Grice ed Endio: lla ragione conversazionale e a setta di Sibari -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean.
Giamblico. Endio.
Grice ed Ennea:
la ragione conversazionale e la diaspora
di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. According to Iamblicus of Chalcis, a Pythagorean. Ennea.
Grice
ed Ennio: la ragione conversazionale a Roma antica – scuola di Salento – filosofia salerniana
– filosofia campanese -- Roma -- il primo filosofo inglese, il primo filosofo latino
– scuola di Salento -- filosofia salernese -- filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Salento).
Filosofo salentese. Filosofo salernese. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Salento,
Salerno, Campania. Poeta, drammaturgo e filosofo romano;mMuore a Roma. Viene
considerato, fin dall'antichità, il padre della filosofia latina, poiché fu il
primo ad usare LA LINGUA LATINA la come registro letterario. Ennio che ascolta
Omero, immaginato da Sanzio nel Parnaso, Stanze Vaticane. Nasce a Rudiae, nei
pressi di Lecce, città dell'antica Calabria -- Salento, nella Puglia
meridionale -- in cui allora conviveno tre culture: quella dell’occupante
romano, quella OSCA dei centri minori indigeni italici, e quella greca che ha come
centro maggiore Taranto. GELLIO (si veda) testimonia infatti che E., pur
vantandosi di discendere da Messapo, eroe eponimo della Messapia e dei Messapi,
e solito dire di possedere “tria corda,” poiché sa parlare in romano, osco, e greco.
Durante la guerra punica milita in Sardegna e vi conosce CATONE (si veda)
MAGGIORE, censore, che lo porta con sé a Roma. Qui ottenne la protezione di
illustri romani quali SCIPIONE (si veda) l'Africano. Poco tempo dopo, entra in
contatto con altri aristocratici del circolo degli Scipioni, come il generale MARCO
FULVIO NOBILIORE. Queste amicizie lo ponneno in conflitto con CATONE,
diffidente nei confronti delle altre culture e di quella greca in
particolare. MARCO FULVIO NOBILIORE, nella guerra contro la lega etolica,
conduce con sé E. al seguito, con il compito cioè di celebrare le gesta, come
in effetti fa nella prae-texta “Ambracia.” Questo scandalizza CATONE, in quanto
comportamento contrario al costume degl’avi, al mos maiorum. QUINTO FULVIO
NOBILIORE, figlio del generale, gli assegna dei terreni presso la colonia da
lui dedotta a PESARO. Riconoscente, Ennio espresse orgogliosamente questa
concessione. Nos SVMVS ROMANI qui fuimus ante Rudini -- E., Annales. H. P. GRICE: “A more
complicated case of majestic plural than ‘We are amused.” Ennio implicates that
he and his descendants are Roman. The use of ‘fuimus’ implicates, but does not
say, that he yielded his own citizenship to that place in the middle of
nowehere. Ennio, messo a capo del collegium
scribarum histrionumque, vive con una sola serva al suo servizio, attendendo
alla sua filosofia e la composizione delle sue tragedie e del poema epico. Annos
septuaginta natus - tot enim vixit Ennius - ita ferebat duo quae maxima
putantur onera, paupertatem et senectutem, ut eis paene delectari videretur. A
settant'anni - tanti, infatti, ne visse – E. sopporta la povertà e la
vecchiaia, che si suole considerare come le cose più moleste, quasi sembrando
che ne godesse (Cicerone, De Senectute). Tra i suoi discepoli ricordiamo il
nipote, figlio di sua sorella, il tragediografo e pittore MARCO PACUVIO, e il
commediografo CECILIO STAZIO, con cui condivide l'abitazione. Sofferente di
gotta, E. muore a Roma. Per i suoi meriti, oltre che per l'amicizia personale, e
sepolto nella tomba degli Scipioni, sull'antica Via Appia, dove e raffigurato
da un busto su cui e inciso un epitaffio in distici elegiaci che CICERONE crede
composto dallo stesso E. Aspicite, o cives, senis Enni imaginis formam:
hic vestrum panxit maxima facta patrum. Nemo me lacrumis decoret, nec funera
fletu faxit. Cur? Volito vivus per ora virum. Ecco, o cittadini, i tratti
dell'effigie d’Ennio: costui le massime gesta canta dei vostri padri. Nessuno
di lacrime mi onori, né la mia morte pianga. Perché? Volo vivo tra le bocche
degl’uomini. Testa di E., dal sepolcro degli Scipioni sull'Appia. E. sperimenta
la filosofia in numerosi generi letterari, molti dei quali a Roma sono poco
conosciuti o del tutto sconosciuti, pertanto è stato definito il vero padre
della filosofia e della letteratura (‘grammatica’). Della maggior parte di
questa filosofia rimangono solo pochi frammenti e titoli. Per quanto
riguarda la filosofia epica, si conoscono gli “Annales” e “Scipione”. Gl’ “Annales”
sono il testo nazionale del popolo romano. E. narra la storia di Roma anno per
anno, come spiega lo stesso titolo, dalle origini. Gl’Annales e strutturata in XVIII
libri, suddivisi in III gruppi di VI, detti esadi. Nel proemio E. racconta che
Omero stesso gli era apparso in sogno per rivelargli di essersi re-incarnato in
lui dopo avergli esposto la dottrina pitagorica della trans-migrazione dell’anime.
Mentre nei primi libri sono raccontati gl’eventi che vanno dalle origini
all'invasione di Pirro, nei successivi il racconto arriva fino a due anni prima
della sua morte. Nella seconda esade, poi, E. polemizza con coloro che lo
criticano per aver introdotto l'esametro, polemizzando contro gl’autori che
scriveno in saturni, con chiaro riferimento a NERVIO, che comunque omaggia, non
ripetendo la narrazione della guerra punica - e racconta gl’eventi sino
alla guerra macedonica. Per quanto
riguarda l’altre composizione, per concorde affermazione degl’antichi, E.
eccelle nella tragedia, con composizioni come “Alessandro”, “Andromaca
prigioniera”, “Medea”, “Tieste”, “La morte d’Achille,” “La morte d’Aiace”; “Il
riscatto del corpore d’Ettore”; “Ecuba”,
“La morte d’Ifigenia ad Aulide”, “Telamone”, e “Telefo”. A parte, come “praetextae”,
“Il ratto delle Sabine da Romolo e i suoi compagni” e “Ambracia, o la gesta del
generale Fulvio”. Che non e un grande comico, lo testimonia il fatto che
restano solo pochissimi versi e due titoli di testi commedidi la “Caupuncule” e
il “Pancratiaste”. Allo stilo dotto apparteneno “Epicarmo” ed “Euhemero”,
DI CARATTERE STRITTAMENTE FILOSOFICO; gl’ “Edifagetica”, o ancora, sul versante
della poesia disimpegnata, le “Saturae” e gli “Epigrammi.” E. e il primo romano
(naturalizzato) a scrivere un poema in esametri, no saturnini. Il suo
capolavoro, gl’Annales, e la prima epica a narrare la storia di Roma dalle
origini facendo di E. il vate filosofico di Roma e tra i principali modelli
stilistici del De rerum natura di LUCREZIO e dell'Eneide di VIRGILIO. Scrive
numerose commedie e tragedie di cui restano pochi frammenti, e da altri
frammenti si ritiene che abbia scritto anche alcune satire filosofiche,
anticipando addirittura LUCILIO, considerato il padre del genere. O Tite
tute Tati tibi tanta tyranne tulisti. O Tito Tazio, tiranno, tu ti attirasti
disgrazie tanto grandi! Poiché i frammenti a noi pervenuti sono pochi e giunti
per tradizione indiretta, non siamo capaci di valutare la struttura compositiva
del poema maggiore e le tecniche della narrazione, ma emergono con sufficiente
chiarezza le caratteristiche della lingua e lo stile elevato e solenne, che
appaiono frutto di un geniale contemperamento di tratti tipicamente romani e
audaci innovazioni. Ricorre spesso ad arcaismi, tratti distintivi di
derivazione omerica -- tanto che si presenta nel proemio come Omero redivivo, e
ORAZIO stesso lo definisce alter Homerus, "altro Omero". Infatti e
ritenuto uno dei principali fautori dell'ellenizzazione. Nonostante CATONE e
uno dei filosofi più attaccati alla cultura romana, riconosce e apprezza in E.
le doti filosofiche. E. introduce l'esametro nella letteratura, formando i suoi
versi anche solo con degli spondei -- infatti sono detti versi
olospondaici. In E. abbonda LA METAFORA FILOSOFICA, sempre molto presenti
nei poemi epici, le allitterazioni e l'uso della retorica. La vita: Ennio
e i suoi continuatori, su sapere.it, De Agostini Editore S.p.A. Annali. Commentari.
Napoli: Liguori Editore, Quintus Ennius tria corda habere sese dicebat, quod
loqui Graece et Osce et Latine sciret("Quinto Ennio diceva di avere tre
anime in quanto parlava greco, osco e latino") - Aulus Gellius, Noctes
Atticae, Cornelio Nepote, Catone,
Skutsch. Quinto Orazio Flacco ^ Poemetto epico-encomiastico, del quale restano
solo 14 versi, dedicato a Publio Cornelio Scipione, nel quale il condottiero
viene descritto come perfetto exemplum di vir romanus ^ Trattava il ratto delle
Sabine. ^ Trattava le gesta di Marco Fulvio Nobiliore in una spedizione contro
gli Etoli nel 189 a.C., culminata nella presa della città di Ambracia. ^
Catalogo di cose buone da mangiare, redatto con vena salottiera e decisamente
superficiale, come evidente dall'unico frammento pervenutoci, di 11 versi, in
Apuleio, De magia, 11. ^ Componimenti in distici elegiaci che si rifacevano a
momenti particolari della vita dell'autore. Voci correlate Modifica Rudiae
Sepolcro degli Scipioni Ènnio, Quinto, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nicola Terzaghi, ENNIO, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, E., in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Quinto Ennio, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Quinto Ennio, su Musisque Deoque. Opere
di Quinto Ennio, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di
Quinto Ennio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Quinto Ennio, su
Open Library, Internet Archive. I frammenti degli annali editi e illustrati da
Luigi Valmaggi, Torino, Casa Editrice Ermanno Loescher, Remains of old latin.
Vol. 1: Aennius and Caecilius, Warmington (a cura di), Cambridge-London,
Ennianae Poesis Reliquiae, Johannes Vahlen (a cura di), Lipsiae, in aedibus Teubneri.
Portale Antica Roma Portale Biografie Portale
Letteratura Portale Lingua latina Portale Teatro. Annales
(Ennio) poema epico scritto dall'autore latino Quinto Ennio Marco Fulvio
Nobiliore politico romano Ambracia. Quinto Ennio was a famous arly Roman poet. In his
poems, he demonstrates a familiarity with various ideas from philosophy and
helped to introduce these to the Roman world. Grice: “We can tell an English
philosopher by his references to events in the history of England – as when I
say that “Harold Wilson is a great man’ means the same as ‘the Prime minister
is a great man’. The Romans were able to refer to Roman history through Ennio,
who knew it!” -- Ennio. Keywords: il
primo filosofo inglese, il primo filosofo latino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
ed Ennio”, The Swimming-Pool Library. Quinto Ennio. Ennio.
Grice ed Enriques: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale
arimmetica – scuola di Livorno – filosofia livornese -- filosofia toscana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Livorno). Flosofo livornese. Filosofo toscano. Filosofo
italiano. Livorno, Toscana. Grice: “I like Enriques; of course his “Problemi
della scienza’ implicates that philosophy does not have any!” Il Dipartimento "Federigo Enriques" di
Matematica dell'Università degli Studi di Milano, via Saldini, Milano. Nato in
una famiglia ebrea, si trasferì a Pisa. Suo fratello Paolo Enriques, uno
zoologo, fu padre di Enzo Enriques Agnoletti e Anna Maria Enriques Agnoletti.
Dopo gli studi liceali, compì gli studi universitari a Pisa e la Scuola Normale
Superiore. Si laurea. Frequenta in seguito un anno di perfezionamento a Pisa e
uno a Roma, dove ebbe modo di incontrare e collaborare con Castelnuovo. Inizia
inoltre a collaborare con Cremona, Segre e Amaldi. Lincei. Insegna a
Bologna. È invitato presso l'Roma, per occupare la cattedra di matematiche
superiori e di geometria superiore. Venne invitato da Neurath a divenire un
collaboratore dell'Encyclopaedia of Unified Science, la cui pubblicazione è
stata individuata come lo strumento per lo sviluppo del movimento per l'unità
della scienza (cf. Grice, “Einheit des Wissenschaft”). Quando però sono
promulgate le leggi razziali anti-ebraiche, e espulso dall'insegnamento e da
qualsiasi altra occupazione legata all'attività culturale. Durante
l'occupazione tedesca è dapprima nascosto in casa di Frajese e poi a San Giovanni in Laterano. Insegna
a Roma nella scuola ebraica clandestina fondata da Castelnuovo per i giovani
ebrei estromessi dalle università italiane, e riusce a pubblicare alcuni
articoli in forma anonima sul Periodico delle Matematiche, di cui era stato
direttore. Torna a insegnare. Tra i fondatori della scuola italiana di
geometria algebrica, allarga gli orizzonti del dibattito scientifico
occupandosi di filosofia, storia e didattica della matematica. Fonda la Società
filosofica italiana (di cui fu presidente), assieme a Bruni, Dionisi, Rignano e
Giardina fonda la rivista internazionale Rivista di Scienza ed e nominato
direttore del Periodico di matematiche, organo della Mathesis. Diresse, tra
l'altro, la sezione di matematica dell'Enciclopedia Italiana. È un
filosofo di notevole livello e la sua fama fu internazionalmente riconosciuta.
I suoi contributi allo sviluppo della geometria algebrica furono rilevanti, per
importanza e originalità. Il periodo in cui si trova a vivere era un periodo di
cambiamenti epocali, cambiamenti che interessarono anche i concetti base della
matematica e della fisica. E. recepì immediatamente la portata delle novità
introdotte dalle opere di Einstein, che fu da lui invitato a tenere una conferenza
a Bologna. Nel campo dei fondamenti della matematica si ricordano i testi
scolastici di grande diffusione, rivolto all'insegnamento nei licei e scuole
superiori, nei quali la geometria euclidea, l'algebra elementare e la
trigonometria vengono presentate con il metodo razionale deduttivo. Fra le sue
opere più diffuse di matematica elementare si ricordano: Questioni
riguardanti le matematiche elementare, Questioni riguardanti la geometria elementare,
Bologna Zanichelli); Elementi di Geometria ad uso delle scuole superiori (con
U. Amaldi), Zanichelli Bologna e successive edizioni e ristampe); Nozioni di matematica ad uso dei licei moderni
(con U. Amaldi), Zanichelli Bologna); Gli elementi di Euclide e la critica
antica e moderna (Roma e Bologna, Le matematiche nella storia e nella cultura,
Bologna. Come opere principali di matematica superiore si ricordano in
particolare: Lezioni di geometria proiettiva, (it, de). Lezioni di geometria
descrittiva, Bologna, Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle
funzioni algebriche. Bologna. Lezioni di geometria descrittiva, Le superficie
algebriche, Oltre alla sua attività come matematico, sviluppa significative
ricerche di epistemologia, storia della scienza e filosofia della scienza.
Questo suo impegno per il rinnovamento della cultura, avvenne in un periodo non
facile, sia per gli eventi bellici, sia per la cultura dominante nella prima
metà del Novecento, caratterizzata dalla filosofia idealistica e dal ridotto
interesse verso la cultura scientifica. Fra le sue numerose saggi in queste
materie si ricordano: Problemi della scienza” (Zanichelli, Bologna); “Razionalismo
e storicismo in "Rivista di Scienza", Zanichelli, Bologna, Il
pragmatismo in "Scientia", Zanichelli, Bologna); “Scienza e
razionalismo, Zanichelli, Bologna. Matematiche e teoria della conoscenza in
"Scientia", Zanichelli, Bologna); “Per la storia della logica,
Zanichelli, Bologna. Storia del pensiero scientifico, Bologna, scritta con G.
Santillana. Il significato della storia del pensiero scientifico, Bologna, ripubblicato
da Barbieri, La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni,
Bologna. Le dottrine di Democrito d'Abdera. Testi e commenti, con M. Mazziotti,
ripubblicato per Edizioni immanenza. Sviluppò una corrente di pensiero vicina
al razionalismo. Assieme a Peano si può considerare uno dei principali filosofi
italiani che si sono dedicati allo studio della logica e della filosofia della
scienza nella prima metà del Novecento. Ha messo in luce due aspetti
fondamentali del pensiero scientifico nella prima metà del sec XX: la sempre
maggiore specializzazione delle discipline fisiche, tecniche, ecc. e la
tendenza al rinnovamento che si è avuta sia nei fondamenti della matematica,
sia nella fisica moderna. Assieme a Bruni, Dionisi, Giardina e Rignano,
fonda la rivista di ricerca e divulgazione scientifica Rivista di scienza
(rinominata successivamente Scientia), con l'obiettivo dichiarato di superare
le divisioni disciplinari in nome dell'unità del sapere e contro l'eccessiva
specializzazione accademica. Contro codesti criterii ristretti intende reagire
soprattutto il movimento nuovo di pensiero verso la sintesi; una Filosofia
libera da legami diretti coi sistemi tradizionali, sorge appunto a promuovere
la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad
affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza. Pel quale il
particolarismo stesso viene compreso in un aspetto più adeguato nella interezza
del processo scientifico. (Programma, Rivista di Scienza). Condusse la rivista,
quando un articolo di Rignano sulle cause della guerra lo costrinse a
rassegnare le dimissioni. Torna alla direzione alla morte di quest'ultimo e
sotto sua esplicita richiesta fino al’anno delle leggi razziali. Abbandonato
ogni incarico, ritorna infine alla guida di Scientia a due anni dalla morte. Il
primo saggio significativo dedicato da Enriques a questioni di metodo e
filosofia della conoscenza è l'opera Problemi della scienza nella quale compie
un'analisi articolata delle varie discipline della matematica, della geometria,
della meccanica, della fisica edella chimica alla fine del XIX secolo. Mette in
evidenza l'importanza che lo scienziato deve analizzare con la massima
attenzione, sia i fondamenti logici e sperimentali delle diverse
discipline, sia il contesto storico e le situazioni in cui i principi
scientifici sono stati scoperti. In quest'opera Enriques indica che una
visione dinamica della scienza, porta naturalmente nel terreno della storia. I
fondamenti della scienza quindi non possono essere capiti completamente se non
si analizza anche il contesto storico e culturale nel quale sono stati
formulati. L'opera ebbe maggiore fortuna e diffusione all'estero, che non in
Italia, dominata agli inizi del Novecento dalla cultura letteraria e della
filosofia idealistica. Il suo pensiero trova riscontro nelle teorie
elaborate dai massimi epistemologi filosofi fra cui Popper, Lakatos e Kuhn. In
particolare nel pensiero di Lakatos e di Kuhn viene sviluppata la concezione
della formazione storica dei concetti scientifici, come opera di più autori e
ricercatori, che in un determinato periodo storico elaborano una serie di principi-base
sui quali viene sviluppata una teoria ipotetico-deduttiva e le successive
verifiche sperimentali. Importante è anche la presa di posizione sia
rispetto alla filosofie idealistiche del ‘900, che hanno tralasciato gli
aspetti della filosofia della scienza, sia la sua posizione critica rispetto
alla filosofia di Kant. In particolare, critica il concetto di giudizio
sintetico a priori di Kant (Critica della ragion pura). Secondo Enriques, i
principi fondamentali delle scienze sono elaborazioni razionali derivate per
induzione dall'esperienza e dalla percezione sensoriale e non sono giudizi
sintetici a priori. In questo saggio porta alcuni esempio fondamentali. I
postulati della geometria sono generalizzazioni, per astrazione, di semplici
esperienze geometriche, che ogni allievo compie fin dalle prime osservazioni
razionali del mondo esterno, svolte anche in ambito scolastico. I principi
della geometria sono generalizzazioni di esperienze sensoriali concrete.
Allo stesso modo anche i principi della Fisica e della Chimica derivano
direttamente da generalizzazioni di esperimenti reali. Ad esempio la Legge di
conservazione della massa dovuta a Lavoisier non è un giudizio sintetico a
priori, come crede Kant. È noto infatti che deriva da semplici esperimenti
fisici, svolti pesando i composti chimici prima e dopo una reazione
chimica. La nuova impostazione razionalistica e storica fu avviata in
Italia da Enriques, in Francia da Duhem e in Austria da Mach e da altri autori
riunitisi intorno al Circolo di Vienna. Fu poi sviluppata ulteriormente in
Italia da Geymonat e dalla sua scuola milanese che ha ripreso gli studi di
Enriques, sviluppando i temi di storia della scienza e di filosofia della scienza.
Un'altro saggio fondamentale è Per la storia della logica che mette in evidenza
l'importanza della deduzione, della induzione e gli altri aspetti
interpretativi ed epistemologici della logica. Il saggio ha un approccio
storico e descrittivo della logica è ricco di citazioni originali, e affronta
questo difficile argomento anche con una certa ironia ed eleganza letteraria.
Nell'opera, sono illustrati in modo semplice e sintetico i contributi portati a
questa disciplina dai vari filosofi nelle varie epoche. Si può considerare uno
dei pochi testi in cui la materia è esposta in modo chiaro, essenziale e
interessante. Di notevole interesse per le fonti storiche citate e per la
narrazione della genesi dei concetti scientifici sono la serie di opere
dedicate alla storia della scienza. Il primo saggio fu la “Storia del pensiero
scientifico” scritto in collaborazione con G. Santilana. Quest'opera ripercorre
la storia delle scienze matematiche, geometriche, astronomiche, meccaniche e
fisiche dall'antica Grecia fino ai giorni nostri, con numerose citazioni e
fonti storiche degli autori originari. A esso seguirono altri testi di
approfondimento, fra cui, “Il significato della storia del pensiero scientifico
e La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni; Lineamenti
di filosofia della scienza. Dei numerosi saggi dedicati agli aspetti filosofici
della scienza si desumono i principali lineamenti del suo pensiero
razionalista, che, a titolo orientativo si possono cercare di sintetizzare nei
seguenti punti: Equilibrio fra intuizione e ragionamento logico. Nelle
opere scientifiche gli argomenti sono esposti in modo intuitivo, evidenziando i
motivi sperimentali e oggettivi alla base di alcuni concetti astratti. Dopo la
descrizione dei suoi principi, si sviluppa poi la materia con criteri logici,
deducendo razionalmente le principali leggi, teoremi e applicazioni. Questo
carattere, comune anche ai grandi scienziati del passato (Galilei, Cartesio,
Newton, Eulero, Coulomb, ecc.) contraddistingue il metodo di Enriques, rispetto
agli indirizzi formalisti che si sono avuti nella logica e nella
matematica del XX secolo. Problema della specializzazione delle scienze: ha
colto questo aspetto critico delle numerose edeterogenee discipline
scientifiche. Per superare il problema della eccessiva frammentazione del
sapere ha proposto di ripensare i concetti fondamentali della fisica, della
geometria, della matematica e delle altre scienze naturali con criteri unitari,
approfondendone il significato intuitivo, sperimentale e la sua genesi storica.
Approccio storico alla conoscenza scientifica. Questo aspetto caratterizza il
metodo di Enriques, che ha sviluppato con passione e impegno moltissimi aspetti
di storia della scienza. La storia della scienza fa parte della scienza stessa.
Per capire veramente un teorema non è sufficiente capire solo la sua
dimostrazione, ma anche il contesto storico nel quale è stato formulato, quali
sono stati i problemi tecnici che hanno portato alla sua formulazione e come
sono stati risolti tali problemi con l'applicazione delle teorie scientifiche.
Sviluppato in Italia il nuovo approccio di storia della scienza avviato da Mach
e da Duhem, precursori del gruppo di filosofi e scienziati Professore del circolo
di Vienna. Valenza fisica dei concetti geometrici. La geometria può essere
considerata come il primo capitolo della fisica, diversamente dai matematici e
filosofici formalisti che la considerano una scienza astratta. L'orientamento
formalista nella geometria è stato delineato da Kant (Critica della ragion pura)
per il quale i postulati geometrici non derivano solo dall'esperienza visiva,
ma sono giudizi sintetici a priori di carattere soggettivo e indipendenti dalle
percezioni sensoriali. La tesi di Kant è stata discussa dai massimi esperti di
filosofia teoretica con orientamenti contrastanti. Nel XIX secolo in
opposizione a Kant si è delineato un approccio fisico-sperimentale ai principi
geometrici, al quale hanno aderito molti storici e filosofi della scienza. Ha
contribuito alla riscoperta del significato più autentico, di carattere
storico, intuitivo e sperimentale alla base della geometria, della matematica e
delle scienze fisiche. Contributi su Scientia Articoli “Eredità ed evoluzione” su
amshistorica.cib.unibo. “I numeri e l'infinito” su amshistorica.cib.unibo. “Il
pragmatismo” su amshistorica.cib.unibo. “Il principio di ragion sufficiente” su
amshistorica.cib.unibo. “Il problema della realtà” su amshistorica.cib.unibo. “Il
significato della critica dei principii nello sviluppo delle matematiche” su
amshistorica.cib.unibo. “Importanza della storia del pensiero scientifico nella
cultura nazionale” su amshistorica.cib.unibo. su amshistorica.cib.unibo. “L'infinito
nella storia del pensiero” su amshistorica. cib.unibo. La filosofia positiva e
la classificazione delle scienze, I motivi della filosofia di Rignano, su
amshistorica. cib.unibo. Recensioni (in francese) Ailly, Imago mundi, Aliotta, A. L'esperienza
nella scienza, nella religione e nella morale, su amshistorica.cib.unibo. Archibald,
Outline of the History of Mathematics, su amshistorica. cib.unibo. Bignone,
L'Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro, su
amshistorica.cib.unibo. Blanche, Le
rationalisme de Wewell, su amshistorica.cib.unibo. Bouasse H. Bachot et bachotage, su
amshistorica.cib.unibo. Brunetet Mieli, Histoire des
Sciences. Antiquite, su amshistorica.cib.unibo.
Brunschwig, De la connaissance de soi, su amshistorica.cib.unibo. Carbonara,
C. Scienza e filosofia ai principi dell'età moderna, su
amshistorica.cib.unibo. Carnap, R. L'ancienne et la
nouvelle logique, su amshistorica. cib.unibo.
Carnap, La Science et la Metaphysique devant l'analyse logique du
langage, su amshistorica.cib.unibo. Caullery, La science
francaise, su amshistorica.cib.unibo.
Collected papers of Peirce, su amshistorica.cib.unibo. Correspondance du Marin Mersenne, su
amshistorica.cib.unibo. Cournot Considerations
sur la marche des idees et des evenements dans les temps modernes, su
amshistorica.cib.unibo.Crowter, British Scientists, su amshistorica. cib.unibo.
Amato, Studi di storia della filosofia, su amshistorica.cib.unibo. Waard,
.L'experience barometrique, ses antecedents et ses explications, su
amshistorica.cib.unibo. Del Vecchio Veneziani, A Negri, su amshistorica. cib.unibo.
Volpe, La filosofia dell'esperienza di Hume, su amshistorica. cib.unibo. Volpe,
G. La filosofia dell'esperienza di Hume, su amshistorica. cib.unibo. Dingler,
Philosophie der Logik und Arithmetik, su amshistorica. cib.unibo. Dugas, Essai sur l'imcomprehension
mathematique, su amshistorica. cib.unibo.Fano, Geometria non euclidea, su
amshistorica.cib.unibo. Frank, Theorie de la
connaissance et physique moderne, su amshistorica.cib.unibo. Galilei, Opere, su
amshistorica.cib.unibo. Ginzburg, The
Adventure of Science, su amshistorica.cib.unibo. Gli atomisti. Frammenti e testimonianze, su
amshistorica.cib.unibo. Gregory, Combustion from Heracleitos to Lavoisier, su
amshistorica.cib.unibo. Hahn, Logique,
mathematique et connaissance de la realite, su amshistorica.cib.unibo. Heidel, The heroic Age of Science, su
amshistorica.cib.unibo. Hessenberger, G. Grundlagen der Geometrie, su
amshistorica. cib.unibo. I frammenti
degli stoici antichi, su amshistorica.cib.unibo. Jaffe, H. Natural Law as controlled but not determined
by Experiment, su amshistorica.cib.unibo.
James Philosophie de l'experience, su amshistorica. cib.unibo. Janek, A. Die realitat vom Standpunkte des
Efallelismus, su amshistorica.cib.unibo.
Keyser, .Mathematics and the Question of Cosmic Mind, with other Essays,
su amshistorica. cib.unibo. La philosophie de Vailati, su
amshistorica.cib.unibo. La philosophie de la nature, su
amshistorica.cib.unibo. Le Bon, La
Revolution Francaise et la psychologie des revolutions, su amshistorica.cib.unibo. Lecat, Erreurs de mathematiciens des origines
a nos jours, su amshistorica.cib.unibo.
Lennhardt, La nature de la connaissance et l'erreur initiale des theories,
su amshistorica.cib.unibo. Liebert, Philosophie des Unterrichtes, su
amshistorica. cib.unibo. Maiocco, Le
leggi di Mendel e l'eredita, su amshistorica.cib.unibo. Marshall, Microbiology, su
amshistorica.cib.unibo. Matematiche e
teoria della conoscenza, su amshistorica.cib.unibo. Metz, Meyerson, une nouvelle philosophie de la
connaissance, su amshistorica.cib.unibo.
Metzger, H. La philosophie de la matiere chez Lavoisier, su
amshistorica.cib.unibo. Meyerson, E. Du
cheminement de la pensee, su amshistorica.cib.unibo. Ness, A.Erkenntnis und Wissenschaftliches Verhalten,
su amshistorica.cib.unibo. Nordstrom, Moyen age et Renaissance, su
amshistorica.cib.unibo. Platone e la
teoria della scienza, su amshistorica. cib.unibo. Reflexions sur l'art d'ecrire un traite: a propos d'un
traite de mathematiques, su amshistorica. cib.unibo. Rensi, Le ragioni dell'Irrazionalismo, su
amshistorica.cib.unibo. Rey, Rey, A.Les
mathematiques en Grece au milieu du V siecle, su amshistorica.cib.unibo. Servien, Principes d'esthetique. Problemes
d'art et langage des sciences, su amshistorica.cib.unibo. Smith, The Poetry of Mathematics and other Essays, su
amshistorica.cib.unibo. Spirito, U. Scienza e filosofia, su
amshistorica.cib.unibo. Stefanini,
Platone, su amshistorica.cib.unibo.
Stefanini, L. Platone, su amshistorica.cib.unibo. Tannery, P.Puor l'histoire de la science
hellène, su amshistorica.cib.unibo. Wind, E. Das Experiment und
die Metaphysik, su amshistorica.cib.unibo.
Wolf, A History of Science, Technology
and Philosophy, su amshistorica. cib.unibo.L'autore cura una decina di manuali
didattici di geometria e algebra elementare e oltre 20 trattati di matematica
superiore. Inoltre pubblica un'ampia serie di testi di storia e di filosofia
della scienza e numerosi articoli specializzati. Mille anni di scienza in
Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di
Firenze Spoglio di articoli e recensioni disponibile sul Catalogo Italiano dei
Periodici (ACNP). Informazioni sulla storia editoriale di Scientia. Antonucci e
Beer, Sapere ed essere nella Roma razzista. Gli ebrei nell’università, Roma,
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Nastasi, E. e la civetta di Atena, ed plus,Pisa, Comunità ebraica di
Livorno. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. E. E. (altra versione), in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. E., su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Federigo Enriques, su
Mathematics Genealogy Project, North Dakota State University. Opere di E., su Liber Liber. E. su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di E., Polizzi, E.,in Il contributo italiano
alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.
Edizione nazionale delle opere. Digitalizzazione completa di Scientia e Rivista
di Scienza su AMS Historica. Sito ufficiale del Centro Studi E. di Livorno.
"Le Armonie Nascoste", un recente documentario su Enriques su
lalimonaia.pisa. Coloro
che s'immergono nella dialettica, dice Aristone di Chio, fanno come i
mangiatori di gamberi: per un boccone di polpa perdono il loro tempo sopra un
mucchio di scaglie. Ma Hamilton, riportando il motto, vi aggiunge
un’osservazione che non sembra aver perduto valore ai nostri giorni. Da noi,
dice, il filosofo perde il tempo senza nemmeno gustare un boccone di polpa.
Infatti il filosofo che ha percorso gli studi romani antichi classici,
domanderebbe invano alla dialettica che gli fu insegnata, un concetto adeguato
di quello che è l’ordinamento di un calcolo deduttiva come la geometria, nonché
una spiegazione del significato e del valore dei principi che s’incontrano in
la geometria. Che cosa e una definizione, un’assioma, un postulato? Che posto
occupano nell’organismo della teoria dialettica? Quali sono i criteri che
presiedono alla loro scelta o che permettono di giudicare della loro
accettabilità? Tutte queste domande rimangono senza risposta, pel filosofo, se
pure ad esse si alluse vagamente da qualche oscura dottrina del concetto. Certo
esse non ricevono lume dalle minute classificazioni sillogistiche, per mezzo
delle quali egli vien abilitato, quando mai, a verificare ciò che non ha alcun
bisogno di verifica, cioè la coerenza formale di una dimostrazione geometrica.
Ora è essenziale rilevare che il filosofo, ponendosi il problema dell’ordinamento
della propria disciplina, si ritrova in faccia alla dialettica nella posizione
stessa dei filosofi che hanno lavorato a costruirne l’edifizio, giacche lo sviluppo
della dottrina del ragionamento procede appunto dalla critica dei filosofi che
hanno riflettuto intorno alla natura e all’ordine della consequenza logica. Come
padre della dialettica viene designato Aristotele. Ma Aristotele non può essere
ritenuto se non raccoglitore e sistematore di ciò che nella dialettica e
elaborato prima di lui, qualunque sia il contributo originale che può aver
recato al sistema. L'affermazione precedente apparirà tosto giustificata quando
si ricordi che le matematiche avevano raggiunto, già all’epoca di Platone, uno
sviluppo assai elevato, [Il vanto che Aristotele dà a sè stesso (al termine
degli Elenchi Sophistici) di aver creato una nuova scienza, appare, a chi legga
tutto il paragrafo, riferirsi in modo stretto alla scienza della discussione o
dialettica o collequenza e ad ogni modo non prova nulla contro il nostro
asserto. La logica degli anlichi fiacche — a partire da Ippocrate di Chio — si
comincia a scrivere trattazioni dei suoi Elementi. Anche, che anzi, proprio
all'epoca di Platone, ed in più o meno stretta connessione coll’accademia da
cui pure usce Aristotele, alcune teorie aritmetiche furono oggetto di una
profonda elaborazione critica (Eudosso, Teeteto...), che costituisce il
precedente storico degli Elementi d'Euclide. Anche, che, d’altra parte, la
dialettica aveva ricevuto uno straordinario sviluppo nelle discussioni dei
Sofisti, sia presso i primi insegnanti salariati che presero tal nome, filosofi
— come Protagora dì Abdera — sostenitori dell’ empirismo avverso il
razionalismo metafisico del circolo di Velia, sia, più specialmente, presso i
Megarici ed altri pensatori affini, che, in connessione coi circoli socratici,
ripresero e svolsero in un modo formalistico la veduta veliatica. La finezza di
alcuni sofismi attribuiti a filosofi di Velia, basterebbe da sola a
testimoniare della profondità dell’analisi da essi ragggiunta, di fronte a cui
fanno talora meschina figura le spiegazioni o confutazioni d’Aristotele negli
Elenchi Sophistici. Aggiungasi che le stesse polemiche aristoteliche contro
avversari non nominati (per esempio, intorno alla necessità e al carattere dei
principi negli Analytica posteriora) valgono ad indicare che il problema logico
dell’ordinamento di un calcolo analitico-deduttivo si dibatte secondo vedute
diverse, alcune delle quali si riveleranno — ad un esame approfondito — più
vicine alle vedute moderne, in confronto a quelle adottate dal filosofo di
Stagira. I trattati d’Aristotele, che furono raccolti sotto il nome comprensivo
di Organo, manifestano la doppia origine, dalla critica dell’aritmetica e dalla
pratica della colloquenza. Infatti, i primi due saggi (Categoriae e De
Interpretatione) si riferiscono alla classificazione o tassonomia delle
espressione isolate e della proposizione, formando quasi una introduzione a
tutta l’opera. I due saggi successivi (Analytica priora e Analytica posteriora)
svolgono appunto la colloquenza come calcolo, quale risulta dall’analisi del
ragionamento. Invece i due saggi (Topica ed Elenchi Sophistici) concernono
l’arte della colloquenza o argomentare, mirante — non all’analitico ma soltanto
al ‘desirabile’ ed al ‘credibile’ o ‘probabile’ in rapporto alla pratica della
colloquenza. Aristotele ritiene per quest’arte il nome eleatico-platonico di
‘colloquenza’, mentre distingue col nome di propedeutica analitica – lo studio
dell’analitico -- l’esame del procedimento della scienza dimostrativa, in cui
dalla possibilità della scienza si desumono le condizioni del suo ordinamento
questo senso è stato ripreso da Kant in quella parte della Critica della ragion
pura che costituisce l’Analitica trascendentale. L’espressione ‘logicus’ è
usato dal nostro per designare procedimenti del discorso che, non partendo da principi,
non hanno valore dimostrativo. Ma quest’espressione s'incontra, già prima,
[Quest’osservazione è fatta da Pranll, Geschichte der Logik. La logica degli antichi
nel titolo di un saggio di Democrito d’Abdera: rtepi Xoytxwv i) xavwv. E nella misura in cui
si può ammettere che Aristotele ne abbia conservato il ‘significato’,
rivelerebbe una diversa cocezione (più relativa e formale) del ragionamento: la
quale s’incontra di fatto dopo Aristotele, e spalmente presso gli Stoici. Ora
questi filosofi, appunto a partire da Zenone Cizio, designano come “to logikón”
quella parte della filosofia che ha relazione al “logo” o discorso, e che
comprende questioni attinenti al ragionamento e questioni rettoriche o di
grammatical della profundita; mentre la scuola contemporanea di Epicuro ha
tratto sicuramente da Democrito il nome di canonica, con cui designa le regole
del metodo. Siffatte osservazioni, tendono a mostrare che l’influenza della vasta
opera aristotelica sui successori, non fu così esclusiva come di solito si
ammette, e c’inviterà a ricercare in questi stessi successori il riflesso delle
opinioni più antiche, ed in particolare di quelle del maestro d’Abdera. Per
formarsi un concetto dell’origine della logica, sarebbe interessante di
ricercare se e quali ([Diels, Die Fragmente der Vorsokraliker: Dem.A 33, B.
10^. Diog. Laert. (In Arnim, Diogenes). CO Aggiungeremo che Prantl opina che il
nome proprio vj, come appellativo della scienza del ragionamento, o come nome comprensivo
di esso e della rettorica, introduca piuttosto dai tardi peripatetici che dagli
stoici] rapporti sieno interceduti fra la critica dei matematici e le sottili
disquisizioni e implicature dei sofisti. Clairaut, per
spiegare il rigore del ragionamento di Euclide, notta: ce geomètre avait à
convaincre des Sophistes obstinés qui se faisaient une gioire de se lefuser aux
vérités le plus évidentes. Houel ripette che la forma dogmatica d’Euclide è
dovuta a “sa préoccupation de fermer avant tout la bouche à des sophistes que
la Grece avait le tori de prendre au sérieux.” “De là,” egli aggiunge, “son
habitude de demontrer toujours qu' une chose ne peul pas ótre au lieu de
demontrer qu’ elle est.” Queste affermazioni sono state
frequentemente contestate, giacche è difficile riconoscere che i sofisti
abbiano esercitato un'influenza diretta, non dico sopra Euclide, ma nemmeno
sopra i geometri, suoi predecessori, che hanno elaborato criticamente la
scienza matematica. Tuttavia si può citare, a questo proposito, qualche accenno
ad una polemica antimatematica di Protagora e di Antifonte tendente a
restituire (avverso la filosofia razionalistica) il carattere empirico (alla
Mills, i. e., sintetico, non analitico) ai concetti della geometria: argomenti
dello [Elementi de geometrie, Parigi] [Essai critique sur les Principes
fondamenlaux de la Géométrie” Parigi] Nondimeno i rapporti amichevoli di
Protagora col matematico Teodoro di Cirene sono attestati da Platone: Teeteto
161 b 162 a. (Aristotele, Met. II, 2. (20). Cfr. Simplicio in Aristotele Phys.:
Diels B. 13. La logica degli antichi] stesso genere vedonsi comunemente
ripetuti dagli empiristi» e — per quanto concerne l'antichità — si trovano
raccolti da Sesto Empirico (‘). Ma, qualunque veduta si abbia intorno alle idee
espresse da Clairaut e da Hoiiel (che sono errate almeno per quel che concerne
la svalutazione del movimento sofistico I), un altro nesso, più importante,
appare fra la critica logica dei matematici e la dialettica dei sofisti, poiché
l’una e l’altra sono generate insieme dalla filosofia di Velia. Infatti Zenone
di Velia, è additato, dallo stesso Aristotele, come inventore di quell’arte
litigiosa che è la dialettica e, d’altra parte, l’analisi penetrante di Tannery
e di Zeuthen sui celebri argomenti intorno al moto (la dicotomia, l’Achille, la
freccia, ecc.), ha messo in evidenza il loro significato e valore matematico,
sicché il sottile dialettico in cui la tradizione non ha veduto che un
ragionatore ‘paradossale’, si scopre ai nostri occhi come iniziatore di quell’
ordine di considerazioni che costituisce l'analisi infinitesimale. Ed é
sommamente istruttivo riconoscere che proprio dalle considerazioni
infinitesimali — in cui il pensiero i trova esposto a non sospettate fallacie —
trae origine la critica del ragionamento, onde ne esce fuori la sco¬ perta del
principio di contraddizione e il procedimento [Adversus Aialhcmaticos, I. III. (2
) Cfr. Diog., L., Vili, 57; Sesto Adv., Math., VII, 6 (in Diels, Zenone, A,
IO); Aristotele ed. Didot] di riduzione all'assurdo, o eliminazione della
negazione. Democrito che spingerà innanzi l’analisi infinitesimale, scoprendo
il volume della piramide, viene parimente ricordato da Diogene Laerzio come
prosecutore della dialettica zenoniana. Ma importa spiegare, sia pure con
brevità, come le origini dell’analisi infinitesimale si riattacchino ad un
critica dei principi della geometria, a cui pertanto viene a connettersi lo sviluppo
della logica. La dimostrazione delle cose che qui asseriamo si troverà nei
lavori degli storici sopra citati, ed anche in altri nostri scritti, in cui abbiamo
trattato più particoiar-mente questo soggetto. Secondo le notizie che ci
vengono fornite da Proclo, nel commento al primo libro dell' Euclide, le principali
teorie geometriche che costituiscono gli Elementi furono elaborate dai
pitagorici e ricevettero già a Crotone uno sviluppo dimostrativo. Zeuthen
suppone che il punto di partenza di questo sviluppo sia stato il tentativo di
stabilire in generale la relazione fra i quadrati dell’ipotenusa e dei cateti
del triangolo rettangolo, nota sotto il nome di teorema di Pitagora. D’altronde
vi sono numerosi indizi che la geometria pitagorica avesse come fondamento una
teoria delle proporzioni (symmetria, o della misura o analogia), basata sopra
un concetto EMPIRICO del punto-esteso, preso come [Cfr. Enriques, Il procedimento
di riduzione all'assurdo, Bollettino della Mathesis ».Cfr. in ispecie Tannery,
Pour la Science hellcne, cap. X. La logica degli antichi] elemento unitario di
tutte le cose (monade). Così l’affermazione pitagorica che le cose sono numeri è
da interpretare nel senso che un corpo, o una figura geometrica, che in questo
stadio della filosofia si pensa in maniera concreta, e un aggregato di punti,
cioè unità aventi posizione. Ma l’ipotesi monadica traeva con se la commensurabilità
(simmetria) di due segmenti qualsiansi, che appunto rendeva senz' altro possibile
la misura, e questa conseguenza doveva urtarsi — nel stesso circolo pitagorico—
colla scoperta che la diagonale e il lato del quadrato sono incommensurabili.
Ora, mentre i pitagorici si affaticavano intorno a questa difficoltà, altri
filosofi che del resto sono usciti dai medesimi circoli, iniziano la critica
dei concetti geometrici, riconoscendo che un ragionamento, il quale voglia
mantenersi immune da contraddizioni, deve riguardare il punto come privo di
estensione, la linea come lunghezza senza larghezza, la superficie senza
spessore, e di qui vengoo naturalmente condotti alle prime considerazioni
infinitesimali. Questi critici razionalisti sono i filosofi di Velia: Parmenide
e il suo discepolo, l’italiano Zenone. La loro speculazione segna un punto
decisivo nella storia della filosofìa, perocché essa proclama nettamente, per
la prima volta, i diritti della ragione: il ragionamento coerente viene assunto
[Parmenide è annoverato fra i pitagorici nel catalogo di Giarablico (Diels,
Pyth.) e delle sue relazioni con altri pitagorici ci viene attestato da Diogene
Laerzio. Senz’ altro a misura della verità, cioè dell' esistenza metafisica,
distinta e contrapposta all’ opinione probabile che si riferisce alla realtà
sensibile. Da questo razionalismo, per cui il pensiero non esita a staccarsi
dalle apparenze fenomeniche per serbare rigida fede ai suoi principi, nasce il
metodo dialettico, che è il germe della logica. La quale ebbe a svilupparsi di
poi, mentre fervevano le controversie fra empiristi e razionalisti, e — per
opera di questi — si proseguiva lo sviluppo dell analisi infinitesimale
(Democrito), e se ne indagava criticamente i principi (Eudosso). Ma, poiché
questa critica — toccando alla teoria fondamentale degli incommensurabili e
delle proporzioni — veniva ad involgere l’intiero problema dell’assetto
rigoroso della geometria, la ricerca logica non poteva limitarsi all’ analisi
dei sottili procedimenti implicaturali della deduzione, anzi doveva naturalmente
estendersi all’ordinamento della scienza e alla valutazione dei suoi principi. In
rapporto a ciò che precede riescono sommamente espressivi ed interessanti i
giudizii di Plato ne, sebbene forse, si sia esagerata dallo Zeuthen l’influenza
che il filosofo ateniese può. “Sur la riforme qu' a subie la malhématique de
Platon à Euclide et gràce à laquelle elle est devenue Science raisonnée,
“Memorie dell’ Accademia di Copenhagen”)] avere esercitato su pensatori
matematici quali Eudosso Teeteto, allorché designa il movimento critico el
tempo col nome di riforma platonica dèlle matematiche. Riferiamo alcuni passi della
Republica 510. Quelli che si occupano di geometria e di aritmetica ecc.
assumono il “pari” ed il “dispari”, e le figure e tre specie di angoli, e altri
simili supposti nelle dimostrazioni; e come avendone certa scienza questi
supposti li prendono per base, e quasi fossero evidenti non pensano affato a
darne alcuna ragione, nè a se stessi, nè agli altri; anzi, di qui partendo,
ordinatamente dimostrano lutto il resto giungendo infine a ciò che si
proponevano di dimostrare. Essi si valgono, per ciò, di figure visibili, e
ragionano su di esse, non ad esse pensando, ma a quelle di cui queste sono l’immagine,
ragionando sul quadrato in se stesso e sulla sua diagonale, anziché su quello o
quella che disegnano; e cosìutte le figure che formano o disegnano (quasi ombre
o immagini specchiate dall' acqua), tutte le adoperano come rappresentazioni,
cercando di vedere attraverso di esse i loro originali, che non sono visibili
se nndall’intelligenza (5:cV3ix).... ». (511). Questa specie invero io la
dicevo intelligibile, e intendevo dire che l’anima nell’ investigazione di
essa, è costretta a valersi di remesse. Ci valiamo dell’ed. Didot e della trad.
it. edita da Laterza, che riportiamo con lievi modificazioni. non procede al
principio, perchè non è in grado di andare oltre alle premesse, ma si vale,
come d’ immagini, degli originali appartenenti al mondo di quaggiù, da esse
imitali, valutandoli e stimandoli come eidenti di fronte a quelle,” mentre “il
ragionamento che usa la forza della dialettica, considerando le remesse non
come principi ma soltanto come pre¬ esse — quasi punti d’ appoggio e di
partenza — giunge a ciò che più non ha premesse, cioè al principio universale,
e raggiuntolo e tenendosi fermo alle conseguenze che ne derivano, perviene al
fine senza far uso di nessun sensibile, cioè procede dalle idee stesse alle
idee attraverso le idee, per finire alle idee. Di qui la distinzione posta fra
la ragione del dialettico (vo’jc, vóy}oic) e l’intelligenza del geometra
(3:xvo:s() che sta di mezzo fra l’opinione e la ragione”. La stessa distinzione
ritorna in: Rep. (533c,...): la geometria e le scienze affini sognano rispetto
all’ essere, ma è imposibile che lo vedano ad occhi aperti, intanto che si
valgono di postulati e li tengon fermi, mentre non sanno renderne conto.
Veramente la disciplina, che ignora il suo principio, e che ha la fine e il
mezzo legato a ciò che non sa, come si potrebbe chiamarla scienza?... ».Vi è
qualche difficoltà a comprendere queste vedute. Anzitutto giova respingere l’
interpretazione più comune, che stabilisce una differenza radicale fra la
ragione del dialettico e l’intelligenza del geometra, giacché non si riesce a
dare alcun significato alle idee platoniche, se non ammettendo che esse
esistano nello stesso modo in cui si afferma l’esistenza di rapporti o di forme
matematiche nella natura. L' apparente contraddizione fra questo modo d'intendere
la dottrina e le parole del testo sopra accennato, si toglie ammettendo che il
posto inferiore attribuito alle matematiche di fronte alla dialettica, si
riferisca non tanto alle matematiche pure, costruibili come scienze (pafW’yiJ.aT*)
secondo l’ideale del nostro, quanto alle matematiche considerate come arti
(zl'/yy.:). Ed in appoggio a tale veduta si possono citare altri passi dello
stesso dialogo, p. es.: Rep. (527) anche
coloro che sono poco profondi in geometria, non metteranno in dubbio che questa
scienza è tutto il contrario di quanto parrebbe dalla terminologia che usano
quelli che la professano. È una terminologia troppo ridicola e misera, perchè —
quasi si trattasse di scopo pratico — parlano sempre di quadrare, di prolungare
o di aggiungere. Invece tutta la scienza si coltiva collo scopo di conoscere”. Ma
qual’ è l’ordinamento della geometria vagheggiato da Platone? su che base
vorrebbe egli edificarne i principi? I passi citati indicano assai chiaramente
che per conferire alla scienza un valore razionale, il filosofo [Cfr. G.
Milhaud: Les philosophes géometres de la Grece. Parigi, Alcan; Enriques:
Scienza e razionalismo, Bologna, Zanichelli] vorrebbe eliminare quelle domande
che si pongono a fondamento delle dimostrazioni, sotto il nome di postulati
(axioma), mercè cui si assume la possibilità di certe costruzioni, facendo
appello ad operazioni pratiche sopra modelli sensibili. La base della
geometria, edificata secondo i criteri della dialettica, consisterebbe duue in
pure definizioni (il procedimento dialettico ha appunto come scopo di definire
i concetti !) o in principi evidenti — quali gli assiomi — che Platone
riguarderebbe come conoscenze innate, giusta la teoria della reminiscenza (annamnesis)
esposta nel Menone. In tal guisa le proprietà elementari che una figure
visibile ha porto occasione di riconoscere, merce 1 intelligenza ideahzzatrice
(dianoia), apparirebbero fondate sulla pura ragione (nous). Rivolgendoci agli
Analytica di Aristotele, vi troveremo notizie più precise sui criteri adottati
dai geometri nell ordinamento logico della scienza, criteri che sara
interessante di raffrontare a quelli che appaiono, in atto, negli Elementi
euclidei. Già al principio degli Analytica priora, l’autore definisce il concetto
della scienza di cui imprende lo studio. Anzitutto e da dire il soggetto e lo
scopo di questo studio: il soggetto è la dimostrazione e lo scopo è la scienza
dimostrativa (à~:a~y.tirj à7to8sM~:xf/). Quindi, negli stessi Analytica priora,
viene a stabilire la teoria del sillogismo (teorico o aletico, e pratico o
volitivo), e passa poi ad esaminare — nei posteriora — l’ordinamento delle
scienze deduttive, riferendosi perciò continuamente alle matematiche. Quest’
ultimo trattato, che qui occorre specialmente esaminare, si apre coll’
enunciato che ogni conoscenza razionale, sia insegnata, sia acquistata, deriva
sempre da conoscenze anteriori. L'osservazione mostra che ciò è vero di tutte
le scienze. Infatti questo è il procedimento delle matematiche e, senza eccezione,
di tutte le altre arti. Ora dal concetto stesso del sapere segue
necessariamente che la scienza dimostrativa procede da principi veri, da principi
immediati, più noti che la conclusione, di cui sono la causa ed a cui
precedono. Aristotele (ibidem, 1, 3) esamina e respinge le obiezioni di due
specie di avversari di questa dottrina, i quali pretendono o che non vi sieno
principi e però che la dimostrazione riesca impossibile, dando luogo ad un
regresso all’ infinito; o, all' opposto, che il procedimento della
dimostrazione sia affatto relativo, sicché i principi possano provarsi partendo
dalle conclusioni, così come le conclusioni dai principi: ciò che egli dice dar
luogo ad un circolo vizioso. Sarebbe assai interessante conoscere gli avversari
[Cfr. Enriques: Il concetto della Logica dimostrativa secondo Aristotele in «
Rivista di filosofia ») An. post. I, 2 (6). a cui il nostro si riferisce. Forse
la prima obiezione apparteneva alla polemica antimatematica di filosofi
empiristi, mentre la seconda potrebbe essersi presentata nei circoli megarici
(imbevuti del relativismo veliatico) ovvero a Democrito o ad altri matematici,
critici dei principi della scienza. Ad ogni modo, della veduta qui espressa —
che è solo apparentemente illogica — ci colpisce l'analogia che essa presenta
con talune vedute moderne. Aristotele combatte questo relativismo, poiché tutta
la sua metafisica, ispirata alla dottrina platonica delle idee, e soggiacente
alla sua logica, reagisce appunto alle tendenze relativistiche delle speculazioni,
che dalla scienza presocratica erano passate nel dominio del costume e delle
credenze religiose, in guisa da minacciare le condizioni della vita sociale nel
mondo ellenico. Il parallelismo che i veleiatici avevano scorto fra il logo o
ragione e l’essere, e che i sofisti (avversari e prosecutori) avevano
interpretato nel modo di proiettare nella realtà l’arbitrario che è proprio
della libera critica, riceve, nella dottrina socratico-platonica, una
interpretazione inversa. Infattim la
teoria ontologica delle idee, suppone un ordine assoluto di consistenza che
stanno di fronte alla ragione come dati, sopra cui esso ha da modellare
l’ordine della propria scienza. Così dunque Platone vede nella classificazione
delle forme geometriche un modello della gerarchia delle specie naturali, la
quale si rispecchia nquel procedimento più generale di “divisione” (diaresis) e
di definizione (horismos) che costituisce la dialettica. Ed analogamente per
Aristotele, il rapporto necessario ed irrversibile fra causa ed effetto,
offerto dalla natura, si riflette nel rapporto fa premesse (p) e conseguenze (q)
della scienza dimostrativa (p implicat q); la quale perciò possiede un ordine
naturale che non può essere invertito, onde i suoi principi appariscno
assolutamente indimostrabili, An. post. I, 2 (9): Bisogna che i principi da cui
si parte sieno indimostrabili. Altrimenti, non possedendone la dimostrazione,
on potrebbero ritenersi noti, poiché sapere in modo non accidentale le cose di
cui la dimostrazione è posibile, è possederne la dimostrazione, Ora,
proseguendo l’esame degli Analityca posteriora, veniamo istruiti più
precisamente che i principi della scienza, si lasciano distinguere in più
specie. Primo, i Termini o definizioni (3 poi), cioè supposizioni del ‘significato’
(semiosis,segno) dell’espressione (in linguaggio moderno: assunzioni di
concetti primitivi non definiti) e definizione propriamente detta. Secondo, Supposizioni
d’esistenza del genere e delle sue modificazioni, cioè delle cose designate dai
termini. Terzo, Proposizioni immediate che occorre necessariamente [La teoria
logica della definizione è trattata da Aristotele in An. post. II, e specie nei
Capi 9 e 12: dove si pscrive la regola di restringere successivamente l’estensione
del genere aggiungendo — nell’ordine naturale — la differenza specifica che lo
delimitano, fino a che esse circoscrivano, nel loro insieme, l’estensione del soggetto
da definire] riamete conoscere per apprendere qualsiasi cosa, le quali vengono
chiamate assiomi (ófiwpaTsc) giacché vi sono proposizioni di tal natura e ad
esse si riserva abitualmente questo nome. Infine anche ipotesi o postulati
(odr^i-istra), che s'introducono effettivamente nell’ insegnameto delle
matematiche (o anche nella discussione) domandando al discente di ammettere
l'esistenza di qualche cosa di cui egli non abbia alcuna idea, ovvero abbia
un’idea contraria. Qui d concetto d Aristotele riesce alquantscuro, iacché da
una parte egli sembra ammettere (come Platone) che un postulato potrebbe essere
eliminato * postulato... e ciò che si pone senza dimostrazione, quantunque
potrebbe dimostrarsi, e di cui ci si serve senz’ averlo dimostrato » (I, 10 (8)
); e d’ altra parte (riferendo evidentemente le vedute dei geometri) egli
avverte che una definizione non e un’ ipotesi perchè non dice se la cosa
definita esista oppur no. Ma probabilmente il suo pensiero è che il sapere
dovrebbe edificarsi su quelle sole supposizioni d'esistenza che hanno carattere
di necessità, essendo vere di per sé stesse (xaO’ alili), le quali non si
possono considerare come ipotesi o postulati.. (1, 10(7)), imperocché la
dimostrazione si rivolge non alla parola esteriore, ma alla parola interiore
dell’animo. Con ciò il Nostro fa appello a quel sentimento d’evidenza del
pensiero che Platone. Usalo dai pitagorici secondo Giamblico (in Diels). ha
rappresentato come intima sincerità nel Teeteto, servendosi quasi delle stesse
parole. Tuttavia Aristotele critica la teoria platonica della reminiscenza, negando
che vi siano conoscenze innate. La conoscenza universale dei principi viene per
lui acquisita indubbiamente dalla sensazione. Essa si produce mercè l’unità
dell’ esperienza che sussiste nell' anima, nonostante la molteplicità degli
oggetti, in forza della facoltà di fissare ciò che vi è di simile o d’identico
nei particolari e di riconoscerlo come dato del pensiero. (An. post.. Ciò non
toglie all’ assoluta verità che l'intelligenza idealizzatrice (òtavaa), fondamento
della scienza, conferisce ai suoi principi (II, 1-5 (8)). Alle dottrine
d’Aristotele giova paragonare quelle che appariscono nell’ ordinamento degli
Elementi di Euclide: Il ragionare è un discorso che l'anima rivolge a sè
stessa, per sè, intorno alle cose che consideri nemmeno in sogno hai ardito
dire a te stesso che il dispari è pari, o altra simile cosa. An. priora II, 21 (7)
e An. post. Heiberg, Euclidis opera omnia, Teubner, Lipsia, Secondo le
indicazioni del commentatore Proclo di Bisanziom Euclide sarebbe vissuto in Alessandria
al tempo del re Tolomeo. Le opere di Aristotele che conosciamo sembrano
appartenere all’ultimo decennio della sua vita. Nei quali si trovano tre specie
di principi: 1) termini o definizioni (Spot): 2) postulati 3) nozioni comuni
(y.otvof Ivvoiat). Non è qui il luogo per sottoporre ad un’analisi appiofondita
queste premesse, che — a dir vero — sono lungi dall’apparire soddisfacenti,
tanto che da Tannery si è perfino messo in dubbio la loro autenticità; solo,
riferendoci alla critica che ne ha fatto lo Zeuthen, Limiteremo ad alcune
osservazioni logiche. Ma anzitutto vogliamo arrestarci un momento sopra una
questione di parole. Non pochi si meravigliano che Euclide usa l’espressione
‘nozione comune’ per designare quelli che Aristotele chiama (coi matematici
pitagorici) * assiomi», tanto più che — si dice — l’espressione « evvow »
compare solo più tardi nel linguaggio degli Stoici. Ora non è fuor di luogo
rilevare che la stessa espressione si trova pure in Democrito. Il rilievo
assume interesse per la circostanza che Democrito compose, circa cent’anni
prima d’ Euclide, degli Elementi, che non sono annoverati nel sunto storico di
Proclo, ma di cui Trasillo ci ha conservato i titoli (:J ); tanto più che
questi lasciano (*) Clr. Hisloire dea malhimallquea traci, dal danese di Mascari
(Parigi, Gauthier-Villars): n. 14, 69 94. Cfr. Sesto in Diels, A, III. (3 )
rsti>|isi?t>t(óv (A, li?), Api0|io£, IIspl à/.dyfev Ypxfijitòv stai
vxowùv A, li (cfr. Diels B, II", II 0, I |P)] scorgere un ordinamento
della materia simile a quello adottato dallo stesso Euclide. Non sembra fuor di
luogo congetturare che nella terminologia democritea gli assiomi venissero
appunto designati come nozione o nozione comune, e che il geometra
alessandrino, imprendendo a sistemare la stessa materia, in rapporto ai
progressi critici del secolo, abbia conservato la denominazione del suo
illustre predecessore: al quale di preferenza doveva guardare. Diciamo ora che
la distinzione fra le nozioni comuni o gli assiomi, e i postulati, viene spiegata
da Gemino in Proclo come analoga a quella fra teoremi e problemi, o fra
identità e equazioni, in quanto i primi porgono delle relazioni, per cui certe
proprietà resultano conciute come conseguenza di altre date, laddove i secondi
assegnano costruzioni elementari, ciò che, nel concetto dei antichi, significa
affermare l’ esistenza di enti particolari cui s’impongono certe condizioni.
Questo carattere costruttivo sembra mancare soltanto al post. 4 (tutti gli
ngoli retti sono uguali fra loro); ma Zeulhen spiega come in tale affermazione
debba vedersi un complemento del post. 2, nel modo di affermare che il prolungamento
di una retta è unico. In appoggio della nostra veduta può valere, forse, un
passo del noto commento. Prodi Diadoclii in primum Euclidis Elemenorum librato
commentarii (ed. Friedlein), in cui sembra che Proclo alluda all'uso dei
geometri di chiamare nozione comune ciò che Aristotele chiama assioma. Cfr.
Vailati, Scritti, Proclo osserva pure che gli assiomi e i postulati
differiscono anche per essere: questi, principi particolari della geometria, e
quelli, principi comuni alle varie scienze; infatti si tratta qui delle
proprietà generali dell uguaglianza e diseguaglianza fra grandezze. Infine la
distinzione fra le due specie di principi si accorda anche col criterio
d'Aristotele, che riconosce negli assiomi delle verità cessarie ed indimostrabili,
perchè evidenti di per se (xocS' èx jvx), e nei postulati delle verità —
partecipanti ad un’ altra specie di evidenza (sensibile) — che non risultano
ugualmente dviyxw dal significato dei termini che vi figurano: la natura del principio,
enunciato da Euclide come nozione comune, sembra infatti rispondere a questo
criterio. Ma se taluni geometri (al dire dello stesso Proclo) recusavano di
distinguere assioma e postulato, mancano tuttavia indizi per affermare che essi
respingessero il significato che Aristotele e probabilmente altri ancora
(secondo la metafisica del senso comune) attaccavano a codesta distinzione,
così come lo respinge la critica moderna, che per tale motivo appunto —
considera ugualmente le proposizioni primitive della scienza quali postulati,
da ricevere, in una qualsiasi teoria deduttiva, come dati anteriori allo
sviluppo della teoria stessa. Un piccolo lume ci è recato in tali questioni dal
riferimento dello stesso Proclo circa un tentativo di dimostrare l'assioma I
(cose uguali ad una terza sono uguali fra loro), che sarebbe stato fatto da
Apollonio. Infatti della tentata dimostrazione viene porto il seguente cenno. Sia
a uguale a b, e b uguale a c; dico che a è uguale a c. Invero a occupa Io
stesso luogo (córto;) di b, e così b occupa lo stesso luogo di c; quindi anche
a occupa lo stesso luogo di c. Questo ragionamento indicherebbe forse che
Apollonio voleva ricondurre il concetto euclideo di ‘eguaglianza’ geometrica al
caso della sovrapponibilità delle figure, facendo appello ad esperienze ideali
di movimento, mercè cui poteva iludersi di ridurre ad una pura proposizione
identica la proprietà transitiva di quella relazione. Mentre il ricorso a
siffatte esperienze ci avverte appunto (con Helmholtz e Stolz) che il detto
assioma 1 ha un significato o carattere sintetico e non può ritenersi come una
semplice proposizione analitica (vera per definizione). Comunque il rifermento
accennato lascia presumere che la critica dei principi sia stata spinta innanzi
da Apollonio, dopo Euclide, con quella penetrazione di cui volentieri siamo
disposti ad accreditare il grande geometra iPerga. Ritorniamo all' Euclide per
esaminare, in breve, i principi eh' egli ha designato col nome horós: termine o
definizione. Se essi vengono considerati come definizione, non si può a meno di
rilevarne la manchevolezza, poiché non offrono, spesso, che descrizioni atte a
indicare la genesi psicologica dei concetti. Così, p. es., in 3 e 3, dove si
dice che gli estremi di una linea sono punti, e che gli estremi di una
superficie sono linee. Ma, verosimilmente, queste ed altre spiegazioni sono da
considerare in rapporto alla tradizione storica precedente, come un richiamo
dei caratteri per cui gli enti delia geometria razionale appaiono idealizzazioni
dell'esperienza: p. es. le I, 2, 5 stanno a ricordare che — secondo il risultato
della critica veliatica il punto è inesteso, la linea è lunghezza senza
larghezza, e la superficie non ha spessore. Anche quelle che si presentano come
definizioni propriamente dette, non ottemperano sempre al criterio fondamentale
enunciato da Aristotele, che l’insieme degli attributi restringa l’estensione
del genere in guisa da non appartenere ad alcun concetto più esteso. Per questo
motivo sembra insufficiente la def. 4, inea retta è quella che e posta ugualmente
rispetto ai suoi punti. Imperocché, se s interpreta come si usa comunemente, retta
è quella linea che è divisa in due parti uguali da qualsiasi uo punto’, si
enuncia una proprietà non caratteristica della retta, che appartiene anche
all’elica (cfr. Apollonio in Proclo: 105, 5). Ora conviene aggiungere che
Euclide, non soltanto suppone l’esistenza di ciò che viene immediatamente
designato da alcuni termini, ma sembra anche introdurre surrettiziamente alcune
ipotesi esistenziali, per mezzo di definizioni, laddove — per analogia coi
criteri seguiti in altri casi — si sarebbe aspettata l'esplicita introduzione
di un postulato. Ciò accade, in ispecie, per quel che riguarda le intersezioni
di rette e circoli, le assunoni adoperate nelle prop. I, 12, 22 sembrando giustificarsi
(secondo che osserva ) Cfr. Proclo 1. linea II] Zeuthen) mediante la definizione
(15) del circolo come figura piana compresa da una sola linea. Ma non giova
insistere su tali difetti, che apparten¬ gono all’esecuzione e non modificano i
criteri logici del disegno. Restando nell’ordine d’idee euclideo, avremmo
soltanto da completare i postulati coll’ enunciare esplicitamente i casi
d'esistenza delle interse¬ zioni di rette e cerchi o di due cerchi, che si
offrono nelle costruzioni elementari. Interessa piuttosto di rile¬ vare come
queste ipotesi esistenziali, che la geometria antica introduceva nei singoli
casi, mercè appropriate costruzioni, oggi si lasciano dedurre da un unico principio
generale di continuità, onde l'affermazione d’esistenza si libera dalla ricerca
dei mezzi costruttivi, complicantisi colla natura del problema. E questo un
progresso conforme all'indirizzo preconizzato da Platone, che— come si è visto
— repugnava appunto da ciò che sa di pratico o di meccanico nella formu¬
lazione dei postulati. Nota. A complemento di quel che si è detto intorno alla
geometria euclidea, aggiungeremo che Archimede (5) sembra classificare e
distinguere i principi in modo diverso, poiché (in una lettera a (Cfr. p. e*.
I* art. 5° di G. Vii a li nelle Questioni riguardanti le matematiche elementari
raccolte e coordinate daF. Enriques Voi. J, Bologna, Zahelli. De sphaera et
cilindro in « Archiinedis opera omnia cum commentari^ Eutocii », ed. Heiberg.
Lipsia, 1910. Cfr. The Work* of Archimedes, e. Heath, Cambridge, Capitolo I
Dositeo) chima «assiomi» (à^:ih\i.xTx) le definizioni accompagnate da
supposizioni d’esistenza: p. es. esi¬ stono linee piane che giacciono tutte da
una parte ecc., e queste si dicono concave; mentre poi dà il nome di *
assunzioni » (Aa|l3*V0;xsva) a taluni principi (teoremi precednemente stabiliti
o postulati, assai eleganti) da cui muove la sua trattazione: p. es. la retta è
la linea più breve tra due punti. Il commento d’Eutocio restituisce agli
àfjuojtara archimedei il nome di opy. ConsiderazioSe ora, riguardando
soprattutto ai secondi Analitici d’Aristotele e agli Elementi d’Euclide,
cerchiamo di esprimere le nostre impressioni in un giudizio sintetico sulla
logica degli antichi, domandandoci fino a che punto i loro criteri ci sembrino
accettabili o esaurienti, siamo condotti alle seguenti riflessioni. La logica
dei antichi suppone un ingenuo realismo per cui il pensiero appare come la
copia o la visione di una natura esterna. Così il numero dai pitagorici e lo
spazio continuo dagli eleati, sono pensati in concreto, ad imitazione di quella
sostanza cosmica che viene figurata costituire il sostrato naturale (la epa:;)
di tutte le cose. La supposizione realistica è tipicamente espresa nella teoria
delle idee di Platone, che (orma infine la metafisica soggiacente alla logica
d'Aristotele. Da essa deriva il carat¬ tere di necessità dei principi, e quindi
la pretesa di un ordine naturale della scienza, facente capo a pre- messe
assolutamente indimostrabili; la qual pretesa viene corretta, almeno in parte,
nelle vedute dei geometri. Ma dallo
stesso realismo, ha origine la radicale manchevolezza della teoria della
definizione. Poiché le oscunta del trattato di Aristotele e le imperfezioni
dell’Euclide, in enere gli errori della critica che si riscontrano in tali
opere, si possono riattaccare a codesto presupposto, quasi a comune radice. Si
ammette infatti che le parole rispondano ad enti di un mondo intelligibile
trascendente il soggetto, che si tratta di fissare univocament Di qui il
criterio che la deduzione logica debba tener presenti, non soltanto le premesse
esplicitamente enunciate come assiomi o postulati, bensì anche il significato
dei termini su cui si ragiona, vedendo, attraverso di essi, quella realtà
(geometrica ecc.) che è oggetto del pensiero. Ma ciò significa autorizzare nel
ragionamento inconfessati appelli all' intuizione, che, dichiarati, si
tradurrebbero in nuovi assiomi. Ora, se l'intuizione (o visione del
significato) rimane sempre presupposta nel ragionamento, quando mai potremo
assicurarci che gli assiomi formino un sistema completo? A stretto rigore di
tale domanda non si riesce neanche a definire il senso ! E quindi non si
comprende perchè si senta il bisogno di enunciare — a preferenza di altri —
alcuni fra gli assiomi, che pure sono dichiarati evidenti, necessari ecc. ecc. Aggiungiamo
che anche l’analisi aristotelica del ragionamento, facente capo alla teoria del
sillogismo (An. priora) sta pure in relazione col presup¬ posto metafisico
della logica. E specialmente colla circostanza che i Greci, in generale,
immaginarono la realtà intelligibile rappresentata dalla scienza, sul tipo
statico della classificazione delle forme geome¬ triche: tale è infatti il
carattere dell’ ontologia eleatica, che imprime il suo suggello sulla dottrina
platonica non superata veramente da Aristotele. Soltanto Democrito, come diremo
più avanti, si solleva al concetto di una scienza razionale del moto, ma le sue
vedute filosofiche non trovano adeguato sviluppo se non due mila anni più
tardi, all epoca della Rinascita. Qui conviene rilevare che le critiche mosse
alla teoria sillogistica dagli empiristi inglesi (da Bacone a Mill), opponenti
alla deduzione 1 induzione generahzzatrice dell’esperienza, hanno fatto perder
di vista ciò che manca all’ analisi aristotelica del ragionamento, pur
riguardato nelle forme rigorose, che sole appartengono — secondo il concetto
del filosofo greco alla logica dimostrativa propriamente detta. Infatti i brevi
cenni che Aristotele dedica all’induzione (completa), negli Analylica priora,
non suppliscono certo all’analisi delle operazioni logiche costruttive
(significate da particelle come « e », o » ecc.) che accanto al sillogismo
ricorrono nello sviluppo delle dimostrazioni matematiche. La quale lacuna torna
a (i) Cfr. Cli. Werner, Aristotele et V ideallsme plalonicien, Alcan, Parigi]
riflettersi sulla teoria delle definizioni, che appunto esprimono codesto lavoro
costruttivo del pensiero. Infine giova rilevare che l’anzidetto realismo si
riflette in una concezione ingenua del linguaggio: la filosofia greca — sia che
abbia ammesso l'origine naturale della lingua (come Platone nel Cratilo), sia
che abbia rilevato ciò che vi è di convenzionale nelle parole (come Democrito e
Aristotele) — non riesce a scorgere la varietà essenziale delle lingue, che
tiene ai diversi modi di rappresentazione delle cose ed esprimendo la libera
attività del soggetto, dà origine all'intraducibilità. Dice infatti Aristotele:
De Inlerpretatione, 1. Una espressione e una l'immagine delle modificazioni
dell'anima. L’espressioni differiscono fra loro. Ma una modificazione
dell’anima, di cui l’espressione e i SEGNO immediato, e identica per tutti gli
uomini, come sono identiche per tutti le cose che quelle modificazioni
esattamente rappresentano. E chiaro come una siffatta dottrina spieghi quella
confusione fra analisi logica e analisi del linguaggio, Proclo, nel commento al “Cratilo”, riferisce
appunto questa opinione di Democrito, basata auiromonimia e la sinonimia di una
espressione E1 e una espressione E2, sul cambiamento dei nomi e sul difetto di
analogia nella formazione di certe espressioni verbali. (Cfr. le note al Cratilo
di Cousin). De Interpretatione, 2 (1), che culmina nel concetto aristotelico di
trarre dalla forma o materia dell’espressione grammaticale una classificazione o tassonomia di questa o
quella categoria. In ciò che precede ci siamo fermati a studiare il pensiero
degli antichi traverso le sistemazioni scientifiche che sono a noi pervenute.
Ma, per l’intelligenza dello sviluppo ulteriore che la logica riceve nelle
scuole filosofiche dopo Aristotele, conviene tener conto dell'influsso che i
predecessori del Stagirita sembrano aver esercitato sul movimento delle idee.
Infatti codesto sviluppo si lascia definire, nlle sue linee generali, come
tendente a liberare il pensiero dall ontologismo, che pure sopravvive in
qualche modo alla ideologia platonico-aristotelica, nella misura in cui tale
filosofia esprime la metafisica del senso comune. E l’anzidetta tendenza
liberatrice si esplica in un progresso verso il formalismo logico, che procede
dallo studio degli schemi discorsivi, formante oggetto degli Analytica priora.
Questo progresso si avverte già nei primi paripatetici, come Eudemo, lo
scrittore di una storia delle matematiche, e Teofrasto il raccoglitore delle
opinioni dei fisici, ma più largamente ancora negli Stoici, in cui è pure
passata 1 eredita dei dialettici megarici. Questo progresso si avverte anchein
una revisione dei principi della teoria della conoscenza, che ha per oggetto
l’origine e il valore dei concetto generale da cui muove la scienza dimostrativa:
qui soprattutto vengono in luce delle vedute che debbono essere riattaccate ai
grandi predecessori di Platone e di Aristotele; sulle quali l’interesse della
questione c invita a fermarci. Ora, se ci volgiamo a riostruire induttivamente
le idee di codesti predecessori, la figura di Democrito d'Abdera, deve
attirare, sovra ogni altra, la nostra attenzione. Democrito, vissuto 40 anni
dopo Anassagora e 25 anni dopo il suo concittadino Protagora che è il maggiore
rappresentante della sofistica), deve esser considerato come un contemporaneo di
Platone. Così, soltanto i pregiudizii dominanti la ricostruzione della storia
della filosofia greco-romana nel secolo decimonono, hanno impedito di stdare
più da vicino i rapporti fra Democrito e Platone, relegando Democrito tra i pre-socratici
e perfino tra i pre-sofisti, in onta alla cronologia. Democrito è il ande
fondatore dell’atomismo, in cui ha tuttavia come precursore Leucippo, e che fu
svolta da lui come una teoria cinetica cosmologica. Attraverso questa dottrina
Democrito agiunse ad una rigorosa concezione del determinismo meccanico, e
verosimilmente he alla scoperta di principi (massa, inerzia) chalileo. Fanno eccezione
Windelband e Burnel, che restituiscono airAbderita il suo posto cronologico, ma
che tuttavia non sembrano arne un apprezzamento proporzionato all' importanza
del suo lavoro scientifico] ha riostruito due mil’ anni più tardi, riprendendo
le intuizioni fondamentali del lontano predecessore. Per il suo rigido
meccanicismo, con esclusione di ogni teleologia, Democrito viene considerato
come il padre del materialismo, e da ciò appunto ha origine il pregiudizio da
cui in ispecie la storia svoltasi sotto l’nfluenza hegeliana, nel secolo
decimonono, non ha saputo mai emanciparsi completamente. Quantunque un esame
accurato avrebbe permesso di riconoscere ello stesso Democrito anche il padre
dello spiritualismo (così come Leibniz sembra avere intuito!) e forse anche di
far risalire a lui l’argomento per l’immortalita dell’anima basato sulla sua
semplicità o in-divis-ibilità, che s'incontra nel Fedone. Le opere di
Democrito, di cui ci sono trasmessi i titoli da Trasillo, formano una mole
imponente e si riferiscono ai più svariati argomenti, dalle matematiche alla fisica,
alle scienze naturali, all’agricoltura, alla teoria dei segno e
dell’espressione, la dialettica, la grammatica, alla poetica, alla teoria della
conoscenza ecc. ecc.; fra i frammenti più belli sono da annoverare quelli
morali, conservatici da Stobeo. La posizione filosofica di Democrito, per ciò
che concerne la teoria della conoscenza, resulta dalla testimonianza di Sesto
Empirico, laddove egli parla di Democrito e Platone sostenitori della verità
degli intelligibili (ià vorjra) in contraddizione con Protagora [Di ciò mi
propongo fornire altrove la prova col confront dei testi aristotelici] aora. Si
tratta dunque di un razionalismo, che si contrappone all’ empirismo protagoreo.
Ma, poichè a sua volta questo empirismo dei sofisti era sorto come una reazione
di caratere “positivistico” al razionalismo metafisico della scuola di Velia, è
naturale che Democrito avesse a tener conto dell’ esigenza fondamentale che i
sofisti avevano formulato. Democrito non posse semplicemente riprendere come
materia della scienza una Verità (£M)0s:a) indifferente rispetto all’opinione
(doxa) che si riferisce alle cose sensibili, ma doveva invece cercare una
razionalizzazione dell’empirico, cioè una verità atta a salvare i fenomeni
(ofttTe'.v ~ì 6|JtSV«); e siffatta veduta si poteva esprimere nel linguaggio
tecnico del tempo, dando per compito alla scienza l’opinione vera, o inverata
mediante il ragionamento. Appunto questa teoria della scienza come lii^x (isià
Xóyo'j, viene riferita e discussa da Platone nel “Teeteto”, ed una comparazione
analitica del testo con altri dello stesso Platone e di Aristotele, prova che
il riferimento deve essere attribuito a Democrito. Ma, poiché la spiegazione
razionale dei fenomeni suppone dei concetti, per mezzo dei quali si unifichi la
rappresentazione delle cose del mondo empirico, si può domandare su che
Democrito ne basasse il ossesso da parte dal soggeto percipiente. Qui soccorono
alcune indicazioni. Diel. A. 59 i eh. A. 114. Cfr. E.: La teoria democritea
delta scienza nel dialoghi di 'Platone, Rivista di Filosofia) Anzitutto Democrito
viene additato da Aristotele come il primo a trattare delle definizioni di cose
fisiche, mentre ei ci dice che con Socrate crebbe l'uso del definire e si
estese soprattutto alle nozioni morali. Conviene intendere che Democrito inizia
quel modo di definire proprio della scuola socratica, in cui si ricercano i
caratteri comuni delle cose che rispondono al definito; è più difficile dire se
lo stesso Democrito, come Socrate, facesse anche appello alla nozione comune
che tutti gli uomini si formano in rapporto a dati oggetti; e tuttavia questo
criterio ei ben poteva derivare da Eraclito, cui lo stesso Socrate sembra avere
attinto. In un frammento della già citata opera logica di Democrito rtsp:
àoyrxtòv noi xzvwv che ci è statmandato da Sesto, vengono distinte due speecie,
di conoscenza, l’una relativa all’intelligenza (à7j; Siavaas), l’altra alla
sensazione (Ò:à rwv aìofi^oetov). Dice precisamente Democrito: “Vi sono due forme
della conoscenza: una conoscenza pura o legittima (yvyjafyj) ed una adombrata spuria
(av.v.ri). Appartengono a quest’ ultima forma adombrata spuria le cinque sensi:
la vista (visum), l’udito (uditum), il gusto (gustatum), l’odorato (odoratum),
il tattoo (tactum). Ma la conoscenza pura è completamente distinta. Ed aggiunge
ce questa conoscenza pura è relativa ad un (') Mtt. I, 4, (3), De Partibus
Animalium I, 1 (ed. Didot, t. IH, pag. 223, 2). (! ) In Diel» B. II) orbano di
pensiero più raffinato che prende il posto di un vedere o di un udire o gustare
o odorre o tastare nel più piccolo (mettendoci così in rapporto colla vera
natura delle cose, cioè cogli atomi. Anche in altri modi Democrito esprime la
relazione fra le due forme del conoscere; per esempio ove dice che « apparenza
(vòptoi) il colore, apparenza il dolce, apparenza l'amaro. In realtà soltanto
gli atomi e il vuoto. Ma poi, facendo parlare i sensi contro l’intelligenza,
soggiunge povera me, prendendo da noi la tua fede, tu vuoi confonderci; la tua vittoria
è la tua caduta. Troviamo qui una notizia estremamente interessante. Democrito,
al pari di Platone e di Aristotele, e prima di loro, dibatteva il problema
dell'origine dell’idea. Democrito non si fermava, come il filosofo ateniese
alla supposizione della conoscenze innata (teoria della reminiscenza --
anamnesis), anzi piuttosto sembra derivare la idea dalla sensazione, sicché è
lecito pensare che a lui possa aver attinto Aristotele la veduta che gli abbiam
visto esprimere in An. Post. Il, 15. Ma, mentre in Aristotele non si vede come
possa conciliarsi questa dottrina colla dignità attribuita alla nozione
induttivamente acquistata, che debbe costituire le premesse necessarie della
scienza dimostrativa, ciò che sappiamo intorno alla teoria delle sensazione di
Democrito (in rapporto alla fondamentale (*) Galeno in Die!» B. 125; cfr. Sesto
in Diels B. 9.] supposizione atomica) e ben atto a sciogliere la difficoltà.
Ammetteva infatti il Nostro, che la sensazione
in generale derivassero da piccole immagini (sKoiXa) emesse dai corpi e proprie
ad impressionare gli organi dei cinque sensi ed anche lo stesso pensiero in
quella guisa in cui la luce impressiona una lastra fotografica. L’immagini
rispondente alla conoscenza inteligibile partenti direttamente dagli atomi —
sono di natura più fine. Si comprende quindi che esse possano liberarsi dalla
mescolanza colle immagini più grossolane che colpiscono i cinque sensi, quando
il confronto di sensazioni ripetute, in rapporto ad una molteplicità di cose,
permette di fissare i caratteri comuni che definiscono il concetto. Che
effettivamente Democrito riconoscesse il valore logico del concetto, quasi come
anticipazioni dell'esperienza, resulta anche dalla testimonianza di Diotimo in
Sesto (VII, 1401), che egli assumeva come criterio della comprensione delle
cose oscure il fenomeno, e come criterio della ricerca'il concetto, èvvoia
xpurr/pwv Z,r\vtpzwq. Qui è notevole lo del termine. Ivvotoe che già notammo a
proposto della designazione di y.oiw.l Ivvs:% adoperata da Euclide per gli
assiomi, giacche abbiam pur detto che codesto termine non si trova nella [Cfr.
p. et. Aetiui in Diel», A. 30. (2 ) Diels, A. III. 37]letteratura filosofica di
Platone ed Aristotele, ma invece, più tardi, presso gli Stoici. Appunto ad
un’opera di Crisippo 7tepì £?jT^7S(0£ sembra fare allusione Plutarco presso
Olimpiodoro, dove dice che gli Stoici allegano a causa di ciò (cioè della possibilità
di arrivare a cose che non si conoscono) le nozioni fisiche: tàj qjuaixà;
èvvofa?. D’altronde Diogoene Laerzio (VII, 54) (c’informa che Crisippo dice
esservi DUE criteri della verità, la sensazione e il concetto. Qui in cambio di
svvoia viene adoperata l’espressione TtpóXvjtjt:?, che ricorre anche presso gli
Epicurei, designando l’anticipazione dell’esperienza. Ora il significato
preciso che gli Stoici davano alle ÈVV 3 tati, si può rilevare, per esempio, da
un passo del De Civitate Dei di S. Agostino dove si parla di coloro che
riposero la verità nei sensi, cioè degli Epicurei e degli stessi Stoici. Qui
cum vehementer aaerint sollertiam disputando quam dialecticam nominant, a
corporis sensibus eam ducendam putarunt, hinc asseverantes animum concipere
notiones, quas appellant èvvo'st;, earum rerum scilicet quas definiendo
explicant. Da questi riferimenti sembra potersi dedurre che gli Stoici abbiano
adottato, al pari di Aristotele, la dottrina democritea dell’ origine sensibile
dei concetti – nihil est in intellectu quod prior non fuerit in sensi (l ) Cfr.
Arnim, Stoicorum veterani fragmenta. Voi. II, n. 104. Crisippo, discepolo di
Zenone Cizio (280-209 a. C.).In Arnim, op. c. 105. In Arnim, 106. (cui soltanto
gli Epicurei conservarono come fondamento l’ipotesi delle piccole immagini), ma
spogliando i concetti di quella dignità superiore che il razionalista cerca conferire
agli intelligibili; così, per loro, la dimostrazione scientifica (àiróSs:^;)
viene ridotta, per dirla con Cicerone, ad una “ratio, quae ex rebus perceptis
ad id, quod non percipiebatur, adducit.” In corrispondenza di queste vedute, di
carattere più empirico, è interessante rilevare come si modifichi la dottrina
democritea della scienza, che Zenone Cizio dice essere una comprensione sicura
e ferma e immutabile dalla ragione » (à,u£-*sov ùttò Àóyo j /./.- ovvero anche un
possesso immutabile dalla ragione, nell’accoglienza delle rappresentazioni »
(èv a>xvT5tTO)v r.ozz- a&o. Pertanto gli Stoici non giunsero a quello
schietto empirismo, che si vede accolto da Epicuro, per cui è accettata sempre
come vera ogni sensazione o apparenza: richiesero anzi che all apparenza si
aggiunga 1 assenso volontario dell animo, che per il saggia ha motivo nell
identità fra la ragione individuale e la Ragione o logos universale. Così il
concetto eracliteo del logos, che la scuola Arnim, 111. () Riferimenti di Sesto
e Diogene Laerzio in Arnim: Zeno- Citius, n. 68. (' ) Cfr. Sesto e Cicerone in
Arnim: Zeno Citius, nn. 63 e 61. 3] stoica
ha fatto proprio, doveva pur sempre conservare al pensiero una certa dignità, e
quindi facilitare il trapasso alla veduta posteriore degli eclettici (Cicerone),
per cui le commune notio vengono ritenute non più come uniformità della natura
bensì come idea innata, attestanti la reminiscenza della vera origine divina
dell' uomo, onde la teoria stoica (ritornando in effetto a Platone) viene a
fondersi colla neoplatonica. Più direttamente degli Stoici (che pure ne derivarono
il principio del determinismo universale) si riattaccano a Democrito gli
Epicurei, che ne adottarono la teoria atomica, spogliata bensì del suo più
profondo significato meccanico. Ma, come abbiamo già accennato, Epicuro e lungi
dal razionalismo del maestro d’Abdera. La sua “Canonica” comprende poche regole
di cui abbiamo chiaro riferimento da Sesto Empirico, e che Gassendi ha
ricostruito con precisione nella sua Logica. Riferiamo la parte essenziale dei
canoni epicurei così formulate. Sensus nunquam fallitur. Opinio est consequens
sensum, sensiomque superadiecta, in quam veritas aut falsitas cadit. Opinio illa vera est, cui vel suffragata, vel
non refragatur sensus evidentia. Petri Gassendi Opera Omnia, Firenze. Pari 1,
De Logicae origine el varietale]. Omnis quae in mente est anticipatio, seu
prae-notio, dependet a sensibus, idque vel incursione, vel proportione, vel
similitudine, vel compositione. (Questo stesso modo di formazione dei concetti
appare negli Stoici). Anticipatio est ipsa rei nodo, sive definitio. Est
anticipatio in omni ratiocinadoe principium. Quod inevidens est, ex rei
evidenti anticipaticele demonstrari debet. Qui è notevole 1 appello
all’evidenza sensibile (ev%ex) che viene così assunta come criterio di verità.
Nonostante la modificazione subita, è facile riconoscervi lo stesso criterio di
Democrito che contrapponendo la conoscenza pura o legittima alla conoscenza
oscura, viene appunto a ritenere la chiarezza delle idee come segno del loro
valore: senonchè quella che per Democrito era chiarezza di concepimento, diviene
per Epicuro chiarezza sensibile. Toccherà poi a Descartes di ritornare al
criterio dell’evidenza (cf. Grice, “Descartes on clear and distinct perception)
rispetto al pensiero, riguardando come vera la idea chiara e distinta
(l’aggiunta deriva dal Teeteto 209c-2l0). Dopo aver parlato degli Stoici e
degli Epicurei, ci convien dire degli [Notisi che già in Teofrasto si applica
il criterio dell’evidenza tanto all’intelligenza che al senso. (Cfr. Sesto Adv.
Malh.)] scettici i qual per verità non formano ugualmente una setta o scuola
chiusa, ma — a partire da Pirrone d’Elide e dal suo amico Timone — ofno
tuttavia una certa continuità di tradizione critica, mantenendo di fronte alle
filosofie dogmatiche un atteggiamento di dubbio metodico. No Diogene, ma Arcesilao
di Pitane e Carneade (che venne ambasciatore a Roma nel 155 a. C.), portarono
la filosofia scettica nella media Accademia – e che fascina a Scipione! Più
tardi incontriamo Enesidemo di Cnosso, Agrippa, e finalmente Sesto Empirico che
riassume tutto questo movimento nella sua opera pregevole, fonte cospicua di
notizie per la storia della filosofia romana. I rapporti esteriori che la
tradizione segnala fra Pirrone e qualche democriteo come Nausifane, nonché le
tendenze scettiche che si attribuiscono ad altri democritei (Metrodoro,
Anassarco) indicano già una certa dipendenza della scepsi da Democrito. D’altronde
il legame appare prima di tutto nel motivo morale che ispira la riserva degli
scettici di fronte alla vera natura delle cose, giacche la sospensione del
giudizio mirava a conquistare quella atarassia o imperturbabilità dell' animo,
che si riduce infine alla vittoria sulle passioni, inculcata dall'Abderita. Ma
il apporto teorico della scepsi con Democrito resulta da ciò che questi aveva
ridotto la realtà alla materia indifferente degli atomi, negando le qualità sensibili;
un passo ulteriore della critica (riportantealla posizione di Protagora) doveva
naturalmente estendere il dubbio anche a quelle proprietà primarie in cui il
grande atomista aveva scorto l'oggetto intel¬ ligibile della conoscenza. E
certo questo sviluppo era suggerito dal contrasto fra le vedute dei due razio¬
nalisti, sorti a combattere l’empirismo protagoreo: Democrito e Platone.
Giacche questi riteneva proprio come intelligibili quelle stesse qualità
(ipostatizzate sotto il nome di idea) che 1 altro aveva con¬ siderato vane
apparenze. Inoltre, anche nello stesso sistema democriteo, si può riconoscere 1
origine della critica che investirà gli intelligibili, se — come siamo stati tratti
induttivamente ad ammettere — l’Abderita faceva pur nascere 1 intelligenza dai
sensi. In tal guisa il pensiero antico avrebbe percorso una via non lon¬ tana
da quella per cui il pensiero moderno giunse dalla posizione di Galileo, di
Descartes e di Locke (i quali ripresero la distinzione fra la qualità primaria e
le qualità seconda) alla critica di Berkeley, che — attraverso la teoria della
visione - riusciva a negare anche il significato trascendente di codesto
sostrato geometrico della materia. La teoria degli scettici, si noti, non nega
affatto il mondo fenomenico, bensì oppugna la pretesa dei dogmatici di
affermare qualcosa della verità o della natura delle cose in se stesse. La
critica che essi svolgono a tale scopo, rilevando ciò che vi è di relativo nei
criterii della verità, costituisce in gran parte un acquisto durevole per la
dottrina della conoscenza: lo La logica degli antichispirito che l’anima è
affine a quello del positivismo moderno, salvo il sentimento che la veduta di
una scienza più progredita ispira oggi ai critici della metafìsica. Ma per la
storia della logica interessa soprattutto esaminare gli argomenti di Carneade
contro il concetto aristotelico della dimostrazione: intorno ai quali siamo informati
da Sesto Empirico. Ricompare qui l’idea, già affacciata dai predecessori di
Aristotele e da questi oppugnata, che ogni prova dia luogo ad un regressus in
infmitum, poiché ogni premessa deve essere dedotta da un’altra premessa. E
questo argo¬ mento prende forza dalla negazione di ogni certezza immediata,
alla quale gli scettici pervengono (come si è accennato) mercè la veduta che i
concetti su cui si ragiona traggono pure origine dal senso, onde 1 incer¬ tezza
della sensazione si riflette anche sull intelligenza. Quindi viene presa in esame
l'opinione che sia lecito fondare la scienza sopra ipotesi, e che queste sieno
fatte ferme e valide dalla verità delle conseguenze che se ne deducono. Il
passo di Sesto che critica questa opinione non dice chi ne sia l’autore; ma
resulta assai chiaro che essa deve riferirsi particolar¬ mente ai fìsici
matematici, e vi è forse qualche motivo di attribuirla già a Democrito, che per
primo propose alla scienza il compito di spiegare razionalmente i feno¬ meni.
Infatti abbiamo già accennato che questi appunto (i) Adv. Math. VII, 159-189 e
Vili in ispecie 367-463. (s ) Vili, 375] potesse essere preso di mira da
Aristotele, ove eicontesta che voler provare le premesse mediante le
conclusioni costituisce un circolo vizioso (*). Di nuovo Cameade riprende la
tesi aristotelica, notando che dal vero si può dedurre il falso; e certo
l'argomento — in stretta logica — non potrebbe essere confutato. Ma, per quanto
o scettico sia portato a dare il maggior peso a questa constatazione negativa,
Cameade non vi si arresta. Dopo aver negato l'esistenza di criteri
assolutamente certi del vero e del falso, egli accorda pure alla conoscenza un
valore probabile; e questo valore lo riconosce, in primo luogo, ad ogni
rappresentazione dotata di sufficiente evidenza, ma in grado più alto alle
catene di rappresentazioni legate 1’una all'altra in un sistema logico (ibidem,
VII, 176 e seg.). Non diverso è, in ultima analisi, il cri¬ terio positivo con
cui anche oggi possiamo giudicare il valore delle teorie scientifiche: soltanto
appare, ai nostri tempi, un atteggiamento più fiducioso, che è in rapporto
collo sviluppo della trattazione matematica della fisica; mentre il sentimento
degli scettici risponde ad una scienza meno evoluta, ed anche — piuttosto che
alla mentalità di matematici — a quella dei circoli medici, in cui Io
scetticismo antico ebbe accoglienza. Effettivamente l’uso di ipotesi, il cui
valore probabile viene desunto dalla verifica sperimentale delle conseguenze
che ne dipendono, caratterizza il metodo deduttivo-sperimentale della scienza
moderna. L. c. An. posi.] quale si disegna in Kepler, Galileo e Descartes. L'
esame intorno allo sviluppo della logica post-aristotelica, in cui abbiamo
cercato l'influsso delle idee di qualche predecessore, ci ha mostrato che in
verità il realismo logico di Aristotele è stato superato dallo stesso pensiero
greco; il quale ha toccato posizioni affatto conformi alle più alte vedute
moderne. Ma della critica speciaente istituita dai geometri dopo Euclide,
abbiamo notizie troppo scarse per misurarne il significato; e secondo le
apparenze dobbiamo ammettere che le fini ricerche di Apollonio su questo
soggetto non abbiano trovato prosecutori. D’altra parte l’opera dei filosofi
che hanno riflettuto sulla scienza, nella filosofia romana, non aderendo
propriamente ad uno sviluppo scientifico, e tanto meno matematico, prese spesso
quella forma negativa che nel modo più raffinato ci presenta la dottrina
scettica. Infatti per osservatori cui non sia dato di riprendere e di
proseguire il pensiero profondo dei più antichi filosofi matematici, la confutazione
di un ordine di verità necessario, quale è affermato da Aristotele, deve
apparire una confutazione dell stessa possibilità della scienza. Resta
nondimeno un esempio pieno d’interesse nella storia, quello che ci viene
offerto dalla scuola stoica, per cui la trattazione formale della logica si
associa ad una dottrina empirica della conoscenza. E, se codesto sviluppo
formale approda ad un arido schematismo (di fronte a cui comprendiamo il
disprezzo della dialettica manifestato dallo stoico Aristone di Chio), tuttavia
non si può disconoscere il valore dell’analisi logico-grammaticale
dell’espressione, mercè cui si riesce a scorgere in qualche modo nel
linguaggio, l’espressione di una attività costrittiva. Fino a che punto gli
stici sieno proceduti su questa via, non vogliamo qui esaminare. Ma certo si
scopre in essi quella distinzione fra subiettivo ed inter-soggettivo, che
riapparire agli inizii dell’epoca moderna, come fondamento della filosofia.
Dalla storia della filosofia romana si passa, senza indugiarci al movimento
delle idee che accompagna la rinascita della scienza, agli inizi dell’ Evo
moderno. Basta rilevare il carattere generale degli sviluppi che la dialettica riceve
nel periodo intermedio (medius aevus), arido se non del tutto infecondo. Diremo
per ciò come la logica aristotelico-stoica fu introdotta dal filosofo romano
Boezio presso i Romani. La traduzione di Boezio del greco al romano dei primi
due trattati dell’Organum (Categoriae e De Interpretatione – the only two that
Grice lectured on with J. L. Austin and P. F. Strawson), nonché dell’Isagoge di
Porfirio [arbor griceana], e i commenti con cui egli stesso ed altri scrittori
neo-platonici accompagnarono codesti scritti (nel senso della tecnica formale,
secondo la tradizione stoica), costituiscono il fondamento della cultura del
più antico (alto) Medio Evo. Del resto, la cultura generale sembra ^ppjesentata
da un certo numero di enciclopedie clella bassa antichità, come quella di Marciano
Capella, nelle quali si tratta delle sette artes liberales che, nel tirocinio
scolastico, formarono il trivio (grammatica Rettorica, Dialettica) ed il
quadrivio (Aritmetica Geometria Astronomia Musica). Specialmente degno di nota che questa prima
parte del Medio Evo non ha conosciuto, nè le altre opere (logiche, fisiche
ecc.) di Aristotile, nè le opere originali di Platone, fuori del “Timeo”,
tradotto in romano da Calcidio. Più tardi, il Rinascimento umanistico doveva
venir fecondato mercè una conoscenza diretta dei testi, in seguito alla caduta
dell’impero romano d'Oriente, che addusse numerosi profughi segnatamente in
Italia. Ora nella logica scolastica due aspetti sono degni di nota. Primo,la progressiva
elaborazione della tecnica formale, acuitasi mercè sottili distinzioni.
Secondo, la grande questione della realtà degli universali, di cui a stento
riusciamo a comprendere il carattere drammatico, traverso la forma aridamente
schematica delle discussioni. Sorvoleremo affatto sul primo punto, sebbene sarebbe
interessante per la storia della dialettica, di mostrare, per esempio, in
Buridano il riconoscimento della proprietà distributiva della particella
(adverbium) ‘non’ (~) rispetto a “et” (/\) e “vel” (\/). non (p et q), ~ (p /\
q) ≡ non p vel non p (~p \/ q). (notizia
segnalatmi da Vacca) o di cercare simili analisi in Paolo Veneto. Ma, quanto
alla questione della realta degl’universale, diremo che si tratta dell'antica
questionollevata dalla ideologia platonico-aristotelica, se all’idea generali
corrisponde una realtà. La quale questione fu riaccesada un passo dell’Isagoge
di Porfirio (I, 3). “E anzitutto, per ciò che riguarda il genero o la specie,
io evito di ricercare se esiste di per sè, ovvero se esiste soltanto come pure
nozione; e — ammettendo che esista di per sè — se apartengano alla cosa
corporea o incorporee; e infine se abbiano esistenza separata ovvero solo nella
cosa corporea sensibile. E una questione troppo profonda che esigerebbe uno
studio differente da questo e troppo este. Nel vasto intreccio della polemica
medioevale appare che il nominalista (negante la realtà dell’universale)
rappresentano, in generale, le tendenze scientifiche, avverso il misticismo
platonizzante del realista. Ciò è vero soprattutto per riguardo ai rinnovatori del
nominalismo nel secolo come Guglielmo Occam e Giovanni Buridano, rettore
dell'Università di Parigi, ai quali è dovuta la teoria che ha preso il nome di
terminismo. Il terminista (che si accosta al concettualismo di Abelardo)
ritiene i concetto (o termino) come un segno intersoggettivo (signa) della
singola cose, o di una classe di cose, realmente esistenti. La dialettica si
riferisce soltanto alle reazione di questo segno della cose (Occam, Quodlibeta
V. 5). Occam avverte pue che l’espressione assume il suo proprio significato
nella proposizione, e spesso in unione a qualche altro termine. Terminus
conceptus est intentio seu passio animae aliquid NATURALITER SIGNIFICANSaut
consignificans, nata esse pars propositionis. Sifftta dottrina supera
lo stretto nominalismo e tuttavia nega il realismo: cioè nega che il
‘significato’ (o ‘signato’) dell’espressione sia da cercare nella sua comprensione o
connotazione, ossia nell’ insieme delle note o attributi, di cui esso
esprimerebbe l'unità sostanziale; e si afferra
invece all’estensione o denotazione (denotatum, relatum), cioè all’ insieme
delle cose rappresentati dall’espressione (‘homo’), che — sotto la specie di
certe reali somiglianze — vengono vramente unificati. Al lume di questa veduta,
la definizione scolastica, discendente dal astratto generale universale al concreto
particulare individuo, e la logica stessa perdono importanza: onde è fatto
invito a volgersi dalla spiegazione dell’espressione al concreto della
esperienza. Ciò spiega abbastanza l’interesse appassionato della polemica
intorno agli universali che nel mondo sociale e morale deve rivendicare la
libertà dell'individuo soffocata dalla tirannia delle istituzioni e dall'autorità
delle credenze e dell’insegnamento tradizionale. Nulla sembra più proprio a
favorire un tale affrancamento degli spiriti, che abbattere alla radice
l’albero della deduzione infeconda, triviale, analitica, ricostruendo induttivamente
tutto il sapere. Onde la stessa tendenza si continua ed esplica nella reazione
anti-aristotelica (platonista) degli umanisti italiani purificatori della
logica dalla sottigliezza o implicatura scolastica (Valla, Agricola, Vives) e
si manifesta poi in nuove forme nella rinascita del movimento scientifico. Studio
storico preliminare SeaR Edizioni Quanto segue è, nella
sostanza, il contenuto di una conferenza tenuta a Palermo presso
ristituto Platone il 31 maggio 1986 e successivamente, verso la fine
di queiranno, riprodotto in un numero limitato di co¬ pie, con
aggiunte note critiche e documentarie, per le «Dispense di Arx» di
Messina, edite da Salvatore Ruta. Oggi il testo viene
ripresentato con maggiore digni¬ tà tipografica e tiratura, onde
favorirne la diffusione, con poche modifiche e aggiunte, in questa nuova
col¬ lana della Sear di Scandiano. Poiché è certamente la
prima volta che con una certa organicità viene affrontato questo
argomento, il presente scritto può a ben diritto definirsi una
novità. Tuttavia, dal momento che il nostro testo viene
presentato come uno «studio storico preliminare», il lettore potrà
dedurne che: a) i dati storici, biografici e letterari, le notizie
contenute ed ogni altra informa¬ zione non sono frutto di fantasia o di
illazioni avven¬ tate, ma desumibili nella loro grande maggioranza
da fonti documentarie (come dimostrato dai miei stessi
riferimenti); b) Tinsieme costituisce, d'altra parte, qualcosa di non
definitivo, in quanto suscettibile di essere ampliato ed ulteriormente
specificato da suc¬ cessive indagini e approfondimenti di maggior
respiro. Bisogna peraltro subito aggiungere che anche a molte
notizie documentarie non sarei pervenuto se non avessi tenuto conto, nel
corso di più anni, di indicazioni, suggerimenti, informazioni pervenutimi
per via amichevole o riservata. Quanto qui esposto, tuttavia, non fa
parte di alcun segreto esclusivo — come vorrebbero alcuni — bensì del
patrimonio sto¬ rico della nazione italica e come tale lo offriamo
alla meditazione di quei lettori che vorranno o sapranno trovarvi
spunto di interesse interiore, nonché agli sto¬ rici «laici», perché
almeno in questa occasione si ren¬ dano conto del tipo di dimensione
occulta che corre parallela e interferisce nelle vicende della storia:
nella fattispecie, prendano atto dell 'esistenza, sinora igno¬
rata, delle correnti esoteriche che tentarono di dare al fascismo
queiranima priva di compromessi che non fu capace di far sua.
Renato del Ponte Entrando il Sole nei Gemelli — Nella
prefazione da lui posta ad un recente lavoro dedicato soprattutto alla
cosiddetta «Nuova Dstra», il noto politologo Giorgio Galli, a cui si deve
senza dubbio riconoscere una notevole apertura mentale e un’intelligente
operazione culturale volta alla riscoperta di alcune tematiche proprie
della de¬ stra tradizionale, ha potuto osservare come alla «Nuova
Destra» sia mancata «precisamente una ri¬ lettura della componente
“magica” ed “esoterica” della cultura di destra». La «Nuova Destra» si
trove¬ rebbe anzi, attualmente, «in difficoltà sul piano pro¬
priamente politico forse anche perché ha trascurato l’analisi di fenomeni
ai quali si dimostrava sensibi¬ le (...) la destra tradizionalista
“esoterica’^): tale fal¬ limento, dunque, sarebbe implicito nel
«completo abbandono di un bagaglio culturale di indubbia ri¬
levanza» (1). Tale diagnosi ci pare esatta e le acute
osservazioni del Galli (al quale si debbono anche tentativi di pe¬
netrare nel mondo oggi ancor poco conosciuto, pro¬ prio perché poco
adeguatamente studiato, dell’eso- GALLI, prefaz. a: ZUCCHINALI, A
destra in Ita¬ lia, Sugarco Edizioni, Milano 1986, pp. 7-14. Tale lavoro
non merita, di per sé, alcuna annotazione di rilievo, essendo molto superficiale
e limi¬ tato nel settore dedicato alia «destra radicale» (e in questo
largamente superato da precedenti pubblicazioni, per quanto decisamente a
sini¬ stra, come La destra radicale, a cura di F. Ferraresi, che è del
1984), ec¬ cessivamente ampio e parziale nei confronti della cosiddetta
«Nuova Destra», mentre la «destra tradizionale» è pressoché inesistente.
In so¬ stanza, ciò che dà rilievo al libro, sono le poche notazioni
preliminari del Galli, che peraltro suonano da campana a morto per i
profeti della fine del «mito incapacitante»... terismo del III
Reich), che ben difficilmente, del resto, potrebbero essere recepite
nella loro portata da quanto sopravvive della «Nuova Destra», pro¬
prio per la sua impostazione profana e modernista (per non parlare della
destra «tecnocratica» missina, per sua intrinseca natura da sempre
impermeabile ad ogni discorso «intelligente») (3), potranno ser-
In una relazione sul tema tenuta nel giugno 1984 a Torino (pare per
la Fondazione Agnelli), il cui testo abbiamo potuto leggere, il Galli
osserva come «la storiografia ufficiale e accademica abbia sempre esita¬
to a muoversi in questa direzione, appunto per il timore di spostarsi dal
piano della storia a quello della fantasia». Ciononostante il Galli, che
dunque sembra muoversi tra i primi al di fuori di tale logica paralizzan¬
te, afferma come «vi siano sufficienti elementi per una riflessione
stori¬ ca organica sulla componente esoterica soprattutto dei nazismo,
mentre per quanto riguarda il fascismo italiano questa riflessione
potrebbe con¬ cernere esclusivamente la personalità di Julius Evola». 11
presente volu¬ metto dovrebbe dunque servire ad ampliare le prospettive
conoscitive del Galli e di quanti altri si interessino di tali tematiche
proprio sull’ulti¬ mo punto, quello concernente il fascismo. Circa poi le
correnti esoteri¬ che del nazismo, bisognerebbe intanto distinguere fra
ciò che ha prece¬ duto la sua presa del potere, le gerarchie ufficiali
dello Stato ed alcuni settori delle SS. In base a ricerche che stiamo
effettuando, possiamo an¬ ticipare che tali correnti esoteriche poggiano
su fondamenta assai fragi¬ li, contrariamente a quel che potrebbe pensare
il Galli stesso, che in que¬ sto caso pare essere rimasto vittima di
alcune «ingenuità» propalate sul¬ la scia del famigerato Mattino dei
Maghi di Pauwels e Bergier. Per un discorso preliminare su quanto andiamo
dicendo, si veda ora il mio saggio su La realtà storica della «Società Thule»,
in introduzione alla pri¬ ma traduzione italiana di: Prima che Hitler
venisse di Rudolf von Se- bottendorff. Edizioni Delta-Arktos, Torino
1987. Su Evola e certi ambienti delle SS, pubblicherò in seguito documenti
provenienti dall’archivio di stato tedesco (Quartier Generale di Himmler), in
cui tali temati¬ che saranno ulteriormente trattate. In un recente
articolo che vuole costituire una sorta di recensione del libro della
Zucchinali, un anonimo missino cosi sintetizza gli interes- virci
qui da spunto iniziale per una breve indagine preliminare,
necessariamente per ora limitata, su una corrente di pensiero
indubbiamente assai mino¬ ritaria, ieri ed oggi, in Italia, ma come è
stato di re¬ cente sottolineato, «nel contempo assolutamente ne¬
cessaria per l’Italia, che ha svolto ed è destinata a svolgere ancora una
funzione molto importante, per non dire essenziale, per la nostra
nazione: quella della conservazione dtXV identità delle nostre
radici. Essa, se è stata opacizzata nelle masse e in una
classe dirigente sclerotizzata e corrotta per incapaci¬ tà e colpevole
negligenza, nondimeno persiste im¬ mutata, come presenze e immagini
primordiali, negli archetipi divini che presiedono alle nostre sorti. Il
compito di tale minoranza, al di là della pura e semplice azione
conservativa, è stato quello di saper ridestare nei momenti opportuni
quelle immagini, sì che divenissero presenze vive ed operanti,
concretiz¬ zandole nelle nuove realtà della nazione italica.
Si tratta delle immagini primordiali e delle epifanie divine del Lazio e
dell 'Italia delle origini, ovvero della Saturnia tellus: quelle che hanno
reso possibile la manifestazione sul nostro suolo della tradizione
di Roma — che simboli, funzioni ed attribuzioni si e i tentativi
controcorrente del Galli: «A cosa ciò possa condurre in concreto, è
imprevedibile. Forse a nulla» (in «Proposta»).] Conventum Italicum, comunicato
anonimo in «Arthos»] hanno reso evidente essere emanazione della
Tradizione primordiale — ed il suo
rinnovellarsi attrverso i tempi. Il precedente riferimento del
Galli all’esoterismo è, nel nostro caso, più che pertinente, dal
momento che la trasmissione e perpetuazione della tradizione
romana, almeno negli ultimi quindici secoli, ha potuto avvenire, per motivi ben
comprensibili, per via segreta, cioè esoterica e di necessità sotto forme
e vie anche molto diverse. Se oggi si può parlare di «de¬stra» esoterica
è soltanto perché, per circostanze sto¬ riche particolari, in un ambito
(peraltro, assai ristretto) della destra del nostro secolo certe
tematiche hanno potuto trovare parziale ospitalità: va da sé — e
non sarebbe il caso di insistervi sopra — che la .tradizione di cui tali
correnti sono portatrici si situa ben al di là e al di sopra di ogni
miserabile dialettica fra destra e sinistra, termini e concetti di derivazione
parlamentare moderna e quindi del tutto inadeguati ad inquadrare forme di
realtà spirituali quali quelle a cui ci riferiamo. Tuttavia,
dal momento che il presente intende es¬ sere semplicemente uno «studio
storico» su tale cor- Per tali evidenziazioni, debbo rimandare ad
alcuni capitoli del mio Dèi e miti italici. Il ed., ECIG, Genova,
specialmente in connessione con le figure di Giano e Saturno (con il ciclo a
lui connesso). Si deve peraltro notare che ad interessi esoterici
inerenti anche alla tradizione romana non furono aliene certe personalità
della «sinistra storica» e nel corso della nostra esposizione non
mancherà un esempio concreto. ] rente, dovremo fare solo riferimenti
indiretti e limitati al suo lato esoterico, quanto invece insistere sui
suoi riflessi politici, culturali e religiosi. L’abbiamo definita
«corrente tradizionalista romana» nel Novecento: un’élite che ha in ogni
ca¬ so lasciato una sua impronta in una certa epoca e che,
nell’incertezza del «pensiero debole» attuale, potrebbe ancora essere
portatrice di un messaggio radicalmente alternativo, poiché radicalmente
(e qui l’espressione va intesa, con coscienza di causa, nel suo
pieno valore etimologico, a radicibus) orientata contro gli pseudovalori
che reggono la scena del mondo moderno. Non è mio compito qui
riassumere i termini della questione intorno alla possibilità della
trasmissione della sacralità e della tradizione di Roma dall’epoca
degli ultimi sapienti pagani sino ai nostri giorni: è uno studio che, in
riferimento soprattutto alle gentes dei Simmachi, dei Nicomachi, dei
Pretestati ed altri, abbiamo da anni iniziato in varie riviste e
pubblica- (7) Derivo l’espressione di «corrente tradizionalista
romana» dal pderoso (e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon.
Tradizio¬ ne e civiltà, Napoli, in cui, nel VI cap., intitolato ap¬
punto Il tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del
tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente che
col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singoli casi,
che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene organizzata
in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche co¬ muni,
ideologicamente e politicamente parlando, ma ad una tendenza che potè
assumere aspetti e sfaccettature diverse, come proprio i casi di Reghini,
Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici) sono a dimostrare. zioni
(8) e che non mancherà di ulteriori sviluppi. In questa sede sarà
sufficiente fare rapido riferimento a quell’epoca gravida di grandi e decisive
trasformazioni che fu il Rinascimento italiano. È soprattutto nel corso del XV
secolo che tradizioni occulte, sopravissute per secoli nel più grande
segreto, paiono ricevere nuova linfa e l’impulso ad una nuova
manifestazione dal contatto con personalità dell’Oriente europeo di altissima
rilevanza intellettuale, come quella di Giorgio Gemisto Pletone, il
grande rivitalizzatore della filosofia platonica negli ultimi anni
dell’Impero d’Oriente e fondatore di un cenacolo esoterico a Mistra, la
medievale erede dell’antica Sparta, all’interno del quale, oltre a
conservare testi dell’antichità pagana (come le opere dell’impe¬
ratore Giuliano, che vi venivano trascritte), si cele¬ bravano veri e
propri riti e si elevavano inni in onore degli dèi olimpici (9).
La figura e la funzione di Giorgio Gemisto Pletone sono ancora troppo
poco note in generale e, in Italia, non ancora studiate (10). In genere,
ci si limi- (8) Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità
della tradizio¬ ne sacrale romana, parti I e II, in «Arthos»] ;
vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della Vitto¬ ria, con
un’introduzione di R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi. Edi¬ zioni del
Basilisco, Genova. Si tenga conto che nel sud del Peloponneso sono attestati, a
livello popolare, culti nei confronti degli dèi classici sino al IX
secolo della no¬ stra era. (10) In lingua italiana mancano
ancora del tutto studi approfonditi. 18 ta a citare,
a proposito di lui, la sua partecipazione al Concilio di Firenze e
l’istituzione dell’Accademia Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella
villa di Ca- reggi (o «delle Cariti», o «Muse»), concepita da Cosimo il
Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnifico su suggestione del Pletone.
Ma gli effetti dovettero essere ancora più interessanti e gravidi di
conseguen¬ ze, se si considerino i legami, ad esempio, fra Gior¬
gio Gemisto Pletone e Sigismondo Pandolfo Mala- testa. Signore di Rimini:
colui che ne sottrarrà il ca¬ davere agli Ottomani (1464), i quali
avevano occu¬ pato Mistra nel 1460, onde deporlo pietosamente in
un’arca marmorea del suo famoso «Tempio Malate¬ stiano». Lo stesso
Malatesta dovette pure essere in rapporto con la ben nota «Accademia
Romana» di Pomponio Leto (11), propugnatore, scrive il von Pa-
stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo Ci si dovrà
pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi sul platonismo del
Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II), Sansoni, Firenze 1936;
P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale del Rinascimento, in «Vie
della Tradizione» (ci viene comunicato ora, che a cura dello stesso P. Fenili è
in corso di stampa un’antologia di brani di Pletone, dal titolo
«Paganitas», lo squarcio nelle tenebre, per Basala Editore di Roma). Di
recente, ci è ca¬ pitato di leggere in un’insolita pubblicazione, una
rivistina satirica di si¬ nistra, un reportage da Mistra singolarmente
informato e documentato su Gemisto Pletone e la sua scuola (cfr. P.LO
SARDO, La repubblica dei Magi. Da Sparta alla Firenze del '400, in
«Frigidaire»] Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater
sanctissi- mus), 1 ’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta,
il quale dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori
«spregiava la religione cristiana ed usciva in vio¬ lenti discorsi
contro i suoi seguaci... venerava il ge¬ nio della città di Roma.Quale
rappresentante di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬
simo, si schierarono ben presto attorno a Pompo¬ nio un certo numero di giovani,
spiriti liberi dalle idee e dai costumi mezzo pagani. (...) Gli
iniziati consideravano la loro dotta società come un vero collegio
sacerdotale alla foggia antica, con alla te¬ sta un pontefice massimo,
alla quale dignità fu elevato Pomponio Leto» (12). Si noti
che sembra certa l’adesione alla cerchia del Leto del principe Francesco
Colonna, Signore di Pa- lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto
l’autore della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬ sto
molto citato, ma molto poco letto e soprattutto compreso, dove, in ogni
modo, una sapienza ermeti¬ ca si sposa all’esaltazione, non tanto
filosofica. fu notoriamente nemico dei papi e ammiratore del
movimento pagano di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon et le platonisme de
Mistra, Paris 1956, p. 344, nota. L’opera del Masai è a tutt’oggi la più
completa esistente sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto
Pletone). Si noti che il Pla¬ tina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo,
discepolo di Pletone, e che un altro antico discepolo, il Cardinal
Bessarione, si prodigò per la liberazio¬ ne da Castel Sant’Angelo dei
membri dell’Accademia Romana nel 1468, dopo che furono accusati dal papa
Paolo II — non senza fondamento — di «paganesimo». 11 Masai (op. cit., p.
343) si domanda se l’Accade¬ mia Romana «non fosse in qualche modo una
filiale di quella di Mistra». L. von PASTOR, Storia dei Papi, voi.
II, Roma] quanto mistica, del mondo della paganità romano¬ italica,
culminante nella visione di Venere Genitrice. Se si rifletta al
fatto che Francesco Colonna, rea¬ lizzatore fra il 1490 e il 1500 del
nuovo imponente palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio
di Fortuna Primigenia (ancora oggi ben identificabili nelle
strutture originali), vantava discendenza diret¬ ta dalla gens Julia e
quindi da Venere (13), si potrà allora intravedere come l’apporto vivificante
della corrente sapienziale reintrodotta in Italia da Gemi¬ sto
Pletone si fosse incontrato col retaggio gentilizio di una tradizione
antichissima, gelosamente custodi¬ to nel silenzio dei secoli col tramite
di alcune fami¬ glie nobiliari italiane, in ispecie laziali,
generosa¬ mente fruttificando: nel senso di spingere ad un rin¬
novamento tradizionale non solo l’Italia, ma persi¬ no, ad un certo
momento, lo stesso papato, se avventi 3) Risulterà forse sorprendente
apprendere come i Colonna possedessero ancora fino ai nostri giorni (è
documentato almeno sino al 1927) il «feudo» originale di Giulio Cesare,
Boville (Frattocchie d’Alba- no). Sempre era visibile nel giardino
Colonna al Quirinale l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia
(notizie ricavate da: P. COLONNA, I Colonna, Roma). Tolomeo 1
Colonna ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e Julia
stirpe progenitus (cfr. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia
Italiana», X, 1931). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia
Poli¬ phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di
France¬ sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma
1980. Si veda anche: OLIMPIA PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte
del¬ l’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in
considerazione della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco
Colonna, la considera come un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce
(/ Rosa¬ croce, Milano). ne che poco mancò che salisse al soglio
pontificio quel cardinale Giuseppe Bassarione che fu discepolo
diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui giudicato, come scrisse in una
lettera privata ai figli del mae¬ stro dopo la sua morte, «il più grande
dei Greci do¬ po Platone». Ma altri tempi tristi dovevano
giungere, tempi in cui sarebbe stato più prudente tacere, come dimostrò
il bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori, avvolgenti nell’anno di Cristo 1600
il corpo, ma non l’animo, di Bruno, rivivificatore generoso, ma
impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che trovavano analoga eco —
frutto di una linfa non mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale —
nella poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese Tommaso
Campanella, lui pure oggetto di odiose persecuzioni.
Bisognerà giungere sino all’unità d’Italia, parzial¬ mente
realizzatasi nel 1870 con la fine della millenaria usurpazione temporale dei
papi, per trovare una situazione mutata. A questo punto bisogna
chiarire una volta per tutte, con la maggiore evidenza, che dal
punto di vista del tradizionalismo romano l’uni¬ tà d’Italia —
indipendentemente dai modi con cui (14) Si dovrà ricordare che il
Bessarione raccolse cum pietate nel suo studio le opere e i manoscritti
del maestro, in particolare alcuni frammenti apertamente pagani delle Leggi,
dotandone poi la Biblioteca Marciana da lui fondata, a Venezia.
potè in effetti verificarsi (modi spesso arbitrari e prevaricatori
della dignità e delle sacrosante autonomie di diverse popolazioni italiche) e
dall’azione di certe forze sospette (Carboneria, massoneria e sette
varie) che per i loro fini occulti poterono agevolarla — era e rimane
condizione imprescindibile e necessaria per ritornare alla realtà geopolitica
dell’Italia au- gustea (e dantesca): quindi per propiziare il
rimanifestarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine che ab
origine a quella realtà geografica — consacrata dalla volontà degli dèi
indigeti — sono legate. È un dato che si dovrà tenere ben presente,
per meglio intendere certi fatti che avremo modo di esporre in
seguito. Intanto, negli ultimi anni del XIX secolo è nell’a¬
ria qualcosa di nuovo e antico insieme, che verrà avvertito dalle anime più
sensibili. Fra queste, il grande poeta Giovanni Pascoli, con
un equilibrio ed una compostezza veramente classi¬ ci, valendosi di una
sensibilità non inferiore a quella con cui in quegli stessi anni
conduceva l’esegesi di certi lati occulti della dantesca Commedia, con il
seguente sonetto (e col corrispondente testo in esame¬ tri latini, da noi
non riprodotto) celebrava in una semplice aula scolastica la solennità
«L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio, leva il fumido muso ad una
branca d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca, e n’echeggia il
frondifero Palazio. Una mano sull’asta, una sull’anca del
toro, l’arator guarda lo spazio: sotto lui, verde acquitrinoso il
Lazio; là, sul monte, una lunga breccia bianca. È Alba. Passa
l’Albula tranquilla, sì che ognun ode un picchio che percuote
nell’Argileto l’acero sonoro. Sopra il Tarpeio un bosco al
sole brilla, come un incendio. Scende a larghe ruote l’aquila nera
in un polverio d’oro. Allo scadere del secolo, nel 1899, è un fatto
nuovo di ordine archeologico il punto di riferimento im¬ portante
ed essenziale per il secolo che sta per aprir¬ si: la scoperta nel Foro
da parte dell’archeologo Giacomo Boni (un nome che non dovremo scordare)
del cippo arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger, in cui l’iscrizione in
caratteri antichi del termi¬ ne RECHI ( = regi) attesta documentariamente
l’effettiva esistenza in Roma della monarchia e, con quanto ne consegue,
la sostanziale fondatezza della tradizione annalistica romana, trasmessa
nel corso di innumerevoli generazioni, dai primi Annales Ma¬ ximi
dei pontefici sino a Tito Livio e, al termine del- [PASCOLI,
Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino, Zanichelli, Bologna.
11 lettore esperto potrà notare come in pochi versi il poeta abbia saputo
sapientemente concentrare particolari nomi evocativi di determinate
realtà primordiali dell’Urbe. ] l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes
sacerdotali ed a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori
della sapienza delle origini, come poterono essere un Macrobio ed un
Marziano Capella nel V secolo. È come se, fisicamente, una parte di
tradizione ro¬ mana si esponesse improvvisamente alla luce del sole a
smentire l’incredulità e l’ipercriticismo della scuola tedesca, che, in
nome di un presunto realismo scientifico, aveva respinto in blocco le più
antiche memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi se¬ guaci
italiani, come quell’Ettore Pais che nella sua Storia di Roma (ristampata
innumerevoli volte fino in piena epoca fascista) aveva negato ogni
tradizione da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli
in aria, senza alcuna base, né storica, né filologica. Risulta che
Giacomo Boni fu in corrispondenza con un altro principe romano, pioniere degli
studi islamici e deputato al parlamento nei banchi della sinistra:
Leone Caetani duca di Sermoneta, principe di Teano, marito di una
principessa Colonna. Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato
l’au¬ tore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca sin dal
1852, dove si sosteneva l’identità di Enea col dantesco «messo del cielo»
che apre le porte della Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli
iniziati di Eieusi (16): quello stesso che nel 1870, già vecchio e
quasi cieco, fu il latore a Vittorio Emanuele II dei (16) Cfr. M.
CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina Commedia di Dante
Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello risultati del plebiscito che sanciva
l’unione di Roma all’Italia. Proprio Leone Caetani sarebbe
stato l’autorevole tramite attraverso cui si sarebbero manifestate
al¬ l’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam (operativa
proprio negli anni della scoperta del Lapis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz
(cioè Ciro Formisano di Portici) — che la definì talvolta come
Schola Italica — determinate influenze derivanti dall’antica tradizione
romano-italica se, come scrive l’esoterista Marco Daffi {alias il conte
Libero Ric- ciardelli) è lui il misterioso «Ottaviano» (altro riferimento
alla gens Julia!) autore nel 1910, nella ri¬ vista «Commentarium» diretta
dal Kremmerz, di un articolo sul dio Pan e di una lettera di congedo
dalla redazione in cui egli riafferma in tali termini la proti?) «Sotto
tale pseudonimo si nascondeva persona veramente autorevole, autorevolissimo
collega di ricerche ermetiche di Kremmerz tanto da potere essere ritenuto
portavoce di sede superiore Don Leone Caetani, Duca di Sermoneta,
Principe di Teano» (M. DAFFI, Giuliano Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a
cura di G.M.G., Alkaest, Genova). Gli scritti firmati da «Ottaviano» in
«.Commentarium» sono tre: La divinazione pantéa, Per Borri, Gnosticismo e
iniziazione (n. 8-10 di novembre-dicembre 1910). In quest’ultimo scritto,
con¬ sistente in una lettera di congedo come collaboratore della rivista,
si rimanda all’opera di un altro personaggio che, come «Ottaviano»,
doveva riconnettersi allo stesso ambiente iniziatico gravitante alle
spalle dell’organismo kremmerziano: l’avvocato Giustiniano Lebano, autore di
un curioso libretto intitolato Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola
anima o anche col corpo? (Torre Annunziata 1899), in cui nuovamente si
accenna al «ramoscello dorato del segreto, ossia la voce mistica di convenzione
che Enea presenta a Proscrpina. pria fede pagana: non sono che
pagano e ammiratore del paga¬ nesimo e divido il mondo in volgo e
sapienti volgo, che i miei antenati simboleggiavano nel cane e lo pingevano
alla catena sul vestibolo del Do- mus familiae con la nota scritta: Cave
canem; ca¬ ne perché latra, addenta e lacera. In quegli
stessi anni (a partire dal 1905) era co¬ minciata l’attività
pubblicistica ed iniziatica di Reghini. La sua importanza fra i più
autorevoli esponenti europei della Tradizione, e del filone
romano-italico in particolare, risiede cer¬ tamente non tanto nel
tentativo, vano e fatalmente destinato all’insuccesso, per quanto
disinteressato, di rivitalizzare la massoneria al suo interno (19),
quanto nell’attenzione da lui portata allo studio ed [OTTAVIANO,
Gnosticismo e iniziazione, cit., p. Tentativo che si concretizzò soprattutto
con la creazione del Rito Filosofico Italiano, fondato nel 1909 dal
Reghini, Edoardo Frosini ed altri (vi sarà accolto come membro onorario
Aleister Crowley...), ma dall’esistenza effimera, dal momento che
si fuse con la massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di
Piazza del Gesù. 11 Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del
Gesù di Raoul Palermi, molto favorevole nei confronti del fascismo, sino
ai provvedimenti contro le società segrete del 1925. Giovanni Papini ha
dedicato alcune pagine nel contempo pungenti e commosse ad Arturo Re¬
ghini di cui fu amico negli anni giovanili, cosi concludendo: Reghini visse,
povero e solitario, una vita di pensiero e di sogno: anch’e¬ gli difese e
incarnò, a suo modo, il “primato dello spirituale’’. Nessuno di quelli
che lo conobbero potrà dimenticarlo» (Passato remoto, ed. L’Arco, Firenze).alla
riscoperta della tradizione classica e romana, che gli era stato dato in
compito di rivitalizzare «in segreto», così come egli stesso si esprime
in una let¬ tera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nel numero di
aprile 1914 di «Ultra»: «sai bene come il nostro lavoro, puramente
meta¬ fisico e quindi naturalmente esoterico, sia rimasto sempre e
volontariamente segreto. In tal modo il Reghini ben si inseriva nel
filone della corrente tradizionalista romana, in quella sua
variante che si può legittimamente definire orfico- pitagorica, col
contributo di numerosi scritti, soprattutto sulla numerologia pitagorica,
sparsi fra molti articoli e opere impegnative, come Per la resti¬
tuzione della geometria pitagorica, I numeri sacri della tradizione
pitagorica massonica, Aritmosofia REGHINI, La «tradizione italica», Ultra»
Allo stesso modo, di tradizione ermetica «egizio-ellenistica» si
potrebbe parlare per il filone essenzialmente seguito dalla corrente
kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste correnti possa preten¬ dere
di identificarsi con il filone centrale deWa tradizione romana (come
vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei nostri
giorni), rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed espressioni
validis¬ sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della tradizione
romana è altra cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo stesso ne è al
di sopra nella sua essenza originaria. Per cercare di comprendere la
cosa, si dovrà riflettere sul simbolismo e sulla funzione del dio Giano,
non per caso divinità unica e propria della sacra terra laziale.) ed il
tuttora inedito Dei numeri pitagorici. Con questa attività egli
avrebbe perseguito la mis¬ sione affidatagli da un’antica scuola
iniziatica di tradizione pitagorica della Magna Grecia allorché, ancora
giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da colui che sarebbe divenuto il
suo maestro spirituale: Armentano, calabrese, ufficiale
dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe Reghini. Ad Armentano apparteneva Di
recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa del Reghini, è
stata edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesi¬ mo, pitagorismo,
massoneria, ed. Mantinea, Fumari, a cura del¬ l’Associazione Pitagorica,
un gruppo costituitosi solo nel giugno 1984 con un poco iniziatico «atto
notarile» (sic), ma che vanta diretta discen¬ denza dal gruppo del
Reghini. La raccolta è stata purtroppo eseguita con dilettantismo, senza
criteri ed inquadramenti storico-filologici e gli scritti reghiniani (uno
addirittura incompleto) non seguono nè un ordine logico, nè cronologico. Il
saggio sll’Interdizione pitagorica delle fave si potrà leggere ora completo in
«Arthos. DIOGENE LAERZIO ricorda come il pensiero di Pitagora
avesse trovato accoglienza presso gli Italioti della Magna Grecia: «Come
dice Alcidamante tutti onorano i sapienti. Così i Pari onorano Archiloco,
che pur era blasfemo, e i Chii Omero, che era d’altra città e gli Italioti
Pitagora» (Die fragmente der Vorsokratiker, a cura di H. Diels-W. Kranz;
trad. ital. Bari. Per alcune notizie su Armentano (ed una sua
foto), cfr. R. SE- STITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino
interno dell’Associazione Pitagorica, Di Armentano si vedano le Massi¬ me
di scienza iniziatica, commentate dal Reghini in vari numeri di «Atanòr»
ed «Ignis» (1924-25). Negli anni Trenta Armentano lasciò l’Italia per il
Brasile, dove muore. È sintomatico come anche «Ottaviano» in quel periodo
si sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a Vancou¬ ver in Canada.]
quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve¬ detta diroccata,
su di uno scoglio deserto dove, con gran dispiacere di Sibilla Aleramo,
il giovane protagonista del romanzo Amo, dunque sono (Mondadori, Milano),
«Luciano» {alias Giulio Pari¬ se), avrebbe dovuto «diventare mago» in
compagnia di un amico non nominato, vale a dire proprio il
Reghini. Fu proprio nella torre di Scalea, in Calabria, che
il Reghini rivide nell’estate 1926 il testo della tradu¬ zione italiana
deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa, a cui premise un ampio saggio di
quasi duecento pagine su E.C. Agrippa e la sua magia. Vi scriveva, fra
l’altro: «E perciò, in noi, il senso della romanità si fonde
con quello aristocratico e iniziatico nel renderci fieramente avversi a
certe alleanze, acquiescenze e deviazioni. Forse si avvicina il tempo in
cui sarà possibile di rimettere un po’ a posto le cose, e noi
speriamo che ci venga consentito, una qualche vol¬ ta, di riportare alla
luce qualche segno dell’esoteri¬ smo romano. Quanto alla permanenza di
una “tradizione romana”, si vorrà ammettere che se una tradizione
iniziatica romana pagana ha potu¬ to perpetuarsi, non può averlo fatto
che nel più as¬ soluto mistero. Non è quindi il caso di
interloquire con affermazioni e negazioni. ALERAMO, Amo, dunque sono,
cit., p. 15. Cfr. p. 50: «Luciano, Luciano, e tu vuoi essere mago! M’hai detto
d’aver già operato fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma realmente
accadute». REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C. AGRIPPA,
Il 1914 è un anno molto importante, sotto diversi aspetti, per i
tentativi di rivivificazione della tradi¬ zione italica. Nel numero di
gennaio-febbraio 1914 di «Salamandra», in un articolo dal titolo
fortuna¬ to, poi ripreso d’EVOLA (si veda), Imperialismo pagano, Reghini
coglieva occasione, scagliandosi contro il parlamentarismo ed il suffragio
universale che favoriva cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e
l’immutabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre ricollegata
nella sua visione al pitagorismo, si sarebbe trasmessa attraverso le figure di
alcuni grandi iniziati sino ai nostri giorni. In ottobre, dalle pagine di
«Ultra», precisava nello stesso tempo, in un importante articolo
dottrinario, che: «Il linguaggio e la razza non sono le cause
della superiorità metafisica, essa appare connaturata al luogo, al
suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput mundi, la città eterna, si
manifesta anche storicamente come una di queste regioni magnetiche della terra.
Se noi parleremo del mito aureo e so¬ lare in Egitto, Caldea e Grecia
prima di occuparci della sapienza romana, non è perché questa
derivi da quella, ché il meno non può dare il più» Lm Filosofia occulta o
la Magia, voi. I, rist. Mediterranee, Roma. L’articolo fu poi
ripubblicato in «Atanòr, pp. 69-85 (oggi nella ristampa anastatica a cura
dell’omonima casa edi¬ trice di Roma). (28) A. REGHINI, Del
simbolismo e della filologia in rapporto alla sapienza metafisica, in
«Ultra. Intanto, nella notte del solstizio d’inverno del 1913, si era
verificato un insolito episodio, gravido di future conseguenze: in
seguito a misteriose indi¬ cazioni, nei pressi di un antico sepolcro
sull’Appia Antica era stato rinvenuto, a cura di «Ekatlos» (29),
accuratamente celato e protetto da un involucro im¬ permeabile, uno
scettro regale di arcaica fattura e i segni di un rituale.
«Ed il rito — riporta «Ekatlos — fu celebra¬ to per mesi e mesi,
ogni notte, senza sosta. E noi sentimmo, meravigliati, accorrervi forze
di guerra e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella sua lu¬ ce
le figure vetuste ed auguste degli “Eroi” della razza nostra romana; e un
“segno che non può fal¬ lire” fu sigillo per il ponte di salda pietra che
uo¬ mini sconosciuti costruivano per essi nel silenzio profondo
della notte, giorno per giorno». «Il significato, le vere intenzioni
e le origini di tali (29) Lasciamo ogni responsabilità circa
l’identificazione di «Eka¬ tlos» con il principe Leone Caetani, già da
noi incontrato, all’anonimo autore (si tratta, peraltro, certamente di C.
Mutti, fanatico integralista islamico) di una postilla alla parziale
traduzione francese della rivista evoliana «Krur» (TRANSILVANUS 1984, A
propos de l’article d’Eka- tlos, seguito da una Note sur Leone Caetani,
in: J. EVOLA, Tous les écrits de «Ur» & «Krur», 111 [Krur], Arché,
Milano 1985, pp. 475- 486). Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi
note (in cui ancora una volta si dimostra come tra fanatismo religioso e
via iniziatica esista un divario invalicabile) la pesante responsabilità
delle poco ragguardevoli espressioni usate nei confronti del benemerito
principe romano. EKATLOS, La «Grande Orma»: la scena e le quinte, in
«Krur», oggi in: GRUPPO di UR, Introdu¬ zione alla Magia, voi. Ili, Roma]
riti pongono un problema», osserva il Di Vona (31), «ma il loro fine
immediato fu esplicito, e come tale è stato dichiarato. (...) Esso fu
compiuto nel dovuto modo da un gruppo che si propose di dirigere
verso la vittoria italiana la I Guerra Mondiale». Ma
l’episodio ha un seguito: il 23 marzo 1919 (giorno in cui cade la festa
romana del Tubilustrium, o consacrazione delle trombe di guerra) fu
fondato a Milano, nella famosa riunione di Piazza Sansepol- cro, il
primo Fascio di Combattimento (dal 1921 de¬ nominato Partito Nazionale
Fascista). Fra gli astanti vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che
aveva riesumato l’antico rituale, preannuncio a Mussolini: «Voisarete
Console d’Italia». E fu la stes¬ sa persona che, qualche mese dopo la
Marcia su Roma, vestita di rosso, offrì al Capo del Governo un’arcaica
ascia etrusca, con «le dodici verghe di betulla secondo la prescrizione rituale
le¬ gate con strisce di cuoio rosso. Con tale atto dal sapore sacrale,
come è evidente. VONA, Evola e Guénon EKATLOS. La notizia è riportata con
altri particolari nel «Piccolo» di Roma -- cfr. Appendice. Particolare
curioso: la sera stessa del 23 maggio Mussolini parti in aereo alla volta
di Udine, onde potere inaugurare il giorno dopo, 24 maggio, anniversario
dell ’entrata in guerra, il monumentale cimitero di Redipuglia, alla
presenza del Duca d’Aosta. La sera del 24, sulla via del ritorno verso
Roma, l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto, ad un atterraggio
di fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca Cere, donde
forse proveniva l’arcaico fascio.le correnti più occulte portatrici della
tradizione ro¬ mana avrebbero voluto propiziare una restaurazione
in senso «pagano» del fascismo. Altri episodi concomitanti
concorrono a rafforza¬ re questa supposizione. Dopo essere stata
composta proprio nel 1914, fra il 21 aprile ed il 6 maggio 1923
(altre significative coincidenze di date), fu rappresentata sul Palatino la
tragedia Rumori: Romae sa- crae origines (il solo terzo atto), col
beneplacito e la presenza plaudente di Benito Mussolini. La
tragedia (o, meglio, alla latina, il Carmen solutum) risulta opera
di un certo «Ignis» (pseudonimo sotto cui si celerebbe l’avvocato Ruggero
Musmeci Ferrari Bravo), che risulta godere di appoggi assai influenti,
co¬ me quello di Ardengo Soffici [cfr. Appendice], e appare,
specialmente in quel terzo carmen che fu re¬ citato, più che una semplice
rappresentazione sceni¬ ca, un vero e proprio atto rituale: un rito di
consa¬ crazione, certamente denotante nell’autore, o nei gruppi restati
nell’ombra di cui egli era emanazione, una conoscenza non solo filologica
della tradizione romana (si pensi che in intermezzi scenici vengono
cantati, al suono di flauti, i versi ianuli e iunonii dei Fratres
Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti, come lascia intendere il
rito di incisione su lamine auree dei nomi arcani deU’Urbe e l’esegesi,
voluta- mente incompleta, dei significati del nome di Roma.
Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fasciste affinché i
simboli da esse evocate, come l’aquila o il fascio, non restassero puro orpello
di facciata, continuerà sino al 1929, che è anche l’anno in
cui Rumon verrà pubblicata, in splendida edizione ufficiale, dalla
Libreria del Littorio, con i frontespizi ornati di caratteri arcaici romani,
disegnati appositamente nel 1923 da Giacomo Boni, lo scopritore del Lapis
Niger già da noi incontrato, il quale avrà il privilegio poco dopo, alla sua
morte, di essere inumato sul Palatino stesso. Ancora noteremo
come sintomatica l’uscita, nello stesso 1923, della Apologia del
paganesimo (Formig- gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro
collaboratore delle iniziative pubblicistiche di Evola. Uscirono le due
riviste di studi iniziatici «Atanòr» ed «Ignis», dirette da Reghini, e in cui
iniziò una collaborazione il giovane Evola: affronteranno con un rigore
ed una serietà inconsuete, per l’eterogeneo ambiente spiritualista
dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di parti¬ colare interesse:
vi comparvero, per la prima volta in Italia, scritti di Guénon, fra cui a
puntate, pri¬ ma ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È
peraltro evidente come il contenuto di queste riviste non avesse un
valore puramente speculativo, come dimostrano gli scritti di «Luce»
suirO/7M5 magicum (Gli specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri
di Fu proprio Boni che, risalendo ai modelli d’origine, mi¬ se a
punto il prototipo del fascio romano (oggi al Museo dell’Impero) per il
Regime Fascista: è quello che compare sulle monete da due lire di quel
periodo (cfr. V. BRACCO, L’archeologia del Regime, Volpe, Roma «Ignis»,
che preludono a quelli del successivo Gruppo di Ur. Ma intanto l’auspicata
svolta in senso pagano da parte del fascismo sperata dalla corrente
tradizionalista romana non solo stenta a verificarsi, anzi è messa
pericolosamente in forse dalle mene degli ambienti cattolici e clericali. In «Atanòr»
Reghini con parole di fuoco depreca alcune espressioni pronunciate da
Mussolini in occasione del Natale di Roma: «Il colle del
Campidoglio, egli ha detto, "‘dopo il Golgota, è certamente da
secoli il più sacro alle genti civiir. In questo modo l’On. Mussolini,
invece di esaltare la romanità, perviene piuttosto ad irriderla ed a
vilipenderla. Noi ci rifiutiamo di subordinare ad una collinetta asiatica
il sacro colle del Campidoglio». E nel n. 7 di luglio, dopo
il delitto Matteotti: ecco un clamoroso delitto politico viene a
sconvolgere la vita della nazione, ad agitare gli animi. Investito da popolari
e da ogni gradazione di democratici, a Mussolini non resterebbe che
battere la via dell’imperialismo ghibellino, se non esistesse un partito
che già lo sta esautorando... tengano ben presente i nostri nemici che,
nonostante la loro enorme potenza e tutte le loro prodezze, esiste ancor oggi,
come è esistita in passato, traendo le sue radici da quelle profondità
interiori che il ferro e il fuoco non tangono, la stessa catena
iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e secolarmente perseguitata».
L’ordine del giorno Bodrero e le successive leggi sulle società
segrete tolgono ulteriore spazio all’attività pubblicistica di Reghini, che
peraltro confluisce nel «Gruppo di Ur», formalmente diretto da Julius
Evola. A noi qui non interessa tanto esaminare il lavoro di
ricerca esoterico svolto dal Gruppo di Ur, cui parteciparono, come è noto,
personalità appartenenti alle principali correnti esoteriche operanti in
quegli anni in Italia, dai pitagorici ai kremmerziani, dagli
steineriani (antroposofi) ai cattolici eterodossi come il De Giorgio,
quanto sottolineare come in quella sede dovesse essere stato, almeno in parte,
ripreso il programma di influenzare per via sottile le gerarchie
del fascismo, nel senso già voluto dal gruppo manifestatosi con la
testimonianza di «Ekatlos» (che, non lo si dimentichi, viene riportata
proprio nel terzo dei volumi che raccolgono le testimonianze di
tutto il gruppo — in apparenza slegata da esse — successivamente apparse
col titolo di Introduzione alla Magia). In un inserto per i lettori
comparso nel n. 11-12 di «Ur», Evola poteva scrivere: «... possiamo
dire che una Grande Forza, oggi più che mai, cerca un punto di sbocco in
seno a quella bar¬ barie, che è la cosidetta “civilizzazione”
contemporanea — e chi ci sostiene, collabora di fatto ad una opera che
trascende di certo ciascuna delle nostre stesse persone
particolari». Del resto, molti anni più tardi, Evola stesso
di¬ chiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobio¬ grafia
spirituale che l’intento del Gruppo era stato quello, oltre a «destare
una forza superiore dr servire d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di
far sì che «su quella specie di corpo psichico che si voleva creare,
potesse innestarsi per evocazione, una vera influenza dall’alto», sì che
«non sarebbe stata esclu sa la possibilità di esercitare, dietro le quinte,
un’azione perfino sulle forze predominanti nell’ambiente generale. Un’indagine
ben più approfondita, come si vede, meriterebbe di essere svolta sugli
evidenti tentativi di rivitalizzazione, all’interno del Grupo di Ur,
delle radici esoteriche e dei conte¬ nuti iniziatici della tradizione
romana: a parte i contributi dello stesso Evola (che firmerà come «EA» e,
pare, anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di cui ricordiamo l’importante
saggio (nel HI volume) Sul «sacro» nella tradizione romana, ancora una
volta fondamentale resta l’apporto del Reghini (che firma come «PIETRO
NEGRI»): egli, nella relazione Sulla tradizione occidentale, sulla scorta di
un’attenta esegesi delle fonti antiche (soprattutto Macrobio) e di
personali acute intuizioni, nonché di probabili «trasmissioni»
iniziatiche, non esiterà ad indicare nel mito di Saturno il «luogo» ove è
racchiuso il senso e il massimo mistero iniziatico della tradizione
EVOLA (si veda), Il cammino del cinabro, Milano (li ed.), p. 88.
Un esame generale, storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è stato da me
compiuto in lingua tedesca, come studio introduttivo alla versione tedesca del
I volume di Introduzione alla Magia (Ansata Verlag, Interlaken 1985). Si
tratta del notevole ampliamento, riveduto e corretto, di un mio precedente
studio già apparso in «Arthos romana, un’indicazione utilizzata e sviluppata
ulte¬ riormente nel nostro recente Dèi e miti italici. Intanto, una
serie di articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e chiesa
cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Cri¬ tica fascista» di Bottai e
in «Vita Nova» di Leandro Arpinati, e la successiva comparsa di
Imperialismo pagano, che quegli articoli raccoglieva e sviluppava,
riversarono proprio sul Gruppo di Ur pesanti attacchi clericali, fra cui
è interessante segnalare quello particolarmente violento e ambiguo, del
futuro papa Paolo VI, Montini, allora assistente centrale ecclesiastico della
Federazione Universitari Cattolici Italiani, che aveva come organo culturale la
rivista «Studium» (redazione a Roma e a Brescia. Dalle pagine di
«Studium» il Montini accusava «i maghi» riuniti attorno a Evola di «abuso
di pensiero e di parola di aberrazioni retoriche, di rievocazioni fanatiche e
di superstiziose magie.. G.B.M., Filosofia: una nuova rivista, in
«Studium». Oltre che del futuro Paolo VI (certamente il più nefasto fra i
papi di questo secolo), apparvero in «Studium» anche gli attacchi del
futuro ministro democristiano del dopoguerra Gonella {Un difensore del
paganesimo; // nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, cui Evola
replicò — dopo averlo definito «un tale il cui nome esprime felicemente
che vesti gli si confacciano più che non quelle della romana virilità» —
nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo pagano. Contro Imperialismo pagano
(le nostre citazioni sono tratte dalla ristampa, presso Ar di Padova) si
scomodò tutto Ventourage del giornalismo clericale, da «L’Osservatore
Romano» a «L’Avvenire», Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso, inequivocabile
e tragico appello da parte di esponenti della «corrente tradizionalista
romana», prima del triste compromesso del Concordato, affinché il
fascismo, come si esprime EVOLA (si veda), «cominciasse ad assumere
la romanità integralmente e a permearne tutta la co¬ scienza nazionale»,
così che il terreno fosse «pronto per comprendere e realizzare ciò che,
nella gerarchia delle classi e degli esseri, sta più su: per
comprendere e realizzare il lato sacro, spirituale, iniziatico
della Tradizione». A questo scopo Evola non risparmiava taglienti
critiche alle gerarchie del Regime. Il fascismo è sorto dal basso, da
esigenze confuse e da forze brute scatenate dalla guerra europea.
Il fascismo si è alimentato di compromessi, si è ali¬ mentato di
retorica, si è alimentato di piccole ambizioni di piccole persone. L’organismo
statale che ha costituito è spesso incerto, maldestro, violento,
non libero, non scevro da equivoci. Di più: Evola prevedeva
addirittura gli al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la
pubblicistica fascista fautrice dell’intesa col Vaticano, d’Educazione
fascista a «Bibliografia fascista», sino alla stessa bottaiana «Critica
fascista» che aveva ospitato i primi articoli evoliani.] esiti e gli
sviluppi della Seconda Guerra Mondiale: «L’Inghilterra e
l’America, focolari temibili dei pericolo europeo, dovrebbero essere le
prime ad essere stroncate, ma non occorre di certo spendere troppe
parole per mostrare che esito avrebbe una simiie avventura sulla base
dell’attuale stato di fatto. Data la meccanizzazione della guerra moderna, le
sue possibilità si compenetrano strettamente con la potenza industriale
ed economica delle grandi nazioni.Era dunque necessario che il fascismo,
che «bene o male ha messo su un corpo. Ma... non ha ancora
un'anima» (p. 13), si rivolgesse senza esitazioni a quella della Roma
precristiana prima che fosse trop¬ po tardi, sì da «eleggere l'Aquila e
il fascio e non le due chiavi e la mitria a simbolo della sua rivoluzione.
Nostro Dio può essere quello aristocratico dei Romani, il Dio dei
patrizi, che si prega in piedi e a fronte alta, e che si porta alla testa
delle legioni vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli
afflitti che si implora ai piedi del crocifisso, nella disfatta di tutto
il proprio animo. Il governo di Mussolini firma a nome del Re d’Italia, considerato
dai papi un «usurpatore», il cosiddetto Coneordato con la Chiesa
Cattolica e nasceva il monstrum giuri- Che il cosiddetto Concordato abbia
sortito un effetto a dir poco nefasto sulle sorti, non solo dello stesso
fascismo (come le vicende stori- dico della Citta del Vaticano. Veniva
con ciò tolta ogni speranza residua di azione all’interno de¬ gli
ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che di Re- ghini e di altri
autorevoli esponenti, restati per lo più in ombra, del «tradizionalismo
romano»: alcuni di loro, come già si è accennato in nota,
abbandonaro¬ no per sempre l’Italia per il Nuovo Continente nel
corso degli anni Trenta. Restava il «programma minimo» indicato
ancora da Evola in Imperialismo pagano, secondo cui il fa¬ scismo
avrebbe dovuto: «promuovere studi di critica e di storia, non
parti- giana, ma fredda, chirurgica, sull’essenza del cristianesimo. Contemporaneamente
dovrebbe promuovere studi, ricerche, divulgazioni sopra il lato
spirituale della paganità, sopra la sua visione vera della vita.].
che successive ben presto dimostrarono, avvalorando i timori di
Reghini e di Evola), ma della stessa Italia del dopoguerra, lo
sperimentiamo ancora oggi sulla nostra pelle, dopo che un quarantennale
dominio clericale-borghese ha provveduto, quasi in ogni campo, ad
addormenta¬ re la coscienza delle «masse» ed a stroncare, con un
autentico «terrorismo di Stato», qualsiasi velleità di reazione delle minoranze
coscienti della necessità di mutare uno stato di cose ormai
incancrenito. Mussolini non si era reso conto che prima di lui
uomini non so¬ lo autoritari, ma dal potere assoluto — gli Ottoni, gli
Svevi, perfino Carlo V ecc. — si erano dovuti pentire di ogni intesa,
patto e transazione con la Santa Sede. ogni intesa tra Santa Sede e Stato
italiano avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico della
validità Chi avesse pensato che la Scuola di Mistica Fascista,
fondata significativamente poco dopo la «Conciliazione», nell’ambito
del G.U.F. di Milano per opera di Nicolò Giani, avrebbe svolto una
funzione del genere, avrebbe dovuto ben presto ricredersi amaramente. In
realtà, il sentimento religioso dichiarato di quella che avrebbe voluto
costituire Vélite politico-intellettuale del fascismo si configurava con
precisione come cattolico. Lo dichiara, in una maniera che non potrebbe essere
più esplicita, lo stesso fratello del «Duce», Arnaldo Mussolini, in
un discorso tenuto alla Scuola. La nostra esistenza deve essere inquadrata in
una marcia solida che sente la collaborazione della gente generosa
e audace, che obbedisce al comando e tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni
cosa nostra, vicina o lontana, piccola o grande, contingente od eterna,
nasce e finisce in Dio. E non parlo qui del Dio generico che si chiama
talvolta per sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio nostro
Signore, creatore del cielo e della terra, e del suo Figliolo che un
giorno premierà nei regni ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà,
speriamo, i molti difetti legati alle vicende della nostra esistenza terrena.].
dei principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni
del¬ lo Stato italiano» (SERVENTI, Dal potere temporale alla
repubblica conciliare. Volpe, Roma2). Cfr. «11 Popolo
d’Italia» del 1° dicembre 1931. Sulla «Scuola di Mistica Fascista», si
veda: D. MARCHESINI, La scuola dei gerarchi, Feltrinelli, Milano. E il
filosofo Armando Carlini, discutendo della nuova mistica, ravvisava la
nota più originale del fascismo proprio nel suo presupposto «religioso,
anzi cristiano, anzi cattolico; perché «il Dio di Mussolini vuol
essere quello definito dai due dogmi fondamentali della nostra religione:
il dogma trinitario e quello cristologico. Quel programma che abbiamo
detto minimo cercherà Evola più tardi in parte di compiere con
l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni collaboratori attorno al
«Diorama filosofico», la pagina speciale che, con uscita irregolare e
alterna, quindicinale e mensile, cura all’interno del quotidiano cremonese di
Farinacci, «11 Regime Fascista». La tematica della tradizione romana, esaminata
nei suo simboli, nei suoi miti, nella sua forza spirituale, ritorna qui
frequentemente negli scritti dello stesso Evola, di Giovanni Costa (già
da noi incontrato), di Massimo Scaligero e di diversi collaboratori
stranieri, come Edmund Dodsworth (appartenente alla famiglia reale
britan¬ nica) e lo storico tedesco Franz Altheim. Analoghe
collaborazioni sono fornite dall’allora giovane An¬ gelo Brelich, in
quell’epoca sconosciuto, ma destinato nel dopoguerra a ricoprire degnamente
l’impor- (40) A. CARLINI, Mistica fascista, in «Archivio di studi
corporativi». Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del fascismo, Roma
tante cattedra, che fu del Pettazzoni, di Storia delle Religioni
nell’Università di Roma, e da Guido De Giorgio, già collaboratore di «Ur»
e di altre iniziative evoliane. Nel contesto della corrente da noi defi¬
nita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio occupa una posizione piuttosto
anomala e tale che il Reghini avrebbe visto con sospetto: egli infatti
concepisce in Roma la sede eterna, geografica e storica, ma soprattutto
metafisica, in grado di unire in sé stessa la religione pagana e il
cristianesimo, tesi ela¬ borata soprattutto ne La tradizione romana.
D’altra parte, è lo stesso De Giorgio a ribadire con sorprendente
sicurezza la persistenza del culto di Vesta in un misterioso centro,
nascosto e inaccessibile: «Il fuoco di Vesta arde inaccessibilmente
nel Tempio nascosto ove nessuno sguardo profano sa- [L’uscita
alle stampe di questa edizione (presentata come Ed. Flamen, Milano) offre
contorni alquanto misteriosi. In ogni caso, il manoscritto dell’opera
sarebbe stato consegnato all’autore della nota introduttiva, «ASILAS»
(che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori del «Gruppo dei Dioscuri» e
nel contempo autore di due dei fascicoli omonimi [si veda poi]), da un
antico componente del Gruppo di Ur, che noi sappiamo corrispondere al
«TAURULUS» , cioè Corallo Reginelli, tuttora vivente.
L’uscita della Tradizione romana, in ogni modo, è stata 1
’occasione per una salutare riflessione sul tema da parte dell’ambiente
tradizionalista nella prima metà degli anni Settanta, sia da parte cattolica
(si veda¬ no il bollettino «Il rogo»,
e la successiva rivista «Excalibur»), sia da parte propriamente
«pagana» (si veda la nostra recensione dell’opera del De Giorgio, confortata da
un parere di Evola, in «Arthos» n. 8: essenziale come punto di ripresa
del discorso sulle origini della tradizione romana). prebbe
penetrare e a lui deve l’Europa intera la sua vita e il prolungamento
della sua agonia. Da questo fuoco occulto partono scintille che
alimentano le crisi e risollevano periodicamente l’esigenza del ritorno
alla Romanità attraverso le varie vicende di cui s’intesse la storia
delle nazioni europee considerata geneticamente, internamente e non sul piano
li¬ mitatissimo della contingenza dei fatti e degli uomini. Queir
immane conflitto, già previsto da Evola nel 1928, e che anche il De
Giorgio giudicava del tutto inefficace, «se non addirittura letale per lo
spirito e il nome di Roma» (44), avrà in effetti come risultato più
manifesto, per i fini dello studio che qui andiamo conducendo, di occultare del
tutto le fila della corrente di pensiero di cui siamo andati
ripercorrendo la trama. Solo verso la fine degli anni Sessanta è
proprio la ristampa dell’evoliano Imperialismo pagano (e la scelta
pare significativa), curata nel 1968 dal «Centro Studi Ordine Nuovo» di Messina,
a tentare [ GIORGIO, (vedi anche
L’edizione, ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne tolta
subito dalla circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si può
considerare oggi una vera rarità bibliografica. di riannodare i termini di
un antico discorso: «L’angoscioso grido d’allarme rivolto
dall’Autore a Mussolini per metterlo in guardia contro il ventilato
proposito della cosiddetta “Conciliazione’)) si afferma nell’anonima
introduzione — risuona oggi con inusitata attualità e fa si che Imperialismo
pagano venga guardato come un oracolo. Ed è proprio provenendo
dalle fila di «Ordine Nuovo», un’organizzazione che lo stesso Evola
ha tenuto in buona considerazione
— almeno fino a che la sua ala borghese¬ modernista,
condotta da Rauti, non confluì nel MSI
— che comincia ad agire, tra la fine degli anni Sessanta ed i
primi anni Settanta, il «Gruppo dei Dioscuri», con sede principale a Roma
e diramazioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’interno del «Gruppo dei
Dioscuri» venissero riprese [EVOLA (si veda), Il cammino del cinabro:
«L’unico gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere in
compromessi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo. L’interesse dei
«tradizionalisti romani» nei confronti di «Ordine Nuovo» si esaurisce sin
dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una parte, la frazione
rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui ed estenuanti
«giochi di potere» all’interno del partito e in declamazioni
populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta «Nuova Destra»
proviene quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed ambiguamente
compromissorio), dall’altra, la frazione «movimentista» ed extraparlamentare
condotta da Clemente Oraziani ed altri si smarrì nelle velleità
inconcludenti e pericolose della «lotta di popolo», con conseguente ed
inevitabile suo annientamento da parte del Potere vero. tematiche e pratiche
operative già in uso nel «Gruppo di Ur» ed è perlomeno probabile che lo
stesso Evola ne fosse al corrente. Fatto sta che nei quattro
«Fascicoli dei Dioscuri», usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma
da una parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il tra¬
dizionalismo dovrebbe far riferimento, ritornano con grande
evidenza. Per l’anonimo autore del primo «Fascicolo dei
Dioscuri», intitolato Rivoluzione tradizionale e sovversione (Centro di Ordine
Nuovo, Roma), il più grande dei meriti di Evola è quello: «di
avere rammentato il destino di Roma quale portatrice dell’Impero Sacro
Universale e di avere tratto da tale verità le necessarie conseguenze
in ordine alle idee-forza che devono essere mobilitate per una vera
rivoluzione tradizionale». Qualche anno dopo, al termine del terzo
«Fascicolo» intitolato Impeto della vera cultura, il mito di Roma viene
additato come l’unico che sia in grado di condur¬ re ad una superiore
unità gli sforzi di tutti i tradizionalisti italiani: «a tutti i
tradizionalisti, anziché proporre uno dei tanti miti soggetti a rapido e
facile logoramento, si può ricordare la presenza di una forza
spirituale perennemente viva e operante, quella stessa che il mondo
classico ed il medio-evo definirono l’AETERNITAS ROMAE» Il gruppo dei dioscuri
ha notevole importanza come cosciente riconnessione alle precedenti
esperienze sapienziali e come indicazione, per taluni elementi
particolarmente sensibili dell’area della de¬ stra radicale, di possibili
indirizzi e sbocchi futuri del «tradizionalismo romano», anche se la
particolare via operativa scelta e, soprattutto, la mancata
qualificazione di taluni componenti, porterà ben presto alla distruzione
dall’interno del gruppo stesso, di cui non si sentirà più parlare già prima
della metà degli anni Settanta (ci viene detto che frange disperse
del gruppo continuerebbero a sussistere soprattutto a Napoli). È tuttavia da
supporre che alcuni dei gruppi periferici, sia pure trasformati, ne abbiano
continuato il retaggio se, ad esempio, a Messina, molto probabilmente
nell’ambito di alcuni dei vecchi membri del «Gruppo dei Dioscuri» viene
elaborato un testo dottrinale ed operativo, a circolazione interna, sotto
forma di «lezioni» di un maestro a un discepolo, piuttosto interessante.
La via romana degli dèi: «Diremo anzitutto dell’essenza della
tua religiosità, fornendo alla tua mente profonda gli argomenti per una serie
di esercizi di meditazione affinché con saldo cuore, tu possa prepararti
all’assolvimento del rito» [ La via romana degli dèi. Istituto di Psicologia
Superiore Operativa, Messina
(ciclostilato ad uso interno),E certamente non priva di connessioni
genetiche col gruppo romano appare la sortita, improvvisa, verso la
fine degli anni Settanta, nella stessa Messi¬ na, del «Gruppo Arx»,
successivamente editore del periodico «La Cittadella» e degli omonimi
quaderni, in cui senza alcuna attenuazione i possibili itinerari di approccio
alla «via romana degli dèi» sono indicati attraverso la cosciente
riappropriazione del- Vanimus romano-italico, rivissuto nel rito stesso,
e nel rigetto, sostanziale e formale, di ogni adesione a forme
anche esteriori del culto cristiano. Quanto segue è storia dei
nostri giorni, dal mo¬ mento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta
vi è stata una nuova cosciente ripresa del moderno «movimento
tradizionalista romano», una cui rimanifestazione pubblica si estrinsicherà in
una data ed in un luogo alquanto significativi. Infatti nel 1981,
il 1° marzo (data in cui iniziava l’anno sacro romano), a Cortona (donde
in epoca primordiale Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso alla volta
della Troade) si tenne un importante Convegno di studi sulla Tradizione
italica e romana, che, a [Gli Atti sono stati pubblicati nel numero
speciale triplo di «Arthos» n. 22-24, daU’omonimo titolo, di pp. 192. Per una
sintetica analisi sulla diversa valenza del termine «italico» nei vari
interventi, cfr. R. DEL PONTE, Che cos’è la tradizione italical, in «Vie
della Tradizione» parte l’emergenza di differenti prese di posizone dei
tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre la questione — non
puramente dottrinale o formale — di una cosciente riconnessione aWaurea
catena Saturni della tradizione indigena da parte di chi, pur in
quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore, intenda coscientemente
riassumere il fardello delle proprie radici etniche e spirituali.
Successivamente ad un nuovo Convegno a Messina, sul Sacro in Virgilio, la
rielaborazione dottrinale e la ridefinizione concettuale dei valori
difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo romano» (di cui è
parte cospicua anche l’apparire alle stampe di alcune collane di libri
specifiche) si è spostata su un piano più interiore, ma la loro presenza
è destinata a riaffiorare a livello di influenza sottile e indiretta di gruppi
o ambienti eticamente sensibili di un’area superante i limiti stessi del
mondo della «destra politica. Il futuro dimostrerà se la funzione
di questa minoranza (ben cosciente di esserlo) si limiterà ad una [Gli
Atti sono stati pubblicati in buona parte nel numero speciale di «Arthos»
, daH’omonimo titolo. [Ci limiteremo a ricordare la collana «1
Dioscuri» per le ECIG di Genova, in cui figurano L’oltretomba dei pagani
di C. Pascal, il mio Dèi e miti italici. La religiosità arcaica dell
’Eliade di N. D’Anna e Arcana Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di
«Studi Pagani» del Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di
antichi (Giuliano Augusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi,
De Angelis, Beghini, Evola ecc.). pura e semplice azione di
testimonianza, sia pure «scomoda» per molte cattive coscienze. Il «mito
capacitante» di Roma, come l’antica fenice, è destinato a risorgere
continuamente dalle sue ceneri, poiché riposa nella mente feconda degli
dèi archegeti di questa terra. Appendici
documentarie Da: «Il Piccolo» di Roma: Il Fascio littorio a
Mussolini» Il giorno 19 scorso, presentata dall’esimia prof.a
Regina Terrazzi, fu dall’on. Mussolini ricevuta la dott.a prof.a Cesarina
Ribulsi, che offriva al Presi¬ dente del Consiglio come augurio per la
data del XXIV Maggio un fascio littorio da lei esattamente
ricostruito secondo le indicazioni storiche e iconografiche.
L’ascia di bronzo è proveniente da una tomba etrusca bimillenaria ed
ha la forma sacra col foro per la legatura al manico: alcuni esemplari
simili so¬ no conservati nel nostro Museo Kircheriano. Le dodici
verghe di betulla, secondo la prescrizio¬ ne rituale, sono legate con
stringhe di cuoio rosso che formano al sommo un cappio per poter
appen¬ dere il fascio, come nel bassorilievo per la scala del
Palazzo Capitolino dei Conservatori. Il fascio ricomposto con elementi
antichissimi e nuovissimi è stato offerto al Duce come simbolo della sua
opera organica di ricostruzione dei valori del¬ la nostra stirpe
allacciando le vetuste origini alle fome più vibranti dell’attività gagliarda e
rinnovata che prende le mosse. La rudezza espressiva del
Fascio è ingentilita dal contrasto tra il verde della patina bronzea e il
rosso del cuoio che ricorda la stessa armonica tonalità che
producono le colonne di porfido presso la porta di bronzo àcWheroon di
Romolo, figlio di Massenzio, al Foro Romano. L’offerta era
accompagnata da una epigrafe latina dedicatoria composta dall’offerente,
la quale nell’Università Popolare fascista svolge una fervida opera di
propaganda di romanità viva. Il Duce gradì l’augurio ed il voto
accogliendoli colla sua consueta serena nobiltà, non senza un segno della
vivacità del sorridente suo spirito latino: «Lei mi ha dato una lezione
di storia» — osserva in tono scherzoso. Singolari parole in bocca di chi
dà e darà non poco a fare agli storici futuri. (La notizia è
riportata in una rubrica dedicata a «I solenni riti del XXIV Maggio,
senza indicazione di paternità). Da: IGNIS, Rumori. Sacrae Romae
origines, tragedia in cinque carmi. Editrice Libreria del Littorio,
Roma pag. non numerata, IV dopo il frontespizio: LETTERA DI ARDENGO
SOFFICI A S.E. MUSSOLINI Mio caro Presidente, (...)
permettimi ti dia, scritte e sottoscritte anche da me, che ne resto
garante, al¬ cune prove di pregi eccezionali della tragedia, che,
in fondo, in un vero poema epico delle origini, è l’esaltazione di oggi
della nostra stirpe. Comincio da un mio giudizio, già a te noto; Rumori è
tragedia roma¬ na che può stare a paro col Giulio Cesare di Shakspeare
(...) ti fo osservare che il titolo di Poeta di Roma, dato da Jean Carrère ad
ignis, si è dato solo a Virgilio e ad Orazio: Augusto, vive, oggi, tra
noi tutti in ispirito, più per questi due poeti, da lui protetti, che per
la sua politica imperiale. E tu vedi come Rumori sia stato
giudicato, prima ancora che esistessero l’idea e la forza fascista,
tragedia degna di Roma quando competenti — dai nostri a Carrère, ed a me
che sono l’ultimo al giudizio — corrono all’iperbolico per lodare Rumori di
ignis bisogna concludere che ci si trova da¬ vanti ad un’opera d’arte
somma, e per fortuna nostra, d’arte italiana — opera che è, anche per se
stessa, di alto significato politico, e di spirito fascista (...) Mi
rileggo, e mi credo, caro Presidente ed amico carissimo, di averti
scritto una lettera storica. Fai che non sia stata scritta invano, ma
invece il tuo no¬ me vada unito a quello della tragedia Rumori, al
poema di Roma e degno di Roma: e di questo lega¬ me in avvenire, spero
che tu possa essere un po’ gra¬ to al tuo affezionato amico e devoto
ARDENGO SOFFICI pag. successiva non numerata: IL
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI Caro Soffici, bisogna
assolutamente far marciare Rumori. Il Governo appoggia fervidissimamente
l’iniziativa perché essa rientra nel grande quadro della rinascita
nazionale. Saluti fascisti e cordialissimi. f.to
MUSSOLINI Roma, AUGURE Manifesto è dunque: amor — essere —
ROMA. Se tutte move, ed incende, le create cose... legge si è —
Amor — dell’universo vita... così, un tanto Nome, a noi
predice: dono di regno e potestà sovra ogni terra, e dello spirito,
e d’imperio. Confirmato si è, per te, prodigioso il
vaticinio. Non pronunciati mai più sien i Nomi occulti... su la
Città terribili chiamerebbero fortune... Li trasmettano, oralmente,
i Pontefici ai Pontefici. Né mai più, tu, l’eccelso pronuncia Nome
palese, se concluso non avrai, prima, il solco sacro. Permesso e
commesso mi è: Nunziare, allora, in gran letizia, al Popolo... quel
Nome che licito non più mi è dire quando, già per tre volte,
qui, in tre diversi suoni, de la gran Madre nostra il Nome risonò.
{Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per numerare i
significati del nome). Di significati cinque: È... ’l
Nome palese, latore, con l’occulto: Chiama la Città: Valentia... Ròbure...
Virtù! e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice! Vostra — nei
nomi vostri — oh Re! suoi fondatori... Come del grande Rumon: URBE: la
Città del Fiume! {Pausa) Ammirate! se gli Dei
saputo abbiano addensare, in così breve Verbo, sì pieni... tanti
arcani. Mirifici! donando Nomi nove: in quattro occulti
ed un — Medio — palese, e quando, nove, siamo al
Rito. Ili Da: COSTA, Apologia del paganesimo, Formìggini. Il pagano
è, per definizione, buono. Né un greco, né un romano avrebbero concepito
che l’uomo potesse esser qualcosa di diverso da ciò, che in lui litigassero per
così dire due nature, che la manifestazione esterna fosse diversa dall’interna,
che né nella vita individuale, né in quella sociale vi fossero mezzi
termini, transazioni, compromessi. Esso è quello che naturalmente è, cioè
buono, come ideale supre¬ mo della vita, come dovere, come necessaria
fatalità insita nelle cose umane. Egli vive quindi la vita interamente,
dolorosamente, gioiosamente a un tempo, con un pragmatismo sano e forte
che non ammette ipocrisie, doppiezze, scuse. Solamente
all’uomo cosiddetto moderno è stato concesso, per virtù di dottrine
religiose e culturali che si sono formate a lui d’intorno, una
distinzione ed una separazione del suo essere intimo, spirituale,
psicologico, dal suo essere apparente, esteriore, materiale. All’antico quando
di questa scissione apparve per un momento la possibilità, egli ne cacciò
da sé l’idea, ne biasimò perfino la concezione. La concezione
pagana della vita ha fatto perciò l’uomo tutto d’un pezzo, ne ha
affermato il carattere, ne ha provocato 1 ’azione. Ecco perché la vita
nel paganesimo ha avuto tutto il suo massimo sviluppo ed è stata
accettata non come un male, ma come un bene che bisognava con interezza di
carattere vivere interamente e sanamente per sé e per gli
altri : Per stabilire l’equilibrio l’uomo deve tornare
al paganesimo poiché il cristianesimo si è mostrato divina opera cui le
sue spalle non sanno sottostare. Ma paganesimo è sincerità e l’uomo
deve ritornare ad essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto per due
millenni il suo desiderio di seguire il messaggio cristiano e la sua
manifesta impotenza di non saper¬ lo fare, deve risolversi in armonia se
egli vuol sanare in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la carne
debbono avere il medesimo valore ed il loro prevalere non può
essere determinato che da circostanze speciali di individuo, di momento e di
luogo che l’uomo può intravvedere, non deve violare con convinta testardaggine.
L’equilibrio di queste forze, l’esteriore e l’interiore, quindi, deve essere
nella dottrina, come nella vita, assoluto. Da: Im via romana degli
dèi, ciclostilato anonimo, Messina: L'immagine di un dio è lo
stemma della Forza che essa rappresenta. A tutti i fini pratici tali
immagini sono personae, perché qualsiasi cosa possano essere nella
realtà esse sono state personalizzate e forme di pensiero sono state
proiettate su un altro piano. Alcune di queste immagini e le loro
attribuzioni sono così antiche e sono state costruite con tanta
ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di rico¬ struirsi da se
stesse, durante l’eventuale lavoro di meditazione, che l’allievo può fare
su una divinità. Resta un minimo «invito», un minimo stimolo, perché il
meccanismo scatti e l’immagine si ricompon¬ ga, sia pure su un piano
semplicemente psichico. Così, della limatura di ferro, dispersa su un
piano, si raccoglie intorno ad un magnete che venga posto in mezzo.
Se il magnete è forte esso attirerà i granelli anche se essi sono pochi e
molto distanti. AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO (imda «Ygieia», Reghini
Piscio littorio a Mussolini n florno If »cor*o. pr^eniaU dalla tsl-
bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa. aOltnl rlotwta la doti.»
pmf.» Osarina RI- baiai cba offriva al Proatdanta dr’. Conti¬ guo
romo aufurln la data de) Mabfio «n falcio littorio da lei eaattamcDte
licoatndto lecoudo la lodicaslonl atorictie e leooograflclia.
l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa tomba etmaca hlmtneoarta ed
ba la forma aorra eoi foro per la Vantura hi manico: alcool
eaamplan slmili sono coosenrat: :.«! nostro Ma.*«o Klrcberiamo. é
La dodict verace di l>ctulla. ascondo la prescrizione rit'iale.
sono legala con tirisele cuoio rosso cba formano al tonimo ua cappio per
poter appendere fi fascio, conta nel ba.MorUiero per la acala del
Pa lazzo Capitolino dd Conaenalori. Il fascio ricomposto con
elementi antl- fhlHilmt a nuoTltaUnl k stato offerto al Dora come
simbolo della saa opera onrantea di rieoatruztona del valori della no-
Mra attrpa ,,,allacciando le veia«ie origini alla fonn più vibranti
dell'attività ga- giarda a rinnovata cha prendo la mosse Là rudezza
espressiva dal Fascio è ingantlHta dal contrasto tra (I verde della
patind bronsea e U rosso del molo che ri¬ corda la stes.aa armonica
tonalità che pm- doeono le colonne di porfido presso la porta di bronzo
deD'brroon di Itomdlo, figlio 41 Massenzio al foro romano. L'oflerla
efa accompagnata da ani epl- graia latina dedicatoria composta
dall'orfarente. la quale nell'UntvcnUtà Popolare faartsta avolga una
fervida opera di pro- pafgada di romani Ih viva. n Duca gradi
raugorto a fi voto acro- Mlaodoll colla sua consueta serena
nobiltà. 2«m senza tm segno della vivacità del sor> ridaots ano
spirito latino: Let mi ba dato nna testone di storiaosservò In tono
aehanoao. Btngolart parole In bocca di r.hl db a darà non poca a fare
agli storici fu- tnrl Riproduzione da «11 Piccolo. Grice: “Like Reghini, of the
movimento tradizionalista romano, Enriques was, for different reasons, all into
Pythagoras’s ‘arimmetica’!” -- Federigo Enriques. Enriques. Keywords: implicature
arimmetica, unity of science, history of logic, foundations of mathematics, the
synthetic a priori. Grice e Enriques
su Peirce, l’arimmetica pitagorica, Reghini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Enriques” – The Swimming-Pool Library. Enriques.
Grice ed Enzo: la ragione
conversazionale e l’uomo – scuola di Burano – filosofia veneziana – filosofia veneta
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Burano). Filosofo buranese.
Filosofo Veneziano. Filosofo Veneto. Burano, Venezia, Veneto. Grice: “I like Enzo; for one, his “Ubi es?” is
a classic – only in Italy they take the Bible so seriously – “Ubi es” can be
interpreted literally – sans implicature. And that’s what Enzo does.”. Figlio
di Alessandro, vetraio a Murano, un mestiere estremamente usurante, morirà
appena cinquantenne. Uomo concreto e critico nella sua essenziale bontà. La madre, Flaminia Vio, è una bravissima maestra
merlettaia. Da lei apprende il rigore e lo spirito di rispetto verso
l'istituzione. È lei, una cattolica laica, che vive al servizio della Chiesa,
ad accompagnarlo dalle suore perché
serva come chierichetto alla prima Messa. È lei che accoglie la proposta del
parroco di mandarelo in seminario a Venezia per permettergli di continuare gli
studi, ma preferisce ritardarne l'entrata e chiede alla nipote di ospitare a
Venezia il cugino che posse così frequentare i primi anni come esterno. Negli
anni di studio ginnasiale, si imbatte
per la seconda volta nella lettura della Bibbia. Il primo contatto era stato
quando, aveva deciso di leggere ai fratelli, nella traduzione di Martini, una
vecchia Bibbia trovata in casa, per accompagnarli al sonno. Il contatto è più
corposo e sistematico, ma come la lettura lo entusiasma e nello stesso tempo lo
delude, intuisce infatti la mancanza di adeguate conoscenze e strumenti
concettuali per poter penetrare pienamente il messaggio biblico. Ha la stessa
reazione anche quando, finito il liceo, sceglie gli studi, dove la lettura
della Bibbia è seria e critica, ma rimane, per importanza, sempre la seconda o
la terza materia dopo la dogmatica e la morale. Viene mandato a fare cura
pastorale come vicario cooperatore a Caorle, dove accoglie 350 alluvionati del
Polesine. Qui, meta preferita di turisti tedeschi, studia da auto-didatta la
lingua tedesca per meglio servire la Chiesa. Viene trasferito con lo stesso
incarico nella vicina frazioncina di Ca' Cotoni per divergenze con il parroco
di Caorle e nella popolare parrocchia di S. Giuseppe di Castello a Venezia. Aveva
conosciuto questa comunità quando vi era stato per una stazione quaresimale con
il patriarca Piazza e l'accoglienza ostile degli operai verso una personalità
vista come filo0fascista aveva reso necessaria la scorta della polizia. A S.
Giuseppe di Castello compera un appartamento, indebitandosi, per fare patronato
con doposcuola tutti i pomeriggi sino alle 20, e a sera gli incontri con i
ragazzi più grandi. Insegna al Lido e poi nella vicina "P.F.Calvi",
organizzando anche uno spettacolo per un concorso al teatro "Goldoni".
Il vicario generale Gottardi, dopo essersi consultato con monsignore Capovilla,
segretario del cardinale Roncalli, gli comunica che andrà a studiare a Roma. Gottardi
era stato suo insegnante di teologia e scienze bibliche in seminario e aveva
conosciuto il suo profondo interesse per gli studi biblici, ne aveva poi apprezzato
il saggio, “La 'Giustificazione' nella Lettera ai Romani” in cui analizza le
varie interpretazioni bibliche in maniera dia-cronica risalendo sino alle
tradizioni patristiche. Le due omelie di Carlo a S. Giuseppe di Castello
ascoltate dallo stesso vicario generale avevano poi confermato quella
scelta. A Roma è ospite presso il
Pontificio Collegio Nepomuceno in via Concordia ed è lì che lo viene a
prelevare Capovilla per una visita guidata alla città, alla vigilia del
Conclave da cui uscirà papa Roncalli. A fargli da cicerone è proprio il futuro
papa Giovanni XXIII e le bellezze della città illustrate da una guida tanto
preziosa assieme al paterno congedo di Capovilla costituiranno il ricordo più
bello della sua vita. Consegue la Licenza con una tesi su "I Carismi"
e contemporaneamente i corsi in scienze bibliche presso il Pontificio Istituto
Biblico, dove perfeziona lo studio dell'ebraico già iniziato in seminario, ma
soprattutto ha l'incontro, decisivo per i suoi studi, con il grande biblista
Schoekel. Segue i corsi del quinto anno che gli avrebbero permesso di redigere
il saggio su "Grazia e benevolenza" per la laurea, tesi che non può
però portare a termine perché torna a Venezia, chiamato da Urbani a svolgere la
funzione di vicerettore del Seminario Patriarcale, nel burrascoso periodo tra
il rettorato di Vecchi e Villa. Da vicerettore del seminario insegna anche
scienze bibliche, diviene in seguito pro-rettore, sino a quando chiede di
essere sollevato dall'incarico per poter assistere la madre paralizzata ed è
quindi ascritto alla parrocchia di S. Zaccaria, dove abiterà con la madre. Qui
si fa promotore dell'allestimento e della conduzione di un teatro,
dell'organizzazione del cinema per ragazzi, del cineforum, dell'istituzione
della biblioteca, mentre cura anche l'esecuzione di opere di risanamento e
ristrutturazione di tutti gli ambienti frequentati dai ragazzi. Continua ad
insegnare in seminario, e dal rettore viene mandato nel Benedektiner Kloster di
Metten a Degendorf (Germania) per preparare alla maturità i seminaristi che
studiano la lingua italiana. Compensa l'esiguo stipendio con l'insegnamento
nella scuola pubblica, come il liceo classico "M. Polo", dove matura
la sua sottoscrizione delle tesi del "Manifesto". Viene nominato
patriarca di Venezia Luciani e pochi giorni dopo il suo insediamento emerge il
suo diverso sentire con Enzo, che, nella mensile lezione culturale al clero,
trattando il tema della "Consumatio saeculi" o secolarizzazione nella
Bibbia, provoca una dura reazione del presule. Dà le dimissioni
dall'insegnamento in seminario, dapprima ritirate, perché lui, che da tempo nella santa messa
pratica l'omelia dialogata, non si sente in consonanza con le direttive
indicategli. Sino a questo momento i patriarchi veneziani che avevano conosciuto
Carlo, Piazza, Agostini, Roncalli ed Urbani, gli avevano dimostrato la loro
stima. Proprio Urbani aveva chiesto ad Enzo un commentario al Vangelo di Marco.
Sin dagli inizi, accompagna la vita sacerdotale di Carlo una costante e intensa
cura pastorale, rivolta sia ai ragazzi che agli adulti, e non solo nelle sue
sedi parrocchiali. Più che trentennale è a questo proposito la collaborazione
che gli chiede Marangoni nella parrocchia di Marghera, nel quartiere Cita, nei
difficili anni Settanta e, dagli anni Ottanta, a San Giacomo dell'Orio a
Venezia, a testimoniare la stima e l'affetto maturati dagli anni del seminario.
Si laurea a Venezia con “Alle origini dell'utopia messianica. Insegna a
Venezia, Oriago, Mestre e Giudecca. Va in pensione dall'insegnamento. Tiene a Venezia dei cicli di seminari di
esegesi biblica nell'ambito dei corsi tenuti dal prof. Arnaldo Petterlini, da
Madera, e allo IUAV di Venezia seminari di antropologia biblica ed esegesi
invitato da Rizzi. Sudia filosofia scolastica, propedeutica alla teologia. Nel
manuale di Calcagno, "Elementa philosophiae scolasticae" trova il
capitolo dedicato alla filosofia immanentistica, che considera Dio la natura o
non considera affatto Dio e considera solo la natura. Lo colpisce Spinoza per
la sua vita nascosta, dimessa, umile, scriveva infatti solo per gli amici. Ne
legge l"Ethica more geometrico", commentata da G. Gentile, più facile
a reperire perché considerata meno sospetta del "Tractatus theologicus politicus"
che studia in seguito, dedicando particolare attenzione al capitolo "De
interpretatione". Spinoza afferma che la Bibbia va letta e interpretata con
la Bibbia, era quanto Enzo aveva intuito sin da ragazzo, ma aveva abbandonato
quella strada in seminario dove si praticava il metodo storico-critico. A Roma,
il Nuovo Testamento viene studiato ed interpretato secondo il metodo della
storia delle forme che applica al testo biblico le regole dello scrivere
greco-latino, mentre per il Vecchio Testamento si segue la teoria dei generi letterari.
Incontra Schoekel, insegnante di teologia, esegesi ed ermeneutica biblica, che ha
un'attenzione speciale alle particolarità stilistiche e semantiche del lessico
biblico che schiudono un nuovo orizzonte metodologico e tematico. Considera
fondamentale per la comprensione dell'intera Bibbia lo studio dei primi tre
capitoli di Genesi e incoraggia Enzo, verso cui dimostra profonda stima e
un'amicizia che durerà sino alla propria scomparsa, ad affinarne l'esegesi e a
continuare il suo lavoro. Torna a Venezia con l'intenzione di mettere a frutto
quanto appreso applicando le indicazioni metodologiche spinoziane. Gli studi su
Genesi 1-3 vengono pubblicati in "Biblica". La interpretazione di
Genesi è alla base di diversi testi, dalla tesi di laurea, all'articolo su Servitium,
al testo "Adamo dove sei?" In parallelo decide di approfondire la
connessione tra i testi di Genesi e il vangelo di Matteo e scrive diversi
appunti che continuamente rivede nel corso degli anni. Da questi nasce il
progetto "La generazione di Gesù Cristo nel vangelo di Matteo". Altre
opere: “Testo e interpretazione in Weber e Bultmann, Unicopli, Milano); Alle
origini dell'utopia messianica, Antenore, Padova); Sulla nascita della
filosofia medievale, Venezia 1984 Sitz im Leben e interpretazione, Venezi); “Individuo
e comunità, nella riflessione biblica delle scritture antiche Servitium:
Quaderni di ricerca spirituale, Adamo dove sei?, il Saggiatore, Milano); La
terza delle dieci parole di “Esodo” 20 nell’interpretazione di Gesù in Le
parole dell'essere: per Emanuele Severino Petterlini A., Brianese G. e Goggi
G., Pearson Italia S.p.a Il Progetto di Mondo e di Uomo delle Generazioni di
Israele (Genesi 1-4), Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel
Vangelo secondo Matteo. I. Gli Inizi, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù
Cristo nel Vangelo secondo Matteo. II. La Legge, Mimesis, Milano, Le prime
dieci parole di YHWH a Israele in Panta, Decalogo, Donà M. e Toffolo R.,
Bompiani, La Generazione di Gesù Cristo
nel Vangelo secondo Matteo. III. La Regola dell'Apostolo, Mimesis, Milano, La
Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. IV. Il Regno dei Cieli,
Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. V.
La Ecclesia di Gesù Cristo, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel
Vangelo secondo Matteo. VII. La consegna del figlio dell'Adamo, Mimesis,
Milano, Genere adamico. Riflessioni sui testi fondativi della tradizione
spirituale occidentale che si trovano nei primi quattro capitoli di Genesi,
Servitium: Quaderni di ricerca spirituale,
Interventi alla radio Giuda: consegnare e tradire: Marco 14,43-52 con
Ludwig Monti, 3 marzo Sulla barca le
parole del regno Matteo 13, con Romano Madera, Le parole del regno Matteo 13; Due
lezioni bibliche: Il “mondo” del nostro Dio, Rovato e L’ “uomo” del nostro Dio,
Rovato, Lo Spirito di Cristo nel
progetto messianico, comunità della parrocchia di S. Giacomo, Venezia La
rivelazione secondo la Bibbia, Università degli studi di Venezia, Dipartimento
di filosofia e Teoria della scienza, Seminario sul “Der Mann Moses und die
monotheistische religion”, Incontro tra Carlo Enzo e Romano Madera, 13 marzo,
IUAV (Venezia) ‘ôLaM, il progetto consegnato, Le decadi, dieci incontri con
pensatori eccellenti sul tema “Le potenze invisibili”, IUAV (Venezia) Scritti
su Carlo Enzo e testimonianze Tagliapietra A. La Bibbia, libro sempre “aperto”,
Gazzettino Tattara G. e altri Per una rilettura del vangelo di Matteo, Mosaico
di pace (on line), Madera R. Date al
cielo quello che è del cielo, L’Unità, Gnoli A. Rileggere la Bibbia, La
Repubblica Della Pergola F. Parola di biblista,
Della Pergola F. La Bibbia svelata,
e in Left, Lamonaca L. Su una nuova lettura della Genesi, Patrignani C.
Laicità: il biblista Carlo Enzo batte i marxisti ratzingheriani, MorettoUn mondo possibile, Della Pergola F.
Il problema dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica, Della
Pergola F. Il Dio del nulla Tattara G. e altri Gesù e le donne nel vangelo di
Matteo, Della Pergola F. La lunga
battaglia contro la Bibbia e in Left, 1 aprile
Video Da Burano a Roma, parte I, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria La prima visita di Roma, parte II, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria Dal Biblico a Baruch Spinoza, parte III, dal progetto Memoro. La Banca
della Memoria Gesù Maestro ed Elohîm dell'Ecclesìa, parte IV, dal progetto
Memoro. La Banca della Memoria Vai, vai per te, parte V, dal progetto Memoro.
La Banca della Memoria Dalla Bibbia Ebraica alla generazione di Gesù Cristo.
Un'intervista di Romano Màdera La Bibbia non dice quello che ci hanno fatto
credere. Un’intervista a Carlo Enzo Date
al cielo quello che è del cielo di Romano Madera, in L'Unità, Rileggere la
Bibbia di Antonio Gnoli, in La Repubblica. DISCORSO DELLA RELIGIONE ANTICA DE ROMANI,
’fcSbr lnjìeme <rrn altro Difcorfo della CaUrametatione ,
f£) difciplma militare, % agni, & efferati] an- tichi di detti
Xomani, Comporti in Franzefc dal S.Gugliclmo Choul,GcntiJhuomo Li
onde, & Bagty delle Montagne del Dclfinato, 'otti in Toscano da M.
Gabriel Simeoni Fiorentino. di Medaglie & Figure , tirare de i
marmi amichi, quali fi trouano à Roma , & nella Francia. IN
LIONE, APPRESSO ROVILLIO. Armoiries dudiB S.(juiUdume du
Choul. hi'* BEATVS. J m I
r I r Hi. alla christianissim a et
ScreniiTìma Rcinadi Francia, Macia ma Cateri- na de Medici,
Guglielmo Rouillio humiliflìmo fcruitore, (aIutc & con^ 'c'N
tentezza Tempi- '% terna. i ^4. purità & dolcetta della
lingua Tofcana pare che fia di prefenre ( Chnfiianifima Reina) falira in
tanto pregio, che doppo la (^re- ca (èj? la Latina fi Toscani medesimi Jludian dolaci ingegnano
ogni giorno di renderla più bella y i letterati firanieriì ammirano, (gj (
come hanno fatta t*Ariofio,il "Bembo, fèd il Sennaz&aro') ne
iloro ferini cercano di imitarla, & in fomma, non fi troua natione à cui
non piaccia cjuafi ogni opera compofiapiù tofio in toscano, che
in altra inguada ejuale cofa conofco io tffere ogni dt più yera nel
fare Jìampare {gfi mandare fuora i miei libri ,nafcendo ( co- me io
credo) <juefio,che poche altre lingue fi pronunziano (tfi fcriuono di
\na medefima maniera, come fanno la Latina & In Toscana, le quali
oltre di ciò hanno Vna certa conformità inferno per la vicinità delle
‘Provincie, che nelfignificato, nel fittone , Qf nell'accento fi poffono
meritamente nominare f or elle. Jtla fi come ogniTofianofe non ben
letterato, non può ne parlare, ne fcriuere bene, cofi e gran felicità disdire
le parole, (gfi leggetegli ferirti di colui che Tofcano (gr letterato fi
ritrova. Traitjuah ha vendo io fempre dito per tale filmare
Jrfejftre (jabncl Symeoni da gli h ut miniì tram ente dotti, oltre à
quelli ' & I ig* 10 che io medefimo ne
ho cognosiuto, (gl egli da fe (leffo ha di' mojlro in più opere fue
fampate in Francia & in Italia, mi fon mojfo à gregario di tradurre in
toscano il libro della Religione antica de Romani, prima composo in Frange fe
dal S. (julielmo Choul,2?agly delle montagne del T> elfinato, la quale
fatica volentieri egli ha fui ito profanarne anchoragia fece dellaltromio libro
della Caframetatione de romani, pur e comporlo dal medesimo autore. Là onde, considerando
futilità grande che di tal libro fi può cauare, egl masime havendolo fiampato
nella più bella forma che io ho saputo imaginare, ho pre/i ardire di
dedicarlo à ZJ.Jrf- parendomi [fe fi debbo hauer ri- guardo che il
prefente habbia qualche proportione con la perdona a cui fi prefenta) non poter
più degnamente quello mio conuenire ad altri che a ZJ.M. come lettura non
meno nobile, che V rile alla Republica, potendo percofi fatti mezzi cono
fiere, che la grandezza & profferita dell’imperio romano non nacque
ctaltroue, che dalla virtù deltarmi proprie, dallagiufitia, (gl dal culto
frequente (anchora chefaljo, altrettanto che 11 noffro ordinato
dalla chiesa catholica, e falutifero (gl vero } della Religione dei loro
falfi Z>q,i quali o come creature (deificando gli fiocchi i loro co fi buoni
come cartiui lmper adori} o come inanimati numi [adorando & temendole
felle, i Fianeti, la forte, (gir gl'accidenti h umani} fe bene non
haueuono poffanza d aiutarli, nondimeno fi vede che fomnipotenre
&> Vero 2 )io, hauendo più riguardo alla /implicita & buono
animo loro t ch e alla loro cieca credenza ,tion anchora illuminata
dal Vero Mefiia gli fauoriua fempre (gl aiuraua, non altrimenti che
io lo priego al prefente che al Re, à U.JM.(gl à tutta la fua regia &
bella prole doni fanitàconrinoua, allegrezza fini# fineffl longa vita. Di
Lione el dì }0.dùdgofio,itf8. Difcor, 'S:5Stata comune
opcnionc d’alcuni hiftori ci antichi che lano, primo Re de Latini,
forte el primo che caificaflc tempio a Dio. Alcuni altri hanno voluto che
quello faccflìno in Candia Foraneo & Dionigi,& che di qui tutte
le republichc, i Principi, & gl’imperatori di buona voluntà, fegunarterodi
poi à fare templi magnifìchi, ornatifsimi & ricchi: tra cuttii quali i
Romani principalmente oflcruorno fopta ognicofa le cerimo- nie,
& culto della Religione, mettendo ogni loro sforfo nel fare chiefc grandi
& merauigliofc, come anchora hoggi fi vede per quella piùintcra &
più bclla, chc in Ra marecc fare M. Agrippa, genero d’Ortauiano
Imp.da; luy chiamata Panteone, & da noi fi oggi la Ritonda rispetto
alla fua forma.. Quello tepio di fuoraecompo- no di mattoni, & dentro
folcua eflcre ornato di marmi di diuerfi colori, con certe cappcflettc,in
ogniuna delle quali era porta laftatua et vno Diodi quel tempo: ma
fopra tutte vi era venerata quella di Mtncrua*fatrada- uorio per
lemanidcl celcbratiflìmo fcultorc FidiaGrc- co:5 e dart'altrapartc quella
di Venerei gl orecchi della A 3 Imo prima
inuentore it templi Tempio dt M.Agrip- JW.P tfó t
Udititi dtUa Perla di Cleopatra. Torma
er ricchezza del Panteone dedicato i
Gioite. Sacrilegio di Costantino impera. quale pendeua la
Pcrla, chc auanzò à Cleopatra Rana d’Egitto , la quale Augufto haucua per
quello effetto fatta diuiderc in due parti, non hauendo potuto
trouar- nein tutto il mondo vn’altra che la fomigliaflc.Concio Ila
che la compagna di quella mangiata da Cleopatra nel conuitodi Marcantonio
pefaflc mezza oncia, che fono l x x x. carati, & folfc (limata cento
fcllerti j , di lc- flertij che al modo nollro varrebbono cc.
cinquanta mila feudi. Di quella Perla Icriuendo Plinio ncll’v ni.
libro dcH’Hilloria naturale, dice che ella era di co lì ma- rauigliofa
grandezza Se bellezza, che la Natura non ha- ucua mai fatto opera ne più
perfetta ne più pretiofa. Ma tornando al proposto del nollro tempio ,
dico che egli ha le porte di bronzo di fmifurata groflezza &
altczza,con colonne innanzi nel medelìmo modo fmifu- ratcrte quali nel
principio lolcuono ellèrc x v i. ma hoggi à x n i. fono ridottc, conciolìa
che due ne fumo guade dal fuoco , & la terza non fi fa ciò che ne lìa
fe- guito. Le traui , architraui & cornici di querto mirabile
tempio erano ùmilmente di bronzo dorato, & finalmcn te fu la fua
principale dedicatone à Giowc Vincitore, ò Vendicatore, quantunque Dione
fcriua che Agrippa lo facerte fare in honorc d’Augudo. Collantino terzo
dipoi, Imperatore & nipote d’Hcraclio,Ieuò la copertu- radi
qucdotcmpio,la quale era di piadrc d’argento , & interne con molte
rtaruedi marmo & di bronzo, che feruiuonodi bellezza &
d’ornamento àRoma, le fece metrere lòpra mare pcnlàndo diportarle in
Codanti- nopoli,il q naie facrilegio non volendo lafciare impuni-
to Iddio, fece che in Siracufa , Città di Sicilia , lì morì
Codand Coftantino,& tante cofefìngulari Se rare fumo
rapite dall'armata dei barbari corfali,& portatelo Egitto. Coi!
fece quello Iceleratifhmo-tyrano più danno invi r. gior- nichcegli (lette
in Roma, che in c c.anni non haucuor- no fatto i Corti & tante altre
barbare narioni. L’architettura di quello tempio (per quello che io ne hò
potuto conofccre)è fopra tutte l'altre bene intefa & mirabile ,
lì come anchora li può vedere inRoma,& vedranno qui quelli,che
non vi fono (lati, per la medaglia di detto Agrippa^riprcfcntata qui
difottoal naturale. MARCO AGRIPPA. BRONZO. Vn’altro firmici
quello tempio fece già fare (pacan- do per Atene) HadrianoImpcratote,il
quale dedicò li- milmcnteà tutti gli Dij,.&lo cinfc di c x x. colonne
di marmo Frigiano, conporrichi&loggieintorno per pai- feggiare
al coperto, limili àichioftri delle nollre chiefe. Fece oltre à quello nel
detto tempio vnn libreria, Se dal fuonomcvngynnafio ornato di cento colonnedi
mar- T empio d‘- H adnano. Librrrié
d'HadrU- no. HMSfri.v, 8 raufanU. mo che egli haucua,comc
fcriuc negl’ Attici Paufiinia? fatte condurre di Libia: foggiugncndo il
detto Autore che il nome d’Hadriano fi trouaua per infino nel tem-
pio comune à tuttegli Dijila quale verità apparile an- chora per le
medaglie Greche, quiui battute per memo- ria di cofi nobile
edificio:& nelle quali fi vede il*? «fcp.,, chcè il portale della
chicfii, con altre letrerc Greche, che diconoKoiNON&moTNiAs, cioè
tempio com- muneà ruttigli Dij. ADRIANO GRECO. BRONZO.
BRONZO. Ma.lafciando (lare i templi dedicati à tutti quelli fal- fi
Dij & Demonij , pieni di fuperftitioni & di bugie, venghiamo
(blamente à confiderarc la grandezza & Tempio di ma g n ificcnza di
quello di Salomone, il quale di ricchcz Sélmonc. ^ ^bellezza ha pafiito
tutti gl’altri ,conciofia chcncl- l’ Arca douc erano ferrate le leggi
& comandamenti di Dio, fi vedeuono infinite pietre pretiofedi
grandifiìmo pregio, pregio, & l’Arca medefima era coperta
di grolle piaftre tutte d’oro.Quiui fimilmcnte era vna tauola tutta doro
malficcio con innumcrabili vali d’oro & d’argento, di stlomo - calici
, ampolle, & altre cofe, che leruiuono nell’ammi- Bf ' niftrationc
& cerimonie de i facrificij. Vncandellicre S andiflimo d’oro,
del quale vlciuonotre rami da ogni to con altrettante lucerne, figurate
per i fette pianeti, tra le quali quella del mezzo4'o ftcnuta dal tronco
, era più grande à mifura che il Sole e più bello di tutte l’al-
tre ltelle. Et tutte quelle cofe furono portatcfdoppo la Tempio del prefa
di Giudea) innanzi ài trionfo di Velpafiano & di Titofuo figliuolo,
&pofte nel tempio della PaceàRo- ma, &di poi {colpite nell’Arco
trionfale di marmo, edi- ficato in honoredi Tito Vepafiano dal Senato
Roma- no, il quale Arco con molti facrificij fi vede anchora quafi
tutto intero. Quello tempio di Pace, del quale tra l’altrccofe piu
IT eccellenti della Città di Roma Plinio ha fatto mentione Minio.
nc lxxxvi.librodeirHi(lorianaturalc,abbruciò nel tc- H aodUno. podi Commodo
Imp.Sicomc fcriue Herodiano,fog- giugnendo ch’eglicrafopra ogn’altro
ricchiflìmo &or- natiflìmo di (lame & altre cofc belle coli
dentro >comc fuora,ficomc anchora fi puoconofccrc per le meda-
glie de due fopradetti padre & figliuolo Imperatori. VESTTqvTZd R ITR
u TT^i Z> f xArco Triomplfdle di Tito in Ronu. i BRONZO.
BRONZO Della bontà & valore di quelli d uc Principi , che rir
duflero(comecdetto)turtala Giudea fotro l’obedicnza de Romani, &
della miferabile prefa &diftruttioncdcl tcjnpio di Salomone, ha
Icritto affai à pieno Iofcpho nel fuo libro, che tratta della guerra de i
Giudei. VESPA SIA NO. "C TITO. ARGENTO BRONZO. Il VESPASIANO.
TITO bronzo. argento. VESPASIANO. BRONZO. ARGENTO. AMA i}
Jtt *A T l ST *A Z^nTTTZa, quale è nelle mani Je fautore. gradiftìmo
piacere Vefpafiano fopradetto neir p ^ f edificare & ornare quello
tempio di Pace, di tutte le piu J tUaltm » belIecole,ch’ei potette
haucrc,come quello, che doppo ve- la prefadi Giudca,haucua mcfl'o in pace
tutto il mondo: il che moftrano anchora le Medaglie battute al Tuo
tem po cofidi bronzo,comed'oro,tralcqualifcne trouano alcune
colfimulacrodclla pace, accompagnato da lette- re che dicono,PACi orbis
ter rar vm. & in alcune altre fi vede la Pace con vn torchio accclo
in mano, che abbrucia & diftrugge vn fafeio d’archi, di frcccic, di
cela tc,di fcudi,& di corazze con altri inftrumenti della guer-
ra^ nell'altra mano ha vn ramo d’vliuo & lettere che moftrano la pace
d’Augufto, con quelle parole, pax ptee. avgvsti. VES.VÌfSPÀS I A
NO. DOMINANO. BRONZO. BRONZO. E li come Vefpalìano ha di fopra
figurata la pace eoa Lvliuo &col Caduceo di Mercurio, coli Tito la
difegnà poi con vn ramo di Palma. Pace nutrì- Quelle fono tutte le
figure antiche della pace, tanto cc detta feti dcfidcratadaogniuno,comequelIa
cheè nutrice della ctu pubti- p U bIi caV tilita,&con
lafclicitàdellaquale fi conferma il mondo.La pace è quella, per la quale
la Natura Huma- na va crefcendojlc richezzc fimilmcnte
multiplicano,la virtù VESPASIANO. TITO.
BRONZO. virtù c in pregio, & finalmente ella contiene in (e
tutte le colcbuone,chcfipoflonodefidcrarein quello mondo. Et che
ciò fia vero, ficonolce, che nel tempo di pace fiorifeono affai piu i
begli ingcgni,& i principi fauorifeo no piu i letterathcomc quelli ,
che intrattenendo coli i virtuofi, i lettori publici, &crcfccndo il
numcrodeCol legi&dcllclcuolc,conolcono pcrtal mezzo, haucreà
reltare immortali,elTcndoilibri come vna tromba per- petua à gl’orccchi
de noftri fucccflori : fi come lenza quelli vegliamo che non farebbe piu
memoria de nomi & fatti di Filippo, ò Aleflandro Re di Macedoni
a,diCe (are, ne di Pompeo, di Cyro , de Perii , ne de Greci:&
la gloria &grandezzade Romani col nome di tanti huomi ni
eccellenti farebbegia del tutto fpentaxhec quella co- là(Signore
illuftriflìmo)Ia quale vi può portare maggio re gloria &
honore,facendoammacftrarc & introdurre nelle buone lettere il
figliuolo del Re, che meritamente fua MaelU haconftituito lòtto ladifciplina
& cuftodia voftra:dclla quale tornando à propofito della noftra
pa- ce,dico che Augnilo Cefarc prima fu quello, che fece fa re
l’altare della Pace in Roma, & Agrippa Tacerebbe , fi
comcanchoradimoftra Ouidio nei Tuoi Falli, doue ci dice,
Ipfum no s carmen deduxit ‘Pack ad /tram, Hac erit a mtnjis
jìnefecunda dies. Veggonfi le forme di quello altare perle
Medaglie diTiberio,battutcin honore d’Augulto, quali limili à
quelle di Nerone , doue fono lettere che dicono pace avgvsti p erpet v a,
& nell’altra, ara pacis. TI >5 Lf Intere C
T letterati rendono il nome de U principi im-
mortale. V Altare d Pace. OVIDIO (si veda) TIBERIO. NERONE
T BRONZO. Tempio di Numa Pompilio fu il primo che infegno di pace
edi Un °uJrI & ^ crm ° ^ r ^P‘° Lano,iI quale (come fcriue Pro
- tL ? copio)era quadro &grandecomc vna Capella, tutto di
bronzo,& tanto alto, quanto la ftatua di ramedi Iano vi potefle
ilare dentro, la quale non era lunga piu di cinque piedi,& con due
vifi,l’vno riuolto allenente, & all’occa fo l’altro ronde ci fu detto
Gemino ,& del quale Plinio nel libro xx x v.de l'hifloria naturale ha
cofì fatto mentione. unmgcmi' Ianni geminiti a 'Numd Rege dicdttts , qui
pdeii, belli que dr~ gumenro colitur. Augufto
AVGVSTO. BRONZO. Haucua quello tcpio due porte di bronzo, Icquali
in tempo di pace ftauano chiulc, & aperte in quello della
gucrra,ficomc anchora lì vede in Virgilio,doucei dice, Sunt gemina belli
porta. Furono quelle pone tre volte fermate al tepo de Romanica
prima lotto Numa, la feconda fotto il Conlòlo Tito Manlio,& la terza &
vltimafotto Augullo,quado piacque al Signorc&fabbricatorc del’
vniucrlo,vcro au tore& di pace & di luce, pigliare carne humana:
della quale cola lafciò mcmoriail fucccflorcd’ Augullo(dop- po che
ei fu deificato) facccndo battere medaglie, nelle quali lì veggono due
mani llrettcinfieme,convn Cadu eco nel mezzo, & due corni
d’abbondanza con parole, che dicono, pax. Significando che dalla
concordia dipende la copia di tutù quanti i beni.
Caduceo inftgm pace. Bavgvsto: ARGENTO. Tito
Liuio lcriue,che doppofa guerra Adliaca,hauc- % do Ccfarc pacificato il
mondo per mare & per terra, fer- mò il tepio di Iano. Et Nerone
dipoi lenza haucrc rigar- do à la pace,mofi:rò per la Icrittura delle fuc
medaglie, & la figura del tepio di Iano,d’haucrc{bFo rcnduto
lapacc Umilmente per mare & per terra al Popolo Romano^,
facendo fcolpire coli fatte parole ,pace popvlo ROMANO TERRA
MARIQVE PARTA, I A- NVM CIVSIT NERONE. DI BRONZO. Tro .
ip Trouafi vn Marmo in Roma di colore bia co & ton- do/!
quale mie parfo di riprefcntarc qui innanzi, per moftrarcla differenza
delle parole che gli fono intor- no, limili nondimeno nel fenfo à quelle,
che nella meda- glia di Nerone habbiamo viftequi fopra, ianvm c l
v- SIT PACE pRIVS POPVtO ROMANO VBIQVE PARTA.
Plinio nel libro xxm. dell’hiftoria naturale (feri- IANO uendo di
Iano gemino) dice che i Romani nella primin0 ‘ magucrra,chchcbbonocon i
Cartagincfi,fcciono bat- tere molte medaglie di bronzo, da vn de lati
delle quali era la teda di Iano con due vili, & dall’altro la
poppa d'vnanauecon quella parola, Roma. Si trouano ancora medaglie
di Iano,ncllc quali fi ri- prefentano nauili & trofei'Ja deferittion
delle quali fi vedrà piu allongo nel libro de l’Antiquità di Roma,
il quali’ Autor mcttra torto in luce. MEDAGLIA DI I A
Na BRONZO. La caufa perche Iano fi depingeua con due vili, ella-
ta affai benedichiarata da Plucarcho nel libro delle lue Ijjjf quilUoni,doucdicc
chcqùcflo nacque perche Iano era B aUno con due uijì.
Ouidio. Berofo. Uno Dio- deli pace .
IO (lato i! primo che haucua
rend u ti i collumi rozzi delle pedone piu ciuili , dando loro leggi,
& inoltrando che per la commodita de mari Se de fiumi gl'huomini
potc- uono hauerc Tempre abbondanza di tutte le cofc , tranf- portandolc
d’vn luogo ad altro. Alcuni altri dicono che arriuando Saturnoin Italia
in vna naue,& infegnando a Iano l’arte dcllagricultura, & altre
cole vtili & buone, lancio prclèpcr compagno nella Monarchia, &
per eterna memoria del Tuo- nome, fece battere medaglie con due
vilì,& nel roueTeio la nauecon la quale Satur- no era venuto in
Italia:di che anchora. pare che habbia. rcnduto teftimonio Ouidio,doueci
dice, ±At bona pojleritds Unum formante in are Hofitis
aduentum tejlificata Dei. Io nondimeno m’accofterci piu volentieri
all’oppe- nionc di Macrobio, che dice cnc Iano Tu (colpito con due
vift,percflere Rato vn Re molto Tauio , che confi- dcrado le cole
pallatc,giudicaua Se prouedeua à quel- lo che doucuaaucnircjchc e certo,
quella prudenza, la quale epiuneccflaria àtuttc le noftre attioni :
laonde confidcrado la varictadcllc leggi Se manierede collumi de
gli huominbparc che quafimcriramcntelanollravi- ta fi polla aflomigliare
alla figura di Iano con due vili. ScriueBcroTo.che Iano Tu chiamatoDio di
pace Se di concordia, doppo che Romolo &Tatios’accordornoinfie
mcj&che per la pacc& vnioncchc quelli due popoli ha - ucuonofatta
l’vnacon l'altro, l’imagine di Iano Tu Tcol- pita con due vifi,& nel
tépo pure di Romolo fatta di le- gnoTolamcte/ccondo ilcollumc de
grantichi,volendo mollrare Se fignificarcchclapoucrtaè amica diDio, come
zi come quelle che contienile in fe l’honcftà , & la pace,
quello che conferma Tibullo ne Tuoi verfi > douepar- ritmilo. landò
dellantichcimagini degli Dei, dice. Ne pudeatprifco Vos ejjìe e
Jìipite fatto s. Sic Reterei fedes incoluijhs aui. Tunc
meline renuere fdem } cttm paupere culeu S tabarin exigua ligneus
adcDetts. N urna di poi fu quello, che fece fare quxfta
imagine di bronzo da Mamurio Ofco ,grandi(hmo maeftro di Ju
xm<t. fondere ilbronzo&iIramc,ilquaIcda Numa fu chia- mato
àRomaperfondcrcfimilrnentei xn.ancili,che di poi foleuono portare nei
facrificij r faccrdoti detti Salij, come noi moftraremo apprclfo piu
dillcfamcntc nel difcorlo de noftrifacerdotij. Quello Iano fu
chiamato anchora quadriforme, & dipinto con quattro vili, come quello
che haueua fi- gnoreggiato da tutti iquattro angoli del Mondo,
nella qualeforma di poi Ip riprefentò anchora Hadriano nel- le fuc
Medaglie.M. AVRELIO. DIOCLETIANO ADRIANO BRONZO. Etpcrchcgia dal Signore
Iacopo Strada Mantova- no, grandiflìmo & diligente amatore
&inueftigato delle cofe antiche, mi fu altre volte donata la figura
d’ tempio di Ianoquadrifrontc, però mie parfo di fentarlo qui fotto
al naturale, ocr maggiore inrell del lettore. ~Ò CON z 4 -
Hauendo à baldanza fcritto de templi della Pace &di Iano,ragionercmo
al preferite di quelli della Dea Cócor dia, alla quale gli Antichi ne
edificarono tati, che non ha rebbono mai fineà volerli tutti recitare.Ma
purccomin- ciando da quello,che in Roma per tcftamcnro di Liuia
c oneordu ^ ua ^ a< ^ re & mo g^ c d’Augufto,fece fare Tiberio
impe- sto da radore, diremo, chele la concordia & la pace fono
vnà Tiberio. mcdefimacola,eipotrcbbceflcreforfc quello, del quale
Dionr. Dione haragionato nel libro l v i. dell’ hiftoria Roma- na,
fcolpito per le medaglie di molti Imperadori, nelle quali fi vède la
concordia con vna tazza in mano, in le- gno della fuadcità,&
nell’altra tiene vn Corno d’abbon- danza,fignificatorc della copia di
tutti i beni, quando gli huomimfonoinvnionc: vedefianchora qualche
volta con due figure , che fi danno la mano I’vna all’altra : nel
modo che fi vede qui difotto , potrà il lettor vedere la concordia.
wm . aj Et perla medaglia di Bronzo, di Caracalla, potrà
ve- der il lettore la concordia tra lui & il Tuo fratello Geta,
lignificata per la mano delira che fidano l’vno all’altro, accompagnati
da vna vettoria che gli corona améduc. ''che mollrala vettoria d
Inghilterra, douc erano Ita- ti tutti infieme. Nelle McdagliediM.
Antonio Triumuiro lì troua anchorala tefta di Concordia da vn Iato , Se
dall’altro duemani ftrette infieme con vn caduceo nel mezzo, &
lettere che dicono, marcvs antonivs, caivs BLICAE CON-
.r Auicuncaltrepure del mede/ìmo hanno fcolpita la Concordia
con ducfcrpichc cingono vn’altarc , fopraal quale e polla la tcftad Auguflo,
lignificando la concordia del Triumuirato:& nelle medaglie d'Augufto
li figura dei- vedcanchorala concordia, che con vna mano tiene U
Contar- cornocopia,&con l’altra prclcnta de frutti àiTriumui ri,quali
furono Lepido, Cclarc& Antonio, per mollra rechc dalla loro vnionc
nafceua il bene della R ca,&di tutta fhumana generinone,
fpecificato mili parole, salvs generis h v m a MARCO ANTONIO ARGENTO.
AVGVSTO TRIVMVIRO ARGENTO Ma volendo vedere quanto folle {limata la
concor- dia àccmpiantichi &da gl'imperatori Romani, & dagli
Efferati loro, riguardiamo alle altre medaglie , che fole- uono fare, in
alcune delle quali fi vedeuano cofi fatte parole, concordia miei tv m ,
con vnavettoriache coronaua con due mani à vn tempo medefimoj due
Imperatòri , lignificando d’haucre vinto per fvnionc &
vir Concordi* degli folda- ti Romani, I &
virtù de loro fo!dati:& in altre fi troua la concor- dia con due
infegne militari in mano, & le medefime parole. SEVERIN A.
ARGENTO. C^VINTILIS. ARGENTO B—i. 11*a* ’Hcbbono Tempre tutti i piu
faur Imperatori quefta ferma Ipcranza^he nella concordia de foldati
confi- ftcuono tutte le vettoric Se la falutc del popolo Romano, &
pcròfareplicauono fpcflbcon limile medaglia. HADRIANO BRONZO.
BRONZO. Per alficurarfi poi meglio deirvnionc degli
Efferati loro , gli faccuono giurare per mezzo i facrificij, non
trouando colà che piu gli. faccflc temere, quanto la religione. A quefta
concordia dcdicomo glantichi fa Cornac- C om<tcchU chia,&di qui
nalce chcEliano ha Icritto che gl'anticht dcdUaual- ncl far matrimonio
inuocauono quello vccello.Il Po- ^ Con<0, ’Iitiano fcrittorc diligcntiffimo
fa. nelle lue Mifccllancc mcntionediqucftoi& per mcglioprouarlo, dice
haucrc veduta vna medaglia doro della minore Fauftina, figli- uola
di M. Aurelio, Semoglic di L.Vcro,ncI rouefeio della quale era vna
Cornacchia con lettere, che diccuo- no, concordi a. Et perche io n’ho vn
altra limile nel- fc mani, però mie parfo riprcfcntarla qui
difotto. Fauftina. La quale colà per p UMU vo ! u 1 , °
^ompagnarc la fopradcrra Medaglia con moglie di vn alcra d orodl
Plautilla Augufta, figliuola di Plaudo, cauviu Jaqualc fiotto Scucro
goucrnò tutto Tlmpcrio Roma- ** P ' fu poi moglie d' Anronino Caracalla,
figliuolo di Scucro Impcratore,douc fipotravedcrcinchcmodo fi
dauano la fede in fiegno di concordia due pcrfionc ma- ritate,con quelle
parole, felix concordia.: FAVSTIN A. doro. PLAVTILLA D
ORO. Vfauono .' Vfauono limilmcntcgrimpcratori di
{tendere la man drittafoprale infegne dciloro foldati , inoltrando 1
vni~ onc &concordiache doucuaclfcrcin vn Campo, & dal-
lequali nalceuono quali tutte le vettoric loro, li come io ho già inoltro
nel dilcorfo pallàto , che io feci del modo del campare antiquo de
Romani; TRAIANO. FILIPPO ARGENTO. BRONZO. Sono à Roma anchora moiri altri
Templi , come quello della Speranza col Tuo limulacro, adorato da i
Romani nel modo, che li vedcperlc mcdaglie d’Adriano,d’Anronino Pio, di Traiano
& di Plotina, con limili fcritturc, spes popvli roman \ y spes Temp i
0 a PVBLICA, SPES AVGVSTA. Spirane. HA 3i
HADRIANO. ANTONINO PIO BRONZO. BRONZO. Per mezzo di tutte le fopralcrittc
imprefe noihabbia- comegtd n mo conolciuto chiaramente come gl’antichi
figura- gli Tu uono laPace ,Ia Concordia,& LA SPERANZA, reità à
mo- Ttdc. ftrare hora come da quelli era dipinta la Fede. Facccuono
quello per mezzo di due mani diritte congiunte in- terne,
nclmodoqualichclioggianchora fanno i nollri orefici in certi anelletti
d’oro: ma l’accompagnauono i Romani con l’H onore, con la Verità , &
con l’Amore, come a Roma li vede anchora hoggi fcolpito in vn mar-
mo bianco. FICV de gl* Antichi romani. F I (j Z/ It D E
L L <A FEDE ritratta da yn marmo antiquo in Roma. lo non
midiltcnderò piu oltre nel inoltrare candì , modi, in quanti gl’antichi
dipingcuono la fedc,& malfi- mccol caduceo, & con le mani,
macontenterommifo- lamenredi ripreientare come priuatamentc &
publica- mcnte ella fu figurata & intrattenuta da i buoni & cat-
tiui Imperatori con fuperflue Ipcfc, nella maniera che lì PLOTINA
BRONZA VESPASIANO. DOMI TI ANO BRONZO
BRONZO. ohi» da vede per la medaglia di Com modo
Imperatore,}! qua - lTj «Unte k con larghiflimi promeflc la foleua
comperare da soli ni, fuoi !bldati,nel modo che fi vede qui difotto.
, -iiDBlnrfj .'ro'ur.icni.IRVW •|f.i Z incuci i nhs-7'i:-'
ìbdo fosiru.rn sfj&rvr/ ac O !tiu 0 • E;n.».v * i ;
ili i ,j& ti i rjjscjj Hadriano, 1
fclijiàojrn HADRIANO. COMMODO. BRONZO. BRONZO.Tra
tutte le medaglie che io tengo piucare,io n’ho * vna d’argcnto,donatami
già dal S.TcforicroGrolicro, (iugulari flìmo amatore delle co fc
antiche, nelle quale fi vede daduc lati fcolpitc le mani in legno di
concor- dia,con lettere, che ncll’vno dicono , fidis e x er- oi t v
v m, & nell’altro, fide s provino i a rvm. La quale cola come
rara,& poco vifla da coloro, che fi dilettano delle mcdaglie,potcndo
arrecare loro qualche r 1 marauiglia,pcrò fara caufa che io narrerò
qui le cagio- ni, ond^ ella fu in tal modo battuta. Quello
era che volendo le Prouincic, alla guardia De f critlio , delle quali
erano ordinate le legioni Romane, ogn’an- Ze- no reiterare la fede
& patti che haueuonoinficme, face- uono nel melò di Gennaio
battere cofi fatte monete : & infogno diconcordia ne faccuono
prefente l’vno all’altro. MEDAGLIE. D'ARGENTO. il primo che
edificate mai tempio alla Fedepubliea, piddcUdfe- fu NumaPompiliOjfi come
recita HalicarnalTco, quiui de fatto U facendo lacrificio alle fpefe del
comune , doue i Saccr- N|WM ‘ doti detti Flamini facrificauono fenza fare
fangue, vediti di panni bianchi, & portati in vn carro con vna mano
coperta cerimoniofamentc,pcrmoftrarechc la fede pu- blica,comc
cofafagranon fi debbe violare. Ma perche io mi trouohaucre detto di
foprachegrantichiftimor- hono- no l'honorc come Dio,&gli fecero vn tempio
,come à re. conferuatore della fede promefla: però àconfermatio- ne
di quello dico,chc chi di ciò dubitate , vada à vedere cicerone, il
fecondo libro, che Cicerone ha fatto della nkura de r. Liuto." gli
Dei.Marccllo anchora(comc Icriuc Liuio) fu quello T 'd* m 1"
che f ccc vn tem P‘° a ^ a v * rc,a ^ a lfl lonorc > & Mario
no,*iUvir vn’altro fimilc,come fi vede nelle medaglie di Vitcllio, tù cr
ho- jougfono due figurcttejl’vna delle quali mezza ignuda Tifici, tiene
nella mano delira vn’hafla,& nella finillravn Cor tbonorea- noc0
pja,con il piè deliro fopra vno morrionc: l’altra detta utrta. ^ l
atoraan co con vnmorrione in tcfta,ha vna halla nella mano manca,
& nella ritta vn fccttro,Ie gambe ar- mate, & il pie ritto fopra
vna tcftugginc,con lettere che dicono, ho nos et vi rtvs. Vcggonfi
Umilmen- te nelle medaglie d’Antonino Pio dipinte Iefigure del-
l’honore con il tuo corno d’Abondanza, il quale tie- ne nella mano
mancatchccrinfegnachc portano tutti i noftri Dei & Dee.
VITELLIO. M. A VRELIO. BRONZO. Fu anticamente collocato il
tempio di virtù innanzi T . en !f ,, ' 0 & à quello dell’honorc,
lignificando che all’honorc & di- gnità mondane, non fi può
facilmente peruenirc lenza il mezzo di virtùràpropofito della quale
materia io ho tra l’altrc vna medaglia di Gordiano , nel rouefeio
della quale c vn'HercoIc ignudo , appoggiato fopra la fua jj mazza
,& fopra al braccioha la pelle del Iione,con lette coUfìgura
rcinrorno che dicono, virtvti avgvs.ti. Ma per le t0 ** medaglie di
Traiano, d’Hadriano, di M. Aurelio, & di Filippo fi vede che la virtù
c dipinta in altri modi come qui di lotto. FILIPPO. GORDIANO. ARGENTO.
ARGENTO. Per la dili- gizafeuie- ne al fine
deU'impre- r<- Come gfan tichi ordi- nauono
le eafe [agre 4 iloro Dif. Tempio di
Mercurio cr di Bac- co. Per la medaglia
fopradettadi M. Aurelio & quella di Filippo, fi vede l’Imperatore
vcftito della Tua corazza, vn morrionein tcfta,vn’hafta in mano,&
accompagna- to da Tuoi foldati paflarc fòpravn ponte innanzi à
tutti, perfornirela fuaimprefaja quale ha figurata per le pa- role
che dicono, vi rtvs a vgvsti. Et per l’altra me- daglia di Filippo fi
vede il padre & figliuolo correre à cauallo leggiermente, per
moftrare la diligenza ,con la quale ei veniuono à capo di tutte le loro
imprefc,con li- mili parole, virtvs avgvstorvm. Ma lafciando
qui l’interpreratione di tutte quelle cole , farà piu à propofito tornare
alla noflra religione, & moftrare, fecondo Virruuio, come &douc
gl’antichi foleuono fare iTcpli ài loro Dij,comc quello di Mer-
curio nel mercato-.cT A pollo & di Bacco vicino al Thea-
trord’Hercolc nella Citta , douc anchora non eranoi gynnafij ne
gl’anfitcatri : di Marte fuora della terra: di Venere allacampagna,&à
Cerere fopra al porto fuora della Città, eleggendo femprcluoghi,doue non
frequen taflino 35 taffino molto
Icpcrfone,fcgià noi riccrcauala ncceffità de facrificij , & i quali
fi guardauono rcligiofamcntc & cattamente. Il medefimo Autore
fcriuendo dcH'archi- tettura dcrcmpli nel fuo terzo & quarto libro
dice,chc a Mmerua,à Marte, &à Hercolcfi doueua ofleruar l’or-
dine Dorico:à Venere, Flora.Profcrpina , & le N ymfc de Fonti,
Corintio, cioè con le colonne Toltili, dilicate, pu- lite^ ornate de
fogliami perla morbidezza delle Dee: & fé Ionico, à Giunone &
Diana, fi doueua nondimeno in ciò alla mediocrità haucrc riguardo:
fcriuendo an- chora appretto le regioni &quarticri,verfo i quali
doue- uono edere volti colifatti templi, altari, ftatuc,& altre
fì- gurccelcfti, per fare loro facrificij : circa che fi conofce,
che nella loro diucrfa& fuperttitiofa religione errorno grandemente i
Romani,& molto piu il popolo, ncll’ha- uerc conofccza d vn folo &
vero Dio, come piu oftina- to in quella imprcffionc che vna volta ha
fattada cagio- ne del quale errore dichiarò affai bene Prudétio ne
Tuoi verfi, quando ditte, Puerorum infanti a primo
Errorem curri latte hibit,gujlauerat inter Uagìtus de ftrre mola.
Madi tutti i Templi che fumo in Roma edificati , il piu celebrato
fu quello di Giouc Capitolino,cofi chia- mato per cffcrc ftato fatto in
Campidoglio, fi come fi vede per la medaglia d’Aurclia Qmrina, Monaca Ve
- ftalc,douc cfcolpito Gioue nel mczzodcl fuo tempio a fcdere,fatto
in forma quadrata con la factta in vna ma- no, & nell’altra vno
feettro con lettere che dicono, iyppi- ter. o p t iu vi max. capjtolinvs.
C 4 Tempio di Minerva, di Marte , CT
d’HcT' cole, di ve- nere, di fio ra , c di
Proftrpina. Errore de Romani nel la
religio- ne. Pruduti io. Tempio
di Gioue Ca- pitolino. Tempio di Giove Veti
dicatore , Olympico, CT Tonile. AVRELIA QVlRINA,
VESTALE. ARGENTO. Quello tempio fu prima deftinato da
TarquinoPu- fco,&dipoi edificato da Tarquino Superbo in forma
quadra, & ogni faccia di CC. piedi con rrc ordini di co- lonne, fi
come lì troua nelle medaglie di Traiano, nelle quali lìveggono fopra al detto
tempio molti trofei, carri trionfali, vetrorie, & altre cofc belle.
Vna altra mc- daglialìmilmente lì troua di Gioue Vincitore, ò Ven-
dicatore, la quale fece battere Alelìàndro Scuero, figli- uolo di
Mammear&r altre di Gioue Olympico & To- nante, fatte da Augufio,
comepiu àlungo lì vedrà nel mio libro delle Antichità di Roma. Traiano r* fe,
TRAIANO. ALESS. SEVERO. BRONZO. 4 BRONZO. AVG vh O,
AVGVST 67 argento. MEDA. DE PETIHVS. ARGENTO. 4
+ '(co- pura tito- lano
tcile pio, che : de
yit TEMPIO Z> I Cj 1 0 V E, ritratto
dalli Antico. Spefa fatta nel tempia di Gioue. Cofe
ftngu- l ari nelté- pio di Gio- ue Capitolino* h
aUcmdf feo. Tlinio . Dicono gl Hiftoriciche
Tarquinofuperbo (pcfc nel- la fondanone di quello tempio x L.mila libre
d’argento, nel quale oltre all’altre cole lingolari fi vedeua vna
ftatua d’oro aita dieci piedi, vi. Tazze di fmeraldo, vi. vali mur
rini, che Pompeo portò d’ Alia, truffando di quella pro-
uincia,&vnmatello,o velie di Porpora tanto bella, che melìa àparagonc
con l altre d‘ Aureliano Imperatore, le faceua parere di colore di cenere
pi u tolto che di fcarlac- tordella quale velie dicono che era già fiato
fatto vn pre fcntc (come di cofa rara) dal Rcd’IndiaàqucIlodcPcr-
fiani,&chc quello dipoi l’haucua donata al detto Im- pcratorc.Era
fimilmcntc in quello tempio vna calìa di marmo, guardata da x.huomini,ch’ci
chiamauono Dc- ccmuiri, nella quale erano i libri Sibillini ,
contrccap- pellcttc legrctc d’vna medefima maniera, douenon era lecito
à neffuno d'entrarc(comc fcriue HaIicarnalTeo)fi: non à
ifaccrdotidelmcdcfimotépio.NcH'vnadi quelle Cappelle, cioè quclladcl
mezzo, era lartatuadiGioue, nell’altra ama diritta Mincrua, Stalla
finiftra Giunone: douc afferma Plinio hauerc veduto vn cane di
bronzo, che c5 arte marauigliofa fabbricato fi Icccaua vna ferita.
Io nonlafcicrò di fcriucrecomcrAquilafutragral- tri vccelli
dedicata à Gioue,non volédo gli antichi ligni- ficare altra cofa , fc non
che come l’Aquila è Reina de gli vccelli, coli Gioue c Signore di tutti
gli altri Dij,fi co- me hanno mofiro non folamcntci Romani, mai
Gre- ci anchorancllc loro medaglie. Àlefian ALESSAND. RE
DI GLI EPIROTI." ARGENTO. Non voglio mancare d’aucrtire
il Icttorecomc Gio- ue,Giunone,&Mincruafurno figurati da gli antichi
per tre animalirquali furono , per la ductta Minerua, per Giunone
il Pagonc, & per Gioue l’Aquila, fi come fi vede in vna medaglia d
Antonino Pio. ANTONINO PIO. V arieti deli Aqui- la falla
tef- ta di Cio- Vcdefianchora in dì molte medaglie,
tanto di Con- foli, comcd’Impcratori,che l’Aquila c poftafopra la
fa- cttadi Giouc,altroucchcella porta il Tuo fimulacro ò fi- gura
filila tcfta , & in altri luoghi lctcftedi Giouc &di Giunone
fopra le due alle. Per la figura d’vna Pila antica che fi vede qui
di fiotto, Giouc c accompagnato della fina Aquila, &Giunonc dal
fuo Pagone,doue c Nettuno col fuo tridente, &pre- fientc al
fiicrificio inficme con Mercurio, col fiuo cadu- ceo, & col Cappello
chiamato Galero da i Latini. V Z>’ V N ? 1 ÌTJl .
"> fica ritratta et\n marmo di Roma. H AD AVGVSTO.
argento. re Den cnc Scappella di Giunone foflefeome e
detto) nel tempio di Giouc, nodimeno haueua anch’ella il Tuo
tempioàpartCjComefi vede nella medaglia di bronzo d’Augufto,doueè il
tempio di Giunone arrichito dinan zi di quattro colonne Doriche, &
nel fregio e tale inferir zione,i vn o n i.conilnomcdcmacftri di HI
ROMANI. HADR. GRECO. BRONZO BRONZO. AVGVSTO' n r n m i
n Et come l’Aquila era di Gioue , coli il pagonc&lo bruzzolo
furono cólagrati à Giunone, come fi vede nel- le medaglie di
Fauftina,diGiuliaPia,&di Filippo Impe ratorc,& il Tuo carro
tirato per i Tuoi pauoni, di che ha fatto mentione Ouidio, * Halili
Saturnia curru Ingrediturliquidum fauonibus aera fiBis. FAVSTI NA FILIPPO
ARGENTO G1VLIA PIA. FAVSTINA ARGENTO. BRONZO. FAVSTINA. BRONZO ARGENTO
MINERVA Mincrua(comc c detto) per eflcrc dedicata la Ci- v A - uctta ,
nafccua che nelle Medaglie degli Atcniefi fi ve- JJ“J dcua da vn lato la
teda della Dea , & dall’altro il detto Minena. vccello con lettere
Greche che diccuano ,athna, cóli nominata da loro Minerua:&come m
olirà il rouefeio de la prima medaglia, la Ciuctta vola con Tali fpanfe ,
& tenendo vn ramo di Palma co i picdi.Pcr i! volodi la Ci-
uettagli Ateniefi ftimauano il fimbolo de la vittoria. D 5 Giouc
Vincitore. Mintruj nutrice.
Lypnuco. MONETA ATHENIESE. ARGENTO. MONETA
ATHENIESE. ARGENTO. Ec fi come Gioue fu
da Greci & Romani chiamato Vincitorc,quadolo faccuono dipingere con
vna vetro- ria nella mano diritta , & nell’altra vn’hafta in luogo
di fccttro,cofi fu Mincrua figurata da loro vettoriofa, ac-
compagnandola con vna vcttoria,ncl modo che fi vede per le medaglie di
Lyfimaco , vno de fucccflbri d’Aleffandro Magno, doue da vn lato è la fua teda
con vn i Diade u. Diadema, &dua corna, in fegno di grande
honore , per haucrc fermato & ritenuto vn toro per le corna, il quale
(cappato delle manidi colui, che lo menauaper fare facrificio ad
Aleflandro, fi fuggiua. LISIMACO. ARGENTO.
LYSIMACO. BRONZO. Erano principali tutori & auocatidella Città
di Ro- ma G ioue, Mi nenia, & Giunone, &di qui nafccchePol-
lioneha fcrittonel libro della fua Architettura, che il D a '
Si luogo più a!to,dal quale fi poteua meglio {coprire & Icorgcrc
tutto il fito di Roma, quale c il Capidoglio ,fu eletto per edificami il
tempio di quelli tre dij.Ondc tor- ntdiToZ riandò alla ftolta
fupcrllitione de Gentili , che non fola- nL mente adororno Giouecomc Dio
omnipotéte,ne fi con tcntomo’di dedicarli l'Aquila,come Reina di tutti
gl’ vc- cclI»,penlàndolo maggiore di tutti glabri Dij,ma gli con
Ammone f a g rorno ancho il Montone, chiamadolo Iuppiter Am- moni
mettendolo fopraquello à fcderccon lo Icettro in mano. Nacque quello
vocabulo Ammon dalla rena, che i Greci chiamano «w** .ciochc Plinio
(fcriuendo del Tale Ammoniaco nelxi i. libro) ha meglio dichiarato
in quello modo. Ergo ^AEtbiogU fuhie&d ^AJricd^mmonUci Ucrynum
Jìiìldt in drenti [un, inde etto, nomine w Ammonii oraculo iuxtd quod
gignitur drhor. Quantunque Tinterpreted’ A rato Latino, ò Ballo,
ó Celare che fi fbflcjfcriuachc quello fia il Montone, che anchora
di poi fu meflb il primo tra i legni cclelli per ha uerc infognata a
Bacco Tacquaperilfuo ElTercito,chc da lui condotto per la Libya fi moriua
di fete,fi come piu à pieno potrà il lettore vedere nel mijibro di
Q^Curtio, o xv 1 1. di Diodoro Siciliano, ò nel 11 1. lib. che
Arriano ha Icritto de fatti d’ AlclTandro Magno. Meda.
MED.. D’HAD. BATTVTA IN GRECIA, BRONZO.
BRONZO. Fuanchoraà Gioue dedicata la Capra, per hauerlo t*
c*pré nutrito del Tuo Iartc,ondc ei fu detto Egiuco,& da Greci
ùtyic X t f,Ia quale capra intendcuono quella della Nymfa Amaltea^he
l’haucua allcuato, A come afferma Gcrma nico Celare ncAioi vcrA d’ Arato,
douc ci dice, -lUaputatur Nutrix ejje louu/i 'vere
luppicer infdm Ubera Crete* muljìt fidi^ima capra, Sy dere
qua clarograrum cejlaturalumnum. Il che moftrarono anchora meglio
Filippo Se Valc- riano Imperatori , facendo nelle loro medaglie
mettere vna volta la Capra fola con lettere che dicono , io v i
conservatori a v cvsT i, & altrouc la Capra che portaua addoffo vn
Gioue à modo di fanciullo con altre lettere à quello modo , iovi
crescenti. Vi V Gioite vittore. Calcidonio
dittico. DELLA FILIPPO. ARGENTO. RELIGIONE
VALERI ANO. ARGENTO. Attribuì Umilmente molti altri nomi & dignità la
fu- perftitiofa antichità à quello Gioue,vna volta chiaman dolo
Vcttoriofojcome quelli che péfauono che ei donaf fclcvcttoricj&cohlo
fugurauonoconvna Vettoriain mano,& con vno fccttro nell’altra:&
vn’altra volta face uonola Vcttoriachccoronaualuid’vnacoronad’ Allo-
ro,(ì come io lapoflo moftrare (colpita in vn mio Calci donio antico,
poco minorcd’vna medagliada quale pie- tra anticamente fu confcgrata à
Gioue Fulguratorc, per vfeirne il fuoco, onde i noftri Soldati
l'adopranoancho ra hoegi all’archibufo. CALCAL CIDONIO ANTICO BRONZO
MEDA. GRECA. BRONZO. DOMITIANO. BRONZO. MARCO AVRELIO
(ANTONINO (si veda)) BRONZO BRONZO a cottegli Per le medaglie qui appreflo
, fi vede Gioue mezzo '• ignudo di Copra, & dalla cintura in giù
vcftito,chc fta à ciò**. federe nel mezzo di quattro elementi , tenendo
da vna mano vna hafta , & l’altra la ripofa Copra la tefta de l'
A- quila,fi comclalcultturalo dimoftra peri due carri ce- ledi
dclSo!c,& delaLuna:& per i due fimulachri che fono Cotto i Cuoi
piedi, lignifica gl’altri due elementi, cioè , l’acqua & la terra ,
hauendo il Z odiaco attorno, doue Cono riprefentati i dodici Cegni
ideili. Et la ca- gion perche riprefentauano cofi Gioue, era, chcgl’antichi
nella loro miftica & occulta theolo^ia volcuono lignificare, che le
cole lupcriori debbono a gli huomini efìcrc celate, & Colamcnte
manifcftc à Dio. Mafuadi- uinità & tutte le Cuc potenze, ci ha
moftrato Alcxan- dro figliuolo di Mammea per i Cuoi medaglioni bat-
tuti in Grecia, doue fi veggono da vn lato caratteri abbre DEGL’ANTICHI
ROMANI breuiati, che dicono XrTOKPA'Tnp K^riAP ma'pkos atpe*aioì iebaitòs
a* AEfg a n a po z , che iLatinihan no interpretato ,imperator caesar
marcvs AVRELIVS AVGVSTVS ALEXANDER. Alexandr o mamme
a. bronzo. I Greci chiamorono Gioue per
varij nomi, malfima- mcncci Siraculànijcomc recita Tito Liuio nel
quarto libro della terza Dccadctcon ciò Ila, che hebbero il tem- t empio
di pio di Gioue detto Olimpio,alcrimcnti Eleo , celebrato
primajpcril Tuo oracolo, & dapoi per i giochi publici che lìfaccuono
in Elide , nel Campo di Pifar&di là e ve- nuto il nome di Gioue
Elco,come lì potrà vedere per la medaglia Greca polla quidifotto,nelìa
quale lì troua da la bandadritta il lìmolacrodi la teila di Gioue con
que- Gioue Ite lettere Grechc,s e rs iAET02 > chcfignificano J ciovE
^ ELEO.EtncI rouefcio elcolpito il fuo Folgore & l’Aqui- la con
tale inlcrizionc,zr paro sion: la quale cifaap- parircchela città di
Siracufa portògrandiflimo honorc a Giouc Eleo, à cui fece edificare
vn cofi bcllilfimo tèni pio,& battere fimili medaglie in fua eterna
memoria. MEDA. DE I SIRACVSANI BRONZO. SttBd fot»- tiferà
di Giouc. Per le medaglie d’argento che furono battute
per Lucio Lentulo,& Caio Marcello Confoli,fi troua la te- tta
di Giouc d'vna banda con tale inflizione, ivcio L E N T V L Oj CAIO
MARCELLO C ONSVL I» b v s. &da l’altra è vn Giouc coi fuo
Folgore nella man dritta,& l’Aquila nell’altra , &innanzi aìui
vno piccolo altare,& dietro laftella falutifcra,laquale c polla nel
fe- condo luogo tra le fteile erranti: lignificando tutte que- lle
cofc vn facrificio fatto per detti Confoli à Giouc, per caula del Folgore
caduto fopra il fuo tempio Capitoli- no à Roma. Meda?
ss> MEDA. DI L. LENTVLO, ET C. MARCELLO, CONSOLI.
ARGENTO. I Romani chiamorono quello Giouc Confèruato-
Gioite cc%> re , fi come noi leggiamo nelle medaglie di Diocletiano {
enutort ' Si di Gordiano Imp.che lo dipinlcro ritto eon due faeffe
nella man delira, & nella finiftra vn’hafta, infieme col medefimo
Imperatore fiotto la cuftodia fua,& lettere che dicono, io vi
conservatori. Nclrouelciodcl- l’altra medaglia di Diocletiano fi troua
vn’altro limile Giouc, che prclènta vna vetraria, la quale ha fiotto i
pie- di vnglobo,&Gioue {aquila vicina àifiioi: fi come Li-
cinio ne fece battere vn’altra,doue l'aquila hain becco vna Corona
d’allòro & lettere in quella guifa, ioyi CONSERVATORI
AVGVSTORVM NOSTRORVM. Domi DOMITIANO ANTON. PIO.
ARGENTO. ARGENTO. GORDIANO.
BRONZO. ARGENTO. MASSIMIANO • LICINIO.
ARGENTO. ARGENTO. Oltre à Vettoriofo,Fulguratorc, ò Fulminatore, fu
Dìutrfe po anchora chiamato Statore, Propugnatore, Vendicatore dl
& Cuftode,Anxur, ò Auxur. Et come Marte Vincitore fu honoraro
da Romani, coll ancora fu adorato da loro Gioue Vendicatore, perche da
lui erano punitele cole Gl- owf v j_
malfatte. tote. GORDIANO. ARGENTO. ALESS.
SEVERO ARGENTO GORDIANO. DIOCLETIANO argento. ARGENTO. Del Seneca,
CJ. della religione Del foprafiguratoGioueCullodc nella
medagliadi Nerone, ha fatto mentionc Seneca, nel fuo fecondo li-
bro delle qucflioni naturali,douecidice: Quem Iouem tnteUigunr
cujlodem rettorémtjue \niuerf. Qucllo,chc parimente fi vede nelle
medaglie d Ha- driano, douc Gioue c dipinto à Ledere nel fuo Trono
conia filetta in mano dritta, Se lettere chcdicono, ivpi- ter cvstos.
Vcfpafiano le fece battere con inferi - zion diffcrcntc,chc dice, iovis
cvstos. Cicerone. NERO. ORO.VESPASIANO.
ARGENTO. Ma quanto à Gioue Statore, cofi
chiamato, perche, mediante lui, fi confcrua ognicofinli vede che
Cicero- ne ne fece anch’egli mcntione nclloratione, cheei fece
innanzi che andare in cfiglio:doue ei dille; O Gioue Sta- torc,quale i
noftri antichi cofi chiamarono , come con- fèruatoredi quello
Imperio,& dalle mura del cui rem- pio io tenni difcollo le violéti
imprefedi Cati!ina,dop- po che Romolo l’hebbe edificato nel palagio ,
apprefib la vettoria hauuta de Sabini, io ti priego d’cllcrc in
aiuto alla Rcpublica & Città diRoma, Stame in tutte le dif-
gratie mie. yltore P'S . <r 3 Vlcorc fu
chiamato, & honorato da Romani come Marce, per edere l’vno &
l’altro vendicatore delle cofe mal fatte: & in Italia , maTTimamcntc
nel territorio Ca- pouano detto Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r
vn Auxun fanciullctto lenza barba, del qualefcce mentione Vie-
Virgilio. gilio nell’ viij.libro dell’ Encida, quando dille:
Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus aruis r Pr<efìdet.
Et è ancor Giouc coli (colpito (opra vna medaglia d’argentodi
Pania, da vn lato della quale fi vedeà fede- re nel fuo T rono con vna
tazza nella mano mra,& nel- la manca lo fcettro,con vna corona di
Quercia, o d’Vlt- uo,ilchc non ho potutotroppo bene difccrnerc,per
la piccolezza della mcdagliarnondimeno Phornuto affer-
machefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno di perpetuitàrperchc
egli è Tempre verde, & tiene qual- che poco del colore cclcltc.
ME DATgTi E DI P ANSAI ARGENTO. Tempio
d'Augufto in Alcjptn ària. EtlicomcGiouchaucua
in Roma (come e dctto)iI Tuo tempio magnifico , & era chiamato
Scruatorc Se Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile
conlagratofcome fcriuc Filone nel libro della Tua lega- tioncà Caio
Ccfarc) à A uguftoConfcruatorc, chiama- to hauuto in vcncrationcda i
nauiganti.Era quello grandillimo & altiflìmo tempio pollo
innanzi al Porto,picno di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,&
di flacuc marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento Se
d’oro, con portichi Se loggic per Ilare al coperto, & palleggiare,
& vna libraria accompagnata dagradilEmc làlc,portali,bofchetti,&
lunghe vie, che di lontano por- geuonofpcranzadi falutc à tutti i
nauiganti,che volc- uono pigliare porto in Alcflandria: benché quali
per tutto il modo foflcro flati dirizati & fatti molti altri
tem pii in memoria d’Augufto & per eternità del fuo nome, li
come li troua nelle medaglie battute al tempo di Ti- berio, il quale
cominciò vn tempio in honorc fuo che Caligula fornì poi,& Io confagro
al fuo nomccon ofH- cij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il
che ei con- ferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmula-
cro della pietà à federe con vna tazza nella man dritta, & la fianca
ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of fido pio che Caligula
faccuainuerfo i fuoi parenti , con quelle parole, e. caesar divi avgvsti
prone- POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A POTESTATE QVARTVM
PATER PATR1AE. & poi quella altra appreflo folamcntc, pietas.
Dall’altro Ia- Sdtrificio to mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio
d’Augufto flato ri- diCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono) tra gli
Dci:& nel mezzodi detto Librario
b.Uifiinu d'AuguJlo. Tempio tA ugujlo
(omincUto per Tibe- rio, cr for- nito per C4ligula.<r
5 detto tempio vn’altare,fopra al quale c vn Buc,tcnuto da colui
che n’haucua la cura, chiamato Vittimario,con vnfaccrdotc chemoftra di
volere fa me facrificio, teneri do vna razza nella mano deftra,&
dietro alle fpalc vn miniftro con vnvafopcrriccuercilfanguc della
beftia. AVGVSTO ORO MEDAGLIONI DI TIBERIO. Tempio
dkugujlo reflituito per A nto~ nino.
Comminciando dipoi quello tempio col tempo à rovinare,
Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi come h ve- de per le Tue medaglie
d’argento, d’oro, & di bronzo, douc fono lettere che dicono .templvm
divi avgVsti restitvtvm. Ne contento di qucfto, ne fece fare
vn’altroad Adriano fuo predcceflbrc,comc ricordeuolc de benefici), che
haucua riccuuti da lui. Anto » c-j
ANTONINO PIO. BRONZO. Oltre à quelli templi ,
furono anchora fatti molti altari in honored’Augulto, per
moftraremaggiormen- imiti de te, & per diuerfe vie la fua eternità
con quelle parole, providentia, hauendo quei Romani quella vana
opinione, chela deitàd’Augullo potcflèloro concedere tutto quello,dichehaueuonobifogno
per laucnire. tu»-,
-Et coli per tutte l’altre medaglie de gli Imperatori; che erano
(lati à modo loro deificati, folcuono gl’anti- chi (colpire quelli altari
in legno della loro deificatione-. Deferivo* Scriuc Apulco
nel dogma di Platone , chela proui- XkJu denzanon è altroché vnafenccnza
diuinachc mantie- ne femprcfelice colui,checlla piglia vna volta iti
cura: & altri hanno detto che folamenteriguardaua Se pcnlà-
Dtuodi uaalIecofeaucnire:ma i dannati Epicuri£al(amcntecre- zpÙHro.
deuonochcDio non haueflc alcuna cura de mortali. Ond’io à propofito di
quella Prouidenza mi ricordo ha- uerctra molte altre pietre intagliate,
cheiofcrboin ho- nore dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita
vna vtformU* formica con tre fpighc in bocca,fignificatricc della
Pro- K de Polii- uidenza-.la quale pietra fu altre volte trouata ne i
fonda- de*K4. menti d’vna delle torri cheio ho fatte farcnclla mia
cafa della Maddalena, che per edere cofa anttchitfìma &
rà- ra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto al naturale. —
Diafpro Et perche Plotina ha già comporti in 4. libri della
Prouidenza, inoltrando che tanto le piccole come le grancofe
cranogoucrnate per il Dio di natura, io rimet- terò il lettore à quella
lcttione,& ritornando al propoli - to mio, dico chegl’antichi
riputorno la Prouidenza per Dea, come anchora ha inoltrato Cicerone nel
libro del- la naturadegli DcijOndcpcrla Tua figurabile clafem-
bianzad’vna matrona ftolata , ò velata & dritta , che in vnamano hàlolccttro,&con
l’altra moftra vn globo, chcgli Ita à piedi, pare che voglia lignificare
che la Pro- uidenza goucrna tutto il mondo, come vna buona ma- dre
di famiglia, nel modo, che nelle loro medaglie la fi- gurorno (benché con
diuerlì atti) Traiano & Pertinace Imperatori. r.
;• - fiorini. PROVI DENZA.
Cietront. Alcuni altri Imperatori, comeTito, la
fecionodipin gereconvntymone& vn globo, inoltrando come ella
gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per vna filetta di Giouc
accompagnata da molte altre. A leda n- droScucroper vn vaio pieno di
fpighe,& Probo & Fio riano per vna fcminaftolatacon vn globo in
mano,vn fccttro &vn Corno d’abbondanza.
rrouidtnz'* diuerfmen tc pinta da antichi. Caracal
Ei mi parrebbcinuano affaticare ,fc io non auertiflì 0 « lettore della
pazza fuperftitionc de gli aderbi Roma ni,i quali durante la vita de i
loro Imperaton, o buoni, o catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo non
lalciauonodi fare loro templi,ttatue & altari , & doppo la morte
di lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi dibuo ni
Principiai fondatori di pace, & (non ottante che ha - ueflino
maltrattato il Scnato,& Popolo Roman o)di re E 4
CONSECRATIONE V<tra f a . flit ione ir Romani
nel fanttfi- tar loro ^ imperato^ ri.
FLORI AN
A HI S S. MAMM EAT BUON Z O.
. ftauratori della Città di Roma, fteome
auenne di Lu- cio Settimio Scuero,il quale oltre
aireflcrehuomobar- baro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto
pcr- ucnnealla dignità deilTmpcrio, ingannò & tradì Clo- dio
Albino gcntilhuomo Romano per venire à capo dei fuoidifegni, &:
nondimeno s’attribuì & fece dare più per paurache per volontà dal
Senato Romano tùt- ti i titoli di buono Imperatore. S ARGE
NTO Ma che diremo noi di quello Monftro di Natura co- minciato
& non finito,il quale doppo la fua morte fu connumerato
daRomaninelnumerodei buoni Dei,& del quale foleuadirc Nerone, che
l'haueua fatto auelc- nare, che egli era ftato fatto Dio p c r mezzo del
boccone d’vn fungo? clodio; ORO.
Et per contrario furono i buoni Principi, di T raiano,
Antonino Pio,& Marco Aurelio, che per le loro virtù &: buoni
coftumi,mcritarono d’cflcre chiamati ottimi Im- c . pcratori,&
canonizati,fe lecitaméte fifolfc potuto ciò fa re. Trai quali è pur degno
d’clTcrc Tempre nominato& ricordato il nome d Antonino Pio , lolito
dire che piu tofto volcuacolcruarc &faluare la vita d vn
Cittadino, che ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £
Antonino piena di pietà & degna d’vn buono Imperatore, come
cglicra,&:comclo chiamòil Senato, facendoli dirizarc come à Traiano,
vnaColonna,& Templi nel modo che £ Antonino fi vede qui di
fono. 'i .... e $ c w • . • • r 0 amo moftraco
cornea! tempo anticogli ucrrdctì Inipcratorieranoconfngrati, &diuentauonoDijdoppo ^TLi
]aI . 0r ° m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al- tio di ttm
- rar * * n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli ficdegl’agncl-' &
Reonfegnado loro Sacerdoti & Flammini nel modS che di Celare A ugufto
ha già fcrirro Prudcnrio^diccndo: Prudenti». Hunemorem V ererum docili Um
aiate fejnuta ? olì eritas t men fa t atque adytit } & fiamme^
tris ANTONINO PIO. BRONZO. ON. PIO.
BRONZO. Uuguft AuguJlum col nitritalo placa uù
tgd agno: Strafa ad puluinar iacuit, refj>onfa popofcit.
Tcjlantur tituli,prod»nt confulta Scnatus Cafareum louis ad )
fecitm Jlatuentia templum. Equanto al reità della conftgratione ,
chiamata da Greci & della quale ha le ritto minutamente He
radiano al vij.capitolo del iii j.Iibro,mi è parlo non fola- ménrc
di figurarla cjui fottoal naturale, ritratta dalle me- daglieantiche
d’Antonino Pio,& dt M. Aurelio, ma tra- durla in volgare,pcr maggiore
intelligenza del lettore. ANTON; Pia M- AVRELIOl BRONZO BRONZ O. c
Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte lo- ro tuttiquclli
Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli heredi dell' Imperio, in
quello modo penlando efTcre ri-- ceuutr nel numero de loto fallì DijrEa
Citta tiftta vcftita abruno,&picna di dolore &di lamenti,
folennemente fatta fàrcvnaimaginediccra limile al morto Imperato
re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato in alto aU’cntrarc
del palagio Imperiale. Era quello letto coperto di prctiofì panni d’oro
&dcntroui quella ima- gine Erodiano. b o«».f W
«HV Ccrimonù de Roma* nella mori de loro
l« fe rotori. ginc pallida àguifa quali di ammalato
Imperatore/! ri- polaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i
Senato ri vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno dimo
rauono.Et dal lato deliro tutte le Donne Romane, cias- cuna fecondo
ladignità & grado dcloro padri,ò mariti, . fenza ornamento
alcuno d’anelli, maniglie, ò catene d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco
leggicrmetc(qualì come portano in tal calo le getildonne in Francia)#
tue te piene di maninconia. Durauono quelle cerimonie
vij.giorni,nel qual tempo i Medici ogni giorno s’apprcf fauonóalla bara,
fingendo di toccare il polfo all’amma- lato,# mollrando che gli andaua
fempre peggiorando. Ma fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i
primi letto i Up4 Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo
nel YtZ'ZÌ? ^ av ‘ a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i
Magillrati tutori Romani Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i
loro. officij.Erano in quello luogo da due lati fatti certi pal-
chi con ilcalc,dai’vn de quali tutti i piu nobili giouani & patritij
Romani, & dall’altro le piu illullri donne canta- Himi tan- uonoHynni
& Cantici Iamctcuoli# pietofi,nelmodo, tati nette po che s’vla
ncllcpópe funebri. Dopo quello i Senatori di pt funebri. nuouo fa
lcuauono la bara fullc Ipallc, &la portauono fuora della Città in vn
luogo chiamato il capo di Mar- te,douecravn tabernacolo quadro fatto di
gradirmi legni fcccjii,& ripieno di fcrméti.di paglia, & di
falcine, & di fuora riccamctc adorno di cortinclauorarc d'oro,
di flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque Ho tabernacolo n’era
vn altro lìmile,ma piu piccolo,& riccamente acconcio come
l'altro,cccetto che haueua le porte & le fincllre aperte, & coli
di mano in mano mótaua H77 tauapiù alto nel mcdclimo modo fempre
diminoedo. Potrebbe!! quella ftruttura ailbmigliarc à certe Torri
fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da moderni, Fanali,
dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu TJnaU mi perfarefeorta a
inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati to letto fopra al fecondo
ftaggio.quiui fpargcuono gra- dequantitàdi
fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, & d’vngucnti odoriferi di tutte
leparri del Mondo, facen- doqualì à gara di chi più , ò meglio, porc/Tc
honorare, & fare quello vltimo prefente al loro
Imperatorc.Fat- to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa
intorno al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé
Pyrricada gli antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 '
ceuono il mcdelìmo i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i carrettieri
erano vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi- lì,con mafchcrc fomiglianti à
i Capitani , & principi che haueuonogià fcruito il morto Imperatore.
Et con finite tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre
all’- Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il fuoco
nel Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al- trhpoidi mano, in
manoùl quale per la materia tato fec- ca,& le cofc vnte deprofumi,
& olij profumati, leuaua { j, e fubito le fiamme in alto,pcr
mezzo lequali, vfcitavn’ A- t* quila viua del minore & più alto
Tabernacolo, fc n’an- « daua volando in verfo il cielo , quiui di terra
portando i cieli (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql
me delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale poi coli
adorauono come Dio, & gli faccuono altari & templi,
come e detto di fopra » Crwr, -* r-’ìRtn '’ M. AVRELIO (ANTONINO
(si veda) FAVSTINA 4U« tu1
PERTINAX. BRONZO. FAVSTINA. ARGENTO.Crédcuonoi Romani
qiicfto mi fieri o non Iblam" elfere vcro,ma molti giurauono hauerc
veduto vfeire del fuoco l’anima dell Imperatore , & altri
pagauono huomini à polla per confermare coli fatta bugia, diccn -
do che l’Axjuila di Gioue l’haucua portata in Ciclo, & coli ecco in
cheniodofu anchora canonizato Seucro lottizzo* collocato nel numcrodegli
Dei, inlìcmccon moltialrri Imperatori & Imperatrici ch’elPopo.Ro.
fece fàlir per forza alciclo nel medefimo modo che Scucro. Ma ri -
tornando alla materia de noftri templi, doppo haucrc fcritto de i più
trionfanti di tu tti,cioc,di quello di Giouc Capitolino , di quel
d'Augufto à Roma&in Alcflan- dria,del Pantcone^ di quello della Pace,
ci reftai vede- Tempio «K rcil marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba
edifica ^j c pg % rione del quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,&
Republichc dell* Alia maggiore, contribuendo ogniuno per lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo
di religionc,qua'n- tunquepcr Ja fuagrandezza folle a pena tornito
in CC. anni,& fondato rifpetto a i tremuoti in vn Pantano, tal-
mente che ci fu connumcrato per vno dei lette miracov li del Mondo, &
di poifcolpito in piu medaglie di di- ucrfi Imperatori. CLAVDia
ARGENTO stnr. *4 Ma pcrcbeil fimulacro interodi Diana,qualc era nel
Àmpio degli Efcfij,nonfi. può interamcce {cingere nel le med
agliedi pi ntedi fo p ra,mi cpàrfódi farlo-hilthopa di nuouo ritrarre qui
di fotto nel modo , che io ihoirt e ” due
'.Ikimfc K.OII 8o DELLA RELtGIO due
medaglie Grechc,l’ vna di C5modo,S: l aura a nn - tonino Pio , nell'vna
delle quali e Icritto aptemhx e «• e x i a n , cioè, Diana degli Efelìj ,
& nell’altra quella l ola parola, e « e sia spedendo tutte l’altrc
lettere perdute. ANTOM. PIO COMMODO BRONZO Dtfcrizìon del
tempio di Diana. Era la lunghezza di quello tempio
ccccxxv. piedi, & la larghezza e e x x. ornato di e x x v 1 1 .
colóne, ogniu- naalta lx. piedi, & nondimeno fu abbruciato da
quel- lo fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli hau ua
fatto qualche cofa degna di mctporia:bcnche di poi fu rillaurato &
rifatto anchora piu bello da Dinocratc, Celebrati!) Architettore
d’Alellandro Magno. Quiui aduque lolc- cUDianf* L, ono ogn'anno, nel
giorno che lì cclcbraua la fella di ~ Diana, trouarlì tutti i giouani
,& fanciulle , vergini del paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò
lìmaritauono iUcrne? Il fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo le
fue dignità & qualità dipinto & figurato da gli antichi in
di- uerfe manierc,lt come ella fu pariméte chiamata perdi; JSSL.
uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera tutta pie- na, la dilegnauono per
la lua chiarezza con vno tor- chio v 8x
chioaccelo in ambedue le mani, come fi vede nelle mc- dagliedi GiuliaPia,
moglie di Seuero Imperatore, con lettere chedicono, di an a
lvcifera. GIVLIA PIA. argento.
BRONZO. Et per inoltrare anchora meglio che Diana &la LlT-
na eranoinqucl tempo vna mcdefimacofa,ioho fatto qui mettere vn'altra
medaglia di brózo della mecfefima Giulia, nella quale e ferino, lvna
lvcifer a,&ìI(uo carro tirato daducccruic, chcfignificauono
checll'cra Dea della caccia, quantunque l’interprete d’Arato hab-
bia detto che quello fignificaua la fila leggerezza. Ma quadogl’antichila
figurauono poico vnolpiedcinma no,& vn ccruio apprcfio,voleuono
lignificare che cac- ciando, ella pigliaua & ammazzauai ccrui
pcrforza,no minadola »^óa«c, & per memoria che ella era la
prima cacciatricc,fofpcndcuono le corna de cerui dinanzi al
fuò tepio.DclIa quale cofahauendo affai à baftazadif- corfo nel libro ,
che per comandamento di fua Maefli iohò fittodella naturadc giammai!
ferochpcrò rimette rò il lectorcà vederne quello, chcion’hò quiui
trattato. MEDAGLI E D’H OSTILIO. ARGENTO. Trouanfi
anchoradelle medaglie , doue Dinnac di- pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in
legno che ella foleua ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro
rcflimoniolamc daglia di Gcta Triumuiro, nella quale da vn lato è
fcol- pita la tefta di Diana , & dall’altro vn cinguialc ,
ferito d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane appreffo. GETA
TRIVMVIR Quando i Romani figurauono Diana cacciatrice,
ordinariamente la folcuono accópagnared’vn turchaf- fo,d’vn , arco,&
di frccciccon vn cane da ghignerei fc - gugio,(cnzaraiiirode quali non fi
può cacciarci come mortra la medaglia qui di lotto. med 7 ~d
f C~P OS T VMO. ARGENTO. Ma nelle medaglie d’Augurto fi vede vna volta
Dia- na figurata tutta ritta in habito virginale, con l'arco in vna
mano , & con l’altra /opra al turcharto, facendo le- gno di cauarne
vna freccia pcrtirare,&: nel mezzo lette- re, che dicono/iM pera t or
DECiEs,&di fotto,sici- x.i a. & altre che dicono , im perator
vNDEciEs.Et L nel rouefciod’vn altra fi vede con la velie alzata, vnar-
sthukitl co in vna mano , & nell’altro vno fccttro, vn can da giu-
* gnerc,& gli rtiualcrti infino à mezza gamba , colà prò- £ 1
pria per lei come cacciatrice, &i quali daPolluccfono An<lro »”-
ftati Endiomidi chiamati. des ' AVGVSTO. Tra cucce le medaglie d
oro, che fanno ìjjj.furnorro uaccàTolofa, & rraquelleche mi vennero
nelle mani, io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di
Diana, col Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn tempio, nel
cui mezzo c vn trofeo naualc,in cima al quale è vna celata
antica:& della prua della natte, c fitto vn tronco come vno Itile con
due rami, vno riuclliro d’vna corazza, & da l’altro pendono due dardi
& vna rotelIa:& à pie del tron co è vn Ancora da vn lato,& vn
timone da J aItro,in le- gno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc
Augu- ro racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al frontilpi- Tri
gSbe, c *° ^ mc J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con impresici
lettere che dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì fignifi- UsùiU can do che
Augullo ringratiaua Diana della vettoria hauutadc nimici Tuoi.
- av AVGVSTO. Et nc rouefci delle medaglie battute in
honoredt Mar cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due mani lebrato
in prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s *” a*-
ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl te- foro
portatone à Roma,iI quale-fu {limato tanto, quan- to quello che i Romani
cauorno di Cartagine. * MAJICELLINO BRONZO.. Animali
tonfatati i Diana. Solcuono gl antichi placare Diana
imolando la cer- iliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali
confècrati lei, fi come tcftimoncranno le medaglie Latine &
chc,che io ho fatto ritrarre qui di lotto. FILIPPO.
BRONCO. Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1. libro della fua
Cofmògra to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra fondato nclflfola
d’Icaria & polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh ni. della
quinta Decade, lo chiamò parimente Tauropolum , & Tauro poli* i
ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondime- no nel fuo libro de
Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia mataTauropoU dalla regione, ma
dalla quantità de tori, ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però
detta dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia Gre
ca qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i- IÓN
DAMASI AZ. MED MEDAGLIA GRECA D I
DIANA. ARGENTO. Chequcfto fiavcro,& che Diana Ila (lata
chiamata TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij dal toro che
l’era confagrato,come il cane, dimoftra anchora Diodoro nel iti.
libro, douc parlando della Rcina delle Amazo- nc dice, che ella faceua
ogni giorno cflcrcitarc le Tue ver- gini allacaccia, acciò chcpiu
facilmente tollcraflino il difagio dcllarme & della guerra , facendo
le fare vn cer- to facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’
Autori tanto Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no mi
Tdurouoliumjduropolum, & Tauropobolum, & malli me Suidane i
Collcttanei, chiamando Diana Tduroholosfal Toro(quello che anchora
conferma Euftathio) il quale l’era facrificato, come fi vede nella
medaglia d’argento ' d’ Aulo Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato
Diana con vna luna in teda, l’arco & il turcafTo:& dall'altro il
fa orifìcio del toro, nel modo, che fi vede qui di fotro. F
4 Sacrifìci» di Diati» ordinato da la regi, na
deli a- mazonc. Diana chi mata Taurobolos. AVLO POSTVMO ARGENTO.
eia, & ma/firneàLettora,doue fe nc vede grandi/fim» Tùtro gì -
quantità, donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto Se deVanuZ g ranc * c
amatore delle cofc antiche, fi conofcechcifacri- ti ficij fatti
anticamente da i facendoti alla madre degli Dij congrande
apparecchio,crano chiamati TAuroj>olium& •>• altre volte
Taurtuolium , &non folamente à Diana Cibelc,maanchoraàMinerua,
volendo maflìmamente credere àSuidas: benché di coli fatti fiicrificij io
habbia, aliai diftefamete fcritto negli Epigrammi, che io hò rac-'
colti di tutta la Francia. *. LeBor* inpropugrutcttlo \rbis. matri
devm pomp. philvmenae t*VAE PRIMA EECTORÆ TAVROBOIIVM F e e r
T. . tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna piccola chiefa di S.
Tomafo giuu mezza rouinata nella medefima terra, vn’altro epitaffio
in vna S* hi vna colonna, che regge l’altare
grande, per il quale fi conolce che i Decurioni di quel tempo , cioè
gouucr- torì della Tcrra,feciono il facrificiodi Tauropolium alla
madre degliDij per la falutc diGordiano Imperato- re, & di Sabina
Tranquillina Tua moglie. In facelle D.Thanutnunc diruto in
columna i aitarli vijìrur. 1 PRO SALVTE I MP. ANTONINI
GOR- DI ANI PII FEL AVGV. TOTIVSCHE^ DOMVS DI VI N A£, PROQVE STATV C
li V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT ÒRDO LACT. D. N. GORDIANO II.
ET POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- " RANTIB. M. EROTIO ET
FESTO CA- NINIO SACÈRD. Di quella Sabina Tranquillina ho io veduto
altre yolte yna medaglia d’argento, & vno Epitaffio fatto in
quello modo, FVRIAE SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE SANCTISSIMAE A
V G. CONIVGI DOMI- NI N. M. ANTONINI GORDIANI PII FEL1CIS INVICTI A
V G V STI DECVRIA- LES AEDILIVM PLEBIS C ERI ALI VM DEVOTI NVM1NI
MAIESTATICHE EORVM. Trouafià Roma vn gran marmo antico fcolpitoin
otfmzion honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione del- cibele
Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea coronata d’vna Torre con vn
tamburo nella man manca appoggiato fopra alla
fuacolcia,& con la ritta tiene cer- te fpighe di grano, à federe fui
fuo carro tirato da due liooi,& accompagnata del fuo Atis, che tiene
vna palla in mano, & cappeggiato à vn Pino, come albero con- F
5 Carro de la madre del divino, tirato di duo leoni.
Dichiara- tionedel'in fegna de la madre de
gli Dei.{agrato arale Dea, à caufa della monragnad’Ida, eh ciò Candia,
òdi quella di Frigia, abondantifiime ambedue diPinij&doue cllac
adorata principalmente per Dea,' & dedicatele le Pine, onde Marciale
ha detto di quelle parlando, Toma fumus Cybeles. Ma
quanto à i due Iioniche tirano il Tuo carro ,co-. mefcriuc
Virgilio, Et iunBi rerum dominai fubiereleones. voltano i
Greci lignificare, che non fi troua cofi Acrile terra,chc ben coltiuata,non
diuenti fertile & buona. La torre lignifica leCitta & edifìci j
de quali la terra è orna- taci tamburo la mondezza della terra, benché
alcuni veglino che ciò lignifichi i venti rinchiufiui dentro, &
le fpighe,ch© la terra fola è quella che nutrifee l’huomo.
Figura u :• '• :•>
FJG y R A~ DE LA MADRE DE I DEI R I 7 RATTA del marmo artico, il
qual fi vede in Roma ntll’ecchiefa di S.Sebafliano. M. d: M. L ET
ATTINIS L. CORNELIVS SCIPIO OREITVS V. C. AVGVR TAVROBOLIVM
SIVE CRIOBOLIVM , FECIT DIE IIII. KAL. MART. TVSCO ET ANNVLLINO
COSS. Cibelt tOf- riU. Nell’altra medaglia
pure Greca li vede da vn lato Cibelc torrira,& dall’altro il folgore
di Giouc con al- tre facttc, la quale c tanto vecchia & frulla, che
non lì c potuto cauare alcun fenfo delle parole Greche.
Meda Vari I nomi de la madre dei
Dei. Diana con- feruatrice, adorata in
Sieilia. Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in guifadi
madreche nutriteci figlìuoli.la terra limilmcn- te nutrilcetuttigrhuomini
& animali del Mondo, coli dice Furnuto.I «Greci & Romani le
dettono più nomi & attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc,
Cere- re,^ Terra,Prolcrpina, &fecondo Lucretio, madre delle
beftie. Veda, &Diana:il che li vede & conferma per due medaglie
di bronzo Greche, ncll’vna delle quali c Dia- na da vn lato con quelle
parole, 2 atei p a, & da l’altro il folgorc,dcdicatole cornea Velia
,& limili parole x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia
battuta dal Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice. Nel tempo,
che io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc faglie clonate alcune medaglie
d’argento, di quelle, che viti- doro & inamente furono trouateà
Reims, tutte quafi di Seuc- trouute°t ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t
diMacrino. Et per- chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc
convnfolgorc in mano,& à federe fopra vn qucflc parole , ind mi
cparfo non fuora di fotto. L’vna.
GLIA GRECA. bronzo. if pino con- L’vna dell altre due
medaglie e dì Giulia, nella quale madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila
in compagnia di due lioni & àfc- Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo
di pino in vna mano, & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia
fopra il Tuo tam buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm. Il
medefìmo rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali del tutto foni
iglianteà quello. ARGENTO. BRONZO. Figuro MED. DI C. VOLTEIO ARGENTO
ANTO. Pio. BRONZO. p JJ W Figurornoanchoragl’antichiil
lìmulacro di quella Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘
che cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta, due
Honi Copra i bracci , & diuerfr animali incorno, produtei da lei come
Dea della Natura, & di più due ccruie ài piedi, che moftrauono che
Diana, & quella erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot-
to tempo che ella fu ricrouata in vna grotta ancichiflì-
maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra vol- ta M. Antonio Fantuflì
dipintore Romano, la quale io ho polla nel miolibro de la Natura de gli
dèi , per dame la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte
quelle forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme, come
per il tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamc- nc:& Virgilio,
dichiarandoci che in cielo lì chiamaua Luna, in terra. Diana,&
nell’inferno Profcrpina , coli laf : ciò fcritto,
Tergeminamque Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx. Et perche
la figuradi Diana, ritratta da vn marmò antico,!! vedrà meglio nelnollro
primo libro dell anti- chitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro , ma
fola- mence dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i più
ricchi Romani foleuono ogni mefe far facrificio à Dia- na, mettendo fopra
i canti delle llradc della Città, pane & altre cofe,chcfubito da
ipoueri erano leuaje via , co- me fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la
Luna, & Pro- ferpina fodero vna mcdclima coCa. Hauendoà
baftanza parlato di Diana , & defìderan- - do venire alladcfcrittionc
degli altri Dij, comincieremo da ^inerita* la quale fccondoi Poeti,
nacque.de l capo diGio Dea di mtura. Diana
triforme. Paufinid. Virgilio. Sacrifìcio fattoi
Dia na fotto il nome di He tate.
Ateneo. MINERVA. di Giouc, pcreflcrcrintcllctto collocato nella
certa dell* huomo.Armaronla oltre à quello gl’antichi d’vno feu-
do, nclqnalcera il capo di Mcdufa,moftradochcrhuo- mo fauiodcbbecon force
animo & intrepido vifo refi- ftcrc aU’aucrficà,& à nimici.il
pennachio che ella hauc* ua fopra al morrionc , fignificaua rornamenro di
tutte lefciczc, &cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi
differenti l’vna all’altra, che la Capienza debbe clferefc-
grcta,&l'hafta che ella haucua in mano, che l’huomo fauio guarda, con
fiderà, & batte di lontano & con van- drdicXt*! taggto. Mala
Ciuctta le fu dedicata (come habbiamo Mintrtu. detto) per moftrarcche la
Capienza cuopre con le tene- bre il fuolplcndore-.i qualitutti
lignificati pare chedcf- criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della
fua Mc- tamorfofi, quando dille, ^t fili datelypeumjat acuta
cuflidis hafiam, Datgaleam capiti, defendituragide pettus,
‘PercuJìa'mejuefua fimulàt decufiide ferrarti. Edere cu mi;
accia factum canentis oliua , Jrfirartque deos «perù vittoria finis.
Minmu Scriuc Varronc che Mincrua fu quella , che fondò ie untoti
Atcne,& per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt- i- Atene.
r e, che voi dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc fcriue
Fulgentio) la ìapienza non muore mai. Di qui ha voluto Porfirio dire, che
Mincrua none altro che la vir- tù del fole, mediante la quale lafapienza
entra & pene- tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde
nafcendodalla fommkàdcU’aria : però fi vede che i Poeti hanno finto
che Mincrua c vfcitadelcapodiGiouc. I Filici dicono chela
virtùintellccciuaècollocata nel cerucllo deliquio mo,comc denrroalia
principale fortezza del redo del corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi
Bellona, BrBofl4 cioè Dea della guerra, lignificando chei Soldati debbo-
d « * u no non fidamente edere del continouo armati Spederei- S* frr
<- caci, ma proueduri di configlio: &rprima chccominciarc vn
imprcfa,cdàminarc molto bene le forze del nimico: quello che confermò
anchora Saludio dicendo, che ei bifogna prima configliarfi,& doppo il
configlio, & la deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo
dife- gno.Lacaufà perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatri- ce
d’Atcnc, è, che dicono che nafccndo difeordia tra lei & Nettuno, di
chi douede porre nome alla Città, gli Dei fimedono in mezzo per
pacificarli, &giudicorno che Ncttu- qualc di loro due produrrebbe
cofa piu vtilc alla detta Vaim terra, quello le douede dare il nome, per
il che pcrcoccn- do la terra, & facendo nafcerc Nettuno vn cauallo,
& Minerua l’vIiuo,fu fententiato chcl’vliuo, piu che il
ca- uallo fodènccedirio & vtile alla vita humana,& cofi re-
do la Dea vincitrice, con attribuirle l’vliuo & cdcrechia- mata
Pacifera, come fi vede nelle medaglie di M. Aure- vulimit -
Iio,& di Commodo Imperatore. - 4 ut 1 q ncrua.
fT V 1 t\ e k \l A ,|f I. fi , * . I 1 • "• «f; IM ,1 - f . n L M.
AVRELIO (ANTONINO (si veda)) COMMODO BRONZO Ttfle di mi Scriue Plinio che
infino alfuo tempo duraua ancho- ra la celcbrationc della fella &
giuochi di Minerua, tjuatria. chiamati Quinquatrij, quali erano, che i
fanciulli facen- do vacationc dalle fcuolc & da gli ftudij porrauono
la mancia ài loro maellri in honore della Dea,come quel Jache
aiutaua la mcmoriarciò che Quintiliano a! 1 1 1. li- bro^ nefuoi falli
Ouidio anchora meglio ha dichia- rato, quando ci dice,
'Pallata nunc putrì tener a j ornate p nella: Qui lene
placarit Palla Ja,Jolhuerir. L’occafione fopradetta della difeordia
di Mincrua nettv- & di Nettuno, pare che mi porgea
conuencuolcmare- « n o. ria di ragionare anchora di quello Dio,il quale
(come il Delfino fcriuc Higinio) fi dipingevi con vn Delfino fotto
il dedicato ì piede 5 ò la "mano mancaappogiataui fopra, hauendo
il nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta , fi come dimollrano i rouefei
delle medaglie di M Agrippa. M.Agr M. AGRIPPA
BRONZO. Fu Umilmente da gl’antichi dipinto Nettuno con uettunodi vn
Tridente & vna Acroftolia (ornamento antico di galea) in mano , come
fi vede ne rouefei di due mie te cr una medaglie d’argento, l'vnad’ A
ugufi:o,& l’altra di Vefpa* fiano.douc fono lettere che dicono,
neptvno redvci, in fegnodi ringratiare lo Dio del felice ritorno dal- le
imprefe nauali. Acrojlolta dagli antichi. AVGVSTO.
VESPASIANO ARGENTO. G z 100 ut
-inai* : vufciiut 4t- Attribuirno parimente
grantichiii Tridente a Nct- mttuno 4 tuno,,n %no dello feettro , &
ancho per efl'erc vno in- perfetttro. frumento molto ncceflario à i
marinai, dipingendolo vna volta pacifico>& vn’altra adirato ,come
fi vede per le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, & la
vet- roria hanuta de Corlali, donc da vii Iato fono lettere, che
dicono, MAGNVS IMPERATOR ITERVM-.& dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET
O ilARITIMAE EX SENATVSCONSV MED. DI PO MP ioi
Io ho tra molte pietre antiche, intagliate di diuerfc Ag<tu
<m- forci, l’Agata di forco figu rata , nella quale è il
mcdelìmo Nettunoà ledere, con vn braccio appoggiato fopra vn tmo*
va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella vna Corniolaanticadicolorcdi
rubino, nella quale cvn Nettu- no fui fuo carro, tirato da due caualli,
nel modo , ch’egli tumori- è anchora figurato in vna medaglia di M.
Agrippa con rito dà <a - lertcrc che dicono aeqvoris me
omnipotens. AGATA. CORNIOLO. M. AGRIPPA.
argento. . v."“ v - -m * ....
VA monete ioz N rtttmo
i fiutilo. La caufa perche glancichi dedicorno il causilo à
Nettuno, fu,perchc ci fu il primo che trouò il modo di domarli
&frenarli, come dice Virgilio nel y.dil'EncidL / ungir eejuos curru
geni tot fumanti a. <jue addir Frana f'eris ì manilupjue omnes
ejfundit babenat. Fanno vera teflimonanza di quello, ’ Tarcntini,
nelle quali da vn lato fi vede Nettuno uallo,& dall’altro Taras fuo
figliuolo fopra vn Delfino. HÌppOCTé- tid.
Confutili. Nettuno in h entore di tutte
del tuuigtr. A iNettunocauanere recionoiKomanjgia vn
tem- pio,comc fi leggein Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar cadi) il
dì della fila fella Higgocratia , fi come gl'antichi Confualia , nel
quale tempo tutti i causili > muli, & mule non erano in modo
alcuno adoperati à rrauagliare,' madai garzoni di Italia condotti à
moftra per tuttala Città di Roma con la teda coperta di fiori &
ornata di ghirlande con ricchi fornimenti. Scriuc Diodoro che
Nettuno fu il primo che trouò l’arte del nauigarc& didrizarc vna
armata di marc,& che ' che per quello ci fu fatto
da Giouc Ammiraglio del ma- re^ di poi adoratocome Dio.Et per le due
medaglie, & vn Niccolo, figurate qui Cotto, vollono glantichi
li- gnificare che Nettuno haucua poflanza tanto in mare Ncttuno ^
quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor- gnordrima ta &
diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi, l’vno (quale e la terra)
ripreientato dinanzi per il cauailo, & l’altro (qual’ è il
marc)difcgnato dietro per la coda in forma di Delfino. ANTICO
NICCOLO. Qi CREPERIO. GALLIENO. Quando i Romani volcuono
moftrarc di ringratia- rcNettuno di qualche vettoriahauuta in mare, lo
facc- uono Scolpire nelle loro medagliedavn lacoconil Tri- dente^
dall’altro mctteuono vnaVcttoriafulla poppai d’vnaNaucmel quale
modolofcciono già fare Demetrio, Augufto Ccfarc, Vcfpafiano, & Tito fuo figliuolo.
Imp.Rom. MED.DI DEMETRIO. ARGENTO. AVGVSTO. VESPASIANO.
ARGENTO. ARGENTO. Ritor I E
serv- ir API a Machione Ritornando à gl’altri
noflri Dij,& loro templi, altari & fimulachrijdiciamo
chcEfculapio Dio della fa nità,fu il primo chctrouò l’vfo della Medicina,
infcgnataglifor fc prima da qualche Dio flato innazi à lui. Quelli al
rem po di Homero fi vcdcchcnon era anchora flato collo- cato nel
numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta fa medicare àPconcle piaghe
di Marte. Ma quadoci parla diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama
huomo Ma(hégj figliuolo d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij
figliuolo ncccflarij perla fanità dcllhuomo , & lo fa tato eccellete
in quella arte, che ci dice che rifufcitaua i morti .Dice Lat Stantio.
tantiochc Efculapio nacque di padre & di madrc,chcn6 fumo da
perfonaconofciuti,& coli lafciato in mezzo à vn campo,& trouato
da certi cacciatori, fu dato i n guar- dia à Chironc
Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica- renella quale vfarono dipoi
fempregl’antichi fino al tc- pod’Hippocrate,che la riduflc alla fua
perfezionc.L’ha- Kippocratt birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi
Schiauonia, Umdu^a & dagli antichi chiamata Epidauro,doue ci
fucòfiigra- * pnfctno to, fattogli vn tempio, & vna flarua d’oro
& d’auorio per " f * le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc
fcriuc Pau fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos.
^ef^iuio Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in
nedeiima- marmo bianco fi vede anchora à Roma,& in molte me
daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla do Eufebio.
Greca, con vn baflonc in mano, & fopra al quale(attor- cigliato d’
vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella ma- niera che io l’hò in
vn’altra belliffima Corniola, &in vno Niccolo, ritratti qui di forco
al naturale. G 5 .ori oia/ì
Jr ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO ANT.
Tornato. Microbio. I a Ciuciti dedicata
ì Efculapio. Significai™ la fcrpc (fecondo Fornuto)
che fi come quelle fi fpogliano & mutano la icorza, cofi
auiehedc Mcdccichc riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fa-
ttiti, rendendo loro vn corpo nuouo. Altri voglionoche fi come la ferpe
lignifica laprudcza,cofi bifogni al buo Medico edere prudente circa alia
finità d’vna perfona. Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc
fia de- dicata à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:&
Macrobio dice che quello e, perche la ferpe ha la villa fiottile, come
bifiogna che habbia il Medico nella cura d’vn infermo, &chc il
battone fignifica,chcvn huomo ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io
fiollcnga, in modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba-
ftonegl’è attribuito, come quello che ^er appoggiarli e ncccdario à
vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata à Eficulapio la Ciuctta,
lignificando che il medico debbe edere vigilante più la notte che il
giorno intorno all'in- fcrmo.fi come lì vede ne rouefici delle medaghedi
Nero nc,&di Vitcllio. Nerone. NERONE. VITE L
LrO. ORO. BRONZO.
Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero vn’I- foletta à modo d’vna
galeotta, cioè larga nel mezzo,lua- ga due ottani di miglio, appuntata da
bado , & piu larga di fopra, à modo d’vna poppacL’vna naue:la quale
Ifola fu già confagrata à E(culapio,ati!ina,dop- po che Romolo
l’hebbe edificato nel palagio , apprefib la vettoria hauuta de Sabini, io
ti priego d’cllcrc in aiuto alla Rcpublica & Città diRoma, Stame in
tutte le dif- gratie mie. yltore P'S
<r 3 Vlcorc fu chiamato, & honorato da Romani come
Marce, per edere l’vno & l’altro vendicatore delle cofe mal fatte:
& in Italia , maTTimamcntc nel territorio Ca- pouano detto
Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r vn Auxun fanciullctto lenza
barba, del qualefcce mentione Vie- Virgilio. gilio nell’ viij.libro dell’
Encida, quando dille: Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus
aruis r Pr<efìdet. Et è ancor Giouc coli (colpito (opra
vna medaglia d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà
fede- re nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nel- la
manca lo fcettro,con vna corona di Quercia, o d’Vlt- uo,ilchc non ho
potutotroppo bene difccrnerc,per la piccolezza della mcdagliarnondimeno
Phornuto affer- machefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno di
perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, & tiene qual- che poco del
colore cclcltc. ME DATgTi E DI P ANSAI ARGENTO. Et
Ti *4 Tempio d'Augufto in
Alcjptn ària. EtlicomcGiouchaucua in Roma (come e
dctto)iI Tuo tempio magnifico , & era chiamato Scruatorc Se
Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile conlagratofcome
fcriuc Filone nel libro della Tua lega- tioncà Caio Ccfarc) à A
uguftoConfcruatorc, chiama- to hauuto in vcncrationcda i
nauiganti.Era quello grandillimo & altiflìmo tempio pollo
innanzi al Porto,picno di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,&
di flacuc marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento Se
d’oro, con portichi Se loggic per Ilare al coperto, & palleggiare,
& vna libraria accompagnata dagradilEmc làlc,portali,bofchetti,&
lunghe vie, che di lontano por- geuonofpcranzadi falutc à tutti i
nauiganti,che volc- uono pigliare porto in Alcflandria: benché quali
per tutto il modo foflcro flati dirizati & fatti molti altri
tem pii in memoria d’Augufto & per eternità del fuo nome, li come
li troua nelle medaglie battute al tempo di Ti- berio, il quale cominciò
vn tempio in honorc fuo che Caligula fornì poi,& Io confagro al fuo
nomccon ofH- cij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il che ei
con- ferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmula- cro della
pietà à federe con vna tazza nella man dritta, & la fianca
ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of fido pio che Caligula
faccuainuerfo i fuoi parenti , con quelle parole, e. caesar divi avgvsti
prone- POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A POTESTATE QVARTVM
PATER PATR1AE. & poi quella altra appreflo folamcntc, pietas.
Dall’altro Ia- Sdtrificio to mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio
d’Augufto flato ri- diCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono) tra gli
Dci:& nel mezzodi detto Librario
b.Uifiinu d'AuguJlo. Tempio tA
ugujlo (omincUto per Tibe- rio, cr for- nito per
C4ligula. <r 5 detto tempio vn’altare,fopra al quale c vn
Buc,tcnuto da colui che n’haucua la cura, chiamato Vittimario,con
vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio, teneri do vna razza
nella mano deftra,& dietro alle fpalc vn miniftro con
vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia. AVGVSTO. ORO.
MED ÀGLI ÒNI DI TIBERIO. Tempio dkugujlo
reflituito per A nto~ nino. Comminciando dipoi
quello tempio col tempo à rovinare, Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi
come h ve- de per le Tue medaglie d’argento, d’oro, & di
bronzo, douc fono lettere che dicono .templvm divi avgVsti
restitvtvm. Ne contento di qucfto, ne fece fare vn’altroad Adriano fuo
predcceflbrc,comc ricordeuolc de benefici), che haucua riccuuti da
lui. Anto c-j
ANTONINO PIO. BRONZO. Oltre à quelli templi , furono anchora
fatti molti altari in honored’Augulto, per moftraremaggiormen- imiti
de te, & per diuerfe vie la fua eternità con quelle parole,
providentia, hauendo quei Romani quella vana opinione, chela
deitàd’Augullo potcflèloro concedere tutto quello,dichehaueuonobifogno
per laucnire. tu»-, -ilKrTivb'Jì E coli per tutte
l’altre medaglie de gli Imperatori; che erano (lati à modo loro
deificati, folcuono gl’anti- chi (colpire quelli altari in legno della
loro deificatione-. Deferivo* Scriuc Apulco nel dogma di Platone , chela
proui- XkJu denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc mantie- ne
femprcfelice colui,checlla piglia vna volta iti cura: & altri hanno
detto che folamenteriguardaua Se pcnlà- Dtuodi uaalIecofeaucnire:ma i
dannati Epicuri£al(amcntecre- zpÙHro. deuonochcDio non haueflc alcuna
cura de mortali. Ond’io à propofito di quella Prouidenza mi ricordo
ha- uerctra molte altre pietre intagliate, cheiofcrboin ho- nore
dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita vna vtformU* formica con
tre fpighc in bocca,fignificatricc della Pro- K de Polii- uidenza-.la
quale pietra fu altre volte trouata ne i fonda- de*K4. menti d’vna delle
torri cheio ho fatte farcnclla mia cafa della Maddalena, che per
edere cofa anttchitfìma & rà- ra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto
al naturale. Diafpro. Et perche
Plotina ha già comporti in 4. libri della Prouidenza, inoltrando che
tanto le piccole come le grancofe cranogoucrnate per il Dio di natura, io
rimet- terò il lettore à quella lcttione,& ritornando al propoli
- to mio, dico chegl’antichi riputorno la Prouidenza per Dea, come
anchora ha inoltrato Cicerone nel libro del- la naturadegli DcijOndcpcrla
Tua figurabile clafem- bianzad’vna matrona ftolata , ò velata &
dritta , che in vnamano hàlolccttro,&con l’altra moftra vn
globo, chcgli Ita à piedi, pare che voglia lignificare che la Pro-
uidenza goucrna tutto il mondo, come vna buona ma- dre di famiglia, nel
modo, che nelle loro medaglie la fi- gurorno (benché con diuerlì atti)
Traiano & Pertinace Imperatori. r. ;• - fiorini. PROVIDENZA. Cietront.
'V ' > r ! Alcuni altri Imperatori, comeTito,
la fecionodipin gereconvntymone& vn globo, inoltrando come ella
gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per vna filetta di Giouc
accompagnata da molte altre. A leda n- droScucroper vn vaio pieno di
fpighe,& Probo & Fio riano per vna fcminaftolatacon vn globo in
mano,vn fccttro &vn Corno d’abbondanza.
rrouidtnz'* diuerfmen tc pinta da antichi. Caracal Ei
mi parrebbcinuano affaticare ,fc io non auertiflì 0 « lettore della pazza
fuperftitionc de gli aderbi Roma ni,i quali durante la vita de i loro
Imperaton, o buoni, o catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo non
lalciauonodi fare loro templi,ttatue & altari , & doppo la morte
di lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi dibuo ni
Principiai fondatori di pace, & (non ottante che ha - ueflino
maltrattato il Scnato,& Popolo Roman o)di re E 4
CONSECRATIONE V<tra f a . flit ione ir Romani
nel fanttfi- tar loro imperatori. FLORIAN A S S.
MAMMEAT BRONZO. ftauratori della Città di Roma, fteome auenne di
Lu- cio Settimio Scuero,il quale oltre aireflcrehuomobar-
baro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto pcr- ucnnealla
dignità deilTmpcrio, ingannò & tradì Clodio Albino gcntilhuomo Romano per
venire à capo dei fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì & fece
dare più per paurache per volontà dal Senato Romano tùt- ti i
titoli di buono Imperatore. S ARGENTO Ma che diremo noi di quello Monftro di Natura
co- minciato & non finito,il quale doppo la fua morte fu
connumerato daRomaninelnumerodei buoni Dei,& del quale foleuadirc
Nerone, che l'haueua fatto auelc- nare, che egli era ftato fatto Dio p c
r mezzo del boccone d’vn fungo? clodio;
ORO. E per contrario furono i buoni Principi, di T raiano,
Antonino Pio,& Marco Aurelio, che per le loro virtù &: buoni
coftumi,mcritarono d’cflcre chiamati ottimi Impcratori,& canonizati,fe
lecitaméte fifolfc potuto ciò fa re. Trai quali è pur degno d’clTcrc
Tempre nominato& ricordato il nome d Antonino Pio , lolito dire che
piu tofto volcuacolcruarc &faluare la vita d vn Cittadino, che
ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £ Antonino piena di pietà
& degna d’vn buono Imperatore, come cglicra,&:comclo chiamòil
Senato, facendoli dirizarc come à Traiano, vnaColonna,& Templi nel
modo che £ Antonino fi vede qui di fono. amo moftraco
cornea! tempo anticogli ucrrdctì
Inipcratorieranoconfngrati,&diuentauonoDijdoppo ^TLi ]aI . 0r °
m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al- tio di ttm - rar * *
n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli ficdegl’agncl-' & Reonfegnado
loro Sacerdoti & Flammini nel modS che di Celare A ugufto ha già
fcrirro Prudcnrio^diccndo: Prudenti». Hunemorem V ererum docili Um aiate
fejnuta ? olì eritas t men fa t atque adytit } & fiamme^ tris ANTONINO
PIO. BRONZO. ON. PIO BRONZO. Uuguft AuguJlum
col nitritalo placa uù tgd agno: Strafa ad puluinar iacuit,
refj>onfa popofcit. Tcjlantur tituli,prod»nt confulta
Scnatus Cafareum louis ad ) fecitm Jlatuentia templum.
Equanto al reità della conftgratione , chiamata da Greci &
della quale ha le ritto minutamente He radiano al vij.capitolo del
iii j.Iibro,mi è parlo non fola- ménrc di figurarla cjui fottoal
naturale, ritratta dalle me- daglieantiche d’Antonino Pio,& dt M.
Aurelio, ma tra- durla in volgare,pcr maggiore intelligenza del
lettore. ANTON; Pia M- AVRELIOl BRONZO BRONZ O. c
Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte lo- ro tuttiquclli
Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli heredi dell' Imperio, in
quello modo penlando efTcre ri-- ceuutr nel numero de loto fallì DijrEa
Citta tiftta vcftita abruno,&picna di dolore &di lamenti,
folennemente fatta fàrcvnaimaginediccra limile al morto Imperato
re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato in alto aU’cntrarc
del palagio Imperiale. Era quello letto coperto di prctiofì panni d’oro
&dcntroui quella ima- gine Erodiano. b o«».f W
«HV Ccrimonù de Roma* nella mori de loro
l« fe rotori. ginc pallida àguifa quali di ammalato Imperatore/!
ri- polaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i Senato ri
vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno dimo rauono.Et dal lato
deliro tutte le Donne Romane, cias- cuna fecondo ladignità & grado
dcloro padri,ò mariti,. fenza ornamento alcuno d’anelli, maniglie, ò
catene d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco leggicrmetc(qualì come
portano in tal calo le getildonne in Francia)# tue te piene di
maninconia. Durauono quelle cerimonie vij.giorni,nel qual tempo i Medici
ogni giorno s’apprcf fauonóalla bara, fingendo di toccare il polfo
all’amma- lato,# mollrando che gli andaua fempre peggiorando. Ma
fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i primi letto i Up4
Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo nel YtZ'ZÌ? ^ av ‘
a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i Magillrati tutori Romani
Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i loro. officij.Erano in quello
luogo da due lati fatti certi pal- chi con ilcalc,dai’vn de quali tutti i
piu nobili giouani & patritij Romani, & dall’altro le piu
illullri donne canta- Himi tan- uonoHynni & Cantici Iamctcuoli#
pietofi,nelmodo, tati nette po che s’vla ncllcpópe funebri. Dopo quello i
Senatori di pt funebri. nuouo fa lcuauono la bara fullc Ipallc, &la
portauono fuora della Città in vn luogo chiamato il capo di Mar-
te,douecravn tabernacolo quadro fatto di gradirmi legni fcccjii,&
ripieno di fcrméti.di paglia, & di falcine, & di fuora riccamctc
adorno di cortinclauorarc d'oro, di flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque
Ho tabernacolo n’era vn altro lìmile,ma piu piccolo,& riccamente
acconcio come l'altro,cccetto che haueua le porte & le fincllre
aperte, & coli di mano in mano mótaua H77 tauapiù alto
nel mcdclimo modo fempre diminoedo. Potrebbe!! quella ftruttura
ailbmigliarc à certe Torri fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da
moderni, Fanali, dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu
TJnaU mi perfarefeorta a inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati
to letto fopra al fecondo ftaggio.quiui fpargcuono gra- dequantitàdi
fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, & d’vngucnti odoriferi di tutte
leparri del Mondo, facen- doqualì à gara di chi più , ò meglio, porc/Tc
honorare, & fare quello vltimo prefente al loro
Imperatorc.Fat- to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa
intorno al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé
Pyrricada gli antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 '
ceuono il mcdelìmo i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i carrettieri
erano vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi- lì,con mafchcrc fomiglianti à
i Capitani , & principi che haueuonogià fcruito il morto Imperatore.
Et con finite tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre
all’- Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il fuoco
nel Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al- trhpoidi mano, in
manoùl quale per la materia tato fec- ca,& le cofc vnte deprofumi,
& olij profumati, leuaua { j, e fubito le fiamme in alto,pcr
mezzo lequali, vfcitavn’ A- t* quila viua del minore & più alto
Tabernacolo, fc n’an- « daua volando in verfo il cielo , quiui di terra
portando i cieli (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql
me delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale poi coli
adorauono come Dio,& gli faccuono altari & templi,
come e detto di fopra. » C rwr,-* r-’ìRtn M.
AVRELIO. FAVSTINA 4U« tu 1 PERTINAX BRONZO FAVSTINA ARGENTO Crédcuono
i Romani qiicfto mi fieri o non Iblam elfere vcro,ma molti giurauono
hauerc veduto vfeire del fuoco l’anima dell Imperatore , & altri
pagauono huomini à polla per confermare coli fatta bugia, diccn -
do che l’Axjuila di Gioue l’haucua portata in Ciclo, & coli ecco in
cheniodofu anchora canonizato Seucro lottizzo* collocato nel numcrodegli
Dei, inlìcmccon moltialrri Imperatori & Imperatrici ch’elPopo.Ro.
fece fàlir per forza COM forza
alciclo nel medefimo modo che Scucro. Ma ri - tornando alla materia de
noftri templi, doppo haucrc fcritto de i più trionfanti di tu tti,cioc,di
quello di Giouc Capitolino , di quel d'Augufto à Roma&in
Alcflan- dria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci reftai vede- Tempio
«K rcil marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba edifica ^j c pg
% rione del quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,& Repu blichc
dell* Alia maggiore, contribuendo ogniuno per
lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di religionc,qua'n- tunquepcr Ja
fuagrandezza folle a pena tornito in CC. anni,& fondato rifpetto a i
tremuoti in vn Pantano, tal- mente che ci fu connumcrato per vno dei
lette miracov li del Mondo, & di poifcolpito in piu medaglie di
di- ucrfi Imperatori. CLAVDia ARGENTO stnr. Ma pcrcbeil
fimulacro interodi Diana,qualc era nel Àmpio degli Efcfij,nonfi.
può interamcce {cingere nel le med agliedi pi ntedi fo p ra,mi cpàrfódi
farlo-hilthopa di nuouo ritrarre qui di fotto nel modo , che io
ihoirt e ” due '.Ikimfc K.OII
8o DELLA RELtGIO due medaglie Grechc,l’ vna di C5modo,S: l
aura a nntonino Pio , nell'vna delle quali e Icritto aptemhx e «• exian ,
cioè, Diana degli Efelìj , & nell’altra quella l ola parola, e « e s
i a spedendo tutte l’altrc lettere perdute. ANTOM. PIO COMMODO.
BRONZO. Dtfcrizìon del tempio di Diana. Era
la lunghezza di quello tempio ccccxxv. piedi, & la larghezza e e x x.
ornato di e x x v 1 1 . colóne, ogniu- naalta lx. piedi, & nondimeno
fu abbruciato da quel- lo fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli
hau ua fatto qualche cofa degna di mctporia:bcnche di poi fu
rillaurato & rifatto anchora piu bello da Dinocratc, Celebrati!)
Architettore d’Alellandro Magno. Quiui aduque lolc- cUDianf* L, ono
ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la fella di Diana, trouarlì tutti i
giouani ,& fanciulle , vergini del paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò
lìmaritauono iUcrne? Il fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo
le fue dignità & qualità dipinto & figurato da gli antichi in
di- uerfe manierc,lt come ella fu pariméte chiamata perdi; JSSL.
uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera tutta pie- na, la dilegnauono per
la lua chiarezza con vno tor- chio v 8x chioaccelo
in ambedue le mani, come fi vede nelle mc- dagliedi GiuliaPia, moglie di
Seuero Imperatore, con lettere chedicono, di an a lvcifera.
GIVLIA PIA. argento. BRONZO. Et per inoltrare anchora
meglio che Diana &la LlT- na eranoinqucl tempo vna mcdefimacofa,ioho
fatto qui mettere vn'altra medaglia di brózo della mecfefima
Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo carro tirato
daducccruic, chcfignificauono checll'cra Dea della caccia, quantunque
l’interprete d’Arato hab- bia detto che quello fignificaua la fila
leggerezza. Ma quadogl’antichila figurauono poico vnolpiedcinma
no,& vn ccruio apprcfio,voleuono lignificare che cac- ciando, ella
pigliaua & ammazzauai ccrui pcrforza,no minadola »^óa«c, & per
memoria che ella era la prima cacciatricc,fofpcndcuono le corna de
cerui dinanzi al fuò tepio.DclIa quale cofahauendo affai à
baftazadif- corfo nel libro , che per comandamento di fua Maefli
iohò fittodella naturadc giammai! ferochpcrò rimette rò il lectorcà
vederne quello, chcion’hò quiui trattato. MED AGLI E D’H
OSTILIO. ARGENTO.Trouanfi anchoradelle medaglie , doue Dinnac
di- pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in legno che ella foleua
ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro rcflimoniolamc daglia di Gcta
Triumuiro, nella quale da vn lato è fcol- pita la tefta di Diana , &
dall’altro vn cinguialc , ferito d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane
appreffo. GETA TRIVMVIR Quando i Romani figurauono Diana
cacciatrice, ordinariamente la folcuono accópagnared’vn turchaf-
fo,d’vn , arco,& di frccciccon vn cane da ghignerei fc -
gugio,(cnzaraiiirode quali non fi può cacciarci come mortra la medaglia
qui di lotto. med 7 ~d f C~P OSTVMO ARGENTO Ma nelle medaglie d’Augurto fi
vede vna volta Dia- na figurata tutta ritta in habito virginale, con
l'arco in vna mano , & con l’altra /opra al turcharto, facendo
le- gno di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel mezzo lette-
re, che dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sici- x.i a. & altre
che dicono , im perator vNDEciEs.Et L nel rouefciod’vn altra fi vede con
la velie alzata, vnar- sthukitl co in vna mano , & nell’altro vno
fccttro, vn can da giu- * gnerc,& gli rtiualcrti infino à mezza gamba
, colà prò- £ 1 pria per lei come cacciatrice, &i quali daPolluccfono
An<lro »”- ftati Endiomidi chiamati. des ' AVGVSTO. Tra
cucce le medaglie d oro, che fanno ìjjj.furnorro uaccàTolofa, &
rraquelleche mi vennero nelle mani, io ne hò vna,nclla quale da vn lato è
fimaginc di Diana, col Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn tempio,
nel cui mezzo c vn trofeo naualc,in cima al quale è vna celata
antica:& della prua della natte, c fitto vn tronco come vno Itile con
due rami, vno riuclliro d’vna corazza, & da l’altro pendono due dardi
& vna rotelIa:& à pie del tron co è vn Ancora da vn lato,& vn
timone da J aItro,in le- gno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc
Augu- ro racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al frontilpi- Tri
gSbe, c *° ^ mc J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con impresici
lettere che dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì fignifi- UsùiU can do che
Augullo ringratiaua Diana della vettoria hauutadc nimici Tuoi.
- av AVGVSTO. Et nc rouefci delle medaglie
battute in honoredt Mar cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due
mani lebrato in prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s
*” a *- ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl
te- foro portatone à Roma,iI quale-fu {limato tanto, quan- to
quello che i Romani cauorno di Cartagine. MAJICELLINO,. BRONZO..
Animali tonfatati i Diana. Solcuono gl antichi
placare Diana imolando la cer- iliaci daino, il ccruio,& il
toro,tutci animali confècrati lei, fi come tcftimoncranno le medaglie
Latine & chc,che io ho fatto ritrarre qui di lotto.
FILIPPO. BRONCO. Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1
1. libro della fua Cofmògra to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra
fondato nclflfola d’Icaria & polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito
Liuio neh ni. della quinta Decade , lo chiamò parimente Tauropolum ,
& Tauro poli* i ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo
nondime- no nel fuo libro de Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia
mataTauropoU dalla regione, ma dalla quantità de tori,
ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però detta dum Tau eguale colà
appari Ice vera per la medaglia Gre ca qui di fottojdoue fono
lettere, che dicono, e petp i- IÓN DAMASI AZ. MED f
vi. MEDAGLIA GRECA D I DIANA ARGENTO Chequcfto fiavcro,&
che Diana Ila (lata chiamata TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij
dal toro che l’era confagrato,come il cane, dimoftra anchora
Diodoro nel iti. libro, douc parlando della Rcina delle Amazo- nc
dice, che ella faceua ogni giorno cflcrcitarc le Tue ver- gini
allacaccia, acciò chcpiu facilmente tollcraflino il difagio dcllarme
& della guerra , facendo le fare vn cer- to facrificio, che ella
chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’ Autori tanto Greci come Latini
habbinoconfufi tutti quelli no mi Tdurouoliumjduropolum, &
Tauropobolum, & malli me Suidane i Collcttanei, chiamando Diana
Tduroholosfal Toro(quello che anchora conferma Euftathio) il quale
l’era facrificato, come fi vede nella medaglia d’argento ' d’ Aulo
Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato Diana con vna luna in teda,
l’arco & il turcafTo:& dall'altro il fa orifìcio del toro, nel
modo, che fi vede qui di fotro. F 4 Sacrifìci» di
Diati» ordinato da la regi, na deli a- mazonc.
Diana chi» mata Tau- robolos .
tttJICi : v ni' A VLO PO STHVMO.
- ARGENTO. eia, & ma/firneàLettora,doue fe nc vede
grandi/fim» Tùtro gì - quantità, donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto
Se deVanuZ g ranc * c amatore delle cofc antiche, fi
conofcechcifacri- ti ficij fatti anticamente da i facendoti alla madre
degli Dij congrande apparecchio,crano chiamati TAuroj>olium&
•>- • altre volte Taurtuolium , &non folamente à Diana
Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo maflìmamente credere àSuidas:
benché di coli fatti fiicrificij io habbia, aliai diftefamete fcritto
negli Epigrammi, che io hò rac-' colti di tutta la Francia. 'a • ;
' b - •• t . * e* V. ... LeBor* inpropugrutcttlo \rbis. matri
devm pomp. philvmenae t*VAE PRIMA EECTORAE TAVROBOIIVM F e e
r T. . tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna piccola chiefa di S.
Tomafo giuu mezza rouinata nella medefima terra, vn’altro epitaffio
in vna S* hi vna colonna, che regge
l’altare grande, per il quale fi conolce che i Decurioni di quel tempo ,
cioè gouucr- torì della Tcrra,feciono il facrificiodi Tauropolium
alla madre degliDij per la falutc diGordiano Imperato- re, & di
Sabina Tranquillina Tua moglie. In facelle D.Thanutnunc diruto in columna
i aitarli vijìrur. 1 PRO SALVTE I MP. ANTONINI GOR-
< DI ANI PII FEL AVGV. TOTIVSCHE^ DOMVS DI VI N A£, PROQVE
STATV C li V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT ÒRDO LACT. D. N.
GORDIANO II. ET POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- " RANTIB. M.
EROTIO ET FESTO CA- » NINIO SACÈRD. Di quella Sabina
Tranquillina ho io veduto altre yolte yna medaglia d’argento, & vno
Epitaffio fatto in quello modo, FVRIAE SABINAE TR AN QV 1
LLIN AE SANCTISSIMAE A V G. CONIVGI DOMI- NI N. M. ANTONINI
GORDIANI PII FEL1CIS INVICTI A VG V STI DECVRIALES AEDILIVM PLEBIS CERI
ALI VM DEVOTI NVM1NI MAIESTATICHE EO- R VM.
Trouafià Roma vn gran marmo antico fcolpitoin otfmzion honorc della
madredegli Dei,douelì fa mentione del-
cibele Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea
co- ronata d’vna Torre con vn tamburo nella man manca appoggiato
fopra alla fuacolcia,& con la ritta tiene cer- te fpighe di grano, à
federe fui fuo carro tirato da due liooi,& accompagnata del fuo Atis,
che tiene vna palla in mano, & cappeggiato à vn Pino, come albero
con- F 5 9Carro de la madre del divino, tirato di duo
leoni. Dichiara- tionedel'in fegna de la madre de
gli Dei. {agrato arale Dea, à caufa della monragnad’Ida, eh ciò
Candia, òdi quella di Frigia, abondantifiime ambedue diPinij&doue
cllac adorata principalmente per Dea,' & dedicatele le Pine, onde
Marciale ha detto di quelle parlando, Toma fumus
Cybeles. Ma quanto à i due Iioniche tirano il Tuo carro ,co-.
mefcriuc Virgilio, Et iunBi rerum dominai fubiereleones.
voltano i Greci lignificare, che non fi troua cofi Acrile terra,chc ben
coltiuata,non diuenti fertile & buona. La torre lignifica leCitta
& edifìci j de quali la terra è orna- taci tamburo la mondezza della
terra, benché alcuni veglino che ciò lignifichi i venti rinchiufiui
dentro, & le fpighe,ch© la terra fola è quella che nutrifee
l’huomo. Figura : - FJG y R A~ D E LA MADRE DE I DEI R I 7 R
ATTA del marmo artico, il qual fi vede in Roma ntll’ecchiefa di
S.Sebafliano. M. d: M. L ET
ATTINIS L. CORNELIVS SCIPIO OREITVS V. C. AVGVR
TAVROBOLIVM SIVE CRIOBOLIVM , FECIT DIE IIII. KAL. MART.
TVSCO ET ANNVLLINO COSS. Cibelt tOf- riU. Nell’altra medaglia
pure Greca li vede da vn lato Cibelc torrira,& dall’altro il folgore
di Giouc con al- tre facttc, la quale c tanto vecchia & frulla, che
non lì c potuto cauare alcun fenfo delle parole Greche. Meda Vari
I nomi de la madre dei Dei. Diana con-
feruatrice, adorata in Sieilia.
Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in guifadi madreche
nutriteci figlìuoli.la terra limilmcn- te nutrilcetuttigrhuomini &
animali del Mondo, coli dice Furnuto.I «Greci & Romani le dettono più
nomi & attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc, Cere- re,^
Terra,Prolcrpina, &fecondo Lucretio, madre delle beftie. Veda,
&Diana:il che li vede & conferma per due medaglie di bronzo
Greche, ncll’vna delle quali c Dia- na da vn lato con quelle parole, 2
atei p a, & da l’altro il folgorc,dcdicatole cornea Velia ,&
limili parole x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia battuta
dal Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice. Nel tempo, che
io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc faglie clonate alcune medaglie
d’argento, di quelle, che viti- doro & inamente furono trouateà
Reims, tutte quafi di Seuc- trouute°t ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t
diMacrino. Et per- chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc convnfolgorc
in mano,& à federe fopra vn qucflc parole , ind mi cparfo non
fuora di fotto. L’vna. GLIA GRECA. bronzo. V «A
» if pino con- L’vna dell altre due medaglie e dì Giulia, nella
quale madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila in compagnia di due lioni
& àfc- Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo di pino in vna
mano, & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia fopra il Tuo
tam buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm. Il medefìmo
rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali del tutto foni iglianteà
quello. ARGENTO. BRONZO. Figuro MED.
DI C. VOLTEIO. ARGENTO.; ANTO. Pio. BRONZO. p JJ W DE
GL’ANTICHI DOMANI. Figurornoanchora gl’antichiil lìmulacro di
quella Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘ che
cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta, due Honi Copra i
bracci , & diuerfr animali incorno, produtei da lei come Dea della Natura,
& di più due ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, &
quella erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot- to tempo che
ella fu ricrouata in vna grotta ancichiflì-
maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra vol- ta M. Antonio Fantuflì
dipintore Romano, la quale io ho polla nel miolibro de la Natura de gli
dèi , per dame la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte
quelle forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme, come
per il tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamc- nc:& Virgilio,
dichiarandoci che in cielo lì chiamaua Luna, in terra. Diana,&
nell’inferno Profcrpina , coli laf : ciò fcritto,
Tergeminamque Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx. Et perche
la figuradi Diana, ritratta da vn marmò antico,!! vedrà meglio nelnollro
primo libro dell anti- chitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro , ma
fola- mence dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i più
ricchi Romani foleuono ogni mefe far facrificio à Dia- na, mettendo fopra
i canti delle llradc della Città, pane & altre cofe,chcfubito da
ipoueri erano leuaje via , co- me fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la
Luna, & Pro- ferpina fodero vna mcdclima coCa. Hauendoà
baftanza parlato di Diana , & defìderan- - do venire alladcfcrittionc
degli altri Dij, comincieremo da ^inerita* la quale fccondoi Poeti,
nacque.de l capo diGio Dea di mtura. Diana triforme.
Paufinid. Virgilio. Sacrifìcio fattoi Dia na fotto
il nome di He tate. Ateneo. MINERVA.
di Giouc, pcreflcrcrintcllctto collocato nella certa dell*
huomo. Armaronla oltre à quello gl’antichi d’vno feudo, nclqnalcera il capo di
Mcdufa,moftradochcrhuo- mo fauiodcbbecon force animo & intrepido vifo
refi- ftcrc aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc*
ua fopra al morrionc , fignificaua rornamenro di tutte lefciczc,
&cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi differenti l’vna
all’altra, che la Capienza debbe clferefc- grcta,&l'hafta che ella
haucua in mano, che l’huomo fauio guarda, con fiderà, & batte di
lontano & con van- drdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata
(come habbiamo Mintrtu. detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le
tene- bre il fuolplcndore-.i qualitutti lignificati pare chedcf-
criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua Mc- tamorfofi,
quando dille, ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis hafiam,
Datgaleam capiti, defendituragide pettus, ‘PercuJìa'mejuefua
fimulàt decufiide ferrarti. Edere cu mi; accia factum canentis
oliua , Jrfirartque deos «perù vittoria finis. Minmu
Scriuc Varronc che Mincrua fu quella , che fondò ie untoti Atcne,&
per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt- i- Atene. r e, che voi
dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc fcriue Fulgentio) la
ìapienza non muore mai. Di qui ha voluto Porfirio dire, che Mincrua none
altro che la vir- tù del fole, mediante la quale lafapienza entra &
pene- tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla
fommkàdcU’aria : però fi vede che i Poeti hanno finto che Mincrua c
vfcitadelcapodiGiouc. I Filici dicono chela virtùintellccciuaècollocata
nel cerucllo deliquio mo,comc denrroalia principale fortezza del
redo del corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4
cioè Dea della guerra, lignificando chei Soldati debbo- d « * u no non
fidamente edere del continouo armati Spederei- S* frr <- caci, ma
proueduri di configlio: &rprima chccominciarc vn imprcfa,cdàminarc
molto bene le forze del nimico: quello che confermò anchora Saludio
dicendo, che ei bifogna prima configliarfi,& doppo il configlio,
& la deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo difegno. Lacaufà
perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatri- ce d’Atcnc, è, che dicono che
nafccndo difeordia tra lei & Nettuno, di chi douede porre nome alla
Città, gli Dei fimedono in mezzo per pacificarli, &giudicorno che
Ncttu- qualc di loro due produrrebbe cofa piu vtilc alla detta Vaim
terra, quello le douede dare il nome, per il che pcrcoccndo la terra, &
facendo nafcerc Nettuno vn cauallo, & Minerua l’vIiuo,fu
fententiato chcl’vliuo, piu che il ca- uallo fodènccedirio & vtile
alla vita humana,& cofi re- do la Dea vincitrice, con attribuirle
l’vliuo & cdcrechia- mata Pacifera, come fi vede nelle medaglie di M.
Aurevulimit - Iio,& di Commodo Imperatore. 4 ut 1 q
ncrua. fM. AVRELIO (ANTONINO (si veda)) COMMODO.
BRONZO. Ttfle di mi Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua
ancho- ra la celcbrationc della fella & giuochi di Minerua,
tjuatria. chiamati Quinquatrij, quali erano, che i fanciulli facen- do
vacationc dalle fcuolc & da gli ftudij porrauono la mancia ài loro
maellri in honore della Dea,come quel Jache aiutaua la mcmoriarciò che
Quintiliano a! 1 1 1. li- bro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha
dichia- rato, quando ci dice, 'Pallata nunc putrì tener a j
ornate p nella: Qui lene placarit Palla Ja,Jolhuerir.
L’occafione fopradetta della difeordia di Mincrua nettv- & di
Nettuno, pare che mi porgea conuencuolcmare- « n o. ria di ragionare
anchora di quello Dio,il quale (come il Delfino fcriuc Higinio) fi
dipingevi con vn Delfino fotto il dedicato ì piede 5 ò la "mano
mancaappogiataui fopra, hauendo il nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta
, fi come dimollrano i rouefei delle medaglie di M Agrippa.
M.Agr IM. AGRIPPA. BRONZO. Fu Umilmente da
gl’antichi dipinto Nettuno con uettunodi vn Tridente & vna Acroftolia
(ornamento antico di galea) in mano , come fi vede ne rouefei di due mie
te cr una medaglie d’argento, l'vnad’ A ugufi:o,& l’altra di Vefpa*
fiano.douc fono lettere che dicono, neptvno redv- ci, in fegnodi
ringratiare lo Dio del felice ritorno dal- le imprefe
nauali. Acrojlolta dagli anti-
chi. AVGVSTO. VESPASIANO. ARGENTO. G
z 100 ut inai* : vufciiut 4t- Attribuirno
parimente grantichiii Tridente a Nct- mttuno 4 tuno,,n %no dello feettro
, & ancho per efl'erc vno in- perfetttro. frumento molto ncceflario à
i marinai, dipingendolo vna volta pacifico>& vn’altra adirato
,come fi vede per le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, & la
vet- roria hanuta de Corlali, donc da vii Iato fono lettere, che
dicono, MAGNVS IMPERATOR ITERVM-.& dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET
O ilARITIMAE EX SENATVSCONSV MED. DI PO MP
ioi Io ho tra molte pietre antiche, intagliate di diuerfc
Ag<tu <m- forci, l’Agata di forco figu rata , nella quale è il
mcdelìmo Nettunoà ledere, con vn braccio appoggiato fopra vn tmo*
va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella vna Cor-
niolaanticadicolorcdi rubino, nella quale cvn Nettu- no fui fuo carro, tirato
da due caualli, nel modo , ch’egli tumori- è anchora figurato in vna
medaglia di M. Agrippa con rito dà <a - lertcrc che dicono aeqvoris me
omnipotens. AGATA. CORNIOLO M. AGRIPPA argento. v."“ v -
-m * .VA monete ioz N
rtttmo i fiutilo. La caufa perche glancichi dedicorno il causilo
à Nettuno, fu,perchc ci fu il primo che trouò il modo di domarli
&frenarli, come dice VIRGILIO (si veda) nel y.dil'EncidL / ungir
eejuos curru geni tot fumanti a. <jue addir Frana f'eris ì manilupjue
omnes ejfundit babenat. Fanno vera teflimonanza di quello, ’ Tarcntini,
nelle quali da vn lato fi vede Nettuno uallo,& dall’altro Taras fuo
figliuolo fopra vn Delfino. HÌppOCTé- tid.
Confutili. Nettuno in h entore di tutte del
tuuigtr. A iNettuno cauanere recionoiKomanjgia vn tempio,comc fi leggein
Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar cadi) il dì della fila fella
Higgocratia , fi come gl'antichi Confualia , nel quale tempo tutti i
causili > muli, & mule non erano in modo alcuno adoperati à
rrauagliare,' madai garzoni di Italia condotti à moftra per tuttala
Città di Roma con la teda coperta di fiori & ornata di ghirlande con
ricchi fornimenti. Scriuc Diodoro che Nettuno fu il primo che
trouò l’arte del nauigarc& didrizarc vna armata di marc,&
che D E GL’ ANTICHI ROMANI. 103 ' che per quello
ci fu fatto da Giouc Ammiraglio del ma- re^ di poi adoratocome Dio.Et per
le due medaglie, & vn Niccolo, figurate qui Cotto, vollono
glantichi li- gnificare che Nettuno haucua poflanza tanto in mare Ncttuno
^ quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor- gnordrima ta
& diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi, l’vno (quale e la
terra) ripreientato dinanzi per il cauailo, & l’altro (qual’ è il
marc)difcgnato dietro per la coda in forma di Delfino. ANTICO
NICCOLO. Qi CREPERIO. GALLIENO Quando i Romani volcuono moftrarc di
ringratia- rcNettuno di qualche vettoriahauuta in mare, lo facc-
uono Scolpire nelle loro medagliedavn lacoconil Tri- dente^ dall’altro
mctteuono vnaVcttoriafulla poppai d’vnaNaucmel quale modolofcciono già
fare Demetrio, Augufto Ccfarc, Vcfpafiano, & Tito fuo figliuolo.
Imp.Rom. MED. DI DEMETRIO. ARGENTO. AVGVSTO. VESPASIANO.
ARGENTO. ARGENTO. Ritor I E
serv- ir API a Machione DE GL’ ANTICHI ROMANI. 105
Ritornando à gl’altri noflri Dij,& loro templi, altari &
fimulachrijdiciamo chcEfculapio Dio della fa nità,fu il primo chctrouò
l’vfo della Medicina, infcgnataglifor fc prima da qualche Dio flato
innazi à lui. Quelli al rem po di Homero fi vcdcchcnon era anchora flato
collo- cato nel numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta fa
medicare àPconcle piaghe di Marte. Ma quadoci parla diMachaonc,figliuolo
d’ÈfcuIapio,ci lo chiama huomo Ma(hégj figliuolo d’EfcuIàpio Medico,
chctrouò molti rimedij figliuolo ncccflarij perla fanità dcllhuomo ,
& lo fa tato eccellete in quella arte, che ci dice che rifufcitaua i
morti .Dice Lat Stantio. tantiochc Efculapio nacque di padre & di
madrc,chcn6 fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato in mezzo
à vn campo,& trouato da certi cacciatori, fu dato i n guar- dia
à Chironc Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica- renella quale vfarono
dipoi fempregl’antichi fino al tc- pod’Hippocrate,che la riduflc alla fua
perfezionc.L’ha- Kippocratt birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi
Schiauonia, Umdu^a & dagli antichi chiamata Epidauro, doue ci
fucòfiigra- * pnfctno to, fattogli vn tempio, & vna flarua d’oro
& d’auorio per " f * le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc
fcriuc Pau fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos.
^ef^iuio Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in
nedeiima- marmo bianco fi vede anchora à Roma,& in molte me
daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla do Eufebio.
Greca, con vn baflonc in mano, & fopra al quale(attor- cigliato d’
vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella ma- niera che io l’hò in
vn’altra belliffima Corniola, &in vno Niccolo, ritratti qui di forco
al naturale. G 5 .ori oia/ì Jr ioc ‘CORNIOLA
ANT. NICCOLO ANT. Tornato. Microbio. I a Ciuciti dedicata
ì Efculapio. SIGNIFICA i™ la fcrpc secondo Fornuto che fi come
quelle fi fpogliano & mutano la icorza, cofi auiehedc Mcdccichc
riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fa- ttiti, rendendo loro vn corpo
nuouo. Altri voglionoche fi come la ferpe lignifica laprudcza,cofi
bifogni al buo Medico edere prudente circa alia finità d’vna
perfona. Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc fia de-
dicata à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:& Macrobio dice
che quello e, perche la ferpe ha la villa fiottile, come bifiogna che
habbia il Medico nella cura d’vn infermo, &chc il battone
fignifica,chcvn huomo ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io
fiollcnga, in modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba-
ftonegl’è attribuito, come quello che ^er appoggiarli e ncccdario à
vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata à Eficulapio la Ciuctta,
lignificando che il medico debbe edere vigilante più la notte che il
giorno intorno all'in- fcrmo.fi come lì vede ne rouefici delle medaghedi
Nero nc,&di Vitcllio. Nerone. NERONE. VITE L LrO.
* ORO. BRONZO. Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero
vn’I- foletta à modo d’vna galeotta, cioè larga nel mezzo,lua- ga
due ottani di miglio, appuntata da bado , & piu larga di fopra, à
modo d’vna poppacL’vna naue:la quale Ifola fu già confagrata à E(culapio,doppo
che il fuo lìmulacro fuilato condotto à RomafQttolafbrma d’vnalcr-
pc,òpiùtoftod'vnDcmonio:in honorcdcl quale fedo* no già i Raugei battere
monete con la lèrpc &: conlctre- re Greche, che diceuono epuat pio N,la.
quale Città (comclcriueLiuio)fufoIàmenre nobilitata dal tempio
d’Efculapiojlontanodaquellacinque miglia,douecon molte cerimonie fu
adorato come Dio. MON. Simulacro d'Efculapù
portato fa Roma. Moneta é i Epidauri Quelle
parole Greche attorpatop o taaepia- •NOS, r A A A I E NO X , O
TAAEPIA NOJ KAJXAPES.nOH dinotano altra co(à,fc nonchcVaIeriano
Imp.fccc bat- tere quella medaglia con l’effigie Tua &rde due Tuoi
figli- uoli Gallieno & Va!criano J & i tre tcpli nel rouelcio
con tali parole Greche, tpix neokopoi nikomhaeon: lignificano
chetrc guardiani de detti tcpli pregauono pcrlafanità &
falute(figurataperlafcrpe)dc fopradetti tre Impcradori. iTP I
C N t^KD k PvA-N Nel Vittri di
ThafiU. . io* Ncllhorto dcllachielàdi
S.BartoIomeo,che c ncll’l- fola nominata di (opra, fi vede anchora vna
nauicclladi pietra Thaflìa,chcè molto (limata per la varietà de
(uoi colori, nella qualcdavnlato fi vede (colpita vna ferpe, che
alcuni vogliono che fia delle reliquie del tempio già detto d’Efculapio :
&quafi Tempre nelle medaglie de gli Imperatori fi trouala ferpe con
la fanità,chc fiotto figura SANITA> d’ElcuI.tpiogli fa làcrificiorò
veramente la ticneabbrac- ciata, lignificando che da quello Dio dipendeua
la fani- tàfiola. Anton, pio. BRONZO. M. AVRELIO
(ANTONINO (si veda) ARGEN TO. M. AC ILI A ARGENTO. ARGENTO.
Sono no Medaglione din. Aurelio trouato in JU
ione. Pub. Vittore. Sono forfcfei mcfi,ch’eflcndomi portato vna
vecchia medaglia di M. AureIio,ft:ata crociata nc fondamenti del la
vecchia zecca di Lione, mi e parfo di farla ritrarre qui di
fottoalnaturalc,pcrfarc meglio intendere àgl’ama- tori del l'antichità in
che modo,fotro colore d’vna ferpe, gl’antichi fingeuonodi fare facrificio
iEfcuIapio per le manidiMinerua,con vna tazza in mano coperta d’vno
vliuo.&dinazi la Vcttoria,chc porta vn’altra tazza pie- na di
frutte. MEDAGLIONI. M. AVRELIO. COMMODO. Non fi potendo
lenza la finità fare bene alcuna cofa, pare che meritamente ella debbia
haucre luogo tra tanti altri Dijril tempio della qualefcome fcriué Publio
Victore)era nclvi.quartiere della Città di Roma, quantun- que Domitiano
le ne faccfTc edificare vn’altro piccolo, 1 doppo il pericolo che egli
haueua portato nella venuta di Vite Uioà Roma. DO. Ili
CASTITÀ. L’habitodi quella Dea con l’imagine Tua,
(colpita nelle medaglie di Giulia Pia, Donna di Scuero Impera-
tore, fu limile à quello d’vna Donna vedouaaflifafopra vna Tedia con lo
feettro in mano, & due colóbc appref- fo, lignificando che come la
colomba c bianca & pura, ^ fo/om _ coli la caftitàdcbbe edere fenza
macchiarla Donna da bt j imbolo bene fcmplicc&purafimilmentc.
dictjUu. gTvlia PIA ARGENTO. DOMITIANO ARGENTO. Quelli, che hanno
dichiarata la Caftità, dicono che dtu cajli - ella c vna virtù, che
cfccd’vn buon cuorc:& piu torto co- fentc di patirc,chc fare atto
lontano dall’honcrto &dal- l'honore.Et le pure egli auicne che
cllafia forzata, non per quello riccue alcun torto, non fi potédo
corrompe- re il cuore accompagnato da vna buona indiamone &
nutrimentoialla quale (come cofa fimilmente chara & li ber P
ret ' 0 ^ a )g^ an fi c ^*^ cttcr0 P cr cópagna la Libcrtà,chia« T a.
madola,comc l'altrc, Dea, amata & cerca da tutti i begli
ingegniionde ci non farebbe polfibile di fcriucre à pieno
lacontentczza di colui, che viuendo liberamente lenza ambinone, fi
contenta di quello checglihà, ncconofcc perfona che per Pallidità de beni
di quello mòdo (fotto- poftiaU‘inuidia& alla fortuna) gli porta
comandare, & farlo pervn poco di bene incorrere
ingrandirtìmima- li, quello che anchorapcr Euripide c ftato
dottamente Euripide. dichiarato,douc ci dice: 'Ham hberum
effe, maximum dico bonum: Quoti fi quii ejl pauper,puter fe
diuirem. Et Cicerone ne Tuoi Paradofli dichiarando la Libertà
fimilmente dille, che la vera libertà non era alerò chcpo Tempio di tere
viucrecomc l’huom volcua.il tépiodi quella Dea uberei. cra nc j m 5 tc
Aucntino, ornato di molte ftatue &r cotóne di bronzo, onde per
l’orazione che Cicerone fece à i Pó- tcfici per la fuacafa, fi conofcc
come Claudio l’haucua conlagrataalla Dea Libertàd’habito della
qualeerad’v- naDonnacon vna Itola, òvn velo addoflb,vn’haftain vna
mano, & nell altra vn capello, folitodarfi àiferui, che erano
liberati da i padroni, quantunque alcuni altri habbino detto che forte
vna campana.GAL. Chequcfìocappcllofairein legno della Libertà(fì co il
cappella me io ho più chiaramente inoltrato nella fine del mio li
bro dell’antichità di Roma)lì vede nelle medaglie battu rein honoredi
Brutto libcratoredella Patri a,& di Ccfa- quidi fotto al
naturale. CALIGVLA. BRONZO: GALBA. ~ TRAIANO. BRONZO-
ARGENTO. cnc delia libertà nalcc la felicità, io accompa- FELICI
gneròqucltacon quella^ inoltrerò cornei Romani L- TA fcciono vn tempio &
vn’alcare,dcl quale fcriuendoPli- H iM •. nio dice che la
(latua della Dea Felicità,crafl:ata fatta da rufits! ° Archcfilao
Pla(les,& coftata à Luculloix.gran fcfter- tij, (limando i Romani
cflcre all'hora i tempi felici , & la vera Felicità regnare per
tutto, quando i loro Imperato- ri haucuono viuuto,ò regnato
lungamente:quando ha- ueuonogencratibci figliuoli,&foggiagati, &
vinti i lo- ro nimicijondclapaccpublica regnaua: quando fi feo-
priua qualche tradimento òcogiuratione contro all lm perio,& quando
egli era abbondanza di grano, ò le naui cariche di quello, & d’altre
mercanzie arriuauono al portod'Oftiaàfaluamento. FAVSTINA. BRONZO.
BRONZO CARACALLA TACITO ARGENTO. ARGENTO. wj ANTON. PIO. SEV.ERO.
BRONZO. ARGENTO. Maqucllacla vera felicità quando la Giuftitia
regna in vn Reame, laqualefa che gl'imperatori, i Rc,& le Re ^ia*
71 publichc durano Iungamente:ondegl’antichifoIeuono i Principi
dire che Giouc fenza la Giuftitia non farebbe potuto fta
reinciclo,nclaRepublicain piede pu re vn’h ora. E v la Giuftitia vna
perpetua & ferma volontà di fare ragione adogniuno, &viuédo
virtuofamente, non fare torto à perfona , rendendo àciafcuno quello che c
fuo. Della Giuftitia fono nate due leggi , l’vna publica , & priuata
Lfgg[ fUm l’altra. La publica c di por méte alla comunefalutc de-
blica&pri gli ftati,& la priuata è quella (come
anchoras’accordail uiU ‘ Iurifc5fuIto)de i particulari. Quella cóccrnc la
religio- ne, le colè fagrc,i Sacerdoti & iMagiftrati:& quella è
fon data fulla ragione naturale, ciuile,&: humana:della quale fc
piace al lettore di fapcrne piu oltre, legga Plutarco, v lutano.
doue,fcriucndo della dottrina de principi, moftra aflài: chiaramente
quantoprctioIa,fanta , Se ncccflariacofa è la Giuftitia :lacui forza è
tale, che ella regna in inferno (doue non èvirtùalcuna)quiuicflTendo cadi
gate le fcc- H » rr n:i n* DELLA
RELIGIONE leratczzc degli huomini fecondo i meriti &
grandezze loro.Quefla a Juque volcdo (colpire, ò dipingercglan-
tichija (aceuono con vna taflàin vna mano, che era la gruatMgii r ‘ tta :
& nella manca le dauono lo feettro , ponendola à intubi u federe in
vna Tedia nel modo, che l’hà figurata Hadria- Giujìitia, no nc jj c f uc
mC( J a gIi C- quelli che non hanno co- gnitione delle cole antiche,
l'hanno figurata nel modo, che fi vede hoggi, cioè con la fpada & le
bilancic,che fono propriamente le infegne,con le quali foleua l’Equi- tà
cflèrcdifcgnatadagl’antichi. TIBERIO. BRONZO BRONZO ADRIANO- ALE X.M A M M
E A. ARGENTO. BRONZO. Che l’Equità folle dipinta nel
modòdettodi fopra,& E ^in luogo dilpadacon vn corno d’abbondanza, li vede
ta. per le medaglie di Gordiano & di Filippo, non altriméti che
fi folle in limile modo il fimulacro della Dea Mone rain quelle di
Collante ,& di Diocleciano,con lettere, che diccuono, sacra moneta
avgvstorvm et nontuf CAESARVM NOSTRORVM. fr< GORDIANO. ARGENTO FILIPPO
BRONZO «MITCJb MS COSTANTE. DIOCLETIANO BRONZO. MED. D I T.
ARGE N Volendo t»TlmpcracoriRomani dare cimorc ài talli
£!$Z ficittori delle mon'ete,hlccuono in quelle (colpire le ima perfori
f, inj lorojconfidciando che non e cola che piu ìmpedll- ZX. ca l'abbondanza
de iviueciin vna -Città, quanto la mo- ‘ inugini nel nc
rafalfa,aftcncndofi gl'huomini forcOicn di portami u lormonc ^ j oro mcrc
hantic:chec pure vn peccato troppo cnor-
me,chcgrhuomlnifalfificatori(portando fi gran danno all’vniuerfale per
vno vtile particularcjcorrópino quek lo che -irJP» DEGL’ANTICHI ROMANI u*
Io che l'ingiuria dei tempo, nela terra, ne il fuoco non hanno
potuto ne {apuro guaftare.Et di qui nacque chei rrimuin Romani crearono
tre huomini,da loro detti T riumuiri, * te mone- fopraie monete con
autorità di fare battere oro, argéto & bronzo, come fi vede per le
medaglie di Celare Dit- AVGVSTO BRONZO. L'officio di Macftri
delle monete era di guardare,& fa reproua selle erano di buona
lega, prima che farle fta- pare,& poi ch'elle erano battute, selle
erano di pefo : on- d’io penfo che Aùgufto, volendo che quella buona
vfim za fi mantcneflc Tempre conia maelHdcirimperio Ro- mano, ^erò
lafirinflè a i Triumuiri delle monete quella autorità accompagnata dalla
poflànzade Tribuni, co- me fi vede perle medaglie battuteda M. Saluto
Otonc, CaioPlotio Ruffo, &diuerfi altri. UO della
religione AVGVSTO. ' BRONZO. BRONZO. Trouanfi anchora
molte altre medaglie lenza l'ima- ginc d’Augufto,per le quali fi conolcc
quello edere vc- ro,chc noi habbiamo fcritto qui di fopra,&maflìmc
per lcparole,chc accompagnate d’vna corona ciuica, dico- no,
avgvstvs tri bvnitja pot est a t e. & dal- l’altro lato , AERE,
ARGENTO, AVRÒ FLAVO FERVNTO AVGVSTO BRONZO. BRONZO. Pc l'cr i quali tcftimonij chiaramente vergiamo
che tale autorità di fare battere monete , pcfarlc,& e {lami-
narle, apparteneua anticamente à i Tribuni , & mafiì- tnc che tra le
loro leggi fi trouano fcrittc cofi fatte pa- hrggi (fr role, TRIBVNI SVNTO
DOMI, PECVNIAM PVBLI- ttnuirali. CAM CVSTODIVNTO, &! più baffo, AES,
ARGENTVM, AVRVMYE PVBLICE SIGNANTO. Erano tutti huomini da
bene & virtuofi quelli, à qua • li gl’imperatori concedcuono cofi fatto
Magiftrato, con pcrmifiìoncdi fare mettere nelle medaglie i
nomi> loro, per piùficurtà delle monetc,& perche il popolo
conofirefie quando &fotto quali huomini erano fiate battute.Pur
nondimeno mancò col tempo ( come fan- no tuttel'altrc^quefta buona
vfanza,& pallate le meda- gliedi Claudio & di Neronc, non fi
trouò neviddepiù l’Equità dipinta con la bilancia in
mano. BRONZO. NERONE BRONZO. Soleuono tutti i buoni Principi
& Imperatori Ro- mani vifitando le Prouincic fuggette alloro
Imperio H 5 ua DELLA RELIGIONE fare lcrcparationi
per tutto doue erano neceflàrie,& fo- pra tutto liuiHtarc Je monete ,
& farne battere dcllc : nuouc per le Città principali in ogni
regione. Ciò che strabane, conferma Strabonc, quando ci dice, che i
Principi Ro- mani lèdono battere monete d’argento & d’oro nella
Luigixm- G*ttà di Lioneda quale cofa imitò Luigi mi. Impera- perutorc 4 .
tore & Principe virtuofo & bellicolb, amato da tutto il Rrdì ma
mondo, quantunque sfortunato fi trouafleneH’imprelà che ci fece in
Vnghcria. Somigliò molto quello buon Principe Hadriano Imperatore, con
ciò lìa che ei fece-* a#aiviaggi,&nominòlcterrc principali, che egli
hauc-ì ua rillaurateal fuo tempo nelle fue monetc.Et ficomei buoni
Principi Romani ficeuono fcolpirc le* infegne della Religione nelieloro
medaglie,colì quello religio- fó Imperatore mctteua nelle fue monete da
vn lato vn tempio con la figura d’vna Crocc,& parole che
diccuo- no, c hristi an a re Li ciò. & dall’altro , vna Croce
maggiore con qucllcaltrc parole > lvdovicvs impe- rator. MED. DI
LVIGI IMPERATORE 1 1 1 iT RE DI FRANCIA. ARGENTO. Non è
molto tempo éhc vn lauoratore di terranei vafo piena paefedi Lione, trouò
lauorado vnltio campo, vicino à vna tcrricciuola chiamata Anfa,vn gran
vafo di terra troultoa'p- pieno di medaglie d’argéto del detto
Imperatore, delle quali(haucdoncio vnaparte)mi e parfo non fuora'pro-
Uour ' polito di moftrarne qui di Lotto lcflempio al Lettore. MONETA
DI LVIGI IlÌL 'Mone li 4 MONETA DEL
MEDESIMO. ARGENTO. tini A' ri. CICERONE
(si veda) Volle quello magnanimo & virtuolo Principe
(coli valorofamencc operando, & facendo officio di pio &
catholico) moftrarcà i Tuoi fucceflòri in che modo fi debbe imitare la
virtù, honorare la memoria de gl'anti- chi, portare riucréza alla R
cligionc,tcmerc Dio, & ama re la Republica& la Patria: Quello,
che anchora ci ha infegnato CICERONE (si veda) dicendo, nel fuo libro
della Natura Diffinitio i- degli Dei,chc leflcrc pio none altro che la
riucrenza w dì vut*. c | ie no | debbiamo hauercà Dio, à i noftri
maggiori, ài pitturi de parenti,à gl amici,& alla patria. Quella
virtù fu dipinta da Antonino Pio in habito di Matrona, ò dona
vedoua conia fua verte lunga, vnturibulo in mano, chiamalo da i
Latini ^cerrafic dinanzi vnaltarc cinto d’vn fefto- nccol fuoco accefo
pcrfacrificare. Antonino Wt -r.'- . JWjr .
' £ -pr • Xttrr 4. onci/ ANTONINO PIO ADRIANO BRONZO ARGENTO diariamente
nel libro della Cita di Dio, dice chela vera pietà non è
altrochel’adoratione d’vnfolo Dio,creato- re del ciclo & della terra,
ribattendo & dannando l’op- pinioni de gl’antichi Romaniche
cglihauclfino inRo- ma(comc afferma Prudcntio)tanti templi
&alcari,quah indenti*. ti penlàuono edere Dij nella Naturaci che
tutta volta fivcdechcnalceuada buona intentione, facendo que- llo
per religione : della quale cofa ci fan fede le meda- glicdi Giulio
Ccfare, di Pompeo, d’Augufto, di Vclpa- ln f egntlìano, d’Hadriano, d’Antonino
Pio, & di Màico Aure- l* rtii&io- lio,pienc d’antichi inftrumenti
di religione, come d’vn cappello,d’vn lituo, d’vn prcfcriculo, d’vn
fimpulo,d’vn coIccllo,chiamatoiVr^//vr,di taze & validi molte
fort£ dequah (come cofa aliai nota) non bilognagià fare più lunga
mcntione. j GIV. ANTONINO PIO. M. AVRELIO. argento.
Argento. PtlUdioii Da l’atto pio di religione, venendo à quello che
fi Tnia. debbe vfareinuerfo i padri, noi ne faremo qui fede per
lemcdaghe di M.Herennio, che portò fuo padre Tulle fpalle,& per
quelle di Cefare,doue fi vede Enea, che fi- milmente portò Anchife nel
medcfimo modo, portan- doin manpil Palladio di Troiarondc
Vergiliolcrifle, ^At t>w ^ÀeneAs. M. HE- DE GL'ANTICHI
ROMANI. M. HERENNIO. GIVLIO CESARE. ARGENTO. ARGENTO. Quello
medefimo ateo pio pare che habbia concefi. Co la Natura infino à
gl’animali bruti, onde veggiamo che la Cicogna fofticne & nutrifee il
padre & la madre vitti di u nella loro vecchiezza: Cofa da farebene
arroflìre , & c,f0 £' w * vergognare gl’ingrati, che rendono male per
bene ài loro benefattori:& da fare adirare infino à Dio, al
quale temendo anchora di non difpiacere i Romani, fi vede vieti di
che fumo amorcuoli & grati fimilmente ne i proprij fi- «<« » nfa
gliuoli,& maflìme Antonino Pio,nel rouefeio d’vna medaglia, nel quale
fi vede la Pietà con due figliuoli in braccio, & due altri ài
piedi:Et nelle medagliedi Domi- na, & di Sabina moglie di Traiano fi
vede anchora la Pietà figurata in diuerfe maniere. Anton.
AV ÌJÌ3K fcl & * l»,° ì'r* iz* ANTON.
PIO. M. AVRELIO (ANTONINO (si veda)) BRONZO. DOMITI A. ARGENTO.
ARGENTO. SABINA. bronzo.
.Tv DE G’LANTICHI ROMANI. izp Per le medaglie
battute di Titofigliuolo di Vefpafia - no, fi vede la Pietà che mette
inficine d’accordo i duo fratelli Dominano & Tito, dandoli la mano
l’vno ali ai tro,pcr mofirare l’amore, il quale debbono duo
fratelli portare I’vno all’altro. TITO. BRONZO
ma. Vlinio. CLEMENZA. Era il tempio della Dea Pietà in
Roma, fatto da At- t mpio di tilio fulla piaza,douc era fiata la cala di
quella figliuo-la, che haueua già dato la poppa à Tuo padre in prigio-
nc,conIafua fiatuachcriprcfenraua latto piccolo vlà- to da lei, & col
quale(comcdice Plinio) non fi può fare comparatione alcuna.Et perche
dalla pietà nafee lami*. fericordia& la clcméza,hò giudicato. non
fuora di pròpofico accópagnare con qucfti eflcmpli la cella di Giulio
Celare(comc quello ched’humanicà&di clemenza pafiò tuttii Principi
del mondo) ftampatain vna meda- glia di Tiberio , aggiugnendoci vna
Temenza antica degna d’efierclcritta con lettere d’oro, fi come era in vn
BcUifiima marmo, che diccua ,nihil est qvod magis ftntmùu
I 1 DECI AT PRINCIPEM QVAM LIBERALITAS ET ole
menti a. Etnei vero, non è cofa nel mondo piu E retiofa & piùconueneuoleà
vn Principe che la liberata & la mifcricordia. TIBERIO.
BRONZO. VITELLIO. ARGENTO. Da quelli atti pij inuerfo la
rcligione, il padre, la madrc,i parenti & la Patria,proccdc poi l’eternità
de nomi di coloro, che fono fiati tali,fi come ci hanno dimoftra-
to i Romani per ifimulacri delle loro vcttoric, perle fcftc & giuochi
fccolari, penanti magnifichi & ricchi templi &cdifitij, ne i
quali faccuono fcolpirc f Eternità come vna Dea in habito di matrona, con
vn’hafta nella man dritta,& nell’altra vn Corno d'abbondanza, &
il pie manco (opravnglobo.Alcuni altri l’hanno figura- ta con due
teAe in mano, fi come fi vede in vna meda- aliad'Hadriano, °
Tito TITO VESPA FAVST1NA.rii. Et Filippo Imperatore riprcfentò
l’eternità ne i fuot giuochi Secolari fopra vno elefante^ quale
fignificaua vna longa & cjuafi eterna vita. I Romani la
difpinfero con duo elefanti, & alcune volte conduolioni
cnetira- uono il cirro de glImperatorc> o Imperatrice eh
crano> fiati deificati. W I x TERRA. Gl'
titubi ftcnficaut noi la ter- T4. :
TJt GIVLIA PIA FILIPPO. E certo,cofa molco difficile
(confìderato il numero fìgrandedcgli Dij antichi) di potere crollare Je
meda- glie àpropofito di cutrùpurc fermando la mia imprefa, io m
ingegnerò di ripreientarci tutte quelle, nelle quali furono figurati gli
Dij.ò Dee à modo loro, che portor- noqunlche vrilcalIJuimana natura, come
la terra, alla qualcfc ono vn tempio, & in luogo che a' glabri
Dcifà- crificauono con l’inccnfo J & altri buoni odori, à
quella fàceuono fàcrificio de femi, eccetto che delle faue, &
al- tre colè aromatiche : là onde per la medaglia che fece
ftamjxtrcCómodo in honorc della tcrra,fi vede che ei la fece a giacere in
terra mezza ignuda , come cola ftabilc con vn braccioappoggiato (opra vn
vafo,dcl quale efee vna vite,&con Tauro ripofà fopra vn globo
celefte, in- torno al quale fono un. piccole figure che le prefenra-
' no TvnadclTvuc, l’altra delle fpighccon vna corona di fiori, l
altra vn vaio pieno di liquore,*: l’vltimac la Vct- toriaconvnramodi
palma & lettere che dicono, te l- tvs stabilts, lignificando che
tutte quelle cofechc la tetra produce/onoper lavitadelThuomo.
MEDAGLIONE CO M MODO. Perhaucre affai
lungamente trattato delle feite Ce- C e r e* reali nel mio libro
dell’Antichità di Roma, io non nc RE * parlerò qui altrimente,
contentandomi folamétc di met tcrc innanzi il rouefeio della medaglia di
C. Mcmmio c nummi» Edile Curulc, nella quale fi vede Cerere che hà in vna
^naltQt mano tre fpighe,& nell'altra vn torchio accefo, &il pie
rc»u. manco fopra vna ferpe, con parole che dicono , mem- I 3
MIVS. AEDILI5 C £ R. £ ALIA PRIMVS F E C I .tJ Ma per altre
medaglie tanto diVoltcio,chedi Panfa, fi vede femprc Cerere con due
torchi nel fuo carro, tirato da due lerpi.Etin due altre medaglie fi
trouacon la ve- de alzata, con due torchi, & à i piedi la manica di
Tara- ti porto co tro,& nell’ altra ilporco,òla porca, che gli
antichi le fo- enrere. * Ictiono racrificare,pcrchcguada le biade: onde
Ouidio haferitro, Prima Ceres grauid* gauifaejì fanguine
porca, i Ulra fuas merita cade nocentu opes. debutiti ^
comc cra p cr mcdh d’ammazare il porco, coli era fcfo fra li proibito
d’immolarei buoi nellàcrificio di Cerere, per- Roawni. chelauorano Se non
guadano i beni della terra, onde ouidio. Ouidio xiel 1 1 1 1. de Fadi
fende anchora, kA bone fuccintti cultros remouete minijìri:
%os aree, ignauamfacrijì care fuem. lAptd mgo cern ix non efl
ferienda fecuri: ZJiuaCi&J in dura fape laboret humo. *Ve.
ME MED. h Óf>ì » » ùueihi Cerere e la Pace, con ciò
lìache la guerra porga impedimento al lauoratore di
coltiuare&lcminare i campi, eflendo conrtretto di fug- girli
&faluarc dentro ài bofchj.,0 fu per i monti i Tuoi beftiami. Quello
che Umilmente ha bene fcritto OVIDIO (si veda) nel u n. deludi Farti, doucei
dice, Pace Cerei Uta \os orate coloni. Perpetuam pacem,pacifì cum
<jue Z)eum. EtTibullo quel medelìmo nella x.Elegia>
Intere a pax ama coldt,pax candida p) Z)uxit aratura fub tuga
curila boues. Et poco piu difetto, ‘Pace bidens fornir
yue Vigent-jit trijtta Stillini in tenebra occupat arma
Jìtics. Quando gl’antichi dipingcuono la Pace col Cadu- ceo,
vi aggiugneuonolcfpighcdigranojil corno d’ab- bondanza, lignificando che
la Pace era quella,chcf ce- lia multiplicarc il grano & le frutte per
la vitadcU'hua- i , I
4 uloitioJ - PACE. L4 guerra contraria à
Cerere. OVIDIO (si veda) » ’i h t%J*v
Tibullo» BACCO. Il buco fi reificato, Bieco. mojondc
il raedelìmo Tibullo nella x.Elegiaparimen- tc dille, irnobispax alma
y>eni,Jj>icdmejue tenero, ‘P erfluat pomis candidai ante [mot.
OTTO. ARGENTO. VESPASIANO. ARGENTO. Et lì
come Cerere haueua la corona di ipighe per in- fegna,& per vittima la
T roia,colì al atdrc Libero, altri- mente detto Bacco, lì ponetiaintcfta
Ta corona d’Ellcra, & il becco à i piedini quale gl era
£acrificato,perchc gua- ita le vignc,ondc Virgilio dille,
Saccho caper omnibus ari* Caditur. Et nel rouclcio
della medaglia di Molò lì vede vn faccrdote col Tuo habito innanzi à
vn’alrarc riucllito d’vn fellone, che con vna mano tiene il Jituo,&:
con l’al- tra il lìmpulo con vn becco innanzi,tcnutoda vnmini- llro
per lacrificarlo.Etio tra l’altrc mie cofc ho longua- menteferbato vna
Corniola antica, nella quale c vn Sa- tiro , che conduce vn becco
fuiralrarc,doue e il fuoco aCccfo per lacrifìcarlo allo Dio Bacco.
Corniola CORNIOLA ANTICA. f 'Wm.
ir Ma perche di Bacco in diuerfe manicre,come
farebbe à dire, in for- e «to'. ma d'vn fanciullo che abbraccia vn
grappolo d’vue,& vn'altra volracome vngiouane co vn ramo di Pino,
nel modo che fi potrà vedere nel libro, che io ho comporto in
Latino delle Imagini de gli Dei antichi:però mi e par fo di ripreientare
qui al naturale il piccolo Bacco di bronzo,chc ioguardo(comc cofa fi ngu
la re & arti fitio* f à)tra le mie ftatuc & medaglie
antiche. l'iCLOLO MMOLACRO DI BACCO. d’antichi lo leuono
dipingercilfimulacrò . Ciltuv. il V
Vogliono gl’ancichiffigurado Bacco in quello modo)
lignificare che vn'huomo troppo fuggetto al vino,diué- ta limile à
vnfanciuIlo,chcnon fa quello clic fifa. Tro- uomi anchora due Niccoli
antichi, i quali riprefentano quello Bacco ignudo con vnbaftoncin
manometto da i Latini Tyrfo,& nell'altra vn grappolo d’vuc,&
intorno kMcIto' a ^ r,lcc *° vni P e ^ c di Tigre, animale
particularmentc Bièco. 0 4 confacraro à Bacco.Et quanto alle Baccanti , ò
Bacchi- dc,o Mimalonidcschc cclcbrauono la fella di Bacco, io ^ ne
metterò qui fotto l’eflcmpio d’vna medaglia Greca, & M ,
chegiàmi donò M.Giulio di Calcftan da Parma ,gran- - • • diflimo amatore
delle cole antiche idoue da vn laro c Bacco incoronato d HeIIera,&
lettere Greche, chedico- nó avì un, cioè libcro,& dall’altro fono le
Baccanti,chc ballano, facendo vn prclcntc à Dionifio (chccofi ancho
ra era chiamato Bacco)con vn fuoco, in fegno di facrifì- cio , &
lettere che dicono aiowvio acpds. che vuol dire, Donod Dionifio. ’.
» i ," , NICCOLI
ANTICHI. Medaglia . m MEDAGLIA
GRECA ARGENTO. E per glabri due medaglioni di Bacco porti qui di
fiotto, dequali vno e di Nerone, & l’alerò d’Antonino Pio, fi vedrano
lefefte Baccanali, &vn Bacco nel Tuo car buccmmIì. rotiraroda d ue
Pantere (animali dedicati à lui) accom- pagnato de Tuoi Satiri con tutto
il Tuo mifterio : & qualche volta per due tigri, comcdice Propcrtio ,
parlando d'Ariadna rapita da Bacco, Lynciius in c*lnm \c&d
\ArUdna. tu'u. Et per le medaglie di Filippo &di Gallieno fi
vede anchora il tigre, il qual ripreienta Bacco, con lettere che
dicono, LI BERO PATRI CONSERVATORI A VQV-sti, rimettendo il lettorcal mio
primo libro dell’Antichità di Roma, doucpiù lungamente io hòdifeorfo di a
J querti Baccanali.»V, ME 1 ’»t 4 - k V
km LIBERALITÀ. XAuitdeU Oberatiti.
FILIPPO MEDAGLIONI. NERO. ANTONINO PIO. Si come da Ccrerc
e Bacco nalce l’abbondanza d’o- gni cofa,cofi dall’abbondanza dipende la
liberalità, Dea delidcrata & cara acuito il mondo , la quale tira à
le il cuore dcH'huomo.comc la Calamita il ferro, tanto che lìnoà
quelli che habitano nelle eftreme parti del mon- do per la loro
liberalità ne vengono lodati, anchora che non lì fpcri cofa
alcunadaloro:!! come vituperati &in poca Rima fono quelli , che fono
tutti lepolti nella loro GALLIENO. BRONZO
auaritia.Là onde fé noi porremo ben mente allo fplcn- Liberalità
dorè della liberalitàdi Celare, d’Augulto, di Tito, di Vef pafiano,di
Traiano,&d’Alcflandro di Mammca, trouer rcmoch’ei dura infino a
hoggi, ne hard forza il tepo che fi fponga mai : della quale cola fé
alcuno dubicalfc, va- da à leggere Tranquillo, & vedrà come
Auguftohauc- sartorio ua per vfanzadi diltribuirc fpefl'o al popufo
Romano vnagrandiffimafommadidan«iri,dai Latini chiamata Congiarium
, da Tofeanila mancia, & dai Franccfi larghe zarlc quali quando fi
dauonoà i foldati, fi chiamauono Donatiuojcomc fi vede in più luoghi nel
libro di Taci to,douc parlando di Cefarcgiouanedice,0»^/Wr///»7^.
pulo,Z)onariuHm mtlitibus iedit.'Hc mai mancòquefio li- beralifiimo
Principe nel Tuo Imperio, che palio cin- quanta anni, di donare quella
mancia, dilhibuendot.il volta xxx. piccoli feftcrtij per huomo , altre
volte x l. & altre volte, e CL.comediceSuetonio , tantoché
non crafanciullo(purccheci pallafic xi i. anni) che non ha- ueffe
qualche colarla quale vlanza fu conferuata da tut- ti glabri Imperatori
buoni &cattiui,chc voleuonoha- licre lagratia del populo Romano ,come
fi inoltrano le Medaglie di Commodo, di Ncronc.di Tito, di Traia-
no, d’Hadriano,d’ Antonino Pio,di M. Aurelio, &: dimoi ti altri, i
quali tutti farebbono tropo lunghi à raccon- Congiario . Liberalità
di Augusto Cesare. tare. TI
IV t/i liberatiti di il. Aure Ito .
Pittiti* de U Liberati ti. TITO. TRAIANO BRONZO.
RRONZO. La maggioredillributioncnon Ci faccua croppafpcf- fò,mala
minore fi benc,comchà {cricco Succoniordalla quale liberalità cofi
vfacainuerfoilpopolo,nafceua che Ipefio finoà i cacciui Imperacori erano
màtenuti in ilia- co &difefi da lui,& da foldaci nella pacc,&
doppo hauc rcccrminaca qualche pericolofa & difficileimprefa,
nel quale ccmpoquafiordinariamcnccdauono quello con- ciario, &
faceuono quello donaciuo. Onde era le mie medaglie io in ho vna di M.
Aurclio,doucfi vede che egli baucua vlaca quella liberalità già fecce
voice, figurando nelrouefcio di detea medaglia la Liberalicà,vellita d
vna velia funga,. come falere Dee > con lettere che dicono,
liberalitas avgvsti s epti m a. nel modo che anchora fi vede nelle
medaglie di Gordiano minore, & Tacito Imperatore con altre limili
parole, cioè, li b e- RALITAS AVGVSTI T ERTI A ET QVARTA, CÌÒ
che anchora fccionoin vna altra maniera Filippo il pa- dre &
figliuolo, come fi vede per le lor medaglie pólle qui appreflo.
M.Au DEGL’ANTICHI ROMANI. M. AVRELIO.
GORDIANO. BRONZO. BRONZO. tt nella medaglia a Adriano
&: d’ Alcflandro Seuero Liberatiti fi veggono ìin.figurc, onde la
maggiore è quella dell’- dl 0 Had J]ff Im pcratoreà federe fopravna
Tedia, con vnruotolodi [miro. * carta in vnamano,& con l'altra moftra
di donare qual- che cofaà vno,chc fi prefenta innanzi àlui:la qualità
& Comma della quale,parc che fia figurata per i punti,
che fi veggono notati nel rialto doue ci tiene i piedi,! quali fa
cilmente potrebbono cflère il numero de feftcrtij:& l’altro FILIPPO
PADRE. FILIP. FIGLIVOLO. DELLA RELIGIONE trochemoftradilalire, e colui
che riceuc il donatiuo conlimaginc ritta della Liberalità da vn lato, che
tiene vn Dado in mano con limili parole, liberalità a ve v s
t i ; Dentizio- ne di nobili tì. ADRIANO BRONZO ALESS.
SEVERO. BRONZO. Ugge de Macedoni/- Ugge delle
Amazzoni, crdrglt Sey ti. Il Dado, portato dalla Liberalità,
è tanto conofciu- to,che io non ne parlerò piu oltrc,dcliderofo di
moftra- re che la liberalità nafee da nobilità di cuore: la quale
co là fola ha cauGito che i nobili virtuofi fono (lati hono- rati
comegiufo, onde c vfcitalapoflanza reale,& tutti gli altri
principati, che mediante la Giu fona & l’Equità hanno mantenuti i
loro fuggetti 3 6r quelli difelì dai loro nimici.Di qui nafee che tutti
coloro , che afpirano alla lode & alia gloria, li danno volentieri
all'eflcrcitio della guerra, per eflèrc tanto
priuilegiati:ondeiMacedonijfo leuono condannare colui àportarcvna corda
in luogo di cinturaci quale no hauefle fatto qualchccola hono-
rcuolc alla guerra. Alle Amazzoni non era permclTo maritarli , fe prima
non haueuono fuperato vn loro nimico. i
45 nimico. EttragliScyti non era lecito a perfona toccare la tazza
òvafovfato nei facrificij, che non hauc/Tc alla guerra meritato qualche
honorc. Di tutte quelle cofc fanno fedele hiftorieRomanc,douefi leggono
le qua- lità de premi) che fi dauonoà coloniche haueuono fat-
toqualchc fcruitio alla Rcpubl.come erano le corone c " 0 "'
ciuichc,Ie trionfali,Ic murali, & le nauali,infieme con ti- KomLi.
toli,cpiteti Sellarne, che fàccuono fede della virtù loro: onde non c da
marauigliarfi,fe Roma venne in coli fat- ta grandezza, poi che di grado
ingrado dTaltaua & ho^ norauai Tuoi foldati, fino alla dignità
dell’Imperio,& il Confido ò Imperatore riftoraua il buon foldaco con
ca- tene d’oro,maniglie, corone, & ricchi fornimenti dica-
ualli,fi come moltra vn’Epitaffio che fi vede in Turino, inoltratomi già
dal Symeonc,il cui tenore è quello, C. GAV IO L. F.
STEL. SILVANO PRIMIPILARI LEG. Vili. A VG. TRIBVNO
COHOR. II. VIGILVM TRI B V NO COH. XIII. VRBAN. TRIBVNO COH. XII. PRAE
TOR. DONIS DONATO A DIVO CLAVD. BELLO BRITANNICO TORQVIBVS ARM1LLIS
PHALERIS CORONA AVREA PATRONO COLON. D D Et
fi come dei buoni Temi nalcono anchora i buoni frutti, cofidegli huomini virtuofinafconoinobili,
purc che fianoeflercitati nelle lettere cneH'armi:lequali quado fono
accompagnate infieme, fanno che la nobilità fia K CICERONE (si
veda). Dichiaratione delti nobiliti. Tlinio.
Cornelio Nipote. Tullio.
luuenale. Annotile. perfetta & duri fiempiternamentc. Stimauafi
amicameli te la nobilita che nafceua dalla gcncrofità del
fanguc,di- fcgnata da Cicerone nelle fue Topiche à qucflo modo, C
tntile s fune, qui inter fe todem nomine funr, quia! ingenui s oriundi
funr quorum maiorum nemo feruitutem feruiuit,qui capire non funr
diminuti. La quale definitionc dice Tul- lio edere nata
daSccuolaPontefice,&io l’hò intcrpreca- ra in quello modo, Nobili
fono coloro che ha no vn me • defimo nome, che nafeono di padri &
madri liberi, glan tichide quali non hanno mai fcruiro,nccambiato di
(la to,conciò fia che la mtitatione faccia perdere la nobili- ta
& la gctilczza , la quale gl'antichi riprefentauono per
leimaginijdaloro portate nelle pompe funeralide loro maggiori, come
recita Plinio nel xx x ix.librodeUHiflo' ria naturale , Se Cornelio
Nipote nel libro de gli Huomi ni illuflri.il quale parlando di Portio
Catone òìcc, Imago buius funeri* grati* producifolet. Della quale
oppenione canchora M.Tullio, Se gl’antichi chiamorno tali ima- gi
ni Stemmata, come fi vede in lu uenale, quando beffan doli di tale
nobilita fienza l’operc nobili, dice. Stemmata quid ' fucilanti
quid prodejl Pontice longo Sanguine cenferifè) pt&os o fendere
vultas Jrfaiorum?& fante s in curri! us ^AemilUnosI Ariflotilc
nondimeno nclv.libro della Politica dicc,che nobili fono coloro, i preccfTori
de quali fono flati, ò ric- chi,ò virtuofi:effcndolc ricchezze neceffarie
per foccor rere la Rcpnblica,&vfiarelalibcra!ità, la quale fenza
la ricchezza non può flare.Etfc qualcuno domadafleche differenza c
tra la nobilita d’AriflotileSr di Sceuola, tifi- pondo, che Ariflótile domanda
la ricchezza, & Sceuola non: nonrattclochc la nobilita
può viucrccon la pouertà: benché col tempo poi(volendofì palcerc di
quello fumo di direche fono nobili) fi muoiam di fame : onde nafee
che gli antichi faui hanno Icritto che la vera nobilita condite nella
virtù,comc quella, alla quale non può mai mancarc:& quello è quello
di che ragiona luucnale, dicendo: Tota licet Veteres exornent
indizile cera tria:nohiliras fola efyOtque Vmca v ireos.
Conciò lìachcl’huomovitiofocheprcdicalafua nobi- lita, mediante i
fattidefuoi antccclTori,condannafeme- delìmo,non fendo egli
virtuofo,& lì può dire di lui quel locherifpofe Anacarfeà vn’altro
che lo chiamaua bar- Rìjpofta baro,& nato nella Scytia,chc fu tale,
la mia patria ****&& COME BARBARA MI ARRECCA QVALCHE 1
N- f AMIA, MA TV FAI D 1 S HONORE ALEA TVA che e' tanto nobile
et c e nti l e. Circa che bifogna conchiudere che la vera nobilita c
quella, g* che procede dalla virtù propria, nel modo cheproua
Boetionelm. libro di Confolatione,doucei dice,^?#^ Jì quid ejl in nobilitate
bonumjd arhitror effe folum,vr impo- rta noi? dii us necefuudo vide a
tur, ne a maiorum V ir tute dege- nerent. il quale propofito feguita
dicendo, TJmu enim rerum pater ejl, XJnus cuntta
mmiBrat-. J Ile dedir Tinello radiati Dediti cornua
Luna: 1 He h ornine s & ferri* Omne liumanumgenus m
terris Similifurgit ah or tu. K i i 4 »
Dedit fè) fiderà Calo: Hic claufit membri! animo s
Celfafedepetitos. Mortale! igitur cunBos Edit nobile
germen. Quid gentts féj proauos Jlrepifù ? Si primordia
'vejlra ^yiutorénujue Deum fieftes, Nullus degener exrat
, Ni 'finn peiora fouens ‘Propriumdeferat ortum.
Parmi d’aucrtirc qui il lettore della differenza eh ed tra nobile
& generoforcon ciò fia che A riftotilc nel principio dell’Hiltoria degli
animali,fcriue che nobile è quel ladifftren lo che c nato di buona razza,
& colui gencrofo che non ** traligna dalla fua razzala buona , ò
cattiua , allegando fccrii gt l'eflcmpiodcl lupo& dcllione. Il
lupo (dice egli) farà ne ^[ 0 '. chiamato generofo, ma ignobile.Gcnerofo,
perche non deihpò ©• digcncra dalla fua cattiua razza:&
ignobile perche egli e ieliiooe. nato di cattiuo feme.Ma il Itone lì può
dire nobile & gc- nerofo inficme.Nobilc,perchcè vfeito di buonfeme,
& gencrofo, perche non digcncra dal fuo femeronde nafee che fi
comclc virtù dell’animo meritano d’eflcrc lodate con parole, l’opere
virtuofe richieggono d’cficrc hono- ratecon i fatti.Cocludédo chcegli è
impoffibile che vn principe, fia gràde quato vuole, poffa nobilitare
vn’huo- mo che vuole edere villano : laqualc nobilita ci ha aliai
bene dichiarata in vna fua medaglia Antonino Gcta, figliuolo di
Seuerojhaucndo fatta dipingere la nobilita inhabitod’vnaDonnada
benc,conlofcetrro nella mano dirirra. & nellamanca il fimulacro di Mincrua,
per inoltrare chelarmc& lelcccerefonoduccofe ccccllcn-
'ti/dallcquali debbe Tempre eflcrc l'huomo nobile ac- compagnato. GETA O natura
tegli huo.miiu e la no - genio» pinta conieruata&.crc(ciuta, però non
fàràimpertintn- tetrattarc anchqra qualche colà dello Dio di Natura,
G°iró d io chiamato dagl antichi Genio, & il quale ftimaronopa-
dredegli huomini,& figliuolo diDiorpenfandoncllalo ro rèligiòncehc
ciafcuno haueffe particolarmente vn ge nÌGk& vno intelletto diuerfo
Se propriojcomc lì vede per la medaglia di Nerone, nella quale òlcritto,
genio a v- cvsTijin quelle d’AntoninoPio, genio senatvs, in quelle
di Collantino, genio pop vii rom ani^ in quelledi Claudio, genio
exerci t v vMrfigù- randolo mezzo vcllito& mezzo ignudo, con vno
altare ^io. innanzi A: yiì fuocojvna tazza nella manodiritta, & nel-
,• - ;; » j l’altra vn Corno d’abbondanza, nel modo che Thà dipia to A m
rhi ano Marcelli no nel xxv. libro che egli ha fatta 'di Giuliano
Imperatore.. K •n ANT. PIO BRONZO NERONE BRONZO COSTANTINO CLAVDIO
Scriuc Ccnforinoncl libro da lui fatto De die nautiche (ubico che noi nasciamo,
noi fiamo accompagnati da vngcnio, chcciconducc,guarda & non mai ci
abbati donna. Altri hanno detto, & maflìme Fiacco nel lib.chc
lares. cilafeiò à Ccfarc de lniigitdmtntìi>che Lare & Genio era b
KtUde. no vnamedefima cofa.Et Euclide vuole che ogni huo- mohabbia due
Lari, cioè l’vn buono & l’altro catriuo, chiamado il buono
Larc,&: il cattiuo Lemure, come noi hoggi anchora diciamo buono
Angelo & cattiuo;à pro- { jofito dei quali Icriuc Plutarcbo
nella vita di Bruto } chc a notte mentre che ci penfaua con vna lucerna
accerti alle facccdc della guerra jgl’apjjarfc vno fpirito in for-
ma d’vna perfona tragica, & più grado che il naturateci quale fubito
domandò Bruto (comehuomo intrepido che egli era)chi egli folle , ò quello
che ci cercaflc , & che quello rilpofc,Io folio il tuocattiuo Genio,
il quale tu ve drai à Filippo:di che non punto fpauctatoBrutogli dif-
fe,Adunqucti vcdròioinquelluogoul che auennepot innanzi eh’
eimoriflc:& di quella mcdelima oppcnione fono flati & fonoi
noftriTcologi, cioè che noi flamo Tempre accompagnati (cornee detto) da
vno Angelo buono, che ci guida al bcne,& da vn cattiuo, che ci
mena al male.Platone parlando di Socrate loleuadire,chein lui era
vno fpirito, ò Genio particularc & diucrlo da glaltri-Nel tempo de
Romani non era lccito(comelcri uc il Iurifconfulto fotto il titolo T)e \
erborarti oUigationi- bus) di giurare per i Lari, ne per il Genio del
Principe, ri- putando qucfto giuramento grandiflìmo, però chefàcc-
dolo& fapendofl, erano puniti graueméte, laonde rom peuonograntichi
più torto il giuramento fitto fotto il nome d’ogni loro Iddio, che Torto
il Genio del Principe lorojlìcomehàmoftro Tertulliano nella Apologia
da lui fatta contro à i Gentili, &Ouidio parlando della cu- ra
che hanno di noi i noftri Genij,quando ci dice: Et vigiUntnoJìnt
frmper in \rbt Ldres. Da quelli Lari fuchiamato Larario quel luogo
à par- te &fcgreto nelle cafe,doue gl’antichi adorauonoiloro
K 4 >5* Lare c r L( mure- Buoni
c r canini fal- liti. Genio appi rato 4
Bruto. P Ul* Difefo di giurar per il genio
de t'imperato, re trai Romani. Tertulliano. Gnidio, f$i,
Xf tjfmdro Dij domcftici & particulari,il che hà confermato
Spar- baHfMin tiano, quando nella vita d’AlelIandro figliuolo di
Mam- fui Urtino mea, dice che egli haucua nel luo Larario l’imagine
di GUfuchrf- Giefu Chrifto con quelle d’altri Dij.Ne è molto tempo
fio. che in Lione fui monte della croce di Colle fu trouara vna
Lucerna ant cadi bronzo che mi fu donata , nella quale erano fcrittc coli
fatte pa rolc, l a ri b v s sacrvm . 1 con altre più baflc,^ più piccole,
che lignificandola pu blica felicità de Romani, dicono, p ve lic /e
telici* tati ro m a n or v M,nel modo che lì vede qui di fottoi
' ~LV CE jTiTJl JL KT1 ' di H ronzo , trovata in Lione
Canno LARI B V S SACRVM P. F. ROMAN. Stima 5
r 153 Stimarono gl’antichichei Lari follerò figliuoli della iUri
pgiil Luna & di Mercurio, come fi vedeindiuerfi Autori , la «oli di
uh quale oppenione mi porge materia di parlare di Mer- curio
lecondo la Teologia de gl’antichi , che volcuonò mercv- che la ftella di
quello Pianeta facelle gli huomini elo- R 1 °* ìquenti
&grAmbalciatori,maflìmamente quando egl( stella dì èra congiunto col
Sole & con Gioue,comeper contra- rio volcuonoche ci folle dannofo
cficndo accompagna to da Martc,ò da Saturno Et lacaufa perdici Poeti
nan ilo attribuito à Mercurio Ambalciator de gli Dei il ca- duceo,
il cappello chiamato Galero da Latini, & laiicaf capo & ài piedi,
è, pcrchevolcuono lignificar, che fico- me vn’vcccllo vola leggiermcntepcr
l’aria, coli la paro- Jafàcilmcnte efee della bocca d’vn’huomo
eloquente. I Greci lo chiamornoe PMH2,cioé interprete , ò Tur-
uermet. cimanno,&Dio della Mercatura, perche le parole fo- no
quelle che fono mezzane d fare comperare, ò vende- menadi»- revnacofa.
*'• a 7 r N T O. coprilo di Plauto nondimcmo &
glabri Icmtori più antichi Mercurio hanno chiamato il cappello Pccafo,
come fi vede perle ntafo. Icntture di piu marmi antichi che dicono, cvm m
e r- cvrio petasato, volendo lignificare cheli co- me il
cappello cuoprclatcfta,cofi le parole fcruono per coprirli &
giuflificarlì contro alle falfc calunnie degli huomini maligni &
inuidiolì. Altri hanno detto, che quello cappello lignificauache vn buono
Ambafciado- redoueua goucrnarli nelle fuc faccédc fegrctamente:&
il Caduceo che Mercurio ha in mano,Ia pace che il piu delle volte lì
tratta per mezzo d hu omini eloquenti, co- me lì vede in diuerle medaglie
de glantichi. VESPASlANO. FOSTVMO. ARGENTO. BRONZO.
ylìnio Della lignificatione delle dueferpi intornoai Cadu-
ceo ha Icritto Plinioallài diftefamentc,& però io (come cofa fu
peritinola) rimetterò il lettore à quella lezione: & pcrfaperncla
fauoIa,àHiginio, il qualenel Tuo libro t adirò in Agronomico ha
fatto il medelìmo, confermando che f'gnadip*- J Caduceo fu concedo à
Mercurio in légno della pace: " la i 5f la quale
volendo dipingere gl’imperatori nelle loro monete, &moArarecncei
n’erano flati autori, faceuono battere nelle monete la Dea di Felicità,
con vn Caduceo peuci- invnamano,&neira!travncornod’abbondanza,figni-
T A ficandochc nella pace publica non fi (ènte careflia. GALBA TITO BRONZO.
BRON ZO. Ne i Comenrari j di Celare fi troua fcritto che i Fran-
ccfi adorornoMercurio/rome inucncore di tutte Farti, & guida de
camini , (limando che egli hauefle gran pof- fanza per fare ricchi i
mercanti, ciò chcconferma Plinio nclxxxnii. libro dellHiftoria naturale,
parlando de coloflì&ftatue antiche, & doueei dice, che
Scnodoro haueuanel Tuo tempo Superato in grandezza di fiatue tutti
glabri fculcori,haucndo inx.anni fatto in Auuer- nia quella di Mercurio
d'altezza di c c c c. piedi.Solc uonooltreàqucflograntichi attribuire il
galloà Mcrcù rio,figni beando che i mercanti debbono edere vigilati
ti&folliciti lamattinaàbuon’hora, volendo arricchire &farc bene
le faccende loro. Tra le mie pietre antiche, io ho
Mercurio dorato da franctjì. Plinio.
Scnodoro fcultor ec- ctUauifii. mo. Statua
di Mercurio fatta in AuMernia. ij<r io Ho vn Niccolo
&dùe Corniole, ncllequalrfono le fi- gure di Mercurio. Nel Niccolo fi
vede con vna boria in mano,& nell’altra il caduceo. Et nella
Corniolaàfc- dcre fopravn granchio marino: con il caduceo in vna
mano, & con l’altra tiene l'vno de piedi del granchio; col cappello
in tefta.Per Mercurio c fignificata la paro Ja,& per il granchio, che
i mercanti non fi debbono af- frettare nelle parole, ne (penderci loro
danari fenzacon fidcratione. I fi s /
* < /.r V i >
7 Sono (lati alcuni altroché hanno detto che l’eloquen zà fu
attribuita à Mcrcurio,pcrelfere (lato ii primo che haueua ordinate &
meflè le parole inficine per ifprime- fei concetti della mente, deformare
vna bella oratione, ncceflaria à gl'Auocati & Procuratori , &
pero dille Vi- truuiocheil fuo tempio lì doueua edificare preflò
alle piazze. Grande fu certamente la curiofità &
fupcrlìitionc de gl’antichijvolendoche Gioue finalmente fignificaflè
il ciclo, &Giunone l’aria, per cflerecofi vicino l’vnoallal-
tro:Nettuno il mare:&Plutonela terra, 8c che la mo- gi ie di Netruno
folle Salaria, & quella di Plutone Profcr- 1 >ina,fi come
Giunone di Gioue, alla quale attribuirno a cura delle Donne
grollèjinuocandola in quel tempo cheell’crano vicine à partorire , &
poi che il figliuolo era nato (come Diodoro afferma) lalciandone la cura
à Dinna,ncl modo che fi può vedere per l'hynno fatto da Callimaco
in honore della Dea. Et quando le Donne Romane che non
potcuonoingrauidare,voleuono ha- uere figliuoli,cllc andauono al tempiodi
Giunone,chia mata Luci na,douc llaua vn facerdotc detto Lupcrcalc,
che fattole fpogliare tutte ignude & dillcndcre in terra, le
pcrcoteuacon vna sferza fitta di cuoio di becco,co- me fi vede per le
medaglie di Lucilla : ne i rouefei delle quali fi vede Giunone à federe
in habito didonna ve- douacol fuo lecttroinmano come Rcina,&
nellaltra vna sferza & lettere che dicono, ivnoni
lvcinae. Lucilla Menurio Dio
d’rioquenza. Vitruuio. GIVNONE. Giunone *
- iutrice de le dine gr 4 uide. Diuotione
de le donne Romane 4 Giunone Lucina DELLA
RELIGIONE LVCILLA BRONZO. BRONZO cerimonie Quando quelli facerdoti
Lupercali corrcuono per dt faccrdo- mezzo le llradc, erano tutti
ignudi,eccctto le parti vcr- t« Lupcrca- g 0 g no f ejC h c erano coperte
di pelli di beccbi,llati faenfi cati fu l'altare di Giunonc.Et delle
coreggie che haueuano Era pure grande quella luperllitionc chele
Donne Romane pcnlalTino (clTcndo coli battute da i sacerdoti di
Giunone d’hauereàingrauidare,&chc la felicità piu grande era di hauer
molti figliuoli, come fi vede perle infraferittte Medaglie.
FA V S T I N A. GIVLIA M A MME A. ARfitNTO. BRONZO 155
no in manoandauono pcrcotcdo le mani delle Donne che le norgeuono loro
per ingrauidarc. Era qucfto luogo chiamato Lupcrcale nel palagio di Roma,
& de- dicato allo Dio Lupino, chiamato altrimenti daiRo-
maniPan Lyceo.Pcròchequiui haucuono già- poppa- tala lupa Romolo &
Remo, come moftrano le piccole imagini Fatte di bronzo, che hoggi anchora
fi veggono in Campidoglio , & le molte medaglie di Confoli
& d’imperatori. ME DAGL ÌE Di' D io lupino ò
nero, Pan Lyceo.MEDA. DI SESTO P lOmI l(Zo
DE LA RELIGI ONE DOMITI ANO. HADRI ANO. Fu
Romolo di poi la Tua morte conlagrato & meflo nel numero de gli Dei,
come fi vede perle medaglie d’Anconino Pio, nelle quali è Romolo veftito
come vn Marte,che tiene da vna mano vn’hafta & dall’altra vn
trofeo fullcfpallc con quelle parole , romvlo avg. ANTO N I N G~P
To. BRONZO. BRONZO. La lini plici ta degl’antichi fu tale, che
non badando roma. j oro j iaue r C deificato Romolo, fcciono
anchoradiuerfi templi à Roma, & la chiamorno Dea, dipingendola
vna r volta DE GL’ANTICHI ROMANI, k;i volta vcttoriofa con vna
hafta in vna mano,& nell altra vna vcttoria che l’incoronaua di lauro
, & altra volta con vn globo, in fegno della Monarchia,& limili
paro- le* r o m ae AETERNAE. NERONE.
ARGENTO. FILIPPO. ARGENTO. Roma eter
no. Et nelle medaglie di Malfientiofitrouano Umilmen- te più templi
dedicati i Roma eterna, la quale i lèdere fopra certe infegne
militari,&convn morrione in tcfla, hi in vna mano lo ficctcro,&
nell’altra vn globo, che ella prefenta all’Imperatore coronato d’alloro,
lignificando che egli era conferuatore del Mondo, come fi vede per ni ff
entio vna Prouincia foggiogata che ei tiene fiotto i piedi , il
‘onferu*- dardoche egli hi in vna mano,& dell’altra piglia
ilglo bordino con la fiua corazza & mantello militare , &
lettere intorno che dicono , conservatori vrbis AE T E R N
AE. \C l MASSENTIO BRONZO. BRON ZO. Vcfpafiano
fimilmcntcfccc (lampare nelle Tue meda SdTRoM gta Roma con vn celatone
incapo, la veflecinta, mez- nrOr meda- za ignuda, lo feettro in mano, gli
(liualetti in piedi , col glie di ve- Teuero prediche havn giunco in
manovella appog- frajìin 0 . gj ata ( a f cttc co ijj ? lettere che
dicono , Roma.Ec nelle medaglie d’Hadrianofi vcdeconvn ramo d'allo-
ro nella mano manca,& nell altra vna Vetcoria con vn globo fotto i
piedi. VESPA’ iiti M. AVRELIO ANTONINO (si
veda) BRONZO Mentre che io fcriucuo quelle cofc,mi fu donata vna KmJi. 4
medaglia di bronzo, nella qualeda vn Iato è la teftadel Sole,&
dall’altro vna Luna convn globo, & due (Ielle r opra,con lettere
fottoche dicono, Roma, lignifican- te le vectorie & fatti de Romani
rifplcndeuono, co- ll Sole per tutto il mondo, &erano (àliti (ino al
cielo. ITALIA. MEDAGLIA DI ROMA? BRONZO. Non
ballando à i Romani haucrc figurata Roma in tanti modijfcciono quel
limile d’Italia, coronàdola co- me Reina del mondo à federe fopra vn
globo (Iellato, & mezza ignuda con vnofcettro&vn corno
d’abbódan- za,in fegno della fertilità del paefe d’Italia, come fi
vede nelle medaglie d’Antonino Pio. ANTONINO PIO.
BRONZO BRONZO. Volendo à pieno narrare le Iodi di queda
Prouincia, noi ci diuertiremo troppo dal nodro intento principale:
Pur DEGL’ANTICHI ROMANI. i<r 5 Pur nondimeno non
lafciercmo di recitare qui quei yerfi che il Petrarca , tornando di
Proucnzain Italia, Pt(Wrt , cantò arriuato falla cima del Mon Gencua,in
quello modo, Saluecard T)eo tellnsfdnBifimd ftlue, Teìlus
tuta honis } teUus metuenddfuperbis » Tellus nobilibus multum
genero f or oris . Ne manco voglio lafciare in dietro che Collanti-
no Impciatorc fece battere medaglie di bronzo in Ro- ma,nelle quali da vn
lato è la lupa che lecca Romolo & Remo mentre ch’ci la
poppanoj&rdall’altro la Tua te- tta. Et in Collantinopoli Umilmente
dipoi fece batte- re monete d’argento & d’oro con la Tua tetta ,
& lettere che dicono, constantinopolis, lì come in quel Jc di
Roma haueua metto, vr b s koma. Ver fi iti Vttrarcd in lode
i'itn- IU. COSTANTINO. BRONZO.
ARGENTO. ScriueStrabone(parlado d’Italia) che in quettaPro- uincia
fitroua il temperamento dell'aria migliore che in altro
luogorl’abbondanza delle fontane & de bagni ft «* falubri,per
Jacommodità&fanità dell'huomo, i frutti i L 3 buonijc mine-di
cuttii metalli, & marmi di diucrfi co- ìtJid gU lori, onde non fcnza
ragione, è ella Hata Regina del rtgin* del mondo , producendo tutte le
cofc neceflarie alla vita mondo. humana:huomini eccellenti ncllarmc,
& nelle lettere, nella pittura, (cultura, architettura, & in
tutte lecofe più rare&fingulari,lc quali con molti libri farebbono
an- chorain piede, fe la maladctta & barbara natione de Gotti,
non l’haueflc tante volte corla & moleftata.Ma perche di fopranoici
trouiamo hauere aliai ragionato vetto- delle Vcttorieicolpitc per tante
medaglie, non faràfuo- radi proposto (feguitando il fubietto della noftra
ma- teria) di (criucrecomeanchora quella fu da gli antichi riputata
vergine & Dea, & fattili più templi nella Gre- . pittura del
cia,douc (comefcriucTaufaniaró^tf/Và) ella fu adora- la vetto-
figuratacon l’alie,vna corona d’ Alloro in vna mano,& nell’altra vna Palma,
’& lotto i piedi vn globo :an- chora che Domitiano la facelTc
dipingere con vnCornocopia,fignificando che dalla Vettoria nafee l’abbondanza
delle cofc. DOMITIANO. BRONZO. BRONZO. ic 7
tc perii rouelcio della medaglia d’argento diL.Hoftilioli troua la
Vettoria figurata con vn Caduceo in vna delle maniche lignificala pace di
Mercurio, Se ncL- l’altra vn trofeo delle fpoglie d i ninnici ,
modrando-chc la guerra & la Vertoria apportano la pace. JL.
HOSTIL1O. ARGENTO. DOMITIANO. BRONZO. Ma Tuo Imperatore la
feccfcolpire nelle fue meda- vittore del glie d’argento con vna palma
& corona d’Alloro fenza 'alimonie quellochc no voleua chcella
difpartiffc mai da.ìui: Se co fi la dipinfero gli Atenicfi (come dice Pausania
nelle fue Attiche) per quella medefima ragione. VÈSPASIANO. TITO VESPA. L
# ics Labaro in l cm,c medaglie doro io n’ho vna
d’Auguflo,’ ftSM pria- nel rouefeio della quale e vna Vetcoria
Copra vn globo cipde de & l’alie aperte per volare, con vna corona
d’Alloro in ri«per<- vna mano ^ nell’altra il Labaro, infegna dcll’I
mperatore,che i Franzefi Hoggi dicono Cornetta, folita por- tarli innanzi
al Principe, quando in perfona fi trouaua alla guerra, come inoltrano le
lettere che intorno alla, medaglia dicono, i mperator c
Nella declinatiòne dell’Imperio Romano,commin-' linoni ciorno
di P oi gl’l m P cratori a fare <ii P in 8 ere l’Aquila in tT quello
labaro, come fi vede nel rouefeio della medaglia di Maflcntiojdouc
fi vede armato della corazza, & velie militare con il Labaro in vna
mano,& nell altra vn ra- mo d’Alloro,le gambe armate , & vna
Prouincia , ò ni- mico folto i piedi, & lettere che dkono, victqru
1 AVGVSTI LIBERATORI ROM ANOIVM. Bctt che dipoi folle vinto da
Collantino Imperatore , in virtù d’vna Croce , ò figlilo moftrato al
detto Costantino i<r? {lamino in vifionc , & ancho perche fu
aiutato affai i lf'g»optr da 1 medefimi Romani, & chiamato in Italia,
non potè- ^n 0 ^ Un do più fopportarela tyrannide di coli crudele
huomo. Haucndo coli Coflantino reftituito nella fua dignità
Tlmperio, fi fece Chrifliano , & volle che tutti gl abri cojUntino
adoraffino Chrilto, al quale edificò piuchiefc, & per l’innanzi portò
lemprcin tutte lefucimprcle il Labaro (0 Ui tempii pcrinfegna,di
fcarlatto, & d’oro con quello carattere» fesche non lignifica altro
fe non il nome & la virtù di christ o, accompagnata da lettere, A.
& w .cioè , che sìgnìficatio il principio & la fine di tutte le
cole è Di o, & ancho per- nf<u, “ n che i Greci feriuendo il
nome di Chrillo , cominciano per X.la prima lettera diqucllo.Onde molti
hanno er- rato intorno à quello, dicedo che tal fegno era vna Cro-
ce d’oro che Collantino haueua fatta lare partendo di Francia per andare
à combattere in Italia con Malfen- tio. Vfarono poiifucccfiori di
Collantino lungo tempo quella infogna, come fi vede per le monete di
Collante» nelle quali èl lmpcratorc armato col mantello digucr- ra,
vna Vettoriain mano, che lo vuole incoronare d’Al loro,& in vna altra
tiene il labaro col fopradetto fegno di Collantino , pofando i piedi
fulla prua d’vna galea» il tinjone dcllaquale tiene in mano vna Vettoria,
& let - tcrecbc dicono, f elix temporvm reparatio* V, L
MASSENTIO. ARGENTO. COSTANTE. ARGENTO. G'udUno
Dccentio,Coftanzo,& altri Imperatori di poi infino àpojìata. £
j tempi di Giuliano A portata vfarono Tempre quella inlègna&figillodi
Coftantino con limili parole, s a lvs DOMINORVM NOSTRORVM
AVGVSTORVM LVCET, COSTANZO. DECENTIO. BRONZO. BRONZO. s. a mbro-
Chetale figillo forte il fegno diChrifto , dimoftra S. I 10 '
Ambrogio nel v. libro, & nella Epiftola xxix. che egli
fcriuciTeodofioImpcratorc,&Prudétio nei Tuoi verfi àquerto
modo: Chrijhts . i 7 x Chrijlus purpureum gemmanti textiu
in auro, Signabat labarum,clypeorum infignia Chrijlus
£crip[erat,ardebat fummis crux addita crijlis. Era quello flcndardo
fatto di fcta pagonazza chermi fina con vna frangia d’oro tutto intorno,
ornata di pie- tre pretiofe,nel mezzo del quale era la Croce di
Chrifto fatea di riite uo,& nel mezzo di quella ricamato il fegno di
Coftantino, &cofi legata fullacima d’vna lancia do- rata fi portauain
tutte le guerre dinazià fopradetti Im- peratori, quali nel modo che fanno
hoggi gli ftcndardi, dedicati chià vn Santocchi àvn’altrod’alcu ne
religio iccompagnie. Ma ritornando all’imagini delle noftrc
comedipin Vettorie,dicochegrantichi ladipinferoin formad’An gclo
con l’alic,& bene fpefioà federe fopra le fpogliede torio. nimici con
vn trofeo dinanzi, il petto fcopcrto,con vna palma, &vno feudo
&paroleche diceuono,vicTORi a a vg vs ti, nel modo che l’ha
dcfcrittaClaudiano quan- cUudiano. do ci dice: Jpfa Duci
[aerai ZJittoria panderetalos, Et palma viridi gaudens & amica
trophaù. Cujlos imperij 'virgo qua fola mederii
ZJulneribuijnullumque docesfentire dolore m. Et Plinio dille, Eaborem
in vittoria nemo fentit. MEDAGLIONE DI M. IONE COMMODO.
avremo. BRON/O. Et perche la vettoria non fi può acquetare
IcnzaFati- t ° ca >f enza virtu,ne lènza forza, non farà fuora di
propofi- figura codi ragionare qui d’HcrcoIe, che ne guadagnò tante
in <l ucfto raodo > onclc » Romani volédo figurare la virtiUo
ualauirtù leuono dipingere il fuo fimulacro appoggiato fopra al fuo
ballone,& la pelle d’vn lioneauiiuppata intorno al braccio, &
altre volte tenédo abbracciato Anteo, il qua- le vccifc, come dice
Giuucnalc, - Ceraie il us ctquat H erettiti ^Anteum
pronti a tellure tenenti*. Nel quale modo lo dipinfcroanchora nelle
loro meda- glie Hadriano& Poftumio, con quelle parole, hercvli
MACVSANO, HA D. D’ADRIANÒ. POSTVMIO. BRONZO.
BRONZO. Et fi come la mazza &
in lione fono due cofc fortiflì- Pm . mc,& la virtù e fiata Tempre
figurata ignuda, come quel tribuirono la che non cerca ricchczzc,ma
immortalità,gloria,& ho norc,comc fi è vifto in vn marmo antico che
dice, vi r- U pelle del T VS NVDO HOMINE CONTENTA EST, Cofi
el’antichi volendo moftrare la virtù d’Hercole , doppo la morte lo
figurorno ignudo , con la pelle del lione & con la mazza, &. la
mazza & la pelle infiemc,comc fi ve- de per le medaglie qui di fiotto. PRIN.
Ss. JW/ »74 PRINCIPESSA DI
MACEDONIA. BRONZO. BRONZO. Q^CINCINNIO III. VIR.
AVGVSTO. argento. ARGENTO. mix* di Fu chiamata da Greci quella
mazza psrraAc*, la quale Htrcole g lamichi fpeflè volte (dipingendo
Hercolc)accompa-] Ja Greci gnorono d’vn trofeo,&Hercolecon vn
ramod’Alloro Kbopalos. nc J} a ma dritta,& nella finiftra la
mazza,& vna pelle di lione,chiamandolo Vincitore: & volédo per la
mazza anchora lignificare la prudenza, conia quale fi gouer- naua
in tutte le fucimprefe. ;; i CAN. i 75 uaif f [lor
llc<5 n» ifltf Vii CANTIO.
MEDAGLIONE D’ARGENTO. COMMODO. Apulco lo nominò cercatore del mondo,
domatore Epitetili de gl
huomini,&dclIcbeflieferoci:&:Tcocrito,occifore di lioni & di
tori, come moftrano le medaglie (lampare a puleo. In honorc fuo,ncI modo
che fi vede qui di Cotto. t tonilo. MED. GRECA. C. BRONZO.
POBLITIO. ARGENTO. | iv laVttUia i/wiv. w v< » »•»»
pelle di lione & della mazza, fu, perche in quel tempo
nons’vfauonoaltrearmijche le pelli dcgranimalifalua- tichi> per
coprire il corpo : & i baffoni per offendere i nimici, i
7 <r Arme che nimici^ vendicare l’ingiurie. Et perche Homcro con o mo
^‘ a ^ cr * P° ct * hanno fcritto.chc Hcrcolccauò Cerbe "L Suo ro
cane con tre teftejdell’inferno^crò mi c parfo non HtrcoU. fuoradi
propofito riprefentare qui appreso la figura d’vna pietra antica, fiatami
mandata da Narbona,&ri- trouata in quel tempo che fi cauauono i
fondaméti de i baftioni di quellaCittà,nel modo che fivede qui di
fiotto. S1MVLACRO DI HERCOLE ET DI Cerbcro.ririrato d’vn mattilo
antico di Natbona. “Interpretarono i Teologi antichi quclfo Cerbero
per tutti i vitij,lfati fupcrati & vinti della virtù d’HercoIe,
co me più apertamente potrà il lettore vedere nel trattato * che hà
fatto Lilio Gregorio Ferrarefe della vita d’Herco rarefi leda (fatua del
quale fu altrimenti dipinta con tre palle nella mano diritta, &nclla
manca la mazza, volendo Lffr ; wr . perle tre palle lignificare la virtù
di tre colè, cioè, lènza tudiHcrto ira,fenza auaritia,& lenza
defiderij vitiofironde ancho- k ’ ra hoggi li vedeà Roma vna fua (fatua
di bronzo con vna palla in mano trouata, non e lungo tepo,douc era
flato il fuo grade altare fulla piaza del mercato de buoi. Fu oltra
à quelfo dedicato à Hercole il Popolo albero di po o[g A fpctic di
Salicio, del quale i fiacerdoti Sali; fi faceuono ferro dedica girlandc,
volédo fare à Hercole làcrificio, come ha mo- t0 * Hfrf0 " ffro
Virgilio, doueci dice, “ Tunc Sali) ad canta inceri fa altaria
circuì n *?opuleid adfunt tuinRi tempora ramit. Soggiugncndo
altroue, Copulai ^Alcida gratif ima. La quale cofa fi conferma
ancora meglio per la me- daglia Greca d’HcrcoIe, nella quale da vn Iato c
la fua telfa coronata di popolo con la pelle di lione intorno ai
collo,& dall’altro il Zodiaco con tutti iluoi fegni , & Fe- tonte
caduto del carro del fole con ini i.caualli, la fac- cia del fole, &
lettere intorno che dicono, a’at'nata z h t n n, lignificando che ei
cercauacofc impolfibilipcr le forze fiumane.
M MED. GRECA D’HERCOLE. BRONZO. BRONZO. Fuanchoradipintoquefto
Hercole dagl’antichiGrc cicon la pelle della teda del lionc in capo, in
cambio di celata, vn’arco,vn turcaflo,& la mazza,volendo
lignifi- care che la virtù dell huomo fcrcifccdi lontano. MED.
GRECA BRONZO. D’ERCOLE BRONZO. Non V .r
,.t* mi t'W. §* T* 1
b i^v flfr m m 17
Non porto fare che (criucdo d'HcrcoIe, non mi ricor di&non mi rida anchora
della bertialità di Commodo Imperatore, che vanamente afpirando
aU’immorralita p * zz u del Tuo nomc,8,Tendo emulatore, ò più torto
iuuidiofo £ della virtù d’Hercole,rinuntiò il cognome fuo Droprio,
&della carta fua:&in luogo di Comodo figliuolo di M.
Aurelio, vollceflcrc chiamato Hcrcole figliuolo di Gio- uc:&
lartciando I'habito d’imperatore Romano, fi veftì d’vna pelle di lionc,
portò vna mazza in mano:&mefco landò le vcfti di porpora ricamate d
oro con quella altra, non fi vergognò d’vfcircin pub!ico,& mortrarfi
al popo Io per tutto, come fi vede per le file medaglie d oro,d’ar-
gcnto,& di brozo, nelle quali da vn lato eia fua iella ac- concia
come quella d'Hercolecoil la pelle del lione, & d’allaltro l’arco, il
turcaflo,le freccierà mazza, & lettere che dicono, hercvl 1 romano
avgvsto. p , MEDAGLIONE DI COMMODO. bronzo. bronzo. M
z i8o Dione. Colonie
Commo- dma. COMMODO. BRONZO. Ne
contento anchora Commodo di quello, vollc(co me ferine Dionc)eflerc
chiamato Hercolc fondatore di Roma, facendo battere monete, nelle quali
fi vedeua in habito d’Hercolc condurre due buoi, in fegno di nuoua
colonia, Scche ci voleua mettere nuoui habitatori in Roma, la qualcchiamò
Commodiana,&Cómodiani i Tuoi faldati, comefi vedepcr le lettere,
chcdicono,coLo N I A LVCII ANTONINI COM MODIAN A. & altrO- UC,
HERCVLES ROMANVS COND1TOR. COMMODO. Ma quello chein
quello moltrò anchora più la Tua pazia, furono i titoli,! quaIi(fcriuendo
al Senato Roma- nojs'atcribuiua in quello modo, IMPERATOR
CAESAR LVCIVS AELIVS AVRELIVS COMMODVS AVGVSTVS PIVS FELIX
SARMATICVS GERMANICVS MA-XIMVS BRITANNICVS PACATOR ORB1S TERRARVM
INVICTVS ROMANVS HER- CVLES PONTIFEX MAXIMVS TRIBVNITIAE POTESTATIS
XVIII. IMPERATOR Vili. CONSVL VII. PATER PATRIAE CON- SVL1BVS
PRAETORIBVS TRIBVNIS PLEBIS SENATVIQ^VE C.OMMODIANO FELI- CI SALVTEM.
Andando poi per paefe. lì faccua portare innanzi la mazza,& la pelle
di lionc , onde mol- te ftatuegli furono fatte alla fomiglianza
dell’altro Hcr cole antico.Dal quale propofìto ritornando à quello
del noftro Hcrcole vcro, & lanciando in dietro tutte le fauo-
lepcr accodarci alla verità deirhiiloria, diciamo che(lc- condo Halicarna
lTeo) Hcrcolcfu vno eccellente Capitano, il qualcardito&fauiotrouàdofi vn
efferato gagliar do, pigliauapiaccrcd’andarc per il mondo, riformando
i cattiuicoflumide gl’huomini , ipegnendo i Tiranni,! ladri , &
giada Alni coll Greci , come Barbari , & Latini: edificando
nuouecittà:& drizzando per publica vtilità (quello che è il debito
d’ogni buon Principe) i camini, & fiumi che guadarono il paefcrdella
virtù del quale, qua- tuque iohaueffi deliberato nó fare coli lungo
dffeorfo* nondimenoilgran numero di mcda^licchc iomitroua di lui,
mi conllringono,per piacere ai letterati amatori delle cofc antiche, di
leguitarc & mettere inanzi Hcrco- le,chiamato da i Franiceli
Ogmionffccondo la narratio- r. ri M 3
. rou[' r8i I nomi is-
tituii che fi duua Com- modo. Qual fu
hcrcole fe- condo li Hi fonografi. hcrcole
Gallico. l i$zne di Luciano oratore &Filofofo
Greco, il fenfo della come i Fri quale fatto prima latino da Erafmo, è
tale: I Francefi in « fi dipinfe loro lingua hanno chiamato Hercole
Ogmion,& l’han- roucrtole. n0 formato in vn modo molto nuotio &
Urano, però che ei l'hanno figurato vecchio , canuto , &
decrepito, tutto caluo dinanzi, con pochi capelli , dietro
"rinzuto, & cotto dal Sole come vn contadino vecchio, o marinic
rc,tantocheinaItracofa non pare Hercole fenon per l’habitochc ci porta,
veftito d’vna pelle di lionecon la mazza, l’arco tefo, & il
turcafiòda quale cola io harciccr tamentc penfaro che folle Hata fatta da
i Francefi in dc- Htrtolc rifione & difprcgio di quei Grcci,chc
haueuono fcritto negno^l ^ oro Hercole haueuafeorfo come virtcitorc
ilRe- f ranci*, gno di Francia, {ciò non hauclfi villo vn numero
infini- to di huomini,& di donne legate per gl’orccchicon
cate- • nuzzcd’oro,& d’ambra alla lingua d’HercoIe, lenza fa-
re non folamcntc légno d’cllérccofi menate contro alla loro voglia, &
di volere rompere i legami, ma parendo che tutti facclfinoà gara di
follccitarc il palTo piu di lui, dubitando nonrcllarc indietro, anzi
leccando lecatenc, comecola grata, métrcchc Hercole col vifo volto
inuer fo loro gli guardaua tutti allcgramentcril quale miflcrio
mentre che coli riguardato arrccaua marauiglia à Lucia no, dice che vn
altro Filofofo Francclc,ma dotto in Grcco,fc gli fece innanzi & dille.
Amico io ti voglio dichia- rare la difficultà di quella dipintura: Sappi
che noi altri Francefi non attribuiamo l’eloquenza à Mercurio, co-
me vo i a Ic r i Greci folcre fare, ma à Hercole, come qucl- édanreolc.
lo che è più robullodi Mercuriodà onde tu non «debbi marauigliarc fe tu
lo vedi vecchio, con ciofiaj che l’eloqucnza rade voice è ne i giouani,eflendo
offufcaci dalle tenebred’ignoranza,ondc la lingua de vecchi lènza
paf- jfione pronuncia più cleganrcmcnrcifuoi concerti,cncc il
lignificaco di quella pitcura, volendo inoltrare, che il parlare ornaco
li eira apprcflo le perfone perlaconue- nicnza,che
hàlalinguacongl’orecchi.Ncmcno ci debbi marauigliarc,ncbialimarc Hcrcolc,
che egli habbia la lingua toraca, conlidcrandoche noi vfiamo nelle
nollre Comedicdidire,che cucci coloro hanno bucara la lin- gua che
parlono aflai,& bene, come faceua Hcrcole:che per ciò(lecondo
l’opinione di noi alcri Francclì ) lì rcn- Hfrf0 / f dcua luggecce cucce
lenarionij&orrcneuaciòcheglipia tot fuo fcrf ccua, mediate
léfóttìliflìmc & ingegniolc ragione ch'ci
{àpcuaallcgarc,&concireperfuadercleperfone,la qua- ti™* i fe
leacucezza & foccigliczza d’ingegno c figuraca perle huom *
freccie, per l’arco & pel curcalTo:onde voi alcri Greci lo-
Iecedirechela parola c pennucacome vndardodaqua- lcinccrprecacione ci
fcruiràhora Umilmente per ilcriuc redellefrecc^&dclrarcod’ApollojCon
le quali am- mazzo il TerpencePitone,& per ciò daHomcrofu decco
L0> ^oWu^«,cioècheiciraua lonrano:&i Greci Io figu-
rornoinquello modo, come fi vede per le medaglie di Nerone, doue da vn
laro c dipinco con vna corona d’al- loro, il curcaflo Tulle fpalle &
la ftella di Febo, con lectcrc che dicono, a no a aon snrHP.cioc Apollo
Conferua tore,lì come i Greci vfarono faquila,& ilfolgorc nel
me defimoTenfo. A M 4 CLAVD. NERONE. ARGENTO. MEDAGLIA
GRECA. BRONZO. Apollo dio di [oiukori di lira. Quella
lira fu attribuirai Apollo, perche gl'antichi penfornoche cifofle Dio de
fonatori, dipingendolo ancora con i capei lunghi fenza barbala lira, & vn
ramo d alloro in mano,& vn altra volta con vna tazza & vna,
velie lunga fino à i piedi, per mollrare la fua
deità. AN I l ANTON. PIO.
CARACALLA. ARGENTO. ARGENTO. Ma i Grecigh attribuirne non
folamcntclalloro per vdHoroc 5 la fauoladi Dafne, ma per la virtù
della pianta Tempre f*sr*to ai verde, volendo mollare l'ctcrnftà del
Sole, & perche - 1 ella feruiua nella purificatone de i facrificij,
& perche la è mai touo factranonla tocca,comciha fcritto Plinio:&
pcrchcdi U f* u ~ quella s’ornauonoi turcaflì, le citare, &i cappelli
de gli L'alloro de Imperatori, quando trionfauono con vn ramo d’alloro
dic .* t0 * * in mano, onde il medefimo Plinio la chiamò Portina- ea
delle cale de i Cefiiri & de Pontefici , & nuntiatrice di \
vettoria, conciò fia chela coróna d'alloro foleua ariti- 1
camente Ilare legata dinanzialpalagio de gli Imperatori, con quella di
Quercia in mezzo, come fi vede per il tcftimoniod’Ouidio nel primo libro
del Mctarriorfo- o iddio. (co douc ci dice, *
JMediamtjtie tuebere ejuercum. Delle quali corone fi rrouano tutte
piene le monete de gl'imperatori in quello modo, < M j
v: c'n;.m r.ll.i: r.:iv i; .«•- ... otr.ooiop tic DE LA
RELIGIONE AVGVSTO. BRONZO. ARGENTO. Plinio. Inodore
di rdUoroftfc ttiU pejle. Dbterpcpà ture de U
flatua d'Ar pollo. Probo. La virtù di qucfta
pianta c tale, che fc nel tempo di peftc(comc fcriue Plinio) i’huomo
(blamente l'odora Se porta fcco,ei non può hauerc malc:&: per certo
fi legge che cflendo vnagranpeftein Roma, Commodo fi ritirò à
Laurentojcoficonhgliacoda i medici Tuoi, per cflcrc quel luogo abbondante
d’allori. Et quanto alì’imagine d'Apollojoltrc aU’arcoJefrccciej Se la
lira, con la quale lo (oleuonodipingcregl’antichi, l’Imperatore Gallieno
(volendo moftrarela (ua im prefa d’Oriéte) lofecefcol- pire informa di
Ccntauro,con la lira in vna mano, & nell'altra vna palla con quefte
parole., apollini co- miti, moftrando che egli andaua col fauorc del
Sole. Ma Probo lo dipinfc Copra vn carro con piu razzi in ca- po,
& con la briglia in mano di n n.caualli, chiaman- dolo luuitto con
quefte parole, soli invicto. Et glabri Imperatori , come Coftantino,
Aureliano Se Crifpo ftamporno nelle loro medaglie il Sole ignudo,
coronato di razzi, con vna palla nella mano diritta, Se nella DE
GL'ANTICHI ROMANI. nella manca vnasfcrza, con limili parole, soli invi-
cto coMiTi, fignificando,che con 1 aiuto d Apollo egli haueuono vinto
&lbttomeflcdiucrfe
regioni. GALLIENO. BRONZO. COSTANTINO. BRONZO- PROBO. BRONZO. A
VP ELIANO. BRONZO. Ec perche alcuni hanno detto che il tempio del Soìè
Tempio del era in forma tonda, però mi èparlbdiriprefénrarequi la SoIe
' medaglia di M.Antonio Triumuiro, nella qualeha fi- figurato il
Sole in vn.tcmpio quadrato,& accompaqnato da simili parole, in. v ir r, p.
c. cioc, trxvmvir i38 vir reipvblicae constitvendae, &dalf altro
Ia- to, MARCVS ANTONIVS 1MPERATOR. M. ANTONIO TRIVMV
IRÒ. ARGENTO. Moneta di I Rodi anidipinfono nelle loro monete
il Sole coni KodianL razzi j n capo, lenza barba, & con i capei
lunghi da vn lato, & dall’altro (colpirnovna rolà,Hora in vn
modo,& horain vnoalcrocon quelle parolcpoamN apizto- KPITOI, Se
POAION, MONET ARO PIANA. VVù OiT^ v iV MONE
DE GL'ANTICHI ROMANI. <i8j> MONETA RODI ANA. BRONZO.ALTRA MON.
RODIANA. ARGENTO. Etne roucfci delle medaglie d’oro di Traiano, Ha-
Vorlpat ' driano>& Aureliano Imperatori fi troua ( fecondo l'v-
u°mc2gul fanza de Greci) fcolpito I Oriente per la faccia del So- de
limpt- le,con lettere che dicono, oriens. Ma in quelle di ratoru
Lucio Plaucio fi vede la tetta d’Apollo accompagnara
dadueferpi,comcPythio, & nelroucfcio della medefi- ma medaglia vna
Vettoria,che tiene per la briglia i caualli del Sole. TRA Coloffo
Rodi- TRAIAN CL AVREL1ANO. ORO. ARGENTO, ' Non
erTlaTnaTa Tintcntionedi fcriuerc altrimenti del ColofTodiRodi, il quale è
la flatua d’Apollo, perche io ne haueua già parlato nel fecondo mio libro
dell’ANTICHITÀ DI ROMA, ma essendomi flato predato vn certo libro Greco
antichiflìmo, & lenza Autorc/critto a ma- no da M Giorgiodi Vauzelles
Caualierc di Rodi, ed onore della Torretta, quale egli haueua portatodi Grccia,
non ho voluto mancare di communicarc a gl altri huomini ì*r huomini quello, che io ne ho
ritratto intorno à quello, nel modo che fcguc: Tra gl’altri miracoli del
mondo (dice egli) era il Coloflo di bronzo dentro à Rodi Deferito fatto
in honorcdel Sole, da Colalìe in dodici anni,& al- todi fettanta
cubiti. La bafeche lo fofteneua era trian a. golare , & ciafcuno lato
(ottenuto da fettanta colon- ne di marmo. La (tatua era tutta vota dentro
& fatta à (cala à vite, per la quale fi faliuafinoà la
cima:&quiui erano diuerfi ftromenti, che in verfi Iambici
faccuo- no vna mufica foaue. In quella (tatua, la quale era volta
inuerfo Egitto , fi vedeua tutto il paefedella Si- ria, & i nauili
che andauono in Egitto, mediate vno fpec- chioche ella haucua legato
intorno al collo , cttcndo del retto tutta ignuda, con vnafpada nella
mano diritta, & nella manca vn’hafta lunga,tanto che la (pefa
costa ccc talenti d’oro. Aucnne di poi, che doppo cinquanta anni, che ella era
ftatafatta,ellafu metta per ter- ra da vntremuoto, che durò vii. giorni ,
& coli rotta in Mirrile piu parti (ì trouauono pochi huomini, che
potettmo ab- trmuoto ' tracciare vnodei fuoi diti grottì,& colui che
ne compe- rò i pezzi del bronzo, ne caricò 500. Camelli.Ma ritor-
nando al noftro Apollo, & alla diferenzachc egli hebbe rifiorii* con
Marfiafonatore,come ha fcritto Apulco,nel primo ** A P °£ 9 libr.de fuoi
Floridi, dico che à cottui parcua edere coli eccellente, che accecato
dalla fua infolenza , non fi ver- gognò di volere competere nella mufica
cori vntanto . v Dio,allaprc(cnza delle mule, le quali, data la
fentenza in fauorc d’ A pollo,fcciono che legato Marfiaad vno al- M
- bcro per punirlo (come ci meritaua) della fua temerità,
fiortiutt. lo (corticaflc, nel modo che ha moftrato Ouidio ne i. t:
fuoi isn . Tuoi Farti, dicendo, o uidio. ‘Prouocat
& e Phcebum i < Phxbo fuperante pependin. Cafa recejprunt a cute membra
fua. Et Nerone nel fuofuggello, del quale la figura cpofta
qui di fotto. sy OO LL LO DI NERONE RlTRATTO d’ t ma pietra
tattica. Dipingeuono fimilmcntcgrancichi Apollo accom- dtUc°Mufe
pagnato bene (peflo dalle Mule, volendo inoltrare che con Apollo, tra lui
Sdoro, è vna naturale conuentione, fi comcmo- Virgilio, rtrò
Vergilioall’horache della natura di quelle ragio- nando dille,
In medio rejìdens compleBìtur omnia ‘Phccbut. l*. ùv/è Le quali
però fumo da gl’antichi vergini figurate(coucrgini. mc h a fcritto Phumuto)
perche il frutto delle feienze « . ' nafee , 1*3 nafcc dal
giuditio dell’ingegno, & perche la virtù occul ta fi contenta del fuo
ornamento naturale: &: che l'ha- bitationc delie Mule uer i monti
&; per i bofchi,non fi- gnifica altrove non cal gli huominipiù dotti
& ccccl- imonti. lenti viuono,& vanno volentieri foli,& feparati
dalla ignoranza della plebe, (blamente (come dille il Petrar- ca)al
vii guadagno intenta, imaginandofi la (ciocca, che le lue ricchezze le
habbinoà infondere ad vn tratto la fapienza,& la dottrina nel capo ,
perii che diuenuta infolcntillìma, & volendo riprendere quei, che
fanno più dilei, rimane alla finelcorbacchiata & fcorticata, come vna
bcllia della propria pellciilqualc propofitocoti fermò Plutarcho quando
fcrilTechei templi delle Mufe non fi trouauono altrouc le non lontani
alle Citta , & a i eradichi de gli huomini plebci:& Orfeo &
Proclo ha- no voluto che le Mufe fodero le prime inucntrici della gionc .
rc rcligionc,dclla quale
ritorneremo fubito a parlare, che noi haremo inoltrata la figura del
Trepie,ò Tripode d'Apollojgià tanto celebrato & venerato da
gl’antichi. S Apollo, Di quello adunque fi vede il difegno nelle medaglie
d’argento di Vitcllio,& di Vefpafiano,& (quello che io Rimo
anchora più cofa rara) in vn dialpro rollò antico che io hò meco , douc
egli e figurato con vna cornac- a j chia,la lira,& vn ramo d’alloro,
tutte cofe conlagrate à a pollo, lui, come qui fi vede. N t>4
DIASPRO ANTICO. VITELLIO. ARGENTO. VESPASIANO:ARGENTO. Il
iimu Tf » Il fimulacro del Sole, che i Fenicij chiamorno nella
ìtsoledrt - loro lingua HeliogabaIo,fu portato à Roma dall’Impe-
latore Antonino, coli chiamato anchora lui, il quale nel (,«/„* monte
Palatino gli fece fare vn tempio (come fcriuc Lampridio)& qui volle
che non folamcntci Romani, r ma i Chriftiani & Giudei facchino tutti
i loro facrificij, non per altra ragione, fe non perche nella
fuagiouanez- rèpio dedi za egli era flato fatto fàcerdotc del Sole ,
honorato & ** s ®: tenuto in grande riuerenzada i Fenicij, però
che gl’ha- tiero&mo» ueuono fatto vn tempio marauigliofo di pietre
quadra- Antonino te, & (come fcriuc nel 5. libro Herodiano) ornato
dar- gento,d’oro,& di pietre prctiofè : onde io ho tra le mie
le. due medaglie d’argento del detto Imperatore, nelle quali fi
vede in abito di fàcerdotc di Fenicia facrilicare al Sole con vna tazza
in vna mano,& nell’altra vn ra- mo d’a!loro,&fopra l’altare, doue
c il fuoco accefo,fi Vede il Sole,& lettere che dicono ncll’vna delle
meda- glie, svmmvs sa cer do s, & nell’altra, invictvs sacerdos
,chc fono i medefimi epiteti del Sole. HELIOGABALÒ. ARGENTO. FORTV NA. t5rf
Io nonmidiftcnderò più oltre àfcriucre la vita fede- rata di quello
Imperatore, ma bene mi dorrò del cieco & tirannico arbitrio della
Fortuna, che lo meflc in quel luogo che ci non mcriraua,ficomcanchora
veggiamo che ella fa di molti altri à i tempi no(lri,onde
gl’antichi volendo moltrarc la fua portanza , & come ella gouerna
tutte le cofe del mondo, la dipinfcro con vn corno pitta* de d’abbondanza
in vnamano,& nell'altra con vn timone U fortund. Ji nauc fopra vna
palla. TRAIANO BRONZO. HADRIANO. ORO. ARGENTO. ANTON.
PIO. ARGENTO. 1*7 F,u Umilmente figurata da glantichi à
federe in terra col comocopia,& vn braccio appogiato fopra
vnaruo- ta,per moflrarc la fua inconftanza , & limili parole,
fORTVNAE red ver. Et di qui nacque che A pel le Aprile rr- cclcbratilfimo
pittore Greco,domandato perche hauc- uadipinta la Fortuna à federe,
rifpof? chchaucuaciò fatto per che ella non haucua mai
ripofo. ANTON. GETA TRAIANO. argento. argento.
Ma quella che noi habbiamo chiamata Fortun a, i Greci lachiamorno sella
folle fiata buona,*«^ w, ^ ^ *»»comc fi vedrà per vno intaglio antico
portato di Gre- fortuna cia,& donatomi da Frate Andrea Thcuet
d’Angulcmc, nel ritorno del fuo viaggio di Ierufalem.con molte al-
Caladi tre medaglie antiche, che io moftrerò ritratte, nel libro
che io hò fatto dell’Antichità di Roma, accompagnan- do in quello mezzo
la nollra Fortuna d’vnDiafpro , & d’vna Corniola antica,doueella c
fcolpita con vn cor- no d’abbondanza, & vn ramo d’alloro,
lignificando DIASPRO antico, corni O- LA ANTICA. La fortuna
accompagna il Ut to diCefa- ri. Vlinio. Difftnition
de la fortuna. Arijlofane.Tempio fuperbo de la Fortuna in
Prenefte. Vcdcfi per l'hifìorie che vna Fortuna tutta doro acr
compagnaua Tempre il Ietto de gl’imperatori , & che quando ci
veniuonoà morire, in Tua prefenza eraporta- taàiloro fuccelforr.ondePlinio
la chiama leggiera, in- conftante,&fallacc,come quella che fauorilcei
manco degnirnon dimeno , alla verità, la Fortuna non c altro che la
prouidenza di Dio , dalla quale fecondo i noftri iteriti noi riceuiamo male,ò
benè.Et la caufa perche gl'antichila dipinfono anchora cieca, fu per la
cagione nominata di fopra-di che ha molto bene icritto Arifto- fahe
nel fuo Plutone,DiodcIleRicchezze:il quale argu • mento hà Tradotto
Luciano nel fuo Mifarftropos.il det- to Ariftofanc fcriue che quando
Giouc donale richczzo à i buoni, ei fi moftra zoppo, & porgedoleà
icattiui,cor- re leggiermente. A‘ Prtfncftc anticamente fu il fupérbo
. tempio di Fortuna cdificatoda Sylla , con la Tua ftatuà di bronzo
dorata, la quale èra di tanta eccellenza cheli foleuadire
perproucrbio(volendolodarc vna cofaben dorata w>
dorata) la doratura Prcneltina. Nc contento Sylla di quello, cominciò à
fare il pauimento di detto tempio di Mufaico,chegl’antichi chiamorno
Lytoftrates , con mirabili figure di diuerlì colorali comcPlimo
(parlando dei pauimenti) fcriuc nel xxxv. capitolo del xxxvi. li-
bro dcH’Hiftoria naturale. Et perche la Fortuna può molto nella guerra,
però mie parfo di collocarla preffo lo Dio Marte, al quale i Romani
feciono fare diucrli templi,&dandoglifacerdoti , detti Salijdo
chiamorno vna volta Vincitore, all'hora cheei porrà vna Vettoria
(lilla mano:vn’altra volta Propugnatore, Vendicatore, &Pacatore,
quando egli haucua nella mano dritta vn ramod’vliuoj&nellaltrala
fuahalla con la corazza à i piedi, & dinanzi targhe, rotelle, &
il celatone,con vn pen nacchio,& lettere cnedicono , Marti pacatori,
li- gnificando che quelli che vanno alla guerra, li debbono lenza
paura moftrarc à inimici. M« [aito. MARTE-
Epiteti di Marte. Qui ua alla guerra non deve
ha tter paura. V1TELLI O. ANTON. PIO. zoo
L’haftachc eiportauafu chiamata Qiiiris dai Sabi- ni,& Romolo
Quirino,comefi vede per le infralcrittc medaglic,doue egli è dipinto
tutto armato, per fignifi- care,che lui era vendicatore, nel modo che lo
chiama- rono i Romani. QniriJ. Marte QH* rtno. ANTON.
PIO. BRONZO. V aoi GORDIANO. ALEX. MAMMEA. BRONZO. HADRI
ANO. ARGENTO. CLAVDIO. BRONZO Il tempio di Marte
Vendicatore fu fatto i Roma per Tépioetifì Cefare Auguftoin forma tóda,à
cau fa della gucrra.chc egli haueua giurata concra Filippo, per vendicare
fuopa da a ugufto dre,come fcriue Suctonio,& Ouidionci Falli, doue ei
Ct f* re ’ dice Tempi d feresfè) me vittore Vocaberis Ultori
ouidio. Uoueraty&fufoUtnt ab bojlereJit. Scriue
Dione neliniUibrodellHiftoriaRomana, che OÌ9at » N
5 ARGENTO. r pmfr.DELLA RELIGIONE Celare Augufto edificò
quello tempio in Campidoglio} & vi fece portare gli ftendardi
&inlcgne militari, con l’Aquila deRomanirondeil Senato dipoi volendo
an- chora maggiormente honorare Ja fua memoria, vi fece condurre il
carro fui quale egli haueua trionfato. AVGVSTO. L. - CTN NX
ARGENTO. ARGENTO. Si come gi’antichi dipinlero Marte, nelle maniere
già ville di fopra, chiamandolo infieme con Giouc Vendica torc
& Propugnatore, & in molti altri modi Greci & La- ùniche
forebbono troppo lunghi à raccontare, coli dir pin AVGVSTO. ,
. Ci , ' * ARGENTO.*>3 jpingendo Venere, la
chiamorno Vincitrice, con la Vet- raria, Io feeeero & appogiata fopra
vno grande feudo, & v e n b - altra volta con vn morrionc in luogo di
Vettoria,ò con R E * vna palla, in figno che ella haucua fupcrate in
bellezza tutte Falere Dee. Il fuo carro,fecondoil direde Poeti, era carro
div e tratto daduocigni:Ecper tanto dice Ouidio, - JuriBif^ue
per dir A cygnis 'C arpie iter. CARACALLA M ACNVR B FcX
nere tratto da duo ti- gni. PLAVTILLA. FAVSTINA. La
Ve io4 venere La Venere chei Greci chiamorno Afroditi ,i
Latini 1 hanno detta Dea di bcllcza,&di
gencratione,nata(fec6 do i Poeti)dclla fchiuma del marerEt Cicerone nel
libro della Natura de gli Dei,parlado di i n i. Venere, dice che
Tempio di l’vna fu figliuola del Cielo,& di Giouc,&haucre vifto
il eMc* hi o tempio in Elide: l’altra vfeita della fchiuma del
mare: la terza di Gioue& Dione moglie di Volcano:& la quar
ta Siriaca di Siro nominato Allarte,chc fu quella mari-J D*r vene* tat
‘™l bello Adonc.MaPlatone nel fuo Conuiuio hàpo re fecondo fto due
Venere, vna cclefteche incita gl’huominialbuo vintone. no amorc> &
l’altra terrena che gli muouc al piacererdi- cendo chela prima fenza
madre fu figliuola del CicIo,& venere uc- 1^ altradi Dione
&diGioue:Iaquale 1 Fenicijvenerauo- ne rata
Tcnicij. ta dai no afiai, per cflere (lata moglie d’
Adone, & Adone nato nel pacic loro, onde in memoria della mortedi
quello lamentandoli lefaccuono facrificio:le quali
fàuololc opinioni & fu perftitioni lanciando tutte in dietro,
ven- ghiamoà vedere come fenfa laVcttoriala dipinfcCe- fare
Dittatore nellefue medaglie. ARGENTO
GIVLIO CESARE. Et ne ANTICio* Et ne i
rouelci delle medaglie d’argento di Cefa re mi - norc,fi veggono due
Cupidi condurre il carro di Vene- corrodi ut re volando, & lei che
ticncabbracciato il fuofccttro con 11,. lo d 4 duo
lettere che dicono, lvc n ivli lvcii filii. cupidi. Gl
VL. CESARE. ARGENTO. AVGVSTO. ARGENTO. Auguftodipoi
dedicò à Giulio Celare il tempio di Tempio di Venere Genitrice, coli
adorata da i Romani, &alla qua- j' n ' rede ' le haucua Cefarc fatto
vn bullo di perle, le quali (come A u g u ji 0 fcriue Plinio nel libro
xxx vi. dell Hilloria naturategli Ctfurt, haueua portate d’Inghilterra,
hauendo prima farrofa- bricarla detta figura diVenere Genitrice da
Archefi- lào:& per la fretta di dedicarla,non fi fendo potuta
for- nire, coll imperfetta la collocò nel mezzo del fuo
Foro. AVGVSTO CES ANT I- NOVS. Tempio
£ fAntinoo magnifico e di fiotto da Adriano,
fopra il Ni lo. Taufania in Arta£ck. Io non hareì
altrimenti qui fcritto d’ Antinoo , quali tunqucHadriano Imperatore lo
faccflegià deificare, fc 10 non mi forti per forte ritrouate due
fue medaglie, che 11 detto Imper.fcce battere in honoredi quello,
doppo chcei fu morto, accompagnando Hadriano nellafuapc
regrinationc fopra al Nilo:il quale non cotento di que- llo, & doppo
haucrlo pianto molti giorni, gli fece edifi- care vn tempio, &vno
altare, con vna Città chiamata dal fuo nome,douc meflè faccrdoti &
Flamini per farti làcrificio:&in Arcadia nella Città di Mantinea
feccfir milmcntc vn’altro tempio celebratiflìmo, con ftatuc ne
igynnafij,& per tutta la Città fono nome di Dionifio, come narra
Paufania.EtpcriI rouefeio dvnamcdaglia ch’io mi trouoncllcmanijè
riprefentato il tempio ma- gnifico eh Hadrianp fece edificare fopra il
Nilo in fuo honore,& adornare & arricchire di belle ftatue&
indagini, con talcinfcrittione, AAPiANos okoaomhìen, che voi dire,
adrianvs constrvxit, frdifottoil tempio de gl’Antichi
romani. tempio è vnCrocodilo, animale particolare del fiume
Nilo, nel quale mori Antinoo. MEDAGLIONE GRECO CANTI NO
O. k MEDAGLIONE GRECO D’ANTINO. Antmoo tu Ma
nell'altra fua medaglia fi vede vn giouane di Biti toin b iti- n i a Ji
marauigliofa bellezza con lettere Greche che dico nO,OZTIAlOZ
MAPKEAA02 O IEPETt TOT AN * » or. & dall’altro lato, t 012
axaioxx an e ©hke , cioè, HOSTILIVS MARCELLVS SACERDOS ANTIN0I acheis
dic avit , & nel rouefeio della medaglia c il eauJb fcolpito il
cauallo Pcgafo,& Mercurio con i talari & il regdfo.
Caduceo. DAGLIONE GRE D'ANTINO. Finalmente per
l'intera cognitionc de i templi antichi, quanto alla religione io ne ho farti
ritrarre 1 1 1 i.qui di lotto, de quali pcreflère le medaglie logore, non
ho potuto tirare (enfo alcuno. CL. NERONE. TITO. BRONZO.
BRONZO. SEVERO. bronzo. bronzo. L’ vicini o di quelli
quartro templi,fattoin forma ron VESTA - da,parequafi limile à quello di
Velia tanto riuerira da r Romani, per ripofare là dentro Iaftatuadi Mi
nenia, fta- ta portata, da T roia:& la quale era in tanta
vencrationc O no Tempio di Pace
abbru ciato. DELLA RELIGIONE che mai huomo non l’haucua
vida.Nondimeno quado abbrucici il tempio della Pace, il fuoco s’appicò
anchora à qucfto,onde le vergini Vedali prefo il Palladio, &
con cdo paflandoperla via facra, lofaluornofìno al palagio
dcirimpcratorcj&vcdefi il Tuo ritrattone irouefei del- le medaglie di
Vcfpafiano,& di Giulia Pia, che non è altroche vna piccola datua di
PaIlas,con l’hadainvna mano, & nell’altra vno brocchiere. VESPASIANO.
GIVLIA PIA. ARGENTO. ARGENTO. CLAVDIO VESPASIANO. ARGENTO BRONZO. Fedo DEGL'ANTICHI
ROMANI. in Fccionogl’antichi quello tempio di Vefta informa Tempio
di tonda, llimando che tale Dea folTe la terra, & il primo fu
Numaà corniciarlo per addolcire, lòtto Ipctie direligione, la ferocità de Tuoi
fuggetti. EVINTO ARGENTO. NERONE. ORO. VESPASIANO. ORO.
L’entrata dfq nello tempio era vietata à gl’liuomini, comeànoi
hoggiquclla deMunilleridcIIc nollre Mo- ^ nache già (late riformate
:& il numero delle Vertali fu drOcvrfia- ncl principio mi.&dipoiv
i.& coli durò lungarni nte, w - O ‘ z mi
come mollrano le medaglie di Fauftina , & di Lucilla^ ùiu'vr/lì
nc ^ c c I ua ^ fi vede il loro modo di facrificare,con i loro li. vefti
menti bianchi.chia mari dai Latini Sufftul* , lun- ghetti &
quadrati , tanto che le ne potcuono coprire la iella, & Maflìma
tralalrrefcome farebbe tra le noftrc la BadefTa)hauere come prima il
fympulo (vafo ordinato peri facrificij)in mano, & l’altra innanzi
alci, chela ri- guardaci turibulo in mano Umilmente detto ^cerradi
Latini, col quale(facendoalIa Dcafacrificio)dà lo incen- do alla Dea
fopra all’altare, dipinto inficmc concila nel modo che fi vede.
'-'FAVSTINA: medaglione di BRONZO. LV CILLA. Augmcntorno
col tcmpo quelle Vertali fino al nume fiali orditi* ro di
vcnth&bifognaua per edere Monache cheellefof tt al [imi- £ no natc Ji
padre libero non feruo, vergini, & lènza ma fta. 1 Vt ~ cula alcuna
nella loro pcrfona,& d’età di Tei anni fino à dieci, nel qual tempo
era loro infegnato 1 vfo del facrifi- care,comc moflra la medaglia di
Fauftina, netta quale fi vede la piccola Vellalc riceuuta dentro al
Munifleroda quale zi 3 quale à capo d’altri X.
anni faceua làcrificio , & ncl- l’vltimo della fua vecchiezza
inlègnaua all'altre que- fiomedefimo,con qucftaconditionc,chcinxxx. anni
vajffti io. fi poceuonomaritare,quatunquc(pcrquellochc filcg- jj IHp p 0 u
ge^tutte quelle che cxercitorno quella vita, furono sfor uano mari -
lunate &. capitorno male. Etpcrchedi fopra habbiamo ttrc ‘ detto che
la principale di Ioro,cioè la Badeffa fu da i Ro mani chiamata Maflìma :
noi prouerremo quello per due Epitaffi antichi fiati ritrouati à Roma nel
noftro tempo ,1’vno de i quali comincia, &fornilcc in quello
modo. Epitaffio di Fiatila Manilla U e fiale. FL.
MANI LI AE V V. MAXIMAE, CV1VS EGREG1AM SANCTIMONIAM ET VENERABILEM MORVM
D1SC1PLLNAM INDEOS QVOQ. PERVIGILEM ADMINISTRATIONEM SENATVSLAVDANDO COMPROBAV1T
AEM1LIVS FRATER ET RVFINVS FRATER ET FLAV1I SILVANVS ET H IR E N E
V S SOROR 1 S FILII A' MILITUS OB EXIMIAM ERGA SE l’IETATEM PRAESTANTIAM
Q Epitaffio di Claudia Elia Claudiana ZJ e fiale. CL. AE LI AE
CLAVDIANAE V V. MAX. RELI- GIOS1SSIMAE BENLGN1SS1MAE Q. CVIVS RITVS
ET PLENAM SACRORVM ERGA DEOS ADMINISTRATIONEM VRBIS AE- TERNAE LA V
DIBVS SS. COMPROBATA OCTAVIA HONORATA V V. D1V1NIS ADMON1TIONIBVS SEMPER PROVECTA. Erano
quelle vergini Veftali hauute in grandilfima vcnerationcdal popolo
Romano, come fi vede nelquin veneranoto libro della prima Deca, di Tito
Liuio, douc èferitto wrfoUv* c b c rincontrandole vna volta à piede
Albino huomopo fiali. polare,comadòalla moglie & a i figliuoli di
Icéderedel carro, perfarui fiilircfopra levcftali: &quefto
aueniua pcrlarfucrcnzachc i Romani portali ono al fuoco pcr- fuoco
per - p Ctuo ,che ledette Monache tcncuono Tempre accefo,d pttU °'
qualcfe per dilgratialafciauonofpegncrc, elle erano dal gran
Pontefice acerbamcte caftigare,quantunquc ogni r inoiutio- annofoflTcda
loro rinouato,quafi nel modo che foglia- ne del fuoco mofarenoidcl gran
cero di Pafqua.Su l’altare degli He U fitto fan brei fimilmcntcftaua
Tempre il lumeaccefo,fignifican- no in anno . do che le grafie di Dio Ita
no Tempre per gl'huominiap- parecchiatc tanto di dì, che di notte:&
nella miftica Tco logia de gl’antichi Verta non fignificaua altroché
fuoco, ilquale(comedicc Furnuto) perche nel Tuo continouo mouimcnto
per le medefimo non genera nulla,però era dalle vernini guardato : &i
Poeti anchora (parlandodi fuoco. Vefta)l’hanno Tempre prefa & intefa
in qucfto fcnlo,co- me fi vede in Ouidio,quando ci dice,
’Nectu aliud "vejlam ejuampuram intelligejlammdm, ‘Natdque de
fiamma, corpora nulla. vides. Iure igìtur virgo e[,(jua [emina
nulla remittìt, *tiec capirà comires virginitatis amar,
dciic’vc- Anzi furono quelle Veftali in tata auroriti,chelpcf-
flali. Co pacificornoinficmeil Popolo Romano nelle guerre
ciuili:& ho ollèruato io che,quado entrauono la prima Lt ve fiali
volta in Muniftero fi tofauono, come anchora hoggi fan togate. no ] c
Monache noftre: ne era loro permelTo di lafciarfi piu DE GL’
ANTICHI ROMANI. più crefcereicapegIi,comcfi vede in Plinio , quando
al xvi.Iibro dcH’Hiftorianaturale fcriue: Antiquior lothos efiejua
C<t pillata dicìtur,quoniam xirginum Uejìalium ad ea capillus
defertur.\\ vitto loro vfciuadal publico, & durò quella vfanza (ino
al tépodiTeodalio Imp.chriftiano, al quale mandorno iGécilhuomini Romani
Symmaco Patritio per ambalciacorc fìnoà Milano (doue all’hora
faceua refideza il detto Impcratore^pregandolodi con- fcruarc i priuilegi
alle loro Vertali, acciò che elle potelfi- no cflèguire i teliamoti
&lafciati ftati loro fatti da diucr Ce pcrfone,però che i loro beni
potcuono cflcrc tali, che di quello che farebbe auanzato loro, harebbono
potu- to aiutare molte pouere pcrfonc,& guardare che aliai di
loro nonfoflero andate mendicando per Roma, & po- tendo giouare
anchora à iforerticri.Nondimcnofu tan to in quello
roftinationedcH’Imperatore,che Symma- co non potette ottenere il
defiderio Tuo, ne del Popolo Romano:& cofì fumo tolte alle Vertali
tutte l’entrate, di che egli dolédofl nella fua oratione,dice limili
parole: Honorauerat lex parentum TJejlales virgines,ac minitlros
Deorum vittu modico, iu fi fijue priudegmfijtt muneris huius integriti
yfque ad degentres trapelerai. Soggiugnen- do più baffo. : Sequura ejl
hoc fames puhlica , & Jf>em prouinciarum omnium me fi agra
decepit,. 'Non fìtnt hac "pitia terrarum , nihil imput ernia aufiu ,
nec rubigofe - getibus ohfuit , nec auena frugei necauit. Sacrilegio
annus exaruit. Ne cefi enim fiit perire omnibus quod religioni- bus
negabatur. Quid tale proauipertulerunt,cum religtonum miniftros honor
publicus pafeeretì A' i quali argu menti rifpofe poi affai bene
Prudentio,moftrando che innan* O 4 ir 5 Le Veftali
haue ujno lor vitto dal publico. Teodofìo imp.
Cbri- ftiano. Symmaco patritio am bafi.
Amba f. di Symmaco nulla . Aifrojìa de
Prudcntioi Symmaco- zi che il Palladio, ncVcfta , ne lari, ne Dei
penati follerò itati portaci àRoma,ilportod’Hoftiacra picnodinaui-
li carichi digrano,i granai pieni iìmilmétc,& tanta gran de
abbondanza di viueri erano in Roma,chc neiTunofo reitiero che vi venifle
per vederci giuochi Circciì,non morì di famc,& che fc tal volta la
terra iterile non ren- derla le biade in abbondanza, naiceuaqueito,ò per
cagio Trudtntio. ne dcH'aria.ò per altri accidenti naturali, il
cheanchora meglio dichiara nel principio del iuo libro fecondo, do-
ue dice parlando contro àSymmaco: Ultima legati defitta dolore
querela ejl , ! Palladiu quod farra focu,vel quod fip'u ipfs
U irgimbm } caìlifque torti alimenta negentur. h XJeJlales foluù
faudenturfumptibus ignei. Doppo laqualc rifpoitadcicriucndo la vita &
modi ho- nciti delle vergini Vertali, dice in quello modo:
Qua nunc Oefalis fu virginità tu bone fot, 2)ifcutiam,qua lege
regat decus omne pudori*. kA c primum parua teneri i capiuntur in
annis, lAnte Voluntati* propria, quam libera feda Laude pudiciria
feruens,(Q amore Deorum, 1 tifa maritandi condemnat vincala fexus.
Captiutts pudor ingrata addicitur arit , ‘Nec contenta perir
miferisfed adempta voluptas , Corporii intatti meni non intatta
tene tur. ’Necrequies dar uri Ila torli , quii ut innuba
cacum ZJulnuiy&' amiffat fujjnratfoemina redat. Tum,quianon
totum JJ>es falua interfeit ignem, Nam refdes quandoquefaccs
adolere licebir, Feda Dtfcrizione della uita delle Ve
fiali. FeJldrjue decrepiti s offendere flammea canti Tempore prafcripto,
membra intemerata retjuirens , Tandem virgineam fajlidit Zdejìa
feneBam, 2)um rhalamit habilis timuit Vigor, irrita nuUns
Foecundauit amor materno vifcera par tu, Tdubir anta veterana [acro
perfunBa labore, 2)efertisejue foca, tjuibus ejl famulata tuuentus,
Transfert emerita* ad f ultra iugalia rugar, Z)ifcit &• in
gelido noua nupra repefcere leBo. Intere a dum torta vagos ligat
infula crine s, Fataléfjue adoler primas innupta facerdos,
Fertur per mediai vt publica pompa platea t. Rilento refdens,
molli scejue ore reteBo Imputar attonita virgo ffeBabilis Vrbi:
Inde ad concejfum cauea pudoralmus expers Sanguina, it pietas
hominum vifura cruento s Congrejfu, morte fjue,^d vulnera Vendita
pajlu Spellatura facris oculisfed & illa Verendis, Vittarum
infignU phalerufuiturtjue lanifis. 0 tenerum mirimene animarne
onfurgit ad iBus, Et tjuoties viBorferrum iugulo inferir , illd
T)elicias ait effe fuas,peBufe]ue incentri TJirgo mode fi a iubet
conuerfo pollice rampi, *He lateat pars ‘itila anima vitalibus
ima girini impreffd dum palpitar enfe fecutor. Hoc illud
mentum efl,tjuod continuare feruntur Excubiat, Lari] prò maiejlate
palati], Quod redimane viram populi.procertimaue falutem,
‘Perfundunr quia colla comis bene, Voi bene cingane Tempora taniolrsjtf
litia crinibue addane. 9 5 p ompa iti le V
filali nel tempo di Pruden- ti. Di qual
ma feria fabri- cauono gli antichi le imagini. p
aufania in Arcadie if. \A uite è mtn
fugget ta à corrosione. U8 Et quia fubterhumum lujlrales rejlibus
Ombrìi In fldmmam tuguUnt pecuJes,&' murmurc mifeent.
Quello c tutto quello che Prudentio fcriue della fuper (licione &
pompa delle Vertali , che acconcic lafciua- mente andauono fopra i loro
cocchi, o carrette à vede- re tutte le felle St giuochi cheli faceuono ne
i circhi & Amfiteatri & (oltre à quello che fi conuienc
all’habi- to,& l’animo pio de i religiofi)pigliauono piacere di
vedere i gladiatori combattere con le beftic feroci, & ammazare le
pcrfone,ondc Prudentio nella fine de ver- fi fopradetti priega
l'Imperatore di tor via coli fatti fpettacoli crudeli, dicendo in quello
modo, Te precor ^ Aufonij T)ux ^Auguftifìme regni,
TJtum trifie ftcrttm tube *s ,yt exter a rolli. Hauendo à
baftanza fcritto de templi, & nomi de gli Dei & Dee de gl’antichi
Romani ,rcfta à vedere, & faperela materia della quale ei fabricauono
le imagini Sellarne loro. Qucfteerano (come IcriucPaufania) dc-
bano,d’arcipreflb,di cedro, di quercia, di loto,di milacc, & di
boflolo , anchora che Teofrafto vi aggiunga la radice deU’vliuo per le
ftatue minori, & Plinio la vitc^ quando ci dice dhauere veduto nella
Città di Polo- nia il fimulacro antichiflìmo di Gioue fatto di legno
di vite : la quale cofa io crederrei facilmente potere effere fiata
vera , confiderato che Ce gl‘antichi eleggeuono i fopradetti legnami,
come quelli che durauono aflai, la vite fenza dubbio, è quella che è men
fuggetta alla cor- rozionc,ficome fi è villo per diuerfe fperienze,
quan- tunque la ftatua di Mercurio in Arcadia non forte fatta
d’alcuno de i fopradetti legnami , ma di quello che c chiama
zip chiamato Thya,& da Homcro Troìetbes ; la fpctic del rhya.
quale è limile aH’arcipreflb di rami, di foglie, d'odore & di
frutto,&comcfcriueTcofrafto, tenuto in pregio per l’odore tra tutti
quelli, che nafeono nella contrada di Cyrcne,foggiugnendo che della Tua
radice fi faccuo- no anchora mille intagli & cofc pretiofe. Vfiirono
fi Gli antichi milmcntc gl’antichi di fare ftatue di cera & di falc,
onde u b aron ? di non è molto tempo che in vna grotta prefloà Volterra i
magni & nefurno alcune ritrouatc, fi come anchora fi trouano
molte cole antiche di vetro, tra le quali io ho vn vafo fatto in forma
della teftad’vn Moro, & ripieno il fondo di certa compofitionc
anticaglie fa molto di buono, il qualccon molti altri fu trouatogiànel
Delfinaroin ca- la del fignore della Motta, che ne fece prefente alla
buo- na memoriadi Monfignore d’Orliens. Adopcrorno ol- tre à quello
gl’antichi nelle imagini loro, l’oro, l’argcto, il bronzo,il ferro, lo
llagno,il piombo, l’auorio, &ìater ra grafia detta arzilla,
accompagnandole permaggiorc ornamento de iloro templi, di pietre
pretiolè, & final- mente fi feruirono d’ogni forte di marmi, portati
dilon tani paefi. Dal quale ragionamento venendo al modo
&ordinedelorofacerdoti,&facrificij,dircmo cheque- f^dlu Ili fumo
diuerfi,comeil maggiore,& minore Pontefice, Romani. Flamini, &Archiflamini,
che tcneuono i primi ordini fagri:gl’Auguri per gl’vccelli:i Salijper
Marte, & altri preti particulari (quali come i noftri Canonici)
che fur- r rr lì 1 • i i
Sacerdoti no afiegnati alla memoria de loro Imperatori, da
poi che Augnati» egl'erano fiati deificati, come gl’Auguftali
d’Augufto, gl’Heluiani d'Heluio,gr Antoniani d'Antonino, gl’Au -
TulTiìanU rcliani d’ Aurelio, & i Fauftiniani di Faufiina ,
tutti oidi- f*»fiinia- na nati per la religione, pietà, &
fàntità, la quale Cicerone interpreta per la fciéza d’adorare i loro Dei,
ò più rollo demonij,& per fare facrificij, cerimonie
fagre,dedicatio- n',confasrationi,(uppIicarioni,proccflìoni, voti
&altre loro vane pompe diaboliche, & vane fupcrllitioni.
Sicrrdotio ic i futi Amili. QUffto
fi- enfi do è detto da Li tini. Ambir tuli fieri. 2)
e s^t Cervo ti 1 et fz^ti Ornali elei facrificio chiamato isi
mheruale . Omolofuil primo inuentorc di quello ordinc,8c
dicreare il primo facerdotc per i facrificij publici intorno alle
terrc,& al- le biade , acciochc elle crcfccffino in
maggiore abbondanza , pigliando per infegna vna corona,
ògirlanda di fpighe, legata con vn cintolo bianco, ne palfauono il
numerodi xn. Quelli cofì fatti faccrdoti,&il modo del loro facrificio
era tale. Il primo di quelli facerdoti accompagnato da tutti graltri,&r
coronato d’vna girlandadi quercia , cantando le Iodi di Cerere con vna
troia,© vna vacca pregna cir- cundaua tre voltci campi pieni di biade,
& doppo ha- uerebeuto del vino,& del latte innanzi che fegarc
le biade/acrificauaà Cerere la troia, ò la vacca. Et il pa-
ftorcvolendoalficurarcilfuo belliame dalla rogna & da tutte altre
malattie, gli fpruzaua prima 1 acqua fopra, &di poifatta
vnafaccellinad’aIloro,& di fauina mefeo- lata con zolfo
I’acccndeua,& tre volte circondando il Tuo belliame con certi verlì
facri Io profumaua,facrifi- candoneH’vltimo vna torta di miglio, & di
latte alla Dea Pale,auocata dei pallori, credendo in quello modo
rende , in rendere ficuro( come e detto) il Tuo
gregge da tutti quanti i mali. ~1d E q L‘ V g V X I, ET Z>
E U lor dignità. Verta fpetie di religione fu portata à Ro-
cicerone ma & inlegnata da i Tolcani , la quale A»g»re.
Cicerone (per eflèrc flato di quefto or- dinc^ Icriue nel libro della
Natura de rate di prò gli Dei, 8i doue egli hi parlato de Diin-
^tf^aiKo natione,cllerc fiata tanto venerata da Romaniche non mani.
harebbono mai fatto, ne deliberato cofa alcuna dentro o fuora di Roma,che
prima non haueflìno prefo l’Augurio. Anzi venne quella dignità in tale
riputatione, rifpetro allhonorc & vtile , che ne riceucuono
quelli eh erano Auguri,che i primi Romani cercauono d’en- trare in
quefto laccrdotio, come fi vede per le medaglie di Pompeo, & di Cesare
Dittatore, che vi mcllèanchora M. Antonio & Lepido, nelle quali fi
troua il lituo(bafto- m. Anio- ne torto & limile alpaftoralcdeinoftri
vclcoui^ilfym- pulo,i 1 cappelloni vafo,&i pulcini , tutte infegne
che moftrano la dignità &cofe necclfaric à quefto officio. IL
LI « IL L 1 TU 0, S USTORI B UVgurale degl’antichi
Romani. GIVLIO CESARE. POMPEO. Argento argento. M.
AVR. zz 5 M. AVR. ANTONINO, ET AEL. VERO. RESTI T.
ARGENTO. ARGENTO. ARGENTO. M. ANTONIO. ARGENTO.
ARGENTO. Erano Nuwfro de gli Auguri. Auguratorio.
jJtuoJbajlo ne Augurale. zi 4 Erano in quello Collegio degli
Auguri tre nel principio diputati,àcaufia delle treTribu,&di poi
quattro comeficriueHalicarnalèo. Madomandando il popolo col tempo
che quello numero folle crclciuto, ve nefuro no aggiunti cinque della
Plebe & mi. Patri tij, & coll continouò dipoi femprequeftavfanza
di noueinterpre- ti de gli Dei fino alla fine. Il luogo, nel
qualcfipiglia- uono gl’Augurijieraà modod’vn tempio, douc l’Auguratore
ftaua àlcdcrccon latclla velata, & il Lituo in mano,col quale fegnaua
1 quattro angoli del ciclo, eficn- do veftito d’vna verta doppia, &
lunga,tintain Scarlat- to, &chiamata Lena, o Trabea da i Latini, come
fi vede nelle medaglie di M. Antonio , con tale infcrizione, MARCVS
ANTONIVS LVCII FILIVS MARCI NEPOS, AVGVR 1MPERATOR T E R T 1 V M.
Et in vn’altra fi vede la terta del Sole , con tali parole
abbrcuiatc,TRlVMViR REIPVBLICAE consti. TVENDAE CONSVL DESIGNATVS ITE R
VM ET TERTIVM: & figurate con altre di LcntuloSpin- ter,nel
modo che fi vede qui di fiotto. m. anto"n ia ARGENTO. Lcntu
LENTVLO SPINTE R.. ARGENTO. ARGENTO. Ec per venire alla
conclùfione di quanto io voglio vtjtidift- fcriuerc de gl’Augurij, io
metterò qui dinanzi la. figura a»* ritratta dVnà medaglia d’argento d’Augusto,
nella quale SUuU ' fi veggono ifacerdoti conlorovcfti lunghe, & il
fimpu I . lo , & lituo in mano x tutti inrtrumenti accomodati
alla loro religione, -V P • H] k i fi Wc ite •
xXrGygt ET SACERDOTI. CHE. PORTANO L'Vfitt- gnt tltld religioni per
mejlrdr U fitti. Quanto all’augurio de Galletti , & del loro
beccare, onde gl’Aurpici de i Romani folcuono pigiare l’augu- rio,
& giudicare delle cofefuture,anchora che io ne hab- bia ragionato qui
difopra,&chciociò ftimicofa ridicu la, vana & piena di
fuperftitionc, io nondimeno non ho voluto mancare per fatisfatione del
lettore & de gli amatori delle buone lettere di moftrarne qui
Ja.prefen- te figura. P a FiayK^f È ITA ATT A Dt-LL c/f
JUXD^GtliA D'iAM- gmtt iiJU.Lef ìit rriummrt. I Romani
hcbbcro in tale venerationc i lacerdoti drepolli allo Aufpicio, che ei
fondauono tutto il loro giuditiodcllccolcaucnire & di quello che
doucuono fare,(opra il beccare de polli, non cominciando alcuna imprefa
che prima non hauclTìno prefo quello augu- rio,ncl quale fé vedeu ono
beccarli allegra mentc,piglia
*uonotalcofaperbuonfcgno,&lcalrrimentiaccadcua, ne de ro- non faccuono
in quel giorno cola alcuna. L’huomo, che baueua la cura di quelli polli,
li chiama ua pvll a • Rio, & la gabbia, ò Hia douc erano
rinchinlì, cavea tVL l aria, fatta nella medelìma forma
diqucliachclì vede di marmo nella loggia del palagio dei Cardinale
Cclìsin Roma,accompagnara d’vn bcllilHmo epitaffio pollo qui di Lotto nel
modo chefegue, wt I. 0 ST1U *P ZJ L L ria, ritratta <Tì>n
marmo antico in Roma . M. POMPEIO M. F. ANI ASPRO LEG. XV.
APOLLlNAR.> COH. III. PR. PRIMOP. LEG. III. CYREN PRAEF. CASTR.
LEG. XV. VICTR. ATIMETVS LIO. PVLLAR1VS FECIT ET
SIBI ET M. POMPEIO M. F. ET C1NCIAE COL. ASPRO SATVRNINÆ, FILIO SVO ET VXORI SVAE M. POMPEIO M. F COL. ASPRO FILIO
MINGRI U.varro. 1 fdctrioti differenti
fecondo le dijferentìt de gli Dij. Ornamen- to del fla-
mine Dia- le. Del Flamine Diale. Sacerdoti di Giouc& di
Marte fumo ora- dinari, & chiamati Flamini da Numa Pompilio:
onde Varrone nel libro della Lingua Latina dicc,chcgrantichi hebbe-
ro tanti Flamini j. quanti haueuono Difc come il Diale di Gioue, il
Marnale di Marte, il Quiri- nale di Romolo, il Volcanale dì V òlcano,
& molti altri alla differenza de noltri che noi chiamiauono
Vcfcoui, Archiuefcoui, Patriarchi, Cardinali. Mail Senatodipoi ordinò
anchora Flamini à ^'Imperatori diati da loro deificati-come gl’Auguftali
per Augufto,& gl’ Antoni- ni per Antoninoctra quali il Diale era
meglio vellico de gl'altri, & haucua la fua Tedia d’auorio, ordinata
loia- mente per i Magiftfaci, &il Flamine lolo portauail cappello
biancojfcnza.il quale non gli era lecito vfeire fuo- ra dicafa- CAP
.«. z)i CAPPELLO DEL FLAMINE ritratto et i>n fregio antico
di marmo eh e in /Lorna. De Sali], Ra tutti quelli faccrdoti
ne fece Numa anchorax 1 1. chiamati Salij,da i Etiti Io Icnni,che
ei faccuorio ne i loro facrificij. Et dipoi Tulio Hbftilro gli crebbe
infì- noà x xiiil & di x x 1 1 n. alla fine flir- tanti che
feciono vngran Collegio^, ne potcuono cfleredi quello ordine le non
quelli, che non haueuo- no padre ne madre. Di quelli Icriué Tito
Liuio, egli andauono cantando & ballando per mezzo la Ara- ba,
& cantando veri! Saliarij n<*l melodi Marzo porra- uono in mano lo
feudo célerte 1 chiamato , zHncilè ì in ho- norc di Marte, come lìvedeDtr
le medaglie d’Àu’truAn <^efaxe,& d’Antonino nmm
Poi» pii infittiti iSalif. Tutto fillio. Anale,
jcu- ànrrltM* 1 AVG. CESARE. ARGENTO. ANT.
PIO. BRONZO. totani*- L’acconciatura di quelli Salijcra
vna velie honorc- turddis*- uo I Cj di calore pagonazzo, con vna celata
in capo,& quando ballauono pcrcoteuono i loro feudi con vna
daga,o pugnale che portauonoin mano. Uj, < Sdendoti
tbumeti Epuloni. 2>e \ij. h uomini
Epuloni. Er quanto fi è potuto conofccre, quello ordine
d’Epuloni era vna fpetie di faccr- doti,trouatida i Pontefici ppr
ordinare! conuicichei Romani faccuono,cclebran do le fede de i loro
Dij, annuntiando il giorno nel quale fi doueua fare la cena di
Gioue:doucfc per fortuna accadcua che la folcnnità non foflcintcra-
mcnte oflcruata,con ledebite cerimonie, ci lo diccuono à i Pontefici, che
rimediauono à tutto ; quantunque i i lutili*. GrccigHchiamaflbno
piuto{ltì»^«f«, cioè,faccrdoti di buon tem po, che fare facnficio à i
loro Dij. L. CAL xjj L. CALDO SEPTEMVIR EPVLONE. ARGENTO. Vedeli
la memoria di coftuianchorahoggi in Roma Vir<tm ^ e • 1 _ | \ c
' c * . . , ittica che per le paroleinragliarcin vna Guglia, o
Piramide di mar fìutdcint * jno quadrata, che fono tali, opvs a bsolvtvm
D i E _ «irto*. BVS CxXX. EX TBSTAM. C. CORNELII TRIB.
pleb. septemviri epvlon v m> le quali interpreta* tc voltano
dire,ch'ella fu fatta in ex xx. giorni per tc> ftamenro di Caio
Cornelio,Tribuno della plebe, & del numero di quelli v 1 1. Epuloni,
moftrando l’autorità & portanza che egli haucuono con limili parole,
tv c ivs CALDVS SEPTEMVIR EPVtONVM. De due y cl xv.
huomini. Tarquino fumo ordinati due mini per fare fieri ficiorà
quali ne agg Zeftio & Licinio Tribù olì fletterò lino à
temp Sylla,chc veneaggiunfcv.altri lcuan donc duciamo che in tutto
furnox v.lacerdoci fulamcn M buoni- tc:l’officio de quali era d» leggere
& interpretare i librila- P 3 mento il
tm. — J»< tf- cri; oSibilIini:&rifpondcre & consigliare
al popolo Romano tutte le cole dubbiofcj affiftcndoiifacrif icijd'A*
pollo.romcmoftra il Tri podeftampato nelle medaglie di Vitcllio & di
Velpafiano con lettere che dicono» qvindecim vir sacris fAc ivndis.
\ VITELLIO. VESPASIANOTli '* ARGENTO. ARGENTO. Del gran
‘Pontefice. Ra tutti i Pontefici creaci da Numa nc fu fatto
vno più grande degl altri,il qua* lecol tempo venne in tanta
riputatone chenonpoteua eflerne alcuno fenonSe t l cttione Ba^aa a
natorc,& cofi m orendo glabri Pontefici drigri fon minori
ncelcggeuonovn’altro.come fanno hoggi i nc *É“cZ* ftri Cardinali vn Papa.
Haueua quello gran Pontefice 5 cura delle eofc Sagre, coli priuatc come
publiche» delle cerimonie, prodigi], rnortorijjd’intcrpretarc le cofc
diui? hp.u * nc,fegnare,{criucrc accomandarci qualialtari&r Dij
fi * doucuono fare i facrificij : & Sopra tutto. por mente 8t ’ prohibire a x J5 prohibirc che nuoue vfanze
non entragno in Roma perdifturbatc,o corrompere le cerimoniedclla
loro pri ma religione & loro Dij : della quale autorità ha
ferino non ricette- Cicerone nel Po ratio ne che fece per conto
della fua prò U0 "‘ 0n 0tte pria cala in quello modo» Cum
multa, diuimtusfponnfi- cerimonie ces.amaiorilms no (lri« inuenta
arane inftirura fune, rum mini rt ^~ , J v , , 1 1 gwnr. praclanns quam quod
)>o; @T religioni bui Deorum immorta- lium , (g) flemma
Xeipuhlica pratjfe \>oluerunt,'vt ampi fimi clarifiimi Citte;
ReipuMicabene gerendo, ‘Pontifico s reli- gione; fapienttr interpretando
, Rempuilicam conferttarenr. Laonde per meglio inoltrare la lua
autorità & dignità chcgl’antichi (timauono tanta, eiportaua vn
cappello, fatto nel modo che lì vede per le medaglie di Celare Die
tatore in compagnia del fimpulo& lettereche dicono, ^fg^UnPò
CAESAR IM0ERATOR PONTIFEX MAXIMVS. All teficc. chora che in
altre medaglie fi vegghino la tazza, il cappcl lo, il limpulo,&: il
lituo , come proprie infegne del gran Pontefice. GIVL. CESARE.
ARGENTO argento li „ Non ottante quello fi veggono
anchora affai meglio cappella ^ quelle inlègnc della religione, &
cappello del gran Potè u$xT ° ^ ce nc » fregi di marmo , che fono in Roma
{colpite in quello modo. .MM CAPPELLO 2) E
L ‘Pontefice. confetta- La confccratione di quello Pontefice
è tanto ridicu- tione dipo la & llrana,che ella merita d’efièrc tutta
interamente di- “rldentio. mollrata nel medefimo modo che l’hà ferina
Pruden- tio:il quale dice che quello Pontefice nel fuo habito P5-
tificale,con la miccra in tc(la,& la velie alzata entraoain vna
foflà,fopra la quale era vn pótedi legno tutto bue- cato,douc dal
Victimario era condotto vn toro ornato Horr Mi tutro fi° r * > &
d’oroin torno alcapo , che il detto coa- ctto,& del fangue co
fi caldo che n’v • cr i bufehi del ponte,cra il detto Pon
teficc cerimonie
ductorctcriuanelp Mti - feiua & trapclaua
p Cenativi loridi. il tordo di * litato libo.
teficc tutto imbrattato con fregartene gl’occhi 3 gI’orec- chUclabia
& la bocca, & coll vfeendo fu ora coli fpor- cho &
brutto,& molto terribile a riguardare, era da tut- to il popolo
falutato & adorato. L’altre cerimonie , fatte per i
piccoliPontcfici,Flamini,Archiflamini & albera- no i conuiti
magnificamente apparecchiati, de quali hi jfcritro Macrobio dicendo, che
all'entrare della Cenale tifici, prime viuande prefentate erano fpinofi
di mare, dipoi s P ino fì & peloridi & fpondili,fpetic di nicchi
, o chiocciole mari- spo ^ c p* ne,& tordi,chc i Romani ftimorno cofi
dilicato cibo, che venuti in tauolalafciauono ogni altra viuanda ,
& pc^trouarli mcgliori nel tempo d'Auguftogli riempie- uono
dentro di più buòne cofe. Dipoi feruiuòno fpara- gi con vna gallina
grafia, oingraflàta àpoda, la quale vfanza leuò via pcrleggc & bando
publico Caio Annio cjjoAmifa Eannio, volendo che le galline fi
mangiaflero,comc elle ramo. erano trouatc,dclmodode iquai conuiti
chivuole an- chorapiù àpieno vederne lniftoria, legga Varrone &
ColumcIla,doucegli infognano tutti i modi della gola. Doppo quelle
colè veniuono piatti d’oftrighe, peloridi, che ci chiama, Salanos nigros
ffialbos, fpondilos &gly- BaUnL comandas,fpetie di nicchi &
d'altri pefei che non fi pof- fano (non fendo in vfo) altrimenti
dichiarare al nortro BeccafiebU tepo, bcccafichi, colombcllc,vn’arifta di
porco, cingialc, rorpórj . capretti, bcccafichi impattati,
po!ipi,oporpori et murici «i sangue del sangue de quali gl’antichi
faccuono lo fcarlatto , & de quali fcriuédo Seneca nella prima
Epiftoladel x 1 1 1 1. libro dice , marauigliandofi della gola degli
huomini, O quanteforti di Conchili portati di lontani paefi pallazfcUmatti
noper loftomacodell’huqmo,chclbno ben poucri d’in Seneca. gegno. gegno, &dilgratiati
poi che maggiore hanno lappemo che il ventre .El fccòdo piatto era d’vna
teda di cinguia- Ic,vn piatto di pelei fritti nella padella: vn piatto di
Som- sommta. mataj f atta delie poppe d'vna troia, che haucflTc
figliato frclcamente,lequali erano (limate tanto migliori quan- to
più erano piene di latte. Doppo quelle leruiuonoi petti dcH'anitre
faluatiche, ccrucllid’animali Jeifi , lepri, vani detta molti vccelli
arroftiti,con pani della Marca d’Ancona, Ancona. quali fifaccuo no di
farina ftcmpcrata noue giorni ncl^ latifana,oalica,&poiarroftica con
zibibbo in vna pen- tlinio. toladi terra dentro alfornoja quale (come
dice Plinio) non fi poteua poi altrimenti disfarete mangiare fc non
meda nel lattc,o nell’acqua & nel mclIe.Et taleerail mo do del cenare
& l’apparecchio delle viuandede Pontefi- ci, ripiene d’vn fi grande
numero di viuande mefeokte. 2) e fi cerdoti ^ugttjldli^ di
loro collegio* I berlo Celare fu quello chccrcò prima,
il collegio defàccrdoti Augullalijdoppò Ihauerc edificato vn ten^io ad
Augu- ro, che C,. Caligu la co nfiigrò dipoi apporne fi vede rUerio
c» fare fondi glihngyfU predo la morte di
Tiberio per la fua medaglia di bronzo..CESARE. CALIGVLA.
BRONZO. BRONZO. Scriuc Strabono nell in.Iibro della Tua Geografia
che Tempio à LyoncdoucilRodano&laSona fi congiungono in- * A w*
ficmc ,fu fatto vn altare, &vn tempio doppo la morte ’^yoM?
d’Augufto,&quiui porta vnaftatua da tutte JcProuin- cic della
Francia, la quale cofa m’hà fatto penfitre che quello
poteflèeflereilluogOjdoucchoggilaBadiad’Ai- colonne di né,rifpctto alle
gran colonne di getto che vi fi veggono w dentro:&quiui penfcrei io
che folle fiato il collegio de i faccrdoti Auguftali, come chiaramente
dimoftra vna pietra antica di marmo, eh e fi vede nella chiefa delle
Mo nache di S. Pietro, in Lyonc, IO VI O. M. (VADCINNIVS VRBId FIL. MARTINVS
SEQ. SACER.DOS ROM AE ET A VG. AD ARAM AD CONFLV ENTES
ARA. RIS ET RHODANI FLAMEN ff. V 1 R IN CIVITATE
SE QJ/AN OR VM. Ter Per il (opra (cricco epitaffio (ì
conofcc , che non Co Ia- menccàRoma&àLyonc,mapcr tutto il mondodoppo
la morte d'Auguflogli furono edificati templi, dcrizati a ^ CiU ' con vn
collegio di Sacerdoti detti Stxtum-'vir't^iu Ut. gujlalesjin
honored’Auguflo, comcanchora fi vedein vna pietra fcritta alla porta di
S.Giufto in Lyone,in que- llo modo, D. M. C AL
VISI AE VBRICAE ET MEMORI AE S A N C TISSI MAE P. POMPONIVS GEME
LLl N VS limi. VIR AVG. LVGD. À CONIVGI CARISSIMAE ET INCOMPARABILI POS
VIT. Tranquillo Quello collegio de gl’
Augurali venne col tempo in sagio gA tanto credito, che( fecondo
che fcriuc Tranquillo) Scrba A«gW * gj 0 G a lb a innanzi che fode Imperatore,
vi. volleencrare dentro, & fu riceuutotraifàcerdoti Auguflali ,de
quali inficmecol Scflumuiratohaucndo àbaflanzafcritto,& maffime
neh n.libr.delle mie Antichità di Roraacócro all’oppenione dclI’Alciato
nelm. libro.del Codice, & moftroqual’era rautoritàdc Decurioni,&comeei
dona uono &diftribuiuono quelli offici) perle Prouincic,tor
nero à parlare della Cittàdi Lyone,la quale doppo ede- re data popolata
daPlanco per ordine del Senato Romano, paflò di grandezza, di magnificenza,
& di richez- za tutte raltrcterrcdelmondo,rifpettoallefierc&
traffi- chi che fempre fono flati in edà fatti , come ^iùi I Ugo io
ho moflro ne detti mici libri dell’Antichità di Roma, cdcndoobligatodi
pagare quello debito alla mia patria. De Aleuto. lodi
della Città di Lyooe. X e Sacerdoti di Cy Itele Madre degli
Dei. Sacerdoti di quella dea fumo detti Gal- li^ Archigalio il
maggiore di loro:i qua li nel principio della primaucra (come
recita Herodiano)vfauonoogn’anno fa re vnagran fella in honoredi quella,
por il lìmulacro.o ftatua della, acompngnato dalle più prctiolè
cole, che haueuono in cala, come vali riccamente lauorati d’oro &
d’argento, elfendo permef- foà ogniuno di traucllirlì & vcltirlì in
che modoglipia- ccua celebrando quella fella,la quale chiamarono
Me- galejìa &ioè, maggiore di tutte lai tre. Quella fu folcnnemcntc
già fatta da Commodo Impalipoi che cghhcbbc scampato dalla congiuratione di
Materno, & fattoli tagliare la tella, però che clTo Commodo volendo
ringra- tiare la dea del pericolo paflàto,portò egli medelìmo tue
tele reliquicdi quella, & il popolo fecegrandi/Tima alle- grezza
& diuerlì giuochiper la falutc del Principe, chia- mandoli Seteria,
cioè,facrifìcij di falutc:dcllc quali ceri- monie chi vuole più
largamente fapere, legga ilxxix. libro delle Decadi di LIVIO (si veda).Vedclì
adunque che l’officio di tutti quelli faccrdoti non era altro che fare
facrificio à i loro demonij più rollo che Dij,inlIcmecon proceffìoni&
orationi, oringratiamenti di qualche vetroria hauuta, opcr mitigare l’ira
dclcielo : portando innanzi il lìmulacro di Giouc, & fu per i canti
delle vie pofando- lo fopra certi altari,quafì comc noi hoggi vlìamo di
fa • re per lafèlla del corpo di Chrillo,anchora che non conuenga quelle
vere & lecite à quelle falfc & profane cerici Calli, Sacer
doli di Cybele. Tejla in onore di <jne /la Dea.
MrgalcfU. Sacrificio di falutc d't to Sotcria. Tifo
Limo. Qual tra l'officio d'i faccrdoti. Cofiumi
de gli antichi guardati in trancio. Ordine del le
procreo ni degli an- tichi. Nel I-libr. degli F
ajli. monic aflomigliare. Et à quello propofito io mi ricordo
hauere veduta vna medaglia di Dominano, nel rouclcio della quale era vna
proceflìone fatta dai Romani, douc fi vedeuono innanzi à tutti i fanciulli
chetici, e poi i fiiccrdoti più vecchi in habito, & getto
dicaminarei tutti con vna girlanda in tcfta.in mano vn ramo d’allo;
ro,& l’Imperatore ncll’vltimo, vettito di (carlatro:onde none dubbio
alcuno che i prieghi, l'offerte, i voti,i facri- ficij,& l'orationi
fono i mezzi, per i quali s’arriuaàgl’orecchi del divino: quello che afiai bene
haferitto OVIDIO (si veda) quando ei dice, Fleti itur ir ar ut 'voce
rogante Deut. Sape Iouem \idi,cum fetta mietere pellet Fulmina, th
ur e dato fujlinuijjemanttm. L’orationeha tanta forza,fccondo Pittagora, chc
media te quella fiorirono tutte falere virtù, & ella conduce
l’huomo infino al cielo, eflendo fatta con fede inuerfo Dio.il quale c
quello che ci fa forti contro àtutte le paffioni &r dilgratie
humane,rifufcitandoinnoi Iafpcran- za che faremo difefi da lui,&per
mezzo dcH’orationcfà remo ripieni di carità con animo di correggerci de
no- ftri errori, &nó tornare piùà peccare, comchabbiamo fatto
per il pattato, trouàdoci tanto fortificati.che cofi fa cilmentenon
potremo piùcrrarc:Sc finalmente deliberando di viueregiuftamentc, &
accompagnarci con la temperanza con fermo propofito di vincere tutti
gl’tn- fortunijchecipoccttìnoaueniredi Dio, eflendo ragioncuole che fotte
ringratiato colui, checidaua&dona tutti i beni, il che non fi può
fare per altro mezzo migliore. fittene, che quello dcll’orationc:ilchc
cófcrmò finalmente Pi* F de loratione fecondo Pittagora. cone
tone dicendo, chcà l’huomoera ncccflàrio d’honorarc, & riuerirc
Dio,volcndolo hauerc con elfo Iui,& prolpc murre in rare in ogni
atrionc:ondc fi vede che quelli che di que- ;ìfi fto non hanno curarono
il più delle volte dilgratiati, ne damentode fono mai eflauditi da Dio,
come per contrario fortunati o felici tutti coloro che ricorrono à Dio,
come moftra Omero dicendo, o't « èiriT<i'S»T«i, ixdtut
Ti<t>u»r iu-n. Cioè, coluièeffaudito dal divino, che olIcruai fuoi
precetti. colui indi Era parimente l’officio di quelli fiiccrdou di fare
ogni [ 0 he annoi voti publicidoppoleCalendidi Gennaio, come fuoiprtut-
fcnueTacito nelfcfto libro de fuoi Annali, e PLINIO (si veda) Secondo nel fuo
Panegirico, dicendo che i Romani vfauo atiiom* nodi nominarci voti
perl’eternità. deH'Impcrio , per la rL fanità de Cittadini, &
principalmente per Ja falutc de Principi, che è quello che i Latini
propriamente hanno detto, Nuncupare ìord, facendo facrificij publici :
onde 2T* 0 * nafccche fi trouano lettere diuerfe fcritte in quella forma
, vota PVBLICA, QVIN QV ENNAL1A, DECENNALI A, VICENNALIA, TRICENNALIA, QVADRIcennalia,
come fi vede in più medaglie di Impera severo geta: ARGENTO.
ARGENTO. CRISPO. GIVLIANO. BRONZO. ARGENTO CONSTANTI NO.
GIVLIANO. BRONZO.' BRONZO. Mallìm/a MAòSIMIANO.
DIOCLETlANO. BRONZO. BRONZO. Faccuanfi quefle cerimonie da ifaccrdoti
&? Flamini vertici nel loro habito (accrdotalc alla pri Lenza de-
Confoli, Pretori &Cenfori, che pigliauono il votopubli cp innanzi à
tutto il popolo Romano. CARACALLA. bronzo MEDAGLIONE
DI CR tSPINA. Tutti iM agi tirati di
poifaceuonofcriuerequeftLvo ìuotiferit- ri in vn marmo>o in vna tauola
di ramc.battendo meda wlicchc mollrauono gl’anni domadati per
ricominciar- uolc di t * li,cio<ì di cinque in cinque anni, di x.di
xx.di xxx. &tal Wf * Ovolta iniìnoàxL. come moftrano le
medaglieri Maf- fentio & Dccentio,neIlcqualic ferino, votis
qvin- QVENNAL1BYS MVLTiS D E C E NN A LI B VS, ornate di cappelletti
guarniti nella fommitàdel laboro,& intórno lettere che dicono, v ictorue do
minouvm NOSTRORVM AVCVSTORVM ET CAESARVM. M ASSENTI O.
DECENTIO. BRONZO BRONZO. $CUZ> O 7)1 FORM .A
oliale gratto del marmo antico. TERi Etpcr le medaglie d* Antonino
Pio &. di M. Aurelio Ci veggono i voti fatti per zo.anni conejueftc
parole,v ot a syscepta vicennalia,& iUàcerdotc il qual pròmetto de
render i voti.; i- ,|K3Kl L'/ * v Ó Q.
4 é MS della religione FLAVIO Gl VL IO CRISPO
” BRONZO. BRONZO. Tra l’altrc mie medaglie ione hòdue d’argento
l’vna di Valente & l’altra di Teodono Irap.ne rouefei delle,
voti# jo. fi veggono i voti di xxx.&2fxxx.anni,conrimagi tir 4
m ne di Roma à federe,chc tiene vn globo io mano con la croce difopra , SIGNIFICANDO
[imperio de principi Chri- ftiani. VALENTE. TEODOSIO. Quello
elici faccrdotidomandauonoin quelli voti inliemecol popolosa lunghezza di
vita per gl’imperatori. Ronwiù w lor uoti,<ì gli Dei. a*?
ratori , ficurtà dell’Imperio , la grandezza della cala de cfcr donni i
i.Principi,la fortezza delleflercito^a fidelità del Sena- <<4 " 4no
' to,la bontà del popolosa pace del mondo, & Iavctto- ria
contro à nimici,comc li vede per le medaglie polle quidi fopra,doue
habbiamo villo, vie tori a domi- NORVM NOSTROR VM AVGVSTORVM ET CAEsarvm,
in maniera che quelli voti hanno durato infino àhogg’,&fubito che i Romani
erano giunti al termine di elfi, di nuouo ringratiauono il divino, & (come
fcri- uc PLINIO (si veda) Secondo à Traiano)faceuono altari con facri p
/&„•„ $ f _ ficij, balli, fede & conuiti, dimando opera rcligiofa
& pia,quello che piu torto fi doucua profano Si empio KO
manintt giudicare, poi che egli haueuono licenzadi fare ogni ma ringratù
- lcicon ciò fia infino che negli Anfiteatri i carcerieri correuòno
per il circo, le bertic feroci erano ammaza- noti «iu- te, i gladiatori
sbranati, & gli Imperatori faliti lopra vn piut, ‘ palco ragionauono
di dare la Mancia ai-popolo , che fdtrimnti gridaua ad alta voce, c<w
?~ Denofins dnnu dugedt ubi I uff iter dnnos. Latino, cr Et mentre
che fi faceuono quelli voti, il Pontefice era tramo di - vcftito d’vna
verta lina tutta bianca, & lunga fino ài piedijfignificando la
fermezza d’vna rifplendcnte virtù: za. & de gli altriiàcerdoti
chi cantaua hymni &peani,chi fonaua flauti, chi la lira, o la
ceterajn tanto che il mini- ftrodcl facrificio tcneua vn bue,&
vn’alcro detto vitti- roario lammazaua,comc fi potrà vedere nelle Medaglie
di Dominano, & di Geta per la cclebrarionc de i cMtuu* loro giuochi,
& fcfte feculari. ™ bi 5 ri. » -enfe- r*b% tljrm
4 FtGVRA ritratta ht* gmochifeciLm
d\yt*g*fb. iiiiiii DOMITIANO ANT. GETA BRONZO. BRONZO.
domiti ano: BRONZO. BRONZÒ. Facendoli quelli facrificij
, tutto il popolo in Geme con l lmperatorc fi inginocchiaua.&adorauono
i loro fallì Dij,come lì vede nelle mcdagliedi
Dominano. DOMI Sagrauono nmilmcntc le imagini de i loro Dij >
non firn* togli per amore di quelle (come dice Platone) ma perche
elle fomigliauono le deità di quelli, come noi hoggi figuria- mo le
no(lre,& tral’altrc cofc venerauono affai la faetta di
Gioueffimaginedellaqualccra confagràta dal gran d! UtoZ Pontefice,
(limando che per quella via il popolo &lc fiumi!*» biade farebbono
accurati dalla tempefta del ciclo, co- 4i Romam. me fa vc dcpcr le
medaglie qui di fotto. AVGVSTO! A N T. P 1 0 A’ que
ijj A' quello mcdcfimo effetto quello che i Cetili oflci>
ùauono& crcdcuono nella loro fupcrftitiofa religione, noi l’vfiamo
hoggi nella conlàcrationcdcllc noftrc cam Confacra- panc, (limando che fonate
caccino il mal tempo, fi co- me egli vfauono ilfalc,l’acqua&gli
cflorcifmi,pcnfan • do che cacciafiìno i cattiui (piriti d intorno à i
luoghi, & à le perfone:ondcio mi marauiglio grandemente che
tanti begli ingegni, & valorofi faui,& prudenti huomi- ni, come
fumo i Romani, penlàflino ((appendo la licen tiofa& dishonefta vita
di Gioue) che egli hauefle forza La uta 4 di tonare, danneggiare, mandare
laette, & beneficare le ^ iou * co le humanc,chiamandolo Ottimo,
Mafiìmo & Omni potente , & perche più torto non crcdefiìnodi poi
che Chrifto era già nato di molto tempo, che come illoro
Efculapiojchci fcciono volare al cielo per forza, non hrrtligio. poteflè
più torto Giefu Chrifto hauere rifulcitato i morti, & che ci folTc
figliuolo d’vna vergine, come ei diceuono che vergine era Verta &madrc de
gli Dei, & chc noftro Signore haueua alluminato vn cicco, come egli
af- fermauono hauere veduto fare quello medefimo mi- racolo à
Vcfpafiano in Alertandria.Ma tutta quella in- credulità nafceua dal
demonio che gl’accccaua. Ha- ucndo aliai à balla nzaoflcruato &
Icritto de l’ordine di quelli facerdoti,facrificij & voti , i quali
erano anchora, che fecondo lefortune che egli haueuono (campate
& la qualità de voti fatti, egli appicauono alle mura de haucr t
/Um templi le tauole,douc erano dipinti tutti i cali, fi come pato qual
- hoggi fi coftuma in Fiorenza, & in molte altre chicfe f . he ca f°
d'Italia,ondcHoratio fcriflc; Fortiuw. Me rnr qual ca
gioitegli ut fichi facrificomo. Cerimonie del ftcrificiò. Moti.
PLINIO (si eda) nel libr. de t Hifioria tutur. N«n» M
fa- cùfico il primo 4 Dio, fecondo il diredi PLINIO (si
veda). Microbio. VIRGILIO (si veda). purgatione degli
anti- chi con l'oc qua ffiarfa. Jrfe tabula facer ZJ
attua paria indicai h umida Sufj>endiJJe potenti ZJefimenta
maria Dee. Refla à vedere tutte le cerimonie & inftrumcnti
vfad da glantichi ne i loro làcrificij,i quali fc alcuno mi do- mandali!
perche erano fatti, rifponderei per tre cofc. La prima,pcr honore di
Diod’altraper vtilcdel faccrdote, che impetrauafanitàper il Principc, &
per il popoIo;co- mc cofa più prctiofa tra l’altre, & la terza , per
doman- dare perdono à Dio dcgl’crrori commcflì, pregandolo di
volere fanarc l’alma inferma. Era adunque il principio di quello facrificio che
il prete innanzi, che ammaz- zare la bcflia,lcmcttcua fui capo , o Culla
fronte della farina, dell’orzo arroflito,& del fale tutti mcfcolati
in- ficine, la quale millura gl antichi chiamorono Mola, come fi
vede in Plinio, quando ei dice, che Numa fu il primo chcfacrificò à Dio
col grano, & lo pregò con la mola falatarnondimeno innanzi che
fàcrificareil faccr- dote fi lauaua,& quando volcua folamcntc
rappacifi- care l'ira de gli Dei,o rallegrarli fi gettaua l'acqua fopra»
come fcriuc Macrobio,& Vcrgilio parlando di Didone apparecchiata per
fare facrificio, ^yfnnam,cara mihi nutrixfuc fi fi e fororem.
Die corpus properet fluuialifargere lympha. Etaltroue quando
il detto Poeta parla della fèpoltura di Mifeno,ci moftra come
gl’ailìilenti al facrificio erano purgati dal facerdote con l’acqua
fparfa convn ramo d’vliuo,o d’alloro nel modo chefeguev Idem ter
focios pura circumtulit inda, Spar $pdrgen$rortleHÌ,(èfr rtmoftlicìi
olia*, Mai Romani di jjoì in luogo di quelli rami vfarono vn’afperge,
limile a quella che fi colliima hoggi nelle nollre chicle, come li vede
in più medaglie & fregi an- tichi che fono à Romaà quello modo.Quelta
alperge llaua ncll’acqua,douc prima era /la- ro fpcntovn torchio
accerojchchaueuaferuiro al làcri- ficiofu l’altare. Et di qui
nacque l’acqua di Mercurio . predo alla porta Appia,della quale via ua il
popolo Ro" « £££ manoinuocando Mercurio, & penfando coli
fcanccl- s ^ rr fi i ~ Ure i peccati leggieri & fpccialmcnre la fede
rotta , & le ‘ÌZ bugic.Oltrc a quello ho olléruato che gl’antichi
driza- uono innanzi ài loro templi vna Pila magnifica, douc del
continouo teneuonol’acqua, con la quale li tocca- uono prima che entrare
nel tempio per fare fa orificio. A %}( ‘PILLjl T 1 2t sAT DEL
' marmo antico. I !» ir Vfauonodi
poi vn’altro vafctto minore & portatile. li con acqua, limile à
quello che portano anchora hoggi uà nelle chicfc & fuora i
noftri preti. 1 1 FigVra sin ir
tot tf VI FigVK^l 2)' UK VASETTO
portàtile a tenere l acqua [aera. Ma gl’Hebrcià l’entrare de loro templi
vfauonovn Tind gran vafo fatto in forma di Tina, chiamato da i Latini
altrimenti lal>rum ì del quale i facerdoti che andauono per
(acrilica- re pigliando dell’acqua lì lauauono le mani,& i piedi,
& il modo di volendola benedire vi gittauono dentro le cenere della f
ar l ac ì u4 vittima arfa,& di quella con vn ramo d’hifopo bagna-
degli h «- uonogl’alfiftenti, benché io ho ofleruatoche nella fine trfi
* de loro facrifìcij, quando il fuoco era per mancare, vi gittauono
fopra certe fcheggicdi cedro, hifopo , & co- rnino, & della
cenere diqucfte tre cofefaceuono l’acqua facra.Douec danotarcchein tutti
i facrifìcij antichi lì rrèfortidi trouauono tre forti di purgationi,cioè
di pino, di zolfo, pmrgationi & d’acqua, quello che conferma Plinio
nel vi. libro quando ei dice che la teda, o vero pino tra tutti
gl’albc- ri, che fanno la ragia, è molto grato per il fuo fuoco nei
R i5 8 vrodo. facrificij. Del zolfo (come dice Proclo)
vfarono i faccr- doticon 1 alphalto o bitume, & acqua di mare nelle
loro purificationi,pcrchc il zolfo per l’acutezzadcf fuo odo-
zoìfo. ^ re ha forza di purificare.Et Plinio /criue che il zolfo è
buonoalla religione &per purgare le cafe col fuo fu- mo. Oltre a
quello i fàccrdoti ftauono conrinenri & di- giunauono prima
checntrarc al facrificio,ondc volen- ti»* ^.° ^ uma Pom P'^° pregare
perla ricolta & facrificnre, Tompj&di s aftenne prima dal
mangiare della carne, & dalle don- GiulUno nc. Et Giuliano
Imperarore(fe noi vogliamo crede- spartùno. re a Spaziano) fi contentò
prima che andare al facri- ficio di cenare d’hcrbe & di pere
folamenteicon ciò fia (come dice Porfirio) che l'vfo della carne nuoca
piùtofto alla fanità chele gioui,confiderato che le infermità
nenzf. afii ' fi N g uarifcon ° benc fpàfo per dieta. Et cofi per
fobrie- ta,pcr carità, & religione debbiamo cercare di purgare,
& nettare l’anima , acciochc ella viua ficura contro ì ogni pericolo
che le poteflè auenirc, cacciando da noi . tutti i penfierichecipo{
Tonoporrarepregiudicio, &o£ fufcarci 1 ingegno & la
ragione, confiderato che I’aftinenzaguardal huomo di peccare, la /obrietà fa
finge - TauoUfu- gno fottile, &ildigiuno perl’eflèmpiodellatauoIa /agra
bru'dì ri- & ^ 0 ^ r,a ^ e P‘ ta g or,c, >cifa viucrc lungamente. La
legge tagorid. de i Bracmani era tale, che ella non patiua , che
alcuno ugge de entraflè nelloro collegi o,chc non potelfe aftenerfi
dalla diunto i carne, dal vino, & dal peccato. Et le noi porremo
ben hjUncnzi. mente al x xx v. libro di Tito Liuio, noi troueremo
il digiuno c ^ c il digiuno fu oflcruato per «lamichi, quando ei di-
ojjWo ce, che comandando il Senato all’officio de’Dicci huo- Sf anti '
mini di riguardare i libri Sibillini, PER INTENDERE IL SIGNIFICATO d'alca ni
prodigaci rilpofono,chc bilogna di cinque in cinque anni ordinare i
digiuni in honore del- la Dea Cerere. Ma quanto alla continenza, ella c
vtile all’anima &r al corpo,comc inoltrarono ilaccrdori de- gli
Atenielì chiamati Hierofantes , i quali lìcallrauono h icrofdn* col bere
il fugo di la cicuta.Ne balla quello (blamente, Us ‘ che ei bifogna
fpogliarlì d’ogni affezione & pallìone particulare , come dice Cicerone
nelle Tue queltioni cicerone Tulculanc, chiamandole pcllifercmallattie
dell’animo: ondeincambio, che gl’antichi penlauonodilauare con
l’acqua i loro peccati , lauiamo noi con la penitenzai penitenza noltri
euori/eguitandoin quella la Temenza di Seneca. èilueromo in Thiefte,dooc
ei dice, t&fi'ì /£ Qutm poenitet peccajje,pene e/l innocens..
Iute. La quale cofa ci feruira di vero zolfo , Se vera bitume ,
Seneta * come Icriflc Ouidio,nel libro </r Tonto, ouidio.
Sape leuant pcenas,ereptd<jue lumia* reddunt, Cùm bene
peccati poenieuijje V idear. Vlauono anchora gl’antichi rElcmolìna
, come ferme Spartiano nella vita d’Antonino Caracalla, dicendo, s P*
rtiano ' 'Nontenaxin Urgitionem , non lentus in eleemofynam. Ec La
limojìn* Homcro narra d’vn giouaneche s’adira con Anrinoo “ ^P r<
\“ Proco, perche egli haucua ingiuriato vn pouero huo- m tr^gU mo,
che gli domandaua la limolala innanzi aH’vfcio R- 0 »- della Tua cala,
inoltrandogli che Diocclclle lopunirebbe.E' certo che i laccrdotidc Gentili
innanzi che fare tf*eerdo i i facrifìcio lì
confeflauonod’hauereerrato,domandando (come dice Pitagora & Orfeo) ài
loro Dij Tempre cofe facrip.care giulle,doppo la quale confcdionc publica
il preteche u f auAno ld andaua innanzi & miniltraualecole fagre
vfaua di f lr co ^ c P ,onr ‘R a 2.60 silcntio ne - mili parole, hoc
age , per fare che il popolo tacef- <'ir™ ncl fc,& ftclfc intento
à i sacrificij, facccndo fare largo con grf . 7 vna bacchcttaùl qualc filentio
è neceffario nelle cofcfa- grc,come Icriuc VIRGILIO (si veda) quando
dice, Hinc fida filtntia fiacris. Non elfendo dubbio alcuno
che ogni bene procede rune ft- dal poco parlare. Et coli il prete
comandaua fautrtfa- trfto. crù,ò funere linguis , che altro non è, come
dice Fedo, che honafiari, le quali parole io ho vfate latine per non
vfeirefuora de termini antichi circa ài facrificij, maflì- inamente che i
noftri poethvolcndo dire filentio, vfa- rono aliai quello \cxbo fiauere.
Finalmente quando il prete s’appreflaua all’altare per facrificare, ei lo
troua ornato in quello modo, FigVX^i 2 ) 1 U ^ LT^XE 0
nato de fiefioni,come fi vede nel marmo antico Menandro. Ed il faccrdotc
era coronato d’herbe chiamate ver- verbene. bene, per edere appropriate, &
(limate felici ne i sacrifìcij.Ie quali coglieuono in luoghi fagri: quantunque
noi impropriamente parlando chiamiamo verbene Talloro,Tvliuo, e la
mortine, nondimeno Menandro afferma che quello è proprio la mortine vfata
nelle loropurifi cationi infieme col Pcntafìlo,chc noi diciamo
cinque foglie: anzi erano gTantichi d'oppinione che Tvliuo foflè
proprietà albero tanto netto &puro,che fcvna meretrice, o altra
^Muo. femina impudica lo toccaua , o piantaua,non portadè frutto,
& fi fcccadè.Et benché gTantichi ornaffino i lo- ro altari di quede
foglie , pur nondimeno (limauono che ogni divino haueife la sua erba e
albero particularc: come Giove Te(cuIo,ch’è vna fpctiedi quercia,
Apollo l’alloro, Minerua Tvliuo, Venere la mortinc,àcaufadel fuo
buono odore,Pan il pino, & gli Dei infernali Tarci- preflò, per non
rimettere mai quefla pianta vna volta f° tagliato tagliata, non più che
vn morto non e buono à nulla: BACCO Tcllera, & Hercolcil popolo
nominato di (opra. veUeraeo- Stimauono parimentechc ogni loro divino
hauede un animale proprio, come BACCO la capra, o ilbecco, perche ogni
dìo I ROMANI eonfatrarono ad ogni divino la fua berba. Varcipref- ei
nuoce alle vigne. Cerere la troia, perche guadale biade, Diana il cervo e
il cane, Nettuno dl cauallo per proprio. le ragioni allegate di sopra, Fauno,
laca^l, Gioue il toro, Efculapio il gallo, & Ifis , Tocha. Nell’immolare
adunque, o sacrificarc quedi animali, il flamine, o sacerdoteera veditod’vna
vede di lino bianca, chiamata da Latini SIGNIFICANDO CHE la purità è
grata al divino, e perche ogni cosa che esce della terra, è nel suo t fce
di u principio pura e netta daquaje usanza c anchora hoggi terra ' m
~ R 3 “ t0 Zdi trai noftri preti nella popa di loro
faenfieij, & nel prin cipio che egli entrano all'altare : &
vogliono alcuni che gl'Egittij ne fodero inuctori,vfando le dette velli
ne i fa- crificij d’vn lino detto A^/flWjonde fu detta la vede
Xylin* rUnio. nel modo che lo IcriuePlinionel xvi ni. libro
dell’Hi- cucrone. fLoria naturale. He CICERONE (si veda) dice nel saggio delle
Leggi, che il colore bipco e molto grato al divino: &r che le
vedi colorate non debbono servire le non à gl'huomini di HrfWfo de
guerra:fomma, che quello habito faccrdotalecra fi lun- [kcerdoti
go,ched’ogni parte dracinaua per terra, come lì vede per la prclcnte
figura. SACRIFICIO TIRATO DEL MARMO ARTI, co Ài Jlom*. Veluuon
a * 3 Veftiuonfi ancora quelli faccrdoti d’vna tonaca dr-
pinta,&foprala tonaca vna falcia intorno al petto, fi
comcparlandodiNuma Pompilio ha fcritto Tito Li- uio,dicendo che ei creò à
Giouc vn Flamine Diale perpetuo, vcftillo d’vna bella verte , & gli donò la
Iella Cu- rulc: & clic oltre à quello ordinò xii. preti Salij per
fa- re lacrificio à Marte, vertendoli d’vna tonaca dipinta con vna
falcia di rame intorno al petto, quali nella maniera che vlàno hoggi i noftri
facerdori.ma di feta ornata d’argento, & d’oro, e di piecre
pretiofe.Ornolli Umil- mente d’vn cappello di la nabiàca, chiamato
Albogalc- ro,il quale perche à caufa del troppo caldo non pote-
uono Iellate fopportare,fi legauono vn filo intorno al capo, non ssendo
loro lecito d’andare lènza nulla in terta, nondimeno bisogna che idi delle
felle lo portaflino, pcr moftrare meglio la dignità facerdotale: oltre à
tutte quelle cofe bifognaua che il facerdore antico hauerte il capo raso/ccondoil
modo degli Egitti] , come fcriuono Herodoto&Plinio,dicendo che
altroue i pre- ti portauonoi capcgli,main Egitto nonronde Com- modo
Antonino volendo portare (come fcriue Lampridio)rimagined’Anubi,bifognòchefiradefie
il capo: ia quale cola gl’interpreti della Icrittura (aera , &
mallì- mc S. Hieronimo hanno interpretata che la tefta rafa non
vuole altro lignificare,, che la depofitionc di tutti i penficri &
cofe temporali, & che la corona, ò cherica de ipreti fignificala
corona del cielo. Ma ritornan- do alle cerimonie de noftri facrificij
antichi , dico che quando fi veniua à facri ficare , il facerdore
voltando- li dallaltarc inuerfo il popolo, si mette la mano al-
R 4 Tonaca do i fateraori. LIVIO (si veda) A
Ihogale- royucjlimtn to del flamine Diale Al sacerdote non è lecito
andar colla testa ignuda. Il sacerdote antico ha la testa
rafa. Commodo si fa radere il capo. Hieronimo.
Cherica de freti. Segno di filmilo. DELLA RELIGIONE
la bocca, lignificandoli il filcntio, quali nel modo che fi sonatori
volgono i preti di noftra religione : nel quale mezzo "io. ^ auc ‘ e
^ cctcrc fonauono,i quali flauti ne i facrificij erano di boflolo : &
nelle fede & giuochi fècolari d’àr- ornamento g cnto > & la
vittima paffo à paflo andaua caminando 4riu uitti- verfo l’altare ornata
di fiori intorno al capo, & certi pa- m ' ternoftri dorati, che le
penderono dalla punta de corni, efifendo condotta da i vittimarij
mezi vediti d’altre pelli ntn , JU di beftie,chc egli haueuonogia
facrificate, comc moftra OVIDIO (si veda) dicendo, -Induraque
cornilus auro vaglio. Vittima. EtVergilio, vlinio. ^ ft atUdm
ante ar4S dUrata fronte iuuencum. Quello che ha confermato
Umilmente PLINIO (si veda), nel saggio dell’Historia naturale, dove ci
dice che non si pensa nel suo tempo ad altra colà che trovare una
gran bestia, con le corna doratc, pcr farne onore e sacrificio «à gli Dij
immortali nel modo che fi vede qui difotto. FIG DE GL ANTICHI
ROMANI. is 5 • FiCjVR^ YlrTZrrfZi IdeZ marmo antico, che fi
vede in Roma. Mala viteima minore cheli doneua imolareà qual- i»
oUtione che Dio,era coronata d’vn ramo delle foglie dell albero
dedicato arale Dio,o veramente d’vna falcia di lana, chiamata infula,
dalla quale pendeuonoduc bendedette Tal viti da Greci, & Vitu & a
i Latini, & fe menata all'altare Lenza clfcre legara(quantunquc per
l’adietro ella lo fo ledè ellèrcjcome inoltra Iuuenaledicendo,
Sei proctil extenfum perulans <j uatìt hojìia funem.) segni di
ella faccua refiltcza d’accoltarlì , o fi fuggiua,o che per-, colla
gridaua,o cadcua da vn’altro lato che quello, che lime de ro dilègnauono
i Romanici pélauono quello cllere mal- mani R 5 VIRGILIO (si veda). 1
Vittima ri j dowrjli- t duerno le bejUcperle
vittime. Tranquil- lo. Audacia di Ceftre. Btfticpiù
utili ithuo a<r<? ‘l’augurio,# illacrificio non grato à gli
Dij, nondimeno non lafciauonod’ammazzarlaful luogo medcfìmo,do- ue
era fopragiunta, come per contrario,pigliauonoin bcne/c pacientcmente
ella afpcrtaua il colporqucllo che ha moftro Vcrgilio in quel verfo,chc
dice. Et duElus cornu Jldbit fteer bircus dJ dir dm.
& Hadriano Imperatore nelle fuc medaglie. MED. GRECA
D’HAD~RIANO. BRONZO. BRONZO Dipoi per ouuiare à quefli dubbi) ,
Scnondiftur- barei {acri fìcij,ordinorno gli antichi i vittimarij à
polla, che domellicauono le beftie, & coli facilmente le
conduceuonoaH‘altare:quantunque Celare del fuggire, o non fuggire della vittima(come
lèriucTraquilh faceflèconto,&non IalcialTedi combattere doue
rione lì prefentaua : anzi fumo gl’antichi in quelli, riolì , che prima
che itnolare vna bcftia.la poneuo mentedaleapo lino ài piedi, accioche
ella folle fènz ^ , ~ula, & coli pcnfauono douerc essere molto
piùgra- Ioro Dij. Etfurono le vittime usate dai Romani,!* ;a, la
troiani bue, &la capra, come bellic più manfuece z6 7
fuctc & facili à condurre douc l’huomo vuole, ed anno, trono
cho come beftìe più vtili alla vira dell’uomo, con ciò lìache le pecore
danno il latte & la lana, & i buoi lauora- p t u e de «- noia
terra, e del jfelo delle capre gl’antichi faccuono ft roniin feltri per
la pioggia, & delle pelle dccaftroni cucite in- v ^ 0 ‘* , ^ oUd
ficme , i foldati mantelli perla guerra.Et coli nelprin cipio del
facrificio illàcerdotc Romano veniua all’al- tare velato Scoronato
d’alloro in compagnia del coro di fanciulli^ fonatori di flauti & di
ccrere.che fonauo- no& cantano, come mostra la medaglia di
Longino Triumuiro. ti Romani perla gu nr ra. LONGINO
TRIVMVIRO. ARGENTO. ARGENTO. Oltre àqueflo non farebbe parfo
interamente buo- no ilfacrificiOjfc illaccrdore non haueflè tenuta la
ma- no fu l’altare , come ha moftro Vergilio nel 4. dell’ Ac-
vtrgilio. neid.doueei dice: Talli ut orantem JiBis ardfijue tenentem
’^duJtit omniporens. Volta soltuono i Voltaua Umilmente il iàcerdotc
il vifo all’Oriente nel g^Umt P rc g arc gli Di j, -fida mattina di
buon’hora, {limando titutxr f*- gl’antichi che quello folle il tempo
proprio, nel quale gli ucrfrorié- Dci lecndeuono nel tempio perricctiere
& vdirc i priete. ghi, & voti di queflo & dic]ucllo: Ia<]uaIev{anzahabbia
Forano, moritenutaanchora noi ncllanoflra Rcligione:& Por- fino ha
voluto che le ftatue & entrate de templi fiano tutte volte
aH’OrientCjConforme in <juc{lo(feben miri- cordo)con Vitru uio. FiqLm^t
TlTt^T^l Z> L- la colonna di Traiano. tifine 1 Doppo quello il sacerdote
piglia tra le corna della vittima del pelo, e lo gitra sopra il fuoco accelo,
nel modo che ha fcritto Vergilio quando dice. Et fummat
carpens mediti inter comua feto*» Jgnibta imponitfacris.
La quale fuffumigatione fatta con altre di frutti & biade
primaticcie, chiamate dai Greci come si vede per la figura. i
Co VIRGILIO (si veda). FlGVRA T> E COLTURE, don erano
polle le primicie ftj fruttijnnanzi cine facrifìcafiino. Gl’antichi
pensano quelto cflcreaugurio di futura fertilità, rendendo gratic à gli
Dij d’cflcrc arriuati in vn tempo più ciuile,& più bcllo,nel quale in
cambio di ghi ande & d’orzo potcuono mangiare viuande più dilicate. I
granelli di quello orzo mclcolati con Tale ( Sic mifcel
a 7 o Cerche mef tnifìellam inteìligunt Oraci ex hordeo, &
f*le> mar eri am ) Ronuni f- fichiamauono Ole&cUle,\ quali coli
magiauonagl'an- orzo con il tichi,prima che folle in vfo il macinare. Ne
vi mefcola- rt ficrifi- uono *1 P cr h fertilità, eflcfndo cola (Ieri le,
nc manco àj. per ringratiaregli Dij,ma perche lo Rimarono vn
lega- Uftlcriprc mc £ f e£ , no d’amicitia , & di qui nafceua che
innanzi à game dumi gl hofti&aglamici liprclentaua il (ale prima che
tutte citu. l’altrccofè, volendo /igni ficare la fermezza
dcH’amici- tia,& moltrarechecomedi più acque fijfavn corpofo-
Iidò(quajc c il (ale)cofi della volontà di più perfone fi genera vna
perfetta concordia & amicitia. il medefimo faccrdote d ipoi gittaua
tra le corna della vittima la mola, & verfaua del vino,comehà
moftroVergilio, douc ei dice. Simbolo di
ucraamici- tu. Mola. Vrobatione -Frontone inuergit
vinafacerdos. della uitti - lignificando per quello che la vittima
era crcfciuta in di ma " gnitàr&ancho lo faceuonopcr prouarc
fecllahaucua paura , {limando che lenza la mola il ficrificio non è
grato à i loro Dij:&: il vino era portato in vn vafo detto l 0 .
Prcfcriculo,per vnodei miniflridel lacnficio,nclmodo chcfe ne
veggono à Roma invìi marmo antico. VUSO VUSO, Tinnirò DEL M^tR-
mo antico-, chiamato ^ref inculo. Ma innanzi che il prete
fpargefleil vinofu la tcftadel- Ia vittima,
eil’aflàggiauacoì/ìmpulojchceravnaltro pie s imputo. colovafo ,
fatto nel modo che fi vede qui difotto,& ri- tratto da diuerfi marmi
& medaglie antiche. SI MTV LI TIRATI D‘V 2ST fregio
dntico cine in Roma. Ne man t 7 i i Ro»Mn{ Ne manco fi faceuono
quelli fiicrificij fenza fuoco, il non fucrifi- q Ua J c era
dilegnc (ceche porte fu l'altarc,fi come vfiamo ““fuoco, anchora hoggi ne
i noftri facrificij (non per ouuiareallc tcnebre,ma per moftrarc
nell’adoratione fegno di gioia) & come fi vede per il candeliere de
gl’antichi, fatto in quella forma, CERVELL ERE,
RITRUT- to del nurmo antico. Lclegnedel detto
facrificiononpoteuonoc/Ièred’v- téttiu o tu- liuo,d’alIoro,ne di quercia,
perche gl’antichi ftimauono *’"*• che tutti quelli alberi
faceflìnocattiuoaugurio:& quan- fidccold il do il facerdote
racccndcua,pigliaua vna fiaccola di pi- P in0 \ • no guardando bene di
non errare fecondo l’ordine delle cerimonie ’o , • i , i i< -t
primdch oc loro cerimonie antiche ,doppo le quali il prete toccaua
eiderUuit- | a k e ftj aC0 n vn coltello, dalla iella per infino
allacoda, yergìlìo, come ha moftro VIRGILIO (si veda), dove dice» Et
tempora ferro Stimma notar pecudum. Comandando dipoi al
vittimano di mettere i coltelli fo pra alla bcftia,come dinuouo ha
inoltrato VIRGILIO (si veda) qua do dice, Supponunr alif
cultros, Et di qui c nato che gl’antichi diceuono mattare, cioè
crefccre,percotcndo la viteima con vn maglio/atto nel modochefi vede qui
difotto, MAGLIO ET SCURE con quali ammazzinone le
Vittime. Non è lecito ai ministri di percuotere la vittima» ^
fé il faccrdote non Io comandaua;gI habiti de quali per i mnìjbi
cflerc differenti , mi è parfo inoltrarne la figura qui di- d, ff eTtnte
> (beco. FICfV'R^l Z>’ l MJlslJSTXJ del
facrifdo, ritratta del marmo antico. Et tutti quelli ch’andauono innanzi 1
. grand jfacrifì cijdicenro buoi, chiamati Hecntombc,ciòè trombet ti,
fonatori di flauti, o dicorni, & quei chcconduccuo no le vittime ,
óccheporrauono i vali, Se altre cofe ne ceflaric per il ficrificio, èrano
differen temerne corona ti, 6i vcftiri *ncl modo che fi vedc.qui
difolto, H eeatobr. SO no innanzi alle vittime, Quella
vittima era bene fpellbammazata di coltello, colteUochi fubico che il
làcerdotc comandaua di ferirla nella gola, Sf " il quale coltello,
chiamato Seeejpira, è simile à quello ritratto da i marmi & fregi
antichi , che fi veggono in Roma. S a v zf? Wf
i <K1 / X r z J ! qjj ^ L 1 ammazzino le vittime. Etalcunialtri
tcneuonograndillìmi bacini da loro detti difchi,per riceucre gli
inteftini della beftia,Ia forma de quali Ci vede in Italia & in
Francia in molti luoghi fatta à quello modo. S Tutte quelle
colè non erano fatte lènza millerio, con ciò lìa,chc doppo haucre
glatichi sacrificato i buoi, per Mijitrio memoria del facrificio,& in
honorede loro Dij faccuo- no f u I luogo (colpire 1 bacini, &:i
tcfchidc buoi, có fcfto* pojitnticni. # . c • . \ | . r,
nnntorno.comeinpiulati li vede mgran marmi anti- chi, & maflìme
fopraà gl’archi delle pone di S. Giufto in Lyonc. 2) 1 S CO, 0 2
CI Fregio *7* FX3 q io TTYZTro Wltm marmo
antico eh' è in Lyone. Pelle detto vittima in- Alcuni
alcri,lcQrticatada vittima/accuorio rtietrère la pclleconl’altreinfegne
della religione, dormendo bene fpeffone i templi fopra le dette pelli, per
affettare la ri- religione. fpofta de iloro Dij,come mollraVerglio,
quando dice, y ‘Pellihus ine uh ut t JlratisJomnofque perirne. S
4 vìD l UT'' I Giu Et ficome letcftedc buoi erano quiui
collocate per mostrare la pietà e la religione, & tutte le loro
cerimo- nie vfate nei facrificij, colici mctteuonoanchora quelle de
caftroni facrificati,fi come fi vede nel fopradetto fre- gio, onde io ho
fatta ritrarre la figura. a i ,/V'y, ' ' . ^ x yfq
i8o' /. TESCHIO DEL' TO X q mejfo tra le infegne della
religione. ito ‘ I Giudei (come fcriue Straberne al vi.
libr.)haueuo- i Giudei no anch’eglino quella vfanza di dormire ne i
tcmpli,& di vegliami dentro , come faccuono i Romani , perche
tomcTUo- comehà detto Cicerone, gli Dei parlano (blamente à mni '
coloro che ei trouano dormendo : la quale vfiinza (co- me (criucEufebio
Panfilo) fu dipoi tolta via daCoftan E “A bio tino,auertito de i maliche
fotto colore di bene fi face- uono là dentro. PELLE PELLAI
VITTIMAI.Vltimamcnte il fiicerdotefaceuarizarc vna gran tauola chiamata
EncUhrnjz ome i vafi , che fcruiuono per ifacrificij, fumo detti
EncUbria, , fopra la quale faceua porre la vittima (parata
percercarcdiligctemente gl’in- QsoUinte- teftini (quali erano il cuore,iI
polmone &il fegato)con vn coltello di ferro,& cognofcerc fe gli
Dei s’erano contentati del facrificio & pacificatila i Greci (come scrive
Pausania) appreflo auere guardati gl’inteftini de Taufaù. glagnclli,
capretti, & vitelli, folcuono predire le cose ■;.v: S 5 jl8i
della religione officio de
future.EfgrArufpicioflcruauonofolamentclc fiamme t^nelfacri' delfuoco,dal
q ua le era la vittima abbruciata. Hauen- ficio. do i faccrdoti coli bene
effeminati gl’intcftini , faccuono diuiderele membra della beftia, & quelle
coperte di farina,& polle in vn paniere, ne faceuono offerta à c
o- lui,chehaueua fatto il fecrificio,&cofì (limauono la vit-
tima pcrfetta.il coItcIlo,col quale era la vittimafquar- DoUbré tata, fu
chiamato Dolabra ‘Pontifici, fi come Tito Liuio ponfj/icu, ha nominato
quello, col quale fe le tagliaua la gola , Se- ua,yel a fecando
SeceJj>ir*.}Az i coltelli, coni quali s’am- mazzauonoi piccoli
animali, fumo detti Cultrii come ottico nel hàmoftro Ouidio quando ci
dice, il TrJff ‘ ‘PercuJJufque [augnine cultros form,
lnficit. Et de gl abri coltelli che feruiuono alla caccia, detti
Ve- natori) cultriy ha fatto mcntione Tranquillo nella vita di
Claudio, douc ei dice , Reperti eejuejlri ordinuduoin pu- hlico cum
dolane & "venatorio cultro. Solamente i Giudei
Coltelli di nelle loro circuncifioni vfaronoi coltcllidi pietra. putra
per * e™™"' ~SCVRE ET COLTELLA [A N TJ CH ì\ Laltro
Ì83 L altro coltello, col quale era fquartata la vittima, coltelli
per era fatto nel modo,che fi vede qui (otto. uìttim LTXO CO LTE L LO ^ANTICO. Inuitami la
diuerfitàdi quelli co!telIi,& per fare pia- piwr p f j
ccreàgl’amatori delle cofe antichc,à riprefentare quindi de coltelli
forco la figura dei coltelli antichi, che i vittimarij portauono appiccati alla
cintura in quello modo. COL i8 4 della religion e • COTTE
L Li CHE ‘PORT^V^'HO w »*» ordinariamente i ZJittìmarij alla cintura. Etfc
alcuno purefteflc anchora in dubbio del modo di quelli facrificij, mi è parfo
di riprefcntarc qui al naturale quello che fi è potuto ritrarre della
colonna di Traiano à Roma. S.JCR 1 Bh>'ob -A. ih' iup 31 l MI 51 1141^Ha
. ; t pn jnnr. 3 KV)*j f :J. ^ 'ff ’ !:Ì,W MJtll 11 * 03
1 n I : , obomofbop ni Mina; ; sjbinoàiq ; : onta* zfy
sucrifTcTo~~u wr Tcori fxZf ttò dalla colonna di Traiano. Riguardata
la vittima, e fatto preferite al sacrificatore di pezzi migliori, il prete gli
faceua abbruciare sull'altare, quantunque benefpclfo la carne reftaflè i i sacerdoti
doppoil (angue fparfo fu l'alrare,come hi tno- ftro VIRGILIO (si veda)
quando ei dice, Sanguinis @r [acri patera. Mane gran sacrificij dntida
i la vittima h gittaua tutta intera dentro al fuoco, come hi
dimostro il medesimo poeta dicendo, Etfolida imponunt taurorum
inferra fammi s. La ittLa quale carne non era coli torto porta dentro
a 1 fuo- frtu ì'tc- co, che il prete vifpargcua fopra delì incenfo del
corto, nerliiuen- & altre cole odorifere, che ci pigliaua dentro à
vna caf- fetta detta ^ cetra da I LATINI, e de noi hoggi Turibulum,
come moftrala predente figura, t ~ . d C S S E TT yA DOVE
TEMEVANO ifacerdoti line enfi. W ’ : il uino in Qucfto
iflccnfo,o profummo (comeio penfo) s’ab- ufo ntl fa- bruciaua per
amorzarc il cattiuo odore della carne «rifido, abbruciata, doppo il quale
il facerdote vcrfauadcl vino rane in mag fu l’altare, e all’hora fi
ftimaua fornito il sacrifici tono in ma g LU I aitare, oc auuuia u muuw
lumuu n facrificio, gior pregio quantunque il più perfetto & maggiore
era tenuto quel mi Curi - j Q ^ c j lc ^faccuad’vnatroiajd’vn toro,d’vn
becco, ed’vn montone, e appreflo àgl’Ateniesi d’vna troia.d’vn montone e
d’vn toro, chiamato dai Romani Solitaurilia, e fatto da Censori per lustrare,
o purgare la città di Roma, come qui lo dimoftra la figura, ~ “
SjLCZi nel sacrifi ào. Solitaurilia. SACRIFICIO CHIAMATO SOLitauri
hajirato dui marmo antico. Qiì e ft ovoca bolo, folo, dirnoflra laqualirà
delfacrU ficio, cioc che egli era perfetto e intero, conciofia che solum
in lingua T ulca sìgnifica intero, come dimoierà. Solum - LIVIO (si
veda), chiamando gli ftrali fohferrei, cioè tutti di LIVIO (si veda). erro.
Nel resto e ultimo de sacrificij i medesìmi preti apparecchiauono la cena,
alla quale era permeilo di Ctnd i
trovarsì à ciafcuno, che era flato prelènte aIlacrificio: e preti Rodi quel che
auanzaua,poteua il facrificarorcportarc & mnu donare ài parenti,
&à gli amici,qualì come li fa nella < noftra religione hoggi
del pane ,che ogni domcnicair diftri nijlribu- diftribuifce
per Icchicfc.il modo del loro mangiare craj tionejetta nc l tempio
ftauono tutti ritti con certi panetti tonati anti * diin mano, mentre che
ficantauono d’altra parte le lodi del divino, facendo cuocere la loro carne
dentro à vn vafo detto Olld,&. da noi Pentola, nel modo che da
i marmi antichi ella fi vede ritratta qui difotco. PENTOLA DOVE 1 S UCÌtl
El- ettori ftceuano cuocere Ucarne de li facrijìcij. Avendo anchora
olìcruato per la icultura d'vn'altro marmo antico, che fi vede fopra la porta
della chicia di Bcauieu ixn. leghe di Lyone.comcdoppo che la vit-
tima era fiata pofta morta lu l’altare, il vittimario fe la caricaua fu
le (palle,& la portaua per metterla in pezzi, & farla cuocere,
come fi vede pcrilgiouane vittima- rio,che porta la pentola & la
mcfiola,& il facrificatorc noUfiU- il paniere douc era la mola falata
, però mi è parlo di u, ripresentarne qui la figura al naturale. Eigv 4 >M
Me FiqUR^l T12tUT<st' D'V'N fico eh’ è /opra la porta
de la chiefa di Tcauiett in Seauiolois. J Cerere lulus per le biadc, di
Venere Ereriches, c ioc picn d’amore, e di BACCO, dityramhus: benché
grimbriachi h yanl de haucuono i loro hynni à parte, i quali Ariltofanc
inXd-ba chiamati ft yÌHunct, à caufa che i Greci chiamano e». 4 1 tremito
de la tefta*p>*a'>irr, & mangiare & bere J troppo. H
ora appreflo à tutte quelle cole, il prete, liccnvenilio. tiaua ogniuno,comc
moftra Vcrgilio, quando dice, -Dixutjue nouifiirru vtrl> 4 .
1* il fine del ^ et: volendo mollrarccheil facrificio eraforni fecrifieio.
to, comehoggi anchora fanno i noftri preti alla fine della mefla, quando
dicono, ItemiJJa e fi. In quelli templi tra l’altrc era vna Tedia à parte
dinanzi all’altare, perii Principe, o quello che tencua la giuftitia, intorno
ali ai- r tare vn coro, & nel rcfto del tempio erano portichi
Ioggie,doucil popolo lpaflcggiaua, afpcttando che lì facelle il
lacrificio. Et certamente che Te noi mettiamo ogni induftria &
facciamo ogni grande fpela per Tare bei palagi, e: belle cafe,tanto più
douerremo ingegnarci di fare beile chielc, Scorationi à Dio , per
intrattenere Religione co a P‘
cta, * a religione & la mifericordia,come ci hati degli enti-
noinfegnato OTTAVIANO (si veda),Vespasiano, Nerva, &M. 'Jf ehi impero
Aurelio, tutti buoni e diuoti Impcratori,pcr quanto li tifarne- vede
nelle loro medaglie, doue fono tutte infegne della gnifiebité- antica
loro religione, nel modo che fi trouano qui difottO; ANTON. A
Pf- 2*1 ANTON. PIO. M. AVRELIO. ARGENTO. ARGENTO.
Ma perche gl’ Egitcij fono (lati i primi , che Icuando Religione gl’occhi
in verfo ilcielo, e affifando la mente nella cognitione del divino trouorno
molte cerimonie, e modi di religione:pcrò ho giudicato non fuora di
propofito , Io fcriuere qui neH’vlfimo qualche colà di loro: &
come penfando che il Sole & la Luna fodero Dij ,chiamorno
quello Ofiris,& quell’altra Ifis, adorata poi infino a Roma, come fi vede
per la infraferitta medaglia, dclla quale io ho scritto altrove adai
largamente. MEDAGLIA DEL CINOCEFALO. ARGENTO. E Commodo imperatore
(come fcriuc Spartiano) hpiiorò molto tra gli altri facrificij, quello di
quella Dea, come fi vede nelU fua medaglia , doue ella tiene vna
sfera in mano, come madre di tutti Parti, & vn vaio, ovcroamfora
piena di Ipighe, SIGNIFICANDO LA FERTILITÀ d’Egitto. BRONZO. BRONZO. L’vfanza
de gl’Egitij nell’adorarc i loro Dij, è nel principio pura e semplice, senza
effuzione di sangue, o usare altra crudeltà, però che egli offeriuono sull'altare
quei medesimi frutti che ei mangiano, il che feciono anchora tal voltai Romani,
come dimostra la figura: e abbruciando le radici & le foglie insiemc, guardauonoi
frutti offerti all’altare, pacificando il divino celeste col fumo
fidamente. v pinzi fogli Egitti/ nelTadora- rt » loro
X>ij. s^Cz/ SACRIFICIO 2)1 FRVTTI TIRATO del
marmo antico di Roma. Scrive Porfirio che in quel primo tempo non sono
Porfirio. In uso ne rincenfo, ne Iamyrra, nc la cannellate il zol fine il
zafferano, ma l'erba verta, la quale mostra la potenza della cerra, e tale sacrificio
quale si faccua propriamente dell’erbe si chiamava da Greci 5v*t*. Di
poi vennero Hiperbio e Prometeo che trovorno il Hipfr&io modo di
Eterificare le bclfic,& di conoscere selle erano intere
&fane,& il facrificio grato à gli Disperò chefcil fiacri fi tatotoro
rifiuta u a la farina, o le capre i ceci, chc sono pre- acif ~ (curati
loro, giudicauono il sacrificio ne le bestie edere buono. Dipoi offerirno
myrra e zafferano, e ndl'vlti- T 3 Cerimonie degli Egitti f, i
felli' tarloroDij ld mattina. VITRUVIO (si veda). Itore
certe per far oratione, cr citare. PLINIO (si veda) TACITO (si veda). Macrobio,
Marcellino, Cojlume t Orfeo à far giurare i
forejiitri entrido nel la fua religione. L ecofebuo ne
communicate ima Ugni, perdo nolorriputatione. mofcciono vna
vera beccheria dei facrificij loro. L’altre cerimonie de gl’Egittij erano di
falutare la mattina i loro Dij, il quale modo da gl’antichi fu detto
adoratio- nc, comc mostra VITRUVIO (si veda) nel saggio dell’Architettura,
doueci vuole che i templi del divino fiano prdl'o alle ftrade
macftrc:acciochc i paflànti gli pollino più commodamentc salutare e
adorareda quale vfanza pare che habbino ritenuta i nostri preti, dicendo
il mattutino, & terza & feda, comcgr Egirtij faccuono orationc la
prima, feconda e terza hora, cantando hynni & altri canti, fitti in
laude del loro Dci,& fcritti, come scrive PLINIO (si veda), ne i loro saggi
di religione, per figure e caratteri di bestie, d’uccelli, e d’altre cose, che TACITO
(si veda), Macrobio e Marcellino chiamano Hyerogliphice, come anchora si può
vedere ne i loro obelisci, o vero piramidi e guglie, delle quali ragiona
Plinio al x x x v i. hb.dcl- fHiftoria naturale in quello
modo,Gl’intagli, caratteri, & imagini,chc noi veggiamo, fono lettere
de gl’Egittij fcnzaordine e intelligenza di persona, fcnondi coloro
che sono prepossi alla religione. Ed Orfeo (come narra Firmico) mollrando
à gli huominiforellieri, chc entrauono nella fua religione, i lecreti &
miflerij di quella, gli faceua prima folla portadel tempio giurare, che
non riuclcrebbono maicofa, che egli hauellìno veduta ài profani,
cioè à quellichcnon erano dell’ordine loro: e certamente non fenza ragione,
conlìdcraco come le cole buone perdono di rìputationcquando ellcfonocoftì
municatc à huomini ignorami, incredulfonuidioii, per- fidi & maligni.
Vlauono oltre à quello gl’Egittij, che pigIiauonogl’ordinifacri,di pigliare
anchora prefentida ogniuno. a* 5 ogniuno,& poi faccuonovn
conuitoà tutti quelli , che erano flati prefentialle cerimonie loro: e il
gran sacerdote (come noi diremo hoggi vno de i noftri vefcoui) infegnaua
poi lorc^ciò che ci doueflìno fare, dandoli vn libro, o ruotolo , come
quelli che vfauono i Giudei. I ROMANI poi haueuono altri vigniti de
ordini tra loro, come il maggiore e minori Pontefici, flamini, archiflamini,
e protoflamini, simili al nostro papa, cardinali, patriarchharchinefcoui, vescovi,
abbati priori, canonici e altri , à i quali porta uono molto ho-
nore& obbediuonogl’antichigrandemcntr-.ondc Cicerone fcriuc,che la
religione fu quella che fece coli gran- urrllgim di I ROMANI, anchora che
egli haueflino affili nationi superiori à loro in molte cose. Pofledcuono
parimente gl’antichi benefici) con la dispensa del maggiore Ponte-
eB fìce,come fi vede in Tranquillo nella vita di CLAUDIO, & doti
Antichi in LIVIO, quando ci dice che il figliuolo di Fabio Massimo
ha due bencficij, quando ci fu fatto pontefice: i quali beneficij sono di si
gran valuta, che non solamentc ei poteuono intrattenere le loro case e
famiglie magnificamcnte, ma perenire alle sommc dignità de i loro
trionfi, non lasciando per questo di tenere altri offici) secolari e
publichhandarc alla guerra, e fare mercanti a, secondo che roccasione si presentaua:
& erano quefli bcneficijdidueforti d’vnaVfa fuggettaalla colla-
tionedc Ponteficbde la Republica, & degli Imperatori, e l'ahra reftaua
libera & hcreditaria di mano in mano à R 0m JT « i fucceflorijche
chiamorno tali facerdotij Gentilirij, e tuamentr. quafi al modo noftro
patronati:de quali hà coli parlato CICERONE, nel libro de Aruftìcum
reftonfìs, Ei fono (dice citarne., che hanno fattoi T 4 egli) in
qucfto ordine molte perfone intrjte de facrificij Gentilicij in
quello iftclTotcmpio.Nc e damatntjiaf. rauigliarfi fc l’enrrattc di quelli
benefici j antichi erano cofi grandi, confidcraro che quando i ROMANI
veniuonoa fondarctcpli o munillerj,ci gli jfotauono digrandissimi beni, cosi
indanari,& penfioni,comcin tcrre& altre cole (labi li, & i Re
&gl IMPERATORI le faccuono fijonluioni a quelle, che in Francia fi chiamono
Fondationi rtélL Realidcntratte delle quali fi coinè fono rifeofTe e
pagate dai Riceuitori del Dominio, cofi quelle de ROMANI paflàuono per le mani
de questori, o Telorieri, fi co- coUcgìdd m x c mostra LIVIO, quando ei
dice che NUMA ordine V rftaii no i Collegi de i Flamini & delle vergini
Vcftali,&: aflc- - N ^ id4 £ n ° foro entrate & prouifionidei
beni publicida quale vfanza non bifogna dubitare che non fo/Iè poi
ofleruata & matcnuta da gl altri fondatori che vennono do- cSformiti
P° lui. Concludendo che fc noi porremo ben mente,noi troucrrcmo e vedremo
che gl’ordini della noslra reli- Gentili con gionefonóin moire cole limili
à quelli de gl’antichi Egit k nojircin tij, ROMANI, comclbno i camicide
pretine ftolcde piì- netejecherichc ralc, che i Franzcfi, chiamano corone,
lo inclinare della tcfla, volgendoli all altare, il principio et la fine
del sacrificio, i prieghi, i voti, l’orationi, gl’fiy tini, le mufichc delle
voci,ifuonicomequellidegli organi, proccfIìoni, & molte altre cofc,chc vn
buono spirito potrà facilmente ricorre, hauendo bcneconlideratc quelle
cerimonie & qucIle:ecccttoche quelle de Gcn-’ df ti,icrano «tlupcrfiitiofe,
ma lenollre sono Chri- g aitili. diane & catholichc, eflèndo fatte
inhonoredi Dio Padre Omnitenrc, &di Gicfu Chrillofoo figliuolo, à cui fia
gloria eternalmente. Grice: “There are
many issues about philosophical theology, as we may call it. The romans were
into cult, rather than religion – they didn’t even know where ‘religio’ came
from, and Lucrezio famously disagreed with Cicero – It seems it was all about
killing livestock in lieu of humans, as the barbarians did!” -- Grice: “Enzo should concentrate a bit on how the
ancient Romans dealt with their civil religion. Roma and romanitas. Carlo Enzo.
Enzo. Keywords: l’uomo, essegesi, ermeneutica, i quattro sensi – from Genesis
to Revelations: a new discourse on metaphysics, eschatology – perhaps Moses got
more than the 10 comm from Sinai --. Ebraismo e romanita – romanita
pagana – la teologia naturale dei romani antichi – la religione civile dei
romani – I simboli della religione romana pagana --. La religione ufficiale
della Roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enzo” – The Swimming-Pool
Library.
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