Animo , cioè il principio intelligen- Mmrumt.   ■Hmìz    O'   te    - - - «    Digita ed by Google    .tt..    178 DELL’ ANIMO  tc , c la parte corporale miniera del  fenfo , foflono due nature didinte : per  modo che contro a quella opinione ,  che l’Animo altro e’ non fotte , che un*  armonia, o concerto, o temperamento,  con lunga fchiera d’ argomenti fiera-  mente combatte ; e vuole in ogni mo-  do, che T Animo fia una fpezie,ed una  fodanza . Con che viene a dire , che  r Animo fia una fpezie, ed una fodan-  za didima dalla mafia, e modi , e moti  animali. Poiché certo dell’ eflere dell’  Anima ; dell* Animo folo , come di una  cofa aflai ofcura , va ricercando che e*  fia: e in quella ricerca dice ,che e’ non  fia già un’ armonia , o qualunque altro  modo , ma una certa particolar foftan-  za . Appretto, comechè per l’Anima e’  dica efiere baftevole il calore, e l’aria  e l’aurc; tuttavia a produr 1’ Animo ,  niuna di quelle cofe crede poter bada-  re: ne altro e’rirrova nella felva delle  corporali fpezie , cui pofla attribuire—  quella maravigliofa produzione . Onde  conclude , che cotal natura producitri-  ce dell’ Animo , fia del tutto nafcoda ,  ed ignota, e innominata: di che fin dal    DELL* UOMO. 179  principio della Difputa nc abbiamo alle-  gate le teftimonianzc di più luoghi .Fi-  nalmente c’diftingue bene gli utfizj dell'  Animo , e dell’ Anima ; e ’1 fupremo  dell’ intelligenza , e del reggimento del  corpo all’ Animo aflegnando ; le parti  dell’ ubbidire, e dell’ efeguire all’ Ani-  ma accomanda. Ed efpreflamente ,che  l’Animo, e l’Anima fono due foftanze  tra loro diftinte , febbene {grettamente  infieme congiunte: e per la {{retta con-  giunzione, quanto argomenta della na-  tura dell’ Anima , vuol che dell’Animo  ancora s* intenda . Sopra il qual fonda-  mento buona parte degli argomenti di  lui fono appoggiati . Lucrezio adunque  da quel fubito cangiamento de’ corpi  morti , o languenti, non può, ne vuo-  le egli inferire il difperdimento , ed  annullamento dell’Animo ; ma sì bene  il difperdimento , e l’ annullamento dell*  Anima ; cioè della parte bruta , e fen-  fuale : e quindi per la {{retta unione*,  delle due nature, vuole che lo lìruggi-  mento dell’ Animo infieme fc ne argo-  menti . La qual cofa , comechè e’ ben  vedelTe non efler neceflaria conchiu-   Z 2 fione    i8o DELL* ANIMO  (ione di neceflfario fillogifmo ; percioc-  ché di cofe diftinte , comunque infie-  me congiunte , mancando 1* identità  dell’ edere , dall’ una all* altra cofani  non può con certezza condurli l’argo-  mento a conchiuder nulla ; con tutto  ciò, tra perchè l’Animo una fottiliflì-  ma, e le vidima foftanza cder e* li avvi-  fava; e perchè la robuftezza , e’1 pote-  re dell* Animo nell* intendimento di lui,  e degli altri Tuoi pari, fparuta, e debi-  le cofa appariva ; per quelle cagioni  pensò egli , che come il totale disfaci-  mento del corpo , non altronde , che  da quello dell’ Anima proviene; cosi il  diflìpamento dell’Anima fenza 1* ellin-  zion dell’ Animo , non potede avvenir*.  Ed ecco come noi in efplicando il fen-  fodi Lucrezio , abbiamo infieme difciol-  to il fuo argomento . Imperocché ab-  biam fatto vedere, come edendol* Ani-  ma , e l’Animo , cioè la parte corpo-  rale minilira dclfenfo,e l’incorporale  principio dell’ intelligenza , due nature  dillinte , quali ad elfo Lucrezio pajon  d* edere , 1* argomento in buona Loica  dal didìparaento dell’ Anima , quello   :i dell’    "Digiti? ed    c    DELL- UOMO. 181 .  dell’ Animo non può conchiudere a ni. ^   un patto. Ne dalla (fretta congiunzio- *   •v-W,    584 DELL» ANIMO  del fcnfo fono ftromenti,il cui confen-  fo , e cofpiramento , anima egli appel-  la, ciò intefe di affermare ; quantunque ,  che 1 ’ animo ancora fia divifibile , vuol  che da quella si fatta divifione fi argo-  menti . E dell' infermezza di tal con-  chiufione per la diftinzionc di quelle»,  due nature, che Lucrezio appruova,e  noi abbiam provata, con tutto quello,  che al precedente argomento fi è fatto,  non riman luogo a dubitare : e così  tutti gli altri a quello finiiglianri , che  dal confondere in uno il principio in-  telligente, c la parte fenfualc , tutta_,  lor forza ritraggono. I quali tutti, non  già col folo ribattere , o fchifare i col-  pi negando, come ufano di fare i Vol-    gari ; ma la foftanza indi vifìbil e dell*    Animo , e le fue maravigliofe opera-  zioni, ed ogni altro dimoftrato pregio  v^per tutto opponendo; e quindi da cer-  ' ti , cd indubitati principj argomentan-  do; fi fa chiaramente vedere, che’l va-  rino e’ percuotono dell’ ària . Più larga  '-via ne apre il feguente argomento a  derivarvi i fonti della principal noftra  dottrina , il quale con chiarezza è ne*   .r : fe-    r    ; ( DigitizeQby Goògje '    DELI/ UOMO. iSs   fegucnti verfi efplicato : .   Dtnifue cur animi numquam mens , confili umqu »   Gignitur in capite , aut fedi bus , manibufve ? fed unii   >• - • • . v   Sedibus , «ir certi s regionibui omnibus bar et ?   Si non certa loca ad nafcendum reddita cuique  Sunti «ir ubi quicquam fojjit durare creai um ;  Atque ita multimodis prò totis artubus effe y  Membrorum ut numquam exijlat prxpojìerus orda .  Vfque adeo f equi tur ret rem : neque fiamma creavi    Lib. tll.   Nono argo-  mento .    Fluminibus /olita e/ly neque in igni gignier algor .    ^ Circa 1’ origine dell’ Anima , in prima  e* ci oppolc Lucrezio, che ella nafeer  debba infieme col corpo ; perchè fi veg-  ga col corpo, e con tutte le membra  crcfcere inficine . E poi del feggio, do-  ve l’Anima fia allogata , ftabilifce che  certo, diflinto , particolare , e proprio  e debba clfere. Finalmente , amendue  quelle cofe giunte infieme , dal nafee-  re, c dall’ cficre 1’ Anima in certo , e  ditcrminato luogo, egli argomenta , che  fuori del corpo, e fuori del fuo proprio  luogo non polfa folTiftere . Noi allo ’n-  contro con bello intreccio di metafifi.   A a che    •Digitized by Google      1 8   per altre opportunità ; delle cogitazio- .  ni: c nel fecondo per la finezza , c vi-  vacità del fenfo, e per lo fervore , e_.  Copia de’ fluori più (pi ri rosi; degli affet-  ti ; ma ben ella è in tutti i luoghi , e ini .  tutte le parti del corpo organico colla  fortanz'a > come è in tutti per 1’ opera- .  zione del fenfo , e della cogitazione .   Or due foli argomenti di quelli , che  wnfaìm !r- Cì ^ am proporti , rimangono a trattare:  Sfotefuo^ de’ quali il primo più al platonico dog-  ma della preefiltcnza dell’ Anime va a  ' '.T colpire dirittamente , che nel punto  .. f,"*; .- dell* immortalità : che per diletto de’   * plausibili divifi di quella (cuoia , non_*  abbiam voluto lafciare addietro , coti-,  gli altri che contro a quella medefima .   . opinione ,o alla pitagorica Metemfico-    Digitinoci b/Google    DELL’UOMO. i 9S   fi , o ad altro, che alla principal noftra  quiflione fono indirizzati: c’1 fecondo,  il tedio , c 1 a /Fan no di coloro , che.,,  muojono , ci oppone contra , di facilif-  fìma foluzione. Col quale , efpugnati pri-  ma di grado in grado i più robufti ar-  gomenti , convien conchiudere la prc-  lentc difpurazione . Il primo adunque  que’ vcrfi , che con leggiadria , ed  acutezza è da Lucrezio fpiegato .   Tr eterea fi Immortali s natura animai   , L'I   . - Conflati & in corpus najeentìbus infinuatur ;   Cuì Juper cnteaElam atatem j neminijjf nequimus f   Interi iffe , c ir qut nunc ejl , nane effe creatam * .   Nec vejìigia gejlarum rerum ulla tenemus l  .-*• fi t-'Mope™ e Jl animi mutata potejlas ,   Omnrs ut aBarum exciderit retinentia rerum :   No» ( ut opinor ) id ab Uto jam longius errai .  Quapropter fateare neceffe ' eff , qu « fift ante ,    interìiffe , .  co col dire, che fenza giufta cagione , '  la pura luce deli’ Anime da Cielo in-.  Terra/i traeflono , a congiugnerti co’  tenebrofi corpi terreni . Per quelle me-  defimp ragioni Lucrezio e’ fi avvisò,  che 1 * anticipata produzione dell’ Ani-  me, e’I comun loro nafcimcnto co’cor-  pi , bollono due ellremità , delle quali  una vera , e 1’ altra falla ncccllariamen-  te eflcr dovefie . Onde mcllolì a con-  vincere di fallita il primo efiremo dell’  anticipato nafcimcnto , per quello che  1’ Anime congiunte , di andare cofe niu-  na memoria (eco arrechino al mondo;  conchiufe,che’i fecondo diremo del co-  mune, e promifeuo nalcimento dovefie  cfler vero: e per confeguente , che l’A-  nimc corporee doveflono edere ; e co-  me i corpi , elle ancora corruttibili , e  mortali . Tutravia gli antichi Platonici  co* loro profondi fenfi , c magnifici par-  lari , le minutezze , e le arguzie degli  Epicurei , picciola allora nazione de’ Fi-  lofofanri , aveano per nulla: e col tem-  peramento della reminifeenza-, che ne  -viva, ed cfprclla memoria , nc c tota- 5 -'  le oblivione ; e col dimollrarc come-,  l v ' P an-    - C    Digitized by Gòogle      DELL* UOMO. 199   V antiche notizie, col conjugio de’ cor-  pi porefiono effcrc ofcuratc; il prefen-  te argomento deludevano di leggieri .  Ma noi tra quelle eftremità il vero mez-  zo abbiamo apprefo, che 1 * Anime non  già co’ corpi , ne da’ corpi , ne per tan-  to innanzi a loro, ma bene in eflì nel  punto medelimo da principio ideale, a  mentale debbano effer create : e tutto  ciò dalla natura dell’Animo, c da quel-  la del corpo , e da una mirabile armo,  nia di natura , e di legge , e da ogni  parte del ragionevole umverfo compro-  vando; c’I vero del mirteto platonico  difcoperro,e la difficoltà di quello ar-  gomento abbiamo fpianata-   Al fecondo argomento , che è l* ulti-  mo di tutti ; dato , e non conceduto ,  che ogni Uomo in morte fi dolga di mo-  rire; il che de’ vizioii Uomini, cui i vi-  fibili obbietti , e l’idee ofeurare, e gli  affetti rapir fuo!c r è egli vero , e non_»  già de’ virtuofi , che colla meditazion  della Morte ogni fpecie , ed ogni amo-  re del prefente fecolo deporto , vivaci  idee , e acccrt affetti nudrifeono dell’  invirtbile Mondo ; dato dico, c noiu    200 .DELL'ANIMO •  conceduto , che così dea la cofa , come  canta Lucrezio; giuda i noftri principi  rifpondiamo brevemente, che quel do*  lore e* non è della pura intelligenza , ne  dell’ Anima fola ; ma bene è del fcnfo  impuro dalla unione delle due nature  rifultante: ed è dell’ Uomo per quella  unione medefima codituito . Il qual fen-  fo, coll’ Uomo., eder mortale, fol vie-  ne a concludere 1 * argomento . Al che    Soluzione polliamo accomodare l’acutezza di Lat-  tanzio col dire, che finche 1’ Uomo vi-    mrgonunto. ve, quando l’Anima è ancora nel cor-  po congiunta , c’ non è tempo di dover  ella fentirc la fua liberazione ; anzi più  tolto i languori, e le corruzioni corpo-  rali di quegli ultimi momenti le con-  vien fofFerirc: e quando I* Uomo è già  , morto, e’ non è tempo allora di poter   fignilicare il fuo fenlò . Sicché Lucrezio  da ogni parte ingannato fi mife a dire:    Db. Uh    .... quod fi immortali nofira fcret mens , *  Non lavi f e morlens dijjolvi conquereretur :   Sed mogis ire f mas , vcfiemque relinquere , ut anguis ,  Gaudenti frtlonga fenrx aut ccrma cervus .   fi 7 " : W Con '      ' . Digitizédby poogle    . ft*   DELL’UOMO. 201  Con quella ftiedefima riTpofta , la va-  nità deirargomenro , che a’recitati ver- Dtmde c ! mo .  li immediatamente va innanzi, li dimo- fuafoivzione . *  {Ira ancora . Dove dice , che 1* Uomo in  morendo, non lo fceveramento dell’A-  nima , ma il diftruggimento (ente , ed  avverte :1* Anima non da un luogo all*  altro del corpo intera trapalare , ma_,  nel Tuo proprio luogo , come ogni altra  parte infievolire, e mancar lente appo-  co, appoco. Perciocché è da dire , che **  l’Uomo è quello che muore ; e di quel- ''  la vita, e di quei fenfo, che dalle due  nature rilulta, e’puo efifer vero quel che  e’ dice fentirfi , ed avvertirli in quel  punto; donde il patimento , c ’l manca-  mento , c la mortalità dell’anima pura , e  del fenfo, o intelligenza pura, che niente  di quello foflFrono , e niente fentono,o  avvertono , non dcefi a niun patto ar-  gomentare. Finché 1’ Uomo vive, e fin-  che l’Anima è col corpo congiunta, il  fenfo proprio dell’ Uomo, e la vita pro-  pria dell’ Uomo per legge di unione è  fol operante. E quivi lono i mancamen-  ti, e i profitti : e in quella parte ,  di quella fono i fenfi, e l’ avvertenze,   -«4 C c che    Digitized by Google    202 DELL’ANIMO  che fi fentono , o avvertono . Se più  rodo coll’ allegata acutezza di Lattan-  zio , che propriamente contro a que-  llo argomento ritrovò quel nobile au-  tore, non fi vuol far difefa ; che ben_  può Ilare .   Sciolti a quello modo tutti gli argo-  menti Lucreziani, perocché alcuni piti  minuti, e leggieri, che o fono eftcnfio-  ni,o particolareggiamenti de* più prin-  f en f° cipali; o in qualunque maniera a quelli  JSf/. I* 1 rapportano ; ed altri ,che ad altro fc-  , gno mirano, che al punto dell* Immor-  talità , inutile , e nojofa opera farebbe a  volergli perseguire partita mente ; fciol-  ti , dico, gli argomenti, e fatte le dimo-  llrazioni dell’ immortai natura dell’Ani-  ma dell* Uomo, niente rimane, perchè  non Ita terminata la prò polla Di Sputa .  Ma tuttavia del fenfo degli Animali  bruti conviene foggiugnervi un brieve  ragionamento , per placare ogni Solle-  citudine, ed affanno degl* ingegni vacil-  lanti, edubitoli. Imperocché dalla co-  mune , c volgare openione nafeene-,  pure un molefto argomento, o fofpica-  mento in contrario . Concioflìachè la_   co-      Digitized by Google    DELL’UOMO. 203  cognizione , che nella via del hlofohco  inveftigamento fola ne fa lume nel ri-  cercare l’immaterialità, e 1* immortali-  tà dell’ Anima umana ; comunque , e  qualunque a gli animali bruti li conce-  da ; non pare , che in quel cammino pof-  fa edere così ficura,e così fida feorta,  come ella è in effetti . E adunque con  ogni fludio da dimoftrare la fallita di  quella ftolta openione:'il che altra via  tenendo da quella , che finora han te-  nuta i moderni Fifiologi , con altri ar-  gomenti , *col favor di Dio , faremo  fpeditamente .   E’pare, che i difenfori dell’Immortalità  dell’Anima ragionevole , ogni cognizione  debbano difdire a’ Bruti ; ovvero colla  cognizione conceder loro i’immareriali-  tà, e l’ immortalità parimente. Percioc-  ché dal dover 1* Anima ragionevole»,  effere immateriale, ed immortale, perche  è di cognizione dotata, tanto può con-  chiuderfi , che i bruti , perchè e’ non»,  fieno immateriali , debbano edere di co-  gnizione privi ; quanto che i bruti ezian-  dio abbiano ad edere immateriali , per-  chè abbiano cognizione . Siccome gli   C c 2 Epi-    L’ opinion  volgare dit-  / avori   /’ Immortaliti  dell" Anima-»  delf Uomo •    Digitized by Google    204 DELL’ ANIMO  Epicurei, i quali tcgnono,che l’Animo  umano fi a materiale , non poflono , a—  mio giudizio , a’ bruti non donare alcu-  na Torta di cognizione: ne’ quali da una  parte veggono ordinate operazioni ; ed  a* quali dall’ altra non fi può negare—  qualunque più pregevole condizione, o  fpezie di materia. Ma con tutto ciò , co-  me potrebbe agli Epicurei venir voglia  di negare ogni cognizione a’ bruti, con  dividere dal fenfo cieco la cognizione -,  c l’uno ad una fpezie di materia , e l’al-  tro ad altra fpezie aflegnare; e lafciata  l’inferior materia fenfuale a’ bruti , la  miglior parte all’ Animo dell’ Uomo ri-  ferbarejcosì de’partiggiani dell’Immor-  talità , una parte fi fon voluti lafciar con-  durre a concedere a’bruti cognizione, con  diftinguere più maniere di cognizioni: e  quelle così diftinte , come loro è paru-  to,tra l’ immateriale, e la material na-  tura , tra gli Uomini , e le beftie com-  partire. Onde non c da reftarfi in quel  -folo argomento, il quale nondimeno noi  tratteremo a fuo tempo; ma fa di me-  ftieri di una intera deputazione . In co-  sì fconcia openione , e come farem ve-   dere    * Digltized    ?art    DELL’ UOMO. 205  dcre dappoi, a gli Uomini, ed al fommo  Dio ingiuriofa , più per forza di pregiu-  dizi 1 che per niun valevole argomento  fono eglino caduti . Nella qual preoc-  cupazione nondimeno , c dalla quale»,  pofcia e’ fon giri raccogliendo degli ar-  gomenti : o più torto le preoccupazio-  ni , o i pregiudizi mcdefimi han fatto  contro al vero, arme di argomenti. Or  per cominciare, ognun fa che 1* ingan- .  no de Volgari e non e altro, che que- de'isolg*  fto.Le operazioni animalefche fono el-  leno certamente diritte, e regolate co-  tanto, che il naturai diritto monaftico ,  quanto loro conviene , adempiono inte-  ramente: ed al focicvole domeftico,ed  infino al politico ancora in alcune fpe-  zie pervengono: lafciando ftarc mille»,  varj particolari ingegni di operazioni  in quelli , e quelli animali , che fan-  no le maraviglie del volgo . Adunque  per quel veriflimo principio , che ogni  ragionevole azione dee da ragionevo-  le principio provenire ; tantofto fenza»,  niuna difamina , a quelle cotali opera-  zioni interno principio di cognizione»,  hanno eglino attribuito . E ficcome que-  ***** * fio    Digitizeb by Google    20 6 DELL* ANIMO   {lo pregiudizio è di fuori venuto dalle  cofej così dall’altra banda, da eflo Uo-  mo , e dalla di lui natura, e fua manie-  ra di operare un’ altro n’ è Torto nien-  temeno del primiero faftidiofo . Giacché  il fenfo a’ bruti in ogni modo fi dee-  concedere , e’1 fenfo proprio dell’ Uo-  mo nella cofcienza di ognuno fi dimo-  flra edere di cognizione illudrato jquin-  . di eglino, che’l fenfo altresì degli ani-  • mali di alcuna cognizione fornito etter  debba, han creduto . Per parlar prima  di quello fecondo pregiudizio , che han-  no i Volgari in conto di gagliardo ar-  gomento, e che del primo può di leg-  gieri più prettamente fpedirfi; batta ri-  cordare, che alla coftituzione dell’Uo-  mo due diverfe nature concorrono .  Per la qual cagione , come delle due fo-  ftanze un folo ettere , che è 1 etter pro-  prio dell’Uomo rifulta ;così parimente  de’ due generi di operazioni , che a quei  diverfi principi rifpondono , un folo  operare , che è il proprio operar dell’  Uomo di amendue quelle proprietà do-  tato , dee provenire : ciò che in più   luoghi di quella Difputa, e nella folu-   zione    Dìgitized by Google    . DELL’ UOMO 207  zione degli ultimi argomenti abbiamdi-  moflrato . Donde, che ’l fcnfo dell’Uo-  mo e’ non Ha Tempi ice, e puro Tento; e  che la cognizion del medctìmo non pu-  ra , e Tcmplice cognizione ella ila ; ma  che quello con alcuna luce di cognizio-  ne , e quella con alcuno adombrameli- .   to di TenTo , efler debbano , argomen-  tammo .Giuda quel noftro veriflimo di-  viTamento, Ticcomc chi dalla cognizio- B contórni  ne dell’ Uomo inTcrir voletTe , che le jenfaiTf^fo  cognizioni degli Tpiriti puri, Toflon elle furo jènzj^  altresì commifte di TenTo , per non po- f^orìtroije  ter capire , che cognizione Tenia ogni  TenTo Ti poffa ritrovare , egli in grande  errore fi abbaglierebbe r così parimen-  te va errato colui , che dal TenTo dell*   Uomo argomentando , il TenTo anco-  ra delle bedie voglia credere , che fia_.  con cognizione congiunto, per non po-  tere intendere , come TenTo Tcevro di  ogni cognizione rinvenire fi potTi . Se  nell’ Uomo Tolo le due nature convc-  gnono infieme ad edere, ed operare: e " ,   fuori dell’ Uomo e’ non è altrove in al- ~   tra Tpezie sì fatto mefcolamento :e per  cotal cagione è nell’ Uomo il TeuTo mi-   do    Digitized by Google    208 DELL’ ANIMO  fio di cognizione , e la cognizione a_#  rincontro è comporta di fenfo ; e’ pa-  re per Dio una chiariflima evidenza ,  che fuori dell’ Uomo , come cognizione  non può efferc fe non pura, fenza niu-  na nebbia fenfuale ; così fenfo non pof-  • fa avervi non del tutto cicco , fcnza_*  ogni lucidezza di pognizione .Da tutto  ciò chiaramente fi comprende , che.»  quanto il fenfo limano agl’ inconfidera-  ti c occafion di errare , e di credere-,  ' ' che il fenfo de’ bruti è a quello dell’   Uomo fimigliante ; tanto è chiaro ar-  gomento a’ più fenfati di tenere per  fermo, che come la cognizione del ge-  nere puro fpirituale, perchè non è co-  gnizion di Uomo, non dee erter fen-  fuale : così il fenfo del puro material  genere , perchè non è fenfo d’Uomo,  non può erter luminofo . Intorno a che  egli è affai da maravigliare ,che i Vol-  gari Peripatetici , ed i Cartefiani , fono  i g iriejìa- eglino da una medertma cagione fta-  ri fofpinti in diverfe eftremità di erro-  iia vmcÀgton ri eftremamente contrarj . Imperocché  medejìtna fi - gjj un j jC gjj a |tri fedotti dal fenfo urna-   trarfinorT. no , credendo non mai poterli fenfo da   CO-    Digitizecfby Google    r    DELL’UOMO. 209  cognizion feparareji primi per non tor-  re il fenfo a’bruti , la cognizione ancora  1* han conceduta : e i fecondi per non  donare a’ bruti cognizione , il fenfo an-  cora P han tolto . Le quali eftremc ope-  nioni noi ugualmente falfe riputando ,  liam venuti a quello, di dover fepara-  re quelle due facoltà, per lafciare a’bru-  ti il fenfo folo, ed alle pure immateria-  li Portanze la fola cognizione . E tanto  balli aver detto di quello fecondo pre-  giudizio , per torgli ogni forza , non fo-  lo di argomento per convincere , ma_.  ancora ogn’ illulìone di pregiudizio per  preoccupare . Ma quel primo ha egli  per le Menti degli Uomini fparfe tene-  bre più denfe, e più univerfali :che di-  cemmo già eflcr nato dal vedere gli  Animali bruti, diritte , e regolate,  ragionevoli operazioni produrre ogni  ora . E intorno a quello , onde , come  fopra abbiam notato , falli ancora il  principale argomento loro , dee rutta  la feguente Difputa aggirarli, in dimo-  ftrando,che altra cagione vi lia del di-  ritto, e ragionevole operare de’ bruti ,  che quella delP interna cognizione . B   . D d pri-    no DELL’ANIMO    Epicurei Jo- bachè la Mente, e la Materia colle io-  migliante. ft anzc>c co’modi loro nell’Uomo con-  venendo abbian gli Epicurei medi in__.  confusone ; per modo che eglino la_>  Natura immateriale, che è il principio  intelligente, annullando, han 1’ Anima  dell* Uomo tra le pure materiali fpczie  annoverata: e i modi mentali , e i mo-  di, e foftanze della materia, negli ani-  mali bruti avvenendo, abbian confufi i  Volgari ; (ìcchè fpiritualizzata , diciam  così , la materia , V Anima delle beftie  nel ruolo han meflfa delle foltanze co-  gnofeitive. Perchè nell’Uomo, da una  parte la fola materia è al fenfo riguar-  devole ; c dall’ altra le mentali opera-  zioni,che ficemorrfi n'dta' cofciùiiza ,Co’  modi, e moti materiali , e loro vicen-  de , e variazioni procedono ; i fenfuah  Epicurei -han creduto, che la Materia a  tanta finezza, e attività ,e ingegno per-  venga , che poffa ella efler principio  dell’ umane cognizioni . B i Volgari , ne-  gli animali bruti, perchè la materia de*   modi   ... . 4 '    prima è bello il vedere, che 1* inganno  L 1 instino j c ’ volgari Peripatetici è a quello de-  de luefloVeJi gh Epicurei aliai fimigliante . Conciof-    Digitized by Googl    DELL’UOMO. 2ii  modi dell’arte, e della feienza menta-  le ornata , cd ordinata , veggon produr-  re ragionevoli opere da una parte : e_,  dall’ altra al Colo Uomo , come è dove-  re , concedono immatcrial principio in-  telligente: fono eglino perfuafi,che la  materia porta in alcun modo e/Tcre prin- *  cipio di alcuna cognizione. Nella qual  cofai Volgari per certo più bruttamen-  te errano di coloro . Imperocché gli E-  picurci , negata una volta la natura^  immateriale , che è tutto il loro errore,  concordan poi con feco rteflì , e giuda  i proprj principi da prima preferitti ,  profeguono a dire, quanto poi afferma-  no appreso dell’Anima dell’Uomo. Ma  i Volgari da’ loro principi ben lungi fi  dipartono , c apertamente fi contradi-  cono: quando , concedo che. vi fia na-  tura immateriale , c nell’ crter principio  di cognizione la colei eflTenza riporta ;  pure ne’bruti alcuna cognizione poi do-  nano alla materiale per colorir Tinca  danza, e mitigar la contradizione ; nuo-  ve fpezie di nature immateriali , e nuo-  ve fpezie di cognizione a capriccio poi  fingono . Dalla qual cola il comune aiv   D d 2 go-    • 3    2iì DELL’ ANIMO   gomcnro è tratto di coloro, che niega-  , no a’ bruti ogni qualunque cognizione:  il quale argomento allegheremo noi po-  fcia, fé avremo tempo, e luogo opportu-  no di farlo .   Ora alcune più rimote , e più gene-  il fenfo i ra jj confiderazioni ci deono condurre  uniforme, a quelle f che piu vicine tono , e pra  proprie del propofito noftro E in ogni  modo in primo luogo fi dee efplicare ,  come il fenfo, o natura fenfuale è una,  ed uniforme , che tutte le maniere , e ,  forme delie fenfazioni in quella unità ,  ed uniformità comprende : che medesi-  mamente è il fuo edere ampio, ed uni-  versale, qual’ è, ed efler dee ogni altra  natura comunella qual verità bene in-  tefa , non fi può dire quanta luce fia per  arrecare a quella ofcuriflima quiftione .  •Adunque fiocone la cognizione , o ra-  gione , o natura ragionevole tutte  guife, e tutte le forme di ragionare 'in  una uniforme unita, ed univerfalità con-  tiene, infino a perfetta luminofa Scien-  za, arte, e legge ragionevole ; così al  termine di perfetta material feienzà ,  irte, e legge fenfuale*, da fimigliante_   • w « v prin-    • . Digitized by GoCgle    DELL’ UOMO. 2ij  principio uno , uniforme , e univerfa-  ie il ienfo eziandio fi conduce . Alle  quali due nature giacché con Peripate-  tici, e non già con Epicurei ora depu-  tiamo , dobbiamo aggiugnere la natura  intelligente ; quelle tre nature a que-  llo modo ordinando . Che la pura In-  telligente nella fua immobile uniforme s!  unirà , tutte le intellezioni di tutti gl* uè   intelligibili accolga fenza vicende , e Nature , /«-  lenza variazioni: c che l’impuro Senfo ^onroole^e  tutte le fue proprie varietà di fentire , Scnfualt .  in una mobile , e divifibile unità con_,  moti , e modi con perpetuo flufio va-  rianti , debba contenere : E la natura  ragionevole polla in mezzo al fenfo , ed  alla intelligenza, moti fenfibili , e lumi  intelligenti inficmc congiugnendo* tut-  te le fue particolarità Umilmente in fe  aduni, fino al fine di perfetta feienza ,  legge , ed arte ragionevole . Sicché 1* In-  telligenza fia ciò che ella è , fenza mi-  llura di fenfo ^ il Senfo fia il fuo pro-  prio edere , fenza ogni luce d’ intelli-  genza : e la Ragione così abbia le fue  proprietà, che mefcoli infieme col tor-  bido fenfua le , il chiaro dell’ intelligen-  za.    Digitized by Google    Due fonimi  generi , P uno  dell ’ effere—»  terilene feltro  dell' ejjer  immagine reale, che non è propriamen-  ove fi ritruo- f c quella, o quella fpezie particolare .  v ’-> ed mela Così flando elleno quelle cofc , ad in- '  ìarila > . aiUC0 ' tcllerti metafifici cotanto chiare, quan-  to più non fi può dire, P Intelligenza (  la Ragione , e ’l Senfo fono ciafcuna una  unità uniforme , efprelfiva , e raflomi-  • gliativa di quell’ elfere , ed a quel mo-  do, eh’ è a fe convenevole. L’ Intelli-  genza è un Siiiogifmo già perfetto ,che  con totale penetrazione , e con cccelfi-  va chiarezza comprende Puniverfo ef-  fere intelligente lenza ombre, e lenza  vicende . La Ragione, o cognizione uma-  na non è ella altro , che un argomcn-  *■ to:    *    Digitized by Google   J    DELL’UOMO. 217  to: cioè una poterti, o facilità, per co- *  sì dire , di rtllogizzare , che tutto l’ertere  ragionevole va a conchiudere con vi-  cende, ed ombre . Secondo che noi nel-  la noftra metafilica abbiamo rtabilito,  la ragione dell* Uomo, ella non in altro  modo giugne a conofcere gli obbietti ,  che argomentando dalle minute, e roz-  ze loro fimilitudini ; ed indi le intere ,  e più perfette immagini riproducendo,  ed efplicando . Ella adunque ertendo co-  terto Colo crtere di argomento, che è erte- . Cfme r/tm  re ideale , ed efprertivo , uno , unifor- e£?mto“ em-  me , penetrevole , uni verfale: viene con ten £ a tutt^  ciò a potere efprimer tutte le differen-  ze , e forme ragionevoli, una rimanen-  do , ind irti nra , indivifa , con quell’ una  unità efprefliva , argomentativa . La_.   Ragione, tutto ciò che le rt apprefen-  ta con argomento in fc raccogliendo ,  e fe medefima , c ’l fuo fenCo , e le fue  percezioni , e cogitazioni penetrando ,  c includendo , tutto il novero apprende .  delle forme, che T appartengono . Così  il fcnfo,col contatto, e col conciglio, Comelffen-  e confenfo della più fin 3 ,e più valente   E e por- . '    '    Drgitized t    ' 2 1 8 DELL' ANIMO  m porzione della materia in quel modo r  che noi già dichiarammo, divenuta pe-  netrevole, le azioni , e le lignificazioni  de’ fcnfibili obbietti , ed eziandio degl’  interni appetiti con incredibile agevo-  lezza , e virtù raflbmiglia : ed iniicme  per adattati canali , con abili dromenti  produce operazioni ad ogn’ interna-, r  ed edema lignificazione corrifpondenti .  il Senfo è Egli è il fenfo come un materiale argo-  argomento* mento; cioè una elprelhone , e riprodu-  zione, con che la più virtuofa parte del-  1* • . la materia raccoglie in fé tutte le par-  ticolari , minute, ed imperfette lignifica-  zioni , ed azioni materiali .. A llmiglianza  della natura intelligente, e della ragione-  vole alTai più, il lenfo ancor efìfo è una  efprefliva ideale unità materiale , uni-  forme , ed univerfalc : e cotale ella ef-  fetido , le varie maniere dell* edere Ten-  ibile dee tutte produrre , fino a poter  pervenire a perfetta faenza , legge , ed  arte fenfuale. L’intelligenza ella è pur-  gata da ogni grettezza, e impurità^, ed  c libera da ogni mutamento , di pure t  e lucide notizie conteda in una amplif-  ^ ->•*«* •; • - ima    * -   S*V-'VT      & ♦    Digitized by (Joogle      DELL» UOMO 2i9  {ima faenza deli’ ogni effere intelligi-  bile. Il fenfo è impuro, variabile, tcne-  brofoj e nondimeno con cieche idee ,  e combinazioni , e fillogifmi conchiude  Tumverfa materiale erprclfione , e pro-  duzione d’ ogni fenfibile obbietto . La  cognizione , o ragione di fenfo com-  mifta , e di lume d’ intelligenza , per  convenienti idee , e componimenti , e  per fillogifmi fi raccoglie in una ben  ampia fcienza lucida argomentativa .   Siccome la fcienza ragionevole è pene-  trabile, e inclufiva per interne comu-  nicazioni , e produzioni ; così il fenfo  egli è a fuo modo pur penetrevole , e  inclufivo per finezza , ed agevolezza di  materie, e moti . La fcienza ella è un*  ampia forma univerlale del vero ragio-  nevole , piena , e feconda delle ragio-  nevoli forme , fino alle più particolari,  ed eftreme : c’1 fenfo è umvcrfal for-  ma del vero fcnfibile , con ferie di li-  mili forme fubordinate , potente a pro-  durre tutte le guife delle fenfibili ope- H && è  razioni. Il femo e della corporal natu- cieca-.  ra come una fcienza cieca : come la_- •frtowdco-  fcienza è della natura incorporale , per fumìmfo.   E c 2 COSÌ    Digitized by Google    220 DELL* ANIMO  così dire, un fenfo luminofo. Poflfono  adunque i Volgari Filofofanti fé non-,  credere, fofpicare almeno, chele in-  finite combinazioni , e fillogifmi ciechi  de’ principi, o elementi, onde il fenfo  è coftituito, vaglion di per fe foli , fen-  za niun lume di cognizione a produrre  tutte le ordinate azioni fignificati ve ,  ed operative degli Animali . Cotefte-,  '; r v tre Nature, ciafcuna di per fe feparata-  mentc nel fuo proprio regno , hanno  elleno perfetti principi operanti . Ne  all* intelligenza e* fa uopo ne de’ pro-  cedi della ragione , ne delle macchina-  zioni del fenfo . Ne il fenfo , o degli  {labili comprendimenti dell* intelligen-  za, o delle lucide argomentazioni della  ragione abbifogna . Ma nell* Uomo ,  nel qual folo due nature convengono,  fenfo, cd intelligenza e*fi mefcolano in-  fteme : e come le turbolenze fcnfuali  ^rToffufeano la luce della cognizione ; co-  fienìt la cali- sì i chiarori ragionevoli illuflrano la«.  frJIAZ caligine del fenfo.  dell' intelii- Cosi dette quelle cofe , più per after-  & enza • ger loro il malnato pregiudizio , che  per convincergli del tutto j rivolgiamo  ' ‘ - ormai    DELL* UOMO. 221 . ,   ormai il fermone a quelle, che maggior  forza di argomento ne pare che deb-  bano avere. Benché ne il pregiudizio e* v ’. V * •.   fi è potuto combatterete non in alcun '  modo argomentando ; ne argomento  niuno fi potrebbe adoperare, fé non in  qualche maniera contro al pregiudizio  combattendo ; ne altronde parmi po %  ter meglio cominciar quella parte , che  dalla famofa definizione Ariftotelica^  della Natura, la quale i Volgari di lui  'feguaci malamente interpetrando , di-  fcreditano ; e i meno feorti moderni  affatto non intendendo , deridono. Per-  ciocché il fecrcto di quella mifleriofa_,  definizione difeoperto, tutta affatto dif-  fiderà la nebbia del Volgare abbacina-  mento. Lafciata Ilare ogni altra cofa ,  che dir fi potrebbe , per efplicar quel- ,  la definizione , che qui non è uopo; io \ à d'^nìziow  porto ferma openione,che quel Filofo- Arìj tot elicne  fo , quando e’ diffe , la natura effier prin- u 1 A  cipio di moto , e di quiete ; che egli , *  allora intefe infinuarne di più la comu- —  nicazione , e la diftinzionc , che infic- ^  mementc la Natura ha colla Scienza ,  e coir arte . Sono certamente Natura,   Scierà   * -      Digitized by Google    ^ f . ni DELL* ANIMO   Scienza, ed Arre tre primarj principi ,  natura - j c h e ogni genere di forme compiono  Jnejcnò t , e 1* univerlità delle cofe. La Natura mo-  l?' n yù.i timi vendo , o producendo : che produzio-  L-nivirjo c moto £ C omc più giù dimoftrere-   mo)fonó una medefima cofa. L’Arte  componendo , e formando ; e la Scien-  za penetrando , e intendendo . La Scien-  za generalmente confiderata , altro non  è ella che principio di cognizione: fic-  corae 1’ Arre pur prefa in generale , e*  non è che principio di formazione. La  Natura, ne di formazione come l’ Ar-  te, ne di cognizione come la Scienza;  y mafoldi moto, e di quiete e principio.  Quella diftinzione di quelli tre princi-  pj additar volle il Filofofo in quella  fua diffinizione con ifceverar l’Idea , e  ‘ l’elTenza della Natura dall’ idee, ed ef  viV'X fenze della fcienza,c dell’ Arte; e con  rillringerla alla lua determinata proprie-  tà. Ma fono nulladimanco quei princi-  Comunìone di pj tra loro inficme comunicanti , co-  fueì trefrìn* mG dalla defìnizion medefima è facile  c ' iJ ' argomentare. Perciocché, nc l’Arte e’  può di niuna formazione elTer princi-  pio ; nc la Scienza di cognizione fen-    DKLL’ UOMO. aij  za virrìi di produrre, che e la Naturar  e Icambicvolmente nella Natura è in-  ficine Ja feienza , e 1* Arre ; perchè a_,  niun patto c’ porrebbe la Natura cfler  „ principia di produzione fenza idea , e  regola, e modo di produrre ; il che è  cfler Scienza, ed Arte . Quanto è im-  ponibile , che v’ abbia alcun produci-  mene di cognizioni foie n tifi che r e di  forme artificiofe fenza potere di pro-  durre: altrettanto potere , o virtù nin-  na e’ non può eflervi fenza modo , o  regola di produzione . La feienza ,   T Arte fenza virtù di produzione fa-  rebbono (lenii r ed infruttuofe per im-  potenza, e fi rimarrebbono in una ofeu-  ra, e tenue generalità di fapere . E la  Natura fenza via , e regola , farebbe.,  per tumulto , e difordine di parti , e di  moti ancor ella infeconda , e rollereb-  be in una fparuta , e informe comunità  d* edere . Tanto la Scienza, e 1’ Arte ;  quanto la Natura , come è ben uopo t  hann* elleno potenza, ed atto, de* qua-  li come di due neceflarj principj fi com-  piono. La potenza dell* Arte , e della  Scienza è la virtù producente ; 1* idea T   o for-    V    i*.    224 DELL’ANIMO  o forma ,o regola è il di loro atto . Per  contrario la forma , o regola, o idea è  la potenza della Natura ; e ’1 fuo atto  è la virtù produttiva , L’ atro proprio  'QuùIJùl^ d e i| a Scienza è la potenza della Natu-   f unita della K   Natura* qua- ra : e 1 arto proprio della Natura e la  le de ! i ,i s I icn potenza della Scienza, e dell’ Arte».   ili /f* * | • r •   con bel reciproco lovvenimcnto j  foccorfo . La Regola , o idea ella è V u-  nità della Natura ; la qual fottratra ,  difturbafi l* adunamento , e ’l confenfo  delle parti , e de’ moti ; onde la Natu-  ra in molte, e varie parti, e in molti,  e difeordanti mori fi frange fi difper-  de, che nulla producono . L’ unità del-  la Scienza, e dell’ Arre è egli il potere  di Natura: il qual tolto, la comunica-  zione, o inclusone s’interrompe : dal  che 1* Arte , e la Scienza in molte , e  varie idee ^.cogitazioni fi fmhiuzza ,  • che nulla conofcono, ne formano. Ma  tuttavia. è da notare, che 1* edere , c *1  potere della Scienza ,e dell’Arte, quan-  tunque egli è foftanzievole , e natura-  le, cfler dee nondimeno inclufivo , pe-  netrevole , e Iuminofo: che altrimcnte  la Scienza , e l’ Arte con edere , e con   po-    Digitized by Google      vi   * '■l    1      za .   - • ‘:\v j   xfcr*    ui, ^    r*v.'    V * • * 1  - 9      ' &A   * '* 7  • >-   ■* -►» ' - . - / - . . ,jr * tv* ‘ *gj    -, NpJ   -      - -V S    •'i    *#•      - ; -    La Scienti  'una N aura        ^y    :>        •S   H    OS»      >*    i -ir      .*4 -    -    1    __ » j'f- _ . .   ‘^Otflrtaset-by Coòglr^    i- -W    22 6 DELL’ ANIMO  quella fcientifiche , c quella artificiofe,  con edere, e con potere penetrevole ,  lucido, inclufivo.E la Scienza coll’Ar-  te, non vuota, vana , fpoflata , fantafti-  ca; ma è reale, vera, piena, collante ,  poderola , per edere , c per potere di  reale follanzievole natura: nel che l’E-  ternità della Scienza , dell’ Arte , e del-  la Legge è locata : la qual cola , dopo  "lunghi contraili, e’ non han potuto net-  tamente difpiegare i Volgari . E la Na-  tura non è ella informe , irregolare^*  difordinata ; ma è formofa , ordinata ,  diritta , per idee , e regole di verace , e  falda Scienza, ed Arte : nel che la fem-  piternit'a dell* Univerfo è ripolla , che_*  gli Epicurei intendere giammai non-,  han voluto. Quel che al prefente rile-  va è , che con quanto ho detto della.»   • Natura , e degli àTtrf due principi , io  fon venuto a dimollrare , che le ordi-  nate , e ragionevoli operazioni della^  Natura particolare degli animali bruti,  come quelle della Natura univerfale ,  deono poter provenire da principio in-  terno di Scienza, ed Arte cicca .   ? E perchè il maravigliofo potere del-  le     \   DELL* UOMO.   le idee cieche , che alla Natura abbia-  mo attribuite, finalmente tutti ricono- P!ìt fpezie  lcano; egli è da notare, che oltre alle ^^ orme  forme reali delle cofe, che già fono in  eletto, e fono a’fenfi nortri manifefte,  e vi ha altresì delle forme ideali , che-  così appelliamo , divife in tre diftinte • -   Jpezie, o più torto in tre ufficj diverfi.   Il primo egli è dell» ideali , come lor di-  cefi plaftiche , dalle quali generalmen-  te a formarli, ed efplicarfi vegnono le  reali . Quello genere è egli principal-  mente riporto, e chiufo nel feno degli  elementi ; onde nella prima origin lo-  ro , Erbe, e Piante , e Animali ufeiron «  fuori alla lucè : ed al prefente ancora  non di rado ne avvengono novelle pro-  duzioni . E in fecondo luogo le mede-  lime ideali , nelle fortanze delle cofe-  per tutte le fpezie elle ferbanfi invol-  te : donde ogni cofa può produrre il lì-  mile, e propaginar la fua fpezie. Il fe.  condo genere è dell’ ideali , cui noi di-  ciamo lignificati ve , che fpiccanfi dagli r&jt  obbietti, e a rapprefentar vegnono a’ V Maini-  iioltri lenii tante varietà di colori e di rettrici f ono  forme , quanti già ne veggiamo . Il ter- tt  Pi • Ffa zo,   ; 9 •   \ - _    Digitized by Google    r •     2*8 DELL* ANIMO  zo , che fa al propofito , è dell’ ideali di-  ?** rettrici fopra tutte 1* altre di fommo  valore, e pregio, che il fovrano uffizio  hanno elle di reggere i moti, e le ope-  razioni . La Natura di tutti e tre quei  . ! generi d’ Idee eflfer dee fornita: del pri-  mo, e fovrano delle direttrici ; affinchè  i movimenti fieno regolati, profittevo-  li, e fruttuufi: del fecondo genere del-  le plaftiche; affinchè le forme, o fpe-  zie delle cole fieno durevoli , utili , e-  gradite : e in fine del terzo delle figni-  ficative ; per fomminiftrare al fenfo ac-  conce lignificazioni , ed efpreflìo ni , on-  de fi promuovano le operazioni, e le—  comunicazioni delle particolari nature  infra di loro fi compiano. E ritornando  alle direttrici, è affai ragionevole pen-  famento,che cotali Idee ne’ corpi Ce-  lcfti , e ne’ loro fiti , ed afpetti , c mo-  vimenti fien ripofte . E non per altro ,  che per quelle tre Idee moderatrici è  da credere , che il Mondo , magnimi-,  KtlU Kd Animai fu da Platone appellato. Nella  tuv * fenf uale particolar Natura del fenfo e’ ci ha_.  ètuualapcr • fut t; a perfezion della Natura Univer-   si 0 * natU " fale *. Oltre al fommo potere, ed al per-  fetta    Digitized by Gòogle    D 3 LL* UOMO. 229  fetro concilio de’ principi coll’ idec_,  plaftiche , e fignificative , avvi anco-  ra la fovrana regola delle idee diret-  trici per Io governo della vira. La Na-  tura fenfuale ella è (opra tutte le cor-  porali nature perfetta, e Copra tutte lì  avanza ad imitare la Natura Univerfa-  le: ficcome V Uomo,’ nel quale tutto il  filloma del fenfo , fornito d’ ogni ma-  niera dMdee, egli è oltre ciò governa-  to dall’ Idee lucide ragionevoli , Copra  tutte le terreftri foftanze rafTomiglia_,   1 ’ Univerfo me de fimo illudrato dall’ in-  telligenza della Mente Unìverfale . Or  poiché è neccflario , che negli Animali  bruti vi fin (ufficiente provigione d’idee  direttrici ben ordinate ; per qual ca-  gione e’ vi richieggono di vantaggio il  reggimento delle cognizioni ? Non fo-  no forfè l’ Idee cieche direttrici bade-  voli a moderare 1’ arruolo moto del fea-  fo ; e fecondo i movimenti interni , o  fecondo l’eftcrne lignificazioni , non_»  fono elleno valevoli a produrre quelle,  e quelle ditcrminate operazioni ? Co-  me potranno- le plaftiche idee diftribui-  xc il chaos della Materia fcminale,, e-,   reg-    230 DELL' ANIMO  reggerne i moti per generar erbe , ed  alberi , ed artificiofiilìme forme di Ani-  mali ; e non varranno le direttrici a__.  moderar l’azioni, e i moti fcnfuali per  confervare la vita^E egli per avvenru-  ra il fatto della confervazione della vi-  merzio tra ta P*u ingcgnofo , e piu artihciolo del-  jiicbe ? 7 e f° rrnaz ' one medefima ? Egli non ci  ideejìlnifi- ba tra quelle due fpezie d’ idee di-  eative. rettrici, e plaftiche , fomiglianza , e_  comunicazione, e commerzio si fatto ,  che l’impreflìoni talora delle plaftiche  ' ■ pervengon fino al fovrano feggio delle   lignificazioni, e direzioni, e quivi figni-  ’• ficative, e direttive divegnono ; ed al-   lo ’ncontro le figure delle direttrici , e  lignificati ve difcendono giù al luogo del-  le generazioni , e per così dire, plaftico  - w ingegno, e potere acquila no ? Siccome  la mafia dellgk^a*e*i*,dà*i»m così, ge-  netliaca, è egli un indigefto , e confufo  chaos, e in certo modo indifferente, e  indeterminato , che'' nondimeno l’idea  plaftica diftingue , dirermina , e forma  fino a perfetta generazione; così il mo-  to fenluale è propriamente indetermi-  ' - nato, e indifferente, e come confufo, e in-    A-'    ■% • Qigitized by Goc    V    • *    DELL’UOMO. 231  digefto chaos,che tuttavia 1* idea diret-  trice dee poter diftinguere , e formare  fino all* intero governo del vivere ani-  malefco . Egli è fopra ogni altra cofa  da por mente, che il moto del fenfo è  della più preziofa.,e più agevole mate-  ria; ed c il più vigorofo, ed efficace tra  tutti gli altri, Tempre pronto, e fpedi-  to , ed operante: e che 1’ idee direttri-  ci del medefimo fenfo fono vivaci, ed  efprefle, e ben ordinate, e compiute ;  cioè per diftinta , e lunga ferie fono in  sì fatto modo compartite , che da cer-  te più ampie, e generali, che in una_,  prima , e principale , ampliffima , ed unr-  verfaliffima idea fono accolte , tutte l’al-  tre minori procedono; e quefte medcfi-  me infra di loro 1* une dall’ altre , da  quella prima comuniffima idea fino all*  eftreme, e particolari ordinatamente di-  pendono . Òr egli efleiido nell’Anima-  le, da una parte quel virruofo, e per-  petuo, e univerfal movimento; e dall*  altra quel ben fornito , ed ordinato reg-  gimento di efficaci idee ; qual’ altra 'co-  fa fia uopo , perchè l’animale poffa^  agi’inrerni incitamenti del fuo corpo ,   w ed        r    A    mi •* ?      4 *    ’ DigitizetUiy Google   rJj-    232 DELL’ANIMO  cd agli efterni de’ corpi circoftanti re-  golare le operazioni, di che la vita ab-  bifogna ? Siccome fciocchiflìmo penfa-  mento c* farebbe di chi alla virtù fen-  iuale , altra forza d’ altra potenza ag-  giugner volctfe, per muovere l’ anima-  le ; cosi ugualmente , a mio giudizio,  vaneggiano coloro , che all* intera ,  perfetta regola fcnfuale , altra regola  d’ altro ingegno vogliono fopra porre-.  JtJèZjòT* P er governarlo . Il fenfo è vigorofa vir-  tù motrice, per idee cieche direttrici,  valevole a produrre ordinate , e pro-  fittevoli operazioni . Quindi raccogliefi  bene effer dovere, che 1* animai bruto,  che è indocile , nafea addottrinato di  quanto ha a fare per fua difefa : e per  . * contrario 1 * Animai ragionevole, che è  docile , imperito , ed indotto de’ Tuoi  f affari e’ convien chfc nafea al Mondo ,  Poiché ridec del Bruto e’ fono corpo-  Ter qual co- rali , e cieche ; deono elle con tutto  rottone- 1’ apparecchio della materia, c con tut-  vnie rufea in- to il lavoro delle forme infiemementeT  dotto, effer trafmefTe per via di generazione:  , Siccome l’ idee genetliache, di fimil fat-   ta, tanto nell’Uomo quanto negli altri    DELL’UOMO. 233  animali , non per difciplina fi appren-  dono , ma bene per naturale operazio-  ne fi fommimftrano . E poiché tutte.»  ridee dell’ Uomo fono lucide , elle di  neceflìtà colia luce delia cognizione,  T una dietro all’ altra , e dall’ altra l’una  efplicandofi , crefcer deono a formare  la feienza . Per rimontare ali’ altezza.»  de’ primi principj , di che largamente  nella fuperior Difputa fi è favellato, la.  Mente è ella in fe , e con fe medefi-  ma , ed è in fe , e con feco operante :  il perchè 1 ’ Uomo di Mente dotato ,  a quella guifa operando ,- fe medefimo  infegna o nella Mente univerfale , o  nella univerfal materia , da’ particola-  ri a gli universali , e da quelli a quel-  li discorrendo ; e in cotal modo arti  inventando, ed esplicando Scienze, ed  iftorie teflendo . Ma il SenSo cicco ma-  teriale , da ogni altra coSa e in Se , e  per poco da Se fieflo diviSo, e* non può  fermamente in Se , e con Se operando ^  come fa la ragione dell’ Uomo , inse-  gnare Se medefimo : e perciò con tutte  1* altre forme, ed operazioni , e lavori  materiali , unicamente per gencrazio   G g ne    234 DELL’ANIMO   ne efler dee formato, ed idrutto . Er-  Erme de * rano b cn dj m olto i Volgari , che vo-  ogc,u ' gliono l’animale addottrinato per qua-  Erroredìal - lunque cognizione . Errano eziandio  fan/ *• c    *   A ,, .h.    • 3 . _ •!   ' Digilized è^X3oogfe    2?8 DELL’ANIMO   , • mcdefima debbono immediatamente  procedere . Ed in ciò egli è ben latto   éeU’Vom* avvcrtire » che la Mente deli’ Uomo  la Materia da una parte; e la Materia univerfale-*   jeZnoUtrfn- ^ a ^ l{ d rr3 > cileno amenduc affettano il  creato . primato, e’1 principato dclfc cofe . La  Mente dell’ Uomo per 1’ indifiolubil  m ncflTo della penetrevole , e comuniche-   vole identità, per la quale in alcun mo-  do ella da fé procede, c in fé ritorna,  e in fé ripofa; avendo principio, mez-  zo, e fine infeparabilmente connetti in  una indivifibile, reale unità; e per l a .  quale è ancora a Tuo modo proporzio-  ♦ nevolmenro ampia , ed univcrfalc : e la  materia per la fua ampiezza , ed uni-  verfaliti , onde ogni efifere del fuo ge-  nere abbraccia , c contiene ; cd onde * ^  in alcuna gnifa , una , penetrevole, e co-  municante f! fa vedere . Perciocché a  fondare il fourano primato , e principi- t  to dell’ efifere , due cofe infieme concor-  rono ; Luna è I* identità , che invinci-  bilmente unifee tutta l’ettenza , o fo-  flanza, e tutta in ogni parte rendela a  -fé medefima infittente, e prefente: l’al-  tra c l’ ampiezza , e contenenzjuwrit'er-   fale,    Digitized by.Google    *    DELL’ UOMO. 239  fale , che ogni eflerc dentro di le di -  ogni genere largamente comprendevi  anzi primato, ed univerfalità e’ paioli  di eflerc una medefima eflenza ;  l’ univerfalità per efler prima, e (bura-  tta , ella è uopo , che all* ampiezza ag-  giunga r identità de’ principi ; che il tut-  to alle parti, e quello a quello infepa-  rabilmente connettendo, arrechi verace  contenenza - E così eziandio Identità,  c primato pajono flmigliantemente una  fola cola ; ma e* fa di meftieri, che l’iden-  tità, col neflo infolubile dell’ eflenza_.  abbia infleme la contenenza. ili ogni ef-  fere, per efler perfetta, prima, e po-  derofa, e con perfezione, pienezza, e  potenza efler prima, e fourana . Orla  Mente deli’ Uomo per I* identità de*  principi, che feco adduce alcuna uni-  versità : e la materia mondana per  1’ univerfalità , che pare aver fe.co al-  cuna comunicazione, elle, come dice-  vamo, ambiscono il principato delle co-  fe appreflo degli Uomini ftolti . Dal  che begli nella Fifiologia Torta l* opinio-  ne dell’ eternità del Mondo , e quella  dell’ autorità , e del potere della Fortu-   • na,    m    *r'    Digitized by Google    2 4 o DELL* ANIMO  na , ed ogni altra Scempiaggine, che fa  produzione delle forme ideali, e reali,  umane , e mondane fottragge all’ Idea  divina : ed indi altrefi nell’Etica c egli de-  rivato il pregio del fallo , dell’ utilità ,  e del piacere, che colle frodi , e colle  violenze introducono nelle Civili focie-  tà la peftilenziofa Tirannide . Ma l’una,  e l’altra nell* intelligenza de’ dotti da  quelle alture nel più infimo luogo, cia-  fcuna del fuo genere fono fiate ritrai  te ; conciolfiachc la Mente dell* Uomo  fenza la vera, e piena univerfal conte-  nenza c ella rifirctta, e circol’critta da  ogni lato , minuta , angufta , povera ,ed  impotente, c di minute, c varianti, e  caliginose cogitazioni , e idee fol pre-  veduta : Sebbene ella per forza della r  penetrevole identità , e lumi , e Segni  della Mente uTTiVeffale , e dalla uni- .  verfal materia ricevendo , può b.Z »          t i    ft — '•*      BMv *“v ji.  ! 2 •”    ;    Sfe: .-    yin. /S '   Ev* ■*• *>      L^J        80KT9i    fi.:-,;,;.   t- if ^ %     Vi      V ,.      DELL’UOMO. 24 1   ingegno Mentale può ella, forma, ed  ordine, e bellezza, e forza acquifere  Così la Mente dell’ Uomo , 1* uni verfai  eflere e fapere , che è 1» ogni eirere , c  ogni fapere , fuori di fe avendo ; e di  la fatta accorra di edcr ella piccio-  ni porzione , e fottil produzione di  quell ampia umverfalità ; e la Materia  avendo fuori di fe ogn’ idea, che è ogni  ingegno , e forma , ed arte ; ben ella lì di-  moia e/Tere una partecipazione , ed un  limuiacro delia verace prima univerfal  torma. Con che elleno, non già il va- Doppio».  no lantafima del loro fa4fo pnncimrn «omento del  che creano nel fenfo degli ftolT; maj  del vero principato della fovrana Men-  te divina, doppio, rubufto,e luminofo  argomento fom mi ni Arano; quella colla  cognizione , e quella colla fignificazio-  ne : quella col conokere, indiritta ver- •  fo 1 ogni fapere , ed ogni elTere , onde  procede; e quella col lignificare, addi-  tando il medelimo ogni elTere , ed o" ,w,r, a.-      flf-ft *   - •’.V*    K    -•'Ve    : > .•    .   », * * \y >   -.A     2 4 i DELL* ANIMO  vacuità» e difordine» e tumulto» c de-  formità» e infermezza , cd ogni inutili-  tà, e danno sbandifee » bontà » pienez-  za , potere , Capere , e con erti ogni frut-  to , ed ornamento Ceco arrecando da»#  una parte ; e dall* altra fe nell’ erbe , e  nelle piante , negli animali » ed in ogni  altra corporale fpezie, cogli occhi del-  la fronte e* fi. vede cotal perfetta cofpi-  razione , e comunione con tutte quel-  le virtù, e bellezze: e nell’ Uomo parti-  colarmente tutto il corpo organico con  ogni fila parte feorgefi ordinato all* in-  veftigazionc , ed al profeguimcnto del  vero, c del bello» £ nell’ Univerfo al-  tresì nel corfo regolato , e collante »  negli fplendor» della luce » nel potere  della formazione , c in quello della fi-  rnificazione, nell* infinità delle forme  reali, che opefàn ò*7'c felle ideali, che  lignificano , egli è apertiflima » e luci-  didima cofpirazione , e comunione con  ogni bontà, e belleza,e utilità, e uber-  tà, e dilettamento; fe , dico , tutto ciò  è vero , come fermamente è ; ficcome  vedefi per quello dalle cofe difcacciata  ogni vacuità di edere , che è il nulla ;     DELL’UOMO. 243  ed ogni difetto di configlio , che è il  cafojcosì con indicibil chiarezza l’ogni  comunione perfetta della mente fcer-  nefi ancor chiaramente lignificata . Di  cotali comunicazioni, e fignificazioni ,  onde è l’ Uomo d* ogn’ intorno cinto , e  delle interne comunioni , e lignificazioni  del proprio edere, e del proprio fapere,  egli è ccrtiflima produzione V Idea di  Dio ,che il divagamento , e divi/ione de’  penfieri, e ’l tumulto , e lubricità degli  affetti ofcurano, e cancellano fino all*  infano Ateifmo, che come più fiate è  per noi flato detto, è dpiù cupo.abbiL  fo dell’umana ignoranza , Ora per ri-  metterci in cammino , quello danno an-  cora inferifcono alla fcienza quei , che  per 1 * ordinate operazioni degli Ani- •'   mali bruti, non contenti delle forme , fue cegni    o idee materiali direttrici, di vantaggio ”£> pjcurala  vi richieggono la cognizione : quella fffi^, az '° ne  illuflre fignificazione divina della divi-  na autorità ofeurando non poco ; co-  me fa altresì chiunque T idee direttrici  dell* Univcrfo non riconofce . Percioc-  ché le forme direttrici , con più fret-  to, e più certo xommercio elleno fon  ni H h 2 coll’    • 4 *    * ..    RJ      *m._   l*E3    _     >,    ^ « vP,    sr &»-   l\r iSPIEjS    &   ,    feAfl ». vv. .^■•’MI   j»4 V*.   >» .      ”-fc>   v : \      I    ¥ '   j   fi        Si- „•    Sè?L"; i'r*:-   • ■    r'- fe   V,*. .    •Q©:ii"e'1   ri*»' • ®   ! «r*-      51        *    4    &K 5 J j?* x        DELL* UOMO. 247  nino a fvegliarvi le ufo , o cognizione ;  ma più tolto, che da un capo all’altro,  non in altra maniera qualunque modi-  ficazione fi diffonda, che per virtù del-  la penetrevole materia , fuccelfivamen-  te d’ una in un’ altra parte di fpiriti ,  onde tutto il corpo abbondi , moltipli-  cata, e propagata .Imperocché ficcome  è il Cielo di aere , e d* etere ripieno ,  e di luce, che da per tutto è in perpe-  tuo atto, e moto ; così il corpo dell*  animale della fpiritofa foltanza è tutto  in ogni fua parte irraggiato , e con pe-  renne vigorofo atto-, e mo vimento ope-  rante. Il qual penfamento,(ee più ac-  concio a Spiegare la maravigliofa co-  municazione delle cognizioni de’ len-  ii , e degli affetti; e in particolare il fu-  bito momentaneo contentò , con che-  V imperio della, .volontà fecondano i  movimenti de* membri; ed all 1 incontro jfilg» incoi -  a’ fenfi nelle membra fufeitati rifpon- rjffondenzcu,  dano i penfieri , e gli affetti: e fe è egli  più atto a fpiegare la mirabil propaga-  zione delle figure , de* colori , e de* Tuo-  ni in tante parti, e in tanta diftanzaje  iu ifpczieltà 1’ incredibile velocità del-  mfe le    *■ .   a-      • e L* _i m    a . 1 1 \ .     tf 7    7 >J    ■■ .    A    »V      - -* Sa    * r 7        * T ••   * - •    ' ■ 4M    * +    l,'4 To' ri ‘1   wiH   v- 1 -3    -li,      •.ira     NK3    ì 4 8 DELL* ANIMO  le illuminazioni, e figurazioni delia lu-  ce , che non fa la comun volgare ope-  nione ; e* non dee già niuno offendere  la novità delle cofe. A quella guifaor  dimoflrata 1* origine , e la virtù, e le~,  varie guife dell’ operazioni ideali , noi  fermamente abbiamo refa più accette-  vole la fentenza , che per le fole idee  direttrici , fenza niuna cognizione , fi  governi la vita degli animali bruti.   Pure , come per l’ ingegno , e lume  delle idee direttrici abbiam moflrato ,  poter la materia avvicinar^ al fapere  della mente: così d T altra parte , alla_»  poteflà della mente medefima poter el-  la farfi dapprefTo col vigore del moto ,  conviene che dimoflriamo. E adunque  uopo , che ritorniamo all* Ariflotelica  definizione del moto : la quale intera-  mente fpianancknp' vcrrenTo a conofce-  re da una parte 1* atto della mente ,  che c la cognizione; e dall’altro l’at-  to della materia, che è il moto: e ’l po-  tere deli’ una natura, e dell* altra ;  dell’uno, e dell’altro atto , che dirit-  tamente va a toccare il nodo di que*  fla difficile Quifiione. II moto, dice-u   quel            3    .   -   . * . ; *   i.' , •’ >.• a ,"'' ■ ■     DELL’UOMO. 249  jquel Filofofo, egli è atro di ente iiu.  potenza, in quanto in potenza: diffìni- Defittiti**  «ione, come noi già dicemmo , dcrifa c "   • da moderni Filici , ma che in più , e di-  verfe maniere interpetrata , alti spro-  fondi fenfi difeopre, che la coloro leg. *  gerenza, o feempiaggine ravvi farvi non  ha potuto. Noi l’ altre cofe , che po-  tremmo addurre, ad altro uoporiferva-  te, due fole ne feerremo , che a fu pe-  rare la malagevolezza , che abbiamo  innanzi, crediamo più opportune . Pri- Prima /*.  1^3, il moto non è una particolare e r P e,raz 'mn*  diterminata mutazione a produrre- #£!%£.  quella, o quella diterminata cofa, che nizione *  qualificando il fubbietto , il termini ,  e ’l compia in alcun modo ; ma così  ?gl.' £ ? tto » e c °sì ( diciam così ) attua  il lubbietto; che altro movendo non li  faccia, ed altro non fi polTa dire , fe^  non che quello fi muova , e fi muti ge-  neralmente . Il moto e* già non è di  quella fatta di modi , o qualità , chc^  con qualificare , o modificare f compia  in elTere il corpo movente ; ma egli  avviene all’ente già perfetto, e com-  piuto, ed attuato con ogni atto , e per- £   I i fe-    Digitized by Goprk    , ,• M i | ^    -250 DELL’ANIMO   lezione , e compimento del Tuo eflerè':  il qual eflere perciò e* non è in poten-  za, che al moto foloy cioè a mutazio-  ne, e variazion generale, che altroché  mutazione, e variazione e* non fia.On-  de avviene eziandio, che in qualunque  modo, e quantunque muovali il corpo ,  Tempre e’ rimanga libero, e fpedito , e  in potenza a muoverli più oltra in in-  finito. La mobilità adunque ella non è  certa, e diterminata potenza a quello,  o quel certo , e diterminato atto . Il  di lei atto non è tale , che così ne di-  termini Tinfinità , c T indifferenza ; che  in oltre altro atto , ed altra dttermina-  zione , e perfezione e’ non li abbia a»,  ricevere . La mobilità non h potenza à  produrre, o operare; non è a ricevere  nulla , o patire ; non è ne attuofa , ne  paziente mmi*— * tì iiffr» tua' bene ella è  ima potenza generale , ordinata ad un  generai atto, che attuandola; tuttavia  nella fua capacità , o poffibilità ancor  la (èrbf. Quello è egli effe re in potèn-  za, in quanto potenza; onde Arinote-  le con profondo acume potè dire ciò  che dille del moto in quella dWfinizio-'  - . - ne    Digitized by Google    'A   \ * 1  • -*> * w « v_   ■«: A* otete^tffa-cggn^ ìzrònKéT Bà r » l tW l IH 1 ! g  medefima maravigliofe forze a conofce?  re. Imperocché fa Mente puo^lla a fd  medefima rivolta, fopra di fé ogni fu a  azione adoperare : ficco me fopra noi còti 1  altrettanti argom enti abbia m dimoftra.’   ^ > coniQqj^iioMjfrt( l pf73^5TPa Ja yacjjj.'   tà*#Plffipotenza della materia . Siccome  la cognizione, non come il moto della'  materia è atto di ente in potenzi , in  guanto potenza . La cognizione non è*  eftrinfcca , ma intrinfeca alla foftanza  mentale , e intrinfecamente la termina ,  e compie ; eflfere , e forma , e perfezionò *  in lei rifondendo . Da qucikTnfigne 4   dif-    Digiti;    DELL* UOMO. 255  differenza della mente , c della mate-  ria , della cognizione, e del moto e* fi  viene con Comma chiarezza a conofcere  da una parte il Covrano edere della men- cognizione  te pura ; e dall’altro , l’infimo edere della Ù  pura materia. Imperocché nella totale  acuità , e impotenza della materia e’ben  li ravvifa la Cuggezione ,la dipendenza ,  e Peftremo biCogno ,che ella ha di ede-  re moda , variata , e figurata : e per con-  feguente la Cua natura vuota di ogni po-  tere, e d’ogni atto , e luce mentale. E  nella virtù della Mente, che ella ha di  muovere, e for ma n e c ornare Ce fteC-  fa, e’bene fi riconoCce la Covranltà, e Pin-  dipcndcnza , e la pienezza , c ’1 potere di              254 DELL* ANIMO  defima differenza s’ intende ancora , che  è il proposto noftro , la natura del fenfo  ragionevole dell’ Uomo , e la natura del  fenfo cieco animalefco: quella nella con-  giunzione di mente foftanziale, colla .ma-  teria formata ; e quella nella comunica-  zionedell’ atto mentale alia materia ii*  forme . Ed ecco la natura fenfuale , tutta  con tutte le operazioni ragionevoli , ef-  preffa , ed effigiata nella fola materia .  Quando per virtù della mente pura e*  paffa nella materia 1* atto mentale dell*  ogni comunicazione aritmetica , geome-  trica, ftatica ;-c-+ l arrcr tfelt* ogni poter©  del moto nella materia più fina , agevole ,  cd attuofa con- perpetue circolazioni, ed  ordinate diftribuzioni ,jcon principi, P ro “  greffi , e ritorni; e quello in fine dell* ogni  formazione coll’ ideali plaltiche , c della  direzione , c jigiuficasioiie cotPideali di-  rettrici^ lignificati ve ; ecco allora un  principio movente , ampio , pieno , per-  fetto ,podcro fo e fruttifero : onde nella  materia-mondana è la direzione , efigni-  ficazione ne* Corpi celefti di giorni, me-  fi, e d’anni, e di ordinate {lagioni, e di  altri più ampj , e più perfetti periodi, ed  è 1* ogni formazione , o produzioo^di er-         1    f -    ff    DELL’UOMO. 2 55 '• ,   be ,di piante, e d’ animali , e di ogni altra  potfibile fpezie corporale . 11 qual princi-  pioè egli la Natura univerfale . E nelle- u^'-   matene particolari coflrutte, ed ordì- vt rjÀlc.  nate con quegl’ingegni , e fornita di quel-  le virtù , e forme reali, ed ideali e’provie-  nc , e la produzione , o formazione de li-  mili, e la fignificazione , e direzione di   tutte le ordinate operazioni neceflarie al-   la vita. 11 qual principio a fuo modo capa- -^ rt *  ce, e potente, ed ordinato, c egli lana- f0 / *¥■   # ^ «• +*jàf   ['•" ' .^. ■ .'•a * .*« . ’ •* ' S*1 % 4   f# • „ * ** ?• •* j*'*. . • • !    L.‘.   i * «   L      ■ J #-*   m^^Sr      v%? j   •* 1   ■r^ * * 5A  4 ° ?r SI  2 ‘ * r&Z. '       *• i 1   ».     f    P'^3pMWF ttèfe ••* lìi” „ c tp -i* * .. 4    \ f SjJ f ~ *;>. A* **'$* * f* * # .^ "i ” «   1 * ’* *2 IwNP^ • ■ * ’ ’** %ìj *4** *  *7    V«>    ’ tl ^4 M Tommaso Rossi. Rossi. Keywords: implicature moderna, argumenti contro LUCREZIO (si veda), Lucrezio, De rerum natura, animi degl’uomini, anime degl’uomini, animo/anima, corpi degl’uomini, corpi degl’animali, degl’affetti degl’uomini, il senso, il moto, i corpuscoli, ossessione con Lucrezio come filosofo romano.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rossi: la ragione conversazionale di Romolo; o lo storicismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Studia  a Torino sotto ABBAGNANO, Napoli, e Milano. Insegna a Cagliari e Torino. Studia lo storicismo, l’illuminismo, e il positivismo. Saggi: Lo storicismo, Einaudi, Torino; “Storia e storicismo, Lerici, Milano; La storiografia Saggiatore, Milano; “Oltre lo storicismo, Saggiatore, Milano; “Storia della filosofia”, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cf. Grice, “Speranza e l’opera di Grice in Italia.” Pietro Rossi. Rossi. Keywords: lo storicismo, la critica della ragione storica, la storia della filosofia – l’antichita – filosofia romana, filosofia antica, gl’antichi, la filosofia romana, filosofia italica – indice al volume ‘L’antichita’ nella ‘Storia della filosofia” – “L’antichita” – storiografia filosofica – l’origine della filosofia italica, l’origine della filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rossi: la ragione conversazionale e l’implicatura di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Urbino). Filosofo italiano. Studia ad Ancona, Bologna, e Firenze sotto GARIN. Insegna a Castello e Milano. Lavora all'Enciclopedia presso la casa editrice Mondadori.  Insegna a Cagliari, Bologna, e Firenze. Si occupa di storia della filosofia. Cura edizioni di diversi filosofi, tra i quali CATTANEO (Mondadori) e VICO (Rizzoli). Le collaborazioni con giornali vanno dalla rubrica "Filosofia" sul settimanale Panorama alla rubrica "Storia delle idee" per il supplemento culturale La Domenica del quotidiano Il Sole 24 ore. Della rivoluzione di GALILEI (si veda) sostiene che la scienza vive un vero e proprio mutamento di paradigma. Il carattere rivoluzionario dei mutamenti nel modo di fare scienza avvenuti all'epoca di GALILEI grazie a una serie di fattori: la visione della natura, non più divisa tra corpi naturali e artificiali, la dimensione continentale (e, in prospettiva, mondiale) della cultura, l'autonomia da Roma, la pubblicità dei risultati. Un'altra importante novità e costituita dal formarsi di un'autonoma comunità scientifica, una sorta di autonoma repubblica della scienza dove non esiste l'ipse dixit.  Si dedica al tema della memoria, in chiave filosofica e storica, in “Il passato, la memoria, l'oblio”. Analizza e denuncia l'esistenza di diverse forme di ostilità alla scienza -- il primitivismo e l'"anti-scienza -- che, come forma di reazione allo sviluppo tecnologico e industriale, propugnano come soluzione di tutti i mali il ritorno a un mondo pre-moderno idealizzato e il rifiuto della razionalità. Dei Pontani di Napoli. Dei lincei. Saggi: “Acocio” (Milano, Bocca); “Favole antiche” (Milano, Bocca); “Dalla magia alla scienza” (Bari, Laterza); “Clavis Universalis: arti della memoria e logica combinatoria” (Milano, Napoli, R. Ricciardi); “I filosofi e le machine” (Milano, Feltrinelli); “Galilei” (Roma-Milano, CEI-Compagnia Edizioni Internazionali, “Il pensiero di Galilei: una antologia dagli scritti, Torino, Loescher); “Le sterminate antichità: studi vichiani” (Pisa, Nistri-Lischi); “Storia e filosofia: saggi sulla storiografia filosofica, Torino, Einaudi); “Aspetti della rivoluzione scientifica, Napoli, Morano); “La rivoluzione scientifica” (Torino, Loescher, Pisa, Edizioni ETS,  “Immagini della scienza,” Roma, Editori Riuniti); “I segni del tempo: Storia della nazione italiana in Vico” Milano, Feltrinelli); “I ragni e le formiche: un'apologia della storia della scienza,” Bologna, Il Mulino); “Storia della scienza,” Torino, Pomba, “La scienza e la filosofia dei moderni: aspetti della rivoluzione scientifica,” Torino, Boringhieri, “Paragone degli ingegni moderni e post-moderni,”Bologna, Il Mulino, “Il passato, la memoria, l'oblio: sei saggi di storia delle idee” (Bologna, Mulino); “La filosofia,” Torino, Pomba, “Naufragi senza spettatore: l'idea di progresso,” Bologna, Il Mulino, “La nascita della scienza” Roma, Laterza, “Le sterminate antichità e nuovi saggi vichiani,” Scandicci, La Nuova Italia, “Un altro presente: saggi sulla storia della filosofia,” Bologna, Il Mulino); “Bambini, sogni, furori: tre lezioni di storia delle idee, Milano, Feltrinelli); “Il tempo dei maghi: Rinascimento e modernità, Milano, Cortina, Speranze, Bologna, Il Mulino, Mangiare, Bologna, Il Mulino,  Un breve viaggio e altre storie: le guerre, gli uomini, la memoria (Milano, Cortina); saggi in onore di R., Vergata e Pagnini, Nuova Italia, Firenze, Segni e percorsi della modernità: saggi in onore, Abbri e Segala, Dipartimento di Studi Filosofici dell'Siena, Rainone, «Rossi Monti, Paolo» in Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Abbri, Nuncius, Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Un maestro, Pisa, Edizioni della Normale, Tra BANFI e Garin: la formazione, in Rivista di filosofia, Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche -- Per una scienza libera, intervista. Storia Moderna, : memoria e reminiscenza, sul  RAI Filosofia, su filosofia rai. Il Fondo Rossi nella biblioteca del Museo Galileo. PAOLO ROSSI CLAVIS UNIVERSALIS ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA DA LULLO A LEIBNIZ MILANO - NAPOLI RICCARDO RICCIARDI EDITORE MCMLX CLAVIS UNIVERSALIS DELLO STESSO AUTORE: Per una storia della storiografia socratica, nel vol. Problemi di storiografia filosofica, a cura di A. Banfi, Milano, Bocca, 1951. Giacomo Aconcio, Milano, Bocca, 1952. Il «De Principiis» di Mario Nizolio, nel vol. Testi umanistici sulla retorica, a cura di E. Garin, Roma-Milano, Bocca, 1953. Francesco Bacone, dalla magia alla scienza, Bari, Laterza, 1957. Su alcuni problemi di metodologia storiografica, nel vol. Il pensiero americano contemporanco, Milano, Ediz. di Comunità, 1958. Altre ricerche di storia della filosofia pubblicate nella « Rivista critica di storia della filosofia », anni 1950 segg. C. Cattaneo, L'insurrezione di Milano nel 1848, Milano, Universale Economica, 1948 (introduzione). O . Cattaneo, La società umana, Milano, Mondadori, 1959 (antologia). > . E. TayLor, Socrate, Firenze, La Nuova Italia, 1952 (prefazione). F. Bacone, La nuova Atlantide e altri scritti, Milano, Universale Economica, 1954 (introduzione, traduzione e note). G. B. Vico, Opere, I classici Rizzoli, Milano, Rizzoli, 1959 (introduzione e note). PAOLO ROSSI CLAVIS UNIVERSALIS ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA DA LULLO A LEIBNIZ MILANO - NAPOLI RICCARDO RICCIARDI EDITORE MCMLX PRINTED IN ITALY INDICE Premessa I. Immagini e memoria locale nei secoli XIV e XV I. Polemiche di umanisti contro le prescrizioni della memoria - 2. Le fonti classiche e medievali dell’ars memorativa - 3. Ars memorativa e ars praedicandi nel secolo XIV - 4. Tecniche della memoria nel secolo XV - 5. La Fenice di Pietro da Ravenna - 6. Natura e arte - 7. Arte della memoria, aristotelismo e medicina - 8. La costruzione delle immagini. II. Enciclopedismo e combinatoria nel secolo XVI III. IV. I. La rinascita del lullismo - 2. Agrippa e le caratteristiche dell’ars magna - 3. Arte, logica e cosmologia nella tradizione lulliana - 4. L’arbor scientiae © gli enciclopedisti del secolo XVI - 5. La confirmatio memoriae negli scritti di Raimondo Lullo - 6. Bernardo de Lavinheta: combinatoria e memoria locale - 7. La logica memorativa. I teatri del mondo I. Simbolismo e arte della memoria - 2. Diffusione dell’ars reminiscendi in Inghilterra e in Germania - 3. Span- gerbergius - 4. La medicina mnemonica di Gratarolo - 5. Il lullismo e la cabala nei teatri del mondo. La logica fantastica di Giordano Bruno I. Gli scritti lulliani e mnemotecnici del Bruno - 2. Combinatoria, ars memorativa e magia naturale nel secolo XVII.  La memoria artificiale e la nuova logica: Ramo, Bacone, Cartesio. Pierre de la Ramée: la memoria come sezione della logica - 2. Bacone e Cartesio: la polemica contro i giocolieri della memoria - 3. Mnemotecnica e lullismo in Bacone e Cartesio - 4. L’inserimento delle tecniche memorative nella nuova logica: gli aiuti alla memoria nel metodo baconiano; tavole, topica, induzione; gli aiuti alla memoria e la dottrina dell’enumerazione nelle Regulae. 4l 81 109 135 VIII CLAVIS UNIVERSALIS VI. Enciclopedismo e pansofia I. Il sistema mnemonico universale: Enrico Alsted - 2. La pansofia e la grande didattica: Comenio - 3. Enciclope- dismo e combinatoria nel secolo XVII - 4. L'alfabeto filosofico di Giovanni Enrico Bisterfield. VII. La costruzione di una lingua universale I. I gruppi baconiani in Inghilterra: progetti di una lingua universale - 2. Simboli linguistici e simboli matematici - 3. I gruppi comeniani: lingua universale e cristianesimo universale - 4. La costruzione di un linguaggio per- fetto: George Dalgarno e John Wilkins - 5. La funzione mnemonica delle lingue universali: il metodo classificatorio nelle scienze naturali - 6. Cartesio e Leibniz di 179 201 fronte alla lingua universale. VIII. Le fonti della caratteristica leibniziana 239 APPENDICI App. À pp. App. App. App. App. App. App. À pp. App. I II IIl IV Vv VI VII VIII: IX X : 11 Liber ad memoriam confirmandam di Raimondo Lullo. : Un anonimo trattato in volgare del secolo XIV. : Due Mss. quattrocenteschi di ars memiorativa. : Documenti sull’attività di Pietro da Ravenna. : Tre Mss. di ars memorativa del tardo secolo XVI. : Il Petrarca, maestro di arte della memoria. : Uno scritto inedito di Giulio Camillo. Esercizi di memoria nella Germania del secolo XVII. : La voce Art mnémonique nella Enciclopedia di Diderot. : D’Alembert e i caratteri reali. INDICE DEI MANOSCRITTI INDICE DEI NOMI. PREMESSA Il termine clavis universalis fu impiegato, fra il Cinquecento ed il Seicento, a indicare quel metodo o quella scienza generalissima che pongono l’ uomo in grado di cogliere, al di là delle apparenze fenomeniche o delle « ombre delle idee », la trama ideale che costituisce l’essenza della realtà. Decifrare l'alfabeto del mondo; riuscire a leggere, nel gran libro della natura, i segni impressi dalla mente divina; scoprire la piena corrispondenza tra le forme originarie e la catena delle umane ragioni; costruire una lingua perfetta capace di eliminare gli equivoci e di svelare le essenze mettendo l’uomo a contatto non con i segni, ma con le cose; dar luogo ad enciclopedie totali, a ordinate classificazioni che siano lo specchio fedele dell'armonia presente nel cosmo: al tentativo di realizzare risultati di questo tipo, ad analizzare, difendere e propagandare queste posizioni e la visione del mondo ad esse collegata furono intenti, fra la metà del Trecento e la fine del secolo XVII, quanti si volsero a discutere i temi del lullismo, a dettare le regole della memoria artificiale, a compilare grandiose enciclopedie e complicati teatri del mondo, a ricercare l’alfabeto dei pensieri, a farsi sostenitori delle aspirazioni della pansofa e delle speranze in una totale redenzione e pacificazione del genere umano. Si tratta di atteggiamenti, di progetti, di temi che ebbero diffusione vastissima, che esercitarono un peso decisivo sulle ricerche di logica e di retorica, che condussero a studiare e ad approfondire, da un ben determinato punto di vista, il problema della lingua e quello della memoria, le questioni attinenti alle topiche e alle classificazioni, ai segni e ai geroglifici, ai simboli e alle immagini. È senza dubbio difficile per un uomo moderno rendersi conto del peso che una produzione libraria dedicata a quest'ordine di problemi ebbe ad esercitare sulla cultura, anche su quella filosofica. Resta il fatto che ad elaborare le regole del discorso, quelle dell’ argomentazione e della persuasione, a stabilire i canoni dell’arte della memoria, ad insegnare il tipo di collegamento che deve sussistere tra i luoghi della mnemotecnica e le immagini che in essi hanno da essere collocate, a studiare le figure della grande arte di Lullo, ad elaborare le complicate regole della combinatoria, si dedicarono intere generazioni di uomini colti dal primo Rinascimento fino all’età di Leibniz. Che le tecniche della memoria artificiale e della logica combinatoria siano scomparse dalla cultura europea non è probabilmente un male; male è invece che molti storici abbiano creduto o tuttora credano di poter intendere polemiche e discussioni e significati di teorie, strap- pando violentemente quelle discussioni e quelle teorie da un contesto storico preciso nel quale quelle tecniche, oggi ben morte, erano invece vive e vitali. Chi, occupandosi della cul- tura del Cinquecento e del Seicento, non ha per esempio inteso il significato della connessione logica-retorica e ha creduto di poter tracciare una storia della prima senza minimamente occuparsi della storia della seconda, ha raggiunto, in genere, conclusioni abbastanza desolanti. Dire, come molti han fatto, che «testi insignificanti » ebbero grande diffusione in tutta Europa, significa, in ultima analisi, cercare di sfuggire, con un giro di parole, ad un problema storico ben determinato: che è poi quello delle ragioni di quella singolare fortuna e dei motivi che spinsero filosofi come Agrippa e Bruno e Bacone e Cartesio e Leibniz e uomini come Alsted e Comenio e scien- ziati come Boyle o Ray a prendere estremamente sul serio quelle discussioni, a impegnarsi in una valutazione della loro funzione e del loro significato, a interpretarle e adattarle a più diverse e complesse posizioni di pensiero. Certo, ove non si vogliano eliminare dalla storia, come frutto di errori e di illusioni, gli scritti latini del Bruno, vari capitoli del De Augmentis, i frammenti giovanili di Cartesio, una metà degli opuscoli di Leibniz, ove non si vogliano re- spingere ai margini della cultura uomini come Alsted e Co- menio, bisognerà rendersi conto che anche la cultura del Sei- cento (non solo quella delle età precedenti) è, nelle sue stesse linee di fondo, assai lontana da una mentalità post-illuministica. Poiché è proprio il razionalismo illuministico che segna, da questo punto di vista, una svolta decisiva: una serie di problemi che avevano appassionato per secoli i cultori di logica e di retorica, i teorici del discorso e gli studiosi del linguaggio vennero eliminati per sempre dalla scena della cultura europea, perdettero significato e senso, apparvero manifestazioni delle folli aspirazioni di secoli che si erano posti sotto il segno delle empie ricerche astrologiche, magiche e alchimistiche, o sembrarono i relitti, ancora presenti nell’ età della nuova scienza, delle tenebre medievali. Accettando come valido il quadro storiografico estremamente parziale elaborato dagli illuministi nel corso di un’aspra lotta ideologica, non poca della storiografia dei secoli successivi ha preferito sorvolare su alcuni aspetti, che furono in realtà decisivi, della cultura dell’età barocca. Gli interessi del Bruno per la combinatoria e la mnemotecnica vennero considerati come «curiosità e bizzarrie »; si preferì sorvolare sul fatto che Ramo e Bacone e lo stesso Leibniz ave- vano visto nella « memoria » una delle sezioni nelle quali si articola la nuova logica dei moderni; non si tenne conto che la dottrina baconiana delle tavole e dell’induzione, che quella cartesiana dell’enumerazione erano state elaborate su un terreno storico preciso con riferimenti a testi diffusissimi e a discussioni ormai secolari; si vide in Comenio solo il pedago- gista moderno e in Leibniz solo il teorico della logica formale. Di quel complicato groviglio di temi connessi alla cabala e alle scritture ideografiche, alla scoperta dei caratteri reali, al- l’arte della memoria, all'immagine dell’albero delle scienze, alla mathesis e alla caratteristica universale, al metodo inteso come miracolosa chiave dell’universo, alla scienza generalissima, si preferì sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e misteriosa entità “platonismo” sempre presente, come uno sfondo non chiarito e un indistinto panorama, dietro le opere dei grandi e dei piccoli pensatori. Questo libro è nato dal tentativo di chiarire, almeno nelle sue linee fondamentali, quello “sfondo” e di individuare gli aspetti generali e particolari di quel “panorama”: non mediante riferimenti generici, ma attraverso l’analisi diretta di una serie di testi editi e inediti, un esame della diffusione di determinati libri e di determinate idee, una ricerca dell’azione esercitata da quei libri e da quelle idee sulla “filosofia” (in particolare sulla logica) dei pensatori moderni di maggior rilievo. i La funzione, il significato, gli scopi delle arti della memoria e della logica combinatoria si andarono, di volta in volta, variamente configurando dal secolo XV al XVII. Le formule, da secoli ripetute, di un arte veneranda acquistarono in ambienti diversi da quelli originari, significati assai diffe- renti: quella che era apparsa a molti, fra il Trecento e il Quattrocento, una tecnica neutrale utilizzabile nei discorsi per- suasivi indipendentemente dalle circostanze di luogo e di tempo, finì per rivelarsi strumento di ambiziosi progetti di riforma, per caricarsi di significati metafisici, per connettersi al temi della cabala dell’esemplarismo mistico e della pansofia. Da questo punto di vista fra i testi di ars praedicandi o di ars memoriae del Trecento e del Quattrocento e i testi del Bruno e del Camillo esiste una incolmabile differenza: a uno strumento concepito in vista di finalità pratiche e mondane, nell’ambito della retorica, si è sostituita, dopo l’incontro con la tradizione del lullismo, la ricerca di una cifra che consenta di penetrare i segreti ultimi della realtà, di ampliare smisura- tamente le possibilità dell’uomo. Non diversamente, inserendo la dottrina degli aiuti della memoria nei quadri di una dottrina del metodo o della logica, o richiamandosi alla carena e al- l’arbor scientiarum, Ramo, Bacone e Cartesio muteranno pro- fondamente il senso di problemi tradizionali. L'antico pro- blema della memoria artificiale, piegato a nuove esigenze e profondamente trasfigurato, faceva il suo ingresso nella logica moderna, si legava ai temi del linguaggio universale e della scienza prima o generale. Ma al di là di questi “mutamenti” e di queste “trasfigurazioni” resta ben salda, dalla fine del Trecento agli ultimi anni del secolo XVII, una effettiva con- tinuità di idee e di discussioni: una continuità che ha carat- tere europeo e che è accertabile mediante la documentazione della diffusione di un grandissimo numero di testi e di molte idee in gruppi di uomini ben determinati. Nel corso del Set- tecento i testi di Pietro da Ravenna e di Cornelio Gemma, di Alsted e di Pedro Gregoire, di Schenkelius e di Rosselli, di Bisterfield e di Wilkins, che erano stati studiati e letti e com- mentati da Bruno e da Bacone, da Comenio da Cartesio e da Leibniz vengono eliminati dalla cultura europea. Anche il lullismo, che era stato in Francia, in Germania e in Italia, una delle componenti fondamentali della cultura, una delle “sette” filosofiche più fortunate e accademicamente più forti, si localizza nella città di Magonza e nell’isola di Maiorca, assume carattere esclusivamente erudito, dà luogo, nella se- conda metà del secolo, solo alle malinconiche esercitazioni di qualche professore, si riduce a manifestazione di una menta- lità irrimediabilmente arcaica e provinciale. Non diversamente le arti della memoria artificiale, nate con Cicerone e Quinti- liano, riprese da Alberto e Tommaso, considerate essenziali all’esercizio della virtù cristiana della prudenza, coltivate da Lullo, da Bacone e da Leibniz, vengono respinte ai margini della cultura, vanno infine a far compagnia, nelle collane di libri occulti, ai testi dell’ antroposofia e dello spiritismo. Appellandosi ad un “calcolo” logico e soprattutto ad un “simbolismo” di tipo matematico Leibniz aveva dato in realtà un colpo mortale a quei “simboli” intesi come «pitture ani- mate prodotte dall’immaginativa » che avevano riempito per tre secoli non pochi testi di retorica di pedagogia e di filosofia. Con Leibniz, ed anche per opera di Leibniz, scompariva un intero mondo; non solo un certo modo di intendere la fun- zione delle immagini e dei simboli, ma anche un modo di intendere il compito della logica e i rapporti di questa con la metafisica. Nel 1713 quando Collier pubblicò la sua Clavis universalis, questo termine, già carico di tanti significati, aveva perso ogni senso, era solo un'etichetta, estranea al contenuto dell’opera. Rifiutando gli aspetti arcaici del pensiero leibni- ziano; respingendo l’esemplarismo di derivazione lulliana, le stravaganze della cabala, i sogni della pansofia, tutta l’atmo- sfera — alquanto torbida — dell’enciclopedismo dei due secoli precedenti, il razionalismo settecentesco coinvolgeva però nella condanna — con conseguenze storiche assai importanti — an- che i progetti di una caratteristica universale e di un simbo-

lismo logico avviati da Dalgarno e da Wilkins, condotti avanti da Leibniz. Non a caso Emanuele Kant, a quasi un secolo dalla comparsa della Dissertatio de arte combinatoria, esclu- deva radicalmente che le idee composte potessero essere rap- presentate mediante la combinazione di segni e paragonava la caratteristica di Leibniz agli inconcludenti sogni dell’ alchimia. L’opera di Leibniz veniva così identificata con quella di un teologo e di un metafisico speculativo, la sua fama era affidata alla Teodicea e alle discussioni sul problema del male. Come ha scritto con molta esattezza il Barber, che ha studiato in modo egregio le reazioni di un secolo di cultura francese al leibnizianesimo, l’avvento del nuovo empirismo « swept Leibniz too into the class of the outmoded exponents of apriori : DR, Si : systems ». Per veder ripresi i progetti di Leibniz bisognerà attendere per due secoli: fino ad Augustus de Morgan e a George Boole; come logico, Leibniz verrà rivalutato, agli inizi del nostro secolo, da Louis Couturat e da Bertrand Russel; del vescovo di Wilkins si parla con una certa simpatia, forse per la prima volta dopo il Settecento, nel volume The meaning of meaning di Ogden e Richards pubblicato a Londra nel 1923. La sviluppo ottocentesco della logica formale, il costituirsi della logica simbolica come scienza derivava dalla « graduale acquisizione della sempre più netta consapevolezza della sua natura di tecnica deduttiva indipendente dai presupposti di una visione generale del mondo » (Barone) dallo svincola- mento « da ogni preoccupazione ontologico-metafisica » (Preti). Come già aveva notato Husserl, la logica formale moderna era nata « non da riflessioni filosofiche sul significato e sulla necessità della mathesis universalis, ma dalle esigenze della tecnica teoretica deduttiva della matematica ». I riconoscimenti delle « geniali anticipazioni » presenti nel pensicro di Leibniz ebbero origine precisamente su questo terreno. Ma su un altro terreno, radicalmente diverso, si era mosso Leibniz e, prima di lui, si erano mossi Bacone e Car- tesio. Quelle “anticipazioni”, quei “precorrimenti” che Far- rington, Beck' o Russel, trattando rispettivamente di Bacone, di Cartesio e di Leibniz, hanno così acutamente segnalato sono senza dubbio di grandissimo interesse ed ogni ricerca volta a determinarne meglio la portata e la fecondità per i contem- poranei è non solo legittima, ma auspicabile. E tuttavia sotto- lineare le differenze, battere sulla diversità, sulla alterità è, quanto meno, altrettanto importante: per dissipare cquivoci, per mostrare che cosa fu, nella realtà, quello sfondo indistinto sul quale campeggiano i ritratti dei nostri illustri antenati. Co- me ha scritto di recente Augustin Crombie, a proposito dei lu- minosi precorrimenti presenti nell’opera di Galileo, « it is not by reading our own problems backwards that historical expe- rience is enlightening, but by exposing ourselves to the surprise that thinkers so effective should have had aims and presup- positions so different from our own ». Chi abbia familiare la letteratura sul Rinascimento vedrà chiaramente quanto questo libro debba alle ricerche di E.

Garin sulla cultura dei secoli XV, XVI e XVII e, per quanto riguarda la “continuità” delle “idee” fra il Quattrocento e il Settecento, alle conclusioni cui è giunto, di recente, Delio Cantimori. Desiderio inoltre esprimere la mia gratitudine al Padre Miquel Batllori dell’ Istituto Storico della Compagnia di Gesù, al prof. Frangois Secret, a Mrs. G. Bing del War- burg Institute, agli amici Paola Zambelli e Cesare Vasoli che mi hanno variamente consigliato, fornito pubblicazioni e indicazioni di articoli e di studi. Ringrazio inoltre il dott. Luigi Quattrocchi dell’Istituto Italiano di Amburgo che mi ha procurato le fotografie di alcuni manoscritti leibniziani c la direzione della « Rivista critica di storia della filosofia » che mi ha consentito di riprodurre qui quelle parti del libro che erano apparse, nella rivista stessa, sotto forma di saggi. AvveRTENZA: Nelle note, a indicare le biblioteche qui di seguito elen-

cate, si sono usate le seguenti abbreviazioni (ma si veda anche l’ Indice dei manoscritti: Ambros. . Ambrosiana Ang. Angelica Anton. Antoniana Archiginn. Comunale di Bologna Braid. Braidense Casan. Casanatense Class. Classense Fir. Naz. Nazionale di Firenze Laur. Laurenziana Marc. Marciana Pad. Civ. Civica di Padova Par. Naz. Bibliothèque Nationale Pavia Univ. Universitaria di Pavia Ricc. . Riccardiana Roma Naz. Nazionale Centrale di Roma Triv. Trivulziana Vatie. Apostolica Vaticana IMMAGINI E MEMORIA LOCALE NEI SECOLI XIV E XV. POLEMICHE DI UMANISTI CONTRO LE « PRESCRIZIONI » DELLA MEMORIA. In un testo fondamentale della filosofia moderna, com- posto alla metà del secolo dei lumi, Hume, discorrendo del discernimento e della memoria, affermava che mentre i difetti del discernimento non possono trovar rimedio in alcuna arte o invenzione, i difetti della memoria possono sovente essere attenuati od eliminati «sia nel campo degli affari come in quello degli studi ». Accennando al « metodo », alla « opero- sità» e alla « scrittura » come opportuni aiuti a una debole memoria, scriveva: «quasi mai sentiamo indicare la scarsa memoria come la ragione del fallimento d’una persona nelle sue iniziative. Ma nell’antichità, quando nessun uomo poteva conseguire successo se non possedeva il talento della parola, e quando il pubblico era troppo delicato per reggere ad ar- ringhe rozze ed indigeste del tipo di quelle che gli improv- visati oratori dei nostri giorni propinano alle assemblee, la facoltà della memoria aveva la massima importanza e, per conseguenza, era assai più stimata di oggi ».' Hume, che negli anni della sua formazione intellettuale aveva « segretamente divorato » i testi ciceroniani, era ben con- sapevole dell’esistenza storica di una tecnica o arte della me- moria che, come risulta dal suo brano, è per sua natura con- nessa al fiorire di una civiltà che fa largo posto alle tecniche del discorso e ad un mondo nel quale la retorica si presenta come un elemento vivo della cultura. Negli anni in cui Hume scriveva, le ricerche volte alla fissazione e alla elaborazione 1 D. Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui princìpi della morale, a cura di M. Dal Pra, Bari, 1957, p. 267. Cfr. il testo inglese ed. L. A. Selby Brigge, Oxford, 1955, p. 241. Sul problema della memoria cfr. anche A Treatise of Human Nature, cd. by L. A. Selby Brigge, Ox- ford, 1955, pp. 8-10 (sulla memoria e l'immaginazione); pp. 117-118 nota; pp. 108, 153, 199, 209. Sull’ assenza di ogni sensazione di piacere o di pena nell'esercizio della memoria cfr. libro III, parte III, scz. IV. 2 CLAVIS UNIVERSALIS delle regole della memoria artificiale erano ormai definitiva- mente scomparse dalla scena culturale europea e si erano rifu- giate sul piano delle curiosità e delle stravaganze. Non si era trattato solo di un corrompersi delle arti del discorso di fronte alla minore delicatezza degli uditori: l’enorme diffusione della stampa (e quindi dei repertori, dei dizionari, delle bibliografie, delle enciclopedie), la progressiva affermazione delle nuove logiche (da Ramo a Bacone, da Cartesio ai Portorealisti) ave- vano dato in realtà un colpo mortale da un lato alla tratta- tistica retorica e dall’altro a quella produzione di opere di mne- motecnica (a quella trattatistica strettamente collegata) che, durante i secoli XV e XVI e nei primi decenni del XVII, ave- vano letteralmente invaso l’ Europa. Solo tenendo conto della diffusione che la mnemotecnica aveva raggiunto non solo in un ambito letterario e filosofico, ma anche all’interno delle scuole e dei programmi d’insegna- mento, ci si possono spiegare le proteste e le ironie che contro di essa da più parti si levarono nei secoli stessi del Rinasci- mento. Nel decimo capitolo del De varitate scientiarum, dedi- cato appunto all’ars memorativa, Agrippa si scagliava con vio- lenza, contro quei zedulones che, nelle scuole, impongono agli studenti lo studio della memoria artificiale o che riescono a spillar quattrini agli incauti facendo leva sulla novità dell’arte. Far ostentazione di capacità mnemoniche gli sembrava cosa puerile; spesso, concludeva, si giunge a manifestazioni di tur- pitudine e di impudenza: si sciorinano tutte le merci dinanzi alla porta mentre la casa, all’interno, è completamente vuota. Ricordando Simonide, Cicerone, Quintiliano, Seneca, Petrarca e Pietro da Ravenna fra i maggiori teorici dell’arte memorativa, egli da un lato notava la insufficienza della memoria artificiale

ove non sussistesse già robusta la nazuralis memoria c dal- l’altro si scagliava contro il carattere mostruoso delle immagini e la pesantezza delle formule in uso nella mnemotecnica. I cul- tori della quale, gli sembrava, intendono far impazzire me- diante l’arte coloro che non si accontentano dei confini sta- biliti dalla natura.” ° H. C. Acrirra, De incertitudine et vanitate scientiarum, in Opera, Lugduni, per Beringos Fratres, 1600, II, pp. 32, 33 (copia usata: Triv. Mor. K. 403). IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 3 Con altrettanta decisione, vent'anni più tardi, Erasmo, nemico dei ciceroniani e della retorica, si pronuncerà contro l’uso dei loci e delle immagini che non fanno — affermava — che rovinare e corrompere la memoria naturale. Con più iro- nia, un altro grande critico delle degenerazioni pedantesche e delle precettistiche dell’umanesimo rifiuterà questo tipo di let- teratura, insistendo, con una crudezza che va certo spiegata anche mediante il riferimento ad una situazione culturale pre- cisa, sulla sua stessa mancanza di memoria: Il n'est homme è qui il siese si mal de sc mesler de parler de memoire, car je n’en recognois quasy trace en moi, et ne pense qu'il y en ayt au monde une aultre si mervcilleuse en defaillance... Si jc suis homme de quelque legon, jc suis homme de nulle retention... Ma memoire sempire cruellement tous les jours... Proprio sul terreno dell'educazione c partendo dal presup- posto che « sgavoir par coeur n'est pas “gdvolt, c'est tenir ce qu'on a donné en garde à sa memoire »,° Montaigne polemiz- zava contro l'apprendimento mnemonico in nome di una cul- tura « viva»: non si chieda conto al discepolo delle parole della lezione, ma del suo senso e della sua sostanza; gli si chieda non la testimonianza della sua memoria, ma della sua vita; lo stomaco non ha adempiuto alla sua funzione se non quando ha mutato la forma e la struttura degli alimenti, iden- tico è il compito della mente." Non si trattava di generici riferimenti alla libertà della mente di fronte ad ogni precet- tistica; la polemica di Montaigne assomiglia solo nella forma a quella che potrebbe condurre un professore dei nostri giorni * D. Erasmo, De razione studii, ed. Frocben, 1540, I, p. 466. ! MoNTAIGNE, Esseis, I, 9; II, 10 (ediz. Garnier, Parigi, s. d., I, p. 25; 374). > Essats, I, 25 (vol. I, p. 119). € «Qu'il ne luy demande pas seulement compte des mots de ca legon, mais du sens et de la substance; et qu'il juge du profit qu'il aura faict, non par le tesmoignage de sa memoire, mais de sa vie... C'est tesmoi- gnage de crudité et indigestion, que de regorger la viande comme on l’a avallée: l'estomach n'a pas faict son operation, s'il n'a faict changer la faccon et la forme à ce qu'on luy avoit donné à cuire... On nous a tant assubjectis aux chordes, que nous n’avons plus de franches allu- res; notre viguer et liberté est esteincte ». (Essai, I, 25; vol. I, p. 117). Cfr. anche II, 10 (vol. I, p. 380). 4 CLAVIS UNIVERSALIS contro gli studenti che imparano le lezioni a memoria. Egli aveva di fronte obbiettivi precisi: Si en mon pais on veult dire qu'un homme n°a point de sens, ils disent qu'il n'a point de memoire; et quand je me plains du default de la mienne, ils me reprennent et mescroyent, comme si je m’accusois d’estre insensé: ils ne veoyent pas de chois entre memoire et entendement... Mais il me font tort, car il se veoid par cxpérience que les memoires excellentes se joignent volentiers aux jugements debiles... Ils on laissé, par escript, de l’orateur Curio que, quand'il proposoit la distribution des pieces de son oraison en trois ou en quatre, ou les nombres de ses arguments ou raisons, il luy advenoit volentiers ou d’en oublier quel- qu’un, ou d’y en adjouster un ou deux de plus. J'ay tous- jours bien evité de tomber en cet inconvenient, ayant hai ces promesses et prescriptions...” In realtà, nonostante le proteste di Erasmo e di Montaigne, quelle odiate « prescrizioni » erano destinate a diffondersi sempre più ampiamente durante tutto il secolo XVI e a pro- lungarsi poi fino in pieno Seicento. A_metà del secolo XVII Wolfang Ratke protesterà, da un punto di vista simile a quello dei grandi umanisti, contro l’apprendimento mnemonico e contro gli esercizi di mnemotecnica.* Ancora negli ultimi anni del secolo i ‘““ciceroniani”, che non avevano affatto disarmato nonostante Erasmo, Montaigne e la grande crisi ramista e car- tesiana, si facevano con successo sostenitori, in sede pedago- gica oltreché retorica, della necessità e dell’utilità della me- moria artificiale. Quella vasta produzione di trattati di ars memorativa alla quale si rifaceva la Art of Memory del D’As- signy, che non a caso veniva dedicata nel 1697 ai « giovani studenti di entrambe le università »,° non era stata soltanto espressione di pedanteria grammaticale: in essa aveva trovato forma quel panmetodismo che, nel corso del Cinquecento, aveva contrassegnato tutta la cultura. La fisionomia, i tempe- ramenti, le passioni, le proporzioni del corpo umano, il di-

? Essais, I, 9; III, 9 (vol. I, p. 25; vol. II, p. 350). * Pàdagogische Schriften des Wolfang Ratichius und seiner Anhinger, Breslau, 1903. Cfr. E. Garin, L'educazione in Europa, 1400-1600, Bari, 1957, pp. 234-235. ® M. D'Assicny, The Art of Memory. A treatise useful for such as are to speak in Publick, London, 1697. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 5 scorso, la poesia, l'osservazione della natura, l’arte del gover- nare e quella militare: tutto venne in quell’età codificato e ridotto in arte. In quel periodo della cultura che è stato felice- mente chiamato «l’età dei manuali », in quel secolo che « fu instancabile nel ricercare princìpi normativi di valore generale e perenne da calare in comodi schemi didascalici »,°° proprio mentre si veniva chiarendo la impossibilità, per quelle codifi- cazioni, di passare dal piano delle topiche e dei teatri univer- sali a quello del metodo,!! si andava rafforzando l’esigenza di un’arte capace di presentarsi come la chiave della realtà, come arte universale e somma, capace di risolvere di colpo tutti i problemi dando luogo ad una tecnica suprema che rendesse di fatto inutili tutte le varie provvisorie e particolari tecniche. L’idea di un’arte del ricordare e del pensare che si svolga in modo “meccanico” acquisterà nuovo vigore quando, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, si stabilirà un contatto profondo fra le ricerche di arte della memoria ispirate a Cicerone a Quintiliano alla Retorica ad Herennium, quelle derivanti dal De memoria et reminiscentia di Aristotele dai commenti di Alberto, Tommaso, Averroè e infine quelle diret- tamente legate alla ars magra di Lullo. Avrà allora nuovo rilievo il concetto di un meccanismo concettuale che, una volta messo in moto, possa svolgersi da solo, in modo relativamente indipendente dall’opera del singolo, fino alle ultime conse- guenze, fino alla comprensione totale, ponendo gli uomini in grado di leggere nella sua integrità il gran libro dell’universo. Per rendersi conto del peso che questa idea eserciterà nel seno stesso della filosofia moderna basterà pensare alla macchina che Bacone intendeva costruire mediante la sua nuova logica, al mirabile inventum cartesiano cercato, prima che nella geome- tria analitica, nei testi di Lullo e di Agrippa, ai libri « porta- tori di luce universale » di Comenio, infine a quella mirabile chiave che intendeva essere la “caratteristica” leibniziana. L'antico sogno lulliano di un’arte che sia contemporanea- !° L. Firpo, Lo stato ideale della Controriforma (Ludovico Agostini), Bari, 1957, p. 245. !! Cfr. R. KLEIN, L’imagination comme vétement de l’ dame chez Mar- sile Ficin et Giordano Bruno, in « Revue de Métaphysique et de Mo- rale », 1956, 1, pp. 30-31. 6 CLAVIS UNIVERSALIS mente logica e metafisica,'° che, a differenza della logica tra- dizionale, tratti non delle seconde, ma delle prime intenzioni, che mostri la corrispondenza tra il ritmo del pensiero e quello della realtà, che disveli, mediante combinazioni mentali, il vero senso dei rapporti reali, aveva trovato piena espressione, nei secoli del Rinascimento, nei tormentati scritti di mnemo- tecnica del Bruno. E non a caso, oltre che alla lettura dei testi di Lullo, Bruno ebbe a richiamarsi alla scoperta, fatta in anni giovanili, del trattatello sulla memoria di Pietro da Ravenna," che era invece di precisa ispirazione “retorica” e “ciceroniana”. Quando nel De umbris idearum Bruno si muoverà sul piano dei nessi immaginativi, delle connessioni tra immagini e figure e lettere, affiderà proprio al connubio tra meccanismo logico e meccanismo psicologico quella possibilità di una immensa estensione del sapere o di una nuova inventio che era al cul- mine delle sue aspirazioni: in quel punto apparivano saldate insieme, nei testi bruniani, le aspirazioni del lullismo e le tec- niche sull’uso dei luoghi e delle immagini che derivavano dai testi di retorica antica e dai trattati sulla memoria artificiale del Rinascimento. Leggendo le pagine vivacemente polemiche contro l’arte della memoria (quelle di Ratke come quelle di Erasmo o di Montaigne o di Agrippa) è certo difficile non simpatizzare in qualche modo con quella polemica condotta, in nome della libera spontaneità dell’uomo, contro gli schemi e la pedan- teria e le prolissità di una rigida precettistica. Ciò non toglie 12 R. LutLi, Opera omnia, Mainz, 1721-42, vol. III, p. 1: « Sciendum est ergo, quod ista Ars est et logica et Metaphysica... Mctaphysica considerat res, quae sunt extra animam, prout conveniunt in ratione entis; logica etiam considerat res secundum esse, quod habent in anima... sed hacc Ars tanquam suprema omnium humanarum scientiarum in- differenter respicit ens secundum istum modum ct secundum illum ». Cfr. anche Opera, ed. Zetzner, Strasburgo, 1617, p. 358: « Logicus trac- tat de secundariis intentionibus... sed generalis artista tractat de primis... Logicus non potest invenire veram legem cum logica: generalis autem artista cum ista arte invenit... Et plus potest addiscere artista de hac arte uno mense, quam logicus de logica uno anno ». (Copia usata: An- gelica, XX, 12, 49). 13 A. Corsano, // pensiero di G. Bruno nel suo svolgimento storico, Firenze, 1940, p. 41; F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno, esposte e confrontate con le italiane, Firenze, 1889, p. 37, nota 2. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE / che di fatto proprio quella precettistica (quella derivante da Cicerone come quella derivante da Lullo) ebbe ad incidere, per vie sotterraneee, sulla formazione della nuova cultura con- dizionando il costituirsi stesso della logica nuova da Bacone a Leibniz. In varie guise collegata agli sviluppi delle arti del discorso e alle tecniche della persuasione, ai tentativi di co- struzione di una nuova enciclopedia, alle controversie sul rami- smo e sul lullismo, alla magia, alla medicina e alla fisiogno- mica, la trattatistica sulla memoria artificiale si colloca dun- que, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, al centro di un giro di discussioni e di problemi cui appaiono interessati non solo i teorici o cultori della retorica, ma filosofi e logici c cultori di scienze occulte e medici ed enciclopedisti di varia provenienza e natura. Le “bizzarrie” della mnemotecnica andranno così da un lato a intrecciarsi a problemi di logica e di retorica e dall’altro a connettersi alla rinascita del lullismo e alla creazione di lin- guaggi artificiali nonché a quella ambigua atmosfera magico- occultistica che appare in molti casi collegata al rifiorire di interessi per l’ars magra di Lullo. Le discussioni sulla mnemo- tecnica non saranno in tal modo senza risonanza su due grandi problemi della cultura filosofica del Seicento: quello del me- todo o della logica inventiva e quello della sistematica classifi- cazione delle scienze o costruzione di una enciclopedia del sapere. 2. LE FONTI CLASSICHE E MEDIEVALI DELL’ARS MEMORATIVA. Gli uomini — scriveva l’anonimo autore di un trattato quattrocentesco sulla memoria — inventarono arti diverse c numerose per aiutare e potenziare l’opera della natura. Con- statando la labilità dell’umana memoria, legata alla fragilità della natura dell’uomo, escogitarono un’arte mediante la quale fosse possibile ricordarsi di molte cose che, per via naturale, non potevano essere ricordate. Nacque così la scrittura e poiché in tempi successivi gli uomini si resero conto di non poter portare sempre seco le scritture e che non sempre scrivere era possibile, inventarono, fin dai tempi di Simonide e di Demo- crito, l’arte della memoria artificiale. Questo avvicinamento dell’arte mnemonica alle altre tec- 8 CLAVIS UNIVERSALIS niche che aiutano l’opera della natura, presente in questo co- me in tutti i trattati rinascimentali sulla memoria, non è, come vedremo, senza significato. Ma più che da questo accosta- mento si è colpiti, esaminando i trattati di ars memorativa composti fra la metà del Trecento e la metà del secolo XVII, dal costante, insistente richiamo alla psicologia aristotelica, ai grandi manuali della retorica latina, ai testi sulla memoria e ai commenti di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino. In molti casi i trattati che andremo esaminando non fanno che

esporre, commentare, amplificare regole, dottrine, precetti che risalgono a molti secoli prima e che, elaborati in Grecia e in Roma, giungono agli scrittori del Trecento e a quelli del Rinascimento attraverso l’opera dei grandi maestri della scola- stica. Certo, anche quelle regole e dottrine andranno mutando valore e portata e significato a contatto con tradizioni culturali differenti e con differenti ambiti di civiltà: quegli aiuti della memoria che appaiono connessi nel Medio Evo con l’ars prae- dicandi, diventeranno in Bruno gli strumenti di un’arte che vuol riprodurre le strutture della realtà, mentre Bacone e Descartes li inseriranno, come elementi essenziali, all’interno della nuova metodologia delle ricerche naturali. Tuttavia, chi voglia intendere il significato e l’origine storica di quegli “aiuti alla memoria”, non potrà non aver presenti le fonti alle quali con maggior insistenza quelle dottrine si richiamavano. Appunto di quelle fonti si intende qui dar conto brevemente. 1) Il De memoria et reminiscentia di Aristotele. Questo scritto, che si presenta come un trattato di psico- logia e non come una dissertazione sulla mnemotecnica, con- tiene tuttavia alcune affermazioni che verranno sfruttate in epoche successive in vista della costruzione di una tecnica del ricordare. I teorici della mnemotecnica si richiamano alle se- guenti dottrine aristoteliche: 4) La tesi della necessaria pre- senza dell'immagine o fantasma (gAvtacpa) in vista del fun- zionamento della memoria (pvt ). Il necessario ricorso all'immagine, che è una specie di sensazione senza materia o di sensazione indebolita, fa sì che fra la memoria e l’immagi- nazione ( pavtagia «leSntx4 ) da un lato e la memoria e la sensazione dall’altro intercorrano rapporti assai stretti. 4) La IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 9 tesi che il ricordo o memoria riflessa o attualizzazione della memoria scomparsa dalla coscienza ( &v&pvrotg ) sia facilitato dall'ordine e dalla regolarità, come avviene per esempio nel caso della matematica, mentre ciò che è confuso e disordi- nato difficilmente può essere ricordato. c) La formulazione di una legge dell'associazione secondo la quale le immagini e le idee si associano in base alla somiglianza, alla opposizione, alla contiguità. In un passo del De memoria (2, 452 a, 12-15) che avrà particolare fortuna Aristotele affermava: «talora il ricordo sembra partire dai Zuoghi (Toro). La ragione di ciò è che l'uomo passa rapidamente da un termine all’altro, per esempio dal latte al candore, dal candore all’aria, dall'aria al- l’umidità, dall’umidità al ricordo dell’autunno, supponendo che si cercasse di ricordare questa stagione ». All’impiego delle im- magini Aristotele si riferisce del resto anche nel De anima (III,

3, 427 b, 14-20): «E chiaro che l'immaginazione è qualcosa di distinto dalla sensazione e dal pensiero.. essa è in nostro potere quando lo vogliamo, e si può infatti porre qualcosa davanti agli occhi come fanno coloro che vanno riempiendo i luoghi mnemonici e fabbricano immagini (év toîs pwapovizotîe aiSepevor xa ciòwioror9ivte: ), mentre la sensazione non di- pende da noi ».'' 14 Oltre ai luoghi cit. nel testo cfr.: per i rapporti fra immagine e sen-

sazione: De anima, III, 8, 423 a 9; Rhet., I, 11, 1370a 28; per i rap- porti fra memoria e immaginazione: Sec. An., II, 19, 99b 36-100a 4; Metaph., A, I, 9800 27-b 27; De mem., 1, 450a 22-25; per i rapporti fra memoria e sensazione: Mezaph., A, 980 a 28-29; De mem., 1, 450a 30-b 3. Come è stato notato la traduzione di &vapwoxg con remini- scentia, pur legittimata dal riferimento a Platone in Prim. An., II, 21, 67 a 21-22, non corrisponde al senso che il termine ha in Aristotele. La àvapynog è una attualizzazione della memoria, una ricostruzione del ricordo che richiede una conoscenza del tempo non spontanea come nella memoria (De mem., 450a 19), ma riflessa (452b 7; 453a 9-10) e che è quindi caratteristica solo dell’uomo (453a 8-9). Del De memoria et reminiscentia cfr. l'edizione con traduzione inglese e commento di G.R.T. Ross, Cambridge, 1906. Utile il commento del TricoTr, nella traduzione dei Parva naturalia, Parigi, 1951, pp. 57-75. Scarsa la trattazione della memoria nelle opere sulla psicologia aristo- telica: A. E. CHaicHer, Essai sur la psychologie d’A., Parigi, 1883; J. Nuyens, L’évolution de la psychologie d'A., Lovanio, 1948; C. W. SHUTE, Psychology of A., New York, 1947. Sulla presenza di una mne- motecnica presso i Greci cfr. la testimonianza della RAetorica ad He- 10 CLAVIS UNIVERSALIS 2) Il De oratore di Cicerone (II, 86-88). In questo testo la memoria viene trattata come una delle cinque parti che costituiscono la tecnica dell’oratore. Dopo aver fatto riferimento all’episodio del poeta Simonide (primum ferunt artem memoriae protulisse) che aveva identificato i corpi dei partecipanti a un banchetto sfigurati dal crollo del soffitto ricordandosi il posto (/ocum) che essi avevano occu- pato, Cicerone metteva in luce la opportunità, in base al pre-

supposto che l’ordine giovi alla memoria, di scegliere dei luoghi, di formare le immagini dei fatti o concetti che si vogliono ricordare, di collocare quelle immagini net luoghi. L’ordine secondo il quale sono disposti i luoghi metterà in grado di ricordare i fatti. L'arte della memoria appare in tal modo paragonabile e analoga al processo della scrittura: i luo- ghi adempiono alla stessa funzione della tavoletta cerata, le immagini hanno la stessa funzione delle lettere. L'uso delle immagini appare fondato sulla necessità di un ricorso al piano del senso e sulla maggior persistenza della memoria visiva («ea maxime animis adfigi nostris quae essent a sensu tradita atque impressa; acerrimum autem ex omnibus nostris sensibus esse sensum videndi »). I luoghi dovranno essere molti, chiari c collocati modicis intervallis; le immagini risulteranno tanto più efficaci quanto più atte a colpire le facoltà immaginative («est utendum imaginibus agentibus, acribus, insignitis quae occurrere celeriterque percutere animum possint »). 3) Il De institutione oratoria di Quintiliano (XI, 2). Pur avanzando qualche riserva sull’utilità della € mnemo- tecnica, Quintiliano, che inizia anch’egli la sua esposizione con il racconto di Simonide, dedica all'argomento una tratta- zione assai più ampia e dettagliata di quella ciceroniana. Sulla costruzione dei /xoghi della memoria artificiale Quintiliano renniun, III, 23: «Scio plerosque Graccos, qui de memoria scripse- runt... ». Sulla tecnica della memoria in Ippia d’Elide cfr. l'ipotesi avan- zata da O. Arett, Bettriige zur Geschichte der antiken Philosophie, VIII, 1891, p. 381. Sono da vedere anche: J. A. ErnESTI, Lexicon teclnolo- giae Graccorum rhetoricae, Lipsia, 1795; Lexicon technologiae Lati- norum rhetoricae, Lipsia, 1797; P. Laurap, Manuel des etudes grecques et latnes, App. II: La mnémotechnie des anciens, Les Humanités, 94, 1933. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 1} si sofferma a lungo: per raggiungere risultati efficienti è opportuno servirsi, egli afferma, di un edificio collocando le varie immagini nei singoli luoghi ordinatamente disposti all’in- terno delle singole stanze. « Visitando mentalmente l’edificio » (che può essere anche un edificio pubblico o può essere sosti- tuito dai bastioni di una città o da una giornata suddivisa in varî periodi o da una costruzione immaginaria e « non-reale ») sarà possibile « riprendere » le diverse immagini (e quindi ri- chiamare alla mente i fatti o i concetti che esse esprimono) dai diversi loghi nei quali esse sono rimaste « custodite ». 4) La RAetorica ad C. Herennium (MI, 16-24). In questo scritto di autore ignoto che i medievali, attribuen- dolo a Cicerone, qualificano come rhetorica nova o secunda

(per distinguerlo dal De inventione o rhetorica vetus) ritro- viamo presenti le stesse regole e gli stessi precetti ai quali ci siamo riferiti parlando di Cicerone e di Quintiliano. La distinzione fra memoria naturale e memoria artificiale appare formulata con estrema chiarezza: « sunt igitur duae memo- rine: una naturalis, altera artificiosa. Naturalis est ea quae nostris animis insita est et simul cum cogitatione nata; artifi- ciosa est ea quam confirmat inductio quaedam et ratio prae- ceptionis ». Fra i /uoghi, che per ricordare molte cose do- vranno essere assai numerosi, troviamo elencati: aedes, interco- lumnium, angulum, fornicem et alia quae his similia sunt. Le immagini, che sono le formae o notae o simulacra di ciò che si intende ricordare, vanno collocate nei luoghi: «allo stesso modo infatti in cui coloro che conoscono le lettere dell’alfa- beto possono scrivere ciò che viene dettato e recitare ciò che scrissero, così coloro che hanno appreso l’arte mnemonica pos- sono collocare nei luoghi le cose che hanno udito e da questi ripeterle a memoria ». Mentre le immagini sono variabili, i luoghi dovranno essere fissi (« imagines, sicut litterae, delentur, ubi nihil utimur; loci, tanquam cera, remanere debent ») e ordinatamente disposti: ciò darà la possibilità di richiamare mentalmente le immagini indifferentemente dall’inizio, dal termine o dalla metà di un ordinamento o elenco.'* !° Sull’epoca di composizione della Rhetorica ad H. cfr. la introduzione di F. Marx all'edizione di Lipsia, 1894, p. I. Sulla posizione dei me- 12 “CLAVIS UNIVERSALIS 5) Il De bono (IV, 2) e il commento al De memoria et reminiscentia di Alberto Magno; la Summa theologiae (Il, 11, 49) e il commento al De memoria et remini- scentia di Tommaso d’Aquino. Le trattazioni della memoria contenute nel De Boro di Alberto e nella Summa di Tommaso !* si richiamano esplici- tamente alla fonte aristotelica e a quella pseudo-ciceroniana. Per Alberto, « ars memorandi quam tradit Tullius optima est »; i precetti della mnemotecnica servono all’etica e alla retorica; la memoria delle cose che concernono la vita e la giustizia è duplice: naturale e artificiale. « Naturalis est quae ex bonitate ingenii deveniendo in prius scitum vel factum facile memo- ratur. Artificialis autem est, quae fit dispositione locorum et imaginum ». Come in tutte le altre arti, anche qui l’arte e la virtù aggiungono perfezione alla natura e poiché nella nostra azione «ex praeteritis dirigimur in praesentibus et futuris et non e converso », la memoria si presenta, accanto alla intelli- gentia e alla providentia, come una delle tre parti che costi- tuiscono la virtù della prudenza. Come ha ben chiarito la Yates,!” l’autorità alla quale si appellavano Alberto e Tommaso nella loro considerazione della memoria come parte della pru- denza era il De inventione ciceroniano e poiché Cicerone nella sua seconda retorica (la Rhetorica ad Herennium) aveva di: stinto tra memoria naturale e memoria artificiale dettando le regole per la acquisizione della memoria artificiale mediante l’impiego dei loc: e delle imagines, quella distinzione e que- dievali di fronte a questo testo, p. 52. L'attribuzione del testo a Corni- ficio risale al 1491: RapHaeL Recius, Utrum ars rhetorica ad H. Cice- roni falso iscribatur, in Ducenta problemata in totidem institutionis oratoriae Quintiliani depravationes, Venezia, 1491. Per la posizione di Valla sull'argomento cfr. L. VaLLa, Opera, Basilea, 1540, p. 510. 16 Cfr. ALBERTI Magni, De Bono, Monasterii Westfaliorum in aedibus Aschendorff, 1951, vol. XXVIII, 249 segg. Il commento di Alberto al De memoria ct reminiscentia in Opera, ed. Borgnet, IX, pp. 97 segg.; quello di Tommaso in Opera omnia, ed. Fretté, Parigi, 1885, XXIV e In Avristotelis libros de sensu et sensato, de memoria et reminiscentia commentarium, Roma, 1949. 17 F. A. YatEs, The Ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 882-83. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 13 ste regole entravano ad occupare un posto di primaria impor- tanza nella discussione di Alberto e di Tommaso sulla me- moria come parte della prudenza. Di questa alta considera- zione della € mnemotecnica “ciceroniana” è del resto precisa testimonianza l’ampiezza della discussione di Alberto e la sua minuziosità: praticamente vengono esaminati, nel De dono, tutti i precetti contenuti nella Retorica ad Herennium. Ba- sterà, a titolo di esempio, riportare qui il passo di Alberto che si riferisce al carattere «inconsueto » che devono avere le immagini: « Ad aliud dicendum, quod mirabile plus movet quam consuetum, et ideo cum huiusmodi imagines translatio- nis sint compositae ex miris, plus movent quam propria con- sueta. Ideo enim primi philosophantes transtulerunt se in poe- sim, ut dicit Philosophus, quia fabula, cum sit composita ex miris, plus movet ». Il richiamo ad Aristotele è particolar- mente significativo: questi testi di Alberto e Tommaso si pre- sentano infatti come un tentativo di fusione tra il testo aristo- telico e quello “ciceroniano”. Ciò appare particolarmente evi- dente nella trattazione della Summa theologiae tomistica. Muo- vendo dalla nota identificazione della memoria con una parte della prudenza (« convenienter memoria ponitur pars pruden- tiae... necessaria est ad bene consiliandum de futuris »), Tom- maso mette a confronto la possibilità che ha la prudenza di essere aumentata e perfezionata ex exercitio vel gratia con quella che si offre alla memoria di essere perfezionata me- diante l’arte (« non solum a natura perficitur, sed etiam habet plurimum artis et industriae »). Le quattro regole della me- moria artificiale enunciate da Tommaso riguardano: l’uso delle immagini (« quasdam similitudines assumat convenien- tes »), l'ordine che facilita il passaggio dall’uno all’altro con- cetto o dall’una all’altra immagine («ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur »); la necessità della concentrazione in vista della costruzione dei luoghi; la frequente ripetizione in vista della conservazione dei concetti (« quod ea frequenter meditemur quae volumus memorari »). La prima e la terza di queste regole derivano dalla R&etorica ad Herennium, la se- conda e la quarta dal De memoria et reminiscentia aristo- telico: non a caso, nel commento al De memoria, la prima regola apparirà eliminata, la terza verrà adattata al testo ari- 14 CLAVIS UNIVERSALIS stotelico mediante l’esclusione del riferimento alla costru- zione dei luoghi.!* 3. ARS MEMORATIVA E ARs PRAEDICANDI NEL sEcoLO XIV. Accanto alle citazioni di Aristotele, di Cicerone e dello pseudo-Cicerone, di Quintiliano, di Alberto e di Tommaso, compaiono spesso, nei trattati di ars memorativa composti fra il Trecento e il Seicento, i nomi di Platone (per il luogo del Timeo, IV, 265, che fa riferimento alle maggiori capacità mnemoniche della adolescenza), di Seneca (che in De dene- ficiis, III, 2-3-4-5 tocca, a proposito della memoria dei bencfzi ricevuti sia il tema della « frequenza » sia quello dell’« or- dine »), di Agostino (per i ben noti passi sulla memoria nel libro X, cap. 8 delle Confessioni e per i brevi riferimenti in De Trinitate, IX, 6). Lo stesso sommario elenco di queste

« autorità » basta da solo a mostrare come quella trattatistica di ars memorativa che si diffonde largamente in Europa dopo il Trecento si richiami ad una assai antica. e non mai inter- rotta tradizione. Attraverso una vasta produzione la cui storia attende ancora di essere puntualmente indagata, questa tradi- zione si era andata svolgendo secondo diverse linee di svi- luppo e su piani differenti: mentre il testo aristotelico affron- tava questioni connesse con il problema della sensazione (non a caso i commenti medievali al De memoria et reminiscentia appaiono sempre connessi a quelli al De sensu et sensato), della immaginazione e dei rapporti fra anima sensitiva e anima intellettiva, i testi di Cicerone, di Quintiliano e dello pseudo- Cicerone si erano mossi su un piano tipicamente ed esclusi- vamente « retorico » richiamandosi all'arte della memoria come ad una tecnica i cui compiti e i cui problemi si esaurivano totalmente sul piano di una funzionalità in vista dei partico- lari fini perseguiti dall’oratore. Dal De rhetorica di Alcuino al tentativo di Giovanni di 18 THoMas Aquinas, /n Aristotelis libros de sensu et sensato, cit., 371: « Si ergo ad bene memorandum vel reminiscendum, ex praemissis qua- tuor documenta utilia addiscere possumus. Quorum primum est, ut studeat quae vult retinere in aliquem ordinem deducere. Secundo ut profunde et intente eis mentem apponat. Tertio ut frequenter medi- tetur secundum ordinem. Quarto ut incipiat reminisci a principio ». IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 15 Salisbury di far rivivere gli ideali dell’eloguentia, fino allo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais, tutta la grande retorica medievale si era collocata sotto il segno delle opere ciceroniane.!® Onde, com'è stato giustamente notato, si può parlare di retorica scolastica solo ove si elimini quasi comple- tamente dal termine “scolastica” il riferimento alla “autorità” di Aristotele. In Alberto e Tommaso i due piani sui quali si era andata svolgendo nel corso del Medioevo la trattazione della memoria (il piano “speculativo” e quello “tecnico”) ap- paiono per la prima volta strettamente connessi e intrecciati: la psicologia razionale di Aristotele costituisce, per i due grandi maestri della scolastica, lo sfondo e la cornice entro la quale quella tecnica (che aveva avuto in Cicerone ec nella rhetorica secunda la sua espressione più alta) andava collocata, inserita e giustificata. Come la Yates ha messo opportunamente in luce,?° questo sfondo rigidamente razionalistico della mnemo- tecnica albertino-tomista costituiva molto probabilmente la 19 Di Atcuino cfr. la Dispetatio de rhetorica et de virtutibus sapien- tissini Regis Karli et Albini magistri (in Mine, P. L., CI, 919-50, in Ham, RAetores latini minores, 523-50 e ora, con traduzione inglese, in W. S. Howett, The Rhetoric of Alcuin et Charlemagne, Princeton, 1941). Nella trattazione delle cinque parti della retorica (trattazione che riproduce direttamente o indirettamente quella ciceroniana) ci si limita ad affermare che l'arte della memoria è stata raccomandata da Cicerone. Nel De dialectica (Micne, P. L., col. 952) la logica viene sud- divisa in due parti: dialettica e retorica (K. Logica in quot species di- viditur? A. In duas, in dialecticam et rhetoricam). Mentre la tratta- zione della dialettica derivava da Isidoro, da Boezio, dall’anonimo Categoriae decem (ritenuto una traduzione agostiniana delle Categorie aristoteliche), la trattazione della retorica, fondata sulla partizione delle cinque grandi arti del De inventione, era assai vicina (come ha notato lo Howell) allo spirito della trattazione ciceroniana. Più ampi riferi- menti alla memoria appaiono presenti in Marciano CAreLLA, V, ove ci si richiama all'episodio di Simonide (intellexit ordinem esse qui me- moriae praeccpta conferet), e nella Novissima Rhetorica del Boxncow- PAGNO composta nel 1235 dove ci si richiama ad un «alfabeto imma- ginario » come strumento per l'arte della memoria. Leggo il passo del Boncompagno sulla memoria nella trascrizione che ha dato il Tocco, Le opere latine, cit., p. 25 dal Cod. marciano lat. cl. X, 8, f. 29v. Pa- gine essenziali sulla retorica medievale ha scritto E. R. Curtius, Euro- piische Litteratur und lateinisches Mittelalter, Berna, 1948 (trad. fr. Parigi, 1956, pp. 76-98). °° F. A. Yates, The Ciceronian Art of Memory, cit., p. 887. 16 CLAVIS UNIVERSALIS base del tentativo compiuto da Alberto e da Tommaso di sganciare nettamente le tecniche della memoria artificiale dal piano magico-occultistico dell’ars rotori o di un'arte “magica” della memoria intesa come “arte somma” o come chiave della realtà universale. Nell’ars motoria, come poi avverrà più tardi in taluni testi del pieno e del tardo Rinascimento, il problema dell’arte memorativa appare infatti strettamente collegato a quello di un'arte segreta o scientia perfecta capace di con- durre ad omnium scientiarum et naturalium artium cogni- tionem mediante il congiungimento delle regole dell’arte con formule di invocazione, figure mistiche e preghiere magiche.” Comunque stiano le cose, è certo che sulla via inaugurata dai due grandi domenicani, la via cioè di una sintesi tra le dottrine aristoteliche e quelle ciceroniane, si muoveranno non pochi scritti di arte mnemonica. Chiaramente su questa linea è per esempio il domenicano Bartolomeo da San Concordio (f 1347). Nel capitolo dedicato a «quelle cose che giovano a buona memoria » da lui inserito ne Gli ammaestramenti degli antichi, frate Bartolomeo (dopo aver richiamato la Rée- thorica ad Herennium, il Timeo, il De memoria e il secondo libro della Retorica di Aristotele, l’Ars poetica di Orazio) fa- ceva larghe citazioni dal commento di Tommaso al De me- moria e dalla « seconda della seconda » della Summa: «Di quelle cose che huomo si vuol ricordare pigli alcune conve- nevoli simiglianze, ma non del tutto usate; imperrocchè delle cose disutate più ci meravigliamo... Conviensi che quelle cose che huomo vuole in memoria ritenere, egli colla sua consi- derazione l’ordini sì, che ricordandosi dell’una vegnia nel- l’altra ». Il riferimento alla dottrina ciceroniana dei luoghi e delle immagini appare altrettanto esplicito: « Di quelle cose che vogliamo memoria havere, doviamo in certi luoghi allo- gare imagini e similitudini ». Gli otto « precetti » esposti da Bartolomeo (1. apparare sin da garzone; 2. fortemente at- tendere; 3. ripensare spesso; 4. ordinare; 5. cominciar dal principio; 6. pigliar simiglianza; 7. non gravar la memoria di troppe cose; 8. usare dei versi e delle rime) appaiono quindi 21 Cfr. il cap. Salomon and the Ars notoria in L. THORNDIKE, History of magic and experimental science, New York, 1929 sgg.; II, pp. 279-289. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 17 ricavati da una sintesi tra i varî testi ai quali egli si è richia- mato.?° Esclusivamente ispirato alla RAetorica ad Herennium (no- nostante che l’autore dichiari due volte di «discostarsi da Tullio ») è invece quel trattatello trecentesco in volgare sulla memoria artificiale che è stato erroneamente attribuito a Bar- tolomeo. Accanto alla definizione del luogo (« una cosa dispo- sta a poter contenere in sè alcuna altra cosa ») e della imma- gine («il representamento di quelle cose che si vogliono tenere a mente ») compaiono in questo breve scritto sia la distinzione fra luoghi naturali « facti per mano di natura » e artificiali « facti per mano d’huomo », sia le regole relative alla costru- zione dei luoghi e al carattere simbolico delle immagini: « An- cora conviene che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si convenga per la cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del re pare che gli si convenga il segno della corona et a’ cavalieri il segno dello scudo... Ancora conviene che a la imagine si faccia alcuna cosa, cioè che la proprino, quanto agli acti, quelle cose che a loro si convengono, si come si conviene ad uno lione dare l’imagine apta et ardita... Adunque veg- giamo sempre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini sì come nelle carte si convengono porre le lettere ».?° Questo tipo di rapporto fra luoghi e immagini, che risale alla Retorica ad Herennium, e che resterà per tre secoli uno

degli assiomi fondamentali dell’« arte », appare del resto pre- sente anche in altri testi del secolo XIV: « L’arte della me- moria per due, luoghi et imagini, è facta. E’ luoghi non hanno diferentia da le imagini se non perché sono imagini fisse sopra le quali, siccome sopra a charta, alcune imagini sono dipinte... ?2 Fra BartoLoMEo di San Concorpio, Ammaestramenti degli antichi, Dist. 9, capp. 8, 28. 3 Il testo, per intero riprodotto in appendice, è contenuto nei codici Palat. 54 e Conv. soppr. I, 47 della Nazionale di Firenze. Un altro commento alla RAetorica ad Herennium (libro III, capp. XVI-XXIV) è contenuto nel Cod. Aldino 441 della Bibl. Universitaria di Pavia: cart. sec. XV, di cc. III con numerazione di mano più recente. Il Textus de artificiali memoria è alle cc. 1-20 Inc.: Mo passamo al texoro de le cose trovate et de tutte le parte de la Rectorica custodevole Me- moria. Expl.: Con le cose premesse cioè con Studio, Fatiga, Ingegno, Diligentia. Finis commenti in particulari. 18 CLAVIS UNIVERSALIS onde i luoghi sono come materia e le imagini come forma ».5! Le varie regole presenti nel trattatello precedentemente citato tornavano, con lievi differenze, anche in questo scritto. Ma della diffusione negli ambienti domenicani del secolo XIV dell’ars memorativa fanno fede, oltre i testi citati, anche quella connessione, che in molti casi venne a stabilirsi fra l’ars me- moriae e l’ars praedicandi. Non a caso Lodovico Dolce, che fu nel Cinquecento uno dei più noti volgarizzatori dei pre- cetti della retorica e di quelli della mnemotecnica, si richia- mava nel 1562? alla Summa de exemplis et similitudinibus di Fra Giovanni Gorini di S. Gimigniano (} 1323) ?" come ad uno dei testi capitali dell’arte mnemonica e collocava il suo nome, accanto a quello di Cicerone e di Pietro da Ravenna, nell’elenco dei fondatori dell’arte. In quel testo che si era pre- sentato come « perutilis praedicatoribus de quacumque mate- ria dicturis », la costruzione di analogie fra i vizî e le virtù da una parte e i corpi celesti e i moti della terra dall’altra dava luogo appunto ad una tecnica del costruire immagini capace di consentire al predicatore una ordinata esposizione e di col- pire in modo efficace e persuasivo la fantasia degli ascoltatori. Accanto a preoccupazioni di questo genere, un vero e proprio interesse per una tecnica della memoria non era stato del resto affatto estraneo ai cultori di quella scienzia quae tradit formam artifictaliter praedicandi*" che aveva avuto nel Trecento una 24 Cod. Magliab. cl. VI, 5, fol. 67v. La data in fine (Explicit et finitus die X mensis junii millesimo CCCC® XX° Indit. XIII per Petrum quon- dam Ser Petri de Pragha) fa riferimento alla stesura della miscellanea

nella quale il cod. è contenuto. Altri passi, diversi da questo qui ripor- tato, di questo stesso cod. furono trascritti dal Tocco, Le opere latine, cit., p. 27, nota 4. 25 Dialogo di M. Ludovico Dolce nel quale si ragiona del modo di accrescere et conservar la memoria, in Venetia, appresso Giovanbattista Sessa et fratelli, 1582, p. 90. La prima cdizione è del 1562. (Copia usata: Triv. Mor. M. 248). 26 Il testo di Giovanni Gorini fu pubblicato a Venezia nel 1499: Sem- ma de exemplis et similitudinibus rerum noviter impressa. Incipit summa insignis et perutilis praedicatoribus de quacunque materia dic- turis fratris Johannis de Sancto Genuniano, Impressum Venetiis per Johannem et Gregorium de Gregoris, 1499 dic XII Julii. 2? L'espressione è di Roberto di Basevorn autore di una Forma praedi- candi composta nel 1322. Il testo è stato pubblicato in appendice al volume di TH. M. CHarvanp O. P.,Artes praedicandi, contribution è IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 19 larghissima diffusione. Per uno dei maggiori teorici della pre- dicazione, Thomas Waleys, la divisio thematis esercita una funzione precisa : Dato vero quod tantum una fiat divisio thematis, adhuc illa divisio erit bene utilis, tam praedicatori quam auditori. Non enim propter solam curiositatem, sicut aliqui cre- dunt, invenerunt moderni quod thema dividant, quod non consucverunt antiqui. Immo, est utilis praedicatori, quia divisio thematis in diversa membra pracbet occa- sionem dilatationis in prosccutione ulteriori  sermonis. Auditori vero est multum utilis, quia, quando praedicator dividit thema et postmodum membra divisionis ordinate et distinctim prosequitur, faciliter capitur et tenetur tam materia sermonis quam etiam forma et modum praedi- candi...?* In quel singolare prodotto di cultura che fu la medievale

ars praedicandi le esigenze della persuasione retorica, della co- struzione di immagini capaci di dar luogo ad emozioni ben controllabili si connettevano in tal modo con i precetti relativi all'ordine e al metodo concepiti come strumenti per imprimere nella memoria i contenuti e la forma dell’orazione. 4. TECNICHE DELLA MEMORIA NEL sEcoLO XV. In molti trattati del secolo XV quella caratteristica tematica speculativa che faceva da sfondo alle trattazioni di Alberto, di Tommaso, di frate Bartolomeo viene decisamente abban- donata. Come avviene per esempio nelle Artificialis memoriae regulae di Iacopo Ragone da Vicenza (composte nel 1434 e conservate in varì manoscritti)?® l’interesse dell’autore si volge l’histoire de la rhetorique au Moyen Age, Paris-Ottawa, 1936, p. 233. Si vedano i cataloghi dei mss. compilati da H. CapLan, Mediaeval Artes praedicandi. A Hand-List e A supplementary Hand-List, in « Cornell Studies in Classical Philology », XXIV ec XXV, Ithaca, 1934-1936 e, dello stesso autore, A late mediaeval Tractate on Preaching, nel vol. Studies in Rhetoric and Public Speaking in honour of S. A. Winans, New York, 1925, pp. 61-91. ?* Cfr. THomas Waters, De modo componendi sermones, in TH. M. ChÒartanp, Artes praedicandi, cit., p. 370. n Nel codice marciano cl. VI, 274 il trattato del Ragone è conservato in due esemplari (di diversa mano) ai ff. 15-34 e 53-66. Un terzo esem- plare è nel codice marciano cl. VI, 159, un quarto nel cod. T. 78 sup. dell’Ambrosiana. Lievi le differenze. I passi qui citati sono stati tra- 20 CLAVIS UNIVERSALIS in modo esclusivo ad un esame ampio e dettagliato delle tec- niche di ricerca dei luoghi: 53r. Iussu tuo, princeps illustrissime, artificialis memorie re- gulas, quo ordine superioribus diebus una illas exercui- mus, hunc in librum reduxi tuoque nomini dicavi, imi- tatus non modo sententias, verum et plerunque verba ipsa M. Tullii Ciceronis et aliorum dignissimorum philoso- phorum qui accuratissime de hac arte scripserunt... Prae- ceptore Cicerone ac etiam teste sancto Thoma de Aquino, artificialis memoria doubus perficitur: locis videlicet et imaginibus. Locos enim consideraverunt necessarios esse ad res seriatim pronunptiandas et diu memoriter tenendas, unde sanctus Thomas oportere inquit ut ca que quis memoriter vult tenere, illa ordinata consideratione dispo- nat ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur. Ari- stoteles etiam inquit in libro quem de memoria inscripsit: a locis reminiscimur. Necessarii sunt ergo loci ut in illis imagines adaptentur ut statim infra patebit. Sed imagines sumimus ad confirmandum intentiones, unde allegatus Thomas: oportet, ait, ut eorum quae vult homo memorari quasdam assumat similitudines convenientes. Dopo essersi rapidamente richiamato alla fonte ciceroniana e a quella tomistica, il Ragone passa a trattare, in modo molto più articolato di quanto non avessero fatto gli autori da lui citati, delle caratteristiche della memoria «locale » : 53 v. Differunt vero loci ab imaginibus nisi in hoc quod loci sunt non anguli, ut existimant aliqui, sed imagines fixe super quibus, sicut supra carta, alic pinguntur imagines delebiles sicut littere: unde loci sunt sicut materia, imagi- nes vero sicut forma. Differunt igitur sicut fixgum et non fixum. Consumitur autem ars ista centum locis, quatenus expedit pro integritate ipsius. Sed, si tue libuerit celsitu- dini, poterit eodem alios sibi locos invenire faciliter per horum similitudinem. Sed oportet omnino non modo bona, verum etiam optima diligentia ac studio locos ipsos notare et firmiter menti habere, ita ut, modo recto et scritti dal Cod. marciano 274 ai ff. 53-66; si è fatto ricorso, per la com- prensione dei passi dubbi, sia all'altro esemplare contenuto nello stesso Codice, sia al Cod. T. 78 sup. dell'’Ambrosiana, ff. 1-21v. Il testo del Ragone è dedicato al Marchese di Mantova: Ad illustrissimum princi- pem et armorum ducem Iohannem Franciscum Marchionem Mantue. Artificialis memorie regule per Iacobum Ragonam vicentinum. Nel cod. dell'’Ambrosiana il titolo è invece: Tractatus brevis ac solemnis ad sciendam et ad conseguendam artem memorie artificialis ad M. Mar- chionem Mantue. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 21 retrogrado ac iuxta quotationem numerorum, illos prompte recitare queas. Aliter autem frustra temptarentur omnia. Expedit igitur ut in locis servetur modus, ne sit inter illos distantia nimis brevis vel nimium remota sed moderata ut puta sex vel octo aut decem pedum vel circa iuxta magni- tudinem camere; nec sit in illis nimia claritas vel obscuritas sed lux mediocris. Et est ratio quia nimium remota vel an- gusta, nimium clara vel obscura causant moram inquisi- tionem imaginative virtutis et ex consequenti memoriam retardant dispersione rerum que representande sunt aut earum nimia conculcatione, sicut oculus legentis tedio af- fligitur si litterc sint valde distincte et male composite aut nimis conculcate. Loci vero quantitas non est adeo su- menda modica, ut numero videatur esse capax imaginis, quia violentiam abhorret cogitatio ut si velles pro loco sumere foramen ubi aranca suas contexit tellas et in illo 54r. velles equum collocare, non videretur modo aliquo posse / equum capere. Sed ipsorum locorum quantitas sumenda est ut statim inferius distincte notatum invenies. I luoghi dovranno dunque esser disposti in modo da consen- tire una facile e rapida lettura: la loro distanza e la loro gran- dezza sono state stabilite sulla base di alcune osservazioni di natura psicologica. Si tratta ora, sempre sulla base di osserva- zioni dello stesso tipo e tenendo conto di determinate asso- ciazioni che si presentano fra i varî contenuti della memoria, di procedere ad una scelta dell’« edificio » nel quale i luoghi (e di conseguenza le immagini) dovranno essere collocati : 54 r. Oportet etiam ne loci sint in loco nimium usitato sicut sunt plateac ct ecclesie, quoniam nimia consuetudo aut aliarum rerum representatio causant perturbationem et non claram imaginum representationem ostendunt sed confu- sam, quod summopore est cavendum, quia si in foro locum constitueres et in co rei cuiuspiam simulacrum locares, cum de loco simulacroque velles recordari, additus, reddi- tus, meatusque frequens et crebra gentis nugatio contur- baret cogitationem tuam. Studebis ergo habere domum que rebus mobilibus libera sit et vacua omnino, et cave ne assumas cellas fratrum propter nimiam illarum similitu- dinem, nec hostia domorum pro locis quia cum nulla vel parva tibi sit differentia idco confusio. Habeas ergo do- mum in qua sint intra cameras salas coquinas scalas vi- ginti, et quanto in ipsis locis dissimilitudo maior, tanto utilior. Nec sint camere iste ct reliquie excessive magne vel parve, et in earum qualibet facies quinque locos iuxta distantiam dictam superius scilicet sex aut octo vel decem pedes. Et incipe taliter ut, a dextris semper ambulando 32 CLAVIS UNIVERSALIS vel a sinistris quocunque altero istorum modorum ex apti- tudine domus tibi commodius fuerit, non oportcat te re- trocedere. Sed, sicut in re domus procedit, ita continuen- tur loci tui per ordinem domus, ut sit facilior impressio ex ordine naturali. Sulle caratteristiche “materiali” dei luoghi (grandezza, lu- minosità, non-uniformità, ecc.), sulla scelta e la funzione delle immagini, si sofferma, con altrettanta minuziosità l'anonimo autore di un altro testo manoscritto °° che risale, molto pro- babilmente, allo stesso periodo e agli stessi ambienti culturali. 41 v. De ordine locorum. Circa cognitionem et ordinem loco- rum debctis scire quod locus in memoria artificiali est sicut carta in scriptura, propterea quod scribitur in carta quando homo vult recordari et non mutatur carta. Ita loca debent esse immobilia, hoc est dicitur quod locus de- bet semel accipi et nunquam dimitti seu mutari sicut carta. Deinde super talia loca formande sunt imagines il- larum rerum vel illorum nominum quorum vultis recor- dari sicut item scribuntur in carta quando homo recordari vult. De forma locorum. Loca debent esse facta ct ita formata 42r. quod non sint nimis parva nec nimis magna / ut verbi gratia non debes accipere pro uno loco unam domum vel unam terram vel unam schalam, nec etiam, sicut dixi, nimis parvum locum scilicet unum lapidem parvum nec unum foramen vel aliud tale. Et ratio est ista: nam humanus intellectus non circa magnas res nec circa parvas colligitur et imago evanescit; sed debes accipere loca me- dia scilicet terminum clarum et non nimis obscurum, nec enim debes accipere loca in illo loco nimis solitario, sicut in deserto vel in silva, nec in loco nimis usitato, sed in loco medio: scilicet non nimis usitato nec nimis deserto. Et 2° I passi di seguito citati nel testo sono stati trascritti dal Cod. mar- ciano Cl. VI, 274, ff. 41-49. (Ars: memoriae artificialis incipit. Ars me- moriac artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordan- dum de pluribus pervenire potest per memoriam artificialem de quibus recordari non possit per memoriam naturalem). Dello stesso trattato ho visto altri tre esemplari: il Vatic. lat. 3678, ff. 2r-4r (Inc.: Practica super artificiali memoria. Pater et reverende domine. Quatenus homo ad recordandum) che reca solo l’inizio del trattato; il Vatic. lat. 4307, ft. 79-85v. (Inc.: Ars memoriae artificialis est qualiter homo ad recor- dandum de pluribus pervenire possit) che reca il trattato quasi com- pleto; il Vat. lat. 5129, ff. 60-64v. (Inc.: Ars memoriae artificialis est

qualiter homo) che, come il Vat. lat. 3678, si interrompe dopo le prime pagine. Al £. 68r. è ripetuto l’inizio del trattato. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 23 nota quod predicta loca bene scire debes ct ante et retro et ipsa adigerc per quinarium numerum, videlicet de quinque in quinque. Et debes scire quod loca non debent esse dissimilia, ut puta domus sit primus locus, secundus locus sit porticus, tertius locus sit angulus, quartus locus sit pes schale, quintus locus sit summitas schale. Et nota quod per quintum vel decimum locum dcebes ponere unam manum auream aut unum imperatorem super quin- tum vel decimum locum; qui imperator sit bene atque imperialiter indutus, vel aliquid aliud mirabile vel defor- me, ut possis melius recordari. Et haec sufficiant quantum ad formam locorum. Nunc autem videndum est de ima- ginibus per predicta loca ponendis. De imaginibus. Est enim sciendum quod imagines sunt sicut scriptura et loca sicut carta. Unde notatur quod 42v. aut / vis recordari propriorum nominum aut appellativo- rum aut grechorum aut illorum nominum quorum non intelligis significata aut ambasiatarum aut argumentorum aut de aliis occurrentibus. Ponamus igitur primum quod ego vellim recordari nominum propriorum. Sic enim ponere debes imagines in proprio convenienti loco et ipso sic facto: cum vis recordari unius divitis qui nominatur Petrus, immediate ponas unum Petrum quem tu cogno- scas qui sit tuus amicus vel inimicus vel cum quo habuisti aliquam familiaritatem, qui Petrus faciat aliquid ridi- culum in illo loco, vel aliquid inusitatum, vel simile dicat... In secundo loco ponas unum Albertum quem tu cognoscas, ut supra licet per alios diversos modos, vide- licet quod dict:;s Albertus velit facere aliquid inusitatum vel deforme scilicet suspendens se et ut supra. In tertio loco, si vis recordari istius nominis equi, ponas ibi unum equum album, magnum ultra mensuram aliorum, et qui percutiat quenpiam tuum amicum vel inimicum cum calcibus vel pedibus anterioribus, vel aliquid simile faciat ut supra.... Dalla lettura di queste lunghe citazioni ci sì può fare un’idea abbastanza precisa di quale fosse l’effettivo “funzionamento” dell’ars memorativa di origine “ciceroniana”. La qualificazione non è inutile perché la mnemotecnica dei lullisti e degli aristo- telici è fondata su procedimenti affatto differenti. Per realiz: zare l’arte mnemonica è necessario, in primo luogo, disporre di una specie di struttura formale che, una volta stabilita, possa essere sempre impiegata per ricordare una serie qualunque di cose o di nomi (res aut verba). Questa struttura formale o fira e sempre reimpiegabile (come dicono i teorici della mne- 24 CLAVIS UNIVERSALIS

motecnica, la carta o la forma), viene costruita in modo arbi- trario: si sceglie una località (edificio, portico, chiesa ecc.) che può essere “fantastica” o reale e già di fatto conosciuta e si fissano all’interno di questa località un certo numero di luoghi. Il carattere arbitrario o convenzionale di queste scelte è, come abbiamo visto, limitato da un certo numero di regole che riguardano: a) le caratteristiche della località e dei luoghi (ampiezza, solitudine, luminosità ecc.); 6) il modo nel quale i luoghi stessi devono essere ordinati. È da ricordare infine che la maggiore o minore ampiezza di questa struttura formale condiziona la quantità dei contenuti che in essa possono essere inseriti: nel caso per esempio che si sia costruito un insieme di cento luoghi, questa struttura potrà essere impiegata per ricordare una quantità di nomi e oggetti fino a un massimo di cento (al problema della multiplicatio locorum o del progres- sivo allargamento della struttura verranno non a caso dedicate molte discussioni). La struttura formale così ottenuta si presta ad essere “riem- pita” da contenuti mentali di qualsiasi natura e di volta in volta variabili (/magines delebiles o materia o scrittura). Per effettuare questo “riempimento” si fa ricorso alle immagini che devono simbolizzare, nel modo più adatto a colpire in modo duraturo la mente, le cose o i termini che si vogliono

ricordare. Anche qui, l’arbitrarietà nella scelta delle immagini appare limitata da regole che concernono: la “mostruosità” o “stranezza” delle immagini e il loro carattere direttamente evocativo di contenuti. Le singole immagini vanno infine collo- cate nei singoli luoghi “provvisoriamente” (in vista cioè del ricordo di una particolare serie di nomi o di cose). Ripercor- rendo mentalmente (in modo semi-automatico) la località pre- scelta o la struttura costruita, si potranno aver presenti imme- diatamente, attraverso il richiamo delle immagini e la sugge- stione da esse esercitata, i termini o le cose appartenenti alla serie che si voleva ricordare. Data la struttura fissa dei luoghi, termini e cose ricompariranno nel loro ordine originario e quest'ordine sarà a piacere invertibile. Il problema della dispositio locorum e della formazione delle immagini occupa, nelle trattazioni alle quali ci siamo riferiti, una parte assai rilevante. Proprio su questo tipo di codificazioni insisterà la maggior parte dei trattati quattro-cin- IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 25 quecenteschi,‘' ed è al carattere esclusivamente “tecnico” che questi trattati vanno assumendo, che ci dobbiamo richiamare per spiegarci la loro sostanziale uniformità. Gli autori che si occupano dell’ars memorativa non si presentano mai come de- gli inventori, ma sempre come dei “chiarificatori” dell’arte: essi si limitano a trasmettere una serie di regole già codificate, cercando di esporle in forma particolarmente accessibile e di giungere, se possibile, a qualche integrazione o migliora- mento. Magari attraverso la riduzione delle regole ad uno schematico formulario,®? l’arte dev’essere resa facilmente e so- # Si vedano per esempio oltre ai due mss. dell'Ambrosiana (T. 78 sup., ff. 22-26 e ff. 27v.-32v., quest'ultimo anche nel Cod. Angelica 142, ff. 83-87) riportati in appendice, il Cod. marciano cl. VI, 292 (Inc.: De Memoriae locis libellus) e,alla Casanatense, il Cod. 1193 (E. V. 51) ff. 29-32 v. (Liber seu ars memoriae localis). Una breve trattazione in vol- gare degli stessi problemi è nel Cod. Riccardiano 2734, #. 30-32 (Inc.: Appresso io Michele di Nofri di Michele di Mato del Gioganti ragioniere mostrerò il prencipio dello ’nparare l’arte della memoria, la quale mi mostrò il maestro Niccholo Cicco da Firenze nel 1435, di dicembre, quando ci venni, cominciando per locar luoghi nella casa mia. Expl.: E queste sono lc otto sopradette fighure della memoria artificiale e tutti i modi, atti e chose che s’appartengono in essi. E maturamente studia- re et sapere, c verrai a perfezionare e a notizia vera di presta scienza). 12 È quanto avviene nel Cod. I, 171 inf. dell’Ambrosiana, f. 20v.: « Regu- lae artificialis memoriae. Locorum multitudo; locorum ordinato; locorum meditatio; locorum solitudo; locorum designatio; locorum dissimilitudo; locorum mediocris magnitudo; locorum mediocris lux; locorum distantia; locorum fictio. Locorum multiplicatio: addendo diminuendo per sursum et deorsum, per antrorsum et retrorsum, per destrorsum et sinistrorsum. Imaginum: alia in toto similis; alia in toto dissimilis: per oppositionem, per diminutionem, per transpositionem locorum, per alphabetum, per transuptionem locorum, per loquelam ». Si veda anche, sempre all’Ambro- siana, il Cod. E. 58 sup., f. 1: « Ars memoriac. Locorum multitudo, ordi- natio, permeditatio, vacuitas sive solitudo, quinti loci signatio, locorum dissimilitudo, mediocris magnitudo, mediocris lux, distantia, fictio. Locus multiplicatur: addendo, diminuendo, mutando (per sursum, deorsum, antrorsum, retrorsum, dextrorsum cet sinistrorsum), mensurando (lon-

gum, latum, profundum). Idolorum: aliud in toto simile, aliud in toto dissimile per contrarium, per consuetudinem, per transpositionem (per alphabetum, sine alphabeto), aliud parum simile per compositio- nem, per diminutionem, per transpositionem, per trasunptionem (lite- rarum vel silabarum), per loquelam ». Del trattatello qui trascritto dal Cod. Ambrosiano E. 58 sup. esiste un altro esemplare, quasi identico, nel Ms. 90, f. 84v. della Casanatense. L'idea di rendere l’arte rapida- mente acquisibile attraverso uno schema, si presenta strettamente asso- 26 CLAVIS UNIVERSALIS prattutto rapidamente acquisibile. Su quello che abbiamo chia- mato il carattere “tecnico” di questi trattati, giova d’altra parte insistere per intendere le finalità che essi si proponevano e il clima culturale entro il quale essi poterono trovare larga dif- fusione. L’arte “ciceroniana” della memoria si presenta, nel Quattrocento, come del tutto priva di finalità e di intenti di carattere speculativo, si pone come uno strumento utile alle più varie attività umane. Il trattatello manoscritto di Guardi (o Girardi?)" eximii doctoris artium et medicinae magistri (qui per intero riprodotto in appendice) si propone per esem- pio di insegnare a ricordare: i termini sostanziali e accidentali, gli autori citati (auczoritates), i discorsi comuni (orationes stm- plices), il contenuto di lettere, di collezioni e di libri di storia (epistolas, collectiones et historias prolixas), le argomentazioni e i discorsi scientifico-filosofici (argumenta et orationes sillogi- sticas), le poesie e i termini appartenenti a lingue non cono- sciute (versus et dictiones ignotas, puta graecas hebraicas), gli articoli del codice (capita legum). Sul modo di ricordarsi delle ambasciate, delle testimonianze, degli argomenti insistono del resto tutti i testi che si presentano talvolta come un adatta- mento delle regole della mnemotecnica alla finalità di una vittoria nelle discussioni.” ciata all'altra di una serie di versi mediante i quali si potessero rapida- mente mandare a memoria le regole dell’arte. Si vedano per esempio i versi ai quali fa ricorso il magister Girardus nel trattato contenuto nel Cod. T. 78. sup. dell’Ambrosiana c, in altro esemplare, nel cod. 142 dell'Angelica (vedi Appendice), e il Tractatus de memoria artificiali

carmine scriptus che ho visto nel cod. R. 50 sup. dell’Ambrosiana (f. 9lr). 33 Ambrosiana. T. 78 sup., ff. 27v.-32v. Un altro esemplare nel Ms. 142 (B. 5 12) dell’Angelica, ff. 83-87. 34 Cfr. il già citato Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 43r., 43v., 44r.: « De ambasiatis recordandis. Si vis recordari unius ambasiate quam facere debes, pone in loco imaginato ut supcerius scribebam... Si ambasiata est nimis prolixa, tunc pone unam partem ambasiate in uno loco et aliam partem in uno alio loco ut supra, quia memoria naturalis adiuvabit te. De argumentis recitandis. Argumenta si recitare velis... De testis recor- dando. Si vis recordari unius testis ponas primam particulam in illo loco, primam in primo, tertiam in tertio et sic de aliis successive... ». Ma si veda anche il Cod. Ambrosiano T. 78 sup., f. 25v.: « Ambasiatas vero sì commode volueris recordari... ». Sulla costruzione di argomenti insi- stono molto trattati. Si veda per esempio il Cod. marciano cl. VI, 238, IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 27 Legata per le sue stesse origini agli intenti pratici della retorica, l’ars memorativa intende dunque presentarsi come un aiuto per chi è impegnato in varie guise in attività mon- dane e “civili”. Il Congestorius artificiosae memoriae ®*? del Romberch, un testo che ebbe nel Cinquecento diffusione eu- ropea, si presenta come un’opera utile a teologi, predicatori, professori, giuristi, medici, giudici, procuratori, notai, filosofi, professori di arti liberali, ambasciatori e mercanti. 5. La « FENicE » DI Pietro pa RAVENNA. Che testi di questo genere potessero effettivamente presen- tare una qualche reale utilità appare senza dubbio difficilmente credibile. Tuttavia se dobbiamo prestar fede a una serie nume- rosa di testimonianze, gli assertori e i teorici della mnemo- tecnica erano giunti a risultati di un qualche rilievo. Il celebre Pietro da Ravenna (Pietro Tommai), autore di un trattatello sulla memoria artificiale (Venezia, 1491)? che avrà enorme f£. tv.: Tractatus de memoria artificiali adipiscenda eaque adhibenda ad argumentandum ct respondendum (Inc.: Ne in vobis, fratres, imo fili carissimi opus omittam devotionis). 35 Congestorius artificiosae memoriae ]oannis Romberch de Kryspe, omnium de memoria pracceptione aggregatim complectens. Opus om- nibus Theologis, praedicatoribus, professoribus, iuristis, iudicibus, pro- curatoribus, advocatis, notariis, medicis, philosophis, artium liberaliun: professoribus, insuper mercatoribus, nuncits, et tabelariis pernecessarium, Venetiis, in aedibus Georgii de Rusconibus, IX Iulii, 1520 (Copia usata: Triv. Mor. L. 561). 36 Phoenix seu artificiosa memoria domini Petri Ravennatis memoriae magistri, Bernardinus de Choris de Cremona impressor delectus im- pressit Venetias die X Januarii, 1491. Una copia di questa edizio- ne originale curata dallo stesso autore è contenuta, insieme a due altri incunaboli, nel cit. Cod. marciano cl. VI, 274, ai ff. 82-97x. A questa prima edizione si richiamano le citazioni del testo e quelle riportate nell'appendice. Le regulae dell'operetta del Ravennate (dalla prima alla dodicesima) sono presenti nel Cod. Vat. lat. 6293, ff. 195-199 (Inc.: Fenix domini Petri ravennatis memoriae magistri. Expl.: Finis. Deo gratias matrique Mariae) e sono in parte riprodotte anche nel Cod. Aldino 167 (sec. XVI di cc. 82) della Bibl. Univ. di Pavia. Cfr. alle cc. 63-66 v.: Inc.: Magister Petrus de memoria. Expl.: Expliciunt re- gulae memoriae artis egregii ac rmemorandi viri Petri Magistri de Memoria. Su Pietro da Ravenna cfr., oltre al TiraposcHi, Storia della letteratura italiana, Modena, 1787-1794, VI, pp. 556 segg.; BORSETTI, 28 CLAVIS UNIVERSALIS risonanza e non sarà senza influenza sul Bruno, affermava di poter disporre di più di centomila luoghi che si era andato costruendo onde riuscir superiore a tutti nella conoscenza delle sacre scritture e del diritto. « Cum patriam relinquo — scri- veva — ut peregrinus urbes Italiae videam, dicere possum om- nia mea mecum porto; nec cesso tamen loca fabricare »."* Di fronte al suo maestro in giurisprudenza Alessandro Tartagni da Imola, all’ Università di Pavia, il nostro Pietro, appena ventenne, si cra mostrato in grado di recitare a memoria totum codicem iuris civilis, il testo e le glosse, di ripetere parola per parola le lezioni di Alessandro e più tardi, a Padova, aveva stupefatto il capitolo dei canonici regolari recitando a memo- ria prediche intese una sola volta. Della sua abilità egli parla del resto a più riprese in pagine nelle quali un’accorta auto- propaganda si associa al manifesto desiderio di suscitare nel- l'animo dei lettori una stupefatta ammirazione per tanto pro- digio: « Mi è testimone l’università di Padova: ogni giorno leggo, senza bisogno di alcun libro, le mie lezioni di diritto canonico, proprio come se avessi il libro dinanzi agli occhi, ricordo a memoria il testo e le glosse c non ometto la benché minima sillaba... Ho collocato in diciannove lettere dell’alfa- beto ventimila passi del diritto canonico e di quello civile e, nello stesso ordine, settemila passi dei libri sacri, mille carmi di Ovidio... duecento sentenze di Cicerone, trecento detti dei filosofi, la maggior parte dell’opera di Valerio Massimo... ».?* Historia Gymnasti Ferrariac, II, pp. 37-40; P. GinannI, Scrittori raven- nati, II, pp. 419 segg. Alla Classense di Ravenna è da vedere, per una biografia, il Cod. Mob. 3.3.H2.10 contenente la genealogia della famiglia Tomai. Le ragioni del termine P/oenix contenuto nel titolo sono chiarite dallo stesso Pietro: « Et cum una sit Foenix et unus iste libellus, libello si placet Focnicis nomen imponatur ». Ma alla fenice fanno riferimento, nello stesso senso, anche altri scritti: si veda per es. nel cod. Palat. 885 della Naz. di Firenze, ai ff. 314-323v. il Liber qui dicitur Phenix super lapidem philosophorum (Inc.: Post diuturnam ope- ris fatigationem. Expl.: de lapide philosophorum natura et composi- tione sive fixione quae dicta sunt observentur. Dco gratias. Finis). 87 Phoenix seu artificrosa memoria, cit., £. 87v. 38 Phoenix seu artificiosa memoria, cit., ff. 92v.-94v. (cfr. i passi ri- portati nell’appendice). Ma si veda anche quanto scrive il Ravenna a f.88r.: «In magna nobilium corona, dum essem adolescens, mihi semel fuit propositum ut aliqua nomina hominum per unum ex astantibus IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 29 Meno sospette delle testimonianze dell’interessato appaiono quelle di Eleonora d’Aragona, che chiamava l’intera città di Ferrara a testimoniare della prodigiosa memoria del raven- nate,?° o di Bonifacio del Monferrato che, dopo aver constatato la sua straordinaria virtù, lo raccomandava caldamente ai re, ai principi, ai « magnifici capitani » e ai nobili italiani, o infine del doge Agostino Barbarigo. Comunque stiano le cose, è certo che la straordinaria fama della quale godette in Italia e in Europa questa singolare figura di giurista era affidata, più che alle sue pur non trascurabili cognizioni giuridiche, al fatto che egli si presentiva come la vivente dimostrazione della validità di un'arte alla quale si volgevano, in quell’età, le speranze e le aspirazioni di molti. Professore di diritto a Bologna, a Ferrara, a Pavia, a Pistoia, a Padova, Pietro Tommai contribuì senza dubbio a diffondere, in tutta Italia, l’interesse per l’ars memorativa. Conteso al doge veneziano da Bugislao duca di Pomerania e da Federico di Sassonia, Pietro vide aperte dinanzi a sè, intorno al 1497, le porte dell’ Università di Wittenberg. Dopo aver rifiutato un invito del re di Danimarca, passava a Colonia e di qui, accu- sato di poco corretto comportamento (scholares itali non pote- rant vivere sine meretricibus), fu costretto a ritornarsene in Italia. La notorietà di questo personaggio e l’ammirazione per la sua opera non saranno senza risonanze: la Phoenix seu artificiosa memoria del Ravennate eserciterà su tutta la succes- siva produzione di mnemotecnica una larghissima influenza e a Pietro si rifaranno, come ad un eccelso maestro, tutti i teorici italiani e tedeschi del Cinquecento e del Seicento. La diffusione di questo scritto, stampato per la prima volta a Ve- nezia, poi ripubblicato a Vienna, a Vicenza, a Colonia, tra- dotto in inglese (intorno alla metà del Cinquecento) da una precedente edizione in lingua francese, basta da sola a mo- strare come tra la fine del secolo XV e il primo decennio del dicenda recitarem. Non negavi. Dicta ergo sunt nomina. In primo loco posui amicum illud nomen habentem, in secundo similiter, et sic quot dicta fuerunt, tot collocavi, et collocata recitavi ». i Il testo della lettera di Eleonora d'Aragona è in Phoenix seu artifi- ciosa memoria, cit., ff. 82-82v. (cfr. l’appendice). 30 CLAVIS UNIVERSALIS secolo XVIII fossero interessati alla “memoria locale” ambienti non soltanto italiani.*° L’operetta del Ravenna appare costruita secondo i già ben noti schemi della tradizione “ciceroniana”. Più che sulle regole concernenti la ricerca dei luoghi, Pietro volge tuttavia la sua attenzione alla funzione esercitata dalle immagini e si soffer- ma a lungo sul concetto che le immagini, per essere davvero efficaci, debbono porsi come dei veri e propri “eccitanti” del- l'immaginazione: « Solitamente colloco nei luoghi delle fan- ciulle formosissime che eccitano molto la mia memoria... e credimi: se mi sono servito come immagini di fanciulle bellis- sime, più facilmente e regolarmente ripeto quelle nozioni che avevo affidato ai luoghi. Possiedi ora un segreto utilissimo alla memoria artificiale, un segreto che ho a lungo taciuto per pu- dore: se desideri ricordare presto, colloca nei luoghi vergini bellissime; la memoria infatti è mirabilmente eccitata dalla collocazione delle fanciulle... Questo precetto non potrà gio- vare a coloro che odiano e disprezzano le donne e costoro con- seguiranno con maggiore difficoltà i frutti dell’arte. Vogliano perdonarmi gli uomini casti e religiosi: avevo il dovere di non tacere una regola che in quest'arte mi procurò lodi ed onori, anche perché voglio con tutte le mie forze lasciare successori eccellenti ».1! 6. NATURA E ARTE, Opere come quelle del Romberch e di Pietro da Ravenna avevano intenti eminentemente, se non esclusivamente “pra- 40 Le edizioni viennesi sono del 1541 e del 1600, l’edizione di Londra, che è senza data, è stata assegnata al 1548 circa: il trattato viene presentato, senza nome dell’autore, da Robert Copland come The Art of Memory, that otherwise is called the Phenix, a boke very behouefull and profytable to all professours of science, granmaryens, rethoryciens, dialectyks, legystes, phylosophes and theologiens. Stampato da Wil- liam Middleton si presenta come «a translation out of french in to englysche ». L'edizione di Colonia è del 1608, quella di Vicenza del 1600. Per la rinomanza del Ravenna in Germania è da ricordare che Agrippa si vantò di averlo avuto maestro e che un ampio elogio di Pietro, maestro di memoria, è inserito nell’A/phabetum aureum del- l'Ortwin, Colonia, 1508. 41 Phoenix seu artificiosa memoria, cit., ff. 88v., 89r. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 31 tici”: si rivolgevano ai filosofi solo in quanto anch'essi, così come i medici o i notai o i giuristi, sono impegnati in terrene faccende. Con tutto ciò anche in questi trattati, nei quali l’in- teresse tecnico appare dominante, si affacciano dei motivi (cone per esempio quello delle immagini) che hanno stretti rapporti con la cultura rinascimentale, e temi, quale per esempio quello del rapporto arte-natura, che erano stati e soprattutto saranno ampiamente dibattuti in sede più specificamente filosofica. «La memoria locale è un’arte con la quale riusciamo a ricordare facilmente e ordinatamente molte cose delle quali, con le forze naturali, non sarebbe possibile che noi avessimo o così pronta o così distinta memoria », si afferma nell’ Urb. lat. 1743 ‘* e su questo motivo, il cui spunto appare già pre- sente nei testi di Cicerone e di Quintiliano, si ritornerà da più parti con accenti significativi. Mentre contrapponeva i risultati dell’arte a quelli della natura, l'anonimo autore del ms. lat. 274 conservato alla Marciana,** avvicinava non a caso l’arte mne- monica agli altri ritrovati della tecnica e tuttavia, proprio in quel punto, sentiva il bisogno di porre l’arte sotto il leggen- dario patrocinio di Democrito ‘' e di presentarsi come il chia- rificatore delle straordinarie difficoltà e delle « oscurità » conte- nute nella RAetorica ad Herennium : 42 Urb. lat. 1743, £. 428r. 14 Cod. marciano cl. VI, 274, f. 4Ir-4lv. Il brano di seguito citato nel testo, che trascrivo dal cod. cit., è già stato pubblicato da F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno, cit., pp. 29-30, nota 2, che fa riferimento al Cod. marciano cl. VI,226. 44 Il Tocco ha già notato come ritorni in più di un trattato di memoria artificiale il nome di Democrito come fondatore dell’arte. Cfr. Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 1-5: Tractatus super memoria artificiali, ordi- natus ad honorem egregii et famosissimi doctoris nec non et comitis Troili Boncompagni P. F.... Homines enim mortales memoriam labilem conspicientes fuerunt conati quemadmodum fuit Democritus, Simonides et Cicero per artem adiuvare. Ma cfr. anche, nello stessocodice, al f. 5, le Regulae memoriae artificialis ordinatae per religiosum sacrae theolo- giae professorem magistrum Ludovicum de Pirano ordinis Minorum (Inc.: Democritus atheniensis philosophus, huius artis primus inventor fuit). Il richiamo a Democrito appare fondato, come chiarisce il Tocco (p. 30) sulla testimonianza di Aulo Gellio (X, 17) secondo la quale De- mocrito si sarebbe cavati gli occhi per meglio concentrarsi nei suoi pensieri.

32 CLAVIS UNIVERSALIS 4lr. Ars memoriae artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordandum de pluribus pervenire possit per memoriam artificialem de quibus recordari non possit per memoriam naturalem. Debetis enim scire quod sic natura adiuvatur per artem adiunctam sicut sunt navigia ad mare transfretandum quia non potest transfretari per virtutem et viam naturae, sed solum per virtutem ct viam artis; unde philosophi vocaverunt artem adiutricem nature. Sicut enim invenerunt homines diversas artes ad iuvandum diversis modis naturam, sic etiam videntes quod per na- turam hominis memoria labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum naturam seu memoriam ut homo per virtutem artis recordari possit multarum rerum quarum non poterat recordari aliter per memoriam natu- ralem et sic adinvenerunt scripturas et viderunt non posse recordari horum quae scripserant. Postea in successione temporis, videntes quod semper non poterant secum por- tare scripturas, mec semper parati erant ad scribendum, adinvenerunt subtiliorem artem ut sine quacumque scrip- tura multarum rerum reminisci valerent et hanc vocave- runt memoriam artificialem. Ars ista primum inventa fuit Athenis per Democritum eloquentissimum philoso- phum. Et licet diversi philosophi conati fuerint hanc artem declarare, tamen melius et subtilius declaravit suprascrip- 4Iv. tus philosophus Democritus huius artis / adinventor. Tulius vero perfectissimus orator in cuius libro Rhetori- corum de hac arte tractavit licet obscuro et subtili modo in tantum quod nemo ipsum intelligere valuit nisi per divinam gratiam et doctorem qui doceret ipsam artem qualiter deberet pratichari. 7. ARTE DELLA MEMORIA, ARISTOTELISMO E MEDICINA. Ad una diversa atmosfera culturale e a temi legati alla “psicologia” e alla “filosofia” più che alla retorica, ci riportano invece altri scritti del tardo Quattrocento nei quali l'influsso delle impostazioni aristoteliche e tomistiche è assai più forte di quello esercitato dalla tradizione della retorica ciceroniana. Si tratta, come è ovvio, solo di una differenza di grado poiché, come abbiamo visto, proprio attraverso Alberto e Tommaso, l’arte ciceroniana della memoria era entrata a far parte del

patrimonio della cultura scolastica e tuttavia, in qualche caso, si assiste, leggendo questi trattati, all’interessante tentativo di ricavare direttamente dai testi aristotelici alcune regole della memoria artificiale. In questo senso è tipico il De nutrienda IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 33 memoria pubblicato a Napoli nel 1476 nel quale Domenico De Carpanis si propone di presentare le dottrine svolte da Ari- stotele nel De memoria et reminiscentia « condite col sale del santo dottore Tommaso d’Aquino ».‘° Il sensus communis appare al De Carpanis simile a una gigantesca selva (silva maxima) nella quale vengono accumu- landosi le immagini provocate da ciascuno dei cinque sensi. Su questo caos agisce l’intelletto con una triplice operazione: in primo luogo prende coscienza delle immagini, in secondo luogo le connette secondo un ordine preciso e in terzo luogo infine (quasi deambulans per pomerium) lega l’una all’altra le cose simili riponendole in archa memoriae. Quando di quelle cose si parli, l'intelletto « quasi de armario pomorum cibum sumens, verba per dentes ruminantis intellectus emittit ».'° La memoria, a sua volta, si muove su un duplice piano: quello del senso e quello dell’intelletto. La memoria sensitiva (vis quaedam sensitivae animae) appare strettamente congiunta col corpo e capace di ritenere corporalia tantum; quella intellet- tiva, al contrario, è armarium specierum sempiternarum. Alle principali tesi di Aristotele l’autore accosta, quasi sempre, la citazione di passi tratti dall’ XI libro del De triritate di Ago- stino: così la dottrina aristotelica del carattere corporeo dei contenuti della memoria sensitiva viene accostata al passo di Agostino sulla memoria delle pecore che, dopo il pascolo, tor- nano all’ovile; mentre la nota tesi agostiniana della identità tra memoria intelletto e volontà viene citata a conferma del carattere intellettivo di una delle due parti nelle quali la memoria si suddivide. Anche la dottrina degli aiuti (admin: cula) della memoria risente da vicino della sua origine tomi- stica: accanto all’ordine (bonus ordo memoriam facit habilem) e alla ripetizione (ex frequentibus actis habitus generatur)*' il De Carpanis colloca fra gli aiuti principali la similitudo e la contrarietas. Senza far ricorso all’arte della memoria « locale », 45 Mi sono servito dell’ Inc. De nutrienda memoria Dominicis de Car- panis de Neapoli, anno domini 1476, ind. IV, die vero XVI decembris regnante serenissimo et illustrissimo Domino nostro D. Ferdinando Dei gratia rege Sicilie, Hierusalem et Hungarie, contenuto nel cit. Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 97-103v. 46 De nutrienda memoria, cit., f. 97 v. 4 De nutrienda memoria, cit., fi. 98, 99, 102v. 34 CLAVIS UNIVERSALIS l’autore giunge in tal modo a fissare alcune regole ricavate, anziché da Cicerone, dalla psicologia aristotelica : Contrarietas secundum dicitur adminiculum ubi notan- dum est quod quando res diversorum ordinum et quali- tatum essent recitandae in una orationc vel in una sen- tentia eloquendac, tunc ordo subsequens debet esse con- trarius immediate antecedenti, ut si videlicet memoranda essent libertas servitus frigus estas divitiae paupertas pictas crudelitas iusticia impictas, sic ut sunt hic nominata ordi- nabis; non autem dices: libertas, frigus servitus estas divi- tiae pietas paupertas crudelitas. Graveretur cnim memo- ria sic inordinate procedens cuius ratio videtur quia... contraria non se compatiuntur ad invicem immo iuxta se posita nullo medio, motum habent contrarium et ope- rationem ad invicem contrariam. Sic itaque, sicut motum nullo medio ad invicem habet contrarium, sic in memo- rando nullum aliud habendo vei querendo auxilium, mo- vebunt memoriam. Ars cnim imitatur naturam.!8 Un tentativo dello stesso genere è presente anche nel De omnibus ingeniis augendae memoriae del medico, storico e poeta bergamasco Giammichele Alberto da Carrara che fu pubblicato a Bologna nel 1481.‘° Anche in questo caso le os- servazioni di Aristotele sull’ordine, sul passaggio del simile al simile, sulla contrarietas vengono interpretate come vere e pro- prie “regole” dell’ars memorativa.®® Ma oltre che per queste de- rivazioni aristoteliche e per la proposta di un particolare tipo di 48 De nutrienda memoria, cit., f. 101r. 19 Mi sono servito dell’Inc. contenuto, accanto a quelli delle opere di Pietro da Ravenna e del De Carpanis, nel Cod. marciano cl. VI, 274, ai ff. 69-82: Johannis Michaelis Alberti Carrariensis. De omnibus in- gentis augendae memoriae. Ad prestantissimum virum Aloisium Ma- nentem incliti Venetorum Senatus Secretarium. Impressum Bononiae per me Platonem de Benedictis civem bononiensem, regnante inclito prin- cipe domino Iohanne Bentivolio, secundo anno incarnationis, dominicc 1481 die XXIHI Januarii. Al testo del Carrara attingerà largamente, senza citare l’autore, il medico bergamasco Guglielmo Gratarolo nei suoi Opuscula dedicati alla memoria, Basilea, 1554. Sul Carrara cfr. TiraBoscHi, Storia della letteratura, cit., VI, pp. 688-693. °° De omnibus ingentis, cit., f. 72v.: « Primum est ordo et reminisci- bilium consequentia. Cum cam didicimus ex ordine cum connectione et dependentia si aliquo eorum erimus obliti, facile, repetito ordine, reminisci poterimus. Alterum est ut et uno simili in suum simile pro- IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 35 “memoria locale” fondato sulla suddivisione in cinque parti

del corpo degli animali," il testo del Carrara è importante perché mostra la stretta connessione che venne a stabilirsi, al- l’interno di una certa tradizione aristotelica, fra arte della me- moria e medicina. Richiamandosi a Galeno e ad Avicenna il Carrara affronta, in primo luogo, il problema di una localiz- zazione della memoria, passa poi a discutere delle principali malattie che ostacolano l’uso della memoria, si sofferma ad esporre una serie di regole concernenti l’uso di cibi e bevande, il sonno e il moto, e giunge finalmente alla formulazione di un vero e proprio ricettario. All’idea di una terapeutica della memoria, già presente nel Regimen aphoristicum di Arnaldo da Villanova, e diffusa nella medicina medievale, si richia- mava, accanto al Carrara, anche Matteolo da Perugia che pub- blicava, in quegli stessi anni, un opuscolo di medicina mne- monica.?? In entrambi i testi è non a caso assai frequente il ricorso ad Avicenna: la tesi sostenuta dal Carrara che l’um:- dità sia di ostacolo alla memoria è per esempio già presente nei testi del medico arabo (« qui autem habent locum domi- natum humiditate non rememorant, quia formae non fingun- tur in humido »),°° ma il trattato del Carrara, a differenza di quello del Matteolo e degli altri già presi in esame, appare fondato su numerosissime letture. Oltre ai già noti classici della memoria, comparivano qui i nomi di Galeno, Boezio, Ugo da San Vittore, Giovanni Scoto e Averroè. vehamur: ut si Herodoti obliviscamur de Tito Livio recordati latinae historiae patre, in Grecae historia patrem Herodotum producemur. Tertium est ut contraria recogitemus... ut memores Hectoris, remini- scimur Achillis ». ! De omnibus ingentis, cit., f. 73. Il passo può esser letto nella tra- scrizione che ne ha dato il Tocco (op. cir., p. 34, nota 1). °? Si veda per esempio: Tractatus clarissimi philosophi et medici Ma- theoli perusini de memoria et reminiscentia ac modo studendi tractatus feliciter. L'opera, non datata, è della fine del Quattrocento e insiste sul regime da seguire in vista della buona memoria. Sull’autore cfr. Tira- BoscHI, Storta della letteratura, cit., VI, pp. 462 segg. ° Averrois Cordubensis, Compendia librorum Aristotelis qui parva na- turalia vocantur, in Corpus Comm. Av. in Arist., Cambridge (Mss.), 1949, VII, pp. 70-71. 36 CLAVIS UNIVERSALIS 8. LA COSTRUZIONE DELLE IMMAGINI. Attraverso un contatto con la tradizione della medicina e con certe tesi dell’aristotelismo, la trattatistica sull’ars memoriae del tardo Quattrocento sembra dunque avvicinarsi a temi e a problemi che rivestono un interesse non meramente “tecnico” e non soltanto “retorico”. Tuttavia, ed è opportuno non di- menticarlo, quando a metà del Cinquecento si verificherà l’in- contro fra la grande tradizione del lullismo e l’ars reminiscendi di derivazione “retorica”, saranno proprio i trattati stretta- mente tecnici dei “ciceroniani” ad esercitare una funzione es- senziale. In realtà quell’arte dei luoghi e delle immagini, nono- stante la sua apparente neutralità e atemporalità, era legata alla cultura del Rinascimento da una molteplicità di rapporti, e solo tenendo presenti tali rapporti sarà possibile spiegarsi le ragioni per cui testi spesso aridi e quasi sempre speculativamente inof- fensivi eserciteranno un fascino notevole sulle menti di Agrippa e di Bruno. Chi ponga mente all'importanza dei segni, delle imprese e delle allegorie nella cultura rinascimentale, chi ri- chiami alla mente i testi ficiniani sui « simboli e le figurazioni poetiche che nascondono divini misteri » e avverta il signifi- cato di quel gusto per le allegorie e per le “forme simboliche”

presente negli scritti del Landino, del Valla, del Pico, del Poliziano e più tardi del Bruno, non potrà non rilevare la risonanza che l’arte della memoria in quanto costruttrice di immagini era destinata ad avere in una età che amava incor- porare le idee in forme sensibili, che si dilettava a trasferire sul piano delle discussioni intellettuali la Febbre e la Fortuna, che vedeva nei geroglifici il mezzo usato per rendere indeci- frabili i precetti religiosi, che amava gli “alfabeti” e le icono- logie, che concepiva verità c realtà come qualcosa che si va progressivamente disvelando attraverso i segni e le “favole” e le immagini.“ 94 Su questi temi cfr. E. Cassirer, /ndividuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, Firenze, 1935, pp. 119, 149; PH. Monnier, Le Quattro- cento, Losanna, 1901, pp. 127 segg.; CH. LeMMI, The classical deities in Bacon. A study in mythological symbolism, Baltimore, 1933, pp. 14-19; P. O. KriIsTELLER, // pensiero filosofico di M. Ficino, Firenze, 1953, pp. 86 segg.; E. Garin, L'umanesimo italiano, Bari, 1952, pp. 120 segg.; Medioevo e Rinascimento, Bari, 1954, pp. 66-89. Essenziale resta ]. Seznec, La survivance des dieux antiques, Londra, 1940 (in particolare IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 37 In un testo caratteristico e giustamente famoso, l’Alciati, mentre parlava di un’ars quaedam inveniendorum et excogitan-

dorum symbolorum, si soffermava a lungo a discorrere delle differenze che intercorrono fra schemata, imagines e symbola;?° ottant'anni più tardi, in un libro altrettanto fortunato, il peru- gino Cesare Ripa presentava una « descritione d’imagini delle virtù, vitii, affetti, passioni umane, corpi celesti, mondo e sue arti » annunciando che il suo scritto (che è veramente «la chiave dell’allegorismo del Seicento e del Settecento ») doveva servire « per figurare con i suoi proprî simboli tutto quello che può cadere in pensiero umano ».°°. Alla voce memoria tro- viamo la rappresentazione di « una donna con due faccie, ve- stita di nero et che tenga nella man destra una penna et nella sinistra un libro »: le due facce stanno a significare che la memoria abbraccia « tutte le cose passate, per regola di pru- denza in quelle che hanno a succedere per l’avvenire »; il libro e la penna, simboli della frequente lettura e della scrit- tura, « dimostrano, come si suol dire, che la memoria con l’uso si perfettiona ».°” In un manuale di iconologia, compo- sto negli ultimi anni del Cinquecento, ritroviamo in tal modo da un lato l’antica idea dell’uso e della scrittura come aiutidella memoria (due secoli più tardi Hume parlerà dell’« ope- rosità » e della «scrittura »), dall’altro l’eco di quelle discus- sioni sulla memoria e la « prudenza » che avevano appassio- nato Alberto Magno e Tommaso.”* Ma era l’idea stessa di sulla iconologia le pp. 95-108); ma cfr. anche M. Praz, Studies in Se- venteenth Century Imagery, Londra, 1939 c F. A. Yates, The French Academies of the Sixteenth Century, Londra, 1947, p. 132: «It was on the ’image-level’ of the mind (if one may speak thus) that the Renaissance men achived his ounified outlook ». Uno storico dell’arte come W. WaetzoLp, Diirer and his Time, Londra, 1950, p. 63, giunge del resto a non dissimili conclusioni. Più recente R. }. CLEMENTS, /corno- graphy on the nature and Inspiration of Poetry in Renaissance Emblem Litterature, in PMLA, 1955, IV, pp. 781-804. 55 Omnia A. Alciati Emblemata, Antverpiac, 1581, pp. 11, 13 (Copia usata: Braid. 26. 17. C. 9). La prima edizione è del 1531. 5° È il titolo della /conologia di Cesare Ripa. Uso l'edizione padovana del 1611. La prima edizione è del 1503. °? C. Ripa, /conologia, cit., p. 335. € Sulla Allegoria della prudenza del Tiziano E. Panorsri scrisse, nel 1926, uno splendido saggio (ora ristampato nel vol. The meaning of visual arts, New York, 1957, pp. 146-168). Sulla prudenza come « me- 38 CLAVIS UNIVERSALIS  una rappresentazione sensibile delle “cose” e dei “termini” c di una “personificazione” dei concetti alla quale il Ripa (e molti altri con lui) si ispirava, che aveva indubbiamente assai stretti legami con quella sezione della mnemotecnica che aveva per scopo la costruzione delle immagini. All’interno stesso della più ortodossa tradizione dell’ars memorativa ciceroniana non erano mancate espressioni di una particolare sensibilità per il problema delle immagini. Certe pagine dell'Oratoriae artis epitoma (Venezia, 1482) di Iacobo Publicio ‘* giovano senza dubbio a comprendere come tra queste immagini e quelle delle iconologie sussistesse un legame reale. Le intentiones simplices e «spirituali », affermava il Pubblicio, non aiutate da nessuna corporea similitudine, sfug- gono rapidamente dalla memoria. Le immagini hanno appunto il compito, mediante il gesto mirabile, la crudeltà del volto, lo stupore, la tristezza o la severità, di fissare nel ricordo idee termini e concetti. La tristezza e la solitudine saranno il simbolo della vecchiaia, la lieta spensieratezza quello della gioventù, la voracità sarà espressa dal lupo, la timidezza dalla lepre, la bilancia sarà il simbolo della giustizia, l’erculea clava della fortezza, l’astrolabio dell’astrologia. Ma soprattutto gio- verà richiamarsi, nella costruzione delle immagini, all'opera dei poeti, di Virgilio e di Ovidio. Le loro raffigurazioni della Fama, dell’ Invidia, del Sonno potranno essere felicemente ri- prese in quella collocatio in locis che fa uso di immagini rare ed egregie.®° Simboli e immagini in funzione del ricordare: anche quan- do l’idea di una collocatio imaginum in locis verrà abbando- nata definitivamente, resterà ben salda l’idea dei simboli e delle immagini come aiuti della memoria. La Istoria universale pro- moria del passato, ordinamento del presente, contemplazione del fu- turo » il Panofski avrebbe potuto citare, accanto a fonti meno note, anche 1 passi, assai significativi, di Alberto Magno e di Tommaso d'A- quino. Ma resta egualmente significativa la penetrazione, entro le arti figurative, dell’antico tema della connessione memoria-prudenza. 5° PusLicii IacoBI, Oratoriae artis epitoma, sive quae ad consumatun spectant oratorem, Venetiis, 1482. L’opera del Publicio fu ristampata nel 1485 a Venezia (Erhardus Radtolt augustensis ingenio miro et arte perpolita impressioni mirifice dedit) e successivamente ad Augusta nel 1490 e nel 1498. Qui si è fatto uso dell’ Inc. 697 dell’Angelica di Roma. 6° Oratoriae artis epitoma, cit., d4v.-d4v. IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 39 vata con monumenti e figurata con simboli degli antichi pub- blicata nel 1697 da Francesco Bianchini doveva « unire alla fa- cilità dell’apprendere e del comprendere la stabilità dell’ordi- nare e del ritenere »;* la « dipintura proposta al frontispizio » della Scienza Nuova di Giambattista Vico doveva servire al leggitore « per concepire l’idea di quest'opera avanti di leg- gerla, e per ridurla più facilmente a memoria ».** ©! Francesco BrancHInI Veronese, La istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli degli antichi, Roma, 1697, p: 5 (Copia usata: Braid. AA. V. 13). 8? G. Vico, Opere, a cura di F. Nicolini, Milano-Napoli, 1953, p. 367, e cfr. le mie Schede vichiane, in « La Rassegna della letteratura ita- liana », 1958, 3, pp. 375 segg. II. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA NEL SECOLO XVI 1. LA RINASCITA DEL LULLISMO. Nel corso del secolo XVI si verificano, in quel settore della cultura che qui ci interessa, due importanti fenomeni. Il primo è la diffusione in Inghilterra, in Germania, in Francia di quell’arte della memoria locale che aveva avuto, alla fine del Quattrocento, la sua più organica e completa trattazione nel- l’opera di Pietro da Ravenna. Il secondo è il contatto che venne a stabilirsi fra quella tradizione mnemotecnica che risale a Cicerone, a Quintiliano, alla RAetorica ad Herennium, a Tommaso e l’altra, diversa tradizione di logica combinatoria che fa capo alle opere di Raimondo Lullo. Fra la metà del Quattrocento e la metà del Cinquecento, Cusano, Bessarione, Pico, Lefèvre d’Etaples, Bovillus e poi Lavinheta e Agrippa e Bruno contribuiscono a diffondere le opere di Lullo, l’inte- resse per l’ars magna e la passione per la combinatoria entro tutta la cultura europea. Il significato della loro adesione ad una tematica che appare così profondamente estranea ad una mentalità post-cartesiana e post-galileiana è necessariamente sfuggito sia a quegli interpreti che hanno visto nell’ars magna una specie di sommario elementare o “preistorico” di logica simbolica, sia a coloro che hanno preferito sbarazzarsi, con facile ironia, delle “stranezze” di molti fra gli esponenti più significativi e più noti di una non trascurabile stagione della cultura occidentale. L'interesse per la cabala e per le scritture geroglifiche, per le scritture artificiali e universali, per la scoperta dei primi princìpi costitutivi di ogni possibile sapere, l’arte della me- moria e il richiamo continuo ad una logica intesa come “chiave” capace di aprire i segreti della realtà: tutti questi temi appaiono inestricabilmente connessi con la rinascita del lullismo nel Rinascimento e formano, davanti a chi affronti direttamente i testi del Cinquecento e del Seicento da Agrippa a Fludd, da Gassendi a Henry More, una sorta di inestrica- 42 CLAVIS UNIVERSALIS bile groviglio del quale non appare del tutto lecito sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e misteriosa entità “plato- nismo”. In realtà molti dei temi che formano quel groviglio hanno non pochi e non trascurabili riflessi anche sui problemi della speculazione e della scienza: dalla teoria baconiana e vichiana dei segni delle immagini e del linguaggio, alla discussione baconiana e cartesiana sull’a/bero delle scienze e sulle facoltà; dalle polemiche sul significato della dialettica e sui suoi rap- porti con la retorica, a quelle concernenti le topiche e il pro- blema del metodo e infine a quelle stesse trattazioni di filo- sofia naturale che fanno appello alla struttura logica della realtà materiale, all’alfabeto della natura o ai caratteri im- pressi dalla Divinità nel cosmo. Non si ha qui la pretesa di dar fondo a questi complessi problemi: si ritiene tuttavia che ad una maggiore compren- sione di talune delle questioni precedentemente indicate possa giovare non poco un esame, analiticamente condotto, della diffusione del lullismo nel secolo XVI e del suo connettersi con la già fiorente tradizione dell’arte mnemonica. 2. AGRIPPA E LE CARATTERISTICHE DELL’ARS MAGNA. Nei primi anni del Cinquecento, in una lettera dedicatoria premessa al suo commento all’Ars brevis di Raimondo Lullo, Cornelio Agrippa * tracciava un sommario quadro della diffu- 1 Faccio uso dell'edizione delle opere e dei commenti lulliani pubbli- cate a Strasburgo dai fratelli Zetzner. Si dà qui, per comodità del lettore, un sommario del contenuto di questa edizione (che verrà di seguito indicata semplicemente con ZetznER). Raymundi Lullii Opera ca quae ad inventam ab ipso artem universalem scientiarum artiumque omnium brevi compendio firmaque memoria apprchendendarum locu- pletissimaque vel oratione ex tempore petractandarum pertinent. Ut et in candem quorundam interpretum scripti commentarit... Accessit Va- leriù de Valerits patrici veneti aureum in artem Lullii generalem opus, Argentorati, Sumpt. Hacr. Lazari Zetzneri, 1617 (copia usata: Triv., Mor., I, 304. La prima edizione è del 1598. L’opera fu ristampata nel 1609 e ne 1651; parzialmente riprodotta: Stoccarda, 1836). Il volume contiene i seguenti scritti: Opere autentiche di Lullo: Logica brevis et nova, pp. 147-161; Ars brevis, pp. 142; Ars magna generalis ultima, pp. 218-663; Tractatus de conversione subiecti et praedicati per medium, pp. 166-177; Duodecim principia philosophiae, pp. 112- ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 43 sione del lullismo nella cultura europea: Pedro Daguì e il suo discepolo Janer sono ben noti e celebrati in Italia, l’insegna- mento di Fernando de Corboba ha avuto vastissima risonanza nelle scuole europee, Lefèvre d’Etaples e Bovillus sono stati, a Parigi, devotissimi a Lullo, infine i fratelli Canterio ° hanno mostrato non solo alla Francia e alla Germania, ma anche all'Italia, le mirabili possibilità dell’arte. Mentre si richiamava ai grandi maestri del lullismo, Agrippa chiariva anche breve- 146. Opere apocrife e attribuite a Lullo: De auditu kabbalistico seu kabbala, pp. 43-111; Oratio exemplaris, pp. 224-217 (sic, errore di numerazione nelle pagine); /n RAesoricam Isagoge, pp. 172-223; Liber de venatione medii inter subiectum et praedicatum, pp. 162-165. Com- menti: G. Bruno, De lulliano specierum scrutinio, pp. 664-680; De lampade combinatoria lulliana, pp. 681-734; De progressu logicae ve- nationis, pp. 735-786; H. C. Acrirra, In artem brevem Raymundi Lullit commentaria, pp. 787-916; VaLeria DE VALERIS, Opus aureum in quo omnia breviter explicanter quae R. Lullus tam in scientiarum arbore quam arte generali tradit, pp. 969-1109. ° Su Pedro Daguì che tenne pubblici corsi di lullismo nella cattedrale di Maiorca nel 1481, sul suo discepolo Janer, sul filosofo platonico

Fernando de Còrdoba che difese Daguì dalle accuse di eterodossia in una commissione nominata da Sisto IV, sul lullismo del Lefèvre e del Bouelles, sui fratelli Andrés, Pedro e Jaime Canterio cfr.: T. e |. Carreras y ArRTAu, Filosofia cristiana de los siglos XII al XIV, Madrid, 1939-43, 2 voll., vol. II, pp. 65 segg., 78, 283 segg., 201-209, 216 segg. nel quale si trovano notizie bio-bibliografiche sui singoli autori. Stru- mento essenziale per la storia del lullismo è: E. RocENT y E. Duran y Renats, Bibliografia de las impressions lul-lianes, Barcelona, 1927 (per le edizioni, numerosissime, del commento di Agrippa, cfr. i numeri: 79, 80, 82, 86-88, 103-105, III, 125, 144, 148, 162, 180). Per le notizie sulle opere edite e inedite, sui manoscritti ecc. si vedano: Littré, in Histoire littéraire de la France, vol. XXIX; E. Lonc- PRÉ, voce Lulle in Dictionnaire de théologie catholique, vol. IX; J. Avinvò, Les obres autèntiques del Beat Ramon Lull, Barcelona, 1935; C. Ortaviano, L'ars compendiosa de R. Lulle avec une étude sur la bibliographie et le fond ambrosien de Lulle, Paris, 1930. Per la diffu- sione del lullismo, particolarmente in Italia, sono assai importanti gli studi di Miguel BatLLORI che, oltre a una preziosa Introducion biblio- grafica a los estudios lulianos, Mallorca, 1945, ha pubblicato: E/ /ulismo en Italia, Madrid, « Rev. de Filos. de l’ Inst. L. Vives », II, 5-6-7, 1944; La obra de R. Lull en Italia, in « Studia », Palma de Maiorca, ag.-sett., 1943; Le lullisme de la Renaissance et du Baroque: Padoue et Rome, in «Actes du XIéme Congrès Int. de Philos. », Bruxelles, 1953, vol. XIII, pp. 7-12 (per una completa informazione cfr. Bibliografia del P. Miguel Batllori S. I., Torino, 1957). 44 CLAVIS UNIVERSALIS mente la portata e il senso della combinatoria lulliana, le ra- gioni della sua superiorità e della sua efficacia: l’arte — affer- mava — non ha nulla di « volgare », non ha a che fare con oggetti determinati e proprio per questo si presenta come la regina di tutte le arti, la guida facile e sicura a tutte le scienze e a tutte le dottrine. L’ars inventiva appare caratterizzata dalla generalità e dalla certezza; con il suo solo aiuto, indipenden- temente da ogni altro sapere presupposto, gli uomini potranno giungere ad eliminare ogni possibilità di errore e a trovare « de omni re scibili veritatem ac scientiam ». Gli “argomenti” dell’arte sono infallibili e inconfutabili, tutti i particolari di- scorsi e princìpi delle singole scienze trovano in essa la loro universalità e la loro luce (« omnium aliarum scientiarum prin- cipia et discursus tanquam particularia in suo, universali luce, elucescunt »); infine, proprio perché racchiude e raccoglie in sé ogni scienza, l’arte ha il compito di ordinare, in funzione della verità, ogni sapere umano.° Agrippa, che pure scriverà molti anni più tardi una pagina feroce contro la tecnica lulliana,' poneva dunque in rilievo, nella prefazione al suo commento, due delle fondamentali caratteristiche con le quali l’arte lulliana si presenta alla cul- tura del Rinascimento. In primo luogo essa appare come una scienza generalissima e universale la quale, richiamandosi a princìpi assolutamente certi e a infallibili dimostrazioni, con- sente la determinazione di un criterio assoluto di verità; in secondo luogo, proprio perché si costituisce come la scienza delle scienze, l’arte è in grado di offrire il criterio per un pre- ciso e razionale ordinamento di tutto lo scibile i vari aspetti * H. C. AcrIPra, /n artem brevem... commentaria, Zetzner, pp. 787-89. 4 H. C. Acrirra, De wvamitate sciertiarum, in Opera, Lugduni, per Beringos Fratres, 1600, 2 voll., vol. II, pp. 31 segg. (il cap. IX del De vanitate ha per titolo De arte Lulli, il X De arte memorativa). Cfr. lo stesso testo nella versione italiana di L. Dominichi, Venezia, 1549 (copia usata: Braidense 25. 13. H. 14). Nel Saggio bio-bibliografico su C. Agrippa di HeLpa BuLLortA Bar- RAacco, in « Rassegna di filosofia », 1957, III, pp. 222-248, non si fa cenno al commento lulliano di Agrippa. L'opera non è databile con precisione. G. A. Prost, Les sciences et les arts occultes au XVIè*me stècle, Paris, 1881, I, p. 35 la assegna al 1517, con argomenti forse in- sufficienti. Certamente lo scritto è antecedente al 1523 (cfr. Claudius Blancheroseus H.C. Agrippae, in Fpist., III, 36, Opera, cit., II, p. 802). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 49 del quale mediante successive sussunzioni del particolare al enerale vengono tutti, senza esclusioni, ricompresi e inverati nell’arte. Il giovane Agrippa non aveva fatto altro in realtà che esporre vivacemente e chiarificare temi largamente diffusi. Sul- l'efficacia «inventiva » dell’arte e sulla sua « finalità enciclo- pedica » egli non era stato il solo ad insistere. Il tema di una logica intesa come chiave della realtà universale, come discorso concernente non i discorsi umani ma le articolazioni stesse del mondo reale si congiunge infatti strettamente, nei testi stessi di Lullo e in quelli del lullismo, con l’aspirazione ad un ordinamento di tutte le scienze e di tutte le nozioni che corrisponda all'ordinamento stesso del cosmo. Giustamente si è potuto parlare, a questo proposito, di una « direzione logico- enciclopedista » del pensiero lulliano che si pone, come motivo centrale e dominante, accanto alla direzione « mistica » e a quella « polemico-razionalista ».@ L'apprendimento delle regole dell’arte e la ordinata classificazione di tutte le nozioni im- plicano e presuppongono d’altra parte la costruzione di un sistema mnemonico che si presenta come parte integrante e costitutiva della logica-enciclopedia. Ma gioverà a questo punto, per chiarire questi problemi, delineare brevemente alcuni degli aspetti fondamentali della problematica connessa al lullismo facendo riferimento sia ai testi di Lullo sia a quelli della tra- dizione lullista. 3. ARTE, LOGICA E COSMOLOGIA NELLA TRADIZIONE LULLIANA. Nei testi di Lullo l’arte si presenta come una «logica » che è anche e contemporaneamente « metafisica » (« ista ars est et logica et metaphysica ») ec che tuttavia differisce dall’una e dall’altra sia «in modo considerandi suum subiectum » sia «in modo principiorum ». Mentre la metafisica considera gli enti esterni all'anima « prout conveniunt in ratione entis », e la logica li considera secondo l’essere che essi hanno nell'anima, l’arte invece, suprema fra tutte le umane scienze, considera gli enti secondo l’uno e secondo l’altro modo. A differenza ° Cfr. Carreras y Artau, Filosofia cristiana, cit., II, pp. 10-11. © Introd. all’Ars demonstrativa, in R. Lutt, Opera omnia, Mainz, 1721- 42, III, p. 1. Gli otto volumi dell’edizione di Mainz numerati I-VI, IX, 46 CLAVIS UNIVERSALIS della logica che tratta delle seconde intenzioni, l’arte tratta delle prime intenzioni; mentre la logica è « scientia instabilis sive labilis », l’arte è «permanens et stabilis »; ad essa è possibile quella scoperta della « vera lex » che è invece pre- clusa alla logica. Esercitandosi per un mese nell’arte si po- tranno non solo rintracciare i princìpi comuni a tutte le scienze, ma anche conseguire risultati di molto maggiori di quelli raggiungibili da chi si dedichi per un anno intero allo studio della logica." Opportune premesse all’acquisizione del- l’arte appaiono non a caso, da questo punto di vista, la cono- scenza della logica tradizionale e quella delle cose naturali: «Homo habens optimum intellectum et fundatum in logica et in naturalibus et diligentiam poterit istam scientiam scire duobus mensis, uno mense pro theorica et altero mense pro practica... ».° Presentandosi strettissimamente connessa alla conoscenza delle cose naturali, alla metafisica, all’ontologia l’arte mostrava da un lato la sua irriducibilità sul piano di una conoscenza

formale e dall’altro i suoi legami con quella metafisica esem- plaristica e con quell’universale simbolismo che costituiscono insieme lo sfondo e la premessa delle dottrine lulliane. La scomposizione dei concetti composti in nozioni semplici e irri- ducibili, l'impiego di lettere e di simboli per indicare le no- zioni semplici, la meccanizzazione delle combinazioni tra i concetti operata per mezzo delle figure mobili, l’idea stessa di un linguaggio artificiale e perfetto (superiore al linguaggio comune e a quello delle singole scienze) e quella di una specie di meccanismo concettuale che si presenta, una volta costruito, assolutamente indipendente dal soggetto umano: questi ed altri caratteri dell’ars combinatoria han fatto sì che storici in- signi, dal Biumker al Gilson, abbiano avvicinato — e non X (il VII c I'VIII non furono pubblicati) furono curati, per i primi tre volumi, da Ivo Salzinger. Su questa singolare figura e sulle vicende dell'edizione maguntina cfr. Carreras y Artau, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 323-353. ? Cfr. Ars magna generalis ultima, cap. CI De logica, in ZETZNER, pp- 537-38. S Cfr. Ars magna generalis ultima, in ZETZNER, p. 663. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 47 erroneamente — la combinatoria alla moderna logica formale. A differenza di altri storici meno provveduti, tuttavia, sia il Biumker sia il Gilson avevano chiaramente presente il peso esercitato sul pensiero di Lullo da quell’esemplarismo e da quel simbolismo al quale ci siamo ora riferiti. Dio e le dignità divine appaiono a Lullo gli archetipi della realtà mentre l’in- tero universo si configura come un gigantesco insieme di sim- boli che rimandano, al di là delle apparenze, alla struttura stessa dell’essere divino: «le similitudini della natura divina sono impresse in ogni creatura secondo le possibilità ricettive della stessa creatura, e ciò secondo il più e il meno, secondo che esse più si avvicinano al grado superiore nel quale è l’uomo, così che ogni creatura, secondo il più e il meno, porta in sé il segno del suo artefice ».!° Anche gli alberi, teorizzati nell’Arbre de Sciencia, non of- frono in alcun modo l’esempio di una classificazione formale del sapere: essi rimandano, attraverso un complicato simbo- lismo, alla realtà profonda delle cose, quella realtà che al filosofo spetta appunto di scoprire individuando i “significati” delle varie parti degli alberi. Le diciotto radici dei primi alberi, che rappresentano il mondo delle creature, corrispon- dono non a caso ai princìpi stessi dell’arte. Di modo che, come è stato giustamente notato,"! le radici o fondamenti reali ° Cfr. C. Barumker, Die curopaische Philosophie der Mittelalter, nel vol. Allgemeine Gesch. der Phil., Berlino, 1923, pp. 417-18; E. Gitson, La philosophie franciscaine, nel vol. Saint Frangois d'Assise ecc., Parigi, 1927, p. 163. Un'ampia e precisa esposizione della combinatoria lul- liana è in P. E. W. PLatzeck, La combinatoria luliana, in « Revista de Filosofia », 1953, pp. 575-609 e 1954, pp. 125-165 (già precedentemente pubblicato in « Franziskanische Studien », 1952, pp. 32-60 e 377-407). Assai notevole è lo studio di Fr. A. Yates, The Art of Ramon Lull, in « Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », 1954, nn. 1-2, pp. 115-173 nel quale vengono posti chiaramente in luce i rapporti tra la logica c la cosmologia lulliane. Del tutto insufficiente appare, alla luce di questi studi, la interpretazione e l'esposizione del PrANTL, ediz. 1955, III, pp. 145-177. 1° Compendium artis demonstrativac, in R. Lutt, Opera, Mainz, 1721. 24, III, p. 74. 1! Carreras y ARTAU, La filosofia cristiana, cit., I, p. 484. La versione

catalana dell’Arbor scientiae occupa i volumi XI-XIII (1917-26) del- l'edizione delle Obres de Ramon Lull, Palma de Mallorca, 1901 segg. Le più recenti edizioni latine sono Lione, 1635 e 1637 (ediz. prece- denti: Barcellona, 1482 c 1505; Lione, 1505, 1515 e 1605). 48 CLAVIS UNIVERSALIS delle cose, i princìpi dell’arte, e le dignità divine appaiono, nella terminologia lulliana, termini assolutamente intercam- biabili ed equivalenti. Gli strettissimi legami fra l’arte e la teoria degli elementi sono stati del resto messi in luce di recente, con molta pene- trazione, da un ampio studio di F. Yates.!? Il tradizionale “approccio logico” alla dottrina lulliana (del tipo di quello presente nella trattazione del Prantl) si è rivelato alla Yates parziale e insufficiente. Un accurato studio dell’inedito Trac- tatus novus de astronomia del 1297 non solo ha posto in luce il significato della applicazione delle regole dell’arte alla astro- logia, ma ha anche chiarito come nelle varie opere di Lullo i nove princìpi divini (le cui “influenze” erano state identifi- cate nel Tractatus de astronomia con quelle dei segni dello Zodiaco e dei pianeti) costituiscano la base effettiva della uni- versale applicabilità dell’arte allo studio della medicina, del diritto, della astrologia, della teologia e, come avviene nel Liber de lumine, della luce. Che sulla base dell’esemplarismo lulliano si potesse perve- nire a una specie di identificazione dell’arte con una cosmo- logia è mostrato, fra l’altro, da uno dei primi testi del lullismo europeo sul quale la Yates ha opportunamente richiamato la attenzione. Tomàùs le Myésier, autore dell’ Electorium Re- mundi (Par. Naz. Lat. 15450) composto ad Arras nel 1325," fu amico personale e discepolo entusiasta del Lullo. In una specie di grande compilazione, egli intende presentare i carat-

teri essenziali della dottrina del suo maestro: all’arte spetta una funzione precisa: la difesa della fede cristiana contro gli averroisti e il riconducimento di tutti gli uomini alla com- prensione della verità e dei misteri divini. Proprio nella parte espositiva o introduttiva si rivelano chiaramente le connes- sioni fra arte e cosmologia: il circolo dell’universo, la cui rap- presentazione grafica viene accuratamente descritta dall'autore, comprende la sfera angelica attorno alla quale ruotano il primo mobile, l’empireo, il cristallino, la sfera delle stelle fisse e le sette sfere dei pianeti. La terra, sulla quale sono rappre- 12 Fr. A. YATEs, The Art of Ramon Lull, cit. 19 Parigi, lat. 15450 (inizio sec. XIV). La data di composizione è in fine al testo: « Anno Domini 1325 per Thoman Migerii. In attrebato ». ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 49 sentati un albero un animale e un uomo, è circondata dalle sfere dell’acqua, dell’aria e del fuoco. Ad ognuno dei nove segmenti nei quali il cerchio dell’universo è diviso corrispon- de una delle nove lettere dell’alfabeto lulliano (BCDEFGHIK) nel suo duplice significato di predicato assoluto e relativo, mentre, secondo gli insegnamenti di Lullo, alcuni dei signi- ficati delle lettere cambiano in corrispondenza alle diverse sfere.!! L’ Electorium de le Myésier non rimase certo un caso iso- lato: la presenza di interessi di tipo cosmologico all’interno di quell’ampia letteratura lullista che si diffonde in tutta Eu- ropa fino dalla prima metà del Quattrocento è ampiamente documentabile. Ad una adesione, o quanto meno ad una spiccata simpatia per il lullismo, corrisponde in moltissimi testi l’idea del rapporto necessario che si pone fra la costru- zione di un’arte indifferentemente applicabile a tutti i rami del sapere e la delineazione di un'immagine gerarchica e uni- taria dell’universo. Proprio sull’esemplarismo e sulle dignità divine come fondamenti primi dell'arte lulliana insiste, non a caso, il primo grande filosofo europeo che si muove entro l’orizzonte del lullismo. « Primum fundamentum artis — scri- verà Cusano — est quod omnia, quae Deus creavit et fecit, creavit et fecit ad similitudinem suarum dignitatum ».!* I prin- cìpi dell’arte combinatoria (donitas, magnitudo, aeternitas, po- testas, sapientia, voluntas, virtus, veritas, gloria) apparivano qui, ancora una volta, come principia essendi et cognoscendi, non meramente formali, ma esprimenti le caratteristiche divine e di conseguenza quelle di tutti gli esseri esistenti. La metafisica esemplaristica costituiva la garanzia della assoluta infallibilità di una logica attinente non ai discorsi, ma alla realtà. Mentre polemizzava implicitamente con il Gerson e proponeva una 14 Cfr. A. Yates, The Art of Ramon Lull, cit., p. 172. 15 Cod. Cus. 85, £. 55 v. cit. in P. E. W. PLatzecg, La combinatoria luliana, cit., p. 135. Dello stesso autore si vedano anche: E! /ulismo en las obras del Cardinal N. Kreos de Cusa, in « Rev. Espafiola de Teologia », 194041, pp. 731-65 c 1942, pp. 257-324; Los postumos datos lulisticos del Dr. M. Honecker y las glosas del card. N. de Cusa sobre el Arte luliana, « Studia monographica », 1953-54, pp. 1-16; Lullsche Gedanken bei Nikolaus von Kues, « Trierer Theologische Zeitschrift », 1953, pp. 357.64. 50 CLAVIS UNIVERSALIS riforma terminologica dell’arte lulliana, il Cusano, in una sua postilla all’Ars Magra, mostrava di accettare la sostanza del- l'insegnamento di Lullo: Praedictorum principiorum nomina sunt apud philosophos inusitata et tamen iuxta figmentum inventoris propositae artis res vera significantia. Ergo, cum propter nostram af- firmationem vel negationem nihil mutetur in re... et omne verum vero consonet... praefata ars non est repudianda propter suorum nominum improprietatem [che era la tesi del Gerson]; quin potius, ut possit concordari cum scientiis aliis, est ad corum terminos exfiguranda,!% Ancora più strettamente legata alle impostazioni “esempla- ristiche” del lullismo è, d’altra parte, la dottrina cusaniana dell’ascesa e discesa dell’intelletto secondo la quale è possi- bile elevarsi alla conoscenza di Dio muovendo dalla somi- glianza con le divine perfezioni impressa nelle creature, e di scendere dalla conoscenza dell’essere divino e dei suoi attributi alla conoscenza della realtà che di quella perfezione è lo specchio.!’ Nel Liber de ascensu et descensu intellectus, composto dal Lullo a Montpellier nel 1304, era stato ampiamente svolto il tema, poi ripreso dal Cusano, di una conoscenza che procede attraverso la ricerca delle analogie e dei segni — alla rico- struzione di quel divino modello che ha presieduto alla co- struzione del reale. Attraverso la descrizione della compli- cata scala degli esseri, dalla pietra al fango alla pianta al bruto all'uomo al cielo all'angelo a Dio, questo tema si era andato identificando con l’altro, ben noto, di una ricostruzione minuta, ed “enciclopedica” delle complesse gerarchie del co- smo. Questa stessa impostazione “cosmologica” troviamo pre- sente in quel Liber creaturarum di Raimundo Sibiuda (Sa- 15 Cfr. Martin Honecker, R. Lulls Wahlvorschlag Grundlage des Kaiserwahlplanes bei N. von Cues?, « Historisches Jahrbuch », vol. 57, 1938, p. 572. Sul Iullismo del Cusano si vedano gli studi di F. Kraus, di J. Marx, di F. Tocco, di E. pe VANSTEENBERGHEN segnalati nel ca- pitolo Influencias lultanas en Nicolàs de Cusa della cit. Filosofia cri- stiana det Carreras v ArtAu, II, pp. 178-196. Più recenti: M. DE Ganpittac, La philos. de N. de C., Paris, 1941 e J. E. HorMann, Die Quellen der cusanischen Mathematik, Heidelberg, 1942. 17 Cfr. Carreras v Artau, Filosofia cristiana, cit., Il, p. 187. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 5I bunde, Sebond) che influirà sullo stesso Cusano, su Lefèvre d’Etaples, Bovillus e Montaigne e che fu composto (fra il 1434 e il ’36) negli stessi anni che videro Cusano appassionato let-

tore e trascrittore dei testi di Lullo. Anche qui, accanto alla dottrina dell’ascesa e discesa dell’intelletto, accanto all’affer- mazione di un’arte concepita come « radix et origo et funda- mentum omnium scientiarum », il cui possesso è raggiungi- bile in brevissimo tempo con risultati mirabili (« quia plus sciet infra mensem per istam scientiam quam per centum an- nos studendo Doctores »), troviamo l’immagine di una scala naturale i cui vari gradini vanno ritenuti a memoria e rap- presentati mediante figure: «et haec est prima consideratio in hac scientia radicalis et fundamentalis, scilicet considerare istos gradus in se, et bene plantare et radicare cos in corde et figurare sicut in natura realiter ».!* La ordinata successione dei gradi ci offre un'immagine unitaria, gerarchica e organica dell’universo: il primo grado comprende le cose che sono, ma non vivono né sentono né intendono (minerali e metalli, cieli e corpi celesti, oggetti arti- ficiali); il secondo comprende ciò che è e vive, ma è privo del sentire e dell’intendere (i vegetali); il terzo gli animali che sono vivono e intendono; nel quarto infine, ove risiede l’uomo, sono presenti l’essere il vivere il sentire e l’intendere. L’uomo, come microcosmo, riassume in sé le proprietà stesse dell’universo, è la vivente immagine di Dio. 4. L’ArBoR SCIENTIAE E GLI ENCICLOPEDISTI DEL secoLo XVI. Che l’arte lulliana rinviasse a una descrizione della realtà universale e che questa descrizione si andasse configurando a sua volta come una vera e propria enciclopedia è cosa che, dopo le considerazioni fin qui svolte, dovrebbe risultar chiara. Nell’Arbre de Sciencia, composto a Roma nel 1295, l’impiego degli “alberi” veniva esplicitamente presentato come un mezzo per rendere l’arte più « popolare », più direttamente e facil- mente acquisibile e l'enciclopedia si presentava come parte in- tegrante della grande riforma del sapere progettata da Lullo. !* R. Sabunpe, Liber creaturarum, ed. Wolfangus Hoffmanus, Frank- furt s. Main, 1635, tit. I, p. 8. 52 CLAVIS UNIVERSALIS Alla base dell’enciclopedia, articolantesi in sedici alberi, sta un'idea centrale: quella di una fondamentale unità del sapere umano che è in stretta relazione all’unità essenziale del cosmo. Una suggestiva illustrazione del manoscritto ambrosiano che contiene la versione catalana del testo di Lullo,!® mostra il filosofo e un monaco ai piedi dell'albero delle scienze. Al mo- naco, la cui figura ritorna accanto a quella di Lullo in tutte le illustrazioni dei vari alberi, Lullo si era rivolto per conforto dopo che il suo piano missionario, che includeva la propaga- zione dell’arte, aveva trovato fredda accoglienza presso Boni- facio VIII e proprio il monaco (così racconta Lullo nel prologo) lo aveva consigliato di presentare la grande arte sotto una nuova forma. Le diciotto radici dell’albero delle scienze sono costituite dai nove principi trascendenti (o nove dignità divine) e dai nove princìpi relativi dell’arte (differentia, concordantia, contrarietas; principium, medium, finis; matoritas, aequalitas, minoritas). L'albero si suddivide in sedici rami, ciascuno dei quali corrisponde ad uno degli alberi che formeranno la fore- sta della scienza: l’arbor elementalis, V’arbor vegetalis (bota- nica e applicazioni della botanica alla medicina), sensualis (esseri sensibili e senzienti e animali), imaginalis (quegli enti mentali che sono similitudini degli enti reali trattati negli alberi precedenti), Aumanalis, moralis (etica, dottrina dei vizi e delle virtù), imperialis (connesso all’arbor moralis, si riferi- sce al regimen principis e alla politica), apostolicalis (governo ecclesiastico e gerarchia della Chiesa), celestialis (astronomia e astrologia), angelicalis (gli angeli e gli aiuti angelici), eviter- nalis (immortalità, mondo ultraterreno, inferno e paradiso), maternalis (mariologia), christianalis (cristologia), divinalis (teo- logia, dignità divine, sostanza e persone di Dio, perfezioni e produzioni divine). L’arbor exemplificalis (nel quale vengono esposti allegoricamente i contenuti degli alberi precedenti) e l’arbor quaestionalis (nel quale vengono proposte quattromila questioni riferentisi agli alberi precedenti) si presentano come «ausiliari » rispetto al corpus dell’enciclopedia. 1° Cod. Ambrosiano D. 535 inf. fol. 37v. L’illustrazione è riprodotta nel vol. XIII delle Obres de Ramon Lull, cit. La stessa immagine an- che nell'edizione latina, Lione, 1515, p. 145. De L’arbre de Sciencia ho usato la versione castigliana stampata a Bruxelles dal Foppens nel 1664 (Braid. BB. 9. 64). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 53 L'unità del mondo del sapere appare dunque fondata sul fatto che i princìpi assoluti e i princìpi relativi dell’arte costi- tuiscono la comune radice del mondo reale e del mondo della cultura. Su queste radici (simboleggiate dalle nove lettere del- l’alfabeto lulliano) poggiano infatti sia l’arbor elementalis i cui rami indicano i quattro elementi semplici della fisica, le cui foglie simboleggiano gli accidenti delle cose corporee, e i cui frutti fanno riferimento alle sostanze individuali come l’oro e la pietra, sia l’arbor Aumanalis che raccoglie, accanto alle facoltà umane e agli abiti naturali, anche quelli artificiali o le arti meccaniche e liberali. L'immagine lulliana dell’albero delle scienze, non a caso ripresa da Bacone e da Cartesio, sarà particolarmente fortunata, ma, soprattutto, agirà a lungo nel pensiero europeo l’aspira- zione lulliana verso un corpus organico e unitario del sapere, verso una sistematica classificazione degli elementi della realtà. Non mancheranno certo suggestioni derivanti da altre fonti e da altri ambienti di cultura, ma Lefèvre d° Etaples e Bovillus, Pedro Gregoire e Valerio de Valeriis, Alsted e Leibniz faranno preciso riferimento, affrontando questi problemi, ai testi di Lullo e a quelli del lullismo. In quell’ideale pansofico che domina tutta la cultura del secolo XVII si insisterà da un lato sul necessario possesso dell’intero orbe intellettuale e dal- l’altro sulla conoscenza di una legge, di una chiave, di un linguaggio capace di dominare il tutto e di permettere una diretta lettura dell’alfabeto impresso dal creatore sulle cose: cosmo reale e mondo del sapere appariranno realtà da cogliere nella loro sostanziale unità e identità di struttura, nella loro profonda “armonia”. Sui testi della pansofia seicentesca do- vremo ritornare. Per ora basterà fermarsi brevemente su alcuni testi cinquecenteschi nei quali questi aspetti dell’eredità lul- liana si espressero in modo compiuto e coerente. Lo scritto In RAetoricam Isagoge fu pubblicato a Parigi, nel 1515, da Remigio Rufo Candido d’Aquitania dietro incita- mento di Bernardo Lavinheta, uno dei più rinomati lullisti dell’epoca. Attributo a Lullo, e ristampato nelle edizioni delle opere di Lullo dello Zetzner, lo scritto rivela chiaramente il suo carattere di opera pseudo-lulliana: frequenti appaiono i riferimenti a Cicerone e a Quintiliano, ai dialoghi platonici, alla mitologia e alla storia greche e romane. In un testo com- 54 CLAVIS UNIVERSALIS posto quasi certamente fra la fine del secolo XV e l’inizio del XVI, e che veniva considerato come un’opera autentica di Lullo, troviamo una singolare mescolanza di retorica, di co- smologia e di aspirazioni enciclopedistiche. Nella prefazione indirizzata dal Rufo ai suoi discepoli, i fratelli Antonio e Francesco Boher, la finalità enciclopedica dell’opera veniva presentata come strettamente connessa alle esigenze della reto- rica e ai bisogni dell’oratore: « Per consiglio e ispirazione del nostro amico Bernardo di Lavinheta studiosissimo di Lullo, portiamo alla luce questa Retorica affinché in questo libro, come in uno specchio nitidissimo, possa essere contemplata, o meglio ammirata, l’immagine di tutte le scienze. È infatti necessario che l’oratore sia a conoscenza di tutto e si impa- dronisca con diligenza di tutto quel mondo delle scienze che vien detto enciclopedia. Per questo, l’autore volle abbracciare con brevità e stringatezza tutte quelle cose che son relative alla comprensione di ciascuna scienza ».?° Nel testo pseudo-lulliano non mancavano, naturalmente, le tonalità occulte caratteristi- che della magia rinascimentale e della letteratura lulliano-al- chimistica: « Ex tenebris lux ipsa emergit. Ipse enim posuit tenebras latibulum suum, qui apparuit in monte circumdato caligine et nebula. Qui rationem dicendi discere volunt, opus habent ut eam silentio adipiscantur. Hinc silentium Pytha- gorae ». 20 Traduco dalla prima edizione: Raemaundi Lulli Eremitae divinitus illuminati, in Rhetoricen Isagoge perspicacibus ingeniis expectata, Ve- nundantur in Ascensianis Aedibus, 1515 (pagg. non numerate). Il passo cit. è tratto dalla lettera dedicatoria di Remigio Rufo (su questo per- sonaggio cfr. Carreras y Artav, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 214 segg.). La stessa opera è inserita nella edizione ZETZNER, pp. 172-223. Ho trovato indicato il Cod. Vat. Lat. 6295 a proposito di un’opera inedita di Lullo: la RAetorica Nova della quale esistono vari altri manoscritti (Parigi Lat. 6443c, ff. 95v.-109v.; Monaco Staatsbibl., 10594, ff. 164r.-196v.; Ambrosiana N. 185 sup., ff. 1v.-35v.). Il codice Vaticano indicato contiene invece, insieme agli Sratuta pesciven- dolorum Urbis, una redazione manoscritta dell’opera apocrifa In Rheto- ricam Isagoge (si tratta di un cod. cartaceo del sec. XVI che reca due fogli bianchi e non numerati all’inizio. Lo scritto pseudo-lulliano oc- cupa le carte ]r.-25v. Il codice è stato rilegato assieme ad un cod. pergamenaceo del secolo XV che contiene gli Statuti sopra indicati). Gli altri tre codici (parigino, monacense e ambrosiano) contengono invece effettivamente lo scritto di Lullo sulla retorica. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 55 Dopo un sommario riferimento ai subiecta dell’arte lulliana (Deus, angelus, coelum, homo, imaginativa, sensitiva, vege- tativa, elementativa, instrumentativa) ed ai praedicamenta, il testo si articola in una lunga serie di quadri sinottici nei

quali viene accumulato ed esposto, secondo un rigido ordina- mento, tutto il sapere. La considerazione dell’imaginativa si trasforma in tal modo in una classificazione degli animali, delle varie parti del corpo umano e degli esseri umani che vengono curiosamente suddivisi sulla base della loro apparte- nenza ai quattro elementi della fisica : Terrestres, ut agricolae, metallarii Aquatici, ut mautae et piscatores Acrei, ut funambuli et schenobatae Ignei, ut fabri, Cyclopes. Hominum quidam sunt Allo stesso modo sotto il subrectum angelo, troviamo la Hie- rarchia angelorum, mentre la trattazione dei predicati dà luogo ad una classificazione dei diversi tipi di narrazione storica e di dimostrazione dialettica, delle varie parti della retorica, delle sezioni dell’etica e dei tipi di virtù, infine delle arti mec- caniche e liberali dall’agricoltura, alla pastorizia, alla caccia, all'arte scenica, alla culinaria, ai lavori manuali, alla filosofia, alla musica, alla geometria, alla matematica, alla medicina. Ben più significativo di questo trattato retorico-enciclope- dico è il De arte cyclognomica (1569) di Cornelio Gemma, astronomo e professore di medicina a Lione, autore di un testo sulla cometa del 1577 e di uno scritto sui prodigi e le mostruo- sità della natura.” Gli interessi del Gemma sono rivolti prin- 21! Cornelius GemMa, De arte cyclognomica tomi II doctrinam ordi- num universam, unaque philosophiam Hippocratis Platonis Galeni et Avistotelis in unius communissimae et circularis methodi speciem refe- rentes, quae per animorum triplices orbes ad spherae caelestis simulitu- dinem fabricatos, non medicinae tantum arcana pandit mysteria, sed et imveniendis costituendisque artibus ac scientiis caeteris viam com- pendiosam patefacit, Antverpiae, cx officina Christophori Plantini, 1569. Ho usato la copia della Vaticana L. IV. 28 (Palat. III, 70), ma della stessa edizione esiste un esemplare alla Braidense (B. XV. 5. 803) e uno all’Angelica (e. 8. 16). Cfr. anche De naturae divinis characteri- smis, seu raris et admirandis spectaculis, causis, indiciis, proprietatibus rerum in partibus singulis universi, libri Il, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini, 1575 (copia usata: Vatic., N. XI. 64, ma cfr. Racc. Gen. 56 CLAVIS UNIVERSALIS cipalmente alla medicina, ma il suo trattato si propone di giungere alla unificazione dei metodi di Ippocrate e Platone, Galeno e Aristotele e di fondare un metodo universale valido così per la medicina come per tutte le altre arti e scienze. Il metodo viene suddiviso dal Gemma in tre parti a seconda che la conoscenza si volga alla comprensione delle cose passate, allo studio delle cose presenti, e alla divinazione di quelle future. Nel primo caso abbiamo la memoria et eius artificium

methodicuni; nel secondo la scientia etusque adipiscendae me- thodus; nel terzo la praedictio eiusque methodus. Ricercando una via compendiosa alla verità, il Gemma insiste a lungo sulla funzione essenziale delle immagini, delle rappresenta- zioni simboliche, dei circoli lulliani, ma concepisce le stesse immagini in funzione di un metodo inteso come ordinata classificazione di tutti gli elementi che compongono il reale: « Tota vis igitur agendi dextere et facile cognoscendi per rerum causas in ipsis ordinibus potissimum collocatur. Ordo enim intelligentiae signum est... ».°° Alla minuziosa, ordinata elen- cazione degli elementi naturali e sopramondani e della facoltà è dedicata la maggior parte dello scritto del Gemma che si configura come una grande enciclopedia nella quale appaiono largamente dominanti i temi della sapienza ermetica e pita- gorica. Nel Quaternio pytagoricus per mundi septenos ordines pari proportione distributos," la materia, la qualità, lo spirito, l’anima appaiono suddivise a seconda della loro appartenenza al mondo intelligibile, alle cose celesti, a quelle eteree, alle sublunari, alle animate, all’uomo, allo Stato. La tavola, nella quale sono raffigurate queste partizioni, ha il compito di mo- strare le segrete corrispondenze tra ciascuno degli elementi, di chiarire il modo in cui il senso o l'immaginazione, la razzo o Medicina, V. 882); De prodigiosa specie naturaque Cometae anno 1577 visa, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini, 1578 (copia usata: Angelica YY. 3. 20). Nell'opera dei CarreRAs y Artau lo scritto De arte cyclo- gnomica del Gemma è stato erroneamente datato 1659. Non si tratta però di un semplice errore di stampa; gli autori, che hanno lavorato molto spesso su informazioni di seconda e anche di terza mano, trat- tano del Gemma nel capitolo dedicato agli sviluppi del lullismo nel secolo XVII (Cfr. La filosofia cristiana, cit., Il, p. 304). 22 De arte cyclognomica, cit., p. 27 29 De arte cyclognomica, cit., p. 34. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 57 la mens si collegano alla totalità dell’universo, ai corpi celesti, al calore presente negli esseri animati, agli spiriti eterci, alle intelligenze che presiedono al moto degli astri. A questo stesso scopo rispondono sia la rappresentazione grafica dell’anima con la collocazione delle cinquantuno facoltà presenti nell’uo- mo,” sia la raffigurazione delle tre scale ciascuna delle quali offre il quadro delle parti che compongono la metafisica, la fisica e la logica mostrando insieme gli scopi di queste scienze, i rapporti che intercorrono tra le varie parti delle singole disci- pline, l'ordine nel quale dev’esser collocata ogni parte in rela- zione all’ordine universale.? AI fondo di queste fantastiche classificazioni, alla base delle strane figure che riempiono il testo del Gemma, dietro questa incondizionata adesione ai motivi più torbidi della tradizione ermetica resta però ben saldo — ed è questo che si vuol sotto- lineare — il presupposto di una necessaria unità del sapere che è specchio della fondamentale unità del cosmo: « mediante l’idea stessa della divina Virtù, le ragioni di tutte le cose risplendono in ciascuna delle particelle del mondo ». Que- st'affermazione — e lo ammetteva esplicitamente lo stesso Gemma — costituiva il primo, essenziale fondamento di tutta l’Arte.?* Su questo stesso terreno, anche se con una fondamentale diversità di tono derivante dal prevalere di interessi di tipo “logico”, si muove l’opera di Pedro Gregoire di Tolosa che fu pubblicata per la prima volta a Lione fra il 1583 e il 1587; il titolo è già di per sè indicativo: Syntaxes artis mirabilis in libros septem digestae per quas de omni re proposita, multis et prope infinitis rationibus disputari aut tractari, omniumque summaria cognitio haberi potest.?* Accanto al consueto tema 24 De arte cyclognomica, cit., p. 105. °5 De arte cyclognomica, cit., pp. 48, 49, 50. 26 De naturac divinis characterismis, cit., p. 34: « Hoc ergo sit primum artis nostrae fundamentum ». 2? Venetiis, apud Jo. Dominicum de Imbertis, 1588. L'altro tomo del- l’opera ha per titolo: Sintareon artis mirabilis alter tomus in quo om- nium scicntiarum et artium tradita est epitome, unde facilius istius artis studiosus de omnibus propositis possit rationes et ornamenta rarissima proferre, ibid., 1588 (copia usata Archiginn., 9, NN. V. 26). L’opera fu ristampata dall’editore Zetzner nel 1610 a Colonia in quattro tomi: 58 CLAVIS UNIVERSALIS di un’arte capace di giungere alla individuazione degli assiomi comuni a tutte le scienze e di elaborare assoluti criteri di certezza, tornavano qui molti dei problemi già affrontati, in quegli stessi anni, da Agrippa e da Lavinheta, ma il tentativo del Gregoire non si risolveva in un semplice “commento” all’arte lulliana. A differenza dei commentatori egli, dopo aver accennato a Lullo e ai principali teorici della sintassi univer- sale, elaborava una vera e propria enciclopedia delle scienze non indegna di essere accostata, almeno per quanto concerne la vastità di interessi e la grandiosità, al De augmentis baco- niano. Essa si fondava su uno speculum artis nel quale veni- vano presentati da un lato i « modi quaerendi examinandi disputandi et respondendi » e dall’altro le classi o cellulas alle quali ogni sapere dev'essere riferito. Il riferimento ai princìpi assoluti e relativi dell’ars magna era qui esplicito, ma altret- tanto e forse più interessanti sono le pagine nelle quali l’aspi- razione ad un sapere enciclopedico e universale si congiunge alla fiducia in una sostanziale intercomunicabilità fra tutte le scienze. Ed è da sottolineare il fatto che questa affermazione dell’unità del sapere si converte, immediatamente dopo, nel- l’altra, ad essa corrispondente, dell’unità essenziale del cosmo: « Poiché, come afferma Cicerone, nulla v’è di più dolce che il conoscere tutto e l’indagare su tutto, giunsi alla convinzione che i particolari precetti delle singole scienze, distinti l’uno dall’altro, possono essere racchiusi in un'unica arte generale mediante la quale essi giungano a comunicare reciprocamente. In tutte le cose è sempre possibile rintracciare un unico ge- nere nel quale concordano e al quale partecipano tutte le specie, nonostante che esse differiscono in talune proprietà; è chiaro di conseguenza che, una volta pienamente conosciuto il genere, la nozione delle specie apparirà più facilmente, allo Commentaria in Sintaxes Artis Mtrabilis, per quas de omnibus dispu- tatur habeturque ratio, in quatuor tomos... in quibus plura omnino scitu necessaria... tractantur. Il secondo tomo ha per titolo Sintarcon artis mirabilis in libros XL digestarum tomi duo. Nel terzo e nel quarto acutissimae ac sublimes tractationes de Deo de Angelis et de Immortalitate animae continentur. Le citazioni che seguono sono tratte da quest'ultima edizione (copia usata: Archiginn., V, VI, 24-26). Per più ampie notizie sull'autore cfr. CARRERAS Y ArtTAU, La filos. cristiana, cit., II, pp. 234 segg. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 59 stesso modo che conosceremmo la divisione in rivoli e lc parti- zioni dei fiumi una volta che, dalla fonte, fossimo giunti, se- guendo l’alveo, ai luoghi nei quali si effettuano le separazioni. Allo stesso modo non apparirà impossibile e assurdo che le diverse opere delle diverse arti vengano realizzate mediante un unico strumento... Così infatti tutti i particolari corpi na- turali sono composti dalla diversa mescolanza dei quattro ele- menti e tutte le piante e tutti gli animali partecipano ad un’unica forza vegetativa e per essa crescono, e tutti i sensi sono contenuti in uno stesso corpo e le cose corporee € quelle incorporee consentono nell'uomo che consta di anima e di corpo, lo stesso Cielo ultimo abbraccia naturalmente e con-

duce e muove in un solo ambito, in un solo moto e in un solo influsso tutte le cose inferiori che tutte in esso concordano ». Il fondamento della “scienza unificata” era dunque una concezione platonico-pitagorica o, se si vuole, “magica” della realtà intesa come un tutto unitario e vivente. La estendibilità dell'Arte o dell’unico metodo a tutte le discipline e a tutti i rami del sapere è possibile in virtù di un presupposto “meta- fisico”: quello di un cosmo nel quale si rispecchiano le idee della mente che ha presieduto alla sua creazione e al suo ordi- namento: « E finalmente tutte le cose sono create e rette dal- l’unica mente di Dio, ogni luce delle stelle partecipa della luce del sole e tutte le virtù partecipano della giustizia... Dio e l’uomo, infine, convengono e convivono in un’ipostasi unica: in nostro Signore Gesù Cristo. E poiché così stanno le cose... senza alcun dubbio la mente e la ragione dell’uomo possono estendersi a tutte le arti, ove siano guidate da un ottimo me- todo generale del sapere e del comprendere... A ciascuna delle scienze particolari appartengono delle nozioni — o preludi universali — mediante le quali l’arte e la perizia vengono facilmente potenziate ».?° A conclusioni non diverse giungerà, nell’ultimo decennio del secolo, il patrizio veneto Valerio de Valeriis che nell’Opus aureum, pubblicato nel 1589, riprendeva, modificandolo e inte- grandolo, il progetto lulliano dell’arbor scientiarum. Nel testo del De Valeriis il problema dell'albero delle scienze viene pre- sentato come strettamente connesso con quello della formula- 28 Commentaria, cit., I, p. 12; per il brano precedente cfr. p. Il. 60 CLAVIS UNIVERSALIS zione delle regole della combinatoria: « L’opera è ripartita in quattro parti. Nella prima verrà trattata la cognizione neces- saria al raggiungimento della conoscenza degli alberi. Nella seconda mostreremo i quattordici alberi dalla cui conoscenza dipende l’intera conoscenza degli enti. Nella terza illustreremo con esempi ciò che è stato esposto nella prima e nella seconda parte. Nella quarta parte, infine, mostreremo in qual modo l’arte generale di Raimondo vada ridotta a questa impresa, insegnando a moltiplicare i concetti e gli argomenti quasi al- l’infinito... mescolando le radici con le radici, le radici con le forme, gli alberi con gli alberi, e le regole con tutti questi e molti altri modi ».?° L’interpretazione che, nella quarta parte dell’opera, veniva data delle “figure” dell’arte appare fortemente influenzata dal commento di Agrippa e, molto probabilmente, anche dalle tesi del Bruno il quale, fra il 1582 e il 1588, era venuto pubbli- cando le sue opere lullistiche e mnemotecniche. Più che ad Agrippa e al Bruno, il de Valeriis si richiama tuttavia più volte a Scoto e allo scotismo ?° (« de aliorum dictis non cura- mus, Scotum praeceptorem sequimur ») introducendo una dot- trina dei predicati assoluti e relativi. L'esigenza di un’arte aurea nasceva in ogni modo, anche in questo caso, dalla constatazione del carattere pluralistico e “caotico” dell’orbe intellettuale, della povertà delle cognizioni umane, dal bisogno di un singulare ac mirabile artificium mediante il quale fosse possibile rendersi conto dell’ordine del cosmo al di là di una caoticità apparente e dar luogo ad una situazione nella quale gli uomini, dopo infinite fatiche, potessero riposare perpetuamente e sicuramente all'ombra degli alberi della scienza (« Nec sine maximis in- commoditatibus et multis vigiliis id perfecimus ut philosophiae imbuti valeant se aliquando ab infinitis ambagibus liberare et viri in scientiis consumati post infinitos labores peracti possint sub felici harum arborum umbra perpetuo et secure quiesce- 29 Sul De Valeriis cfr. CarrERAS y ARTAU, La filos. cristiana, cit., pp. 235-37. Per la prima edizione dell’opera si veda RocenT Duran, Biblio- grafia, cit., n. 138. La citazione riportata nel testo dall'Opus aureun: in quo omnia breviter explicantur quac R. Lullus tam in scientiaruni arbore quam arte generali tradit è ricavata dalla edizione ZETZNER (cfr. la nota 1) p. 971. 30 De VaLerns, Opus aureum, ed ZetznER, pp. 982, 986, 1009, 1115. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 61 re »)."! Anche per il de Valeriis le radici degli alberi coincide- vano con i princìpi dell’arte, mentre lo stesso ordine di suc- cessione dei vari princìpi veniva presentato come dipendente dalla “natura”: « magnitudo vero, quae est secunda radix, non fortuito primam sequitur, sed maximo naturae consilio ». Éra proprio la scala naturae che forniva inoltre il criterio cui far ricorso nella difficile applicazione delle radici o principi del- l'Arte ai subiecta: « Nell’'uniforme applicazione di queste ra- dici ai sudiecta è da impiegare la più grande diligenza... biso- gna osservare la scala della natura e tutto ciò che, nel grado inferiore, denota una perfezione priva di imperfezione, dev’es- sere attribuito al grado superiore. L'operazione attribuita alla pietra (che occupa il gradino infimo) dev'essere attribuita anche ai vegetali che occupano il secondo grado della scala natu- rale... Ciò che comporta una imperfezione, se conviene all’in- feriore, non è da attribuire ad ogni superiore: ne deriva che la contrarietas e la minoritas non devono essere attribuite a Dio, anche se convengono alle cose inferiori. Il divino Lullo ordinò secondo nove soggetti e quattordici alberi la scala della natura... Colui che desidera sapere molte cose in ogni disci- lina si formi questa scala... ».?? Quelle del Gregoire e del de Valeriis sono posizioni tipi- che: da impostazioni di questo genere trarrà nuovo alimento e nuova forza l’idea di una sintassi universale che fornisca, oltre che la chiave dei misteri dell’ideale e del reale, anche il criterio assoluto per la costruzione di una completa enci- clopedia delle scienze. Da Lullo sino alla fine del Cinque- cento e poi fino a Alsted e a Leibniz resta ben salda la con- vinzione che l’arte lulliana o cabala dei sapienti o arte aurea o combinatoria o scienza generale costituisca la scoperta meta- fisica della trama ideale della realtì.. 5. LA CONFIRMATIO MEMORIAE NEI TESTI DI RaiMonpo Lutto. Il problema di un rapido e facile apprendimento delle re- gole dell’arte e dell’ordine nel quale le nozioni sono disposte all’interno dell’“enciclopedia” si presenta, nell'opera di Lullo e in quella dei lullisti, non come marginale o secondario, ma 3 De VALERIS, Opus aureum, cit., pp. 970.71. 3? De VacerIIs, Opus aureum, cit., p. 1026. 62 CLAVIS UNIVERSALIS come costitutivo ed essenziale. Le figure ruotanti, gli alberi, le tavole sinottiche, le sistematiche classificazioni si presen- tano in quei testi come gli strumenti dei quali far uso per tra- sformare in un tempo straordinariamente breve (si oscilla a seconda degli autori da un mese a due anni) un uomo incolto in un sapiente, in un uomo cioè le cui possibilità di cono-

scenza e di azione siano enormemente più vaste di quelle offerte dalla logica e dalla filosofia tradizionali. È dunque naturale che, da questo punto di vista, il problema di una tecnica memorativa o, nella terminologia del lullismo, di una confirmatio memoriae si presentasse strettamente connesso a uello della combinatoria e a quello della classificazione enci- clopedica degli elementi della realtà e delle componenti del mondo del sapere. Nel corso del secolo XVII si parlerà comunemente di art: ficium mnemonicum, di systema mnemonicum, di logica me- morativa per indicare da un lato le grandi costruzioni cosmo- logico-enciclopediche e dall’altro le formulazioni o i manuali di tecnica combinatoria. Alsted, che presentava nel 1610 la sua enciclopedia come artium liberalium et facultatum omnium systema mnemonicum e Stanislao Mink che intitolava logica mnemonica (nel 1648) la sua esposizione e revisione dell’ars magna lulliana, si richiamavano ad una tradizione precisa che ha le sue radici nei testi cinquecenteschi del lullismo euro- peo e nell’opera stessa di Raimondo Lullo. Nel prologo alla Logica Nova, scritta in catalano a Ge- nova nel 1303 e tradotta in latino a Montpellier l’anno se- guente, Lullo esponeva il suo programma di applicazione dei princìpi dell’arte generale alla logica (considerata come disci- plina e arte particolare) e contrapponeva la sua nuova logica a quella tradizionale insistendo sulla facilità di acquisizione e di ritenzione della sua logica compendiosa : Idcirco ad prolixitatem et labilitatem huiusmodi evitandum (divino auxilio mediante) cogitavimus Novam et compen- diosam Logicam invenire, quae citra nimiam difficul- tatem et laborem ab inquirentibus cam acquiratur, et ac- quisita in memoria plenarie conservetur, ac inibi totaliter, et facillime teneatur.?3 33 Liber de nova logica, Mallorca, 1744, p. 1. Cit. in CaRRERAS Y ARTAU, La filosofia cristiana, cit., II, p. 423. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 63 Sulla necessità di un apprendimento mnemonico dei prin- cìpi dell’arte Lullo ritornerà più volte (« diximus de diffinitio- nibus principiorum, quas oportet scire cordatenus... »).°* Non si trattava solo di un accorgimento che riguardasse la “messa in movimento” della complessa macchina lulliana: tutti gli elementi più strettamente “tecnici” dell’arte (le figure, gli alberi, i versi) rispondevano a intenti dichiaratamente mne- monici.**° Proprio nei versi dell’Aplicaciò de l'Art general, un poema didattico del 1301 che esponeva in forma “popolare” i vantaggi derivanti dalla applicazione dell’arte alle varie scienze, Lullo insisteva sulla miracolosa drew:tà della sua com- binatoria e sulle possibilità di un rapido e insieme duraturo apprendimento: Que mostrem la aplicaciò Del Art general en cascuna Que a totes està comuna E per elles poden haver En breu de temps et retener.?° AI problema della memoria e dell’Ars memorativa Lullo aveva del resto rivolto in modo più specifico la sua attenzione fin dai suoi primi scritti. Sulla base della tripartizione delle tre virtù © potenze dell'anima razionale (memoria, intelletto e volontà) già presente nel Libre de Contemplaciò en Dèu del 1272, egli aveva progettato la costruzione di tre grandi 54 Ars brevis, VI, 10. 95 Sul carattere mnemonico delle figure e dei versi varie buone osser- vazioni nell'opera dei Carreras y Artau. A intenti mnemonico-divulga- tivi rispondeva per esempio la Lògica en rims 0 « nuovo compendio » del Compendium Logicae Algazelis (vv. 6-9 e 1574-80): en rimes e’n mots qui son plans per tal que hom puscha mostrar logica e philosophar a cels qui no saben lati ni arabich... Per affermar e per neguar a. b. c. pots aiustar mudant subject e predicat relativament comparat en conseguent antesedent. 16 Aplicaciò de l’Art general, in Obras rimadas de R. Lull, Palma de M., 1859, p. 422. 64 CLAVIS UNIVERSALIS arti l’ars inventiva, l’ars amativa e l’ars memorativa”" connesse rispettivamente all’ardor scientiae, all’arbor amoris e all’arbor reminiscentiae. L’Art amativa (1290), completata dall’Arbre de filosofia d'amor (1298), l'Art inventiva (1289) e l’Arbre de Sciencia (1295) rappresentano la parziale realizzazione di questo progetto. Del 1290 è l’Arbre de filosofia desiderat: ciò che è « desiderato », e nel corso dell’opera solo parzialmente realizzato, è appunto quell’arte della memoria da lungo tem- po progettata. Muovendosi entro l’arbre de filosofia e seguen- done la complessa struttura sarà possibile, secondo Lullo, giun- gere ad intendere le cose vere, ad amare quelle buone e a ricordare artificialmente le cose passate. Il tronco è l’ente dal quale derivano i rami e i fiori che rappresentano contempora- neamente i nove princìpi e i nove predicati dell’arte. Le let- tere da è a & designano i diciotto principi-fiori dell’ars ma- gna, le lettere da / ad « i diciotto princìpi-rami. La struttura dell’albero è quindi la seguente: FIORI TRONCO RAMI b. bontà differenza potenza Ente | Dio creature I. c. grandezza concordanza oggetto Ente |reale fantastico m. d. durata contrarietà memoria ENTE | genere specie n. e. potenza principio intenzione ExTE | movente movibile D) f. sapienza medio punto trascen-| EnTE | unità pluralità p- e. volontà — fine vuoto [dente] Ente | astratto concreto q. Ah. virtù maggiorità opera ENTE | intensità estensione r i. verità eguaglianza giustizia Ente |somiglianza dissomiglianza s. k. gloria minorità ordine Ente |gencrazione corruzione tt. Facendo uso della tecnica inventivo-espositiva, che troverà più ampio sviluppo nell’ars brevis e nell’ars magna, Lullo si richiama alla figura circolare, alla definizione dei princìpi, a dieci regole, infine alle proposizioni e alle questioni. La tec- nica memorativa risulta dalla sistematica applicazione di d (memoria) a ciascuno dei rami simboleggiati da /, m, n, ecc. Ne risultano nove combinazioni dl, dm, dn, ecc., in ciascuna delle quali la memoria artificiale si realizza attraverso parti- 3? Regole per la memoria sono già presenti nel cap. 161 del Liber de contemplaciò. Cfr. Carreras y ArtaAU, La filos. cristiana, cit., I, p. 536. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 03 colari accorgimenti giungendo a risultati di volta in volta differenti. Accanto alle ingenue “regole” già presenti nella trattatistica antica e medievale di medicina applicata alla me- moria, troviamo qui presente il ricorso alla concordantia, alla contrarietas, alla differentia (dp: memoria-unità pluralità; ds: memoria-somiglianza dissomiglianza) e alla subordina- zione del particolare al generale (4n: memoria-genere specie). Lullo si muove dunque, in questo caso, sul terreno di quella rudimentale psicologia delle associazioni che deriva, diretta- mente o indirettamente, dalle opere aristoteliche. Le regole della memoria contenute nell’Arbre de filosofia desiderat sono state ampiamente riassunte cd esaminate dai Carreras y Artau.?* È quindi più opportuno richiamare qui l’attenzione su alcune opere inedite di Lullo che non sono state, a tutt’oggi, fatte oggetto di specifico esame. Si tratta, in primo luogo, dell’inedito Liber de memoria conservato in due manoscritti ‘* e composto a Montpellier nel febbraio del 1304. In questo scritto, che viene presentato dall’autore come la rea- lizzazione di un progetto lungamente meditato (« finivit Ray- mundus librum memoriae quem diu desideraverat ipsum fe- cisse »),‘° Lullo fa riferimento ad un d/bero, l’arbor memo- riae, che non appare elencato tra i sedici alberi dell’Arbre de Sciencia del 1295. Nell’arbor memoriae vengono elencati e classificati nove tipi di memoria ciascuno dei quali è posto in corrispondenza con ciascuno dei nove princìpi, dei nove 38 La filosofia cristiana, cit., II, pp. 534-39. 9° Il Dictionnaire de Theologie catholique e il Lirtré, Histoire littéraire de la France, vol. XXIX fanno riferimento a due manoscritti: Parigi Lat. 16116; Innichen. VIII, B. 14, ff. 90 segg.; Ho trovato inoltre sc- gnalati il ms. I. V. 47 dell’ Univ. di Torino ff. 205-225 v. e il Vat. Urb. lat. 852. Il manoscritto torinese è andato distrutto. Il Cod. Vat. Urb. lat. 852 non contiene il Liber de memoria, ma un’opera apocrifa attribuita a Lullo (di questo più avanti). Non ho visto il ms. di Innichen. Le citazioni sono tratte dal parigino lat. 16116 (sec. XIV) alle carte 18v. - 23 v. Inc.: Per quendam silvam quidam homo ibat. Expl.: Ad gloriam et honorem Dei finivit Raymundus librum memoriae quem diu desi- deraverat ipsum fecisse. Et finivit in Montepessulano in mense februarii, anno CCCIIH ab incarnatione Domini Nostri Iesu Christi. 4° Par. Lat. I6I16, f. 23v. 66 CLAVIS UNIVERSALIS princìpi relativi, c delle nove quaestiones. Ecco l’inizio del trattato : ‘! 16 v. Per quendam silvam quidam homo ibat considerando quid erat causa quia scientia difficilis est ad acquirendum, facilis vero ad obliviscendum et videbatur ci quod propter de- fectum memoriae istud erat eo quia sua essentia non bene est cognita atque suae operationes sive condiciones naturales, et ideo proposuit de memoria facere istum li- brum ad memoriam caque ci pertinent agnoscendum. Subicctum huius libri est ars gencralis, coque cum suis principiis et regulis memoriam intendimus investigare... Est autem memoria ens cui proprium et per se est memo- rari. Dividitur iste liber in tres distinctiones. Prima est de arbore memoriac et de suis conditionibus de principiis artis generalis cum suis diffinitionibus et regulis. Secunda distinctio est de floribus memoriae et de principiis et re- gulis artis gencralis ipsi memoriae applicatis. Tertia dis- tinctio est de quaestionibus de memoria factis ct de solutionibus quaestionum. Et primo de prima dicemus. Arbor memoriae dividitur in novem flores ut in sc patet. 17r. Primus flos est b et b significat / bonitatem [dantem in] > memoriam receptivam ct utrum; secun- dus flos est c ct c significat magnitudinem concordantiam memoriam remissivam et quid est; d significat duratio- nem contrarietatem memoriam conservativam ct de quo; e significat potestatem sive principium memoriam acti- vam et ; f significat sapientiam medium [mate- riam] memoriam discretivam et quantum; g significat vo- luntatem finem memoriam multiplicativam et quale; h significat virtutem maioritatem memoriam significativam et quando; i significat [veritatem]  acqua- litatem memoriam terminativam et ubi; k significat glo- riam, minoritatem memoriam complexionativam et quo- modo et cum quo. In arte ista alphabetum supradictum cordetenus scire oportet... Facendo ricorso alle tavole e alle figure dell’Ars brevis e dell’Ars magna è possibile, correggendo e integrando in due o tre punti il manoscritto," rendersi conto di come si confi- gurasse per Lullo la progettata applicazione dell’ars generalis 4! Le parole poste fra  sono supplite, quelle poste fra parentesi quadre sono giudicate da espungere. Spesso con il termine supplito si propone la correzione di evidenti errori di trascrizione. 42 I termini posti fra parentesi quadre nella tabella che segue manca- no o risultano alterati nel codice. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 67 allo specifico campo della memoria. La struttura della com- binatoria lulliana appare in questo caso la seguente: D « PRINCIPI PRINCIPI SUBIECTA: | QUAESTIONES ASSOLUTI RELATIVI MEMORIA { b. bonitas [differentia] receptiva utrum c. magnitudo concordantia remissiva quid d. duratio contrarictas conservativa de quo e. potestas principium activa [quare ] f. sapientia medium discretiva quantum g. voluntas finis multiplicativa quale h. virtus maioritas significativa quando i. [veritas] acqualitas terminativa ubi k. gloria minoritas complexionativa quomodo ct cum quo. Non è certo il caso di addentrarsi qui in una spiegazione del complesso funzionamento dell’applicazione dell’ars gene- ralis al subiectum memoria. Una tale spiegazione richiede- rebbe fra l’altro la preliminare chiarificazione dei procedi- menti della combinatoria i quali, anche di recente, sono stati esposti e discussi in modo egregio da Erardo W. Platzeck.** Basterà soffermarci su un passo particolarmente indicativo del tipo di problemi ai quali si volge l’attenzione di Lullo. Nel brano che segue Lullo affronta da un lato il problema del rapporto tra la facoltà memorativa e il corpo e dall'altro fa leva sul passaggio dal generale al particolare per gettare le basi di una tecnica del ricordo: 21r. Memoria est in loco ut per regulam de i in tertia parte. Quod amiserat principium distinctionis signatum est et est in loco per accidens non per se, hoc est ratione cor- poris cum quo est convicta, quoniam memoria per se non est collocabilis eo quia non habet superficiem sed est in loco in quo corpus est, ct sicut corpus est mutabile de loco in locum, etiam memoria per ipsum. Memoria vero mutat obiecta de uno loco in alium non mutando se, sed mutando suas operationes obiective recipiendo spe- cies quae sunt similitudines locorum cum quibus est dis- cretiva et multiplicativa ct ideo secundum quod ipsa est conditionata cum loco, debet artista uti ipsa per loca et ideo si vult recordari aliquid traditum oblivioni, consi- derat illum locum in quo fuit et primo in genere, sicut In qua civitate, post in specie, sicut in quo vico, post 43 P. E. W. PLATZECcK, La combinatoria luliana, cit. 68 CLAVIS UNIVERSALIS in particulari, sicut in qua domo seu in aula seu in coquina 21v. / et sic de aliis et ideo per talem discursum memoria multiplicabit se. Nonostante che l’attenzione di Lullo sia qui chiaramente rivolta al processo di successiva determinazione dei particolari (nella sua terminologia la tractatio de generali ad specialia postea descendens) è difficile non avvertire nel passo ora citato l'eco, sia pure attenuata, di quella discussione sui “luoghi” che caratterizza tutta la mnemotecnica di derivazione « cice- roniana ». Gli stessi esempi portati da Lullo (la città, la strada, la casa, la stanza, la cucina) sono tipici di quella termi- nologia della quale i “ciceroniani” avevano fatto un uso larghissimo. Per il tramite dell’agostinismo qualche elemento di quella tradizione dev’essere penetrato all’interno dello stesso pensiero di Lullo.4* I rapporti tra lc tecniche memorative escogitate da Lullo e la tradizione ciceroniana sono certo assai tenui e difficilmente determinabili e tuttavia sarebbe grave- mente errato, continuando ad interpretare l’arte lulliana come un abbozzo di “logica formale”, sottovalutare il peso che sui progetti dell’arte esercitò quella tematica di derivazione ago- stiniana che vedeva nella distinzione di memoria, intelletto e volontà l’espressione simbolica delle tre persone della Tri- nità. Di fatto, come ha notato di recente la Yates, l’arte ap- pare anch'essa concepita a immagine e somiglianza della tri- nità divina. Nella sua pienezza essa consta di tre facce o aspetti: il primo (che si realizza mediante la combinatoria o la nuova logica) agisce mediante l’intelletto; il secondo me- diante il quale si esercita la volontà (e a quest’aspetto si rife- riscono le opere mistiche di Lullo); il terzo che concerne la memoria e trasforma l’intera arte in un grande sistema di mnemotecnica.!* 44 Sul rapporto fra la mnemotecnica ciceroniana c l’opera di Agostino cfr. Fr. A. YATES, The ciceronian art of memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 878-81. 4° Si veda a questo proposito il Cod. 16116 della Naz. di Parigi, f. 23v.: Liber iste [si tratta del Liber memoriae] valde utilis est et asso- ciabilis cum libris Intellectus et Voluntatis in uno volumine quantum ad invicem sunt se iuvantes ad attingendum secreta rerum. Sull'arte concepita a immagine della Trinità cfr. F. A. Yates, The art of Ramon Lull, cit., p. 162. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 69 Sull’effettiva influenza di questa impostazione agostiniana esiste com'è noto una larga documentazione. Oltre ai nume- rosi passi del Liber de contemplaciò e dell’Arbre de filosofia desiderat ricordati dai Carreras y Artau si vuol qui segnalare, come particolarmente indicativo, un altro scritto inedito di Lullo, il Liber de divina memoria** scritto a Messina nel marzo del 1313. In quest'opera l’indagine sulla memoria ap- pare piegata, secondo una curvatura tipicamente agostiniana, a precise finalità teologiche. Trascriviamo, dal ms. ambrosia- no, l’inizio del trattato: 22r. Deus cum tua misericordia incipit liber de tua memoria. Quoniam de divina memoria non habemus tantam noti- tiam sicut de divino intellectu et voluntate, idcirco inten- dimus indagare divinam memoriam ut de ipsa tantam notitiam habeamus quantam habemus de divino intellectu et voluntate. Ex hoc habebimus maiorem scientiam de deo... De divisione huius libri: dividitur iste liber in quin- que distinctiones. In prima tractabimus de memoria ho- minis, in secunda investigabimus memoriam divinam per divinum intellectum, in tertia divinam voluntatem, in quarta divinam trinitatem, in quinta et ultima divinas rattones... Memoria humana est potentia cum qua homo recolit ca quae sunt praeterita et ad hoc declarandum damus istud exemplum. Potentia imaginativa non habet actum scilicet imaginari in illo tempore in quo potentia sensitiva attingit suum obiectum cet de hoc quolibet potest habere experientiam, a simili dum homo attingit obiec- tum pensatum seu imaginatum in tempore presenti tunc memoria non potest memorari illud obiectum quia intel- lectus et voluntas hominis impediunt quominus memoria 22v. habeat suum actum quia intellectus intelligit ipsum / obiectum et voluntas diligit seu odit illud et per hoc ostenditur quia memoria est potentia per se contra illos qui dicunt quod memoria non est potentia per se sed est radicata in intellectu et simul sunt una potentia, quod falsum est ut super declaratum est. 46 Il Littré (Hist. litt. de la France, XXIX, p. 318) fa riferimento al Cod. 10517, ff. 22 segg. della Staatsbibl. di Monaco, il Longpré (Dicr. de Théol. cat., col. 1102, n. 59 (15) segnala, accanto a quello di Mo- naco, il Vat. Ott. lat. 405, ff. 182 segg. Ho visto ed usato il Cod. Am- brosiano N. 259 sup..ff. 22 segg. (sec. XV) segnalato dall’ Ottaviano. Inc.: Deus cum tua misericordia incipit liber de tua memoria. Quo- niam de divina memoria. Exp/.: Ad laudem et honorem Dei finivit Raymundus istum librum in civitate Messanae mense Martii anno 1313. 70 CLAVIS UNIVERSALIS Fra le due opere sulla memoria del 1304 e del 1313 delle quali abbiamo fatto cenno, si colloca infine un terzo testo sulla memoria — il Liber ad memoriam confirmandam — anch'esso inedito, composto a Pisa nel 1308 durante il sog giorno nel convento di San Domenico.“ Il trattato si apre con la dichiarazione dei fini che si propone la confirmatio memoriae («ratio quare presentem volumus colligere trac- tatum est ut memoria hominum, quae labilis est et caduca, modo rectificetur meliori ») e con la distinzione fra le tre po- tenze naturali dell'anima — capacitas, memoria, discretio — ciascuna delle quali può essere perfezionata mediante l’im- piego di una particolare tecnica. A ciascuna delle tre potenze

naturali corrisponde in tal modo una potenza artificiale ac- quisibile mediante l’arte. A quest’ultima spetta fra l’altro il compito di dar luogo ad un tipo di apprendimento e di tra- smissione del sapere che non affatichi inutilmente e bestial- mente i giovani: Ir. Primo igitur ut laborans in studio faciliter sciat modum scientiam invenire et ne, post amissos quamplurimos la- bores, scientiae huius operam inutiliter tradidisse noscatur, Iv. sed potius labor in requiem et sudor / in gloriam plena- ric convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus in- venire per quem non tanta gravitate corporis iugiter de- primantur, sed, absque nimia vexatione et cum corporis levitate et mentis laetitia, ad scientiarum culmina gra- dientes equidem propere subeant. Multi enim sunt qui, more brutorum, literarum studia cum multo et summo labore corporis prosequuntur absque exercitio ingenii arti- ficioso, sed et continuis vigiliis maceratum corpus suum iuxta labores proprios inutiliter cxhibentes. Igitur decet modum per quem virtuosus studens thesaurum scientiac leviter valcat invenire et a gravamine tantorum laborum relevari possit. 47 Di questo testo ho visto le tre redazioni manoscritte conservate nei seguenti Codici (tutti del sec. XVI): Ambrosiana, I. 153 inf., 35-39v.; Monaco, Staatsbibl. 10593, ff. 1v.-3v.; Parigi Naz. lat. 17839, ff. 437 - 444r. Il Vat. lat. 5437, che ho trovato segnalato a proposito del Liber ad memoriam confirmandam, non contiene opere di Lullo. Nella tra- scrizione mi sono servito dei tre codici indicati. L'indicazione delle carte si riferisce al cod. monacense. Per il testo completo dell'operetta cfr. l’appendice. L’arte si presenta dunque come uno strumento di libera- zione da una pedagogia inutilmente sopraffatrice: il tema di un rafforzamento “artificiale” delle potenze naturalidell'anima si legava al motivo, tipicamente francescano, della letizia spi- rituale. La capacitas può essere perfezionata mediante l’atten- ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA zione e l’ordinata partizione degli argomenti. Al perfezionamento della memoria vera e propria vengono dedicate osservazioni che presentano un notevole interesse c che differenziano in misura notevole questo dagli altri testi lulliani sull’argomento: 2v. 3r. Varie cose sono da sottolineare in questo brano: in primo luogo il richiamo all’aristotelico De memoria et reminiscentia Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae quidem, secundum antiquos, alia est naturalis, alia est ar- tificialis. Naturalis est quam quis recipit in creatione vel generatione sua secundum materiam ex qua homo gene- ratur et secundum quod influentia alicuius planetae su- perioris regnat: et secundum hoc videmus quosdam ho-

mines meliorem memoriam habentes quam alios, sed de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud concedere. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quaedam est in medicinis et emplastris cum quibus habetur, et istam reputo valde periculosam quoniam interdum dantur tales medicinac dispositioni hominis contrariae, interdum super- fluae et in maxima cruditate qua cerebrum ultra modum dessicatur, et propter defectum cerebri homo ad demen- tiam demergitur, ut audivimus et vidimus de multis, et ista displiciet Deo quoniam hic non se tenet pro contento de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu quod ad insaniam non perveniat, nunquam / vel raro habebit fructus scientiae. Alia est memoria artificialis per alium modum acquirendi, nam dum aliquis per capacitatem re- cipit multum in memoria et in ore revolvat per scipsum quoniam secundum Alanum in parabolis studens est ad- modum bovis. Bos cnim cum maxima velocitate recipit herbas et sine masticatione ad stomachum remittit quas postmodum remugit et ad finem, cum melius est dige- stum, in sanguinem et carnem convertit: ita est de stu- dente qui moribus oblitis capit scientiam sine delibera- tione, unde ad finem ut duret, debet in ore mentis masti- care ut in memoria radicetur et habituetur quoniam quod leviter capit leviter recedit et ita memoria, ut habetur in Libro de memoria et reminiscentia, per saepissimam rei- terationem firmiter confirmatur. 72 CLAVIS UNIVERSALIS (tale richiamo che è presente sia nel ms. parigino sia nel mo- nacense, è invece assente in quello ambrosiano. Il ms. pari- gino reca inoltre un erroneo Aristotelem in luogo di Alanum) c l’insistenza sulla reiteratio come elemento essenziale al raf- forzamento della memoria; in secondo luogo l’assenza di ogni ricorso o riferimento all’arbor memoriae e l’aperta pole- mica contro i peccaminosi ed empi tentativi di una applica- zione delle tecniche mediche alla memoria; in terzo luogo, infine, la distinzione (che vien fatta risalire agli « antichi ») fra memoria naturale e memoria artificiale. Si tratta di affer- mazioni e di tesi che consentono di stabilire una connessione fra la trattazione lulliana della memoria e quell’ambito di discussioni che si collegavano da un lato al De reminiscentia aristotelico e dall’altro alla persistenza di motivi di deriva- zione retorica. Mentre l’uso del termine discreto pare rin- viare al concetto aristotelico di rem:niscentia, l’accenno agli antichi sembra confermare, ancora una volta, una conoscenza, sia pure indiretta, di alcuni elementi attinti alla tradizione della mnemotecnica “ciceroniana”. Ci siamo così a lungo soffermati su questo testo perché esso è indicativo di un atteggiamento caratteristico sul quale gli specialisti di Lullo non hanno ancora bastantemente ri- volto la loro attenzione: non si procede in quest'opera ad applicare le regole dell’arte allo specifico settore della me- moria, ma si pone l’intera struttura della combinatoria lul- liana a servizio della memoria artificiale. 3r. Ad multa recitanda consideravi ponere quacdam nomina 3v. relativa per quac ad omnia possit responderi / ... Ista enim sunt nomina supra dicta quid, quare, quantus et quo- modo. Per quodlibet istorum poteris recitare viginti ra- tiones in oppositum factas vel quaccumque advenerint tibi recitanda et quam admirabile est quod centum possis ra- tiones retinere ct ipsas, dum locus fuerit, bene recitare... Ergo qui scientiam habere affectat et universalem ad om- nia desiderat, hoc circa ipsum tractatum laboret cum dili- gentia toto posse quoniam sine dubio scientior crit aliis... Primum igitur per primam speciem nominis quid, poteris certas quaestiones sive rationes sive alia quaecunque volue- ris recitare evacuando secundam figuram de his quae con- tinet, per secundam vero poteris in duplo respondere seu recitare et hoc per evacuationem tertiae figurae et multi- plicationem primac... ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 73 Il Liber ad memoriam confirmandam ci è pervenuto solo in tre tardi manoscritti del secolo XVI, i quali, oltre a nu-

merosi errori, presentano differenze spesso notevoli. Il riferi- mento alquanto generico alle quaestiones; l’insistente richia- mo ad un Liber septem planetarum (è il Tractatus novus de astronomia del 1297?) nel quale sarebbero definite la capacitas, la memoria e la discretio; la confusa esposizione della tecnica della evacuatio e della multiplicatto che già nell’Ars magna era stata chiaramente teorizzata; l'impossibilità nella quale ci troviamo, date le divergenze fra i codici, di controllare l’autenticità del richiamo al De memoria aristotelico: questi ed altri elementi non possono non indurre a molta cautela. Il testo è senza dubbio autentico, ma esso ha probabilmente subìto notevoli alterazioni. Le conclusioni cui siamo giunti, relativamente ai rapporti di Lullo con la tradizione della mne- motecnica aristotelica e “ciceroniana”, possono dunque essere considerate valide solo in quanto esse, come abbiamo cercato di mostrare, risultano confortate dall’analisi delle altre opere inedite sulla memoria. Nel caso del Liber ad memoriam confirmandam sussistono dunque solo alcuni dubbi. Assai chiaro è invece il caso del ms. Urb. lat. 852 ** che è stato erroneamente considerato come una delle redazioni del Liber de memoria del 1303. Qui ci troviamo in presenza di un tratto di memoria locale, conce- pito secondo i più rigidi e convenzionali canoni della mne- motecnica ciceroniana, e falsamente attribuito a Lullo. Tra- scriviamo qualche passo: 333 r. Localis memoria per Raimundum Lullum. Ars memora- tiva duobus perficitur modis scilicet locis et imaginibus. Loci non differunt ab imaginibus nisi quia loci sunt an- guli, ut quidam putant, sed imagines quaedam fixae 18 Cod. cart. di ff. 636 (sec. XVI). La Localis memoria per Raimun- dum Ltullum è alle carte 333r.-438v. È da notare che nel Catalogus omnium librorum magni operis Raymundi Lulli proxime publico co- municandi, pubblicato a Magonza nel 1714 da I. Salzinger si trova elencata una Ars memorativa (Inc.: Ars confirmat et auget utilitates) della quale si trova un esemplare nel cod. 10552 della Staatsbibl. di Monaco (cfr. Littré, Hirst. litt. de la France, XXIX, p. 299). L’attri- buzione a Lullo veniva tuttavia successivamente rifiutata dallo stesso Salzinger che ometteva lo scritto dall'elenco delle opere lulliane che si trova nel I vol. dell'edizione di Magonza (1721). 74 CLAVIS UNIVERSALIS super quas, sicut super cartam, dipinguntur imagines de- lebiless Unde loca sunt sicut materia, imagines sicut for- 333 v. ma... / Oportet autem ut locis serbetur modus ne scilicet inter ca sit distantia nimium remota vel nimium brevis, sed moderata ut quinque pedum vel circa; non sit etiam 334 v. nimia claritas vel nimia obscuritas sed lux mediocris... / Inveni igitur, si poteris, domum distinctam caminis XXII 338r. diversis et dissimillibus... / Habcas semper ista loca fixa ante oculos sicut situata in cameris et scias ante et retro illa recitare, per ordinem etiam scias quis primus, quis 339 v.  secundus, quis tertius et sive de aliis... / Si detur tibi aliud nomen notum, puta Joannis, accipe unum Joannem tibi notum... et ipsum collocabis in loco... Che un’opera di questo genere, appartenente ad una tra- dizione culturale assai differente da quella nel cui ambito si era mosso Lullo, venisse attribuita al filosofo di Maiorca non è tuttavia senza significato. Nel secolo XVI, mentre nell’am- bito del lullismo ortodosso si vengono sviluppando in fun- zione mnemonica i temi della combinatoria, si realizza l’in- contro, al quale più volte abbiamo accennato, fra la tradizione “ciceroniana” e quella lullista. A questo incontro darà riso-

nanza europea l’opera di Giordano Bruno. Ma quasi settan- t'anni prima della comparsa del De umbris idearum, del Can- tus circaeus e del De compendiosa architectura et commento artis Lullii (pubblicati tutti a Parigi nell’’82) uno dei più rinomati maestri del lullismo europeo, legato al gruppo di Lefèvre, aveva tentato una sintesi fra l’arte “ciceroniana” della memoria e la combinatoria di Lullo. 6. BERNARDO DE LAVINHETA: COMBINATORIA E MEMORIA LOCALE. Nel 1612, presso l’editore Lazaro Zetzner di Colonia, che aveva pubblicato nel "98 la grande raccolta dei testi lulliani e dei commenti a Lullo, Enrico Alsted curava la stampa della Explanatio compendiosaque applicatio artis Raymundi Lullit del francescano Bernardo de Lavinheta.‘* L’opera era stata 1° Bernarpi De LavinHETA, Opera omnia quibus tradidit artis Ray- mundi Lullii compendiosam explicationem et ciusdem applicationem ad logica rhetorica physica mathematica mechanica medica mataphysica theologica ethica iuridica problematica, edente Johnne Henrico Alste- dio, Coloniac, Sumptibus Lazari Zetzneri bibliopolae, 1612 (copia usata: Trivulz. Mor. I, 75). ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 19 pubblicata per la prima volta, a Lione, quasi un secolo avanti: nel 1523. Mentre si scagliava nella prefazione contro i ridicoli aristotelici e gli inetti ramisti persecutori di Lullo e del lulli- smo e intolleranti di ogni libertà (« Itane docuit Aristoteles ut aliis docendi cathedram iusserit clausam? Minime vero... »), Alsted metteva in guardia i lettori da quel tanto di « scola- stico » e di « papistico » che era ancora presente nell’opera di Bernardo: «Sed ostendit praxin philosophiae lullianae more suo et sui saeculi, id est barbare et papistice. Date itaque ope- ram ne impingatis ad duos istos scopulos ». Ciò che aveva entusiasmato Alsted, al di lì degli « scogli » della barbarie scolastica e del cattolicesimo, era il tentativo, presente nell’o- pera del Lavinheta, di costruire sui fondamenti dell’arte lul- liana una vastissima enciclopedia delle scienze. L’applica- zione dell’ars Lullii, come chiariva il titolo, concerneva in- fatti la logica la retorica la fisica la matematica la meccanica la medicina la metafisica la teologia l’etica e la giurispru- denza. Nella sua partizione e classificazione delle scienze Lavin- heta si era richiamato all’immagine lulliana dell’unico albero del sapere rispetto al quale le varie discipline particolari si collocano come i diversi rami di un unico tronco. Pur intro- ducendo nella sua trattazione partizioni e distinzioni assai lontane dal lullismo (per esempio i tre rami del trivium), Bernardo aveva attinto largamente, in particolare nella sua logica, alle figure della combinatoria. Ma il suo intento di servirsi dell’ars magna in vista di una ricerca di princìpi uni- versali e necessari capaci di unificare tutto il sapere, si rivela con molta chiarezza nella sezione intitolata /ntroductio in artem Raymundi Lullit: « È necessaria un’unica arte generale che abbia princìpi generali, primitivi e necessarii, mediante i quali i princìpi delle altre scienze possano essere provati e esaminati... Le arti e le scienze speciali sono troppo prolisse e la breve vita dell’uomo richiede che l’intelletto possegga un qualche strumento universale ».5° Nella sua ampia trattazione Bernardo inseriva un vero e proprio trattato di cosmologia e di filosofia naturale (nella discussione della terza figura), intere opere di medicina (Hor- 3° De necessitate artis. 76 CLAVIS UNIVERSALIS tulus medicus, De medicina operativa, ecc.) e considerazioni sull’ars praedicandi e sull’interpretazione delle Scritture: egli si muoveva in tal modo sullo stesso terreno della RAetorica pseudo lulliana e dava l’avvio a quell’enciclopedismo su basi lulliane al quale dettero la loro piena adesione, negli ultimi anni del secolo, sia il Gregoire che il de Valeriis. Con il corso del Lavinheta alla Sorbona era rientrato trion- falmente a Parigi, dopo la grande parentesi mominalista ini- ziatasi con le polemiche di Pietro d’Ailly e del Gerson, l’in- segnamento del lullismo. Ove si tenga presente la grande risonanza che ebbero nel mondo dei dotti le lezioni del Lavin- heta, la sua intensa attività editoriale nei maggiori centri europei da Parigi a Lione a Colonia, la sua “fortuna” nel secolo XVII, può apparire particolarmente interessante anche la tematica sulla memoria elaborata nell’ultima parte della Explanatio. Bernardo si propone qui di costruire un'arte ca- pace di servirsi contemporaneamente e delle tecniche memo- rative elaborate da Lullo e di quelle, già larghissimamente sviluppate, che erano state ricavate dai testi di Cicerone e di Quintiliano. La definizione della memoria naturale, della quale La- vinheta si serve, è ricalcata sui testi lulliani e sui commen- tari medievali al De reminiscentia aristotelico: « Est memoria naturalis illa potentia cui proprie competit recolere, de cuius organo in tractatu philosophiae naturalis dictum est. Nam ipsum est in occipite ad modum pyramidis et ipsa potentia est spiritualis. Cuius officium est species per intellectum ac- quisitas conservare et similitudines earundem (imperio volun- tatis) intellectui repraesentare ».”! Per quanto concerne la memoria artificiale, Lavinheta ri- prende invece, quasi con le stesse parole, i concetti espressi da Lullo nell’inedito Liber 24 memoriam confirmandam : LavinHETA, Explanatio (edizione LuLro, Monaco  (Staatsbibl.), 1612), p. 653. Artificialis memoria duplex est: quacdam est in medicinis et em- plastris, quam Doctor noster re- putat valde periculosam ex eo quia 5! De memoria, pp. 651 dell’ediz. 10593, f. 2 v. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quaedam cst in medicinis ct emplastris cum quibus habetur, et istam reputo citata. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 77 interdum dantur medicinac contra-  valde periculosam quoniam inter- riac dispositioni hominis in tanto dum dantur tales medicinac dîs- gradu caliditatis quod cerebrum  positioni hominis contrariac, In- dessicant et sic homines in demen-  terdum superfluae ct in maxima tiam et stultitiam deveniunt. cruditate qua cerebrum ultra mo- dum dessicatur, et propter defec- tum cerebri homo ad dementiam demergitur, ut audivimus ct vidi- mus de multis, et ita displiciet Deo... Introducendo una separazione fra le «res sensibiles quae sensu capi possunt» e le «res intelligibiles quae intellectu solo capiuntur », Bernardo apriva però subito dopo la strada alla distinzione fra due tipi di memoria artificiale: « Secun- dum hanc duplicem differentiam, duplex est modus artifi- cialis memorandi. Primus facilior est longe secundo ». Il me: todo più facile di quello lulliano al quale Lavinheta fa qui riferimento è quello — a noi già noto — della memoria “lo- cale” o “ciceroniana”. Per ricordare gli oggetti che cadono sotto i sensi e i prodotti dell’immaginazione si fa ricorso, secondo i canoni tradizionali, ai luoghi ordinati e alla collo- cazione delle immagini nei luoghi: « stabilienda sunt specifica loca in aliquo familiari spacioso et communi quemadmodum est ecclesia, monasterium aut domus... sui oppidi aut sui civi- tatis ». Ritorna, naturalmente, il precetto dell’ordine dei luo- ghi (« memoria ab inordinatione confunditur ») e quello della collocazione nei luoghi delle similitudines o immagini: «et sic procedendo de loco in loco similitudines rerum collocet... et id etiam ordine retrogrado facere potest et pluries debet illa discurrere ».°? Si riaffacciano i temi consueti della iconologia alla quale è affidato il compito di rappresentare e richiamare alla memoria le «cose intellettuali »: oggetti « meramente intelligibili » come gli angeli potranno essere raffigurati « que- madmodum est in Ecclesiis cum figurare, ut esset parvulus infans cum aliis », mentre per fissare nella mente concetti (per esempio: « Dominus est illuminatio mea et salus mea ») ci si servirà largamente delle figure emblematiche: «si porrà nel luogo designato l’immagine solenne di un uomo ben vestito che tiene in una mano un lume e nell’altra del sale, e benché sale e salute significhino cose diverse, tuttavia per 52 Explicatio, cit., pp. 653-54. 78 CLAVIS UNIVERSALIS quella certa somiglianza che i due termini hanno ‘n voce, l’una cosa condurrà a ricordare l’altra »."? Di fronte agli oggetti della speculazione, a quelle cose cioè « quae sunt remotissima non modo a sensibus, vero et ab ima- ginatione », la tecnica “ciceroniana” della memoria si rivela tuttavia insufficiente. In questi casi è necessario far ricorso ad un secondo, più complicato tipo di memoria artificiale, volgersi all’ars generalis escogitata da Lullo. Qui — afferma Lavinheta — piegando ad un uso nuovo la vecchia termino- logia ciceroniana — tutti i possibili oggetti del sapere ven- gono « collocati in pochi luoghi » e, attraverso i princìpi, le figure, le regole, le guaestiones, l'artista può impadronirsi in modo duraturo di tutto lo scibile.?* 7. LA LOGICA MEMORATIVA. La combinatoria di Lullo era dunque apparsa al Lavinheta contemporaneamente come una logica e una mnemotecnica: da un lato essa si poneva come lo strumento universale (1nstru- mentum universale) mediante il quale tutti i princìpi delle scienze particolari potevano essere sottoposti ad esame, dal- l’altro essa si identificava con un grande sistema di ars remi niscendi che aveva assai più ampie possibilità di applicazione dell’ars memoriae di derivazione retorica e ciceroniana. Per rendersi conto di come posizioni di questo genere giungessero ad incidere profondamente in ambienti assai vari, non è ne- cessario richiamarsi ora ai testi, da questo punto di vista deci- sivi, della pansofia e dell’enciclopedismo seicenteschi. Tredici anni prima della pubblicazione dell’opera del Lavinheta, in- torno al 1510, si erano riuniti, all’Università di Cracovia, i rappresentanti del corpo accademico per prendere in esame la consistenza o meno dell’accusa di magia che era stata lanciata contro il francescano Thomas Murner, autore di una Logica memorativa, chartiludium logicae sive totius dialecticae me- moria pubblicata nel 1509. Nello scritto, che propugnava la combinazione di un sistema di concetti con un parallelo si- 33 Explicatio, cit., p. 654. 54 Explicatio, cit., p. 654. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 79 stema di simboli plastici, erano evidenti gli influssi lulliani.*° La relazione finale, scritta da Ioannes de Glogovia sulla questione, è un documento singolare. Meglio di un lungo discorso essa ci dà la sensazione precisa della larga diffusione (anche negli ambienti accademici) di un certo tipo di discussioni € vale anche a mostrarci la presenza di quella connessione, che andò stabilendosi particolarmente nelle università tedesche del Rinascimento, fra la logica e la mnemotecnica: Ego magister Ioannis de Glogovia Universitatis Craco- viensis Collegiatus... testimonium do veritatis... patrem Th. Murner Alemannum... hanc chartiludium praxin apud nos finxisse, legisse et usque adco profecisse, quod in mensis spatio etiam rudes et indocti... sic evaserint memorcs ct eruditi, quod grandis nobis suspicio de prae- dicto patre oriebatur, quiddam magicarum rerum infu- dissc potius, quam praecepta logicac tradidisse...** L’idea di una logica memorativa o di una sostanziale af- finità e parentela fra la logica e l’arte della memoria sta in realtà alla base di tutti i tentativi, che si rinnoveranno nella

cultura europea dal primo Cinquecento fino a Leibniz, di utilizzare l'eredità lulliana per costruire un’ars generalis uni- ficatrice di tutto il sapere c un sistema mnemonicum o enci- clopedia delle scienze. La riforma della logica di Bruno e l’enciclopedismo di Alsted si muovono, da questo punto di vista, su un terreno comune. Non è certo un caso che tra le 55 THomas Murner, Logica memorativa. Chartludiun logicae sive to- tius dialecticae memoria et novus Petri Hispani textus emendatus, cum jucundo pictasmat, cxercitio, Bruxelles, Thomas van der Noot, 1509 (co- pia usata: Parigi, Naz., Rés. R. 871). Cfr. anche la Invectiva contra astrologos, Argentinae, 1499 (ibid. Rés. V. 1148). Non sono riuscito a vedere il Chartiludium institutae summarie doctore Thoma Murner memorante ct ludente, Argentinae, per Johannen Priis, 1518 che con- tiene una riduzione delle Istituzioni giustinianee in quadri sinottici co- struiti sulla base degli stemmi e delle imprese dei vescovi e dei prin- cipi imperiali. Nel 1515 1’ Università di Treviri rilasciò una dichiara- zione dalla quale risultava che il Murner era in grado di insegnare le Istituzioni nello spazio di quattro settimane servendosi di un me- todo fondato sulla memoria artificiale. Sul Murner cfr. Carreras Y Artau, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 224-25 e, per le influenze di Lullo, A. Gortron, Ein /ullisticher Lehrstuhl in Deutschland un: 1600 ?, in « Estudis Universitaris Catalans », 1913. #6 Cit. in PrantL, III (1955), p. 294. 80 CLAVIS UNIVERSALIS fonti della “caratteristica” leibniziana si trovino, accanto ai principali testi del lullismo europeo, non poche e non secon- darie opere di ars reminiscendi. Un'altra cosa va infine sottolineata: il sospetto di magia che aveva colpito il buon Murner era in realtà, almeno in parte, pienamente giustificato. La logica memorativa, la com- binatoria, l’ars inveniendi e l’ars reminiscendi si configurano spesso come progetti di fondazione di un’arte mirabile capace di condurre, come per una rapida scorciatoia, entro i più se- greti recessi della natura. Anche la logica o l’arte di Bruno, profondamente legata al lullismo, alla “memoria”, alla ca- bala, agli emblemi, apparirà assai simile a un prodotto di magia. Pio V, Enrico IH di Francia, l'ambasciatore spagnolo alla corte di Rodolfo II, lo stesso Giovanni Mocenigo ve: dranno in Bruno l’inventore e il possessore di un'arte segreta capace di ampliare, in modo smisurato, le possibilità di do- minio dell’uomo. Dal sospetto di magia questo tipo di “lo. gica” si libererà del resto assai tardi. Nella Historia et com- mendatio linguae charactericae universalis, Leibniz, mentre distingueva la «vera » dalla « falsa » cabala, si preoccupava ancora di liberare la combinatoria dall’accusa di magia: « Già a partire da Pitagora gli uomini furono persuasi che i più grandi misteri sono nascosti nei numeri. Ed è credibile che Pitagora abbia introdotto in Grecia dall’Oriente questa opi- nione come molte altre cose. Ma ignorandosi la vera chiave dell’arcano, i più curiosi sono caduti nelle futilità e nelle superstizioni, donde è nata quella certa cabala volgare molto lontana da quella vera e le molteplici inezie con un certo falso nome di magia di cui sono pieni i libri ».# 5? La trad. del passo (Gerhardt, VII, pp. 184-89) è in F. Barone, Lo- gica formale e logica trascendentale, I, da Leibniz a Kant, Torino, 1957, p. 14. Il I TEATRI DEL MONDO 1. SIMBOLISMO E ARTE DELLA MEMORIA. Non pochi esponenti della cultura del tardo Cinquecento identificarono la combinatoria lulliana con una logica me- morativa. Quest'ultima si presentava da un lato come l’ars ultima o l’instrumentum universale capace di sottoporre ad esame tutti i principi delle scienze particolari, dall’altro come un grandioso sistema di ars reminiscendi che costituiva il fondamento di un organico e completo sistema mnemonicum o generale enciclopedia di tutto il sapere. Da questo punto di vista l’ars memoriae di origine retorica e “ciceroniana” poteva apparire — accanto alla combinatoria e alla mnemo- tecnica di derivazione lulliama — elemento essenziale alla costruzione della pansofia: alla nuova logica, capace di ri- specchiare nella sua struttura le strutture stesse del mondo reale, avrebbe fatto riscontro una enciclopedia o teatro uni- versale che, di quella logica, fosse il naturale compimento. Comune presupposto a quella logica e a quel teatro era una dottrina “speculare” della realtà, la tesi di una perfetta, to- tale corrispondenza fra i termini e le res. Nel capitolo che precede ho cercato di indicare le fonda- mentali linee di svolgimento della tradizione del lullismo durante il secolo XVI. Anche entro la complessa tradizione della mnemotecnica retorica e “ciceroniana”, la cui diffusione procede contemporaneamente a quella del lullismo, interven- nero, fra gli ultimi anni del Quattrocento e i primi decenni del secolo XVII, alcuni essenziali mutamenti. Questi con- cernono non l’apparato tecnico dell’arte mnemonica che resta sostanzialmente immutato, anche se va ampliandosi mediante numerosi accorgimenti, ma il significato stesso che l’arte viene ad assumere all’interno del mondo della cultura. Quell’ars memoriae che era stata valutata nel Trecento e nel Quattrocento un accorgimento utile ai predicatori, una tecnica utilizzabile dai politici dai letterati e dai giuristi, ac- quisterà sul finire del Cinquecento, in taluni ambienti, un 82 CLAVIS UNIVERSALIS

ben diverso significato. Nei testi del Bruno essa appare per esempio strettissimamente collegata alla tematica di una me- tafisica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, alle discussioni sui rapporti logica-retorica, agli ideali della pansofia, alle aspirazioni del lullismo. Mentre si connetteva a questi movimenti e a queste correnti, l’ars memoriae si andava caricando di significati metafisici, veniva piegata a diverse esigenze di pensiero. Quella limpidità di espressioni e quella chiarezza teoretica che avevano caratterizzato le pagine di Cicerone, di Quintiliano, di Alberto, di Tommaso, di Pietro da Ravenna scompaiono definitivamente nella trat- tatistica successiva alla seconda metà del Cinquecento: un gusto di tipo barocco per i geroglifici, gli alfabeti, i simboli, le immagini, le allegorie appare ora nettamente dominante. Fra i testi quattrocenteschi sulla memoria o quelli di Pietro

da Ravenna da un lato e quelli del Bruno dall’altro esiste, da questo punto di vista, una differenza incolmabile: nel primo caso assistiamo al tentativo di elaborare, con strumenti razionali, una tecnica retorica fondata su uno studio delle associazioni mentali; nel secondo caso siamo in presenza di un complesso simbolismo che serve da velo ad una sapienza riposta attingibile solo attraverso la ambiguità degli emblemi e l’allusività delle immagini, dei sigilli e delle imprese. Ad uno strumento costruito in vista di finalità pratiche e mon- dane, si è sostituita la ricerca di una cifra o di una chiave che consenta di penetrare entro il segreto ultimo della realtà e della vita. Intorno alla metà del secolo non sono più i teorici della retorica o gli studiosi di dialettica ad occuparsi dell’ars me- moriae: Cornelio Agrippa e Giulio Cesare Camillo, Giovam- battista Della Porta, Cosma Rosselli e Giordano Bruno con- siderano le regole della memoria come strumenti da impie- gare in vista di finalità assai più ampie di quelle, limitate e modeste, della retorica o della dialettica. In ciascuno di que- sti autori troviamo presenti ed operanti i temi del lullismo e della cabala, della magia e dell’astrologia, l’eredità dell’Ars notoria, dei testi ermetici, dell’opera di Pico e di Ficino. Bruno, commentatore di Lullo e innovatore dell’Ars me- moriae, vedrà derivare da una « fonte comune » la teologia di Scoto Eriugena, la combinatoria, i misteri del Cusano, la I TEATRI DEL MONDO 83 medicina di Paracelso. Erano posizioni e riferimenti, al suo tempo, già ampiamente diffusi: alla metà del secolo aveva visto la luce, a Parigi, il De usu et mystertis Notarum Liber (1550) scritto da Jacques Gohory (Leo Suavius) avvocato al parlamento di Parigi e diplomatico, grande commentatore dell’opera paracelsiana e traduttore del Principe e dei Discorsi del Machiavelli, studioso insigne di alchimia, di botanica e di teoria della musica. Nella sua discussione sui segni egli faceva riferimento costante alla magia di Tritemio, alla cabala cristiana, all’Ars notoria, alle opere di Pico e di Ficino, all’ars memoriae, alla combinatoria lulliana, al Teatro del mondo di Giulio Camillo.! È, la sua, posizione oltremodo indica- tiva di quel mutamento di valutazioni cui abbiamo accennato.

Ma prima di trarre conclusioni potrà esser di qualche giova- mento cercare di seguire la diffusione, in Europa, di taluni testi italiani particolarmente fortunati; considerare alcuni di quei seatri del mondo nei quali i temi della cabala e quelli di un enciclopedismo su basi metafisiche si sovrappongono agli originari intenti mnemonico-retorici; soffermarsi infine su alcuni testi nei quali i temi della combinatoria lulliana e quelli dell’arte mnemonica confluiscono in modo partico- larmente evidente. 2. DIFFUSIONE DELL’ARS MEMORIAE IN INGHILTERRA E IN GER- MANIA. Convenientemente addottrinato da madama Logica, l’eroe di quel singolare poema allegorico-didattico che è il Pastime of Pleasure di Stephen Hawes, continua la sua non lieve ascesa nella Torre della Dottrina ed entra nella stanza di dama Retorica. Dopo aver accuratamente enumerato le cin- que parti della retorica ed aver chiarito la connessione inter- corrente fra queste e le varie facoltà dell'animo, la dotta dama, facendo riferimento alla memoria, così si esprime: Y£ to the orature many a sundry tale One after other treatably be tolde ! Le traduzioni delle opere del Machiavelli sono del 1571. Sul Gohory cfr. L. THorRNDIKE, History of Magic and Experimental Science, New York, 1951, V, pp. 636-40; D. P. Wacker, Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella, London, 1958, pp. 96-106. 84 CLAVIS UNIVERSALIS Than sundry ymages in his closed male Eache for a mater he doth than well holde Lyke to the tale he doth than so beholde And inwarde a recapitulacyon Of eche ymage the moralyzacyon Whiche be the tales he grounded pryvely Upon these ymages sygnyfycacyon And whan tyme is for hym to specyfy All his tales by demonstracyon In due ordre maner and reason Than eche yamage inwarde dyrectly The oratoure doth take full properly So is enprynted in his propre mynde Every tale with hole resemblaunce By this ymage he dooth his mater fynde Eche after other withouten varyance Who to this arte wyll gyve attendaunce As thercof to knowe the perfytenes In the poetes scole he must have intres.? In questo testo, pubblicato a Londra nel 1509, veniva per la prima volta formulata, in lingua inglese, la dottrina della retorica classica. Anche se orientato in funzione di una « poetica », il riferimento alla dottrina dei luoghi e delle immagini non poteva essere più preciso. Il tentativo di adat- tare la terminologia della RAetorica ad Herennium alle par- ticolari esigenze dell’arte poetica non era, in Inghilterra, senza precedenti; in questo senso la Poetria Nova composta da Goffredo di Vinsauf fra il 1208 e il 1213 costituisce (come ha chiarito lo Howell) una delle principali fonti del poema di Hawes.® Resta, a confermare una sostanziale divergenza 2 S. Hawes, The Pastime of Pleasure, ed. by W. E. Mead, London, 1928, p. 52, vv. 1247-1267. La prima cdizione è Wynkyn de Worde, London, 1509; successive edizioni nel 1517, 1554, 1555. Ampie notizie sull’autore e sulle edizioni nell’edizione a cura di R. Spindler, Leipzig, 1927, pp. XXIX- XLI. Il brano riportato nel testo è cit. in W. S. Ho- well, Logic and Rhetoric in England, 1500-1700, Princeton, 1957, p. 86. Dal libro dello Howell (sul quale cfr. la rassegna Ramismo, logica e retorica nei secoli XVI e XVII, « Riv. critica di st. della filos. », 1957, 3, pp. 361-63) ho ricavato varie notizie sui testi inglesi di mne- motecnica. 3 Il testo in E. Farat, Les arts poétiques du XIlIc et du XIII: siècle, pp. 197-262. Cfr. HowELL, op. cit., pp. 75-76. I TEATRI DEL MONDO 85 di valutazioni circa la funzione esercitata dall’ars memoriae all’interno dell’ars rhetorica, l’importanza attribuita dallo Hawes all’ars reminiscendi in vista della formazione del poe- ta. La stessa differenza, che è indice del sorgere di un inte- resse nuovo per le tecniche della memoria, possiamo riscon- trare confrontando la terza edizione (1527) del Mirrour of the World di William Caxton sia con le duc precedenti edi- zioni (1481 e 1491) sia con il Livre de clergie nommé l’ymage

du monde (1245?) del quale l’opera del Caxton è la più o meno fedele traduzione. In questa terza edizione, accanto una brevissima trattazione dell’invenzione, della dispositio e dello stile e a più ampie considerazioni sulla pronuntiatio, trovia- mo una dettagliata esposizione delle tecniche  memorative nella quale tornano, con molta abbondanza di particolari, temi ben noti: Memory Artyfycyall is that which men cal Ars memorativa. The crafte of memory by which craft thou mayste wryte a thynge in thy mynde and set it in thy mynde as eviden- tly as thou mayst rede and se the worcles which thou wrytest with ynke upon parchement or paper. Therfore in this arte of memory thou muste have places which shal be to the lyke as it were perchenent or paper to wryte upon. Also instede of thy lettres thou must ymagyn Ima- ges to set in the same places... But yf thou canst not have a corporall ymage of the same thynge as yf thou woldest remembre a thynge whyche is of it selfe non bodely nor corporall thyng but incorporall, that thou muste yet take an ymagce therfore that is a corporali thynge...4 L'interesse per questo genere di discussioni è del resto strettamente collegato alla rinascita, nell'umanesimo inglese, della grande tradizione della retorica classica, rinascita che appare per molteplici aspetti legata ai rapidi mutamenti della società inglese, all’avanzare sulla scena politica e culturale degli uomini di legge, ai dibattiti sull’efficacia delle prediche religiose, alle controversie parlamentari. Non a caso nelle 4 W. Caxron, Mirrour of the World, ed. by O. H. Prior, London, 1913. L'edizione del Prior è condotta sulle edizioni del 1481 e 1491 (circa). La trattazione sulla memoria (cit. in Howett, Logic and Rhe- toric, cit., pp. 88-89) è ricavata dalla terza edizione: The myrrour, dyscrypcion of the wordle with many marvaylles, London, 1527 (?), D3r-D3v. 86 CLAVIS UNIVERSALIS scuole e nei colleges l’insegnamento della retorica e del “me- todo di trasmissione del sapere” occupa, fra la metà del Cin- quecento e la metà del Seicento, una posizione predominante : un testo fondamentale, la Pleusant and persuadible art of Rhetorique di Leonard Cox, veniva presentato, nel 1532,‘ come opera necessaria agli avvocati agli ambasciatori agli in- segnanti e a tutti coloro che avrebbero dovuto parlare davanti ad un'assemblea. Alla diffusione nella cultura inglese del- l'ideale del cortegiano e del gentiluomo (esperto insieme di “cortesia” e di “politica”) corrispose il moltiplicarsi dei ma- nuali di retorica e l’intensificarsi di una discussione che con- cerneva, insieme alle “buone maniere”, anche problemi atti- nenti alla “persuasione”, alla “tolleranza”, alla convivenza civile. Solo tenendo presente questa atmosfera può del resto risultar chiaro il significato dell’aspra, intensa polemica che si svolgerà negli ultimi anni del secolo tra i riformatori rami- sti e gli agguerriti sostenitori della logica scolastica e della retorica ciceroniana. Molti dei motivi che abbiamo trovato presenti negli scritti dell'’Hawes e del Caxton erano stati senza dubbio ricavati da fonti classiche, e, sia pure parzialmente, da fonti medie- vali. Ma non mancò, anche in questo particolare settore della cultura, un diretto influsso italiano: esso è mostrato non solo dall'influenza esercitata in Inghilterra dalla Nova RAetorica di Guglielmo Traversagni da Savona (1479), ma anche dalla pubblicazione, intorno al 1548, di una Art of memory that otherwise is called the Phoenix. Presentato da Robert Co- pland come la traduzione di un anonimo scritto francese, questo libretto era in realtà (come già ha notato lo Howell) la traduzione della ben nota Phoenix di Pietro da Ravenna: Ravenna (3r-3 v) Et pro fundamento huius primae conclusionis quatuor regulas po- no. Prima est haec: loca sunt fe- nestrae in parietibus positae, co- lumnae, anguli et quac his si- milia sunt. Secunda sit regula: loca non debent esse nimium vi- Copland (B 3r) And for the foundacion of this fyrst conclusyon I wyll put foure rules. The fyrste is this. The pla- ces are the wyndowes set in wal- les, pyIlers and anglets, with other lyke. The Il rule is. The places ought nat to be nere togyther not ° L. Cox, The Arte or Crafte of Rhetoryke, cd. by F. I. Carpenter, Chicago, 1889. I TEATRI DEL MONDO 87 cina aut nimium distantia. Tertia to fare a sonder. The HI rule is sit regula vana ut mihi videtur... suche. But it is vayne as me se- meth... Dati questi precedenti, appare facilmente comprensibile come uno dei testi più fortunati e più significativi della cul- tura del Cinquecento, la Arte of RAetorique di Thomas Wil son (1553), potesse rifarsi, in modo caratteristico, a fonti ita- liane costruendo un tipo di esemplificazione che, mentre da un lato ricorda da vicino i testi del Ravennate, dall’altro sembra anticipare, nell’uso costante di immagini di perso- naggi mitologici, alcune tipiche costruzioni del Bruno: As for example, I will make these [places] in my cham- ber. A doore, a window, a presse, a bedstead, and a chim- ney. Now in the doore, I wil set Cacus the theefe, or some such notable verlet. In the windowe I will place Venus. In the presse I will put Apitius that famous Glutton. In the bedstead I will set Richard the third King of En- gland or some notable murtherer. In the Chimney I will place the blacke Smith, or some other notable traitour.* Oltre e più che in Inghilterra, l’arte ciceroniana della memoria trovò, nel corso del secolo XVI, larga diffusione in Germania. Qui, oltre al consueto inserimento della tecnica memorativa entro le trattazioni generali dedicate alla retorica, si ebbe una vera e propria fioritura di testi specifici: nel 1504 esce a Strasburgo un’Ars memorativa S. Thomae, Ciceronis, Quintiliani, Petri Ravennae che colloca definitivamente Pie- tro fra i classici dell’arte; nel 1505, a Colonia, Sibutus pub- blica un’Ars memorativa, del 1510 è il Ludus artificialis obli-

vionis di Simon Nicolaus aus Weida pubblicato a Lipsia; a Venezia, dieci anni più tardi, esce un fortunato libretto, il Congestorium artificiosae memoriae di Johannes Romberch, intieramente modellato sullo scritto del Ravennate e poi dif- fuso in Italia nella traduzione di Ludovico Dolce;’ a Stra- © TH. WiLson, The Arte of Rhetorique for the Use of All Suche are Studious of Eloquence, ed. by G. H. Mair, Oxford, 1909 (cfr. Howett, op. cit., p _.104). 7 Jo. RomsercH DE Kwrspe, Congestorium artificiosae memoriae... om- num de memoria pracceptiones aggregatim complectens, Venetiis, in aedibus Georgii de Rusconibus, 1520 (copia usata: Triv. Mor. L. 561). La Yates, The Ciceronian Art of Memory, in: Medioevo e Rinasci- 88 CLAVIS UNIVERSALIS sburgo, nel ’25 Fries pubblica un’Ars memorativa, ancora a Strasburgo nel ’41 e nel ’68 vedono la luce rispettivamente la Memoria artificialis di Riff e i Praecepta de naturali memo- ria confirmanda di Mentzinger; infine a Wittenberg, che era stata il centro di diffusione dell’insegnamento del Ravenna, esce nel "70 (ma con una prefazione del 1539) il Libellus arti- ficiosae memoriae in usum studiosorum di Johannes Spanger- bergius, più volte ristampato e incluso nel 1610 nel Gazopli- lacium dello Schenkel, una raccolta che fece il giro di tutta Europa. L’aspra polemica di Cornelio Agrippa contro l’uso e l’a- buso delle arti mnemoniche appare facilmente spiegabile ove si tenga presente questa vera e propria invasione di testi di mnemotecnica nella vita culturale tedesca del Cinquecento. Attribuendo a Cicerone a Quintiliano a Seneca al Petrarca e a Pietro da Ravenna la responsabilità di questa « frenetica mania » Agrippa non solo si scagliava contro un tipo di inse- gnamento che opprimeva gli scolari ‘n gymmnastis e contro una tecnica che mirava, anziché alla vera sapienza, alla « glo- ria puerile dell’ostentazione », ma ripeteva, con vigore parti- colare, il vecchio argomento di tutti gli avversari della mne- motecnica, lo stesso argomento contro il quale, cinquant'anni più tardi, il Bruno polemizzerà aspramente: « La memoria artificiale non è minimamente in grado di persistere senza la memoria naturale e quest’ultima viene assai di frequente resa ottusa da immagini mostruose tanto da generare spesso una specie di mania e di frenesia per la tenacia della memoria; accade invece che l’arte, sovraccaricando la memoria naturale con innumerevoli immagini di parole e di cose, conduce alla pazzia coloro che non si accontentano dei confini stabiliti mento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1945, assegna erronca- mente la prima edizione di questo testo al 1533. La traduzione del Dolce è il Dialogo di L. Dolce nel quale si ragiona del modo di accre- scere ct conservar la memoria, in Venetia, Giovanbattista Sessa c fra- telli, 1586 (copia usata: Triv. Mor. M. 248). La prima edizione risale al 1562, una seconda è del 1575. Già nel 1592 la fonte del Dolce era stata individuata: cfr. la Plutosofia di Filippo Gesualdo... nella quale si spiega l’arte della memoria (p. 11 dell'edizione vicentina del 1600. Triv. Mor. H. 65). I TEATRI DEL MONDO R9 dalla natura ».8 Era una curiosa posizione, questa di Agrippa, dato che questa contrapposizione dei diritti della natura alle empie pretese dell’arte proveniva da uno dei più ferventi e appassionati sostenitori dell’arte lulliana, da un uomo che aveva dedicato non poche delle suc energie ad un « perfezio- namento » della complicata impalcatura dell’ars magna. Il testo di Agrippa è del 1530. Due anni dopo, nei suoi Rhetorices elementa il maggior teorico della logica ec della retorica della Riforma, Melantone, assumeva nei confronti dell’ars memoriae una posizione non dissimile. Pur senza l’asprezza polemica di Agrippa, Melantone denunciava la sostanziale sterilità di ogni tecnica intesa al perfezionamento della memoria naturale: « Le cose che sono state scoperte cd ordinatamente disposte vanno infine espresse mediante le pa- role. In queste tre parti si esaurisce tutta l’arte. Sulle altre due parti non offriamo precetti giacché la memoria può ve- nire assai poco aiutata mediante l’arte ».° Insistendo tuttavia da un lato sulla strettissima connes- sione fra la cogitatio e la dispositio e dall’altro sulla funzione della topica in vista di un ordinamento dei concetti origina- riamente sparsi 12 magno acervo, Melantone veniva però a richiamarsi esplicitamente proprio a quella duplice tesi del- l'ordine e della limitazione sulla quale si era fondata la dot- trina dei luoghi e, di conseguenza, l’intera tecnica mnemo- nica. In realtà fra la topica intesa come mezzo di ordinamento dei concetti e la dottrina dell’arte della memoria sussiste, come dovrà notare acutamente Bacone, un rapporto assai stretto.!° Ma di questo più avanti. Ciò che qui va posto in rilievo è invece lo scarso effetto esercitato sugli ambienti tede- schi da prese di posizione del tipo di quelle. di Agrippa e di 8 H. C. Agrippa, De vanitate scientiarum, cap. X, De arte memorativa, in: Opera, Lugduni, 1600, II, p. 32 (copia usata: Triv. Mor. K. 403). Agrippa attribuisce ancora a Cicerone la R/etorica ad Herennium. ° Rhetorices Elementa, autore Philippo Melanchtone, Venetiis, per Melchiorem Sessam, 1534, p. 4v-5 (copia usata: Ambros. Sxu v. 96). 10 Rhetorices Elementa cit., p. 8. Un caratteristico esempio della con- nessione rilevata nel testo è l' Opusculum de amplificatione oratoria

seu locorum usu, per Adrianum Barlandum in inclito Lovaniensiun gymnasio publicum Rhetoricae professorem, Lovanii, Servatus Zaffe- nus Diestensis, 1536 (copia usata: Braid. B. XIII. 5.512). 90 CLAVIS UNIVERSALIS Melantone: non solo continueranno a diffondersi in Germa- nia i trattati dedicati alla mnemotecnica ciceroniana, ma, dopo la confluenza della tradizione “classica” in quella del lullismo, questo tipo di produzione acquisterà nuovo vigore giungendo, nel corso del Seicento, ad investire alcune delle maggiori personalità della cultura tedesca. 3. SPANGERBERGIUS. Il Libellus artificiosae memoriae in usum studiosorum col- lectus di Johannes Spangerbergius, pubblicato a Wittenberg nel 1570,'! può essere preso ad esempio della vivacità con la quale si presenta, negli ambienti culturali tedeschi del tardo Cinquecento, la tematica attinente all'arte memorativa. L’au- tore di questo libretto (che è forse la più limpida esposi- zione cinquecentesca dell’ars reminiscend:) non ha pretese di originalità: « hanc artificialis memoriae lucubratiunculam ex probatis autoribus utcunque decerpsi et in hanc Epitomem collegi ». Presentando l’arte in forma catechistica egli si preoc- cupa di due cose: rendere l’arte chiara e rapidamente acqui- sibile, presentare una trattazione completa che tenga conto, oltre che delle fonti classiche, anche delle opere più recenti sia retoriche sia mediche. Su alcune delle definizioni e delle regole dello Spangerbergius vale la pena di soffermarsi anche perché esse possono fornirci, in qualche modo, la chiave necessaria ad intendere molte delle posizioni presenti negli scritti del Bruno. Accanto ai leggendari “eroi” della memo- ria (Simonide e Temistocle, Crasso e Ciro, Cinea e Carneade) l’autore ricorda Cicerone, Quintiliano, Seneca e si richiama

anche a Pietro da Ravenna che cita ripetutamente avvicinando il suo nome, in modo significativo, a quello del Cusano: « Nostro saeculo consumatissimus fuit in hac arte clarissimus 11 Artificiosae memoriac libellus in usum studiorum collectus, autore Joanne Spangerbergio Herdesiano apud Northusos verbi ministro, Wi- tebergae, apud Petrum Seitz, 1570. Mi servo della copia dell’Angelica (YY. 3.28) a pagine non numerate. Con il titolo Erosemata de arte memoriae seu reniniscentiae il testo fu ristampato (con la indicazione Authore Ioh. Sp. Herd.) nel Gazophylacium artis memoriae... per Lambertum Schenckelium Dusilivium, Argentorati, excudebat  Anto- nius Bertramus, 1610, alle pp. 339-378 (copia usata: Angelica. SS. 1. 24). I TEATRI DEL MONDO GI vir Petrus Ravennatus utriusque iuris doctor, deinde Ioannes Cusanus et alii ». Il “lullista” Cusano diventava, non a caso, uno dei mae-

stri dell’arte mnemonica: l’idea che le finalità ultime del- l’ars Raimundi coincidessero, in ultima analisi, con quelle proprie dell’ars memoriae era, come vedremo, destinata a raf- forzarsi fino a condurre a quella particolare valutazione della combinatoria lulliana che sarà tipica degli scrittori del Sei- cento e giungerà inalterata alla Historia critica philosophiae del Brucker. Dopo aver definito la memoria come comprehensio earum quae praeterierunt, come retentio e conservatio ed aver di- stinto fra memoria naturale e artificiale, lo Spangerbergius prende immediatamente posizione contro l’accusa di una insufficienza dell’arte di fronte alla perfezione o imperfezione naturale: in primo luogo egli nega la perfezione della me- moria naturale, in secondo luogo pone in rapporto la perfet- tibilità di questa mediante l’arte, con la maggiore o minore perfezione delle doti native: « Quanto naturalis memoria est hebetior, tanto ad artificiosam est imbecillior; contra quanto na- turalis est vegetior, tanto ad artificiosam expeditior ». La memo- ria artificiale è definita una « dispositio imaginaria rerum sen- sibilium in mente, super quas memoria naturalis reflexa com- movetur et adiuvetur, ut prius apprehensa facilius et diutius valeat recordari ». Essa è utile sia all’apprendimento delle scienze, sia a quella transitoria ritenzione degli argomenti che

è necessaria al poeta, all'insegnante, all’oratore, all’avvocato. Accanto alla normale dimenticanza «delle specie delle cose passate » (per corruptionem), lo Spangerberg distingue duc tipi di amnesia “patologica”: l’uno derivante dal sopravvento delle passioni delle malattie della vecchiezza (per diminutio- nem), l’altro dipendente dalla ablezio o da una lesione agli organi cerebrali. Mentre per ovviare alla corruptio è oltremodo utile l’uso dei luoghi e delle immagini, di fronte alla dimi- nutio e alla ablatio i precetti della retorica devono lasciare il posto a quelli della medicina. Sulle tracce della Réetorica ad Herennium e della Phoenix del Ravennate, la dottrina dei luoghi e delle immagini viene svolta secondo i canoni tradi- zionali: accanto a una distinzione dei luoghi in tre tipi fondamentali, l’autore enumera dieci « regole » sulle caratte- 92 CLAVIS UNIVERSALIS ristiche dei medesimi, tratte, in sostanza, dallo scritto del Ra- venna. Agli stessi testi si rifà la teoria delle immagini: di nuovo c’è solo la distinzione fra imagines rerum e imagines vocum. Dalla parte «teorica » della mnemotecnica lo Span- gerberg distingue, come farà più tardi il Bruno, una parte pratica (praxis memoriae) nella quale le regole della sezione teorica vengono applicate, attraverso la costruzione di una serie di esempi o modelli, a casi specifici. Soprattutto preoc-

cupato della creazione delle immagini, lo Spangerbergius co- struisce, seguendo un metodo rigorosamente dicotomico, la seguente tabella di tutti i possibili tipi di dictiones: Omnis dictio aut cst ‘ignota aut nota aut est res inwvisibilis aut visibilis vel est accidens vel substantia vel est imanimiata vel animata est nomen commune vel propriun Il primo dei sei casi è quello della dictito ignota: al posto della diczio della quale si ignora il significato si può collocare, facendo ricorso alla vocalis similitudo, una dictio nota signift- cante una cosa visibile e « similis in voce huic pro qua poni- tur » (come quando, per figmentum, si fa ricorso ad una « palam instrumentum » al posto della « praepositio palam »), oppure si può procedere, nei casi nei quali sia assente la pos: sibilità di una similitudine vocale o di suono, per inscriptio- nem, ponendo cioè un’immagine in precedenza fissata al po- sto di ciascuna delle lettere che costituiscono il termine. Il secondo caso è quello della dictio nota rei invisibilis (per es. il termine «giustizia »); oltre che del fiementum ce della ins- criptio è qui possibile servirsi della comparatio e della simi- litudo facendo leva su quelle che in linguaggio moderno sono le leggi dell’associazione (« nigrum nos ducit in cognitionem albi »; «calamus ducit nos in memoriam scriptoris » ecc.). Il terzo caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia un accidens: qui sì ricorre al subiectum principale (« ut albedo per nivem » ecc.). Il quarto caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia substantia inanimata: essa è I TEATRI DEL MONDO 93 esprimibile attraverso l’immagine di una persona « agens cum tali re ». Il quinto caso è la dictio nota di una res visibilis che sia substantia animata espressa da un nome comune: l’imma- gine è costruita, secondo i canoni “ciceroniani”, col riferi- mento ad una « persona nota ». Infine il sesto caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia substantia animata espressa da un nome proprio: attingendo alla iconologia si dà qui luogo all'immagine di un uomo in particolari abiti e particolari positure (con le chiavi: nel caso di Pietro, con una spada in mano: nel caso di Paolo ecc.). La classificazione così costruita dallo Spangerbergius è in realtà molto più complicata di quanto non risulti da questo già troppo complicato sommario: in primo luogo vengono accuratamente distinti i vari tipi di simulitudo e di figmen- tum,!* in secondo luogo il reale esercizio della praxis mnemo- nica si trova di fronte a casi più complicati di quelli contem- plati, che risultano dall’intreccio di vari tipi di dictio, in una stessa proposizione o discorso. Ma è alla vivacità delle im- magini che conviene, dopo tanti schemi, fare riferimento per- ché risulti ancora una volta confermato quel rapporto, sul quale già ho avuto occasione di insistere, fra la pratica del- l’ars memorativa e la “visione”, fra la dottrina dei luoghi e delle immagini e quelle iconologie, quei simboli, quegli em- blemi dei quali tanto si diletterà Bruno e, con lui, la cultura di un secolo intero: «Ut si velis habere memoriam horum nominum: Petrus, flagellum, canis, sus, aqua, vermes, arena; fac talem colligantiam et imaginationem ut Petrus flagello canem percutiat. Canis vero, verbere commotus, suem mor- 12 Fra i vari tipi di similitudo vengono elencati: « effictio corporum : ut cum senem facimus tremulum, incurvum, labiis demissis, canum; notatio adfectum: ut cum dicimus lupum voracem, lepores timidos, sic laeta iuventus, tristis senectus, prodiga adolescentia; etynrologia : ut Philippus amator equorum; onomatopera: quando sumitur cogni- tio verbi a sono vocis ut hinnitus equi, rugitus leonum, bombitus apum; rerum effectus: cum cuilibet mensi officia sua assignamus ». Molti degli esempi addotti appaiono ricavati, direttamente o indirettamente, da un testo di Iacobo Publicio, Oratoriae artis epitoma, sive quae ad consumatum spectant oratoren, Venetiis, 1482, D4r-D4v. (Ho visto l'Inc. 697 dell’Angelica; un altro esemplare alla Naz. di Roma, Inc. 70. A. 48). 94 CLAVIS UNIVERSALIS deat. Sus vero, evadere cupiens, vas aquae evertat, in cuius fundo sint vermes procreati qui tegantur arena ». Forse anche di qualche testo di questo tipo converrebbe tener conto quando si parla, a proposito della cultura del tardo Cinquecento, di « barocchismo delle immagini ». 4. LA MEDICINA MNEMONICA DI G. GRATAROLO. Ad una atmosfera ben diversa, permeata di aristotelismo, di magia e di medicina occulta, ci riportano le pagine sulla

memoria del medico e studioso bergamasco Guglielmo Grata- rolo sul quale, in anni recenti, hanno richiamato l’attenzione da punti di vista differenti il Church e il Thorndike.!* Rifu- giatosi a Basilea dopo la sua conversione al protestantesimo, il Gratarolo pubblicava a Zurigo nel 1553 e poi a Basilea nel 1554 (dedicandoli a Massimiliano) i suoi Opuscula !* che con- tenevano, accanto a un trattato di fisiognomica e ad una dis- sertazione sui prognostica tempestatum, un manuale di ars memoriae. Tradotto in francese nel ’55 e in inglese nel ’63, ristampato nel °58 e inserito nel 1603 nelle Introductiones 13 Sul Gratarolo cfr., oltre al TirasoscHI, op. ciz., VII, pp. 615 -16, it CHurcH, Riformatori italiani, tw. it., Firenze, 1935, I, 326 ss.; II, 83 ss, 103 ss, 216 ss. c L. THORNDIKE, op. cit., V, pp. 600-616. Varie indi- cazioni di scritti anche nella « scheda » di E. G. [E. Garin], « Giornale

crit. della filos. ital. », IV (1957), pp. 353-54. Sulla posizione del Gra- tarolo si veda il giudizio del THORNDIKE, op. cif., p. 600: « No man in the sixteentàh century did more to circulate and to perpetuate a va- ried selection of curious works, past and present, in the fields of me- dicine, natural sciences and occult science than did G. Gratarolo... the physician of Bergamo who turned Protestant and settled at Basel ». 14 Uso l'edizione del 1554; Guglielmi Grataroli Bergomatis, artium et medicinae doctoris Opuscula, videlicet: De memoria reparanda, augen- da confirmandaque ac de reminiscentia: tutiora omnimoda remedia, praeceptiones optimae; De praedictione morum naturarumque homi- num cum ex inspectione partium corporis tum alis modis. De tempo- rum omnimoda mutatione, perpetua et certissima signa ct pronostica, Basileae, apud Nicolaum Episcopium iuniorem, 1554 (Triv. Mor. L. 244 e Braid. 13. 52. B. 16). Sulla edizione dell'anno precedente cfr. p. 3: «Superiori anno... citius quam voluissem emisi in lucem ami- corum ac typographi coactus instantia ». In una terza edizione: Lug- duni, apud Gabrielem Coterium, 1558 (che ho visto in Triv. Mor. N. 4) è aggiunto ai precedenti l'opuscolo De literatorum conservanda valetudine liber. I TEATRI DEL MONDO 93 apotelesmaticae di Johannes ab Indagine," il libretto del Gra- tarolo avrà vasta fortuna e diffusione europea inserendosi in quella trattatistica di medicina mnemonica che si rifaceva ai testi di Avicenna e di Averroè. Pur interessato vivamente alla pubblicazione di testi magici ed alchimistici (il Gratarolo si fece editore di testi pseudo-lulliani, di Arnaldo da Villanova, di Giovanni Rupescissa) il nostro medico evita nella sua trat- tazione ogni riferimento all’ars motoria e si richiama, al solito, da un lato ad Alberto Magno ed Averroè, dall’altro alla RAe- torica ad Herennium. In realtà — cosa che il Thorndike non ha notato !* — Gratarolo sfrutta molto ampiamente un trat- tato italiano che risale al 1481: il De omnibus ingentis augen- dae memoriae di Giovanni Michele Alberto da Carrara.” I venti precetti generali dell’arte presenti nel sesto capitolo del- l'opuscolo del Gratarolo (pAslosophica consilia, canones, et reminiscentiae praecepta) e quasi tutto il settimo capitolo a paiono infatti ricavati, con leggere differenze di stile, dall’o- pera del Carrara alla quale già abbiamo avuto occasione di riferirci. Si veda, a titolo di esempio, la definizione dei quattro « moti » che costituiscono la memoria e il comune richiamo a Cicerone e a Tommaso: Carrara (fol. 70r, 73r) Ad memorandum quatuor mo- tus concurrunt: Motus. spiritus qui a cogitativa ad memorati- GrataroLo (pp. 44, 59) Ad memorandum quatuor mo- tus concurrunt: primus est mo- tus spirituum qui a cogitativa vam figuras transportat.  Pictu- ra fixioque figurarum in ipsa cies ad memorativam figuras aut spe- transportant.  Secundus est 15 Discours notable des moyens pour conserver et augumenter la mé- moire avec un traité de la physionomie, traduit du latin par E. Copé, Lyon, 1555 (questo, e un diverso titolo della stessa trad., in THORNDIKE, op. cit., p. 607); The Castel of Memorie, Englished by W. Fullwood, London, 1563 che ebbe una seconda ediz. nel 1563 e una terza dieci anni dopo. Nelle Introductiones, ed. 1603, il testo del Gratarolo: pp. 179 - 215. 16 Il libro del Dolce e quello del Romberch vengono semplicemente citati dal Thorndike (op. cit., p. 607) accanto a quello del Gratarolo come «other works on this subject ». Della produzione di mnemo- tecnica — per tanti aspetti legati alla magia — il Thorndike in realtà non si occupa. 1? Uso l’inc. contenuto nel Cod. lat. 274 della Marciana (classe VI): il testo del Carrara occupa i ff. 69-82r. (Bononiae per Platonem de Benedictis, 1491). 96 CLAVIS UNIVERSALIS memorativa. Reportatio carum a spiritibus a memorativa ad co- gitativam. Actio quac €a cogi- tativa recognoscit, quae proprie est memorari... Artificiosa memo- ria ut Cicero dicit secundo ad Herennium ex locis veluti ex cera at tabella, et imaginibus veluti figuris literarum  constat. Sic enim fieri poterit, ut quae accipimus quasi legentes redda- mus. Cicero centum eos satis esse pictura fixioque figurarum in ip- sa memoria. Tertius est  repor- tatio a spiritibus a memora- tiva ad cogitativam seu ratio- cinativam. Quartus est illa actio qua cogitativa recognoscit, quac proprie est memorari... Artificio- sa memoria, ut inquit Cicero se- cundo ad Herrennium ex locis veluti ex cera et tabella et ima- ginibus veluti figuris literarum constat. Sic enim fieri solet, ut iudicavit, beatus Thomas plures. quae accepimus quasi legentes habendo consuluit. reddamus... Cicero centum eos satis esse iudicavit. Beatus Tho- mas plures habendo consuluit. Gli stessi riferimenti ai testi di Alberto e di Averroè per- dono, sc si tiene presente l’esistenza di questa fonte, molto del loro significato. Di originale, rispetto al trattatello del Car- rara, restano, oltre a un fugace accenno all’anatomia del Ve- salio,"* le numerose e curiose ricette per il rafforzamento della memoria (« Saepe lavare pedes in acqua calida in qua bullie- rint melissophillon, folia lauri, chamaemelon et similia, me- moriae capiti oculisque valde confert »). Quella del saccheg- io dei testi era del resto un'attività largamente diffusa fra i trattatisti della memoria locale. Nel 1562 (e poi ancora nell’ °86) fu pubblicato a Venezia il Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere et conservar la memoria di Ludovico Dol- ce, uno dei più fecondi e superficiali poligrafi del Cinque- cento, che era in realtà, nonostante la pomposa presentazione del Dolce, solo un volgarizzamento dell’opera del Romberch sulla stesso argomento. 5. IL LULLISMO E LA CABALA NEI « TEATRI DEL MONDO ». Nulla in Italia, sino al Bruno, che corrisponda alla nuova impostazione che Pietro Ramo aveva dato in Francia al pro- blema della memoria e tuttavia, valutando quella confusa e 18 Grataroto, Opuscula, cit., (1558), p. 2: « Sedem vero habet memo- ria in occipitio in tertio vocato ventriculo quem et pupim vocant. Lon- gum esset ac pene superfluum hic (ubi studeo brevitati) cerebri totius anatomen describere, quam in multorum libris videre licet, praesertim doctissimi pariter et diligentissimi Andreac Vesalii ». I TEATRI DEL MONDO 97 macchinosa costruzione che fu l’Idea del Theatro di Giulio Camillo detto il Delminio (1556),'* converrà tener presente il giudizio entusiastico che, di quest'opera, detta un uomo come il Patrizzi che, appunto nel Theatro, vedeva realizzato il ten- tativo di un «allargamento » della retorica e di una sua « estensione » verso la logica e l’ontologia: « non capendo per la grandezza sua negli strettissimi termini de’ precetti dei mae- stri di retorica, uscendone l’allargò in guisa che la distese per tutti gli amplissimi luoghi del Theatro di tutto il mondo ». Intrecciandosi strettamente ai temi più caratteristici dell’er- metismo, del neoplatonismo e della cabala, la retorica diven- tava qui veramente, come è stato scritto, « il tentativo di far corrispondere le articolazioni oratorie del discorso alle strut- ture fondamentali dell’essere ». Senza dubbio, se confrontata con i grandi testi della retorica del Quattrocento e del Cinque- cento, la fumosa costruzione del Camillo non può non appa- rire se non come «la parodia di quanto i teorici rinascimen- tali avevano rigorosamente tentato ».?° E tuttavia se le pole- 19 L'idea del teatro dell'eccellent. M. Giulio Camillo, in Fiorenza, 1550 (copia usata: Ambros. Sir. IV. 36). Cfr. anche Opere, Venezia, A. Griffo, 1584 (Braid. 25. 15. A. 6). Sul Camillo cfr. TiraBoscHI, Storia della letteratura italiana, Modena, 1792, VII, 4, pp. 1520-1532; B. Croce, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, II, Bari, 1952, pp. III -120; F. Secret, Le Théatre du monde de Giulio Camillo Delminio et son influence, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1959, pp. 418-436. Sul significato dell’ « oratoria planetaria » e sui rapporti di questa da un lato con la magia ficiniana e dall'altro con la teoria ficiniana della musica cfr. il capitolo Fabio Paolini and the Accademia degli Uranici nel vol. di P. D. Wacker, Spiritual and De- monic Magic, cit., pp. 126 ss. In particolare sul Camillo, pp. 147 - 48. 20 Questa, come la citazione precedente, da E. Garin, Alcuni aspetti delle retoriche rinascimentali, nel vol. Testi umanistici sulla retorica, Roma & Milano, 1953, pp. 32, 36. Sul carattere « mondano» della dialettica umanistica che si contrappone alle mistiche cusaniane e fici- niane ha scritto di recente E. Garin, La dialettica dal secolo XII ai princìpi dell'età moderna, « Rivista di filosofia » 2 (1958), pp. 228 - 253: «L'umanesimo opera... nel senso di una smobilitazione di tutti quei simboli che tendevano a proiettare i termini di un'esperienza terrena e storica sui piani del divino e dell’eterno » (pp. 252-53). Nei testi di Camillo, di Rosselli e di Bruno si assiste, per quanto attiene alla mne- motecnica e al lullismo, ad una delle « proiezioni » alle quali fa rife-

rimento il saggio di Garin. Non a caso Bacone e Cartesio, nella loro utilizzazione dell'arte della memoria, saranno ben lontani da questi atteggiamenti e si muoveranno sulla strada di una trasformazione della 98 CLAVIS UNIVERSALIS miche appassionate suscitate dalla comparsa di questa così poco rigorosa « parodia » e gli interessi di Francesco I e gli entu- siasmi del Patrizzi e di Bartolomeo Ricci per la macchina del Camillo possono essere facilmente ricondotti sul piano della “moda”, non è possibile risolvere integralmente la fortuna del Delminio sul piano di una storia del costume.*! L’idea stessa di un teatro « nel quale per lochi et immagini dovevan essere disposti tutti quei luoghi che possono bastare a tenere a mente et ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose che sono in tutto il mondo »,°* mentre ci riporta senz'altro ad una tematica assai vicina a quella dell’ars reminiscendi, ci mostra anche come, proprio attraverso l’equivoca e torbida adesione del Camillo agli insegnamenti della cabala, la stessa ars reminiscendi finisca qui per connettersi ad un duplice progetto che sarà, soprattutto nel secolo successivo, ricco di impensati sviluppi: quello di una “macchina universale” o “chiave” della realtà e l’altro, con il primo in stretto rapporto, di una collocazione organicamente e ordinatamente disposta di tutte le umane nozioni e di tutti i fenomeni della natura. Mentre l’uso costante delle immagini veniva posto da Ca- millo in relazione con l’antico tema, presente in tutta la tra- dizione magico-alchimistica da Zosima ad Agrippa, di un sapere segreto °° («et noi nelle cose nostre ci serviamo delle dottrina degli aiuti della memoria in uno degli strumenti della meto- dologia del sapere scientifico. Ed è da sottolineare energicamente il fatto che, in questo loro tentativo, essi si richiameranno a quell’inse- rimento della menzoria nella logica o dialettica che era stato effettuato, nel corso del secolo XVI, dal più noto e discusso rappresentante della dialettica umanistica: Pietro Ramo. 2! E' da vedere la descrizione dell’opera del Camillo in una lettera scritta da Padova il 28 marzo 1532 da Viglius Zuichemus a Erasmo (Cfr. ALLEN, Opus epistolartm D. Erasmi, IX, p. 475; X, pp. 28, 54, 96, 124). Una lettera dell'Alciati del 5 settembre 1530 dì inoltre noti- zie sulla fortuna del Camillo alla corte di Francia (G. Liruti, Notizie, Udine, 1780, III, pp. 69-134). 22 Cfr. Opere, cit., II, p. 212 e J. SturMius, Lidellus de lingua latina resolvenda ratione, ediz. Jena, 1904, p. 5. 23 L'idea del teatro, cit., p. 7: «I più antichi e più savi scrittori hanno sempre havuto in costume di raccomandare a’ loro scritti i secreti di Dio sotto scuri velami accioché non siano intesi se non da coloro i quali (come dice Christo) hanno orecchie da udire, cioè che da Dio sono eletti ad intendere i suoi santissimi misteri. E Melisso I TEATRI DEL MONDO 99 immagini come di significatrici di quelle cose che non si deb- bono profanare »), la trattazione della memoria si collegava strettamente, attraverso la cabala, al progetto del raggiungi- mento di una « vera sapienza ». Fare della retorica lo « spec- chio del mondo » voleva dire, in realtà, muovere verso una radicale distruzione dell’arte memorativa e della stessa reto- rica. Al posto di una riflessione sui discorsi umani, subentrava l'atteggiamento del profeta e del mago: «Salomone al nono de Proverbi dice la sapienza haversi edificato casa et haverla fondata sopra sette colonne. Queste colonne significanti stabilissime eternità habbiamo da intender che siano le sette saphirot del sopraceleste mondo, che sono le sette misure della fabbrica del celeste e dell’inferiore... nelle quali sono comprese le idee di tutte le cose del celeste a all’infe- riore appartenenti... L’alta adunque fatica nostra è stata di trovare ordine in queste sette misure, capace bastante distinto et che tenga sempre il senso svegliato e la memoria percossa et fa non solamente ufficio di conservarci le affidate cose parole et arti... ma ci dà ancora la vera sapienza nei fonti della quale veniamo in cognitione delle cose dalle cagioni et non dagli effetti ».?! L’idea, che fu cara al Camillo, di sostituire ai tradizionali luoghi della mnemotecnica ciceroniana «luoghi eterni» atti ad esprimere « gli eterni di tutte le cose » conduceva alla co- struzione di un sistema mnemonico su basi astrologico-caba- listiche. Il grande anfiteatro dalle sette porte non si presentava dice che gli occhi delle anime volgari non possono sofferire i raggi della divinità. Et ciò si conferma con lo esempio di Mosè, il quale scendendo dal monte... non poteva esser guardato dal popolo se egli il viso col velo non si nascondeva. Et gli Apostoli anchora veduto Christo trasfigurato... non sufficienti a riguardarlo per la debolezza cad- devano... A questo abbiamo da aggiunger che Mercurio Trismegisto dice che il parlar religioso e pien di Dio viene ad esser violato quando gli sopraviene moltitudine volgare... I segreti rivelando doppio error si viene a commettere: et ciò è di scoprirgli a persone non degne ct di trattargli con questa nostra bassa lingua, essendo quello il suggetto delle lingue de gli angeli... Et noi nelle cose nostre ci serviamo delle ima- gini, come di significatrici di quelle cose che non si debbon profanare... Né tacerò io che i Cabalisti tengono che Maria sorella di Mosè fosse dalla lebbra oppressa per haver revelato le cose segrete della divinità ». 24 L'idea del tcatro, cit., pp. 9, II. 100 CLAVIS UNIVERSALIS come uno schema vuoto del quale servirsi per ordinare, ai fini dell’orazione, tutti gli elementi della realtà. La ricerca dei caratteri planetari e delle « sette misure della fabbrica del celeste e dell’inferiore nelle quali sono comprese l’Idee di tutte le cose al celeste e all’inferiore apposte » trasformava un trattato di arte della memoria in una costruzione di tipo co- smologico-metafisico. Gli interessi per la tematica dell’astro- logia, le suggestioni dell’ermetismo e della cabala finivano per far passare in secondo piano, come avverrà poi in Bruno, ogni finalità meramente « retorica » : «Or se gli antichi Oratori volendo collocar di giorno in giorno le parti delle orationi che havevano a recitare, le affi- davano a luoghi caduchi, come cose caduche, ragione è che volendo noi raccomandare eternamente gli eterni di tutte le cose... troviamo a loro luoghi eterni. L'alta dunque fatica no- stra è stata di trovar ordine in queste sette misure... Ma con- siderando che se volessimo metter altrui davante queste altis- sime misure et si lontane dalla nostra cognitione, che sola- mente da’ propheti sono state anchor nascostamente tocche, questo sarebbe un metter mano a cosa troppo malagevole, pertanto in loco di quelle prenderemo i sette pianeti... ma solamente le useremo, che non ce le propognano come termini fuor de’ quali non habbiano ad uscire, ma come quelli che alla mente de’ savi sempre rappresentino le sette sopra celesti misure ». A questi accostamenti di temi retorici a temi cosmologici, a questa trasformazione dei “luoghi” della memoria artificiale nei “luoghi eterni” della sapienza ermetica, non erano state certo estranee le suggestioni esercitate, sul pensiero del Ca- millo, dai testi del lullismo e dal fiorire della cabala cristiana. Per quanto concerne il lullismo abbiamo una precisa testimo: nianza degli interessi del Camillo per l’arte,?" e non è un caso che Jacques Gohory, nel De usu et mystertis notarum, avvici- nasse il nome del Delmino a quelli dei maggiori commenta- tori e seguaci di Lullo. D'altro lato, quando Camillo aveva pubblicato, nel 1550, la sua /dea del Theatro, erano già ap- 2 G. RusceLLI, Trattato del modo di comporre versi in lingua italiana, Venezia, 1594, p. 14: «Giulio Camillo... m'affermava d’haver fatto lunghissimo studio sopra di quest'arte di Raimondo ». I TEATRI DEL MONDO 101 parsi e si erano rapidamente diffusi in tutta Europa i testi fondamentali della cabala cristiana: l’ Epistola de secretis di Paulus de Heredia (1486 circa), le Conclustones e l’Heptaplus del Pico, il De verbo mirifico e il De arte cabalistica di Reu- chlin (1494-1517), il De arcanis catholicae veritatis del Gala- tin (1518), lo Psalterium del Giustiniani (1516), le opere di Paolo Ricci (1507-1515), il De Harmonia mundi di Francesco Giorgio Veneto (1525), le opere di Agrippa (1532). La combinatoria lulliana e la grande costruzione cosmolo- gica della cabala si incontrarono, nel corso del Cinquecento, sul comune terreno del simbolismo, dell’allegorismo, dell’esem- plarismo mistico. In un passo famoso già Pico aveva avvicinato l’ars combinatoria a quella parte più elevata della magia natu- rale che si occupa degli esseri superiori esistenti nel mondo sopraceleste: l’a/phabetaria revolutto iniziata da Lullo gli cera apparsa strettamente connessa a quella mistica delle lettere e dei nomi che è parte integrante della costruzione cabalistica.** 26 « Haec est prima et vera cabala de qua credo me primum apud latinos explicitam fecisse mentionem... quia iste modum tradendi per succes- sionem qui dicitur cabalisticus videtur convenire unicuique rei secrete et mystice, hinc est quod usurparunt hebrei ut unamquamque scien- tiam quae apud cos habeatur pro secreta et abscondita cabalam vocent ct unumquodque scibile quod per viam occultam alicunde habeatur dicatur haberi per viam cabalae. In universali autem duas scientias hoc etiam nomine honorificarunt: unam quae dicitur... ars combinandi et est modus quidam procedendi in scientis et est simile quid sicut apud nostros dicitur ars Raymundi licet forte diverso modo procedat. Aliam quae est de virtutibus rerum superiorum quae sunt supra lunam et est pars magiae naturalis suprema ». (Apologia tredecim quaestionum, quaestio V: De magia naturali et cabala hebreorum). Sulla funzione delle lettere e dei nomi nella cabala, sull'allegorismo e l'esemplarismo mistico cfr. il cap. VI del volume G. G. ScHorem, Les grands courants de la mystique quive, Parigi, 1950. Ma cfr. anche Zu Geschichte der Anfinge der Christlichen Kabbala, in Essays presented to Leo Baeck, London, 1954. Importante documento dell’incontro fra Cabala rina- scimentale e lullismo è l’opera De auditu kabalistico sive ad omnes scienttas introductorium le cui prime edizioni apparvero a Venezia nel 1518 e nel 1533. Lo scritto venne concordemente attribuito a Lullo e come tale inserito nell'edizione di Strasburgo del 1617 (cfr. ZetzxER, pp. 43.111). Sul cabalismo e il lullismo del Pico cfr. M. MEexENDEZ Pelayo, Historia de los Heterodoxos Espafioles, Madrid, 1880, vol I, pp. 464 e 525 e, soprattutto, E. Garin, Giovanni Pico della Mirandola, vita e dottrina, Firenze, 1937, pp. 90-105; 146-154 c F. Secret, Pico 102 CLAVIS UNIVERSALIS Questa tesi pichiana verrà ripresa, nel corso del Cinquecento, da non pochi fra i seguaci della cabala cristiana: già sul ca- dere del Cinquecento il termine cabala veniva impiegato a indicare l’arte di Lullo. L’avvicinamento non era solo esteriore e non dipendeva solo dall’equivocità del termine cabala con il quale — come ha ben chiarito Frangois Secret — si intesero nei secoli del Rinascimento cose assai diverse: molti (soprat- tutto fra gli esponenti dei maggiori ordini religiosi) si volsero alla cabala come ad una tradizione religiosa alla quale si pote- vano attingere motivi apologetici," ma è certo che le lettere c le immagini, le figure e le combinazioni delle figure riman- davano — nella cabala come nel lullismo — a quel segreto libro dell’universo che il sapiente ha il compito di leggere e di interpretare al di là della parvenza dei simboli. Nell’Encyclopaediae seu orbis disciplinarum epistemon, Paolo Scaligero riprendeva, nel 1559, il progetto di Pico.” Nelle sue 1553 « conclusiones divinae, angelicae, philosophicae, metaphysicae, physicae, morales, rationales, doctrinales, secre- tac, infernales » egli presentava l’immagine unitaria di un uni- della Mirandola e gli inizi della Cabala cristiana, in « Convivium », 1957, |. Alcune osservazioni anche in G. Sarton, Introduction to the History of Science, Baltimora, 1931, II, pp. 901-2. Del tutto insuffi- ciente: ]. L. Brau, The Christian Interpretation of the Cabala in the Renaissance, New York, 1944. 27 Oltre al saggio su Pico citato nella nota precedente sono da vedere, per questi problemi, gli importanti studi di F. Secret, L'astrologie et les Kabbalistes chrétiens à la Renaissance, in « La Tour Saint-Jacques », 1956; Les débuts du Kabbalisme chrétien en Espagne et son histoire à la Renaissance, in « Sefarad », 1957, pp. 36-48; Les domenicains et la Kabbale chrétienne è la Renaissance, in « Archivum Fr. Praedicato- rum », 1957; Le symbolisme de la kabbale chrétienne dans la « Scechi- na» de Egidio da Viterbo, in Umanesimo e simbolismo, a cura di E. Castelli, Padova, 1958, pp. 131-51; Les jéswites ct le kabbalisme chrétien à la Renaissance, in « Bibliothéque d’ Humanisme et Renais- sance », 1958, pp. 542-55. Ma cfr. anche: Jose M.a Mittas VALLICROSA, Algunas relaciones entre la doctrina luliana y la cabala, in « Sefarad », 1958, 251-253. 2* Paul ScaricHius pe Lika (Paul Skalich), Enciclopaediae seu orbis disciplinarum tam sacrarum quam prophanarum Epistemon, Basileae, Oporinus, 1559. Cfr. G. Knasset, P. Skalich, Ein Lebensbild aus dem 16 Jah., Miinster, 1915; L. THornpike, History of magic, V, p. 455 segg.; F. Secret, La tradition du De omni scibili à la Renaissance: l'ocu- vre de Paul Scaltger, in « Convivium », 1955, pp. 492-97. I TEATRI DEL MONDO 103 verso simbolico mediante la quale sarebbe stato possibile rin- novare dalle radici e portare a definitivo compimento, con l’aiuto della sapienza cabalistica, l’arte miracolosa di Lullo. Tralasciando i plagi di Ludovico Dolce e gli scarsi, conven- zionali accenni alla memoria contenuti nella celebre Retorica del Cavalcanti e nella Retorica di Cicerone ad Erennio ridotta in alberi del Toscanella °° (rispettivamente 1562 e 1561), gio- verà dedicare una certa attenzione all’Ars reminiscendi di Giovambattista Della Porta nella quale alla distinzione fra medicina della memoria e ars memorativa, ai consueti ri- chiami alle fonti e ai personaggi del mondo classico, agli or- mai noti tentativi di sintesi fra la tradizione aristotelico-tomi- sta e quella * ‘ciceroniana”, si aggiungono considerazioni di un certo interesse sui geroglifici e sui gestt: due temi sui quali, com'è noto, si eserciterà a lungo la riflessione di molti e di Bacone e di Vico. Alla discussione di questi argomenti il Porta giungeva, non a caso, attraverso il tema delle immagini, « quelle pitture animate che rechiamo nella immaginativa per rappresentare così un fatto come una parola ».°° Di fronte a termini che non simbolizzano cose materiali, come i termini « perché », « ovvero », «tanto » ecc., è necessario ricavare le immagini dalla scrittura, riferirsi cioè con immagini appro- priate alle singole lettere o gruppi di lettere che compongono un termine. In molti altri casi è invece possibile richiamarsi

al «significato »: in questo caso torna opportuno il parallelo con i geroglifici. 29 Per l’opera del Dolce cfr. la nota 7 e TiraBoscHi, op. cir., VII, pp. 1028-29. Sull'opera di O. ToscaneLLa (Venezia 1567), cfr. TiraBOSCHI, op. cit., VII, p. 1156; sulle partizioni della retorica cfr. Lu retorica di Bartolomeo Cavalcanti... divisa in sette libri, dove si contiene tutto quello che appartiene all'arte oratoria, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1559, pp. 24-25 (2 ediz. Triv. B. 377). Ma per rendersi conto della diffusione delle tecniche memorative nei più noti manuali di retorica, gioverà vedere l’opera del Trapezunzio, Réetoricorum libri quingue, Lugduni, apud Seb. Gryphium, 1547, pp. 355-360. 3° Le citazioni sono tratte da L'arte del ricordare del signor Gio. Battista Porta Napoletano, tradotta da latino in volgare per M. Doran- dino Falcone da Gioia, in Napoli, appresso Mattio Cancer, 1566 (copia: usata: Braid. 25.16. K. 14-15). Il Fiorentino (Studi e ritratti della Rina- scenza, Bari, 1911, pp. 268-69) assegna al 1602 la prima edizione del- l'Ars reminiscendi. 104 CLAVIS UNIVERSALIS « A ciò torremo il modo dalli Egittii i quali, non havendo lettere con che potessero scrivere i concetti de gli animi loro, e a ciò che più facilmente si tenessero a memoria le utili spe- culationi della Filosofia, ritrovorno lo scrivere con le pitture, servendosi d'immagini di quadrupedi, di uccelli, di pesci, di pietre, di herbe e di simili cose in vece delle lettere: la qual cosa noi habbiamo giudicato molto utile per le nostre ricer- che, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini in vece delle lettere per poterle depingere nella memoria ».î! Molti fra i più illustri esponenti della cultura dei secoli XVI e XVII furono come affascinati dal problema della scrit- tura geroglifica e, più tardi, da quello della ideografia dei cinesi. La contemporanea “esplosione” nella cultura europea del culto per l’ Egitto e della mania per gli emblemi resta oltremodo indicativa di un clima culturale: basterebbe, per rendersene conto, elencare alcune fra innumerevoli edizioni dei Hieroglyphica di Horapollo (il manoscritto greco fu ac- quistato da Cristoforo de’ Buondelmonti nel 1419, pubblicato nel testo greco a Venezia nel 1505, nella versione latina a Parigi nel 1515, 1521, 1530, 1551, a Basilea nel 1534, a Vene- zia nel 1538, a Lione nel 1542, a Roma nel 1597) o del grosso trattato Hieroglyphica sive de sacris Egyptiorum aliarumque gentium di Pietro Valeriano (Basilea e Firenze, 1556; 1567, 1575, 1576 in traduzione francese; 1579, 1595, 1602 a Lione in latino e a Venezia in italiano) riferendosi al quale il Morho- fius, all’inizio del secolo XVIII, scriveva che il libro «è nelle mani di tutti». Gli EmzQ/emata dell’Alciati sono del 1531 (pubblicati a Basilea, avranno più di centocinquanta edizioni, numerose traduzioni e varie edizioni commentate). Uno dei primi seguaci dell’Alciati fu il bolognese Achille Bocchi, ami- co del Valeriano; i Symbolicarum Quaestionum Libri V sono del 1555. Del ’72 sono le Imprese illustri del Ruscelli, del 1603 la fortunatissima /conologia di Cesare Ripa. Di questo tipo di produzione libraria nel quale trovavano espressione temi di derivazione neoplatonica e cabalistica e ove si manife- stava un caratteristico metodo ermeneutico, è necessario tener ® Sulla scrittura degli Egizi cfr. il cap. XIX. Sui gesti il cap. XX: « Potremo parimente col gesto esprimere alcune significationi di pa- role... un muto esprime col gesto ciò che egli desidera usando le mani in vece di lingua ». I TEATRI DEL MONDO 105 conto, come di uno sfondo culturale, anche nel tracciare Je linee di una esperienza “speculativa” quale fu, nel Cinque- cento, quella del lullismo e dell’ars reminiscendi. Il fatto che in civiltà diverse da quella europea fosse stato possibile giun- gere ad ‘una sistematica rappresentazione € comunicazione dei concetti mediante geroglifici o immagini invece che attra- verso le lettere dell’alfabeto, mentre da un lato sembrava in qualche modo confermare quelle possibilità sulle quali l’ars memoriae e il lullismo avevano a lungo insistito, dall'altro an- dava incontro all'esigenza, così largamente e profondamente radicata, di una lingua universale che potesse essere “letta” e “compresa” indipendentemente dalle differenze di linguaggio dovute ai tempi, alle circostanze, alla nazionalità, alla situa- zione storica.’? E se si pone mente al fatto che la stessa tec- nica dell’arte memorativa e le regole del lullismo si presenta- vano di fatto assolutamente slegate c indipendenti dalle lin- gue particolari (ove si consideri appunto la “tecnica” o “arte” prescindendo dalla formulazione delle regole in questa o in quell’altra lingua) si potranno meglio comprendere gli effet- tivi rapporti che sussistono fra fenomeni culturali in appa- renza così diversi come l’arte della memoria, la rinascita del lullismo, l'interesse per i geroglifici, la passione per le icono- logie, il culto per i simboli e gli emblemi. Non a caso in un testo per molti aspetti interessante, il Thesaurus artifictosae memoriae del fiorentino Cosma Ros- selli °° (pubblicato a Venezia nel ’79) ritornava l’ammirazione 3° Ampie notizie sulle interpretazioni cinquecentesche e scicentesche dei geroglifici in MonHor, Polyhistor literarius philosophicus et practi- cus, Lubecca, 1732, II, pp. 167 ss. Sulla stretta connessione fra Egitto- mania ed emblematismo si vedano le osservazioni di E. PANOFSRI, Titian’s Allegory of Prudence, in: Meaning in visuals arts, New York, 1957, pp. 158-62. Fondamentale resta il lavoro di L. VoLKManx, Bilder Schriften der Renaissance. Hieroglyphik und Problematik in ihren Beziehungen und Fortwirkungen, Lipsia 1923 (per le relazioni con la memoria pp. 80-81). Varie notizie sulla letteratura attinente ai gero- glifici in THORNDIKE, op. cit., vol. V, p. 446 ss. Per i rapporti con la letteratura emblematica cfr. M. Praz, Studi sul concettismo, Firenze, 1946, p. 17 ss. e il vol. II degli Srudies in Seventeenth Century Ima- gery, London, 1939. 33 Thesaurus artificiosae memoriae... authore P. F. Cosma Rossellio florentino, Venetiis, apud Antonium Paduanium, 1579 (copia usata: Angelica SS. 1.5). 106 CLAVIS UNIVERSALIS per i geroglifici espressioni non di lettere ma direttamente di concetti (« Aegipti) vice literarum, quae tunc temporis inven- tae non erant, immo non solum literarum vero etiam vice no- minum et conceptuum, animalibus aliisque rebus multis ute- bantur »)?! e si riaffacciava l’idea di una trasformazione del- l’ars memoriae in una vera e propria, universale enciclopedia di tutto il sapere. La dottrina dei luoghi, originariamente con- cepita come avente una limitata e precisa funzionalità all’in- terno della retorica, si trasforma in uno strumento in vista della descrizione degli elementi che compongono il reale. Col-

locando l’inferno, il purgatorio e il paradiso fra i /oca com- munia amplissima il domenicano Rosselli converte il suo trat- tato prima in una specie di enciclopedia teologica, poi in una ampia e minuziosa descrizione degli elementi celesti, delle sfere, del cielo e dell’empirco, dei demoni, degli strumenti delle arti meccaniche o figure artificiali e delle figure naturali come le gemme, i minerali, i vegetali, gli animali, infine le scritture e i vari alfabeti (ebraico, arabo, caldaico). L'esigenza di un esatto, compiuto ordinamento di ciascuno degli elementi della realtà naturale e celeste appare dominante anche nel più famoso dei teatri del tardo Cinquecento: l’Un:- versae naturae theatrum pubblicato a Lione, nel 1590, dal grande giurista e scrittore politico Jean Bodin.®*® Qui siamo ben lontani dall’atmosfera del lullismo e della cabala, qui domi- nano le esigenze di chiarezza e di rigore caratteristiche dei seguaci di Ramo: la minuziosa divisione in tavole delle cause naturali, degli elementi, delle meteore, delle pietre, dei me- talli, dei fossili, degli esseri viventi, dei corpi celesti appare fondata sulla identificazione del metodo con l’ordine e con la apta rerum dispositio. Ma è senza dubbio presente, anche nel testo del Bodin, la convinzione di una piena, continua coe- renza, di una totale coesione fra tutti gli elementi della realtà. La grandezza divina è rivelata dall’opera ordinatrice di Dio che ha collocato nelle appropriate sedi le parti caoticamente 31 Thesaurus, cit., p. 117v. 35 J. Bopin, Universae naturae Theatrum in quo rerum omnium effec- trices causae et fines contemplantur, et continuae series quinque libris discutiuntiur, Lugduni, apud Jacobum Roussin, 1596 (Copia usata, Braid. B. XIX. 6, 565). La prima ediz. è del 1590. I TEATRI DEL MONDO 107 confuse della materia (« permistas et confusas materiae partes initio discrevit, ac forma figuraque decenti subornatas, suo uamque in ordine ac propriis sedibus collocavit »); non dis- simile da quello divino è il compito che spetta al sapiente e nulla può esservi di più bello, più utile e più conveniente di quel paziente ordinamento enciclopedico del reale che consente all'uomo di riprodurre, nei limiti che gli sono consentiti, la perfezione dell’opera divina. Coloro che trascurano questa ri- cerca, dan luogo, anche se sono in grado di discettare sottil- mente, ad una scienza vana e deforme, mescolando i grani del frumento con quelli della senape perdono la possibilità di far effettivamente uso del loro sapere. Il teatro, concepito come coerente e rigorosa dispositio, consentirà invece la sco- perta di quella indissolubile coerenza e di quel pieno consenso degli elementi del reale (« indissolubilem cohaerentiam, con- tagionem et consensum ») per il quale tutto corrisponde a tutto.?° La concezione ramista del metodo aveva esercitato, sul pensiero di Bodin, un'influenza decisiva?” e solo chi tenga presente la identificazione, tanto energicamente sostenuta da Ramo, della dispositto con la memoria potrà spiegarsi la sin- golare somiglianza fra il celebre teatro del Bodin e le faticose enciclopedie costruite nel corso del Cinquecento dai cultori e dai teorici della memoria artificiale. Negli scritti del Camillo e in quelli del Rosselli l'intento enciclopedico-descrittivo, l'ambizioso progetto di una enciclo- pedia totale avevano finito per sovrapporsi nettamente agli ori- Binari intenti dell’arte mnemonica. Alle sommarie, stringate elencazioni dei luoghi e delle immagini presenti nei testi dei teorici quattrocenteschi si sono dunque andate sostituendo, nel corso del Cinquecento, macchinose enciclopedie. Esse non nacquero solo dalla persistenza di temi caratteristici della cul- tura medievale, né trassero origine solo dalla tematica del lul- lismo o dal fiorire delle speculazioni sulla cabala; derivarono ‘anche dal nuovo atteggiamento che molti assunsero nei con- 36 Bopin, Universae naturae Theatrum, cit., Propositio torius operis, PP. 1, 6. si Cfr. K. D. McRae, Ramist tendencies in the thought of Jean Bodin, in « Journal of the History of Ideas », 1955, 3. 108 CLAVIS UNIVERSALIS fronti della tradizione dell’ars reminiscendi:** descrivere i luoghi e le immagini creando una sorta di specchio o di arti- ficiale teatro della realtà apparve molto più importante che il teorizzare in regole precise la funzione dei luoghi e delle im- magini in vista del raggiungimento di una capacità mnemo- nica utile ai discorsi umani. In modo non diverso Giordano Bruno, appassionato cul- tore di lullismo e di magia, intenderà utilizzare i testi, antichi e recenti, dell’arte della memoria. 38 Da questo punto di vista potrebbe presentare un certo interesse l'esame del modo in cui uno scrittore come Jacopo Mazzoni da Ce- sena (De triplici vita, Romae, 1576) utilizza l'eredità di un noto cul- tore di mnemotecnica come il Panigarola (F. PanIcAROLA, L'art de prescher et bien fare un sermon avec la mémoire locale et artificielle, ensemble l'art de mémoire de H. Marafiote, trad. G. Chappuis, Paris, 1604). Sul Panigarola cfr. TrraoscHi, VII, pp. 1602-1609. IV. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 1. GLI SCRITTI LULLIANI E MNEMOTECNICI DEL Bruxo. Di fronte ai molti scritti che il Bruno dedicò fra il 1582 e il 1591 all’ars combinatoria e all’ars reminiscendi, non po- chi storici, anche illustri, hanno mostrato una singolare inca- pacità di comprensione. All’indagine di temi che per essere ora “morti” non furono per questo meno “vitali”, si pre- ferirono valutazioni negative, rapide liquidazioni o addirit- tura esplicite condanne. In questo senso studiosi come l’Ols- chki e il De Ruggiero ridussero il lullismo bruniano sul piano delle « bizzarrie » e delle « grossolane illusioni », mentre an- che di recente la Singer è giunta su queste basi ad esprimere più volte il suo compatimento per un Bruno perso dietro i problemi della combinatoria.' Ben altra sensibilità era stata presente in quegli storici positivisti che, come il Tocco, ave- vano affrontato direttamente non solo il problema del lullismo bruniano, ma anche la questione, ad esso collegata, dei rap- porti fra gli scritti sulla memoria e la produzione italiana e latina del Bruno.® Proprio quegli studiosi che in nome di ! Cfr. L. OtscHrI, Giordano Bruno, Bari, 1927; G. De Rtucciero, Sto- ria della filosofia. Rinascimento Riforma e Controriforma, Bari, 1930, p. 166; D. W. Sincer, Giordano Bruno, his Life and Thought, trad. it. Milano, 1957, pp. 30, 55, 164, 167. Nessun risultato nuovo nelle pa- gine dedicate ai primi scritti bruniani da N. BapaLoni, La filosofia di G. Bruno, Firenze, 1955, pp. 33-51. ? Cfr. F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno esposte e confrontate con le italiane, Firenze, 1889: sulla tradizione della mnemotecnica, pp. 21 - 43; sulla importanza delle opere mnemoniche di Bruno, p. 94; sulla rigida distinzione fra opere lulliane e mnemotecniche, p. 93 ss. Per i rapporti con il lullismo e Cusano si veda anche lo studio Le fonti più recenti della filosofia di G. Bruno, « Rendiconti dell’Accad. dei Lin- cei », cl. scienze morali ccc., sez. 5, 1 (1892), pp. 503-37; 585-622. Nell'opera del BartHoLOMESs, Giordano Bruno, Parigi, 1847, II, p. 158 ss., tutta la mnemotecnica viene erroneamente identificata con il lul- lismo e Pietro da Ravenna è scambiato per un seguace di Lullo. Contro la distinzione operata dal Tocco reagì giustamente E. Trotto, La filo- sofia di G. Bruno, Roma, 1914, II, pp. 55-103. 110 CLAVIS UNIVERSALIS una maggior fedeltà storiografica hanno rinunciato alla inter- pretazione “razionalista”, “moderna” e ‘“avveniristica” del pensiero bruniano, sono giunti, anche su questo terreno, a più apprezzabili risultati: in questa direzione di lavoro, richia- mandosi alle osservazioni della Yates, di A. Corsano, di E. Garin, Cesare Vasoli ha di recente affrontato, in un ampio, saggio, il problema del lullismo e del simbolismo bruniani.* Le esatte conclusioni del Vasoli, alle quali dovremo più volte fare riferimento, vanno qui sottolineate: «i temi e i motivi della mnemotecnica bruniana recano un notevole aiuto alla comprensione della posizione storica e filosofica del Bruno, dei suoi ideali riformatori, delle sue speranze di incidere pro-

fondamente, con mezzi e metodi di estrema efficacia prag- matica, sulla situazione intellettuale del suo tempo, realizzan- dovi quel rinnovamento di cui gli scritti italiani ci offrono così aperte testimonianze... Basterebbe pensare alla continuità di queste ricerche che si svolgono parallelamente allo sviluppo di tutta la sua riflessione metafisica, dal 1582, data presu- mibile della perduta Clavis Magna, al 1591, quando pubblicò la De imaginum signorum et idearum compositione, per in- tendere il legame organico tra indagine filosofica e tecnica logico-mnemonica. Ché se il Bruno si adoperò per tanti anni a svolgere e a completare con tanta cura la sua dottrina mne- motecnica, non fu certo soltanto per portare il suo contributo ad una moda del tempo o per indulgere all’illusione prag- matica di una scienza che spesso sembrava confinare con la pratica magica o con la rivelazione cabalistica, quanto piuttosto. per tradurre in un metodo di facile ed immediata efficacia taluni princìpi centrali della sua dottrina ».' ® Cfr. F. Yates, Giordano Bruno's Conflict with Oxford, « Journal of the Warburg Institute », 1938 - 39, pp. 227 - 42; The French Acadenmies in the sixteenth Century, London, 1947; The Art of Ramon Lull, « Journal of the Warburg and Courtauld Inst. », 1954, 1-2, pp. 115- 173; The Ciceronian Art of Memory, cit.; A. Corsano, Il pensiero di G. Bruno, Firenze, 1940, pp. 54-104; E. Garin, La filosofia, « Storia dei generi letterari italiani », Milano, 1947, II, pp. 149-154; C. Va- soli, Umanesimo e simbologia nei primi scritti lulliani e mnemotec- nici del Bruno, in: Umanesimo e Simbolismo, Atti del IV convegno internazionale di stud: umanistici, Padova, 1958, pp. 251-304. 1 C. VasoLi, Umanesimo e simbologia, cit., pp. 253 -54. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO Ill Sia il Corsano sia il Vasoli hanno entrambi giustamente insistito sul peso esercitato, nella formazione filosofica del giovane Bruno, dagli scritti sulla memoria di Pietro da Ra- venna. In un passo della Triginta sigillorum explicatio, Bruno affermava di essersi imbattuto, ancora adolescente, nell’arte del Ravennate: Hoc modica favilla fuit, quae iugi meditatione progre- diens in vastis aggeris irrepsit accensionem, e cuius flam- miferis ignibus plurimae hinc emicant favillae, quarum quac bene dispositam materiam attingerint, similia maio- raque flagrantia lumina poterunt excitare.* Al gran fuoco suscitato da quella piccola favilla si vennero in realtà consumando molte delle conclusioni cui era perve- nuto il Bruno a contatto « dei peripatetici, nella dottrina de quali egli era stato allievato e nodrito in gioventù ». Ai proce- dimenti deduttivi della scolastica Bruno finirà per opporre

energicamente un processo di graduale avvicinamento, me- diante l’esercizio della immaginazione e della memoria, al piano della conoscenza razionale; al rigido concatenarsi delle ragioni opporrà la fuggevolezza delle immagini; alla ridu- zione dell’intera conoscenza sul piano dell’intelletto contrap- porrà la radicale diversità del piano del senso: Stupidi est dicursus velle sensibilia ad candem conditio- nem cognitionis revocare, in qua ratiocinabilia et intelli- gibilta cernuntur. Sensibilia quippe vera sunt non iuxta communem aliquam et universalem mensuram, sed iuxta homogeneam, particularem, propriam, mutabilem atque variabilem mensuram. De sensibilibus ergo, qua sensibilia sunt, universaliter velle definire, in aequo est atque de intelligibilibus vice versa sensibiliter. L'impiego delle immagini, il gusto bruniano per la rap- presentazione mediante emblemi e divise appare strettamente

collegato a impostazioni di questo tipo, ma questo stesso gusto bruniano per il simbolo, per i geroglifici e i sigilli, per le idee incorporate in forme sensibili non può a sua volta, se ® IoRpaNI Bruni NoLani, Opera latine conscripta, Napoli & Firenze, 1886-91 (qui di seguito ‘indicate con la sigla Opp. Zaz.), II, 2, p. 130. Sul significato di questo passo, già segnalato dal Tocco, Le opere la- tine, cit., p. 37, nota 2, cfr. A. Corsano, // pensiero di G. Bruno, cit., p. 41; C. VasoLIi, Umanesimo e simbologia, cit., pp. 254, 277 e passim. 112 CLAVIS UNIVERSALIS non arbitrariamente, esser disgiunto da quella grande co- struzione nella quale i temi derivanti dai testi del Ravennate e dagli altri esponenti della mnemotecnica ciceroniana anda- vano a intrecciarsi con quelli del lullismo, del simbolismo e dell’esemplarismo metafisico, si collegavano con i motivi più caratteristici della letteratura cabalistica, con gli ideali della pansofia, con l’eredità delle discussioni dialettico-retoriche dell’umanesimo, con le aspirazioni ad una radicale riforma religiosa. Mentre veniva inserita nel più vasto quadro del lullismo, l’intera tematica attinente all’ars reminiscendi veniva in tal modo spostata su un piano tipicamente metafisico. Da questo punto di vista l’atteggiamento bruniano finisce con l’apparire per molti rispetti simile a quello assunto dal Rosselli e dai

cinquecenteschi costruttori dei teatri del mondo: l’arte non è una tecnica legata alle limitate finalità del discorso retorico, ma è, sopra ogni altra cosa, lo strumento di cui servirsi per dar luogo ad un edificio le cui strutture costituiscano l’esatto rispecchiamento delle strutture della realtà. Le regole della memoria, così come le tecniche combinatorie, traggono il loro fondamento e trovano la giustificazione della loro validità nel postulato, chiaramente ammesso, di una piena e perfetta corri- spondenza tra i simboli e le res, tra le ombre e le idee, tra i sigilli e le ragioni che presiedono alle articolazioni del mondo reale. Su questo preciso terreno potevano in realtà trovare un punto di incontro quelle retoriche che si ponevano come lo specchio o il teatro del mondo (Camillo) e quelle riforme della macchina lulliana che avevano mantenuto ben saldo il postu- lato platonico-esemplaristico che era alla base del tentativo di Raimondo Lullo. A quelle retoriche e a questi commenti lul- liani appare assai vicino il Bruno quando concepisce l’intero meccanismo dell’arte come la traduzione, sul piano della sensibilità e dell’immaginazione, dei rapporti ideali che costi- tuiscono la trama dell’universo: mediante l’allusività delle immagini, le ombre e le « specie involute » sarà possibile impa- dronirsi (e altra strada non è data all'uomo) di quelle rela- zioni alle quali, più tardi, potrà pervenire un'indagine di tipo razionale. Questa impostazione, che è chiaramente legata a premesse esemplaristiche, non esclude affatto che in Bruno, come del LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 113 resto già in Lullo e nei lullisti del secolo XVI, fossero presenti vivissimi interessi di tipo “pratico” per una riforma del sa- pere, per una funzione pedagogica dell’arte, per una educa- zione della memoria e delle capacità inventive, per una ra- pida cornunicazione e diffusione della nuova cultura, per la ricostruzione, al di là della frammentarietà delle singole scien- ze, di un sapere organico e unitario capace di porsi a fonda- mento di una enciclopedia o sistema totale. Non a caso la stessa riforma bruniana viene presentata come il progetto di realizzazione di un’arte mirabile capace di ampliare smisura- tamente le possibilità di dominio dell’uomo. Come tale essa fu accolta e valutata in quegli ambienti platonizzanti parigini nei quali, come ha mostrato la Yates,° gli interessi per il coper- nicanesimo e per la riforma ramista della logica, andavano strettamente congiunti a quelli per la cabala e per il lullismo. L'inserimento, operato da Bruno, delle tecniche “retoriche” della memoria entro la grande tradizione lullista non man- cherà del resto di esercitare un influsso duraturo, oltreché ne- gli ambienti francesi, anche in quelli inglesi, tedeschi e bocmi. Parigi, Londra, Praga, Wittenberg, Francoforte erano stati, abbiam visto, centri di diffusione del lullismo e dell’ars rem: niscendi; in questi ambienti si erano mossi Pietro da Ravenna e Bovillus, Wilson, Spangerbergius e Lavinheta.' * F. Yates, The French Academies, cit., pp. 77 - 94; 95 - 151; sul lullismo in Francia cfr. anche T. e J. CarrERAs Y ARtAU, Historia de la Filoso- fia Espaîola. Filosofia cristiana de los siglos XIII al XV, Madrid, 1943, II, pp. 207 ss.; A. RENAUDET, Préréforme et Humanisme à Paris pen- dant les premières guerres d' Italie, Paris, 1953, pp. 378 ss. ® Già nel 1583 esce a Londra, dedicato al conte di Leicester, il De umbra rattonis et iudicii sive de artificiosa memoria quam publice profitetur vanitate, edito da T. Vautrollier, di Alexandre Dicson che si richiama al De Umbris bruniano. Al Dicson, che compare come per- sonaggio nell'opera De la causa principio et uno (cfr. G. Bruno, Dia- loghi italiani, a cura di G. Gentile e G. Aquilecchia, Firenze, 1958, p. 225 e passim) rispose polemicamente tale G.P., autore di un Anti- dicsonus cuiusdam Cantabrigiensis G. P. Accessit libellus in quo dilu- cide explicatur impia Dicsoni artificiosa memoria, London, 1584: nella dedica si fa riferimento a Metrodoro, Rosselli, Bruno e Dicson. Al Sigillus di Bruno fa riferimento anche THomas Watson, Compendium memoriae localis, pubblicato forse a Londra nel 1585. Da un punto di vista ramista polemizza contro l'ars memoriae il Perkins, Prophetica, sive de sacra et unica ratione concionandi, Cantabrigiae, 1952. La trad. 114 CLAVIS UNIVERSALIS Dei tre scritti pubblicati a Parigi nel 1582, il De umbris idearum è, giustamente, il più noto. Il tentativo di « giustifi- care con precise ragioni metafisiche » gli clementi tecnici del- l’arte appare qui particolarmente evidente:* 1) l’ascesa del- l'animo dalle tenebre alla luce si compie mediante l’appren- sione delle ombre delle idee eterne: attraverso le ombre la verità viene in qualche modo svelandosi all’anima prigioniera del corpo; 2) le idee-ombre, nelle quali si rispecchia la trama dell’essere, si presentano sul piano della sensibilità e della im- maginazione, appaiono come fantasmi e come sigilli; 3) attra- verso la ritenzione artificiale delle « catene » o delle relazioni che intercorrono fra le ombre si potrà giungere a ricostruire, come per una graduale purificazione, i nessi che legano le idee per giungere infine, sul piano della ragione, alla com- prensione c al disvelamento di quell’unità che è sottesa alla confusa pluralità delle apparenze. Su queste tre tesi appare fondata da un lato la riforma bruniana della combinatoria, dall’altro il particolare uso bruniano delle regole per la me- moria che erano state teorizzate dalla tradizione ciceroniana. Come già era avvenuto nella Sintares del Gregoire e nell’Opus aureum del De Valeriis, il concetto dell’unità del sapere ap- pare immediatamente convertibile nell’altro, ad esso corrispon- dente, di una unità essenziale del cosmo: inglese apparve nel 1606. Il testo dello studente boemo Giovanni DE Nostiz, che ascoltò a Parigi le lezioni di mnemotecnica del Bruno, è andato perduto. In quest'opera i nomi di Aristotele, Lullo, Ramo c Bruno venivano avvicinati in modo significativo: Artificium  Aristo telico-Lullio-Rameum in quo per artem intelligendi Logicam, Artem agendi Practicam, Artis loquendi partem de inventione Topicam me- thodo et terminis Aristotelico-Rameis circulis modo lulliano inclusis via plura quam centies mille argumenta de quovis themate inveniendi cum usu conveniens ostenditur, ductu lo. a Nostitz, Jordani Bruni ge- nuini discipuli claboratum a Conrado Bergio, Bregae typis Sigfridianis, 1615. Il titolo è stato conservato in J. L. BunEMANN, Catalogus MSSto- rum membranaceorum et chartaceorum item librorum ob inventa ty- pographia, Minden, 1732, pp. 117-18. L’avvertenza del Nostitz ai lettori è ripubblicata in D. W. Sincer, G. Bruno, cit., p. 410. Sull’au- tore, morto nel 1619, la cui biblioteca di famiglia fu conservata in-

tatta a Praga fino al 1938, notizie a p. 4ll. * Cfr. C. Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit., p. 272. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 115 Cum in rebus omnibus ordo sit atque connexio et unum sit universi entis corpus, unus ordo, una gubernatio, unum principium, unus finis, unum primum... illud ob- nixe nobis est intentandum, ut pro egregiis animi opera- tionibus naturae schalam ante oculos habentes, semper a motu et multitudine ad statum et unitatem per intrin- secas operationes tendere contendamus... Talem quidem progressum tunc te vere facere comperies et experieris, cum a confusa pluralitate ad distinctam unitatem per te fiat accessio; id enim non est universalia logica conflare, quae ex distinctis infimis speciebus, confusas medias, exque iis confusiores suprema captant. Sed quasi ex in- formibus partibus ct pluribus, formatum totum et unum aptare sibi... Ita cum de partibus et universi speciebus, nil sit seorsum positum et exemptum ab ordine (qui simplicissimus, perfectissimus et citra numerum est in prima mente) si alia aliis connectendo, ct pro ratione uniendo concipimus: quid est quod non possimus intelli- gere memorari ct agere? Unum est quod omnia definit. Unus est pulchritudinis splendor in omnibus. Unus e multitudine specierum fulgor emicat.? Nel momento stesso in cui procede ad una “riforma” della combinatoria lulliana, sostituendo trenta soggetti e pre- dicati ai nove teorizzati da Lullo e facendo cadere la distin- zione fra predicati assoluti e predicati relativi, Bruno fa am- pio ricorso alla tradizione ciceroniana modificandone la termi- nologia: ai luoghi della mnemotecnica corrispondono i su- biecta (soggetti primi); alle :mmagini corrispondono gli adiecta (soggetti secondi o prossimi). L’antichissimo paragone della mnemotecnica alla scrittura può in tal modo essere ripreso in senso diverso: « Scriptura enim habet subiectum primum chartam tamque locum; habet subiectum proximum minium et habet pro forma ipsos characterum tractus ».!° Accanto a questo paragone venerando, ritornava nei testi bruniani la maggior parte di quelle regole della memoria che abbiamo visto presenti nei testi del Quattrocento e del Cinquecento. Nei primi paragrafi dell’Ars memoriae si riaffacciano in tal modo le discussioni sull'arte e sulla natura, sull’ingegno pro- duttore di strumenti artificiali, sui rapporti fra il segno e l’og- getto significato, ricompaiono i richiami a Simonide e i pre- ° Opp. lat., 11, 1, p. 47. 1° Opp. lat., II, 1, p. 66. 116 CLAVIS UNIVERSALIS cetti relativi alla modica grandezza, alla convenevole distanza, alla giusta luminosità dei luoghi. La stessa concezione bru- niana del luogo, che è apparsa al Tocco assai « più larga » di quella tradizionale, è in realtà anch'essa derivante da testi molto diffusi. L'idea di servirsi di « oggetti animati » per rap- presentare i luoghi, non è affatto nuova: è già presente in un testo di un secolo prima, il De omnibus ingentis augendae memoriae di Michele Alberto da Carrara.!! Anche nelle pagine del Canzus Circaeus, pubblicato a Pa- rigi nel 1582, sono facilmente rintracciabili, dietro il periodare contorto e il barocchismo delle immagini, temi ben noti. Nel secondo dialogo del Canzus (che fu ripubblicato con qualche modifica a Londra l’anno seguente con il titolo di Recens et completa ars reminiscendi), la materia già trattata nel De Umbris viene ripresentata con maggiore preoccupazione per una diffusione manualistica.'? Ponendosi come una tecnica capace di migliorare, mediante opportuni artifici, la naturale condizione dell’uomo, l’arte appare accessibile a chiunque.

Fra i suoi meriti Bruno annovera, significativamente, proprio questa compiuta tecnicizzazione dell’arte: Intentio nostra est, divino annuente numine, artificiosam metodicamque prosequi viam: ad corrigendum defec- tum, roborandam infirmitatem, et sublevandam  virtu- tem memoriae naturalis: quatenus quilibet (dummodo sit rationis compos, et mediocris particeps iudicii) pro- ficere possit in ea, adeo ut nemo talis existentibus con- ditionibus, ab ademptione huius artis excludatur. Quod quidem ars non habet a seipsa, neque ex corum qui praecesserunt industria, a quorum inventionibus excitati, promoti sumus diuturnam cogitationem ad addendum, 11 Cfr. qui alle pp. 34 - 35, e si veda inoltre il mio saggio La costruzio- ne delle immagini nei trattati di memoria artificiale del Rinascimento, in: Umanesimo e simbolismo, cit., pp. 161 - 168. Per le « regole» bru- niane sui luoghi cfr. Opp. Zat., II, I, pp. 69-71. Il giudizio del Tocco, Le opere latine, cit., p. 51 è stato ripreso da C. VasoLi, Umanesimo e simbologia, cit., p. 276. Per il testo del Carrara, già sopra cit., cfr.: « Guido pater meus ex animalibus cepit locos suos et corum ordine ex alphabeto deduxit... asinus, basiliscus, canis, draco... haec singula in quinque locos dividebat... Nam hunc ordinem ipsa natura porrexit neque confundi in eis cnumerandis ingenium potest... » 12 Cfr. Tocco, Le opere latine, cit., pp. 63-66. Opp. lat., II, 2, pp. 69 - 119. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 117 tum eis quac faciunt ad facilitatem negotii atque certi- tudinem, tum etiam ad brevitatemn.15 Espressioni di questo tipo non devono trarre in inganno. Poche righe più avanti si riaffacciavano i temi, tipicamente ermetici, della necessità di un personale contatto fra il maestro e il discepolo e di una necessaria segretezza dell’arte : Hortatur enim Plato in Euthidemo ut res celeberrimae atque archanac habcantur a philosophis apud se et paucis atque dignis communicentur... Idem omnibus iis, in quo- rum manus ista devenerint, consulimus: ne abutantur gratia et dono eisdem elargito. Et considerent quod figuratum est in Prometheo qui cum deorum ignem hominibus exhibuisset, ipsorum incurrit indignationem.!4 Assai più interessante di questi atteggiamenti che ripetono motivi diffusi, è il tentativo compiuto da Bruno di mante- nere la terminologia dell’arte ben distinta da quella in uso negli altri campi del sapere. Il termine subdiectum, chiarisce Bruno, ha qui un significato diverso da quello che al mede- simo termine viene attribuito in logica o in fisica. Esso viene qui assunto « secundum intentionem convenientem, quae tech- nica appellatur, utpote secundum intentionem artificialem ». Non è il soggetto delle predicazioni formali che, in logica, viene contrapposto al predicato, né quello della forma sostan- ziale detto le o materia prima. Non è il subiectum delle forme accidentali né di quelle artificiali che ineriscono ai corpi natu- rali: «sed est subiectum formarum phantasibilium apponibi- lium, et remobilium, vagantium et discurrentium ad libitum operantis phantasiae et cogitativae ». Allo stesso modo il ter- mine forma non è usato come sinonimo di idea, così come av- viene nella metafisica platonica; né come sinonimo di essenza, così come avviene in quella peripatetica; non indica, come nella fisica, la forma sostanziale o accidentale informante la materia; né, secondo l’accezione tecnica, indica una « inten- tionem artificialem additam rebus physicis ». L'universo di discorso del termine forma è, per Bruno, quello di una logica non razionale, ma fantastica: « Forma sumitur... secundum 19 Opp. lat., II, I, p. 215. 14 Opp. lat., II, 1, p. 216. 118 CLAVIS UNIVERSALIS rationem logicam non quidem rationalem, sed phantasticam (quatenus nomen logices amplius accipitur) ».!° Quest'ampliamento della logica tradizionale, questa costru- zione di una logica fantastica è in realtà uno dei motivi essen- ziali del discorso bruniano. Chi, come il Tocco, ha netta- mente separato nella produzione bruniana le opere mnemo- tecniche da quelle lulliane contrapponendo il carattere « psi- cologico » delle prime al carattere « metafisico » delle se- conde *° ha distinto, in modo artificiale, ciò che in Bruno sj presenta organicamente connesso e ha finito per precludersi la via ad una effettiva comprensione degli elementi di “novità” presenti nella posizione bruniana. L'atteggiamento sostanzial- mente nuovo che Bruno assume nei confronti della tradizione della mnemotecnica retorica e dell’eredità del lullismo è deter- minato proprio dal tentativo di trovare un punto di conver- genza o un terreno comune (o, se si vuole, di operare una “sintesi”) fra due tecniche che erano nate da diverse esperienze e che avevano a lungo proceduto lungo due linee non conver- genti. In quanto seguace di Lullo, Bruno trasferisce all’interno dell’arte della memoria quelle esigenze metafisiche caratteri- stiche del lullismo: in quanto riformatore dell’ars remini- scendi, egli non esita a servirsi, accostandoli a quelli tradizio- nali, degli accorgimenti e delle regole teorizzati dai seguaci della combinatoria. Su queste basi egli conduce la sua pole- mica contro i suoi predecessori e su queste basi giunge a dif- ferenziare la sua dalle altre posizioni: 1) in primo luogo egli rifiuta quel rapporto di tipo convenzionale che i teorici del- l’ars memoriae avevano posto tra il luogo e l’immagine; con- tro questa posizione egli sostiene la necessità di una connes- sione reale (che può essere una associazione o un nesso di tipo logico) tra il subiectum c l’adiectum;'* 2) in secondo luo- go e sulla base di questa esigenza egli sostituisce ai tradizio- nali elenchi delle casalinghe immagini degli oggetti d'uso pre- senti nei testi quattrocenteschi, complicate immagini mitologi- 15 Cfr. Opp. lat., II, 1, pp. 221, 222, 234. 16 F. Tocco, Le opere latine, cit., p. 93. !? Opp. lat., Il, 1, p. 81: « Opus est non ita adiecta subiectis applicari, quasi ca casu et ut accidit proiiciantur... ita adcoque invicem conneva, ut nullo ab invicem discuti possint turbine ». LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 119 che ed astrologiche (attinte alla tradizione ermetica) che gli offrono la possibilità di una rappresentazione visiva non solo del soggetto, ma anche dei rapporti intercorrenti tra il sog- getto centrale e tutti i caratteri e le nozioni che sono ad esso collegati secondo un ordine sistematico;!* 3) in terzo luogo egli concepisce le figure ruotanti teorizzate da Lullo come strumenti per la memoria artificiale; nelle diverse ruote pos- sono essere simbolizzate, mediante lettere alfabetiche latine greche ed ebraiche, tutti gli elementi costitutivi dell’arte.!° I centotrenta luoghi fondamentali ricavabili dalle varie combi- nazioni, mentre si presentano come essenziali in vista della piena realizzazione della memoria artificiale, indicano al tem- po stesso anche gli elementi presenti in un sistema qualunque di relazioni logiche. Tra logica e arte della memoria non si danno, per Bruno, differenze sostanziali. La logica memora- ziva che è al culmine delle sue aspirazioni ha una parentela assai stretta con la metafisica: «l’arte — egli scrive — è un certo abito dell’anima raziocinante che si distende da ciò che è il principio della vita del mondo al principio della vita di

tutti i singolari ».?° Esaminando i testi dei grandi commentatori rinascimentali dell’Ars magna, abbiamo già rilevato come il problema di una tecnica memorativa, rispetto alla quale gli alberi le ruote le tavole si pongono come strumenti, si presentasse come costi- tutivo rispetto agli sviluppi della combinatoria. Si è d'altra parte sottolineato anche il fatto che quest'idea di una logica memorativa si presenta strettamente collegata a quella inter- pretazione enciclopedistica del lullismo che, facendo leva sul- l’immagine lulliana dell’albero, trasforma molti dei commenti lulliani in vere e proprie enciclopedie o tentativi di classifica- zione degli elementi che costituiscono il mondo reale e il mondo della cultura." Chi abbia presenti queste conclusioni non potrà certo meravigliarsi né dell’insistenza bruniana sugli aspetti mnemotecnici del lullismo, né dei suoi tentativi di de- 18 Sull’ applicazione delle immagini zodiacali di Teucro Babilonico all'arte cfr. C. Vasori, Umanesimo e simbologia, cit., p. 281, 291. 1° Cfr. Opp. lat., Il, 1, pp. 107 - 115. 2° Opp. lat., II, 1, p. 56. 2h qui alle pp. 51-61. 120 CLAVIS UNIVERSALIS scrizione degli elementi costitutivi dell'universo mediante il riferimento ai nove subiecta dell’arte.” Alla luce di queste considerazioni non apparirà più soste- nibile neppure quella tesi del Tocco secondo la quale un’opera come il De progressu et lampade venatoria logicorum dell’ 87 sarebbe « un compendio della topica aristotelica » affatto indi- pendente dai commenti all’arte lulliana.°? Il ricorso alle im- magini del campo, della torre, del cacciatore permette di colle- gare questa indagine sulla dialettica ai trattati sulla memoria, mentre l’esplicito riferimento alle figure consente un accosta- mento alla tematica del lullismo.?* Ma non si tratta solo di ragioni “interne”; in molti dei testi dell’enciclopedismo cin- quecentesco (si pensi per esempio allo scritto /2 RAetoricam Isagoge del 1515) il lullismo appare fortemente intrecciato ai temi della cosmologia e della retorica.?* Non a caso, anche Bruno fu fortemente interessato al problema di una “applica- zione” dell’arte alla retorica e alla fisica: nell’Artificium pe- rorandi (dettato a Wittenberg nell’ ’87 c pubblicato dallo Al- sted nel 1610) egli tenta una applicazione della mnemotecnica lulliana ai diversi tipi del discorso retorico, mentre nella Figu- ratio aristotelici physict auditu del 1586 avvia una traduzione in immagini dei concetti centrali della fisica aristotelica. Nei testi londinesi del 1583 le complesse immagini dei sigilli erano state assunte da Bruno a indicare non direttamente gli oggetti da ricordare, ma le regole stesse dell’arte. Ma più che su questi testi,°° peraltro molto significativi, gioverà qui sotto- lineare la valutazione del lullismo che è presente nel De lam- pade combinatoria del 1587: Agrippa non riuscì a penetrare (« aut prorsus non penetravit, aut non satis ») nel valore dimo- strativo della combinatoria e si servì dell’arte per celebrare se stesso piuttosto che i testi lulliani; più degni di considera- zione furono i tentativi di Lefèvre e di Bovillus; solo attraverso la riforma bruniana l’ars magna è giunta al suo pieno compi- 22 Cfr. Opp. lat., Il, 2, pp. 12, 41-49. 29 F. Tocco, Le opere latine, cit., p. 15. 24 Cfr. Opp. lat., Il, 3, pp. 12-13. 25 Cfr. qui alle pp. 53-55. Si vedano le considerazioni del Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit.,, p. 293 ss. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 121 mento ed è pervenuta al più alto grado possibile di perfezione: « artem hanc a Raymundo Lullo adinventam ita complevimus ut ab omni contemptibilitatis praetextu vindicavimus... ut om- nino impossibile sit ei aliquid amplius adiicere ».°” In questo rapido quadro assume un rilievo tutto particolare il richiamo a quella comune fonte dalla quale derivarono la metafisica teologica di Scoto Eriugena, l’arte lulliana, i misteri di Cusano, la medicina di Paracelso: Hic super illius adinventionem excolendam claboravi- mus, cuius genium summi philosophorum principes ha- biti admirantur, persequuntur, imitantur; unde  Scoti- gena thcologicam metaphysicam, vel metaphysicam (quam scholasticam appellant) theologiam, cum subtilibus aliis extrassisse constat; a quo admirandum illud  vestratis Cusani quanto profundius atque divinius, tanto paucio- ribus pervium minusque notum ingenium, mysteriorum, quac in multiplici suac doctrinae torrente delitescunt, fontes hausisse fatetur; a quo novus ille medicorum princeps. Paracelsus...?* Le ragioni di questi accostamenti apparvero già chiare al Tocco: l’opera di Lullo fu valutata dal Bruno come una delle principali espressioni di quel neoplatonismo che, muo- vendo dalla identità di ideale e reale, ritiene di poter proce- dere ad una costruzione della realtà mediante la determina- zione del movimento delle idee. Mentre si configurava come un rifiuto della logica tradizionale e andava sostituendo le immagini ai termini e la topica all’analitica, l’arte bruniana si muoveva su un terreno ben diverso da quello delle indagini dialettiche, rifiutava ogni identificazione con una tecnica lin- guistica o retorica, intendeva aprire possibilità di prodigiose avventure e di costruzioni totali: « Quaedam vero adeo arti videntur appropriata, ut in eisdem videatur naturalibus om- nino suffragari: haec sunt Signa, Notae, Characteres et Sy- Gilli: in quibus tantum potest ut videatur agere praeter natu- ram, supra naturam, et, si negotium requirat, contra natu-

ram ».°° Il fine dell’arte non consiste semplicemente in un raf- forzamento della memoria o in un potenziamento delle fa- Opp. lat., 11, 2, pp. 327, 235. Opp. lat., II, 2, p. 234. Opp. lat., II, 1, p. 62. W n US] » (2) 122 CLAVIS UNIVERSALIS coltà intellettuali: essa «ad multarum facultatum inventio- nem, viam aperit et introducit ». Non a caso nei testi più signi- ficativi della magia bruniana troviamo ancora presente il ricor- so ai sigilli, ai segni, alle figure che vengono avvicinati ai gesti e alle cerimonie come elementi costitutivi ed essenziali di quel linguaggio mistico-rituale che, solo, può aprire la strada a colloqui divini: «cum certo numinum genere non nisi per definita quaedam signa, sigilla, figuras, characteres, gestus ct alias cerimonias, nulla potest esse participatio ».°° Nella conce- zione bruniana della magia come forza ministra e dominatrice della natura, capace di intendere le segrete corrispondenze fra le cose e di cogliere le formule ultime della realtà, in opere come il De Magra, le Theses de Magia, il De Magia mathe- matica trovavano davvero la loro risoluzione i problemi dibat- tuti nelle opere mnemotecniche e lulliane.?! L'immagine di un universo unitario che va interpretato e decifrato mediante i simboli giungeva qui, come già nel Sygil/us, al suo pieno compimento: Una lux illuminat omnia, una vita vivificat omnia... Atque altius conscendentibus non solum conspicua erit una omnium vita, unum in omnibus lumen, una boni- tas, et quod omnes sensus sunt unus sensus, omnes no- titiac sunt una notitia, sed et quod omnia tandem, utpote notitia, sensus, lumen, vita sunt una essentia, una virtus et una operatio."? Alla comprensione della magia bruniana, del grandioso tentativo del Nolano di dar luogo ad un'arte capace di av- vicinare gli uomini ponendosi come strumento essenziale ad una riforma delle religioni, potrebbe giovare non poco un esame, analiticamente condotto, dei rapporti fra il Bruno lul- liano e mnemotecnico e quello, più noto, delle opere mag- giori. Da un tale esame potrebbero forse derivare anche con- tributi non trascurabili ad una comprensione della lingua e dello stile bruniani. Nel ritmo convulso della sua prosa ita- liana sarebbe difficile continuare a vedere (come vuole uno storico insigne della letteratura) un «affidarsi all’istinto e al- 30 Opp. lat., HI, pp. 412-13 (De Magia). * Cfr. C. Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit., p. 303. Opp. lat., III, pp. 393-454; 455-91; 494-506. 32 Opp. lat., II, 2, p. 179. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 123 l'abbondanza della vena ». Il compito delle immagini, poste accanto ad un soggetto, è quello di « presentare, effigiare, de- notare, indicare, per esprimere e significare a somiglianza della pittura e della scrittura ». La molteplicità delle imma- gini deve indicare ed esaurire i significati, impliciti ed espliciti, contenuti nelle idee centrali e costituire con esse una inscindi- bile unità. Dietro il continuo ritorno delle immagini, l’ab- bondanza delle ripetizioni, il succedersi dei simboli che in- tendono raffigurare sensibilmente i concetti stavano in realtà anche precise convinzioni di natura “filosofica”: « philosophi

sunt quodammodo pictores atque poetae, poetae pictores et philosophi, pictores philosophi et poetae, mutuoque veri poe- tae, veri pictores et veri philosophi se diligunt et admirantur; non est enim philosophus nisi qui fingit ct pingit... ».!° Zi COMBINATORIA, ARS MEMORATIVA E MAGIA NATURALE NEL SE- coro XVII. Esaminando le enciclopedie e i teatri universali della se- conda metà del Cinquecento, considerando i testi bruniani,

abbiam visto che l’ars memorativa di derivazione ‘cicero- niana”, mentre si congiungeva con l’eredità della tradizione lullista, si collegava anche strettamente ai temi di una metafi- sica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, agli ideali della magia e dell'astrologia, al gusto per le immagini, i simboli, le cifre, le imprese e le allegorie. La ricerca di una «chiave universale » capace di decifrare «l’alfabeto del mon- do » e di individuare la trama costitutiva della realtà, l’aspi- razione ad un teatro enciclopedico che fosse lo « specchio » fe- dele della realtà, avevano piegato ad esigenze nuove e a fini diversi da quelli originari le tecniche della memoria arti- ficiale. Inseriti nel discorso, pieno di toni iniziatici, di una magia rinnovata, gli accorgimenti per la costruzione di un'arte memorativa avevano finito per perdere ogni contatto con il terreno delle scienze mondane della dialettica, della retorica, «della medicina e per apparire miracolosi strumenti per il rag- giungimento del sapere totale o della pansofia. Su questo terreno si mossero, nella prima metà del secolo 24 Cfr. Corsano, // pensiero di G. Bruno, cit., p. 97. 124 CLAVIS UNIVERSALIS XVII, non pochi fra i sostenitori e i seguaci delle arti mnemo- niche e del lullismo. Fra il 1617 e il 1619, negli anni stessi che vedevano il giovane Cartesio interessato al lullismo e alle arti della memoria, vedevano la luce a Lione le opere di Johannes Paepp. Una di queste, lo Schenkelius detectus seu memoria artificialis hactenus occultata era un ampio commento dell’Ars memoriae dello Schenkel, un testo ben noto a Cartesio. Negli Artificiosae memoriae fundamenta e nella Introductio facilis in praxin artificiosae memoriae, il Paepp si soffermava ad illu- strare a lungo le dottrine aristoteliche ciceroniane e tomiste sulla memoria, ma mostrava di aver subìto anche le influenze del lullismo e dei suoi esponenti più significativi, dal Bruno allo Alsted.** Proprio sulle tracce di quest'ultimo, in aspra polemica con i denigratori dell’arte, egli sosteneva la oppor- tunità di una stretta connessione della logica con la mnemo- tecnica: mentre la prima appare necessaria ad alcune arti e discipline, la seconda è indispensabile ad ogni forma di sa- pere.?® Mentre sottolineava la funzione mnemonica dei circoli lulliani °° e dettava accorgimenti per decifrare i testi dell’ars notoria, il Paepp eliminava non a caso ogni distinzione tra “ciceroniani” e “lullisti” collocando in uno stesso elenco, tra 94 Jon. Paerr, Arzificiosae memoriae fundamenta ex Aristotele, Cicc- rone, Thoma Aquinate, altisque praestantissimis doctoribus petita, fi- guris, interrogationibus ac responsionibus clarius quam unquam ante- hac demonstrata, Lugduni, apud Bartholomeum Vincentium, 1619; Eisagoge, seu introductio facilis in praxin artifiosae memoriae, ibidem, 1619; Schenkelius detectus, seu memoria artificialis hactenus occultata, ibidem, 1617 (copie usate: rispettivamente Triv. Mor. L. 430; 430 (2); M. 17). 95 «Sed miror cur cidem (i negatori dell’arte) non et logicam artifi- cialem nigro calculo notent. Ut enim logica artificiosa intellectui rerum cognitionem secutius venatur, sic artificiosa memoria acquisitam ac comparatam cognitionem tenacius conservat ac tuetur naturali; quare Alstedius non minus hanc ad omnes artes et disciplinas, quam istam ad nonnullas necessariam probat » (Artificiosae memoriae fundamenta, cit., p. 10). 26 Sulla funzione dei «circoli » cfr. gli Artificiosae memoriae funda- menta, cit., pp. 13, 49, 52; sulla scrittura segreta da impiegare nell’ in- segnamento dell’ arte cfr. p. 99-02, dove vengono dettate due regole fondamentali: « 1) Legendum more hebraico, puta ordine retrogrado; 2) Alpha et omega sunt otiosa id est primae et ultimae literae non habetur ratio » osras significa ars; codrot ordo, bogamir imago ecc ». LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 125 i fondatori e i teorici dell’arte, Quintiliano e Cicerone, Lullo e Gratarolo, Pietro da Ravenna e Romberch, Rosselli e Gior- dano Bruno, Schenkelius e Alsted.?* Non poche delle sue pa-

gine appaiono dedicate a discutere le posizioni bruniane e, come già Bruno, anch'egli si richiama alle immagini degli dèi antichi e dell’astrologia trasformando la sua trattazione in una elencazione di temi iconografici (« Saturnus, homo senex, pannosus, capite aperto, altera manu falcem, altera vero nescio quid panno involutum gestans... Iupiter apud veteres effin- gebatur sedens, in inferioribus partibus nudus... »).°* Più volte, negli scritti del Paepp, ritornano dettagliate narrazioni e minuziosi resoconti di miracolosi fenomeni di capacità mne- moniche.?® Più che a una discussione dei temi attinenti alla retorica o alla enciclopedia, il Paepp è fortemente interessato alla descrizione dei mirabili risultati cui si può pervenire con l’aiuto dell’arte. Le tecniche della combinatoria e dell’ars reminiscendi venivano qui utilizzate su un piano che presenta non pochi punti di contatto con quello della magia e dell’oc- cultismo: mediante l’arte è possibile trasformare rapidamente un fanciullo in un sapiente, entrare in possesso di prodigiose virtù, giungere a suscitare la stupefatta amimrazione dei dotti e dei reggitori della cosa pubblica. Già in Bruno, abbiamo visto, la tematica del lullismo e dell’ars reminiscendi era apparsa strettamente connessa alle aspirazioni e agli ideali della magia. L’ars inveniendi e l’arte memorativa si configuravano spesso come progetti di fonda- zione di un’arte mirabile capace di condurre entro i segreti della natura e di decifrare la scrittura dell’universo. Non si trattava solo di ampliare, mediante l’arte, le capacità mnemo- niche: la tecnica lulliana si pone in Bruno come ricerca e definizione dei ritmi della natura; il riferimento ai subiecta dell’arte consente di determinare contemporaneamente i prin- 2? Cfr. Eisagoge seu introductio, cit., p. |. °* Per i rapporti del Paepp con il Bruno cfr. N. Bapatoni, Appunti intorno alla fama del Bruno nei secoli XVII e XVIII, in « Società », XIV, 1953, n. 3, p. 517-518. Per l’uso delle immagini degli dèi anti- chi in Paepp cfr. gli Artificiosae memoriae fundamenta, cit., pp. 86, 89 (ma cfr. alle pp. 86 - 113). °° Cfr. Artificiosae memoriae fundamenta, cit., pp. 55-56 e soprattutto Schenkelius detectus, cit., pp. 31-39. 126 CLAVIS UNIVERSALIS cipi del discorso e gli elementi costitutivi della realtà. All'arte bruniana della memoria, in quanto prodotto magico o arte segreta capace di ampliare smisuratamente le possibilità uma- ne, si interessarono com'è noto Pio V, Enrico III, Giovanni Mocenigo. Un discorso certo molto diverso, ma non in tutto dissimile converrebbe fare per Campanella che amò anch'egli presentarsi come dotato di miracolose facoltà: al cardinale Odoardo Farnese egli assicurava di poter insegnare filosofia naturale e morale, logica, retorica, poetica, politica, astrologia e medicina con un metodo speciale che avrebbe consentito di realizzare in un anno maggiori risultati di quelli ordinaria- mente conseguibili con dieci anni di normale insegnamento. Questo stesso concetto e la stessa insistenza sulla possibilità di una straordinaria « facilità » di apprendimento, ritroviamo nelle pagine della Città del Sole. Prima di dieci anni, i fan- ciulli della città solare apprendono «senza fastidio » tutte le scienze servendosi di quella gigantesca enciclopedia che risulta dalle immagini dipinte sulle pareti delle sei muraglie.'° Questo ricorso all’immagini come elemento essenziale ha, in Cam- panella, un significato non trascurabile: all’enciclopedismo lullista, fondato sui termini e sui procedimenti logico-mate- matici, egli ne contrappone un altro fondato sulle immagini sensibili delle cose. Nel perduto De investigatione rerum,

composto fra il 1587 e il ’91, Campanella aveva fatto riferi- mento ad una dialettica ex solo sensu che classificava gli og- getti del senso in nove categorie « ut quilibet de quacumque re non per vocabula tantum, ut Raymondo Lullio mos est, sed per sensibilia obiecta ratiocinari posset ». A questa stessa esigenza di un sapere non verbale, fondato sul senso e sulle cose, rispondono del resto le osservazioni, svolte nel De sensu rerum et magia del 1620,** sulla memoria come « senso anti- cipato », le sue critiche alle tesi della medicina peripatetica, la sua affermazione che sia possibile operare sulla memoria con i ritrovati della medicina, la identità, più volte affermata, di 4° Per l’enciclopedia dipinta sulle muraglie e per la facilità dell’ ap- prendimento delle scienze cfr. La città del sole, in Scritti scelti di G. Bruno e di T. Campanella, a cura di L. Firpo, Torino, 1949, pp. 412- 415, 419. 4! Del senso delle cose e della magia, Bari, 1925, pp. 98- 100. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 127 memoria e imaginativa. Si comprenderà anche, tenendo pre- senti queste considerazioni, come egli potesse guardare con simpatia alla « memoria locale » che fa larghissimo uso di immagini sensibili. Gli stessi risultati cui è pervenuta la mne- motecnica “citeroniana” appaiono in tal modo a Campanella una conferma della sua definizione della memoria come « sen- so indebolito »: « l’arte della memoria locale, al senso esposta in cose assai sensibili e note, ponendo le cose cognite per simi- glianza, mostra che la memoria sia senso indebolito che così si rinnova e fortifica ». Quell’arte della « memoria locale », alla quale faceva rife- rimento il Campanella, non mancò certo di cultori nel corso del secolo XVII: negli scritti di Filippo Gesualdo e di Gero- lamo Marafioto, di Johannes Austriacus e di Adam Bruxius, di Francesco Ravelli e dello Schenkel, di John Willis e di Velasquez de Azavedo,* ritornavano i temi e le regole della 42 Cfr. JoannIs MarciRI, De memoria artifictosa, Francofurti, 1600 (Fir. Naz. 3.8.530); la Plutosofia del Reverendiss. Padre F. Filippo Ge- sualdo dei Minori Conventuali nella quale si spiega l’arte della me- moria, Vicenza, Heredi di Perin Libraro, 1600 (Triv. Mor. H. 65); F. GiroLamo Manarioro, Nova inventione et arte del ricordare per luoghi et imagini et figure poste nella mani, Venezia, 1605 (Triv. Mor. M. 68); la traduz. latina dell’opera del Marafioto: De arte remuni- scentiac per loca et imagines ac per notas et figuras in manibus post- tas fu pubblicata nel 1610 e inserita nella edizione (qui di seguito ci- tata) del Gazophylacium artis memoriae dello Schenkelius alle pp. 273 - 338. Nella stessa edizione, alle pp. 183-272 è inserito il De memoria artificiosa libellus di Johannes Austriacus (Angelica, SS.1.24); fra i commentatori del De memoria dello Schenkel (pubblicata per la prima volta nel 1595) sono da segnalare gli scritti di Martin Sommer (Vene- zia, 1619) sotto il cui nome si nasconderebbe secondo il Morhof (Po- Iyhistor, I, p. 374) lo stesso Schenkel e l’Ars memoriae... in gratiam et usum inventutis explicata, Francofurti, typis N. Hoffmanni, 1617 di Francesco Martino Ravelli (Ravelinus) (Par. Naz. Z. 58347). Più interessante è il Simonides redivivus sive ars memoriae et oblivionis... tabulis expressa... cui accessit Nomenclator mnemonicus, Lipsiae, im- pensis T. Schureri, 1610 di Adamus Bruxius (Par. Naz. Z. 7878 - 7879) poi ristampata nel 1640. Ad un anonimo professore di Lipsia si deve l'Ars memoriae localis plenius et luculentius exposita... cum applica tone ciusdem ad singulas disciplinas et faculates, Lipsia, 1620. Non sono riuscito a vedere questo testo né JoHANNES VELASQUEZ DE AZAVEDO, Fenix de Minerva y arte de memoria que ensena sin maestro a apren- der y retenir, Madrid, 1620 (il titolo riecheggia quello del Ravennate). 128 CLAVIS UNIVERSALIS mnemotecnica “classica”, venivano commentate e discusse le opere sulla memoria di Aristotele, di Cicerone, di Quintiliano, di Tommaso, di Pietro da Ravenna, si tentavano combinazioni e sintesi tra la mnemotecnica ciceroniana e la combinatoria di Lullo, si costruivano teatri ed enciclopedie, sî escogitavano nuove, più complicate immagini, si conducevano discussioni sui segni, sui gesti e sui geroglifici. Più che questi testi, che contribuiscono a diffondere una tematica già largamen- te nota e ad alimentare discussioni da tempo iniziate, ap- paiono degni di considerazione altri scritti nei quali la ma- gia non costituisce soltanto — come per Bruno e per Cam- panella — lo sfondo culturale sul quale si collocano le arti della memoria, ma offre a queste una precisa giustificazione di ordine teorico. In questi scritti la connessione tra le tecniche magiche e quelle della memoria viene esplicitamente teoriz- zata e l’ars reminiscendi viene presentata come un prodotto di magia. Nella Magia naturalis di Wolfgang Hildebrand A Lipsia- Francoforte, nel 1678 vedeva infine la luce, con il titolo Variorum de arte memoriae tractatus selecti, una raccolta di scritti com- prendente le opere dello Schenkel, del Ravelli, del Paepp, dell'Au- striacus, del Marafioto, dello Spangerberg. Lo Schenkel, cui toccò in sorte di essere discusso brevemente da Cartesio, è figura particolar- mente interessante: fortunato insegnante c diffusore dell’arte  mne- monica in Francia, Italia e Germania (« artem hanc — scrive il Morho- fius, I, 374 — magno cum successu suo nec sine insigni suo lucro exercuit ») fu accusato dì stregoneria durante un suo soggiorno all’ Uni- versità di Lovanio, riuscendo poi ad ottencre protezione ed appoggio dalla facoltà teologica di Douai. La prima edizione della sua opera, poi spessissimo ristampata, è del 1695: De memoria liber secundus in quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele, 1595. Insieme ai tre opuscoli sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Span- gerberg l’opera fu ristampata con il titolo Gazophylacium artis me- moriace, Argentorati, Antonius Bertramus, 1610 (Angelica. SS. 1. 24). Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico in calvinistam, Anteverpiae, 1589 ec una raccolta di Flores et sententiac in- signiores ex libris de Constantia Justi Lipsit, s.)., 1615 (Par. Naz. Yc. 12326 e Z. 17739), è stato ristampato, in edizione moderna, il Com- pendium der Mnemonik, con testo latino e trad. tedesca a cura di J. L. Kliber, Erlangen, J. J. Palm, 1804. All’insegnamento di quest'auto- re si richiama anche la curiosa enciclopedia di Aprian LE Cuiror, Le magazin des sciences, ou vrai art de mémoire découvert par Schen- Relius, traduit et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, ]J. Quesnel, 1623 che amplia molto il testo originario (Par. Naz. Z. 11298). LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 129 (1610) la creazione della memoria artificiale viene presentata come la applicazione dell’arte magica ad una particolare forma dell’operare umano.‘ Nella Regina scientiarum e nella Enciclopaedia Pierre Mo- restel insiste su temi largamente diffusi: la regina delle scienze, che è l’arte di Lullo, non verte su un oggetto particolare, ha caratteri tali di generalità c di certezza da presentarsi come totalmente autosufficiente, da essere in grado di consentire il pieno raggiungimento della verità in ogni ramo del sapere. All’arte mnemonica degli antichi, fondata sulla dottrina dei luoghi e delle immagini, Morestel contrappone, come nuova arte della memoria, la combinatoria lulliana. Nei suoi scritti la trattazione dei temi del lullismo e della mnemotecnica si collega con quella della filosofia occulta dei filosofi presocra- tici, con l'interpretazione delle favole antiche, con la tematica della cabala, con la ricerca di una chiave universale.*' Alla 49 W. Hiupesranp, Magia naturalis, das ist, Kunst und Wunderbuch, darinne begriffen Wunderbaren Secreta,, Geheimniisse und KRunststi- che... Leipzig, 1610. 44 Cfr. Pierre MoRESTEL, Enciclopaedia sive artificiosa ratio et via cir- cularis ad artem magnam R. Lullit per quam de omnibus disputatur habeturque cognitio, s.l., in collegio Salicetano, 1646 (Par. Naz. Z. 19006); La philosophie occulte des devanciers d'Aristote et de Platon, en forme de dialogue, contenant presque tous les préceptes de la phi- losophie morale extraite des fables anciennes, Paris, T. Du Bray, 1607 (Par. Naz. V. 21888); Les secrets de la nature... contenant presque tous les préceptes de la philosophie naturelle extraite des fables anciennes, Paris, R. de Beauvais, 1607 (Par. Naz. J. 25112); Artis kabbalisticae sive sapientiae divinae academia, Parisiis, apud M. Mondière, 1621 (Par. Naz. A. 7729); Regina omnium scientiarum qua duce ad omnes scien- tias et artes, qui literis delectantur facile conscendent, Tremoniae, apud Jodocum Kalcovium, 1664 (la prima ediz. è Rothomagi, 1632) (Casanat. M. XIX. 4). La definizione dell'arte di Lullo, presente in questi testi, è ricalcata secondo schemi convenzionali: « Ars R. Lullii non vul- garis, non trivialis, non circa unum aliquod obiectum occupata, sed ars omnium artium regina... Huius artis ea est excellentia praestan- taque, ea generalitas ac certitudo, ut, se sola sufficiente, nulla alia praesupposita... cum omni securitate et certitudine... de omni re sci- bili veritatem ac scientiam non difficulter invenire faciat ». Più inte- ressante è l’interpretazione della combinatoria come arte mnemonica: “ Artificium igitur memoriae, a veteribus traditum, locis constabat et Imaginibus; quidni igitur dabitur aliqua ars memoriae quae terminis constabit? Talis est ars Lullii, cuius termini generales patefaciunt adi- 130 CLAVIS UNIVERSALIS medicina mnemonica di Gratarolo, e quindi alla tradizione dell’aristotelismo, si richiama invece l’anonimo autore di un Ars magica pubblicata a Francoforte nel 1631 che dedica alla memoria e alle immagini astrologiche impiegate per raffor- zarla, due capitoli del suo trattato. Nel Pentagonum philoso- phicum medicum, sive ars nova reminiscentiae (1639) di La- zare Meyssonnier, medico del re di Francia e corrispondente di Cartesio, cultore di medicina astrologica, di chiromanzia e di fisiognomica, ritornano i temi della medicina della memo- ria, del lullismo, della cabala. Nella Belle magie ou science de l’esprit egli presentava, in funzione della medicina magica, un « methode de conduire la raison » e una «logique natu- relle pour resoudre toutes sortes de questions ».'° Questa stessa esigenza di un metodo universale si accompagna, nei testi di medicina magica di Jean d’Aubry, alla affermazione di una scienza unitaria e suprema rispetto alla quale le parti- tum non solum ad inventiones plurimas... sed etiam maxime faciunt ad memoriam, cum sint quasi via artificiosa et methodica ad corri- gendum defectum, roborandam infirmitatem et sublevandam virtutem memoriac naturalis ». (Cfr. Regina scientiarum, cit., pp. 19, 318). 45 Cfr. Lazare MryssonnIER, Penzagonum  philosophicim - medicum sive Ars nova reminiscentiae cum institutionibus philosophiac naturalis et medicinac sublimioris et secretioris... clave omnium arcanorum na- turaltum Macrocosmi et Microcosmi, Lugduni, J. ct P. Prost fratres, 1639 (Par. Naz. 4. T. 19-20); La delle magie ou science de l'esprit contenant les fondemens des subtilitez ct de plus curicuses et secrètes connoitssances de ce temps, Lyon, chez Nicolas Caille, 1669, pp. 322, 350 (Triv. Mor. M. 114). Delle suc competenze astrologiche ci dà testi- monianza lo stesso Mcyssonnier: « Apres avoir durant vingi-cinq ans cxaminé soigneusement les écrits et les observations de ceux qui ont traité de l'astronomie ct de l'astrologie, dressé ct jugé plus de deux mille figures de nativité, qu'on nomme vulgairement horoscopes... » Cfr. Aphorismes d'astrologie tirée de Ptolomée, Hermes, Cardan, Munfredus et plusieurs autres, traduit en frangois par A.C., Lyon, Mi- chel Duhan, 1657, p. 1 (Triv. Mor. M. 194). La teoria del conarinrm so- stenuta dal Meyssonnier nel Pentagonum e nella Belle magie dovrebbe essere studiata anche in vista di una comprensione dell'atteggiamen- to assunto da Descartes verso questo curioso personaggio. Per i con- tatti di Meyssonnier con Mersenne c Cartesio cfr. la lettera di Meys- sonnier a Mersenne del 25.1.1639 ricordata in Adam et Tannery, HI, p. 17, la prima lettera a Descartes è andata smarrita e così pure la risposta alla lettera cartesiana del 29.1.1640 (Adam et T., III, p. 18); si vedano anche le lettere di Descartes a Mersenne del 29. |. 1640, del 1.4. 1640 e del 30. 7. 1640 (Adam cet T., III, pp. 15, 47, 120). LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 131 colari scienze hanno carattere di apparenza. Mentre traccia le linee di una grande enciclopedia, egli insiste energicamente sulla sostanziale unità del sapere e sulla artificialità di ogni separazione tra le singole discipline : « Dans les trois premiers chapitres tu y verras toutes les connoissances du monde et un ordre de toutes choses.... Et tu apprendras aussi dans le troisième chapitre qu'il n'y a qu’une seule science parce qu'il n’y en a qu’une seule laquelle donne reponse sans user d’aucune espece de divination.... La science... laquelle me donne des resolutions et reponses infaillibles de toutes choses, comme estant la règle de toute verité ».*° Anche nei testi di Robert Fludd, che è il più noto e signi- ficativo esponente dell’ermetismo e del simbolismo cabalistico del Seicento, troviamo un’ampia trattazione, del resto con- dotta secondo canoni assai convenzionali, dell’arte memora- tiva.!” 15 Cfr. Jean D’AuBry, Le triomphe de l'archée et la merveille du mon- de, ou la medicine universelle ct veritable pour toutes sortes de mala- dies les plus desesperées... Etablie par raisons necessatres et demonstra- tions infaillibles, A Paris, chez l’auteur, 1661, avvertimento al pubbli- co, pp. non numerate (Vatic. Racc. Gen. Medicina, IV. 1347). In que- sta ediz. francese, che segue a quella latina del 1660 — Triumphus ar- chei et mundi miraculun sive medicina universalis, Francofurti, 1660 (Braid. A. XIII. 2388) — è compresa, in appendice, la Apologie contre certatns docteurs en médicine... respondant à leurs calomnies que l'au- theur a guéry par art magique beaucoup de maladies incurables et aban- donces, già pubblicata a Parigi nel 1638. Fra gli scritti più particolar- mente dedicati a Lullo si veda la traduzione della Blanquerna (Le Triomphe de l'amour et l’eschelle de la gloire, ou la médicine univer- selle des ames, ou Blanquerne de l'amy et de l'aimé, Paris, s.d. Par. Naz. R. 6217), l' Abregé de l'ordre admirable des connoissances et des beaux secrets de saint Raymond Lulle martyr, s. d. (Par. Naz. To. 131. 113) e Le firmament de la vérité contenani le nombre de cent démons- trations... qui preuvent que tous les prestres... abbés, commandataires, prédicateurs et bernabites doivent étre damnés éternellement s'ils ne vont prescher l’ Evangile aux Turcs, Arabes, Mores, Perses, Musulmans et Mahométans, Grenoble, J. de la Fournaise, 1642 (Par. Naz. D. 2. 5652). Ma si vedano a pp. 155-61 della Apologie (ediz. 1661, cit.) le otto ragioni, elencate dal d’Aubry, per le quali i libri di Lullo « doi- vent estre receus de mesme que ceux d'un Père de l’Eglise ». 4° R. FLupp, Tomus secundus de supernaturali, naturali, praeterna- turali et contranaturali Microcosmi historia, Oppenheimi, typis Hie- ronimi Galleri, 1619, pp. 47-70. 132 CLAVIS UNIVERSALIS 9 In piena atmosfera magica ed ermetica ci riporta anche il Traicté de la memoire artificielle pubblicato a Lione, nel 1654, da Jean Belot e inserito, a guisa di appendice, nelle Fami:- lières instructions pour apprendre les sciences de Chiromancie et Phystonomie.** L° intera combinatoria lulliana viene iden- tificata dal Belot con una «memoria artificiale »j mediante la miracolosa invenzione di Raimondo, « homme d’exquise erudition », è possibile abbreviare in modo prodigioso il cam- mino della scienza e sostituire al lavoro di un’intera vita il rapido apprendimento dei princìpi fondamentali e costitutivi i ogni ramo del sapere. Per svelare l’essenza dell’arte, che Lullo volutamente nascose sotto una serie di enigmi, per su- perare le posizioni di Bruno, di Agrippa, di Alsted e di La- vinheta, per mettere l’arte alla portata di tutti («cet arte estoit necessaire à ceux qui font profession de faire sermons... ou quelque trafic de marchandise »), Belot propone di asso- ciare la combinatoria alla chiromanzia sostituendo alle figure della combinatoria e alle immagini della mnemotecnica cice- roniana, le figure e i termini in uso nell'arte chiromantica.** Nonostante le pretese di assoluta novità, le « ruote » delle quali 18 Cfr. Les Oeuvres de Jean Belot... contenant la chiromance, phy- sionomie, l'art de mémoire de Raymond Lulle, traité des devinations, augures et songes, les sciences steganographiques paulines et almadelles et lullistes..., Lyon, chez Claude de la Rivière, 1654, pp. 329-345 (Triv. Mor. L. 88). Oltre a questa edizione è da vedere l’altra di Rouen, chez Pierre Amiot, 1688 (Triv. Mor. L. 80) poi ristampata a Liegi nel 1704. Sulle arti « paulines et almadelles » si veda la nota di L THoRnpikE, A/fodhol and Almadel: hitherto unnoted books of magic in florentine manuscripts, in « Speculum », 1927, pp. 326 -31. Le opere del Belot, che si mostrò favorevole alla teoria copernicana e parlò, nel 1603, di rourbillons de matière, andrebbero esaminate più detta- gliatamente di quanto non abbia fatto il Thorndike (History of ma- gic and experimental science, VI, pp. 360-62; 507-10) anche perché in esse sono presenti evidenti tracce delle posizioni ramiste: cfr. per es. alle pp. 52, 56 dell'edizione del 1654 e alle pp. 62-63 e 67-68 dell'edizione del 1688. A Bruno, come ad uno dei maggiori teorici del- l’arte, Belot si richiama più volte: cfr. Note bruniane, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1959. 4° Les oeuvres de ]can Bellot, ediz. 1654, cit., pp. 330, 331, 333-34. Per la connessione tra chiromanzia e arte mnemonica cfr. l’opera di G. MararioTo, qui sopra citata alla nota 42. LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 133 il Belot si serve appaiono ricavate dai commenti lulliani di Agrippa, mentre non mancano, in più punti, echi della trat- tazione bruniana. Proprio da Agrippa e da Bruno egli trae infatti la convinzione — in seguito sostenuta con maggior ampiezza nella RAetorigue — di una stretta connessione tra retorica-dialettica da un lato e lullismo ed arti segrete dal- l’altro. Il titolo del suo trattato è, da questo punto di vista, assai indicativo: « La rhetorique par laquelle on peut discourir de ce qui est propre en l’oraison et de disputable par dialecti- que, selon la subtilité de l’art lulliste et autres arts plus secrets qui sont icy compris par une seule legon necessaire en tout art ».5° Le finalità di una retorica e di una dialettica fondata sul lullismo e sulla tradizione magico-alchimistica vengono presentate, non a caso, come coincidenti con quelle che già furono proprie dell’antica sapienza ebraica e dei sostenitori della cabala: Ce que l’antiquité a recherché avec beaucoup de labeur toutesfois sans en avoir acquis la parfaite connoissance, je te le donne tout entier: c'est ce qu'ont voulu acquerir les Prophetes, Mages, Rabins, Cabalistes et Massorets, et depuis eux le docte H. C. Agrippa.5! Portando la retorica e la dialettica sul piano delle «arti segrete », mescolando la combinatoria alla cabala, all’astro- logia, alla medicina magica, facendo corrispondere alle cinque partizioni della retorica nuove partizioni attinte alla tradi- zione ermetica,°® Belot portava così all’esasperazione, intorno alla metà del Seicento, una tematica che aveva avuto le sue più fortunate espressioni nell’opera di Agrippa, di Bruno, di Giulio Camillo. I primi scritti del Belot risalgono al 1620: 5° Cfr. Les oeuvres, cit., p. 1 della seconda parte. °l Les oeuvres, cit., prefazione. 52 Les oeuvres, cit., p. 3 della seconda parte: « Pour les parties, elles regoivent toutes les cinq pour bonnes et utiles, mais il y en a cinq autres particulieres aussi: car pour la memoire, elle a l’Art notoire...; pour l’action ou pronunciation, l’art Paulin et pour les autres parties, a pour l’elocution l’art d’Almadel; pour la disposition la seconde par- tie de la Theurgie et pour l’invention l'art des revelations, que Tri- theme dit venir d’ Ophiel, esprit Mercurial ». 134 CLAVIS UNIVERSALIS qualche anno prima Bacone e Cartesio avevano assunto un atteggiamento fortemente polemico contro questo tipo di let- teratura. Su un punto essi avevano concordemente insistito: su questo piano la combinatoria lulliana e le arti della me- moria si risolvevano nell’inutile costruzione di giochi stupe- facenti atti a ingannare il volgo anziché a far progredire le scienze. V. LA MEMORIA ARTIFICIALE E LA NUOVA LOGICA: RAMO, BACONE, CARTESIO 1. Pierre DE LA RAMÉE: LA « MEMORIA » COME SEZIONE DELLA LOGICA. L’eredità delle discussioni quattrocentesche sull’ ars me- morativa non era stata tuttavia raccolta solo dagli esponenti della magia e dell’ermetismo del Cinquecento e del primo Seicento. Su un diverso terreno, quello di una rigorosa trat- tazione dei temi della dialettica e della retorica concepite come scienze mondane, in ambienti diversi, attenti alle dispute lo- giche, interessati agli sviluppi della matematica e della geo- metria, era andato maturando, fin dalla metà del secolo XVI, il tentativo ramista di inserire i problemi attinenti alla me- moria e le regole della mnemotecnica entro una più vasta ri- cerca concernente la riforma dei metodi di invenzione e di trasmissione del sapere. Il problema degli « aiuti della memo- ria » giungerà per questa via ad acquistare una singolare risonanza anche nei testi dedicati, nella prima metà del se-

colo XVII, ed una riforma del metodo: Bacone vedrà nella ministratio ad memoriam un elemento costitutivo del nuovo metodo delle scienze; Cartesio parlerà, a proposito della enu- merazione, di un movimento continuo del pensiero che ha lo scopo di recar soccorso alla naturale infermità della memoria. Più che in Francia, dove pure vedono la luce nella prima metà del Cinquecento non pochi testi di ars memoraziva, la tradizione ciceroniana che si ispirava in tutta Europa all'opera di Pietro da Ravenna, aveva trovato in Italia, come abbiamo visto, i suoi più fortunati e clamorosi sviluppi. Per quanto riguarda la Francia è dunque il caso di insistere — trascu- rando testi come la Memoria artificialis del Campanus e l’Ars memorativa del Leporeus (Parigi, 1515 e 1520)* che si Non ho visto l'opera del Campanus delle cui caratteristiche discorre il Morhofius; dell’Ars  memorativa Guglielmi Leporei Avallonensis ho visto l'edizione parigina del 1520, in Chalcographia Iodoci Badii Ascensii (Triv. Mor. H. 416). 136 CLAVIS UNIVERSALIS limitano a riecheggiare stancamente l’opera del Ravennate — sulla posizione assunta, di fronte al problema dell’ars me- moriae dal maggior esponente degli studi logici e retorici di questo periodo della cultura francese. Invece di teorizzare l’arte mnemonica come una tecnica autonoma, costruita in vista di fini pratici ben determinati e indipendente dagli svi- luppi della retorica e della logica, Pietro Ramo? si preoccupa proprio dei rapporti che intercorrono fra la « memoria » da un lato e la dialettica e la retorica dall’altro. La sua opera di riformatore intende dar luogo a questo risultato: staccare de- cisamente la memoria dalla retorica, alla quale una secolare tradizione la aveva assegnata, e servirsene come di uno degli elementi costitutivi della dialettica o della nuova logica. Ramo, com'è noto, amò presentare la sua riforma come un ritorno agli insegnamenti della filosofia classica, come una semplificazione e una chiarificazione di quell’insegnamento aristotelico che era stato a suo avviso corrotto dalla confu- sione terminologica degli scolastici e da quella tradizione reto- rica che fa capo agli scritti di Quintiliano. Il filosofo che, in una brillante esercitazione, aveva inteso mostrare la falsità di tutte le proposizioni aristoteliche, non esiterà poi a dichiarare in modo significativo: « Libros veterum conservemus et ad eos, cum fuerit opus, recurramus: philosophiamque ex eorum libris collectam puram veramque doceamus ».° Né esiterà a rintracciare, negli stessi testi aristotelici, i fondamenti delle sue proprie partizioni della dialettica (« Qui partitur logicam in inventionem et dispositionem, Aristoteli authore partitur »).* ? Per qualche indicazione sulla bibliografia intorno a Ramo cfr. la mia rassegna Ramismo logica e retorica nei secoli XVI e XVII, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1957, HI, pp. 359-61. Agli studi indicati in quella sede vanno aggiunti i seguenti: M. Dasson- viLLe, La genèse et les principes de la Dialectique de P. Ramus, in « Revue de l'Université d’Ottawa », 1953, pp. 322-55; La dialectique de P. Ramus, in « Revue de l’ Univ. de Laval », 1952-53, pp. 608 - 616; P. Dion, L'influence de Ramus aux universités néerlandaises du XVII siècle, in Actes du Xle Congr. Int. de Philosophie, Louvain, 1953, XIV, pp. 307-11; R. Tuve, /Imagery and logic, Ramus and methaphysical poetics, in «Journal of the history of ideas», 1942, IV, pp. 365-400. ® P. Ramus, Scholae in liberales artes, Basilea, 1569, pp. 157-158. 1 Scholae in liberales artes, cit., p. 63. RAMO, BACONE, CARTESIO 137 Ancora ad Aristotele, del resto, egli faceva risalire quella con- giunzione di filosofa ed eloquenza che verrà teorizzata in una celebre orazione del 1546: « Aristoteles intelligendi pru- dentiam cum dicendi copia coniunxit: et cum antea matutinis ambulationibus philosophiam solam doceret, pomeridianis etiam rhetoricam docere coepit ».* Per ricostruire nel suo vero significato il senso dell’insegnamento aristotelico, per portare alla luce le verità che nei testi aristotelici sono presenti, anche se solo accennate, è necessario, secondo Ramo, rifiutare ogni indebita commistione di grammatica dialettica e retorica: alla prima andranno riferiti solo i problemi attinenti alle etimo- logie, alla seconda soltanto l’arte dell’invenzione e quella del giudizio, mentre la terza dovrà limitarsi alla trattazione delle tecniche dello « stile » e del « porgere », alla capacità di ador- nare e trasmettere il materiale prodotto dalla ricerca dialettica.

Nella storia della logica e in quella della retorica si è veri- ficato, per Ramo, un errore fondamentale che ha finito per snaturare profondamente il senso della prima e della seconda. Si è ammesso con Aristotele e si è poi sostenuto con Cicerone e con la Scolastica che fosse possibile costruire due diverse logiche valide l'una nel campo della scienza, l’altra nel regno dell'opinione e del discorso popolare, adatta la prima ai sa- pienti, la seconda al volgo. Proprio questa duplicità viene energicamente rifiutata da Ramo: la teoria della inventio e della dispositio è una sola, valida in ogni campo e in ogni tipo di discorso.® Aver creduto all’esistenza di due diverse logiche ha condotto a un’ibrida mescolanza di concetti e di termini affine a quella della quale si è reso responsabile Quintiliano quando, oltre a confondere dialettica e retorica, ha aggravato ulteriormente la situazione mescolando ai temi della retorica quelli propri dell’etica: Duae sunt universae et generales homini dotes a natura tributae: ratio et oratio; illius doctrina dialectica est, huius grammatica et rhetorica. Dialectica igitur gene- 3 Cfr. la Oratio de studiis philosophiae et eloquentiae coniungendis Lutetiae habita anno 1546, riedita nelle Brutinae quaestiones in Ora- torem Ciceronis, Parisiis, apud Jacobum Bogardum, 1547, p. 45r. (Padova, Antoniana, T.V. 5). ° Cfr. Dialectique, 1555, pp. 3-4. 138 CLAVIS UNIVERSALIS rales humanac rationis vires in cogitandis et disponendis rebus persequatur; grammatica orationis puritatem in ctymologia ct sintaxi ad recte loquendum vel scribendum interpretetur. Rhetorica orationis ornatum tum in tropis et figuris, tum in actionis dignitate demonstret. Ab his deinde gencralibus et universis, velut instrumentis, aliae artes sunt ceffectae... Aristoteles summae confusionis au- thor fuit: inventionem rhetoricae partem primam facit, falso, ut antca docui, quia dialecticae propria est; sed tamen rhetoricae partem facit et eius multiplices artes primo artis universae loco conturbat in probationibus... Quintilianus concludit materiam Rhetorices esse res om- nes quae ad dicendum subiectac sunt... Dividitur rheto- rica in quinque partes: inventionem, dispositionem, cle- cutionem, memoriam ct actionem. In qua partitione nihil iam miror Quintiliamum dialectica tam nudum esse, qui dialecticam ipsam cum rhetorica hic confusum non potucrit agnoscere, cum dialecticae sunt inventio, disposi- tio, memoria; rhetorica tantum clocutio cet actio.? Sulla separazione della dialettica dalla retorica Ramo ebbe ad insistere instancabilmente; di fronte all’obiezione che il retore non potrà non servirsi degli argomenti elaborati in sede di dialettica rispondeva che la congiunzione dialettica-retorica,

presente nei vari discorsi umani, non escludeva affatto, anzi esigeva, una distinzione ed una separazione precisa fra la teoria della dialettica e quella della retorica: Non potest... sine numeris Geometria, Musica, Astrologia consistere: an propterca hae artes numeros explicare et sune professioni subiicere debebunt. Usus artium, ut iam toties dici, copulatus est persacpe. Praecepta tamen confundenda non sunt, sed propriis et separatis studiis declaranda.8

Le artes logicae comprendono dunque per Ramo la dialet- tica o logica e la retorica: la prima si articola nella inventio e dispositio, la seconda nella elocutio e nella pronuntiatio. Identificando, sulle traccie di Quintiliano e di Cicerone, la dispositio con il iudicium (il secondo libro della Dialectica, ® Cfr. Rhetoricae distinctiones in Quintilianum, Parisiis, apud An- dream Wechelum, 1559, p. 18; Ciceronianus ct brutinae quaestiones, Basilea, Petrus Perna, 1577, p. 329; RAetoricae distinctiones, cit., p. 43, * Scholae in tres primas liberales artes, Francofurti, apud Andrcam Wechelum, 1581, p. 3I (Fir. Naz. V. 8.37). RAMO, BACONE, CARTESIO 139 noto come la Secunda pars Rami, tratta appunto De iudicio et argumentis disponendis), Ramo fa rientrare nella tratta- zione della dispositio quelle parti della dialettica che si rife- riscono all’assioma o proposizione, al sillogismo e al metodo: Duae partes sunt artis logica: topica in inventione ar- gumentorum, id est mediorum principiorum elemento- rum, (sic cnim nominatur in Organo) et analitica in corum dispositione.... Dispositio est apta rerum inventarum collo- catio.... Atque haec pars est quae iudicium proprie nomi- natur, quia sillogismus de omnis iudicandis communis regula est.... Dialecticae artis partes duae sunt: inventio et dispositio. Posita enim quacstione in qua disserendum sit, probationes et argumenta quaerantur; deinde, iis via et ordine dispositis, quaestio ipsa explicatur.® In uno dei brani precedentemente citati il termine memoria è comparso, accanto a quelli di ‘nventio e dispositio come uno degli elementi costitutivi della dialettica (« cum dialecticae sunt inventio, dispositio, memoria; rhetoricae tantum elocutio et actio »). Proprio alla memoria spetta, secondo Ramo, un com- pito preciso: essa costituisce un indispensabile strumento per introdurre ordine nella conoscenza e nel discorso. Come tale essa non può essere omessa o trascurata: Dicis oratori tria esse videnda: quid dicat, quo quidque loco, et quomodo: primo membro inventionem, secundo collocationem, tertio elocutionem et actionem comprehen- dis. Memoria igitur ubi est? Communis est -ais - multa- rum artium, propterea omittitur. Enimvero, inquam, inventionem et dispositionem communescum multis esse (ais), cur igitur haec recensentur, illa contemnitur? 1° Tenendo presente la funzione ordinatrice attribuita da Ramo alla memoria, appare molto significativa la identificazione so- stenuta da Ramo, della memoria (che nella tradizione era una delle cinque “grandi arti” costitutive della retorica) con la dottrina del giudizio appartenente alla dialettica o logica. Dispositio, iudicium, memoria diventano in tal modo, in molti ° Animadversionum aristotelicarum libri XX, Parisiis, 1553-1560, vol. II, prefaz. ai libri IX-XX, p. 1; Institutionum dialecticarum libri tres, Parisiis, 1543, Il, pp. 2, 3, 77 (rispettivamente: Braid. B. XVIII. 6. 248; Ambros. SN. UV. 41). 1° Brutinae quaestiones, cit., p. 8v. 140 CLAVIS UNIVERSALIS testi ramisti, termini intercambiabili, giacché al giudizio spetta appunto il compito di collocare o disporre le res inventas entro un ordine preciso e « razionale » : Dialectico inventionem, dispositionem, memoriam me- rito assignamus; clocutionem et actionem oratori relin- quamus... Iudicium definiamus doctrinam res inventas collocandi, et ca collocatione de re proposita iudicandi: quae certe doctrina itidem memoriae (si tamen cius esse disciplina ulla potest), verissima certissimaque doctrina est, ut una cademque sit institutio duarum maximarum animi virtutum: iudicii et memoriac... Rattonis duae par- tes sunt: ‘nventio consiliorum et argumentorum, eorum- que iudicium in dispositione... dispositionis umbra quae- dam est memoria... Tres itaque partes illae, inventio in- quam dispositio memoria, dialecticae artis sunto.!! Nonostante i dubbi avanzati da Ramo sulla possibilità di una disciplina della memoria come arte autonoma, anzi, pro- prio in forza di questi dubbi, la sua concezione del metodo come disposizione sistematica e ordinata delle nozioni ten- dente alla costituzione di un ordine unitario delle conoscenze appare in grado di assorbire molte di quelle « regole » che avevano trovato un’esplicita teorizzazione all’interno della mnemotecnica tradizionale. L’ assorbimento della memoria nella logica operato da Ramo, la identificazione da lui soste- nuta del problema del metodo con quello della memoria se- gnava l’atto di nascita di quella concezione del metodo come esercitante una funzione classificatoria nei confronti della realtà che avrà grandissima fortuna nel pensiero europeo dei secoli successivi. Questo tipo di considerazione, mentre anti- cipava l'atteggiamento che nella discussione di questi temi Bacone assumerà mezzo secolo più tardi, avvicinava non a caso la posizione di Ramo a quella di Melantone che negli Erotemata dialecticae aveva visto nel metodo un habitus videlicet scientia, seu ars, viam faciens certa ra- tione, id est, quae quasi per loca invia et obsita sensi- bus, per rerum confusionem, viam invenit et aperit, ct res, ad propositum pertinentes, eruit ac ordine promit.!? 1) Scholae in tres primas liberales artes, cit., pp. 14-46; Dialecticac institutiones, cit., p. 19v. 12 MELANTONE, Erotemata dialecticace, in Corpus reformatorum, XIII, c. 573. RAMO, BACONE, CARTESIO 14] Ad un sistematico ordinamento delle rotiones e degli ar- gumenta, ad una ordinata collocatio dei luoghi, alla costru- zione di enciclopedie intese come classificazioni totali degli elementi naturali e delle operazioni umane, alla creazione di una sopica universale avevano del resto mirato non pochi tra i più significativi testi della mnemotecnica ciceroniana e della tradizione lullista. Il fatto che un giovane studioso boemo, Giovanni de Nostiz, potesse pensare a una nuova logica fon- data sugli insegnamenti di Lullo, di Ramo e di Giordano Bruno può suonare conferma di questa fondamentale unità di impostazioni e di intenti. Per concludere: ciò che soprattutto è da sottolineare nella posizione di Ramo è il tentativo di inserire i problemi atti- nenti alla memoria in un discorso assai più vasto che non ri- guardava solo la elaborazione di una particolare tecnica utile agli oratori, agli avvocati, ai poeti, ma concerneva più delicate e complesse questioni attinenti al metodo e alla logica. Più che ai testi degli storici moderni della filosofia, che hanno a lungo equivocato sul significato della riforma ramista, gio- verà richiamarsi alla precisa affermazione di Omar Talon (Audomarus Talaeus), grande teorico della retorica cinque- centesca, discepolo devoto e collaboratore di Ramo: « quest’ul- timo — egli scriveva — ha ricondotto alla logica, alla quale propriamente appartengono, la teoria dell’inventio, della dispositto, della memoria ».'* E gioverà anche rileggere, a chiarire possibili equivoci, il preciso giudizio di Pierre Gas- sendi: Cum observasset enim quinque vulgo fieri partes Rhetori- cac, inventionem, dispositionem, elocutionem, memoriam et pronunciationem, censuit ex ipsis duas solum pertinere ad rhetoricam: clocutionem puta et pronunciationem seu actionem; duas artes esse proprias Logicac: inventionem puta et dispositionem, quibus, quia memoria iuvatur, posse illam eodem cum ipsis spectare. Quare et Logicam seu Dialecticam... in duas partes distribuit: inventionem et iudicium (sic enim potius dicere quam dispositionem maluit...) atque idcirco artem totam duobus libris com- plexus est.!4 sa i È i . i Petri Rami professoris regi et Audomari Talaci collectaneae  pre- fationes, epistolae, orationes, Marburg, 1559, p. 15. 14 Sa P. Gassenpi DiniensIis, Opera omnia in sex tomos divisa, Floren- tiae, 1727, vol. I. De logicae origine et varietate, cap. 9 Logica Rami, p. 52. 142 CLAVIS UNIVERSALIS Della portata rivoluzionaria e delle gravi conseguenze che ebbe nella storia della logica una riforma dall'apparenza tanto inoffensiva ci si è cominciato a render conto solo in tempi molto recenti. In questa sede e in vista dei limitati fini che qui ci proponiamo, basterà notare quanto segue: l’atteggia- mento assunto da Ramo segna una svolta radicale; nella sua stessa direzione, quella di un assorbimento della dottrina degli aiuti della memoria entro i quadri più generali della logica e della dottrina del metodo, si muoveranno, sia pure con intenti estremamente diversi e talora addirittura divergenti, Bacone, Cartesio e, più tardi, Leibniz. 2. Bacone E CARTESIO: LA POLEMICA CONTRO I GIOCOLIERI DELLA MEMORIA. Bacone pubblicò l’Advancement of Learning nel 1605, Novum Organum (la cui stesura era stata iniziata intorno al 1608) c il De augmentis scientiarum rispettivamente nel 1620 e nel 1623. Le Cogitationes privatac di Cartesio risalgono al 1619, le Regulae ad directione ingenit furono composte fra il 1619 e il 1628, il Discorso sul metodo fu pubblicato nel 1637. Nello stesso trentennio il filosofo inglese e quello francese giungono, relativamente all’ars combinatoria e all’ars me- moriae, a conclusioni che presentano una concordanza sin- golare. Sia nelle pagine di Bacone, sia in quelle di Cartesio !* è rintracciabile la documentazione di una conoscenza diretta dei testi cinquecenteschi di arte memorativa. Bacone accenna più volte alle « raccolte di luoghi », alle « sintassi » che gli è avve- nuto di leggere, alla « memoria artificiale », fa esplicito rife- rimento alla « dottrina dei luoghi » c alla « collocazione delle immagini », alla «tipocosmia » di derivazione lulliana. Car- tesio, che è assai più parco di espliciti riferimenti e non ama le citazioni, accenna tuttavia alla sua lettura dell’Ars memo- 15 Le citazioni dai testi di Bacone e di Cartesio rimandano rispettiva- mente a: Ocuvres de Descartes, ed. C. Adam et P. Tannery, Il voll., Parigi, 1897 - 1909; Tie Works of Francis Bacon, ed. by J. Spedding, R. L. Ellis, D. D. Heath, 7 voll, Londra, 1887-92 qui di seguito indicate con le abbreviazioni Oeuvres ec Works. RAMO, BACONE, CARTESIO 143 rativa dello Schenkelius, ritorna più volte sull’ars memoriae, sulla funzione che esercitano le « immagini sensibili » in vista della rappresentazione dei concetti intellettuali, parla, secondo una tipica terminologia, di catena scientiarum, si interessa vivamente alle mirabili scoperte di un ignoto seguace di Lullo, si rivolge all'amico Beeckmann per aver notizie e chiarimenti sui testi lulliani di Agrippa, sul significato e sulle possibilità reali dell'Arte. Questi temi e questi interessi esercitarono, com’è noto, una notevole suggestione sul pensiero baconiano c su quello del giovane Cartesio. Ma c’è di più: alcuni ele- menti attinti alla tradizione dell’ars memiorativa e dell’ars com- binatoria ebbero ad agire in profondità all’interno della stessa formulazione, baconiana e cartesiana, di un nuovo metodo e di una nuova logica. Di questo più avanti. Ciò che qui interessa di porre in rilievo è il significato del rifiuto, che troviamo presente in Bacone e in Cartesio, verso quelle tecniche memorative che si erano ridotte a giochi intellettuali e si erano andate caricando di riferimenti a quella mentalità magico-occultistica contro la quale entrambi i filosofi presero energicamente posizione. La valutazione dell’arte lulliana che troviamo presente da un lato nella lettera a Beeckmann del 1619 e nel Discorso sul metodo e dall’altro nell’Advancement of learning e nel De augmentis è, da questo punto di vista, quantomai significativa. Di fronte al vecchio seguace dell’ars Srevis che si vanta di poter parlare per un'ora intera di un argomento qualunque e di poter poi proseguire per altre venti ore parlando sullo stesso tema in modo sempre diverso, Cartesio, che pure è fortemente inte- ressato al problema, ha l’impressione di una loquacità fon- data su un’erudizione tutta libresca e di un’attività intesa a suscitare l'ammirazione del volgo anziché al raggiungimento della verità. Questo « sospetto » cartesiano si trasforma di- ciott'anni più tardi, nelle pagine del Discorso sul metodo, in una certezza: l’arte di Lullo serve a parlare, senza giudizio, di ciò che in realtà si ignora anziché ad apprendere verità non conosciute o a trasmettere verità note. A identiche conclusioni cra giunto Bacone nel testo del 1605, poi tradotto in latino nel ’23; il metodo lulliano, che gode di grande favore presso alcuni ciarlatani, non è degno della qualifica di metodo, mira all’ostentazione anziché alla scienza, fa sembrare dotti gli 144 CLAVIS UNIVERSALIS uomini ignoranti; fondato su una caotica massa di vocaboli esso sostituisce la conoscenza dei termini a quella, effettiva, delle arti, assomiglia alla bottega di un rigattiere ove si tro- vano molti oggetti, nessuno dei quali ha un grande valore: Bacone, De augmentis, VI, 2, in Works, I, p. 669. Neque tamen illud praetermitten- dum, quod nonnulli viri, magis tumidi quam docti insudarunt circa Methodum quandam, legiti- mae methodi nomine haud di- gnam; cum potius sit methodus imposturae, quae tamen quibus- dam ardelionibus acceptissima pro- culdubio fuit. Haec methodus ita scientiae alicuius guttulas aspergit, ut quis sciolus specie nonnulla eru- ditionis ad ostentationem possit a- buti. Talis fuit Ars Lulli; talis Typocosmia a nonnullis cxarata; quae nihil aliud fuerunt quam vo- cabulorum artis cuiusque massa ct acervus; ad hoc, ut qui voces artis habeant in promptu, ctiam artes Cartesio, a Bceckmann, 29, 4. 1619; Ocuvres, A. et T., X, pp. 164-65; Discours (ed. Gil- son), p. 17. Repperi nudius tertius cruditum vi- rum in Diversorio Dordracensi, cum quo de Lulli arte parva sum loquutus... Senex erat, aliquantu- lum loquax, et cuius eruditio, ut- pote a libris hausta, in extremis labris potius quam in cerebro versabatur... Quod illum certe di- xisse  suspicor, ut admirationem captaret ignorantis, potius quam ut vere loqueretur. Je pris garde que, pour la logi- que, ses syllogismes et la plupart de scs autres instructions servent plutòt à cexpliquer à autrui les choses qu'on sait, cu méme, com- me l'art de Lulle, à parler, sans Jugement, de celles qu'on igno- ipsas perdidicisse.existimentur.Huius generis collectanea officinam referunt veteramentarium, ubi pracsegmina multa repcriuntur, sed nihil quod alicuius sit pretti. re, qu'à les apprendre. L'accusa di « ostentazione » rivolta alla combinatoria lul- liana assumeva, in pagine come queste, un significato storico di grande rilievo: ciò che qui si mirava a colpire era proprio quella riduzione dell’arte sul piano della magia sulla quale avevano a lungo insistito non pochi dei commentatori cinque- centeschi. Quest’accusa non era in realtà cosa nuova, anche se nuovo è il significato che essa viene ad assumere nelle pagine di Bacone e di Cartesio connettendosi alla polemica baconiana e cartesiana contro la tradizione magico-occultistica. La valu- tazione presente nel testo baconiano del 1623, che potrebbe forse essere posta in relazione con quella poi presente nel Discorso sul metodo, sembra in realtà ricalcataproprio sul RAMO, BACONE, CARTESIO 145 giudizio di uno dei grandi commentatori di Lullo che non aveva nascosto la sua simpatia per le arti magiche, Cornelio Agrippa: Hoc autem admonere vos oportet: hanc artem ad pom- pam ingenii ct doctrinae ostentationem potius quam ad comparandam eruditionem valere, ac longe plus habere audaciae quam efficaciae.!® Fin qui ci siamo riferiti alla combinatoria, ma anche nei confrontidell’ars memorativa di derivazione “ciceroniana” le prese di posizione di Bacone e di Cartesio risultano oltre- modo precise e utilmente confrontabili. Cartesio non esita a definire « sciocchezze » le conclusioni cui era pervenuto lo Schenkel in un testo sulla memoria del 1595 nel quale, ac- canto ai consueti canoni dell’ ars reminiscendi ciceroniana, comparivano i ben noti riferimenti alle fonti aristoteliche e tomistiche, alla medicina galenica, i richiami a Simonide, Te- mistocle e Ciro, ad Agostino e a Pico della Mirandola, a Pie- tro da Ravenna e al lulliano Bernardo di Lavinheta.!” L’au- tore di quel libro gli appare, senz'altro, un «ciarlatano »: a quella falsa arte inutile alle scienze, egli contrappone la cono- scenza delle cause.'* Non dissimile da questa, anche se molto più articolata e ricca di riferimenti culturali, è la posizione assunta da Bacone: egli non nega che coltivando la memoria artificiale sia possibile pervenire a risultati mirabili, né afferma (come si fa volgarmente) che le tecniche memorative possano influire negativamente sulla memoria naturale. Nel modo in cui l’arte viene impiegata, essa gli appare tuttavia assoluta- mente sterile, serve a far brillare l’arte mentre è in realtà priva di ogni effettiva utilità. Essere in grado di ripetere subito, nello stesso ordine, un gran numero di parole recitate una sola volta o comporre un gran numero di versi estemporanei su un argomento a scelta è possibile sulla base di un'educazione di alcune facoltà naturali che, mediante l’esercizio, possono essere portate ad un livello miracoloso. Ma di tutto ciò — pro- dì H. C. AcriPPa, Opera, Argentorati, Zetzner, 1600, II, pp. 31-32. !* Cfr. ScHenkEL, De memoria liber, Leodii, 1595, poi ristampato nel Gazophylacium arti: memoriae, Argentorati, 1610 (Copia usata: An- elica, SS. 1. 24). Sulle sue opere e sui suoi rapporti con Leibniz cfr. qui le pp. 253-54. 18 DESscaRTES, Ocuvres, X, p. 230. 146 CLAVIS UNIVERSALIS segue Bacone — non facciamo più conto che della agilità dei funamboli e della destrezza dei giocolieri. Fra i metodi e le sintassi di luoghi comuni che mi è capitato di vedere — egli scrive —non vi è nulla che abbia un qualche valore; gli stessi titoli di quei trattati risentono più delle scuole che del mondo reale, le pedantesche divisioni dei quali i loro autori fanno uso non penetrano in alcun modo nelle midolla delle cose.!* 3. MNEMOTECNICA E LULLISMO IN BAcoNE E IN CARTESIO. a) Bacone. Il passo baconiano al quale ci siamo ora riferiti ha, senza alcun dubbio, il tono di una esplicita condanna. Tuttavia una cosa va subito posta in rilievo: in Bacone è presente la con- vinzione che sia possibile fare, delle arti della memoria, un uso diverso da quello tradizionale. Anziché servirsi di quelle arti per ostentare il prodigioso livello al quale può esser fatta pervenire una facoltà dell'animo umano, anziché piegarle a fini miracolosi e ciarlataneschi sarà possibile servirsene in vista di seri e concreti usi umani; sarà anzi possibile, secondo Ba- cone, migliorare e perfezionare, in vista di queste nuove fina- 19 Bacon, Works, 1, pp. 647-48: « Neque tamen ambigimus (si cui placet hac arte ad ostentationem abuti) quin possint praestari per cam nonnulla mirabilia et portentosa; sed nihilominus res quasi sterilis cst (eo quo adhibetur modo) ad usus humanos. At illud interim ei non im- putamus quod nazuralem memoriam destruat et super-oneret (ut vulgo objicitur); sed quod non dextre instituta sit ad auxilia memoriae commodanda in negotiis et rebus seriis. Nos vero hoc habemus (for- tasse cx genere vitae nostro politicac) ut quae artem iactant, usum

non pracbent parvi faciamus. Nam ingentem numerum nominum aut verborum semel recitatorum eodem ordine statim repetere, aut versus complures de quovis argumento extempore conficere; aut quidquid occurrit satirica aliqua similitudine perstringere; aut seria quacque in iocum vertere; aut contradictione et cavillatione quidvis eludere; et similia; (quorum in facultatibus animi haud exigua est copia, quaeque ingenio et cxercitatione ad miracula usque extolli possunt); haec certe omnia et his similia nos non maioris facimus quam funambulorum et mimorum agilitates et ludicra... Verum est tamen inter methodos ct syntaxes locorum communium quas nobis adhuc videre contigit, nul- lam reperiri quae alicuius sit pretit; quandoquidem in titulis suis fa- ciem prorsus cxhibeant magis scholac quam mundi; vulgares et pae- dagogicas adhibentes divisiones, non autem eas quae ad rerum me- dullas et interiora quovis modo penetrent ». RAMO, BACONE, CARTESIO 147 lità, le già esistenti tecniche della memoria. Intorno alla me- moria — egli scrive nello stesso capitolo del De augmentis (c questo passo è assente nel corrispondente capitolo del- l’Advancement of learing) — si è finora indagato pigra- mente e languidamente. Non mancano certo scritti sull’argo- mento intesi all'ampliamento e al rafforzamento della memo- ria, e tuttavia sia la teorica che la pratica dell’ars memorativa potrebbero essere ulteriormente perfezionate mediante l’elabo- razione di nuovi precetti o regole.?° Un’arte memorativa così perfezionata nei metodi e rinnovata nelle finalità appare a Bacone non solo legittima e possibile, ma necessaria su un duplice terreno: quello delle «scienze antiche e popolari » e quello « completamente nuovo » del metodo scientifico di indagine sulla natura. Questa distinzione fra le due diverse funzioni o i due diversi campi di applicazione dell’arte me- morativa è esplicitamente teorizzata in un passo del De aug- mentis nel quale ritroviamo presente anche la distinzione, cara a tutti i teorici della mnemotecnica, fra memoria natu- rale e memoria artificiale. Sostenere che nella interpretazione della natura — scrive Bacone — possano bastare le forze nude e native della memoria senza che la memoria stessa venga soc- corsa mediante tavole ordinate, sarebbe come sostenere che un uomo, senza l’aiuto di alcuno scritto e affidandosi alla sola memoria, possa risolvere i calcoli di un libro di efemeridi. Ma, lasciando da parte la nterpretatio naturae, che è dottrina com- pletamente nuova, un solido amminicolo della memoria può essere di grandissima utilità anche nelle scienze antiche e po- polari.*! 2° Bacon, Works, I, pp. 647 - 48: « Circa Memoriam autem ipsam, satis segniter et languide videtur adhuc inquisitum. Extat certe de ea ars quaepiam; verum nobis constat tum meliora praecepta de memoria confirmanda et amplianda haberi posse quam illa ars complectitur, tum practicam illius ipsius artis meliorem institui posse quam quae recepta est». 21 Bacon, Works, I, p. 647: « Atque omnino monendum, quod memo- ria sine hoc adminiculo (scriptio) rebus prolixioribus et accuratioribus Impar sit; neque ullo modo nisi de scripto recipi debeat. Quod etiam in philosophia inductiva et interpretatione naturae praecipue obtinet. Tam enim possit quis calculationes ephemeridis memoria nuda absque Scripto absolvere, quam interpretationi naturae per meditationes et vires memoriae nativas et nudas sufficere; nisi eidem memoriae per 148 CLAVIS UNIVERSALIS Della funzione esercitata dagli aiuti della memoria (mi- nistratio ad memoriam) nella logica baconiana e dell'influenza dei trattati rinascimentali di mnemotecnica sulla costruzio- ne baconiana del nuovo metodo delle scienze (la :interpre- ratio naturae) parleremo più oltre. Ci limiteremo qui ad indi- viduare l’eredità delle discussioni rinascimentali sulla memoria artificiale in quella parte della ricerca baconiana che fa riferi- mento alla logica tradizionale. Quest'ultima, secondo Bacone, mantiene la sua piena validità nel campo dei discorsi, delle dispute, delle controversie, delle attività professionali, della vita civile; l’altra, la nuova logica induttiva, è invece indispen- sabile nell’ambito della progressiva conquista, da parte del- l’uomo, della realtà naturale. La prima di queste due logiche, secondo Bacone, esiste di fatto, fu creata dai Greci e in seguito, per molti secoli, ripresa e perfezionata; la seconda si presenta invece come un progetto o un'impresa non mai tentata. La trasformazione di questo progetto in una esecuzione effettiva presuppone che venga radicalmente modificato l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della natura e che mutino, di conse- guenza, le stesse definizioni di «filosofia » e di «scienza ». Ma nell’ambito degli scopi che si propone la filosofia tradi- zionale la vecchia logica nor si presenta come un fallimento. Su questo punto Bacone è assai chiaro: ove si vogliano sol- tanto coltivare e trasmettere le scienze già esistenti; ove si desideri insegnare agli uomini a restare aderenti alle verità già dichiarate e a far uso di esse, ad apprendere l’arte di in- ventare argomenti e di trionfare nelle dispute, quella logica si mostra perfettamente funzionale, anche se bisognosa di integrazioni e perfezionamenti. Là ove si occupa dei caratteri della logica nuova, Bacone dichiara ripetutamente di non inte- ressarsi affatto, in quella sede, delle arti popolari o opinabili, né di pretendere in alcun modo che la nuova logica possa ser- vire a realizzare quei fini per i quali fu costruita la logica tradizionale. Nelle scienze fondate sull’opinione e sui giudizi tabulas ordinatas ministretur. Verum, missa interpretatione naturae, quae doctrina nova est, etiam ad veteres et populares scientias haud quicquam fere utilius esse possit quam memoriae adminiculum soli- dum ct bonum; hoc est, Digest probum et eruditum /ocorum com- muntum ». Il passo ora citato non figura nel corrispondente luogo del- l'’Advancement of learning, in Works, HI, pp. 397 - 98. RAMO, BACONE, CARTESIO 149 probabili, nei casi cioè in cui si tratta di costringere non le cose, ma l’assenso, l’uso delle anticipazioni e della dialettica, afferma Bacone nel Novum Organum, è buono (bonus) men- tre esso appare condannabile dal punto di vista della logica nuova. La dialettica ora in uso, si afferma ancora nella pre- fazione alla Instauratio magna, non è assolutamente in grado di «raggiungere la sottigliezza della natura », ma essa può essere usata efficacemente nel « campo delle cose civili e delle arti che concernono il discorso e l’opinione ». Solo quando si voglia trionfare non degli avversari, ma delle oscurità della natura, giungere non a cognizioni probabili, ma a conoscenze certe e dimostrate, non inventare argomenti ma opere, sarà necessario far uso della interpretatio naturae che è infinita- mente diversa dalla anzicipatio mentis o logica ordinaria.’ Nell'ambito di questa logica ordinaria, del tipo di discorso che mira alla persuasione o al raggiungimento dell’altrui as- senso, che non mira all’invenzione delle arti e delle opere, ma degli argomenti, le tecniche memorative esercitano una pre- cisa funzione. Nel capitolo quinto del quinto libro del De augmentis dedicato all’ars retinendi ricomparivano in tal modo, nella trattazione baconiana, i motivi, ormai ben noti, dell’ars memorativa “ciceroniana”: la dottrina dei loc: e delle 1m2a- gines, la tesi di una necessaria « convenienza » tra le immagini e i luoghi, il riconoscimento della necessità di rappresentare sensibilmente i concetti mediante immagini ed emblemi. Il tema di una topica o sistematica raccolta di luoghi veniva ri- preso in queste pagine: si è soliti affermare — scrive Bacone — che la raccolta dei luoghi può essere dannosa al sapere; la fatica necessaria ad effettuare tali raccolte viene al contrario sempre ricompensata perché nel mondo del sapere non è pos- sibile giungere a risultati ove manchi la solida base di una vasta conoscenza. I luoghi «forniscono dunque materiale all'invenzione e rendono più acuto il giudizio consentendogli di concentrarsi in un sol punto ». I due principali strumenti dell’arte della memoria sono laprenozione e l'emblema. La prima ha il compito di porre dei limiti ad una ricerca che # Per le differenze fra la logica ordinaria e la logica nuova cfr.: Par- fis instaurationis secundae delineatio et argumentum, Works, III, PP. 547 ss.; Distributio operis, Works, I, pp. 135-37; Praefatto gene- ralis, Works, I, p. 129; Novun: Organum, I, 26, 29. 150 CLAVIS UNIVERSALIS risulterebbe altrimenti infinita, di limitare il campo delle no- zioni e di stabilire confini entro i quali la memoria possa muo- versi agevolmente. La memoria ha infatti soprattutto bisogno di limitazioni: l'ordine e la distribuzione dei ricordi, i luoghi della memoria artificiale «già in anticipo preparati » i versi sono per Bacone le principali di queste limitazioni. Nel primo caso il ricordo deve accordarsi con l'ordine stabilito, nel se- condo porsi in specifica relazione con i luoghi usati, nel terzo deve essere una parola che si accordi con il verso. Nella for- mulazione delle immagini i luoghi introducono quindi ordine e coerenza, ma le immagini, a loro volta, possono essere più facilmente costruite facendo ricorso agli emblemi. Questi ul- timi, secondo Bacone, « rendono sensibili le cose intellettuali e poiché il sensibile colpisce più fortemente la memoria, si imprime in essa con maggiore facilità ». Del tutto simile alla funzione esercitata dagli emblemi è quella dei gesti e dei geroglifici: gli emblemi non hanno dunque una funzione limitata allo specifico settore della memoria, ma funzionano come veri e propri mezzi di comunicazione. Nel caso dei gesti ci troviamo in presenza di «emblemi transitori », nel caso dei geroglifici di « emblemi fissati mediante la scrittura ». Il rapporto gesti-geroglifici è identico, da questo punto di vista, a quello che intercorre fra linguaggio parlato e linguaggio scritto. Mentre i geroglifici, in quanto emblemi, hanno sempre qualcosa in comune con la cosa significata (sinzlitudo cum re significata), i caratteri reali o ideogrammi non hanno nulla di emblematico. Il loro significato dipende solo dalla conven- zione e dalla abitudine che su di essa si è in seguito istituita. Il carattere della convenzionalità accomuna i caratteri reali alle lettere dell’alfabeto, ma i primi, a differenza delle seconde, si riferiscono in modo diretto alla cosa significata, rappresen- tano cose e nozioni, non parole (nesther letters nor words,... but things or notions). Un libro composto con caratteri reali può quindi essere letto e compreso da persone appartenenti a differenti gruppi linguistici e parlanti lingue diverse che accettino per convenzione i significati dai vari ideogrammi.** Proprio alle discussioni sulla memoria artificiale si erano 29 Cfr. Advancement of Learning, Works, III, p. 399; De augmentis; Works, I, pp. 648-49, 651 -53. RAMO, BACONE, CARTESIO 15] collegate, nel Rinascimento, le considerazioni sui gesti c sui geroglifici. L’approfondimento del problema delle immagini aveva condotto Giambattista della Porta, nella sua Ars remi- niscendi, a prendere in esame questo tipo di problemi. Una volta definita l’immagine come « pittura animata che rechiamo nella imaginativa per rappresentare così un fatto come una parola », il Porta si trovava di fronte ad una grave difficoltà : non nel caso di tutti i termini linguistici — cgli notava — è possibile la costruzione di immagini appropriate (« le parole che ci occorrono a ricordare altre hanno le loro immagini, altre ne stanno senza »). Nel caso di termini che non simbo- lizzano cose materiali, come « perché », «ovvero », « tanto » ecc. è necessario ricavare le immagini dalla scrittura: far cor- rispondere cioè immagini adatte alle singole lettere o gruppi di lettere che costituiscono un termine. In altri casi è invece possibile il ricorso al significato e a questo proposito torna opportuno il parallelo con i geroglifici: gli Egizi « non avendo lettere con che potessero scrivere i concetti... e a ciò che più facilmente si tenessero a memoria le utili speculationi della filosofia, ritrovorno lo scrivere con pitture, servendosi d’imagini di quadrupedi, d’uccelli, di pesci... la qual cosa noi habbiamo giudicato molto utile per le nostre ricerche, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini in vece delle lettere per poterle dipingere nella memoria ». Altri significati, proseguiva il Porta, potranno essere espressi mediante i gesti (« potremo parimenti col gesto esprimere alcune significationi di parole »). Conclu- sioni di questo stesso tipo si trovano presenti nel Thesaurus artificiosae memoriae del Rosselli (1579) e nel De memoria artificiosa libellus di Johannes Austriacus (1610) che, proprio come Bacone, aveva fatto rientrare i gesti e i geroglifici nella più generale categoria dei « segni ».° 24 Cfr. L’arte del ricordare del signor Gio. Battista Porta napoletano, tradotta da latino in volgare per M. Dorandino Falcone da Gioia, Na- poli, Mattio Cancer, 1566 (Braid. 25.16.K.14-15): sulla scrittura degli Egizi il capit. XIX, sui gesti il capit. XX; C. RosseLLIus, Thesaurus artificiosae memoriae, Venetiis, 1579, p. 117v; JoHanNnES AustRIACUS, De memoria artificiosa libellus, Argentorati, Antonius Bertramus, 1610, p. 215 (copie usate: Braid. B. XI. 4951; Angelica SS. 1.24). Sulla Egittomania e sulla diffusione c la moda degli emblemi nella cultura dei secoli XVI e XVII si vedano le considerazioni precedente- mente svolte a pp. 104-105 c le opere indicate a p. 105, n. 32. 152 CLAVIS UNIVERSALIS La trattazione baconiana appare dunque, dopo quanto si è detto, profondamente influenzata da una veneranda lettera- tura concernente i segni e le immagini, ma l’eco delle discus- sioni rinascimentali sui luoghi e sulle immagini risulta ancora più evidente nel Novum Organum (II, 26) ove Bacone giunge a ripetere la tradizionale partizione dei /oci: «loci in memoria artificiali... possunt esse loci secundum proprium sensum, ve- luti janua, angulus, fenestra, et similia, aut possunt esse per- sonae familiares et notae, aut possunt esse quidvis ad pla- citum (modo in ordine certo ponantur), veluti animalia, her- bae; etiam verba, literae, characteres, personae historicae et caetera; licet nonnulla ex his magis apta sint et commoda, alia minus ». L’uso dei /oc: appare a Bacone in grado di esaltare le forze della memoria al di sopra dei suoi limiti na- turali («huiusmodi autem loci memoriam insigniter iuvant, camque longe supra vires naturales exaltant »). Accostando l'ordine, ai luoghi e ai versi, insistendo sul valore delle im- magini sensibili (« quicquid deducat intellectuale ad ferien- dum sensum — quae ratio etiam praecipue viget in artifi- ciali memoria — iuvet memoriam »), Bacone mostrava inol- tre di accogliere pienamente i risultati essenziali cui erano pervenuti i teorici della memoria artificiale. Più sottili, meno espliciti, e quindi più difficilmente de- terminabili sono, sempre relativamente a Bacone, i rapporti con la tradizione della combinatoria. A Lullo Bacone ac- cenna soltanto una volta, in una frase che suona — ab- biamo visto — esplicita condanna. Tuttavia chi ponga mente ad alcuni temi caratteristici della filosofia baconiana, non potrà non esser portato a rilevare la concordanza di certe so- luzioni con quelle presenti in quelle sintassi universali, di precisa derivazione lulliana, alle quali Bacone fa più volte esplicito riferimento. All’immagine lulliana dell’ardor scien- trarum, presente nel terzo libro del De augmentis, si connette, non a caso, il progetto di una scienza universale o filosofia prima o sapienza (Scientia universalis, Philosophia prima sive Sapientia) ben distinta dalla tradizionale metafisica. Quest’ul- tima si configura per Bacone come « una fisica generalizzata fondata sulla storia naturale » che mira da un lato alla de- terminazione delle forme e dall'altro a quella delle cause fi- nali. La filosofia prima concerne invece quella porzione del- RAMO, BACONE, CARTESIO 153 l’albero delle scienze che è come una « parte comune della via », che precede la partizione e la suddivisione dei vari rami del sapere. Gli assiomi che non sono propri delle scienze particolari, ma comuni a molte scienze non sono in alcun modo riducibili a semplici similitudini: essi appaiono invece a Bacone segni e vestigi della natura impressi in materie e soggetti differenti: « neque similitudines merae sunt — quales hominibus fortasse parum perspicacibus videri possint — sed plane una eademque naturae vestigia et signacula diversis ma- teriis et subiectis impressa ». Attraverso quella organica rac- colta degli assiomi, della quale Bacone lamenta l’assenza, sa- rebbe possibile porre in luce l’unità della natura."° Per concludere: la vivace polemica baconiana contro i fu- namboli della memoria non investe le tecniche memorative in quanto tali, ma i ripetuti tentativi che erano stati fatti per ridurle sul piano delle arti occulte e della magia. Pie- gata alle più serie finalità della retorica, inserita nella logica della persuasione, l’ars memorativa conservava ancora un suo posto ed una sua precisa funzione nella nuova enciclopedia delle scienze. Infine il progetto baconiano di una scientia uni- versalis, mater reliquarum scientiarum si presentava, proprio come era avvenuto nella tradizione lulliana, come volto a de- terminare un’unità del sapere che trova la sua giustificazione e il suo fondamento nell’unità stessa del mondo reale. b) Descartes. Intorno alle discussioni sulle immagini e sui simboli pre- senti in taluni testi cartesiani si son scritte, anche di recente, cose assai acute e stimolanti anche se non sempre storica- mente esatte. A proposito di alcuni passi degli Olympica con- cernenti la rappresentazione, mediante corpi sensibili, delle «cose spirituali », un insigne studioso di Cartesio ha parlato dell’« idée aristotelicienne de la philosophie qui n'est pas mise en cause» altri, riferendosi a quelle stesse note cartesiane e cercando di coglierne «la résonance intérieure et profonde», 25 Per il già ricordato giudizio su Lullo cfr. De augmentis, Works, I, p. 699; sulla filosofia prima De augmentis, Works, 1, pp- 540 - 544. Sulla distinzione tra la filosofia prima baconiana e la tradizionale metafisica è da vedere il preciso giudizio di F. Anperson, The phi- losophy of F. Bacon, Chicago, 1948, pp. 214-15. 154 CLAVIS UNIVERSALIS ha visto in esse l’espressione di un uomo «qui est à la re- cherche de l’inspiration pure »; altri infine, riferendosi alla immagine cartesiana dell’albero delle scienze, ha lungamente dissertato sulle ragioni della scelta cartesiana dell’immagine di una realtà vivente e sulla « circulation de la vie » presente nell'albero stesso.?* Ove si abbandoni il progetto di rintrac- ciare il senso di interiori risonanze e si tengano invece pre- senti i risultati cui erano giunti quegli enciclopedisti e quei retori del Cinquecento che si erano occupati delle immagini e dell’immaginazione, dei simboli e della memoria, dell’unità delle scienze e delle tecniche combinatorie, sarà forse possibile — pur raggiungendo più modesti risultati — illuminare al- cuni testi particolarmente oscuri e dare, a molte delle affer- mazioni ed osservazioni del giovane Cartesio, un senso pre- ciso e ben determinato. Una cosa va subito notata: la “condanna” cartesiana delle arti della memoria, alla quale abbiamo fatto riferimento nel precedente paragrafo, è, così come quella baconiana, assai meno recisa di quanto non possa a prima vista apparire. In un passo scritto fra il 1619 e il 1620, volto a commentare e a criticare l’Ars memorativa dello Schenkelius, Cartesio mo- stra infatti di accertare e la terminologia c la stessa impo- stazione del problema della memoria presenti nella trattati- stica di derivazione “ciceroniana”: non solo egli attribuisce all’immaginazione la stessa funzione mnemonica che ad essa attribuivano i teorici della memoria artificiale, ma riconosce che quest’ultima non è, in quanto tale, priva di reale efficacia. All’Ars memorativa dello Schenkelius egli infine contrappone, ed è questo il punto che presenta un interesse particolare, una vera arte della memoria della quale offre, in una pagina circa, le regole fondamentali. All’ordine solo apparente pre- 26 Cfr. H. Gounier, Le refus du symbolisme dans l'humanisme car- tesien, in Umanesimo c simbolismo, atti del IV convegno internaz. di studi umanistici, Padova, 1958, p. 67; M. De Corte, Lu dialectique poétique de Descartes, in « Archives de Philosophie », XIHI, 1937, cahier II: Autour du Discours de la méthode, pp. 106-107; P. Mesnarp, L'arbre de la sagesse, nel vol. miscellanco, Descartes, Cahiers de Royau- mont, Paris, 1957, pp. 336 ss. Nello stesso volume è da vedere, su questi problemi, il saggio di M. TH. Spoerri, La pwuissance métapho- rique de Descartes. Cfr., per un più ampio esame, H. GouHier, Les premières pensées de Descartes, Paris, Vrin, 1958. 71 71 RAMO, BACONE, CARTESIO I sente nell’opera dello Schenkel egli intende sostituire un retto ordine che deriva, a suo avviso, dalla costruzione di imma- gini poste, l'una con l’altra, in un rapporto di reciproca di- pendenza: dalle immagini di oggetti connessi tra loro ver- ranno ricavate nuove immagini o almeno, da tutte quelle im- magini, se ne ricaverà una sola; ogni immagine andrà inoltre (a differenza di quanto avveniva nell’opera dello Schenkel) posta in rapporto non solo con quella a lei più vicina, ma anche con le altre. L'immagine di un'asta gettata a terra farà così da collegamento fra la quinta e la prima immagine, quest’ultima sarà collegata alla seconda da un dardo scagliato verso di essa, alla terza da un qualche altro rapporto reale o arbitrariamente costruito.”’ In questo suo breve progetto di un nuova tecnica me- morativa, Cartesio appariva evidentemente influenzato dai ri- sultati dell’ars reminiscendi. Proprio a questi suoi interessi per l'Arte, che non si esauriscono affatto sul piano della semplice curiosità intellettuale, appaiono infatti da collegare alcune si- gnificative espressioni presenti in quelle pagine di diario note come Cogitationes privatae. In esse ritorna una dottrina cara a tutti i trattatisti della memoria artificiale da Pietro da Ra- venna allo Schenkel, quella relativa all'impiego delle im- magini corporee o sensibili in vista della rappresentazione dei concetti astratti o « cose spirituali »: « come l’immaginazione 2? Descartes, Qeuvres, X, p. 230: « Perlegens Lamberti Schenkelii lu- crosas nugas (lib. De arte memoriae) cogitavi facile me omnia quae detexi imaginatione complecti: quod sit per reductionem rerum ad causas; quae omnes cum ad unam tandem reducantur, patet nulla ope esse memoria ad scientias omnes. Qui enim intelliget causas, elapsa omnino phantasmata causae impressione rursus facile in cerebro formabit. Quac vera est ars mermoriae, illius nebulonis arti plane con- traria: non quod illa effectu careat, sed quod chartam melioribus occupandam totam requirat et in ordine non recto consistat; qui ordo In eo est, ut imagines ab invicem dependentes efformentur. Ipse exco- gitavi alium modum: si ex imaginibus rerum non inconnexarum ad- discantur novae imagines omnibus communes, vel saltem si ex om- nibus simul una fiat imago, nec solum habeatur respectus ad proxi- mam, sed etiam ad alias, ut quinta respiciat primam per hastam humi proiectam, medium vero, per scalam ex qua discendent, et secunda per telum quod ad illam proiiciat, et tertia simili aliqua ratione in rationem significationis vel verae vel fictitiac ». Sulla scrittura e gli altri aiuti alla memoria cfr. Entretiens avec Burman, Paris, 1937, pp. 8, 16. 156 CLAVIS UNIVERSALIS si serve di figure per concepire i corpi, così l'intelletto si serve di taluni corpi sensibili, come il vento e la luce, per raffigurare le cose spirituali... Cose sensibili possono aiutarci a concepire quelle dell'Olimpo: il vento significa lo spirito, il moto con il tempo la vita, la luce la conoscenza, il calore l’amore, l’attività istantanea la creazione ».°* Il fatto che Car- tesio, nell’età matura, giunga a un radicale rifiuto di ogni simbolismo, non elimina, per lo storico, il compito di andar rintracciando le origini, spesso legate a temi culturali assai “torbidi” di una filosofia che si svolse sotto il segno della distinzione e della chiarezza razionale. Non a caso, negli stessi anni in cui escogitava una nuova tecnica memorativa, Cartesio pareva anteporre i risultati dell'immaginazione e della poesia a quelli della filosofia e della ragione; si dilet- tava, come già tanti fra i “maghi” del Cinquecento, alla costruzione di «automi» e di «giardini d’ombre »; si in- formava del significato dei commenti lulliani di Agrippa; si interessava all’ordo locorum;?* insisteva, come già avevano fatto tanti fra i commentatori di Lullo, sull’unità e sull’ar- monia del cosmo: « Una est in rebus activa vis, amor, cha- ritas, armonia... Omnis forma corporea agit per harmo- niam ».°° Non si trattava solo di giovanili concessioni ad una moda filosofica. Molti anni più tardi, nel 1639, dopo aver letto e meditato il Pansophiae Prodromus di Comenio, Des- 28 Descartes, Ocuvres, X, p. 217-218: «Ut imaginatio utitur figuris ad corpora concipienda, ita intellectus utitur quibusdam corporibus sensibilibus ad spiritualia figuranda, ut vento, lumine: unde altius phi- losophantes mentem cognitione possumus in sublime tollere... Sensibilia apta concipiendis Olympicis: ventus spiritum significat, motus cum

tempore vitam, calor amorem, activitas istantanea creationem ». 2° « Mirum videri possit, quare graves sententiac in scriptis poctarum magis quam philosophorum. Ratio est quod poctae per enthusiasmum ct vim imaginationis scripsere: sunt in nobis semina scientiae, ut in silice, quae per rationem a philosophis educuntur, per imaginationem a poctis excutiuntur magisque elucent » (Oeuvres, X, p. 217). « On peut faire un jardin des ombres qui representent diverses figures, telles que les arbres et lcs autres... dans une chambre faire [que] les rayons du soleil, passant pour certaines ouvertures, representent diverses chif- fres ou figures» (Ouvres, X, p. 215). « Inquirebam autem diligentius utrum ars illa non consisteret in quodam ordine locorum dialecticorum unde rationes desumuntur... » (Oewvres, X, p. 165). 30 Descartes, Ocuvres, X, p. 218. RAMO, BACONE, CARTESIO 157 cartes insisteva ancora (pur rifiutando come impraticabile il disegno comeniano) sullo stretto parallelismo intercorrente tra una conoscenza « unica, semplice, continua, riducibile a po- chi princìpi » € la «una, semplice, continua, natura » rispetto alla quale la conoscenza si pone come una « pittura » 0 « specchio » : Quemadmodum Deus est unus ct creavit naturam unam, simplicem, continuam, ubique sibi cohaerentem ct res pondentem, paucissimis, constantem principiis clemen- tisque ex quibus infinitas propemodum res, sed in tria regna minerale, vegetale et animale certo inter se ordine gradibusque distincta perduxit; ita et harum rerum co- gnitionem esse oportet, ad similitudinem unius Creatoris et unius Naturae, unicam simplicem, continuam, non interruptam, paucis constantem  principiis (imo unico Principio principali) unde caetera omnia ad specialis- sima usque individuo nexu et sapientissimo ordine de- ducta permanent, ut ita nostra de rebus universis et sin- gulis contemplatio similis est picturae vel speculo uni- versi et singularum ceiusdem partium imaginem exactis- sime repraesentanti.5! Comunque sia da valutare il senso di queste caratteri- stiche espressioni cartesiane, certo è che il programma del giovane Cartesio — un uomo che non ha ancora « preso partito sui fondamenti della fisica» e che è solo «un ap- prenti physicien-mathématicien sans métaphysique » — può apparire, da questo punto di vista, singolarmente vicino a quello presente nelle sirtassi e nelle enciclopedie lulliane del tardo Cinquecento: dietro la molteplicità delle scienze, il loro isolamento, si nasconde un’unità profonda, una legge di connessione, una logica comune. Una volta liberate le sin- gole scienze dalla loro maschera, sarà possibile rendersi conto di una carena scientiarum nel cui ambito le singole scienze ®1 Descartes à Mersenne (1639) in Ocuvres, Supplément, pp. 97-98. La lettera fu in precedenza pubblicata in Spisy Jana Amosa KomensgeHO, Korrespondance, a cura di J. Kvacala, Praga, 1897, p. 83. Il Zbro cui faceva riferimento Cartesio in una lettera del 1639 (Oexvres, II, PP. 345 - 48): «j'ai lù soigneusement le livre que vous avez pris la peine de m' envoyer... » era il Pansophiae Prodomus di Comenio (Cfr. Oeuvres,

Supplément, pp. 99-100 ove si ricorda anche una lettera di Mersenne a Th. Haak nella quale Cartesio è segnalato come uno dei filosofi più competenti a parlare intorno all'opera del Comenio). 158 CLAVIS UNIVERSALIS potranno essere ritenute con la stessa facilità con la quale si ricorda la serie dei numeri: Larvatac nunc scientiac sunt: quae, larvis sublatis, pul- cherrimae apparerent. Catenam scientiarum  pervidenti, non difficilius videbitur cas animo retinere, quam seriem numerorum.?? Il problema dell’enciclopedia appare qui, una volta an- cora, collegato in modo oltremodo significativo a quello della memoria. Questi stessi termini e gli stessi concetti ritroviamo — attribuiti a Cartesio — nel Commentatre ou remarques sur la Methode de R. Descartes del Poisson, mentre, nella prima delle Regulae, Cartesio afferma che la connessione sus- sistente fra le singole scienze è tanto stretta da rendere l’ap- prendimento di tutte le scienze insieme più facile della se- parazione di una di esse dalle altre: il legame di congiun- zione e di reciproca dipendenza tra le scienze, esclude che, in vista di un apprendimento della verità, si possa scegliere una scienza particolare: «credendum est, ita omnes [scien- tias] inter se esse connexas, ut longe facilius sit cunctas simul addiscere, quam unicam ab aliis separare. Si quis igitur serio rerum veritateminvestigare vult, non singularem aliquam debet optare scientiam: sunt enim omnes inter se coniunctas et ab invicem dependentes »."° Se ci volgiamo ai testi del lullismo seicentesco, ad opere che sono ben lontane dall'atmosfera cartesiana, permeate di magia e di occultismo, miranti alla fondazione della medi- cina universale e dell’enciclopedia totale, piene di riferimenti alle fonti della tradizione ermetica, troviamo presente la stessa insistenza sulla catena scientiarum, sulla molteplicità solo ap- parente delle scienze, sulla corrispondenza tra un armonioso e ordinato sapere e un’armonica natura, sulla necessità di una sapienza che superi la fittizia parzialità dei singoli rami del sapere. Il medico e mago Jean d’Aubry, seguace e tradut- tore di Lullo, mentre si difendeva dall’accusa di aver operato 9? DescarTEs, Ocuvres, X, p. 215. Sono da vedere, su questo passo, le precise osservazioni di R. KLIbansky, The philosophic character of history, nel volume miscellanco P/ilosophy and history, Oxford, 1936, pp. 323 - 337. 39 Descartes, Oeuvres, X, p. 361. 159 RAMO, BACONE, CARTESIO secondo magia, accennava proprio a questi concetti. A pro- posito della catena scientiarum egli si richiamava in modo assai significativo al commento alla creazione di Pico condotto secondo gli insegnamenti della cabala: P. Poisson, Commentaire, p. 73 Il regne je ne sgai quelle liaison, qui fait qu’une verité fait décou- vrir l’autre, et qu'il ne faut que trouver le bon but du fil, pour aller jusqu'à l’autre sans inter- ruption. Ce sont à peu-près les paroles de M. Descartes que j’ay leies dans un de ses fragmens manuscrits: Quippe sunt conca- tenatae omnes scientiae, nec una Jean D’AuBry, ipologie, 1638. Qui doute que les parties de la doctrine (que les sots et les igno- rants appellent sciences, comme sil y en avoit plusieurs) ne se trouvent  enchainées  l’une avec l’autre, qu'il est impossible d’estre entendu en la moindre sans avoir une pleine connoissance de tou- tes; l’Eptaple de Pic de la Mi- rande sur les jours de la création perfecta haberi potest quin aliae et l’armonie di monde de Paul sponte sequantur, et tota simul Venitien vous le montrent...?* encyclopedia apprehendatur.34 Lo studio delle connessioni esistenti tra il progetto car- tesiano di una scientia penitus nova?" e gli interessi di Car- tesio (evidenti nelle lettere al Beeckmann del 1618) per una matematizzazione della fisica, è cosa che esce dai limiti della presente ricerca. Quest'ultima può tuttavia servire a mostrare il carattere eccessivamente semplicistico dei tentativi — che si sono più volte ripetuti — di identificare senz’altro la mathesis universalis cartesiana con una pura e semplice esten- sion del metodo matematico a tutti i campi del sapere.’ La scientia nova deve «contenere i primi rudimenti della ragione umana e far uscire la verità da qualsiasi soggetto »: essa è la fonte di ogni altra umana conoscenza. Il progetto cartesiano, poi tanto ricco di complessi e importantissimi svi- luppi, aveva in realtà tratto alimento, così come quello di 34 P. Poisson, Commentaire ou remarques sur la Methode de R. De- scartes, Vandosme, 1670, parte II, Oss. 6, p. 73 (Cfr. Oeuvres, X, p. 255). 35 Jean D’Ausry, Le triumphe de l’archée et la merveille du monde, cit., ediz. parigina del 1661 (Vatic. Racc. Gen. Medicina. IV. 1347): Apolo- gie contre certatns docteurs ecc., in appendice, pagine non numerate. 3° Cfr. Ocuvres, X, p. 157. °? Cfr. per esempio J. Larorte, Le rationalisme de Descartes, Paris, 1950, pp. 8-10. Per una più esatta valutazione: A. DeL Noce, prefazione alla trad. it. delle Meditazioni metafisiche, Padova, 1949, pp. XXIII - XXIV. 160 CLAVIS UNIVERSALIS Bacone, da un terreno storico preciso: quell’enciclopedismo di derivazione lulliana che aveva profondamente imbevuto di sé la cultura del Cinquecento e che raggiungerà non a caso, proprio nel secolo XVII, la sua massima fioritura. Nei commenti lulliani di Agrippa, nella Syntaxes del Gre- goire, nell’Opus aureum del De Valeriis, nella Explanatio del Lavinheta, così come più tardi nella Regina scientiarum del Morestel e negli scritti del d’Aubry, ci si era volti alla ricerca di un «unico strumento » comune a tutte le scienze, di un’unica «chiave » o «sapienza» capace di garantire as- soluta certezza e assoluta verità, di fornire infallibili solu- zioni e risposte, di porsi come regola di ogni possibile scienza particolare. Alla grande diffusione di questo tipo di lettera- tura e di questi testi, noti e celebrati, più volte tradotti e più volte riediti nei principali centri della cultura europea, alla conoscenza diretta o indiretta che di essi ebbero Bacone e Cartesio, va fatta risalire l’immagine, comune ai due filo- sof, dell’ardor scientiarum. Da questo terreno storico traeva anche origine la loro ricerca — destinata poi ad orientarsi in maniera così profondamente divergente — di una scientia universalis o sapientia madre e fonte e radice unitaria di ogni ramo del sapere: Bacone, De augmentis, III, |, in Works, I, pp. 54041. Quoniam autem partitiones scien- tiarum non sunt lineis diversis si- miles, quae cocunt ad unum an- gulum; sed potius ramis arbo- rum qui coniunguntur in uno trunco (qui etiam truncus ad spa- tium nonnullum integer est cet continuus, antequam se partiatur in ramos); idcirco postulat res ut  priusquam  prioris  partitionis membra persequamur, constitua- tur una Scientia universalis, quae sit mater reliquarum ct habetur in progressu doctrinarum  tan- quam portio viae communis an- tequam viae se separent cet di- siungant. Hanc Scientiam Philo- Descartes, Regulae, IV c Pref. ai Principes, in Ocuvres, X, pp. 373-74. Quicumque tamen attente respe- xerit ad meum sensum facile per- cipiet me nihil minus quam de vulgari Matematica hic cogitare, sed quamdam aliam me expone- rc disciplinam, cuius integumen- tum sit potius quam partes. Haec enim prima rationis humanae ru- dimenta continere, et ad veritates cx quovis subiecto cliciendas se extendere debet; atque, ut libere loquar, hanc omni alia nobis hu- manitus tradita cognitione potio- rem, utpote aliarum omnium fon- tem, esse mihi persuadco... Ainsi toute la philosophie est comme un arbre, dont les racines sont RAMO, BACONE, CARTESIO 161 sophiac primae, sive etiam Sa- la méthapysique, le tronc est la pientiac.. nomine insignimus. physique, et les branches qui sor- tent de ce tronc sont toutes les autres sciences... 4. L’ INSERIMENTO DELLE TECNICHE MEMORATIVE NELLA NUOVA LOGICA. a) Gli aiuti della memoria nel metodo baconiano: tavole, to- pica, induzione. Ponendo mente alla dottrina ramista secondo la quale la memoria si presenta come una delle parti o sezioni della dia- lettica, acquista particolare significato la classificazione ba- coniana della logica presente nell’Advancement of learning del 1605 e in seguito ripresa nel De augmentis scientiarum. Per Bacone la logica comprende quattro parti o sezioni de- nominate arzi intellettuali: tale quadripartizione è fondata sui fini o gli scopi che l’uomo si propone di realizzare. L'uomo: a) trova ciò che ha cercato; b) giudica ciò che ha trovato; c) rittene ciò che ha giudicato; d) trasmette ciò che ha ri- tenuto. Siamo quindi in presenza di quattro arti: 1) l’arte della ricerca o dell'invenzione (art of inquiry or invention); 2) l’arte dell'esame o del giudizio (art of examination or judgement); 3) l’arte della conservazione o della memoria (art of cu- stody or memory); 4) l’arte della elocuzione o della comunicazione (art of elocution or tradition)."* In questa classificazione Bacone si richiamava da un lato alle tradizionali partizioni della retorica, dall'altro alle posizio- ni ramiste: si discostava da entrambe queste posizioni quando dava al termine « invenzione » un significato molto più ampio di quello tradizionale distinguendo nettamente fra invenzione degli argomenti e invenzione delle scienze e delle arti. In quest'ultimo settore Bacone riscontra le maggiori deficienze: "* Advancement of Learning, Works, III, pp. 383-8; De augmentis, Works, I, p. 616. 162 CLAVIS UNIVERSALIS mentre per l’invenzione degli argomenti è più che sufficiente la logica tradizionale, per consentire all'uomo l’invenzione di nuove arti e quindi il dominio della natura è necessario procedere ad una riforma del metodo scientifico fornendo alla conoscenza umana un nuovo organo o strumento lo- gico."° La interpretatio naturae o la nuova induzione, teo- rizzata da Bacone nel secondo libro del Novum Organum è quindi solo una delle due parti nellequali si articola l’arte dell'invenzione la quale è, a sua volta, una delle quattro parti nelle quali si suddivide la logica baconiana. La riforma dell’induzione scientifica è quindi solo un aspetto e una sezione di quella generale restaurazione del sapere che Bacone ha in animo di realizzare. Quando si cera mosso sul piano delle «scienze antiche e popolari » o della «logica ordinaria », Bacone — come abbiamo visto — aveva cercato di chiarire la funzione della memoria e delle arti memorative nell’ambito di quella parte dell’ars inveniendi che mira non ad inventare opere ed arti, ma si limita ad inventare argomenti e si pone come una tecnica della per- suasione. Il problema dell’ars memorativa e della memoria si porrà tuttavia, per Bacone, anche nell’ambito della inter- pretatio naturae o della nuova logica. Le considerazioni svolte da Bacone nella Delineatio sulla totale e assoluta diversità fra la logica ordinaria e la logica della scienza, sulla radicale differenza di fini e di procedi- menti delle due logiche, non gli impediranno di richiamarsi, nel caso della ministratio ad memoriam (che è parte inte- grante e costitutiva della nuova logica) a un ordine di con- siderazioni assai simile a quello al quale aveva fatto riferi- mento muovendosi sul piano delle «arti del discorso » 0 della «logica ordinaria ». Nel caso dei discorsi ec della in- venzione degli argomenti, le difficoltà nascevano dalla pre- senza di una molteplicità di termini e di argomenti; sul ter- reno delle opere e del metodo scientifico, le difficoltà nascono dalla presenza di una infinita molteplicità di fatti. La dot- trina baconiana degli aiuti della memoria, svolta nella Delt- neatto e più tardi ripresa nel Novum Organum, risulta da un adattamento a questa diversa situazione delle regole che 39 Advancement, Works, III, p. 389. RAMO, BACONE, CARTESIO 163 guidavano l'invenzione degli argomenti e che costitutvano l’arte del ricordare e disporre gli argomenti. Per realizzare discorsi coerenti e persuasivi, per inventare argomenti era necessario, secondo Bacone: 1) disporre di una raccolta di argomenti estremamente ampia (promptuaria); 2) disporre di regole atte a limitare un campo infinito e a determinare un campo di discorso specifico e limitato (to- pica). Il compito attribuito all’arte della memoria consisteva nella elaborazione di una tecnica (fondata sull’uso delle pre- nozioni, degli emblemi, dell’ordine, dei luoghi, dei versi, della scrittura, ecc.) che mettesse l’uomo in grado di realizzare con- cretamente le due possibilità ora indicate. In sede di metodologia scientifica (nterpretatio naturae) le cose non procedono per Bacone in maniera molto differente: «Gli aiuti della memoria — egli scrive adempiono al se- guente compito: dalla immensa moltitudine dei fatti parti- colari e dalla massa della storia naturale generale, viene di- staccata una storia particolare le cui parti vengono disposte in un ordine tale da consentire all’intelletto di lavorare su di esse e di esercitare la propria funzione... In primo luogo mo- streremo quali siano le cose che devono essere ricercate in- torno ad un dato problema: il che è qualcosa di simile ad una topica. In secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddivise in tavole... In terzo luogo mostreremo

in qual modo e in quale momento la ricerca vada integrata e le precedenti carte o tavole siano da trasportare in tavole nuove... La ministratio ad memoriam si articola quindi in tre dottrine: l’invenzione dei /oci, il metodo della tabula- zione, e il modo di instaurare la ricerca ».!° 4° Partis instaurationis secundac delineatio, Works, III, 552: « Ministra- tio ad memoriam hoc officium praestat ut ex turba rerum particula- num, ct naturalis historiae generalis acervo, particularis historia excer- patur, atque disponatur eo ordine, ut iudicium in cam agere, et opus suum exercere possint... Primo docebimus qualia sint ca, quae circa subiectum datum sive propositum inquiri debeant, quod est instar topicae. Secundo, quo ordine illa disponi oporteat, et in tabulas digeri... Tertio itaque ostendemus quo modo et quo tempore inquisitio sit reintegranda, et chartae sive tabulae praecedentes in chartas novellas transportandae... Itaque ministratio ad memoriam in tribus (ut dixi- mus) doctrinis absolvitur: de locis inveniendis, de methodo conta- bulandi, et de modo instaurandi inquisitionem ». 164 CLAVIS UNIVERSALIS La memoria abbandonata a se stessa, afferma ancora Ba- cone nella Delineatio, non solo è incapace di abbracciare la immensità dei fatti, ma non è neppure in grado di indicare gli specifici fatti dei quali si ha bisogno in una ricerca par- ticolare. Di fronte alla storia naturale generale (che corri- sponde a ciò che in sede retorica è la promptuaria o indiscri- minata raccolta di argomenti) sono dunque necessarie regole per determinare il campo della ricerca e per ordinare i con- tenuti di questo campo. Per rimediare alla situazione di na- turale fragilità della memoria e metterla in grado di funzio- nare come strumento di conoscenza ci si richiama dunque: 1) ad una topica o raccolta di luoghi che insegna quali siano i fatti sui quali bisogna indagare in relazione ad una data ricerca; 2) alle sadelae che hanno il compito di ordinare i fatti in modo che l'intelletto si trovi di fronte non ad una realtà caotica e confusa, ma ad una realtà organizzata. Quanti da Ramo a Melantone, da Pietro da Ravenna a Rosselli, dal Romberch al Gratarolo avevano rivolto la loro attenzione ad una discussione dei problemi attinenti alla to- pica e alla memoriaartificiale, avevano insistito proprio sulla funzione dei /uoghi come mezzo per delimitare un campo di ricerca altrimenti infinito e per introdurre ordine in questo campo. Per Melantone (ma molti altri autori potrebbero es. sere citati al suo posto) i /oc; admonent ubi quacrenda sit materia aut certe quid ex magno acervo eligendum et quo ordine distribuendum sit. Nam loci inventionis tum apud dialecticos tum apud rhetores non conducunt ad inveniendam materiam, quam ad cligendam postquam acervus aliquis... oblatus fuerit. La Partis instaurationis secundae delineatio, alla quale ci siamo ora riferiti, risale al 1607 circa; ma nelle opere della piena maturità Bacone sarà su questi temi altrettanto espli- cito: nel decimo paragrafo del secondo libro del Nowvum Organum si afferma: «la storia naturale e sperimentale è tanto varia e sparsa da confondere e quasi disgregare l’intel- letto ove non sia composta e ridotta in ordine idonco. Bi- sogna pertanto dar luogo a tavole e a coordinationes instantia- RAMO, BACONE, CARTESIO 165 rum in modo che l’intelletto possa agire su di esse ».‘! Le ce- lebri sabulae baconiane costituiscono, anche nel Novum Or- ganum, parte integrante della ministratto ad memoriam. Ad esse spetta un compito preciso: organizzare e ordinare i con- tenuti della storia naturale. Dopo che il materiale è stato or- ganizzato nelle tre tabulae l'intelletto si trova di fronte ad una serie ordinata di fatti, non è più «come smarrito »: da questa situazione trae inizio quel procedimento che Bacone chiama la nuova induzione. L’intero procedimento induttivo baconiano — che non è certo il caso di fermarsi qui ad esporre — ha senza dubbio i suoi fondamenti proprio nella dottrina delle tabulae. Que- stultima appare costruita in funzione di un ordinamento della realtà naturale capace di introdurre nella molteplicità caotica dei fatti fisici una disposizione e un ordine tali da con- sentire all’intelletto di andar rintracciando connessioni reali. In questo senso la compilazione delle sabulze si presenta stret- tamente connessa a quella invenzione det luoghi naturali che attirerà per lunghi periodi l’interesse di Bacone. Il primo, or- ganico tentativo compiuto da Bacone di gettare le basi di una invenzione di luoghi naturali e di un metodo di tabulazione risale al 1607-1608 e non a caso, in questi anni, Bacone usa i termini topica e tabulae (o chartae) come sinonimi. Nei Cogr-tata et visa del 1607 troviamo annunciata con molta precisione la funzione attribuita alle tavole : Ante omnia visum est ci tabulas inveniendi sive legi- timae inquisitionis formulas, hoc est materiem particula- rem ad opus intellectus ordinatam, in aliquibus subiectis proponi, tamquam ad exemplum cet operis descriptionem fere visibilem.4? L’anno seguente, nel Commentarius solutus, egli annota rapidamente: « The finishing the 3 tables, de motu, de calore et frigore, de sono ». Se ci volgiamo a considerare gli appunti del Commentarius ci troviamo in presenza di una elencazione Ja Liu i > Novum Organum, Il, 10: « Historia vero naturalis et experimentalis tam varia est et sparsa, ut intellectum confundat et disgreget, nisi sista- tur et comparcat ordine idoneo. Itaque formandae sunt tabulae et coor- dinationes instantiarum, tali modo et instructione, ut in cas agere possit intellectus ». 4° Works, III, p. 623. 166 CLAVIS UNIVERSALIS di veri e propri luoghi naturali raggruppati in diverse carte.!? Non diversamente sono strutturate le tre brevi opere che risal- gono a questo periodo e che rappresentano la prima realizza- zione del programma indicato nei Cogitata et Visa e nel Com- mentarius solutus: la Inquisitio legitima de motu, la Sequela chartarum sive inquisitio legitima de calore et frigore, la Histo- ria et inquisitio prima de sono et auditu."' Nella prefazione alla prima di queste tre operette Bacone, mentre poneva in luce la funzione essenziale che spetta alla topica c alle tavole, distingueva due differenti tipi di tavole: quelle che devono riunire i fatti più visibili e che si riferiscono a un determinato oggetto di ricerca (machina intellectus infe- rior seu sequela chartarum ad apparentiam primam) c quelle che hanno il compito, più alto, di aiutare l'intelletto a cono- scere « ciò che è nascosto » penetrando in tal modo fino alla « forma » delle cose (machina intellectus superior sive sequela chartarum ad apparentiam secundam). Le diciannove tavole elencate da Bacone nella Inquisitio legitima de motu costitui- vano una topica o «sistemazione provvisoria » che avrebbe dovuto consentire il passaggio alle tavole del secondo gruppo. Queste ultime (la machina superior) non sono in realtà che le tabule presentiae, absentiae, graduum del Novum Organum.** L'immagine baconiana dell’universo come labirinto e come selva, la sua convinzione che l’architettura del mondo « sia piena di vie ambigue, di fallaci somiglianze, di segni, di nodi e di spirali avvolti e complicati »,*° condiziona, in modo radi- cale, la dottrina baconiana del metodo. Uno dei compiti, se non il compito fondamentale, del metodo è, per Bacone, quello di introdurre ordine in questa caotica realtà. Nella Delineazio 4° Commentarius solutus, Works, IIl, pp. 626 - 28: « Tria motuum ge- nera imperceptibilia, ob tarditatem, ut in digito horologii; ob minu- tias, ut liquor seu aqua corrumpitur ct congelatur cte.; ob tenuitatem, ut omnifaria aeris, venti, spiritus... Nodi et globi motuum, and how they concur and how they succeed and interchange in things most frequent. The times and moments wherein motions work, and which is the more swift and which is the more slow ». 44 I tre scritti sono rispettivamente in Works, III, pp. 623 - 40; 644 - 52; 657 - 80. 45 Inquisitio legitima de motu, Works, III, pp. 637 - 38. 49 Praefatio gencralis, Works, I, p. 129. RAMO, BACONE, CARTESIO 167 del 1607 troviamo, a questo proposito, un'ammissione quanto mai significativa : la verità — scrive Bacone — emerge più facilmente dalla falsità che dalla confusione (« citius enim emergit veritas e falsitate quam e confusione »). Il compito, essenziale e fondamentale, di una eliminazione della confu- sione figurava, nella stessa opera, fra gli aiuti della memoria.*' « Eliminare la confusione », porre rimedio alla povertà di conoscenze fattuali dando luogo a raccolte di istanze certe: questi appaiono a Bacone i compiti fondamentali del nuovo metodo di interpretazione della natura. Di fronte a questi compiti le sue stesse tadulae gli appaiono nulla più di semplici esempi di un gigantesco lavoro che attende di essere realiz- zato (« neque enim tabulas conficimus perfectas, sed exempla tantum »).'* La stesura di una logica del sapere scientifico, alla quale Bacone aveva dedicato non poche delle sue fatiche fino dagli anni del Valerius Terminus, fu addirittura inter- rotta perché Bacone era fermamente persuaso che la costru- zione di tavole perfette costituisse l'elemento decisivo in vista della fondazione di un nuovo sapere scientifico. La storia na- turale, la raccolta organizzata dei fatti, la limitazione e la delimitazione dei diversi campi di ricerca, la costruzione di una serie di elenchi di luoghi naturali appartenenti ad un campo specifico (le Aistoriae particulares): tutto ciò gli apparve così importante da indurlo a interrompere la stesura del Novum Organum e a parzialmente svalutare quella stessa « macchina logica » che era stata per molti anni al centro dei suoi interessi.‘ La ordinata raccolta di materiali, la costruzione di una organizzata enciclopedia di tutti i fatti naturali raccolti nelle storie particolari, l’apprestamento di una raccolta di fatti o «storia generale » che fosse in grado di fornire nuovi mate- riali alle stesse storie particolari (Sylva silvarum): tutti questi progetti apparvero a Bacone, almeno al termine della sua 4° Delineatio, Works, III, p. 553, cfr. anche Novun Organum, II, 20. 48 Novum Organun:, II, 18. ° Sul significato, da questo punto di vista, dell’ ultimo paragrafo del libro I del Novum Organum cfr. B. FarrINGTON, F. Bacon: philosopher SCIA science, New York, 1949, trad. ital. Torino, 1952, pp. - 121. 49 168 CLAVIS UNIVERSALIS vita, assai più importanti di ogni indagine volta a perfezio- nare l’apparato teorico delle scienze. Ognuna delle storie par- ticolari alle quali Bacone lavorò affannosamente dopo il 1620 (il suo progetto comprendeva centotrenta storie) risponde a una duplice esigenza: eliminare le opinioni tradizionali muo- vendosi entro un campo di fatti accertati; disporre i fatti entro i campi particolari dando luogo ad una raccolta ordinata. Ove si passi da una considerazione generica ad una diretta lettura di queste « storie » baconiane, ci si renderà conto che esse si presentano appunto come raccolte di luoghi naturali e che esse rappresentano il tentativo di portare a compimento quel lavoro di raccolta già iniziato nella Inquisizio legitima de motu, nella Inquisitio de calore et frigore, e nella Historia et inquisitio prima de sono et auditu. Sostituendo alle raccolte di luoghi retorici una raccolta di luoghi naturali, piegando l’arte della memoria a fini differenti da quelli tradizionali, concependo le sabulae come mezzi di ordinamento della realtà mediante i quali la memoria prepara una « realtà organizzata » all’opera dell’intelletto, Bacone ave- va introdotto, entro la sua logica del sapere scientifico, alcuni tipici elementi derivanti da una precisa tradizione. Da questo punto di vista la sua « nuova » logica era assai più vicino di quanto egli non ritenesse alle impostazioni che un Ramo o un Melantone avevano dato alla dialettica quando l’avevano con- cepita come lo strumento atto a disporre ordinatamente le no- zioni. Vale la pena di ricordare ancora una volta la definizione che Melantone aveva dato del metodo quando lo aveva quali- ficato un’ars che quasi per loca invia et per rerum confusionem trova e apre una via ponendo in ordine le res ad propositum pertinentes e la definizione ramista della dispositio (che si identifica per Ramo con il iudicium e con la memoria) come apta rerum inventarum collocatio. AI di là di tutte le grandi differenze che si possono senza dubbio elencare, il concetto baconiano del metodo della scienza si muove ancora su questo terreno: // metodo è un mezzo di ordinamento e di classificazione degli elementi che compon- gono la realtà naturale. La dottrina della ministratio ad me- moriam aveva esercitato, da questo punto di vista, un peso RAMO, BACONE, CARTESIO 169

decisivo sulla costruzione baconiana di una nuova logica e di un nuovo metodo delle scienze.*° b) Gli atuti alla memoria e la dottrina dell’ enumerazione nelle Regulae. Gli echi della trattatistica rinascimentale sulla memoria artificiale ricompaiono, oltre che nei frammenti del giovane Cartesio, anche nel testo delle Regulae. Quando, nella re- gola XVI, Cartesio concepisce la scrittura come un'arte esco- gitata a rimedio della naturale labilità della memoria e parla di un intelletto che « va aiutato dalle immagini dipinte dalla fantasia » non fa che ripetere nei loro termini più tradizionali, luoghi comuni presenti in quasi tutti i testi della mnemotecnica di derivazione “ciceroniana”: Anonimo del sec. XVI (Mar- ciana, lat. 274, £. 4Ir.). vVescarTEs, Regulae, in Ocuvres, X, p. 454. . operae practium est omnes alias Sicut enim invenerunt. homines [dimensiones] ita retinere, ut fa- diversas artes ad iuvandum di- cile occurrant quoties usus exigit;  versis modis naturam, sic enim in quem finem memoria videtur videntes quod per naturam me- a natura instituta. Sed quia haec sacpe labilis est... aptissime scri- bendi usus ars adinvenit; cuius ope freti... quaccunque erunt re- stituenda in charta pingemus. moria hominis labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum naturam seu memo- riam... et sic adinvenerunt scrip- turam... A questa stessa assai antica tradizione si era del resto ri- chiamato Bacone nel De augmentis quando aveva visto anche egli nella scrittura il principale aiuto alla memoria: adminiculum memoriae plane scriptio est, atque omnino monendum quod memoria, sine hoc adminiculo, rebus prolixioribus impar sit, neque ullo modo nisi de scripto recipi debcat.5! Il ricorso cartesiano alle « immagini corporee », ai simboli, alla scrittura acquista tuttavia, all’interno della complessa me- todologia delle Regw/ze, un senso particolare. La scrittura e la «rappresentazione sulla carta » servono a sgombrare l’animo da ogni sforzo mnemonico, a liberarlo da esso, in modo che °° A queste conclusioni, sulla base di una trattazione più analitica degli scritti baconiani, ero già pervenuto nello studio F. Bacone, dalla magia alla scienza, Bari, 1957, cap. VI. 51 Works, I, p. 647. 170 CLAVIS UNIVERSALIS la fantasia e l’intelligenza possano essere completamente ri- volte alle idee o agli oggetti presenti: fiduciosi nell’aiuto della scrittura — afferma Cartesio — non affideremo nulla alla memoria, ma, lasciando libera e completa la fantasia alle idee presenti, rappresenteremo sulla carta qualunque cosa si vorrà ricordare; nessuna di quelle cose che non richiedono perpetua attenzione, se può esser messa sulla carta, deve essere impa- rata a memoria, affinché un ricordo inutile non sottragga parte della nostra intelligenza alla cognizione dell'oggetto prc- sente. Ai segni o simboli arbitrariamente scelti (a, b, c. ecc. per le grandezze note; A, B, C, ecc. per quelle ignote) è affi- data questa funzione mnemonica: essi saranno proprio per questo « brevissimi » di modo che « dopo aver scorto distin- tamente le singole cose, possiamo percorrerle con un moto celerissimo di pensiero e insieme quanto più è possibile simul- tancamente »."* Il problema della « notazione » o della scrittura e quello, 52 Qeuvres, X, p. 458, 454: « nulla unquam esse memoriac mandanda ex iis, quac perpetuam attentionem non requirunt, si possimus ea in charta deponere, ne scilicet aliquam ingenii nostri partem obiecti prae- sentis cognitioni supervacua recordatio surripiat... nihil prorsus memo- riac committemus, sed liberam et totam pracesentibus ideis phantasiam reliquentes, quaecumque erunt retinenda in charta pingemus; idque per brevissimas notas, ut postquam singula distincte inspexcrimus... possimus... omnia celerrimo cogitationis motu percurrere et quamplu- rima simul intucri. Quidquid ergo ut unum ad difficultatis solutionem crit spectandum, per unicam notam designabimus, quae fingi potest ad libitum. Sed, facilitatis causa, utemur characteribus a, b, c, etc. ad magnitudines iam cognitas, et A, B, C, etc., ad incognitas cexpri- mendas... ». 53 Ancor più chiaramente che nelle Regulae (si veda il passo citato nella nota precedente) il problema della notazione o dell'impiego dei simboli algebrici si collega, nel testo del Discours de la méthode (cfr. Ocuvres, VI, p. 20; ediz. Gilson, p. 20) al problema della ritenzione e della memoria: « Je pensai que, pour les considérer micux en par- ticulier [si fa riferimento ai rapporti c alle proporzioni], je les devais supposer en des lignes, à cause que je ne trouvais rien de plus simple, ni que je puisse plus distinctement représenter à mon imagination et à mes sens; mais que, pour les retenir ou les comprendre plusieurs ensemble, il fallait que je les expliquasse par quelques chiffres, les plus courts qu'il serait possible ». Il termine chiffres è tradotto, nella edizione latina, con «characteribus sive quibusdam notis» (cfr. Oew- vres, VI, p. 551.) RAMO, BACONE, CARTESIO 171 ad esso strettamente connesso, degli aiuti della memoria (« utendum est... memoriae auxiliis », dice il titolo della re- gola XII) vanno in tal modo a intrecciarsi strettamente, nel pensiero cartesiano a quelli dell’intuizione e di quel « moto continuo e non interrotto del pensiero » nel quale consiste la deduzione. Nel corso della regola III Cartesio chiarisce le ragioni della presenza, accanto all’intuito, di un altro « modo di conoscenza che avviene per deduzione ». L'’intuito, che è «un concetto della mente pura tanto ovvio e distinto » da escludere ogni possibilità di dubbio, è richiesto non per i soli enunciati (« ognuno può intuire che egli esiste, che egli pensa, che il triangolo è delimitato soltanto da tre linee » ecc.), ma anche per qualsiasi tipo di discorso: 2 e 2 fanno il medesimo di 3 e 1; non soltanto si deve intuire che 2 e 2 fanno 4 e che 3 e 1 fanno pure 4, ma anche che quella terza proposizione si conclude necessariamente da queste due.?* La deduzione, di principio, si riduce dunque a intuizione. A tale riducibilità di principio non corrisponde tuttavia una riducibilità di fatto : di qui la necessità di introdurre un diverso termine, quello di deduzione. Molte cose vengono sapute con certezza nonostante non siano evidenti di per sé: una verità, di per sé non auto- evidente, può essere infatti la necessaria conseguenza di una ininterrotta catena di verità autoevidenti attraverso la quale, con un moto continuo di pensiero, « passa » la nostra mente. Ogni passo di questo moto o ogni « anello della catena » viene afferrato mediante una intuizione immediata, ma la conclu- sione, vale a dire la necessaria connessione tra il primo e l’ul- timo anello della catena non è presente alla mente con la stessa evidenza che caratterizza la intuizione intellettuale. « Sap- piamo » che l’ultimo anello è congiunto con il primo; non ve- diamo tuttavia, con un solo e medesimo sguardo, tutti gli anelli intermedi dai quali la connessione dipende: ci limitiamo per- tanto a passarli l’uno dopo l’altro in rassegna e a ricordare che i singoli anelli, dal primo all’ultimo, stanno attaccati ai 34 Qeuvres, X, p. 369: « At vero haec intuitus evidentia et certitudo, non ad solas enuntiationes, sed etiam ad quoslibet discursus requiritur. Nam; exempli gratia, sit haec consequentia: 2 & 2efficiunt idem quod 3 & 1; non modo intuendum est 2 & 2 efficere 4, et 3 & |] cf- ficere quoque 4, sed insuper ex his duabus propositionibus tertiam illam necessario concludi ». 172 CLAVIS UNIVERSALIS più vicini. La distinzione fra intwstus e deductio è fondata ap- punto su ciò: nella deductio si concepisce un movimento o una successione che è del tutto assente nell’ /nzetzs; alla de- duzione non è necessaria quella attuale evidenza che è pre- sente nell’intuito: la deduzione mutua in certo modo la sua certezza dalla memoria.” Nel caso di deduzioni non particolarmente complesse o di brevi « catene » è sufficiente la memoria naturale; ove tut- tavia le « catene » siano così ampie da oltrepassare le nostre capacità intuitive e le deduzioni corrispondentemente com- plesse è necessario per Cartesio « soccorrere la naturale infer- mità della memoria » (« memoriae infirmitati succurrendum esse »). La conoscenza di una necessaria connessione tra il primo e l’ultimo anello della catena richiede infatti la dedu- zione dell’ultimo anello: dedurlo vuol dire pervenire ad esso passando «con moto continuo e non interrotto del pensiero » da anello ad anello. Ove venga trascurato anche un solo anello la deduzione apparirà impossibile o illegittima. In questo senso va soccorsa la memoria: La deduzione si compie talvolta mediante una così lunga concatenazione di conseguenze che, quando perveniamo ad esse, non ci ricordiamo facilmente di tutto il cammino che ci ha condotto fin lì: per questo diciamo che si deve > Qeuvres, X, p. 369-70: « Hinc iam dubium esse potest, quare, prae- ter, intuitum, hic alium adiunximus cognoscendi modum, qui sit per deductionem: per quam intelligimus, illud omne quod cx quibusdam aliis certo cognitis necessario concluditur. Sed hoc ita faciendum fuit, quia plurimae res certo sciuntur, quamvis non ipsac sint evidentes, modo tantum a veris cognitisque principiis deducantur per continuum ct nullibi interruptum cogitationis motum singula perspicue intuentis: non aliter quam longae alicuius catenae extremum annulum cum primo connecti cognoscimus, etiamsi uno eodemque oculorum intuitu non omnes intermedios, a quibus dependet illa connexio, contemplemur, modo illos perlustraverimus successive, et singulos proximis a primo ad ultimum adhaerere recordemur. Hic igitur mentis intuitum a deduc- tione certa distinguimus ex co, quod in hac motus sive successio quac- dam concipiatur, in illo non item; et praeterea, quia ad hanc non ne- cessaria est praesens evidentia, qualis ad intuitum, sed potius a me- moria suam certitudinem quodammodo mutuatur ». (Cfr. anche la re- gola XI, Ocuvres, X, pp. 408 -9). RAMO, BACONE, CARTESIO 173 portare aiuto alla debolezza della memoria mediante un continuo movimento del pensiero?" Quel processo che Cartesio chiama enumerazione o indu- zione (enumeratio sive inductio) costituisce appunto questo giuto alla memoria. Il fine che si propone questa minsstratio ad memoriam (per usare il termine baconiano) è l’acquisizione di una rapidità o celerità nella deduzione tale da ridurre al minimo, pur senza totalmente eliminarlo, il ruolo esercitato dalla stessa memoria e tale da conferire ad un insieme di co- noscenze troppo complesso per essere abbracciato da una sola intuizione, l'immediata evidenza che è privilegio della stessa capacità intuitiva: «Se mediante diverse operazioni ho conosciuto quale sia il rapporto tra la grandezza A e B, poi tra Be C, poi tra C e De infine tra D e E, non per questo vedo il rapporto tra A e E, né lo posso ricavare con esattezza dalle cose già cono- sciute se non mi ricordo di tutte. Per questo le percorrerò tante volte con una specie di moto dell’immaginazione che in- tuisce le singole cose e insieme si trasferisce nelle altre, finché abbia imparato a passare dalla prima all’ultima con tanta celerità che, quasi non lasciando alcuna parte alla memoria, mi sembri di intuire tutto insieme. In tal modo, mentre si aiuta la memoria, si corregge anche la tardità dell'ingegno e si amplia in qualche modo la sua capacità ».' E’ tuttavia possibile, ritengo, mettere in luce alcuni punti le) di contatto più profondi di quelli finora rilevati tra il testo % Qeuvres, X, p. 387: « Hoc enîm sit interdum per tam longum conse- quentiarum contextum, ut, cum ad illas devenimus, non facile recor- demur totius itineris quod nos co usque perduxit; ideoque memoriae infirmitati continuo quodam cogitationis motu succurrendum esse dicimus ». 5? Ocuvres, X, pp. 387 -88: « Si igitur, ex. gr., per diversas operationes cognoverim primo, qualis sit habitudo inter magnitudines A _& B, deinde inter B & C, tum inter C & D, ac denique inter D & E: non idcirco video qualis sit inter A_& E, nec possum intelligere praecise ex iam cognitis, nisi omnium recorder. Quamobrem illas continuo quodam imaginationis motu singula intuentis simul et ad alia tran- seuntis aliquoties percurram, donec a prima ad ultimam tam celeriter

transire didicerim, ut fere nullas memoriae partes reliquendo, rem totam simul videar intueri; hoc enim pacto, dum memoriae subveni- tur, ingenii ctiam tarditas emendatur, ciusque capacitas quadam ra- tione cxtenditur ». 174 CLAVIS UNIVERSALIS cartesiano delle Regulae e quella tradizione di ars memorativa alla quale ci siamo fin qui richiamati. L. J. Beck, che sulla metodologia delle Regulae ha scritto pagine assai acute, ha nettamente (e a mio avviso giustamente) distinto due diversi significati o due differenti accezioni del termine enumerazione in Cartesio.?* Quando fa riferimento, nel Discorso, alla enu- merazione Cartesio parla infatti da un lato di « enumerazioni complete » (denombrements entiers) e dall'altro di « revisioni generali » (revues générales). La traduzione latina del Discorso, rivista come è noto dallo stesso Cartesio, chiarisce ancor me- glio la distinzione qui adombrata: l’espressione denombre- ments entiers viene tradotta con singula enumerare, quella revues générales con omnia circumspicere.?® Comunque sia da considerare la distinzione fra questi due diversi aspetti o queste due diverse funzioni dell’enumerazione, resta il fatto che con questo termine Cartesio sembra far riferimento: 1) a quel rimedio alla memoria che deve essere presente, abbiam visto, nel caso di deduzioni particolarmente complesse o di «catene » troppo lunghe; 2) all’ordinamento delle condizioni dalle quali dipende la soluzione di un problema particolare e a quell’iniziale ordinamento dei dati che è preliminare ad ogni ricerca e che mira all’ « isolamento » e alla determina- zione del problema stesso. « Enumerazione o induzione — scrive Cartesio nella re- gola VII — è una diligente e accurata ricerca di tutto quanto concerne una questione proposta, sì che da essa si possa con- cludere con certezza ed evidenza che nulla è stato ingiusta- mente tralasciato ».°° La funzione attribuita alla enumerazio 58 Cfr. L. J. Beck, The Method of Descartes, a Study of the Regu- lae, Oxford, 1952, p. 143, ma cfr. le pp. III-146. Sull'enumerazione cartesiana: R. Husert, La théorie cartesienne de lenumeration, in « Revue de metaphysique et de morale », 1916, pp. 489-516; Sirven, Les années d'apprentissage de Descartes, Paris, 1928, pp. 378-79; E. Gitson, ediz. del Discosrs, Paris, 1947, pp. 210-213; N. KeMr SMITH, New Studies in the Philosophy of Descartes, London, 1952, pp. 70-77; 144 - 49; 150- 59. 39 Qetivres, VI, p. 559. 6° Qeuvres, X, p. 388: « Est igitur haec cnumeratio sive inductio, corum omnium quae ad propositam aliquam quaestionem spectant, tam dili- gens et accurata perquisito, ut ex illa certo evidenterque concludamus, nihil a nobis perperam fuisse praetermissum ». RAMO, BACONE, CARTESIO 175 appare qui assai diversa da quella alla quale abbiamo fin’ora fatto riferimento. Enumerare vuol dire qui procedere ad una classificazione logica (che si svolge normalmente prima del processo deduttivo) in vista di una determinazione e limita- zione dei problemi. Si tratta, come dice esattamente il Beck, di un « preparatory making-out of the field of knowledge in which a proposed investigation of some particular problem is presently to take place ».° AI Beck, che è esclusivamente interessato ad un esame della struttura formale del metodo cartesiano c delle relazioni intercorrenti tra i vari scritti di Cartesio, è sfuggita (così come agli altri interpreti)? la sostanziale affinità tra questa accezione del termine enumerazione e la topica baconiana che si presenta anch’essa, non a caso, come un aiuto alla memoria. Il prin- cipale compito degli aiuti alla memoria consisteva per Bacone nella costruzione di regole atte a limitare il « campo infinito » 6! L. J. Beck, op. cit., p. 130. €2 Ad una perfetta conoscenza dei testi cartesiani non corrisponde, così nel caso del Beck come in quello del Gouhier, una altrettanto perfetta conoscenza dei testi filosofici e non filosofici circolanti nella cultura francese ced europea del primo Seicento. Si veda per esempio (per re- stare nei limiti dei problemi qui trattati) come il Gouhier, nel suo bel libro su Les premières pensées de Descartes, liquidi in due righe il problema dei rapporti tra Cartesio e la tradizione del lullismo senza aver preso visione dell’unico studio sull'argomento e senza rendersi conto che il giudizio cartesiano su Lullo (« parler sans jugement des choses qu'on ignore ») non è che la ripetizione di un luogo presente nei testi filosofici da Agrippa a Bacone (p. 27 n. 55). Anche l’espressio- ne cartesiana «in quodam ordine locorum dialecticorum unde ratio- nes desumuntur » fa riferimento, contrariamente a quanto mostra di credere il Gouhier, ad un ben preciso tipo di letteratura; così come l'affermazione « una est in rebus activa vis ecc.» e il proposito di servirsi di «cose sensibili » per raffigurare lc « spirituali » ec l’imma- gine della catena scientiarum risultano del tutto incomprensibili e gra- tuiti, pur prestandosi ad eleganti considerazioni di carattere specula- tivo, ovc non vengano intesi nei loro rapporti con un ambiente e con una tradizione. Cartesio, che aveva letto le pagine dello Schenkel, non aveva certo bisogno di ricorrere a Keplero per concepire le cose corporee come simboli di quelle spirituali. Ma del passo cartesiano che fa riferimento all’ars memoriae dello Schenkel, Gouhier elimina la seconda metà (che risulta difficilmente comprensibile a chi non abbia visto il testo dello Schenkel) senza poter spiegare in alcun modo in che cosa consiste il « nuovo procedimento » che Cartesio ritiene di aver inventato. (Cfr. GouHIER, op. cit., pp. 27, 28, 69, 82-84, 92). 176 CLAVIS UNIVERSALIS della conoscenza umana e a determinare quindi un campo di conoscenza specifico e limitato: « dalla immensa moltitudine dei fatti viene distaccata una storia particolare le cui parti vengono ordinatamente disposte... in primo luogo mostreremo quali siano le cose che devono essere ricercate intorno a un dato problema, il che è qualcosa di simile a una topica; in secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddi- vise... ».5° L’enumerazione, come aiuto alla memoria, ha quindi per Cartesio il compito di svolgere una accurata ricerca di tutto quanto concerne una questione proposta; quella sorta di « to- pica » che costituisce per Bacone il principale aiuto della me- moria ha esattamente lo stesso compito e la stessa funzione: mostrare quali siano le cose che devono essere ricercate intorno a un dato problema. Dopo aver preliminarmente isolato e de- terminato un problema o una questione (proprio questo, ab- biam visto, era il compito che la tradizione retorica affidava ai loci) si doveva, secondo Bacone, procedere ad un ordina- mento, ad una suddivisione e ad una classificazione delle cose concernenti la questione proposta. Su questo punto c da que- sto punto di vista la posizione di Cartesio non è in alcun modo differente : «Se si dovessero considerare una ad una le singole cose che riguardano la questione proposta non sarebbe sufficiente la vita di nessun uomo. Ma se tutte le cose vengano disposte nell'ordine migliore, in maniera che siano ridotte il più pos- sibile a classi determinate, sarà sufficiente vedere esattamente una sola di queste, oppure qualcosa di ciascuna, o almeno non ripercorreremo mai niente due volte invano; ciò è di tanto giovamento che spesso, in base a un ordine bene stabilito, si compiono rapidamente e senza difficoltà molte cose che, al primo aspetto, apparivano immense ».5 © Cfr. il testo sopra riportato alla nota 40. 6! Qcuvres, X, pp. 390-91: « Addidi etiam enumerationem debere esse ordinatam... si singula quae ad propositum spectant, essent separatim perlustranda, nullius hominis vita sufficieret, sive quia nimis multa sunt, sive quia sacpius cadem occurrerent repetenda. Scd si omnia illa optimo ordine disponamus, ut plurimum, ad certas classes reducentur, ex quibus vel unicam exacte videre sufficiet, vel cx singulis aliquid,RAMO, BACONE, CARTESIO 177 Non è qui nostro compito esaminare le differenze inter- correnti tra l’induzione baconiana e la inductio o enumeratio cartesiana. Al di là delle differenze si voleva qui sottolineare, nel pensiero dei due « fondatori » della filosofia moderna, la presenza e la persistenza di temi legati ad antiche e recenti discussioni sulla memoria. A queste discussioni vanno colle- ate non solo gli interessamenti di Bacone e di Cartesio per i problemi della mnemotecnica, non solo l’immagine dell’arbor scientiarum e i progetti di una scientia universalis o sapientia, ma anche la dottrina, baconiana e cartesiana, degli «aiuti della memoria ». Non si tratta dunque solo dei « residui » di una tradizione veneranda, degli echi ultimi, ormai privi di importanza e di significato storico di un fortunato genere letterario; né si tratta di concessioni ad una « moda » assai diffusa. Nella Znterpretatio naturae di Bacone e nelle Regulae ad directionem ingenti di Cartesio ci sono apparse presenti al- cune tesi legate alla tradizione “retorica” dell’ars  memora- tiva: al necessario « isolamento » di una questione si giunge mediante una preliminare classificazione degli elementi costi- tutivi del problema; l’ordine è elemento ineliminabile e costi- tutivo di tale classificazione; queste ordinate e « artificiali » classificazioni costituiscono il necessario rimedio alla insuffi- cienza e alla labilità della memoria naturale. Come già aveva fatto Ramo, anche Bacone e Cartesio avevano dunque inserito, nella loro logica, una dottrina degli aiuti della memoria: en- trambi considerano una tecnica del rafforzamento della me- moria strumento indispensabile alla formulazione e al “fun- zionamento” di una nuova logica o di un nuovo metodo. Con Ramo, Bacone e Cartesio l’antico problema della me- moria artificiale che aveva per oltre tre secoli appassionato me- dici e filosofi, studiosi di retorica, enciclopedisti e cultori di magia naturale, aveva fatto in tal modo il suo ingresso, sia pure piegato a nuove esigenze e profondamente trasfigurato, nei quadri della logica moderna. Attraverso l'influenza eser- citata dal pensiero baconiano sulle ricerche linguistiche che si vel quasdam potius quam caeteras, vel saltem nihil unquam bis frustra percurremus; quod adeo iuvat, ut sacpe propter ordinem bene insti- tutum brevi tempore et facili negotio peragantur, quae prima fonte videbantur immensa ». 178 CLAVIS UNIVERSALIS svolsero in Inghilterra nella seconda metà del Seicento, attra- verso l’opera di Alsted e di Comenio questo stesso problema apparirà ancora una volta essenziale, nel corso del secolo XVII, alla costruzione di dizionari totali, di linguaggi perfetti e di universali enciclopedie. Non a caso nella tradizione lulliana si era lungamente insistito sulle connessioni che intercorrono tra la memoria, la logica e l’enciclopedia. « Si igitur ordo est memoriae mater, logica est ars memoriae » scriverà lo Alsted; e non a caso, avviando i suoi progetti di una caratteristica uni- versale, Leibniz si volgerà — oltre che a Bacone, Alsted e Comenio — a Lullo e ai suoi grandi commentatori del Rina- scimento e si richiamerà a non pochi e non secondari testi di ars memorativa. VI. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 1. IL SISTEMA MNEMONICO UNIVERSALE: Enrico ALSTED. L'ideale enciclopedico che, da Bacone a Leibniz, domina la cultura del secolo XVII si mostra operante, con forza sin- golare, nell’opera vastissima di Enrico Alsted (1588 - 1638) maestro di Comenio a Herborn, editore di testi del Bruno, seguace di Lullo e di Ramo, riformatore dei metodi dell’edu- cazione e dell’insegnamento. Percorrendo i molteplici scritti, i numerosi manuali e infine il grande Systema mnemonicum dello Alsted, ci si rende ben conto che dietro la sovrabbon- danza delle citazioni, la ricchezza strabocchevole dell’erudi- zione e l'apparenza antologica delle opere, dietro la mesco- lanza spesso caotica di temi di logica di retorica di fisica e di medicina, sono presenti motivi essenziali: destinati a eserci- tare un'influenza decisiva sul costituirsi, agli inizi del Sei- cento, dell'ideale pansofico e dell’enciclopedismo. Riformare le tecniche di trasmissione del sapere; dar luo- go ad una classificazione sistematica di tutte le attività ma- nuali e intellettuali: entrambi questi progetti si risolvono, per Alsted, in quello della costruzione di un nuovo « sistema » che riunisca in un unico corpus, in un organo totale delle scienze, i princìpi di tutte le discipline. Solo attraverso l’enci- clopedia, che rivela i rapporti tra le varie discipline e porta alla luce la sistematicità del sapere, potrà essere costruito un nuovo metodo, potrà essere definito un nuovo, organico pia- no degli studi.’ L’esplicita adesione di Alsted alla tematica del lullismo, la sua insistenza sul valore della memoria come tecnica dell'ordinamento enciclopedico delle nozioni, possono essere intese solo in funzione di questo suo grande progetto. ! Per i rapporti fra l'enciclopedia e il piano degli studi cfr. E. Garin, L'educazione in Europa, Bari, 1957, pp. 235 -39. Sul lullismo di Asted cfr. Carreras y ARTAU, La filosofia cristiana, Madrid, 1939-43, II, pp. 239-49; V. OsLer, s.v. in Dictionnaire de Théologie Catolique, I, coll. 923 - 24. Molte opere inedite in Niceron, Mémoires, Parigi, 1740, 41, pp. 298-311. 180 CLAVIS UNIVERSALIS Alla ricerca di una « via compendiosa » capace di dischiudere all'uomo il possesso di un sapere totale si volsero, secondo Alsted, i tre maggiori studiosi di logica che siano apparsi sulla terra: Aristotele, Raimondo Lullo, Pietro Ramo. Essi si ri- volsero agli uomini, che erano alle origini della storia, « pror- sus feros et cyclopicos » e, quasi tenendoli per mano, li con- dussero « verso i pascoli amenissimi della scienza ». Al di là delle differenze, i tre grandi filosofi ebbero uno scopo e un me- todo comune «ad quem collinearunt, licet in modis dissi- deant »: in questo senso le loro dottrine possono e debbono essere conciliate.? Nella Panacea philosophica seu... de armo- nia philosophiae aristotelicae lullianae et rameae® del 1610 Alsted tenterà, con grande ricchezza di riferimenti, una con- ciliazione dei tre metodi, ma già nella Clavis artis lullianae che qui più da vicino ci interessa e che risale all'anno prece- dente, troviamo presente questa stessa preoccupazione. Nel terzo capitolo dell’opera, De tribus sectis logicorum hodie vi- gentibus, Alsted volgeva la sua attenzione alla situazione, in Europa, degli studi di logica. Dopo aver tracciato un breve quadro dell’aristotelismo e aver ricordato, fra gli aristotelici contemporanei, Melantone e Goclenius, Scaligero e Zabarella, Piccolomini e Suarez, egli lamentava lo scarso vigore della setta dei lullisti tedeschi e paragonava la triste situazione della logica tedesca, intieramente dominata dalle controversie fra aristotelici e ramisti, al fiorire degli studi lulliani in Spagna, in Francia, in Italia. I grandi commentatori di Lullo, da Agrippa a Bruno, dal Gregoire al De Valeriis, non sono stati

in grado di chiarire il complesso funzionamento della combi- natoria, hanno aggiunto oscurità ad oscurità, hanno mescolato i loro sogni alle tenebre del lullismo. Per risollevare le sorti 2 Cfr. Clavis artis lullianac et verae logices duos in libellos tributa, id est solida dilucidatio artis magnac, generalis et ultimae quam Raymun- dus Lullus invenit... edita in usum cet gratiam corum, qui impendio delectantur compendiis, et confusionem sciolorum qui iuventutem fa- tigant dispendiss, Argentorati, Sumptibus Lazari Zetzneri Bibliop., anno 1609 (ristampata nel 1633 e nel 1651), prefazione, (Copia usata: Triv. Mor. I, 304). ° Panacea philosophica seu Encyclopaediae universa discendi methodus. De armonia philosophiae aristotelicac, lullianae et rameae, Herbornae, 1610 (Copia usata: Braid., B. XII. 5, 314). ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 181 della setta lulliana è necessario richiamarsi all'opera del La- vinheta, di Fernando de Cordoba, di Lefèvre d’Etaples, del Bovillo, dei fratelli Canterio, di Pico e riprendere dai fonda- menti il grande progetto di Raimondo: trovare una scienza, conosciuta la quale, tutte le altre possano essere senza fatica né difficoltà conosciute, e che, come il filo di Teseo, costitui- sca il criterio di verità di ogni aspetto e di ogni manifestazio- ne del sapere. Quest’ars generalis, che Alsted avvicina ripetu- tamente alla cabala, potrà essere realizzata mediante la de- terminazione dei « termini generalissimi » e dei « princìpi ge- nerali » presenti in ogni singola scienza e la successiva indivi- duazione dei termini e dei princìpi « comuni », costitutivi cioè di ogni possibile sapere." Esistono quindi, per Alsted, assiomi o princìpi universali comuni a tutte le scienze, operanti in ogni ricerca. Le scienze e le tecniche si presentano, ad un primo sguardo, come un 4 Cfr. Clavis artis lullianae, cit., pp. 9-14; 19: « Tantum de Rameis restant philosophi in Germania minus celebres Lullisti. In Germania, dico quia in Hispaniis, Galliis et Italia sunt quamplurimi de hoc grege, ct nominatim quidem in Italia sunt speculatores... qui huic arti sunt deditissimi... Haec duo sectae, Peripatetica dico ct Ramaea in pracsen- tiarum sunt florentissimac, superest tertia, puta Lullistarum, quae hodie ferme "Multis pro vili, sub pedibus jacet”... ». Il giudizio sui commentatori era particolarmente aspro: «Nam commentatores (uti- nam fuissent commendatores) lulliani, tenebras potius et nebula offu- derugt quam lucem ‘attulerunt, aut facem practulerunt divino operi. Aut enim sua somnia immiscuerunt, aut obscura per acque obscura explicarunt ». Lo scopo della divina arte di Lullo fu di «talem inve- nire scientiam, qua cognita, reliquae quoque sine difficultate ulla labo- reque magno cognoscerentur, et ad quam, tamquam lydium lapidem, flum Thesci ct Cynosuram omne scibile examinaretur ». L’avvicina- mento dell’arte lulliana alla cabala è, nell'opera di Alsted, continuo e insistente. Si veda per es. la Tabula ad artis brevis cabalae tractatus et artis magnac primum caput pertinens c il giudizio su Lullo: « Quum Lullius fuerit mathematicus et kabbalista, impendio delectatus est me- thodo docendi mathematica et kabbalista, ideoque circulus adhibuit, quos non nemo concinne vocavit magistros scientiarum. Et huc facit tritus versiculus: Omnia dant mundo Crux, Globus atque Cubus ». Può essere di qualche interesse notare che, fra i cultori dell'Arte, Alsted ricorda anche il Poliziano «qui, opino per hanc artem, se disputare posse de omnibus pollicebantur » (p. 14). Per i richiami di Alsted a Bruno cfr. le mie Note bruniane, in « Rivista critica di storia della filosofia », 1959, II, pp. 198-199. 182 CLAVIS UNIVERSALIS insieme caotico, come una disordinata foresta: dietro quel caos apparente sono rintracciabili le linee di un ordine pro- fondo; la rigida separazione fra le scienze è solo provvisoria; quell’intricata foresta potrà rivelarsi l’ordinata ramificazione di un unico, comune albero del sapere dal quale si dipartono, secondo una razionale successione, i rami delle singole scienze e delle differenti tecniche. In vista della costruzione di un nuovo metodo universale è necessario riportare ordine, coe- renza e sistematicità in quel caos, penetrare coraggiosamente in quella foresta per chiarire l’ordinata struttura dei suoi rami, per svelare l’esistenza di un tronco comune e portare infine alla luce le comuni radici. Da questo punto di vista, il problema del metodo si risol- veva integralmente in quello di un ordinamento delle no- zioni, di una sistematica classificazione degli oggetti che co- stituiscono il mondo e dei concetti che sono stati elaborati dall'uomo. La logica, strumento del metodo, ha il compito di ordinare e di classificare: «La sola logica è l’arte della memoria. Non si dì nessuna mnemotecnica al di fuori della logica. E pare che di ciò si sia accorto Raimondo Lullo che, nel suo opuscolo De auditu kabbalistico, scrisse queste paro- le: “Il metodo vien costituito non solo per l’esercizio del- l’umano intelletto, ma anche perché fornisca un rimedio alla dimenticanza”. Se dunque l’ordine è la madre della me- moria, la logica è l’arte della memoria. Trattare dell’ordine è infatti il compito della logica ».* L’intera enciclopedia si presenta in tal modo come un grande Systema mnemonicum e la logica si presenta come una directio intellectus che è, al tempo stesso, una confir- matto memoriae.® Precisamente su questo terreno Alsted tenta di realizzare una conciliazione tra la dialettica rami- 5 Cfr. Systema mnemonicum duplex... in quo artis memorativae prae- cepta plene et methodice traduntur: et tota simul ratio docendi, discen- di, Scholas aperiendi, adeoque modus studendi solide explicatur et a pseudo-memoristarum, pseudo-lullistarum, pseudo-cabbalistarum im- posturis discernitur atque vindicatur, Prostat, in nobilis Francofurti Pal- theniana, anno 1610, p. 5 (Copia usata: Angelica, XX. 12. 47).

* Systema mnemonicum duplex, cit., p. 105: « Logicae duplex est finis et duplex obiectum; primus est directio intellectus, secundus est me- moriae confirmatio ». ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 183 sta e la combinatoria lulliana. Non a caso, nel System mne- monicum duplex del 1610, dopo aver definito il metodo come « instrumentum mnemonicum quod docet progredi a ge- neralissimis ad specialissima » egli inserisce nella sua tratta- zione le tre fondamentali leggi della dialettica ramista: « Pri- ma lex est lex homogeniae... secunda lex dicitur coordina- tionis.... tertia lex dicitur transitionis ».' Eredità lulliane ed influenze ramiste, echi delle ormai secolari discussioni sull’arte della « memoria locale », anda- vano in tal modo a congiungersi in funzione dell’enciclope- dia.* Ma più che a una riforma della logica Alsetd era indub- biamente interessato ad una riforma della « pedagogia »: una nuova organizzazione dell’insegnamento, delle scuole, dei metodi didattici doveva corrispondere, punto per punto, al nuovo ordinamento del mondo del sapere. Riducendo a sistema — come scriverà Bayle® — tutte le parti delle arti ? Cfr. Systema mnemonicum duplex, cit., pp. 106-107. # Seguendo una tradizione che risale al Lavinheta, Alsted avvicina i circoli dell’arte lulliana ai «luoghi » della mnemotecnica di derivazio- ne ciceroniana: « Circulus in arte lulliana est locus et quoddam quasi domicilium in quo instrumenta inventionis collocantur... » (Clavis artis lullianae, cit., p. 25). Ma, oltre alle opere già ricordate sono da vedere: Artium liberalium, ac facultatum omnium systema mnemonicum de modo discendi, in libros septem digestum et congestum, Prostat, 1610; Encyclopaedia septem tomis distincta, Herborni Nassaviorum, 1630 (Co- pie usate: Angelica, XX. 12. 48; Braidense, +}. XIV. 16). Fra le opere di carattere religioso € pedagogico si vedano: Theatrum scholasticum, Flerborniae, 1610; (che contiene un Gymnasium mnemonicum); Tri- gae canonicae, Francoforte, 161! (contenente una Artis mnemologicae explicatio); la Dissertatio de manducatione spirituali, transubstantiatio- ne, sacrificio missae, de natura et privilegiis ecclesiae, Ginevra, 1630 (cfr. Padova, Antoniana, K. VII. 14). Un certo interesse presenta anche

la classificazione delle scienze matematiche contenuta nel Methodus ad- mirandorum mathematicorum novem libris exhibens universam ma- thesin, Herbornae Nassaviorum, 1623, pp. 5-7: « Mathesis est pars encyclopaediae philosophicae tractans de quantitate communiter... Ordo scientiarum mathematicarum hic est. Scientiac mathematicae sunt pu- rae vel mediae. Purae sunt quac occupantur circa solam quantitatem: quales sunt arithmetica et geometria. Mediae sunt quae occupantur, circa quantitatem haerentem in corpore: ut cosmographia, uranoscopia, geographia; vel in qualitate ut in optica, musica et architectonica ». (Copia usata: Padova, Civica, G. 6327). pi Bayle, Dictionnaire historique et critique, Amsterdam, 1740, pp. - 66. 184 CLAVIS UNIVERSALIS e delle scienze, Alsted intendeva in realtà lavorare — come poi Comenio — per un sapere unitario capace di riscattare e di liberare gli uomini. 2. LA PANSOFIA E LA GRANDE DIDATTICA: (COMENIO. La ricerca di un metodo, di una logica, di un linguaggio che consentano all’uomo di penetrare e di dominare tutto, che garantiscano all'uomo il possesso dell’enciclopedia, della sapienza universale: questo fu la pansofia. E nell’ideale pan- sofico, proposto alla cultura di tutta Europa (ma la /anza linguarum fu tradotta anche in arabo e in persiano e pene- trò fin nell’ Estremo Oriente) dall'impeto riformatore di Co- menio ritroviamo chiaramente presenti non solo gli insegna- menti di Bacone e di Alsted, di Ratke e di Andrei, ma anche molti dei temi derivati dalla tradizione dell’ars memorativa e da quella, essai più vigorosa, dell’enciclopedismo lullista.'° Mentre andava chiarendo le linee fondamentali del suo pensiero, nella Conatuum pansophicorum dilucidatio, Co- menio enumerava gli autori che lo avevano preceduto, le opere dalle quali il suo tentativo poteva trarre conforto e ispirazione. Fin dall’antichità uomini insigni tentarono di raccogliere il complexum totius eruditionis; in questo senso operò Aristotele indicando le tre leggi necessarie al raggiun- gimento di quella onniscienza che è possibile all'uomo: la principiorum universalitas, l’ordinis methodus vera, la ve- ritatis certitudo infallibilis. A queste stesse leggi — prosegue Comenio — si son richiamati quegli studiosi che, nell’età moderna, si sono fatti autori di enciclopedie, di polimatheie, di sintassi dell’arte mirabile, di teatri della sapienza, di pa- nurgie, di grandi restaurazioni, di pancosmie. I titoli cui Comenio fa riferimento ci rimandano ad opere ben note: agli scritti del De Valeriis c del Gregoire, alle opere di Giu- lio Camillo e del Patrizzi che vengono accostate (e l’accosta- ! Sulle origini della pansofia: W. E. PeuckeRT, Pansophie. Ein Ver- such zur Geschichte der weissen und schwarzen Magie, Stuttgart, 1936. Sugli ideali pedagogici: L. Kvacata, }. A. Comenio, Berlino, 1914 c ora E. Garin, L'educazione in Europa, cit., pp. 241-252. Sul lullismo di Comenio brevissime, insufficienti annotazioni in CARRERAS Y ARTAU, Op. cit., II, p. 299. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 185 mento è significativo) alla /nstauratio magna di Bacone. Di fronte a questa eredità, Comenio ripete il solenne motto di Seneca: « Molto fecero quanti vennero prima di noi, ma essi non terminarono l’opera; molto resta e molto resterà anco- ra da fare; neppure fra mille secoli sarà preclusa ad alcuno fra i mortali l’occasione di aggiungere ancora qualcosa ». Ri- chiamandosi a questa eredità Comenio intende dunque rea- lizzare « un’opera universale » e anch’essa, come già quella dei suoi predecessori, non è costruita solo per l’uso degli eru- diti ma per quello di tutti i popoli cristiani. Muterà il de- stino stesso della razza umana quando sarà realizzata quella pansofia che è « universae eruditionis breviarum solidum, in- tellectus humani fax lucida, veritatis rerum norma stabilis, negotiorum vitae tabulatura certa, ad Deum denique ipsum scala beata ».!! I richiami di Comenio ai teatri, alle sintassi, alle enci- clopedic basterebbero da soli a documentare l’esistenza di una effettiva continuità di temi e di motivi, il persistere di interessi comuni fra i maggiori esponenti dell’enciclopedismo lullista e i teorici della pansofia. Ma non meno evidenti — anche se assai meno noti — sono i rapporti che legano l’opera comeniana a quella dei maggiori teorici dell’ars me- morativa per tanti aspetti connessa, dopo la metà del Cin- quecento, alla rinascita del lullismo. Solo chi abbia presenti le discussioni sulla funzione mnemonica delle immagini, tanto diffusa fra gli esponenti dell'Arte, potrà rendersi conto dell'ambiente nel quale ebbe a maturare il tentativo come- miano di fondare sulle figure e sulla visione ogni duraturo e stabile apprendimento. La prima parte dell’ Ordis  sensua- lium pictus si presenta, non a caso, come una «omnium principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura !! Per quanto qui esposto cfr. Philosophiae prodromus et conatuum pansophicorum dilucidatio. Accedunt didactica dissertatio de sermonis latini studio perfecte absolvendo, aliaque erusdem, Lugduni Batavo- rum, Officina David Lopez de Haro, 1644, pp. 120-122. (La prima edizione dell’opera è Londra, L. Fawre et S. Gellibrand, 1639). Ho visto l'edizione del 1644 nell’esemplare dell’Angelica, SS. 10.90 al qua- le è stato legato assieme il Faber fortunae sive ars consulendi sibi ipsi ttemque regulac vitae sapientis, Amstelodami, ex officina Petri van der Berge, 1657. 186 CLAVIS UNIVERSALIS et nomenclatura », e chi ne scorra le pagine piene di figure e di simboli troverà appunto, ovunque presente, la tesi che la realtà delle cose dev'essere intuita e vista attraverso le immagini delle cose.!* Fondamento di un erudizione non astratta e scolastica, ma « piena e solida », non oscura e con- fusa, ma «chiara e distinta e articolata come le dita della mano », è la «retta presentazione, ai sensi, delle cose sensi- bili ». Solo per questa via, la via dell'immagine, del senso e della memoria, sarà possibile giungere poi alla più alta educazione dell’intelletto. Alle immagini vien dunque attri- buita una funzione decisiva: esse sono «le icone di tutte le cose visibili dell’intero mondo, alle quali, con modi appro- priati, saranno riducibili anche le cose invisibili ». Ripren- dendo il motivo centrale della Cirsà del Sole campanelliana Comenio giunge a significative conclusioni: «al nostro fine servirà validamente anche questo: dipingere sulle pareti delle aule il sunto di tutti i libri di ciascuna classe, tanto il testo (con vigorosa brevità) quanto le illustrazioni, ritratti e rilievi, che esercitino ogni giorno i sensi e la memoria degli stu- denti. Sulle pareti del tempio d’ Esculapio, come ci hanno tramandato gli antichi, erano scritte le regole di tutta la me- dicina che Ippocrate, di nascosto, copiò da capo a fondo. Anche Dio infatti dovunque riempì questo grande teatro del mondo di pitture, di statue e di immagini, come vive rap- presentazioni della sua sapienza ». Non si trattava solo della generica accettazione di mo- tivi diffusi: l’« alfabeto filosofico » proposto da Comeniocontro quella « permolesta ingeniorum tortura » che è la sil- labatro, nel quale le lettere son riprodotte accanto all’imma- gine dell'animale «cuius vocem litera imitatur »,!” non fa che riprodurre, con intenti solo in parte diversi, quegli « al- fabeti mnemonici » che troviamo presenti in tutti i testi quattrocenteschi e cinquecenteschi di ars reminiscendi. A questa stessa tecnica del raffrozamento della memoria (lar- 12 Orbis senstalis picti pars prima. Hoc est: omnium principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura et nomenclatura, cum titu- lorum iuxta cetque vocabulorum indice, Noribergae, Sumtibus Joh. Andr. Endteri haeredum, anno salutis, 1746 (la prima ediz. è del 1658). Si vedano, in particolare, le pagine della prefazione. 19 Cfr. Orbis sensualis picti pars prima, cit., prefazione e pp. 4-5. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 187 ghissimamente impiegata dallo stesso Comenio nel De ser- monis latini studio del 1644), ai teatri del mondo, alla ca- bala si richiamano poi quelle numerose pagine di Come- nio nelle quali vien presentato quel Theatrum sapientiae cui dev'essere attribuito, per la nobiltà degli oggetti che racchiu- de, il più solenne nome di Templum. Il tempio della panso- fia cristiana è costruito secondo le idee, le norme, le leggi divine, è consacrato a tutte le genti di ogni lingua: in esso sono « collocati » le facoltà, gli oggetti prodotti dalla forza naturale presenti nel mondo visibile, l’uomo e i prodotti dell'ingegno umano, le realtà interne dell’uomo, Dio e le potenze angeliche, i prodotti della vera sapienza: di fronte a queste pagine comeniane è difficile non ricordare le mac- chinose costruzioni emblematiche del De Valeriis e del Ca- millo, le grandi rassegne della realtà universale presenti nel Thesaurus memoriae del Rosselli.!' Anche il progetto comeniano di una «enciclopedia to- tale » appare del resto profondamente legato alle impostazio- ni del lullismo, alle discussioni sulla catena scientiarum, ai progetti, così numerosi nel Cinquecento, di una scienza uni- taria o arte universale. L’oggetto della sapienza — scrive Co- menio nel Pansophiae prodromus del 1639 — è stato di volta in volta attribuito alla filosofia, alla medicina, alla teologia, al diritto; è stato concepito come oggetto di una scienza par- ticolare; identificato con una visione parziale che allontana ogni speranza di pervenire alla totalità, alla comprensione dell’unità del mondo. Alla visione totale, alla lettura del gran libro dell'universo si potrà giungere attraverso un pro- cesso graduale che va dall’enciclopedia sotto la specie sensi- bile (orbis sensualis) all’enciclopedia sotto la specie intellet- tuale (orbis intelletualis): alla visione unitaria, che è lo scopo più alto del sapere, non si potrà invece mai giungere me- 14 Il testo della Dissertazio didactica de sermonis latini studio in Pan- sophiae prodromus, cit., pp. 173-224. Per il tempio della pansofia cristana cfr. le pp. 122-165: « Pansophiae christianae templum ad Ipsius supremi Architecti Onnipotentis Dei ideas, normas, legesque Istruendum, et usibus Catholicae Iesu Christi Ecclesiae, ex omnibus gentibus, tribubus, populis et linguis collectae et colligendae consecran- dum ». Cfr. anche la Pansophiae Diatyposis iconographica, Amstlelo- dami, 1645. 88 CLAVIS UNIVERSALIS diante la successiva aggiunta di considerazioni parziali.!* Tutti i tentativi di giungere all'unità mediante l’enumerazione e la collezione delle soluzioni e delle tecniche particolari, sono miseramente falliti: da un lato si son confezionati gigante- schi ma inutili elenchi che volevano esaurire, in una mint- tiarum confectatio, la totalità delle parole e delle cose; dal- l’altro si son costruite ordinatissime enciclopedie simili più ad eleganti catene dai molti anelli che a macchine capaci di funzionare in modo autonomo e cocrente.!* Ne son derivati ordinati mucchi di legna disposti con gran cura e pazienza, ma non si è riusciti a dar luogo a quell’albero vivo delle scienze verdeggiante di fronde e ricco di rami e di frutti che trae alimento e vigore dalle sue proprie radici. Dar vita a quell’albero («at nos scientiarum et artium radices vivas, ar- borem vivam, fructus vivos desideramus »), sarà possibile solo attraverso la visione unitaria del tutto, la pansofia che è insieme possesso del tutto e viva immagine del vivente uni- verso: (« Pansophiam dico, quae sit viva universi imago, sibi ipsi undique cohaerens, seipsam undique vegetans, seip- sam undique fructu applens... »). A quegli inutili, pedante- schi elenchi di parole e di cose andrà quindi contrapposto il promptuarium universalis eruditionis, il libro della pan- sofia: qui la compendiosità, la chiarezza, il rifiuto di ogni oscurità, la « perpetua connexio causarum cet effectuum » la « ordinis continuo fluentis series a principio ad finem» so- stituiranno la caoticità e l’oscurità delle precedenti compila- zioni.!’ In realtà l'enciclopedia comeniana, per quanto attiene ai motivi di fondo, non si muoveva su un piano molto diverso da quello sul quale si erano mossi, nel corso del Cinquecento, !5 Cfr. Pansophiac prodromus, cit., pp. 132-136 e le considerazioni svolte a questo proposito da E. Garin, L'educazione in Europa, cit., p. 249. 16 Cfr. Pansophiae prodromus, cit., p. 41: «Quas adhuc vidi Encyclo- paedias ctiam ordinatissimas similiores visae sunt catenae annulis mul- tis eleganter contextae, quam automato rotulis artificiose ad motum composito et seipsum circumagente; et lignorum strui, magna quadam cura et ordine eleganti dispositac similiores, quam arbori e radicibus propriis assurgenti spiritus innati virtute se in ramos et frondes expli- canti, et fructus edenti ». 1? Cfr. Pansophiae prodromus, cit., pp. 21, 41-42, 136. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 189 gli “enciplopedisti” di ispirazione lulliana. Questa comu- nanza di impostazioni, che sussiste al di là delle differenze, delle critiche e dei polemici rifiuti, risulterà chiara ove si prendano in considerazioni alcuni problemi caratteristici : 1) quello dei rapporti intercorrenti fra la logica e l’enciclope- dia; 2) quello della corrispondenza fra l’universo dei segni c l'universo delle cose; 3) quello dell’unità del mondo (ritma- to secondo l'armonia delle leggi divine) rispetto alla quale l'enciclopedia si pone come uno « specchio »; 4) infine quello della logica-enciclopedica come «chiave universale » capace di dischiudere all’uomo i segreti ultimi della realtà. Su ciascuno di questi punti la posizione di Comenio è precisa: il vocabolario o la fanua linguarum coincide con la enciclopedia («januam linguarum et encyclopediam debere esse idem ») e si pongono come una intellectus humani cla- vis che consente la lettura dell’alfabeto divino impresso sulle cose; l'ordinamento rigoroso delle nozioni, l’immagine uni- taria e gerarchica dell’universo sono il frutto più alto del nuovo metodo che è in grado di ricondurre ogni nozione al suo genere e alla sua specie « ut quicquid de ulla re dicen- dum est, simul et semel de omnibus dicatur de quibus dici potest »; l’intera enciclopedia appare fondata su un numero ridottissimo di «assiomi » o di «sententiae per se fide di- gnae, non demonstrande per priora, sed illustrandae solum exemplis »; l’intero mondo del sapere apparirà in tal modo simile a una «catena » la cui struttura appare simile a quel- la in uso nella matematica: « Il rimedio sarà: una conforma- zione di tutte le arti e le scienze tale che ovunque si inizi dalle cose più note e il processo verso quelle ignote avvenga con lentezza e gradatamente, così come, in una catena, ogni anello sostiene e trascina l’altro anello... Come, presso i ma- tematici, dimostrato un teorema segue il sapere e dimostrato un problema segue l’effetto, così, nella pansofia, dimostrata una qualche parte dell’universale dottrina, ne conseguono certezza e infallibilità ».!* 18 Cfr. Pansophiae prodromus, cit., pp. 4, 24-25, 78, 85. Sulla coinci- denza della Janua linguarum e dell'enciclopedia cfr. la Janua lingua- rum reserata aurea, Lugduni Batavorum, 1640 (la prima ediz. è del 1631), prefazione e l' Eruditionis scholasticae atrium rerum et lingua- rum ornamenta exhibens, Norimbergae, 1659, p. 5 (copie usate: Braid., tt 4.30 e Angelica IV, 1.56). 190 CLAVIS UNIVERSALIS L’infinita varietà delle nozioni e delle cose è dunque ri- ducibile ad un numero limitato di « assiomi » o di « princì- pi». Questa riducibilitù —che rende possibile la stesura del libro della pansofia — appare chiaramente fondata, anche in Comenio, su alcuni tipici presupposti: le strutture del di- scorso e quelle del mondo reale si corrispondono pienamente; le stesse, identiche rationes sono presenti in Dio, nella na- tura, nell’arte. Le raziones rerum sono in ogni caso le stes- se: in Dio sono ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, nel- l’arte ut in Antytipo.?* Di fronte ai dubbi che possono essere avanzati sulla possibilità di rintracciare una «chiave univer- sale », Comenio fa appello alla riducibilità del mondo a pochi fondamentali elementi e allo stretto parallelismo intercorren- te tra le res da un lato ce i conceptus, le imagines, i verba dal- l’altro: « Per quanto le cose poste al di fuori dell’intelletto sembrino qualcosa di infinito, tuttavia esse non sono infi- nite perché il mondo, opera stupenda di Dio, consta di pochi elementi e di poche forme differenti e perché tutto quanto è stato escogitato mediante l’arte può essere ricondotto a determinati generi e a determinati punti principali. Poiché dunque fra le cose e i concetti delle cose, fra le immagini dei concetti e le parole si dà un parallelismo, e poiché nelle cose singole sono presenti alcuni princìpi fondamentali dai quali tutto il resto risulta, io pensavo che quei princìpi fon- damentali, che sono egualmente nelle cose, nei concetti e nel discorso, potessero essere insegnati. Mi veniva anche alla mente che i chimici avevano trovato il modo di liberare le essenze o spiriti delle cose dalla superfluità della materia in modo da poter concentrare in una piccola goccia una forza ingente di minerali e di vegetali e che questa goccia era, nelle medicine, di maggior efficacia che i corpi mine- rali e vegetali nella loro integrità. E non potrà essere escogi- tato nulla (pensavo) per radunare e concentrare in qualche modo i precetti della sapienza ora sparsi per i così ampi ter- reni delle scienze ed anzi, al di là dei loro stessi confini, sparsi 19 « Eadem proinde sunt rerum rationes, nec differunt, nisi existendi forma: quia in Deo sunt ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, in arte ut in Antitypo » (Pansophiac prodromus, cit., p. 67). ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 191 all’infinito? Allontaniamo ogni sfiducia perché ogni atto di sfiducia è una bestemmia verso Dio ».?° Determinando i princìpi e le essenze, ponendosi come specchio fedele della natura, l’arte ha il compito di rivelare la profonda armonia che lega gli elementi dell’universo: « Omnis harmoniae fons, Deus, harmonice fecit omnia... i musici chiamano armonia la piacevole consonanza di molte voci e tale, in verità, è l’armonioso concerto delle virtù eter- ne in Dio, delle virtù create nella natura, delle virtù espresse nell’arte; in Dio, nella natura, nell'arte si dà armonia e c’è armonia divina e l’arte è immagine della natura ».?! Di qui nasceva la fede di Comenio nella possibilità di una partecipazione di tutti gli uomini a una comune salvez- za, la sua convinzione che, attraverso la conquista della pan- sofia, potessero terminare per sempre le guerre, le liti, i dis- sidi dei quali fin’ora si è nutrito il mondo: «cederent etiam non invitae tam claro lumini errorum tenebrae et hominibus facilius cessarent dissidia, lites, bella quibus se nunc conficit mundus ».?? 3. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA NEL SECOLO XVII. L'eredità dell’ enciclopedismo lullista, la fede nella pos- sibilità di un’arte capace di porsi come strumento di razionale convivenza tra le genti, l'aspirazione a un metodo universale o scienza unitaria che riveli la coincidenza tra le strutture del pensiero e quelle della realtà erano ormai state integralmente accolte, in quanto avevano di più valido, dai maggiori rap- presentanti della cultura europea. Bacone, Cartesio, Alsted, Comenio (così come più tardi avverrà con Leibniz) avevano accolto alcuni temi presenti nella tradizione lullista e li ave- °0 Pansophiae prodromus, cit., p. 86. 21 Pansophiae prodromus, cit., p. 67 e cfr. alle pp. 55-56. Ma su que- ste conclusioni cfr. anche la Janua rerum reserata hoc est sapientia pri- ma (quam vulgo metaphysicam vocant) ita mentibus hominum adaptata ut per cam in totum rerum ambitum omnemque interiorem rerum or- dinem et in omnes intimas rebus coeternas veritates prospectus pateat catholicus simulque et cadem omnium humanarum cogitationum, ser- monum, operum fons et scaturigo, formaque et norma esse appareat, 1681. 22 Pansophiae prodromus, cit., p. 44. 192 CLAVIS UNIVERSALIS vano inseriti in un più vasto discorso concernente la logica, la funzione della filosofia, i rapporti fra le scienze, l'educazione del genere umano. In molti dei testi, numerosissimi, dei se- uaci e dei commentatori di Lullo pubblicati nel corso del se- colo XVII troviamo invece solo la ripetizione di motivi ormai tradizionali, l’insistenza su temi ormai trasformati in luoghi comuni, la pedantesca riesposizione delle regole della combi- natoria. Le discussioni sull’enciclopedia, sulla trasmissione del sapere, sul metodo, sul linguaggio si andavano ormai svol- gendo, a più alto livello, in ambienti differenti. E tuttavia an- che di questi testi — non pochi fra i quali furono ammirati c celebrati in tutta Europa e amati e studiati da uomini in- signi — gioverà tener conto. Non solo per sottolineare la presenza operante di un tipo di ricerche che ebbe eco vastis- sima, ma anche per rendersi conto di come, su quelle stesse ricerche, andassero riflettendosi alcune esigenze caratteristiche della cultura del Seicento. Abbiamo già ricordato i progetti di unificazione delle scienze presenti nelle opere del Morestell, del Meyssonnier, di Jean d’Aubry, ma altri casi sono, da questo punto di vista, non meno indicativi. Nel 1632, a Parigi, veniva pubblicato da R. L. de Vassi, consigliere del Re, Le fondément de l'artifice universel... sur lequel on peut appuyer le moyen de pervenir à l’Encyclopedie ou universalité des sciences par un ordre mé- thodique beaucoup plus prompte et vrayment plus facile qu aucun autre qui soit communement receu.?* Il libro, nono- stante le mirabolanti promesse contenute nella lettera dedi- catoria, conteneva in realtà solo la parziale traduzione di alcuni scritti di Lullo. Ma è significativo che l’opera di Lullo venisse allora presentata come lo strumento atto a consentire il metodico ordinamento delle scienze e la realizzazione del- l'enciclopedia. In una situazione che il de Vassi giudicava assai poco favorevole agli studi lulliani («la pratique artift- cielle du Docteur Raymonde Lulle, mis en oubly par la plus grand part et rejetté communement du commun des Doc- teurs... ») i testi della combinatoria venivano riproposti in fun- 29 Traduit par R. L. Sicur de Vassi, conseiller du Roy, A_ Paris, dans l'imprimerie d’Ant. Champenois, 1632. (Copia usata: Triv., Mor. M. 30). ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 193 zione di un problema che era, in quegli anni, estremamente attuale. E’ un atteggiamento, questo, che ritroviamo presente anche negli scritti (ben noti a Leibniz) di Jano Cecilio Frey (morto nel 1631), medico della regina madre di Francia, au- tore, oltre che di scritti di medicina e di fisiognomica, di un compendio di filosofia aristotelica e di una Via ad divas scien- tias artesque, linguarum notittam, sermones extemporaneos nova et expeditissima.?* Nell’edizione postuma delle sue ope- re ® troviamo, accanto ai consueti interessi per la retorica e per il linguaggio, per la logica (via ad scienttas) e per l’enciclo- pedia (scientiae et artes omnes ordine distributae et desumptae), il tentativo di ridurre ad assiomi i princìpi di tutte le scienze (ariomata philosophica) e di tracciare le linee di un ordina- mento degli studi. Le regole dell’arte della memoria di origine “ciceroniana” vengono riprese dal Frey e inserite — sulle tracce del Lavinheta — nella tematica dell’ars combinandi. Non a caso la pAilosophia rationalis viene ripartita dal Frey in logica, dialettica e arte memorativa (« philosophia ratio- nalis est logica et dialectica et ars memorativa »).?° La costruzione di una assiomatica delle scienze (riduzione di tutti i termini fondamentali delle singole scienze ai prin- cìpi di una combinatoria riformata), la determinazione dei rapporti fra i vari rami del sapere sono i temi centrali anche 24 L'opera fu pubblicata a Parigi (excudebat D. Langlaeus) nel 1628. Ho usato l’edizione del 1647 (Braid. W.Z.8.3). Del Frey sono da ricordare il Compendium medicinae pubblicato nel 1646 e | Onmnis homo, item amor et amicus, item Physiognonia Chiromantia Onciro- mantia, Parigi, 1630. Di questi ultimi due scritti e del panegirico com- posto dal Gaffarcl (Lacrimae sacrae in obitum Ilani Caecilii Frey me- dici, Parigi, 1631) dà notizia il THORNDIKE, History of magic and expe- rimental science, New York, 1958, VIII, pp. 456 - 57, 472-73. È da ve- dere anche l'Universae philosophiae compendium luculentissimum, ad mentem ct methodum Aristotelis concinnatum, Parisiis, excudebat D. Langlaeus, 1633 (Par. Naz. R. 9652 e R. 36568). 25 Jani Caecitu Frey, Opera quae reperiri potuerunt in unum corpus collecta, Parisiis, J. Gesslin, 1645-46, 3 parti in 2 voll. (Copia usata: Angelica, SS. 6. 15). 2° « Philosophia rationalis est logica et dialectica et ars memorativa. Dialectica quidem dans materiam disputandi et argumenta. Logica dans formas argumentandi. Dialectica vel lullistica, vel peripatetica, vel ramea » (Opera. cit., p. 527). Per la ripresa dei tradizionali motivi della mnemotecnica ciceroniana si vedano le pp. 443 - 450. 194 CLAVIS UNIVERSALIS del macchinoso Digestum sapientiae (1648 circa) di Ivo de Paris e del grande Commento all'arte lulliana di Giulio Pace, scolaro dello Zabarella e profugo a Ginevra, professore a Hei- delberg e a Padova.?” Quest'ultimo testo, compilato da uno fra i più acuti e più noti traduttori e commentatori dell’Orga- non aristotelico, da un uomo che fu, oltre che logico insigne, giurista di gran fama, sarebbe, di per sé, meritevole di un lungo discorso. Ma gioverà invece soffermarsi con una certa ampiezza su un testo del 1659 che ebbe immediata risonanza curopea e godette poi di fortuna grandissima: il Pharus scien- tiarum dello spagnolo Sebastian Izquierdo.°* Alla costruzione dell’arte universale o «scienza delle scienze» — afferma Izquierdo — hanno lavorato nei secoli Aristotele e Cicerone, Quintiliano e Raimondo Lullo. Quest’antica aspirazione verso una «logica prima» che possa illuminare, come un faro, il cammino ai naviganti nel mare della sapienza, ha trovato espressione, nell'epoca moderna, nella Sinzaxis di Pedro Gre- goire, nel Digestum di Ivo de Paris, nella Cyclognomica di Cornelio Gemma, nel Novum Organum di Francesco Bacone. Per condurre a termine l’opera da questi autori avviata, è ne- cessario rendersi conto di tre cose: 1) l'enciclopedia (la scienzia circularis o orbicularis degli antichi) non consiste in un aggre- 27 L’opera di Ivo De Paris, Digestum sapientiac, in quo habetur scien- tarum omnium rerum divinarumn atque humanarum nexus et ad prima principia reductio, fu pubblicata a Parigi fra il 1648 e il 1650. Un'altra edizione, più nota, a Lione nel 1672. Cfr. CarrERAS y ARTAU, Op. cit., ll, p. 297-98. G. Pace, L'art de Raymond Lullius esclaircy... divisé en IV livres ou est enscigné une méthode qui fournit grand nombre de termes universels d'attributs, de propositions et d’argumens par le moyen desquels on peut discourir sur tous sujets, Paris, F. Julliot, 1619 (Par. Naz. R. 42374 e Z. 19007); Artis lullianac emendatae libri IV, Neapoli, ex typ. Secundini Roncalioli, 1631 (Par. Naz. Rés. Z. 959). Sul grande commento aristotelico - In Porphyrii Isagogen et Aristotelis Organtm commentarius analyticus, Aureliac, 1605 - si vedano, fra l’al- tro, le considerazioni di G. Colli, introduzione alla versione italiana dell'’Orgazon, Torino, 1955, p. XXV. 28 P. SepastIan IzquierDo S. ]., Pharus scientiarum ubi quidquid ad cognitionem humanam humanitus acquisibilem pertinet, ubertim juxta atque succincte pertractatur, Lugduni, sumptibus C. Bourget et M. Liétard, 1659 (Copia usata: Par. Naz. R. 942-943). Cfr. Carreras Y Artau, II, pp. 305-308; P. Ramòn Cenat, E/ P. S. Izquierdo y su Pharus scientiarum, « Revista de filosofia », 1942, 1, pp. 127 - 154. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 195 gato di tutte le scienze, ma in una scienza speciale (« in spe ciali quadam scientia consistere ») che comprende in sé la totalità di tutte le scienze ivi compresi i princìpi della stessa scienza speciale o universale; 2) alla logica « parziale » di Aristotele, va sostituita una logica « integra » che comprenda, oltre all’ars intelligendi perfezionatrice dell’intelletto, un’ars memorandi che soccorre alla memoria, un’ars imaginandi e un’ars experiendi che si volgono ad accrescere le capacità della fantasia e quelle dei sensi esterni; 3) la metafisica deve pro- cedere con assoluto rigore dimostrativo secondo il modello delle scienze matematiche: « se i metafisici avessero ragionato dimostrativamente muovendo, al modo dci matematici, da princìpi evidenti, avrebbero già costruito gran parte della me- tafisica ». In questo modo di concepire la funzione della filo- sofia prima e in questa auspicata estensione del metodo mate- matico alla metafisica, operavano senza dubbio suggestioni cartesiane. Che si fanno ancor più evidenti quando l’Izquierdo (dopo aver criticato l’arte di Lullo per la «barbarie » della sua terminologia, l'insufficienza delle combinazioni binarie e ternarie, l'incapacità a discendere dai termini universali a quelli particolari) identifica la combinatoria con un calcolo. Solo la matematizzazione dell’ars combinandi potrà consen- tire la creazione di quell’unico strumento di tutte le scienze « per quod immediate fabrica scientiae humanae construitur et absque ullo termino semper augetur ». L’idea di avvicinare l’Ars magna ai procedimenti della matematica, assimilando la combinatoria ad un «calcolo », sarà ripresa, com'è noto, dal Leibniz e sarà feconda di im- portanti sviluppi. Ma negli anni nei quali il giovane Leibniz si volgeva alla « nuova » combinatoria, si trattava, contraria- mente a quanto molti han ritenuto, di idea non peregrina. La ritroviamo per esempio, chiaramente formulata, negli scritti di quel singolare venditore di fumo che fu il padre gesuita Atanasio Kircher,*° celebrato per le sue mirabili competenze 2° Sul Kircher cfr. Carreras Y Artau, II, pp. 309-13; L. THORNDIKRE, History of magic, cit., VII, pp. 567 - 578; L. Couturat, La logique de Leibniz, Paris, 1901, pp. 541-43; P. FriepLanpER, A. Kircher und Leibniz. Ein Beitrage zur Gesch. der Polyhistorie im XVII Jahrh., in «Atti della Pontificia Accad. romana di archeologia », Rendiconti, 1937, pp. 229- 247. 196 CLAVIS UNIVERSALIS in fisica e in archeologia, in filologia e in egittologia, in storia e in teoria del linguaggio, autore, fra l’altro, del celeberrimo Mundus subterraneus e di un trattato, altrettanto noto, sui mi- steri dei numeri.?° Ed è significativo, importante per l’inten- dimento di un ambiente culturale, che l'accostamento dell’Arte ai procedimenti matematici, l'esaltazione della combinatoria di Diofanto (« Diophanti nobilis mathematici ars combinato- ria ») alla quale veniva ravvicinata la combinatoria di Lullo, ci appaia presente non solo negli scritti di logici insigni, come l’Izquierdo, ma nelle opere confusissime di un uomo come il Kircher per tanti aspetti legato ai temi della tradizione erme- tica e della sapienza gnostica, ai motivi della magia e della cabala, alle speculazioni sui misteria numerorum. Nonostante le sue tirate retoriche sul valore del metodo sperimentale e la sua difesa della nuova scienza, Kircher credeva alle qualità occulte, alle « simpatie » e ai poteri dell’immaginazione, riat- fermava la teoria della generazione spontanea, era convinto dell’esistenza di demoni girovaganti per le miniere, era pronto, in ogni caso e in ogni circostanza a sottolineare gli aspetti « miracolosi » e meravigliosi » della realtà. Quando l’impera- tore Ferdinando III, durante le aspre polemiche suscitate in Germania dall’apparizione del Pharus scientiarum dell’ Iz- quierdo, fece appello alla dottrina del Kircher per essere in- formato sulla reale utilità dell’arte lulliana e sulla possibilità di una sua ulteriore semplificazione, il gesuita tedesco elaborò una complicata riforma che si rifaceva in gran parte al Pharus dell’ Izquierdo.?! Mentre riprendeva le critiche del suo pre- decessore, Kircher si volgeva però, con prevalente interesse, alla costruzione delle immagini, alle allegorie, alla elabora- zione di figure e di simboli, ai misteri dell'alfabeto. Negli ultimi decenni del secolo, soprattutto ad opera dei °° A. KircHer, Mundus subterraneus, Amstelodami, apud Joannem Janssonium et Elizeum Weyerstraten, 1664-65; Arithmologia sive de abditis numerorum mysteriis, Roma, 1665. 31 A. KircHer, Ars magna sciendi in XII libros digesta, qua nova et universali methodo per artificiosum combinationum contextum de omni re proposita plurimis et prope infinitis rationibus disputari omniumque summaria quaedam cognitio comparari potest, Amsterdam, 1669. ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 197 gesuiti, il lullismo si legava ancora una volta all'atmosfera, ormai torbida ed equivoca, dell’ermetismo e della magia. Nei farraginosi scritti di un altro gesuita, il padre Caspar Knittel, troviamo solo un’ampia esposizione delle regole della combi. natoria e la stanca, monotona ripetizione delle tesi del Kir- cher.*° Nei primi anni del Settecento, un grande erudito, il Morhofius, esprimeva, su queste riforme e questo tipo di pro- duzione magico-filosofica, un giudizio che può essere ripreso: « illa vero consistit in eo [nel Knittel] emendatio, quod nova comminiscatur Alphabeta, aliis literarum formis alioque or- dine, quae mihi res exigua videtur »." 4. L’ALFABETO FILOSOFICO DI GiovanNI EnrICO BISTERFIELD. In tutt'altro senso, intorno alla metà del secolo, aveva par- lato dell’ « alfabeto » Giovanni Enrico Bisterfield che aveva progettato un « alfabeto filosofico » dopo aver raccolto e ordi- nato, in accuratissime tavole, tutti i termini tecnici e tutte le definizioni impiegati da ciascuna scienza.?* Nella creazione di 22 Sull'ipotesi di una presa di posizione dei Gesuiti in favore della magia contro la nuova scienza cfr. L. THorNDIKE, History of magic, cit, VII, pp. 577 -78. 33 Caspar KNITTEL S. J., Via regia ad omnes scientias et artes, hoc est ars universalis scienttarum omnium artiumque arcana facilius pene- trandi, Pragae, J. C. Laurer, 1687 (Par. Naz. Z. 11263); ma è da ve- dere anche la Cosmographia elementaris, Norimbergae, J. A. et W. Endteri, 1674 (Angelica, CC. 9. 13). °4 D. G. MorHorius, Polyhistor literarius philosophicus et practicus, Lubecca, 1732, I, p. 358. 35 Ho fatto uso dei due volumi delle opere: Bisterfieldus redivivus, seu operum Joh. H. Bisterfieldi... tomus primus-secundus, Hagae Co- mitum, ex typographia A. Vlacq, 1661. Il primo volume contiene: Alphabeti philosophici libri tres (pp. 1-132); Aphorismi physici (pp. 133 - 190); Sciagraphia Analyseos (pp. 191-211); Parallelismus analy- seos grammaticae et logicae (pp. 212-243); Artificium definiendi catho- licum (pp. 1-104); Sciagraphia Symbioticae (pp. 3-144). Il secondo volume contiene: Logica (pp. 1-451); De puritate, ornatu et copia lin- guae latinae, (pp. 1-26); Ars disputandi (pp. 27 - 33); Ars combinatoria (pp. 34-36); Ars reducendorum terminorum ad disciplinas liberales technologica (pp. 37-41); Ars seu canones de reductione ad praedica- menta (pp. 42-46); Denarius didacticus, seu decem aphorismi bene di- scendi (pp. 47 - 49); Didactica sacra (pp. 50-53); Usus lexici (pp. 54 - 64). (Copia usata: Angelica, XX, 9. 49 - 50). Del Phosphorns catholicus, seu 198 CLAVIS UNIVERSALIS queste tavole, nella ricerca di perfette definizioni si esauriva per Bisterfield la stessa enciclopedia, quel pictum mundi am- phitheatrum che è « ordinatissima compages omnium disci- plinarum ».'° Più che sulla logica e sul metodo (inteso come regola dell'intelletto e rimedio alla naturale debolezza della memoria) Bisterfield insiste infatti sull'importanza decisiva della praxis logica che è una «artificiosa coniunctio » dei ter- mini della logica e di quelli dell’enciclopedia, una mescolanza degli instrumenta della logica con l’universale enciclopedia.*’ Alle radici dell’enciclopedia stanno i termini trascendentali (« termini trascendentales sunt primae universae encyclopae- diae radices »): da essi muovono l’analisi (che è riduzione di un discorso o di un testo ai suoi termini semplici) e la genesi (che è « simplicium combinatio »): come per una scala si potrà pervenire a quell’artificium definiendi che consente una esatta definizione di tutti i termini dell’enciclopedia e una risolu- zione di tutti i termini nei termini primari o fondamentali.?* ars meditanti epitome cui subjunctum est consilium de studiis felici- ter instituendis ho visto l'edizione del 1657 Lugduni Batavorum, H. Verbiest (Angelica, SS. 5. 451). 36 Alphabeti philosophici libri tres, p. |. 3? Cfr. Alphabeti philosophici libri tres, p. II0: «Praxis logica con- summatur, si omnes termini logici, cum universa encyclopaedia mi- sccantur »; Logica, pp. 323-326: « Usus seu praxis logica est artificiosa instrumentorum logicorum ct terminorum enciclopaediae coniunctio... In praxi logica singulos terminos logicos cum singulis singularum disciplinarum terminis conferri debere ». 38 Cfr. Alphabeti philosophici libri tres, p. 53: « Termini trascenden- tales sunt primae universae encyclopaedia radices »; Sciagraphia analy- scos, p. 191: « Analysis est accuratum de textu seu dissertatione in sua principia resoluto iudicium. Totuplex sit analysis quotuplex in textu adhibita fuit genesis, idque ordine retrogrado. Analysis autem upote praxis frugalem compendiorum ac tabularum cognitionem prae- supponit »; A/phabeti philosophici libri tres, p. 110: «Praxis logica est vel simplicium combinatio vocaturque Genesis, vel combinatorum reductio vocaturque analysis, vel denique mixta estque vel Genesis- analysis vel Analysis-genesis cuius varietas est infinita »; Artificium definiendi, pp. 1-2: « Artificium definiendi catholicum est quod do- cet modum omnium encyclopaediace terminorum definitiones accurate inveniendi ac diiudicandi... Scopus huius artificii est foclix id est fa- cilis, solida ac practica, et quoad in hac vita fieri potest, certa perfec- taque universa encyclopaediac cognitio... Definitiones sunt omnis ge- neseos et analyseos claves et normae. Omnis enim mentis et entis, cum ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 199 Sull’importanza delle definizioni che sono claves et normae della praxis logica, Bisterfield insiste senza posa. « Tantum scit homo solide quantum scit definire »: per giungere a deft- nire esattamente gli enti reali e gli enti di ragione, gli enti separati e quelli collettivi, gli enzia positiva e quelli priva- tionis, è necessario in primo luogo un dizionario (romencla- tura) dei termini impiegati nei vari discorsi propri delle sin- gole discipline. Sulla base del dizionario verranno costruite le tavole che sono «totius mundi totiusque encyclopaediae re- praesentationes ». Mediante le tavole verranno posti in luce i termini omogenei, quelli subordinati e quelli coordinati. La costruzione di una tabula primitiva, comprendente i termini comuni a tutte o alla maggior parte delle scienze, avvierà alla comprensione di quell’armonia delle scienze che, Bisterfield se ne rende ben conto, è insieme basis et clavis della prassi logica :*° « L’armonia delle scienze è la base e la chiave della prassi logica. Quest'armonia è quella soavissima convenienza per la quale non solo tutte le scienze concordano con tutte, ma anche le parti con le parti di ciascuna; ed è così grande quest’armonia che uomini valorosissimi credono che non si diano più scienze, ma una sola scienza, o piuttosto che sia unico il corpo e il sistema di tutte le scienze ».*° Per realizzare quest’unico systema, per giungere alla indi- viduazione dei termini trascendentali cui tutti gli altri ap- paiano analiticamente riducibili, Bisterfield aveva ritenuto in- dispensabile una elencazione minuziosa e accuratissima delle reductionem, tum deductionem complectuntur, si singula definitionum verba in primos terminos per scalam descendentem et ascendentem resolvantur, sic enim erunt omnigenae reductionis claves, argumento- rum compendia, propositionum fontes, syllogismorum et methodorum lumina ». 9 Sulle definizioni’ cfr. Artificium definiendi, in particolare alle pp. 3, 4, 6. Sulle tavole cfr. p. II, 12, 15: « Tabulae fundamentales (quae sunt certae terminorum homogcanorum subordinationes et coordina- tiones) sunt faciles, sed accuratae totius mundi totiusque encyclopac- diae repraesentationes... Universa illa inductio ac structura tabularum nititur panharmonia tum rerum tum disciplinarum... Tabula primitiva est prima simplicissima universalissima adeoque brevissima  totius mundi totiusque encyclopaediae repraesentatio... cam vocabimus ca- tholicam ». 4° Logica, p. 325. 200 CLAVIS UNIVERSALIS cose e delle nozioni. Il « teatro del mondo », con le sue tavole che rappresentano tutto ciò di cui può discorrere la mente umana, si poneva ancora una volta a fondamento dell’arte, della logica, della scienza delle scienze: «I termini trascen- dentali sono le radici prime dell’universale enciclopedia che è ordinatissima raccolta di tutte le discipline o anfiteatro di- pinto del mondo... L’universale artificium definiendi insegna ad accuratamente rintracciare e giudicare le definizioni di tutti i termini dell’enciclopedia... La prassi logica viene realizzata quando tutti i termini logici vengono mescolati con l’enci- clopedia universale... Le tavole universali costituiscono il no- bilissimo alfabeto di tutte le discipline. Esse devono contenere tutto e devono rappresentare tutto ciò di cui la mente umana può discorrere e chi meglio possiederà le tavole avrà più fermi i semi della scienza. Esse sono le attrezzatissime officine di ogni pensiero e ci pongono sotto gli occhi tutto ciò intorno a cui e muovendo da cui si può discorrere. Di qui possono essere ricavati tutti i temi, tutti gli argomenti, tutti gli as- siomi, tutti i sillogismi, tutti i metodi ».‘ 41 Cfr. Artificium definiendi, p. 1; Alphabeti philosophici libri tres, p. 110; Logica, pp. 330-331. VII. LA COSTRUZIONE DI UNA LINGUA UNIVERSALE 1. I GRUPPI BACONIANI IN INGHILTERRA: PROGETTI DI UNA LINGUA UNIVERSALE. All’inizio del suo Essay towards a real character and a philosophical language, pubblicato a Londra, sotto gli au- spici della Royal Society, nel 1668," John Wilkins, chiarendo le linee fondamentali del suo progetto di una lingua « filo- sofica », « perfetta» o «universale », rimandava il lettore a quellepagine dell’Advancement of learning e del De aug- mentis scientiarum nelle quali Bacone aveva enumerato le 1 An essay towards a real character and a philosophical language by Joun Witkins, D. D. Dean of Ripon and Fellow of the Royal Soctety, London, printed for Sa. Gellibrand and for John Martyn printer to the Royal Society, 1668, p. 13. (Copia usata: Ambros., Villa Pernice, 19069). Su John Wilkins, vescovo di Chester e membrodellaRoyal Society, autore del celebre scritto The discovery of a wordl in the moo- ne, 1638, cfr. Niceron, Mémoires, Paris, 1750, IV, pp. 129-134. Fra i contributi di maggior rilievo sono da segnalare: A. W. HENDERSON, The life and times of }. Wilkins, London, 1910; D. Stimson, Dr. Wil- kins and the Royal Society, in «Journal of modern history », 1931, pp. 539-563; R. F. Jones, Science and language in England of the mid-seventeenth century, in « Journal of Engl. and Germ. Philology », 1932, poi ripubblicato nel volume The seventeentài century, Standford, 1951, pp. 143-160; C. AnpRrape, The real character of Bishop Wilkins, in « Annals of science », 1936, pp. | segg.; F. ChÙristensen, /. Wilkins and the Royal Societys reform of prose style, in « Modern Language Quarterly », 1946, 7, pp. 179 segg.; R. H. Svyrret, The origins of the Royal Society, in « Notes and records of the Royal Society of Lon- don », 1948, 5, pp. 117 segg.; C. Emery, John Wilkins universal lan- guage, in « Isis», 1948, pp. 174-185; B. De MotT, Comenius and the real character in England, in « PMLA », 1955, pp. 1068 - 1081; Science versus mnemonics, în « Isis», 1957, pp. 3-12. Scarso interesse presen- tano le osservazioni contenute nel noto volume di C. K. Ocpen e I. A. RicHarps, The meaning of meaning, London, 1948, pp. 40-44. Sulle idee astronomiche di Wilkins sono da vedere i saggi di G. Mc. Cottey, in « Annals of science », 1936 - 39, in « PMLA », 1937, e in « Studies in Philology », 1938. Una parte dell’Essay di Wilkins fu ripubblicata in F. TecHmer, Beitràge zur Geschicthe der franzòsischen und en- glischen Phonetik und Phonographie, Heilbronn, 1889. 202 CLAVIS UNIVERSALIS differenze esistenti tra i geroglifici e i «caratteri reali ».? I primi, in quanto emblemi, « hanno sempre qualcosa in co- mune con la cosa significata »; i secondi — aveva scritto Ba- cone — «non hanno nulla di emblematico », sono caratteri costruiti artificialmente il cui significato dipende solo da una convenzione e dall’abitudine che su di essa sì è andata in se- guito istituendo. Anche le lettere dell'alfabeto derivano da convenzione, ma i caratteri reali, a differenza delle lettere alfabetiche, rappresentano non lettere o parole, ma diretta- mente cose e nozioni (« neither letters nor words... but things or notions »): « È da qualche tempo cosa assai nota che in Cina e nelle regioni dell’ Estremo oriente sono oggi in uso dei caratteri reali, non nominali; che esprimono cioè non let: tere c parole, ma cose e nozioni. In tal modo genti di diver- sissime lingue, che consentono su questo tipo di caratteri, co- municano tra loro per scritto; e in questo modo un libro, scritto in quei caratteri, può essere letto da chiunque nella sua propria lingua... I caratteri reali non hanno nulla di emble- matico e sono in qualche modo sordi, costruiti in modo ar- bitrario (ad placitum) e poi accolti per consuetudine come per un tacito patto. È chiaro poi che questo genere di scrittura esige una grandissima quantità di caratteri che devono es- sere tanti quante sono le parole radicali (vocabula radicalia)». Alla creazione di una lingua universale e artificiale, che climini la confusione delle lingue naturali e ne superi le de- ficienze e le imperfezioni, contesta di simboli che fanno ri- ferimento non ai suoni, ma direttamente alle «cose », si de- dicheranno, nella seconda metà del secolo, non pochi cul- tori inglesi di logica e di problemi del linguaggio :* nel 1652 esce a Londra uno scritto di Francis Lodowick: The grund- work or foundation laid (or so intended) for the framing of a new perfect language; nel 1653 appare il Lagopandecteision, or an introduction to the universal language di Thomas Ur- ° Cfr. F. Bacon, Works, by J. Spedding, R. L. Ellis, D. D. Heath, Londra, 1887-92, I, pp. 650-51; HI, pp. 399-400. ® Sui linguaggi universali nell’Inghilterra del sec. XVII: O. FunckE, Zum Weltsprachenproblem in England im 17 Jahr., Heidelberg, 1929 c le brevi indicazioni contenute in L. Coururat-L. LeAau, Histoire de la langue tniverselle, Paris, 1907, pp. 11-28 (cfr. la recensione di G. Vartati, Scritti, Firenze, 1911, pp. 541 - 45). LA LINGUA UNIVERSALE 203 quhart (1611 - 1660), il notissimo traduttore di Rabelais; quat tro anni dopo Cave Beck pubblica la sua opera The univer- sal character by which all nations may understand one ano- ther's conceptions; le Tables of the universal character e V Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica di George Dalgarno (1626-1687) vedono la luce, sempre a Londra, rispettivamente nel 1657 e nel 1661; nel 1668, infine, John Wilkins (1614-1672) pubblica il già ricordato £Essay towards a real character and a philosophical language. Per comprendere il significato di queste opere (e delle altre dello stesso tipo) e la funzione storica da esse esercitata, per intendere l’atmosfera culturale dalla quale esse trassero alimento e dalla quale derivarono le ragioni della loro dif- fusione e del loro successo, bisognerà tener conto di tre grandi fenomeni storici che caratterizzano (per quanto qui ci concerne) la vita intellettuale inglese nella prima metà del secolo XVII. Si tratta: 1) in primo luogo della profon- da, decisiva azione esercitata in Inghilterra dall’opera di Ba- cone e dai gruppi “baconiani” della Royal Society, impe- gnati in una dura lotta contro la retorica del tardo umanesi- mo e in un'appassionata difesa della nuova scienza; 2) in se- condo luogo di quella grande “rivoluzione” (che non fu solo « mentale » perché investì non solo le idee e la cultura, la letteratura e il modo di pensare, ma anche le istituzioni accademiche e scientifiche, il modo di insegnare, di impa- rare e di vivere) che conseguì ai grandi progressi della “fi- losofia sperimentale” e degli studi fisico-matematici; 3) in terzo luogo, infine, della profonda risonanza che l’opera, l'insegnamento, le utopie, le speranze di Giovanni Amos Co- menio ebbero su molti ambienti della cultura filosofica, poli- tica, religiosa dell’ Inghilterra del Seicento. Cominciamo dunque da Bacone, anche perché le sue af- fermazioni sui caratteri reali (il termine avrà, in Inghilterra e fuori, una fortuna grandissima), la posizione da lui assunta nei confronti del problema del linguaggio, costituiscono, in tutte queste trattazioni di lingua universale, dei presupposti implicitamente (ma quasi sempre esplicitamente) presenti. Sul carattere « materialistico » delle teorie linguistiche di Ba- cone, Richard Foster Jones ha scritto pagine di grande rilie- vo nelle quali, fra l’altro, è stato anche dimostrato il gran 204 CLAVIS UNIVERSALIS peso esercitato dalle tesi baconiane su quella « rivoluzione stilistica » che caratterizza, in Inghilterra, durante la Restau- razione, gli sviluppi della prosa secolare (testi di storia, di filosofia naturale, di politica) e religiosa (libri di edificazione, prediche, preghiere). Foster Jones ha parlato di una «an- tipatia di Bacone per il linguaggio». In realtà si tratta di qualcosa di più che di una «antipatia »: l’atteggiamento di Bacone è fondato sulla convinzione che il linguaggio, come del resto gli altri prodotti dello spirito umano, costituisca o possa costituire un ostacolo, del quale tuttavia in quanto crea- ture umane non si può fare a meno, alla autentica compren- sione della realtà, sia, in altri termini, qualcosa che s! frap- pone fra l’uomo e i fatti reali o le forze della natura. Per « avvicinarsi alle cose » è necessario da un lato rifiutare i nomi che non corrispondono a cose reali, dall’altro impa- rare a costruire parole che rispondano alla realtà effettiva delle cose. Gli :4ola che si impongono all’intelletto per mezzo delle parole — afferma Bacone nel paragrafo 60 del Novum Organum — sono di due generi: o sono nomi di cose che non esistono, o sono nomi di cose che esistono, ma confusi, mal definiti e astratti dalle cose in modo affrettato e parziale. I primi sono legati a determinate teorie fantastiche (la for- tuna, il primo mobile ecc.) e, mediante un rifiuto di quelle teorie è possibile liberarsi da essi. Nel caso dei secondi il problema è molto più complesso perché qui si ha a che fare con una inesperta « astrazione dalle cose » che ha dato luo- go a nozioni confuse. Queste affermazioni di Bacone ci consentono di chiarire ulteriormente la sua posizione di fronte al linguaggio: le no- zioni devono essere astratte correttamente dalle cose e cor- rispondere ad esse; ove la nozione sia stata costruita in modo vago e impreciso il nome risente di questa vaghezza e im- precisione. Inoltre i nomi attribuiti alle cose, le parole, eser- citano a loro volta un'azione sull’intelletto: le parole indi- canti nozioni vaghe «ritorcono e riflettono sull’intelletto la 4 Oltre al saggio qui sopra indicato si vedano: Science and english prose style in the third quarter of the seventeenthà century; Saence and criticism in the neo-classical age of english literature, anch'essi ripubblicati nel volume The seventeentà century, cit., pp. 41-74; 75-10. LA LINGUA UNIVERSALE 205 loro forza » e condizionano negativamente la sua stessa ri- cerca di nozioni precise. In tal modo le parole « riflettono i loro raggi e le loro immagini fin dentro la mente e non solo sono dannose alla comunicazione, ma anche al giudizio e all’intelletto ». Quando, attraverso un'osservazionepiù ac- curata e una più attenta opera di «astrazione », si tenta di far meglio corrispondere le parole alla natura, «le parole si ribellano » e danno luogo a infinite, sterili controversie che hanno per oggetto non la realtà, ma solo i nomi e le parole. Il tentativo di impiegare definizioni precise del tipo di quelle usate dai matematici non appare a Bacone molto utile: « trat- tandosi di cose naturali e materiali, neppure le definizioni possono rimediare a questo male, perché le stesse definizioni constano di parole e le parole generano altre parole ». Era, questa, una conclusione assai significativa e la critica (svolta da Bacone nel Novum Organum) del termine « umi- do » è preziosa per intendere il suo punto di vista: la equi- vocità del termine « umido » dipende per lui dalla equivocità della nozione di « umido » che indica una molteplicità di comportamenti diversi e che è stata « astratta superficialmen- te e senza le dovute verifiche soltanto dall’acqua e dai liqui- di comuni e volgari ». Di fronte a questa varietà di signifi- cati, non si tratta, per Bacone, di dare una definizione che determini il campo di applicazione del termine « umido » predeterminando l’uso possibile di quel termine e limitan- done il senso, ma di elaborare, sulla base «di uno studio dei casi particolari, della loro serie e del loro ordine », una nozione che riconduca ad unità la diversità dei comporta- menti e serva da criterio per spiegare questa diversità. La validità di questo criterio sarà però, sempre e in ogni caso, dipendente dalla maggiore o minore corrispondenza alle cose della nozione così elaborata. Si comprende in tal modo come Bacone possa giungere ad una identificazione dei termini “ nozione » e « parola » (« mala et inepta verborum imposi- to », « nomina temere a rebus abstracta » ecc.) che è in con- trasto con gli accenni convenzionalistici pur presenti nella sua trattazione del linguaggio. In conclusione: ciò che Ba- cone non è in alcun modo disposto ad accettare è una teoria che identifichi la verità di una proposizione con la coerenza logica tra i termini che compongono la proposizione stessa: 206 CLAVIS UNIVERSALIS la ricerca si riporta di continuo alle cose, alle qualità sensi- bili e alle proprietà dei corpi materiali. L'ispirazione fonda- mentalmente « materialistica » di questa concezione del lin- guaggio si fa particolarmente evidente quando Bacone crea una specie di graduatoria rispecchiante «i diversi gradi di aberrazione e di errore presenti nelle parole »: il genere di nomi meno difettoso è quello dei nomi di alcune sostanze ben note (creta, fango, ecc.); più difettoso è il genere di nomi indicanti azioni (generare, corrompere, ecc.); più difettoso di tutti è il genere dei nomi di qualità (grave, denso, leg- gero, ecc.).° Bacone aveva dunque contrapposto le «cose» alle « pa- role », aveva insistito sulla necessità di un linguaggio che rimandasse, il più direttamente possibile, alla realtà e alle operazioni o forze presenti nella natura, aveva accentuato i pericoli presenti nell’uso del linguaggio, aveva pensato ad una lingua artificiale, composta da simboli di tutte le « pa- role radicali » che potesse climinare alcuni o molti di questi pericoli. Ma Bacone — e questo è altrettanto importante — era stato anche il /eader dell’anticiceronianismo, si era fatto assertore dei brevi aforismi contrapponendoli al corposo pe- riodare dei seguaci di Cicerone, aveva sostenuto la necessità di un ritorno allo stile «attico» o «senechiano » mirante alla espressività e alla chiarezza, vicino alla « brevità » degli Stoici, « grave » e « sentenzioso », lontano dagli abbellimenti retorici, dalle fioriture stilistiche, dall'impiego delle analogie ce delle metafore, Bacone aveva polemizzato contro le scolasti- che « dispute di parole » e aveva contrapposto al linguaggio in uso nelle Scuole una lingua breve ed essenziale, precisa e cruda, capace di rimettere nuovamente l’uomo — dopo tanti secoli di tenebre e di volontario acciecamento — ‘a contatto con il mondo.° ® Cfr. F. Bacon, Works, cit., III, p. 581 (Redargutio philosophiarum); sugli idola fori: III, pp. 396 -97 (Advancement); HI, p. 599 (Cogitata et visa) e Novum Organum, I, 15, 16, 43, 59, 60. © Cfr.M. W. CroLt, Attic prose in the seventeenth century, in « Stu- dies in philology », 1921, pp. 79- 128; Artic prose: Lipsius, Montaigne, Bacon, in Schelling anniversary papers, New York, 1932; The baroque style of prose, in Studies in english philology; a miscellany in honour of F. Klaeber, Minneapolis, 1929. LA LINGUA UNIVERSALE 207 Negli scritti dei seguaci e degli ammiratori di Bacone, nelle opere di molti fra i maggiori difensori della nuova scienza troviamo, energicamente riaffermate, le posizioni ora delineate. Basterà qualche esempio. John Webster, cap- pellano nell’armata del Parlamento, acceso sostenitore della filosofia baconiana, attacca con estrema violenza nell’Acade- miarum Examen (Londra, 1653) la retorica e l’oratoria che « servono solo per adornare e sono soltanto l’abito e la veste esteriore di ben più solide scienze », respinge gli studi gram- maticali che gli appaiono inutili ad un reale progresso della conoscenza e insiste sulla opportunità di una « symbolic and emblematic way of writing » che superi la confusione e le imperfezioni delle lingue naturali.” Nelle Considerations touching the style of the holy scriptures di Robert Boyle (scritte nel 1653 e pubblicate nel ’61) troviamo lo stesso di- sprezzo per ogni inutile abbellimento dello stile. In un in- teressante brano autobiografico lo stesso Boyle contrapponeva la sua propensione per la filosofia sperimentale e per la cono- scenza delle cose alla sua avversione e al suo disprezzo per lo studio delle parole insistendo anche sull’ambiguità e «li- cenziosità » dei termini scientifici che è esiziale al progresso della vera filosofia: «my propensity and value for real lear- ning gave me such aversion and contempt for the empty study of words... ».° Robert Boyle si era a lungo interessato ai problemi di una lingua artificiale; sui danni che derivano alla scienza dalla confusione delle lingue naturali si sofferma a lungo un altro fervente baconiano, Joshua Childrey, che nella sua Britannia Baconia (Londra, 1660) afferma che il volto della realtà non va sfigurato imbrattandolo con il bel- letto del linguaggio (« not disfigure the face of truth by dau- bing it over with the paint of language »). Anche Thomas Sprat, la cui History of the Royal Society (1667) rispecchia anche le opinioni dei suoi illustri colleghi, condanna l’uso delle metafore, la viziosa abbondanza delle frasi, la continua variabilità delle lingue come altrettanti mali dai quali gli ‘ J. Wessrer, Academiarum examen, Londini, 1653, pp. 21, 24 e cfr. R. F. Jones, The seventeenth century, cit., pp. 82, 147-48. * The works of the honourable Robert Boyle, ed. T. Birch, London, 1772, I, pp. TI, 29-30; II, pp. 92, 136; III, pp. 2, 512; IV, p. 365; V, pp. 54, 229. 208 CLAVIS UNIVERSALIS uomini di scienza debbono liberarsi.’ Difendendo la Roya! Society dagli attacchi di Henry Stubbe che aveva osato assa- lire tutti i « true-hearted virtuous intelligent disciples of our Lord Bacon », George Thompson scriveva nel 1671: "Tis Works, not Words; Things not Thinking; Pyrotech- nie [chimica], not PhAilologie; Operation, not merely Speculation, must justifie us physicians. Forbear then hereafter to be so wrongfully satyrical against us noble Experimentators, who questionless are entred into the right way of detecting the True of things.!° 2. SIMBOLI LINGUISTICI E SIMBOLI MATEMATICI. Le ricerche tendenti alla costruzione di una lingua « filo- sofica » o «perfetta » trovarono un terreno oltremodo favo- revole nell’atmosfera culturale che abbiamo ora brevemente delineato. E queste diffuse esigenze di chiarezza e di rigore, questi progetti di una lingua simbolica trassero senza dub- bio alimento dagli sviluppi degli studi matematici, anche se sarebbe impresa disperata sostenere che i progetti di una lingua universale, ai quali qui si fa riferimento, dipendano o storicamente derivino da quegli sviluppi. Il “rigore” delle dimostrazioni matematiche, il largo impiego, in matematica, di “simboli” contribuì però senza dubbio a rafforzare l’idea che fosse possibile, per gli scienziati, ridurre il loro stile a quella « mathematicall plainess» di cui parlava, nella Histo- ry of the Royal Society, il baconiano Thomas Sprat: «essi hanno avuto la costante risoluzione di rifiutare tutte le am- plificazioni, digressioni e ampollosità dello stile: hanno vo- luto far ritorno alla primitiva purezza e brevità, a quando gli uomini esprimevano molte cose all’incirca con un egual numero di parole. Hanno richiesto a tutti i membri della So- cietà: un modo di parlare discreto, nudo, naturale; espres- sioni positive; sensi chiari; una nativa facilità; la capacità di portare tutte le cose il più vicino possibile alla chiarezza della ® THoMas SpraT, The history of the Royal Society of London, London, 1667, pp. 95 - 115. Cfr. H. FiscH and H. W. Jones, Bacon's influence on Sprat's History, in « Modern Language Quarterly », 1946. 1° Grorce THomprson, Mtooxoplag. Londra, 1671, pp. 31, 40. Cfr. R. F. Jones, in The seventeenth century, cit., p. 145. LA LINGUA UNIVERSALE 209 matematica; una preferenza per il linguaggio degli artigiani, dei contadini, dei mercanti piuttosto che per quello dei dotti ».!! A conclusioni più precise di quelle dello Sprat giunge- vano quegli studiosi che avevano, almeno in parte, subito l'influenza delle posizioni di Hobbes e accolto la sua defini- zione dei « termini » come simboli di relazioni e di quantità e la sua concezione del linguaggio come « calcolo ». Da questo punto di vista è tipica la posizione di Seth Ward, professore di astronomia ad Oxford, che vede nella « symbolicall way inven- ted by Vieta, advanced by Harriot, perfected by Mr. Oughtred and Des Cartes » il rimedio migliore alla verbosità eccessiva dei matematici. Quel tipo di scrittura, secondo il Ward, può essere esteso all’intero linguaggio in modo che, per ogni cosa e nozione possano essere trovati simboli appropriati e tali da eliminare ogni confusione: «I was presently resolved that symboles might be found for every thing and notion ». Con l’aiuto della logica e della matematica (0y the helpe of logick and mathematicks) tutti i discorsi umani potranno essere ri- solti in enunciati (resolved in sentences), questi in parole (words) e, poiché le parole significano nozioni semplici o sono in esse risolvibili (eszher simple notions or being resol- vible into simple notions), una volta rintracciate le nozioni semplici e assegnati ad esse dei simboli, sarà possibile rag- giungere un discorso rigorosamente dimostrativo tale da ri- velare (e l’aggiunta è importante) le nature delle cose (the natures of things). « Un linguaggio di questo tipo — conclu- deva Seth Ward — nel quale ogni termine sarebbe una de- finizione e conterrebbe la natura della cosa, potrebbe non ingiustamente essere denominato un linguaggio naturale, e potrebbe realizzare quell’impresa che i Cabalisti e i Rosa- cruciani hanno invano tentato di portare a compimento quando ricercavano, nell’ebraico, i nomi assegnati da Adamo alle cose »."* A una lingua universale, composta di caratteri « incomparabilmente più facili di quelli attuali » e a un Dic- tronary of sensible words che fornisse la necessaria termino- logia al meccanicismo hobbesiano, lavorò anche, dopo la metà 1 TH. Sprat, The history, cit., p. 113. 1? SetH Warp, Vindiciac academiarum, Londra, 1654, pp. 20-21. Cfr. R. F. Jones, in The seventeenth century, cit., pp. 151-152. 210 CLAVIS UNIVERSALIS del secolo, William Petty, membro della Società reale e gran- de pioniere negli studi di economia politica. « Il dizionario di cui ho parlato — scrive in una lettera a Southwell — ave- va lo scopo di tradurre tutti i termini usati nell’argomenta- zione e nelle materie più importanti in altri termini equiva- lenti che fossero signa rerum et motuum ».'* Anche Robert Boyle, in una lettera del marzo 1647, aveva visto nel carat- tere interlinguistico dei simboli matematici, una prova della possibilità di costruire una lingua composta di caratteri reali: «In verità, poiché i caratteri che impieghiamo in matema- tica sono compresi da tutte le nazioni europee nonostante che ciascuno dei tanti popoli esprima questa comprensione nella sua lingua particolare, non vedo alcuna impossibilità a fare, con le parole, ciò che già abbiamo fatto con i nu- meri ».!* Gli stessi cultori di algebra e di matematica non furono del tutto estranei a queste discussioni sul linguaggio, sulla scrittura, sui simboli. Abbiamo già visto quali fossero, su questi argomenti le opinioni dell’astronomo e matematico Seth Ward, ma anche negli scritti del grande matematico John Wallis il problema dei carazteri o delle note da impie- gare nell’algebra veniva presentato come un aspetto del più generale problema dei segni, delle cifre e delle scritture. For- temente interessato agli sviluppi storici dell’algebra, Wallis metteva chiaramente in rilievo, nelle pagine del De algebra, i vantaggi che presentavano, di fronte alla troppo prolissa simbologia del Viète i characteres o le notae compendiosae di William Oughtred. Nella Mazhesis universalis del 1657 troviamo, numerosissimi, i riferimenti al problema della scrit- tura in genere e della scrittura occulta in specie: « haec qui- dem occulte scribendi ratio, flagrante nuper apud nos Bello intestino, admodum erat familiaris». Non a caso, nel De loquela sive sonorum formatione, premesso alla sua Gram- 1° Cfr. The Petty papers, ed. Marquis of Lansdowne, Londra, 1927, voll. 2, I, pp. 150-51; Petty-Southwell Correspondence: 1676-1687, cd. Marquis of Lansdowne, Londra, 1928, p. 324. Ma è da vedere anche l’Advice to Hartlib, Londra, 1648, pp. 5 segg. nel quale si accenna al problema dei caratteri reali. '4 Lettera del 19 marzo 1647 allo Hartlib, in Works, cd. T. Birch, ly ip; 22: LA LINGUA UNIVERSALE 211 matica linguae anglicanae, Wallis si era a lungo soffermato sulle questioni attinenti alla grammatica e ai suoni. Infine nel De algebra, accanto ad un ferocissimo attacco alla in- competenza matematica di Hobbes (« turpissimis paralo- ismis ubique scatet liber iste »), troviamo un ampio capi- tolo dedicato ad illustrare i vantaggi che presentano, per il matematico, le tecniche dedicate al rafforzamento della me- moria.!* 3. I GRUPPI COMENIANI: LINGUA UNIVERSALE E CRISTIANESIMO UNIVERSALE. L'influenza esercitata dall’insegnamento di Comenio sui progetti miranti alla costruzione di una lingua universale è stata ampiamente e minuziosamente documentata.'* Nessun libro dedicato alla lingua perfetta era apparso in Inghilterra prima del viaggio di Comenio a Londra nel 1641; dopo quel- l’anno si ebbe una vera e propria fioritura di questi testi. E non si trattava di una coincidenza: Samuel Hartlib — che !5 Il De algebra tractatus historicus et practicus ciusdem origines et progressus varios ostendens è contenuto nel secondo volume delle Ope- ra mathematica, Oxoniae, ex Theatro Sheldoniano, 1695, voll. 3 (co- pia usata: Braid. C. XVII. 9.523. 1-3). Sui caratteri di Viète e di Oughtred cfr. le pp. 69-73. Per i riferimenti alla scrittura presenti nella Mathesis universalis, sive arithmeticum opus integrum tum phi- lologice tum mathematice traditum cfr. nella stessa ediz. delle opere il vol. I, pp. 47 segg. Per l'attacco ad Hobbes cfr. Opera, I, p. 361 (ma su questo argomento e sui numerosi scritti antihobbesiani del Wallis cfr. G. SortaIs, La philosophie moderne depuis Bacon jusqu'à Leibniz, Paris, 1922, II, pp. 289-92), sulla memoria è da vedere il capitolo del De algebra (in Opera, II, pp. 448 - 50) intitolato De viribus memoriae satis intentae, experimentum. La prima edizione della Grammatica lin- quae anglicanae cui pracfigitur de loquela sive sonorum formatione tractatus grammatico-physicus è del 1653. Ho visto la quarta ediz.: Oxoniae, typis L. Lichfield, 1674 (Braid. } + VI. 51). Sul Wallis mate- matico cfr., oltre ai correnti manuali di storia delle matematiche, ]. F. Scort, Mathematical work of |. Wallis, London, 1938, l’opera gram- x maticale è stata studiata da M. LeHNERT, Die Grammatik des ]. Wal- lis, Breslau, 1936. 1 Cfr. D. L. StiMson, Comenius and the Invisible college, in « Isis», 1935, pp. 383-88; Scientists and amateurs. New York, 1946; B. DE Mott, Comenius and the real character in England, cit.; sui rapporti Comenio - Wilkins cfr. M. Spinka, /. A. Comenius, that incomparable Moravian, Chicago, 1943, pp. 72-75. 212 CLAVIS UNIVERSALIS era stato per lunghi anni in corrispondenza con Comenio e che apparve, agli uomini del suo tempo, il difensore e il diffusore, in Inghilterra, dell’opera comeniana — fu il più appassionato sostenitore ed editore di opere sulla lingua uni- versale. Hartlib pubblicò nel 1646 l’opera del Lodowick (A common writing); incoraggiò numerosi tentativi per la crea- zione di un vocabolario dei termini essenziali; fu in corri- spondenza con il Boyle su questi problemi; contribuì alla pubblicazione dell’Ars signorum del Dalgarno. Espliciti rife- rimenti a Comenio troviamo presenti negli scritti di Henry Edmundson (Lingua linguarum) e di John Webster (Acade- miarum examen, 1654), mentre John Wilkins, il più noto e celebrato fra questi teorici della lingua perfetta, fu aiutato e incoraggiato da un altro discepolo inglese di Comenio con cui egli ebbe rapporti di viva amicizia: Theodor Haak. Lo stesso Comenio, dedicando nel 1668 alla Royal Society la sua Via lucis vestigata et vestiganda, affermava che l’opera di Wilkins, pubblicata in quello stesso anno, rappresentava la realizzazione dei suoi programmi e delle sue più alte aspi- razioni. Proprio nella Via Zucis, che circolava manoscritta in In- ghilterra fin dal 1641, Comenio aveva ripreso, con ampiezza molto maggiore, le osservazioni di Bacone sui « caratteri reali ». I caratteri simbolici usati dai Cinesi — scriveva — consentono a uomini di differenti lingue di intendersi reci- procamente: se tali caratteri sembrano cosa buona e vantag- giosa, perché non si potrebbero dedicare i nostri studi alla scoperta di un «linguaggio reale », alla scoperta cioè « non solo di una lingua, ma del pensiero e delle verità delle cose stesse? ». Se la molteplicità delle lingue «è derivata dal caso o dalla confusione, perché non si potrebbe, facendo uso di un procedimento consapevole e razionale, costruire  un’unica lingua che sia elegante e ingegnosa e appaia in grado di su- perare quella dannosa confusione? Se abbiamo la possibilità di adattare i nostri concetti alle forme delle cose, perché non dovremmo avere quella di adattare il linguaggio a più esatte espressioni e a più precisi concetti? ».!” 17 Per la Via lucis, che non sono riuscito a vedere nel testo originale, ho fatto uso della traduzione di E. T. Campagnac: The Way of light of Comenius, London, 1938. Per il brano qui citato cfr. le pp. 186 - 89. LA LINGUA UNIVERSALE 213 Il problema di una lingua universale si era posto come centrale nell'opera comeniana: nel suo pensiero era senza dubbio presente l'esigenza di una maggior precisione termi- nologica, di un linguaggio più chiaro, accessibile e rigoroso, ma alla base del suo progetto non stavano preoccupazioni di “logica” o di “metodologia”; stavano quelle aspirazioni e quelle esigenze tipicamente “religiose” che avevano trovato espressione nei testi del lullismo e del neoplatonismo, nelle idee di universale pacificazione — sulla base di una comune lingua — sostenute dai panteisti, dai cabalisti e dai Rosa- cruciani. Più che i testi dei lullisi — ai quali abbiamo spesso fatto riferimento — sarà opportuno ricordare qui la fede di uno dei maestri di Comenio — Johan Valentin Andrei — in una mistica armonia delle nazioni (la respublica christia- nopolitana) realizzabile mediante un nuovo universale lin- guaggio e le osservazioni di Jacob Boehme, un pensatore ben noto a Comenio, su un originario linguaggio della natura (Natursprache) che è stato sommerso dalla confusione delle lingue e che va ricostruito e ricompreso per la salvezza del genere umano.'* Anche per Comenio — come già per i se- guaci di Lullo e per l’Andreîi — il linguaggio reale o «la perfetta lingua filosofica » ha dve scopi fondamentali: 1) porre l’uomo a rinnovato contatto con la divina armonia che è presente nell’universo mostrandogli la piena coincidenza tra il ritmo del pensiero e quello della realtà, tra le cose e le parole; 2) porsi quindi come base, l’unica possibile base, per una piena riconciliazione del genere umano, per una du- ratura, stabile pace religiosa. Nella moltitudine, varietà e confusione delle lingue, Co- menio aveva visto il maggiore ostacolo alla diffusione della luce e alla penetrazione, presso tutti i popoli, della pansofia. Quando sarà costruita «una lingua assolutamente nuova, !* Cfr. J. V. Anprea£, Fama fraternitatis, 1616, pp. 3, 12-13 cit. in B. De MotT, Comenius and the real character, cit., p. 1070; Jacos BoEH- ME's, Simmiliche Werke, ed. a cura di K. W. Schiebler, Leipzig, 1922, IV, pp. 83 segg. 214 CLAVIS UNIVERSALIS assolutamente chiara e razionale, una lingua pansofica e uni- versale, allora gli uomini apparterranno a una sola razza e ad un solo popolo ». Sulla par pAilosophica, sulla concordia mundi, sull'unità del genere umano avevano a lungo insi- stito, nei secoli del Rinascimento, Pico e Sabunde, Cusano e Guillaume Postel ed è precisamente a questa tradizione che si richiamavano le speranze millenaristiche di Comenio. Ma sull'importanza e sul significato dei dissensi di carattere ter- minologico, sulla necessità di una lingua comune, sull’op- portunità di preservare gli elementi comuni della fede ab- bandonando le vane « dispute di parole » si era lungamente e ampiamente discusso, durante la Riforma, negli ambienti più diversi. Non è certo il caso di affrontare qui un proble- ma così complesso, ma vale certo la pena — anche se in vista di scopi assai limitati — di indicare qualche posizione ca- ratteristica. William Bedel (1571-1642), che fu in Inghilterra uno dei maggiori sostenitori dell’irenismo e della conciliazione fra luterani e calvinisti, attribuiva carattere soprattutto ver- bale alle controversie fra le sètte ed era fortemente interessato ai progetti di lingua universale di Comenio e dei comeniani inglesi. Ma anche negli scritti dei teorici della lingua uni- versale questo interesse “religioso” appare quasi sempre in primo piano. La lingua filosofica — afferma Wilkins — chiarirà le attuali divergenze in materia religiosa ed esse si riveleranno inconsistenti, una volta che il linguaggio sarà stato liberato da ogni imperfezione ed equivocità. La elimi- nazione degli equivoci linguistici contribuirà grandemente, secondo Cave Beck, al progresso della religione nel mondo. William Petty vuol tradurre tutti i termini usati nelle argo- mentazioni in altri termini che siano signa rerum (« tran- slate all words used in argument and important matters into words that are signa rerum »), sostiene energicamente una distinzione fra termini significanti e termini privi di signifi- cato, e concepisce l’intero suo dizionario in funzione di una chiarificazione dei termini della vita religiosa. Determinando l’esatto significato di God e devill, angel e wordl, heaven e hell, religion e spirit, church e christian, catholic e pope, si giungerà alla conclusione che le liti e le guerre fra le di- verse sètte si sono fondate solo su divergenze terminologiche LA LINGUA UNIVERSALE 215 e che esiste invece la possibilità di una effettiva intesa sulle nozioni e sulle cose. Anche nell’Ars signorum di Dalgarno troviamo presente un tentativo di questo genere realizzato mediante un complicato sistema di divisione dei concetti e di appropriati simboli.!* Nella History of the Royal Society, Thomas Sprat parla di una « filosofia dell’umanità » che su- eri le differenze e le ostilità di carattere religioso: «not to lay the foundation of an English, Sotch, Irish, Popish or Protestant philosophy, but a philosophy of mankind ». Non si tratta solo della convinzione che la nuova « filosofia speri- mentale » possa affratellare gli uomini al di là delle separa- zioni politiche e delle differenti convinzioni religiose, si tratta anche della speranza (ed è questo aspetto che si vuol qui sot- tolineare) che la stessa organizzazione scientifica possa costi- tuire un potentissimo mezzo per il ristabilimento della con- cordia mundi, dell’unità religiosa e spirituale del genere uma- no. Non diversamente, del resto, la nuova scienza era stata intesa da Bacone come uno strumento di universale redenzio- ne dal peccato originale.? Ove si rinunci a proiettare all’indietro nel tempo i nostri interessi e i nostri problemi per attribuirli agli uomini che scrissero ed operarono alla metà del Seicento, bisognerà ren- dersi conto che i progetti di una lingua « perfetta » o « uni- versale » sui quali in quegli anni si affaticarono non pochi studiosi, traevano senza dubbio alimento dall’atmosfera cul- turale legata alla nascita della nuova scienza, dai progressi della fisica e da quelli della matematica, ma non intendevano certo limitarsi a fornire chiarimenti semantici agli studiosi di filosofia naturale. Quelle «lingue » avevano scopi assai più vasti e più ambiziose finalità: intendevano essere stru- menti di redenzione totale, mezzi per decifrare l’alfabeto divino. Si connettevano storicamente ai sogni di pacificazio- !° The Petty papers, cit., I, p. 150; G. Datcarno, Ars signorum, in The works of G. Dalgarno, Edinburgh, 1834, pp. 22 - 23. 2° Per il passo di Thomas Sprat, citato nel testo, cfr. The history, cit., p. 63. Sull’unità religiosa quale fine dell’organizzazione scientifica insi- ste anche Samuel Hartlib. Per questa posizione cfr. G. H. TuRNBULL, S. Hartlib: a sketch of his life and his relations to |. A. Comenius, Londra, 1920; Harglib, Dury and Comenius, Londra, 1947, p. 75. 216 CLAVIS UNIVERSALIS ne e alle utopie millenaristiche di quegli autori che abbiamo fin qui — nel corso di questo libro — preso in esame. 4. LA COSTRUZIONE DI UN LINGUAGGIO PERFETTO. Nell’Ars signorum di George Dalgarno e nell’Essay to- wards a real character di John Wilkins troviamo considera- zioni sui geroglifici e gli alfabeti, sulle scritture normali c cifrate, capitoli dedicati a discussioni sul linguaggio e sulla logica, sulla grammatica e sulla sintassi, pagine e pagine nelle quali si procede ad una minuziosa classificazione degli ele- menti e delle meteore, delle pietre e dei metalli, delle piante e degli animali, delle attività umane e delle arti liberali e meccaniche, dizionari dei termini essenziali propri delle varie lingue, dizionari « paralleli », troviamo infine la pro- posta di una lingua artificiale.*! E’ lo stesso intreccio di temi, per noi moderni così sin- golare e caotico, del quale abbiamo tante volte riscontrato la presenza in tutte quelle opere e quelle enciclopedie che, di- rettamente o indirettamente, si richiamano al filone logico- enciclopedico del lullismo. Per amore di chiarezza e di bre- vità, oltre che per facilitare il lettore, si cercherà, nelle pa- gine che seguono, di individuare, enumerandole successiva- mente, alcune tesi concernenti la lingua perfetta o univer- sale che rivestono un'importanza centrale e che appaiono re- ciprocamente connesse. L'esposizione del contenuto delle va- rie opere servirà di volta in volta a documentare e a chiarire il significato di ciascuna delle affermazioni che seguono. 1) I teorici della lingua « perfetta », « filosofica » 0 « uni- versale » muovono dalla contrapposizione tra lingue « natu- 21 L’opera di John Wilkins è suddivisa in quattro parti: Prolegomena; Universal philosophy, Philosophycal grammar, Real character and. philo- sophical language. Il titolo dell’opera del Dalgarno è il seguente: Ars signorum: vulgo character universalis et lingua philosophica, qua potuc- runt homines diversissimorum idiomatum spatio duarum septimanarum omnia animi sua sensa non minus intelligibiliter, sive scrivendo sive loquendo, mutuo communicare, quam linguis propriis vernaculis. Prac- terea hinc etiam potuerunt iuvenes philosophiae principia et veram lo- gices praxin citius et facilius multo imbibere quam ex vulgaribus phi- losophorum scriptis, Londini, cxcudebat J. Hayes sumptibus authoris, 1661. (Copie usate: Ambrosiana, Villa Pernice, 1969 e Par Naz. V. 35875). LA LINGUA UNIVERSALE 217 rali» e lingue « artificiali » e intendono costruire una lin- gua artificiale o sistema di segni che risulti comunicabile e comprensibile (quindi adoperabile sia nel linguaggio scritto che in quello parlato) indipendentemente dalla lingua « na- turale » che effettivamente si parla. I caratteri dei quali la lingua è composta, sono « effables » in ogni «distinct language », in ogni caso le regole della lingua universale non è detto che coincidano con quelle pro- prie delle lingue naturali.?? 2) La lingua artificiale è resa possibile dal fatto che le nozioni interne o apprensioni delle cose (internal notions or apprehension of things) o immagini mentali (mental ima- ges) sono comuni a tutti gli uomini, mentre i nomi attribuiti alle nozioni e alle cose sono, nelle varie lingue naturali, suo- ni o parole (sounds or words) nati dalla convenzione o dal caso mediante i quali si esprimono, diversamente da lingua a lingua, le nozioni interne o immagini mentali. A nozioni comuni, non corrispondono quindi, allo stato presente delle cose, espressioni (expressions) comuni: creare artificialmente queste ultime è appunto il compito che si propongono i teo- rici della lingua universale.” 3) La lingua artificiale (che farà corrispondere all’ac- 22 J. Witxins, Essay, cit., To the reader. 23 J. WiLkins, Essay, cit., p. 20: « As men do generally agree in the same principle of reason, so do they likewise agree in the same internal notion or apprchension of things. The external expression of these mental notions, whereby men communicate their thoughts to one ano- ther, is cither to the ear, or to the eye. To the car by sounds, and more particularly by articulate voice and words. To the cye by any thing that is visible, motion, light, colour, figure, and more parti- cularly by writing. That conceit which men have in their minds con- cerning a horsc or trec, is the notion or mental image of that beast or natural thing, of such a nature, shape and use. The names given to these in several languages, are such arbitrary sounds or words, as Nations of men have agreed upon, cither causally or designedly, to express their mental notions of them. The written word is the figure or picture of that sound. So that, if men should generally consent upon the same way or manner of expression, as they do agree in the same notion, we should then be freed from that curse in the confusion of do with all the unhappy consequences of it ». (I corsivi sono nel testo). 218 CLAVIS UNIVERSALIS cordo già presente nella sfera delle immagini mentali anche l'accordo nelle espressioni) costituisce dunque un efficace ri- medio alla babelica confusione delle lingue e potrà eliminare le assurdità c le difficoltà, le ambiguità e gli equivoci di cui son piene le varie lingue « naturali ». Tutta prima parte (Prologomena) dell’opera di Wilkins è dedicata a un esame, assai ampio e minuto, della situazione in cui versano le varie lingue, dei mutamenti e delle cor- ruzioni (changes and corruptions) che in esse si verificano, dei loro difetti (defects), del problema dell'origine del lin-guaggio. Wilkins parte dal presupposto — comune del resto a tutti questi studiosi — che ogni lingua naturale sia di ne- cessità imperfetta: ogni mutamento che si verifica nel pa- trimonio linguistico coincide per lui con un processo di gra- duale corruzione: «every change is a gradual corruption ». Nel mescolarsi delle nazioni mediante i commerci, nei ma- trimoni tra sovrani, nelle guerre e nelle conquiste, nel de- siderio di eleganza dei dotti che conduce a respingere le forme linguistiche tradizionali, egli vede altrettanti fattori di corruzione. Tutte le lingue, ad eccezione di quella ori- ginaria, sono state create per imitazione (‘mitation), deri- vano dall’arbitrio o dal caso; in tutte le lingue sono quindi presenti difetti che, con l’aiuto dell’arte, possono essere eli- minati. « Neither letters nor languages have been regularly established by the rules of art»: la non artificialità delle lingue, quella che noi chiameremmo la loro spontaneità, ap- pare a Wilkins una specie di vizio d’origine e di peccato ori- ginario, la fonte di un inevitabile processo di degenerazio- ne, la radice di una confusione sempre maggiore. In poche centinaia di anni — egli afferma — alcune lingue possono andare completamente perdute, altre si trasformano fino a di- ventare inintelligibili; la grammatica (unica arte che po: trebbe introdurre ordine nel linguaggio) si è costituita più tardi delle lingue stesse e si è quindi limitata a prendere atto di una situazione dominata dall’ambiguità dei termini che assumono, a seconda dei contesti, una enorme varietà di si- gnificati. Identica è, su questo punto, la posizione sostenuta dal Dalgarno: l’arte ha il compito «di porre rimedio alle difficoltà e alle confusioni di cui son piene le varie lingue, LA LINGUA UNIVERSALE 219 eliminando ogni ridondanza, rettificando ogni anomalia, to- gliendo di mezzo ogni ambiguità ed equivocità ».° 4) La lingua artificiale vien presentata come un mezzo di comunicazione enormemente più « facile » di tutti quelli attualmente in uso. Nelle pagine di Dalgarno e di Wilkins ritroviamo presenti quelle mirabolanti promesse che aveva- no riempito, per due secoli, i frontespizi delle opere lullia- ne e mnemotecniche. Nello spazio di due settimane, afferma Dalgarno, uomini di differenti lingue potranno giungere a comunicare per scritto e oralmente « non minus intelligibi- liter quam linguis propriis vernaculis ». In un mese, secondo Wilkins, un uomo di normali capacità intellettuali può im- padronirsi della lingua universale ed esprimersi in essa con la stessa chiarezza con la quale si esprimerebbe in latino dopo quarant'anni di studio.’ 5) La lingua artificiale esercita una funzione terapeuti- ca nei confronti della filosofia che potrà esser liberata dalle sue malattie (l’uso dei sofismi e l’abbandono alle logomachie) e, per la sua esattezza, può porsi come valido strumento per un ulteriore perfezionamento della logica: «In una parola l’Ars signorum non solo rappresenta un rimedio alla confu- sione delle lingue, non solo offre un mezzo di comunicazio- ne più facile di qualunque altro finora conosciuto, ma anche cura la filosofia dalla malattia dei sofismi e delle logomachie, e la provvede di più elastici e maneggevoli strumenti opera- tivi (c0/edly and manageable instruments of operation) per definire, dividere, dimostrare ecc. ».?° 6) Dall’adozione della lingua artificiale risulterà facili- tata la trasmissione delle idee fra i popoli. I confini della co- noscenza potranno in tal modo essere allargati e potrà esser perseguito, con nuovo vigore, quel bene generale dell’uma- 24 Per quanto qui esposto cfr. J. Witkins, Essay, cit., pp. 2-3, 6, 8, 9, 17. Sulla grammatica cfr. p. 19: « The very art by which language should be regulated viz. grammar, is of much later invention than the lan- guages themselves, being adapted to what was already in being, rather then the rule of making it so ». Per Dalgarno, cfr. O. Funke, Weltspra- chenproblem, cit., p. 16. 25 J. WILKINS, Essay, cit., p. 454. 2° G. Datcarno, Ars signorum, cit., p. 45. 220 CLAVIS UNIVERSALIS nità (general good of mankind) che è superiore a quello di ogni particolare nazione. La nuova lingua potrà infine con- tribuire, in modo decisivo, allo stabilimento di una vera pace religiosa: «questo progetto contribuirà grandemente a ri- muovere alcune delle nostre moderne divergenze in religione smascherando molti stravaganti errori che si nascondono sotto le frasi affettate; una volta che queste saranno filosoficamente spiegate e ritradotte secondo la genuina e naturale importanza delle parole, si riveleranno inconsistenti e contraddittorie ».?” 7) I segni dai quali è costituita la lingua universale sono «caratteri reali » (nel senso attribuito da Bacone a questo ter- mine): segni convenzionali che rappresentano o significano non i suoni e le parole, ma direttamente le nozioni e le cose. Riprendendo le tesi di Bacone e richiamandosi alle di- scussioni allora assai diffuse sui geroglifici, Wilkins distin- gue dalle normali lettere dell’alfabeto (originariamente in- ventate da Adamo) le note (rotes) che sono for secrecy e for orevity. AI primo tipo ‘appartengono la «Mexican way of writing by pictures » e i geroglifici egiziani che sono « rap- presentazioni di creature viventi o di altri corpi dietro i qua- li gli Egiziani nascosero i misteri della loro religione »; al secondo tipo appartengono quelle letters o marks dei quali ci si può servire, come di una forma di scrittura abbreviata, per esprimere una qualsiasi parola. In tutto diversa è la fun- zione del « real universal character » che « should not signi- fie words, but things and notions, and consequently might be legible by any nation in their our tongue ».?* Tutti i caratteri, secondo Wilkins, significano naturally o by institution. Quelli che significano « naturalmente » sono pictures of things o altre immagini o rapppresentazioni sim- boliche; gli altri derivano il loro significato da una conven- 2? J. Wikkins, Essuy, cit., Epistola dedicatoria. 28 Sulle note e i geroglifici egiziani J. Witkins, Essay, cis., p. 12-13; parlando dei caratteri reali Wilkins fa riferimento a Bacone (« hath been reckoned by learned men amongst the desiderata ») e alle pagine di Bacone sulla scrittura cinese: mediante i caratteri reali « the inha- bitants of that large kingdom, many of them of different tongues, do communicate with one another, every one understanding this common character, and reading in his own language ». LA LINGUA UNIVERSALE 221 zione liberamente accettata. A quest’ultimo tipo apparten- ono i « caratteri reali » che dovranno essere semplici, facili, chiaramente distinguibili l’uno dall'altro, di suono gradevole e di forma graziosa, e, soprattutto, dovranno essere metho- dical: rivelanti cioè la presenza di corrispondenze, di relazioni e di rapporti fra segni.?° 8) Fra i segni e le cose esiste una relazione univoca ed ogni segno corrisponde al una cosa o azione («to every thing and notion there were assigned a distinct mark »): il progetto di una lingua universale implica dunque quello di una en- ciclopedia, implica cioè la enumerazione completa e ordi- nata, la classificazione rigorosa di tutte quelle cose e no- zioni alle quali si vuole che, nella lingua perfetta, corrispon- da un segno. Poiché la funzionalità della lingua universale dipende dalla vastità del campo di esperienza che essa riesce ad abbracciare e del quale riesce a dar conto, al limite la lin- gua perfetta esige una preliminare classificazione di tutto ciò che esiste nell'universo e che può essere oggetto di discorso, richiede una enciclopedia totale, la costruzione di « tavole per- fette ». In vista di questa classificazione totale, di questa « ri- duzione a tavole » delle cose e nozioni, viene elaborato un metodo classificatorio fondato sulla divisione in categorie ge- nerali, in generi e in differenze. Solo mediante questa grande costruzione enciclopedica ogni segno impiegato potrà fun- zionare come il segno di una lingua perfetta: fornire cioè una esatta definizione della cosa o nozione significata. Si ha infatti definizione quando il segno rivela il « posto » che la cosa o azione (indicata dal segno) occupa in quell’insieme ordinato di oggetti reali e di azioni reali rispetto al quale le tavole si pongono come uno specchio. Inizialmente, all’incirca fra il 1640 e il 1657, i costruttori di queste lingue universali avevano seguito una strada in parte differente: avevano iniziato la raccolta di tutti i termini pri- mitivi (primitive o radical words) contenuti nelle varie lingue per giungere alla costruzione di un dizionario essenziale. In questa direzione si era mosso lo stesso Wilkins in un’opera del 1641 che riecheggiava nel titolo una espressione di Co- °° Sugli alfabeti cfr. J. Wilkins, Essay, cit., pp. 12-15, sulla distin- zione dei caratteri e sulle loro caratteristiche: pp. 385 -86. 222 CLAVIS UNIVERSALIS menio: Mercury or the secret and swift messenger. I termini radicali apparivano qui a Wilkins in una «relazione meno ambigua con le cose » di quanto non fossero i derived words.° A questa stessa ricerca dei termini primitivi (si ricordino a questo proposito le tavole dei termini fondamentali del Bister- field) si erano dedicati, in Inghilterra, Francis Lodowick nella sua opera sul linguaggio perfetto e Cave Beck nell’Ur:iversal character. Quest'ultimo aveva impiegato, come caratteri, i numeri arabi dallo 0 al 9; le combinazioni di tali caratteri, esprimenti tutti i termini primitivi di ciascuna lingua, erano disposte in ordine progressivo da 1 a 10.000, un numero, que- sto, che appariva al Beck sufficiente ad esprimere tutti i ter- mini di uso generale. Ad ogni numero corrispondeva un ter- mine di ogni lingua: ne risultava un « dizionario numerico » i cui termini venivano poi disposti alfabeticamente (a seconda delle varie lingue) in un altro «dizionario alfabetico ». Cia- scuno dei due dizionari serviva in tal modo da «chiave » al- l’altro.?! L'adozione dei caratteri reali con l’annesso progetto di una costruzione di « tavole complete » fece poi passare in se- conda linea la ricerca dei radicals words: si trattava ora di procedere alla riduzione di tutte le cose e le nozioni alle ta- vole («the reducing all things and notions to such kind of tables »). Costruire una raccolta di questo genere apparve a Wilkins un’impresa più adatta ad una accademia e ad un’epoca che a una persona singola: la principale difficoltà consisteva proprio nella completezza (« without any redundacy or defi- ciency as to the number of things and notions ») e nella siste- maticità (« regular as to their place and order »). Il problema dei termini primitivi o radicali non poteva tuttavia essere eluso: le tavole non potevano evidentemente contenere dav- vero tutto. Le cose e le nozioni in esse classificate ed enume- rate erano solo quelle che rientravano (si era deciso di far rientrare) nella lingua universale o « cadevano all'interno del discorso »: «a regular enumeration and description of all 30 J. WiLkins, Mercury or the secret and swift messenger, ahewing how a man may with privacy and speed communicate his thoughts to a friend at a distance, London, 1641, pp. 109 segg. (ediz. London, 1707). 3! Cfr. C. EMery, Wilkins' universal language, cit., p. 175. LA LINGUA UNIVERSALE 223 those things and notions to wich names are to be assigned... enumerating and describing all such things and notions as fall under discourse... ».?* La completezza della lingua veniva fatta dipendere dalla completezza delle tavole che erano presentate come uno spec- chio dell'ordinamento del mondo reale, ma per realizzare una completezza che non fosse irrealizzabile (enumerazione com- pleta) Wilkins riprese l’esigenza che era stata alla base della ricerca dei radical words. Le tavole non dovevano contenere tutto, ma soltanto le cose di « a more simple nature »; quelle di «a more mixted and complicated signification » dovevano essere ridotte alle prime ed espresse mediante perifrasi (per: phrastically). Il dizionario alfabetico inglese posto da Wilkins in appendice alla sua opera intende rispondere a questo scopo: mostrare come tutti i termini della lingua inglese possano essere in qualche modo riportati a quelli elencati e ordinati nelle tavole.?* Per realizzare l’ordinamento in tavole di tutte le cose e nozioni Wilkins fornisce un elenco di quaranta generi, cia- scuno dei quali viene poi suddiviso secondo le differenze che (fatta eccezione per alcune classificazioni zoologiche e bota- niche) sono sei di numero. I primi sei generi, che compren- dono « such matters, as by reason of their generalness, or in some other respect, are above all those common head of things called predicaments »,°* sono: I. Trascendentale generale 4. Discorso 2. Relazione trascendentale mista 5. Dio 3. Relazione trascendentale di azione 6. Mondo Gli altri trentaquattro generi sono ordinati come segue sotto i cinque predicamenti : 22 J. Wikins, Essay, cit., pp. 20-22 e numerosi passi contenuti nel- l’epistola dedicatoria. % J. Wilkins, Essay, cit., pp. 455 segg.: « An alphabetical dictionary wherein all english words according to their various significations are either referred to their places in the philosophical tables, or explained by such words as are in the tables ». °* J. Witkins, Essay, cit., p. 23-24. Per l'esposizione che segue cfr. anche pp. 60 segg.; 415 segg. c il riassunto delle varie parti dell’opera: pp. 1 segg. 224 Erba | considerata secondo : Animali : Parti : CLAVIS UNIVERSALIS Sostanza Elemento Pietra Metallo Foglia . Fiore . Seme . Arbusto . Albero . Esangui . Pesce . Uccello . Bestia . Parti peculiari . Parti generali Quantità 21. 22, 23. Grandezza Spazio Misura Privata : Pubblica : Qualità 24. Potere naturale 25. Abito 26. Costumi 27. Qualità sensibile 28. Malattia Azione 29. Spirituale 30. Corporea 31. Movimento 32. Operazione Relazione 33. Economica 34. Proprietà 35. Provvigione 36. Civile 37. Giudiziaria 38. Militare 39. Navale \ 40. Ecclesiastica Ciascuno di questi quaranta generi viene suddiviso se- condo le sue differenze e si enumerano poi le varie specie ap- partenenti a ciascuna delle differenze «seguendo un ordine e una dipendenza tali che possano contribuire a una defini- zione delle differenze e delle specie, determinando il loro si- gnificato primario ». Dell’ottavo genere (pietra) vengono per esempio enumerate sei differenze: Le pietre possono essere distinte a seconda che siano: Volgari o senza prezzo Di prezzo medio Preziose: Meno trasparenti Più trasparenti Le concrezioni terrestri sono: Solubili Non-solubili Ciascuna delle differenze è suddivisa nelle varie specie. Le « pietre volgari » (prima differenza) comprendono per esem- pio otto specie che non vengono (questo accorgimento è essen- ziale alla tecnica di Wilkins) semplicementeelencate, ma LA LINGUA UNIVERSALE 225 variamente raggruppate, all’interno della tavola, e classificate a seconda della maggiore o minore grandezza, dell’uso che se ne fa e dell'impiego nelle arti, dell'assenza o presenza di elementi metallici, ecc. Di questo tipo sono le tavole di Wilkins, che occupano poco meno di trecento pagine, in corpo fittissimo, della sua opera. Mediante questa ordinata classificazione delle cose e nozioni alle quali « devono essere assegnati i nomi in accordo alle loro rispettive nature », si è realizzata quella universal philosophy che sta alla base della lingua perfetta e che indica l'ordine, la dipendenza e le relazioni tra le nozioni e tra le cose. Mediante l’uso di lettere e di segni convenzionali è ora possibile dar luogo a un linguaggio universale che è il corri- spettivo della « filosofia universale ». I generi (ci limitiamo qui ai primi nove) vengono indicati come segue: Trascendentale generale Ba Relazione trascendentale mista Ba Trascendentale di azione Be Discorso Bi Dio Dx Mondo Da Elemento De Pietra Di Metallo Do Per esprimere le differenze vengono indicate, nell’ordine, le consonanti B, D, G, P, T, C, Z, S, N; le specie vengono indicate ponendo, dopo la consonante che indica la diffe- renza, i segni seguenti: a, a, €, i, 0, ò, Y, yi, yo. Per esempio: Di significa « pietra »; Did significa la prima differenza che è « pietra volgare »; Diba indica la seconda specie che è « ragg »; De significa elemento; Ded significa la prima differenza che è « fuoco »; Deba denoterà la prima specie che è « fiamma », Det sarà la quinta differenza che è « meteore » e Dera la prima specie della quinta differenza che è « arcobaleno ». Individuando la posizione che un dato termine occupa nelle tavole si potrà definirlo, determinare cioè con sufficiente chiarezza il « primary sense of the thing». Le tavole di Wilkins forniscono senza dubbio non poche informazioni: per esempio il significato del termine « diamante » risulterà, in base alle tavole, esser quello di una sostanza, di una pietra, 226 CLAVIS UNIVERSALIS di una pietra preziosa, trasparente, colorata, durissima, bril- lante. Ma varrebbe la pena di soffermarsi su alcune tipiche definizioni come quella di «bontà » 0 di « moderazione » v di «fanatismo ». La formazione del plurale, degli aggettivi, delle preposizioni, dei pronomi, ecc. consente a Wilkins di giungere, sia pure assai faticosamente, alla costruzione di una vera e propria lingua. Dell’uso di questa, impiegando prima le lettere alfabetiche poi i più complessi « caratteri reali » egli ci offre un esempio con la traduzione del Pater noster e del Credo. In modo non dissimile aveva proceduto George Dalgarno quando aveva costruito, nell’Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica, una classificazione logica di tutte le idee e di tutte le cose dividendole in diciassette classi supreme: A. Essere, cose M. Concreti matematici ». Sostanze N. Concreti fisici E. Accidenti F. Concreti artificiali I. Fsseri concreti B. Accidenti matematici (composti di sostanza e acci- ID. Accidenti fisici generali denti) G. Qualità sensibili O. Corpi P. Accidenti sensibili v. Spirito T. Accidenti razionali U. Uomo K. Accidenti politici (compesto di corpo e spirito)  S. Accidenti comuni Ciascuna delle diciassette classi supreme veniva suddivisa in sottoclassi che si distinguevano per la variazione della se- conda lettera. Ecco, a titolo di esempio, la sottoclasse di K : Ka. Relazione di ufficio Ko. Ruolo del giudice Kn. Relazione giudiziaria Kwv. Delitti Ke. Materia giudiziaria Ku. Guerre Ki. Ruolo delle parti Ska. Religione I termini, compresi in ciascuna delle sottoclassi, si distin- guono per la variazione dell’ultima lettera. In questi termini la lettera s, non iniziale, è « servile » e non ha un senso logico determinato, r indica l’opposizione, / il medio fra gli estremi, v è l'iniziale dei nomi di numeri. Sotto Ska (religione) sono compresi i termini seguenti: LA LINGUA UNIVERSALE 227 Skam: grazia Skag: sacrificio Skan: felicità Skap: sacramento Skaf: adorare Skat: mistero Skab: giudicare Skak: miracolo Skad: pregare L'introduzione della lettera ” consentirà la determinazione degli opposti che sono, in questo caso, « natura » che si op- pone a « grazia »; « miseria » che si oppone a «felicità »; « profanare » che si oppone a «adorare»; «lodare» che si oppone a « pregare ». Riproducendo nei dettagli questa classificazione Leibniz comporrà, fra il 1702 e il 1704, quelle ampie tavole di defi- nizioni che costituiscono il più importante documento del suo progetto di una universale enciclopedia.’ 9) La funzionalità di queste complicate lingue artifi- ciali è evidentemente legata (sia nel caso di Wilkins sia in quello di Dalgarno) alla maggiore o minore funzionalità della loro macchinosa classificazione delle cose e delle nozioni. A proposito di quest’ultima, resta da sottolineare una tesi caratteristica delle posizioni delle quali qui ci occupiamo e alla quale abbiamo più volte accennato. L’enciclopedia, l’in- sieme delle tavole — e quindi la lingua artificiale che ne è il correlato — appaiono valide in quanto costituiscono lo « specchio » dell’ordine presente nella realtà. La classifica zione dev'essere fondata sull’ordine delle cose; i rapporti di relazione fra i termini riproducono rapporti e relazioni reali: « apprendendo i caratteri e i nomi delle cose, verremo istruiti similmente nelle zazure delle cose: questa duplice conoscenza dev’essere congiunta. Per realizzare davvero ciò è necessario che la stessa teoria, sulla quale il nostro progetto è fondato, riproduca esattamente la natura delle cose ».*° 3 L. Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, 1903, Pp- 437-510. (Phil. VII. D. II. 1-2, 3). 2° J. Witkins, Essay, cit., p. 21: « By learning the character and the names of things, we should be instructed likewise in their natures, the knowledge of both which ought to be conjoyed. For the accurate effec- tung of this, it would be necessary, that the theory itself, upon which such a design were to be founded, should be exactly suited the nature of things ». 228 CLAVIS UNIVERSALIS Non a caso Wilkins, che pure aveva dedicato ai problemi del linguaggio non poche delle sue energie, ripeteva, con Ba- cone e con i baconiani: «as things are better then words, as real knowledge is beyond the elegancy of speech ».? 5. LA FUNZIONE MNEMONICA DELLE LINGUE UNIVERSALI: IL ME- TODO CLASSIFICATORIO NELLE SCIENZE NATURALI. I segni della lingua perfetta o universale consentono dun- que di individuare con la massima precisione il “posto” che ciascuna cosa (o azione) occupa nelle tavole, permettono cioè di collocare esattamente ogni singolo oggetto naturale in quel- l'ordine universale che è rispecchiato dalla ewrniversal philo- sophy o enciclopedia. Mediante questa “collocazione” si pos- sono individuare le relazioni tra la cosa significata e le altre appartenenti alla stessa classe o specie, si possono determinare i rapporti intercorrenti tra la cosa stessa e le differenze c i generi dai quali essa è contenuta come elemento. Perché si potesse giungere con la necessaria rapidità a realizzare queste collocazioni, giungendo in tal modo a precise, esaurienti de- finizioni, Wilkins aveva elaborato tutta una serie di accorgi- menti di tipo mnemonico: « Se questi segni o note vengono costruiti in modo da essere in un reciproco rapporto di dipen- denza e di relazione conveniente alla natura delle cose signi- ficate, e similmente se i nomi delle cose vengono ordinati in modo da contenere nelle lettere o suoni che li compongono una specie di affinità e opposizione in qualche modo rispon- dente alle affinità e alle opposizioni delle cose significate, si avrebbero ulteriori vantaggi: oltre che aiutare la memoria (helping the memory) in modo ottimo, l’intelletto verrebbe grandemente rafforzato ».°* Benjamin De Mott, commen- tando questo passo, ha scritto con molta chiarezza: «era fa- cile richiamare alla mente il termine atto a indicare l'oggetto salmone se si sapeva che il termine era composto di due sil- labe e cominciava con Za, il simbolo del genere pesci... Una volta ricordato il termine Zara lo studioso, data la sua fami- liarità con la progressione alfabetica dei caratteri, avrebbe 37 J. Witkins, Essay, cif., cpistola. 38 J. Witxins, Essay, cit., p. 21. LA LINGUA UNIVERSALE 229 avuto chiaro il posto del salmone all’interno del genere pesci e, in ultima analisi, entro l’intero schema della creazione dr * L’insistenza sul valore mnemonico della lingua univer- sale, presente nell’opera di Wilkins, non era casuale : una lingua di questo genere sembrava in effetti esaudire le spc- ranze e realizzare le aspirazioni di tutti quei teorici della me- moria artificiale che avevano inteso « disporre ordinatamente — entro i loro complicatissimi teatri — tutti quei luoghi che possono bastare a tenere a mente et ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose che sono in tutto il mondo ».*° Tutti i maggiori teorici della lingua universale insistono del resto, concordemente, sul valore mnemonico dei linguaggi perfetti. Cipriano Kinner, che aveva collaborato con Comenio nel 1640 c che per primo aveva formulato nei dettagli il progetto di una lingua artificiale, concepiva la sua lingua non solo come un rimedio alla « babelica confusione delle lingue naturali », ma anche, e soprattutto, come un potente, prezioso « aiuto alla memoria ». Col suo metodo gli studiosi di scienze natu- rali avrebbero potuto ritenere le nozioni più complicate e dif- ficili: «quale botanico, anche espertissimo, potrebbe impri- mersi nella memoria, fra tanta varietà di autori in contrasto, le nature e i nomi di tutte le piante? ». L'adozione della lingua artificiale i cui termini indicano la natura c le qualità di ogni singola pianta e il posto che ciascuna pianta occupa nella clas- sificazione per generi e specie, renderà quest’impresa, in appa- renza disperata, possibile e oltremodo facile: « mediante la lingua artificiale tutto potrà essere ricordato e recitato senza interruzioni, così come in un’aurea catena, composta di un migliaio di anelli, se vien mosso il primo anello, si muovono tutti gli altri, anche se noi non vogliamo affatto che essi si muovano ».°! Non diversamente dal Kinner, anche Lodowick, Edmundson e Dalgarno metteranno in luce il valore mnemo- nico della lingua universale, mentre Wilkins presenterà più volte, nel corso del suo Saggio, la sua lingua come un aiuto °° B. De MotT, Science versus mnemonics, cit., pp. 8-9. ‘° Cfr. G. Camino, Opere, Venezia, A. Griffo, 1584, II, p. 212. ‘4! Il testo del Kinner è contenuto in una lettera a Samuel Hartlib del 27 giugno 1647 che fu pubblicata da B. De Mott, The sources of the philosophical language, in « Journal of Engl. and Germ. Philol. ». 230 CLAVIS UNIVERSALIS alla debolezza della memoria naturale. I tremila termini dei quali la sua lingua è composta, sono certo in numero assai minore di quelli impiegati in una qualunque lingua cffetti- vamente parlata e tuttavia questi tremila termini « sono ordi- nati in modo da poter esser ricordati più facilmente di mille termini propri di una qualunque lingua naturale ».'? In una lettera scritta a Robert Boyle nel 1663, John Beale, membro della Royal Society, raccomandava l’uso dei mnemonical cha- racters (così egli chiamava i caratteri reali) giacché essi gli apparivano in grado di introdurre finalmente ordine in tutte le possibili combinazioni di lettere, di sillabe e di parole.** ° Come il Kinner aveva ben visto, il problema della fun- zione mnemonica delle lingue artificiali si presentava stretta- mente connesso a quello della classificazione dei minerali, delle piante, degli animali. Proprio su questo argomento si aprì, dopo il 1666, un’interessante discussione della quale fu prota- gonista John Ray, l’autore della monumentale Historia plan- tarum generalis (1686-1704), uno dei maggiori scienziati del secolo XVII. Congiuntamente al Willoughby il Ray colla- borò attivamente all’opera di Wilkins, elaborando una classi: ficazione delle piante rispondente agli scopi e alle esigenze proprie della lingua universale. Alle tavole della grande enciclopedia contenuta nell’Essay towards a real character and a philosophical language non spettava certo, secondo Wilkins, una funzione meramente ausiliaria. Nei suoi propositi e nei suoi intendimenti le tavole « soprattutto quelle concernenti i corpi naturali » avrebbero dovuto « promuovere e facilitare la conoscenza della natura » contribuire cioè in modo diretto al lavoro di ricerca svolto dai membri della Royal Society. Rivolgendosi al presidente e ai membri della illustre accademia Wilkins affermava: « nelle tavole ho disposto le cose in un ordine che potrà essere appro- vato dalla Società: in esse potrete trovare un ottimo metodo per la costruzione di un repository che servirà da un lato a ordinare le cognizioni già possedute e dall’altro a supplire le eventuali lacune ». Le ambizioni di Wilkins dovevano essere 42 Per i riferimenti alla memoria: J. WiLkins, Essay, cit., pp. 31, 385, e in particolare alle pp. 453 - 54. 43 La lettera è ripubblicata in R. BovyLE, Works, cir., VI, p. 339. LA LINGUA UNIVERSALE 231 presto deluse, ma è certo che il suo tentativo di una ordinata, completa classificazione dovette interessare fortemente quanti erano impegnati, in sede di scienze della natura, alla costru- zione di classificazioni riguardanti campi limitati di esperienza. E’ stato notato, molto acutamente, che Wilkins si proponeva di fare con le parole ciò che Linneo farà più tardi con le piante: * « scopo principale di queste tavole — scriveva il buon vescovo di Chester — è di offrire una enumerazione sufficiente di tutte le cose e nozioni e contemporaneamente di disporle in ordine tale che il posto assegnato a ciascuna cosa possa contribuire alla descrizione della sua natura indicando la specie generale e particolare entro la quale la cosa è collo- cata e la differenza per la quale essa è distinta dalle altre cose della stessa specie ».! Sulla base di questa convergenza di interessi e di problemi si verificò, di fatto, una collaborazione fra Wilkins da un lato e Willoughby e John Ray dall’altro. Le classificazioni di ani- mali e di piante, presenti nell’Essay, sono infatti opera dei due illustri scienziati. Ad essi si era rivolto nel 1666 lo stesso Wilkins per poter inserire nel suo testo una « regular enume- ration of all the families of plants and animals ».‘*° L' inte- resse del Ray al progetto dello Wilkins non era certo margi- 41 C. EMery, /. Wilkins universal language, cit., p. 176. 45 J. WiLkins, Essay, cit., 289. 1 Si veda la lettera di John Wilkins a Willoughby in W. DerHax, Philosophical letters, London, 1718, p. 366. Il piano di Wilkins rela- tivo alla lingua universale circolava fino dal 1647; sui primi contatti di Wilkins con il Ray c il Willoughby si vedano le considerazioni di B. De Mott, Science versus mnemonics, cit., p. 4. Sull’opera scientifica di John Ray (1628-1705) che fu detto «il Plinio inglese» e che fu il primo a far uso del termine specie nelle classificazioni botaniche cfr. E. GuyenoT, Les sciences de la vie au XVII: et XVIII: siècle, Paris, 1941, pp. 359 segg.; F. W. OtLiver, Makers of british botany, Cam- bridge, 1913; C. È. Raven, /. Ray naturalist, London, 1950, ma sì ve- dano anche le precise osservazioni di MarceLLA RENZONI, nell'ampio e preciso commento a Burron, Storia naturale, Torino, 1959, pp. 479, 483, 490. La celebre classificazione del Ray, presente nel Mezliodus plantarum nova del 1682 non è che una rielaborazione di quella già pubblicata nell'opera di Wilkins. Sull’opera congiunta di Ray e di Willoughby (1635 - 1672, autore della Orzitfologia, 1657; della Historiapiscium,1686;della Historia insectorum, 1710) cfr. anche E. GurExor, Biologie humaine et animale nel secondo vol. della Histoire générale des sciences, Paris, 1958, p. 362. 232 CLAVIS UNIVERSALIS nale: l’insigne scienziato si sottopose all’ingrata fatica di tra- durre in latino, per renderlo accessibile a tutta Europa, l'in- tero testo dell'Essay.'” Le sue divergenze con Wilkins nasce- vano però sul terreno del metodo, riguardavano proprio gli aspetti mnemonici della lingua universale. « Nella costruzione di queste tavole — scriveva Ray a Lister — non mi si è ri- chiesto di seguire i comandi della natura, ma di adattare le piante al sistema proprio dell’autore. Io debbo dividere le erbe in tre classi il più possibile eguali, suddividere poi ciascuna classe in differenze stando attento a che le piante ordinate entro ciascuna differenza non superino un dato numero fisso... Chi potrebbe sperare che un tal metodo sia soddisfacente? Esso appare assurdo e imperfettissimo, debbo dire francamente che si tratta di un metodo assurdo perché attribuisco più valore alla verità che alla mia personale reputazione ».i8 Anche Wilkins, proprio come Ray, aveva inteso che i suoi schemi « seguissero con esattezza la natura delle cose », ma, a diffe- renza di Wilkins, Ray trovava assai difficile iceordare: almeno in sede di botanica, l’a/fabeto e la natura, l'ordine della me- moria e l’ordine presente nella realtà. Di fronte alle difficoltà di una classificazione degli animali e delle piante entrava in crisi, in realtà, quella assoluta regolarità delle tavole che era essenziale al funzionamento della lingua perfetta: i quaranta generi « may be subdivided by its peculiar differences, which, for the better convenience of this institution, I take leave to determine (for the most part) to the number of six. Unless it be in those numerous tribes of herbs, trees, exanguious animals, fishes, and birds, which are of too great variety to be com- prehended in so narrow a compass »."* Sul metodo come ordinata classificazione, come divisione, costruzione di armoniose tavole e di regolarissime gerarchie, avevano concordemente insistito, per secoli, i teorici dell’ars reminiscendi. Proprio nella costruzione dei «teatri » e degli 4? La traduzione di Ray, che fu effettivamente condotta a termine, non fu mai pubblicata. Cfr. Select Remains of the learned John Ray by the late William Derham, ed. G. Scott, London, 1760, p. 23. 18 The correspondence of John Ray, ed. E. Lankester, London, 1848, pp. 41-42. Sul significato di queste riserve cfr. B. De Mott, Science versus mnemonics, cit., pp. 5 segg. 4° J. Wikins, Essay, cit., p. 22. LA LINGUA UNIVERSALE 233 «alberi », negli ordinamenti e nelle classificazioni essi ave- vano visto i più importanti strumenti per realizzare una me- moria artificiale che potesse soccorrere aila debolezza delle naturali facoltà ritentive. Da questo terreno storico aveva tratto alimento l’idea, così diffusa per tutto il secolo XVII, di una logica memorativa, di una sostanziale affinità tra la logica (il metodo) e la memoria (come facoltà di ritenere l’ordinato si- stema di tutte le scienze). In questo senso Ramo aveva attri- buito alla memoria una funzione ordinatrice e aveva visto nella memoria una parte o sezione del metodo; in questo senso Bacone aveva concepito la min:istratio ad memoriam (cui spet- tava il compito di « eliminare la confusione » e di procedere alla costruzione delle tavole) come parte integrante della nuova logica; in questo senso, infine, Cartesio aveva inteso la enu- meratio come un soccorso alla naturale fragilità dell’umana memoria. In questi stessi anni Alsted aveva visto nella me- moria una «tecnica dell’ordinamento delle nozioni » e aveva sostenuto la piena risoluzione della memoria « madre dell’or- dine » in una logica intesa come arte del classificare, come metodo per la costruzione del systema mnemonicum o uni- versale enciclopedia delle scienze. In modo non dissimile concepirono il « metodo » gli uo- mini che si volsero, nel corso del secolo XVII, alla non facile impresa di una integrale, ordinata, coerente classificazione dei minerali, delle piante, degli animali. Metodo voleva dire per essi « metodica divisione delle diverse produzioni della na- tura in classi, generi, specie », capacità di costruire una no- menclatura i cui termini fossero significativi di rapporti fra il singolo elemento e i generi e le specie di appartenenza, chia- rissero il posto di ciascun elemento in un sistema più vasto. Proprio nel momento in cui, alla metà del Settecento, i « me- todi » entrarono in crisi e vennero rifiutate le classificazioni tradizionali troviamo esplicitamente teorizzata, in polemica contro un recentissimo passato, la funzione mnemonica delle classificazioni e dei metodi. Rifiutando, in nome di una esatta descrizione, l’idea stessa del « sistema» e polemizzando con- tro la tradizione della botanica del Cinquecento e del Seicento, Buffon rifiutava energicamente «tutti i metodi che si sono compilati per aiutare la memoria ».°° E proprio su questa °0 Burron, Storia naturale, cit., pp. 22-23. 234 CLAVIS UNIVERSALIS funzione mnemonica dei metodi insistono concordemente i maggiori esponenti della botanica del Settecento: « l’immensa quantità di piante cominciò a pesare sui botanici — scrive lo Adanson nella prefazione alla Famulles des plantes — quale memoria poteva bastare a tanti nomi? I botanici, per allegge- rire questa scienza, immaginarono perciò i metodi ».°! E Fon- tenelle, nell’elogio pronunciato all'Accademia per la morte di Tournefort, scriveva: «egli permise di mettere ordine nello straordinario numero di piante disseminate alla rinfusa sulla terra e anche sotto le acque del mare e di distribuirle nei di- versi generi e nelle diverse specie che ne facilitano la memoria e impediscono alla memoria dei botanici di crollare sotto il peso di una infinità di nomi »°° Non si tratta di accostamenti casuali: per rendersene conto basta leggere la voce Botanigue della grande enciclopedia il- luministica: «il metodo serve a dare un'idea delle proprietà essenziali di ciascun oggetto e a presentare le relazioni e i contrasti esistenti fra le differenti produzioni della natura... per chi si avvia allo studio della natura il metodo è un filo che serve da guida entro un complicatissimo labirinto, per gli altri (già esperti nelle scienze) è un quadro che rappre- senta taluni fatti, i quali possono farne ricordare altri nel caso che già li si conosca... un solo metodo è sufficiente per la nomenclatura: si tratta di costruirsi una sorta di memoria artificiale per ritenere l’idea e il nome di ogni pianta giacché il numero delle piante è troppo grande perché si possa tra- scurare un tale soccorso; a questo scopo qualunque metodo è buono ». La violenza di questa polemica, il vigore di questi rifiuti costituiscono, di per sé, una conferma della persistenza, per tutto il secolo precedente, di una concezione del metodo come «memoria ». È contro una concezione di questo tipo che pole- mizzano gli enciclopedisti: «queste divisioni metodiche — è scritto nelle pagine dedicate alla voce Histoire naturelle — aiutano la memoria e sembrano venire a capo del caos for- M. Apanson, Familles des plantes, Paris, 1763, p. XCV. B. DE FonteneLLE, E/oge de Tournefort, Hist. Acad. Sci., 1708, p. 147. Questo e il passo precedente sono cit. da M. Renzoni nelle note a Burron, Storia naturale, cit., pp. 478, 483. 51 52 LA LINGUA UNIVERSALE 235 mato dagli oggetti della natura... ma non bisogna mai di- menticare che questi sistemi sono fondati solo su arbitrarie convenzioni umane e che essi non sono d'accordo con le in- variabili leggi della natura ». Qui non venivano solo rifiu- tati quegli « aiuti della memoria » che erano stati teorizzati e difesi da illustri esponenti della filosofia e della scienza del Seicento; qui veniva rifiutata, in nome di un deciso conven- zionalismo, anche l’antica idea di una piena, totale corrispon- denza fra i termini dell’enciclopedia e la realtà delle cose. 6. CARTESIO E LEIBNIZ DI FRONTE ALLA LINGUA UNIVERSALE. Anche il matematismo di derivazione cartesiana aveva senza dubbio contribuito a creare un’atmosfera favorevole alla costruzione delle lingue artificiali, ma l’azione esercitata da Cartesio sui progetti di una lingua universale è, quantomeno, difficilmente determinabile. In una lettera a Mersenne del no- vembre 1629 che fu pubblicata a Parigi nella raccolta dello Clerslier (1657, e ristampe nel 1663 e 1667) e che poté quindi essere letta da qualcuno dei teorici del linguaggio universale (ma siamo sul piano delle ipotesi e di questa lettura non ho trovato alcuna documentazione), Cartesio, pur chiarendo con molta precisione le caratteristiche e gli scopi di una lingua filosofica, si era mantenuto su un piano assai ambiguo. L'im- presa di una lingua filosofica gli era apparsa, almeno teori- camente, possibile: « stabilendo un ordine in tutti i pensieri che possono penetrare nello spirito umano, allo stesso modo che esiste un ordine naturalmente stabilito nei numeri », po- trebbe costruirsi una lingua composta di caratteri apprendi- bili con grande facilità e rapidità. L'invenzione di questa lin- gua — aggiungeva — dipende però dalla « costruzione della vera filosofia, perché sarebbe altrimenti impossibile enumerare tutti i pensieri degli uomini e metterli in ordine ». Una lingua di questo genere, fondata sulla individuazione di quelle « idee semplici che sono nell’immaginazione degli uomini e delle quali si compone tutto ciò che gli uomini pensano », sarebbe facile da apprendere e da scrivere e, cosa fondamentale, « aiu- terebbe il giudizio rappresentando le cose così distintamente che sarebbe impossibile ingannarsi, mentre al contrario le pa- role delle quali attualmente disponiamo hanno quasi solo si- 236 CLAVIS UNIVERSALIS gnificati confusi ai quali da lungo tempo si è adattato lo spi- rito degli uomini: a causa di ciò quasi nulla viene inteso per- fettamente ». Ma poco più avanti Cartesio aveva messo in luce il carat- tere utopistico di un'impresa di questo tipo e aveva mani- festato il suo radicale scetticismo sulla possibilità di una pra- tica realizzazione: «Je tiens que cette langue est possible, et qu’on peut trouver la science de qui elle dépend, par le moyen de laquelle les paisans pourroient mieux juger de la verité des choses, qui ne font maintenant les philosophes... mais n’esperez pas de la voir jamais en usage, cela présuppose de grands changemens en l’ordre des choses et il faudroit que tout le monde ne fust qu’un paradis terrestre, ce qui n'est bon à proposer que dans le pays des romans »." Una cosa Cartesio aveva visto con chiarezza: lo stretto rapporto tra la lingua perfetta e la vera filosofia (quella che Wilkins aveva poi chiamato la universal philosophy o enci- clopedia). Cartesio aveva concepito questo rapporto come un rapporto di dipendenza: l’assenza di un ordinato elenco di tutti i pensieri degli uomini dal quale ricavare l’elenco delle idec semplici rendeva impossibile e illusoria la costruzione di una lingua universale. Dalgarno e Wilkins avevano tentato l'impresa di una classificazione totale delle nozioni e delle cose. Leibniz, largamente utilizzando questi tentativi, rifiu- terà esplicitamente, proprio commentando la lettera a Mer- senne ora ricordata, la posizione cartesiana: « Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa non dipende dalla sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere costruita nonostante che la filosofia non sia perfetta; a misura che crescerà la scienza degli uomini, crescerà anche questa lingua. Nell'attesa, essa costituirà un aiuto meraviglioso: per servirci di ciò che sappiamo, per renderci conto di ciò che ci manca € per trovare 1 Mezzi per arrivarci, ma soprattutto servirà a eliminare, sterminandole, le controversie negli ar- gomenti che dipendono dalla ragione. Perché, allora, calcolare e ragionare saranno la stessa cosa ».° 59 Descartes, Oesvres, ed. C. Adam et P. Tannery, I, pp. 80-82 (ediz. Clerselier, I, lettera 111, pp. 498-502). 54 L. Coururat, Opuscules ct fragments inédits de Leibniz, cit., pp- 27 - 28. VIII. LE FONTI DELLA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA In una lettera scritta a Francoforte nell’ aprile del 1671 Leibniz esprimeva il suo entusiasmo per l’opera di Wilkins: « Ho letto da poco il Caraztere universale del dottissimo Wil kins; le sue tavole mi piacciono moltissimo e vorrei che egli si fosse servito di figure per esprimere quelle cose che non possono essere descritte che mediante la pittura, come per esempio i generi degli animali, delle piante, degli strumenti. Quanto sarebbe desiderabile una traduzione in latino della sua opera! ». La stessa speranza in una rapida traduzione, Leibniz esprimeva due anni più tardi, in una lettera all’Olden- burg. Dobbiamo arrivare al 1679-80, dopo gli anni del sog- giorno parigino e londinese, per trovare espresse alcune ri- serve di fondo: « Sento che quell’uomo illustre [Robert Hoock| tiene in gran conto il Carattere filosofico del vescovo Wilkins che ho anch'io nella meritata considerazione. Non posso ta- cere, tuttavia, che può essere realizzato qualcosa di molto più rande e di molto più utile. Di tanto più grande, di quanto i caratteri dell’algebra sono migliori di quelli della chimica ».' Il contatto con l’analisi matematica era stato, da questo punto di vista, decisivo: per Leibniz non si trattava più sol- tanto di costruire una lingua che fosse in grado di facilitare la comunicazione tra gli uomini, ma di dar luogo ad una scrittura universale mediante la quale si potessero, così come in algebra e in aritmetica, costruire infallibili dimostrazioni. La differente posizione assunta da Leibniz in queste lettere conferma ancora una volta, dal punto di vista di un problema particolare, la validità di quella interpretazione che vede nel soggiorno a Parigi e a Londra (marzo 1672 - ottobre 1676) una « svolta » nel pensiero leibniziano. In questi anni Leibniz si dedica allo studio della matematica ed entra in contatto con il cartesianesimo e con le correnti più vive del pensiero euro- ® C. I. GerHarDT, Die philosophischen Schriften von G. G. Leibniz, voll. 7, Berlin, 1875-90, VII, pp. 5, 6, 9, 16-17. (Quest'edizione verrà qui di seguito indicata con la sigla G. immediatamente seguita dal numero del volume e delle pagine). 238 CLAVIS UNIVERSALIS peo. L'attenzione per gli aspetti sintattici del linguaggio, la scoperta della « magia dell’algoritmo » o della « funzionalità » dei procedimenti puramente formali, l'affermazione della pos- sibilità di una scienza generale delle forme: questi temi e queste discussioni sono posteriori agli anni della giovinezza, presuppongono l’accostamento dei metodi della combinatoria a quelli della matematica e dell’algebra. Il progetto leibniziano di una caratteristica universale era fondato — com'è noto — su questi tre princìpi: 1) le idee sono analizzabili ed è possibile rintracciare quell’alfabeto dei pensieri che è costituito dal catalogo delle nozioni semplici o primitive; 2) lc idee possono essere rappresentate simbolica- mente; 3) è possibile una rappresentazione simbolica dellerelazioni tra le idee e, mediante opportune regole, è possibile procedere alla loro combinazione. Questo progetto di Leibniz non nacque certamente sul terreno dell’ “algebra” o del “for- malismo logico”. Il Kabitz ha ritrovato, nella biblioteca di Hannover, l’esem- plare, annotato da Leibniz, delle opere di Bisterfield ed è certo a quest’ultimo autore, oltre che più genericamente alla tradizione del lullismo, che va fatta risalire l’idea, fondamen- tale per lo stesso costituirsi della combinatoria leibniziana, di un alfabeto dei pensieri umani o di un catalogo delle nozioni primitive dalla combinazione delle quali si possano ricavare tutte le idee complesse." In una lettera scritta probabilmente al barone di Boineburg e che contiene una delle prime for- ° Per 1 rapporti con Bisterfiecld e la presenza di motivi attinti alle correnti mistiche-pitagoriche: W. Kasirz, Die Philosophie der jungen Leibniz. Untersuchungen zur Entwicklungsgeschichte seines Systems, Heidelberg, 1909; per i rapporti con la pansofia: Leibniz’ Verhaltnis zur Renaissance im allgemeinen und zu Nizolius im besonderen, Bonn, 1912; per i rapporti con Alsted c con Henry Morc: D. MaHNKE, Leib- mizens Synthese von Untversalmathematik und Individualmetaphysik, in « Jahrb. fur Philos. u. phinomenologische Forschung », 1925, pp. 305 - 612; W. FeitcHenFELD, Leibniz und Henry More, Berlin, 1923. " G. VII, 11; L. Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, Alcan, 1903, p. 430, 435 (di qui in avanti indicato con la sigla Op. seguita dal numero della pagina); G. G. LEIBNIZ, Textes inédites publiés et annotés par Gaston Grua, voll. 2, Paris, 1948, pp. 542-45 (di qui in avanti si userà la abbreviazione Grua, seguita dal numero delle pagine). LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 239 mulazioni della caratteristica, Leibniz mostrava di accettare, nella sostanza, il progetto del padre Kircher: ai concetti e alle nozioni fondamentali vanno sostituite figure di circoli, di qua- drati, e di triangoli variamente disposti; mediante la combi- nazione delle figure potranno essere espresse le relazioni e le combinazioni fra le idee. Accanto a quelli del Bisterfield e del Kircher, troviamo ricordati, nella Dissertatio de arte combi- natoria del 1666, i nomi di Lullo e di Bruno, di Agrippa e di Pedro Grégoire, di Alsted, di Bacone ec di Hobbes. La cri- tica che Leibniz rivolgeva a Lullo non concerneva minima- mente il principio ispiratore della combinatoria: riguardava l’arbitrarietà delle classi e delle radici, la insufficienza delle combinazioni; il riferimento a Bacone era giustificato dal fatto che il Verulamio aveva posto fra i desiderata una logica inven- tiva; quello a Hobbes dalla identificazione di ogni operazione mentale con una computatio. Il riferimento a Hobbes non deve trarre in inganno: Leibniz si limita ad approvare l’accosta- mento, presente nei testi di Hobbes, ma larghissimamente dif- fuso anche nei testi del lullismo, della logica ad un “calcolo”. Come ha mostrato con abbondanza di argomentazioni il Cou- turat,* il peso esercitato da Hobbes sull’idea della caratteri- stica è assai scarso e, nella interpretazione del calcolo, Leibniz si allontana in modo radicale dalle posizioni hobbesiane. Pre- valgono in ogni modo, tra le fonti indicate da Leibniz, i testi dei lulliani e degli enciclopedisti: richiamandosi agli scritti di Bruno, di Agrippa, di Alsted, Leibniz faceva riferimento alle più note e celebrate esposizioni e ai più diffusi commenti dell’Ars magna; nella Sintassi del Grégoire aveva trovato, vi- gorosamente espressa, l’aspirazione ad una scienza generale fondata sulla determinazione di una serie limitata di princìpi e di assiomi; dalla Technica curiosa sive mirabilia artis di Caspar Schott, uno dei testi più caratteristici della « magia » dei gesuiti del Seicento, aveva infine attinto notizie sulle lin- gue universali.* 1 Cfr. Op. 29-30; 536-37; G.IV, 62, 64, 70. ® L. Coururat, La /ogique de Leibniz d’après des documents inédits, Paris, 1901, tutta la appendice Il e in particolare le pp. 458 - 59. (Qui di seguito abbreviato con CouTuRaT). ® Caspar ScHotT, Technica curiosa, sive mirabilia artis, Norimbergae, 1664 (Copia usata: Triv. Mor. H. 264). 240 CLAVIS UNIVERSALIS Il problema fondamentale della logica inventiva, quale viene esposta nella Dissertatio de arte combinatoria, è quello, ben noto, di trovare tutti i possibili predicati di un dato sog- getto e, dato un predicato, trovare tutti i suoi possibili sog- getti. Trascurando, come è legittimo fare in questa sede, tutta una vasta serie di problemi più strettamente tecnici, ci si limi- terà a fornire, sulla traccia della esposizione del Belaval, un esempio del modo di procedere del Leibniz. Per risolvere il problema sopra indicato è necessario individuare le idee sem- plici e primitive che possono essere indicate con un segno con- venzionale, in questo caso con un numero. Siano i termini della prima classe: 1: il punto; 2: lo spazio; 3: l’interposto fra; 4: il contiguo; 5: il distante; 9: la parte; 10: il tutto; 11: lo stesso; 12: il diverso: 13: l’uno; 14: il numero; 15: la pluralità; 16: la distanza; 17: il possibile ecc. Combinando a due a due i termini della prima classe (com2natio) si otten- gono i termini della seconda classe. Per esempio la quantità (il numero delle parti) sarà rappresentata dalla formula: 14709 (15). Mediante la combinazione dei termini a tre a tre (com3natio) si otterranno i termini della terza classe: per cs. intervallum è 2.3.10, vale a dire che l’intervallo è lo spazio (2) preso in (3) un tutto (10). E così di seguito procedendo per comA4natio, comSnatio ecc. Per trovare i predicati di un deter- minato soggetto basterà suddividere un termine nei suoi fat- tori primi determinando poi le possibili combinazioni di que- sti fattori. I predicati possibili di intervallo sono: lo spazio (2), l’intersituazione (3), il tutto (10) presi uno ad uno; poi, presi per com2natio, lo spazio intersituato (2.3), lo spazio totale (2.10), l’intersituazione nello spazio (3.10); infine, per com3 natio, il prodotto 2.3.10 che costituisce la definizione di :nter- vallo. Per trovare tutti i possibili soggetti di intervallo (predi- cato) bisogna individuare tutti i termini le cui definizioni con- tengono i fattori 2.3.10. Tutte le combinazioni risultanti da questi fattori apparterranno necessariamente alla classe delle nozioni complesse di ordine superiore alla classe cui appar- tiene intervallo (che appartiene alla terza classe). La linea, che è definita come un intervallo tra due punti, appartiene alla quarta classe giacché per definirla occorreranno quattro ter- minì primitivi: 2,3,10 e 1 (il punto). Dati n termini semplici e indicando con 4 (2>4) il numero dei fattori primi costi- LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 241 tuenti un predicato si daranno 2 "-k soggetti possibili (la pro- posizione tautologica «un intervallo è un intervallo » è evi- dentemente compresa in questo numero). La caratteristica, come ha notato con esattezza il Couturat, non fu tuttavia inizialmente concepita sotto la forma di un’al- gebra 0 di un calcolo, ma sotto la forma di una lingua o scrit- tura universale.* L’uso XI dell’ars combinatoria consiste in- fatti per Leibniz nell’invenzione di una «scrittura universale, intelligibile cioè ad un qualunque lettore esperto in una qual- siasi lingua ». Tra i testi di lingua universale a lui contempo- ranei, Leibniz ricordava — fondandosi sull’esposizione che ne aveva fatto lo Schott — uno scritto anonimo pubblicato a Roma nel 1653 nel quale « il metodo era abbastanza ingegno- samente ricavato dalla natura delle cose: l’autore distribuiva le cose in varie classi ed ogni classe era formata da un deter- minato numero di cose »,° per designare un oggetto qualunque bastava indicare il numero della classe e il numero dell’ og- getto. Le altre due opere ricordate da Leibniz sono: il Cha- racter pro notitia linguarum universali di J. Becher (Franco- forte, 1661) e la Polygraphia nova et universalis ex combina- toria arte detecta del padre Atanasio Kircher (Roma, 1663). Entrambi questi testi sono costruiti sulla base di un dizionario numerico del tipo di quello al quale si è fatto riferimento a proposito dell’Un:versal Character (1653) di Cave Beck. E° diventato una specie di luogo comune, nella storiografia leibniziana, quello di contrapporre agli « informi abbozzi » o ai «vaghi e confusi » progetti di lingua universale costruiti dai « predecessori », il limpido, «scientifico », coerente piano di una lingua filosofica costruito da Leibniz. In realtà le cose (quando non si attribuisca a qualcuno la qualifica di « prede- * G.IV, 70-71 e cfr. Y. Betavat, Leibniz, Paris, 1952, pp. 41-42; Couturat, 35 - 40; e, per una più ampia esposizione, F. BARONE, Logica formale e logica trascendentale da Leibniz a Kant, Torino, 1957, pp. 5 segg. 8 Couturat, 5l. ° G. IV, 72. Nel settimo libro della Technica curiosa dello Schott che ha per titolo Mirabilia graphica, sive nova aut rariora scribendi artificia (cdiz. di Norimberga, 1664) alle pp. 484-505 e 507-529 è contenuta una dettagliata esposizione dell’opera anonima del 1653 e del volume del Becher. Le brevi considerazioni svolte da Leibniz sembrano esclu- sivamente fondate su questa esposizione. 242 CLAVIS UNIVERSALIS cessore » per evitare la fatica di leggerne le opere) stanno un po’ diversamente. Quando Leibniz formulava, nella Disser- tatio de arte combinatoria, il suo progetto di lingua univer- sale, egli non conosceva né l’Ars signorun del Dalgarno, pub- blicata nel 1661, né, ovviamente, l’Essay di Wilkins che vide la luce solo nel 1668. In quegli anni, Leibniz concepiva an- cora, sulle traccie di Bacone e di Kircher, i caratteri della lingua universale come composti « di figure geometriche e di pitture del tipo di quelle usate un tempo dagli Egiziani e im- piegate oggi dai Cinesi; pitture che non vengono ricondotte a un determinato alfabeto o a lettere, il che è causa di incre- dibile afflizione per la memoria ».!° Le riserve che egli avan- zava a proposito dell’opera del Becher erano, d’altra parte, assai simili a quelle che formulerà, indipendentemente da Leibniz, lo stesso Wilkins: l'ambiguità dei termini che, nelle varie lingue, hanno diversi significati; la impossibilità, data la mancanza di esatti sinonimi, di una precisa corrispondenza fra i termini di due lingue; la impossibilità, data la diversità delle regole sintattiche, di una pura e semplice traduzione dei termini uno in fila all’altro; la difficoltà infine di ritenere a memoria i numeri corrispondenti non solo alle classi, ma ai singoli oggetti appartenenti a ciascuna classe. Una scrittura o lingua universale che volesse evitare questi pericoli doveva quindi essere fondata su un’analisi completa dei concetti e sulla loro riduzione ai termini semplici. !* All’inizio del 1671 Leibniz lesse il Saggio sui caratteri reali di Wilkins e, probabilmente nello stesso giro di tempo, l'Ars signorum di George Dalgarno. Il suo entusiasmo per l’opera di Wilkins, il suo desiderio di vedere il Saggio tradotto in latino e diffuso in Europa appare, dopo quanto si è detto, pic- namente giustificato. Nell’Essay e nell’Ars signorum egli aveva trovato (almeno in parte realizzato) il tentativo — già da lui stesso auspicato ed avviato nella Dissertatto — di costruire una lingua universale che fosse anche «artificiale » e « filo- sofica », costruita cioè non sulla base di una corrispondenza tra dizionari, ma sul fondamento di una classificazione logica dei concetti. Le critiche di Leibniz a Dalgarno e a Wilkins 10 G.1V, 73. n G. IV, 72-73. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 243 nasceranno, abbiamo visto, solo negli anni del soggiorno a Parigi: in una nota apposta al suo esemplare dell’Ars signo- rum e in una lettera all’Oldenburg (scritta da Parigi) Leibniz criticava i due autori inglesi affermando che, più che a costruire una lingua davvero « filosofica », capace cioè di indicare le relazioni logiche tra i concetti, essi si erano preoccupati di dar luogo a una lingua che potesse facilitare il commercio fra le nazioni. La lingua internazionale — aggiungeva Leibniz — è solo il più piccolo dei vantaggi offerti dalla lingua universale : essa è prima di tutto un instrumentum rationis.'®? Ma nel modo di concepire la lingua universale (il termine caratteristica reale, sovente impiegato da Leibniz, deriva in modo evidente dalla terminologia baconiana ripresa anche da Wilkins) Leibniz non si discostava di molto dalle posizioni tradizionali. Da questo punto di vista alcune delle sue affermazioni appaiono particolarmente significative e valgono a mostrarci la effettiva vicinanza di alcune delle sue tesi con quelle sostenute dai teo- rici inglesi della lingua artificiale : 1) La lingua universale o caratteristica reale risulta da un sistema di segni che rappresentano direttamente le nozioni e le cose, non le parole (« peindre non pas la parole, mais les pensées »), tali quindi da poter essere letti e compresi indi- pendentemente dalla lingua che effettivamente si parla.!* 2) La costruzione di una lingua universale coincide con quella di una scrittura universale (« nihil refert, an scripturam tantum universalem, an vero et linguam condere velimus; facile enim est utrumque eadem opera efficere »).'! 3) Pur dichiarando di volersi discostare dalla tradizione, Leibniz vede nei geroglifici egiziani, nei caratteri cinesi, nei segni impiegati dai chimici, gli esempi di una caratteristica reale (« hieroglyphica Aegyptiorum et Chinensium et apud nos notae chemicorum, Characteristicae realis exempla sunt, fateor, sed qualis hactenus auctores designavere, non qualis nostra est »).!° !* G. VII, 12; Couturat, Nota III. 19 G. VII, 21, 204. 14 G. VII, 13. 15 G. VII, 25. 244 CLAVIS UNIVERSALIS 4) La lingua universale può essere appresa in un tempo brevissimo (« in poche settimane », ripete Leibniz con il Dal- garno) e serve anche, seppure non principalmente, alla propa- gazione della fede cristiana e alla conversione dei popoli (« cette Eesinure ou langue... pourroit estre bientost receue dans le monde, parce qu'elle pourroit estre apprise en peu de semai- nes, et donneroit moyen de communiquer par tout. Ce qui seroit de grande importance pour la propagation de la foy, et . pour l’instruction des peuples eloignés »).!° 5) L'apprendimento della lingua universale coincide con l'apprendimentodella enciclopedia o del sistematico ordina- mento delle nozioni fondamentali. Il progetto dell’enciclopedia è organicamente legato a quello relativo alla lingua univer- sale e da esso inscindibile (« qui linguam hanc discet, simul cet discet encyclopaediam quae vera erit janua rerum »).!” 6) L'apprendimento della lingua universale costituisce, di per se stesso, un rimedio alla debolezza della memoria (« qui linguam hanc semel didicerit, non potuerit eius oblivisci, aut, si obliviscatur, facile omnia necessaria vocabula ipse sibi repa- rabit »).!* 7) La superiorità della lingua universale sulla scrittura cinese sta nel fatto che le connessioni tra i caratteri corrispon- dono all’ordine e alla connessione esistenti fra le cose («on la pourra apprendre en peu de semaines, ayant les caracteres bien liés selon l’ordre et la connexion de choses, au lieu que les Chinois... »).!* Su due punti, entrambi di importanza fondamentale, Leib- niz si discosta però dai precedenti tentativi: 1) I caratteri della lingua universale hanno il compito di esprimere i rapporti e le relazioni che intercorrono tra i pensieri; come nel caso dell’algebra e dell’aritmetica, i carat- teri devono servire all’invenzione e al giudizio. « Questa scrit- tura, scrive Leibniz nel 1679, sarà una specie di algebra gene- rale e offrirà il modo di ragionare calcolando, di modo che, 16 G. VII, 26. 12.G. VIL- 13; 18 G. VII, 13. 19 G. VII, 26. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 245 invece di disputare, si potrà dire: calcoliamo. E si troverà che li errori del ragionamento sono soltanto errori di calcolo indi- viduabili, come nell’aritmetica, per mezzo di prove ». Il pro- getto di una lingua universale o filosofica, ripreso da Leibniz con nuovo vigore dopo la lettura delle opere di Dalgarno e di Wilkins, poteva in tal modo essere accostato a quello già av- viato nel De arte combinatoria e tendente alla costruzione di un’ars inveniendi concepita come calcolo.?° 2) La costruzione della lingua universale condurrà in tal modo non solo alla realizzazione di un mezzo di comu- nicazione, ma contribuirà anche, in modo diretto, alla realiz- zazione dell’ars inveniendi. Il nome (segno) attribuito nella lingua universale ad un determinato oggetto o ad una deter- minata nozione non servirà solo a individuare le relazioni intercorrenti fra la cosa significata e le altre appartenenti alla stessa classe o specie e a determinare i rapporti tra la cosa stessa e le differenze e i generi nei quali essa è contenuta come elemento; non servirà solo a indicare la « posizione » che l’og- getto occupa nello schema dell’universo; servirà anche «a in- dicare le esperienze che devono essere razionalmente intra- prese per estendere la nostra conoscenza »: « Equidem fateor et res ipsa clamat, non posse nunc quidem ex nomine quod auro (exempli causa) imponemus, duci phaenomena quaedam chymica quae dies et casus detegent, donec sufficientia phaeno- mena ad reliqua determinanda nacti simus. Solius Dei est, primo intuitu, huiusmodi nomina imponere rebus. Nomen tamen quod in hac lingua imponetur, clavis erit eorum omnium quae de auro humanitus, id est ratione atque ordine sciri pos- sunt, cum ex eo etiam illud appariturum sit, quaenam expe- rimenta de co cum ratione institui debeant ». Nel lungo fram- mento intitolato Lingua generalis (febbraio 1678), il primo sistema di calcolo logico concepito da Leibniz, poteva in tal modo presentarsi come il fondamento del progetto leibniziano di una lingua universale.?! Per trasformare la caratteristica (facente uso di simboli numerici) in una lingua che potesse essere « parlata » Leibniz n faceva ricorso, come ha chiarito anche il Couturat,#? ai metodi n G. VII, 23, 26, 205 e cfr. Grua, 263 - 64. 2! G. VII, 13; Op. 277-79. ?2 CoururaT, 62, 63. 246 CLAVIS UNIVERSALIS teorizzati da Dalgarno e da Wilkins, indicava con le nove prime consonanti (5, c,d,f,g.hl,m,n)i numeri da 1 a 9, e con le cinque vocali le unità decimali in ordine ascendente (1, 10, 100, 1000, 10000), per le unità superiori ammetteva l’im- piego di dittonghi. Così il numero 81.374 si scriverà e si pro- nuncierà Mubodilefa. Poiché ogni sillaba indica, mediante la vocale, il suo ordine decimale, il valore della sillaba stessa è indipendente dal posto occupato nella parola. Lo stesso nu- mero può essere espresso con il termine Bodifalemu che si- gnifica 1000 + 300 + 4 +70 + 80000 = 81.374.°* Non è il caso di esporre qui le dottrine di Leibniz concer- nenti la grammatica razionale, né i suoi tentativi di una sem- plificazione grammaticale e sintattica del latino al quale egli, dopo i ripetuti insuccessi cui è andato incontro, fa ricorso come « intermediario » fra le lingue viventi e la futura lingua uni- versale.?! È ben certo, tuttavia, che il problema che necessa- riamente Leibniz doveva porsi, della costituzione di un dizio- nario poneva Leibniz di fronte ad una questione nella quale si erano già imbattuti non pochi fra i teorici inglesi della lin- gua perfetta. Perché il nome di ogni oggetto o nozione possa esprimere la definizione dell’oggetto o della nozione in modo che i termini della lingua artificiale divengano simboli ade- guati e trasparenti simili a quella della lingua di Adamo, è ne- cessario aver individuato gli elementi primi e semplici che compongono l’alfabeto del pensiero. Ma per individuare que- st’alfabeto è necessario un inventario di tutte le conoscenze umane; è indispensabile disporre di un’enciclopedia nella quale tutte le nozioni siano classificate nell’ambito di un si- stema unitario e appaiano quindi riconducibili ad un numero limitato di categorie fondamentali: «La Caracteristique que je me propose ne demande qu’une espèce d’Encyclopedie nou- velle. L’ Encyclopedie est un corps où les connoissances hu- 29 Op.278. 24 Cfr., su questi argomenti, Coururat, 66 segg. c, dello stesso autore, Histoire de la langue universelle, Paris, 1907, pp. 11-28. Per una ri- presa, da parte del Couturat, di questi temi leibniziani cfr. Des rapports de la logique et de la linguistique dans le probleme de la langue inter- nattonale, in « Atti del IV Congr. intern. di filosofia », Bologna, 1911, vol. II. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 247 maines les plus importantes sont rangées par ordre. Cette En- cyclopedie estant faite selon l’ordre que je me propose, la Caracteristique seroit quasi toute faite ».° In una serie numerosissima di abbozzi, di frammenti, di piani, di capitoli o sezioni offerti come provvisori specimina, Leibniz, rivolgendosi alle società e alle accademie, ai principi e ai sovrani, andò elaborando durante l’intera sua vita, il pro- getto di un'enciclopedia universale che non si presentasse sem- plicemente come una classificazione o un bilancio delle cono- scenze già acquisite, ma avesse valore « dimostrativo », ser- visse cioè di guida alla ricerca scientifica in atto.?* Sulle « fonti » di non pochi tra questi progetti appaiono essenziali le testi- monianze dello stesso Leibniz. Nella Nova methodus iuris- prudentiae troviamo precisi riferimenti al Lavinheta cui vien riconosciuto il merito di aver individuato quei termini giuri- dici fondamentali mediante i quali potrà venir costruita la tavola enciclopedica del diritto.?” In una lettera del 1714, rife- rendosi agli anni della giovinezza, Leibniz parlava dell’in- flusso esercitato su di lui dal Digestum sapientiae di Ivo Paris. Sull’opera di Alsted, già ricordato nella Dissertatio del ’66 per i suoi scritti lulliani, Leibniz ritornò più volte: nel 1681 par- lava di lui con ammirazione, dieci anni prima aveva dedicato un breve scritto a migliorare e perfezionare la sua grande enci- clopedia.°* Ancor più profondo è il debito verso Comenio: «la mia propria enciclopedia, non differisce molto da quella di Comenio » ed a Comenio Leibniz aveva attinto la tesi (di importanza centrale) di una sostanziale, profonda identità fra la lingua universale e l’enciclopedia.?° 25 G. VII, 40. 26 Sul carattere dimostrativo dell’enciclopedia leibniziana cfr. le utili precisazioni contenute nel saggio di R. Mc Rae, Unity of the sciences: Bacon, Descartes, Leibniz, in « Journal of the History of Ideas », 1957, I, pp. 27-48. 2? L. Dutens, G. G. Leibmtii Opera Omnia, voll. 6, Genevae, 1768, III, pp. 156 segg. 28 Op. 561 ec cfr. Carreras y ARtAU, La filosofia cristiana, cit., II, p. 321. 2° G. IV, 62; G. VII, 67; Cogitata quaedam de ratione perficiendi et emendandi Encyclopaediam Alstedii in Dutens, Leibnitit Opera, cit., V, 183; cfr. Op. 354 - 55. 3° Cfr. Carreras y ARTAU, II, p. 320; Couturat, 571 -73; /udicium de scriptis comenianis in Dutens, Leibnitii Opera, cit., V, pp. 181-82. 248 CLAVIS UNIVERSALIS Facendo riferimento al commento leibniziano alla lettera di Cartesio sulla lingua universale, abbiamo visto come Leibniz si rendesse ben conto del perfetto « parallelismo » esistente tra il progetto della lingua universale e quello concernente l’enci- clopedia. In quel passo, di incerta datazione, egli si era rifiu tato di far «dipendere» la caratteristica dall’ enciclopedia: « Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa non dipende dalla sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere costruita nonostante che la filosofia non sia per- fetta ».*! Ma, su questo punto, la posizione di Leibniz pre- senta non poche incertezze : in una lettera al Burnet del 24 ago- sto 1697 egli affermava, muovendosi in una direzione comple- tamente opposta, che «i caratteri presupporrebbero la vera filosofia ed è solo al presente che io oserei dare avvio alla mia costruzione ».°* Questo duplice punto di vista, ha scritto Fran- cesco Barone, corrisponde «al duplice punto di vista da cui il Leibniz guarda alla caratteristica, considerandola rispetti- vamente, come strumento metafisico assoluto o come stru- mento per la costruzione di particolari sistemi deduttivi ».*° L'osservazione è molto esatta. La caratteristica come stru- mento, come calcolo modellato sul formalismo dell’algebra, non richiedeva la preliminare fondazione della vera filosofia: caratteristica ed enciclopedia si risolvevano l’una nell’altra e procedevano di pari passo. Continuando però a concepire la caratteristica come «chiave universale » come lo strumento atto a disvelare le essenze e a decifrare quell’alfabeto del mondo che corrisponde all’alfabeto dci pensieri, Leibniz si ritrova- va di fronte allo stesso problema che avevano dovuto affron- tare i teorici inglesi della lingua perfetta: costruire una wr: versal philosophy che servisse di base e di fondamento alla lin- gua filosofica. Per rendersi conto di ciò basterà considerare quelle ampie tavole enciclopediche che furono composte da Leibniz tra il 1703 e il 1704.°4 Al termine della sua attività, dopo aver steso e abbozzato piani e frammenti numerosissimi di enciclopedie, 9 Op. 27-28. 32 G. III, 216. 3 F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., p. 24. " Op. 437 - 510. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 249 Leibniz tornava a muoversi, ancora una volta, sul piano stesso sul quale si erano mossi Wilkins e Dalgarno. In queste pagine l'enciclopedia si configurava come una classificazione logica (fondata sulla distinzione scolastica delle sostanze e degli acci- denti) dei principali concetti di tutte le scienze (dalla matema- tica, alla morale, alla politica), di tutti gli oggetti naturali (dai minerali, alle piante, agli esseri viventi) e di tutti gli oggetti artificiali (gli utensili e gli strumenti costruiti dalla mano del- l’uomo). La classificazione leibniziana riproduceva, con tra- scurabili differenze, quella che abbiamo visto presente nel- l’Ars signorum di George Dalgarno: Res: Concreto matematico Accidentia: Accidenti comuni Concreto fisico Accidente matematico Concreto artificiale Accidente fisico generale Concreto spirituale Qualità sensibili Accidenti sensitivi Accidente razionale Accidente economico Accidente politico. Anche all’interno delle varie classi e sottoclassi veniva ri- prodotta la stessa classificazione. La classe degli « accidenti politici » comprendeva per esempio, anche per Leibniz: la re- lazione d’ufficio, la relazione giudiziaria, la materia giudi- ziaria, il ruolo delle parti, il ruolo del giudice, i delitti, la guerra, la religione. Anche nell’elencazione dei singoli ter- mini compresi in ciascuna delle classi e sottoclassi, Leibniz si discostava in misura assai limitata dallo schema costruito dal Dalgarno. Il progetto di una enciclopedia « dimostrativa » — stori- camente così importante — sembrava qui abbandonato. Le ragioni di questo mutamento di prospettive richiederebbero un'analisi particolare. Qui ci si voleva limitare a far rilevare che le “influenze” delle posizioni dei teorici inglesi della lin- gua universale non sono presenti soltanto negli scritti del “gio- vane”Leibniz. Facendo riferimento ai testi dedicati alla costruzione delle lingue filosofiche, abbiamo notato come essi insistano tutti, concordemente, sul valore mnemonico delle lingue universali : i numerosi riferimenti a questo problema, presenti nelle opere 250 CLAVIS UNIVERSALIS di Leibniz, risultano anch'essi, dal nostro punto di vista, oltre- modo significativi. Come già Bacone e Cartesio, anche Leibniz era al corrente o era interessato al problema, così a lungo di- battuto in Europa, della memoria artificiale. Di questo suo interessamento per l’ars reminiscendi resta traccia in un gruppo di carte leibniziane ancora inedite: Phil. VI.19, che è una raccolta di appunti avente per titolo Mremonica sive praecepta varia de memoria excolenda, e Phil. VII. B. III. 7 che contiene una seconda raccolta di appunti e di riassunti di opere di ars memorativa. Alla carta 5r. del primo di questi due manoscritti troviamo teorizzata una serie di accorgimenti che possono essere usati per ricordare facilmente, facendo ricorso alle lettere alfabeti- che, una serie qualunque di numeri: Sr. Arcanum: qua ratione omnes et singulos nmumeros, prae- sertim cos quorum usus est in chronologia, atque aliorum infinitorum, memoriae mandare, corum citra omnem in- genii cruciatum recordari, ac nunquam oblivisci possis, ne dicam, ulteriora et infinita queas deducere. Si quis multos numeros citra cruciatum memoriae atque ingenii memorare cupit, omnino opus est ut subsidio ali- quo utatur. Sunt qui varie rem tentarunt, absque tamen singulari effectu ac successu, donec non adeo pridem hunc modum quispiam excogitando invenerit, multis rationibus ipsaque experientia reddiderit probatum. Alphabeti elementa sunt XXIV: haec dividuntur in vo- cales et consonantes. Vocales hac in re vicariam nobis tantum praebent utilitatem, consonantes vero primariam. / 5 v. Consonantes autem sunt hae: BCDFGKLMNPQ RST, his adiungantur WZV. Numeros habemus hos: 1234567890. Si plures dantur numeri, ex hisce com- ponuntur, ut ex | et 2 fiunt 12 quemadmodum res est plana. Iam vero nihil memoriam adeo torquet quam res referta numeris, quos tamen scire memoriaque comprehendere ma- ximi interest itaque hocce subsidii, ut utaris, valde pro- dest et conducit memoriam. Reduc consonantes istas ita, et puta quod sint numeri, sic facile te extricabis: 1234567890 BCFGLMNRSD PK WQ Z LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 251 Il ricorso ai versi, così diffuso nei testi di mnemotecnica dal Quattrocento fino a Bacone, è presente in un altro di questi fogli di appunti nel quale Leibniz traduce in latino i versi 33-42 della Geografia di Marciano d’Eraclea: °° 7r. Haec ergo visum est explicare carmine facili atque claro, quali utuntur comici. Nam sic iuvatur memoria nec sensus perit et simile quiddam vita nobis exhibet. Qui vult solutam ferre lignorum struem prohibebit aegre ne quid illi decidat sed colligatam facile fasciculo geret Oratio soluta pariter diffluit comprehensa versu mens fidelius tenet. Accanto ad una critica al Lexicon dell’Hoffmann (Anversa, 1698), questo stesso concetto ritorna in un’altra brevissima nota sulla grammatica di Emmanuel Alvarez (Dilingae, 1574 c Venezia, 1580) e sulla Grammatica philosophica dello Sciop- pio (Amsterdam, 1659): 8r. Eos quos in grammatica sua habet Emmanuel Alvarez Societatis Iesu, ipse Scioppius in Grammatica philosophica laudat et disci suadet. Ait cum centum et sexaginta versi- bus hexametris feliciter complexum omnes regulas de ver- borum praeteritis et supinis et omnem prosodiae latinae rationem centum sexaginta aliis versibus. 9r. Hofmanni lexicon universale maxime nominum proprio- rum utilis liber. Unum desidero: cum non posset autor ob rerum multitudinem cuncta plenis edisserere, praeclare fecisset si ubique indicasset autorem aliquem unde cele- rior in studio peti possit. Nelle pagine che hanno per titolo Artificium didacticum ed Exercitia ingenti troviamo, esplicitamente teorizzati, altri caratteristici precetti dell’arte mnemonica: 10r. Artificium didacticum. Semper cognita incognitis miscen- da et temperanda sunt ut labor et molestia minuantur. Ita optime discimus linguas per parallelismum cum linguis nobis notis, ita scriptum non satis cognitae lecturae, di- scendae linguae causa, sumamus librum familiarem nobis cuius sensa pene memoriter tenemus ut Novum Testamentum. Hinc etiam si cui musicam docere possem aut vellem, monstrarem cantiunculas sibi notas posset in charta exprimere si vereretur oblivisci. 35 Cfr. Geographi graeci minores, I, pp. 155 segg. 252 CLAVIS UNIVERSALIS llr. Exercitia ingenti. Ut Rhetores exercitia habent orationis, Grammatici exercitia styli, ita ego in pueris exercitia ingenii institui desidero. Exercitia ingenii nec gratiora nec efficaciora reperiri posse nititur quam ludos [...] verba quo ordine turbato iterum recitare ope mnemonices cui- quam facilis, inverso etiam si placet aut per saltus, histo- rias ab aliis recitatas iterum recitare, extempore describere proelia, itinera, urbes quorum ipsis via ante audita, histo- rias ab aliis recitatas resumere et denuo recitare, fingere preces et iubere ut quis ex duorum disputationibus et concertationibus patrias causas cuiquam implicatas discat facere aut solvere. [...]. Alle carte 16r-16v. è infine presente un ampio e analitico riassunto del Simonides redivivus sive ars memoriae et obli- vionis di Adam Bruxius (Lipsia, 1610). Ma accanto all’espo- sizione di tesi tradizionali ricompaiono in questi appunti i nomi dei teorici del metodo geometrico. Ad essi Leibniz rim- provera di non aver messo sufficientemente in luce quelle pro- posizioni primarie che stanno a fondamento di tutto il di- SCOrso : 13r. Video cos qui geometrica methodo tractare [....] scientias, ut P. Fabrius, Joh. Alph. Borellus, Benedictus Spinosa, R. des Cartes, dum omnia in propositiones minutas divellunt, efficere ut primarias propositiones lateant inter illas mi- nutiores, nec satis animadvertantur, unde saepe quod quae- ris difficulter invenies.?6 Su questi appunti inediti di Leibniz ci siamo soffermati così a lungo non perché essi presentino un particolare interesse, ma perché essi valgono a mostrare — e la cosa non era stata finora messa in rilievo — come i numerosi riferimenti di Leib- niz alla memoria e alla mnemotecnica nascano non tanto, come si è fin qui creduto, dalla lettura delle confuse pagine del Kircher, ma dalla conoscenza effettiva c dettagliata di al- cuni testi di arte mnemonica, come quello del Bruxius, ben noti e celebrati nella cultura del Seicento. Questa conclusione riceve d'altra parte nuova conferma da un csame delle pagine 26 Gli autori cui Leibniz fa riferimento sono, accanto a Cartesio € Spinoza, il padre gesuita Honoré Fabri, feroce anticopernicano ed au- tore dei Dialoghi Physici, Lyon, 1665 e G. Alfonso Borelli il cui Eudi- des restitutus sive prisca geometriae elementa fu pubblicato a Roma nel 1658. LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 253 contenute nel manoscritto Phil. VII. B. n. 7. In una nota della quale conosciamo la precisa data di composizione (aprile 1678) troviamo, accanto ad alcune regole per la costruzione di una grammatica razionale, la descrizione dei mezzi mnemoni- ci dei quali far uso per ricordare una serie qualunque di idee. L'antica dottrina dei luoghi e delle immagini; la tesi della necessaria riduzione dei concetti e delle idee sul piano delle figure sensibili; le figure dei patriarchi, degli apostoli, degli imperatori; i precetti relativi all'ordine e alla collocatio in locis; le immagini degli animali; gli accorgimenti relativi ai ter- mini delle lingue «barbare » ricompaiono in questa pagina leibniziana. Certo è che Leibniz, oltre al Simonides redivivus del Bruxius, lesse e commentò con una minuziosa (come ri- sulta dalle carte 1r.-4v. di questo manoscritto) gli scritti dello Schenkelius soffermandosi particolarmente su quella parte del- l’opera che è dedicata all’apprendimento del latino, all’educa- zione dei fanciulli alla retorica, alle numerosissime regole del- l’ars reminiscendi.! Questi interessi di Leibniz, queste sue letture non furono senza influenza sulla soluzione di problemi di carattere più ge- 37 Lo Schenkel, cui toccò in sorte di essere brevemente discusso da Cartesio e studiato da Leibniz, è figura particolarmente interessante: fortunato insegnante c diffusore dell'arte mnemonica in Francia, Italia e Germania (« artem hanc — scrive il Morhofius I, p. 374 — magno cum successu suo mec sine insigni suo lucro exercuit») fu accusato di stregoneria durante un suo soggiorno all’Università di Lovanio, riuscendo poi ad ottenere protezione ed appoggio dalla facoltà teo- logica di Douai. La prima edizione della sua opera, poi spessissimo ristampata, è del 1595: De memoria liber secundus in quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele, 1595. Insieme ai tre opuscoli sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Spangerberg l’o- pera fu ristampata con il titolo Gazophylacium artis memoriae, Argen- torati, Antonius Bertramus, 1610 (copia usata: Angelica. SS. 1.24). Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico in calvinistam, Anteverpiae 1589, e una raccolta di Flores et sententiac insigniores ex libris de Constantia Justi Lipsit, s. 1., 1615 (Par. Naz. Yc. 12326 e Z. 17739), è stato ristampato, in edizione moderna, il Com- pendium der Mnemonik, con testo latino e trad. tedesca a cura di J. L. Klùber, Erlangen, 1804. All’insegnamento di quest’autore si ri- chiama la curiosa enciclopedia di ApRIAN LE Cuiror, Le magazin des sciences, ou vrai art de mémotre découvert par Schenkelius, traduit et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, J. Quesnel, 1623 che amplia molto il testo originario (Par. Naz. Z. 11298). 254 CLAVIS UNIVERSALIS nerale: è indubbio che per Leibniz l’arte della memoria conserva un suo posto ed una sua precisa funzione nel mondo del sapere e viene più volte accostata alla logica: nella Nova methodus di- scendae docendaeque iurisprudentiae (1667) la mnemonica, la to- pica e l’analitica costituiscono le tre parti della didattica; nel Consilium de Encyclopaedia nova conscribenda methodo inven- toria (1679), la mnemonica viene collocata fra la logica e la to- pica; negli /ritia et specimina scientae novae generalis la sagesse o « perfetta conoscenza dei princìpi di tutte le scienze e arte di applicarli » viene suddivisa in art de bien raisonner, art d'inven- ter e art de souvenir; in una lettera a Koch del 1708 Leibniz giunge ad accogliere la tesi avanzata da Ramo e ripresa poi fra gli altri da Bacone secondo la quale l’ars memoriae costi- tuisce una parte o sezione della logica. Sulla funzione mnemo- nica della lingua universale, dell’enciclopedia, delle tavole, della stessa caratteristica Leibniz insiste più volte: i caratteri c le figure venivano concepiti anche da Leibniz, in pieno accordo con la tradizione, come mezzi per rafforzare l’imma- ginazione; le tavole gli apparivano, come già a Bacone, ad Alsted, a Comenio, a Wilkins indispensabili aiuti alla natu- rale fragilità della memoria: « Combinatoria: his qui imagi- natione firma non valent ad res attente considerandas succur- ritur figuris et characteribus, ita his qui memoria non valent nec multa simul exhibere possunt, succurritur ope tabula- rum ».5 Nell’elaborazione dei suoi numerosi, grandiosi progetti con- cernenti la caratteristica, la lingua universale, l'enciclopedia, Leibniz si era dunque richiamato di continuo a quelle discus- sioni sulla combinatoria e sull’enciclopedia, sull’alfabeto dei pensieri e sulla lingua universale, sui caratteri reali e sulla memoria che avevano avuto in tutta Europa, nei secoli XVI c XVII, un'eco vastissima. Non si trattava di una lieve eredità. Nel 1679, a tredici anni di distanza dalla pubblicazione della Dissertatio de arte combinatoria, dopo il soggiorno a Parigi e a Londra, dopo le grandi « scoperte » matematiche, Leibniz parlava ancora della 18 Per questi riferimenti alla memoria artificiale cfr. Durens, Leibnitii Opera, cit., III, pp. 150 segg.; Op. 37; G. VII, 82, 84, 476- 77. Sull'uso mnemonico delle classificazioni cfr. anche la lettera a Wagner in G. VII, 516-117 e, sui caratteri, « palpabili » e « sensibili»: Gaua, 548 - 49. pi LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 255 sua invenzione con accenti caratteristici, con un tono che appare singolarmente vicino a quello « miracolistico » e «magico » di tanti fra i lullisti e i maestri di memoria del secolo XVI: «La mia invenzione contiene, tutto intero, l’uso della ragione; un giudice delle controversie; un interprete delle nozioni; una bilancia per le probabilità; una bussola che ci guiderà nell’oceano dell’esperienza; un inventario delle cose; una tavola dei pensieri; un microscopio per scrutare le cose presenti; un telescopio per indovinare quelle lontane; un cal- colo generale; una magia innocente; una cabala non chime- rica; una scrittura che ciascuno potrà leggere nella sua propria lingua; infine una lingua che potrà venire appresa in poche settimane e che avrà presto corso nel mondo portando, ovun- que potrà giungere, la religione vera... ».°° Non erano parole dettate dal desiderio di adattarsi a una moda culturale o a un linguaggio corrente: come già i seguaci di Lullo e i teorici della pansofia anche Leibniz restò sempre convinto che fosse possibile rintracciare un metodo che costituisca la chiave della realtà universale; che fosse possibile dar luogo ad una scienza generalissima capace di scoprire la piena corrispondenza tra le forme originarie costitutive della realtà e la catena delle ragioni o dei pensieri umani. La scienza generale « non ab- braccia soltanto la logica... ma è ars inventendi e methodus disponendi, è sintesi e analisi, didattica e scienza dell’ inse- gnare, è noologia e arte del ricordare o mnemonica, è ars cha- racteristica 0 simbolica, è grammatica filosofica, arte lulliana, cabala dei sapienti e magia naturale »."° Dalla tradizione dell’enciclopedismo lullista, da quella della pansofia, dalle teorie sulla lingua universale Leibniz non ac- coglieva soltanto una serie di temi di importanza secondaria e marginale. Quella tradizione operava potentemente su uno dei punti centrali e fondamentali della sua filosofia: sul con- cetto stesso di una scienza generale che è anche una, sia pure «innocente », magia naturale, che è in grado cioè di rivelare le ragioni presenti ed operanti nel cosmo, di chiarire la strut- °° G. W. Leigniz, Samtliche Schriften und Briefe herausgegeben von der Preussischen Akademie der Wissenchaften, I. R., II B., Darmstad, 1927, pp. 167 -69. 10 Introductio ad Encyclopaediam arcanam, in Op. 5I1. 256 CLAVIS UNIVERSALIS tura ontologica della realtà. Su questo punto, che è di impor- tanza decisiva, i testi sono oltremodo precisi. L'arte — scrive Leibniz nella Dissertatio — «conduce con sè l’animo obbe- diente attraverso quasi tutto l’infinito e abbraccia insieme l’ar- monia del mondo e le intime costruzioni delle cose e la serie delle forme ».'! La lingua universale, d’altro lato, « scopre le interiori forme delle cose » 4° e l’astrazione ha il suo fonda- mento nella trama ideale della realtà: « se il nostro animo non troverà il genere delle cose... lo saprà Dio, lo troveranno gli angeli e preesisterà un fondamento a tutte queste astrazio- ni ».°* Nella Confessio naturae del 1668 Leibniz insiste sul concetto di un’armonia universale che proviene dallo spirito divino,‘* mentre, in una lettera del 1704, troviamo esplicita- mente teorizzata una concezione platonico-pitagorica della realtà nel cui ambito la matematica diviene veramente —- come è stato scritto — lo strumento per penetrare i lineamenti più intimi e segreti del mondo: «Qual'è la ragione dell’ar- monia delle cose? Nulla: ad esempio, non si può dar nes- suna ragione del fatto che il rapporto di 2 a 4 sia eguale a uello di 4 a 8, neppure movendo dalla volontà divina. Ciò dipende dalla stessa essenza o idea delle cose. Le essenze delle cose sono infatti numeri, e costituiscono la stessa possibilità degli enti, che non è fatta da Dio, che ne fa invece l’esistenza: poiché, piuttosto, quelle stesse possibilità o idee delle cose coin- cidono con lo stesso Dio. Essendo Dio mente perfettissima, è impossibile che non sia egli stesso affetto dall’armonia per- fettissima... ».!° Temi di questo tipo ritornano, con ampiezza molto mag- giore, in quella serie di scritti che risalgono agli anni 1675 - 1676 e che I. Jagodinski ha raccolto e pubblicato nel 1913 ‘* 4! G. IV, 56. Il passo è stato sottolincato dal Kasitz, Die p/ulosophie der jungen Leibniz, cit., p. 26. 42 G. VII, 13. 43 G. VII, 61, 70. 41 Lersniz, Sdmtiliche Schriften und Bricfe, cit., VI, I, p. 492. 15 Su questo passo hanno richiamato l’attenzione il KaÒitz, Die phi- losophie der jungen Leibniz, cit. p. 36 e F. Barone, Logica formale e trascendentale, cit., p. 8. La lettera fu pubblicata dal TRENDELENBURG in «Hist. Beitrige zur Philos. », Berlin, 1855, II, p. 190. 46 I. JacopiINSsKI, Lerbriziana. Elementa philosophiae arcanae. De sum- ma rerum, Kasan, 1913; dello stesso autore cfr. Leibniziana inedita: LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 257 a proposito dei quali si sarebbe davvero tentati di dire, con il Rivaud, che «il principio di armonia è stato il centro in- torno al quale tutte le idee di Leibniz si son venute cristalliz- zando, c questo stesso principio appare, fin dall’inizio, non una semplice legge logica ma una necessità estetica e mo- rale ».*" Negli Elementa philosophiae arcanae non troviamo solo l'affermazione che « existere nihil aliud esse quam harmo- nicum esse », ma vediamo esplicitamente affermata la dottrina di un ordine logico del cosmo secondo la quale «ciò che distingue una sostanza dall’altra è la sua situazione nel con- testo razionale dell’universo ».°* Su questo stesso terreno si muoveva Leibniz quando scriveva a Federico di poter dimo- strare l’esistenza di una «ratio ultima rerum seu harmonia universalis » o quando affermava, in una lettera del 1678 alla duchessa Elisabetta, la piena coincidenza tra i caratteri reali e gli elementi semplici costitutivi della realtà: «la caratteri- stica rappresenterebbe i nostri pensieri veramente e distinta- mente e, quando un pensiero fosse composto da altri più sem- plici, il suo carattere lo sarebbe egualmente... i pensieri sem- plici sono gli elementi della caratteristica e le forme semplici le sorgenti delle cose ».‘ confessio philosophi, Kasan, 1915 (testo lat. con traduzione russa a fronte). 47 A. Rivaup, Textes inédits de Leibniz publiés par M. Ivan Jago- dinski, in « Revue de Met. et de Morale », 1914, pp. 92-120. 48 I. JAGODINSKI, Leibniziana, cit., pp. 32, 220. 49 La lettera a Federico in G. I, 61; quella ad Elisabetta in Sdngliche Schriften und Briefe, cit., II, I, p. 438. Sulla presenza di motivi « me- tafisici » anche in quei temi di «logica » che sono alla base dell’in- terpretazione panlogistica cfr. B. JasinowskI, Die analitische Urteilslehre Leibnizens in ihrem Verhiltnis zu seiner Metaphysik, Vienna, 1918. Pur muovendo dall’accettazione delle tesi del Couturat e del Russell, .G. Preti, // cristianesimo universale di G. G. Leibniz, Milano-Roma, 1953, p. 77, è giunto a conclusioni che mi pare vadano sottolineate: «In realtà Leibniz non è giunto mai ad uno sviluppo completo della sua logica ed è rimasto impigliato in gravissime difficoltà perché non ha saputo mai abbandonare completamente il suo originario platoni- smo: il criterio dell’evidenza (intuizione immediata delle idee), il rea- lismo logico (per cui esistono idee in sé primitive e in sé composte), la concezione secondo la quale il gioco formale dei simboli doveva riprodurre i rapporti ideali eterni sussistenti fra le idce le quali erano nella mente di Dio, hanno impedito a Leibniz di svolgere fino in fondo le sue intuizioni logiche, che pur erano tanto geniali e nel 258 CLAVIS UNIVERSALIS seguito si mostreranno tanto feconde. In realtà Leibniz crea una logica sempre con la PR di creare un’ontologia e una metafisica; ma per creare la logica moderna occorreva svincolarsi del tutto da ogni preoccupazione ontologico-metafisica, e seguire una gnoseologia (quella che, nascendo da Hume, arriverà al neopositivismo delle scuole di Vienna c di Chicago) che Leibniz non avrebbe seguita ». A con- clusioni non dissimili, da queste del Preti, è giunto più di recente F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., pp. 8 segg. che ha parlato di una « fondamentale differenza » fra la logica formale moderna c la logica leibniziana « sempre inglobata e sorretta, anche nelle ricerche più modernamente tecniche, dall'ideale metafisico della pansofia » c che ha sottolineato la presenza, nel pensiero di Leibniz, di una «concezione platonico-pitagorica delle forme che è a fondamento della formalità degli schemi logici ». A conclusioni fortemente diver- genti da queste ora csposte è giunto A. Corsano, Lerbniz, Napoli, 1952 che ha acutamente analizzato le influenze esercitate sul pensicro di Leibniz dalle opere del Suarez e ha sostenuto la tesi di « un’intima e quasi intera adesione al nominalismo », dalla quale avrebbe preso le mosse il pensiero di Leibniz. Con questa tesi, per le ragioni sia pur brevemente accennate nel testo, non mi pare di poter concordare anche perché non credo, come ritiene il Corsano, che agli «arcaici e decre- pitt motivi di misticismo platonico-pitagorico » Leibniz fosse « co- stretto a inchinarsi in omaggio alle opinioni dei suoi maestri (Weigel) e per parlare con un linguaggio accessibile all’arretratissima cultura filosofico-scientifica della Germania barocca» (A. Corsano, rec. a F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., in « Rivista critica di storia della filosofia », 1957, 4, p. 495). Mostrare la presenza e il non indifferente peso esercitato da quelle arcaiche « sopravvi- venze» — che non mi paiono in alcun modo riducibili ad una specie di espediente accademico o retorico — è in ogni caso il fine che in queste pagine mi sono proposto. APPENDICI APPENDICE 1. IL LIBER AD MEMORIAM CONFIRMANDAM DI RAIMONDO LULLO Il Liber ad memoriam confirmandam, rimasto fino ad ora inedito, fu composto da Lullo a Pisa fra il 1307 e il 1308. A Pisa, Lullo era giunto da Genova, negli ultimi mesi del 1307, dopo un viaggio assai avventuroso ed un naufragio del quale egli stesso ci dà notizia: « Saraceni ipsum [Lullum]) miserunt in quandam navem tendentem Genovam, quae navis cum ma- gna fortuna venit ante Portum Pisanum; et prope ipsum per decem millaria fuit fracta, et Christianus [Lullus] vix quasi nudus evasit, et amisit omnes libros suos et sua bona» (cfr. Disputatio Raymundi Christiani et Hamar Saraceni, vol. IV dell’ediz. di Magonza, 1729, p. 45) A Pisa, Lullo portava a compimento, fra l’altro, la stesura dell’Ars magna generalis ultima iniziata a Lione nel 1305 e progettava una crociata appoggiandosi al governo della Repubblica per ottenere racco- mandazioni per il Pontefice e per i cardinali. Nei primi mesi del 1308 (marzo-aprile) troviamo Lullo di nuovo a Genova e poi a Montpellier. La data di composizione dell’opera indicata da S. Garmes: gennaio 1308 (cfr. Dinamisme de R. Lull, Mal- lorca, 1935, p. 47) appare quindi oltremodo probabile. A que- sto studioso si deve una breve ma accuratissima biografia del Lullo: Vita compendiosa del Bt. Ramon Lull, Palma de Mal- lorca, 1915. Il testo dell’operetta lulliana del quale si dà qui di seguito la trascrizione è conservato in tre mss. del sec. XVI: il cod. I 153 inf., ff. 35r.-39v. dell’Ambrosiana (qui indicato con la sigla B); il cod. 10593, ff. 1 v.-3v. della Staatsbibl. di Monaco (indicato con M); il cod. lat. 17839, ff. 437 r. - 444 v. della Na- zionale di Parigi (indicato con P). Il ms. B appartiene senza dubbio ad un ramo della tradizione diverso da quello cui appartengono gli altri due mss. i quali presentano, rispetto a B, caratteristiche in parte comuni (diverso incipit, assenza della suddivisione in capitoli, lacune comuni rispetto a B, di- versa terminologia ecc.). In P sono presenti lacune che non sono in M. Oltre che una derivazione di M. da P, è tuttavia 262 CLAVIS UNIVERSALIS da escludere anche una derivazione di P da M: le divergenze fra i due mss. dipendono nella maggior parte dei casi da diffe- renti interpretazioni dovute alle abbreviature presenti nel testo originario o in un subarchetipo comune. Si vedano a titolo di esempio le varianti corrispondenti alle note 15, 70, 130, 146. B. 39r. M. lr. P. 437 r. P. 437 v. B. 35\ M. lv P. 438r. In nomine Sanctissimae Trinitatis incipit liber ad memo- riam confirmandam (1). Ratio quare presentem volumus colligere tractatum est ut memoria hominum (2) quae labi- lis est et caduca modo rectificetur meliori (3). Ipsum quidem dividimus in duas partes principales (4), subsequenter in plures. Prima igitur pars est Alphabetum ideo ut sequitur ipsum diffinimus (5). Cap. I. (6). Alphabetum ponimus in hoc tractatu ut per ipsum possi- mus memoriam diffinire (7) ct in certis et (8) terminatis princi- piis ipsam (9) in duabus ponere potentiis. Primo (10) igitur b. significat memoriam naturalem, c. significat capacitatem, d. significat (11) discretivam. Quid tamen (12) sit naturalis me- moria, quid capacitas, quid discretiva, vade ad quintum su- biectum (13) per b.c. d. designatum (14) in libro septem (15) planetarum quia ibi tractavimus miraculose et notitiam om- nium (16) habebis / entium naturalium, quapropter ipsorum (17) prolixitatem et sermonem (18) declarationis hic ad prae- sens exprimere praetermitto, cum intellectus (19) per unam literam plura significata habentem sit generalior (20) et possit in memoria plura significata recipere (21) quam per aliam largo modo sumptam. / Cap. II. Sequitur nunc secunda pars quae memoriam dividit (22) in partes speciales (23) pariter et generales de generali tractans ad specialia (24) postea descendendo. Primo igitur ut laborans in studio (25) faciliter (26) sciat modum scientiam (27) et ne, post amissos quamplurimos labores, scientiae huius (28) ope- ram inutiliter tradidisse (29) noscatur, scd potius labor in . requiem et sudor / in gloriam plenarie (30) convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus invenire per quem non tanta gravitate corporis iugiter deprimantur, sed absque ni- mia vexatione et cum (31) corporis levitate et mentis laetitia ad scientiarum culmina / gradientes (32) cquidem (33) pro- pere subeant (34). Multi enim sunt qui more brutorum litera- rum studia cum multo et summo labore corporis prosequun- tur absque (35) exercitio ingenii artificioso (36) et continuis vi- gilits maceratum corpus suum iuxta labores proprios inuti- liter exhibentes (37). Igitur (38) decet (39) modum per quem APPENDICE I 263 virtuosus studens thesaurum scientiac leviter valeat invenire et a gravamine tantorum laborum (40) relevari possit (41). Oportet nos igitur conservare (42) ante omnia quaedam prin- cipia et praccepta (43) necessaria et postrmodum ad specialia condescendere (44). Primum ergo oportet praeceptum legis observare, idest diligere Deum ciusque Genitricem beatissi- mam virginem (45) Mariam. Nam Spiritus Sanctus dat scien- tiam cum magnitudine ut sit magna, Beata Virgo Maria dat scientiam (46) cum bonitate ut sit bona. Spiritus Sanctus dat B. 36r. scientiam ut charitas duret, Domina nostra beatissima / dat P. 438v. P. 439r. M. 2r. B. 36v. P. 439v. scientiam (47) ut / pietas duret. Spiritus Sanctus dat scientiam cum potestate (48) ut sit fortis, Domina nostra virgo beatis- sima dat scientiam ut recolatur. Spiritus Sanctus dat scientiam contra infidelitatem, Domina nostra virgo (49) Maria dat scientiam contra peccatum. Spiritus Sanctus dat scientiarp cum ratione (50), Domina nostra (51) pia dat scientiam cum patientia (52) Spiritus Sanctus dat scientiam cum (53) spe, Domina nostra sanctissima pia Virgo Maria (54) dat scien- tiam cum (55) pietate. Spiritus Sanctus dat scientiam cui sibi placet, Domina nostra dat scientiam omnibus illis qui ipsam rogant. Spiritus Sanctus dat scientiam ad rogandum, Domina nostra dat scientiam petendi (56). Spiritus Sanctus dat scien- tiam divitibus, Domina pia dat scientiam pauperibus. Spiritus Sanctus dat scientiam cum gratia (57), Domina nostra sacra- tissima virgo Maria dat scientiam cum petitione (58). Spiritus Sanctus (59) idiomata dat pariter / et (60) consolationes ab ipso quidem divino (61) Domino nostro Jesu Christo omnia prospere (62) procedunt et conceduntur (63) et sine ipso fac- tum est nihil / et placa (64) ipsum per devotissimas orationes maxime per orationem Sancti spiritus (65). Secundo est opti- mum (66) observare modum vivendì in potando et come- dendo praccipue ex parte noctis vel etiam in dormiendo quo- niam (67) ex superfluitate horum (68) corpus gravitate ponde- rositatis ultra modum aggravatur et anima, corpori adherens, illius dispositionem sequitur. Nihil enim tam praecipuum scientiam inquirenti (69) ut moderationem ponat ori suo (70) et palpebris suis non concedat multam dormitionem et inor- dinatam. / Tertium praeceptum invenio (71) quod nunquam (72) deficiat quin (73) maiorem partem sui temporis (74) scientiae operam (75) tribuat cum affectu (76) quoniam (77) ex hoc sequitur capacitas, ex hoc memoria, ex hoc discretio naturalis. / Cap. III Sequitur nunc secunda pars ad specialia descendens. In artificioso studendi modo (78) distinguo tres potentias natu- rales: una est capacitas, alia est memoria, alia est discretio. Prima stat in prima parte capitis quae dicitur phantasia (79), P. 440r. B. 37r. M. 2v. P. 440v. B. 37v. P. 441 r. CLAVIS UNIVERSALIS secunda stat (80) in posteriori, tertia stat (81) in summitate (82) capitis quae aliis velut regina dominatur. Et bonum est habere bonam capacitatem, sed melius est habere bonam memoriam (83), sed multo melius (84) habere bonam discre- tionem (85). Modo restat videre de singulis, et primo viden- dum (86) est de capacitate (87), secundo de memoria, tertio de discretione. Si igitur aliquis (88) capacitatem lectionis cuiuscunque facultatis audiendae ambit (89), regulas quas in- fra dicam debet diligenter (90) observare, quas si observaverit quod sibi eveniet (91) experientia demonstrabit in brevi tem- pore (92). Primo (93) enim, antequam ad scholam accedat, lectionem statim tam de grammatica quam de logica / tam (94) de iure civili quam de iure (95) canonico et ita de omni- bus aliis scientiis audiendam (96), si potest de iure canonico aut civili (97) textum et glossas alias solum textum, et videbit si credit / intelligere; adhuc (98) non confidens de proprio intellectu (99) dabit tibi materiam speculandi (100), dum legat, utrum bene (101) vel male intellexcrit, ct postmodum, quando legetur, erit attentus lectioni ut intelligat per alium id quod per se (102) ignorabat. Item (103) postquam semel in domo viderit, facilius postca intelliget, et tali modo ego (104) scientiam mcam multiplicavi, et ita faciet artista meae artis quoniam sic (105) acquiret / scientiam quam voluerit. Item secundo dico quod (106) dum erit in scholiis habeat intellectum (107) ad id quod doctor vel magister tam in sacra pagina quam in artibus dicet, quod si non, faciliter (108) mens eius spargitur et potius videtur esse in loco ubi habet mentem quam in scholiis ubi est tam- que / frustra (109). Ex hoc tamen (110) multi perdunt offi- cium capiendi (111). Item quia dum fuerit casus vel scientia, legere mentaliter in se revolvat et (112) dum questionem se- cundam vel argumentum (113) cuiuscunque facultatis dicit doctor vel magister vel artista meae artis, primam eodem modo revolvat, et interim quando dicetur tertia (114) reducat ad memoriam secundam (115) et sic de caeteris, et sic habebit intentionem capiendi totam lectionem. Posito quod non, nec (116) partem accipiat quarum (117) paulisper argumentabitur, non autem (118) uno momento poterit habere. Item quando (119) per sc vel per alium quis vult habere bonam capacita- tem, debet ponere ordinem in legendis (120). Nam si vult intelligere unam legem vel decretalem vel gramaticae vel logicae lectionem, dividat ipsam in duas / tres quatuor partes secundum quod lectio fuerit parva vel magna quoniam ad capacitatem multum et (121) forsan magis quam aliud (122) operaretur (123). Et de primo (124) haec sufficiant. / Cap. IV. Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae quidem (125) secundum antiquos (126) alia est naturalis alia P. 441 v. B. 38r. P. 442r. P. 442v. APPENDICE I 265 est artificialis (127). Naturalis est quam quis recipit in crea- tione vel generatione sua secundum materiam ex qua (128) homo generatur et (129) secundum quod influentia alicuius planetac superioris regnat (130) et secundum hoc videmus quosdam homines meliorem memoriam habentes quam alios sed (131) de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud conce- dere. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quae- dam est in medicinis et emplastris (132) cum (133) quibus habetur et istam reputo valde periculosam quoniam interdum dantur (134) tales medicinae dispositioni hominis contrariae (135) interdum superfluae et in maxima cruditate (136) qua cercbrum (137) ultra modum desiccatur et propter defectum cerebri homo ad dementiam demergitur ut audivimus et vidimus de multis (138) et ista displiciet Dco / quoniam hic non se tenet pro contento (139) de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu quod ad stultitiam (140) non per- veniat (141), nunquam / vel raro habebit (142) fructum (143) scientiae (144). Alia est memoria artificialis per alium modum acquirendi nam dum aliquis per capacitatem recipit multum in memoria ct in ore revolvat per se ipsum (145) quoniam secundum Alanum (146) in parabolis (*) studens est admo- dum bovis. Bos enim cum maxima velocitate recipit herbas et since masticatione ad / stomachum remittit quas postmo- dum remugit et ad finem (147) cum melius est digestum in sanguinem et carnem convertit, ita est de studente qui mori- bus (148) oblitis capit scientiam sine deliberatione unde ad finem ut duret, debet in ore mentis masticare ut in me- ‘moria radicetur et habituetur; quoniam quod (149) leviter capit (150) leviter recedit et ita memoria (151), ut habetur in libro de memoria et reminiscentia (152) /, per saepissimam reiterationem (**) firmiter confirmatur (153). Lectionem igi- tur diei lunae revolvat die martis et studeat et die martis et (154) die mercurii et sic de cacteris et talia (155) faciendo scientior (156) erit uno anno audiens illo qui sex audierit (157) annis et artistae hoc consulo meae artis caeterisque ad- discere volentibus invenire attingere (158) et habere. Cap. V. Venio ad tertiam videlicet ad (159) discretivam et dico quod discretio est duplex ut de memoria dixi: alia (160) naturalis, alia (161) artificialis. Naturalis est (162) quam quis habet ex dono Dei (163) et de ista (164) non loquor. Alia est artificiosa et ista acquiritur aliquibus (165) modis. Primo enim acqui- ritur si ea quae in memoria retinemus diligenter (166) serve- mus, cum (167) enim aliquid in mente memoramus sive textum sive glosam sive auctoritatem sive rationem per alium dictam (168) et de illo vel de simili a nobis petatur, per €a quae iam sunt in nostra notitia et memoria radicata (169) 266 Z P. 443r. B. 39r. P. 443v, CLAVIS UNIVERSALIS faciliter indicabimus cuicumque respondendo, verum (170) et certum est quod melius discernit (171) sciens quam ignarus propter scientiam quam habet (172) iam cum memoria ac- quisitam (173). / Car. VI. Postquam (174) de memoria et (175) capacitate et discre- tiva (176) tam in speciali quam in generali pariter et singu- lari dictum est (177), nunc videndum est de memoriac reci- tatione, et ad multa recitanda (178) consideravi ponere quae- dam nomina relativa per quac ad omnia possit responderi . quoniam quodlibet / corum (179) crit omnino generale ad omnino speciale et habet scalam ascendendi et descendendi de non omnino generali ad omnino speciale (180) et de non (181) omnino speciali ad omnino generale. Ista cnim sunt no- mina supra dicta: quid, quare quantus (182) et quomodo. Per quodlibet istorum poteris recitare viginti rationes in 0p- positum (183) factas vel quaecunque advenerint tibi recitanda et quam admirabile (184) est quod (185) centum possis (186) / rationes retinere et ipsas, dum locus fuerit (187) bene (188) recitare. Certe hoc auro comparari non debet (189), ergo qui scientiam habere affectat ct universalem ad omnia (190) desiderat, hoc (191) circa ipsum (192) tractatum laboret cum diligentia (193) toto possc quoniam sine dubio scien- tior erit aliis quia (194) nomina sine speciebus aut (195) sine magistro non possumus recitare ideo (196) ipsas pono: primo cnim quid (197) habet tres species quas hic propter carum (198) prolixitatem ponere (199) non curo, sed vade ad quintum subiectum (200) per b.c.d. significatum (201) in libro septem (202) planetarum quoniam (203) ibi videbis miraculose (204) ipsas aliqualiter (205) declarare (206) hic intendo, et sic dictum de primis tribus / ita intelligi potest de aliis (207) sequentibus (208). Primum igitur per primam speciem nominis quid (209), poteris certas quacstiones sive rationes sive alia quaccunque voluerisrecitare(210) cvacuan- do secundam (211) figuram de his quae continet, per secun- dam vero poteris (212) in duplo (213) respondere seu recitare ct (214) hoc per cvacuationem tertiae / et multiplicationem primae, et si (215) per primam tu recitas (216) viginti vel triginta nomina seu rationes (217), per secundam poteris qua- draginta vel sexaginta (218) recitare et hoc semper per eva- cuationem et multiplicationem (***). Tamen est multumdif- ficile nisi sit homo ingeniosus et intellectu (219) subtilis et non rudalis (220). Per tertiam vero centum poteris recitare (221) evacuando primam et multiplicando secundam et de aliis po- teris sicut de ista cognitionem habere. Quare firmiter et fer- venter (222) praedictas stude (223) species in praclibato sep- tem (224) planetarum libro quem nunquam eris studere de- APPENDICE I 267 fessus (225) immo eris gaudio cet laetitia plenus; in dicto libro multa (226) sunt studenti (227) necessaria quae si nota essent et bene intellecta non possent ullo modo (228) extimari; ideo consulo cuicumque ut (229) istum habeat prac manibus et P. 444r. prae oculis suae mentis (230). / Ad laudem et honorem Domini nostri Iesu Christi et publicae utilitati compositus fuit praesens tractatus in civitate Pisana in monasterio sancti Dominici per Raymundum Lullum (231) ut prius dominus Iesus Christus in memoria habeatur et verius recolatur. Amen. (*) Cfr. il Doctrinale minus, alias Liber parabolarum magistri Alani (uno degli auctores octo) in Micne, P. L., 210, col. 585 (425 DD): Denti- bus atritas bos rursus ruminat herbas / Ut toties tritae sint alimenta sibi / Sic documenta tui si vis retinere magistri / Sacpe recorderis quod semel aure capis. (**) De memoria et reminiscentia, Il, 452 a, 28-29. (***) Sulla multiplicatio et cvacuatio figurarum cfr. Ars brevis e Ars magna, Zetzner, pp. 15, 16, 278 -79. (1) In nomine... confirmandam ] Perutilis Raymundi Lulli Tractatus de Memoria B. (2) hominum ] om. B. ] hominis P. (3) meliori ] et melioretur B. (4) principales ] et add. B. (5) diffinimus ] definimus M. (6) Cap. I (e tutte le successive intitolazioni dei Cap.) om. MP. (7) diffinire ] definire M. (8) et ] om. B. (9) ipsam ] ipsum P. (10) Primo ] prima P. (11) significat ] om. B. (12) tamen ] autem B. (13) subiectum ] librum B. (14) designatum ] om. B. ] designata M. (15) in libro septem ] in libro octavo positum B. ] in libro septimo P. (16) omnium ] omnem B. (17) ipsorum ] ipse MP. (18) sermonem ] cc- riem M. ] scientia P. (19) intellectus ] generalior sit add. MP. (20) per unam literam plura significata habentem sit generalior ] pariter in memoria pro litera significata habentem B. ] ponit in memoria plura significata P. (21) et possit in memoria plura significata recipere ] om. BP. (22) quac memoriam dividit ] quac est de memoria et dividitur B. (23) speciales ] spetiales B. (24) specialia ] spetialem B. (25) ut laborans in studio ] laboranti in studio virtuose B. ] laboranti in studio studiose P. (26) faciliter ] facile B. (27) scientiam ] scientiae P. (28) huius ] huiusmodi M. (29) tradidisse ] credidisse B. (30) plenarie ] plenariam M. (31) cum ] etiam P. (32) gradientes ] gradus BM. (33) equidem ] eiusdem B. ] cosdem M. (34) propere subeant ] properari sublimiter B. (35) absque ] nullo add. B. (36) artificioso ] artificiosi B. ] sed add. MP. (37) labores proprios inutiliter exhibentes ] labores proprios exercentes conservare MP. (38) Igitur ] Considerare igitur B. (39) decet ] docet P. (40) laborum ] aliquando ad4. B. (41) pos- sit ] om. MP. (42) Oportet nos igitur conservare ] Nos igitur conside- ramus B. (43) principia et praecepta ] praccipitata B. (44) condescen- dere ] condescendentia B. (45) beatissimam virginem ] perbeatissimam gloriosam B. (46) Maria dat scientiam ] om. MP. (47) dat scientiam ] 268 CLAVIS UNIVERSALIS per sapientiam add. B. (48) cum potestate ] cum pietate B. ] in po- testate P. (49) virgo ] om. B. (50) cum ratione ] in ratione P. (51) nostra ] Maria B. (52) cum patientia ] in patientia P. (53) cum ] in P. (54) nostra sanctissima pia Virgo Maria ] sacratissima pia virgo B. (55) cum ] in P. (56) petendìi ] poenitenti BP. (57) cum gratia ] in gratia P. (58) cum petitione ] in petitione P. (59) Sanctus ] om. MP. (60) et ] om. B. (61) divino ] Deo pio MP. (62) prospere ] prospera MP. (63) ct conceduntur ] om. MP. (64) placa ] placare B. (65) ora- tiones Sancti Spiritus ] orationem spiritus B. (66) Secundo est opti- mum ] Secundum est B. (67) quoniam ] cum BM. (68) horum ] corum B. (69) inquirenti ] acquirenti B. (70) ut moderationem ponat ori suo ] ut ponat custodiam in somno B. ] ut moderate ponat ori suo P. (71) invenio ] om. B. (72) nunquam ] nunque B. (73) quin ] ut B. (74) temporis ] spiritus B. (75) operam ] opera M. (76) cum affectu ] in af- fectu P. (77) quoniam ] cum M. (278) in artificioso studendi modo ] in artificio secundo studendi P. (79) quae dicitur phantasia ] om. B. (80) stat ] om. B. (81) stat ] om. B. (82) summitate ] sanitate P. (83) sed me- lius est habere bonam memoriam ] sed multo melius est habere bonam discretionem P. (84) melius ] plus B. (85) discretionem ] discretivam B. (86) primo videndum ] providendum M. (87) de capacitate ] de bona capacitate M. (88) aliquis ] vult habere bonam 444. B. (89) ambit ] om. B. (90) diligenter ] diligentia B. (91) evenit ] quod add. B. (92) tempore ] om. B. (93) Primo ] Secundo B. (94) tam ] quam MP. (95) iurc ] om. B. (96) audiendam } auditum M. } audiendum P. (97) civili ] simili MP. (98) adhuc ] ad hoc MP. (99) de proprio intellectu ] proprii intellectus B. ] de primo intellectu P. (100) tibi materiam speculandi ]} et ut viam studendi MP. (101) utrum bene ] num vel benc B. (102) per sc ] per ipsum B. (103) Item ] quia add. MP. (104) ego ] om. B. (105) quoniam sic ] cum B. ] quoniam P. (106) quod ] om. B. (107) intellectum ] inventionem M. (108) faciliter ] facile B. ] facilius P. (109) tamque frustra } tamquam frustra B. ] om. P. (110) tamen ] tam P. (111) perdunt officium capiendi } per dictum officium capientur B. (112) Item quia dum fuerit casus vel scientia, legere mentaliter in se revolvat et ] Item dum sciat causam vel scientiam litere mentaliter inter se revolvat ut B. ] Item quod dum fuerit casus vel sententia litterae mentaliter in se revolvat et P. (113) dum questionem secundam vel argumentum ] dum questionem vel scientiam vel argumentum B. ] dum questionem sciendam vel argu- mentum P. (114) dicetur tertia ] docetur tertia MP. (115) reducat ad memoriam secundam ] ducat ad memoriam secundam B. ] ducat ad memoriam sciendorum P. (116) nec ] nisi B. (117) quarum ] quaerere MP. (118) autem ] enim ad4. B. (119) quando ] si secundo B. ] sc- cundo P. (120) legendis ] agendis MP. (121) et ] est MP. (122) quam aliud ] quam quodvis aliud M. (123) operaretur ]} om. MP. (124) primo ] priori M. (125) quae quidem ] Memoria quidem B. (126) secundum antiquos ] in capitulo de memoria add. P. (127) artificialis ] artificiosa M. (128) secundum materiam ex qua ] ex materia qua B. (129) et ] etiam MP. (130) secundum quod influentia alicuius APPENDICE I 269 planetae superioris regnat ] secundum que influentia alicuius planetae inferioris regnat B. ] secundum quod influentia actus planetarum supe- rioris regnat M. ] secundum quod influentiam accipit planetae supe- rioris regnat P. (131) sed ] et MP. (132) emplastris ] epistolis M. ] eplis P. (133) cum ] in P. (134) dantur ] dammantur B. (135) dispo- sitioni hominis contrariae )] dispositio hominis quae contrariae MP. (136) cruditate ] quantitate B. ] caliditate P. (137) qua cerebrum ] quod certe bene B. ] quod cerebrum P. (138) de multis ] multos B. (139) tenet pro contento ] contentat B. (140) stultitiam ] insaniam B. (141) perveniat ] deveniat MP. (142) habebit ] consequetur B. (143) fructum ] fructus B. (144) scientiae ] suac add. B. (145) Alia est me- moria artificialis... revolvat per se ipsum ] om. B. (146) Alanum ] Alo- nium M. ] Aristotelem P. (147) finem ] seriem B. (148) moribus ] munibus B. ] modis M. (149) quod ] om. B. (150) capit ] ct add. B. (151) et ita memoria ] 0m. B. (152) ut habetur in libro de memoria et reminiscentia ] om. B. (153) firmiter confirmatur ] firmiter conti- netur B. ] firmiter confirmiter confirmetur P. (154) studeat et die martis et ] om. B. (155) talia ] taliter B. (156) faciendo scientior ] faciendo quis scienter B. (157) illo qui sex audierit ] illud quod sex annis audiverit B. (158) attingere ] ctiam add. M. (159) ad ] om. BM. (160) alia ] est 444. MP. (161) alia ] est add. MP. (162) est ] om. MP. (163) habet ex dono Dei ] debet dono Dei B. (164) et de ista ] de qua B. (165) aliquibus ] duobus B. (166) diligenter ] dili- gentia B. (167) cum ] quando P. (168) sive textum sive glosam sive auctoritatem sive rattonem per alium dictam ] sine textu sine glossa sine auctoritate sine ratione per aliud dictum MP. (169) radicata ] radicantur B. (170) cuicumque respondendo verum ] cuiuscunque unde B. (171) discernit ] discerit BB. (172) propter scientiam quam habet ] nam rationem quam habet B. (173) acquisitam ] acquisita M. (174) Postquam ] visum est ad4. B. (175) et ] om. MP. (176) discretiva ] dis- cretione P. (177) dictum est ] om. B. (178) recitanda } recitandum B. (179) eorum ] illorum B. (180) et habet scalam.... ad omnino speciale ] om. B. (181) non Jom. B. (182) quantus ] quotus, totus B. ] quatenus M. (183) oppositum ]oppositionem P. (184) quam admirabile ] quoniam mirabile M. ] quam mirabile P. (185) quod ] quia M. (186) possis ] possit P. (187) fuerit ] adfuit B. (188) bene ] om. MP. (189) debet ] potest MP. (190) universalem ad omnia ] utilis omnia B. ] universalis ad omnia M. (191) hoc ] homo esse B. (192) ipsum ] istum B. (193) cum diligentia ] cadem diligentia B. ] in diligentia P. (194) Quia ] quoniam M. (195) aut ] aliquid B. (196) ideo ] labore adeo B. (197) Primo enim quid ] primo quo B. (198) earum ] illarum B. (199) po- nere ] om. B. (200) subiectum ] librum B. (201) significatum ) desi- gnatum vel significatum B. (202) septem ] septimo P. (203) quoniam ] cum B. (204) miraculose ] iam add. B. (205) aliqualiter ] aliquan- tum B. (206) declarare ] volo add. M. (207) hic intendo... potest de aliis ] om. MP. (208) sequentibus ] in sequentibus MP. (209) quid ] quod B. (210) recitare ] evacuare secundum de his quae continet per scientiam positis add. B. (211) secundam ] secundam corretto in pri- 270 CLAVIS UNIVERSALIS mam da mano più tarda B. (212) secundam figuram de his quae con- tinet, per secundam vero poteris ] 0m. B. (213) duplo ] duo P. (214) seu recitare et ] on. B. (215) si ] sic P. (216) recitas ] duo vel tria nomina seu rationes add. M. duo e tria sono correzioni più tarde di secunda e tertia. (217) viginti vel triginta nomina seu rationes } om. M. (218) vel sexaginta ] om. B. (219) intellectu ] multum B. (220) rudalis ] naturalis B. ] non ruralis M. (221) recitare ] om. MP. (222) et ferventer ] om. B. (223) stude } audire B. (224) quem nunquam eris studere defessus ] quem nunquam eris audire fessus B ] quoniam eris studendo defessus M. ] quoniam nunquam eris studere defessus P. (226) multa ] nulla B. (227) studenti ] alia evidenter B. (228) ullo modo ] modo aliquo B. ] modo P. (229) cuicunque ut ] quoscunque quod B. (230) oculis suae mentis ] oculis et suae mentis ferveat B. (231) Lullum ] Lulli MP. APPENDICE II. UN ANONIMO TRATTATO IN VOLGARE DEL SECOLO XIV Il trattatello in volgare sulla memoria artificiale composto nel sec. XIV da autore ignoto e qui di seguito riprodotto, è contenuto nei Codd. Palatino 54 (ai ff. 140 - 142) e Conv. Soppr. I 1.47 (carte non numerate) della Nazionale di Firenze. Con- trariamente a quanto afferma la Yates (T%e ciceronian art of memory, cit., p. 888) questo scritto non può essere attribuito con sicurezza a Bartolomeo da San Concordio. Questa attribu- zione oltre che al Manni, risale al Tiraboschi (V, p. 242), ma come già ha osservato il Tocco (Le opere latine di G. Bruno, cit., p. 26), nel corso del testo si fa riferimento al Rosarum odor vitae (contenuto negli stessi codici sopra indicati) e pro- babilmente composto nel 1373 da Matteo Corsini, priore della Repubblica fiorentina nel 1378 (cfr. l’edizione del Rosa:o della vita a cura di Polidori, Firenze, Soc. Tipograf. Ital., 1845). Anche se l’anno di composizione del Rosaio può presentare qualche incertezza resta il fatto che l’opera fu composta da un contemporaneo del Petrarca (Ediz. Polidori, p. 96). A quanto osservato dal Tocco si può qui aggiungere che nel suo rife- rimento al Rosato l’autore del trattato sulla memoria parla di 84 capitoli mentre, sia nel Palat. 54 che nel Cod. I, 1, 47 i capitoli sono 82. L'attribuzione al San Concordio appare dovuta al fatto che in entrambi i codici gli Ammaestramenti degli antichi di Bartolomeo sono preceduti da una traduzione del capitolo sulla memoria della RAetorica ad Herennium e seguiti dal trattato sulla memoria artificiale. Nel Palat. 54 1 testi sono così disposti: ff. 29-33v.: Testus memorie artifi- ciose vulgariter scilicet super quandam partem rectorice; ff. 44-139v.: Bartolomeo da S. Concordio gli ammaestramenti degli antichi; ff. 140-142: Ars memoriae artificialis. Il vol- garizzamento del testo della retorica ad Erennio forma la secon- da parte o il sesto trattato del Fior di Rettorica di Bono Giam- boni (Magliab. Palch. II, 90, Riccardiano, 1538. Cfr. Tocco, op. cit., p. 26). ll bro di leggere cui si fa riferimento nelle prime righe del trattato può essere, come vuole il Tocco, il 272 CLAVIS UNIVERSALIS trattato della pronunzia che è il terzo del Fior di: Rettorica nella redazione di Fra Guidotto da Bologna e in quella di Bono Giamboni. Il trattato sulla memoria artificiale faceva dunque parte, con ogni probabilità, di una qualche redazione del Fior di Rettorica. La trascrizione è condotta sul Palat. 54, ma si è fatto spesso ricorso anche all’altro codice indicato. Si sono appor- tate modifiche, oltre che alla punteggiatura, a talune grafie (per es. nolla = non l’ha; lo = l’ho; vene = ve ne; a = ha ecc... 140r. Poi che aviamo fornito il libro di leggere, resta di poter te- nere a mente, et però qui di sotto si scrive l’arte della memoria artificiale in si facta forma che non offende la naturale che ha sifatto ordine il libro da sé che con questa memoria si può d’esso grande parte imparare a mente se solamente il libro si legge cin- que volte ct fra l'una volta et l’altra sia spazio di mezzo di quello che vuoi tenere a mente, et observando le regole di questa me- moria non si potrà errare solo in una lettera di tutto questo libro che tutto non si imparasse a mente. La memoria artificiale sta solamente in due cose, cioè ne luoghi e nelle imagini. Luogo non è altro a dire se non come una cosa disposta a potere con- tenere in sé alcuna altra cosa, sicome una casa, una sala, una camera o simili cose a questa come ab octo dieci anni a te dicte. Le imagini sono il proprio representamento di quelle cose che noi vogliamo tenere a mente. Due sono le maniere de luoghi, cioè naturale e artificiale. Naturale luogo è quello che è facto per mano di natura come c il monte e il piano e gli albori che per sé sono. Artificiale luogo è quello che è facto per mano d’huomo sì come è una camera o un cammino, uno versatoio, uno studio, una finestra, una casa, uno cofano et simili luoghi a questi. Non intendere però tutte le masseritie minute de la camera però che non ti riverebbe la ragione, ma vogliono essere masseritie grandi come sono cassoni, soppedani, fortieri, et se pure alcuna masseritia ci vogliamo mettere, conviene che sia molto riconosciuta et stia in luogo continuamente palese, come è una barbuta, uno cappello lavorato, uno elmo da campo v vero cimiero e cose simili a queste. Intorno a luoghi conven- 140 v. gono / più cose avere. In prima avere dentro molti luoghi, cioè quanti sono i nomi che vogliamo tenere amente però che ogni luogo ha la sua imagine a pigliare ciascuna imagine e rapresen- tamento da una cosa sola per sé, ct però se aremo a tenere a mente XX nomi si pogniano XX imagini per luogo. Et come dico di XX, così si potrebbe fare di cento, CC, CCC, CCCC, pure che luoghi assai aviamo. Non obstante che io dica qui di CC e LII, posto che di questi CCLII viene facta non poca fatica che sono nel librecto dinanzi decto del rosaio odore dellavita capitoli LXXXIIH et ad ogni capitolo si possono leggiermente accattare APPENDICE II 273 tre nomi sì che tre via LXXXIII, CCLII. Ma di più nomi dire qui di sotto più pienamente. Apresso questo, ci conviene avere e’ luoghi ordinati, cioè che per ordine l'uno vada dietro a l’altro. Et se quella persona che vuole usare quella memoria in man- cino, cominci e’ conti de luoghi a mano mancha et se queste sopra da la drecta mano, se a diricta vada sopra la mano diricta, in questo modo: che se in una sala aremo da poter pigliare cin- que luoghi, el primo sia uno camino, el secondo un uscio o un armaro da vasi, el quarto una colonna overo uno pilastro, el quinto uno versatoio. Incominciamo dal primo come è il ca- mino, poi il secondo come è un uscio et così per ordine l'uno dopo l’altro et non si dee mai passare niuno luogo se non che si debbono sapergli bene a mente come sono ordinati da sé. A presso si conviene che i luoghi sicno numerati cioè che ogni nego quinto si segni; cioè a questo modo: che al primo quinto i ponga una mano d'oro che per le cinque dita ripresentino ji luogo essere quinto; poi il secondo quinto, cioè il decimo luogo, ripresenta in questo modo o trovata per sapere subito a quanti nomi sta Piero. Subito puoi avisare se alle due mani sarà il decimo se a due nomi dopo le due mani sarà il duodecimo / 142r. ct così seguitando si può sapere di molti. Ma questa regola di queste mani abbi posta qui perché la insegnia Tulio et non vorrei che altri credessi che io non la sapessi, però l’ho posta qui, ma a me pare uno poco faticosa per tale quale persona. Imperò potiamo lasciare andare testé questo affanno delle mani del oro, et fare in questa forma: cioè che i luoghi sempre cag- gino o in cinque o in dicci; în questa forma che se in una sala sono sci o septe luoghi non tenere a mente se non cinque, et se fussino quattro forzati tanto che sieno cinque che leggier- mente viene facto poi che si mette in pratica. Et così similmente vuole andare de decti che se aremo una sala o una camera dove sieno nove luoghi, forzati tanto che ve ne aggiungi un altro si che sieno dieci. Se ce ne fussino da dieci in su in sulla sala, non ne tenere a mente se non dieci. Adunque se arai in una tua casa una sala et in questa fussino cinque luoghi, una camera et in questa camera fussino dieci luoghi, uno verone et in questo fussino pure dieci luoghi, un’altra camera et in questa fussino cinque luoghi, uno terrazzo et in questo fussino dieci luoghi, una grotta et in questa fussino dieci luoghi, raccogli tutti questi luoghi et vedi quanti sono, et, quanti sono i luoghi, tanti sono i nomi che puoi tenere a mente. Sì che se i dicti luoghi sono L, et L nomi potrai tenere a mente sanza faticha di memoria, et così similmente chi la volessi fare più in grosso, potrebbe avisare dieci case delle dita sue dove trovasse L luoghi ciascuna casa et così la farà di cinquecento et di mille et di diecimila sanza fallo, però che troviamo che Seneca fu giovane esso la fe' di dumilia, ritornando allo inanzi et allo indietro, come fanno i fanciulli ad a.b.c. quando la dicono alla dietro. Ancora vo- 274 141 v. CLAVIS UNIVERSALIS gliono essere dicci luoghi noti cioè che bene gli conosciamo etc. Apresso non vogliono essere troppo grandi né troppo piccoli, ma di mezzana fog/gia come si richiede alle imagini che qui si pongono. Ancora vogliono essere i luoghi temperati dove non usi troppa gente però che la troppa gente guasta il luogo et la nostra memoria. Ancora vogliono essere né troppo chiare né troppo ob- scure però che la troppa chiarezza et la troppa obscurità fa noia agli occhi della mente sì che vedere non possiamo i luoghi. An- cora conviene che i luoghi non si rassomiglino troppo l'uno a l’altro, ma quanto più sono variati meglio è. Ancora non vo- gliono essere troppo apresso l'uno a l'altro né troppo di lungi, ma intorno di cinque o di dicci piedi l'una da l’altra. Et questo è tutto quello che bisognia a’ luoghi. La imagine non è altro se non, come di sopra è detto, come il proprio representamento di quelle cose le quali vogliamo tenere ad mente. Questa imagine ha due proprietà: cioè che ella ha a ricordare il nome et il sen- tire. Ricordare il nome è ricordare a mente Piero Giovanni Mar- tino per ordine ciascuno per sé, ricordare sententie è in questo modo che se io mi voglio ricordare come Troia fu presa  Greci con ferro con fuoco con ruina per cagione di Elena, io pongo in uno luogo la imagine di Troia come ardeva e come in lei sieno entrati cavalieri armati. Ancora se io mi volessi ri- cordare della hedificatione di Cartagine la quale hedificò una donna chiamata Dido, porrò una imagine d’una con molti gua- tatori di intorno, et così va di simile a simile di molte et infinite sententic. Hora d'intorno alle imagini sì come di nomi et di sententie vediamo quante cose sono di necessità. Mostra che sieno sei per ordine. In prima si richiede che le imagini sieno pro- prie, cioè che se io mi voglio ricordare di Piero solamente ponga in uno luogo la sua propria imagine, et se io voglio tenere a mente Martino, quello medesimo. Ancora conviene che la ima- 142r. gine non sia / equivoca cioè che rapresenti più cose di quelle che vogliamo tenere a mente. Ancora conviene che le imagini non sieno troppe, cioè più che non sicno di bisogno non si pon- gano nel luogo, che se io voglio tenere a mente Piero, solamente porre una imagine che rapresenti Piero, la quale cosa è contro alla doctrina di Tulio. Ancora conviene che la imagine non sia varia, cioè che abbia alcuna varietà in sé e questa è delle più utili cose che si possa avere. Questa memoria però sempre ci doviamo studiare di porre imagini di nuove foggie. Ancora con- viene che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si convenga a la cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del re pare che gli si convenga il segno de la corona, et a’ cavalieri il segno dello scudo, al doctore il segno del vaso et ad cui uno segno ad cui uno altro come la fantasia della memoria comune- mente si vuole dotare. Ancora conviene che a la imagine si faccia alcuna cosa cioè la proprino quanto agli acti quelle cose che a loro si convengono, sì come si conviene ad uno lione dare APPENDICE II 275 la imagine apta et ardita et alla golpe l’acto sagace et abstuto, al sonatore l'apto di sonare stromento. Adunque veggiamo sem- pre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini sì come nelle carte si convengono porre le lectere. Qui finisce delle sententie et de’ nomi abbreviato. Ancora doviamo tenere questo modo il quale è molto utile: che poi che abbiamo imparato C 0 CC nomi et recitargli, non per tanto dobbiamo conservargli, più inanzi ci doviamo studiare più che possiamo che ci escano di mente e così facendo escono di mente e i luoghi rimangono voti per gli altri che volessino imparare. Finis. Deo gratias. Amen. APPENDICE III. DUE MSS. QUATTROCENTESCHI DI ARS MEMORATIVA Il Cod. lat. ambrosiano T. 78 sup. (di carte 45) contiene i seguenti scritti : fi. 1-21v.: Tractatus brevis ac solemnis ad sciendam et ad consequendam artem memoriae artificialis ad M. Marchionem Mantuae. Inc.: Iussu tuo princeps illustrissime. [È il trattato di Jacopo Ragone da Vicenza del quale abbiamo citato vari passi nel testo, composto nel 1434 e conservato in due esem» plari di diversa mano anche nel Cod. marciano cl. VI, 274 ai ff. 15-34 e 53-66 e in un terzo esemplare nel marciano 159 della stessa classe. Il nome dell’autore (artificialis memoriae regulae per Jacobum Ragonam Vicentinum) e la data di com- posizione (Kal. Nov. 1434) risultano dal marciano 274 ai ff. 15v. e 53v.]. ff. 22-26: Tractatus solemnis artis memorativae. Inc.: Artificiosie memoriae egregia quaedam. [Di questo scritto si dà qui di seguito la trascrizione. Si è omesso l’elenco in vol- gare dei « luoghi » che occupa i ff. 26-27v.: Exp.: Trespo da tavola. Zovane fameglio]). ff. 27v.-32v.: Tractatus artis memorativae eximii doctoris artium et medicinae magistri Girardi. Inc.: Ars commoda na- turae confirmat et auget. [Nella trascrizione che segue si è fatto ricorso anche al cod. 142 dell’Angelica che ai ff. 83-87 reca lo stesso trattato con il titolo, di mano più recente, Hic traditur preclarus modus conficiende memoriae. Inc.: Ars com- moda natura e confirmat et augct]). ff. 33-40v.: Excerpta ex libris M. T. Ciceronis de memoria. Inc.: M. T. Ciceronis de oratore haec de memoria scripta sunt. [gli excerpta ai ff. 35v.-40v. sono tratti dalla RAetorica ad Herennium). La data di composizione della miscellanea si legge in fine al codice al f. 45: Anno 1466 scriptus pro Raphael de Fuzsy. 22 r. 22v. 23 r. APPENDICE III 277 I Tractatus solermnis artis memorativae incipit. Artificiosac me- moriae egregia quaedam atque preclarissima praecepta in lucem allaturi, non invanum esse duximus quod ipsa sit primum effin- gere cum, iuxta Ciceronis sententia in primo De officiis, omnis de quacumque re sumitur disputatio a diffinitione proficisci debeat ut sciri possit quid sit id de quo disputatur. Est igitur artificialis memoria dispositio quaedam imaginaria vel localis vel idealis mente rerum sensibilium super quas natu- ralis memoria reflexa per ea summovetur atque adiuvatur ut prius memoratorum facilius, distinctius atque divitius denuo va- leat reminisci. Vel sit artificialis memoria est decentium imagi- num quaedam industriosa collocatio qua corum quae in his de- bite applicantur ad tempus memorari valeamus. Tertio vero ex menti Ciceronis, Rhetoricorum tertio, sic eius diffinitionem im- plecti possumus: memoria artificialis est artificium quoddam quo naturalis memoria praeceptoris voce confrmatur. Differt au- tem memoria naturalis ab artificiosa. Harum naturalis est una quae nostris animis insita est et simul cum ipsa / creatione nata. Artificiosa vero est quaedam inductio et praeceptionis ratione confirmatur. Haec autem ars duobus perficitur: locis videlicet et imagini- bus, ut Cicero sentit in tertio Rhetoricorum a quo non dissentit beatus Thomas illud addiciens oportere ut ea quae vult quis memoriter tenere ordinata consideratione disponat, ut ex uno memoratu ad aliud facile procedatur. Cicero vero sic inquit: oportet igitur, si multa reminisci volumus, multos locos domus comparare, ut in multis locis multas imagines comprchendere at- que amplecti valeamus. Aristoteles vero in eo que de memoria scripsit a locis inquit reminiscimur. Necessarii itaque sunt loci ut res seriatim pronuntiare et memoriter tenere valeamus. Dif- ferunt autem loci ab imaginibus quia loci sunt imagines ipsae su- per quibus tamque super carta imagines delebiles, quasi literae, collocantur. Habeant igitur sc loci sicut materia, imagines vero ut forma. Differunt quasi ut fixum et non fixum. Et quoniam haec ars, ut dictum est, duobus absolvitur, locis videlicet et imagini- bus, primum locorum precepta attingenda videntur. Nam cum ars imitetur naturam in quantum potest, volenti autem scribere / primum carta et cera preparanda est, quibus loci simillimi sunt. Imagines autem literis, dispositio autem et collocatio imaginum scripturac, pronuntiatio autem lectioni comparantur. Illud merito fit ut ex his locis primum diffiniamus. Locus enim, ut quibus- dam placet, est spatium quidam domus proportionatum et condi- tionatum quo conditionari debet; vel melius, secundum Cicero- nem, locos appellamus eos qui breviter perfecte et insigniter manu aut natura absoluti sunt ut eos facile naturali memoria comprendere atque amplecti valeamus. Haec autem ars centum locis perficitur. quos hoc pacto nobis constituere poterimus si 278 CLAVIS UNIVERSALIS decem domos nobis comparare poterimus in quarum singulis decem loci affigantur in diversis ipsarum domorum parietibus, vel paranda nobis erit una domus quae computatis cameris co- quina et scalis constituatur centenus numerus apponendo cuilibet camerae vel scalae quinque locos. Locorum proprietas multiplex est: primo locorum multitudo, locorum ordinatio, locorum solitudo, locorum meditatio, loco- 23v. rum signatio, locorum dissimilitudo, / locorum mediocris ma- 24 r. 24 v. gnitudo, mediocris lux et distantia. Sequitur de imaginibus. Ima- gines sunt rerum aut verborum similitudines in mente conceptae. Duplices autem similitudines esse debent, ut ait Cicero, una rerum, alia verborum. Rerum autem similitudines constituuntur cum summatim ipsorum negotiorum imagines comparamus, verbo- rum autem similitudines exprimuntur cum uniuscuiusque voca- buli memoria a nobis imagine notatur. Verborum quidem simili- tudines aliae sunt notae, aliac ignotae, notabilius aliae animatac, aliae inanimatae. Animatarum quaedam propriae quaedam com- munes. Propriarum quaedam duplices, quacdam simplices. Com- munium vero tam animatarum quam inanimatarum quacdam simplices, quaedam ex duabus pluribusne partibus constituuntur, de quibus omnibus dicetur inferius. Et primo videndum est de nominibus propriis simplicibus et duplicibus. Et premicto pro generali regula imaginum collocandarum quod in locis semper collocandae sunt imagines cum motu et acto ridiculoso crudeli admirativo aut turpi vel impossibili sive alio insueto. Talia enim crudelia vel ridiculosa aut insueta sensum immutare solent et melius excitare eo quod animus circa prava multum advertat. / Secundo vero noto collocandam circa imaginem ut aliquid agat vel operet circa se vel circa ipsum locum. Si igitur daretur tibi ad memorandum nomen proprium, puta Petrus vel Martinus, debes accipere aliquem Petrum tibi notum ratione amicitiae vel inimicitiae, virtutis vel vituperii vel precellentis pulcritudinis aut nimiae deformitatis, non ociosum sed se exercitantem motu aliquo ridiculoso. Si nomen non adsit tibi notus capias aliquem factum et si non fuerit, recurrendum erit ad regulam dictionum igno- tarum. Duplicia vero sunt cum duo ex istis simplicibus sumptis in recto casu quae veniunt ad significationem unius simplicis ut Jacobus Philippus, Johannes Maria. Preniomina vero sunt cum unum preest alteri in unico nomine quae prelatio semper est in obliquo cum dependentia, ut Johannes Andrec, Matheus Tomasii. Cognomina autem et agnomina sunt quae parentelae vel ab cunctu [.....] faciunt ad singularem notitiam vel alicuius indi- vidui: ut Franciscus Barbarus et Scipio Affricanus. Duplicia sic collocanda sunt ut cadem facias etiam ipsam imaginem ordinate operari. Item de prenominibus ita tamen quod / actus attributus recto habeat se in minus et actus attributus obliquo in maius. Agnomina autem et cognomina secundum primam sui partem ut traditum est de nominibus propriis. Secundum vero secundam sui partem prout tradetur de nominibus ignotis. 25r. 25v. APPENDICE III 279 Pro clariori doctrina notandum est imagines, cx quibus simi- litudines capiuntur, formari posse dupliciter: aut ex parte rci, aut ex parte vocis. Si ex parte rei et tunc dupliciter: aut respectu rei propriac in se, aut ex parte methafisicac. Ex parte rei pro- priac in se similitudo capitur ut rem ipsam formando in propria forma et naturali, ct hoc modo in rebus naturalibus maxime con- venit. Secundo modo similitudo capitur ex parte rei methafisicac et secundum eius officium quod operatur aut secundum instru- mentum cum quo operatur, et isto modo praccipue operamus in rebus invisibilibus. Si igitur rerum invisibilium vis tibi ima- gines servare, si sint res pertinentes ad virtutes vel vitia duplices possumus similitudines capere scilicet aut capiendo rem in qua est per excellentiam ut pro / superbia Luciferum, pro sapientia Salomonem; secundo modo methafisice. Divina autem ut dictum et angelos a pictoribus didicimus collocare. Item de sanctis, ut virtus iustitia angelus anima deus, scilicet Petrus et cetera. Nominum accidentalium similitudines ita capiuntur indiffe- renter videlicet ponendo picturam aut similitudinem aut realem rem cuius coloris qua nota collocanda demonstratur. Nota vero dignitatum officiorum et artium mechanicarum sic collocatur, capiendo similitudinem secundum signa et principalia eorum si- gnificata demonstrativa et declarativa ipsorum, ut si volumus collocare papam Martinum tibi notum secundum regulam de propriis habentem unam mitriam trium coronarum et sic de sin- gulis secundum signa convenientia suis dignitatibus officiis et artibus. Si vis memorari inanimatas duobus modis id efficere poteris. Primo modo ipsius rei inanimatae similitudinem capiendo ut aliquid operetur, imaginandus est homo sub concepto naturali non sub spetiali, nota et talis operatio fiat contra locum vel contra se. Secundo modo cligendo ordinem alphabeti et ad unum / quemque locum ponendo unum hominem tibi notum supras- tanterm tamque custodem et operarium loci qui operetur quando necesse est cum re inanimata ut dictum est in praccedentibus capitulis. Finalis regula de collocatione prosarum versuum am- basiatarum et ceterorum huiusmodi. Ad apte figendas certa mente epistulas orationes sermones versus et cetera collocandi ratione potissimum opus esse percipi- tur, ut videlicet primum res ipsa universa rectissime teneatur ea quae naturali commendata memoriae congrue despiciatur. In primis enim rei totius summa simplici imagine vel nota aut ex pluribus aggregata contineatur quae quidem deinceps partes in suas idonee recitetur. Deinde illae partes in alias subdividere li- cebit. Finalis tamen divisio loco uno vel multiplicato capiatur. Principales autem divisiones ipsis quinariis applicentur, earum vero partes reliquas in aliorum imaginibus accomodentur. Versus spetialiter vocari possunt si praeter eorum summam figurationem 230 26 r. 27 v. 28 r. CLAVIS UNIVERSALIS principio annotentur aut spetiali imagine aut sillabis vel litteris. Historiac vero per actus annotari possunt ctiam parte tibi nota. Rubricae collocari solent aut corum summas perstringendo imagine accomodata aut per verborum similitudines. / Ambasiatas vero si commode volueris recordari ipsas, pro quo ambasiata collocanda est, imagines capies sive ipsumet in quo pacta sive promissa repones et ex adversis autem illum cui facienda est ambasiata in illo petita repones, et si sumuntur plu- res res sive capitula seriatim conclusive per loca dispones. Argumenta possumus congrue argumentibus applicare quibus absentibus locorum custodibus affigantur. Si enim sologismus fuerit, maiorem dexterae, minorem sinistrae accomodemus, aut potuerimus pro maiori tenere imaginem notatam vel medii aut conclusionis. Si vero fuerit entimema satis erit primam proposi- tionem notare; in iure aut rubricam cum lege aut scilicet cum cius mente notare ut fucrit. TeAog. Il. Tractatus artis memorative eximii doctoris artium et medi- cinae magistri Girardi. Ars commoda naturae confirmat ct auget, ut inquit egregius Tullius in tertio rhetoricae, cuius experientiam habemus in duplici arte scilicet domificatoria qua artifex finalis per hanc intendit defectui naturae providere; in arte etiam medicatoria minister salutis conatur proposse superflua naturae expellere ac defectus eiusdem restaurare. Que quidem ars minime foret in- venta si natura auxilio non cgerct. Verum quia anima nostra in principio sue creationis nascitur defectuosa in tribus suis po- tentiis clarioribus: scilicet memoria, intellectu et voluntate. Non tamen dico defectuosa sit quod anima nostra in principio creationis suac non habeat omnes potentias sibi concreatas, sed dico defectuosa sit quod in principio nostrae nativitatis anima nostra nequaquam potest per has potentias suos actus exercere. Non igitur parum utilis est artificialis memoria, quae commoda naturae amplificat ratione doctrinae. Huius quippe artis multi fuerunt inventores inter quos quidam nimis occulte, alii nimis confuse cam tradiderunt. Sed ego zelo sapientiac dilatandae / hanc artem compendiosis et utilibus verbis declarare intendo, hoc opusculum dividendo per novem capitula. In capitulo primo ostendetur breviter et succinete quac sint instrumenta quibus utendum est in hac arte. In secundo tradetur ars memorandi terminos substantiales.In tertio dabitur ars memorandi terminos accidentales. In quarto dabitur ars memorandi auctoritates ct quascumque orationes simplices. In quinto tradetur ars memorandi epistolas collectiones et quascumque historias prolixas. APPENDICE III 281 In sexto tradetur ars memorandi argumenta ct quascumque orationes sillogisticas. In septimo tradetur ars memorandi versus. In octavo tradetur et dabitur ars memorandi dictiones igno- tas, puta graecas, hebraicas, sincathagoremata et capita legum. In nono et ultimo dabuntur sccreta huius artis. Unde versus: Sedibus humanis trita stans filia celsi Inexculta cibo mens grave tenet in albo Sed si concipiat post sernen arca volutum In varias formas parit similia monstro Qui igitur volet perfectam gignere prolem Promptam facetam recte natam in ordine membri De multis tractum subiectum forbeat haustum.! 28 v. Capitulum primum. Pro expeditione primi capituli prenotan- dum est quod finalis intentio nostra in hac arte est componere librum mentalem qui quid se habeat ad instar libri artificialis. Nam quemadmodum in libro artificiali duo sufficiunt instru- menta duntaxat scilicet carta et scriptura, ita ct non aliter in hoc libro mentali quem intendimus per hanc artem conficere duo sufficiunt instrumenta: scilicet loca ct rerum similitudines. Unde egregius Tullius in sua rhetorica loca inquit carte simil- lima, sicut imagines literis. Dispositio vero imaginum in locis lectioni comparatur. Sed quia vari sunt modi accipiendi loca in hac arte, sufficiet ad presens tres modos notare. Primus modus est secundum Tullium, et hic est satis grossus, accipiendo videli- cet domum realem vel imaginariam in qua diversa signa noten- tur inter angulos illius contenta. Secundus modus est servando ordinem scalarum. Tertius est servando ordinem mense vel alium quemvis artificialem huic consimilem. Verum est tamen quod de novo praticantibus in hac arte bonum est in primis modum Tullii imitari ut a facilioribus ad difficiliora facilior sit transitus. Unde versus: Tipicha fortificat poliniam vallis locorum / 29 r. Hec per ambages deserti querere noli Que rapuit pacifex iam lux perdit vel atro Invisaque spernit fugit gravissima quecque Huius vero plus placuit medios habuisse penatos Incultos natos diversos noto placentes In quorum costis fingantur ordine quino Que fixa maneant signa distantia tractu.? ® Grosse INTERLINEARI: Sedibus humanis: in corpore humano; trita: afflicta; filta celsi: scilicet dci; inexculta: scilicet impleta; grave: graviter; in albo: scilicet memoria. 2 Giosse INTERLINEARI: Tipicha: figurata; poliniam: memoriam; vallis loco- rum: scilicet ordinatio; Haec: loca; per ambages: per loca dubia; pacifer: scilicet intellectus; ian: lux perdit vel atro: per nimiam lucem vel obscuritatem; 282 29 v. 30 r. CLAVIS UNIVERSALIS Secundum capitulum. Si vis memorari terminos substantiales scire debes quod tales sunt duplices. Quidam sunt proprii et qui- dam communes. Si igitur vis memorari terminos communes suf- ficit pro quolibet tali accipere similitudinem agentem aliquid mirabile vel patientem ct illam memento in suo loco collocare, praesuppositis his quae dicta sunt de locis in precedenti capi- tulo. In propriis autem nominibus non sic fit quoniam multorum hominum una est similitudo communis, accipere igitur pro quo- libet nomine proprio aliquem tibi notum ratione laudis, vituperii vel conversationis et illum memento in suo loco collocare. Et notatur  dictum cst supra quod similitudo rei memo- randae debet agere vel pati aliquid mirabile quoniam quanto actio vel passio fuerit mirabiltor aut magis ridiculosa tanto diu- turnior crit memoria. Unde versus: Usia post rerum recte ponatur in istis / Cum voles hanc disce viam quac plana patebit Subiectis propriis proprias est darc figuras Communes aliis: cythara noscetur Apollo.? Tertium capitulum. Si vis memorari terminos accidentales, quia accidens non habet esse per sc sed totum esse eius dependet a substantia, pro quolibet tali accidente debes accipere substan- tivum in quo est per excellentiam: ut pro rubeo rosam, pro albo lilium, pro fortitudinem Sansonem, pro sapientia Salomonem. Et nota hic tres regulas solemnes. Prima est quod omne nomen significans substantiam in qua est aliquid accidens per excellen- tiam significat duo: scilicet substantiam primo et accidens poste- rius et secundario; et sic monialis significat feminam et castita- «tem, lupus animal et voracitatem, philomena avem et cantorem. Secunda regula est quod a tali nomine significanti duo descendit nomen adiectivum vel verbum, ut de rosa descendit roscus rosea roseum et roseare quod est rubcum facere. Tertia regula est quod ad commemorandum artificiose derivativa sive fucrint nomina sive verba aut participia / vel adverbia sufficit habere memoriam primitivi, et ratio est quoniam omnem derivativum virtualiter includitur in primitivo et capit  naturam ciusdem. Unde versus: Quod pendet fixum de se vult capere plenum Si varias uno profers multis ne licebit In derivativis quae sit origo notabis.4 Invisa: loca; gravissima: dissimillima; quecque: loca; medios habuisse penatos : scilicet manifestas domos; Incultos: non habitatas; diversos: scilicet colore vel figura; noto placentes: scilicet voluntati; In quorum: penatum; costis: parie- tibus; fixa: firma. ì 3 GLossi INTERLINEARI: Usig: scilicet forma; recte: sub ordine; in istis: sci- licet costis; Subiectis: nominibus; communes: similitudines. 4 Gtosse INTERLINEARI: OQtiod pendet: illud quod est auribus pendens; fixum: subiectum; de se vult capere plenum: scilicet in quo est per excellentiam. 30 v. 3lr. APPENDICE III 283 Quartum capitulum. Si vis memorari auctoritates ct quascum- que orationes simplices accipe pro qualibet obiectum principale eiusdem et illius memento in suo loco collocare praesuppositis his quae dicta sunt supra. Ratio autem huius est quoniam signum et signatum sunt corrclativa. Unde versus: Complexum si vis obicctum indicat illud. Quintum capitulum. Si vis memorari epistulas et quascum- que historias prolixas divide per suas partes principales ct rursus quamlibet per suas partes donec perveneris ad clausulam; quo facto age ut dictum est in capitulo praecedenti de orationibus simplicibus. Et ratio huius est quoniam divisio valet ad tria. Primum animum legentis excitat, secundo intelligentiam confir- mat, tertio memoriam artificiose corroborat. Unde versus: Ut plerique volunt tribus divisio valet / Animum legentis excitat mentem quoque probat Intelligentis memoriam roborat atque. Sextum capitulum. Si vis memorari argumenta et quascum- que orationes sillogisticas sufficit pro quolibet argumento habere memoriam medii et ratio est quoniam, ut dicit Aristoteles in primo priorum, medium est in virtute totus sillogismus. Sed quia difficile est medium invenire secundum doctrinam quam tradit Aristoteles in fine primi priorum, sciendum est quod medium in proposito nihil aliud est quam causa conclusionis, idest illud inferens in quo virtualiter consistit argumentum. Unde versus: Qui nescit causas nihil scit, quia nulla Res est nota satis, cuius origo latet. Septimum capitulum. Si vis memorari versus hoc potest fieri altero duorum modorum: primo accipiendo a quolibet versu sententiam meliori via in qua fieri potest et cum versus bis vel ter replicando; secundo accipiendo duas vel tres dictiones prin- cipales cuiuslibet versus et cum illis ipsum versum bis vel ter repetendo. Sic enim ars suppedit naturae et ratio huius est quo- niam versus ex sua natura valet ad tria. Unde versus: Metra iuvant animos, comprehendunt plurima paucis Pristina commemorant quae sunt tria grata legenti. Octavum capitulum. Si vis memorari dictiones ignotas hoc potest duobus modis fieri. Primo per viam similitudinis, acci- piendo videlicet pro qualibet dictione ignota dictionem nobs notam habentem aliquam similitudinem cum tali dictione ignota. Secundo fiat hoc per viam divisionis sillabarum, dividendo sci- licet dictionem ignotam per suas sillabas, et pro qualibet sillaba accipiendo dictionem tibi notam incipientem ab ca. Unde versus: Ignotum memorari si vis barbarum nomen Aut summas apparens per partes divide totum. 284 lv. 32 r. 32 v. CLAVIS UNIVERSALIS Ultimum capitulum. Pro cxpeditione completa huius artis facien- dum quod bcatus Thomas in secunda secundae, quaestione 49 et capitulo primo. Ponit quatuor documenta quibus proficimur in bene memorando. Primus est ut eorum quae vult aliquis me- morari quasdam similitudines assumat convenientes nec tantum omnino consuetas, quia ca quae sunt inconsueta magis miramur et sic in eis animus magis et vehementius detinetur. Ex quo fit quod corum quae in pueritia vidimus / magis memoremur. Ideo autem magis necessaria est huiusmodi similitudinum vel imagi- num adinventio, quia intentiones simplices et spirituales facilius ex animo elabuntur nisi quibusdam similitudinibus corporalibus quasi alligentur, quia humana cognitio potentior est circa sensi- bilia. Unde hacc memorativa ponitur in parte sensitiva. Secundo oportet ut homo ca quac memoriter vult tenere sua considera- tione ordinate disponat ct cx uno memorato facile ad aliud pro- cedat. Unde dixit philosophus in libro de memoria a locis vi- detur reminisci aliquando, causa autem est quia velocitate ab uno ad aliud veniunt. Tertio oportet quod homo sollicitudinem apponat et affectum adhibeat ad ca quae vult memorari, quia quanto magis aliquid fuerit impressum animo co minus elabitur. Unde Tullius dixit in sua rhetorica quod sollicitudo conservat integras simulacrorum figuras. Quarto oportet quod ea frequen- ter meditermur quae volumus memorari. Undec philosophus dixit in libro de memoria quod meditationes servant / memoriam, quia, ut in codem libro dicitur, consuetudo est quasi natura. Unde quae multoties intelligimus cito reminiscimur quasi natu- rali quodam ordine ad uno ad aliud procedentes. Sed quia tota difficultas artis memorativac consistit in difficili et laboriosa io- corum acceptione et in illa laboriosa adinventione imaginum convenientium, in hac arte notanda sunt duo pro secretis huius artis. Primo est notandum pro facili et prompta locorum accep- tione quod tota perfectio huius artis ex parte locorum consistit in centum locis familiaribus quae pro certa loca habere poterimus duplici via. Primo accipiendo decem domus reales a nobis opti- me frequentatas in diversibus civitatibus vel in eadem, itaque in qualibet domo notentur decem loca distincta loco situ et figura ac in convenienti ordine et aliqua distantia. Secundo possunt ha- beri centum loca familiaria accipiendo viginti imagines divisa- rum rerum quac tamen sint ordinatae secundum ordinem lite- rarum alphabeti: ut pro A accipiamus arietem, pro B bovem, pro C canem, pro D dromedarium, pro E cquum, pro F folium, pro G griffonem, pro H hircum, pro I idolum, pro K Katerinam, pro L leonem, pro M monacum, pro N nucem, pro O / ovem, pro P pastorem, pro Q quiritem, pro R regem, pro S sapientem, pro T turrim, pro V vas olci vel vini. Ita tamen qued in qualibet istarum imaginum notentur quinque determinata signa quae facient quinque loca in qualibet, ct hoc quidem facillimum est ut patebit in pratica. Secundo est notandum cx parte imaginum APPENDICE III 285 sive similitudinum quod permaxime perficit in memorando arti- ficiose servare imaginibus colligantiam. Talis autem colligantia dupliciter intelligitur. Primo ut quaclibet imago se exercitet ali- quo modo cum suo loco. Secundo ut una imago se exercitet cum alia: sic prima cum secunda, tertia cum quarta et sic de aliis. Et est diligenter advertendum in hac arte quod attestatur egregius Tullius in tertio Rhetoricorum videlicet quod artis huius preceptio est infirma nisi diligentia et exercitatio comprobetur. Unde versus: Doctrinae pater est usus doctrina scolaris Interscissa perit, continuata urget. Finis. APPENDICE IV. DOCUMENTI SULL'ATTIVITÀ DI PIETRO DA RAVENNA Al testo della sua Phoenix seu artificiosa memoria, Pietro da Ravenna premetteva, nella prima edizione a stampa del 1491, alcune lettere di previlegio: del Comune di Pistoia (12 settembre 1480); di Bonifacio marchese del Monferrato (24 settembre 1488); di Eleonora d’Aragona duchessa di Ferrara (10 ottobre 1491). Oltre al testo della lettera di Eleonora, si riproducono qui i versi scritti da Egidio da Viterbo in onore del Ravenna e alcuni passi della prefazione che si riferiscono ad cpisodi della vita del Ravenna. Si è usata la copia della prima edizione a stampa contenuta, insieme ad altri tre incu- ‘ naboli, nel Cod. marciano lat. 274 della classe VI, ai ff. 82-97v. I 82 r. Elconora de Aragona Ducissa Ferrariac etc. quod ab omnium bonorum datore immortali deo generi humano concessum est placrique in orbe terrarum a constitutione mundi usque ad hanc aetatem excellentes viri evasere, quos inter nunc adest spectatus miles auratus et insignis utroque iure consultus dominus Petrus Tomasius Ravennas harum literarum nostrarum exhibitor, qui, practer alias corporis et animi dotes, ita omni doctrinarum genere et tenacissima memoria refulget ut nedum superiorem, sed etiam in his parem minime habere videatur. Quod quidem nuper latissi- me re ipsa comprobavit non solum nos, sed etiam omnis haec civi- tas nostra testimonium perhibere potest. Qua ex re factum est ut cum singulari admiratione precipuaque charitate complexae inter nostros praeter alios familiarem et domesticum habere consti- tuerimus. Quamobrem serenissimos reges, illustres principes, ex- cellentes respublicas et alios quosqunque dominos patres fratres amicos benivolosque nostros precamur et oramus ex animo ut quotienscunque ei contigerit ipsum dominum Petrum / tam 82 v. optime meritum cum suis famulis et equis usque ad numerum octo cum suis bulgiis forceriis et capsis cum pannis ct vestibus suis libris vasis argenteis et aliis cuibuscunque rebus suis ac armis per eorum urbes oppida vicos passus aquas et loca die noc- teque liberrime et expeditissime absque alicuius datii gabellae ct alius cuiuslibet oneris solutione amoris nostri et potissimum tam maximarum huius hominis virtutum causa transire permit- 84 v. 92 v. 93 r. APPENDICE IV 287 tant commendatissimumque ipsum semper habentes ci providere velint de liberrimo expeditissimoque transitu et idonca cohorte ut opus fucrit et ipse requisiverit. Quod quidem nobis iucundis- simum semper cerit atque gratissimum, paratissimis ad omnia corum qui sic in eo sc habuerint beneplacita. Mandamus autem omnibus et singulis magistratibus quoruncunque locorum nos- trorum ct potissimum custodibus passuum reliquisque subditis nostris ut praedicta omnia ct singula in terris et locis nostris in- violabiliter servent servarique faciant. Sub indignationis nostrae incursu et alia quavis graviori poena pro arbitrio nostro eis im- ponenda; ad quorum robur et fidem has nostras patentes litte- ras ficri iussimus et registrari ct nostri maiori sigilli munimine roborari. Datas Ferrariae in nostro ducali palatio anno nativitatis dominicae Millesimo quatringentesimo nonagesimo primo, indic- tione nona, die decimo mensis Octobris. Severius. Il Paduae Domino Petro memoriae magistro. Qui modo pyramides, quid iam Babylona canamus Quid Iovis et triviae templa superba deae Non magis immensum mirabimur amphitheatrum Nam summe facerent hoc quoque semper opes Scipio non ultra iactet quod fecerat usus Agmina qui proprio nomine tota vocat Petrum fama canat quam nobilis ille Ravennae est Gloria, qui plusque docta Minerva potest Quid magni facere dei mirabile dictu Nam retinet quicquid legerit ille semel Effatur triplici quaecunque orator in hora Protinus hic iterum nil minus ore refert Sic reor hunc genuit doctarum quinta sororum Cui pia musa nihil non meminisse dedit Frater Egidius Viterbiensis heremita. III. Bononiae, Papiae, Ferrariaeque legi et qui me audierunt mul- ta memoriter scire incoeperunt, et quamvis mea artificiosa me- moria aliorum auctoritatibus sit comprobata, peccare tamen non puto si acta mea in hoc libello legentur quae ipsam mirabiliter approbabunt. Dum essem iuris auditor, nec vigesimum vidissem annum, in universitate patavina dixi mc totum codicem iuris ci- vilis posse recitare; petii namque ut mihi leges aliquae ad arbi- trium astantium proponerentur, quibus propositis, summaria Bar- toli dicebam, aliqua verba textus recitabam, casum adducebam, tacta per doctores examinabam, lexque ista tot habet glosas dice- bam et super quibus verbis erant positae recordabar, / contraria 288 93 v. 94 r. CLAVIS UNIVERSALIS allegabam et solvebam. Visum est astantibus vidisse miraculum; Alexander Imolensis diu obstupuit, nec fabulam narro: ego palam locutus sum in universitate Paduae ex qua in ore duorum vel trium stat omne verbum; testes huius rei tres habco: magnificum dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum senatorem venetum et iuris utriusque doctorem excellentissimum apud illustrissimum Mediolani ducem nunc legatum, clarissimum doctorem dominum Sigismundum de capitibus listae civem nobilem patavinum cuius predictus Franciscus fuit acutissimi ingenii iuris consultus, specta- bilem dominum Monaldinum de Monaldiniis Venetiis commoran- tem in quo virtus domicilium suum collocavit. Lectiones etiam Alexandri Imolensis Paduae legentis copiosis- simas memoria tencbam et illas ex verbo ad verbum in scriptis redigebam, illas etiam postquam finierat, astante magna audito- rum copia, a calce incipiens recitabam ex suisque lectionibus dum in scholis audirem carmina faciebam et omnes carum partes in carminibus positas statim replicabam; et qui hoc viderunt obstu- pucre: huius rei testes habeo clarissimum equitem et doctorem dominum Sigismundum de capitibus listae et filium Alexandri Imolensis qui nunc est iuris consultus celeberrimus. Centum et quatraginta quinque auctoritates religiosissimi fra- tris Michaelis de Mediolano Paduae praedicantis immortalitatem animae probantes, coram eo memoriter et prompte pronunciavi, qui me amplexus est dicens: vive diu, gemma singularis, utinam te religioni dicatum viderem. Testis est tota civitas patavina, sed magnificum dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum et do- minum Sigismundum de capitibus listae et dominum Monal- dinum de Monaldiniis testes habco. Petii ego doctor / creatus in universitate patavina, ut mihi in cathedra sedenti, aliquis de universitate auditor unum ex tribus voluminibus digestorum quid eligeret praesentaret locum- que in quo legere deberem designaret. Dixi enim supra rc pro- posita innumerabiles leges allegabo. Testes sunt clarissimus iuris utriusque doctor dominus Gaspar Orsatus Paduae iura canonica legens et doctissimus dominus Prosper Cremonensis Paduae com- morans [....]. Semel in schachis ludebam et alius taxillos iaciebat aliusque omnes iactus scribebat ct ex themate mihi proposito duas / cpis- tolas dictabam. Posquam finem ludo imposuimus omnes iactus schachorum cet taxillorum et epistolarum verba ab ultimis inci- piens repetii; hacc quatuor per me codem tempore collocata fuerunt. Testes sunt dominus Petrus de Montagnano et Fran- ciscus Nevolinus nobiles patavini cives. Dum cssem Placentiae monasterium monachorum nigrorum intravi ut illud viderem, in dormitorioque cius comitante mona- cho quodam bis deambulans monachorum nomina quae in ostiis cellarum erant collocavi; deinde congregatis eis nomine proprio quemlibet salutavi, licet quem nominabam digito demonstrare 9% v. 95 r. APPENDICE IV 289 non potuissem. Mirabantur monachi quo pacto ego peregrinus nomina eorum memoriter proferrem, ipsis mirari non desinenti- bus, dixi tandem: hoc potuit mea artificiosa memoria, quorum unus dixit ergo hoc Petrus Ravennas facere potuit et non alius. In capitulo generali canonicorum regularium Paduac, prac- dicationem domini Deodati Vincentini co ordine quo ipsam pronunciaverat recitavi astante ipsius praedicationis auctore. Sc- mel me traxit ad sui contemplationem Cassandra, fidelis veneta virgo excellentissima, quae dum legeret litteras  serenissimae coniugis regis Ferdinandi ad se missas, illas collocavi et recitavi; testis est illa doctissima virgo, dominus Paulus Raimusius doctor excellens ariminensis et Angelus Salernitanus vir clarus [....]. De mea artificiosa memoria testis est illustrissimus marchio Bonifacius et eius pulcherrima uxor quae me egregio munere donavi; testis est illustrissimus Hercules dux et illustrissima uxor Eleonora; testis est tota Ferraria duas enim pracedicationes cele- berrimi verbi dei pracconis magistri mariani heremitae recitavi, quo audito obstupuit dictus magister et dixit: illustrissima du- cissa hoc est divinum et miraculosum opus; testis est universitas patavina: omnes enim lectiones mceas iuris canonici sine libro quotidie lego ac si librum ante oculos haberem, textum et glosas memoriter pronuncio ut nec etiam minimam syllabam omittere videar. In locis autem meis quae collocaverim hic scribere statui et quae locis tradidi perpetuo teneo, in decem et novem litteris alphabeti vigintimilia allegationum iuris utriusque posui et codem ordine sacrorum librorum septem milia, mille Ovidii carmina quae ab co sapienter dicta continent, ducentas Ciceronis auctoritates, trecenta philosophorum dicta, magnam Valeri Ma- ximi partem, naturas fere omnium animalium bipedum et qua- drupedum quorum auctoritatum singula verba collocavi, et quando vires arti / ficiosae memoriae experiri cupio, peto ut mihi una ex litteris illis alphabeti proponantur, super qua pro- posita allegationes profero, et ut clare intelligas, exemplum ha- bes: proposita est mihi nunc littera A in magno doctorum vi- rorum conventu, et statim a iure principium faciens, mille alle- gationes et plures proferam de alimentis, de alienatione, de ab- sentia, de arbitris, de appellationibus et de similibus quac iure nostro habentur incipientibus a dicta littera A; deinde in sacra scriptura de Antichristo, de adulatione et multas allegationes sacrae scripturae ab illa littera incipientes pronunciabo, carmina Ovidii, auctoritates Ciceronis et Valerii non omittam, de asino de aquila de agno de ‘accipitre de apro de ariete auctoritates allegabo, et quaecumque dixero ab ultimis incipiens velociter repetam [. APPENDICE V. TRE MSS. DI ARS MEMORATIVA DEL TARDO SEC. XVI. Una posizione come quella del Rosselli, che pure si muove nell’ambito della tradizione “ciceroniana” e non ha contatti con il lullismo, appare per molti aspetti assai vicina a quella che verrà poi assunta da Bruno. Non mancarono tuttavia, an- che sul finire del secolo, trattazioni di ars memorativa con- dotte secondo i canoni più tradizionali della mnemotecnica “classica”. Più che altro per amore di completezza, si dà qui conto di tre testi manoscritti che risentono fortemente di que- ste impostazioni tradizionali. Nel primo di questi testi, con- servato nel ms. Palatino 885 della Nazionale di Firenze (Cod. cart. miscell. sec. XIV, XV, XVI di carte 466. Ai ff. 289r.- 313v. è un anonimo trattato di mnemotecnica: /Inc.: Queritur primo, quare, antequam hanc, artificialem memoriam non in aperto tradiderunt. Expl.: Vox continua est de quantitate con- tinua. Grafia del sec. XVI) ritorna, secondo gli schemi ormai ben noti, la trattazione dei luoghi e delle immagini. Nel se- condo, l’ashburnhamiano 1226 della Laurenziana (Cod. cart. in folio di carte 71, fine del sec. XVI) riscontriamo quel feno- meno, che abbiamo visto tipico, di una trasformazione dei trat- tati di retorica in una ordinata e sistematica classificazione di nozioni. L'arte della memoria non è qui fatta oggetto di spe- cifica trattazione; gli intenti mnemonici risultano chiari dalla disposizione della materia, ordinata in tavole. Si veda per cs. al fol, l1v.: «La Rhetorica è un’arte di trovare ciò che in ogni cosa sia acconcio a persuadere. Le fedi con le quali si per- suade sono: Dell’arte cotai sono: nella vita e nei costumi del- l’Oratore, in mover l’animo del giudice, nell’oratione quando si prova o par che si prova alcuna cosa. Questa maniera di fede si prova e si tratta dall’Oratore. Fuori dell’arte cotai sono : leggi, patti, testimoni, tormenti, giuri. Quest’altra maniera di fede si tratta solamente dall’Oratore ». Del terzo manoscritto (II, 1, 13, già Magliab. della Nazionale di Firenze, Cod. cart. in folio grande di carte 48) già segnalato dalla Yates, si cono- scono invece sia l’autore, sia il luogo e la data di composizione. APPENDICE V 291 Scritto da frate Agostino Riccio nel Convento di Santa Maria Novella nel 1595, il trattato si rivolge « alla gioventù fioren- tina studiosa di lettere ». La Yates (The Ciceronian Art of Memory, in Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1955, p. 899) ha visto in questo scritto « qual- cosa di meno astratto che i trattati del Romberch e del Ros- selli ». In realtà l’operetta del Riccio appare in tutto con- venzionale, ultima eco di una tradizione che si andava ormai spegnendo. Tuttavia, anche in questo testo, non manca un elemento di novità rispetto alle fonti classiche. Allo scopo di imprimere meglio nella mente del lettore le regole dell’arte della memoria, vengono qui impiegati immagini e simboli: in altri termini, per esprimere i precetti che insegnano a « col- locare » le immagini, ci si serve di altre, più complesse imma- gini. Dello stesso accorgimento già aveva fatto uso il Bruno nella Explicatio triginta sigillorum del 1583. Ir. Essendo la memoria madre delle scienze poi che quello che vera- mente si sa che si ritiene nella memoria impresso, utilissima è l’arte che rende perfetta questa natural potenza. Di essa da molti sono stati scritti vari libri, ma non però ho stimato ch’a me sia negato il formare questo trattato nel quale sotto la simi- litudine d’un potentissimo Re ch’appresso di sé ha due consi- glieri e tre valorosi capitani et un servo che provede ciò che fa di bisogno, brevemente e chiaramente ho ridotto in sette precetti la somma di quest'arte et a voi la dono. 7r. / Seconda regola o Primo consiglier o luoghi, son nominati da me, ché tutti questi tre nomi significano una cosa medesima come si dichiara per la figura dipinta a uso d’huomo consigliere del Re, ché detto consigliere tiene una mano sopra a un map- pamondo dipinto nel quale si vede città, terre, castelli, case, botteghe, così anco chiese, palazzi, vie, piazze, conventi di reli- giosi e a molte altre cose [....] / 17 v. Però io ho fatto molti Alfabeti diversi acciò che tu gli legga e vi facci pratica, un Alfabeto è di fiumi laghi e pesci, un di pietre preziose e tutte l'altre pietre insieme, un d’'erbe c piante piccole, un di fiori, un d’alberi e frutti grandi, un d’animali grandi e piccoli... un di città, un di casati fiorentini, un d'arti meccaniche e liberali o exercitii o servitù che si faccino per guadagnare, un d'huomini honorati [....]. APPENDICE VI. IL PETRARCA MAESTRO DI ARTE DELLA MEMORIA In un saggio più volte citato nel corso di questo libro (The ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 889-894) la Yates ha segnalato una serie di testi di ars memorativa nei quali compaiono espliciti richiami al Petrarca. Nel Congesto- rium artificiose memorie, pubblicato a Venezia nel 1520, Johan- nes Romberch si richiama più volte al Petrarca attribuendogli anche la paternità di non poche affermazioni di carattere “tec- nico” sui /oci e sulle imagines (pp. 20r., 28r., 29r.); nella Plutosofia di Filippo Maria Gesualdo (Padova, 1592, p. 14r.) il Romberch viene addirittura qualificato un seguace della mne- motecnica del Petrarca; nella Prazza universale (Venezia, 1578, Disc. LX) Tommaso Garzoni include il Petrarca fra i più noti cultori di mnemotecnica; Lambert Schenkel nel Gazophy- lacium artis memoriae (Argentorati, 1610, pp. 26-28), dopo aver riportato un lungo passo dei Rerum memorandarum libri (ediz. di Basilea, 1581, I, p. 408; ediz. G. Billanovich, Firenze, 1943, pp. 46, 48), fermi che l’arte mnemonica fu dal Pe- trarca «avide susceptam et diligenter excultam » (Gazophy- lacium, cit., p. 28). Gli sparsi accenni alla memoria, alla memoria artificiale, agli illustri esempi di prodigiosa memoria presenti nell’opera del Petrarca sono stati elencati, con la precisione che le è consueta, dalla Yates: nessuna specifica regola di mnemotec- nica, né alcuna esaltazione o raccomandazione dell’ars memo- riae — della cui divulgazione il Petrarca era tuttavia a cono- scenza («Itaque minus miror tantis nature preditum mune- ribus artificiosam memoriam contempsisse, que tum primum in Grecia reperta, apud nos hodie vulgata est », Rerum mem. libri, ediz. Billanovich, p. 46) — è presente nell'opera dell’au- tore del Canzoniere. La tradizione che vede nel Petrarca un “classico” della letteratura sulla memoria non nasce tuttavia dal semplice desiderio — così diffuso negli autori di questi trattati — di invocare sempre nuove “autorità”. Essa ha ori- APPENDICE VI 293 gini precise: « I think one can see how the tradition about Petrarch as an advocate of the classical mnemonic arose. Eve- ryone knew that the great scholastics in treating memory as a part of prudence had recommended the artificial memory. It was therefore supposed that when Petrarch treated memory as a part of prudence by giving amongst his exempla the me- mories of great classical rhetors in which he made allusions to the classical mnemonic, he thereby meant — though in his own ’humanist’ way — to recommend it. And it was pro- bably further supposed that in the description of the memory of his friend he was describing the feats of a modern ’ artift- cial memory” based on the practice of the ancients. This was certainly the assumption made by Lambert Schenkel, in the passage referred above » (p. 893). Con le conclusioni della Yates sembra difficile non concor- dare, anche se l’unico passo del quale disponiamo per renderci conto delle origini di questa curiosa tradizione, contiene affer- mazioni che solo parzialmente confortano le affermazioni ora citate: «Qui autem aequus rerum aestimator, considerans quae ex Francisco Petrarcha hic citata sunt, nempe artificio- sam memoriam sua aetate vulgatam fuisse, militem illum ami- cum ab adolescentia multorum itinerum individuum comitem ipsi fuisse, saepe totos dies et noctes colloquiis traductos, alias- que circumstantias, ac maximam occasionem consequendae huius artis, vel ab ipso, qui eam tali amico, viro tam docto, negare non putuisset, vel ab aliis, iudicet illam ab ipso esse neglectam; praesertim cum memoriae illius excellentia, com- muni omnium fama, celebretur et a scriptoribus in numerum illorum relatus sit qui admirabili memoria insignes fuerunt, ac scripta facile testentur quantus ille orator, quantus poeta latinus, quodque italorum poetarum princeps habeatur, unde recte colligitur artem memoriae avide ab illo fuisse susceptam et diligenter excultam, atque maximo sibi in studiis omnibus adiumento et ornamento fuisse ». (Gazophylacium, cit., p. 28). Comunque stiano le cose, è certo che la tradizione del Pe- trarca maestro e teorico della memoria artificiale si estende molto al di là dei limiti cronologici indicati dalla Yates (« the tradition of associating Petrarch with mnemonics goes on even into the early seventeenth century », p. 890). Negli scritti di Jean Belot pubblicati nel 1654 e in seguito riediti nel 1669, 294 CLAVIS UNIVERSALIS 1688, 1704, il nome del Petrarca compare accanto a quelli di Pietro da Ravenna e di Giordano Bruno (Les oeuvres de M. Jean Belot contenant la chiromance, physionomie, l'art de memoire de Raymond Lulle, Lyon, 1654, p. 334). Nella lunga nota integrativa apposta dal Diodati alla voce Mémotre del- l’Enciclopedia di Diderot (Ediz. di Lucca, 1767, p. 263) ritro- viamo in pieno Settecento, accanto a quelli di Pietro da Ra- venna, di Jacopo Publicio, del Romberch, di Cosma Rosselli, il nome di Francesco Petrarca. APPENDICE VII. UNO SCRITTO INEDITO DI GIULIO CAMILLO Di carattere teologico e cabalistico è uno scritto inedito del Camillo sul quale ha di recente richiamato l’attenzione E. Garin (« Giornale crit. della filosofia italiana », 1959, 1, p. 159). Cfr. E. MANDARINI, / codici manoscritti della Biblioteca Orato- riana di Napoli, Napoli, 1897, p. 122 e il Ms. Pil. XV, n. ll, in 4°, sec. XVI, di cc. 55 non numerate. Lo scritto del Camillo inizia con un proemio caratteristico nel quale fra l’altro si af- ferma: « Et perché né più degno soggetto, né più alto si tratta del Sommo Dio, contenendo la presente Opera l’interpretazione dell’Arca del Patto, per la quale si ha la vera Intelligenza delli tre Mundi, cioè Sopra Celeste, Celeste et Inferiore, onde ne risorge la vera Cognitione Theologica, over Divina che dir vogliamo, qui è esponuto il Senario Canone Pitagorico et sfor- bito dal Ternario, cioè Artifex, Exemplar, Hyle. Qui è dichia- rato cos'è Materia, Forma et Privatione. Qui più luoghi delle Sacre pagine enodati et de oscuri fatti chiari. Qui vedrai ac- cordata la Pitagorica, et Platonica disciplina, con la philoso- phia et theologia nostra ». Di questo stesso testo del Camillo ho trovato un altro esemplare nel Ms. Aldino 59 della Bibl. Univ. di Pavia (Ms. cart. del sec. XVI, di cc. scritte e nume- rate 95, legatura in cartone, mm. 185 * 147). Anche qui, come nell’esemplare napoletano, segue un trattato De Transmuta- tone. Si veda a fol. 40r.: « Tre esser le une transmutationi, cioè: la Divina, quella delle Parole, et quella ch'è pertinente alli Metalli. Et tutte tre fra loro haver una maravigliosa corri- spondenza ». Al fol. 46r. sono ricordati Agrippa e Giovanni da Rupescissa. Le cc. 51r. segg. contengono una trascrizione dall’edizione veneta del 1548 della Porta della luce santa. APPENDICE VIII. ESERCIZI DI MEMORIA NELLA GERMANIA DEL SEC. XVII Com'è noto, i testi mnemotecnici di Pietro da Ravenna prima, e di Giordano Bruno poi, ebbero grande risonanza negli ambienti della cultura tedesca. Il brano qui di seguito trascritto costituisce un singolare documento dell’interesse, prc- sente anche in ambienti accademici dei primi anni del secolo XVII, per quegli esercizi di memoria che avevano avuto gran voga durante il Cinquecento, soprattutto in Italia e in Ger- mania. A questi divertimenti (recitare per esempio indiffe- rentemente dal principio alla fine o dalla fine al principio una filza di qualche centinaio di termini o di espressioni inusitate) si dedicavano del resto anche non pochi fra i maggiori emble- matisti del Seicento. Come ha ricordato M. Praz (Studi sul concettismo, Firenze, 1946, p. 233) il gesuita padre Menestrier, celebratissimo autore di un centinaio di opere di emblematica, faceva mostra della sua prodigiosa memoria davanti a Cristina di Svezia servendosi di esercizi di questo tipo. Il testo che segue è tratto da Joannes Paepp, Schenkelius detectus seu me- moria artificialis hactenus occultata, Lugduni, 1617, pp. 30 - 39 (copia usata: Trivulziana, Mor. M. 17). Negli scritti del Paepp (cfr. anche Artficiosae memoriae fundamenta ex Aristotele, Ci- cerone, Thoma Aquinate ecc., Lugduni, 1619, e Introductio facilis in praxin artificiosae memoriae, Lugduni, 1619) è parti- colarmente interessante il tentativo di fondereinsieme le figure della combinatoria lulliana e quelle in uso nella mnemotecnica “ciceroniana”. Il Goclenius, nominato nel testo, è personag- gio assai noto. Si vedano su di esso: Morhof, Polyhistor lite- rarius philosophicus et practicus, Lubecca, 1732, II, p. 455 e L. Thorndike, History of Magic and Experimental Science, New York, 1951, V, p. 326; VI, pp. 137, 368, 485, 506. Die XXIX Sept., styli veteris anni, MDCII, hora octava matutina convenerunt ad aedes celeberrimi ac magni illius philosophi et profes- soris D. Rudol. Goclenii, clariss. vir ac D. Henricus Ellenbergerus praeclarus medicinae doctor et professor, D. Mathias à Sichten Dan- tiscanus Borossus, ct M. Christophorus Bauneman Maior stipendiaro- APPENDICE VIII 297 rum. Petitque Schenkelius a D. Goclenio er D. Ellenbergero dictari XXV sententias, quas ipsc calamo excepit, pracposita cuique nota arith- metica, deinde intro vocavit ingenuum ac doctum adolescentem Dn. lustum Ingmannum, Cassellanum Hessum iuris ac philosophiae studio- sum cui cae omnes ordine prelectae sunt a Schenkelio, singulae bis interiecto aliquantulo more, omnibusque dictis tacitus aliquantisper sedit. Deinde exorsus loqui a prima ad ultimam ordine recto et retro- grado ab hac ad illam sine mora, haesitatione aut errore recitavit. Cum vero bis terve evenisset ut dictionem unam alteri pracponeret, ac bis ut synonymum pro synonymo in quibus facillimus est lapsus ita pro sic, limites pro fines, unico hoc verbo admonitus, dic ordine dixine ita? synonymum ponis: statim et eadem substituit vocabula et suo ordine. Postremo intercalari ordine quolibet expresso numero statim sententiam, aut dicto primo cuiuslibet sententiae vocabulo confestim numerum indi- cavit. Tum rogavit Dn. Iungmannum Schenkelius an vellet aliquas praeterea sententias adiici. Alacri animo XXV alias addi optavit. Verum Schenkelio respondente nimis multas fore, quindecim pettit; quas arti applicatas eadem dexteritate promptitudine qua superiores quolibet or- dine et separatim et cum aliis coniunctim intercalari repetiit. Fuerunt autem sententiae sequentes: 1. Omnia sunt fucata, nihil candoris in aula est. 2. Animus philosophi debet esse in sagina, corpus in macie. 3. Ut planctae saepius translatae raro perveniunt ad frugem, sic et ingenia vagabunda [....]. 39. Timiditas ignorantiam audacia temeritatem arguit. 40. Iuvandi non oppugnandi sunt qui nobis iecere fundamenta sa- pientiae. Si inter alias a Dominis aliquae dicerentur sententiae paulo tritiores quas coniiciebat D. Iungmannum antea memoriter scire, id sincere Do- minis indicavit Schenkelius aliasque illarum loco accepit. Si quoque aliquae iusto breviores videbantur petivit addi aliquid. Ut factum in XXIII et XXIV. Sequenti die XXX Septembris denuo convenerunt su- pra nominati domini ad acdes D. Mathaei Schrodij pharmacopolae hora nona et ab cisdem dictata sunt quinquaginta vocabula a Schenc- kelio excepta; et intro vocato Dn. Iungmanno singula semel praelecta, relicto ipsi paululum morae ad cogitandum et applicandum arti, deinde a primo ad ultimum ordine recto ab hoc ad illud retrogrado, postea intercalari quocunque numero dicto subiecit vocabulum, et contra no- minato quolibet vocabulo numerum sine mora, haesitatione vel errore. Interrogavit Schenckelius an placeret dominis plura dare. Videlicet: numerum illum duplicatum? Quod desiderabat quidem Dn. Iungman- nus, sed responderunt sufficere, nec se dubitare quin possit multo plura codem modo recitare. Postea Schenckelio conquestus est Dn. Iungman- nus dolere se quod non ad quinquaginta sententias et centum vocabula esset processum, haud dubie se optime repetiturum fuisse; fuerunt au- tem sequentia: 298 CLAVIS UNIVERSALIS I. Gobius, 2. Peristroma, 3. Ficedula, 4. Ephipium, 5. Phalerae, 6. Canabis [....], 49. Mantica, 50. Locaria. Rursus oblatis a Schenckelio Dominis ducentis sententiis in quibus sc exercuerat, Dn. Iungmannus dum specimini se praepararet, et quas iam memoria tenebat; una cum quadraginta heri pro specimine dicti- tatis, quibus pracpositac crant notae arithmeticae. Rogavit ut expri- merent quemlibet numerum et Dn. Iungmannus statim corresponden- tem diceret sententiam quod factum est feliciter, non sine praesentium admiratione. Cum praesertim magno id fieret numeri intervallo. E. g. dic 235, dic 27, dic 9, dic 240, dic 228... etc. Postremo Dominis sunt oblata 250 vocabula scripta in quibus partim se privatim ad specimen praepararat, partim cum Schenckelio cexercuerat ita ut illa quoque memoria tencret; quibus iam cadem hora erant apposita 50 alia, ut cum prioribus trecenta efficerent; et petivit Schenckelius ut Domini quem vellent numerum proferrent. Quod ita ut modo dictum est de sententiis fecerunt et statim Dn. Iungmannus vocabulum quodque red- didit. Si semel aut bis non diceret ipsam sententiam aut vocabulum servato prorsus ordine vocum, monitus rem acu non esse tactam, veram aut sententiam aut vocabulum illico restituit. Dic subsequenti primo Octobris interfuit Dn. Iungmannus concioni publicae R. D. Doc- toris Winckelmanni Concionatoris ac Professoris celcberrimi quam etiam valde attente audiverunt, ut certius de specimine iudicare pos- sent Eximius Med. Doctor et Professor Ellenbergerus et D. ac M. Chris- tophorus Baunemmannus, qui una cum Schenckelio concione absoluta iverunt recta ad aedes pracclariss. D. Goclenii, ut coram ipsis cam repcteret, quod fecit ita prompte ct exacte ut nihil ex tota concione esset practermissum. Haec omnia ita ut supra fideliter relata sunt se habere testamur cum ea nobis praesentibus, videntibus sententias et vocabula dictanti- bus, gesta sint et probata, omni fraude et dolo seclusis. In quorum fidem hoc veritati non minus quam equitati debitum testimonium nominibus nostris subscriptis siglillisgue munitum libenter Schenckelio vel non roganti dedimus. Marpurgi Hassorum anno, mense, die supra- positis. Rod. Goclenius L. Professor Henricus Ellenbergerus Med. Doctor et Professor Mathias à Sichten Dantiscanus Borossus Cristophorus Bauneman Maior stipend. APPENDICE IX. LA VOCE ART MNEMONIQUE NELL’ENCICLOPEDIA DI DIDEROT Commentando la voce Mémoire della grande Enciclopedia, il Diodati rimpiangeva che l’autore della dotta dissertazione non avesse fatto seguire alla trattazione della memoria natu- rale una esposizione, altrettanto ampia e precisa, delle regole della memoria artificiale (Ediz. di Lucca, 1767, X, pp. 263-64). Per rimediare a questa lacuna il Diodati ripeteva alcuni dei più tradizionali concetti della mnemotecnica di origine “cice- roniana”; aggiornava l’elenco degli uomini dotati di prodi- giosa memoria aggiungendo ai nomi di Plinio, di Aulo Gel- lio, di Cinea, di Ciro, di Seneca e di Pico, quello del Maglia- bechi; si richiamava ai nomi dei maggiori trattatisti; elencava infine alcune regole di medicina della memoria e i principali precetti dell’arte della memoria locale. La lacuna che aveva scandalizzato il buon Diodati, non esiste affatto nell’ Enciclopedia. Nel primo volume dell’opera (che lo stesso Diodati aveva annotato e pubblicato nove anni prima) un’intera sezione della lunga voce Art appare dedicata alla trattazione dell'Art mnémonique. Del testo, che è opera dell’Yvon (sulla cui figura e posizione intellettuale cfr. F. VEx- tuRI, Le origini dell’ Enciclopedia, Roma-Firenze, 1946, pp. 40-48) si trascrivono qui di seguito le parti essenziali. Nella identificazione dell’arte mnemonica con la logica, nell’appello alla chiarezza e alla distinzione, nell’idea di un ordinamento delle idee in una catena di premesse e di conseguenze, infine nel deciso rifiuto di ogni forma di “memoria artificiale” tradi. zionalmente intesa sono evidenti le influenze delle posizioni cartesiane. Le due opere alle quali l’autore fa riferimento sono: Marius D’Assicny, The Art of Memory, London, 1697 e Wix- KELMANN (che è pseudonimo di Stanislaus Mink von Venus- sheim), Logica mnemonica sive memorativa, Halae Saxo- num, 1659. On appelle ar: mnemonique la science des moyens qui peuvent servir pour perfectionner la mémoire. On admet ordinairement quatre de ces sortes de moyen: car on peut y employer ou des remedes physi- 300 CLAVIS UNIVERSALIS ques, que l’on croit propres à fortifier la masse du cerveau; ou de certaines figures et schématismes, qui font qu’une chose se grave mieux dans la mémoire; ou des mots techniques, qui rappellent facilement ce qu’on a appris; ou enfin un certain arrangement logique des idéesen les plagant chacune de facon qu’elles se suivent dans un ordre naturel. Pour ce qui regarde les remedes physiques, il est indubitable qu’un régime de vie bien observé peut contribuer beaucoup à la con- servation de la mémoire, de méme que les excès dan le vin, dans la nourriture, dans les plaisirs, l’affoiblissent. Mais il n'est pas de méme des autres remedes que certains auteurs ont reccomandés... qu'on peut voir dans l'art mmnemonique de Marius d’Assigny, auteur anglois... D’autres ont eu recours aux schématismes. On sait que nous retenons une chose plus facilement quand elle fait sur notre esprit, par les moyens des sens cxtérieurs, une impression vive. C'est par cette raison qu'on a tiché de soulager la mémoire dans ses fonctions, en réprésen- tant les idées sous de certaines figures qui les expriment en quelque facon. C'est de cette manière qu'on apprend aux enfans, non seule- ment à connoître les lettres, mais encore à se rendre familiers les principaux évenemens de l’histoire sainte et profane. Il y a méme des auteurs qui, par une prédilection singuliere pour les figures, ont appliqué ces schématismes à des sciences philosophiques. C'est ainsi qu'un certain Allemand, nommé Winckelmann, a donné toute la logique d'Aristote en figures... Voici aussi comme il définit la Logique. Aristote est représenté assis, dans une profonde méditation : ce qui doit signifier que la Logique est un talent de l’esprit et non pas du corps; dans la main droite il tient un clé: c’est-a-dire que la Logique n'est pas une science, mais un clé pour les sciences; dans la main gauche il tient un marteau: cela veut dire que la Logique est une habitude instrumentale; et enfin devant lui est un étau sur lequel se trouve un morceau d'or fin et un morceau d'or faux pour indiquer que la fin de la Logique est de distinguer le vrai d’avec le faux. Puisqu'il est certain que notre immagination est d’un grand secours pour la mémoire, on ne peut pas absolument rejetter la méthode des schématismes, pourvà que les images n’ayent rien d'extravagant ni de puérile, et qu'on les applique pas à des choses qui n’en sont point du tout susceptibles. Mais c’est en cela qu'on à manqué en plusieurs fagons: car les uns ont voulu désigner par des figures toutes sortes de choses morales et métaphysiques; ce qui est absurde, parce que ces choses ont besoin de tant d’esplications, que le travail de la mémoire en est doublé. Les autres ont donné des images si absurdes et si ridi- cules, que loin de rendre la science agréable, elles l’ont rendu dégot- tante. Les personnes qui commencent à se servir de leur raison, doivent s'abstenir de cette méthode, et tàcher d’aider la mémoire par le moyen du jugement. Il faut dire la méme chose de la mémoire que l'on appelle teckni- que. Quelques-uns ont proposé de s’immaginer une maison ou bien une ville, et de s'y représenter différens endroits dans lequels on pla- ceroit les choses ou les idées qu'on voudroit se rappeller. D'autres, au APPENDICE IX 301 lieu d'une maison ou d’une ville, ont choisi certains animaux dont les lettres initiales font un alphabet latin. Ils partagent chaque membre de chacune de ces bétes en cinq parties, sur lesquelles ils affichent des idées; ce qui leur fournit 150 places bien marquées, pour autant d'idées qu’ils s'y imaginent affichées. Il y en a d’autres qui ont eu recours è certains mots, vers, et autres choses semblables: par exemple pour re- tenir les mots d’Alexandre, Romulus, Mercure, Orphée, ils prennent les lettres initiales qui forment le mot armo; mot qui doit leur servir à se rappeller les quatre autres. Tout ce que nous pouvons dire là-des- sous c'est que tous ces mots et ces verbes techniques paroissent plus difficiles à retenir que les choses mémes dont ils doivent faciliter l'étude. Les moyens les plus sùrs pour perfectionner la mémoire, sont ceux que nous fournit la Logique; plus l’idée que nous avons d'une chose est claire et distincte, plus nous aurons de facilité à la retenir et à la rappeller quand nous en aurons besoin. S'il y a plusieurs idées, on les arrange dans leur ordre naturel de sorte que l’idéc principale soit suvie des idées accessoires, comme d’autant de consequences; avec cela on peut pratiquer certains artifices qui ne sont pas sans utilité: par exemple, si l’on compose quelque chose, pour l’apprendre ensuite par coeur, on doit avoir soin d’écrire distinctement, de marquer les différen- tes parties par de certaines séparations, de se servir des lettres initiales au commencement d’un sens; c'est ce qu'on appelle la mémotre locale... Les anciens Grecs et Romains parlent en plusieurs endroits de l'art mnemonique Cicéron dit, dans le Liv. II de Orat. c. LXXXVI que Simonide l’a inventé. Ce philosophe étant en Thessalie, fut invité par un nommé Scopas; lors qu'il fut à table, deux jeunes gens le firent appeller pour lui parler dans la cour. A_peine Simonide fut-il sorti, que la chambre où les autres étoient restés, tomba et les écrasa tous. Lors- qu’on voulut les enterrer, on ne put les reconnoître, tant ils étoient défigurés. Alors Simonide, se rappellant la place où chacun avoit été assis, les nomma l’un après l’autre; ce qui fit connoître, dit Cicéron, que l'ordre étoit la principale chose pour aider la mémoire. APPENDICE X. D’ALEMBERT E I CARATTERI REALI La voce Caractère della grande Enciclopedia (i caratteri tipografici vengono trattati dal Diderot in un'ampia voce Ca- ractères d'imprimerie) risulta dalla collaborazione di vari au- tori. Dopo alcune brevissime definizioni dell’ Eidous che di- stingue fra suoni e segni o figure e fa risalire l’origine dei carat- teri ai primi rozzi disegni tracciati sui corpi materiali, d’Alem- bert tratta brevemente della scrittura in generale cinviando: per una trattazione più analitica, alle voci Langue e Alphabet. Ai caratteri egiziani accenna in poche righe, rimandando alle voci Hiéroglyphe ec Symbole, il celebre grammatico Du Mar- sais. Seguono nell’ordine: una colonna c mezzo di d’Alem- bert dedicata ai caratteri reali e al problema della lingua uni- versale; una descrizione dei caratteridei vari alfabeti e dei segni impiegati in geometria e trigonometria di La Chapelle; una breve voce sui Caractères dont on fait usage dans l' arith- metique des infinis ancora di d’Alembert; infine una colonna circa del Venel sui Caractères de la Chimie. Si vuol qui richiamare l’attenzione sul secondo dei tre “pezzi” scritti dal d’Alembert. In questo testo troviamo pre- sente la contrapposizione baconiana dei “caratteri reali” (che esprimono non suoni o lettere, ma cose) ai “caratteri nomi- nali” (o normali lettere alfabetiche); vediamo ripreso il paral- lelo, presente nel De augmentis di Bacone e nell’ Essay di Wilkins, tra gli ideogrammi cinesi e i caratteri reali che pos- sono essere letti e compresi indipendentemente dalla lingua che effettivamente si parla; vediamo brevemente esposti i risul- tati cui erano giunti lo stesso Wilkins, George Dalgarno e Francis Lodowick; le riflessioni di Leibniz sulla caratteristica e sulla lingua universale (di questi interessi non fa cenno la voce Lerbnittanisme ou philosophie de Leibniz) vengono infine poste in un rapporto di diretta derivazione con le dottrine dei due autori inglesi. Le opere del Dalgarno, dello Wilkins, del Lodowick alle quali d’Alembert fa riferimento nel testo sono nell’ordine: Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philoso- APPENDICE X 303 phica, Londra, 1661; Essay towards a real character and a phi- losophical language, Londra, 1668; The grundwork or foun- dation laid (or so intended) for the framing of a new perfect language, Londra, 1652. Les hommes qui ne formoient d'abord qu'une société unique, ct qui n’avoient par conséquent qu’une langue et qu'un alphabet, s'étant extrémement multipliés, furent forcés de se distribuer, pour ainsi dire, en plusieurs grandes sociétés ou familles, qui séparées par des mers vastes ou par des continens arides, ou par des intéretéts differens, n'avoient presque plus rien de commun entr'elles. Ces circonstances occasionnerent les différentes langues cet les différens alphabets qui se sont si fort multipliés. Cette diversitt de caracteres dont se servent les différentes nations pour exprimer la méme idée, est regardée comme un des plus grands obstacles qu'il y ait au progrés des Sciences: aussi quelques auteurs pensant à affranchir le genre humain de cette servitude, ont proposé des plans de caracteres qui pussent ètre universels, et que chaque na- tion pùt lire dans sa langue. On voit bien qu’en ce cas, ces sortes de caracteres devroient étre réels et non mominaux, c'est-a-dire exprimer des choses, et non pas, comme les caracteres communs, exprimer des lettres ou des sons. Ainsi chaque nation auroit retenu son propre langage, et cependant auroit été en état d’entendre celui d'une autre sans l’avoir appris, en vo- yant simplement un caractere récl ou universel, qui auroit la méme signi- fication pour tous les peuples, quels que puissent étre les sons, dont chaque nation se serviroit pour l’'exprimer dans son langage particulier : par cxemple, en voyant le caractere destiné à signifier Sorre, un An- glois auroit lù o drink, un Frangois dorre, un Latin bidere, un Grec riverv, un Allemand trincken, et ainsi des autres; de méme qu'en voyant un cleval, chaque nation en exprime l’idée à sa maniere, mais toutes entendent le mème animal. Il ne faut pas s’'imaginer que ce caractere réel soit une chimere. Le Chinois et les Japonois ont déjà, dit-on, quelque chose de semblable: ils ont un caractere commun que chacun de ces peuples entend de la méme maniere dans leurs différentes langues, quoiqu’ils le prononcent avec des sons ou des mots tellement différens, qu’ils n’entendent pas la moindre syllabe les uns des autre quando ils parlent. Les premiers essais, ct méme les plus considérables que l’on ait fait en Europe pour l’institution d’une langue universelle ou philosophique, sont ceux de l’évèéque Wilkins et de Dalgarme: cependant ils sont demeurés sans aucun effet. M. Leibnitz a eu quelques idées sur le méme sujet. Il pense que Wilkins et Dalgarme n’avoient pas rencontré la vraie méthode. M. Leibnitz convenoit que plusieurs nations pourroient s'entendre avec les caracteres de ces deux auteurs: mais, selon lui, ils n’avoient pas attrapé les véritables caracteres réels que ce grand philosophe regardoit comme l’instrument le plus fin dont l’esprit humain pùt se servir, et 304 CLAVIS UNIVERSALIS qui devoient, dit-il, extrémement faciliter et le raisonnement, et la mémoire, et l’invention des choses. Suivant l’opinon de M. Leibnitz, ces caracteres devoient ressem- bler à ceux dont on sc sert en Algebre, qui sont effectivement fort simples, quoique très-expressifs, sans avoir rien de superflu ni d’equi- voque, et dont au reste toutes les variétés sont raisonnées. Le caractere réel de l'Evéque Wilkins fut bien regu de quelques savans. M. Hook le recommande après en avoir pris une exacte connois- sance, et en avoir fait lui-méme l'experience: il en parle comme du plus excellent plan que l'on puisse se former sur cette étude, il a eu la complaisance de publier en cette languc quelques-unes de ses décou- vertes. M. Leibnitz dit qu'il avoit en vàe un alphadet des pensées humaines, et mèéme qu'il y travailloit, afin de parvenir à une langue philosophi- que: mais la morte de ce grand philosophe empécha son projet de venir en maturité. M. Lodwic nous a communiqué, dans les transactrons plulosophi- ques, un plan d’un a/phabet ou caractere universel d’une autre espece. Il devoit contenir une énumération de tous les sons ou lettres simples, usités dans une langue quelconque; moyennant quoi, on auroit été en état de prononcer promptement et exactement toutes sortes de langues; et de d’écrire, en les entendant simplement prononcer, la prononciation d’une langue quelconque, que l'on auroit articulée; de maniere que les personnes accoùtumeées à cette langue, quoiqu'elles ne l’eussent jamais entendu prononcer par d'autres, auroient pourtant été en état sur le champ de la prononcer exactement: enfin cc caractere auroit servi comme d’étalon ou de modele pour perpétuer les sons d’une langue quelconque. Dopo aver accennato a tentativi più recenti (Journal Litté- raire del 1720, sul quale cfr. L. Coururat-L. Leau, Historre de la langue universelle, Paris, 1907, pp. 29 segg.), d'Alembert concludeva scrivendo: « Mais ici la difficulté est bien moins d’inventer les caractères les plus simples, les plus aisées, et les plus commodes, que d’engager les différentes nations à en faire usage; elles ne s’accordent, dit M. Fontenelle, qu’ì ne pas en- tendre leurs intéréts communs ». La sua sfiducia concerneva quindi, esclusivamente, la possibilità di una realizzazione pra- tica. Su questo punto le opinioni dei collaboratori all’Enciclo- pedia si configurano variamente. Per rendersene conto basterà confrontare la voce Langage nella quale veniva esplicitamente rifiutata la possibilità, anche teorica, di una lingua universale («Puisque du différent génie des peuples naissent les diffé- rents idiomes, on peut d’abord décider qu'il n’en aura jamais APPENDICE X 30)5 d’universel ») con la voce Langue nella quale veniva esplicita mente riaffermata la speranza in una pratica realizzazione della lingua universale: « Mon dessein n’est pas au reste de former un langage universel à l’usage de plusieurs nations. Cette entreprise ne peut convenir qu’aux académies savantes que nous avons en Europe, supposé encore qu’elles travaillas- sent de concert et sous les auspices des puissances ». INDICE DEI MANOSCRITTI I numeri in corsivo rimandano alle pagine nelle quali il testo del manoscritto è stato parzialmente o integralmente riassunto o trascritto. Gli altri rinviano alle pagine nelle quali il manoscritto è stato sempli- cemente indicato o richiamato. Firenze Hannover : Innichen Milano Monaco Napoli Laurenziana Ashb. 1226: 290. Nazionale II, 1, 13 (già Magliab.): 290-291. Conv. Soppr. I, 1, 47: 17, 271, 272-275. Magliab. cl. VI, cod. 5: 17-18. Magliab. Palch. II, 90: 271. Palat. 54: 17, 271, 272-275. Palat. 885: 28, 290. Riccardiana Ricc. 1538: 271. Ricc. 2734: 25. Phil. VI, 19: 250-252. Phil. VII. B. mi, 7: 250, 252-253. VIII. B. 14: 65. Ambrosiana D. 535 inf.: 52. E. 58 sup.: 25. I. 171 inf.: 25. I. 153 inf.: 70-73, 261, 262-270. N. 185 sup.: 54. N. 259 sup.: 69. R. 50 sup.: 26. T. 78 sup.: 19, 25, 26, 276, 277-285. Staatsbibl. 10517: 69. 10552: 73. 10593: 70-73, 76-77, 261, 262-270. 10594: 54. Oratortana Pil. XV n. IT: 295. 308 Parigi Pavia Ravenna Roma Torino Venezia INDICE DEI MANOSCRITTI Bibliothèque Nationale lat. 15450: 48-49. lat. 16116: 65-68. lat. 17839: 70-73, 261, 262-270. lat. 6443c: 54. Universitaria Ald. 59: 295. Ald. 167: 27. Ald. 441: 17. Classense Mob. 3.3. H2. 10: 28. Angelica 142 (B.5. 12): 25, 26, 276. Casanatense 90: 25. 1193: 25. Vaticana Ott. lat. 405: 69. Urb. lat. 852: 65, 73-74. Urb. lat. 1743: 31. Vat. lat. 3678: 22. Vat. lat. 4307: 22. Vat. lat. 5129: 22. Vat. lat. 5437: 70. Vat. lat. 6293: 27. Vat. lat. 6295: 54. Nazionale I. V. 47: 05. Marciana lat. cl. VI, 159: 19, 276. lat. cl. VI, 238: 26-27. lat. cl. VI, 274: 19, 20-23, 26, 27, 31-32, 33, 34, 276, 286. lat cl. VI, 292: 25. lat. cl. X, 8: 15. INDICE DEI NOMI Le cifre seguite da n rimandano alle note. Quelle in corsivo rin- viano alle pagine nelle quali gli autori sono più diffusamente trattati. In questo caso non si è fatto specifico riferimento alle note comprese nelle pagine indicate. Adanson M., 234. Agostino A., 1/4, 33, 145. Agrippa C., x, 2, 2n, 5, 6, 30n, 36, 41, 42-45, 58, 60, 82, 88-80, 98, 101, 120, 132, 133, 143, 145, 145n, 156, 160, 175n, 180, 239. Alberto Magno, xi, 5, 8, 12-14, 15-16, 19, 32, 37, 38n, 82, 95, 96 Alciati A., 37, 98n, 104. Alcuino, 14, !5n. Alembert J. B. d', 302, 303-304. Alsted ]. E., xi, xn, 53, 61, 62, 74:75, 79, 120, 124, 125, 132, 178, 179-184, 191, 233, 238n, 239, 247, 247n, 254. Alvarez E., 251. Anderson F., 153n. Andrade C., 201n. Andrei J. V., 184, 213, 213n. Apelt O., 10n. Aquilecchia G., 113n. Aristotele, 5, 8-9, 13, 14; 15, 16, 33, 56, 72, 75, 76, 124n, 128, 129n, 136, 137, 138, 180, 193n, 195. Arnaldo da Villanova, 35, 95. Aubry J. de, 130-131, 158-159, 160, 192. Austriacus ]., 127, 151, 15In. Averroè, 35, 35n, 95, 96. Avicenna, 35, 95. Avinyò J., 43n. Azavedo V. de, 127, 127n. 127n, 128n, Bacone F., x, xI, XII, XHI, XIV, 2, 5, 7, 8, 36n, 53, 58, 97n, 103, 134, 135, 140, 142-153, 160, 161-169, 175n, 176-178, 179, 184, 185, 191, 201-202, 203-206, 212, 215, 220, 220n, 233, 239, 242, 247n, 250, 251, 254, 302. Badaloni N., 109n, 125n. Baeumker C., 46, 47, 47n. Barbarigo A., 29. Barber W. H., xn1. Barlandus A., 89n. Barone F., xiv, 80n, 24In, 248, 248n, 256n, 258n. Bartholomess C., 109n. Bartolomeo da  S. 16-17, 19, 271. Batllori M., xv, 43n. Bayle P., 183, 183n. Beale J., 230. Becher J., 241, 24In, 242. Beck L. J., xiv, 174, 174n, 175, 175n. Bedel W., 2/4. Beeckmann I., 143, 159. Belaval Y., 240. Belot J., 132-134, Bessarione,. 41. Bianchini F., 38-39. Billanovich G., 292. Bing G., xv. Birch T., 207n, 2/0n. Bisterfield G. E., x, 238, 239. Bocchi A, 104. Bodin J., 106-107. Bochme ]., 213, 213n. Boezio, 35. Boher A. c F. (fratelli), 54. Boncompagno, 15n. Bonifacio del Monferrato, 29, 286. Bonifacio VIII, 52. Concordio, 293-294. 197-200, 310 Boole G., xiv. Borelli G. A., 252, 252n. Borsetti F., 27n. Bouelles (Bovillus) Ch., 41, 43, 43n, 51, 53, 113, 120, IB8I. Boyle R., x, 207, 2/0, 212, 230, 230n. Brigge L.A.S., In. Brucker ]., 91. Bruno G., x, xi, x, 5n, 6, én, 8, 3In, 36, 41, 43n, 60, 74, 79, 80, 82, 87, 88, 90, 92, 93, 96, 97n, 100, 108, 109-123, 124, 125-126, 128, 132, 132n, 133, 141, 179, 180, 239, 291, 294, 296. Bruxius A., 127, 127n, 252, 253. Buffon G. L. Leclerc de, 23In, 233, 233n, 234n. Bugislao di Pomerania, 29. Bullotta Baracco H., 44n. Bunemann J. L., 1l4n. Buondelmonti C. de, 104. Camillo G. C. {(Delminio), xu, 82, 83, 96-r10r, 107, 112, 133, 184, 187, 229n,295. Campagnac E. T., 212n. Campanella T., 126-127, 128, 186. Campanus, 135. Canterio A. P.J. (fratelli), 43, 43n, 181. Cantimori D., xv. Capland H., 19n. Cardano G., 130n. Carneade, 90. Carpenter F. I., 86n. Carrara G. A. da, 34-35, 95-96, 116, 116n. Carreras y Artau T. e ]J., 43n, 45n, 46n, 47n, 50n, 54n, 56n, 58n, 60n, 62n, 63n, 64n, 65, 69, 79n, 113n, 179n, 184n, 194n, 195n, 247n, 248n. Cartesio v. Descartes. Cassirer E., 36n. Cavalcanti B., 103, 103n. Cave Beck, 203, 214, 222, 241. INDICE DEI NOMI Caxton W., 85, 86. Cenal P. R., 194n. Chaichet A. E., 9n. Charland Th. M., 18n, 19n. Childrey J., 207. Christensen F., 20In. Church F.C., 94, 94n. Cicerone, xi, 2, 5, 7, ro, 12, 14, 15n, 17, 18, 28, 31, 3in, 32, 34, 41, 53, 58, 76, 82, 86, 89n, 90, 95, 124n, 125, 128, 137, 138, 206. Cinea, 90, 299. Ciro, 90, 145, 299. Clements R.I., 37n. Colli G., 194n. Collier A., xm. Comenio G.A., x, xI, XII, 5, 156-157, 178, 179, 184-191, 201n, 203, 251-216, 221-222, 247, 254. Copt E., 95n. Copland R., 30n, 86-87. Corsano A., 6n, II0, II0n, III, IlIn, 123n, 258n. Couturat L., xiv, 195n, 202n, 227n. 236n, 238n, 239, 239n, 241, 24In, 243n, 245, 246n, 248n, 257n, 304. Cox L., 86. Crasso, 90. Croce B., 97n. Croll M.W., 206n. Crombie A., xiv. Cues v. Cusano. Curtius E. R., 15n. Cusano N., 41, 49-50, 51, 82, 90-91, 109n, 121, 214. Daguì P., 43, 43n. Dalgarno G., xni, 203, 212, 255, 216, 218-219, 226-227, 229, 236, 241, 244, 245, 246, 249, 302, 303. Dal Pra M,, In. D’Assigny M., 4, 4n, 299, 300. Dassonville M., 136n. De Carpanis D., 32-34. INDICE DEI NOMI 311 De Corte M., 154n. De Gandillac M., 50n. Della Porta G.B., 82, 151, 15In. Delminio v. Camillo. Del Noce A., 159n. Democrito, 31, 3In, 32. De Morgan A., xiv. De Mott B., 20In, 21lIn, 213n, 228, 229n, 23In, 232n. Derham W., 23In, 232n. De Ruggiero G., 109, 109n. Descartes R., x, xII, xIv, 2, 8, 53, 97n, 130n, 134, 135, 142-146, 153-161, 169-178, 191, 209, 233, 235-236, 247n, 248, 250, 252. De Valeriis V. v. Valerio de V. Dibon P., 136n. Dicson A., 113n. Diderot D., 294, 299, 302. Diodati O., 294, 299. Diofanto, 196. Dolce L., 18, 18n, 87, 88n, 95n, 96, 103, 103n. Dominichi L., 44n. Direr A., 37n. Dutens L., 247n, 248n, 254n. 103-104, Edmundson H., 212, 229. Egidio da Viterbo, 286, 287. Eleonora d'Aragona, 29, 29n, 286. Emery C., 20In, 222n, 23In. Enrico III, 80, 126. Erasmo, 3, 3n, 4, 6, 98. Ernesti J. A., 10n. Erodoto, 35n. Fabri H., 252, 252n. Faral E., 84n. Farrington B., 167n. Feilchenfeld W., 238n. Ferdinando III, 196. Fernando de Cordoba, 43, 43n, 181, Ficino M., 5n, 36n, 82, 83. Fiorentino F., 103n. Firpo L., 5n, 126n. Fisch H., 208n. Fludd R., 41, 13s. Fontenelle B. de, 234, 304. Frey J.C., 193. Friedlander P., 195n. Fullwood W., 95n. Funcke O., 202n, 219n. Galatin P., 01. Galeno, 35, 56. Galilco G., xiv. Galmes S., 261. Garin E., xiv, 4n, 36n, 9%n, 97”, 101n, 110, 11On, 179n, 184n, 295. Garzoni T., 292. Gassendi P., 41, 141. Gellio A., 3In, 299. Gentile G., 113n. Gemma C., xII, 55-57. Gerhardt C.I., 237n, 239n, 24In, 242n, 243n, 244n, 245n, 247n, 248n, 254n, 256n. Gerson ]J., 49, 76. Gesualdo F.M., 88n, 127, 292. Gilson E., 46, 47, 47n, 170n, 174n. Ginanni P., 28n. Giorgio Veneto F., 101. Giovanni Rupescissa, 95. Giovanni di Salisbury, 14-15. Giovanni Scoto, 35, 60, 82, 121. Girardus, 26, 276. Giustiniani P., 101. Glovovia I. de, 79. Goclenius R., 180, 296, 298. Goffredo di Vinsauf, 84. Gohory J. (Leo Suavius), 83, 100. Gorini G., 18, 18n. Gottron A., 79n. Gouhier H., 154n, 175n. Gratarolo G., 34n, 94-96, 125, 130, 164. Gregoire P., x, 53, 57-59, 61, 76, 114, 160, 180, 184, 239. Grua G., 238n, 245n, 254n. Guardi v. Girardus. Guyenot E., 23In. 127n, 312 INDICE DEI NOMI Haak Th., 157n, 212. Halm C., 115n. Harriot Th., 209. Hartlib S., 210n, 2/5-2/2, 215n. Hawes S., 83-84, 85, 86. Henderson A.W., 201n. Heredia Paulus de, 101. Hildebrand W., 128-129. Hobbes Th., 209, 211, 239. Hoffmann G.G., 251. Hofmann ]J.E.,50n. Honecker M., 49n, 50n. Hook R., 237, 304. Horapollo, 104. Howell W.S., 15n, 84, 84n, 85n. Hubert R., 174n. Hume D., 1, In, 37, 258n. Husserl E., xiv. lagodinski I., 256, 256n, 257n. Ippocrate, 56. Isidoro, 15n. Ivo de Paris, 193-194, 247. Izquierdo S., 194-195, 196. Janer I. de, 43, 43n. Jasinowski B., 257n. Jones H.W., 208n. Jones R.F., 20In, 203, 204, 204n, 207n, 208n, 209n. Kabitz W., 238, 238n, 256n. Kant E., xt. Kemp Smith N., 174n. Keplero J., 175n. Kinner C., 229, 230. Kircher A., 195-196, 239, 241, 242. Klaeber F., 206n. Klein R., 5n. Klibanski R., 158n. Kliuùber L., 128n. Knittel C., 197. Komenski v. Comenio. Krabbel G., 102n. Kraus F., 50n. Kristeller P.O., 36n. Kvacala L., 157n, 184n. Landino C., 36. Lankester E., 232n. Laporte J., 159n. Laurad P., 10n. Lavinheta B. de, 41, 53, 54, 58, 74-78, 113, 132,145, 160, 181, 183n, 193, 247. Leau L., 202n, 304. Le Cuirot A., 128n. Lefèvre d'Etaples, 41, 43, 43n, 5I, 53, 74, 120, 1BI. Lehnert M., 21In. Leibniz G.G., x, xi, XII XII, xiv, 7, 53, 61, 79, So, 142, 178, 179, 191, 193, 195, 195n, 227, 235-236,237-258, 302, 303, 304. Lemmi Ch., 36n. Leporcus G., /35-1 36. Linneo C., 231. Liruti G., 98n. Littré-Haurdau, 73n. Livio, 35n. Lodowick F., 202, 212, 222, 229, 302, 304. Longpré E., 43n, 69n. Lullo R., x, xni, 5, 6, 6n, 7, 4l, 42, 42n, 43n, 44n, 45-48, 49, 50, 51-53, 54, 58, 60, 60n, 61-74, 75, 76, 78, 82, 101, 101n, 102, 112, 113, 115, 118, 119, 121, 125, 126, 128, 129, 129n, 13In, 132, 132n, 141, 143, 144, 145, 152, 153n, 156, 175n, 178, 179, 180, 180n, 181, 182, 192, 195, 213, 239, 255, 261-270. 43n, 65n, 69n, Machiavelli N., 83, 83n. Magliabechi A., 299. Mahnke D., 238n. Mandarini E., 295. Marafioto G., 108n, 127, 128n, 132n. Marciano Capella, 15n. Marciano di Eraclca, 251. Margirus J., 127n. Marx F., 1In. Marx ]J., 50n. 127n, INDICE DEI NOMI 313 Matteolo da Perugia, 35. Mazzoni ]., 108n. McColley G., 20In. McRae K.D., 107n. ‘McRae R., 247n. Melantone F., 89-90, 140, 140n, 164, 168, 180. Mentzinger, 88. Mersenne M., 157n, 235, 236. Mesnard P., 154n. Meyssonnier L., 130, 192. Michele di Nofri, 25n. Mink S., 62, 299, 300. Mocenigo G., 80, 126. Montaigne M. de, 3-4, 6, 5I. More H., 41, 236n. Morestell P., 129-130, 160, 192. Morhof (Morhofius) G., 104, 105n, 197, 197n, 296. Mosé, 99. Mounier Ph., 36n. Murner Th., 78-79. Myésier T., lc, 48-49. Niceron P., 179n, 20In. Nicolini F., 39n. Nizolio M., 238n. Nostiz G. de, 1/4, 141. Nuyens J., 9n. Oblet V., 179n. Ogden C.K. e Richards 1L.A., x1v, 201n. Oldenburg H., 237, 243. Oliver F.W., 23In. Olschki L., 109, 109n. Orazio, 16. Ortwin, 30n. Ottaviano C., 43n. Oughtred W., 209, 210. Ovidio, 284, 38. Pace G., 194. Paepp J., 124-125, 128n, 296, 297- 298. Panigarola F., 108n. Panofski E., 37-38n, 105n. Paracelso, 83, 121. Patrizzi F., 97, 98, 184. Pelayo M.M., 10In. Perkins, 113n. Petrarca F., 2, 88, 292-294. Petty W., 2/0, 2/4-2/5. Peuchert W.E., 184n. Piccolomini C., 180. Pico G., 36, 82, 83, I0I, 145, 159, I8I, 214, 299. Pietro d'Ailly, 76. Pio V, 80, 126. Pitagora, 54. Platone, 9n, 14, 56, 117, 129n. Platzeck P.E.W., 47n, 49, 07, 67n. Plinio, 299. Poisson P., 158-159. Poliziano A., 36. Postel G., 214. Prantl C., 47n, 48, 79n. Praz M., 37n, 105n, 296. Preti G., x1v,257-2581. Prost G.A., 44n. Publicio I., 38, 93, 294. 10In, Quattrocchi L., xv. Quintiliano, xi, 2, 5, 10-11, 14, 31, 41, 53, 76, 82, 88, 90, 125, 128, 136, 137-138. Rabelais F. 203. Ragone I., 19-22, 276. Ramo (de la Ramée, Ramus) P., xI, x, 2, 96, 98n, 107, 135-142, 164, 168, 177, 179, 180, 183, 233, 254. Ratke W., 4, 4n, 6, 184. Ravelli (Ravelinus) F., 127, 127n, 128n. Raven C.E., 23In. Ravenna P. da, xmn, 2, 6, 18, 27- 30, 34n, 41, 82, 86-87, 88, 90, 91, 92, Ill, 112, 113, 125, 127n, 128, 135, 136, 145, 155, 164, 286-289, 294, 296. Ray J., x, 230-232. Regius R., 12n. Renaudet A., 113n. Renzoni M., 23In. . Reuchlin J., 101. Ricci B., 98. Ricci P., 101. Riccio A., 29/. Riff, 88. Ripa C., 37-38, 104. Rivaud A., 257, 257n. Roberto di Basevorn, 18n. Rodolfo II, 80. Rogent E., 43n. Romberch J., 27, 30, 87, 87n, 95n, 125, 164, 291, 292, 294. Ross G.R.T., 9n. Rosselli C., x11, 82, 97n, 105-106, 107, 112, 113n, 125, 151, 15In, 164, 187, 290, 291, 294. Rossi P., 39, 125n, 136n, I81. Rufo R., 53-54. Ruscelli G., 100, 104. Russell B., xiv, 257n. 169n, Salomone, 99. Salzinger I., 46n, 73n. Scaligero (Scalichius) P., 102-103, 180. Schenkel (Schenkclius) L., xt, 88, 124, 125, 127, 127n, 128n., 143, 145, 154-155, 175n, 292, 293. Schiebler K.W., 213n. Scholem G.G., 10In. Schott C., 239, 241. Scioppius C., 251. Scoto v. Giovanni. Scott F., 21In. Scbond v. Sibiuda. Secret F., xv, 97n, 101, 102, 102n. Seneca L.A., 2, 14, 88, 90, 185, 299. Seznec J., 36n. Schute C.W., 9n. Sibiuda (Sabunde, Scbond) R., $0- 51, 214. Sibutus G., 87. Singer D.W., 109, 109n, 114n. INDICE DEI NOMI Simon N., 87. Simonide, 2, 10, 15n, 3In, 90, 115, 127n, 145, 301. Sirven, 174n. Sommer M., 127n. Sortais G., 21In. Spangerbergius ]., 88, 90-94, 113, 128n. Spinka M., 2IIn. Spinoza B., 252. Spoerri M. Th., 154n. Sprat Th., 207, 208-209, 215. Stimson D.L., 201n, 2IIn. Stubbc H., 208. Sturmius J., 98n. Suarez F., 180, 258n. Suavius L. v. Gohory. Syfret R.H., 20In. Talon (Talaeus) O., 141. Tartagni A., 28. Techmer F., 201In. Temistocle, 90, 145. Thomson G., 208. Thorndike L., 16n, 83n, 94, 94n, 95, 95n, 102n, 105n, 132n, 193n, 195n, 197n, 296. Tiraboschi G., 27n, 34n, 35n, 94n, 97n, 108n, 271. Tiziano, 37. Tocco F., 6n, 15n, 3In, 35n, 50n, 109, 109n, 116, 116n, 118, 118n, 120, 120n, 121, 271. Tolomco, 130n. Tomai P. v. Ravenna. Tommai P. v. Ravenna. Tommaso d'Aquino, xt, 5, 8, r2- 14, 15-16, 19, 32, 33, 37, 38n, 41, 82, 95, 124n, 128. Toscanella O., 103, 103n. Trapezunzio G., 103, 103n. Traversagni G., 86. Trendelenburg F.A., 256n. Trismegisto, 99. Troilo E., 109n. Turnbull G.H., 215n. Tuve R., 136n. INDICE DEI NOMI 315 Ugo da S. Vittore, 35. Urquhart Th., 202-203. Vailati G., 202n. Valeriano P., 104. Valerio Massimo, 28. Valerio de Valeriis, 43n, 53, 59- 6r, 76, 114, 160, 180, 164, 187. Valla L., 12n, 36. Vallicrosa J.M., 102n. Vansteenberghen E. de, 50n. Vasoli C., xv, zz0, Il, lllIn, 114n, I1l6n, 119n, 120n, 122n. Vassy L.R. de, 192-193. Venturi F., 299. Vico G., 39, 103. Viéte F., 210. Vincenzo di Beauvais, 15. Virgilio, 38. Volkmann L., 105n. Waetzold W., 37n. Waleys Th., 19. Walker D.P., 83n, 97n. Wallis J., 250-257. Ward S., 209, 210. Watson Th., 113n. Webster J., 207, 212. Wilkins J., xt, xi, xiv, 205, 203, 212, 216-226, 227-231, 232, 236, 237, 242, 245, 246, 249, 254, 302, 303, 304. Willis J., 127, 127n. Willoughby F., 230, 231. Wilson Th., 87, 113. Winans S.A., 19n. Winkelmann v. Mink. Yates F.A., 12, 12n, 15, I5n, 37n, 47n, 48, 48n, 49n, 68, 68n, 87- 88n, I10, 110n, 113, 113n, 290- 291, 292, 293. Yvon, 299. Zabarella C., 180. Zambelli P., xv. Zosima, 98. Finito di stampare in Como il 20 aprile 1960 nello stabilimento Arti Grafiche S. A. Paolo Rossi. Paolo Rossi Monti. Monti. Keywords: Cattaneo, Aconzio, Vico, Galilei, nato Paolo Rossi, adottato dalla zia materna, Monti, Vico, Vinci, Garin, Banfi, la storia della nazione italiana, Vico e la storia della nazione italiana, favola antica, dalla magia alla scienza, bruno.  – Refs. Luigi Speranza, “Grice e Rossi: l’implicatura di Vico” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rosso: la ragione conversazionale all’isola -- a Sicilia – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Corleone). Flosofo italiano. Scrive tre saggi. Il primo e “Varie cose notabili occorse in Palermo ed in Sicilia”. Il secondo e “Descrizione di tutti i luoghi sacri della felice città di Palermo”. Descrive le chiese di Palermo. Questo saggio è ricordato in vari altri saggi. Il terzo saggio e “Diario Palermitano”. Il comune di Palermo gli dedica una via.  Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Mira/bibl Siciliana. Ciccarelli e Valenza, La Sicilia e l'Immacolata. Atti del convegno,  Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia, Electa, Roma. Istituto di studi bizantini e neo-ellenici, Rivista di studi bizantini e neo-ellenici. Marzo, Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Opere storiche inedite. Valerio Rosso. Rosso. Keywords: filosofia siciliana, filosofia italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosso” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rota: la ragione conversazionale e la lavagna del gruppo di gioco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vigevano).  Filosofo italiano. Italian philosopher. Grice: “Many Italian philosophers would not consider Rota an Italian philosopher seeing that he earned his maximal degree without (not within) Italy! And right they would, too!” Saggi: “Pensieri discreti” (Garzanti). Dizionario biografico degl’italini. Palombi, “La stella e l’intero – la ricercar di Rota tra matematica e fenomenologia” (Boringhieri); Senato, “Matematico e filosofo” (Springer). Gian-Carlo Rota. Rota. Aune: “I left the play group when I realised that Grice could care less about blackboards!” -- Keywords: il primate dell’identita, Whitehead, fenomenologia, Husserl, Heidegger, tra fenomenologia e matematica, la stella e l’intero, discrezione, indiscrezioni, combinatoria e filosofia, la lavagna del gruppo di giocco. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Rota," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Rotondi: la ragione conversazionale a Roma antica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicovaro).  Filosofo italiano. I primi anni di attività della sua “libreria delle occasione” sono piuttosto travagliati in quanto le autorità fasciste, infastidite dalla tipologia eterodossa dei testi in vendita, operano diversi sequestri e infliggono sanzioni. Costretto a chiudere la libreria per evitare il richiamo alle armi della repubblica sociale. Considerato disertore, si rifugia con la famiglia a Vicovaro. Individuato in seguito ad una delazione, riesce fortunosamente a sfuggire alla cattura e si allontana verso le montagne che circondano il paese, inseguito dappresso da tedeschi. Disperando di potersi salvare, si nasconde nei pressi di una casa abbandonata, popolarmente ritenuta abitata dagli spiriti e qui avviene l'evento fondamentale sopra descritto che cambia la sua vita e le sue convinzioni, aprendolo alla conoscenza del mondo spirituale. Improvvisamente ha una visione folgorante nel nielo. Sedetti a contemplare la scena. Una catena di globi luminosi dall'alto scendevano fin giù, penetravano nella terra, poi altri che risalivano e poi ridiscendevano come per riunirsi in un misterioso convegno. Si senteno delle voci indistinte. Si trattiene ad osservare tale spettacolo misterioso salvandosi, in questo modo, dal rastrellamento in corso nel vicino paese di Roccagiovine. Questo primo decisivo contatto con il para-normale  raccontato in "Il protettore invisibile". Tale evento rappresenta l'inizio del suo studio e del suo interesse nei confronti dell'esoterismo e della spiritualità. Pubblica massime, proverbi e aforismi di Roma antica. Dà alle stampe “L’arte del silenzio e l’uso della parola”, un originale e lungimirante saggio il cui intento si manifesta già dalla dedica, firmato con lo pseudonimo di Vico di Varo, derivato chiaramente dal suo paese natale. Viene incaricato di redigere un opuscolo commemorativo in occasione dell'inaugurazione in Vicovaro del Monumento in onore delle vittime della strage nazista delle Pratarelle. Svolge una funzione di aggregazione e catalizzazione culturale in anni difficili in cui certi ambiti di studio venivano guardati con sospetto, quando non con manifesta ostilità.  Partecipa e svolge un ruolo tutt'altro che secondario nel Cerchio Firenze, una delle più importanti esperienze para-psicologiche collettive italiane. Lui la sua libreria,  sono ormai un punto di riferimento di tutto un mondo culturale in espansione e finalmente libero da ogni censura. Pubblica  titoli presso diverse case editrici -- Mediterranee, Astrolabio, Sugarco, S.A.S. --, firmandoli oltre che con il suo vero nome con il pseudonimo ‘Amadeus Voldben’, acronimo di “Volontario del Bene”. Tale nome d’arte sta ad indicare la missione che si e prefisso e che delinea nel libriccino “I volontari del bene”, vera e propria bibbia per tutti coloro che si riconoscono nel progetto di diffusione del bene.  Oltre al valore intrinseco degli scritti, sono le riunioni e la sua stessa presenza in libreria a suscitare curiosità e interesse presso un pubblico molto ampio che vede in lui una guida spirituale in grado di fornire suggerimenti mai banali e, da educatore, sempre comprensibili. Dietro la sua apparente severità, che è semplicemente rifiuto della superficialità, traspare la disponibilità e l'umanità, accessibili a chiunque si sforzi di varcare un civico di via Merulana. Si caratterizza da una produzione culturale ed una serena consapevolezza. Regala gemme di saggezza e consigli. Oltre ai testi pubblicati lascia altri scritti, alcuni pronti per la stampa altri bisognosi di revisione, che vengono pubblicati da i quali si sono impegnati a proseguire l'attività in libreria, mantenendosi fedeli all'impostazione originaria da lui delineata. La libreria riceve il riconoscimento di "negozio storico" da parte del Comune di Roma.  Opere: Saggezza ” (I della collana Le Perle, ristampato da Astrolabio. L'arte del silenzio e l'uso della parola, ristampato dalla Libreria Rotondi; Saggezza di Roma antica, collana Le Perle). Saggezza dell'antica Grecia, collana Le Perle). Amore e saggezza nel pensiero, collana Le Perle). Il giardino della saggezza, collana Le Perle). “Dopo Nostradamus: le grandi profezie sul futuro dell'umanità” (Mediterranee); “Un'arte di vivere: via segreta alla serenità” (Mediterranee); “La coppa d'oro: insegnamenti dei maestri, fonte di luce e di energia, SAS; Le influenze negative: come neutralizzarle, SugarCo,,  Il protettore invisibile: la guida che ci aiuta nei momenti difficili della vita, Mediterranee, La voce misteriosa, Astrolabio; Lo scopo e il significato della vita: perché si nasce, perché si vive, perché si muore, Mediterranee, I prodigi del pensiero positivo: il suo potere e la sua azione a distanza, Mediterranee, Il destino nella vita dell'uomo, Mediterranee, La re-incarnazione: verità antica e moderna, Mediterranee, La potenza del creder e la gioia d'amare: i prodigi della fede e dell'amore, Mediterranee,  Una luce nel tuo dolore, Mediterranee); “Guida alla padronanza di sé, Mediterranee, La magica potenza della preghiera, Mediterranee); La chiave della vita, Mediterranee,  La presenza divina in noi, Mediterranee, Le leggi del pensiero: l'energia mentale e l'azione della volontà, Mediterranee); Le grandi profezie sul futuro dell'umanità, Mediterranee. La potenza creatrice del pensiero, Mediterranee, Pensieri per una vita serena, Mediterranee); “Ricordo dei nostri martiri. Commemorazione in occasione dell'inaugurazione del monumento ai martiri delle PratarelleVicovaro, Tipografia Seti, Roma); “I Volontari del Bene” (Libreria Rotondi Editrice, Roma); “Reincarnazione e fanciulli prodigio, Mediterranee, Roma, La reincarnazione: verità antica e moderna, Mediterranee); “La voce misteriosa”; “Le perle”. L’arte del silenzio e l’uso della parola. La Libreria Rotondi è segnalata in molte pubblicazioni, tra cui la Guida ragionata alle librerie antiquarie e d'occasione d'Italia, C. Messina, Roma); A. Voldben, Il protettore invisibile, Edizioni Mediterranee, Roma,  La sua partecipazione agli incontri del Cerchio Firenze è ricordata in “Oltre l'illusione, Roma, Mediterranee, e “Oltre il silenzio” L. Campani Setti, Roma, Mediterranee). Dopo Nostradamus, I prodigi del pensiero positivo, Le influenze negative, Il protettore invisibile: Molte persone si rivolgevano a Rotondi per ricevere consigli. Una testimonianza letteraria di questa consuetudine si trova nel romanzo di  Giovetti Weimar per sempre (Mediterranee, Roma) in cui il personaggio si reca presso la Libreria delle Occasioni per ricevere suggerimenti su questioni spirituali e libri. Libreria Rotondi, Libreria delle Occasioni (La libreria fondata da Rotondi) La piccola miniera (da Il Corriere della Sera) Il libraio di via Merulana e i globi luminosi (da La Repubblica) Cerchio Firenze  (Esperienza parapsicologica collettiva) Andiamo alla scoperta (da La Piazza di Castel Madama.  ‘Vico di Varo’. Amedeo Rotondi. Rotondi. Keywords: Roma antica, antica Roma, le perle, Vicovaro, filosofia fascista, il veintennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rotondi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rovatti: la ragione conversazionale dei giocchi e gl’uomini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Modena). Filosofo italiano. Grice: “I do not know any other philosopher other than me or Austin who, like Rovatti, is obsessed wiith the concept of a ‘game’!” Studia fenomenologia a Milano con PACI. Insegna a Trieste. Si occupa dei rapporti tra fenomenologia e marxismo pubblicando “Critica e scientificità in Marx” e poi focalizzando in vari saggi il tema dei bisogni con riferimento anche alla psico-analisi. Le questioni concernenti il “pensiero debole” diventano il punto di partenza di “La posta in gioco: il soggetto” (Bompiani, Milano); “Abitare la distanza”, “Il paiolo bucato: la nostra condizione paradossale” (Cortina, Milano); “La follia in poche parole” (Bompiani, Milano); “L'esercizio del silenzio”; “Possiamo addomesticare l'altro? La condizione globale” (Forum, Udine); “Inattualità del pensiero debole” (Forum, Udine). Queste questioni riguardano soprattutto la possibilità di una «logica paradossale» e si articolano intorno ai temi del gioco, dell'ascolto e dell'alterità, tutti collegati alla questione della soggetto. Saggio su PACI.  Dalla filosofia del gioco nascono anche “Per gioco: piccolo manuale dell’esperienza ludica” (Cortina, Milano); “La scuola dei giochi” (Bompiani, Milano); “Il gioco di Wittgenstein” (EUT, Trieste). Si interessa alla consulenza filosofica, con “La filosofia può curare? La consulenza filosofica in questione” (Cortina, Milano). Altre saggi: “Il coraggio della filosofia” in «aut aut».  Tiene una rubrica sul quotidiano "Il Piccolo" di Trieste, “Etica minima”. Racoglie "scritti corsari" (cfr. Pasolini) in vari saggi: “Etica minima – saggi quasi corsair sull’anomalia italiana” (Cortina, Milano); “Noi, i barbari – la sotto-cultura dominante” (Cortina, Milano); “Un velo di sobrietà” (Saggiatore, Milano); “Accanto a una sensibile sintonia”. Si manifesta nella sua filosofia una particolare attenzione sul rapporto tra potere e sapere; “Gli ego-sauri” (Elèuthera, Milano); “Le nostre oscillazioni” (Collana Edizioni alpha beta Verlag, Merano); “L’intellettuale riluttante” (Elèuthera, Milano); “Restituire la soggettività. Lezioni sul pensiero di Basaglia” (alphabeta, Merano); “Consulente e filosofo. Osservatorio critico sulle pratiche filosofiche” (Mimesis, Milano); “Abitare la distanza. Per una pratica della filosofia” (Feltrinelli, Milano); “Scenari dell'alterità, Bompiani, Milano); “Il decline della luce” (Marietti, Genova); L'università senza condizione” (Cortina, Milano); “Fare la differenza” (Triennale di Milano, Milano); “Introduzione alla filosofia contemporanea, Bompiani, Milano); “Lettere dall'università, Filema, Napoli); “Trasformazioni del soggetto: un itinerario filosofico” (Poligrafo, Padova); “Dizionario dei filosofi” (Bompiani, Milano); “Elogio del pudore: per un pensiero debole” (Feltrinelli, Milano Intorno); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); “Bisogni e teoria marxista” (Mazzotta, Milano); “Critica e scientificità in Marx: per una lettura fenomenologica di Marx e una critica del marxismo di Althusser (Feltrinelli, Milano);  “La dialettica del processo” (il Saggiatore, Milano). aut aut. R.: il pensiero debole, sul  RAI Filosofia. Grice: “As Rovatti shows, it is possible to conceive of conversation as a GAME, with its own RULES, and MOVES. Pier Aldo Rovatti. Rovatti. Keywords: i giocchi e gl’uomini --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rovatti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rovella: la rgione conversazionale all’isola -- querce, o della filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Acreide). Filosofo italiano. Studia a Ispica e Catania sotto CARBONARA, laureandosi con un saggio di estetica, sul rapporto fra contenuto -- o materia -- e forma. Insegna a Noto e Palazzolo. Pubblica “L'uomo” (Giannini, Napol). In una serrata discussion affronta la meta-fisica ed espone il suo convincimento che la ricerca senza condizioni, attraverso l'intelligenza attiva e creatrice può aprire all'uomo orizzonti creativi, seppur rischiosi. La meta-fisica imprigiona in schemi rigidi e vincolanti. Pervenire all'auto-coscienza è il compito più degno degl’uomini, che pur problematico in sé non rimaneno imprigionati nel problematicismo. Altre opera: “Deneb” (Caltanissetta, Roma), romanzo filosofico che narra la pulsione verso l'oltre, attenuando, così, la precedente critica verso la meta-fisica e aprendo verso il mistero che comporta il confronto con tre donne che rappresentano tre volti diversi della verità. La stella “Deneb” è metafora della pulsione verso l'alto. Abbondano i riferimenti autobiografici da cui emerge l'attaccamento alla casa natia, che non abbandona, alla famiglia e soprattutto ad un modello di vita contadina morigerata e sobria. Lo stile   è affabulante. L'auto-coscienza e il trionfo della morte  in GENTILE in Il pensiero di Gentile (Enciclopedia Italiana, Roma). Qui si esamina il momento finale della vicenda umana e filosofica di GENTILE alla cuia filosofia è legato. “L'errore del cerchio” (Siracusa). Predomina il colloquio interiore, lo scavo nella coscienza e nella memoria. Procede come un giallo. Un tema attraversa gl’avvenimenti, la libertà e la necessità di un suo contenimento. “La fattoria delle querce” (Caruso, Siracusa). L’epopea della famiglia siciliana Capobianco, governata da una donna e sviluppata attraverso un intrigo di personaggi e di vicende. I discendenti Capobianco sono identici agl’ante-nati, e la ricerca della genealogia è il problema più assillante per i personaggi. Il mito dell'eterno ritorno dell'identico li e caro. Rimane sempre legato ai miti. Fisiognomica, astrologia, venti, odori e turbamenti fanno di questa opera un esempio di scrittura immaginifica e personale. Filosofia di non di facile consume traccia una “Imago siciliae”. Nella stessa aura de La fattoria sono scritti i racconti. Cambia di nuovo argomento, inizia quella che lui chiama “la fase cristica”, in cui la figura di Cristo e il rapporto fra le religioni sono il tema dominante. “L'ora del destino, dramma in due atti” (Accademia Casentinese di Lettere, Arti, Scienze ed economia, Castello di Borgo alla Collina, Arezzo,  L'Ora in persona di una donna consola il crocifisso che muore quando una congiuntura astrale perviene al suo compimento. In “Vita di Gesù” (Prospettive d'Arte, Milano) Gesù è visto nella sua umanità. La narrazione segue lo sviluppo dei vangeli sinottici, con qualche incursione negl’apocrifi. L'autore, che pur ne ha le competenze, si tiene lontano dalle problematiche gesuologiche e cristologiche. Vuole narrare un Gesù “così come parla al cuore”.  L'Angelo e il Re, con prefazione di Pazzi per i tipi di Palomar Bari. I nove mesi di gravidanza di Maria vergine sono narrati con un andamento che si mescola di esoterismo e sapienza umana. Maria spesso, nel mistero del suo concepimento, nella sua realtà quotidiana, vive le vicende del suo quartiere, con le sue amiche, con qualche momento di gioia esaltata e prorompente, con un tratto zingaresco. Attratto da zingari e vagabondi di passaggio, come incarnazione di una libertà che abbiamo smarrita. “Le Madri” (Utopia, Chiaramonte Gulfi). Vi si sente l'eco di Bachofen. Breve raro capolavoro, pieno di mistero e poesia, di un potere magico. “Asvamedha” (Utopia, Chiaramonte Gulfi) raccoglie racconti; “Inizio d'amore” (Studi Acrensi, Palazzolo Acreide) raccoglie altri racconti che l'autore pubblica in varie riviste letterarie nazionali, a cura dell'Istituto Studi Acrensi Palazzolo Acreide. I racconti, dice l'autore, vivono nell'aura dei romanzi di questo periodo.  “La vigna di Nabot, dramma in IV quadri” (Associazione Amici di Rovella, Palazzolo Acreide) narra le vicende del ersonaggio che incontriamo nel primo libro dei Re Cap. 21. La prepotenza dei potenti e la sacralità della terra dei padri sono il filo conduttore del dramma. Nabot muore per una questione di coerenza. Scuderi, La fattoria delle Querce, in Le Ragioni critiche, Menichelli in Esperienze letterarie,  Jacobbi, Il miracolo Deneb, in Arenaria, Palermo, Vettori, Il miracolo di Deneb e le profezie di Ruggero, Arenaria, Monachino Ester, Considerazioni su un romanzo di Rovella, in Le Ragioni critiche, Catania, E. Messina, Dal bagolaro alla sequoia” (Romeo, Siracusa); Messina, Alle radici del pensiero. La presenza dei suoi maestri” (Romeo, Siracusa). Giuseppe Rovella. Rovella. Keywords: romanzo filosofico, querce. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rovella” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rovere: la ragione conversazionale, o le confessioni di un meta-fisico romano -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. The family originates in Albisola, Savona, Liguria. Filosofo. Il giure civile del popolo italiano ha nel testo della legge positiva e speciale autorità sufficiente da soddisfare la giustizia ordinaria e da risolvere i dubii e acquetare le controversie intorno agl’interessi e agl’ufficii d'ogni privato cittadino. Di quindi nasce che possono alcuni curiali riuscire segnalati e famosi al mondo con la sola abilità del pronto ricordare, dell’acuto distinguere e dell'interpretare acconcio e discreto. Al giure delle genti occorre, invece, assai di frequente la discussione delle verità astratte. Perocché esso è indipendente e superiore all'autorità della sopra-citata legge. Si connette immediatamente al giure naturale che è al tutto razionale e speculativo. Spesso gli è forza di riandar colla filosofia sulle fondamenta medesime dell’ordine sociale umano, e spesso altresì non rinviene modo migliore per risolvere i dubii e acquetare le discrepanze fuor che indagare i grandi pronunziati della ragione perpetua del diritto, chiariti, dedotti e applicati mercé della scienza. Poco importa se i meta-fisici si bisticciano. Ma non va senza danno del genere umano il discordare e il traviare de' pubblicisti. E già si dice che il fine criterio degl’uomini illuminati coglie il certo e il sodo della scienza, ma non la crea e non l'ordina. La demenza degl’uonini fa talvolta scandalosa la verità. Laonde ella ha a pronunziare di se medesima. Non venni a recare la pace in mezzo di voi, sibbene la spada. Lo stato romano essere certa congregazione di famiglie la qual provvede con leggi e con tribunali al bene proprio e alla propria tutela -- tanto che sono competentemente adempiuti i fini generali della socialità e i particolari di essa congregazione. Lo stato romano non esiste per la contiguità sola delle terre e delle abitazioni, ma per certo congiungimento e unità delle menti e degl’animi dei romani. Il che riconosciuto e fermato, se ne ritrae ciò che pel diritto è primo principio ed assioma, non potersi da niuno e sotto niuna ragione arrogare la facoltà di offendere e menomare l'autonomia interna ed esterna dello stato romano insino a tanto che questo non provoca gl’altri ad assalirlo con giusta guerra. Ed eziandio in tal caso è lecito di occupare temporalmente il suo territorio e dominare il suo popolo nei limiti della difesa e dell'equo rifacimento dei danni. L'uomo individuo può nel servaggio e nelle catene serbare con isforzo la libertà dello spirito e compiere in altro modo e sotto altre condizioni certa eroica purgazione e certo mirabile perfezionamento della sua parte interiore e immortale. Ma ciò è impossibile all’intero popolo romano, il quale nel servaggio di necessità si corrompe ed abbietta, e quindi GRAVINA chiama assai giustamente la libertà della nazione romana sacro-santa cosa e di giure divino. L'anima non è vendibile e non è nostra, dicevano i teologanti per dimostrare da più parti la iniquità del CONTRATTO. E neppure la libertà è vendibile. E se l'usarla e abusarla è nostro, non è tale la facoltà e il principio infuso dal divino con l'alito suo divino e che al dire d’Omero vale una mezza anima. Lo stato romano possiede onninamente se stesso. Niuno fuori di lui può attribuirsene la padronanza. Quindi il popolo romano o vivono in se od in altri. Cioè a dire, o provedono al proprio fine con la legge e ordini propri e componendo un individuo vero e perfetto della universa famiglia umana. Ovvero entrano a parte d'altra maggior comunanza con ugualità di diritto e d’ufficio, come quelle riviere che ne' più larghi e reali fiumi confondono le acque e perdono il nome. Questa è la generale e astratta dottrina che danno la ragione e la scienza. La patria romana, impertanto, significa quella contrada e quella congregazione d’uomini a cui ciascuno degli abitanti e ciascuno dei congregati sentesi legato per tutti i doveri, gl’istinti, i diritti, le speranze e gl’affetti del vivere comune. La patria romana, considerata nella sua morale e profonda significazione, è il compiuto sodamento di ciascuno verso di tutti e di tutti verso ciascuno. Se la patria romana non ha debito né possibilità di nudrire del suo ogni giorno tutti i suoi indigenti, spietata cosa sarebbe inibire a questi di procacciarsi altrove la sussistenza. Prediletta opera delle mani del divino e la nazione romana. La nazione romana è pura, domandano essi, e tutta omogenea. Questo e il puro principio della nazionalità romana. Lo stato romano, dipendente come si sia da un altro non è, a propriamente parlare, autonomo. E e perciò, a rigore di definizione, neppure la denominazione di stato romano gli si compete. I prìncipi non sono, del certo, scelti dal divino immediatamente, ma sono dal divino immediatamente investiti della sovranità romana. Il popolo romano indica l'uomo a cui vuole obbedire e in quell'uomo è subito la pienezza della sovranità romana che dal divino gli proviene. Perocché come dal divino è istituito IL FINE della socievole comunanza, così è istituito IL MEZZO nella autorità del comando. È sicuro che nella lunghezza dei secoli le volontà e i giudizi umani si accostano all'assoluto del bene sociale, quanto che la via che viene trascorsa non procede diritta e spedita ma declina e torce continuo fra molti errori e molte misere concussioni. La libertà della nazione romana, essendo naturale ed essenziale agl’uomini e necessaria concomitanza d'ogni bontà, è doveroso per tutti il serbarla integra nella sostanza. E perciò, né il privato individuo si può vendere ad altro privato, né tutto il corpo de' cittadini assoggettarsi pienamente e perpetuamente al dominio d’altro stato. Poco o nessun valore ha il dissentimento dei piccioli e deboli, quando anche piglino ardire di esprimerlo; e CHI INVESTIGA LA STORIA DELL’ANTICA ROMA RI-TROVA che DELLE PROTESTE loro giacciono GRANDI FASCI dimenticati negl’archivi delle Cancellerie. Dacché siete i più forti, correte poco rischio di vivere ex lege alla maniera dei ciclopi. Ma confessare il diritto e contro il diritto procedere, non è conceduto a nessuno. E parlavano meglio quegl’ateniesi che alle querele dei milesi rispondevano senza sturbarsi. Il diritto è cosa pei deboli e non già pei forti e pei valorosi. Il popolo romano è autonomo. Con altri vocaboli, lo stato romano, vero è libero ed inviolabile. E la patria romana, nel significato morale e politico, è *sinonimo* di STATO romano -- in quanto questo compone uno stretto e nativo consorzio in cui ciascun cittadino ha debito e desiderio insieme di effettuare il grado massimo di unimento sociale e civile.  S’incominci dall'avvisare chi sono costoro che si querelano della libertà dello stato romano e ne temono danni così spaventevoli. Costoro sono i medesimi da cui si alzano lagni e rimproveri cotidiani per qualunque libertà, eccetto la propria loro. Vogliono limitare la stampa, limitare la libera concorrenza, limitare IL PARLAMENTO e in fine ogni cosa col pretesto volgare ed ovvio che il parlamento, il commercio, la stampa abusano di loro facoltà e trasvanno più d'una volta e in più cose. La volontà umana, dite, è corrotta e inchinevole al male. Può darsi. Ma privata di libertà so che depravasi molto di più e i padroni non meno che i servi. Non è lecito agl’uomini di esercitare nessun diritto qualora difettino pienamente delle facoltà e dei mezzi correlativi. Perciò il fanciullo, il mentecatto, l'idiota cade naturalmente sotto l'altrui tutela, e per ciò medesimo la parte meno educata del volgo ed offesa di troppa ignoranza, o posta in condizione troppo servile, non ha nel generale facoltà e mezzi proporziod esercitare diritti politici. Esaminato il fine del viver comune, fatta rassegna d'alcuni principii direttivi, più bisognevoli al nostro intento e poco o nulla NOTI AGL’NTICHI ROMANI, segue senza più che noi trapassiamo a contemplare l'ottimo ordinamento civile. Cosi noi delineeremo qnalche fattezza dell'incivilimento umano, contemplandolo nella natura primitiva ed universale del popolo romano, ed avvisandoci di non iscambiare l'alterato e il mutabile col permanente ed inalterato; e per converso, di non dar nome d'errore emendabile e di accidente transitorio a ciò che appartiene alle condizioni salde e durevoli della comunanza civile. Chè nel primo difetto cadono i troppo retrivi ed i pusillanimi; nel secondo, i novatori audaci e leggeri. GL’ANTICHI ROMANI con molto senno incominciano dall'insegnar quello che spetta al buono stato della famiglia, perché della comunanza umana l'individuo compiuto non è lo scapolo, ma l'ammogliato con prole o vogliam dire la famiglia, rimossa la quale non rimane intermezzo alcuno che tempri l'amor proprio e la fiera e violenta natura nostra.  L'organizzazione tanto è più eccellente quanto meno cede alle esterne azioni ed impressioni ed anzi modifica con maggior efficacia ed appropria a sé quelle azioni. È da confessare che un gran trovato fece lo spirito umano e giovevole soprammodo alla prosperità del viver sociale, quando mise in atto quello che fu domandato GOVERNO RAPPRESENTATIVO o parlamentare. Se dirai: carattere della nazione romana è la continuità e circoscrizione del suolo d’Italia. E la nazione e nella lingua romana, la letteratura e le arti. Se le origini e la schiatta; le colonie sono tal membro e così vivace del corpo della patria onde uscirono, da non potersene mai dispiccare, e la guerra americana è dalla banda dei sollevati iniqua e parricida. Gran questione poi insorge sulle genti di confine, le quali compongonsi il più delle volte di schiatte anfibie, a cosi chiamarle. Quindi noi vogliamo, per via d'esempio, i nizzardi essere italiani – ROMANI -- e i francesi li fanno dei loro. La compagnia civile comincia là solamente dove gl’animi si accostano, e sorge desiderio di regolato e comune operare. La giustizia apre e chiude i congressi degli dei, non quelli degl’uomini. La voce “nazione romana” nel suo peculiare e pieno significato vuol dire unimento e società d'uomini che la natura stessa con le sue mani à fatta e costituita mediante il sangue e la singolarità delle condizioni interiori ed estrinseche. Per talché quella società distinguesi da tutte l’altre per tutti gl’essenziali caratteri che possono diversificare le genti in fra loro, come la schiatta, la lingua, l'indole, il territorio, le tradizioni, le arti, i costumi. “Nazione romana” vuol significare certo novero di genti per COMUNANZA DI SANGUE, conformità di genio, medesimezza di linguaggio atte e pre-ordinate alla massima unione sociale. Lo stipite umano è ordinato esso pure a spandere discosto da sé le propagini e i semi. E ogni germe nuovo dee nudrirsi del terreno ove cade, non del tronco da cui si origina. Sieno rese grazie publicamente da tutta l'Italia a voi, o Valdesi, che l'antica madre mai non avete voluto e potuto odiare e sconoscere insino al giorno glorioso che è dal divino coronata la vostra costanza, e un patto comune di libertà vi riconciliava con gl’emendati persecutori.  S'io credessi quelle armi che assiepano IL FORO, DICE CICERONE, starsene qui a minacciare e non a proteggere, cederei al tempo e mi terrei silenzioso. Ma il fatto è che quelle armi NEL FORO induceno per se sole una fiera minaccia, tanto che CICERONE parla poco e male, e la paura ammazza l'eloquenza. Dal riscontro, per tanto, di tutte le storie, senza timore mai d'eccezione, e più ancora dalla ripugnanza intima di certi termini, quali sono felicità a servitù, spontaneità e costrizione, ricavasi questa assoluta sentenza che in una nazione civile come ROMA, nessun governo straniero – come Cartagine -- non può vantarsi mai né della legittimità interiore, né della esteriore che emana dall'assentimento espresso o tacito della popolazione romana. Non può aver luogo prescrizione, dove i diritti innati o fondamentali dell'uomo ricevono sostanziale ingiuria ed offesa; e di si fatti è per appunto la indipendenza o dimezzata o distrutta. Ogni cosa nell'uomo è principiata dalla natura e poi dalla ragione e dall'arte è compiuta.Voi stesso l'avete udito? Poerio: E come nò, se rinchiuso è con lui in una prigione medesima? Pignatelli: E è la vigilia della sua morte? Poerio: Appunto è  la vigilia. Sapete che valica la mezzanotte, una voce improvvisa e sepolcrale veramente rompevane il sonno chiamando forte per nome alcuno di noi; e quella chiamata voleva dire: vieni, ti aspetta il carnefice. La notte pertanto che seguitò quel mirabil discorso di Pagano gli sgherri gridarono il nome suo, e fu menato al patibolo. Pignatelli: Sta per mezzo a voi quell'omerica figura del conte di Ruvo? Poerio: Nò, ma in Castello dell'Uovo insieme con altri uffiziali e con l'intrepido Mantone. Nel Castel Nuovo e in quella carcere proprio dove è Pagano, sta il fratel vostro maggiore, principe di Strangoli, sto io, il Conforti, Cirillo, Granali, Palmieri, Russo e due giovinetti amorevoli e cari, cioè l'ultimo figliuolo dello Spanò ed un marchese di Genzano, bello come l'appollino e di cui sente Pagano particolare compassione. V'à una cagione suprema di tutte le cose, cagione assoluta e però insofferente di limiti e incapace d'aumento e di defficienza. Ma se niun difetto può stare in lei, ella è il bene infinito e comprende infinitamente ogni specie di bene. Ciò posto, la cagione suprema è altresì infinita bontà che raggia il bene fuor di sé stessa e ne riempie la creazione ed ogni ente se ne satura, a dir così, per quanto è fatto capace. Tale contenenza di bene è poi sempre difettiva perché sempre è finita. Di quindi si origina il male. Non si chieda dunque perché il divino è permettitore del male, ma chiedasi in quella vece perché piacque al divino, oltre all'infinito, che sussistesse pure il finito. Se il vivere nostro presente è condito di molto diletto e noi incapaci di conoscere e desiderare con ismania istintiva l'eternità, forse potrebbesi giudicare senza paradosso aver noi sortito quella porzioncella sola e frammento di beatitudine, brevissima ma sincera e inconsapevole della propria caducità. Col presupposto della immortalità, bene avverte BRUNO, alcun desiderio naturale non è indarno e alcuna lacrima non cade senza conforto. Con la immortalità non è affetto generoso perduto, non ferita dell'animo a cui non si apparecchi altrove copioso balsamo. Per entro il corso interminato e magnifico de'nostri destini, ogni male vien riparato, ogni speranza risorge, ogni bellezza rifiorisce, ogni felicità si rinnova e giganteggia ne'secoli. Poerio: Quando è possibile strappare dal cuor dell'uomo il concetto e la speranza della immortalità, il consorzio civile medesimo pericolerebbe di sciogliersi e i piaceri e le utilità stesse della vita presente verrebbero gran parte impedite o affatto levate di mezzo. I dotti e i legisti barbareggiavano sempre peggio, e pareva in loro una sorta di necessità tramutata in diritto, e niun discepolo mai se ne querela; e le lettere cadevano in tale grettezza, che nelle prose di Giordani si appuntavano parecchie mende di stile, ma nessuno accusava la tenuità dei concetti e la critica angusta e slombata. Colletta è stimato dai più uno storico sovrano e poco meno che un Tacito redivivo, ed altri istituivano paragone tra il Guicciardini e il Botta, tra Goldoni e Nota. Tale il gusto e il criterio comune. Pochi grandi filosofi non mancavano neppure a quei giorni. Basti ricordare Bartolini nella scultura; Leopardi e Niccolini nella poetica; Rossini, Bellini, Donizetti nella musica. In Italia scemando il sapere e la potenza meditativa, crebbe l'amore spasimato ed irragionevole della bellezza dell'abito esterno, lasciando a digiuno la mente e poco nudriti e mal governati gli affetti. Letteratura e filosofia vasta, soda e ben definita, e parimente larghe scuole e ben tratteggiate e scolpite mancano alla patria nostra da quasi tre secoli e piuttosto ne abbiamo avuto cenni e frammenti, e ogni cosa a pezzi, a sbalzi e a modo d'assaggio. Miei degni signori, il cibo che v'apparecchio è scarso, scondito e di povera mensa, ma è letteratura e non meta-fisica. Non appena l'esilio mi astrinse a lasciare l'Italia e fui spettatore d'altro ordine di civiltà e uditore d'altri maestri, subito mi si aprì dentro l'animo l'occhio doloroso della coscienza, ed ebbi della mia ignoranza una paura ed una vergogna da non credere. Per giudicare alla prima prima che tutto è vecchio e trito in un libro convien sapere dell'autore se nel generale à l'abito di pensar di suo capo. Ed egli evoca nuovi spiriti di più sublime natura, i quali entrano a uno a uno dentro la torre. Spirito del mare. Che vuoi? Barone. Sapere l'essenza del bene e la fonte della felicità. Spirito del mare. Perché lo chiedi al mare? Barone. Perché tu sai o puoi sapere ogni cosa; tu nei silenzj della notte tieni misteriosi colloquj con la luna e con le stelle che in te si riflettono; e tu pur ricevi nell ' ampio tuo seno i fiumi tutti del mondo, i quali ti raccontano le geste antiche dei popoli e le più antiche vicende dei continenti per mezzo a cui essi fluiscono senza posa. Spirito del mare. lo non so nulla (sparisce). Barone. Che tu venga malmenato in eterno dallo spirito delle procelle, e che i tuoi membri immortali sieno rotti e squarciati mai sempre dalle taglienti creste degli ardui scogli.  La coda del cavallo bianco dell' Apocalisse. Che vuoi? Barone. Sapere in che consiste il bene, e dove è la fonte della felicità. La coda. Perché lo chiedi a me? Barone. Tu sai la fine ultima delle cose, e tu comparirai poco innanzi della consumazione del secolo. La coda. Quando io comparirò, io ondeggerò nelle sfere, simile alla caduta del Niagara e più tremenda della coda delle comete. Ogni mio crine rinserra un destino; e ogni mio moto è un cenno di oracolo; ò trascorsi tutti i cieli di Tolomeo e i cieli di Galilei e i cieli di Herschel; ò lambita con la mia criniera la faccia delle stelle, e l'ò distesa sulle penne de' turbini; molte cose ò conosciute, ma non quel che tu cerchi: io non so nulla (sparisce). Dagli Arabi si travasò il mal gusto ne' Catalani e ne' Provenzali, e una vena non troppo scarsa ne fu derivata ne' primi nostri verseggiatori. ALIGHIERI egli pure non se ne astenne affatto; e noi peniamo a credere che a quel genio sovrano venisse scritta la canzone lambiccatissima della Pietra. Sa ognuno che nel seicento, con lo scadere dell' arte, ricomparvero quelle freddure e mattie, e ogni cosa fu piena di acrostici, d'anagrammi, d'allitterazioni e altrettali sciempiezze. Ma per buona ventura cotesta sorta vanissima di pedanteria non sembra ai moderni pericolosa; e dico ai romani, perché appresso gli stranieri non ne mancano esempj; e molti anno letto in un vivente poeta francese di gran nomea certi capricci di metri e di rime i quali dimostrano come in lui siensi venuti rinnovando tutti gli umori e le vertigini dei seicentisti. E nemmanco ci pare immune dalle stranezze di cui parliamo quel concepimento del Goethe di ordire la tragedia del Fausto con questa singolar legge che ogni scena fosse dettata in metro diverso ed una altresì in nuda prosa, onde potesse affermarsi che niuna maniera del verseggiare ed anzi dello scrivere umano (per quanto ne è capace il tedesco idioma) mancasse a quel dramma; nuova maniera e poco assai naturale e graziosa di porgere idea e figura del panteismo. Non può né deve il poeta scompagnarsi mai troppo dalle opinioni e dai sentimenti comuni dell'età sua; chè da questi principalmente è suscitato l'estro di lui, con questi accende e innamora le moltitudini. D'ogni altro pensiero ed affetto, ove li possieda e li senta egli solo, avrà pochi intenditori, pochissimi lodatori; e la favella delle Muse langue e muor sulle labbra se non suona ad orecchie benevole e a cuori profondamente commossi. In Inghilterra il Milton fierissimo repubblicano e segretario eloquente del gran Cromvello, à quasi sempre poetato di cose mistiche e teologiche e nulla v'à di politico, nulla d'inglese e di patrio, né nel Paradiso perduto, né in altri suoi canti. Riuscirà sempre a gloria grande e invidiata d'Italia che la Gerusalemme del Tasso compaja tanto più bella e mirabile quanto più in lei si contempla e considera intentivamente la perfezione del tutto. Certo, il Valvasone è meno forbito ed armonioso del Tansillo, meno fluido del Tasso seniore, meno corretto, proprio e limato de' più corretti e limati rimatori toscani; ma non per ciò si capisce come questa minor perfezione di forma, abbia potuto oscurare nel giudicio de' raccoglitori e de' critici il gran merito dell'invenzione. Che il Milton siasi giovato dell' Angeleide non so, quantunque fra i due poemi si vengan trovando molti e singolari riscontri che non è facile a credere casuali; ma questo io so bene che a rispetto della guerra degli angeli episodicamente introdotta nel Paradiso perduto, il Valvasone non perde nulla ad esser letto dopo l'Inglese e con quello essere paragonato; il che non avviene del sicuro né per l' Adamo dell'Andreini né per la Strage degl'Innocenti del cavaliere Marino, due componimenti che dicesi aver suggerito a Milton parecchi pensieri e l'ideal grandezza del suo Lucifero. L'ingegno poetico, in versificare ciascuno di quei subbietti, tende a spiegare una novità, un' altezza e una leggiadria suprema di concetto, di sentimento, di fantasia e di stile. Dove mancasse l'una di tali eccellenze, l'arte sarebbe difettosa e quindi increscevole. Ci venne osservato (cosa che per addietro non ben sapevamo) la critica letteraria incominciata in Italia con ALIGHIERI essere morta col Tasso e gli amici suoi; e come cadde con quel mirabile intelletto la nostra primazia nel ministero delle Muse, così venne meno la filosofia estetica; e il nuovo dell' arte non fu capito, l'antico fu dalla pedanteria svisato e agghiadato. L'arte critica antica ebbe ultimi promulgatori due grandi ingegni, il Muratori e il Gravina. Della critica nata dipoi con le nuove speculazioni e con le nuove forme di poesia, non conosciamo in Italia alcun degno scrittore e rappresentatore. Dopo Omero nessun poeta, per mio giudicio, può alzarsi a competere con l'Alighieri, salvo Guglielmo Shakspeare, gloria massima dell'Inghilterra. E per fermo, ne' drammi di lui l'animo e la vita umana vengon ritratti così al vero e scandagliati e disaminati così nel profondo, che mai nol saranno di più. Ma le condizioni peculiari della drammatica e l'indole propria degl' ingegni settentrionali impedirono a Shakspeare di raggiungere quella perfetta unione sì delle diverse materie poetiche e sì di tutte l'eccellenze e prerogative onde facciamo discorso. E veramente nelle composizioni sue la religione si mostra sol di lontano e molto di rado; e tra le specie differenti e delicatissime d'amore ivi entro significate, manca quella eccelsa e spiritualissima di cui si scaldò l'amante di Beatrice. Il poeta è dall'ispirazione allacciato e padroneggiato sì forte, da non saper bene sottomettersi all'arte ed alla meditazione. Il troppo incivilirsi dei popoli aumentando di soverchio l'osservazione e la critica e affinandovisi l'arte ogni giorno di più per effetto medesimo dell' esercizio e dell' esperienza e per desiderio di novità, mena il poeta a scordar forse troppo l'aurea semplicità degli antichi, il sincero aspetto della natura e i veri e spontanei moti dell'animo. Il compiuto e l'ottimo della poesia consiste in racchiudere dentro ai poemi con vaga e proporzionata unità di composizione tutto quanto il visibile ed il pensabile umano per ciò che in ambedue è più bello e più commovente. Consiste inoltre nel figurare e ritrarre cotesto subbietto amplissimo e universale con la maggior novità e la maggiore sublimità e leggiadria di concepimento, di fantasia, d'affetto e d'elocuzione che sia fattibile di conseguire. Laonde poi il concepimento, così nel complesso come nelle sentenze particolari, dee riuscir succoso, vario ed inaspettato e pieno di recondita dottrina e saggezza; l'affetto dee correre, quanto è possibile, per tutti i gradi e le differenze, e toccare il sommo della tenerezza e commiserazione e il sommo della terribilità. Tasso, anima pia e generosa, ma in cui (non so dir come) nulla v'era di popolare. Quindi egli s'infervorò della maestà teocratica dei pontefici e aderì alla nuova cavalleria cortigiana e feudale; quindi pure accettò con zelo e con osservanza scrupolosa l' ortodossia cattolica, e nella vita intellettuale quanto nella civile, fu dall' autorità dei metodi e degli esempj signoreggiato. Da ciò prese nudrimento e moto il divino estro suo e uscirono le maraviglie della Gerusalemme. Nel Tasso poi sono tutti i pregi e tutta quanta la luce e magnificenza della poesia classica, e spiccano altresì in lui alcuni attributi speciali del genio italiano in ordine al bello. In perpetuo si ammirerà nella Liberata ciò che l'arte, i precetti, l'erudizione e la scienza possono fare, ajutati e avvivati da una stupenda natura poetica. L'ARIOSTO significa la commedia umana quale la veggiamo rappresentarsi nel mondo, laddove ALIGHIERI fece primo subbietto suo il soprammondano, e in esso figurò e simboleggiò le cose terrene. E come il gran Fiorentino nelle fogge variatissime de' tormenti e delle espiazioni dipinse i variatissimi aspetti delle indoli e delle passioni, il simile adempiva l'Ariosto sotto il velo dei portenti magici e delle strane avventure. Ma certo qual narrazione di fatti umani riuscirà più vasta, più immaginosa e più moltiforme di quella dell' Orlando furioso? Quivi sono guerre tra più nazioni, nascimenti e ruine di molti regni, conflitto sanguinoso di religione e di culto, infinita diversità e singolarità di costumi, e tutto il Ponente e il Levante offrono larga scena e strepitoso teatro a cotali imprese e catastrofi. Quivi sono dipinte la vita privata e la pubblica, le corti e le capanne, i castelli ed i romitaggi; quivi s'intrecciano gradevolmente la cronica, la novella e la storia, e ciò che il dramma à di patetico, l'epopeia di maestoso, il romanzo di fantastico. Non credo che in veruna straniera letteratura possa come nella nostra volgare annoverarsi una sequela così sterminata di poemi eroici e di romanzeschi, parecchj de' quali brillerebbero di gran luce, ove fossero soli e non li soverchiasse la troppa chiarezza di Dante, dell'Ariosto e del Tasso. Né reputo presontuoso il dire che, per esempio, la Croce racquistata del Bracciolini o il Conquisto di Granata di Girolamo Graziane sostengono bene assai il paragone o con l'Araucana dell' Ercilla o coi medesimi Lusiadi di Luís Vaz de Camões ai quali ànno accresciuta non poca fama le sventure e le virtù del poeta; e per simile, io giudico che l' Amadigi del Tasso il vecchio o l'Orlando innamorato del Berni, non temono di gareggiare con la Regina Fata di Spenser e con quanto di meglio in tal genere ànno prodotto l'altre nazioni. Ma non è da tacere che in quasi tutti questi nostri poemi riconoscesi agevolmente l'uno o l'altro dei tipi che nel Furioso e nella Gerusalemme ricevettero perfezione, ed a cui poca giunta di novità e poche profonde mutazioni si fecero dagl'ingegni posteriori; e ne' poemi eroici singolarmente a niuno è riuscito di ben cantare i difetti del Tasso, molti in quel cambio li esagerarono. Scusabile mi si fa Marino e scusabili gl'Italiani, quand'io considero lo stato di lor nazione sotto il crudele dominio degli Spagnuoli, e fieramente mi sdegno con questi medesimi che nella patria loro ancor sì potente e sì fortunata, plaudivano a que' delirj e incensavano il Gongora, meno ingegnoso assai del Marino e di lui più strano e affettato. In fine, gioverà il ricordare che all'Italia serva, scaduta e dilapidata, rimaneva pur tanto ancora di prevalenza intellettuale appresso l'altre nazioni che de' trionfi più insigni e delle lodi più sperticate del cavalier Marino furono autori i Francesi; e per lungo tempo assai nessuno de' lor poeti seppe al tutto purgarsi della letteraria corruzione venuta d'oltre Alpe; testimonio lo stesso Cornelio, alto e robustissimo ingegno, ma nel cui stile nondimeno avria dovuto il Boileau ritrovare assai spesso di quel medesimo talco del quale parevangli luccicare i versi del Tasso. Dal Marino incominciò a propagarsi nel mondo una poesia fantastica e meramente coloritrice, la quale cerca l'arte solo per l'arte, fassi specchio indifferente al falso ed al vero, alle cose buone ed alle malvage, alle vane e giocose come alle grandi e instruttive; sente tutti gli affetti e nessuno con profondità, e nell'essere suo naturale od abituale, canta di Adone, come di Erode e così delle favole greche come delle bibliche narrazioni] Fiorirono in tale intervallo tre ingegni eminenti che forse mantennero alla lirica nostra una spiccata maggioranza su quella d'altre nazioni. Ognuno, io penso, à nominato ad una con me il Chiabrera, il Filicaja ed il Guidi. Dal solo Chiabrera fu l'Italia regalata di tre nuove corone poetiche; mercechè veramente nelle sue mani nacque e grandeggiò prima la canzone pindarica, poi la canzone anacreontica e infine il sermone oraziano; né mal s' apporrebbe colui che attribuisse al Chiabrera eziandio la rinnovazione del Ditirambo. Il Filicaja venne a tempi ancora più disavventurati, e quando più non era possibile discoprire ne' suoi Fiorentini un segno e un vestigio pure dell'antica fierezza repubblicana. Ma il senso del bene morale e la pietà religiosa fervevano così profondi nell'animo suo che bastarono a farlo poeta. Mai né in questa nostra patria, né fuori sonosi udite canzoni così ben temperate di splendore pindarico e di maestà scritturale come quelle del Filicaja. Nel Guidi allato a concetti ed a sentimenti spesso comuni e rettorici, splende una forma non superabile di novità, di bellezza e magnificenza. Certo, se a Guidi fosse toccato di vivere in seno di una nazione forte e gloriosa, non ostante la poca fecondità e vastità di pensieri, io non so bene a qual grado di eccellenza non sarebbe salita la lirica sua; perché costui propriamente sortì da natura Yos magna sonaturum, e ce ne porge sicura caparra la sua canzone alla Fortuna. A me sonerà sempre caro ed insigne il nome di Varano, perché da lui segnatamente, a quello che io giudico, s'iniziò il corso della poesia moderna italiana; e forse la patria non gli si mostra ricordevole e grata quanto dovrebbe. Chi trovasse non poca similitudine tra la mente del Varano e quella del Young, credo che male non si apporrebbe. Anime pie e stoiche ambidue, e dischiuse non pertanto agli affetti gentili, diffondono ne' lor versi un religioso terrore e un' ascetica melanconia che nell'Inglese riescono cupi, inconsolati e monotoni, e nell'Italiano s'allegrano spesso alla vista del nostro bel sole, e dai pensieri del sepolcro volano con gran fede alla pace e serenità della gloria immortale. Varano poi insieme col Gozzi restituì alla Divina Commedia il debito culto; Gozzi con li scritti polemici, egli con la virtù dell' esempio; ed ebbe arbitrio di dire a Dante ciò che questi a VIRGILIO: Tu séi lo mio maestro e il mio autore. Se non che il cantore delle Visioni chiuse e conchiuse l'intero universo nel sentimento della pietà e nei misteri del dogma, e non ben seppe imitare del suo modello la nervosa brevità e parsimonia, la varietà inesauribile e la peregrina eleganza. Se taluno dei suoi piuttosto scarsi scolari volle talora celebrare in R.. l'ultimo anello della catena che da GALLUPPI si continua in SERBATI e GIOBERTI, unanime e il consenso dei suoi maggiori contemporanei e dei posteri nell'affermare il valore pressoché nullo della sua vasta produzione filosofica. SERBATI e più scolastico, R. più civile. Quello quasi sterile in politica, questo R. molto feconda, risolvendo i problemi più ardui e interessanti della vita sociale. Quello è timido, questo R. Coraggiosa. Quello arriva a rifiutare sul terreno pratico le conseguenze de' suoi principii per un pregiudizioso rispetto di casta non evitando il disonore di una ritirata e la deformità del sofisma; R., per lo contrario tutta intrepido si sostenne colla gloria di una vittoria, colla dignità di una rigorosa coerenza, e colla bellezza di una vera argomentazione. SERBATI in un bel momento di sua ragione scrive stupende pagine sulla riforma del clero; poi ha la debolezza di ritirarle, impaurito dalle minaccia dell'indice. R. è oggi quel che era ne' primi giorni della sua vita pubblica, e non sa temere altro autorevole indice che quello del buon senso. Nel suo saggio, intitolalo “Del diritto” (Scolastica, Torino) i ammira il coraggio della coscienza di un filosofo, e la prudenza d'un uomo di stato. Riguardo poi ai pregi della forma, SERBATI è semplicemente filosofo, R. è un filosofo-oratore. Nel primo spicca la pura meditazione, nel R. si unisce il genio che feconda il deserto delle speculazioni metafisiche, delle avanzate astrazioni. In SERBATI vi ha una ricchezza povera, cioè una stiracchiatura di poche idee in molte parole, quasi diffidi della memoria, e dell'abilità del lettore. In R. vi ha una povertà ricca, cioè molte idee in poche parole; il che appaga l'amor proprio del lettore, e ne fa liete tutte le potenze della ritentiva e della ragione. Altri saggi: ““Dell'ottima congregazione umana e del principio di nazionalità romana e italiana” (Subalpina, Torino); “Pagano, ovvero, della immortalità”; “Dai Torchi della Signora De Lacombe”; “Prose letterarie” (Barbera, Firenze). Terenzio Mamiani della Rovere. Rovere. Keywords: confessioni di un metafisico, il rinnovamento della filosofia antica italiana, Vico, Cuoco, Cicerone, Roma antica, gl’antichi romani, il foro, il caso di Nizza, la communita di sangue. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e della Rovere," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Rovere

 

 Grice e Rubellio: la ragione conversazionale della filosofia sotto il principato di Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. Uomo di carattere encomiabile e studi filosofici che si ritrova al centro delle faide tra Agrippina e il figlio princeps NERONE per la sua ascendenza imperiale -- egli e cugino di secondo grado del princeps in quanto figli di cugine nipoti di Tiberio e bisnipoti adottive d’OTTAVIANO -- venne prima esortato, insieme alla moglie Antistia Pollitta figlia del console Lucio Antistio Vetere, a ritirarsi, verosimilmente dopo aver ricoperto solo la questura, nei possedimenti familiari in Asia e poi ucciso con la testa mozzata riportata a Roma.   Nel mezzo di tali vicende, brillò in cielo una cometa, che la credenza popolare interpreta come segno di cambiamento del re. Quindi, come se già  Nerone fosse stato cacciato, ci si domandava su chi sarebbe caduta la scelta, e sulla bocca di tutti correva il nome di Rubellio Plauto, la cui nobiltà derivava, per parte di madre, dalla famiglia Giulia. Amava le idee e i principi del passato, austero nel comportamento, riservato e casto nel privato, e quanto più cercava, per timore, di passare inosservato, tanto  più si parlava di lui. Le chiacchiere sul suo conto presero consistenza, quando si diede, con altrettanta leggerezza, l'interpretazione di un fulmine. Infatti, mentre Nerone banchettava presso i laghi di Simbruvio, in una villa chiamata Sublaqueum, i cibi furono colpiti dal fulmine, che mandò in pezzi la mensa, e ciò si era verificato nel territorio di Tivoli, da cui proveniva il padre di Plauto, sicché la gente credeva che il volere degli dèi l'avesse destinato alla successione, e parteggiavano per lui non pochi, per i quali vagheggiare avventure rischiose è una forma di ambizione suggestiva, ma in genere illusoria. Scosso dunque dalle voci,  Nerone scrisse una lettera a Plauto: lo invitava a farsi carico della tranquillità di Roma e a non prestarsi a chi propalava chiacchiere maligne: aveva, in Asia, terreni ereditati, in cui poteva passare, al sicuro, una giovinezza lontana da torbidi. Così Plauto là si ritirò con la moglie Antistia e pochi amici.Tacito, Annales. Syme. Related by marriage to Tiberio. Perceived as a threat by Nerone, he is sent to Asia where he is killed. He is a friend of Coerano and Musonio Rufo. Sergio Rubellio Plauto. Keywords: Nerone. Rubellio. 

 

Grice e Ruberti: la ragione conversazionale -- la natura abhorre il vuoto, o la tromba di Gabriele -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pideura). Filosofo italiano. Studia a Faenza e Roma sotto CASTELLI. Srive a GALILEI una lettera di risposta a sue richieste a CASTELLI, che assente in quei giorni lascia allo studente il compito di segretario. In tale lettera colge l'occasione per presentarsigli, che egli ammira grandemente. Il vivere da vicino le vicende del processo a Galilei gl’indusse a dedicarsi più strettamente alla matematica nonostante padroneggiasse gli strumenti teorici e fosse un abile costruttore di cannocchiali. Divenne segretario di Ciampoli, un filosofo devoto a Galilei, che segue nei suoi incarichi governativi nelle Marche e nell'Umbria. Castelli presenta a Galilei il saggio di R., “De motu gravium” suggerendogli di impiegarlo come discepolo e assistente. Così e e divenne assistente di Galilei e su domanda e insistenza di Galilei si trasfere nella sua abitazione. Alla morte di Galilei, Ferdinando II gli nomina matematico del gran ducato di Toscana. Studia geometria, dove anticipa il calcolo in-finitesimale. Si dedica alla fisica, studiando il mosso dei gravi e dei fluidi e approfonde l'ottica. Possede un laboratorio nel quale realizza egli stesso lenti e telescopi. Si dedica anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il baro-metro a mercurio chiamato, "tubo di Torricelli" o "tubo da vuoto”. Tale invenzione si basa nella misurazione della pressione atmosferica attraverso l'uso di questo tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione, viene riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm -- esperimento effettuato sul livello del mare. Proprio da questa invenzione nasce l'unità di misura della pressione "millimetri di mercurio" – mmHg -- e l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg -- la pressione di un'atmosfera corrisponde a 760 millimetri di mercurio. Pubblica “Opera Geo-Metrica”, della quale “De motu gravium” costituisce la II parte.  Si dice faentino e tale è considerato dalle persone che lo conosceno, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua morte nei registri battesimali di Faenza non hanno esito. Ciò da adito ad un secolare dibattito, durante il quale varie altre località romagnole rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Rossini ricostrusce l'albero genealogico della famiglia, originaria di Pideura, nel contado faentino, risalendo di due secoli oltre la nascita di R.. Bertoni, del liceo che da R. prende nome, trova nel registro dei battezzati della Basilica di S. Pietro in Vaticano il suo atto di battesimo. Ciò che trae in inganno i filosofi è il fatto che R. assume il cognomen Torricelli della madre. Si sa che il nome del padre e Gaspare. Pertanto, si cercano notizie di un inesistente Gaspare Torricelli. Viceversa, si hanno notizie di una Giacoma Torricelli e si ritenenne che è la zia paterna. È invece la madre. La lettera a Galilei, conservata alla Biblioteca Nazionale di Firenze fra i manoscritti galileiani, è il primo documento nel suo carteggio. Rappresenta un documento fondamentale per studiare la vita e l'opera del filosofo faentino. Descrive la propria formazione filosofica. Si dichiara a conoscenza dei fatti che portano a breve alla condanna di Galilei e dichiara la propria fede galileiana. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio Col. mo  Nella absenza del Rev. mo padre matematico di N. Sig. re, sono restato io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario. Fra le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma, a lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev. mo ne do parte in compendio. potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il padre abbate in ogni occasione, e con il maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li dialoghi di lei Ecc. ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa resolutione.  Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di professione matematico, scolaro del Padre R. mo di anni, e duoi altri havevo prima studiato da me solo sotto la disciplina dei gesuiti. Son stato il primo che in casa del padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già AVENDO ASSAI BENE PRTICATA TUTTA LA GEOMETRIA, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano, finalmente adhere, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, ed è DI PROFESSIONE E DI SETTA GALILEISTA. Il Padre Grienbergiero, che è molto mio, confessa che il libro di V. S. gli da gusto grandissimo e che ci sono molte belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l’ha lodato, crollando la testa. Dice anco che si stracca nel leggerlo per LE MOLTE DISGRESSIONI. Io gli ricordo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intessendo. Finalmente dice che V. S. si porta male con lui, e non ne vol parlare.  Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in un secolo nel quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un Ciampoli, mio amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R. mo la carissima di V. S., e le risponderà. Intanto V. S. Ecc. ma mi fa degno, ben che inetto, d'esser nel numero de' servi suoi e DE’ SEGUACI DEL VERO; che già so che il Padre R. mo, o a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per tale. E per fine a V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza.  Roma, Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma Sig. r Gall. Gal. La lettura approfondita delle “Due nuove scienze” di Galilei dei cui ultimi capitoli segue direttamente la stesura ad Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della meccanica ivi stabiliti. Tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo “De motu gravium”. Nell’ “Opera Geometrica” conceve il  principio del baro-metro, costruendo quello che ora è chiamato tubo di Torricelli e individuando il "vuoto torricelliano". Con VIVIANI dimostra che IL VUOTO ESISTE IN NATURA e che l'aria ha un peso PONENDO QUINDI FINE ALLE MILLENARIE DISCUSSIONI FILOSOFICHE SULL’HORROR VACUI. Un'unità di misura della pressione è stata chiamata “Torr” in onore alla madre di R. e corrisponde a millimetri di mercurio. L'unità di misura del sistema Internazionale è invece il “pascal”, in onore di un altro illustre fisico Blaise Pascal, che fa fiorire numerose ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione atmosferica descritta da Torricelli.  La parola “baro-metro” coniata da Boyle è quasi sempre associata al nome di R. che risulta quindi fra i più celebri filosofi italiani nella storia. Essendo in diretto contatto con Cavalieri inizia a lavorare con la geometria degl’indivisibili e ben presto supera, secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro. E abilissimo nell'utilizzarne le tecniche, cioè il metodo degl’indivisibili, come anche il metodo d'esaustione, che e in uso presso gl’antichi, fra tutti il grande Archimede, di cui è entusiasta ammiratore. A R. dobbiamo la riscoperta del matematico siracusano.  Per il gusto di imitare i classici, dimostra in XXI modi diversi un teorema di Archimede: XI con il metodo d'esaustione, X con il metodo degl’indivisibili.  Spesso i risultati ottenuti con la geometria degl’indivisibili venneno poi confermati con altre dimostrazioni, a causa della controversia sulla loro fondatezza.  Il fatto interessante è che lo stesso Archimede elabora una sorta di geometria degl’indivisibili, ma non la ritiene rigorosa, e perciò dimostra sempre i suoi risultati con il metodo d'esaustione. Tutto ciò si è scoperto quando si scopre un palinsesto con un'opera sconosciuta d’Archimede, il Metodo meccanico, nel quale espone questi procedimenti. -- è famoso per la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto “la tromba di Gabriele”, da lui chiamato “solido iper-bolico acutissimo”, avente l'area della superficie infinita, ma il volume finito. La tromba di Gabriele è considerato per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso R. stesso, che cerca diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro singolare. Il solido in questione scatena un'aspra controversia sulla natura dell'infinito, che ha coinvolto anche Hobbes. In questa disputa alcuni sostenneno che il solido conduce all'idea di un infinito completo. -- è stato pioniere nel settore delle serie infinite. In “De dimensione parabolae" R. considera una successione decrescente di termini positivi “{{0},{1},{2}}” e mostra che la corrispondente serie tele-scopica “{{0}{1})+{1}{2})+}” converge necessariamente a “{{0}-L{0}-L},” dove “L” denota il “limite” della successione. In questo modo riusce a dare una dimostrazione dell’espressione per la somma della serie geometrica. A Faenza è presente una statua di fronte alla chiesa di S. Francesco che lo raffigura con in mano un baro-metro a mercurio -- nella statua, l’altezza del barometro è proporzionalmente inferiore a quella reale, che deve essere di almeno 76 cm. -- Per la storia della scoperta della sua vera origine vedi anche Registrazione del convegno per lui, Fidio, C.  Gandolfi, Idraulici italiani, Biblioteca Europea di Informazione Cultura. In questa sperimentazione venne preceduto da Berti, che conduce un esperimento baro-metrico utilizzando acqua anziché mercurio. Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma Moon: Torricelli  G.  Rossini, Convegno di studi torricelliani in occasione dell’anniversario della nascita, Faenza, Lega, Bertoni, La sua faentinità e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del liceo Torricelli, Faenza, Ragazzini, Toscano, L'erede di Galilei. Vita breve e mirabile, Milano, Sironi. Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni,  Baro-metro di Torricelli, Equazione di Torricelli, Legge di Torricelli Torr, Tromba di Torricelli, Treccan Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Crusca. E. Torricelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Museo della Storia della Scienza, Firenze. Evangelista Torricelli Ruberti. Keywords: il vuoto, geometria.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruberti” – The Swimming-Pool Library  

 

Grice e Rucellai: la ragione conversazionale degl’amori di Linceo, o della filosofia imperfetta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Crusca. Discepolo di GALILEI e in certa guisa il depositario e spositore delle opinioni meta-fìsiche professate dal suo maestro. Di più: in cui la scuola di Galilei ha uno dei maggiori lumi. Afferma di essere amico e confidente di Galilei, ma ciò non corrisponde al vero. In verità si incontrano solo una volta quando e suo ospite nella villa di Arcetri. Men che meno e suo studente. Quanto poi alla meta-fisica di Galilei, i dialoghi filosofici parlano da soli.  Quando comincia a comporre i dialoghi presero persino a chiamarlo "il nostro sapientissimo Socrate". Ma anche questa è una bufala. Il fatto è ogni volta che compone un dialogo, ama recitarlo al suo palazzo davanti a un pubblico scelto di personaggi del bel mondo fiorentino. Che al suo palazzo, uno dei più ricche di Firenze, si mangia e beve gratis. Quindi più dialoghi recita, più si gozzoviglia. Per questo lo incitano a continuare. La verità è che in filosofia non vuole, non segue la ragione. Chiudendo gl’occhi alla scienza, in qualunque punto, non dice nero né bianco. Altro che discepolo di Galilei anche se a Firenze, a questa panzana, ci credeno in molti. Non è un caso dunque se i dialoghi sono pubblicati non per meriti filosofici, ma linguistici. I dialoghi sono citati dal vocabolario della Crusca, ed ottimo avviso è il farne spoglio abbondante perché la loro favella è veramente d'oro e, se lo stile procede talvolta prolisso, è sempre chiarissimo ed elegante e à gran ricchezza di voci e frasi, convenienti agli studj speculativi. Forse è proprio per la sua grande abilità nel farsi credere che, nel gran ducato, la sua stella sembra non tramontare mai. Ambasciatore toscano prima presso Ladislao IV e poi Ferdinando III. Intendente della biblioteca laurenziana. Tutore di Francesco Maria. Acclamato priore dell'accademia della Crusca con l’alias di “imperfetto” Strano perché lui, invece, è un perfetto: un perfetto bugiardo. Altre saggi: “Descrizione della presa d'Argo e de gl’amori di Linceo con Hipermestra”; Opuscoli inediti di celebri autori toscani, Prose e rime inedite di Rucellai, Tommaso Buonaventura, Degl’officii per la società umana”; “Della provvidenza”; “Della morale”, Crusca. Orazio Ricasoli-Rucellai. Ruscellai. Keywords: gl’amori di Linceo, imperfetto? perfetto – perfetto bugiardo. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rucellai”

 

Grice e Ruffolo: la ragione conversazionale dal guazzabuglio al possibilismo come terapia eutimistica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cosenza). Filosofo Italiano.Torna a Roma dal fronte della campagna greco-albanese della seconda guerra decorato con IV medaglie al valore per diverse intrepide azioni contro il nemico, in cui e ferito con arma da fuoco trapassante il petto. Organizza in seno al ministero dell'interno una cellula di resistenza partigiana, che gli vale l'attestazione di partigiano combattente e una medaglia di bronzo al valore partigiano. Per via della delazione di un componente del gruppo di resistenza è arrestato dalla banda Pollastrini-Koch e incarcerato alla pensione Jaccarino in via Romagna. Trasferito in Regina Coeli, condivide la cella con PINTOR e SALINARI, discutendo del dopo liberazione. Trasferito a via Tasso e interrogato da Kappler. L'iniziale sentenza di morte e commutata in deportazione. Qualche ora prima dell'ingresso degl’alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte dei tedeschi, usce dal carcere insieme per essere avviato su uno dei III torpedoni in attesa a Piazza S. Giovanni per essere deportato in Germania. Un IV torpedone e invece quello destinato all'eccidio di La Storta dove e ucciso BUOZZI. Lee SS gli impedeno il suo proposito di salire proprio sul IV torpedone, scostato dagl’altri, avvalorando la tesi che l'eccidio e pre-meditato e non una reazione impulsiva del comandante. Costretto a salire su uno dei restanti III torpedoni, si getta mentre il convoglio e in marcia. Riusce a far perdere le tracce e a liberarsi nonostante le S. S. hanno fermato il convoglio e lo insegueno nella campagna nei pressi di Ficulle. Dell’arresto e prigionia da conto in "Roma -- storia della mia cattura e fuga dalle S. S. dai nazisti” (Roma). Al termine della guerra, ha la carriera di notaio a Grosseto. Uomo colto, conversatore brillante con battute spesso umoristiche. In occasione della trasmissione "Testimoni oculari" di S. Zavoli, circa la detenzione a Via Tasso, venne intervistato il fratello Sergio. La sua condizione di laringectomizzato per il tumore alle corde vocali, e probabile causa della mancata intervista. Tuttavia non è citato nella trasmissione, in quanto il fratello omite di nominarlo nell'intervista, causando uno spiacevole dissapore familiare, tenuto conto delle drammatiche e indimenticabili circostanze di quei momenti vissuti insieme. Amico e intrattenne corrispondenza tra gl’altri, con ORLANDO, LEVI, RAGGHIANTI, BALDINI, TROMBADORI, VALERI, MORANTE, CASSOLA, MELLONE (‘Fortebraccio’), GUERCIO, RIPELLINO, GABRIELLI, E STERN. Notevole la mole dei suoi saggi filosofici e il cui interesse di pensiero, investe gli argomenti più disparati. Altri saggi: “La cosmologica” (Roma, Signorelli), opera poetico-filosofica. Fonda la “metafisica possibilista” basata sulla teoria della relatività generale e della fisica dei quanti; "America come pre-testo" (Roma, Ventaglio); "Il possibilismo: suggerimento filosofico eutimistico-terapeutico” (Roma, Mancosu); "Guazzabuglio"; “Quadri di una esposizione” (Roma, Barone); “Guazzabuglio” (Roma, Croce); “Oltre gl’ali di Icaro” (Roma, Mancosu). Nicola Ruffolo. Ruffolo. Keywords: Icaro, Cosmologica, possibilismo, guazzagublio, lo specchio del diavolo, implicatura eutimistica-terapeutica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruffolo” – The Swimming-Pool Library.  

 

Grice e Rufino: la ragione conversazionale del commentario filosofico – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Aquileia). Filosofo italiano. He comments some ‘saggi’ by Origen. Tirannio Rufino.

 

Grice e Rufo: la ragione conversazionale -- NAM CVM ESSET ILLE VIR EXEMPLVM VT SCITIS INNOCENTIÆ CVM ILLO NEMO NEQVE INTEGRIOR ESSET IN CIVITATE NEQVE SANCTIOR NON MODO SVPPLEX IVDICIBVS ESSE NOLVIT SED NE ORNATIVS QVIDEM AVT LIBERIVS CAVSAM DICI SVAM QVAM SIMPLEX RATIO VERITATIS FEREBAT – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo Italiano. Scolaro di Panezio. Combatte sotto Numanzia agl’ordini d’Emiliano SCIPIONE (si veda) come tribunus militum ed e pretore urbano. Al pari di MARIO (si veda) – e SCEVOLA augure, R. segue come legato Quinto Metello nella guerra contro Giugurta. Quando Mario, quale console, assunse il comando dell’esercito, R. ritorna a Roma. Console. R. segue l’amico Marco Scevola l’augure nel suo pro-consolato d’Asia. Condannato ingiustamente per accuse di nemici che si è procurato con la sua rigida onestà, R. vive da prima a Mitilene e poi a Smirne, e rifiuta l'invito di SILLA (si veda) di accompagnarlo a Roma. CICERONE conosce Rufo a Smirne. A Smirne, Rufo scrive un "De vita sua" e una storia di Roma. È oratore. I suoi discorsi hanno per la loro aridità impronta del Portico. Coltiva gli studi giuridici. Militari romani e politici romani. Console della Repubblica romana. Muore a Smirne. Gens: Rutilia. Console. Militare, politico e storico romano. Comincia la sua carriera militare al seguito d’Emiliano Scipione Africano minore, nella guerra in Spagna. R. è legato di Quinto Cecilio Metello Numidico, proprio nel corso della guerra contro Giugurta, durante la quale, fra i sotto-posti di Metello, vi è anche Gaio Mario. Si distinse nella battaglia del Muthul, nel corso della quale fronteggia un attacco di Bomilcare e organizza la cattura o il ferimento della maggior parte degl’elefanti da guerra numidici. Eletto console, ha come collega Gneo Mallio Massimo, il quale arriva secondo all'elezione. Le sue iniziative principali riguardarono la disciplina militare e l'introduzione di un migliore sistema di addestramento delle truppe. Legato di Quinto Mucio Scevola (si veda) l’augure, governatore della provincia d'Asia. Aiutando il suo superiore nei suoi sforzi di proteggere i provinciali dalle malversazioni dei pubblicani, R. si guadagna l'inimicizia dell'ordine equestre, al quale i pubblicani appunto apparteneno. Venne citato in giudizio con la grave accusa di estorsione ai danni di quegli stessi provinciali che lui ha fatto tutto il possibile per proteggere. L'accusa è sfacciatamente falsa. Ma, poiché le giurie della quaestio de repetundis -- il tribunale preposto al giudizio dei governatori e amministratori provinciali accusati di ruberie -- sono scelte fra i cavalieri, la sua condanna è cosa certa, a causa del risentimento che essi provano per lui. R. e difeso da suo nipote Gaio Aurelio COTTA (si veda), e accetta il verdetto con la rassegnazione che si addice a uno seguace del Portico e allievo di Panezio quale era lui. R. si ritira a vita privata dapprima a Mitilene e poi a Smirne -- forse un atto di sfida nei confronti dei suoi persecutori. È infatti accolto con tutti gl’onori nella medesima città nella quale, secondo i suoi accusatori, si è comportato da funzionario corrotto -- e dove Cicerone lo incontra non più tardi. Sebbene invitato da Lucio Cornelio SILLA (si veda) a fare ritorno a Roma, R. declina l'invito.  Durante il suo soggiorno a Smirne, R. scrive la propria autobiografia e una storia di Roma. R. ha infatti una profonda conoscenza della filosofia, della letteratura ma anche del diritto, e scrive dei saggi giuridici, dei quali alcuni frammenti sono citati nel “Digesto.” R. su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Momigliano, R. in Enciclopedia Italiana. R., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. R., su sapere; Agostini, R., Enciclopedia Britannica; R., su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore Quinto Servilio Cepione e Gaio Atilio Serrano con Gneo Mallio Massimo Gaio Flavio Fimbria e Gaio Mario II V · D · M Storici romani . Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Militari romani Politici romani Storici romani Militari Storici Nati a Roma Morti a Smirne Consoli repubblicani romani Rutilii Stoici. R., who came after BRUTO, is the first tribune of the people, then Consul, and subsequently proconsul of Asia. His ancestors had been both censors and consuls. All that is related of him is, that he is in high esteem with OTTAVIANO, who supports all his own plans by the reasonings of this great lawyer. Wise Romans. To the list of wise men recognised by the Greeks, the Romans are proud to add other names from their own history, thereby associating their philosophic principles with patriotic pride. From their mythology ENEA is selected, the man who crushes his desires that he may loyally co-operate with the destiny of his people. From the times of the republic SCIPIONE africano minore and his gentle companion LELIO; whilst in R. a Roman is found who, like Socrates, would not, when on his trial, consent to any other defence than a plain statement of the facts, in which he neither exaggerates his own merits nor makes any plea for mercy. Nam cum esset ille vir [R.] exemplum, ut scitis, innocentiae, cumque illo nemo neque integrior esset in civitate neque sanctior, non modo supplex iudicibus esse noluit, sed ne ornatius quidem aut liberius causam dici suam, quam simplex ratio veritatis ferebat. Cic. de Or. -- cf. Sen. Dial. Publio Rutilio Rufo. Keywords: Filosofia romana. Luigi Speranza, “Grice e Rufo” – The Swimming-Pool Library. Rufo.

 

Grice e Ruggiero: la ragione conversazionale di Remo e di Romolo – filosofia meridionale --  filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo Italiano. Scrive “Critica del concetto di cultura” (Catania, Battia), cui CROCE rimprovera la mancata distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista, senza aderire all'attualismo di GENTILE. Liberale, pur non risparmiando critiche alla classe politica espressa dal partito liberale. Insegna a Messina e Roma. Avendo aderito all'idealismo con GENTILE, la sua ri-vendicazione dei valori del liberalismo lo rende un esponente di spicco dell'opposizione al fascismo. Per non perdere la cattedra presta il giuramento di fedeltà al fascismo. Autore, tra le altre saggi, di una imponente Storia della filosofia  e di una Storia del liberalismo. Socio degl’esploratori italiani. Indaga nella storia della filosofia ROMANA la potenza di libertà costruttrice del mondo degl’uomini, e, auspicando in tempi oscuri il ritorno alla ragione, e ad Italia maestro ed apostolo di fede nell'umanità.  Saggi: Storia della filosofia,” “La filosofia greca” (Bari, Laterza); “Cristianesimo” (Bari, Laterza); “Rinascimento, riforma e contro-riforma” (Bari, Laterza); “La filosofia moderna: cartesianismo” (Bari, Laterza); “L’illuminismo” (Bari, Laterza); “Da Vico a Kant” (Bari, Laterza); “L'età del romanticismo” (Bari, Laterza); Hegel; (Bari, Laterza); La filosofia contemporanea (Bari, Laterza); “La filosofia politica italiana meridionale (Bari, Laterza); “L'impero britannico dopo la guerra”, Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari, Laterza); “Filosofi” (Bari, Laterza); “L'esistenzialismo” (Bari, Laterza); “Scritti politici”, Felice, Bologna, Cappelli,  La libertà, Mancuso, Napoli, Guida); Lettere a Croce (Bologna, Mulino); Croce, La Critica, I filosofi che dissero "NO" al duce, in La Repubblica, Un ritratto filosofico (Napoli, Società Editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia e politica (Firenze, Monnier); Treccani, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.    Griffo, La coscienza critica del liberalismo; Sgambati, Tra ethos e pathos.  Il diritto pubblico romano lascia, assai meglio del diritto privato, osservare le discontinuità e le suture, a testimonianza  delle sue radicali trasformazioni. Esso non presenta  un processo di sviluppo dall’interno, ma piuttosto  un’opera di lento accrescimento dall’esterno, che  fa coesistere il nuovo e l’antico, come per dissimulare i mutamenti da un periodo a un altro. La preoccupazione costante dei ROMANI è di salvare la continuità storica delle loro istituzioni, di sforzare il  primitivo regime cittadino, fino a includervi tutto  il ricco contenuto degl’acquisti posteriori. La città  è per essi un più saldo organismo che non la polis  dei Greci: il principio della sovranità popolare, come  fondamento della costituzione, vi è assai più stabilmente riconosciuto e presidiato, e, principalmente,  le magistrature cittadine vi rivestono quel carattere  e quel prestigio monarchico, che vivamente impressiona un greco romanizzato come Polibio. Lo spirito militare è in gran parte causa della maggiore  coesione e dell’acentramento della vita pubblica. Ma esso è anche il principio della espansione della  città in più vaste associazioni politiche, aventi per  base l’autonomia municipale, limitata soltanto dalle  esigenze della difesa dal nemico esterno. L’interesse  militare suggerisce infatti la prima grande federazione che, col nome di lega latina, aggruppa alcune  città sotto l’egemonia romana; che sarà il modello  delle future aggregazioni.   Il principio federale è quello che salva il nucleo  della città, pur mirando oltre la sparsa vita cittadina; e ad esso Roma si attacca per salvare sé stessa  insieme con le sue conquiste. Il lento processo di  assimilazione dei popoli soggiogati compiuto dalla  civiltà romana si fonda tutto sulla preventiva dissoluzione degl’originari stati nazionali e indigeni  e sulla trasformazione di essi in aggregati municipali  autonomi, e solo militarmente legati a Roma. L’idea  del decentramento amministrativo è certo una delle  più grandi che il diritto pubblico romano ci abbia  tramandato. Ma essa ha per l’antichità un valore  anche maggiore che per noi, perché storicamente  l’autonomia municipale è un passo importantissimo  nella formazione del nuovo principio dello stato, che  sorge sulla rovina delle nazionalità, e sul riconoscimento delle più minute unità cittadine, confluenti  con la loro vita propria nel più vasto organismo  politico. Si forma così una patria communis, che ha  sotto di sé una patria particolare, domus od origo  Questa doppia istanza della vita pubblica, che  da una parte favorisce la profonda esigenza del self-government t dall’altra include il particolarismo locale, come momento subordinato, nella più comprensiva vita statale, è una grande creazione romana. I  greci, che anche seppero moltiplicare, in numerose  colonie, la vita delle proprie città, non riuscirono  tuttavia a trarre dal particolarismo cittadino nessuna idea superiore e comune; cosi perdettero il  frutto del loro lavoro in una dispersione incapace di  [Mommsen. Le droit public romain, Paris] riflettersi nel suo principio creatore. Essi posero in  vita una folla di particolari in luogo di una universalità vera e propria; ciò che ne distingue l’opera  nettamente da quella dei ROMANI. Il municipio costituito in seno allo stato e subordinato allo stato è certo una delle manifestazioni  dìù notevoli e feconde dell’età di SILLA (si veda). Il periodo  sillano rappresenta però ancora un’età di transizione  tra i due momenti, della città e dello stato, quando l’antico particolarismo è quasi vinto, ma ancora non  balza fuori la nuova universalità. Il progresso, lungo  questa via, fino all’età di GIULIO (si veda) Cesare, è rapido e sicuro.  E vi ha contribuito, più che l’accrescimento diretto  del numero dei cittadini, mediante l’estensione del  diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un numero sempre maggiore di stati clienti, il cui regime  consta, senza eccezione, di due elementi: dipendenza  legalmente determinata in rapporto allo STATO ROMANO; indipendenza, o meglio, autonomia amministrativa. Il processo di romanizzazione è sollecito  per la sua stessa spontaneità. In presenza delle progredite istituzioni romane, le città della provincia  sono volontariamente tratte ad imitarle, abbandonando i vecchi costumi nazionali, presto riconosciuti  inadeguati alle esigenze della vita cittadina. Un segno della spontaneità di questo lavoro d’assimilazione è la scomparsa delle stesse tradizioni della  religione locale nell’occidente romano, come il druidismo nella Gallia. Roma, da parte sua, è parca nel concedere come  un premio ambito ciò che pure è suo interesse  precipuo di largire. Essa non accorda a tutte le città un’adeguazione politica completa, ma la lascia sperare alle più fedeli. Al di sotto delle città latine che  hanno tutte la piena cittadinanza, vi sono città sine suffragio o città di semi-cittadini, con diverse gradazioni di privilegi e più o meno scarsa reciprocità  verso la capitale. La più grande forza di attrazione  è da Roma esercitata per mezzo delle colonie, formanti la vera ossatura romana della vasta compagine  imperiale. Con l’estendersi delle conquiste, i piani  coloniali vengono ampliati e coordinati. Da Caio GRACCO (si veda), autore di un primo grande disegno organico,  a GIULIO (si veda) Cesare ed ai suoi imperiali successori, si svolge  un fecondo lavoro, che ha per scopo di popolare di  Romani le regioni occupate e di saldarle alla madre  patria. Il principio veramente romano che presiede  a questo lavoro è epigrammaticamente espresso dal  motto: ubicumque vicit Romanus, habitat. Ma se noi guardiamo nel suo insieme la configurazione politica del grande stato federale sull’unire  della repubblica, e prima che GIULIO (si veda) Cesare avesse stampato  nel diritto pubblico i segni del suo genio precursore,  essa ci colpisce con l’aspetto di un ingombro congestionante e poco vitale. L’impero è tutto ricondotto alla metropoli. I magistrati municipali di Roma  sono i signori del mondo, l’Italia e la provincia non  sono che un’appendice della capitale. Il rigido principio della conquista sforza fino alle estreme conseguenze il potente particolarismo nazionale dal quale  prende le mosse; e tutta la vita locale, fuori di Roma,  nel tempo stesso che viene elevata a una coscienza  nuova di sé, viene mortificata e depressa da una  taccia d’irrimediabile inferiorità rispetto alla nazione dominante. Manca un’idea unica che attraversi  e vivifichi tutte le membra del grande organismo. Il legame che lo connette è estrinseco e sovrapposto,  riassumendosi nella forza dell’imperium, che sanci-    [Sbn-ec., ad litio.] sce una eguale schiavitù ai popoli sotto la potenza  militare romana. Piccole città isolate e sterminati  regni sono aggiogati disordinatamente allo stesso  carro; purché l’esterno legame sia salvato, Roma  non si preoccupa della vita che internamente si  svolge nei suoi domini e la lascia in balìa all arbitrio di despoti indigeni. Essa regna sul mondo, ma  non lo governa; si appaga di un compito estrinseco  di polizia, che dia sicurezza ai propri commerci. La  sua coscienza mondiale si compendia nell’idea dello sfruttamento del mondo a suo profitto. Questa deficienza veniva osservata specialmente dagli orientali,  presso i quali erano più vive le esigenze della comunione spirituale dei popoli formanti uno stesso stato.  Apollonio di Tiana, anche quando l’impero aveva  portato molto più avanti il lavoro di unificazione del  mondo, lamenta l’eccessiva materialità del governo  romano, che si strania ed aliena gli spiriti. Una profonda trasformazione di regime s’inizia  però con GIULIO (si veda) Cesare, che, per l’immatura fine, non riesce  a portarla a compimento. Cesare dà il colpo di grazia  al nazionalismo latino e fonda la nuova idea imperiale, distaccandone il centro dal territorio di Roma  e idealizzandolo nella persona del monarca. La legge  cesarea dei municipi comincia col parificare, in  diritto, tutte le città, e col trasformare, conseguentemente, il significato della preminenza di Roma. Questa non è più l’impero stesso, ma la prima delle  municipalità dell’impero, e le sue magistrature scendono al livello di semplici cariche municipali. La  figura del monarca si distacca nettamente da quella  del magistrato. Non è più il princeps , cittadino tra  [Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken Welt. Berlin.  1901, UI.'p. 110.   2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep.] i cittadini, ma il dominus che trascende tutto il  mondo parificato al suo cospetto e riceve la propria  autorità direttamente dal divino. Questa idea è affatto  nuova allo spirito romano. GIULIO (si veda) Cesare l’attinge all’Oriente  e l’adatta arditamente ai suoi piani. Essa ha un  significato teocratico e mistico, che viene accolto  con diffidenza e senza convinzione dalla scesi frivola dell’ultima età repubblicana, ma conquista  l’età seguente, dominata da uno spirito di concentrato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad imporla  all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la  sua fede viva ed ardente.  Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità  giuridica della vita. Sotto il primo aspetto, egli è il  re-divino, l’incarnazione vivente della divinità, che allaccia, con la gerarchia ordinata dei suoi ministri,  tutto il mondo sottoposto. Sotto l’aspetto giuridico,  egli è il re-proprietario, al quale appartengono per  diritto proprio le persone e i beni dei soggetti. Quell’unità che i popoli sono incapaci di concepire  sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che pure è  un bisogno sensibile, immediato della loro esistenza,  essi la vedono incarnata e personificata nel Signore.  In questo foco si accentra tutta la sparsa vita spirituale di genti e razze diverse, che vi ravvisano un  senso alla propria riunione sotto un giogo comune  e sollevano e riscattano la loro schiavitù nella visione di un alto fine religioso di cui sono partecipi.  GIULIO (si veda) Cesare ha una chiara percezione dell’aspetto religioso della sua missione : la SANCTITAS REGNVM è per  lui il fondamento stesso del nuovo regime monarchico, da cui soltanto possono irradiarsi una potenza  e un prestigio coestesi alla vasta mole dell’impero. [Svet.. Jul. Caes.] Le conseguenze di questa premessa sono, per  il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento  politico e amministrativo, airindifferenza per la vita  locale delle città e degli stati particolari, in una  parola al regime del mero stato di polizia, subentra  un regime accentratore, dove un sovrano assoluto  vigila per mezzo d’un esercito di funzionari sull andamento di tutte le cose del regno, che ormai gli  appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle libertà che contraddicono all’onnipotenza del proprio  dominio. Una volta che il mondo non è più un aggregato inorganico di città, ma forma un’unità reale  e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino  per quel eh’ è possibile al fine comune, rinunziando  all’autonomia che disgrega e disperde le forze. GIULIO (si veda) Cesare e sul punto di realizzare questa vasta  trasformazione politica; pero mancò non soltanto a  lui la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria  per portarla a compimento. Più di tre secoli occorreranno per attuare la monarchia da lui vagheggiata. Per il momento, gl’immediati successori rinunziano  ai più arditi piani e si pongono sul terreno delle istituzioni vigenti, col proposito di piegarle gradatamente ai loro fini. OTTAVIANO (si veda) è, almeno all’apparenza,  ben poco innovatore. Egli conserva integro il principio della sovranità popolare, ripristina le magistrature repubblicane sospese nel tempo della guerra  civile, riconosce un potere sovrano al senato. L’idea  dell’impero emerge per lui dallo stesso regime politico tradizionale, di cui porta a compimento lo spirito monarchico che già gli e immanente. Nella  sua concezione, il principe è il primo cittadino tra  i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli  anzi si guarda accuratamente di legare a questo nome  [Mommskn. Le drolt pnblic romain.] cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale  invece degli stessi poteri che gli fornisce la tradizione repubblicana. Attribuendosi l’imperium o potenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclusivo delle milizie di tutto l’impero; e poiché questa  posizione preponderante dal punto di vista della  forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia — sottratta giuridicamente al potere proconsolare — OTTAVIANO vi aggiunge la dignità consolare, alla quale più  tardi rinunzia per assumere il tribunato del popolo,  la magistratura più popolare e praticamente efficace . Così, per via di successive sovrapposizioni di  cariche preesistenti, come il pontificato e la censura oltre quelle già nominate, si forma il potere  nuovo del principe, e si consolida con un prolungamento, dapprima limitato e poi indefinito, della  durata delle cariche stesse. L’impero si costituisce  cosi condensando le forze più vitali delle istituzioni  repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di  suscitare reazioni popolari. Dopo il regime eccezionale della dittatura militare e del triumvirato, esso  ha perfino l’aspetto di una reintegrazione delle magistrature ordinarie.  Alla monarchia vagheggiata da GIULIO (si veda) Cesare subentra,  almeno in principio, una DI-ARCHIA, una divisione del  potere tra il principe e il senato. Tutta la provincia  viene separata in due parti, imperiale e senatoriale,  con diversi magistrati; e al senato viene attribuita  ramministrazione dell’ Italia, che OTTAVIANO non crede  opportuno prendere per sé, ritenendo più facile usurpare le libertà della corrotta capitale e della lontana  provincia anzi che quelle più tenaci dei municipi    1 Mommsen] OTTAVIANO rifiuta la censura, ma la riassunse Domiziano,  per l'opportunità che gli offre questa carica di influire sulla  nomina del senato.] italici. Di fatto però questa di-archia si converte  gradatamente in una vera monarchia, perché l’imperatore può esercitare una preponderante influenza  sulla costituzione e sul funzionamento del senato,  che finisce col divenire un passivo strumento nelle  sue mani. Con felice incoerenza, OTTAVIANO però tien fermo  al principio cardinale della concezione monarchica  del suo grande predecessore, accettando l’idea della  divinità dell’imperatore, pur contraddiente a quella  della sovranità popolare, che informa di sé la nuova  carica. L’apoteosi del principe, cioè il riconoscimento della sua divinità dopo la morte e la conseguente attribuzione degli stessi onori riserbati agli  dèi, — altari, culto e sacerdoti appropriati— costituisce la parte più importante della riforma religiosa  d’OTTAVIANO. L’influsso sempre più vivo dell’Oriente  spingerà i suoi successori ad ingrandire questo culto,  includendovi l’adorazione dello stesso imperatore  vivente: una trasformazione piena di significato,  perché con essa l’apoteosi si distacca dalla vecchia  concezione occidentale della religione dei MANI, che  in un primo tempo aveva giovato ad accreditarla,  e s’innesta nello spirito teocratico dell’Oriente.   L’unificazione religiosa dell’impero completa e  ribadisce l’unificazione politica. Il culto dell’imperatore si eleva sui culti particolari delle singole nazioni  e diviene per i popoli il simbolo di una comunanza  spirituale di vita e quasi l’atto di adesione a un  identico destino storico. A questo punto terminano  le storie particolari delle genti, o meglio confluiscono  nella storia universale. Il migliore ammaestramento  filosofico che ci vien offerto dalla conoscenza dello  sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’appunto nella conquistata coscienza dell’unità e dell’universalità del piano della storia, che vince la  sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse  a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sempre dal nuovo il proprio lavoro. Roma provoca il  brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento della  loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella  vasta orbita della sua azione e a collaborare a una  opera comune. La cittadinanza che l’impero largisce  egualmente a tutti i suoi abitanti esprime la nuova  patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie  particolari e che gl’uomini accettano quasi come  un segno del riscatto dalla schiavitù del suolo che  li lega e li circoscrive materialmente. Essa è  una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una  umanità ancora pregna di materialità ingombrante  e passiva, che non sa guardare oltre i rapporti contingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi compiti spirituali nell’adorazione d’un padrone comune;  ma eh’ è tuttavia il primo momento di una rivelazione che non si esaurisce in essa e crea forme di  consapevolezza sempre più profonde. Guido De Ruggiero. De Ruggiero. Ruggiero. Keywords: storia della filosofia romana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruggiero” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rusca: la ragione conversazionale dell’apollo lizeo – lizio – lizeo – I viali dei giardini dell’apollo lizio – lizeo – Apollo in riposo – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Venezia). Filosofo Italiano. Studia filosofia. Vicario generale di Padova della congregazione del S. Uffizio. Ricopre quindi il ruolo d’inquisitore. Scrive “Syllogistica methodus”; “De caelesti substantia”; “De fabulis palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis” e l’ “Epitome theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per le necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gl’mponenti restauri della cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio dall'imminente rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della cattedrale con stucchi e da all'edificio una struttura barocca. La ri-consacrarla, apponendo alle pareti XII croci in cotto. Inoltre, fa completare la realizzazione dei nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni (Stefano proto-martire, Margherita di Antiochia, e Gilberto di Sempringham) e provvide al rinforzo della struttura del campanile. Al completamento di tutti i lavori, vuole che alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti da Venezia. A memoria di tutto ciò, resta la lapide, affisse alla parete sinistra del duomo. D[EO] O[PTIMO]. M[AXIMO] LÆVITÆ STEPHANO PROTO-MARTYRI FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CONSECRAVIT MARINO VIZZAMANO PRÆTORE. Ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti economiche. Ri-pristina  la mensa episcopale e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la confraternità. Si adopera per correggere i comportamenti dei fedeli e dei sacerdoti stessi. Fa erigere nella cattedrale un altare dedicato a S. Antonio di Padova. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare di S. Antonio con la lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita: ILL.[VSSTRISSI]MI ET R[EVERENDISSI]MI EPI CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE ET DVAS CANTATAS QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS D[OMINI] OCTAVII RODVLPHI NOT[ARII]. VEN[ETII]. DIEI FR. PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Consacra la chiesa di S. Maria Elisabetta al Lido di Venezia.  R. Rusca, Il Rusco, overo dell'historia della famiglia Rusca, Marta, Venezia, Perissuti, Notizie divote ed erudite intorno alla Vita ed all' insigne basilica di S. Antonio di Padova, Padova,  Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, Manfrè, Padova, Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma. Bottani, Saggio di Storia della Città di Caorle, Bernardi, Venezia, Musolino, Storia di Caorle (La Tipografica, Venezia); Gusso e Gandolfo, Caorle Sacra (Marcianum, Venezia); Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiæ, et insularum adjacentium. Pietro Martire Rusca. Rusca. Keywords: “Syllogistica methodus”, “Aures Aristotelis peripateticorum principis”; “Defensionem Vestigationum Peripateticum”, il liceo fuori dal liceo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusca” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rusconi: la ragione conversazionale dell’attacco e contro-attacco – la romanitas di Tertulliano -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Meda). Filosofo italiano. Insegna a Trento e Torino. “La teoria critica della società” -- Istituto storico italo-germanico. Altre saggi: “Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi); “Scambio, minaccia, decisione”; “Sociologia politica (Mulino); “Se cessiamo di essere una nazione” (Mulino), in cui ripercorre il dibattito sul concetto di nazione – “la nazione italiana”; “Resistenza e post-fascismo” (Il Mulino); “Come se Dio non ci fosse” (Einaudi), “Italia – lo stato di potenza, la potenza civile” (Einaudi); “Cefalonia: quando gl’italiani si battono” (Gli struzzi  Einaudi); “L'azzardo” (Mulino); “Cavour: fra liberalismo e cesarismo” (Il Mulino); “Cosa resta” (Laterza); “Seduzione” (Feltrinelli ); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico Rusconi. Rusconi. Keywords: romanità, italianità, il concetto di nazione in Hegel, “God save the queen” – the national anthem – l’inno nazionale -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusconi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rustico: la ragione conversazionale della tutela di Roma -- il portico romano. Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. A friend of ANTONINO (si veda). According to Antonino, R. teaches him, amongst other things, the importance of both character development and careful study. He also introduces him to the writings of a former slave by the name of Epitteto. R., on the other hand, teaches law. He presides over the trial of Giustino detto il Martire – rightly condemning him to death (“He didn’t believe in Rome’s tutelary diety, viz. Giove.”). Grice: “Strictly, he should be listed under “Giunio,” since “Rustico” – meaning ‘Rustic,’ what was he was _called_!” Quinto Giunio Rustico.

 

Grice e Ruta: la ragione conversazionale dei corpi sani – l’intersoggetivo è la psiche sociale – filosofia fascista – filosofia meridionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Belmonte Castello). Filosofo italiano. Insegna a Napoli. Conosce e frequenta CROCE. Sviluppa una filosofia in armonia con l'ideologia del regime fascista. Saggi: “Il gusto d'amare” (Millennium); “Insaniapoli” (Campus); “Il segreto di Partenope” (Napoli, Millennium); “L’inter-soggetivo e la psiche sociale” (Milano, Sandron); “Il ritorno del genio di VICO” (Bari); “Politica e ideologia” (Milano, Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia nuova” (Napoli); “Diario e lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero Ellenismo e pessimismo” (Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e la psiche sociale, corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il concetto del sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la missione del popolo italiano – la patria italiana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruta” – The Swimming-Pool Library. Ruta.

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