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Friday, November 15, 2024

GRICE ITALO A/Z E EN

 

Grice ed Endio: lla ragione conversazionale e a setta di Sibari --  Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico. Endio.

 

Grice ed Ennea: la ragione conversazionale e  la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Iamblicus of Chalcis, a Pythagorean. Ennea.

 

Grice ed Ennio: la ragione conversazionale a  Roma antica – scuola di Salento – filosofia salerniana – filosofia campanese -- Roma -- il primo filosofo inglese, il primo filosofo latino – scuola di Salento -- filosofia salernese -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Salento). Filosofo salentese. Filosofo salernese. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Salento, Salerno, Campania. Poeta, drammaturgo e filosofo romano;mMuore a Roma. Viene considerato, fin dall'antichità, il padre della filosofia latina, poiché fu il primo ad usare LA LINGUA LATINA la come registro letterario. Ennio che ascolta Omero, immaginato da Sanzio nel Parnaso, Stanze Vaticane. Nasce a Rudiae, nei pressi di Lecce, città dell'antica Calabria -- Salento, nella Puglia meridionale -- in cui allora conviveno tre culture: quella dell’occupante romano, quella OSCA dei centri minori indigeni italici, e quella greca che ha come centro maggiore Taranto. GELLIO (si veda) testimonia infatti che E., pur vantandosi di discendere da Messapo, eroe eponimo della Messapia e dei Messapi, e solito dire di possedere “tria corda,”  poiché sa parlare in romano, osco, e greco.  Durante la guerra punica milita in Sardegna e vi conosce CATONE (si veda) MAGGIORE, censore, che lo porta con sé a Roma. Qui ottenne la protezione di illustri romani quali SCIPIONE (si veda) l'Africano. Poco tempo dopo, entra in contatto con altri aristocratici del circolo degli Scipioni, come il generale MARCO FULVIO NOBILIORE. Queste amicizie lo ponneno in conflitto con CATONE, diffidente nei confronti delle altre culture e di quella greca in particolare. MARCO FULVIO NOBILIORE, nella guerra contro la lega etolica, conduce con sé E. al seguito, con il compito cioè di celebrare le gesta, come in effetti fa nella prae-texta “Ambracia.” Questo scandalizza CATONE, in quanto comportamento contrario al costume degl’avi, al mos maiorum. QUINTO FULVIO NOBILIORE, figlio del generale, gli assegna dei terreni presso la colonia da lui dedotta a PESARO. Riconoscente, Ennio espresse orgogliosamente questa concessione. Nos SVMVS ROMANI qui fuimus ante Rudini -- E., Annales. H. P. GRICE: “A more complicated case of majestic plural than ‘We are amused.” Ennio implicates that he and his descendants are Roman. The use of ‘fuimus’ implicates, but does not say, that he yielded his own citizenship to that place in the middle of nowehere. Ennio, messo a capo del collegium scribarum histrionumque, vive con una sola serva al suo servizio, attendendo alla sua filosofia e la composizione delle sue tragedie e del poema epico. Annos septuaginta natus - tot enim vixit Ennius - ita ferebat duo quae maxima putantur onera, paupertatem et senectutem, ut eis paene delectari videretur. A settant'anni - tanti, infatti, ne visse – E. sopporta la povertà e la vecchiaia, che si suole considerare come le cose più moleste, quasi sembrando che ne godesse (Cicerone, De Senectute). Tra i suoi discepoli ricordiamo il nipote, figlio di sua sorella, il tragediografo e pittore MARCO PACUVIO, e il commediografo CECILIO STAZIO, con cui condivide l'abitazione. Sofferente di gotta, E. muore a Roma. Per i suoi meriti, oltre che per l'amicizia personale, e sepolto nella tomba degli Scipioni, sull'antica Via Appia, dove e raffigurato da un busto su cui e inciso un epitaffio in distici elegiaci che CICERONE crede composto dallo stesso E.  Aspicite, o cives, senis Enni imaginis formam: hic vestrum panxit maxima facta patrum. Nemo me lacrumis decoret, nec funera fletu faxit. Cur? Volito vivus per ora virum. Ecco, o cittadini, i tratti dell'effigie d’Ennio: costui le massime gesta canta dei vostri padri. Nessuno di lacrime mi onori, né la mia morte pianga. Perché? Volo vivo tra le bocche degl’uomini. Testa di E., dal sepolcro degli Scipioni sull'Appia. E. sperimenta la filosofia in numerosi generi letterari, molti dei quali a Roma sono poco conosciuti o del tutto sconosciuti, pertanto è stato definito il vero padre della filosofia e della letteratura (‘grammatica’). Della maggior parte di questa filosofia rimangono solo pochi frammenti e titoli. Per quanto riguarda la filosofia epica, si conoscono gli “Annales” e “Scipione”. Gl’ “Annales” sono il testo nazionale del popolo romano. E. narra la storia di Roma anno per anno, come spiega lo stesso titolo, dalle origini. Gl’Annales e strutturata in XVIII libri, suddivisi in III gruppi di VI, detti esadi. Nel proemio E. racconta che Omero stesso gli era apparso in sogno per rivelargli di essersi re-incarnato in lui dopo avergli esposto la dottrina pitagorica della trans-migrazione dell’anime. Mentre nei primi libri sono raccontati gl’eventi che vanno dalle origini all'invasione di Pirro, nei successivi il racconto arriva fino a due anni prima della sua morte. Nella seconda esade, poi, E. polemizza con coloro che lo criticano per aver introdotto l'esametro, polemizzando contro gl’autori che scriveno in saturni, con chiaro riferimento a NERVIO, che comunque omaggia, non ripetendo la narrazione della guerra punica - e racconta gl’eventi sino alla  guerra macedonica. Per quanto riguarda l’altre composizione, per concorde affermazione degl’antichi, E. eccelle nella tragedia, con composizioni come “Alessandro”, “Andromaca prigioniera”, “Medea”, “Tieste”, “La morte d’Achille,” “La morte d’Aiace”; “Il riscatto del corpore d’Ettore”;  “Ecuba”, “La morte d’Ifigenia ad Aulide”, “Telamone”, e “Telefo”. A parte, come “praetextae”, “Il ratto delle Sabine da Romolo e i suoi compagni” e “Ambracia, o la gesta del generale Fulvio”. Che non e un grande comico, lo testimonia il fatto che restano solo pochissimi versi e due titoli di testi commedidi la “Caupuncule” e il “Pancratiaste”.  Allo stilo dotto apparteneno “Epicarmo” ed “Euhemero”, DI CARATTERE STRITTAMENTE FILOSOFICO; gl’ “Edifagetica”, o ancora, sul versante della poesia disimpegnata, le “Saturae” e gli “Epigrammi.”  E. e il primo romano (naturalizzato) a scrivere un poema in esametri, no saturnini. Il suo capolavoro, gl’Annales, e la prima epica a narrare la storia di Roma dalle origini facendo di E. il vate filosofico di Roma e tra i principali modelli stilistici del De rerum natura di LUCREZIO e dell'Eneide di VIRGILIO. Scrive numerose commedie e tragedie di cui restano pochi frammenti, e da altri frammenti si ritiene che abbia scritto anche alcune satire filosofiche, anticipando addirittura LUCILIO, considerato il padre del genere. O Tite tute Tati tibi tanta tyranne tulisti. O Tito Tazio, tiranno, tu ti attirasti disgrazie tanto grandi! Poiché i frammenti a noi pervenuti sono pochi e giunti per tradizione indiretta, non siamo capaci di valutare la struttura compositiva del poema maggiore e le tecniche della narrazione, ma emergono con sufficiente chiarezza le caratteristiche della lingua e lo stile elevato e solenne, che appaiono frutto di un geniale contemperamento di tratti tipicamente romani e audaci innovazioni. Ricorre spesso ad arcaismi, tratti distintivi di derivazione omerica -- tanto che si presenta nel proemio come Omero redivivo, e ORAZIO stesso lo definisce alter Homerus, "altro Omero". Infatti e ritenuto uno dei principali fautori dell'ellenizzazione. Nonostante CATONE e uno dei filosofi più attaccati alla cultura romana, riconosce e apprezza in E. le doti filosofiche. E. introduce l'esametro nella letteratura, formando i suoi versi anche solo con degli spondei -- infatti sono detti versi olospondaici.  In E. abbonda LA METAFORA FILOSOFICA, sempre molto presenti nei poemi epici, le allitterazioni e l'uso della retorica. La vita: Ennio e i suoi continuatori, su sapere.it, De Agostini Editore S.p.A. Annali. Commentari. Napoli: Liguori Editore, Quintus Ennius tria corda habere sese dicebat, quod loqui Graece et Osce et Latine sciret("Quinto Ennio diceva di avere tre anime in quanto parlava greco, osco e latino") - Aulus Gellius, Noctes Atticae,  Cornelio Nepote, Catone, Skutsch. Quinto Orazio Flacco ^ Poemetto epico-encomiastico, del quale restano solo 14 versi, dedicato a Publio Cornelio Scipione, nel quale il condottiero viene descritto come perfetto exemplum di vir romanus ^ Trattava il ratto delle Sabine. ^ Trattava le gesta di Marco Fulvio Nobiliore in una spedizione contro gli Etoli nel 189 a.C., culminata nella presa della città di Ambracia. ^ Catalogo di cose buone da mangiare, redatto con vena salottiera e decisamente superficiale, come evidente dall'unico frammento pervenutoci, di 11 versi, in Apuleio, De magia, 11. ^ Componimenti in distici elegiaci che si rifacevano a momenti particolari della vita dell'autore. Voci correlate Modifica Rudiae Sepolcro degli Scipioni Ènnio, Quinto, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nicola Terzaghi, ENNIO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, E., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Quinto Ennio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Quinto Ennio, su Musisque Deoque. Opere di Quinto Ennio, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di Quinto Ennio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Quinto Ennio, su Open Library, Internet Archive. I frammenti degli annali editi e illustrati da Luigi Valmaggi, Torino, Casa Editrice Ermanno Loescher, Remains of old latin. Vol. 1: Aennius and Caecilius, Warmington (a cura di), Cambridge-London, Ennianae Poesis Reliquiae, Johannes Vahlen (a cura di), Lipsiae, in aedibus Teubneri. Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Letteratura   Portale Lingua latina   Portale Teatro. Annales (Ennio) poema epico scritto dall'autore latino Quinto Ennio  Marco Fulvio Nobiliore politico romano  Ambracia. Quinto Ennio was a famous arly Roman poet. In his poems, he demonstrates a familiarity with various ideas from philosophy and helped to introduce these to the Roman world. Grice: “We can tell an English philosopher by his references to events in the history of England – as when I say that “Harold Wilson is a great man’ means the same as ‘the Prime minister is a great man’. The Romans were able to refer to Roman history through Ennio, who knew it!” -- Ennio. Keywords: il primo filosofo inglese, il primo filosofo latino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ennio”, The Swimming-Pool Library. Quinto Ennio. Ennio.

                                                                                                                                                        

Grice ed Enriques:  la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale arimmetica – scuola di Livorno – filosofia livornese -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Livorno). Flosofo livornese. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Livorno, Toscana. Grice: “I like Enriques; of course his “Problemi della scienza’ implicates that philosophy does not have any!” Il Dipartimento "Federigo Enriques" di Matematica dell'Università degli Studi di Milano, via Saldini, Milano. Nato in una famiglia ebrea, si trasferì a Pisa. Suo fratello Paolo Enriques, uno zoologo, fu padre di Enzo Enriques Agnoletti e Anna Maria Enriques Agnoletti. Dopo gli studi liceali, compì gli studi universitari a Pisa e la Scuola Normale Superiore. Si laurea. Frequenta in seguito un anno di perfezionamento a Pisa e uno a Roma, dove ebbe modo di incontrare e collaborare con Castelnuovo. Inizia inoltre a collaborare con Cremona, Segre e Amaldi. Lincei. Insegna a Bologna. È invitato presso l'Roma, per occupare la cattedra di matematiche superiori e di geometria superiore. Venne invitato da Neurath a divenire un collaboratore dell'Encyclopaedia of Unified Science, la cui pubblicazione è stata individuata come lo strumento per lo sviluppo del movimento per l'unità della scienza (cf. Grice, “Einheit des Wissenschaft”). Quando però sono promulgate le leggi razziali anti-ebraiche, e espulso dall'insegnamento e da qualsiasi altra occupazione legata all'attività culturale. Durante l'occupazione tedesca è dapprima nascosto in casa di  Frajese e poi a San Giovanni in Laterano. Insegna a Roma nella scuola ebraica clandestina fondata da Castelnuovo per i giovani ebrei estromessi dalle università italiane, e riusce a pubblicare alcuni articoli in forma anonima sul Periodico delle Matematiche, di cui era stato direttore. Torna a insegnare. Tra i fondatori della scuola italiana di geometria algebrica, allarga gli orizzonti del dibattito scientifico occupandosi di filosofia, storia e didattica della matematica. Fonda la Società filosofica italiana (di cui fu presidente), assieme a Bruni, Dionisi, Rignano e Giardina fonda la rivista internazionale Rivista di Scienza ed e nominato direttore del Periodico di matematiche, organo della Mathesis. Diresse, tra l'altro, la sezione di matematica dell'Enciclopedia Italiana. È un filosofo di notevole livello e la sua fama fu internazionalmente riconosciuta. I suoi contributi allo sviluppo della geometria algebrica furono rilevanti, per importanza e originalità. Il periodo in cui si trova a vivere era un periodo di cambiamenti epocali, cambiamenti che interessarono anche i concetti base della matematica e della fisica. E. recepì immediatamente la portata delle novità introdotte dalle opere di Einstein, che fu da lui invitato a tenere una conferenza a Bologna. Nel campo dei fondamenti della matematica si ricordano i testi scolastici di grande diffusione, rivolto all'insegnamento nei licei e scuole superiori, nei quali la geometria euclidea, l'algebra elementare e la trigonometria vengono presentate con il metodo razionale deduttivo. Fra le sue opere più diffuse di matematica elementare si ricordano:  Questioni riguardanti le matematiche elementare, Questioni riguardanti la geometria elementare, Bologna Zanichelli); Elementi di Geometria ad uso delle scuole superiori (con U. Amaldi), Zanichelli Bologna e successive edizioni e ristampe);  Nozioni di matematica ad uso dei licei moderni (con U. Amaldi), Zanichelli Bologna); Gli elementi di Euclide e la critica antica e moderna (Roma e Bologna, Le matematiche nella storia e nella cultura, Bologna. Come opere principali di matematica superiore si ricordano in particolare:  Lezioni di geometria proiettiva, (it, de). Lezioni di geometria descrittiva, Bologna, Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche. Bologna. Lezioni di geometria descrittiva, Le superficie algebriche, Oltre alla sua attività come matematico, sviluppa significative ricerche di epistemologia, storia della scienza e filosofia della scienza. Questo suo impegno per il rinnovamento della cultura, avvenne in un periodo non facile, sia per gli eventi bellici, sia per la cultura dominante nella prima metà del Novecento, caratterizzata dalla filosofia idealistica e dal ridotto interesse verso la cultura scientifica. Fra le sue numerose saggi in queste materie si ricordano:  Problemi della scienza” (Zanichelli, Bologna); “Razionalismo e storicismo in "Rivista di Scienza", Zanichelli, Bologna, Il pragmatismo in "Scientia", Zanichelli, Bologna); “Scienza e razionalismo, Zanichelli, Bologna. Matematiche e teoria della conoscenza in "Scientia", Zanichelli, Bologna); “Per la storia della logica, Zanichelli, Bologna. Storia del pensiero scientifico, Bologna, scritta con G. Santillana. Il significato della storia del pensiero scientifico, Bologna, ripubblicato da Barbieri, La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni, Bologna. Le dottrine di Democrito d'Abdera. Testi e commenti, con M. Mazziotti, ripubblicato per Edizioni immanenza. Sviluppò una corrente di pensiero vicina al razionalismo. Assieme a Peano si può considerare uno dei principali filosofi italiani che si sono dedicati allo studio della logica e della filosofia della scienza nella prima metà del Novecento. Ha messo in luce due aspetti fondamentali del pensiero scientifico  nella prima metà del sec XX: la sempre maggiore specializzazione delle discipline fisiche, tecniche, ecc. e la tendenza al rinnovamento che si è avuta sia nei fondamenti della matematica, sia nella fisica moderna. Assieme a Bruni, Dionisi, Giardina e Rignano, fonda la rivista di ricerca e divulgazione scientifica Rivista di scienza (rinominata successivamente Scientia), con l'obiettivo dichiarato di superare le divisioni disciplinari in nome dell'unità del sapere e contro l'eccessiva specializzazione accademica. Contro codesti criterii ristretti intende reagire soprattutto il movimento nuovo di pensiero verso la sintesi; una Filosofia libera da legami diretti coi sistemi tradizionali, sorge appunto a promuovere la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza. Pel quale il particolarismo stesso viene compreso in un aspetto più adeguato nella interezza del processo scientifico. (Programma, Rivista di Scienza). Condusse la rivista, quando un articolo di Rignano sulle cause della guerra lo costrinse a rassegnare le dimissioni. Torna alla direzione alla morte di quest'ultimo e sotto sua esplicita richiesta fino al’anno delle leggi razziali. Abbandonato ogni incarico, ritorna infine alla guida di Scientia a due anni dalla morte. Il primo saggio significativo dedicato da Enriques a questioni di metodo e filosofia della conoscenza è l'opera Problemi della scienza nella quale compie un'analisi articolata delle varie discipline della matematica, della geometria, della meccanica, della fisica edella chimica alla fine del XIX secolo. Mette in evidenza l'importanza che lo scienziato deve analizzare con la massima attenzione, sia i fondamenti logici e sperimentali delle diverse discipline, sia il contesto storico e le situazioni in cui i principi scientifici sono stati scoperti.  In quest'opera Enriques indica che una visione dinamica della scienza, porta naturalmente nel terreno della storia. I fondamenti della scienza quindi non possono essere capiti completamente se non si analizza anche il contesto storico e culturale nel quale sono stati formulati. L'opera ebbe maggiore fortuna e diffusione all'estero, che non in Italia, dominata agli inizi del Novecento dalla cultura letteraria e della filosofia idealistica. Il suo pensiero trova riscontro nelle teorie elaborate dai massimi epistemologi filosofi fra cui Popper, Lakatos e Kuhn. In particolare nel pensiero di Lakatos e di Kuhn viene sviluppata la concezione della formazione storica dei concetti scientifici, come opera di più autori e ricercatori, che in un determinato periodo storico elaborano una serie di principi-base sui quali viene sviluppata una teoria ipotetico-deduttiva e le successive verifiche sperimentali.  Importante è anche la presa di posizione sia rispetto alla filosofie idealistiche del ‘900, che hanno tralasciato gli aspetti della filosofia della scienza, sia la sua posizione critica rispetto alla filosofia di Kant. In particolare, critica il concetto di giudizio sintetico a priori di Kant (Critica della ragion pura). Secondo Enriques, i principi fondamentali delle scienze sono elaborazioni razionali derivate per induzione dall'esperienza e dalla percezione sensoriale e non sono giudizi sintetici a priori. In questo saggio porta alcuni esempio fondamentali. I postulati della geometria sono generalizzazioni, per astrazione, di semplici esperienze geometriche, che ogni allievo compie fin dalle prime osservazioni razionali del mondo esterno, svolte anche in ambito scolastico. I principi della geometria sono generalizzazioni di esperienze sensoriali concrete.  Allo stesso modo anche i principi della Fisica e della Chimica derivano direttamente da generalizzazioni di esperimenti reali. Ad esempio la Legge di conservazione della massa dovuta a Lavoisier non è un giudizio sintetico a priori, come crede Kant. È noto infatti che deriva da semplici esperimenti fisici, svolti pesando i composti chimici prima e dopo una reazione chimica. La nuova impostazione razionalistica e storica fu avviata in Italia da Enriques, in Francia da Duhem e in Austria da Mach e da altri autori riunitisi intorno al Circolo di Vienna. Fu poi sviluppata ulteriormente in Italia da Geymonat e dalla sua scuola milanese che ha ripreso gli studi di Enriques, sviluppando i temi di storia della scienza e di filosofia della scienza.  Un'altro saggio fondamentale è Per la storia della logica che mette in evidenza l'importanza della deduzione, della induzione e gli altri aspetti interpretativi ed epistemologici della logica.  Il saggio ha un approccio storico e descrittivo della logica è ricco di citazioni originali, e affronta questo difficile argomento anche con una certa ironia ed eleganza letteraria. Nell'opera, sono illustrati in modo semplice e sintetico i contributi portati a questa disciplina dai vari filosofi nelle varie epoche. Si può considerare uno dei pochi testi in cui la materia è esposta in modo chiaro, essenziale e interessante.  Di notevole interesse per le fonti storiche citate e per la narrazione della genesi dei concetti scientifici sono la serie di opere dedicate alla storia della scienza. Il primo saggio fu la “Storia del pensiero scientifico” scritto in collaborazione con G. Santilana. Quest'opera ripercorre la storia delle scienze matematiche, geometriche, astronomiche, meccaniche e fisiche dall'antica Grecia fino ai giorni nostri, con numerose citazioni e fonti storiche degli autori originari. A esso seguirono altri testi di approfondimento, fra cui, “Il significato della storia del pensiero scientifico e La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni; Lineamenti di filosofia della scienza. Dei numerosi saggi dedicati agli aspetti filosofici della scienza si desumono i principali lineamenti del suo pensiero razionalista, che, a titolo orientativo si possono cercare di sintetizzare nei seguenti punti:  Equilibrio fra intuizione e ragionamento logico. Nelle opere scientifiche gli argomenti sono esposti in modo intuitivo, evidenziando i motivi sperimentali e oggettivi alla base di alcuni concetti astratti. Dopo la descrizione dei suoi principi, si sviluppa poi la materia con criteri logici, deducendo razionalmente le principali leggi, teoremi e applicazioni. Questo carattere, comune anche ai grandi scienziati del passato (Galilei, Cartesio, Newton, Eulero, Coulomb, ecc.) contraddistingue il metodo di Enriques, rispetto agli indirizzi formalisti che  si sono avuti nella logica e nella matematica del XX secolo. Problema della specializzazione delle scienze: ha colto questo aspetto critico delle numerose edeterogenee discipline scientifiche. Per superare il problema della eccessiva frammentazione del sapere ha proposto di ripensare i concetti fondamentali della fisica, della geometria, della matematica e delle altre scienze naturali con criteri unitari, approfondendone il significato intuitivo, sperimentale e la sua genesi storica. Approccio storico alla conoscenza scientifica. Questo aspetto caratterizza il metodo di Enriques, che ha sviluppato con passione e impegno moltissimi aspetti di storia della scienza. La storia della scienza fa parte della scienza stessa. Per capire veramente un teorema non è sufficiente capire solo la sua dimostrazione, ma anche il contesto storico nel quale è stato formulato, quali sono stati i problemi tecnici che hanno portato alla sua formulazione e come sono stati risolti tali problemi con l'applicazione delle teorie scientifiche. Sviluppato in Italia il nuovo approccio di storia della scienza avviato da Mach e da Duhem, precursori del gruppo di filosofi e scienziati Professore del circolo di Vienna. Valenza fisica dei concetti geometrici. La geometria può essere considerata come il primo capitolo della fisica, diversamente dai matematici e filosofici formalisti che la considerano una scienza astratta. L'orientamento formalista nella geometria è stato delineato da Kant (Critica della ragion pura) per il quale i postulati geometrici non derivano solo dall'esperienza visiva, ma sono giudizi sintetici a priori di carattere soggettivo e indipendenti dalle percezioni sensoriali. La tesi di Kant è stata discussa dai massimi esperti di filosofia teoretica con orientamenti contrastanti. Nel XIX secolo in opposizione a Kant si è delineato un approccio fisico-sperimentale ai principi geometrici, al quale hanno aderito molti storici e filosofi della scienza. Ha contribuito alla riscoperta del significato più autentico, di carattere storico, intuitivo e sperimentale alla base della geometria, della matematica e delle scienze fisiche. Contributi su Scientia Articoli “Eredità ed evoluzione” su amshistorica.cib.unibo. “I numeri e l'infinito” su amshistorica.cib.unibo. “Il pragmatismo” su amshistorica.cib.unibo. “Il principio di ragion sufficiente” su amshistorica.cib.unibo. “Il problema della realtà” su amshistorica.cib.unibo. “Il significato della critica dei principii nello sviluppo delle matematiche” su amshistorica.cib.unibo. “Importanza della storia del pensiero scientifico nella cultura nazionale” su amshistorica.cib.unibo. su amshistorica.cib.unibo. “L'infinito nella storia del pensiero” su amshistorica. cib.unibo. La filosofia positiva e la classificazione delle scienze, I motivi della filosofia di Rignano, su amshistorica. cib.unibo. Recensioni (in francese)  Ailly, Imago mundi, Aliotta, A. L'esperienza nella scienza, nella religione e nella morale, su amshistorica.cib.unibo. Archibald, Outline of the History of Mathematics, su amshistorica. cib.unibo. Bignone, L'Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro, su amshistorica.cib.unibo.  Blanche, Le rationalisme de Wewell, su amshistorica.cib.unibo.  Bouasse H. Bachot et bachotage, su amshistorica.cib.unibo.  Brunetet Mieli, Histoire des Sciences. Antiquite, su amshistorica.cib.unibo.  Brunschwig, De la connaissance de soi, su amshistorica.cib.unibo.  Carbonara, C. Scienza e filosofia ai principi dell'età moderna, su amshistorica.cib.unibo.  Carnap, R. L'ancienne et la nouvelle logique, su amshistorica. cib.unibo.  Carnap, La Science et la Metaphysique devant l'analyse logique du langage, su amshistorica.cib.unibo.  Caullery, La science francaise, su amshistorica.cib.unibo.  Collected papers of Peirce, su amshistorica.cib.unibo.  Correspondance du Marin Mersenne, su amshistorica.cib.unibo.  Cournot Considerations sur la marche des idees et des evenements dans les temps modernes, su amshistorica.cib.unibo.Crowter, British Scientists, su amshistorica. cib.unibo. Amato, Studi di storia della filosofia, su amshistorica.cib.unibo. Waard, .L'experience barometrique, ses antecedents et ses explications, su amshistorica.cib.unibo.  Del Vecchio Veneziani, A Negri, su amshistorica. cib.unibo. Volpe, La filosofia dell'esperienza di Hume, su amshistorica. cib.unibo. Volpe, G. La filosofia dell'esperienza di Hume, su amshistorica. cib.unibo. Dingler, Philosophie der Logik und Arithmetik, su amshistorica. cib.unibo.  Dugas, Essai sur l'imcomprehension mathematique, su amshistorica. cib.unibo.Fano, Geometria non euclidea, su amshistorica.cib.unibo.  Frank, Theorie de la connaissance et physique moderne, su amshistorica.cib.unibo.  Galilei, Opere, su amshistorica.cib.unibo.  Ginzburg, The Adventure of Science, su amshistorica.cib.unibo.  Gli atomisti. Frammenti e testimonianze, su amshistorica.cib.unibo. Gregory, Combustion from Heracleitos to Lavoisier, su amshistorica.cib.unibo.  Hahn, Logique, mathematique et connaissance de la realite, su amshistorica.cib.unibo.  Heidel, The heroic Age of Science, su amshistorica.cib.unibo.  Hessenberger, G. Grundlagen der Geometrie, su amshistorica. cib.unibo.  I frammenti degli stoici antichi, su amshistorica.cib.unibo.  Jaffe, H. Natural Law as controlled but not determined by Experiment, su amshistorica.cib.unibo.  James Philosophie de l'experience, su amshistorica. cib.unibo.  Janek, A. Die realitat vom Standpunkte des Efallelismus, su amshistorica.cib.unibo.  Keyser, .Mathematics and the Question of Cosmic Mind, with other Essays, su amshistorica. cib.unibo.  La philosophie de Vailati, su amshistorica.cib.unibo. La philosophie de la nature, su amshistorica.cib.unibo.  Le Bon, La Revolution Francaise et la psychologie des revolutions, su amshistorica.cib.unibo.  Lecat, Erreurs de mathematiciens des origines a nos jours, su amshistorica.cib.unibo.  Lennhardt, La nature de la connaissance et l'erreur initiale des theories, su amshistorica.cib.unibo.  Liebert, Philosophie des Unterrichtes, su amshistorica. cib.unibo.  Maiocco, Le leggi di Mendel e l'eredita, su amshistorica.cib.unibo.  Marshall, Microbiology, su amshistorica.cib.unibo.  Matematiche e teoria della conoscenza, su amshistorica.cib.unibo.  Metz, Meyerson, une nouvelle philosophie de la connaissance, su amshistorica.cib.unibo.  Metzger, H. La philosophie de la matiere chez Lavoisier, su amshistorica.cib.unibo.  Meyerson, E. Du cheminement de la pensee, su amshistorica.cib.unibo.  Ness, A.Erkenntnis und Wissenschaftliches Verhalten, su amshistorica.cib.unibo.  Nordstrom, Moyen age et Renaissance, su amshistorica.cib.unibo.  Platone e la teoria della scienza, su amshistorica. cib.unibo.  Reflexions sur l'art d'ecrire un traite: a propos d'un traite de mathematiques, su amshistorica. cib.unibo.  Rensi, Le ragioni dell'Irrazionalismo, su amshistorica.cib.unibo.  Rey, Rey, A.Les mathematiques en Grece au milieu du V siecle, su amshistorica.cib.unibo.  Servien, Principes d'esthetique. Problemes d'art et langage des sciences, su amshistorica.cib.unibo.  Smith, The Poetry of Mathematics and other Essays, su amshistorica.cib.unibo.  Spirito, U. Scienza e filosofia, su amshistorica.cib.unibo.  Stefanini, Platone, su amshistorica.cib.unibo.  Stefanini, L. Platone, su amshistorica.cib.unibo.  Tannery, P.Puor l'histoire de la science hellène, su amshistorica.cib.unibo.  Wind, E. Das Experiment und die Metaphysik, su amshistorica.cib.unibo.  Wolf, A History of Science, Technology and Philosophy, su amshistorica. cib.unibo.L'autore cura una decina di manuali didattici di geometria e algebra elementare e oltre 20 trattati di matematica superiore. Inoltre pubblica un'ampia serie di testi di storia e di filosofia della scienza e numerosi articoli specializzati. Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze Spoglio di articoli e recensioni disponibile sul Catalogo Italiano dei Periodici (ACNP). Informazioni sulla storia editoriale di Scientia. Antonucci e Beer, Sapere ed essere nella Roma razzista. Gli ebrei nell’università, Roma, Gangemi editore, Collana Roma ebraica-7,  Nastasi, E. e la civetta di Atena, ed plus,Pisa, Comunità ebraica di Livorno. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  E.  E. (altra versione), in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. E., su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Federigo Enriques, su Mathematics Genealogy Project, North Dakota State University.  Opere di E., su Liber Liber.  E. su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di E., Polizzi, E.,in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Edizione nazionale delle opere. Digitalizzazione completa di Scientia e Rivista di Scienza su AMS Historica. Sito ufficiale del Centro Studi E. di Livorno. "Le Armonie Nascoste", un recente documentario su Enriques su lalimonaia.pisa. Coloro che s'immergono nella dialettica, dice Aristone di Chio, fanno come i mangiatori di gamberi: per un boccone di polpa perdono il loro tempo sopra un mucchio di scaglie. Ma Hamilton, riportando il motto, vi aggiunge un’osservazione che non sembra aver perduto valore ai nostri giorni. Da noi, dice, il filosofo perde il tempo senza nemmeno gustare un boccone di polpa. Infatti il filosofo che ha percorso gli studi romani antichi classici, domanderebbe invano alla dialettica che gli fu insegnata, un concetto adeguato di quello che è l’ordinamento di un calcolo deduttiva come la geometria, nonché una spiegazione del significato e del valore dei principi che s’incontrano in la geometria. Che cosa e una definizione, un’assioma, un postulato? Che posto occupano nell’organismo della teoria dialettica? Quali sono i criteri che presiedono alla loro scelta o che permettono di giudicare della loro accettabilità? Tutte queste domande rimangono senza risposta, pel filosofo, se pure ad esse si alluse vagamente da qualche oscura dottrina del concetto. Certo esse non ricevono lume dalle minute classificazioni sillogistiche, per mezzo delle quali egli vien abilitato, quando mai, a verificare ciò che non ha alcun bisogno di verifica, cioè la coerenza formale di una dimostrazione geometrica. Ora è essenziale rilevare che il filosofo, ponendosi il problema dell’ordinamento della propria disciplina, si ritrova in faccia alla dialettica nella posizione stessa dei filosofi che hanno lavorato a costruirne l’edifizio, giacche lo sviluppo della dottrina del ragionamento procede appunto dalla critica dei filosofi che hanno riflettuto intorno alla natura e all’ordine della consequenza logica. Come padre della dialettica viene designato Aristotele. Ma Aristotele non può essere ritenuto se non raccoglitore e sistematore di ciò che nella dialettica e elaborato prima di lui, qualunque sia il contributo originale che può aver recato al sistema. L'affermazione precedente apparirà tosto giustificata quando si ricordi che le matematiche avevano raggiunto, già all’epoca di Platone, uno sviluppo assai elevato, [Il vanto che Aristotele dà a sè stesso (al termine degli Elenchi Sophistici) di aver creato una nuova scienza, appare, a chi legga tutto il paragrafo, riferirsi in modo stretto alla scienza della discussione o dialettica o collequenza e ad ogni modo non prova nulla contro il nostro asserto. La logica degli anlichi fiacche — a partire da Ippocrate di Chio — si comincia a scrivere trattazioni dei suoi Elementi. Anche, che anzi, proprio all'epoca di Platone, ed in più o meno stretta connessione coll’accademia da cui pure usce Aristotele, alcune teorie aritmetiche furono oggetto di una profonda elaborazione critica (Eudosso, Teeteto...), che costituisce il precedente storico degli Elementi d'Euclide. Anche, che, d’altra parte, la dialettica aveva ricevuto uno straordinario sviluppo nelle discussioni dei Sofisti, sia presso i primi insegnanti salariati che presero tal nome, filosofi — come Protagora dì Abdera — sostenitori dell’ empirismo avverso il razionalismo metafisico del circolo di Velia, sia, più specialmente, presso i Megarici ed altri pensatori affini, che, in connessione coi circoli socratici, ripresero e svolsero in un modo formalistico la veduta veliatica. La finezza di alcuni sofismi attribuiti a filosofi di Velia, basterebbe da sola a testimoniare della profondità dell’analisi da essi ragggiunta, di fronte a cui fanno talora meschina figura le spiegazioni o confutazioni d’Aristotele negli Elenchi Sophistici. Aggiungasi che le stesse polemiche aristoteliche contro avversari non nominati (per esempio, intorno alla necessità e al carattere dei principi negli Analytica posteriora) valgono ad indicare che il problema logico dell’ordinamento di un calcolo analitico-deduttivo si dibatte secondo vedute diverse, alcune delle quali si riveleranno — ad un esame approfondito — più vicine alle vedute moderne, in confronto a quelle adottate dal filosofo di Stagira. I trattati d’Aristotele, che furono raccolti sotto il nome comprensivo di Organo, manifestano la doppia origine, dalla critica dell’aritmetica e dalla pratica della colloquenza. Infatti, i primi due saggi (Categoriae e De Interpretatione) si riferiscono alla classificazione o tassonomia delle espressione isolate e della proposizione, formando quasi una introduzione a tutta l’opera. I due saggi successivi (Analytica priora e Analytica posteriora) svolgono appunto la colloquenza come calcolo, quale risulta dall’analisi del ragionamento. Invece i due saggi (Topica ed Elenchi Sophistici) concernono l’arte della colloquenza o argomentare, mirante — non all’analitico ma soltanto al ‘desirabile’ ed al ‘credibile’ o ‘probabile’ in rapporto alla pratica della colloquenza. Aristotele ritiene per quest’arte il nome eleatico-platonico di ‘colloquenza’, mentre distingue col nome di propedeutica analitica – lo studio dell’analitico -- l’esame del procedimento della scienza dimostrativa, in cui dalla possibilità della scienza si desumono le condizioni del suo ordinamento questo senso è stato ripreso da Kant in quella parte della Critica della ragion pura che costituisce l’Analitica trascendentale. L’espressione ‘logicus’ è usato dal nostro per designare procedimenti del discorso che, non partendo da principi, non hanno valore dimostrativo. Ma quest’espressione s'incontra, già prima, [Quest’osservazione è fatta da Pranll, Geschichte der Logik. La logica degli antichi nel titolo di un saggio di Democrito d’Abdera:  rtepi Xoytxwv i) xavwv. E nella misura in cui si può ammettere che Aristotele ne abbia conservato il ‘significato’, rivelerebbe una diversa cocezione (più relativa e formale) del ragionamento: la quale s’incontra di fatto dopo Aristotele, e spalmente presso gli Stoici. Ora questi filosofi, appunto a partire da Zenone Cizio, designano come “to logikón” quella parte della filosofia che ha relazione al “logo” o discorso, e che comprende questioni attinenti al ragionamento e questioni rettoriche o di grammatical della profundita; mentre la scuola contemporanea di Epicuro ha tratto sicuramente da Democrito il nome di canonica, con cui designa le regole del metodo. Siffatte osservazioni, tendono a mostrare che l’influenza della vasta opera aristotelica sui successori, non fu così esclusiva come di solito si ammette, e c’inviterà a ricercare in questi stessi successori il riflesso delle opinioni più antiche, ed in particolare di quelle del maestro d’Abdera. Per formarsi un concetto dell’origine della logica, sarebbe interessante di ricercare se e quali ([Diels, Die Fragmente der Vorsokraliker: Dem.A 33, B. 10^. Diog. Laert. (In Arnim, Diogenes). CO Aggiungeremo che Prantl opina che il nome proprio vj, come appellativo della scienza del ragionamento, o come nome comprensivo di esso e della rettorica, introduca piuttosto dai tardi peripatetici che dagli stoici] rapporti sieno interceduti fra la critica dei matematici e le sottili disquisizioni e implicature dei sofisti. Clairaut, per spiegare il rigore del ragionamento di Euclide, notta: ce geomètre avait à convaincre des Sophistes obstinés qui se faisaient une gioire de se lefuser aux vérités le plus évidentes. Houel ripette che la forma dogmatica d’Euclide è dovuta a “sa préoccupation de fermer avant tout la bouche à des sophistes que la Grece avait le tori de prendre au sérieux.” “De là,” egli aggiunge, “son habitude de demontrer toujours qu' une chose ne peul pas ótre au lieu de demontrer qu’ elle est.” Queste affermazioni sono state frequentemente contestate, giacche è difficile riconoscere che i sofisti abbiano esercitato un'influenza diretta, non dico sopra Euclide, ma nemmeno sopra i geometri, suoi predecessori, che hanno elaborato criticamente la scienza matematica. Tuttavia si può citare, a questo proposito, qualche accenno ad una polemica antimatematica di Protagora e di Antifonte tendente a restituire (avverso la filosofia razionalistica) il carattere empirico (alla Mills, i. e., sintetico, non analitico) ai concetti della geometria: argomenti dello [Elementi de geometrie, Parigi] [Essai critique sur les Principes fondamenlaux de la Géométrie” Parigi] Nondimeno i rapporti amichevoli di Protagora col matematico Teodoro di Cirene sono attestati da Platone: Teeteto 161 b 162 a. (Aristotele, Met. II, 2. (20). Cfr. Simplicio in Aristotele Phys.: Diels B. 13. La logica degli antichi] stesso genere vedonsi comunemente ripetuti dagli empiristi» e — per quanto concerne l'antichità — si trovano raccolti da Sesto Empirico (‘). Ma, qualunque veduta si abbia intorno alle idee espresse da Clairaut e da Hoiiel (che sono errate almeno per quel che concerne la svalutazione del movimento sofistico I), un altro nesso, più importante, appare fra la critica logica dei matematici e la dialettica dei sofisti, poiché l’una e l’altra sono generate insieme dalla filosofia di Velia. Infatti Zenone di Velia, è additato, dallo stesso Aristotele, come inventore di quell’arte litigiosa che è la dialettica e, d’altra parte, l’analisi penetrante di Tannery e di Zeuthen sui celebri argomenti intorno al moto (la dicotomia, l’Achille, la freccia, ecc.), ha messo in evidenza il loro significato e valore matematico, sicché il sottile dialettico in cui la tradizione non ha veduto che un ragionatore ‘paradossale’, si scopre ai nostri occhi come iniziatore di quell’ ordine di considerazioni che costituisce l'analisi infinitesimale. Ed é sommamente istruttivo riconoscere che proprio dalle considerazioni infinitesimali — in cui il pensiero i trova esposto a non sospettate fallacie — trae origine la critica del ragionamento, onde ne esce fuori la sco¬ perta del principio di contraddizione e il procedimento [Adversus Aialhcmaticos, I. III. (2 ) Cfr. Diog., L., Vili, 57; Sesto Adv., Math., VII, 6 (in Diels, Zenone, A, IO); Aristotele ed. Didot] di riduzione all'assurdo, o eliminazione della negazione. Democrito che spingerà innanzi l’analisi infinitesimale, scoprendo il volume della piramide, viene parimente ricordato da Diogene Laerzio come prosecutore della dialettica zenoniana. Ma importa spiegare, sia pure con brevità, come le origini dell’analisi infinitesimale si riattacchino ad un critica dei principi della geometria, a cui pertanto viene a connettersi lo sviluppo della logica. La dimostrazione delle cose che qui asseriamo si troverà nei lavori degli storici sopra citati, ed anche in altri nostri scritti, in cui abbiamo trattato più particoiar-mente questo soggetto. Secondo le notizie che ci vengono fornite da Proclo, nel commento al primo libro dell' Euclide, le principali teorie geometriche che costituiscono gli Elementi furono elaborate dai pitagorici e ricevettero già a Crotone uno sviluppo dimostrativo. Zeuthen suppone che il punto di partenza di questo sviluppo sia stato il tentativo di stabilire in generale la relazione fra i quadrati dell’ipotenusa e dei cateti del triangolo rettangolo, nota sotto il nome di teorema di Pitagora. D’altronde vi sono numerosi indizi che la geometria pitagorica avesse come fondamento una teoria delle proporzioni (symmetria, o della misura o analogia), basata sopra un concetto EMPIRICO del punto-esteso, preso come [Cfr. Enriques, Il procedimento di riduzione all'assurdo, Bollettino della Mathesis ».Cfr. in ispecie Tannery, Pour la Science hellcne, cap. X. La logica degli antichi] elemento unitario di tutte le cose (monade). Così l’affermazione pitagorica che le cose sono numeri è da interpretare nel senso che un corpo, o una figura geometrica, che in questo stadio della filosofia si pensa in maniera concreta, e un aggregato di punti, cioè unità aventi posizione. Ma l’ipotesi monadica traeva con se la commensurabilità (simmetria) di due segmenti qualsiansi, che appunto rendeva senz' altro possibile la misura, e questa conseguenza doveva urtarsi — nel stesso circolo pitagorico— colla scoperta che la diagonale e il lato del quadrato sono incommensurabili. Ora, mentre i pitagorici si affaticavano intorno a questa difficoltà, altri filosofi che del resto sono usciti dai medesimi circoli, iniziano la critica dei concetti geometrici, riconoscendo che un ragionamento, il quale voglia mantenersi immune da contraddizioni, deve riguardare il punto come privo di estensione, la linea come lunghezza senza larghezza, la superficie senza spessore, e di qui vengoo naturalmente condotti alle prime considerazioni infinitesimali. Questi critici razionalisti sono i filosofi di Velia: Parmenide e il suo discepolo, l’italiano Zenone. La loro speculazione segna un punto decisivo nella storia della filosofìa, perocché essa proclama nettamente, per la prima volta, i diritti della ragione: il ragionamento coerente viene assunto [Parmenide è annoverato fra i pitagorici nel catalogo di Giarablico (Diels, Pyth.) e delle sue relazioni con altri pitagorici ci viene attestato da Diogene Laerzio. Senz’ altro a misura della verità, cioè dell' esistenza metafisica, distinta e contrapposta all’ opinione probabile che si riferisce alla realtà sensibile. Da questo razionalismo, per cui il pensiero non esita a staccarsi dalle apparenze fenomeniche per serbare rigida fede ai suoi principi, nasce il metodo dialettico, che è il germe della logica. La quale ebbe a svilupparsi di poi, mentre fervevano le controversie fra empiristi e razionalisti, e — per opera di questi — si proseguiva lo sviluppo dell analisi infinitesimale (Democrito), e se ne indagava criticamente i principi (Eudosso). Ma, poiché questa critica — toccando alla teoria fondamentale degli incommensurabili e delle proporzioni — veniva ad involgere l’intiero problema dell’assetto rigoroso della geometria, la ricerca logica non poteva limitarsi all’ analisi dei sottili procedimenti implicaturali della deduzione, anzi doveva naturalmente estendersi all’ordinamento della scienza e alla valutazione dei suoi principi. In rapporto a ciò che precede riescono sommamente espressivi ed interessanti i giudizii di Plato ne, sebbene forse, si sia esagerata dallo Zeuthen l’influenza che il filosofo ateniese può. “Sur la riforme qu' a subie la malhématique de Platon à Euclide et gràce à laquelle elle est devenue Science raisonnée, “Memorie dell’ Accademia di Copenhagen”)] avere esercitato su pensatori matematici quali Eudosso Teeteto, allorché designa il movimento critico el tempo col nome di riforma platonica dèlle matematiche. Riferiamo alcuni passi della Republica 510. Quelli che si occupano di geometria e di aritmetica ecc. assumono il “pari” ed il “dispari”, e le figure e tre specie di angoli, e altri simili supposti nelle dimostrazioni; e come avendone certa scienza questi supposti li prendono per base, e quasi fossero evidenti non pensano affato a darne alcuna ragione, nè a se stessi, nè agli altri; anzi, di qui partendo, ordinatamente dimostrano lutto il resto giungendo infine a ciò che si proponevano di dimostrare. Essi si valgono, per ciò, di figure visibili, e ragionano su di esse, non ad esse pensando, ma a quelle di cui queste sono l’immagine, ragionando sul quadrato in se stesso e sulla sua diagonale, anziché su quello o quella che disegnano; e cosìutte le figure che formano o disegnano (quasi ombre o immagini specchiate dall' acqua), tutte le adoperano come rappresentazioni, cercando di vedere attraverso di esse i loro originali, che non sono visibili se nndall’intelligenza (5:cV3ix).... ». (511). Questa specie invero io la dicevo intelligibile, e intendevo dire che l’anima nell’ investigazione di essa, è costretta a valersi di remesse. Ci valiamo dell’ed. Didot e della trad. it. edita da Laterza, che riportiamo con lievi modificazioni. non procede al principio, perchè non è in grado di andare oltre alle premesse, ma si vale, come d’ immagini, degli originali appartenenti al mondo di quaggiù, da esse imitali, valutandoli e stimandoli come eidenti di fronte a quelle,” mentre “il ragionamento che usa la forza della dialettica, considerando le remesse non come principi ma soltanto come pre¬ esse — quasi punti d’ appoggio e di partenza — giunge a ciò che più non ha premesse, cioè al principio universale, e raggiuntolo e tenendosi fermo alle conseguenze che ne derivano, perviene al fine senza far uso di nessun sensibile, cioè procede dalle idee stesse alle idee attraverso le idee, per finire alle idee. Di qui la distinzione posta fra la ragione del dialettico (vo’jc, vóy}oic) e l’intelligenza del geometra (3:xvo:s() che sta di mezzo fra l’opinione e la ragione”. La stessa distinzione ritorna in: Rep. (533c,...): la geometria e le scienze affini sognano rispetto all’ essere, ma è imposibile che lo vedano ad occhi aperti, intanto che si valgono di postulati e li tengon fermi, mentre non sanno renderne conto. Veramente la disciplina, che ignora il suo principio, e che ha la fine e il mezzo legato a ciò che non sa, come si potrebbe chiamarla scienza?... ».Vi è qualche difficoltà a comprendere queste vedute. Anzitutto giova respingere l’ interpretazione più comune, che stabilisce una differenza radicale fra la ragione del dialettico e l’intelligenza del geometra, giacché non si riesce a dare alcun significato alle idee platoniche, se non ammettendo che esse esistano nello stesso modo in cui si afferma l’esistenza di rapporti o di forme matematiche nella natura. L' apparente contraddizione fra questo modo d'intendere la dottrina e le parole del testo sopra accennato, si toglie ammettendo che il posto inferiore attribuito alle matematiche di fronte alla dialettica, si riferisca non tanto alle matematiche pure, costruibili come scienze (pafW’yiJ.aT*) secondo l’ideale del nostro, quanto alle matematiche considerate come arti (zl'/yy.:). Ed in appoggio a tale veduta si possono citare altri passi dello stesso dialogo, p. es.: Rep. (527)  anche coloro che sono poco profondi in geometria, non metteranno in dubbio che questa scienza è tutto il contrario di quanto parrebbe dalla terminologia che usano quelli che la professano. È una terminologia troppo ridicola e misera, perchè — quasi si trattasse di scopo pratico — parlano sempre di quadrare, di prolungare o di aggiungere. Invece tutta la scienza si coltiva collo scopo di conoscere”. Ma qual’ è l’ordinamento della geometria vagheggiato da Platone? su che base vorrebbe egli edificarne i principi? I passi citati indicano assai chiaramente che per conferire alla scienza un valore razionale, il filosofo [Cfr. G. Milhaud: Les philosophes géometres de la Grece. Parigi, Alcan; Enriques: Scienza e razionalismo, Bologna, Zanichelli] vorrebbe eliminare quelle domande che si pongono a fondamento delle dimostrazioni, sotto il nome di postulati (axioma), mercè cui si assume la possibilità di certe costruzioni, facendo appello ad operazioni pratiche sopra modelli sensibili. La base della geometria, edificata secondo i criteri della dialettica, consisterebbe duue in pure definizioni (il procedimento dialettico ha appunto come scopo di definire i concetti !) o in principi evidenti — quali gli assiomi — che Platone riguarderebbe come conoscenze innate, giusta la teoria della reminiscenza (annamnesis) esposta nel Menone. In tal guisa le proprietà elementari che una figure visibile ha porto occasione di riconoscere, merce 1 intelligenza ideahzzatrice (dianoia), apparirebbero fondate sulla pura ragione (nous). Rivolgendoci agli Analytica di Aristotele, vi troveremo notizie più precise sui criteri adottati dai geometri nell ordinamento logico della scienza, criteri che sara interessante di raffrontare a quelli che appaiono, in atto, negli Elementi euclidei. Già al principio degli Analytica priora, l’autore definisce il concetto della scienza di cui imprende lo studio. Anzitutto e da dire il soggetto e lo scopo di questo studio: il soggetto è la dimostrazione e lo scopo è la scienza dimostrativa (à~:a~y.tirj à7to8sM~:xf/). Quindi, negli stessi Analytica priora, viene a stabilire la teoria del sillogismo (teorico o aletico, e pratico o volitivo), e passa poi ad esaminare — nei posteriora — l’ordinamento delle scienze deduttive, riferendosi perciò continuamente alle matematiche. Quest’ ultimo trattato, che qui occorre specialmente esaminare, si apre coll’ enunciato che ogni conoscenza razionale, sia insegnata, sia acquistata, deriva sempre da conoscenze anteriori. L'osservazione mostra che ciò è vero di tutte le scienze. Infatti questo è il procedimento delle matematiche e, senza eccezione, di tutte le altre arti. Ora dal concetto stesso del sapere segue necessariamente che la scienza dimostrativa procede da principi veri, da principi immediati, più noti che la conclusione, di cui sono la causa ed a cui precedono. Aristotele (ibidem, 1, 3) esamina e respinge le obiezioni di due specie di avversari di questa dottrina, i quali pretendono o che non vi sieno principi e però che la dimostrazione riesca impossibile, dando luogo ad un regresso all’ infinito; o, all' opposto, che il procedimento della dimostrazione sia affatto relativo, sicché i principi possano provarsi partendo dalle conclusioni, così come le conclusioni dai principi: ciò che egli dice dar luogo ad un circolo vizioso. Sarebbe assai interessante conoscere gli avversari [Cfr. Enriques: Il concetto della Logica dimostrativa secondo Aristotele in « Rivista di filosofia ») An. post. I, 2 (6). a cui il nostro si riferisce. Forse la prima obiezione apparteneva alla polemica antimatematica di filosofi empiristi, mentre la seconda potrebbe essersi presentata nei circoli megarici (imbevuti del relativismo veliatico) ovvero a Democrito o ad altri matematici, critici dei principi della scienza. Ad ogni modo, della veduta qui espressa — che è solo apparentemente illogica — ci colpisce l'analogia che essa presenta con talune vedute moderne. Aristotele combatte questo relativismo, poiché tutta la sua metafisica, ispirata alla dottrina platonica delle idee, e soggiacente alla sua logica, reagisce appunto alle tendenze relativistiche delle speculazioni, che dalla scienza presocratica erano passate nel dominio del costume e delle credenze religiose, in guisa da minacciare le condizioni della vita sociale nel mondo ellenico. Il parallelismo che i veleiatici avevano scorto fra il logo o ragione e l’essere, e che i sofisti (avversari e prosecutori) avevano interpretato nel modo di proiettare nella realtà l’arbitrario che è proprio della libera critica, riceve, nella dottrina socratico-platonica, una interpretazione inversa. Infattim  la teoria ontologica delle idee, suppone un ordine assoluto di consistenza che stanno di fronte alla ragione come dati, sopra cui esso ha da modellare l’ordine della propria scienza. Così dunque Platone vede nella classificazione delle forme geometriche un modello della gerarchia delle specie naturali, la quale si rispecchia nquel procedimento più generale di “divisione” (diaresis) e di definizione (horismos) che costituisce la dialettica. Ed analogamente per Aristotele, il rapporto necessario ed irrversibile fra causa ed effetto, offerto dalla natura, si riflette nel rapporto fa premesse (p) e conseguenze (q) della scienza dimostrativa (p implicat q); la quale perciò possiede un ordine naturale che non può essere invertito, onde i suoi principi appariscno assolutamente indimostrabili, An. post. I, 2 (9): Bisogna che i principi da cui si parte sieno indimostrabili. Altrimenti, non possedendone la dimostrazione, on potrebbero ritenersi noti, poiché sapere in modo non accidentale le cose di cui la dimostrazione è posibile, è possederne la dimostrazione, Ora, proseguendo l’esame degli Analityca posteriora, veniamo istruiti più precisamente che i principi della scienza, si lasciano distinguere in più specie. Primo, i Termini o definizioni (3 poi), cioè supposizioni del ‘significato’ (semiosis,segno) dell’espressione (in linguaggio moderno: assunzioni di concetti primitivi non definiti) e definizione propriamente detta. Secondo, Supposizioni d’esistenza del genere e delle sue modificazioni, cioè delle cose designate dai termini. Terzo, Proposizioni immediate che occorre necessariamente [La teoria logica della definizione è trattata da Aristotele in An. post. II, e specie nei Capi 9 e 12: dove si pscrive la regola di restringere successivamente l’estensione del genere aggiungendo — nell’ordine naturale — la differenza specifica che lo delimitano, fino a che esse circoscrivano, nel loro insieme, l’estensione del soggetto da definire] riamete conoscere per apprendere qualsiasi cosa, le quali vengono chiamate assiomi (ófiwpaTsc) giacché vi sono proposizioni di tal natura e ad esse si riserva abitualmente questo nome. Infine anche ipotesi o postulati (odr^i-istra), che s'introducono effettivamente nell’ insegnameto delle matematiche (o anche nella discussione) domandando al discente di ammettere l'esistenza di qualche cosa di cui egli non abbia alcuna idea, ovvero abbia un’idea contraria. Qui d concetto d Aristotele riesce alquantscuro, iacché da una parte egli sembra ammettere (come Platone) che un postulato potrebbe essere eliminato * postulato... e ciò che si pone senza dimostrazione, quantunque potrebbe dimostrarsi, e di cui ci si serve senz’ averlo dimostrato » (I, 10 (8) ); e d’ altra parte (riferendo evidentemente le vedute dei geometri) egli avverte che una definizione non e un’ ipotesi perchè non dice se la cosa definita esista oppur no. Ma probabilmente il suo pensiero è che il sapere dovrebbe edificarsi su quelle sole supposizioni d'esistenza che hanno carattere di necessità, essendo vere di per sé stesse (xaO’ alili), le quali non si possono considerare come ipotesi o postulati.. (1, 10(7)), imperocché la dimostrazione si rivolge non alla parola esteriore, ma alla parola interiore dell’animo. Con ciò il Nostro fa appello a quel sentimento d’evidenza del pensiero che Platone. Usalo dai pitagorici secondo Giamblico (in Diels). ha rappresentato come intima sincerità nel Teeteto, servendosi quasi delle stesse parole. Tuttavia Aristotele critica la teoria platonica della reminiscenza, negando che vi siano conoscenze innate. La conoscenza universale dei principi viene per lui acquisita indubbiamente dalla sensazione. Essa si produce mercè l’unità dell’ esperienza che sussiste nell' anima, nonostante la molteplicità degli oggetti, in forza della facoltà di fissare ciò che vi è di simile o d’identico nei particolari e di riconoscerlo come dato del pensiero. (An. post.. Ciò non toglie all’ assoluta verità che l'intelligenza idealizzatrice (òtavaa), fondamento della scienza, conferisce ai suoi principi (II, 1-5 (8)). Alle dottrine d’Aristotele giova paragonare quelle che appariscono nell’ ordinamento degli Elementi di Euclide: Il ragionare è un discorso che l'anima rivolge a sè stessa, per sè, intorno alle cose che consideri nemmeno in sogno hai ardito dire a te stesso che il dispari è pari, o altra simile cosa. An. priora II, 21 (7) e An. post. Heiberg, Euclidis opera omnia, Teubner, Lipsia, Secondo le indicazioni del commentatore Proclo di Bisanziom Euclide sarebbe vissuto in Alessandria al tempo del re Tolomeo. Le opere di Aristotele che conosciamo sembrano appartenere all’ultimo decennio della sua vita. Nei quali si trovano tre specie di principi: 1) termini o definizioni (Spot): 2) postulati 3) nozioni comuni (y.otvof Ivvoiat). Non è qui il luogo per sottoporre ad un’analisi appiofondita queste premesse, che — a dir vero — sono lungi dall’apparire soddisfacenti, tanto che da Tannery si è perfino messo in dubbio la loro autenticità; solo, riferendoci alla critica che ne ha fatto lo Zeuthen, Limiteremo ad alcune osservazioni logiche. Ma anzitutto vogliamo arrestarci un momento sopra una questione di parole. Non pochi si meravigliano che Euclide usa l’espressione ‘nozione comune’ per designare quelli che Aristotele chiama (coi matematici pitagorici) * assiomi», tanto più che — si dice — l’espressione « evvow » compare solo più tardi nel linguaggio degli Stoici. Ora non è fuor di luogo rilevare che la stessa espressione si trova pure in Democrito. Il rilievo assume interesse per la circostanza che Democrito compose, circa cent’anni prima d’ Euclide, degli Elementi, che non sono annoverati nel sunto storico di Proclo, ma di cui Trasillo ci ha conservato i titoli (:J ); tanto più che questi lasciano (*) Clr. Hisloire dea malhimallquea traci, dal danese di Mascari (Parigi, Gauthier-Villars): n. 14, 69 94. Cfr. Sesto in Diels, A, III. (3 ) rsti>|isi?t>t(óv (A, li?), Api0|io£, IIspl à/.dyfev Ypxfijitòv stai vxowùv A, li (cfr. Diels B, II", II 0, I |P)] scorgere un ordinamento della materia simile a quello adottato dallo stesso Euclide. Non sembra fuor di luogo congetturare che nella terminologia democritea gli assiomi venissero appunto designati come nozione o nozione comune, e che il geometra alessandrino, imprendendo a sistemare la stessa materia, in rapporto ai progressi critici del secolo, abbia conservato la denominazione del suo illustre predecessore: al quale di preferenza doveva guardare. Diciamo ora che la distinzione fra le nozioni comuni o gli assiomi, e i postulati, viene spiegata da Gemino in Proclo come analoga a quella fra teoremi e problemi, o fra identità e equazioni, in quanto i primi porgono delle relazioni, per cui certe proprietà resultano conciute come conseguenza di altre date, laddove i secondi assegnano costruzioni elementari, ciò che, nel concetto dei antichi, significa affermare l’ esistenza di enti particolari cui s’impongono certe condizioni. Questo carattere costruttivo sembra mancare soltanto al post. 4 (tutti gli ngoli retti sono uguali fra loro); ma Zeulhen spiega come in tale affermazione debba vedersi un complemento del post. 2, nel modo di affermare che il prolungamento di una retta è unico. In appoggio della nostra veduta può valere, forse, un passo del noto commento. Prodi Diadoclii in primum Euclidis Elemenorum librato commentarii (ed. Friedlein), in cui sembra che Proclo alluda all'uso dei geometri di chiamare nozione comune ciò che Aristotele chiama assioma. Cfr. Vailati, Scritti, Proclo osserva pure che gli assiomi e i postulati differiscono anche per essere: questi, principi particolari della geometria, e quelli, principi comuni alle varie scienze; infatti si tratta qui delle proprietà generali dell uguaglianza e diseguaglianza fra grandezze. Infine la distinzione fra le due specie di principi si accorda anche col criterio d'Aristotele, che riconosce negli assiomi delle verità cessarie ed indimostrabili, perchè evidenti di per se (xocS' èx jvx), e nei postulati delle verità — partecipanti ad un’ altra specie di evidenza (sensibile) — che non risultano ugualmente dviyxw dal significato dei termini che vi figurano: la natura del principio, enunciato da Euclide come nozione comune, sembra infatti rispondere a questo criterio. Ma se taluni geometri (al dire dello stesso Proclo) recusavano di distinguere assioma e postulato, mancano tuttavia indizi per affermare che essi respingessero il significato che Aristotele e probabilmente altri ancora (secondo la metafisica del senso comune) attaccavano a codesta distinzione, così come lo respinge la critica moderna, che per tale motivo appunto — considera ugualmente le proposizioni primitive della scienza quali postulati, da ricevere, in una qualsiasi teoria deduttiva, come dati anteriori allo sviluppo della teoria stessa. Un piccolo lume ci è recato in tali questioni dal riferimento dello stesso Proclo circa un tentativo di dimostrare l'assioma I (cose uguali ad una terza sono uguali fra loro), che sarebbe stato fatto da Apollonio. Infatti della tentata dimostrazione viene porto il seguente cenno. Sia a uguale a b, e b uguale a c; dico che a è uguale a c. Invero a occupa Io stesso luogo (córto;) di b, e così b occupa lo stesso luogo di c; quindi anche a occupa lo stesso luogo di c. Questo ragionamento indicherebbe forse che Apollonio voleva ricondurre il concetto euclideo di ‘eguaglianza’ geometrica al caso della sovrapponibilità delle figure, facendo appello ad esperienze ideali di movimento, mercè cui poteva iludersi di ridurre ad una pura proposizione identica la proprietà transitiva di quella relazione. Mentre il ricorso a siffatte esperienze ci avverte appunto (con Helmholtz e Stolz) che il detto assioma 1 ha un significato o carattere sintetico e non può ritenersi come una semplice proposizione analitica (vera per definizione). Comunque il rifermento accennato lascia presumere che la critica dei principi sia stata spinta innanzi da Apollonio, dopo Euclide, con quella penetrazione di cui volentieri siamo disposti ad accreditare il grande geometra iPerga. Ritorniamo all' Euclide per esaminare, in breve, i principi eh' egli ha designato col nome horós: termine o definizione. Se essi vengono considerati come definizione, non si può a meno di rilevarne la manchevolezza, poiché non offrono, spesso, che descrizioni atte a indicare la genesi psicologica dei concetti. Così, p. es., in 3 e 3, dove si dice che gli estremi di una linea sono punti, e che gli estremi di una superficie sono linee. Ma, verosimilmente, queste ed altre spiegazioni sono da considerare in rapporto alla tradizione storica precedente, come un richiamo dei caratteri per cui gli enti delia geometria razionale appaiono idealizzazioni dell'esperienza: p. es. le I, 2, 5 stanno a ricordare che — secondo il risultato della critica veliatica il punto è inesteso, la linea è lunghezza senza larghezza, e la superficie non ha spessore. Anche quelle che si presentano come definizioni propriamente dette, non ottemperano sempre al criterio fondamentale enunciato da Aristotele, che l’insieme degli attributi restringa l’estensione del genere in guisa da non appartenere ad alcun concetto più esteso. Per questo motivo sembra insufficiente la def. 4, inea retta è quella che e posta ugualmente rispetto ai suoi punti. Imperocché, se s interpreta come si usa comunemente, retta è quella linea che è divisa in due parti uguali da qualsiasi uo punto’, si enuncia una proprietà non caratteristica della retta, che appartiene anche all’elica (cfr. Apollonio in Proclo: 105, 5). Ora conviene aggiungere che Euclide, non soltanto suppone l’esistenza di ciò che viene immediatamente designato da alcuni termini, ma sembra anche introdurre surrettiziamente alcune ipotesi esistenziali, per mezzo di definizioni, laddove — per analogia coi criteri seguiti in altri casi — si sarebbe aspettata l'esplicita introduzione di un postulato. Ciò accade, in ispecie, per quel che riguarda le intersezioni di rette e circoli, le assunoni adoperate nelle prop. I, 12, 22 sembrando giustificarsi (secondo che osserva ) Cfr. Proclo 1. linea II] Zeuthen) mediante la definizione (15) del circolo come figura piana compresa da una sola linea. Ma non giova insistere su tali difetti, che apparten¬ gono all’esecuzione e non modificano i criteri logici del disegno. Restando nell’ordine d’idee euclideo, avremmo soltanto da completare i postulati coll’ enunciare esplicitamente i casi d'esistenza delle interse¬ zioni di rette e cerchi o di due cerchi, che si offrono nelle costruzioni elementari. Interessa piuttosto di rile¬ vare come queste ipotesi esistenziali, che la geometria antica introduceva nei singoli casi, mercè appropriate costruzioni, oggi si lasciano dedurre da un unico principio generale di continuità, onde l'affermazione d’esistenza si libera dalla ricerca dei mezzi costruttivi, complicantisi colla natura del problema. E questo un progresso conforme all'indirizzo preconizzato da Platone, che— come si è visto — repugnava appunto da ciò che sa di pratico o di meccanico nella formu¬ lazione dei postulati. Nota. A complemento di quel che si è detto intorno alla geometria euclidea, aggiungeremo che Archimede (5) sembra classificare e distinguere i principi in modo diverso, poiché (in una lettera a (Cfr. p. e*. I* art. 5° di G. Vii a li nelle Questioni riguardanti le matematiche elementari raccolte e coordinate daF. Enriques Voi. J, Bologna, Zahelli. De sphaera et cilindro in « Archiinedis opera omnia cum commentari^ Eutocii », ed. Heiberg. Lipsia, 1910. Cfr. The Work* of Archimedes, e. Heath, Cambridge, Capitolo I Dositeo) chima «assiomi» (à^:ih\i.xTx) le definizioni accompagnate da supposizioni d’esistenza: p. es. esi¬ stono linee piane che giacciono tutte da una parte ecc., e queste si dicono concave; mentre poi dà il nome di * assunzioni » (Aa|l3*V0;xsva) a taluni principi (teoremi precednemente stabiliti o postulati, assai eleganti) da cui muove la sua trattazione: p. es. la retta è la linea più breve tra due punti. Il commento d’Eutocio restituisce agli àfjuojtara archimedei il nome di opy. ConsiderazioSe ora, riguardando soprattutto ai secondi Analitici d’Aristotele e agli Elementi d’Euclide, cerchiamo di esprimere le nostre impressioni in un giudizio sintetico sulla logica degli antichi, domandandoci fino a che punto i loro criteri ci sembrino accettabili o esaurienti, siamo condotti alle seguenti riflessioni. La logica dei antichi suppone un ingenuo realismo per cui il pensiero appare come la copia o la visione di una natura esterna. Così il numero dai pitagorici e lo spazio continuo dagli eleati, sono pensati in concreto, ad imitazione di quella sostanza cosmica che viene figurata costituire il sostrato naturale (la epa:;) di tutte le cose. La supposizione realistica è tipicamente espresa nella teoria delle idee di Platone, che (orma infine la metafisica soggiacente alla logica d'Aristotele. Da essa deriva il carat¬ tere di necessità dei principi, e quindi la pretesa di un ordine naturale della scienza, facente capo a pre- messe assolutamente indimostrabili; la qual pretesa viene corretta, almeno in parte, nelle vedute dei geometri.  Ma dallo stesso realismo, ha origine la radicale manchevolezza della teoria della definizione. Poiché le oscunta del trattato di Aristotele e le imperfezioni dell’Euclide, in enere gli errori della critica che si riscontrano in tali opere, si possono riattaccare a codesto presupposto, quasi a comune radice. Si ammette infatti che le parole rispondano ad enti di un mondo intelligibile trascendente il soggetto, che si tratta di fissare univocament Di qui il criterio che la deduzione logica debba tener presenti, non soltanto le premesse esplicitamente enunciate come assiomi o postulati, bensì anche il significato dei termini su cui si ragiona, vedendo, attraverso di essi, quella realtà (geometrica ecc.) che è oggetto del pensiero. Ma ciò significa autorizzare nel ragionamento inconfessati appelli all' intuizione, che, dichiarati, si tradurrebbero in nuovi assiomi. Ora, se l'intuizione (o visione del significato) rimane sempre presupposta nel ragionamento, quando mai potremo assicurarci che gli assiomi formino un sistema completo? A stretto rigore di tale domanda non si riesce neanche a definire il senso ! E quindi non si comprende perchè si senta il bisogno di enunciare — a preferenza di altri — alcuni fra gli assiomi, che pure sono dichiarati evidenti, necessari ecc. ecc. Aggiungiamo che anche l’analisi aristotelica del ragionamento, facente capo alla teoria del sillogismo (An. priora) sta pure in relazione col presup¬ posto metafisico della logica. E specialmente colla circostanza che i Greci, in generale, immaginarono la realtà intelligibile rappresentata dalla scienza, sul tipo statico della classificazione delle forme geome¬ triche: tale è infatti il carattere dell’ ontologia eleatica, che imprime il suo suggello sulla dottrina platonica non superata veramente da Aristotele. Soltanto Democrito, come diremo più avanti, si solleva al concetto di una scienza razionale del moto, ma le sue vedute filosofiche non trovano adeguato sviluppo se non due mila anni più tardi, all epoca della Rinascita. Qui conviene rilevare che le critiche mosse alla teoria sillogistica dagli empiristi inglesi (da Bacone a Mill), opponenti alla deduzione 1 induzione generahzzatrice dell’esperienza, hanno fatto perder di vista ciò che manca all’ analisi aristotelica del ragionamento, pur riguardato nelle forme rigorose, che sole appartengono — secondo il concetto del filosofo greco alla logica dimostrativa propriamente detta. Infatti i brevi cenni che Aristotele dedica all’induzione (completa), negli Analylica priora, non suppliscono certo all’analisi delle operazioni logiche costruttive (significate da particelle come « e », o » ecc.) che accanto al sillogismo ricorrono nello sviluppo delle dimostrazioni matematiche. La quale lacuna torna a (i) Cfr. Cli. Werner, Aristotele et V ideallsme plalonicien, Alcan, Parigi] riflettersi sulla teoria delle definizioni, che appunto esprimono codesto lavoro costruttivo del pensiero. Infine giova rilevare che l’anzidetto realismo si riflette in una concezione ingenua del linguaggio: la filosofia greca — sia che abbia ammesso l'origine naturale della lingua (come Platone nel Cratilo), sia che abbia rilevato ciò che vi è di convenzionale nelle parole (come Democrito e Aristotele) — non riesce a scorgere la varietà essenziale delle lingue, che tiene ai diversi modi di rappresentazione delle cose ed esprimendo la libera attività del soggetto, dà origine all'intraducibilità. Dice infatti Aristotele: De Inlerpretatione, 1. Una espressione e una l'immagine delle modificazioni dell'anima. L’espressioni differiscono fra loro. Ma una modificazione dell’anima, di cui l’espressione e i SEGNO immediato, e identica per tutti gli uomini, come sono identiche per tutti le cose che quelle modificazioni esattamente rappresentano. E chiaro come una siffatta dottrina spieghi quella confusione fra analisi logica e analisi del linguaggio,  Proclo, nel commento al “Cratilo”, riferisce appunto questa opinione di Democrito, basata auiromonimia e la sinonimia di una espressione E1 e una espressione E2, sul cambiamento dei nomi e sul difetto di analogia nella formazione di certe espressioni verbali. (Cfr. le note al Cratilo di Cousin). De Interpretatione, 2 (1), che culmina nel concetto aristotelico di trarre dalla forma o materia dell’espressione grammaticale  una classificazione o tassonomia di questa o quella categoria. In ciò che precede ci siamo fermati a studiare il pensiero degli antichi traverso le sistemazioni scientifiche che sono a noi pervenute. Ma, per l’intelligenza dello sviluppo ulteriore che la logica riceve nelle scuole filosofiche dopo Aristotele, conviene tener conto dell'influsso che i predecessori del Stagirita sembrano aver esercitato sul movimento delle idee. Infatti codesto sviluppo si lascia definire, nlle sue linee generali, come tendente a liberare il pensiero dall ontologismo, che pure sopravvive in qualche modo alla ideologia platonico-aristotelica, nella misura in cui tale filosofia esprime la metafisica del senso comune. E l’anzidetta tendenza liberatrice si esplica in un progresso verso il formalismo logico, che procede dallo studio degli schemi discorsivi, formante oggetto degli Analytica priora. Questo progresso si avverte già nei primi paripatetici, come Eudemo, lo scrittore di una storia delle matematiche, e Teofrasto il raccoglitore delle opinioni dei fisici, ma più largamente ancora negli Stoici, in cui è pure passata 1 eredita dei dialettici megarici. Questo progresso si avverte anchein una revisione dei principi della teoria della conoscenza, che ha per oggetto l’origine e il valore dei concetto generale da cui muove la scienza dimostrativa: qui soprattutto vengono in luce delle vedute che debbono essere riattaccate ai grandi predecessori di Platone e di Aristotele; sulle quali l’interesse della questione c invita a fermarci. Ora, se ci volgiamo a riostruire induttivamente le idee di codesti predecessori, la figura di Democrito d'Abdera, deve attirare, sovra ogni altra, la nostra attenzione. Democrito, vissuto 40 anni dopo Anassagora e 25 anni dopo il suo concittadino Protagora che è il maggiore rappresentante della sofistica), deve esser considerato come un contemporaneo di Platone. Così, soltanto i pregiudizii dominanti la ricostruzione della storia della filosofia greco-romana nel secolo decimonono, hanno impedito di stdare più da vicino i rapporti fra Democrito e Platone, relegando Democrito tra i pre-socratici e perfino tra i pre-sofisti, in onta alla cronologia. Democrito è il ande fondatore dell’atomismo, in cui ha tuttavia come precursore Leucippo, e che fu svolta da lui come una teoria cinetica cosmologica. Attraverso questa dottrina Democrito agiunse ad una rigorosa concezione del determinismo meccanico, e verosimilmente he alla scoperta di principi (massa, inerzia) chalileo. Fanno eccezione Windelband e Burnel, che restituiscono airAbderita il suo posto cronologico, ma che tuttavia non sembrano arne un apprezzamento proporzionato all' importanza del suo lavoro scientifico] ha riostruito due mil’ anni più tardi, riprendendo le intuizioni fondamentali del lontano predecessore. Per il suo rigido meccanicismo, con esclusione di ogni teleologia, Democrito viene considerato come il padre del materialismo, e da ciò appunto ha origine il pregiudizio da cui in ispecie la storia svoltasi sotto l’nfluenza hegeliana, nel secolo decimonono, non ha saputo mai emanciparsi completamente. Quantunque un esame accurato avrebbe permesso di riconoscere ello stesso Democrito anche il padre dello spiritualismo (così come Leibniz sembra avere intuito!) e forse anche di far risalire a lui l’argomento per l’immortalita dell’anima basato sulla sua semplicità o in-divis-ibilità, che s'incontra nel Fedone. Le opere di Democrito, di cui ci sono trasmessi i titoli da Trasillo, formano una mole imponente e si riferiscono ai più svariati argomenti, dalle matematiche alla fisica, alle scienze naturali, all’agricoltura, alla teoria dei segno e dell’espressione, la dialettica, la grammatica, alla poetica, alla teoria della conoscenza ecc. ecc.; fra i frammenti più belli sono da annoverare quelli morali, conservatici da Stobeo. La posizione filosofica di Democrito, per ciò che concerne la teoria della conoscenza, resulta dalla testimonianza di Sesto Empirico, laddove egli parla di Democrito e Platone sostenitori della verità degli intelligibili (ià vorjra) in contraddizione con Protagora [Di ciò mi propongo fornire altrove la prova col confront dei testi aristotelici] aora. Si tratta dunque di un razionalismo, che si contrappone all’ empirismo protagoreo. Ma, poichè a sua volta questo empirismo dei sofisti era sorto come una reazione di caratere “positivistico” al razionalismo metafisico della scuola di Velia, è naturale che Democrito avesse a tener conto dell’ esigenza fondamentale che i sofisti avevano formulato. Democrito non posse semplicemente riprendere come materia della scienza una Verità (£M)0s:a) indifferente rispetto all’opinione (doxa) che si riferisce alle cose sensibili, ma doveva invece cercare una razionalizzazione dell’empirico, cioè una verità atta a salvare i fenomeni (ofttTe'.v ~ì 6|JtSV«); e siffatta veduta si poteva esprimere nel linguaggio tecnico del tempo, dando per compito alla scienza l’opinione vera, o inverata mediante il ragionamento. Appunto questa teoria della scienza come lii^x (isià Xóyo'j, viene riferita e discussa da Platone nel “Teeteto”, ed una comparazione analitica del testo con altri dello stesso Platone e di Aristotele, prova che il riferimento deve essere attribuito a Democrito. Ma, poiché la spiegazione razionale dei fenomeni suppone dei concetti, per mezzo dei quali si unifichi la rappresentazione delle cose del mondo empirico, si può domandare su che Democrito ne basasse il ossesso da parte dal soggeto percipiente. Qui soccorono alcune indicazioni. Diel. A. 59 i eh. A. 114. Cfr. E.: La teoria democritea delta scienza nel dialoghi di 'Platone, Rivista di Filosofia) Anzitutto Democrito viene additato da Aristotele come il primo a trattare delle definizioni di cose fisiche, mentre ei ci dice che con Socrate crebbe l'uso del definire e si estese soprattutto alle nozioni morali. Conviene intendere che Democrito inizia quel modo di definire proprio della scuola socratica, in cui si ricercano i caratteri comuni delle cose che rispondono al definito; è più difficile dire se lo stesso Democrito, come Socrate, facesse anche appello alla nozione comune che tutti gli uomini si formano in rapporto a dati oggetti; e tuttavia questo criterio ei ben poteva derivare da Eraclito, cui lo stesso Socrate sembra avere attinto. In un frammento della già citata opera logica di Democrito rtsp: àoyrxtòv noi xzvwv che ci è statmandato da Sesto, vengono distinte due speecie, di conoscenza, l’una relativa all’intelligenza (à7j; Siavaas), l’altra alla sensazione (Ò:à rwv aìofi^oetov). Dice precisamente Democrito: “Vi sono due forme della conoscenza: una conoscenza pura o legittima (yvyjafyj) ed una adombrata spuria (av.v.ri). Appartengono a quest’ ultima forma adombrata spuria le cinque sensi: la vista (visum), l’udito (uditum), il gusto (gustatum), l’odorato (odoratum), il tattoo (tactum). Ma la conoscenza pura è completamente distinta. Ed aggiunge ce questa conoscenza pura è relativa ad un (') Mtt. I, 4, (3), De Partibus Animalium I, 1 (ed. Didot, t. IH, pag. 223, 2). (! ) In Diel» B. II) orbano di pensiero più raffinato che prende il posto di un vedere o di un udire o gustare o odorre o tastare nel più piccolo (mettendoci così in rapporto colla vera natura delle cose, cioè cogli atomi. Anche in altri modi Democrito esprime la relazione fra le due forme del conoscere; per esempio ove dice che « apparenza (vòptoi) il colore, apparenza il dolce, apparenza l'amaro. In realtà soltanto gli atomi e il vuoto. Ma poi, facendo parlare i sensi contro l’intelligenza, soggiunge povera me, prendendo da noi la tua fede, tu vuoi confonderci; la tua vittoria è la tua caduta. Troviamo qui una notizia estremamente interessante. Democrito, al pari di Platone e di Aristotele, e prima di loro, dibatteva il problema dell'origine dell’idea. Democrito non si fermava, come il filosofo ateniese alla supposizione della conoscenze innata (teoria della reminiscenza -- anamnesis), anzi piuttosto sembra derivare la idea dalla sensazione, sicché è lecito pensare che a lui possa aver attinto Aristotele la veduta che gli abbiam visto esprimere in An. Post. Il, 15. Ma, mentre in Aristotele non si vede come possa conciliarsi questa dottrina colla dignità attribuita alla nozione induttivamente acquistata, che debbe costituire le premesse necessarie della scienza dimostrativa, ciò che sappiamo intorno alla teoria delle sensazione di Democrito (in rapporto alla fondamentale (*) Galeno in Die!» B. 125; cfr. Sesto in Diels B. 9.] supposizione atomica) e ben atto a sciogliere la difficoltà. Ammetteva infatti il Nostro,  che la sensazione in generale derivassero da piccole immagini (sKoiXa) emesse dai corpi e proprie ad impressionare gli organi dei cinque sensi ed anche lo stesso pensiero in quella guisa in cui la luce impressiona una lastra fotografica. L’immagini rispondente alla conoscenza inteligibile partenti direttamente dagli atomi — sono di natura più fine. Si comprende quindi che esse possano liberarsi dalla mescolanza colle immagini più grossolane che colpiscono i cinque sensi, quando il confronto di sensazioni ripetute, in rapporto ad una molteplicità di cose, permette di fissare i caratteri comuni che definiscono il concetto. Che effettivamente Democrito riconoscesse il valore logico del concetto, quasi come anticipazioni dell'esperienza, resulta anche dalla testimonianza di Diotimo in Sesto (VII, 1401), che egli assumeva come criterio della comprensione delle cose oscure il fenomeno, e come criterio della ricerca'il concetto, èvvoia xpurr/pwv Z,r\vtpzwq. Qui è notevole lo del termine. Ivvotoe che già notammo a proposto della designazione di y.oiw.l Ivvs:% adoperata da Euclide per gli assiomi, giacche abbiam pur detto che codesto termine non si trova nella [Cfr. p. et. Aetiui in Diel», A. 30. (2 ) Diels, A. III. 37]letteratura filosofica di Platone ed Aristotele, ma invece, più tardi, presso gli Stoici. Appunto ad un’opera di Crisippo 7tepì £?jT^7S(0£ sembra fare allusione Plutarco presso Olimpiodoro, dove dice che gli Stoici allegano a causa di ciò (cioè della possibilità di arrivare a cose che non si conoscono) le nozioni fisiche: tàj qjuaixà; èvvofa?. D’altronde Diogoene Laerzio (VII, 54) (c’informa che Crisippo dice esservi DUE criteri della verità, la sensazione e il concetto. Qui in cambio di svvoia viene adoperata l’espressione TtpóXvjtjt:?, che ricorre anche presso gli Epicurei, designando l’anticipazione dell’esperienza. Ora il significato preciso che gli Stoici davano alle ÈVV 3 tati, si può rilevare, per esempio, da un passo del De Civitate Dei di S. Agostino dove si parla di coloro che riposero la verità nei sensi, cioè degli Epicurei e degli stessi Stoici. Qui cum vehementer aaerint sollertiam disputando quam dialecticam nominant, a corporis sensibus eam ducendam putarunt, hinc asseverantes animum concipere notiones, quas appellant èvvo'st;, earum rerum scilicet quas definiendo explicant. Da questi riferimenti sembra potersi dedurre che gli Stoici abbiano adottato, al pari di Aristotele, la dottrina democritea dell’ origine sensibile dei concetti – nihil est in intellectu quod prior non fuerit in sensi (l ) Cfr. Arnim, Stoicorum veterani fragmenta. Voi. II, n. 104. Crisippo, discepolo di Zenone Cizio (280-209 a. C.).In Arnim, op. c. 105. In Arnim, 106. (cui soltanto gli Epicurei conservarono come fondamento l’ipotesi delle piccole immagini), ma spogliando i concetti di quella dignità superiore che il razionalista cerca conferire agli intelligibili; così, per loro, la dimostrazione scientifica (àiróSs:^;) viene ridotta, per dirla con Cicerone, ad una “ratio, quae ex rebus perceptis ad id, quod non percipiebatur, adducit.”  In corrispondenza di queste vedute, di carattere più empirico, è interessante rilevare come si modifichi la dottrina democritea della scienza, che Zenone Cizio dice essere una comprensione sicura e ferma e immutabile dalla ragione » (à,u£-*sov ùttò Àóyo j /./.- ovvero anche un possesso immutabile dalla ragione, nell’accoglienza delle rappresentazioni » (èv a>xvT5tTO)v r.ozz- a&o. Pertanto gli Stoici non giunsero a quello schietto empirismo, che si vede accolto da Epicuro, per cui è accettata sempre come vera ogni sensazione o apparenza: richiesero anzi che all apparenza si aggiunga 1 assenso volontario dell animo, che per il saggia ha motivo nell identità fra la ragione individuale e la Ragione o logos universale. Così il concetto eracliteo del logos, che la scuola Arnim, 111. () Riferimenti di Sesto e Diogene Laerzio in Arnim: Zeno- Citius, n. 68. (' ) Cfr. Sesto e Cicerone in Arnim: Zeno Citius, nn. 63 e 61.  3] stoica ha fatto proprio, doveva pur sempre conservare al pensiero una certa dignità, e quindi facilitare il trapasso alla veduta posteriore degli eclettici (Cicerone), per cui le commune notio vengono ritenute non più come uniformità della natura bensì come idea innata, attestanti la reminiscenza della vera origine divina dell' uomo, onde la teoria stoica (ritornando in effetto a Platone) viene a fondersi colla neoplatonica. Più direttamente degli Stoici (che pure ne derivarono il principio del determinismo universale) si riattaccano a Democrito gli Epicurei, che ne adottarono la teoria atomica, spogliata bensì del suo più profondo significato meccanico. Ma, come abbiamo già accennato, Epicuro e lungi dal razionalismo del maestro d’Abdera. La sua “Canonica” comprende poche regole di cui abbiamo chiaro riferimento da Sesto Empirico, e che Gassendi ha ricostruito con precisione nella sua Logica. Riferiamo la parte essenziale dei canoni epicurei così formulate. Sensus nunquam fallitur. Opinio est consequens sensum, sensiomque superadiecta, in quam veritas aut falsitas cadit.  Opinio illa vera est, cui vel suffragata, vel non refragatur sensus evidentia. Petri Gassendi Opera Omnia, Firenze. Pari 1, De Logicae origine el varietale]. Omnis quae in mente est anticipatio, seu prae-notio, dependet a sensibus, idque vel incursione, vel proportione, vel similitudine, vel compositione. (Questo stesso modo di formazione dei concetti appare negli Stoici). Anticipatio est ipsa rei nodo, sive definitio. Est anticipatio in omni ratiocinadoe principium. Quod inevidens est, ex rei evidenti anticipaticele demonstrari debet. Qui è notevole 1 appello all’evidenza sensibile (ev%ex) che viene così assunta come criterio di verità. Nonostante la modificazione subita, è facile riconoscervi lo stesso criterio di Democrito che contrapponendo la conoscenza pura o legittima alla conoscenza oscura, viene appunto a ritenere la chiarezza delle idee come segno del loro valore: senonchè quella che per Democrito era chiarezza di concepimento, diviene per Epicuro chiarezza sensibile. Toccherà poi a Descartes di ritornare al criterio dell’evidenza (cf. Grice, “Descartes on clear and distinct perception) rispetto al pensiero, riguardando come vera la idea chiara e distinta (l’aggiunta deriva dal Teeteto 209c-2l0). Dopo aver parlato degli Stoici e degli Epicurei, ci convien dire degli [Notisi che già in Teofrasto si applica il criterio dell’evidenza tanto all’intelligenza che al senso. (Cfr. Sesto Adv. Malh.)] scettici i qual per verità non formano ugualmente una setta o scuola chiusa, ma — a partire da Pirrone d’Elide e dal suo amico Timone — ofno tuttavia una certa continuità di tradizione critica, mantenendo di fronte alle filosofie dogmatiche un atteggiamento di dubbio metodico. No Diogene, ma Arcesilao di Pitane e Carneade (che venne ambasciatore a Roma nel 155 a. C.), portarono la filosofia scettica nella media Accademia – e che fascina a Scipione! Più tardi incontriamo Enesidemo di Cnosso, Agrippa, e finalmente Sesto Empirico che riassume tutto questo movimento nella sua opera pregevole, fonte cospicua di notizie per la storia della filosofia romana. I rapporti esteriori che la tradizione segnala fra Pirrone e qualche democriteo come Nausifane, nonché le tendenze scettiche che si attribuiscono ad altri democritei (Metrodoro, Anassarco) indicano già una certa dipendenza della scepsi da Democrito. D’altronde il legame appare prima di tutto nel motivo morale che ispira la riserva degli scettici di fronte alla vera natura delle cose, giacche la sospensione del giudizio mirava a conquistare quella atarassia o imperturbabilità dell' animo, che si riduce infine alla vittoria sulle passioni, inculcata dall'Abderita. Ma il apporto teorico della scepsi con Democrito resulta da ciò che questi aveva ridotto la realtà alla materia indifferente degli atomi, negando le qualità sensibili; un passo ulteriore della critica (riportantealla posizione di Protagora) doveva naturalmente estendere il dubbio anche a quelle proprietà primarie in cui il grande atomista aveva scorto l'oggetto intel¬ ligibile della conoscenza. E certo questo sviluppo era suggerito dal contrasto fra le vedute dei due razio¬ nalisti, sorti a combattere l’empirismo protagoreo: Democrito e Platone. Giacche questi riteneva proprio come intelligibili quelle stesse qualità (ipostatizzate sotto il nome di idea) che 1 altro aveva con¬ siderato vane apparenze. Inoltre, anche nello stesso sistema democriteo, si può riconoscere 1 origine della critica che investirà gli intelligibili, se — come siamo stati tratti induttivamente ad ammettere — l’Abderita faceva pur nascere 1 intelligenza dai sensi. In tal guisa il pensiero antico avrebbe percorso una via non lon¬ tana da quella per cui il pensiero moderno giunse dalla posizione di Galileo, di Descartes e di Locke (i quali ripresero la distinzione fra la qualità primaria e le qualità seconda) alla critica di Berkeley, che — attraverso la teoria della visione - riusciva a negare anche il significato trascendente di codesto sostrato geometrico della materia. La teoria degli scettici, si noti, non nega affatto il mondo fenomenico, bensì oppugna la pretesa dei dogmatici di affermare qualcosa della verità o della natura delle cose in se stesse. La critica che essi svolgono a tale scopo, rilevando ciò che vi è di relativo nei criterii della verità, costituisce in gran parte un acquisto durevole per la dottrina della conoscenza: lo La logica degli antichispirito che l’anima è affine a quello del positivismo moderno, salvo il sentimento che la veduta di una scienza più progredita ispira oggi ai critici della metafìsica. Ma per la storia della logica interessa soprattutto esaminare gli argomenti di Carneade contro il concetto aristotelico della dimostrazione: intorno ai quali siamo informati da Sesto Empirico. Ricompare qui l’idea, già affacciata dai predecessori di Aristotele e da questi oppugnata, che ogni prova dia luogo ad un regressus in infmitum, poiché ogni premessa deve essere dedotta da un’altra premessa. E questo argo¬ mento prende forza dalla negazione di ogni certezza immediata, alla quale gli scettici pervengono (come si è accennato) mercè la veduta che i concetti su cui si ragiona traggono pure origine dal senso, onde 1 incer¬ tezza della sensazione si riflette anche sull intelligenza. Quindi viene presa in esame l'opinione che sia lecito fondare la scienza sopra ipotesi, e che queste sieno fatte ferme e valide dalla verità delle conseguenze che se ne deducono. Il passo di Sesto che critica questa opinione non dice chi ne sia l’autore; ma resulta assai chiaro che essa deve riferirsi particolar¬ mente ai fìsici matematici, e vi è forse qualche motivo di attribuirla già a Democrito, che per primo propose alla scienza il compito di spiegare razionalmente i feno¬ meni. Infatti abbiamo già accennato che questi appunto (i) Adv. Math. VII, 159-189 e Vili in ispecie 367-463. (s ) Vili, 375] potesse essere preso di mira da Aristotele, ove eicontesta che voler provare le premesse mediante le conclusioni costituisce un circolo vizioso (*). Di nuovo Cameade riprende la tesi aristotelica, notando che dal vero si può dedurre il falso; e certo l'argomento — in stretta logica — non potrebbe essere confutato. Ma, per quanto o scettico sia portato a dare il maggior peso a questa constatazione negativa, Cameade non vi si arresta. Dopo aver negato l'esistenza di criteri assolutamente certi del vero e del falso, egli accorda pure alla conoscenza un valore probabile; e questo valore lo riconosce, in primo luogo, ad ogni rappresentazione dotata di sufficiente evidenza, ma in grado più alto alle catene di rappresentazioni legate 1’una all'altra in un sistema logico (ibidem, VII, 176 e seg.). Non diverso è, in ultima analisi, il cri¬ terio positivo con cui anche oggi possiamo giudicare il valore delle teorie scientifiche: soltanto appare, ai nostri tempi, un atteggiamento più fiducioso, che è in rapporto collo sviluppo della trattazione matematica della fisica; mentre il sentimento degli scettici risponde ad una scienza meno evoluta, ed anche — piuttosto che alla mentalità di matematici — a quella dei circoli medici, in cui Io scetticismo antico ebbe accoglienza. Effettivamente l’uso di ipotesi, il cui valore probabile viene desunto dalla verifica sperimentale delle conseguenze che ne dipendono, caratterizza il metodo deduttivo-sperimentale della scienza moderna. L. c. An. posi.] quale si disegna in Kepler, Galileo e Descartes. L' esame intorno allo sviluppo della logica post-aristotelica, in cui abbiamo cercato l'influsso delle idee di qualche predecessore, ci ha mostrato che in verità il realismo logico di Aristotele è stato superato dallo stesso pensiero greco; il quale ha toccato posizioni affatto conformi alle più alte vedute moderne. Ma della critica speciaente istituita dai geometri dopo Euclide, abbiamo notizie troppo scarse per misurarne il significato; e secondo le apparenze dobbiamo ammettere che le fini ricerche di Apollonio su questo soggetto non abbiano trovato prosecutori. D’altra parte l’opera dei filosofi che hanno riflettuto sulla scienza, nella filosofia romana, non aderendo propriamente ad uno sviluppo scientifico, e tanto meno matematico, prese spesso quella forma negativa che nel modo più raffinato ci presenta la dottrina scettica. Infatti per osservatori cui non sia dato di riprendere e di proseguire il pensiero profondo dei più antichi filosofi matematici, la confutazione di un ordine di verità necessario, quale è affermato da Aristotele, deve apparire una confutazione dell stessa possibilità della scienza. Resta nondimeno un esempio pieno d’interesse nella storia, quello che ci viene offerto dalla scuola stoica, per cui la trattazione formale della logica si associa ad una dottrina empirica della conoscenza. E, se codesto sviluppo formale approda ad un arido schematismo (di fronte a cui comprendiamo il disprezzo della dialettica manifestato dallo stoico Aristone di Chio), tuttavia non si può disconoscere il valore dell’analisi logico-grammaticale dell’espressione, mercè cui si riesce a scorgere in qualche modo nel linguaggio, l’espressione di una attività costrittiva. Fino a che punto gli stici sieno proceduti su questa via, non vogliamo qui esaminare. Ma certo si scopre in essi quella distinzione fra subiettivo ed inter-soggettivo, che riapparire agli inizii dell’epoca moderna, come fondamento della filosofia. Dalla storia della filosofia romana si passa, senza indugiarci al movimento delle idee che accompagna la rinascita della scienza, agli inizi dell’ Evo moderno. Basta rilevare il carattere generale degli sviluppi che la dialettica riceve nel periodo intermedio (medius aevus), arido se non del tutto infecondo. Diremo per ciò come la logica aristotelico-stoica fu introdotta dal filosofo romano Boezio presso i Romani. La traduzione di Boezio del greco al romano dei primi due trattati dell’Organum (Categoriae e De Interpretatione – the only two that Grice lectured on with J. L. Austin and P. F. Strawson), nonché dell’Isagoge di Porfirio [arbor griceana], e i commenti con cui egli stesso ed altri scrittori neo-platonici accompagnarono codesti scritti (nel senso della tecnica formale, secondo la tradizione stoica), costituiscono il fondamento della cultura del più antico (alto) Medio Evo. Del resto, la cultura generale sembra ^ppjesentata da un certo numero di enciclopedie clella bassa antichità, come quella di Marciano Capella, nelle quali si tratta delle sette artes liberales che, nel tirocinio scolastico, formarono il trivio (grammatica Rettorica, Dialettica) ed il quadrivio (Aritmetica Geometria Astronomia Musica).  Specialmente degno di nota che questa prima parte del Medio Evo non ha conosciuto, nè le altre opere (logiche, fisiche ecc.) di Aristotile, nè le opere originali di Platone, fuori del “Timeo”, tradotto in romano da Calcidio. Più tardi, il Rinascimento umanistico doveva venir fecondato mercè una conoscenza diretta dei testi, in seguito alla caduta dell’impero romano d'Oriente, che addusse numerosi profughi segnatamente in Italia. Ora nella logica scolastica due aspetti sono degni di nota. Primo,la progressiva elaborazione della tecnica formale, acuitasi mercè sottili distinzioni. Secondo, la grande questione della realtà degli universali, di cui a stento riusciamo a comprendere il carattere drammatico, traverso la forma aridamente schematica delle discussioni. Sorvoleremo affatto sul primo punto, sebbene sarebbe interessante per la storia della dialettica, di mostrare, per esempio, in Buridano il riconoscimento della proprietà distributiva della particella (adverbium) ‘non’ (~) rispetto a “et” (/\) e “vel” (\/). non (p et q), ~ (p /\ q) ≡ non p vel non p (~p \/ q).  (notizia segnalatmi da Vacca) o di cercare simili analisi in Paolo Veneto. Ma, quanto alla questione della realta degl’universale, diremo che si tratta dell'antica questionollevata dalla ideologia platonico-aristotelica, se all’idea generali corrisponde una realtà. La quale questione fu riaccesada un passo dell’Isagoge di Porfirio (I, 3). “E anzitutto, per ciò che riguarda il genero o la specie, io evito di ricercare se esiste di per sè, ovvero se esiste soltanto come pure nozione; e — ammettendo che esista di per sè — se apartengano alla cosa corporea o incorporee; e infine se abbiano esistenza separata ovvero solo nella cosa corporea sensibile. E una questione troppo profonda che esigerebbe uno studio differente da questo e troppo este. Nel vasto intreccio della polemica medioevale appare che il nominalista (negante la realtà dell’universale) rappresentano, in generale, le tendenze scientifiche, avverso il misticismo platonizzante del realista. Ciò è vero soprattutto per riguardo ai rinnovatori del nominalismo nel secolo come Guglielmo Occam e Giovanni Buridano, rettore dell'Università di Parigi, ai quali è dovuta la teoria che ha preso il nome di terminismo. Il terminista (che si accosta al concettualismo di Abelardo) ritiene i concetto (o termino) come un segno intersoggettivo (signa) della singola cose, o di una classe di cose, realmente esistenti. La dialettica si riferisce soltanto alle reazione di questo segno della cose (Occam, Quodlibeta V. 5). Occam avverte pue che l’espressione assume il suo proprio significato nella proposizione, e spesso in unione a qualche altro termine. Terminus conceptus est intentio seu passio animae aliquid NATURALITER SIGNIFICANSaut consignificans, nata esse pars propositionis. Sifftta dottrina supera lo stretto nominalismo e tuttavia nega il realismo: cioè nega che il ‘significato’ (o ‘signato’) dell’espressione  sia da cercare nella sua comprensione o connotazione, ossia nell’ insieme delle note o attributi, di cui esso esprimerebbe  l'unità sostanziale; e si afferra invece all’estensione o denotazione (denotatum, relatum), cioè all’ insieme delle cose rappresentati dall’espressione (‘homo’), che — sotto la specie di certe reali somiglianze — vengono vramente unificati. Al lume di questa veduta, la definizione scolastica, discendente dal astratto generale universale al concreto particulare individuo, e la logica stessa perdono importanza: onde è fatto invito a volgersi dalla spiegazione dell’espressione al concreto della esperienza. Ciò spiega abbastanza l’interesse appassionato  della polemica intorno agli universali che nel mondo sociale e morale deve rivendicare la libertà dell'individuo soffocata dalla tirannia delle istituzioni e dall'autorità delle credenze e dell’insegnamento tradizionale. Nulla sembra più proprio a favorire un tale affrancamento degli spiriti, che abbattere alla radice l’albero della deduzione infeconda, triviale, analitica, ricostruendo induttivamente tutto il sapere. Onde la stessa tendenza si continua ed esplica nella reazione anti-aristotelica (platonista) degli umanisti italiani purificatori della logica dalla sottigliezza o implicatura scolastica (Valla, Agricola, Vives) e si manifesta poi in nuove forme nella rinascita del movimento scientifico.  Studio storico preliminare     SeaR Edizioni Quanto segue è, nella sostanza, il contenuto di una  conferenza tenuta a Palermo presso ristituto Platone  il 31 maggio 1986 e successivamente, verso la fine di  queiranno, riprodotto in un numero limitato di co¬  pie, con aggiunte note critiche e documentarie, per le  «Dispense di Arx» di Messina, edite da Salvatore  Ruta.   Oggi il testo viene ripresentato con maggiore digni¬  tà tipografica e tiratura, onde favorirne la diffusione,  con poche modifiche e aggiunte, in questa nuova col¬  lana della Sear di Scandiano.   Poiché è certamente la prima volta che con una  certa organicità viene affrontato questo argomento, il  presente scritto può a ben diritto definirsi una novità.   Tuttavia, dal momento che il nostro testo viene  presentato come uno «studio storico preliminare», il  lettore potrà dedurne che: a) i dati storici, biografici  e letterari, le notizie contenute ed ogni altra informa¬  zione non sono frutto di fantasia o di illazioni avven¬  tate, ma desumibili nella loro grande maggioranza da  fonti documentarie (come dimostrato dai miei stessi  riferimenti); b) Tinsieme costituisce, d'altra parte,  qualcosa di non definitivo, in quanto suscettibile di  essere ampliato ed ulteriormente specificato da suc¬  cessive indagini e approfondimenti di maggior  respiro.   Bisogna peraltro subito aggiungere che anche a  molte notizie documentarie non sarei pervenuto se  non avessi tenuto conto, nel corso di più anni, di indicazioni, suggerimenti, informazioni pervenutimi  per via amichevole o riservata. Quanto qui esposto,  tuttavia, non fa parte di alcun segreto esclusivo —  come vorrebbero alcuni — bensì del patrimonio sto¬  rico della nazione italica e come tale lo offriamo alla  meditazione di quei lettori che vorranno o sapranno  trovarvi spunto di interesse interiore, nonché agli sto¬  rici «laici», perché almeno in questa occasione si ren¬  dano conto del tipo di dimensione occulta che corre  parallela e interferisce nelle vicende della storia: nella  fattispecie, prendano atto dell 'esistenza, sinora igno¬  rata, delle correnti esoteriche che tentarono di dare al  fascismo queiranima priva di compromessi che non  fu capace di far sua.   Renato del Ponte    Entrando il Sole nei Gemelli  — Nella prefazione da lui posta ad un recente lavoro  dedicato soprattutto alla cosiddetta «Nuova Dstra», il noto politologo Giorgio Galli, a cui si deve  senza dubbio riconoscere una notevole apertura  mentale e un’intelligente operazione culturale volta  alla riscoperta di alcune tematiche proprie della de¬  stra tradizionale, ha potuto osservare come alla  «Nuova Destra» sia mancata «precisamente una ri¬  lettura della componente “magica” ed “esoterica”  della cultura di destra». La «Nuova Destra» si trove¬  rebbe anzi, attualmente, «in difficoltà sul piano pro¬  priamente politico forse anche perché ha trascurato  l’analisi di fenomeni ai quali si dimostrava sensibi¬  le (...) la destra tradizionalista “esoterica’^): tale fal¬  limento, dunque, sarebbe implicito nel «completo  abbandono di un bagaglio culturale di indubbia ri¬  levanza» (1).   Tale diagnosi ci pare esatta e le acute osservazioni  del Galli (al quale si debbono anche tentativi di pe¬  netrare nel mondo oggi ancor poco conosciuto, pro¬  prio perché poco adeguatamente studiato, dell’eso-    GALLI, prefaz. a: ZUCCHINALI, A destra in Ita¬  lia, Sugarco Edizioni, Milano 1986, pp. 7-14. Tale lavoro non merita, di  per sé, alcuna annotazione di rilievo, essendo molto superficiale e limi¬  tato nel settore dedicato alia «destra radicale» (e in questo largamente  superato da precedenti pubblicazioni, per quanto decisamente a sini¬  stra, come La destra radicale, a cura di F. Ferraresi, che è del 1984), ec¬  cessivamente ampio e parziale nei confronti della cosiddetta «Nuova  Destra», mentre la «destra tradizionale» è pressoché inesistente. In so¬  stanza, ciò che dà rilievo al libro, sono le poche notazioni preliminari  del Galli, che peraltro suonano da campana a morto per i profeti della  fine del «mito incapacitante»... terismo del III Reich), che ben difficilmente, del  resto, potrebbero essere recepite nella loro portata  da quanto sopravvive della «Nuova Destra», pro¬  prio per la sua impostazione profana e modernista  (per non parlare della destra «tecnocratica» missina,  per sua intrinseca natura da sempre impermeabile  ad ogni discorso «intelligente») (3), potranno ser-   In una relazione sul tema tenuta nel giugno 1984 a Torino (pare  per la Fondazione Agnelli), il cui testo abbiamo potuto leggere, il Galli  osserva come «la storiografia ufficiale e accademica abbia sempre esita¬  to a muoversi in questa direzione, appunto per il timore di spostarsi dal  piano della storia a quello della fantasia». Ciononostante il Galli, che  dunque sembra muoversi tra i primi al di fuori di tale logica paralizzan¬  te, afferma come «vi siano sufficienti elementi per una riflessione stori¬  ca organica sulla componente esoterica soprattutto dei nazismo, mentre  per quanto riguarda il fascismo italiano questa riflessione potrebbe con¬  cernere esclusivamente la personalità di Julius Evola». 11 presente volu¬  metto dovrebbe dunque servire ad ampliare le prospettive conoscitive  del Galli e di quanti altri si interessino di tali tematiche proprio sull’ulti¬  mo punto, quello concernente il fascismo. Circa poi le correnti esoteri¬  che del nazismo, bisognerebbe intanto distinguere fra ciò che ha prece¬  duto la sua presa del potere, le gerarchie ufficiali dello Stato ed alcuni  settori delle SS. In base a ricerche che stiamo effettuando, possiamo an¬  ticipare che tali correnti esoteriche poggiano su fondamenta assai fragi¬  li, contrariamente a quel che potrebbe pensare il Galli stesso, che in que¬  sto caso pare essere rimasto vittima di alcune «ingenuità» propalate sul¬  la scia del famigerato Mattino dei Maghi di Pauwels e Bergier. Per un  discorso preliminare su quanto andiamo dicendo, si veda ora il mio saggio su La realtà storica della «Società Thule», in introduzione alla pri¬  ma traduzione italiana di: Prima che Hitler venisse di Rudolf von Se-  bottendorff. Edizioni Delta-Arktos, Torino 1987. Su Evola e certi ambienti delle SS, pubblicherò in seguito documenti provenienti dall’archivio di stato tedesco (Quartier Generale di Himmler), in cui tali temati¬  che saranno ulteriormente trattate. In un recente articolo che vuole costituire una sorta di recensione  del libro della Zucchinali, un anonimo missino cosi sintetizza gli interes-   virci qui da spunto iniziale per una breve indagine  preliminare, necessariamente per ora limitata, su  una corrente di pensiero indubbiamente assai mino¬  ritaria, ieri ed oggi, in Italia, ma come è stato di re¬  cente sottolineato, «nel contempo assolutamente ne¬  cessaria per l’Italia, che ha svolto ed è destinata  a svolgere ancora una funzione molto importante,  per non dire essenziale, per la nostra nazione: quella  della conservazione dtXV identità delle nostre radici.   Essa, se è stata opacizzata nelle masse e in una  classe dirigente sclerotizzata e corrotta per incapaci¬  tà e colpevole negligenza, nondimeno persiste im¬  mutata, come presenze e immagini primordiali, negli archetipi divini che presiedono alle nostre sorti.  Il compito di tale minoranza, al di là della pura e  semplice azione conservativa, è stato quello di saper  ridestare nei momenti opportuni quelle immagini, sì  che divenissero presenze vive ed operanti, concretiz¬  zandole nelle nuove realtà della nazione italica.   Si tratta delle immagini primordiali e delle epifanie divine del Lazio e dell 'Italia delle origini, ovvero  della Saturnia tellus: quelle che hanno reso possibile  la manifestazione sul nostro suolo della tradizione  di Roma — che simboli, funzioni ed attribuzioni    si e i tentativi controcorrente del Galli: «A cosa ciò possa condurre in  concreto, è imprevedibile. Forse a nulla» (in «Proposta»).] Conventum Italicum, comunicato anonimo in «Arthos»] hanno reso evidente essere emanazione della Tradizione primordiale  — ed il suo rinnovellarsi attrverso i tempi.   Il precedente riferimento del Galli all’esoterismo  è, nel nostro caso, più che pertinente, dal momento  che la trasmissione e perpetuazione della tradizione  romana, almeno negli ultimi quindici secoli, ha potuto avvenire, per motivi ben comprensibili, per via  segreta, cioè esoterica e di necessità sotto forme e vie  anche molto diverse. Se oggi si può parlare di «de¬stra» esoterica è soltanto perché, per circostanze sto¬  riche particolari, in un ambito (peraltro, assai ristretto) della destra del nostro secolo certe tematiche  hanno potuto trovare parziale ospitalità: va da sé  — e non sarebbe il caso di insistervi sopra — che la  .tradizione di cui tali correnti sono portatrici si situa  ben al di là e al di sopra di ogni miserabile dialettica  fra destra e sinistra, termini e concetti di derivazione  parlamentare moderna e quindi del tutto inadeguati  ad inquadrare forme di realtà spirituali quali quelle  a cui ci riferiamo.   Tuttavia, dal momento che il presente intende es¬  sere semplicemente uno «studio storico» su tale cor-   Per tali evidenziazioni, debbo rimandare ad alcuni capitoli del  mio Dèi e miti italici. Il ed., ECIG, Genova, specialmente in connessione con le figure di Giano e Saturno (con il ciclo a lui connesso).  Si deve peraltro notare che ad interessi esoterici inerenti anche alla  tradizione romana non furono aliene certe personalità della «sinistra  storica» e nel corso della nostra esposizione non mancherà un esempio  concreto. ] rente, dovremo fare solo riferimenti indiretti e limitati al suo lato esoterico, quanto invece insistere sui  suoi riflessi politici, culturali e religiosi.   L’abbiamo definita «corrente tradizionalista romana» nel Novecento: un’élite che ha in ogni ca¬  so lasciato una sua impronta in una certa epoca e  che, nell’incertezza del «pensiero debole» attuale,  potrebbe ancora essere portatrice di un messaggio  radicalmente alternativo, poiché radicalmente (e qui  l’espressione va intesa, con coscienza di causa, nel  suo pieno valore etimologico, a radicibus) orientata  contro gli pseudovalori che reggono la scena del  mondo moderno.   Non è mio compito qui riassumere i termini della  questione intorno alla possibilità della trasmissione  della sacralità e della tradizione di Roma dall’epoca  degli ultimi sapienti pagani sino ai nostri giorni: è  uno studio che, in riferimento soprattutto alle gentes  dei Simmachi, dei Nicomachi, dei Pretestati ed altri,  abbiamo da anni iniziato in varie riviste e pubblica-    (7) Derivo l’espressione di «corrente tradizionalista romana» dal pderoso (e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon. Tradizio¬  ne e civiltà, Napoli, in cui, nel VI cap., intitolato ap¬  punto Il tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del  tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente  che col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singoli casi, che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene  organizzata in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche co¬  muni, ideologicamente e politicamente parlando, ma ad una tendenza  che potè assumere aspetti e sfaccettature diverse, come proprio i casi di  Reghini, Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici) sono a dimostrare. zioni (8) e che non mancherà di ulteriori sviluppi.   In questa sede sarà sufficiente fare rapido riferimento a quell’epoca gravida di grandi e decisive trasformazioni che fu il Rinascimento italiano. È soprattutto nel corso del XV secolo che tradizioni occulte, sopravissute per secoli nel più grande segreto,  paiono ricevere nuova linfa e l’impulso ad una nuova manifestazione dal contatto con personalità dell’Oriente europeo di altissima rilevanza intellettuale,  come quella di Giorgio Gemisto Pletone, il grande  rivitalizzatore della filosofia platonica negli ultimi  anni dell’Impero d’Oriente e fondatore di un cenacolo esoterico a Mistra, la medievale erede dell’antica Sparta, all’interno del quale, oltre a conservare  testi dell’antichità pagana (come le opere dell’impe¬  ratore Giuliano, che vi venivano trascritte), si cele¬  bravano veri e propri riti e si elevavano inni in onore  degli dèi olimpici (9).   La figura e la funzione di Giorgio Gemisto Pletone sono ancora troppo poco note in generale e, in  Italia, non ancora studiate (10). In genere, ci si limi-    (8) Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della tradizio¬  ne sacrale romana, parti I e II, in «Arthos»] ;  vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della Vitto¬  ria, con un’introduzione di R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi. Edi¬  zioni del Basilisco, Genova. Si tenga conto che nel sud del Peloponneso sono attestati, a livello  popolare, culti nei confronti degli dèi classici sino al IX secolo della no¬  stra era.   (10) In lingua italiana mancano ancora del tutto studi approfonditi.    18    ta a citare, a proposito di lui, la sua partecipazione  al Concilio di Firenze e l’istituzione dell’Accademia  Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella villa di Ca-  reggi (o «delle Cariti», o «Muse»), concepita da Cosimo il Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnifico  su suggestione del Pletone. Ma gli effetti dovettero  essere ancora più interessanti e gravidi di conseguen¬  ze, se si considerino i legami, ad esempio, fra Gior¬  gio Gemisto Pletone e Sigismondo Pandolfo Mala-  testa. Signore di Rimini: colui che ne sottrarrà il ca¬  davere agli Ottomani (1464), i quali avevano occu¬  pato Mistra nel 1460, onde deporlo pietosamente in  un’arca marmorea del suo famoso «Tempio Malate¬  stiano». Lo stesso Malatesta dovette pure essere in  rapporto con la ben nota «Accademia Romana» di  Pomponio Leto (11), propugnatore, scrive il von Pa-  stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo    Ci si dovrà pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi  sul platonismo del Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II),  Sansoni, Firenze 1936; P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale  del Rinascimento, in «Vie della Tradizione» (ci viene comunicato ora, che a cura dello stesso P. Fenili è in corso di  stampa un’antologia di brani di Pletone, dal titolo «Paganitas», lo  squarcio nelle tenebre, per Basala Editore di Roma). Di recente, ci è ca¬  pitato di leggere in un’insolita pubblicazione, una rivistina satirica di si¬  nistra, un reportage da Mistra singolarmente informato e documentato  su Gemisto Pletone e la sua scuola (cfr. P.LO SARDO, La repubblica  dei Magi. Da Sparta alla Firenze del '400, in «Frigidaire»] Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater sanctissi-  mus), 1 ’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta, il quale dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori   «spregiava la religione cristiana ed usciva in vio¬  lenti discorsi contro i suoi seguaci... venerava il ge¬  nio della città di Roma.Quale rappresentante  di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬  simo, si schierarono ben presto attorno a Pompo¬  nio un certo numero di giovani, spiriti liberi dalle  idee e dai costumi mezzo pagani. (...) Gli iniziati  consideravano la loro dotta società come un vero  collegio sacerdotale alla foggia antica, con alla te¬  sta un pontefice massimo, alla quale dignità fu  elevato Pomponio Leto» (12).   Si noti che sembra certa l’adesione alla cerchia del  Leto del principe Francesco Colonna, Signore di Pa-  lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto l’autore  della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬  sto molto citato, ma molto poco letto e soprattutto  compreso, dove, in ogni modo, una sapienza ermeti¬  ca si sposa all’esaltazione, non tanto filosofica.    fu notoriamente nemico dei papi e ammiratore del movimento pagano  di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon et le platonisme de Mistra, Paris 1956,  p. 344, nota. L’opera del Masai è a tutt’oggi la più completa esistente  sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto Pletone). Si noti che il Pla¬  tina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo, discepolo di Pletone, e che un  altro antico discepolo, il Cardinal Bessarione, si prodigò per la liberazio¬  ne da Castel Sant’Angelo dei membri dell’Accademia Romana nel 1468,  dopo che furono accusati dal papa Paolo II — non senza fondamento  — di «paganesimo». 11 Masai (op. cit., p. 343) si domanda se l’Accade¬  mia Romana «non fosse in qualche modo una filiale di quella di  Mistra». L. von PASTOR, Storia dei Papi, voi. II, Roma] quanto mistica, del mondo della paganità romano¬  italica, culminante nella visione di Venere Genitrice.   Se si rifletta al fatto che Francesco Colonna, rea¬  lizzatore fra il 1490 e il 1500 del nuovo imponente  palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio di  Fortuna Primigenia (ancora oggi ben identificabili  nelle strutture originali), vantava discendenza diret¬  ta dalla gens Julia e quindi da Venere (13), si potrà  allora intravedere come l’apporto vivificante della  corrente sapienziale reintrodotta in Italia da Gemi¬  sto Pletone si fosse incontrato col retaggio gentilizio  di una tradizione antichissima, gelosamente custodi¬  to nel silenzio dei secoli col tramite di alcune fami¬  glie nobiliari italiane, in ispecie laziali, generosa¬  mente fruttificando: nel senso di spingere ad un rin¬  novamento tradizionale non solo l’Italia, ma persi¬  no, ad un certo momento, lo stesso papato, se avventi 3) Risulterà forse sorprendente apprendere come i Colonna possedessero ancora fino ai nostri giorni (è documentato almeno sino al  1927) il «feudo» originale di Giulio Cesare, Boville (Frattocchie d’Alba-  no). Sempre era visibile nel giardino Colonna al Quirinale  l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia (notizie ricavate da:  P. COLONNA, I Colonna, Roma). Tolomeo 1 Colonna  ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e Julia stirpe  progenitus (cfr. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia Italiana»,  X, 1931). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia Poli¬  phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di France¬  sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980.  Si veda anche: OLIMPIA PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte del¬  l’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in considerazione  della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco Colonna, la considera come un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce (/ Rosa¬  croce, Milano). ne che poco mancò che salisse al soglio pontificio  quel cardinale Giuseppe Bassarione che fu discepolo  diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui giudicato,  come scrisse in una lettera privata ai figli del mae¬  stro dopo la sua morte, «il più grande dei Greci do¬  po Platone».    Ma altri tempi tristi dovevano giungere, tempi in  cui sarebbe stato più prudente tacere, come dimostrò il bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori, avvolgenti nell’anno di Cristo 1600 il corpo, ma non  l’animo, di Bruno, rivivificatore generoso,  ma impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che  trovavano analoga eco — frutto di una linfa non  mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale — nella  poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese  Tommaso Campanella, lui pure oggetto di odiose  persecuzioni.   Bisognerà giungere sino all’unità d’Italia, parzial¬  mente realizzatasi nel 1870 con la fine della millenaria usurpazione temporale dei papi, per trovare una  situazione mutata. A questo punto bisogna chiarire  una volta per tutte, con la maggiore evidenza, che  dal punto di vista del tradizionalismo romano l’uni¬  tà d’Italia — indipendentemente dai modi con cui    (14) Si dovrà ricordare che il Bessarione raccolse cum pietate nel suo  studio le opere e i manoscritti del maestro, in particolare alcuni frammenti apertamente pagani delle Leggi, dotandone poi la Biblioteca  Marciana da lui fondata, a Venezia.    potè in effetti verificarsi (modi spesso arbitrari e  prevaricatori della dignità e delle sacrosante autonomie di diverse popolazioni italiche) e dall’azione di  certe forze sospette (Carboneria, massoneria e sette  varie) che per i loro fini occulti poterono agevolarla  — era e rimane condizione imprescindibile e necessaria per ritornare alla realtà geopolitica dell’Italia au-  gustea (e dantesca): quindi per propiziare il rimanifestarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine  che ab origine a quella realtà geografica — consacrata dalla volontà degli dèi indigeti — sono legate.   È un dato che si dovrà tenere ben presente, per  meglio intendere certi fatti che avremo modo di  esporre in seguito.    Intanto, negli ultimi anni del XIX secolo è nell’a¬  ria qualcosa di nuovo e antico insieme, che verrà avvertito dalle anime più sensibili.   Fra queste, il grande poeta Giovanni Pascoli, con  un equilibrio ed una compostezza veramente classi¬  ci, valendosi di una sensibilità non inferiore a quella  con cui in quegli stessi anni conduceva l’esegesi di  certi lati occulti della dantesca Commedia, con il seguente sonetto (e col corrispondente testo in esame¬  tri latini, da noi non riprodotto) celebrava in una  semplice aula scolastica la solennità «L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio,  leva il fumido muso ad una branca  d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca,  e n’echeggia il frondifero Palazio.   Una mano sull’asta, una sull’anca  del toro, l’arator guarda lo spazio:  sotto lui, verde acquitrinoso il Lazio;  là, sul monte, una lunga breccia bianca.   È Alba. Passa l’Albula tranquilla,   sì che ognun ode un picchio che percuote   nell’Argileto l’acero sonoro.   Sopra il Tarpeio un bosco al sole brilla,  come un incendio. Scende a larghe ruote  l’aquila nera in un polverio d’oro. Allo scadere del secolo, nel 1899, è un fatto nuovo  di ordine archeologico il punto di riferimento im¬  portante ed essenziale per il secolo che sta per aprir¬  si: la scoperta nel Foro da parte dell’archeologo Giacomo Boni (un nome che non dovremo scordare) del  cippo arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger, in cui l’iscrizione in caratteri antichi del termi¬  ne RECHI ( = regi) attesta documentariamente l’effettiva esistenza in Roma della monarchia e, con  quanto ne consegue, la sostanziale fondatezza della  tradizione annalistica romana, trasmessa nel corso  di innumerevoli generazioni, dai primi Annales Ma¬  ximi dei pontefici sino a Tito Livio e, al termine del-    [PASCOLI, Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento  latino, Zanichelli, Bologna. 11 lettore esperto potrà notare  come in pochi versi il poeta abbia saputo sapientemente concentrare  particolari nomi evocativi di determinate realtà primordiali dell’Urbe. ] l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes sacerdotali  ed a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori  della sapienza delle origini, come poterono essere un  Macrobio ed un Marziano Capella nel V secolo.   È come se, fisicamente, una parte di tradizione ro¬  mana si esponesse improvvisamente alla luce del sole a smentire l’incredulità e l’ipercriticismo della  scuola tedesca, che, in nome di un presunto realismo  scientifico, aveva respinto in blocco le più antiche  memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi se¬  guaci italiani, come quell’Ettore Pais che nella sua  Storia di Roma (ristampata innumerevoli volte fino  in piena epoca fascista) aveva negato ogni tradizione  da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli  in aria, senza alcuna base, né storica, né filologica.   Risulta che Giacomo Boni fu in corrispondenza  con un altro principe romano, pioniere degli studi  islamici e deputato al parlamento nei banchi della  sinistra: Leone Caetani duca di Sermoneta, principe  di Teano, marito di una principessa Colonna.   Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato l’au¬  tore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca sin  dal 1852, dove si sosteneva l’identità di Enea col  dantesco «messo del cielo» che apre le porte della  Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli iniziati di  Eieusi (16): quello stesso che nel 1870, già vecchio e  quasi cieco, fu il latore a Vittorio Emanuele II dei    (16) Cfr. M. CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina  Commedia di Dante Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello risultati del plebiscito che sanciva l’unione di Roma  all’Italia.   Proprio Leone Caetani sarebbe stato l’autorevole  tramite attraverso cui si sarebbero manifestate al¬  l’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam  (operativa proprio negli anni della scoperta del Lapis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz (cioè Ciro  Formisano di Portici) — che la definì talvolta come  Schola Italica — determinate influenze derivanti  dall’antica tradizione romano-italica se, come scrive  l’esoterista Marco Daffi {alias il conte Libero Ric-  ciardelli) è lui il misterioso «Ottaviano» (altro  riferimento alla gens Julia!) autore nel 1910, nella ri¬  vista «Commentarium» diretta dal Kremmerz, di un  articolo sul dio Pan e di una lettera di congedo dalla  redazione in cui egli riafferma in tali termini la proti?) «Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona veramente autorevole, autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di Kremmerz tanto  da potere essere ritenuto portavoce di sede superiore Don Leone  Caetani, Duca di Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI, Giuliano  Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest, Genova). Gli scritti firmati da «Ottaviano» in «.Commentarium» sono tre: La divinazione pantéa, Per Borri, Gnosticismo e iniziazione (n. 8-10 di novembre-dicembre 1910). In quest’ultimo scritto, con¬  sistente in una lettera di congedo come collaboratore della rivista, si rimanda all’opera di un altro personaggio che, come «Ottaviano», doveva  riconnettersi allo stesso ambiente iniziatico gravitante alle spalle dell’organismo kremmerziano: l’avvocato Giustiniano Lebano, autore di un  curioso libretto intitolato Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola anima o anche col corpo? (Torre Annunziata 1899), in cui nuovamente si  accenna al «ramoscello dorato del segreto, ossia la voce mistica di convenzione che Enea presenta a Proscrpina. pria fede pagana:  non sono che pagano e ammiratore del paga¬  nesimo e divido il mondo in volgo e sapienti volgo, che i miei antenati simboleggiavano nel cane e lo pingevano alla catena sul vestibolo del Do-  mus familiae con la nota scritta: Cave canem; ca¬  ne perché latra, addenta e lacera.   In quegli stessi anni (a partire dal 1905) era co¬  minciata l’attività pubblicistica ed iniziatica di Reghini. La sua importanza fra i  più autorevoli esponenti europei della Tradizione, e  del filone romano-italico in particolare, risiede cer¬  tamente non tanto nel tentativo, vano e fatalmente  destinato all’insuccesso, per quanto disinteressato,  di rivitalizzare la massoneria al suo interno (19),  quanto nell’attenzione da lui portata allo studio ed  [OTTAVIANO, Gnosticismo e iniziazione, cit., p. Tentativo che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito  Filosofico Italiano, fondato nel 1909 dal Reghini, Edoardo Frosini ed  altri (vi sarà accolto come membro onorario Aleister  Crowley...), ma dall’esistenza effimera, dal momento che si  fuse con la massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza  del Gesù. 11 Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di  Raoul Palermi, molto favorevole nei confronti del fascismo, sino ai  provvedimenti contro le società segrete del 1925. Giovanni Papini ha dedicato alcune pagine nel contempo pungenti e commosse ad Arturo Re¬  ghini di cui fu amico negli anni giovanili, cosi concludendo: Reghini visse, povero e solitario, una vita di pensiero e di sogno: anch’e¬  gli difese e incarnò, a suo modo, il “primato dello spirituale’’. Nessuno  di quelli che lo conobbero potrà dimenticarlo» (Passato remoto, ed. L’Arco, Firenze).alla riscoperta della tradizione classica e romana,  che gli era stato dato in compito di rivitalizzare «in  segreto», così come egli stesso si esprime in una let¬  tera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nel numero di aprile 1914 di «Ultra»:   «sai bene come il nostro lavoro, puramente meta¬  fisico e quindi naturalmente esoterico, sia rimasto  sempre e volontariamente segreto.   In tal modo il Reghini ben si inseriva nel filone  della corrente tradizionalista romana, in quella sua  variante che si può legittimamente definire orfico- pitagorica, col contributo di numerosi scritti,  soprattutto sulla numerologia pitagorica, sparsi fra  molti articoli e opere impegnative, come Per la resti¬  tuzione della geometria pitagorica,  I numeri sacri della tradizione pitagorica massonica, Aritmosofia REGHINI, La «tradizione italica», Ultra»   Allo stesso modo, di tradizione ermetica «egizio-ellenistica» si  potrebbe parlare per il filone essenzialmente seguito dalla corrente  kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste correnti possa preten¬  dere di identificarsi con il filone centrale deWa tradizione romana (come  vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei nostri giorni),  rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed espressioni validis¬  sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della tradizione romana  è altra cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo stesso ne è al di sopra  nella sua essenza originaria. Per cercare di comprendere la cosa, si dovrà  riflettere sul simbolismo e sulla funzione del dio Giano, non per caso  divinità unica e propria della sacra terra laziale.) ed il tuttora inedito Dei numeri pitagorici.   Con questa attività egli avrebbe perseguito la mis¬  sione affidatagli da un’antica scuola iniziatica di tradizione pitagorica della Magna Grecia allorché,  ancora giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da  colui che sarebbe divenuto il suo maestro spirituale: Armentano, calabrese, ufficiale  dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe Reghini.   Ad Armentano apparteneva Di recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa del  Reghini, è stata edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesi¬  mo, pitagorismo, massoneria, ed. Mantinea, Fumari, a cura del¬  l’Associazione Pitagorica, un gruppo costituitosi solo nel giugno 1984  con un poco iniziatico «atto notarile» (sic), ma che vanta diretta discen¬  denza dal gruppo del Reghini. La raccolta è stata purtroppo eseguita  con dilettantismo, senza criteri ed inquadramenti storico-filologici e gli  scritti reghiniani (uno addirittura incompleto) non seguono nè un ordine logico, nè cronologico. Il saggio sll’Interdizione pitagorica delle fave si potrà leggere ora completo in «Arthos.   DIOGENE LAERZIO ricorda come il pensiero di Pitagora avesse trovato accoglienza presso gli Italioti della Magna Grecia:  «Come dice Alcidamante tutti onorano i sapienti. Così i Pari onorano  Archiloco, che pur era blasfemo, e i Chii Omero, che era d’altra città e gli Italioti Pitagora» (Die fragmente der Vorsokratiker, a cura di H.  Diels-W. Kranz; trad. ital. Bari.   Per alcune notizie su Armentano (ed una sua foto), cfr. R. SE-  STITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino interno dell’Associazione Pitagorica, Di Armentano si vedano le Massi¬  me di scienza iniziatica, commentate dal Reghini in vari numeri di  «Atanòr» ed «Ignis» (1924-25). Negli anni Trenta Armentano lasciò l’Italia per il Brasile, dove muore. È sintomatico come anche «Ottaviano»  in quel periodo si sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a Vancou¬  ver in Canada.]  quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve¬  detta diroccata, su di uno scoglio deserto dove,  con gran dispiacere di Sibilla Aleramo, il giovane  protagonista del romanzo Amo, dunque sono (Mondadori, Milano), «Luciano» {alias Giulio Pari¬  se), avrebbe dovuto «diventare mago» in compagnia  di un amico non nominato, vale a dire proprio il  Reghini.   Fu proprio nella torre di Scalea, in Calabria, che  il Reghini rivide nell’estate 1926 il testo della tradu¬  zione italiana deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa,  a cui premise un ampio saggio di quasi duecento pagine su E.C. Agrippa e la sua magia. Vi scriveva, fra  l’altro:    «E perciò, in noi, il senso della romanità si fonde  con quello aristocratico e iniziatico nel renderci  fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze e  deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui sarà  possibile di rimettere un po’ a posto le cose, e noi  speriamo che ci venga consentito, una qualche vol¬  ta, di riportare alla luce qualche segno dell’esoteri¬  smo romano. Quanto alla permanenza di una  “tradizione romana”, si vorrà ammettere che se  una tradizione iniziatica romana pagana ha potu¬  to perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più as¬  soluto mistero. Non è quindi il caso di interloquire  con affermazioni e negazioni. ALERAMO, Amo, dunque sono, cit., p. 15. Cfr. p. 50: «Luciano, Luciano, e tu vuoi essere mago! M’hai detto d’aver già operato  fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma realmente accadute».  REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C. AGRIPPA,  Il 1914 è un anno molto importante, sotto diversi  aspetti, per i tentativi di rivivificazione della tradi¬  zione italica. Nel numero di gennaio-febbraio 1914  di «Salamandra», in un articolo dal titolo fortuna¬  to, poi ripreso d’EVOLA (si veda), Imperialismo pagano, Reghini coglieva occasione, scagliandosi contro il parlamentarismo ed il suffragio universale che favoriva  cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e l’immutabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre  ricollegata nella sua visione al pitagorismo, si sarebbe trasmessa attraverso le figure di alcuni grandi iniziati sino ai nostri giorni. In ottobre, dalle pagine di «Ultra», precisava nello stesso tempo, in un  importante articolo dottrinario, che:   «Il linguaggio e la razza non sono le cause della  superiorità metafisica, essa appare connaturata al  luogo, al suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput  mundi, la città eterna, si manifesta anche storicamente come una di queste regioni magnetiche della terra. Se noi parleremo del mito aureo e so¬  lare in Egitto, Caldea e Grecia prima di occuparci  della sapienza romana, non è perché questa derivi  da quella, ché il meno non può dare il più» Lm Filosofia occulta o la Magia, voi. I, rist. Mediterranee, Roma.   L’articolo fu poi ripubblicato in «Atanòr,  pp. 69-85 (oggi nella ristampa anastatica a cura dell’omonima casa edi¬  trice di Roma).   (28) A. REGHINI, Del simbolismo e della filologia in rapporto alla  sapienza metafisica, in «Ultra. Intanto, nella notte del solstizio d’inverno del  1913, si era verificato un insolito episodio, gravido  di future conseguenze: in seguito a misteriose indi¬  cazioni, nei pressi di un antico sepolcro sull’Appia  Antica era stato rinvenuto, a cura di «Ekatlos» (29),  accuratamente celato e protetto da un involucro im¬  permeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i  segni di un rituale.   «Ed il rito — riporta «Ekatlos — fu celebra¬  to per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi  sentimmo, meravigliati, accorrervi forze di guerra  e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella sua lu¬  ce le figure vetuste ed auguste degli “Eroi” della  razza nostra romana; e un “segno che non può fal¬  lire” fu sigillo per il ponte di salda pietra che uo¬  mini sconosciuti costruivano per essi nel silenzio  profondo della notte, giorno per giorno».   «Il significato, le vere intenzioni e le origini di tali    (29) Lasciamo ogni responsabilità circa l’identificazione di «Eka¬  tlos» con il principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo  autore (si tratta, peraltro, certamente di C. Mutti, fanatico integralista  islamico) di una postilla alla parziale traduzione francese della rivista  evoliana «Krur» (TRANSILVANUS 1984, A propos de l’article d’Eka-  tlos, seguito da una Note sur Leone Caetani, in: J. EVOLA, Tous les  écrits de «Ur» & «Krur», 111 [Krur], Arché, Milano 1985, pp. 475-  486). Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi note (in cui ancora una  volta si dimostra come tra fanatismo religioso e via iniziatica esista un  divario invalicabile) la pesante responsabilità delle poco ragguardevoli  espressioni usate nei confronti del benemerito principe romano. EKATLOS, La «Grande Orma»: la scena e le quinte, in «Krur», oggi in: GRUPPO di UR, Introdu¬  zione alla Magia, voi. Ili, Roma] riti pongono un problema», osserva il Di Vona (31),  «ma il loro fine immediato fu esplicito, e come tale  è stato dichiarato. (...) Esso fu compiuto nel dovuto  modo da un gruppo che si propose di dirigere verso  la vittoria italiana la I Guerra Mondiale».   Ma l’episodio ha un seguito: il 23 marzo 1919  (giorno in cui cade la festa romana del Tubilustrium,  o consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato  a Milano, nella famosa riunione di Piazza Sansepol-  cro, il primo Fascio di Combattimento (dal 1921 de¬  nominato Partito Nazionale Fascista). Fra gli astanti  vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva  riesumato l’antico rituale, preannuncio a Mussolini: «Voisarete Console d’Italia». E fu la stes¬  sa persona che, qualche mese dopo la Marcia su Roma, vestita di rosso, offrì al Capo  del Governo un’arcaica ascia etrusca, con «le dodici  verghe di betulla secondo la prescrizione rituale le¬  gate con strisce di cuoio rosso. Con tale atto dal sapore sacrale, come è evidente.  VONA, Evola e Guénon EKATLOS. La notizia è riportata con altri  particolari nel «Piccolo» di Roma -- cfr. Appendice. Particolare curioso: la sera stessa del 23 maggio Mussolini  parti in aereo alla volta di Udine, onde potere inaugurare il giorno dopo,  24 maggio, anniversario dell ’entrata in guerra, il monumentale cimitero  di Redipuglia, alla presenza del Duca d’Aosta. La sera del 24, sulla via  del ritorno verso Roma, l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto,  ad un atterraggio di fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca  Cere, donde forse proveniva l’arcaico fascio.le correnti più occulte portatrici della tradizione ro¬  mana avrebbero voluto propiziare una restaurazione  in senso «pagano» del fascismo.   Altri episodi concomitanti concorrono a rafforza¬  re questa supposizione. Dopo essere stata composta  proprio nel 1914, fra il 21 aprile ed il 6 maggio 1923  (altre significative coincidenze di date), fu rappresentata sul Palatino la tragedia Rumori: Romae sa-  crae origines (il solo terzo atto), col beneplacito e la  presenza plaudente di Benito Mussolini. La tragedia  (o, meglio, alla latina, il Carmen solutum) risulta  opera di un certo «Ignis» (pseudonimo sotto cui si  celerebbe l’avvocato Ruggero Musmeci Ferrari Bravo), che risulta godere di appoggi assai influenti, co¬  me quello di Ardengo Soffici [cfr. Appendice], e  appare, specialmente in quel terzo carmen che fu re¬  citato, più che una semplice rappresentazione sceni¬  ca, un vero e proprio atto rituale: un rito di consa¬  crazione, certamente denotante nell’autore, o nei  gruppi restati nell’ombra di cui egli era emanazione,  una conoscenza non solo filologica della tradizione  romana (si pensi che in intermezzi scenici vengono  cantati, al suono di flauti, i versi ianuli e iunonii dei  Fratres Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti,  come lascia intendere il rito di incisione su lamine  auree dei nomi arcani deU’Urbe e l’esegesi, voluta-  mente incompleta, dei significati del nome di Roma.   Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fasciste affinché i simboli da esse evocate, come l’aquila o il fascio, non restassero puro orpello di facciata,  continuerà sino al 1929, che è anche l’anno in cui Rumon verrà pubblicata, in splendida edizione ufficiale, dalla Libreria del Littorio, con i frontespizi ornati di caratteri arcaici romani, disegnati appositamente nel 1923 da Giacomo Boni, lo scopritore del  Lapis Niger già da noi incontrato, il quale avrà il privilegio poco dopo, alla sua morte, di essere  inumato sul Palatino stesso.   Ancora noteremo come sintomatica l’uscita, nello  stesso 1923, della Apologia del paganesimo (Formig-  gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro collaboratore  delle iniziative pubblicistiche di Evola. Uscirono le due riviste di studi iniziatici «Atanòr» ed «Ignis», dirette da Reghini, e in cui iniziò una collaborazione il giovane  Evola: affronteranno con un rigore ed una serietà  inconsuete, per l’eterogeneo ambiente spiritualista  dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di parti¬  colare interesse: vi comparvero, per la prima volta in  Italia, scritti di Guénon, fra cui a puntate, pri¬  ma ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È  peraltro evidente come il contenuto di queste riviste  non avesse un valore puramente speculativo, come  dimostrano gli scritti di «Luce» suirO/7M5 magicum  (Gli specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri di  Fu proprio Boni che, risalendo ai modelli d’origine, mi¬  se a punto il prototipo del fascio romano (oggi al Museo dell’Impero)  per il Regime Fascista: è quello che compare sulle monete da due lire di  quel periodo (cfr. V. BRACCO, L’archeologia del Regime, Volpe, Roma  «Ignis», che preludono a quelli del successivo Gruppo di Ur. Ma intanto l’auspicata svolta in senso pagano da parte del fascismo sperata dalla corrente  tradizionalista romana non solo stenta a verificarsi,  anzi è messa pericolosamente in forse dalle mene degli ambienti cattolici e clericali. In «Atanòr» Reghini con parole di fuoco depreca alcune espressioni pronunciate da Mussolini  in occasione del Natale di Roma:   «Il colle del Campidoglio, egli ha detto, "‘dopo il  Golgota, è certamente da secoli il più sacro alle  genti civiir. In questo modo l’On. Mussolini, invece di esaltare la romanità, perviene piuttosto ad  irriderla ed a vilipenderla. Noi ci rifiutiamo di  subordinare ad una collinetta asiatica il sacro colle  del Campidoglio».   E nel n. 7 di luglio, dopo il delitto Matteotti:  ecco un clamoroso delitto politico viene a  sconvolgere la vita della nazione, ad agitare gli animi. Investito da popolari e da ogni gradazione  di democratici, a Mussolini non resterebbe che  battere la via dell’imperialismo ghibellino, se non  esistesse un partito che già lo sta esautorando...  tengano ben presente i nostri nemici che, nonostante la loro enorme potenza e tutte le loro prodezze, esiste ancor oggi, come è esistita in passato,  traendo le sue radici da quelle profondità interiori  che il ferro e il fuoco non tangono, la stessa catena  iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e secolarmente perseguitata».   L’ordine del giorno Bodrero e le successive leggi  sulle società segrete tolgono ulteriore spazio all’attività pubblicistica di Reghini, che peraltro confluisce nel «Gruppo di Ur», formalmente diretto da Julius Evola.   A noi qui non interessa tanto esaminare il lavoro  di ricerca esoterico svolto dal Gruppo di Ur, cui parteciparono, come è noto, personalità appartenenti  alle principali correnti esoteriche operanti in quegli  anni in Italia, dai pitagorici ai kremmerziani, dagli  steineriani (antroposofi) ai cattolici eterodossi come  il De Giorgio, quanto sottolineare come in quella sede dovesse essere stato, almeno in parte, ripreso il  programma di influenzare per via sottile le gerarchie  del fascismo, nel senso già voluto dal gruppo manifestatosi con la testimonianza di «Ekatlos»  (che, non lo si dimentichi, viene riportata proprio  nel terzo dei volumi che raccolgono le testimonianze  di tutto il gruppo — in apparenza slegata da esse —  successivamente apparse col titolo di Introduzione  alla Magia). In un inserto per i lettori comparso nel  n. 11-12 di «Ur», Evola poteva scrivere: «...  possiamo dire che una Grande Forza, oggi più che  mai, cerca un punto di sbocco in seno a quella bar¬  barie, che è la cosidetta “civilizzazione” contemporanea — e chi ci sostiene, collabora di fatto ad una  opera che trascende di certo ciascuna delle nostre  stesse persone particolari».   Del resto, molti anni più tardi, Evola stesso di¬  chiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobio¬  grafia spirituale che l’intento del Gruppo era stato  quello, oltre a «destare una forza superiore dr servire d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di far  sì che «su quella specie di corpo psichico che si voleva creare, potesse innestarsi per evocazione, una vera  influenza dall’alto», sì che «non sarebbe stata esclu sa la possibilità di esercitare, dietro le quinte, un’azione perfino sulle forze predominanti nell’ambiente generale. Un’indagine ben più approfondita, come si vede, meriterebbe di essere svolta sugli  evidenti tentativi di rivitalizzazione, all’interno del  Grupo di Ur, delle radici esoteriche e dei conte¬  nuti iniziatici della tradizione romana: a parte i contributi dello stesso Evola (che firmerà come «EA» e,  pare, anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di cui  ricordiamo l’importante saggio (nel HI volume) Sul  «sacro» nella tradizione romana, ancora una volta  fondamentale resta l’apporto del Reghini (che firma  come «PIETRO NEGRI»): egli, nella relazione Sulla tradizione occidentale, sulla scorta di un’attenta  esegesi delle fonti antiche (soprattutto Macrobio) e  di personali acute intuizioni, nonché di probabili  «trasmissioni» iniziatiche, non esiterà ad indicare  nel mito di Saturno il «luogo» ove è racchiuso il senso e il massimo mistero iniziatico della tradizione    EVOLA (si veda), Il cammino del cinabro, Milano (li ed.), p. 88.   Un esame generale, storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è stato da me compiuto in lingua tedesca, come studio introduttivo alla versione tedesca del I volume di Introduzione alla Magia (Ansata Verlag,  Interlaken 1985). Si tratta del notevole ampliamento, riveduto e corretto, di un mio precedente studio già apparso in «Arthos romana, un’indicazione utilizzata e sviluppata ulte¬  riormente nel nostro recente Dèi e miti italici. Intanto, una serie di  articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e  chiesa cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Cri¬  tica fascista» di Bottai e in «Vita Nova» di Leandro  Arpinati, e la successiva comparsa di Imperialismo pagano, che quegli articoli  raccoglieva e sviluppava, riversarono proprio sul  Gruppo di Ur pesanti attacchi clericali, fra cui è interessante segnalare quello particolarmente violento  e ambiguo, del futuro papa Paolo VI, Montini, allora assistente centrale ecclesiastico della Federazione Universitari Cattolici Italiani, che aveva come organo culturale la rivista  «Studium» (redazione a Roma e a Brescia. Dalle  pagine di «Studium» il Montini accusava «i maghi»  riuniti attorno a Evola di «abuso di pensiero e di parola di aberrazioni retoriche, di rievocazioni fanatiche e di superstiziose magie..  G.B.M., Filosofia: una nuova rivista, in «Studium». Oltre che del futuro Paolo VI (certamente  il più nefasto fra i papi di questo secolo), apparvero in «Studium» anche  gli attacchi del futuro ministro democristiano del dopoguerra Gonella {Un difensore del paganesimo; //  nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, cui Evola replicò — dopo averlo definito «un tale il cui nome  esprime felicemente che vesti gli si confacciano più che non quelle della  romana virilità» — nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo pagano. Contro Imperialismo pagano (le nostre citazioni sono tratte dalla  ristampa, presso Ar di Padova) si scomodò tutto Ventourage  del giornalismo clericale, da «L’Osservatore Romano» a «L’Avvenire», Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso, inequivocabile e tragico appello da parte di esponenti della  «corrente tradizionalista romana», prima del triste  compromesso del Concordato, affinché il fascismo,  come si esprime EVOLA (si veda), «cominciasse ad assumere  la romanità integralmente e a permearne tutta la co¬  scienza nazionale», così che il terreno fosse «pronto  per comprendere e realizzare ciò che, nella gerarchia  delle classi e degli esseri, sta più su: per comprendere  e realizzare il lato sacro, spirituale, iniziatico della  Tradizione». A questo scopo Evola non risparmiava taglienti critiche alle gerarchie del  Regime. Il fascismo è sorto dal basso, da esigenze confuse  e da forze brute scatenate dalla guerra europea. Il  fascismo si è alimentato di compromessi, si è ali¬  mentato di retorica, si è alimentato di piccole ambizioni di piccole persone. L’organismo statale che  ha costituito è spesso incerto, maldestro, violento,  non libero, non scevro da equivoci.    Di più: Evola prevedeva addirittura gli    al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la pubblicistica fascista fautrice  dell’intesa col Vaticano, d’Educazione fascista a «Bibliografia fascista», sino alla stessa bottaiana «Critica fascista» che aveva ospitato i  primi articoli evoliani.] esiti e gli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale:    «L’Inghilterra e l’America, focolari temibili dei  pericolo europeo, dovrebbero essere le prime ad  essere stroncate, ma non occorre di certo spendere  troppe parole per mostrare che esito avrebbe una  simiie avventura sulla base dell’attuale stato di fatto. Data la meccanizzazione della guerra moderna, le sue possibilità si compenetrano strettamente  con la potenza industriale ed economica delle  grandi nazioni.Era dunque necessario che il fascismo, che «bene  o male ha messo su un corpo. Ma... non ha ancora  un'anima» (p. 13), si rivolgesse senza esitazioni a  quella della Roma precristiana prima che fosse trop¬  po tardi, sì da «eleggere l'Aquila e il fascio e non le  due chiavi e la mitria a simbolo della sua rivoluzione. Nostro Dio può essere quello aristocratico dei  Romani, il Dio dei patrizi, che si prega in piedi e  a fronte alta, e che si porta alla testa delle legioni  vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli  afflitti che si implora ai piedi del crocifisso, nella  disfatta di tutto il proprio animo. Il governo di Mussolini firma a nome del Re d’Italia, considerato dai  papi un «usurpatore», il cosiddetto Coneordato con  la Chiesa Cattolica e nasceva il monstrum giuri- Che il cosiddetto Concordato abbia sortito un effetto a dir poco  nefasto sulle sorti, non solo dello stesso fascismo (come le vicende stori-  dico della Citta del Vaticano. Veniva con ciò  tolta ogni speranza residua di azione all’interno de¬  gli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che di Re-  ghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più  in ombra, del «tradizionalismo romano»: alcuni di  loro, come già si è accennato in nota, abbandonaro¬  no per sempre l’Italia per il Nuovo Continente nel  corso degli anni Trenta.    Restava il «programma minimo» indicato ancora  da Evola in Imperialismo pagano, secondo cui il fa¬  scismo avrebbe dovuto:   «promuovere studi di critica e di storia, non parti-  giana, ma fredda, chirurgica, sull’essenza del cristianesimo. Contemporaneamente dovrebbe  promuovere studi, ricerche, divulgazioni sopra il  lato spirituale della paganità, sopra la sua visione  vera della vita.].    che successive ben presto dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini  e di Evola), ma della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo ancora oggi sulla nostra pelle, dopo che un quarantennale dominio  clericale-borghese ha provveduto, quasi in ogni campo, ad addormenta¬  re la coscienza delle «masse» ed a stroncare, con un autentico «terrorismo di Stato», qualsiasi velleità di reazione delle minoranze coscienti  della necessità di mutare uno stato di cose ormai incancrenito.   Mussolini non si era reso conto che prima di lui uomini non so¬  lo autoritari, ma dal potere assoluto — gli Ottoni, gli Svevi, perfino  Carlo V ecc. — si erano dovuti pentire di ogni intesa, patto e transazione con la Santa Sede. ogni intesa tra Santa Sede e Stato italiano  avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico della validità   Chi avesse pensato che la Scuola di Mistica Fascista, fondata significativamente poco dopo la  «Conciliazione», nell’ambito del  G.U.F. di Milano per opera di Nicolò Giani, avrebbe  svolto una funzione del genere, avrebbe dovuto ben  presto ricredersi amaramente. In realtà, il sentimento religioso dichiarato di quella che avrebbe voluto  costituire Vélite politico-intellettuale del fascismo si  configurava con precisione come cattolico. Lo dichiara, in una maniera che non potrebbe essere più  esplicita, lo stesso fratello del «Duce», Arnaldo  Mussolini, in un discorso tenuto alla Scuola. La nostra esistenza deve essere inquadrata in una  marcia solida che sente la collaborazione della  gente generosa e audace, che obbedisce al comando e tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni cosa  nostra, vicina o lontana, piccola o grande, contingente od eterna, nasce e finisce in Dio. E non parlo  qui del Dio generico che si chiama talvolta per  sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio  nostro Signore, creatore del cielo e della terra, e  del suo Figliolo che un giorno premierà nei regni  ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà, speriamo, i molti difetti legati alle vicende della nostra esistenza terrena.].    dei principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni del¬  lo Stato italiano» (SERVENTI, Dal potere temporale alla repubblica  conciliare. Volpe, Roma2).   Cfr. «11 Popolo d’Italia» del 1° dicembre 1931. Sulla «Scuola di  Mistica Fascista», si veda: D. MARCHESINI, La scuola dei gerarchi,  Feltrinelli, Milano. E il filosofo Armando Carlini, discutendo della  nuova mistica, ravvisava la nota più originale del fascismo proprio nel suo presupposto «religioso, anzi  cristiano, anzi cattolico; perché «il Dio di  Mussolini vuol essere quello definito dai due dogmi  fondamentali della nostra religione: il dogma  trinitario e quello cristologico. Quel programma che abbiamo detto minimo cercherà Evola più tardi in parte di compiere con  l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni collaboratori attorno al «Diorama filosofico», la pagina  speciale che, con uscita irregolare e alterna, quindicinale e mensile, cura all’interno del quotidiano cremonese di Farinacci, «11 Regime Fascista». La tematica della tradizione romana, esaminata nei suo simboli, nei suoi  miti, nella sua forza spirituale, ritorna qui frequentemente negli scritti dello stesso Evola, di Giovanni  Costa (già da noi incontrato), di Massimo Scaligero  e di diversi collaboratori stranieri, come Edmund  Dodsworth (appartenente alla famiglia reale britan¬  nica) e lo storico tedesco Franz Altheim. Analoghe  collaborazioni sono fornite dall’allora giovane An¬  gelo Brelich, in quell’epoca sconosciuto, ma destinato nel dopoguerra a ricoprire degnamente l’impor-    (40) A. CARLINI, Mistica fascista, in «Archivio di studi corporativi». Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del fascismo, Roma  tante cattedra, che fu del Pettazzoni, di Storia delle  Religioni nell’Università di Roma, e da Guido De  Giorgio, già collaboratore di «Ur» e di altre iniziative evoliane. Nel contesto della corrente da noi defi¬  nita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio occupa una posizione piuttosto anomala e tale che il  Reghini avrebbe visto con sospetto: egli infatti concepisce in Roma la sede eterna, geografica e storica,  ma soprattutto metafisica, in grado di unire in sé  stessa la religione pagana e il cristianesimo, tesi ela¬  borata soprattutto ne La tradizione romana. D’altra parte, è lo stesso  De Giorgio a ribadire con sorprendente sicurezza la  persistenza del culto di Vesta in un misterioso centro, nascosto e inaccessibile:   «Il fuoco di Vesta arde inaccessibilmente nel  Tempio nascosto ove nessuno sguardo profano sa-    [L’uscita alle stampe di questa edizione (presentata come Ed. Flamen, Milano) offre contorni alquanto misteriosi. In ogni caso, il  manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della nota  introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori  del «Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei fascicoli  omonimi [si veda poi]), da un antico componente del Gruppo di Ur, che  noi sappiamo corrispondere al «TAURULUS» , cioè Corallo  Reginelli, tuttora vivente.   L’uscita della Tradizione romana, in ogni modo, è stata 1 ’occasione  per una salutare riflessione sul tema da parte dell’ambiente tradizionalista nella prima metà degli anni Settanta, sia da parte cattolica (si veda¬  no il bollettino «Il rogo»,  e la successiva  rivista «Excalibur»), sia da parte propriamente «pagana» (si veda la nostra recensione dell’opera del De Giorgio, confortata da un parere di  Evola, in «Arthos» n. 8: essenziale come punto di ripresa del discorso  sulle origini della tradizione romana). prebbe penetrare e a lui deve l’Europa intera la sua  vita e il prolungamento della sua agonia. Da questo  fuoco occulto partono scintille che alimentano le  crisi e risollevano periodicamente l’esigenza del ritorno alla Romanità attraverso le varie vicende di  cui s’intesse la storia delle nazioni europee considerata geneticamente, internamente e non sul piano li¬  mitatissimo della contingenza dei fatti e degli  uomini. Queir immane conflitto, già previsto da Evola nel  1928, e che anche il De Giorgio giudicava del tutto  inefficace, «se non addirittura letale per lo spirito e  il nome di Roma» (44), avrà in effetti come risultato  più manifesto, per i fini dello studio che qui andiamo conducendo, di occultare del tutto le fila della  corrente di pensiero di cui siamo andati ripercorrendo la trama.   Solo verso la fine degli anni Sessanta è proprio la  ristampa dell’evoliano Imperialismo pagano (e la  scelta pare significativa), curata nel 1968 dal «Centro Studi Ordine Nuovo» di Messina, a tentare [ GIORGIO,  (vedi anche L’edizione, ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne  tolta subito dalla circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si  può considerare oggi una vera rarità bibliografica. di riannodare i termini di un antico discorso:   «L’angoscioso grido d’allarme rivolto dall’Autore  a Mussolini per metterlo in guardia contro il ventilato proposito della  cosiddetta “Conciliazione’)) si afferma nell’anonima introduzione — risuona oggi con inusitata attualità e fa si che Imperialismo pagano venga guardato come un oracolo.   Ed è proprio provenendo dalle fila di «Ordine  Nuovo», un’organizzazione che lo stesso Evola ha  tenuto in buona considerazione  — almeno fino  a che la sua ala borghese¬  modernista, condotta da Rauti, non confluì nel  MSI  — che comincia ad agire, tra la fine degli  anni Sessanta ed i primi anni Settanta, il «Gruppo  dei Dioscuri», con sede principale a Roma e diramazioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’interno del «Gruppo dei Dioscuri» venissero riprese  [EVOLA (si veda), Il cammino del cinabro: «L’unico  gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere in compromessi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo.  L’interesse dei «tradizionalisti romani» nei confronti di «Ordine  Nuovo» si esaurisce sin dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una  parte, la frazione rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui  ed estenuanti «giochi di potere» all’interno del partito e in declamazioni populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta «Nuova  Destra» proviene quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed  ambiguamente compromissorio), dall’altra, la frazione «movimentista»  ed extraparlamentare condotta da Clemente Oraziani ed altri si smarrì  nelle velleità inconcludenti e pericolose della «lotta di popolo», con  conseguente ed inevitabile suo annientamento da parte del Potere vero. tematiche e pratiche operative già in uso nel «Gruppo di Ur» ed è perlomeno probabile che lo stesso  Evola ne fosse al corrente.   Fatto sta che nei quattro «Fascicoli dei Dioscuri»,  usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma da una  parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il tra¬  dizionalismo dovrebbe far riferimento, ritornano  con grande evidenza.   Per l’anonimo autore del primo «Fascicolo dei  Dioscuri», intitolato Rivoluzione tradizionale e sovversione (Centro di Ordine Nuovo, Roma), il  più grande dei meriti di Evola è quello:   «di avere rammentato il destino di Roma quale  portatrice dell’Impero Sacro Universale e di avere  tratto da tale verità le necessarie conseguenze in  ordine alle idee-forza che devono essere mobilitate  per una vera rivoluzione tradizionale». Qualche anno dopo, al termine del terzo «Fascicolo» intitolato Impeto della vera cultura, il mito di Roma viene additato come l’unico che sia in grado di condur¬  re ad una superiore unità gli sforzi di tutti i tradizionalisti italiani:   «a tutti i tradizionalisti, anziché proporre uno dei  tanti miti soggetti a rapido e facile logoramento, si  può ricordare la presenza di una forza spirituale  perennemente viva e operante, quella stessa che il  mondo classico ed il medio-evo definirono l’AETERNITAS ROMAE»  Il gruppo dei dioscuri ha notevole importanza come cosciente riconnessione alle precedenti  esperienze sapienziali e come indicazione, per taluni  elementi particolarmente sensibili dell’area della de¬  stra radicale, di possibili indirizzi e sbocchi futuri  del «tradizionalismo romano», anche se la particolare via operativa scelta e, soprattutto, la mancata  qualificazione di taluni componenti, porterà ben  presto alla distruzione dall’interno del gruppo stesso, di cui non si sentirà più parlare già prima della  metà degli anni Settanta (ci viene detto che frange  disperse del gruppo continuerebbero a sussistere soprattutto a Napoli). È tuttavia da supporre che alcuni dei gruppi periferici, sia pure trasformati, ne abbiano continuato il retaggio se, ad esempio, a Messina, molto probabilmente nell’ambito di alcuni dei vecchi membri del «Gruppo dei Dioscuri»  viene elaborato un testo dottrinale ed operativo, a  circolazione interna, sotto forma di «lezioni» di un  maestro a un discepolo, piuttosto interessante. La  via romana degli dèi:   «Diremo anzitutto dell’essenza della tua religiosità, fornendo alla tua mente profonda gli argomenti per una serie di esercizi di meditazione affinché  con saldo cuore, tu possa prepararti all’assolvimento del rito» [ La via romana degli dèi. Istituto di Psicologia Superiore  Operativa, Messina  (ciclostilato ad uso interno),E certamente non priva di connessioni genetiche  col gruppo romano appare la sortita, improvvisa,  verso la fine degli anni Settanta, nella stessa Messi¬  na, del «Gruppo Arx», successivamente editore del  periodico «La Cittadella» e degli omonimi quaderni, in cui senza alcuna attenuazione i possibili itinerari di approccio alla «via romana degli dèi» sono  indicati attraverso la cosciente riappropriazione del-  Vanimus romano-italico, rivissuto nel rito stesso, e  nel rigetto, sostanziale e formale, di ogni adesione a  forme anche esteriori del culto cristiano.    Quanto segue è storia dei nostri giorni, dal mo¬  mento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta vi  è stata una nuova cosciente ripresa del moderno  «movimento tradizionalista romano», una cui rimanifestazione pubblica si estrinsicherà in una data  ed in un luogo alquanto significativi. Infatti nel  1981, il 1° marzo (data in cui iniziava l’anno sacro  romano), a Cortona (donde in epoca primordiale  Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso alla volta  della Troade) si tenne un importante Convegno di  studi sulla Tradizione italica e romana, che, a  [Gli Atti sono stati pubblicati nel numero speciale triplo di «Arthos» n. 22-24, daU’omonimo titolo, di pp. 192. Per una sintetica analisi  sulla diversa valenza del termine «italico» nei vari interventi, cfr. R.  DEL PONTE, Che cos’è la tradizione italical, in «Vie della Tradizione» parte l’emergenza di differenti prese di posizone dei  tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre  la questione — non puramente dottrinale o formale  — di una cosciente riconnessione aWaurea catena  Saturni della tradizione indigena da parte di chi, pur  in quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore,  intenda coscientemente riassumere il fardello delle  proprie radici etniche e spirituali. Successivamente  ad un nuovo Convegno a Messina, sul Sacro in Virgilio, la rielaborazione dottrinale e la ridefinizione concettuale dei valori  difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo  romano» (di cui è parte cospicua anche l’apparire  alle stampe di alcune collane di libri specifiche) si è spostata su un piano più interiore, ma la loro  presenza è destinata a riaffiorare a livello di influenza sottile e indiretta di gruppi o ambienti eticamente  sensibili di un’area superante i limiti stessi del mondo della «destra politica.   Il futuro dimostrerà se la funzione di questa minoranza (ben cosciente di esserlo) si limiterà ad una [Gli Atti sono stati pubblicati in buona parte nel numero speciale  di «Arthos» , daH’omonimo  titolo. [Ci limiteremo a ricordare la collana «1 Dioscuri» per le ECIG di  Genova, in cui figurano L’oltretomba dei pagani di C. Pascal, il mio  Dèi e miti italici. La religiosità arcaica dell ’Eliade di N. D’Anna e Arcana Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di «Studi Pagani» del  Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di antichi (Giuliano Augusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi, De Angelis,  Beghini, Evola ecc.). pura e semplice azione di testimonianza, sia pure  «scomoda» per molte cattive coscienze. Il «mito capacitante» di Roma, come l’antica fenice, è destinato a risorgere continuamente dalle sue ceneri, poiché  riposa nella mente feconda degli dèi archegeti di  questa terra.    Appendici documentarie Da: «Il Piccolo» di Roma: Il Fascio littorio a Mussolini»   Il giorno 19 scorso, presentata dall’esimia prof.a  Regina Terrazzi, fu dall’on. Mussolini ricevuta la  dott.a prof.a Cesarina Ribulsi, che offriva al Presi¬  dente del Consiglio come augurio per la data del  XXIV Maggio un fascio littorio da lei esattamente  ricostruito secondo le indicazioni storiche e iconografiche.   L’ascia di bronzo è proveniente da una tomba etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra col foro  per la legatura al manico: alcuni esemplari simili so¬  no conservati nel nostro Museo Kircheriano. Le dodici verghe di betulla, secondo la prescrizio¬  ne rituale, sono legate con stringhe di cuoio rosso  che formano al sommo un cappio per poter appen¬  dere il fascio, come nel bassorilievo per la scala del  Palazzo Capitolino dei Conservatori. Il fascio ricomposto con elementi antichissimi e  nuovissimi è stato offerto al Duce come simbolo della sua opera organica di ricostruzione dei valori del¬  la nostra stirpe allacciando le vetuste origini alle fome più vibranti dell’attività gagliarda e rinnovata  che prende le mosse.   La rudezza espressiva del Fascio è ingentilita dal  contrasto tra il verde della patina bronzea e il rosso del cuoio che ricorda la stessa armonica tonalità che  producono le colonne di porfido presso la porta di  bronzo àcWheroon di Romolo, figlio di Massenzio,  al Foro Romano.   L’offerta era accompagnata da una epigrafe latina  dedicatoria composta dall’offerente, la quale nell’Università Popolare fascista svolge una fervida  opera di propaganda di romanità viva.   Il Duce gradì l’augurio ed il voto accogliendoli  colla sua consueta serena nobiltà, non senza un segno della vivacità del sorridente suo spirito latino:  «Lei mi ha dato una lezione di storia» — osserva in  tono scherzoso. Singolari parole in bocca di chi dà  e darà non poco a fare agli storici futuri.   (La notizia è riportata in una rubrica dedicata a  «I solenni riti del XXIV Maggio, senza indicazione  di paternità).  Da: IGNIS, Rumori. Sacrae Romae origines, tragedia in cinque carmi. Editrice Libreria del Littorio,  Roma pag. non numerata, IV dopo il frontespizio: LETTERA DI ARDENGO SOFFICI A S.E.  MUSSOLINI   Mio caro Presidente, (...) permettimi ti dia, scritte  e sottoscritte anche da me, che ne resto garante, al¬  cune prove di pregi eccezionali della tragedia, che, in  fondo, in un vero poema epico delle origini, è l’esaltazione di oggi della nostra stirpe. Comincio da un  mio giudizio, già a te noto; Rumori è tragedia roma¬  na che può stare a paro col Giulio Cesare di Shakspeare (...) ti fo osservare che il titolo di Poeta di Roma, dato da Jean Carrère ad ignis, si è dato solo a  Virgilio e ad Orazio: Augusto, vive, oggi, tra noi tutti in ispirito, più per questi due poeti, da lui protetti,  che per la sua politica imperiale.   E tu vedi come Rumori sia stato giudicato, prima  ancora che esistessero l’idea e la forza fascista, tragedia degna di Roma quando competenti — dai  nostri a Carrère, ed a me che sono l’ultimo al giudizio — corrono all’iperbolico per lodare Rumori di ignis bisogna concludere che ci si trova da¬  vanti ad un’opera d’arte somma, e per fortuna nostra, d’arte italiana — opera che è, anche per se stessa, di alto significato politico, e di spirito fascista  (...) Mi rileggo, e mi credo, caro Presidente ed amico  carissimo, di averti scritto una lettera storica. Fai  che non sia stata scritta invano, ma invece il tuo no¬  me vada unito a quello della tragedia Rumori, al  poema di Roma e degno di Roma: e di questo lega¬  me in avvenire, spero che tu possa essere un po’ gra¬  to al tuo affezionato amico e devoto   ARDENGO SOFFICI   pag. successiva non numerata:   IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI  Caro Soffici,   bisogna assolutamente far marciare Rumori. Il Governo appoggia fervidissimamente l’iniziativa  perché essa rientra nel grande quadro della rinascita  nazionale.   Saluti fascisti e cordialissimi.   f.to MUSSOLINI   Roma, AUGURE Manifesto è dunque: amor — essere — ROMA.  Se tutte move, ed incende, le create cose...  legge si è — Amor — dell’universo vita...  così, un tanto Nome, a noi predice: dono di regno e potestà sovra ogni terra,  e dello spirito, e d’imperio.   Confirmato si è, per te, prodigioso il vaticinio. Non pronunciati mai più sien i Nomi occulti...  su la Città terribili chiamerebbero fortune...   Li trasmettano, oralmente, i Pontefici ai Pontefici.  Né mai più, tu, l’eccelso pronuncia Nome palese,  se concluso non avrai, prima, il solco sacro. Permesso e commesso mi è: Nunziare, allora,  in gran letizia, al Popolo... quel Nome  che licito non più mi è dire   quando, già per tre volte, qui, in tre diversi suoni,  de la gran Madre nostra il Nome risonò.   {Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per numerare i significati del nome).   Di significati cinque:   È... ’l Nome palese, latore, con l’occulto: Chiama la Città: Valentia... Ròbure... Virtù!  e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice!   Vostra — nei nomi vostri — oh Re! suoi fondatori...  Come del grande Rumon: URBE: la Città del  Fiume!   {Pausa)   Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare,  in così breve Verbo, sì pieni... tanti arcani.   Mirifici! donando Nomi nove:   in quattro occulti ed un — Medio — palese,   e quando, nove, siamo al Rito. Ili Da: COSTA, Apologia del paganesimo, Formìggini. Il pagano è, per definizione, buono. Né un greco,  né un romano avrebbero concepito che l’uomo potesse esser qualcosa di diverso da ciò, che in lui litigassero per così dire due nature, che la manifestazione esterna fosse diversa dall’interna, che né nella vita individuale, né in quella sociale vi fossero mezzi  termini, transazioni, compromessi. Esso è quello  che naturalmente è, cioè buono, come ideale supre¬  mo della vita, come dovere, come necessaria fatalità  insita nelle cose umane. Egli vive quindi la vita interamente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo,  con un pragmatismo sano e forte che non ammette  ipocrisie, doppiezze, scuse.   Solamente all’uomo cosiddetto moderno è stato  concesso, per virtù di dottrine religiose e culturali  che si sono formate a lui d’intorno, una distinzione  ed una separazione del suo essere intimo, spirituale,  psicologico, dal suo essere apparente, esteriore, materiale. All’antico quando di questa scissione apparve per un momento la possibilità, egli ne cacciò da  sé l’idea, ne biasimò perfino la concezione.   La concezione pagana della vita ha fatto perciò  l’uomo tutto d’un pezzo, ne ha affermato il carattere, ne ha provocato 1 ’azione. Ecco perché la vita nel  paganesimo ha avuto tutto il suo massimo sviluppo  ed è stata accettata non come un male, ma come un bene che bisognava con interezza di carattere vivere  interamente e sanamente per sé e per gli altri :   Per stabilire l’equilibrio l’uomo deve tornare al  paganesimo poiché il cristianesimo si è mostrato divina opera cui le sue spalle non sanno sottostare.   Ma paganesimo è sincerità e l’uomo deve ritornare ad essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto per  due millenni il suo desiderio di seguire il messaggio  cristiano e la sua manifesta impotenza di non saper¬  lo fare, deve risolversi in armonia se egli vuol sanare  in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la carne debbono  avere il medesimo valore ed il loro prevalere non può  essere determinato che da circostanze speciali di individuo, di momento e di luogo che l’uomo può intravvedere, non deve violare con convinta testardaggine. L’equilibrio di queste forze, l’esteriore e l’interiore, quindi, deve essere nella dottrina, come nella  vita, assoluto. Da: Im via romana degli dèi, ciclostilato anonimo,  Messina:   L'immagine di un dio è lo stemma della Forza che  essa rappresenta. A tutti i fini pratici tali immagini  sono personae, perché qualsiasi cosa possano essere  nella realtà esse sono state personalizzate e forme di  pensiero sono state proiettate su un altro piano. Alcune di queste immagini e le loro attribuzioni  sono così antiche e sono state costruite con tanta  ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di rico¬  struirsi da se stesse, durante l’eventuale lavoro di  meditazione, che l’allievo può fare su una divinità.  Resta un minimo «invito», un minimo stimolo, perché il meccanismo scatti e l’immagine si ricompon¬  ga, sia pure su un piano semplicemente psichico.  Così, della limatura di ferro, dispersa su un piano,  si raccoglie intorno ad un magnete che venga posto  in mezzo. Se il magnete è forte esso attirerà i granelli  anche se essi sono pochi e molto distanti. AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO  (imda «Ygieia», Reghini  Piscio littorio a Mussolini n florno If »cor*o. pr^eniaU dalla tsl-  bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa.  aOltnl rlotwta la doti.» pmf.» Osarina RI-  baiai cba offriva al Proatdanta dr’. Conti¬  guo romo aufurln la data de) Mabfio «n falcio littorio da lei eaattamcDte  licoatndto lecoudo la lodicaslonl atorictie  e leooograflclia.   l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa  tomba etmaca hlmtneoarta ed ba la forma  aorra eoi foro per la Vantura hi manico:  alcool eaamplan slmili sono coosenrat: :.«!  nostro Ma.*«o Klrcberiamo. é   La dodict verace di l>ctulla. ascondo la  prescrizione rit'iale. sono legala con tirisele cuoio rosso cba formano al tonimo  ua cappio per poter appendere fi fascio,  conta nel ba.MorUiero per la acala del Pa  lazzo Capitolino dd Conaenalori.   Il fascio ricomposto con elementi antl-  fhlHilmt a nuoTltaUnl k stato offerto al  Dora come simbolo della saa opera onrantea di rieoatruztona del valori della no-  Mra attrpa ,,,allacciando le veia«ie origini  alla fonn più vibranti dell'attività ga-  giarda a rinnovata cha prendo la mosse  Là rudezza espressiva dal Fascio è ingantlHta dal contrasto tra (I verde della  patind bronsea e U rosso del molo che ri¬  corda la stes.aa armonica tonalità che pm-  doeono le colonne di porfido presso la porta di bronzo deD'brroon di Itomdlo, figlio  41 Massenzio al foro romano. L'oflerla efa accompagnata da ani epl-  graia latina dedicatoria composta dall'orfarente. la quale nell'UntvcnUtà Popolare  faartsta avolga una fervida opera di pro-  pafgada di romani Ih viva.   n Duca gradi raugorto a fi voto acro-  Mlaodoll colla sua consueta serena nobiltà.  2«m senza tm segno della vivacità del sor>  ridaots ano spirito latino: Let mi ba dato  nna testone di storiaosservò In tono  aehanoao. Btngolart parole In bocca di r.hl  db a darà non poca a fare agli storici fu-  tnrl    Riproduzione da «11 Piccolo. Grice: “Like Reghini, of the movimento tradizionalista romano, Enriques was, for different reasons, all into Pythagoras’s ‘arimmetica’!” -- Federigo Enriques. Enriques. Keywords: implicature arimmetica, unity of science, history of logic, foundations of mathematics, the synthetic a priori. Grice e Enriques su Peirce, l’arimmetica pitagorica, Reghini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enriques” – The Swimming-Pool Library. Enriques.

 

Grice ed Enzo: la ragione conversazionale e l’uomo – scuola di Burano – filosofia veneziana – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Burano). Filosofo buranese. Filosofo Veneziano. Filosofo Veneto. Burano, Venezia, Veneto.  Grice: “I like Enzo; for one, his “Ubi es?” is a classic – only in Italy they take the Bible so seriously – “Ubi es” can be interpreted literally – sans implicature. And that’s what Enzo does.”. Figlio di Alessandro, vetraio a Murano, un mestiere estremamente usurante, morirà appena cinquantenne. Uomo concreto e critico nella sua essenziale bontà.  La madre, Flaminia Vio, è una bravissima maestra merlettaia. Da lei apprende il rigore e lo spirito di rispetto verso l'istituzione. È lei, una cattolica laica, che vive al servizio della Chiesa, ad accompagnarlo  dalle suore perché serva come chierichetto alla prima Messa. È lei che accoglie la proposta del parroco di mandarelo in seminario a Venezia per permettergli di continuare gli studi, ma preferisce ritardarne l'entrata e chiede alla nipote di ospitare a Venezia il cugino che posse così frequentare i primi anni come esterno. Negli anni di studio ginnasiale,  si imbatte per la seconda volta nella lettura della Bibbia. Il primo contatto era stato quando, aveva deciso di leggere ai fratelli, nella traduzione di Martini, una vecchia Bibbia trovata in casa, per accompagnarli al sonno. Il contatto è più corposo e sistematico, ma come la lettura lo entusiasma e nello stesso tempo lo delude, intuisce infatti la mancanza di adeguate conoscenze e strumenti concettuali per poter penetrare pienamente il messaggio biblico. Ha la stessa reazione anche quando, finito il liceo, sceglie gli studi, dove la lettura della Bibbia è seria e critica, ma rimane, per importanza, sempre la seconda o la terza materia dopo la dogmatica e la morale. Viene mandato a fare cura pastorale come vicario cooperatore a Caorle, dove accoglie 350 alluvionati del Polesine. Qui, meta preferita di turisti tedeschi, studia da auto-didatta la lingua tedesca per meglio servire la Chiesa. Viene trasferito con lo stesso incarico nella vicina frazioncina di Ca' Cotoni per divergenze con il parroco di Caorle e nella popolare parrocchia di S. Giuseppe di Castello a Venezia. Aveva conosciuto questa comunità quando vi era stato per una stazione quaresimale con il patriarca Piazza e l'accoglienza ostile degli operai verso una personalità vista come filo0fascista aveva reso necessaria la scorta della polizia. A S. Giuseppe di Castello compera un appartamento, indebitandosi, per fare patronato con doposcuola tutti i pomeriggi sino alle 20, e a sera gli incontri con i ragazzi più grandi. Insegna al Lido e poi nella vicina "P.F.Calvi", organizzando anche uno spettacolo per un concorso al teatro "Goldoni". Il vicario generale Gottardi, dopo essersi consultato con monsignore Capovilla, segretario del cardinale Roncalli, gli comunica che andrà a studiare a Roma. Gottardi era stato suo insegnante di teologia e scienze bibliche in seminario e aveva conosciuto il suo profondo interesse per gli studi biblici, ne aveva poi apprezzato il saggio, “La 'Giustificazione' nella Lettera ai Romani” in cui analizza le varie interpretazioni bibliche in maniera dia-cronica risalendo sino alle tradizioni patristiche. Le due omelie di Carlo a S. Giuseppe di Castello ascoltate dallo stesso vicario generale avevano poi confermato quella scelta.  A Roma è ospite presso il Pontificio Collegio Nepomuceno in via Concordia ed è lì che lo viene a prelevare Capovilla per una visita guidata alla città, alla vigilia del Conclave da cui uscirà papa Roncalli. A fargli da cicerone è proprio il futuro papa Giovanni XXIII e le bellezze della città illustrate da una guida tanto preziosa assieme al paterno congedo di Capovilla costituiranno il ricordo più bello della sua vita. Consegue la Licenza con una tesi su "I Carismi" e contemporaneamente i corsi in scienze bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico, dove perfeziona lo studio dell'ebraico già iniziato in seminario, ma soprattutto ha l'incontro, decisivo per i suoi studi, con il grande biblista Schoekel. Segue i corsi del quinto anno che gli avrebbero permesso di redigere il saggio su "Grazia e benevolenza" per la laurea, tesi che non può però portare a termine perché torna a Venezia, chiamato da Urbani a svolgere la funzione di vicerettore del Seminario Patriarcale, nel burrascoso periodo tra il rettorato di Vecchi e Villa. Da vicerettore del seminario insegna anche scienze bibliche, diviene in seguito pro-rettore, sino a quando chiede di essere sollevato dall'incarico per poter assistere la madre paralizzata ed è quindi ascritto alla parrocchia di S. Zaccaria, dove abiterà con la madre. Qui si fa promotore dell'allestimento e della conduzione di un teatro, dell'organizzazione del cinema per ragazzi, del cineforum, dell'istituzione della biblioteca, mentre cura anche l'esecuzione di opere di risanamento e ristrutturazione di tutti gli ambienti frequentati dai ragazzi. Continua ad insegnare in seminario, e dal rettore viene mandato nel Benedektiner Kloster di Metten a Degendorf (Germania) per preparare alla maturità i seminaristi che studiano la lingua italiana. Compensa l'esiguo stipendio con l'insegnamento nella scuola pubblica, come il liceo classico "M. Polo", dove matura la sua sottoscrizione delle tesi del "Manifesto". Viene nominato patriarca di Venezia Luciani e pochi giorni dopo il suo insediamento emerge il suo diverso sentire con Enzo, che, nella mensile lezione culturale al clero, trattando il tema della "Consumatio saeculi" o secolarizzazione nella Bibbia, provoca una dura reazione del presule. Dà le dimissioni dall'insegnamento in seminario, dapprima ritirate,  perché lui, che da tempo nella santa messa pratica l'omelia dialogata, non si sente in consonanza con le direttive indicategli. Sino a questo momento i patriarchi veneziani che avevano conosciuto Carlo, Piazza, Agostini, Roncalli ed Urbani, gli avevano dimostrato la loro stima. Proprio Urbani aveva chiesto ad Enzo un commentario al Vangelo di Marco. Sin dagli inizi, accompagna la vita sacerdotale di Carlo una costante e intensa cura pastorale, rivolta sia ai ragazzi che agli adulti, e non solo nelle sue sedi parrocchiali. Più che trentennale è a questo proposito la collaborazione che gli chiede Marangoni nella parrocchia di Marghera, nel quartiere Cita, nei difficili anni Settanta e, dagli anni Ottanta, a San Giacomo dell'Orio a Venezia, a testimoniare la stima e l'affetto maturati dagli anni del seminario. Si laurea a Venezia con “Alle origini dell'utopia messianica. Insegna a Venezia, Oriago, Mestre e Giudecca. Va in pensione dall'insegnamento.  Tiene a Venezia dei cicli di seminari di esegesi biblica nell'ambito dei corsi tenuti dal prof. Arnaldo Petterlini, da Madera, e allo IUAV di Venezia seminari di antropologia biblica ed esegesi invitato da Rizzi. Sudia filosofia scolastica, propedeutica alla teologia. Nel manuale di Calcagno, "Elementa philosophiae scolasticae" trova il capitolo dedicato alla filosofia immanentistica, che considera Dio la natura o non considera affatto Dio e considera solo la natura. Lo colpisce Spinoza per la sua vita nascosta, dimessa, umile, scriveva infatti solo per gli amici. Ne legge l"Ethica more geometrico", commentata da G. Gentile, più facile a reperire perché considerata meno sospetta del "Tractatus theologicus politicus" che studia in seguito, dedicando particolare attenzione al capitolo "De interpretatione". Spinoza afferma che la Bibbia va letta e interpretata con la Bibbia, era quanto Enzo aveva intuito sin da ragazzo, ma aveva abbandonato quella strada in seminario dove si praticava il metodo storico-critico. A Roma, il Nuovo Testamento viene studiato ed interpretato secondo il metodo della storia delle forme che applica al testo biblico le regole dello scrivere greco-latino, mentre per il Vecchio Testamento si segue la teoria dei generi letterari. Incontra Schoekel, insegnante di teologia, esegesi ed ermeneutica biblica, che ha un'attenzione speciale alle particolarità stilistiche e semantiche del lessico biblico che schiudono un nuovo orizzonte metodologico e tematico. Considera fondamentale per la comprensione dell'intera Bibbia lo studio dei primi tre capitoli di Genesi e incoraggia Enzo, verso cui dimostra profonda stima e un'amicizia che durerà sino alla propria scomparsa, ad affinarne l'esegesi e a continuare il suo lavoro. Torna a Venezia con l'intenzione di mettere a frutto quanto appreso applicando le indicazioni metodologiche spinoziane. Gli studi su Genesi 1-3 vengono pubblicati in "Biblica". La interpretazione di Genesi è alla base di diversi testi, dalla tesi di laurea, all'articolo su Servitium, al testo "Adamo dove sei?" In parallelo decide di approfondire la connessione tra i testi di Genesi e il vangelo di Matteo e scrive diversi appunti che continuamente rivede nel corso degli anni. Da questi nasce il progetto "La generazione di Gesù Cristo nel vangelo di Matteo". Altre opere: “Testo e interpretazione in Weber e Bultmann, Unicopli, Milano); Alle origini dell'utopia messianica, Antenore, Padova); Sulla nascita della filosofia medievale, Venezia 1984 Sitz im Leben e interpretazione, Venezi); “Individuo e comunità, nella riflessione biblica delle scritture antiche Servitium: Quaderni di ricerca spirituale, Adamo dove sei?, il Saggiatore, Milano); La terza delle dieci parole di “Esodo” 20 nell’interpretazione di Gesù in Le parole dell'essere: per Emanuele Severino Petterlini A., Brianese G. e Goggi G., Pearson Italia S.p.a Il Progetto di Mondo e di Uomo delle Generazioni di Israele (Genesi 1-4), Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. I. Gli Inizi, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. II. La Legge, Mimesis, Milano, Le prime dieci parole di YHWH a Israele in Panta, Decalogo, Donà M. e Toffolo R., Bompiani,  La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. III. La Regola dell'Apostolo, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. IV. Il Regno dei Cieli, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. V. La Ecclesia di Gesù Cristo, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. VII. La consegna del figlio dell'Adamo, Mimesis, Milano, Genere adamico. Riflessioni sui testi fondativi della tradizione spirituale occidentale che si trovano nei primi quattro capitoli di Genesi, Servitium: Quaderni di ricerca spirituale,  Interventi alla radio Giuda: consegnare e tradire: Marco 14,43-52 con Ludwig Monti, 3 marzo  Sulla barca le parole del regno Matteo 13, con Romano Madera, Le parole del regno Matteo 13; Due lezioni bibliche: Il “mondo” del nostro Dio, Rovato e L’ “uomo” del nostro Dio, Rovato,  Lo Spirito di Cristo nel progetto messianico, comunità della parrocchia di S. Giacomo, Venezia La rivelazione secondo la Bibbia, Università degli studi di Venezia, Dipartimento di filosofia e Teoria della scienza, Seminario sul “Der Mann Moses und die monotheistische religion”, Incontro tra Carlo Enzo e Romano Madera, 13 marzo, IUAV (Venezia) ‘ôLaM, il progetto consegnato, Le decadi, dieci incontri con pensatori eccellenti sul tema “Le potenze invisibili”, IUAV (Venezia) Scritti su Carlo Enzo e testimonianze Tagliapietra A. La Bibbia, libro sempre “aperto”, Gazzettino Tattara G. e altri Per una rilettura del vangelo di Matteo, Mosaico di pace (on line),  Madera R. Date al cielo quello che è del cielo, L’Unità, Gnoli A. Rileggere la Bibbia, La Repubblica Della Pergola F. Parola di biblista,  Della Pergola F. La Bibbia svelata,  e in Left, Lamonaca L. Su una nuova lettura della Genesi, Patrignani C. Laicità: il biblista Carlo Enzo batte i marxisti ratzingheriani,  MorettoUn mondo possibile, Della Pergola F. Il problema dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica, Della Pergola F. Il Dio del nulla Tattara G. e altri Gesù e le donne nel vangelo di Matteo,  Della Pergola F. La lunga battaglia contro la Bibbia e in Left, 1 aprile  Video Da Burano a Roma, parte I, dal progetto Memoro. La Banca della Memoria La prima visita di Roma, parte II, dal progetto Memoro. La Banca della Memoria Dal Biblico a Baruch Spinoza, parte III, dal progetto Memoro. La Banca della Memoria Gesù Maestro ed Elohîm dell'Ecclesìa, parte IV, dal progetto Memoro. La Banca della Memoria Vai, vai per te, parte V, dal progetto Memoro. La Banca della Memoria Dalla Bibbia Ebraica alla generazione di Gesù Cristo. Un'intervista di Romano Màdera La Bibbia non dice quello che ci hanno fatto credere. Un’intervista a Carlo Enzo  Date al cielo quello che è del cielo di Romano Madera, in L'Unità, Rileggere la Bibbia di Antonio Gnoli, in La Repubblica. DISCORSO DELLA RELIGIONE ANTICA DE ROMANI,   ’fcSbr  lnjìeme <rrn altro Difcorfo della CaUrametatione , f£)  difciplma militare, % agni, & efferati] an-  tichi di detti Xomani,  Comporti in Franzefc dal S.Gugliclmo Choul,GcntiJhuomo  Li onde, & Bagty delle Montagne del Dclfinato, 'otti in Toscano da M. Gabriel Simeoni Fiorentino.   di Medaglie & Figure , tirare de i marmi amichi,  quali fi trouano à Roma , & nella Francia. IN LIONE, APPRESSO ROVILLIO. Armoiries dudiB S.(juiUdume du Choul. hi'*  BEATVS.  J  m  I  r I r  Hi.  alla christianissim a et   ScreniiTìma Rcinadi Francia, Macia ma Cateri-  na de Medici, Guglielmo Rouillio humiliflìmo fcruitore, (aIutc & con^ 'c'N   tentezza Tempi- '%  terna. i ^4. purità & dolcetta della lingua Tofcana pare che fia di prefenre ( Chnfiianifima Reina) falira in tanto pregio, che doppo la (^re-  ca (èj? la Latina  fi Toscani medesimi Jludian dolaci ingegnano ogni giorno di renderla più bella y i letterati firanieriì ammirano, (gj ( come hanno fatta  t*Ariofio,il "Bembo, fèd il Sennaz&aro') ne iloro ferini cercano di imitarla, & in fomma, non fi troua natione à cui non  piaccia cjuafi ogni opera compofiapiù tofio in toscano, che in altra inguada ejuale cofa conofco io tffere ogni dt più yera  nel fare Jìampare {gfi mandare fuora i miei libri ,nafcendo ( co-  me io credo) <juefio,che poche altre lingue fi pronunziano (tfi  fcriuono di \na medefima maniera, come fanno la Latina & In  Toscana, le quali oltre di ciò hanno Vna certa conformità inferno per la vicinità delle ‘Provincie, che nelfignificato, nel fittone , Qf nell'accento fi poffono meritamente nominare f or elle.  Jtla fi come ogniTofianofe non ben letterato, non può ne parlare, ne fcriuere bene, cofi e gran felicità disdire le parole, (gfi  leggetegli ferirti di colui che Tofcano (gr letterato fi ritrova.  Traitjuah ha vendo io fempre dito per tale filmare Jrfejftre (jabncl Symeoni da gli h ut miniì tram ente dotti, oltre à quelli   ' &  I   ig*  10 che io medefimo ne ho cognosiuto, (gl egli da fe (leffo ha di'  mojlro in più opere fue fampate in Francia & in Italia, mi  fon mojfo à gregario di tradurre in toscano il libro della Religione antica de Romani, prima composo in Frange fe dal S.  (julielmo Choul,2?agly delle montagne del T> elfinato, la quale fatica volentieri egli ha fui ito profanarne anchoragia fece dellaltromio libro della Caframetatione de romani, pur e comporlo dal medesimo autore. Là onde, considerando futilità grande che di tal libro fi può cauare, egl masime havendolo fiampato nella più bella forma che io ho saputo imaginare, ho pre/i  ardire di dedicarlo à ZJ.Jrf- parendomi [fe fi debbo hauer ri-  guardo che il prefente habbia qualche proportione con la perdona a cui fi prefenta) non poter più degnamente quello mio  conuenire ad altri che a ZJ.M. come lettura non meno nobile,  che V rile alla Republica, potendo percofi fatti mezzi cono fiere, che la grandezza & profferita dell’imperio romano non nacque ctaltroue, che dalla virtù deltarmi proprie, dallagiufitia, (gl dal culto frequente (anchora chefaljo, altrettanto che   11 noffro ordinato dalla chiesa catholica, e falutifero (gl vero }  della Religione dei loro falfi Z>q,i quali o come creature (deificando gli fiocchi i loro co fi buoni come cartiui lmper adori} o come inanimati numi [adorando & temendole felle, i Fianeti, la forte, (gir gl'accidenti h umani} fe bene non haueuono  poffanza d aiutarli, nondimeno fi vede che fomnipotenre &>  Vero 2 )io, hauendo più riguardo alla /implicita & buono animo  loro t ch e alla loro cieca credenza ,tion anchora illuminata dal  Vero Mefiia gli fauoriua fempre (gl aiuraua, non altrimenti  che io lo priego al prefente che al Re, à U.JM.(gl à tutta la  fua regia & bella prole doni fanitàconrinoua, allegrezza fini#  fineffl longa vita. Di Lione el dì }0.dùdgofio,itf8.   Difcor, 'S:5Stata comune opcnionc d’alcuni hiftori  ci antichi che lano, primo Re de Latini,  forte el primo che caificaflc tempio a Dio. Alcuni altri hanno voluto che quello faccflìno in Candia Foraneo & Dionigi,&  che di qui tutte le republichc, i Principi, & gl’imperatori di buona voluntà, fegunarterodi poi à fare templi magnifìchi, ornatifsimi & ricchi: tra cuttii quali i Romani principalmente oflcruorno fopta ognicofa le cerimo-  nie, & culto della Religione, mettendo ogni loro sforfo nel fare chiefc grandi & merauigliofc, come anchora  hoggi fi vede per quella piùintcra & più bclla, chc in Ra  marecc fare M. Agrippa, genero d’Ortauiano Imp.da;  luy chiamata Panteone, & da noi fi oggi la Ritonda rispetto alla fua forma.. Quello tepio di fuoraecompo-  no di mattoni, & dentro folcua eflcre ornato di marmi  di diuerfi colori, con certe cappcflettc,in ogniuna delle  quali era porta laftatua et vno Diodi quel tempo: ma  fopra tutte vi era venerata quella di Mtncrua*fatrada-  uorio per lemanidcl celcbratiflìmo fcultorc FidiaGrc-  co:5 e dart'altrapartc quella di Venerei gl orecchi della   A 3 Imo prima  inuentore  it templi  Tempio dt  M.Agrip-  JW.P tfó t Udititi dtUa  Perla di Cleopatra. Torma er ricchezza del Panteone dedicato i  Gioite. Sacrilegio  di Costantino impera.  quale pendeua la Pcrla, chc auanzò à Cleopatra Rana  d’Egitto , la quale Augufto haucua per quello effetto  fatta diuiderc in due parti, non hauendo potuto trouar-  nein tutto il mondo vn’altra che la fomigliaflc.Concio  Ila che la compagna di quella mangiata da Cleopatra  nel conuitodi Marcantonio pefaflc mezza oncia, che  fono l x x x. carati, & folfc (limata cento fcllerti j , di lc-  flertij che al modo nollro varrebbono cc. cinquanta  mila feudi. Di quella Perla Icriuendo Plinio ncll’v ni.  libro dcH’Hilloria naturale, dice che ella era di co lì ma-  rauigliofa grandezza Se bellezza, che la Natura non ha-  ucua mai fatto opera ne più perfetta ne più pretiofa.  Ma tornando al proposto del nollro tempio , dico che  egli ha le porte di bronzo di fmifurata groflezza & altczza,con colonne innanzi nel medelìmo modo fmifu-  ratcrte quali nel principio lolcuono ellèrc x v i. ma  hoggi à x n i. fono ridottc, conciolìa che due ne fumo  guade dal fuoco , & la terza non fi fa ciò che ne lìa fe-  guito. Le traui , architraui & cornici di querto mirabile  tempio erano ùmilmente di bronzo dorato, & finalmcn  te fu la fua principale dedicatone à Giowc Vincitore, ò  Vendicatore, quantunque Dione fcriua che Agrippa lo  facerte fare in honorc d’Augudo. Collantino terzo dipoi, Imperatore & nipote d’Hcraclio,Ieuò la copertu-  radi qucdotcmpio,la quale era di piadrc d’argento , &  interne con molte rtaruedi marmo & di bronzo, che  feruiuonodi bellezza & d’ornamento àRoma, le fece  metrere lòpra mare pcnlàndo diportarle in Codanti-  nopoli,il q naie facrilegio non volendo lafciare impuni-  to Iddio, fece che in Siracufa , Città di Sicilia , lì morì   Codand  Coftantino,& tante cofefìngulari Se rare fumo rapite  dall'armata dei barbari corfali,& portatelo Egitto. Coi!  fece quello Iceleratifhmo-tyrano più danno invi r. gior-  nichcegli (lette in Roma, che in c c.anni non haucuor-  no fatto i Corti & tante altre barbare narioni. L’architettura di quello tempio (per quello che io ne hò potuto  conofccre)è fopra tutte l'altre bene intefa & mirabile , lì  come anchora li può vedere inRoma,& vedranno qui  quelli,che non vi fono (lati, per la medaglia di detto  Agrippa^riprcfcntata qui difottoal naturale.  MARCO AGRIPPA. BRONZO. Vn’altro firmici quello tempio fece già fare (pacan-  do per Atene) HadrianoImpcratote,il quale dedicò li-  milmcnteà tutti gli Dij,.&lo cinfc di c x x. colonne di  marmo Frigiano, conporrichi&loggieintorno per pai-  feggiare al coperto, limili àichioftri delle nollre chiefe. Fece oltre à quello nel detto tempio vnn libreria, Se dal fuonomcvngynnafio ornato di cento colonnedi mar- T empio d‘- H adnano.  Librrrié   d'HadrU- no. HMSfri.v, 8 raufanU. mo che egli haucua,comc fcriuc negl’ Attici Paufiinia?  fatte condurre di Libia: foggiugncndo il detto Autore  che il nome d’Hadriano fi trouaua per infino nel tem-  pio comune à tuttegli Dijila quale verità apparile an-  chora per le medaglie Greche, quiui battute per memo-  ria di cofi nobile edificio:& nelle quali fi vede il*? «fcp.,,  chcè il portale della chicfii, con altre letrerc Greche,  che diconoKoiNON&moTNiAs, cioè tempio com-  muneà ruttigli Dij. ADRIANO GRECO.   BRONZO. BRONZO. Ma.lafciando (lare i templi dedicati à tutti quelli fal-  fi Dij & Demonij , pieni di fuperftitioni & di bugie,  venghiamo (blamente à confiderarc la grandezza &  Tempio di ma g n ificcnza di quello di Salomone, il quale di ricchcz  Sélmonc. ^ ^bellezza ha pafiito tutti gl’altri ,conciofia chcncl-  l’ Arca douc erano ferrate le leggi & comandamenti di Dio, fi vedeuono infinite pietre pretiofedi grandifiìmo   pregio,  pregio, & l’Arca medefima era coperta di grolle piaftre  tutte d’oro.Quiui fimilmcnte era vna tauola tutta doro malficcio con innumcrabili vali d’oro & d’argento, di stlomo -  calici , ampolle, & altre cofe, che leruiuono nell’ammi- Bf '  niftrationc & cerimonie de i facrificij. Vncandellicre   S andiflimo d’oro, del quale vlciuonotre rami da ogni  to con altrettante lucerne, figurate per i fette pianeti,  tra le quali quella del mezzo4'o ftcnuta dal tronco , era  più grande à mifura che il Sole e più bello di tutte l’al-  tre ltelle. Et tutte quelle cofe furono portatcfdoppo la Tempio del  prefa di Giudea) innanzi ài trionfo di Velpafiano & di  Titofuo figliuolo, &pofte nel tempio della PaceàRo-  ma, &di poi {colpite nell’Arco trionfale di marmo, edi-  ficato in honoredi Tito Vepafiano dal Senato Roma-  no, il quale Arco con molti facrificij fi vede anchora  quafi tutto intero. Quello tempio di Pace, del quale tra l’altrccofe piu  IT eccellenti della Città di Roma Plinio ha fatto mentione   Minio. nc lxxxvi.librodeirHi(lorianaturalc,abbruciò nel tc- H aodUno. podi Commodo Imp.Sicomc fcriue Herodiano,fog-  giugnendo ch’eglicrafopra ogn’altro ricchiflìmo &or-  natiflìmo di (lame & altre cofc belle coli dentro >comc  fuora,ficomc anchora fi puoconofccrc per le meda-  glie de due fopradetti padre & figliuolo Imperatori. VESTTqvTZd R ITR u TT^i Z>  f xArco Triomplfdle di Tito  in Ronu. i  BRONZO. BRONZO Della bontà & valore di quelli d uc Principi , che rir  duflero(comecdetto)turtala Giudea fotro l’obedicnza  de Romani, & della miferabile prefa &diftruttioncdcl  tcjnpio di Salomone, ha Icritto affai à pieno Iofcpho nel  fuo libro, che tratta della guerra de i Giudei.   VESPA SIA NO. "C TITO.  ARGENTO BRONZO. Il VESPASIANO. TITO bronzo. argento. VESPASIANO. BRONZO. ARGENTO. AMA  i}   Jtt *A T l ST *A Z^nTTTZa,  quale è nelle mani Je fautore. gradiftìmo piacere Vefpafiano fopradetto neir p ^ f  edificare & ornare quello tempio di Pace, di tutte le piu J tUaltm »  belIecole,ch’ei potette haucrc,come quello, che doppo ve-  la prefadi Giudca,haucua mcfl'o in pace tutto il mondo:  il che moftrano anchora le Medaglie battute al Tuo tem  po cofidi bronzo,comed'oro,tralcqualifcne trouano  alcune colfimulacrodclla pace, accompagnato da lette-  re che dicono,PACi orbis ter rar vm. & in alcune  altre fi vede la Pace con vn torchio accclo in mano, che  abbrucia & diftrugge vn fafeio d’archi, di frcccic, di cela  tc,di fcudi,& di corazze con altri inftrumenti della guer-  ra^ nell'altra mano ha vn ramo d’vliuo & lettere che  moftrano la pace d’Augufto, con quelle parole, pax ptee.  avgvsti.  VES.VÌfSPÀS I A NO. DOMINANO.   BRONZO. BRONZO. E li come Vefpalìano ha di fopra figurata la pace eoa  Lvliuo &col Caduceo di Mercurio, coli Tito la difegnà  poi con vn ramo di Palma. Pace nutrì- Quelle fono tutte le figure antiche della pace, tanto  cc detta feti dcfidcratadaogniuno,comequelIa cheè nutrice della  ctu pubti- p U bIi caV tilita,&con lafclicitàdellaquale fi conferma il  mondo.La pace è quella, per la quale la Natura Huma-  na va crefcendojlc richezzc fimilmcnte multiplicano,la   virtù   VESPASIANO. TITO.   BRONZO. virtù c in pregio, & finalmente ella contiene in (e tutte le  colcbuone,chcfipoflonodefidcrarein quello mondo.  Et che ciò fia vero, ficonolce, che nel tempo di pace  fiorifeono affai piu i begli ingcgni,& i principi fauorifeo  no piu i letterathcomc quelli , che intrattenendo coli i  virtuofi, i lettori publici, &crcfccndo il numcrodeCol  legi&dcllclcuolc,conolcono pcrtal mezzo, haucreà  reltare immortali,elTcndoilibri come vna tromba per-  petua à gl’orccchi de noftri fucccflori : fi come lenza  quelli vegliamo che non farebbe piu memoria de nomi  & fatti di Filippo, ò Aleflandro Re di Macedoni a,diCe  (are, ne di Pompeo, di Cyro , de Perii , ne de Greci:& la  gloria &grandezzade Romani col nome di tanti huomi  ni eccellenti farebbegia del tutto fpentaxhec quella co-  là(Signore illuftriflìmo)Ia quale vi può portare maggio  re gloria & honore,facendoammacftrarc & introdurre  nelle buone lettere il figliuolo del Re, che meritamente  fua MaelU haconftituito lòtto ladifciplina & cuftodia  voftra:dclla quale tornando à propofito della noftra pa-  ce,dico che Augnilo Cefarc prima fu quello, che fece fa  re l’altare della Pace in Roma, & Agrippa Tacerebbe , fi  comcanchoradimoftra Ouidio nei Tuoi Falli, doue ci  dice,   Ipfum no s carmen deduxit ‘Pack ad /tram,   Hac erit a mtnjis jìnefecunda dies.   Veggonfi le forme di quello altare perle Medaglie  diTiberio,battutcin honore d’Augulto, quali limili à  quelle di Nerone , doue fono lettere che dicono pace  avgvsti p erpet v a, & nell’altra, ara pacis.   TI >5  Lf Intere  C T letterati  rendono il  nome de U  principi im-  mortale.     V Altare d  Pace. OVIDIO (si veda) TIBERIO. NERONE T BRONZO.  Tempio di Numa Pompilio fu il primo che infegno di pace edi  Un °uJrI & ^ crm ° ^ r ^P‘° Lano,iI quale (come fcriue Pro -   tL ? copio)era quadro &grandecomc vna Capella, tutto di   bronzo,& tanto alto, quanto la ftatua di ramedi Iano vi  potefle ilare dentro, la quale non era lunga piu di cinque  piedi,& con due vifi,l’vno riuolto allenente, & all’occa  fo l’altro ronde ci fu detto Gemino ,& del quale Plinio  nel libro xx x v.de l'hifloria naturale ha cofì fatto mentione. unmgcmi' Ianni geminiti a 'Numd Rege dicdttts , qui pdeii, belli que dr~  gumenro colitur.   Augufto  AVGVSTO. BRONZO.  Haucua quello tcpio due porte di bronzo, Icquali in  tempo di pace ftauano chiulc, & aperte in quello della  gucrra,ficomc anchora lì vede in Virgilio,doucei dice,  Sunt gemina belli porta.   Furono quelle pone tre volte fermate al tepo de Romanica prima lotto Numa, la feconda fotto il Conlòlo  Tito Manlio,& la terza & vltimafotto Augullo,quado  piacque al Signorc&fabbricatorc del’ vniucrlo,vcro au  tore& di pace & di luce, pigliare carne humana: della  quale cola lafciò mcmoriail fucccflorcd’ Augullo(dop-  po che ei fu deificato) facccndo battere medaglie, nelle  quali lì veggono due mani llrettcinfieme,convn Cadu  eco nel mezzo, & due corni d’abbondanza con parole,  che dicono, pax. Significando che dalla concordia  dipende la copia di tutù quanti i beni.     Caduceo   inftgm   pace.  Bavgvsto: ARGENTO. Tito Liuio lcriue,che doppofa guerra Adliaca,hauc-  % do Ccfarc pacificato il mondo per mare & per terra, fer-   mò il tepio di Iano. Et Nerone dipoi lenza haucrc rigar-  do à la pace,mofi:rò per la Icrittura delle fuc medaglie, &  la figura del tepio di Iano,d’haucrc{bFo rcnduto lapacc  Umilmente per mare & per terra al Popolo Romano^,  facendo fcolpire coli fatte parole ,pace popvlo   ROMANO TERRA MARIQVE PARTA, I A-  NVM CIVSIT NERONE. DI BRONZO.  Tro . ip   Trouafi vn Marmo in Roma di colore bia co & ton-  do/! quale mie parfo di riprefcntarc qui innanzi, per  moftrarcla differenza delle parole che gli fono intor-  no, limili nondimeno nel fenfo à quelle, che nella meda-  glia di Nerone habbiamo viftequi fopra, ianvm c l v-   SIT PACE pRIVS POPVtO ROMANO VBIQVE  PARTA.   Plinio nel libro xxm. dell’hiftoria naturale (feri- IANO  uendo di Iano gemino) dice che i Romani nella primin0 ‘  magucrra,chchcbbonocon i Cartagincfi,fcciono bat-  tere molte medaglie di bronzo, da vn de lati delle quali  era la teda di Iano con due vili, & dall’altro la poppa  d'vnanauecon quella parola, Roma. Si trouano ancora medaglie di Iano,ncllc quali fi ri-  prefentano nauili & trofei'Ja deferittion delle quali fi  vedrà piu allongo nel libro de l’Antiquità di Roma, il  quali’ Autor mcttra torto in luce.   MEDAGLIA DI I A Na  BRONZO. La caufa perche Iano fi depingeua con due vili, ella-  ta affai benedichiarata da Plucarcho nel libro delle lue Ijjjf quilUoni,doucdicc chcqùcflo nacque perche Iano era   B aUno con  due uijì.     Ouidio. Berofo.  Uno Dio-  deli pace .     IO   (lato i! primo che haucua rend u ti i collumi rozzi delle  pedone piu ciuili , dando loro leggi, & inoltrando che  per la commodita de mari Se de fiumi gl'huomini potc-  uono hauerc Tempre abbondanza di tutte le cofc , tranf-  portandolc d’vn luogo ad altro. Alcuni altri dicono che  arriuando Saturnoin Italia in vna naue,& infegnando a  Iano l’arte dcllagricultura, & altre cole vtili & buone,  lancio prclèpcr compagno nella Monarchia, & per  eterna memoria del Tuo- nome, fece battere medaglie  con due vilì,& nel roueTeio la nauecon la quale Satur-  no era venuto in Italia:di che anchora. pare che habbia.  rcnduto teftimonio Ouidio,doueci dice,   ±At bona pojleritds Unum formante in are   Hofitis aduentum tejlificata Dei.   Io nondimeno m’accofterci piu volentieri all’oppe-  nionc di Macrobio, che dice cnc Iano Tu (colpito con  due vift,percflere Rato vn Re molto Tauio , che confi-  dcrado le cole pallatc,giudicaua Se prouedeua à quel-  lo che doucuaaucnircjchc e certo, quella prudenza, la  quale epiuneccflaria àtuttc le noftre attioni : laonde  confidcrado la varictadcllc leggi Se manierede collumi  de gli huominbparc che quafimcriramcntelanollravi-  ta fi polla aflomigliare alla figura di Iano con due vili.  ScriueBcroTo.che Iano Tu chiamatoDio di pace Se di concordia, doppo che Romolo &Tatios’accordornoinfie  mcj&che per la pacc& vnioncchc quelli due popoli ha -  ucuonofatta l’vnacon l'altro, l’imagine di Iano Tu Tcol-  pita con due vifi,& nel tépo pure di Romolo fatta di le-  gnoTolamcte/ccondo ilcollumc de grantichi,volendo  mollrare Se fignificarcchclapoucrtaè amica diDio, come  zi  come quelle che contienile in fe l’honcftà , & la pace,  quello che conferma Tibullo ne Tuoi verfi > douepar- ritmilo.  landò dellantichcimagini degli Dei, dice.   Ne pudeatprifco Vos ejjìe e Jìipite fatto s.   Sic Reterei fedes incoluijhs aui.   Tunc meline renuere fdem } cttm paupere culeu  S tabarin exigua ligneus adcDetts.   N urna di poi fu quello, che fece fare quxfta imagine  di bronzo da Mamurio Ofco ,grandi(hmo maeftro di Ju xm<t.  fondere ilbronzo&iIramc,ilquaIcda Numa fu chia-  mato àRomaperfondcrcfimilrnentei xn.ancili,che di  poi foleuono portare nei facrificij r faccrdoti detti Salij,  come noi moftraremo apprclfo piu dillcfamcntc nel  difcorlo de noftrifacerdotij.   Quello Iano fu chiamato anchora quadriforme, &  dipinto con quattro vili, come quello che haueua fi-  gnoreggiato da tutti iquattro angoli del Mondo, nella  qualeforma di poi Ip riprefentò anchora Hadriano nel-  le fuc Medaglie.M. AVRELIO. DIOCLETIANO ADRIANO BRONZO. Etpcrchcgia dal Signore Iacopo Strada Mantova-  no, grandiflìmo & diligente amatore &inueftigato  delle cofe antiche, mi fu altre volte donata la figura d’  tempio di Ianoquadrifrontc, però mie parfo di  fentarlo qui fotto al naturale, ocr maggiore inrell  del lettore. ~Ò CON  z 4 - Hauendo à baldanza fcritto de templi della Pace &di  Iano,ragionercmo al preferite di quelli della Dea Cócor  dia, alla quale gli Antichi ne edificarono tati, che non ha  rebbono mai fineà volerli tutti recitare.Ma purccomin-  ciando da quello,che in Roma per tcftamcnro di Liuia   c oneordu ^ ua ^ a< ^ re & mo g^ c d’Augufto,fece fare Tiberio impe-  sto da radore, diremo, chele la concordia & la pace fono vnà  Tiberio. mcdefimacola,eipotrcbbceflcreforfc quello, del quale   Dionr. Dione haragionato nel libro l v i. dell’ hiftoria Roma-  na, fcolpito per le medaglie di molti Imperadori, nelle  quali fi vède la concordia con vna tazza in mano, in le-  gno della fuadcità,& nell’altra tiene vn Corno d’abbon-  danza,fignificatorc della copia di tutti i beni, quando gli  huomimfonoinvnionc: vedefianchora qualche volta  con due figure , che fi danno la mano I’vna all’altra : nel  modo che fi vede qui difotto , potrà il lettor vedere la  concordia.  wm . aj   Et perla medaglia di Bronzo, di Caracalla, potrà ve-  der il lettore la concordia tra lui & il Tuo fratello Geta,  lignificata per la mano delira che fidano l’vno all’altro,  accompagnati da vna vettoria che gli corona améduc.  ''che mollrala vettoria d Inghilterra, douc erano Ita-  ti tutti infieme. Nelle McdagliediM. Antonio Triumuiro lì troua  anchorala tefta di Concordia da vn Iato , Se dall’altro  duemani ftrette infieme con vn caduceo nel mezzo, &  lettere che dicono, marcvs antonivs, caivs   BLICAE CON-  .r   Auicuncaltrepure del mede/ìmo hanno fcolpita la  Concordia con ducfcrpichc cingono vn’altarc , fopraal quale e polla la tcftad Auguflo, lignificando la concordia del Triumuirato:& nelle medaglie d'Augufto li  figura dei- vedcanchorala concordia, che con vna mano tiene  U Contar- cornocopia,&con l’altra prclcnta de frutti àiTriumui  ri,quali furono Lepido, Cclarc& Antonio, per mollra  rechc dalla loro vnionc nafceua il bene della R  ca,&di tutta fhumana generinone, fpecificato  mili parole, salvs generis h v m a MARCO ANTONIO ARGENTO.  AVGVSTO TRIVMVIRO ARGENTO Ma volendo vedere quanto folle {limata la concor-  dia àccmpiantichi &da gl'imperatori Romani, & dagli  Efferati loro, riguardiamo alle altre medaglie , che fole-  uono fare, in alcune delle quali fi vedeuano cofi fatte  parole, concordia miei tv m , con vnavettoriache  coronaua con due mani à vn tempo medefimoj due  Imperatòri , lignificando d’haucre vinto per fvnionc   & vir  Concordi*   degli folda-  ti Romani,  I & virtù de loro fo!dati:& in altre fi troua la concor-  dia con due infegne militari in mano, & le medefime  parole.  SEVERIN A. ARGENTO.  C^VINTILIS. ARGENTO B—i. 11*a* ’Hcbbono Tempre tutti i piu faur Imperatori quefta  ferma Ipcranza^he nella concordia de foldati confi-  ftcuono tutte le vettoric Se la falutc del popolo Romano, & pcròfareplicauono fpcflbcon limile medaglia.   HADRIANO BRONZO. BRONZO.      Per alficurarfi poi meglio deirvnionc degli Efferati  loro , gli faccuono giurare per mezzo i facrificij, non  trouando colà che piu gli. faccflc temere, quanto la  religione. A quefta concordia dcdicomo glantichi fa Cornac- C om<tcchU  chia,&di qui nalce chcEliano ha Icritto che gl'anticht dcdUaual-  ncl far matrimonio inuocauono quello vccello.Il Po- ^ Con<0, ’Iitiano fcrittorc diligcntiffimo fa. nelle lue Mifccllancc  mcntionediqucftoi& per mcglioprouarlo, dice haucrc  veduta vna medaglia doro della minore Fauftina, figli-  uola di M. Aurelio, Semoglic di L.Vcro,ncI rouefeio  della quale era vna Cornacchia con lettere, che diccuo-  no, concordi a. Et perche io n’ho vn altra limile nel-  fc mani, però mie parfo riprcfcntarla qui difotto. Fauftina. La quale colà per   p UMU vo ! u 1 , ° ^ompagnarc la fopradcrra Medaglia con  moglie di vn alcra d orodl Plautilla Augufta, figliuola di Plaudo,  cauviu Jaqualc fiotto Scucro goucrnò tutto Tlmpcrio Roma-  ** P ' fu poi moglie d' Anronino Caracalla, figliuolo di   Scucro Impcratore,douc fipotravedcrcinchcmodo fi  dauano la fede in fiegno di concordia due pcrfionc ma-  ritate,con quelle parole, felix concordia.: FAVSTIN A.   doro.   PLAVTILLA D ORO.     Vfauono  .' Vfauono limilmcntcgrimpcratori di {tendere la man  drittafoprale infegne dciloro foldati , inoltrando 1 vni~  onc &concordiache doucuaclfcrcin vn Campo, & dal-  lequali nalceuono quali tutte le vettoric loro, li come io  ho già inoltro nel dilcorfo pallàto , che io feci del modo  del campare antiquo de Romani; TRAIANO. FILIPPO ARGENTO. BRONZO. Sono à Roma anchora moiri altri Templi , come  quello della Speranza col Tuo limulacro, adorato da i  Romani nel modo, che li vedcperlc mcdaglie d’Adriano,d’Anronino Pio, di Traiano & di Plotina, con limili  fcritturc, spes popvli roman \ y spes Temp i 0 a   PVBLICA, SPES AVGVSTA. Spirane.   HA 3i HADRIANO. ANTONINO PIO BRONZO. BRONZO. Per mezzo di tutte le fopralcrittc imprefe noihabbia-  comegtd n mo conolciuto chiaramente come gl’antichi figura-  gli Tu uono laPace ,Ia Concordia,& LA SPERANZA, reità à mo-  Ttdc. ftrare hora come da quelli era dipinta la Fede. Facccuono quello per mezzo di due mani diritte congiunte in-  terne, nclmodoqualichclioggianchora fanno i nollri  orefici in certi anelletti d’oro: ma l’accompagnauono i  Romani con l’H onore, con la Verità , & con l’Amore,  come a Roma li vede anchora hoggi fcolpito in vn mar-  mo bianco.  FICV  de gl* Antichi romani.  F I (j Z/ It D E L L <A FEDE  ritratta da yn marmo antiquo in Roma.  lo non midiltcnderò piu oltre nel inoltrare candì ,  modi, in quanti gl’antichi dipingcuono la fedc,& malfi-  mccol caduceo, & con le mani, macontenterommifo-  lamenredi ripreientare come priuatamentc & publica-  mcnte ella fu figurata & intrattenuta da i buoni & cat-  tiui Imperatori con fuperflue Ipcfc, nella maniera che lì  PLOTINA   BRONZA     VESPASIANO. DOMI TI ANO   BRONZO BRONZO.      ohi» da vede per la medaglia di Com modo Imperatore,}! qua -  lTj «Unte k con larghiflimi promeflc la foleua comperare da  soli ni, fuoi !bldati,nel modo che fi vede qui difotto. , -iiDBlnrfj .'ro'ur.icni.IRVW  •|f.i Z incuci i nhs-7'i:-'  ìbdo fosiru.rn sfj&rvr/ ac  O !tiu 0 • E;n.».v * i   ; ili i ,j& ti i   rjjscjj     Hadriano, 1   fclijiàojrn   HADRIANO. COMMODO.   BRONZO. BRONZO.Tra tutte le medaglie che io tengo piucare,io n’ho *  vna d’argcnto,donatami già dal S.TcforicroGrolicro,   (iugulari flìmo amatore delle co fc antiche, nelle quale  fi vede daduc lati fcolpitc le mani in legno di concor-  dia,con lettere, che ncll’vno dicono , fidis e x er-  oi t v v m, & nell’altro, fide s provino i a rvm. La  quale cola come rara,& poco vifla da coloro, che fi  dilettano delle mcdaglie,potcndo arrecare loro qualche r 1   marauiglia,pcrò fara caufa che io narrerò qui le cagio-  ni, ond^ ella fu in tal modo battuta.   Quello era che volendo le Prouincic, alla guardia De f critlio ,  delle quali erano ordinate le legioni Romane, ogn’an- Ze-   no reiterare la fede & patti che haueuonoinficme, face-   uono nel melò di Gennaio battere cofi fatte monete : &  infogno diconcordia ne faccuono prefente l’vno all’altro.  MEDAGLIE.  D'ARGENTO.  il primo che edificate mai tempio alla Fedepubliea,  piddcUdfe- fu NumaPompiliOjfi come recita HalicarnalTco, quiui  de fatto U facendo lacrificio alle fpefe del comune , doue i Saccr-  N|WM ‘ doti detti Flamini facrificauono fenza fare fangue, vediti di panni bianchi, & portati in vn carro con vna mano  coperta cerimoniofamentc,pcrmoftrarechc la fede pu-  blica,comc cofafagranon fi debbe violare. Ma perche  io mi trouohaucre detto di foprachegrantichiftimor-  hono- no l'honorc come Dio,&gli fecero vn tempio ,come à  re. conferuatore della fede promefla: però àconfermatio-  ne di quello dico,chc chi di ciò dubitate , vada à vedere  cicerone, il fecondo libro, che Cicerone ha fatto della nkura de  r. Liuto." gli Dei.Marccllo anchora(comc Icriuc Liuio) fu quello   T 'd* m 1" che f ccc vn tem P‘° a ^ a v * rc,a ^ a lfl lonorc > & Mario  no,*iUvir vn’altro fimilc,come fi vede nelle medaglie di Vitcllio,  tù cr ho- jougfono due figurcttejl’vna delle quali mezza ignuda  Tifici, tiene nella mano delira vn’hafla,& nella finillravn Cor  tbonorea- noc0 pja,con il piè deliro fopra vno morrionc: l’altra  detta utrta. ^ l atoraan co con vnmorrione in tcfta,ha vna halla   nella mano manca, & nella ritta vn fccttro,Ie gambe ar-  mate, & il pie ritto fopra vna tcftugginc,con lettere  che dicono, ho nos et vi rtvs. Vcggonfi Umilmen-  te nelle medaglie d’Antonino Pio dipinte Iefigure del-  l’honore con il tuo corno d’Abondanza, il quale tie-  ne nella mano mancatchccrinfegnachc portano tutti i  noftri Dei & Dee.   VITELLIO. M. A VRELIO.  BRONZO. Fu anticamente collocato il tempio di virtù innanzi T . en !f ,, ' 0 &  à quello dell’honorc, lignificando che all’honorc & di-  gnità mondane, non fi può facilmente peruenirc lenza  il mezzo di virtùràpropofito della quale materia io ho  tra l’altrc vna medaglia di Gordiano , nel rouefeio della  quale c vn'HercoIc ignudo , appoggiato fopra la fua jj  mazza ,& fopra al braccioha la pelle del Iione,con lette coUfìgura  rcinrorno che dicono, virtvti avgvs.ti. Ma per le t0 **  medaglie di Traiano, d’Hadriano, di M. Aurelio, & di  Filippo fi vede che la virtù c dipinta in altri modi come  qui di lotto.  FILIPPO. GORDIANO. ARGENTO. ARGENTO. Per la dili-  gizafeuie-  ne al fine  deU'impre-   r<-  Come gfan  tichi ordi-  nauono le  eafe [agre 4  iloro Dif.   Tempio di  Mercurio  cr di Bac-  co.     Per la medaglia fopradettadi M. Aurelio & quella di  Filippo, fi vede l’Imperatore vcftito della Tua corazza,  vn morrionein tcfta,vn’hafta in mano,& accompagna-  to da Tuoi foldati paflarc fòpravn ponte innanzi à tutti,  perfornirela fuaimprefaja quale ha figurata per le pa-  role che dicono, vi rtvs a vgvsti. Et per l’altra me-  daglia di Filippo fi vede il padre & figliuolo correre à  cauallo leggiermente, per moftrare la diligenza ,con la  quale ei veniuono à capo di tutte le loro imprefc,con li-  mili parole, virtvs avgvstorvm.   Ma lafciando qui l’interpreratione di tutte quelle  cole , farà piu à propofito tornare alla noflra religione,  & moftrare, fecondo Virruuio, come &douc gl’antichi  foleuono fare iTcpli ài loro Dij,comc quello di Mer-  curio nel mercato-.cT A pollo & di Bacco vicino al Thea-  trord’Hercolc nella Citta , douc anchora non eranoi  gynnafij ne gl’anfitcatri : di Marte fuora della terra: di  Venere allacampagna,&à Cerere fopra al porto fuora  della Città, eleggendo femprcluoghi,doue non frequen   taflino      35  taffino molto Icpcrfone,fcgià noi riccrcauala ncceffità  de facrificij , & i quali fi guardauono rcligiofamcntc &  cattamente. Il medefimo Autore fcriuendo dcH'archi-  tettura dcrcmpli nel fuo terzo & quarto libro dice,chc a  Mmerua,à Marte, &à Hercolcfi doueua ofleruar l’or-  dine Dorico:à Venere, Flora.Profcrpina , & le N ymfc de  Fonti, Corintio, cioè con le colonne Toltili, dilicate, pu-  lite^ ornate de fogliami perla morbidezza delle Dee:  & fé Ionico, à Giunone & Diana, fi doueua nondimeno  in ciò alla mediocrità haucrc riguardo: fcriuendo an-  chora appretto le regioni &quarticri,verfo i quali doue-  uono edere volti colifatti templi, altari, ftatuc,& altre fì-  gurccelcfti, per fare loro facrificij : circa che fi conofce,  che nella loro diucrfa& fuperttitiofa religione errorno  grandemente i Romani,& molto piu il popolo, ncll’ha-  uerc conofccza d vn folo & vero Dio, come piu oftina-  to in quella imprcffionc che vna volta ha fattada cagio-  ne del quale errore dichiarò affai bene Prudétio ne Tuoi  verfi, quando ditte,   Puerorum infanti a primo  Errorem curri latte hibit,gujlauerat inter  Uagìtus de ftrre mola.   Madi tutti i Templi che fumo in Roma edificati , il  piu celebrato fu quello di Giouc Capitolino,cofi chia-  mato per cffcrc ftato fatto in Campidoglio, fi come fi  vede per la medaglia d’Aurclia Qmrina, Monaca Ve -  ftalc,douc cfcolpito Gioue nel mczzodcl fuo tempio a  fcdere,fatto in forma quadrata con la factta in vna ma-  no, & nell’altra vno feettro con lettere che dicono, iyppi-  ter. o p t iu vi max. capjtolinvs.   C 4     Tempio di  Minerva,  di Marte ,  CT d’HcT'  cole, di ve-  nere, di fio  ra , c di  Proftrpina.     Errore de  Romani nel  la religio-  ne.     Pruduti io.     Tempio di  Gioue Ca-  pitolino.  Tempio di  Giove Veti  dicatore ,  Olympico,  CT Tonile. AVRELIA QVlRINA, VESTALE. ARGENTO.  Quello tempio fu prima deftinato da TarquinoPu-  fco,&dipoi edificato da Tarquino Superbo in forma  quadra, & ogni faccia di CC. piedi con rrc ordini di co-  lonne, fi come lì troua nelle medaglie di Traiano, nelle quali lìveggono fopra al detto tempio molti trofei,  carri trionfali, vetrorie, & altre cofc belle. Vna altra mc-  daglialìmilmente lì troua di Gioue Vincitore, ò Ven-  dicatore, la quale fece battere Alelìàndro Scuero, figli-  uolo di Mammear&r altre di Gioue Olympico & To-  nante, fatte da Augufio, comepiu àlungo lì vedrà nel  mio libro delle Antichità di Roma. Traiano  r* fe,   TRAIANO. ALESS. SEVERO.   BRONZO. 4 BRONZO. AVG vh O, AVGVST 67  argento. MEDA. DE PETIHVS.   ARGENTO.  4 +     '(co-   pura   tito- lano   tcile   pio,   che   : de   yit       TEMPIO Z> I Cj 1 0 V E,  ritratto dalli Antico. Spefa fatta  nel tempia  di Gioue.  Cofe ftngu-  l ari nelté-  pio di Gio-  ue Capitolino* h aUcmdf  feo.     Tlinio .  Dicono gl Hiftoriciche Tarquinofuperbo (pcfc nel-  la fondanone di quello tempio x L.mila libre d’argento,  nel quale oltre all’altre cole lingolari fi vedeua vna ftatua  d’oro aita dieci piedi, vi. Tazze di fmeraldo, vi. vali mur  rini, che Pompeo portò d’ Alia, truffando di quella pro-  uincia,&vnmatello,o velie di Porpora tanto bella, che  melìa àparagonc con l altre d‘ Aureliano Imperatore, le  faceua parere di colore di cenere pi u tolto che di fcarlac-  tordella quale velie dicono che era già fiato fatto vn pre  fcntc (come di cofa rara) dal Rcd’IndiaàqucIlodcPcr-  fiani,&chc quello dipoi l’haucua donata al detto Im-  pcratorc.Era fimilmcntc in quello tempio vna calìa di  marmo, guardata da x.huomini,ch’ci chiamauono Dc-  ccmuiri, nella quale erano i libri Sibillini , contrccap-  pellcttc legrctc d’vna medefima maniera, douenon era lecito à neffuno d'entrarc(comc fcriue HaIicarnalTeo)fi:  non à ifaccrdotidelmcdcfimotépio.NcH'vnadi quelle  Cappelle, cioè quclladcl mezzo, era lartatuadiGioue,  nell’altra ama diritta Mincrua, Stalla finiftra Giunone:  douc afferma Plinio hauerc veduto vn cane di bronzo,  che c5 arte marauigliofa fabbricato fi Icccaua vna ferita.   Io nonlafcicrò di fcriucrecomcrAquilafutragral-  tri vccelli dedicata à Gioue,non volédo gli antichi ligni-  ficare altra cofa , fc non che come l’Aquila è Reina de  gli vccelli, coli Gioue c Signore di tutti gli altri Dij,fi co-  me hanno mofiro non folamcntci Romani, mai Gre-  ci anchorancllc loro medaglie.   Àlefian ALESSAND. RE DI GLI EPIROTI."   ARGENTO. Non voglio mancare d’aucrtire il Icttorecomc Gio-  ue,Giunone,&Mincruafurno figurati da gli antichi per  tre animalirquali furono , per la ductta Minerua, per  Giunone il Pagonc, & per Gioue l’Aquila, fi come fi  vede in vna medaglia d Antonino Pio. ANTONINO PIO. V arieti  deli Aqui-  la falla tef-  ta di Cio-     Vcdefianchora in dì molte medaglie, tanto di Con-  foli, comcd’Impcratori,che l’Aquila c poftafopra la fa-  cttadi Giouc,altroucchcella porta il Tuo fimulacro ò fi-  gura filila tcfta , & in altri luoghi lctcftedi Giouc &di  Giunone fopra le due alle.   Per la figura d’vna Pila antica che fi vede qui di fiotto,  Giouc c accompagnato della fina Aquila, &Giunonc  dal fuo Pagone,doue c Nettuno col fuo tridente, &pre-  fientc al fiicrificio inficme con Mercurio, col fiuo cadu-  ceo, & col Cappello chiamato Galero da i Latini.   V   Z>’ V N ? 1 ÌTJl . ">   fica ritratta et\n marmo di Roma.  H AD  AVGVSTO.  argento.     re Den cnc Scappella di Giunone foflefeome e detto)  nel tempio di Giouc, nodimeno haueua anch’ella il Tuo  tempioàpartCjComefi vede nella medaglia di bronzo  d’Augufto,doueè il tempio di Giunone arrichito dinan  zi di quattro colonne Doriche, & nel fregio e tale inferir  zione,i vn o n i.conilnomcdcmacftri di HI ROMANI.  HADR. GRECO.   BRONZO BRONZO. AVGVSTO'  n r n m i n Et come l’Aquila era di Gioue , coli il pagonc&lo  bruzzolo furono cólagrati à Giunone, come fi vede nel-  le medaglie di Fauftina,diGiuliaPia,&di Filippo Impe  ratorc,& il Tuo carro tirato per i Tuoi pauoni, di che ha  fatto mentione Ouidio, * Halili Saturnia curru  Ingrediturliquidum fauonibus aera fiBis.  FAVSTI NA FILIPPO ARGENTO G1VLIA PIA. FAVSTINA ARGENTO. BRONZO. FAVSTINA. BRONZO ARGENTO MINERVA Mincrua(comc c detto) per eflcrc dedicata la Ci- v A -  uctta , nafccua che nelle Medaglie degli Atcniefi fi ve- JJ“J  dcua da vn lato la teda della Dea , & dall’altro il detto Minena.  vccello con lettere Greche che diccuano ,athna, cóli  nominata da loro Minerua:&come m olirà il rouefeio  de la prima medaglia, la Ciuctta vola con Tali fpanfe , &  tenendo vn ramo di Palma co i picdi.Pcr i! volodi la Ci-  uettagli Ateniefi ftimauano il fimbolo de la vittoria.   D  5 Giouc   Vincitore.   Mintruj   nutrice.   Lypnuco.  MONETA ATHENIESE. ARGENTO. MONETA ATHENIESE.     ARGENTO.      Ec fi come Gioue fu da Greci & Romani chiamato  Vincitorc,quadolo faccuono dipingere con vna vetro-  ria nella mano diritta , & nell’altra vn’hafta in luogo di  fccttro,cofi fu Mincrua figurata da loro vettoriofa, ac-  compagnandola con vna vcttoria,ncl modo che fi vede  per le medaglie di Lyfimaco , vno de fucccflbri d’Aleffandro Magno, doue da vn lato è la fua teda con vn  i Diade u. Diadema, &dua corna, in fegno di grande honore , per  haucrc fermato & ritenuto vn toro per le corna, il quale (cappato delle manidi colui, che lo menauaper fare  facrificio ad Aleflandro, fi fuggiua. LISIMACO. ARGENTO.  LYSIMACO. BRONZO.  Erano principali tutori & auocatidella Città di Ro-  ma G ioue, Mi nenia, & Giunone, &di qui nafccchePol-  lioneha fcrittonel libro della fua Architettura, che il   D a  ' Si luogo più a!to,dal quale fi poteua meglio {coprire &  Icorgcrc tutto il fito di Roma, quale c il Capidoglio ,fu  eletto per edificami il tempio di quelli tre dij.Ondc tor-  ntdiToZ riandò alla ftolta fupcrllitione de Gentili , che non fola-  nL mente adororno Giouecomc Dio omnipotéte,ne fi con  tcntomo’di dedicarli l'Aquila,come Reina di tutti gl’ vc-  cclI»,penlàndolo maggiore di tutti glabri Dij,ma gli con  Ammone f a g rorno ancho il Montone, chiamadolo Iuppiter Am-  moni mettendolo fopraquello à fcderccon lo Icettro  in mano. Nacque quello vocabulo Ammon dalla rena,  che i Greci chiamano «w** .ciochc Plinio (fcriuendo del  Tale Ammoniaco nelxi i. libro) ha meglio dichiarato in  quello modo. Ergo ^AEtbiogU fuhie&d ^AJricd^mmonUci Ucrynum  Jìiìldt in drenti [un, inde etto, nomine w Ammonii oraculo iuxtd  quod gignitur drhor.   Quantunque Tinterpreted’ A rato Latino, ò Ballo, ó  Celare che fi fbflcjfcriuachc quello fia il Montone, che  anchora di poi fu meflb il primo tra i legni cclelli per ha  uerc infognata a Bacco Tacquaperilfuo ElTercito,chc da  lui condotto per la Libya fi moriua di fete,fi come piu à  pieno potrà il lettore vedere nel mijibro di Q^Curtio,  o xv 1 1. di Diodoro Siciliano, ò nel 11 1. lib. che Arriano  ha Icritto de fatti d’ AlclTandro Magno.   Meda.  MED.. D’HAD. BATTVTA IN GRECIA,   BRONZO. BRONZO.  Fuanchoraà Gioue dedicata la Capra, per hauerlo t* c*pré  nutrito del Tuo Iartc,ondc ei fu detto Egiuco,& da Greci  ùtyic X t f,Ia quale capra intendcuono quella della Nymfa  Amaltea^he l’haucua allcuato, A come afferma Gcrma  nico Celare ncAioi vcrA d’ Arato, douc ci dice,   -lUaputatur   Nutrix ejje louu/i 'vere luppicer infdm  Ubera Crete* muljìt fidi^ima capra,   Sy dere qua clarograrum cejlaturalumnum.   Il che moftrarono anchora meglio Filippo Se Valc-  riano Imperatori , facendo nelle loro medaglie mettere  vna volta la Capra fola con lettere che dicono , io v i  conservatori a v cvsT i, & altrouc la Capra che  portaua addoffo vn Gioue à modo di fanciullo con altre  lettere à quello modo , iovi crescenti. Vi V  Gioite vittore.  Calcidonio   dittico. DELLA FILIPPO.   ARGENTO.  RELIGIONE   VALERI ANO.   ARGENTO.   Attribuì  Umilmente molti altri nomi & dignità la fu-  perftitiofa antichità à quello Gioue,vna volta chiaman  dolo Vcttoriofojcome quelli che péfauono che ei donaf  fclcvcttoricj&cohlo fugurauonoconvna Vettoriain  mano,& con vno fccttro nell’altra:& vn’altra volta face  uonola Vcttoriachccoronaualuid’vnacoronad’ Allo-  ro,(ì come io lapoflo moftrare (colpita in vn mio Calci  donio antico, poco minorcd’vna medagliada quale pie-  tra anticamente fu confcgrata à Gioue Fulguratorc, per  vfeirne il fuoco, onde i noftri Soldati l'adopranoancho  ra hoegi all’archibufo. CALCAL CIDONIO ANTICO BRONZO MEDA. GRECA. BRONZO.  DOMITIANO. BRONZO.  MARCO AVRELIO (ANTONINO (si veda)) BRONZO BRONZO a   cottegli Per le medaglie qui appreflo , fi vede Gioue mezzo  '• ignudo di Copra, & dalla cintura in giù vcftito,chc fta à  ciò**. federe nel mezzo di quattro elementi , tenendo da vna  mano vna hafta , & l’altra la ripofa Copra la tefta de l' A-  quila,fi comclalcultturalo dimoftra peri due carri ce-  ledi dclSo!c,& delaLuna:& per i due fimulachri che  fono Cotto i Cuoi piedi, lignifica gl’altri due elementi,  cioè , l’acqua & la terra , hauendo il Z odiaco attorno,  doue Cono riprefentati i dodici Cegni ideili. Et la ca-  gion perche riprefentauano cofi Gioue, era, chcgl’antichi nella loro miftica & occulta theolo^ia volcuono  lignificare, che le cole lupcriori debbono a gli huomini  efìcrc celate, & Colamcnte manifcftc à Dio. Mafuadi-  uinità & tutte le Cuc potenze, ci ha moftrato Alcxan-  dro figliuolo di Mammea per i Cuoi medaglioni bat-  tuti in Grecia, doue fi veggono da vn lato caratteri abbre DEGL’ANTICHI ROMANI breuiati, che dicono XrTOKPA'Tnp K^riAP ma'pkos  atpe*aioì iebaitòs a* AEfg a n a po z , che iLatinihan  no interpretato ,imperator caesar marcvs   AVRELIVS AVGVSTVS ALEXANDER.   Alexandr o mamme a.     bronzo.      I Greci chiamorono Gioue per varij nomi, malfima-  mcncci Siraculànijcomc recita Tito Liuio nel quarto  libro della terza Dccadctcon ciò Ila, che hebbero il tem- t empio di  pio di Gioue detto Olimpio,alcrimcnti Eleo , celebrato  primajpcril Tuo oracolo, & dapoi per i giochi publici  che lìfaccuono in Elide , nel Campo di Pifar&di là e ve-  nuto il nome di Gioue Elco,come lì potrà vedere per la  medaglia Greca polla quidifotto,nelìa quale lì troua da  la bandadritta il lìmolacrodi la teila di Gioue con que- Gioue  Ite lettere Grechc,s e rs iAET02 > chcfignificano J ciovE ^  ELEO.EtncI rouefcio elcolpito il fuo Folgore & l’Aqui-  la con tale inlcrizionc,zr paro sion: la quale cifaap-  parircchela città di Siracufa portògrandiflimo honorc   a Giouc Eleo, à cui fece edificare vn cofi bcllilfimo tèni  pio,& battere fimili medaglie in fua eterna memoria. MEDA. DE I SIRACVSANI BRONZO. SttBd fot»-   tiferà di  Giouc.     Per le medaglie d’argento che furono battute per  Lucio Lentulo,& Caio Marcello Confoli,fi troua la te-  tta di Giouc d'vna banda con tale inflizione, ivcio   L E N T V L Oj CAIO MARCELLO C ONSVL I»   b v s. &da l’altra è vn Giouc coi fuo Folgore nella man  dritta,& l’Aquila nell’altra , &innanzi aìui vno piccolo  altare,& dietro laftella falutifcra,laquale c polla nel fe-  condo luogo tra le fteile erranti: lignificando tutte que-  lle cofc vn facrificio fatto per detti Confoli à Giouc, per  caula del Folgore caduto fopra il fuo tempio Capitoli-  no à Roma. Meda?    ss>  MEDA. DI L. LENTVLO, ET C.  MARCELLO, CONSOLI.   ARGENTO.     I Romani chiamorono quello Giouc Confèruato- Gioite cc%>  re , fi come noi leggiamo nelle medaglie di Diocletiano { enutort '  Si di Gordiano Imp.che lo dipinlcro ritto eon due faeffe  nella man delira, & nella finiftra vn’hafta, infieme col  medefimo Imperatore fiotto la cuftodia fua,& lettere  che dicono, io vi conservatori. Nclrouelciodcl-  l’altra medaglia di Diocletiano fi troua vn’altro limile  Giouc, che prclènta vna vetraria, la quale ha fiotto i pie-  di vnglobo,&Gioue {aquila vicina àifiioi: fi come Li-  cinio ne fece battere vn’altra,doue l'aquila hain becco  vna Corona d’allòro & lettere in quella guifa, ioyi   CONSERVATORI AVGVSTORVM NOSTRORVM.   Domi DOMITIANO ANTON. PIO.   ARGENTO. ARGENTO.      GORDIANO.     BRONZO. ARGENTO.      MASSIMIANO • LICINIO.     ARGENTO. ARGENTO.  Oltre à Vettoriofo,Fulguratorc, ò Fulminatore, fu Dìutrfe po  anchora chiamato Statore, Propugnatore, Vendicatore dl   & Cuftode,Anxur, ò Auxur. Et come Marte Vincitore  fu honoraro da Romani, coll ancora fu adorato da loro  Gioue Vendicatore, perche da lui erano punitele cole Gl- owf v j_  malfatte.  tote. GORDIANO.   ARGENTO. ALESS. SEVERO ARGENTO GORDIANO. DIOCLETIANO argento. ARGENTO. Del  Seneca,  CJ. della religione   Del foprafiguratoGioueCullodc nella medagliadi  Nerone, ha fatto mentionc Seneca, nel fuo fecondo li-  bro delle qucflioni naturali,douecidice:   Quem Iouem tnteUigunr cujlodem rettorémtjue \niuerf.   Qucllo,chc parimente fi vede nelle medaglie d Ha-  driano, douc Gioue c dipinto à Ledere nel fuo Trono  conia filetta in mano dritta, Se lettere chcdicono, ivpi-  ter cvstos. Vcfpafiano le fece battere con inferi -  zion diffcrcntc,chc dice, iovis cvstos. Cicerone.     NERO.   ORO.VESPASIANO.     ARGENTO.      Ma quanto à Gioue Statore, cofi chiamato, perche,  mediante lui, fi confcrua ognicofinli vede che Cicero-  ne ne fece anch’egli mcntione nclloratione, cheei fece  innanzi che andare in cfiglio:doue ei dille; O Gioue Sta-  torc,quale i noftri antichi cofi chiamarono , come con-  fèruatoredi quello Imperio,& dalle mura del cui rem-  pio io tenni difcollo le violéti imprefedi Cati!ina,dop-  po che Romolo l’hebbe edificato nel palagio , apprefib  la vettoria hauuta de Sabini, io ti priego d’cllcrc in aiuto  alla Rcpublica & Città diRoma, Stame in tutte le dif-  gratie mie. yltore  P'S     . <r 3   Vlcorc fu chiamato, & honorato da Romani come  Marce, per edere l’vno & l’altro vendicatore delle cofe  mal fatte: & in Italia , maTTimamcntc nel territorio Ca-  pouano detto Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r vn Auxun  fanciullctto lenza barba, del qualefcce mentione Vie- Virgilio.  gilio nell’ viij.libro dell’ Encida, quando dille:   Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus aruis  r Pr<efìdet.   Et è ancor Giouc coli (colpito (opra vna medaglia  d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà fede-  re nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nel-  la manca lo fcettro,con vna corona di Quercia, o d’Vlt-  uo,ilchc non ho potutotroppo bene difccrnerc,per la  piccolezza della mcdagliarnondimeno Phornuto affer-  machefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno  di perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, & tiene qual-  che poco del colore cclcltc.   ME DATgTi E DI P ANSAI   ARGENTO. Tempio   d'Augufto  in Alcjptn  ària.      EtlicomcGiouchaucua in Roma (come e dctto)iI  Tuo tempio magnifico , & era chiamato Scruatorc Se  Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile  conlagratofcome fcriuc Filone nel libro della Tua lega-  tioncà Caio Ccfarc) à A uguftoConfcruatorc, chiama-  to hauuto in vcncrationcda i nauiganti.Era   quello grandillimo & altiflìmo tempio pollo innanzi al  Porto,picno di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,& di  flacuc marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento  Se d’oro, con portichi Se loggic per Ilare al coperto, &  palleggiare, & vna libraria accompagnata dagradilEmc  làlc,portali,bofchetti,& lunghe vie, che di lontano por-  geuonofpcranzadi falutc à tutti i nauiganti,che volc-  uono pigliare porto in Alcflandria: benché quali per  tutto il modo foflcro flati dirizati & fatti molti altri tem  pii in memoria d’Augufto & per eternità del fuo nome,  li come li troua nelle medaglie battute al tempo di Ti-  berio, il quale cominciò vn tempio in honorc fuo che  Caligula fornì poi,& Io confagro al fuo nomccon ofH-  cij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il che ei con-  ferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmula-  cro della pietà à federe con vna tazza nella man dritta,  & la fianca ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of  fido pio che Caligula faccuainuerfo i fuoi parenti , con  quelle parole, e. caesar divi avgvsti prone-  POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A  POTESTATE QVARTVM PATER PATR1AE. & poi   quella altra appreflo folamcntc, pietas. Dall’altro Ia-   Sdtrificio to mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio d’Augufto flato ri-  diCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono) tra gli Dci:& nel mezzodi   detto  Librario   b.Uifiinu   d'AuguJlo. Tempio  tA ugujlo  (omincUto  per Tibe-  rio, cr for-  nito per C4ligula.<r 5  detto tempio vn’altare,fopra al quale c vn Buc,tcnuto  da colui che n’haucua la cura, chiamato Vittimario,con  vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio, teneri  do vna razza nella mano deftra,& dietro alle fpalc vn  miniftro con vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia. AVGVSTO ORO MEDAGLIONI DI TIBERIO. Tempio   dkugujlo   reflituito   per A nto~  nino.      Comminciando dipoi quello tempio col tempo à  rovinare, Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi come h ve-  de per le Tue medaglie d’argento, d’oro, & di bronzo,  douc fono lettere che dicono .templvm divi  avgVsti restitvtvm. Ne contento di qucfto,  ne fece fare vn’altroad Adriano fuo predcceflbrc,comc  ricordeuolc de benefici), che haucua riccuuti da lui.   Anto       » c-j  ANTONINO PIO.   BRONZO.     Oltre à quelli templi , furono anchora fatti molti  altari in honored’Augulto, per moftraremaggiormen- imiti de  te, & per diuerfe vie la fua eternità con quelle parole,  providentia, hauendo quei Romani quella vana  opinione, chela deitàd’Augullo potcflèloro concedere  tutto quello,dichehaueuonobifogno per laucnire.   tu»-,   -Et coli per tutte l’altre medaglie de gli Imperatori;  che erano (lati à modo loro deificati, folcuono gl’anti-  chi (colpire quelli altari in legno della loro deificatione-.     Deferivo* Scriuc Apulco nel dogma di Platone , chela proui-  XkJu denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc mantie-  ne femprcfelice colui,checlla piglia vna volta iti cura:  & altri hanno detto che folamenteriguardaua Se pcnlà-  Dtuodi uaalIecofeaucnire:ma i dannati Epicuri£al(amcntecre-  zpÙHro. deuonochcDio non haueflc alcuna cura de mortali.  Ond’io à propofito di quella Prouidenza mi ricordo ha-  uerctra molte altre pietre intagliate, cheiofcrboin ho-  nore dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita vna  vtformU* formica con tre fpighc in bocca,fignificatricc della Pro-  K de Polii- uidenza-.la quale pietra fu altre volte trouata ne i fonda-  de*K4. menti d’vna delle torri cheio ho fatte farcnclla mia cafa   della Maddalena, che per edere cofa anttchitfìma & rà-  ra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto al naturale.   — Diafpro  Et perche Plotina ha già comporti in 4. libri della  Prouidenza, inoltrando che tanto le piccole come le  grancofe cranogoucrnate per il Dio di natura, io rimet-  terò il lettore à quella lcttione,& ritornando al propoli -  to mio, dico chegl’antichi riputorno la Prouidenza per  Dea, come anchora ha inoltrato Cicerone nel libro del-  la naturadegli DcijOndcpcrla Tua figurabile clafem-  bianzad’vna matrona ftolata , ò velata & dritta , che in  vnamano hàlolccttro,&con l’altra moftra vn globo,  chcgli Ita à piedi, pare che voglia lignificare che la Pro-  uidenza goucrna tutto il mondo, come vna buona ma-  dre di famiglia, nel modo, che nelle loro medaglie la fi-  gurorno (benché con diuerlì atti) Traiano & Pertinace  Imperatori.     r. ;• -     fiorini.   PROVI   DENZA.   Cietront.    Alcuni altri Imperatori, comeTito, la fecionodipin  gereconvntymone& vn globo, inoltrando come ella  gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per vna  filetta di Giouc accompagnata da molte altre. A leda n-  droScucroper vn vaio pieno di fpighe,& Probo & Fio  riano per vna fcminaftolatacon vn globo in mano,vn  fccttro &vn Corno d’abbondanza.     rrouidtnz'*  diuerfmen  tc pinta da  antichi. Caracal  Ei mi parrebbcinuano affaticare ,fc io non auertiflì  0 « lettore della pazza fuperftitionc de gli aderbi Roma  ni,i quali durante la vita de i loro Imperaton, o buoni,  o catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo non lalciauonodi  fare loro templi,ttatue & altari , & doppo la morte di  lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi dibuo  ni Principiai fondatori di pace, & (non ottante che ha -  ueflino maltrattato il Scnato,& Popolo Roman o)di re   E 4     CONSECRATIONE V<tra f a .   flit ione  ir Romani  nel fanttfi-  tar loro ^   imperato^   ri.     FLORI AN   A     HI  S S. MAMM EAT   BUON Z O.     . ftauratori della Città di Roma, fteome auenne di Lu-   cio Settimio Scuero,il quale oltre aireflcrehuomobar-  baro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto pcr-  ucnnealla dignità deilTmpcrio, ingannò & tradì Clo-  dio Albino gcntilhuomo Romano per venire à capo  dei fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì & fece dare  più per paurache per volontà dal Senato Romano tùt-  ti i titoli di buono Imperatore.  S   ARGE NTO  Ma che diremo noi di quello Monftro di Natura co-  minciato & non finito,il quale doppo la fua morte fu  connumerato daRomaninelnumerodei buoni Dei,&  del quale foleuadirc Nerone, che l'haueua fatto auelc-  nare, che egli era ftato fatto Dio p c r mezzo del boccone  d’vn fungo?   clodio;     ORO.      Et per contrario furono i buoni Principi, di T raiano,  Antonino Pio,& Marco Aurelio, che per le loro virtù &:  buoni coftumi,mcritarono d’cflcre chiamati ottimi Im- c .   pcratori,& canonizati,fe lecitaméte fifolfc potuto ciò fa  re. Trai quali è pur degno d’clTcrc Tempre nominato&  ricordato il nome d Antonino Pio , lolito dire che piu  tofto volcuacolcruarc &faluare la vita d vn Cittadino,  che ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £ Antonino  piena di pietà & degna d’vn buono Imperatore, come  cglicra,&:comclo chiamòil Senato, facendoli dirizarc  come à Traiano, vnaColonna,& Templi nel modo che £ Antonino  fi vede qui di fono.   'i .... e $ c     w • . • • r 0 amo moftraco cornea! tempo anticogli   ucrrdctì Inipcratorieranoconfngrati, &diuentauonoDijdoppo ^TLi ]aI . 0r ° m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al-  tio di ttm - rar * * n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli ficdegl’agncl-'  & Reonfegnado loro Sacerdoti & Flammini nel modS che  di Celare A ugufto ha già fcrirro Prudcnrio^diccndo:  Prudenti». Hunemorem V ererum docili Um aiate fejnuta  ? olì eritas t men fa t atque adytit } & fiamme^ tris  ANTONINO PIO.   BRONZO.     ON. PIO.     BRONZO.  Uuguft   AuguJlum col nitritalo placa uù tgd agno:   Strafa ad puluinar iacuit, refj>onfa popofcit.   Tcjlantur tituli,prod»nt confulta Scnatus  Cafareum louis ad ) fecitm Jlatuentia templum.   Equanto al reità della conftgratione , chiamata da  Greci & della quale ha le ritto minutamente He   radiano al vij.capitolo del iii j.Iibro,mi è parlo non fola-  ménrc di figurarla cjui fottoal naturale, ritratta dalle me-  daglieantiche d’Antonino Pio,& dt M. Aurelio, ma tra-  durla in volgare,pcr maggiore intelligenza del lettore. ANTON; Pia M- AVRELIOl BRONZO BRONZ O.  c  Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte lo-  ro tuttiquclli Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli  heredi dell' Imperio, in quello modo penlando efTcre ri--  ceuutr nel numero de loto fallì DijrEa Citta tiftta vcftita  abruno,&picna di dolore &di lamenti, folennemente  fatta fàrcvnaimaginediccra limile al morto Imperato  re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato in  alto aU’cntrarc del palagio Imperiale. Era quello letto  coperto di prctiofì panni d’oro &dcntroui quella ima-   gine Erodiano. b o«».f  W «HV    Ccrimonù  de Roma*  nella mori  de loro l«  fe rotori.    ginc pallida àguifa quali di ammalato Imperatore/! ri-  polaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i Senato  ri vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno dimo  rauono.Et dal lato deliro tutte le Donne Romane, cias-  cuna fecondo ladignità & grado dcloro padri,ò mariti,   . fenza ornamento alcuno d’anelli, maniglie, ò catene  d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco leggicrmetc(qualì  come portano in tal calo le getildonne in Francia)# tue  te piene di maninconia. Durauono quelle cerimonie  vij.giorni,nel qual tempo i Medici ogni giorno s’apprcf  fauonóalla bara, fingendo di toccare il polfo all’amma-  lato,# mollrando che gli andaua fempre peggiorando.  Ma fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i primi  letto i Up4 Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo nel  YtZ'ZÌ? ^ av ‘ a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i Magillrati  tutori Romani Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i loro.  officij.Erano in quello luogo da due lati fatti certi pal-  chi con ilcalc,dai’vn de quali tutti i piu nobili giouani &  patritij Romani, & dall’altro le piu illullri donne canta-  Himi tan- uonoHynni & Cantici Iamctcuoli# pietofi,nelmodo,  tati nette po che s’vla ncllcpópe funebri. Dopo quello i Senatori di  pt funebri. nuouo fa lcuauono la bara fullc Ipallc, &la portauono  fuora della Città in vn luogo chiamato il capo di Mar-  te,douecravn tabernacolo quadro fatto di gradirmi  legni fcccjii,& ripieno di fcrméti.di paglia, & di falcine,  & di fuora riccamctc adorno di cortinclauorarc d'oro,  di flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque  Ho tabernacolo n’era vn altro lìmile,ma piu piccolo,&  riccamente acconcio come l'altro,cccetto che haueua le  porte & le fincllre aperte, & coli di mano in mano mótaua H77 tauapiù alto nel mcdclimo modo fempre diminoedo.  Potrebbe!! quella ftruttura ailbmigliarc à certe Torri  fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da moderni,   Fanali, dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu TJnaU  mi perfarefeorta a inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati  to letto fopra al fecondo ftaggio.quiui fpargcuono gra-  dequantitàdi fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, &  d’vngucnti odoriferi di tutte leparri del Mondo, facen-  doqualì à gara di chi più , ò meglio, porc/Tc honorare,   & fare quello vltimo prefente al loro Imperatorc.Fat-  to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa intorno  al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé  Pyrricada gli antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 '  ceuono il mcdelìmo i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i  carrettieri erano vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi-  lì,con mafchcrc fomiglianti à i Capitani , & principi che  haueuonogià fcruito il morto Imperatore. Et con finite  tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre all’-  Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il  fuoco nel Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al-  trhpoidi mano, in manoùl quale per la materia tato fec-  ca,& le cofc vnte deprofumi, & olij profumati, leuaua { j, e   fubito le fiamme in alto,pcr mezzo lequali, vfcitavn’ A- t*   quila viua del minore & più alto Tabernacolo, fc n’an- «  daua volando in verfo il cielo , quiui di terra portando i cieli  (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql me  delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale  poi coli adorauono come Dio, & gli faccuono altari &     templi, come e detto di fopra » Crwr, -* r-’ìRtn '’ M. AVRELIO (ANTONINO (si veda) FAVSTINA  4U«  tu1  PERTINAX. BRONZO. FAVSTINA. ARGENTO.Crédcuonoi Romani qiicfto mi fieri o non Iblam"  elfere vcro,ma molti giurauono hauerc veduto vfeire  del fuoco l’anima dell Imperatore , & altri pagauono  huomini à polla per confermare coli fatta bugia, diccn -  do che l’Axjuila di Gioue l’haucua portata in Ciclo, &  coli ecco in cheniodofu anchora canonizato Seucro  lottizzo* collocato nel numcrodegli Dei, inlìcmccon moltialrri  Imperatori & Imperatrici ch’elPopo.Ro. fece fàlir per forza alciclo nel medefimo modo che Scucro. Ma ri -  tornando alla materia de noftri templi, doppo haucrc  fcritto de i più trionfanti di tu tti,cioc,di quello di Giouc  Capitolino , di quel d'Augufto à Roma&in Alcflan-  dria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci reftai vede- Tempio «K  rcil marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba edifica ^j c pg %  rione del quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,& Republichc dell* Alia maggiore, contribuendo ogniuno per  lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di religionc,qua'n-   tunquepcr Ja fuagrandezza folle a pena tornito in CC.  anni,& fondato rifpetto a i tremuoti in vn Pantano, tal-  mente che ci fu connumcrato per vno dei lette miracov  li del Mondo, & di poifcolpito in piu medaglie di di-  ucrfi Imperatori. CLAVDia  ARGENTO stnr. *4 Ma pcrcbeil fimulacro interodi Diana,qualc era nel   Àmpio degli Efcfij,nonfi. può interamcce {cingere nel  le med agliedi pi ntedi fo p ra,mi cpàrfódi farlo-hilthopa  di nuouo ritrarre qui di fotto nel modo , che io ihoirt  e ” due     '.Ikimfc  K.OII     8o DELLA RELtGIO   due medaglie Grechc,l’ vna di C5modo,S: l aura a nn -  tonino Pio , nell'vna delle quali e Icritto aptemhx  e «• e x i a n , cioè, Diana degli Efelìj , & nell’altra quella l ola parola, e « e sia spedendo tutte l’altrc lettere perdute. ANTOM. PIO COMMODO BRONZO Dtfcrizìon  del tempio  di Diana.     Era la lunghezza di quello tempio ccccxxv. piedi,  & la larghezza e e x x. ornato di e x x v 1 1 . colóne, ogniu-  naalta lx. piedi, & nondimeno fu abbruciato da quel-  lo fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli hau  ua fatto qualche cofa degna di mctporia:bcnche di poi  fu rillaurato & rifatto anchora piu bello da Dinocratc,  Celebrati!) Architettore d’Alellandro Magno. Quiui aduque lolc-  cUDianf* L, ono ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la fella di  ~ Diana, trouarlì tutti i giouani ,& fanciulle , vergini del  paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò lìmaritauono iUcrne? Il fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo le fue  dignità & qualità dipinto & figurato da gli antichi in di-  uerfe manierc,lt come ella fu pariméte chiamata perdi;  JSSL. uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera tutta pie-  na, la dilegnauono per la lua chiarezza con vno tor-  chio  v   8x  chioaccelo in ambedue le mani, come fi vede nelle mc-  dagliedi GiuliaPia, moglie di Seuero Imperatore, con  lettere chedicono, di an a lvcifera.     GIVLIA PIA. argento.     BRONZO. Et per inoltrare anchora meglio che Diana &la LlT-  na eranoinqucl tempo vna mcdefimacofa,ioho fatto  qui mettere vn'altra medaglia di brózo della mecfefima  Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo  carro tirato daducccruic, chcfignificauono checll'cra  Dea della caccia, quantunque l’interprete d’Arato hab-  bia detto che quello fignificaua la fila leggerezza. Ma  quadogl’antichila figurauono poico vnolpiedcinma  no,& vn ccruio apprcfio,voleuono lignificare che cac-  ciando, ella pigliaua & ammazzauai ccrui pcrforza,no  minadola »^óa«c, & per memoria che ella era la prima   cacciatricc,fofpcndcuono le corna de cerui dinanzi al  fuò tepio.DclIa quale cofahauendo affai à baftazadif-  corfo nel libro , che per comandamento di fua Maefli  iohò fittodella naturadc giammai! ferochpcrò rimette  rò il lectorcà vederne quello, chcion’hò quiui trattato.  MEDAGLI E D’H OSTILIO.   ARGENTO. Trouanfi anchoradelle medaglie , doue Dinnac di-  pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in legno che ella foleua  ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro rcflimoniolamc  daglia di Gcta Triumuiro, nella quale da vn lato è fcol-  pita la tefta di Diana , & dall’altro vn cinguialc , ferito  d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane appreffo. GETA TRIVMVIR Quando i Romani figurauono Diana cacciatrice,  ordinariamente la folcuono accópagnared’vn turchaf-  fo,d’vn , arco,& di frccciccon vn cane da ghignerei fc -  gugio,(cnzaraiiirode quali non fi può cacciarci come  mortra la medaglia qui di lotto.   med 7 ~d f C~P OS T VMO. ARGENTO. Ma nelle medaglie d’Augurto fi vede vna volta Dia-  na figurata tutta ritta in habito virginale, con l'arco in  vna mano , & con l’altra /opra al turcharto, facendo le-  gno di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel mezzo lette-  re, che dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sici-  x.i a. & altre che dicono , im perator vNDEciEs.Et L  nel rouefciod’vn altra fi vede con la velie alzata, vnar- sthukitl  co in vna mano , & nell’altro vno fccttro, vn can da giu- *  gnerc,& gli rtiualcrti infino à mezza gamba , colà prò- £ 1  pria per lei come cacciatrice, &i quali daPolluccfono An<lro »”-  ftati Endiomidi chiamati. des '  AVGVSTO.  Tra cucce le medaglie d oro, che fanno ìjjj.furnorro  uaccàTolofa, & rraquelleche mi vennero nelle mani,  io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di Diana,  col Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn tempio, nel cui  mezzo c vn trofeo naualc,in cima al quale è vna celata  antica:& della prua della natte, c fitto vn tronco come  vno Itile con due rami, vno riuclliro d’vna corazza, & da  l’altro pendono due dardi & vna rotelIa:& à pie del tron  co è vn Ancora da vn lato,& vn timone da J aItro,in le-  gno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc Augu-  ro racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al frontilpi-  Tri gSbe, c *° ^ mc J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con  impresici lettere che dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì fignifi-  UsùiU can do che Augullo ringratiaua Diana della vettoria  hauutadc nimici Tuoi.   - av  AVGVSTO.  Et nc rouefci delle medaglie battute in honoredt Mar  cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due mani lebrato in  prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s *” a*-  ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl te-  foro portatone à Roma,iI quale-fu {limato tanto, quan-  to quello che i Romani cauorno di Cartagine.   * MAJICELLINO BRONZO.. Animali  tonfatati  i Diana.     Solcuono gl antichi placare Diana imolando la cer-  iliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali confècrati  lei, fi come tcftimoncranno le medaglie Latine &  chc,che io ho fatto ritrarre qui di lotto. FILIPPO.   BRONCO. Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1. libro della fua Cofmògra  to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra fondato nclflfola d’Icaria &  polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh ni. della quinta  Decade, lo chiamò parimente Tauropolum , & Tauro poli*  i ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondime-  no nel fuo libro de Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia  mataTauropoU dalla regione, ma dalla quantità de tori,  ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però detta  dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia Gre   ca qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i-   IÓN DAMASI AZ.   MED   MEDAGLIA GRECA D I DIANA. ARGENTO. Chequcfto fiavcro,& che Diana Ila (lata chiamata  TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij dal toro che l’era  confagrato,come il cane, dimoftra anchora Diodoro  nel iti. libro, douc parlando della Rcina delle Amazo-  nc dice, che ella faceua ogni giorno cflcrcitarc le Tue ver-  gini allacaccia, acciò chcpiu facilmente tollcraflino il  difagio dcllarme & della guerra , facendo le fare vn cer-  to facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’ Autori  tanto Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no  mi Tdurouoliumjduropolum, & Tauropobolum, & malli me  Suidane i Collcttanei, chiamando Diana Tduroholosfal  Toro(quello che anchora conferma Euftathio) il quale  l’era facrificato, come fi vede nella medaglia d’argento  ' d’ Aulo Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato Diana  con vna luna in teda, l’arco & il turcafTo:& dall'altro il fa  orifìcio del toro, nel modo, che fi vede qui di fotro.   F 4  Sacrifìci»  di Diati»  ordinato  da la regi,  na deli a-  mazonc. Diana chi  mata Taurobolos.  AVLO POSTVMO ARGENTO.  eia, & ma/firneàLettora,doue fe nc vede grandi/fim»  Tùtro gì - quantità, donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto Se  deVanuZ g ranc * c amatore delle cofc antiche, fi conofcechcifacri-  ti ficij fatti anticamente da i facendoti alla madre degli Dij  congrande apparecchio,crano chiamati TAuroj>olium&  •>• altre volte Taurtuolium , &non folamente à Diana   Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo maflìmamente  credere àSuidas: benché di coli fatti fiicrificij io habbia,  aliai diftefamete fcritto negli Epigrammi, che io hò rac-'  colti di tutta la Francia. *. LeBor* inpropugrutcttlo \rbis.   matri devm pomp. philvmenae   t*VAE PRIMA EECTORÆ TAVROBOIIVM  F e e r T. .   tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna piccola chiefa di S. Tomafo  giuu mezza rouinata nella medefima terra, vn’altro epitaffio   in vna    S*  hi vna colonna, che regge l’altare grande, per il quale fi  conolce che i Decurioni di quel tempo , cioè gouucr-  torì della Tcrra,feciono il facrificiodi Tauropolium alla  madre degliDij per la falutc diGordiano Imperato-  re, & di Sabina Tranquillina Tua moglie.     In facelle D.Thanutnunc diruto in columna i   aitarli vijìrur. 1   PRO SALVTE I MP. ANTONINI GOR- DI ANI PII FEL AVGV. TOTIVSCHE^  DOMVS DI VI N A£, PROQVE STATV C li  V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT  ÒRDO LACT. D. N. GORDIANO II. ET  POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- "  RANTIB. M. EROTIO ET FESTO CA- NINIO SACÈRD.   Di quella Sabina Tranquillina ho io veduto altre  yolte yna medaglia d’argento, & vno Epitaffio fatto in  quello modo,  FVRIAE SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE  SANCTISSIMAE A V G. CONIVGI DOMI-  NI N. M. ANTONINI GORDIANI PII  FEL1CIS INVICTI A V G V STI DECVRIA-  LES AEDILIVM PLEBIS C ERI ALI VM  DEVOTI NVM1NI MAIESTATICHE EORVM. Trouafià Roma vn gran marmo antico fcolpitoin otfmzion  honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione del- cibele  Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea coronata d’vna Torre con vn tamburo nella man manca     appoggiato fopra alla fuacolcia,& con la ritta tiene cer-  te fpighe di grano, à federe fui fuo carro tirato da due  liooi,& accompagnata del fuo Atis, che tiene vna palla  in mano, & cappeggiato à vn Pino, come albero con-  F 5  Carro de  la madre del divino, tirato di duo  leoni.     Dichiara-  tionedel'in  fegna de la  madre de  gli Dei.{agrato arale Dea, à caufa della monragnad’Ida, eh ciò  Candia, òdi quella di Frigia, abondantifiime ambedue  diPinij&doue cllac adorata principalmente per Dea,'  & dedicatele le Pine, onde Marciale ha detto di quelle  parlando, Toma fumus Cybeles.   Ma quanto à i due Iioniche tirano il Tuo carro ,co-.  mefcriuc Virgilio,   Et iunBi rerum dominai fubiereleones.  voltano i Greci lignificare, che non fi troua cofi Acrile  terra,chc ben coltiuata,non diuenti fertile & buona. La  torre lignifica leCitta & edifìci j de quali la terra è orna-  taci tamburo la mondezza della terra, benché alcuni  veglino che ciò lignifichi i venti rinchiufiui dentro, &  le fpighe,ch© la terra fola è quella che nutrifee l’huomo.   Figura   u  :• '• :•>  FJG y R A~ DE LA MADRE DE I DEI R I 7 RATTA  del marmo artico, il qual fi vede in Roma ntll’ecchiefa di S.Sebafliano. M. d: M. L ET ATTINIS L. CORNELIVS SCIPIO OREITVS  V. C. AVGVR TAVROBOLIVM  SIVE CRIOBOLIVM , FECIT  DIE IIII. KAL. MART.  TVSCO ET ANNVLLINO COSS.  Cibelt tOf-  riU.     Nell’altra medaglia pure Greca li vede da vn lato  Cibelc torrira,& dall’altro il folgore di Giouc con al-  tre facttc, la quale c tanto vecchia & frulla, che non lì  c potuto cauare alcun fenfo delle parole Greche.   Meda     Vari I nomi  de la madre  dei Dei.     Diana con-  feruatrice,  adorata in  Sieilia. Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in  guifadi madreche nutriteci figlìuoli.la terra limilmcn-  te nutrilcetuttigrhuomini & animali del Mondo, coli  dice Furnuto.I «Greci & Romani le dettono più nomi  & attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc, Cere-  re,^ Terra,Prolcrpina, &fecondo Lucretio, madre delle  beftie. Veda, &Diana:il che li vede & conferma per due  medaglie di bronzo Greche, ncll’vna delle quali c Dia-  na da vn lato con quelle parole, 2 atei p a, & da l’altro  il folgorc,dcdicatole cornea Velia ,& limili parole  x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia battuta dal  Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice.  Nel tempo, che io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc faglie  clonate alcune medaglie d’argento, di quelle, che viti- doro &  inamente furono trouateà Reims, tutte quafi di Seuc- trouute°t  ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t diMacrino. Et per-  chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc  convnfolgorc in mano,& à federe fopra vn  qucflc parole , ind  mi cparfo non fuora  di fotto.     L’vna.     GLIA GRECA.   bronzo. if pino con- L’vna dell altre due medaglie e dì Giulia, nella quale  madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila in compagnia di due lioni & àfc-  Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo di pino in vna mano,   & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia fopra il Tuo tam  buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm.  Il medefìmo rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali  del tutto foni iglianteà quello. ARGENTO. BRONZO. Figuro  MED. DI C. VOLTEIO ARGENTO ANTO. Pio.   BRONZO. p JJ W  Figurornoanchoragl’antichiil lìmulacro di quella  Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘ che  cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta,  due Honi Copra i bracci , & diuerfr animali incorno,  produtei da lei come Dea della Natura, & di più due  ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, & quella  erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot-  to tempo che ella fu ricrouata in vna grotta ancichiflì-  maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra vol-  ta M. Antonio Fantuflì dipintore Romano, la quale io  ho polla nel miolibro de la Natura de gli dèi , per dame  la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte quelle  forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme,  come per il tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamc-  nc:& Virgilio, dichiarandoci che in cielo lì chiamaua  Luna, in terra. Diana,& nell’inferno Profcrpina , coli laf :  ciò fcritto,   Tergeminamque Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx.   Et perche la figuradi Diana, ritratta da vn marmò  antico,!! vedrà meglio nelnollro primo libro dell anti-  chitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro , ma fola-  mence dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i più  ricchi Romani foleuono ogni mefe far facrificio à Dia-  na, mettendo fopra i canti delle llradc della Città, pane  & altre cofe,chcfubito da ipoueri erano leuaje via , co-  me fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la Luna, & Pro-  ferpina fodero vna mcdclima coCa.   Hauendoà baftanza parlato di Diana , & defìderan-  - do venire alladcfcrittionc degli altri Dij, comincieremo  da ^inerita* la quale fccondoi Poeti, nacque.de l capo   diGio Dea di mtura. Diana triforme.  Paufinid.  Virgilio.  Sacrifìcio  fattoi Dia  na fotto il  nome di  He tate.  Ateneo.  MINERVA. di Giouc, pcreflcrcrintcllctto collocato nella certa dell*  huomo.Armaronla oltre à quello gl’antichi d’vno feu-  do, nclqnalcera il capo di Mcdufa,moftradochcrhuo-  mo fauiodcbbecon force animo & intrepido vifo refi-  ftcrc aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc*  ua fopra al morrionc , fignificaua rornamenro di tutte  lefciczc, &cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi  differenti l’vna all’altra, che la Capienza debbe clferefc-  grcta,&l'hafta che ella haucua in mano, che l’huomo  fauio guarda, con fiderà, & batte di lontano & con van-  drdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata (come habbiamo  Mintrtu. detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le tene-  bre il fuolplcndore-.i qualitutti lignificati pare chedcf-  criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua Mc-  tamorfofi, quando dille,   ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis hafiam,   Datgaleam capiti, defendituragide pettus,   ‘PercuJìa'mejuefua fimulàt decufiide ferrarti.   Edere cu mi; accia factum canentis oliua ,   Jrfirartque deos «perù vittoria finis.   Minmu Scriuc Varronc che Mincrua fu quella , che fondò  ie untoti Atcne,& per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt-  i- Atene. r e, che voi dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc   fcriue Fulgentio) la ìapienza non muore mai. Di qui ha  voluto Porfirio dire, che Mincrua none altro che la vir-  tù del fole, mediante la quale lafapienza entra & pene-  tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla  fommkàdcU’aria : però fi vede che i Poeti hanno finto  che Mincrua c vfcitadelcapodiGiouc. I Filici dicono  chela virtùintellccciuaècollocata nel cerucllo deliquio  mo,comc denrroalia principale fortezza del redo del  corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4  cioè Dea della guerra, lignificando chei Soldati debbo- d « * u  no non fidamente edere del continouo armati Spederei- S* frr <-  caci, ma proueduri di configlio: &rprima chccominciarc  vn imprcfa,cdàminarc molto bene le forze del nimico:  quello che confermò anchora Saludio dicendo, che ei  bifogna prima configliarfi,& doppo il configlio, & la  deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo dife-  gno.Lacaufà perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatri-  ce d’Atcnc, è, che dicono che nafccndo difeordia tra lei  & Nettuno, di chi douede porre nome alla Città, gli Dei  fimedono in mezzo per pacificarli, &giudicorno che Ncttu-  qualc di loro due produrrebbe cofa piu vtilc alla detta Vaim  terra, quello le douede dare il nome, per il che pcrcoccn-  do la terra, & facendo nafcerc Nettuno vn cauallo, &   Minerua l’vIiuo,fu fententiato chcl’vliuo, piu che il ca-  uallo fodènccedirio & vtile alla vita humana,& cofi re-  do la Dea vincitrice, con attribuirle l’vliuo & cdcrechia-  mata Pacifera, come fi vede nelle medaglie di M. Aure- vulimit -   Iio,& di Commodo Imperatore. - 4 ut   1 q ncrua.   fT   V 1 t\ e k \l A ,|f I. fi , * . I 1  • "• «f; IM ,1 - f . n  L  M. AVRELIO (ANTONINO (si veda)) COMMODO BRONZO Ttfle di mi Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua ancho-  ra la celcbrationc della fella & giuochi di Minerua,  tjuatria. chiamati Quinquatrij, quali erano, che i fanciulli facen-  do vacationc dalle fcuolc & da gli ftudij porrauono la  mancia ài loro maellri in honore della Dea,come quel  Jache aiutaua la mcmoriarciò che Quintiliano a! 1 1 1. li-  bro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha dichia-  rato, quando ci dice,   'Pallata nunc putrì tener a j ornate p nella:   Qui lene placarit Palla Ja,Jolhuerir.   L’occafione fopradetta della difeordia di Mincrua  nettv- & di Nettuno, pare che mi porgea conuencuolcmare-  « n o. ria di ragionare anchora di quello Dio,il quale (come   il Delfino fcriuc Higinio) fi dipingevi con vn Delfino fotto il  dedicato ì piede 5 ò la "mano mancaappogiataui fopra, hauendo il  nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta , fi come dimollrano i rouefei delle   medaglie di M Agrippa.   M.Agr  M. AGRIPPA BRONZO. Fu Umilmente da gl’antichi dipinto Nettuno con uettunodi  vn Tridente & vna Acroftolia (ornamento antico di  galea) in mano , come fi vede ne rouefei di due mie te cr una  medaglie d’argento, l'vnad’ A ugufi:o,& l’altra di Vefpa*  fiano.douc fono lettere che dicono, neptvno redvci, in fegnodi ringratiare lo Dio del felice ritorno dal-  le imprefe nauali.  Acrojlolta  dagli antichi.  AVGVSTO.  VESPASIANO ARGENTO. G z 100  ut   -inai*  :   vufciiut 4t- Attribuirno parimente grantichiii Tridente a Nct-  mttuno 4 tuno,,n %no dello feettro , & ancho per efl'erc vno in-  perfetttro. frumento molto ncceflario à i marinai, dipingendolo  vna volta pacifico>& vn’altra adirato ,come fi vede per  le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, & la vet-  roria hanuta de Corlali, donc da vii Iato fono lettere,  che dicono, MAGNVS IMPERATOR ITERVM-.&  dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET O  ilARITIMAE EX SENATVSCONSV   MED. DI PO MP  ioi   Io ho tra molte pietre antiche, intagliate di diuerfc Ag<tu <m-  forci, l’Agata di forco figu rata , nella quale è il mcdelìmo  Nettunoà ledere, con vn braccio appoggiato fopra vn tmo*  va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella vna Corniolaanticadicolorcdi rubino, nella quale cvn Nettu-  no fui fuo carro, tirato da due caualli, nel modo , ch’egli tumori-  è anchora figurato in vna medaglia di M. Agrippa con rito dà <a -  lertcrc che dicono aeqvoris me omnipotens. AGATA. CORNIOLO.       M. AGRIPPA.   argento.      . v."“ v - -m *   ....     VA    monete     ioz   N rtttmo i  fiutilo.  La caufa perche glancichi dedicorno il causilo à  Nettuno, fu,perchc ci fu il primo che trouò il modo di  domarli &frenarli, come dice Virgilio nel y.dil'EncidL  / ungir eejuos curru geni tot fumanti a. <jue addir  Frana f'eris ì manilupjue omnes ejfundit babenat.   Fanno vera teflimonanza di quello, ’ Tarcntini, nelle quali da vn lato fi vede Nettuno  uallo,& dall’altro Taras fuo figliuolo fopra vn Delfino.  HÌppOCTé-   tid.   Confutili.     Nettuno in  h entore di  tutte del  tuuigtr.     A iNettunocauanere recionoiKomanjgia vn tem-  pio,comc fi leggein Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar  cadi) il dì della fila fella Higgocratia , fi come gl'antichi  Confualia , nel quale tempo tutti i causili > muli, & mule  non erano in modo alcuno adoperati à rrauagliare,'  madai garzoni di Italia condotti à moftra per tuttala  Città di Roma con la teda coperta di fiori & ornata di  ghirlande con ricchi fornimenti.   Scriuc Diodoro che Nettuno fu il primo che trouò  l’arte del nauigarc& didrizarc vna armata di marc,&   che  '  che per quello ci fu fatto da Giouc Ammiraglio del ma-  re^ di poi adoratocome Dio.Et per le due medaglie,   & vn Niccolo, figurate qui Cotto, vollono glantichi li-  gnificare che Nettuno haucua poflanza tanto in mare Ncttuno ^  quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor- gnordrima  ta & diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi, l’vno  (quale e la terra) ripreientato dinanzi per il cauailo, &  l’altro (qual’ è il marc)difcgnato dietro per la coda in  forma di Delfino.  ANTICO NICCOLO.  Qi CREPERIO. GALLIENO.   Quando i Romani volcuono moftrarc di ringratia-  rcNettuno di qualche vettoriahauuta in mare, lo facc-  uono Scolpire nelle loro medagliedavn lacoconil Tri-  dente^ dall’altro mctteuono vnaVcttoriafulla poppai  d’vnaNaucmel quale modolofcciono già fare Demetrio, Augufto Ccfarc, Vcfpafiano, & Tito fuo figliuolo.  Imp.Rom. MED.DI DEMETRIO.  ARGENTO.  AVGVSTO. VESPASIANO.   ARGENTO. ARGENTO.      Ritor  I  E serv-  ir API a     Machione Ritornando à gl’altri noflri Dij,& loro templi, altari  & fimulachrijdiciamo chcEfculapio Dio della fa nità,fu  il primo chctrouò l’vfo della Medicina, infcgnataglifor  fc prima da qualche Dio flato innazi à lui. Quelli al rem  po di Homero fi vcdcchcnon era anchora flato collo-  cato nel numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta fa  medicare àPconcle piaghe di Marte. Ma quadoci parla  diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama huomo Ma(hégj  figliuolo d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij figliuolo  ncccflarij perla fanità dcllhuomo , & lo fa tato eccellete  in quella arte, che ci dice che rifufcitaua i morti .Dice Lat Stantio.  tantiochc Efculapio nacque di padre & di madrc,chcn6  fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato in mezzo à  vn campo,& trouato da certi cacciatori, fu dato i n guar-  dia à Chironc Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica-  renella quale vfarono dipoi fempregl’antichi fino al tc-  pod’Hippocrate,che la riduflc alla fua perfezionc.L’ha- Kippocratt  birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi Schiauonia, Umdu^a  & dagli antichi chiamata Epidauro,doue ci fucòfiigra- * pnfctno  to, fattogli vn tempio, & vna flarua d’oro & d’auorio per " f *  le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc fcriuc Pau  fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos. ^ef^iuio  Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in nedeiima-  marmo bianco fi vede anchora à Roma,& in molte me  daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla do Eufebio.  Greca, con vn baflonc in mano, & fopra al quale(attor-  cigliato d’ vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella ma-  niera che io l’hò in vn’altra belliffima Corniola, &in  vno Niccolo, ritratti qui di forco al naturale.  G 5     .ori oia/ì     Jr     ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO ANT.  Tornato.     Microbio.  I a Ciuciti  dedicata ì  Efculapio.     Significai™ la fcrpc (fecondo Fornuto) che fi come  quelle fi fpogliano & mutano la icorza, cofi auiehedc  Mcdccichc riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fa-  ttiti, rendendo loro vn corpo nuouo. Altri voglionoche  fi come la ferpe lignifica laprudcza,cofi bifogni al buo  Medico edere prudente circa alia finità d’vna perfona.  Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc fia de-  dicata à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:&  Macrobio dice che quello e, perche la ferpe ha la villa  fiottile, come bifiogna che habbia il Medico nella cura  d’vn infermo, &chc il battone fignifica,chcvn huomo  ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io fiollcnga,  in modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba-  ftonegl’è attribuito, come quello che ^er appoggiarli e  ncccdario à vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata  à Eficulapio la Ciuctta, lignificando che il medico debbe  edere vigilante più la notte che il giorno intorno all'in-  fcrmo.fi come lì vede ne rouefici delle medaghedi Nero  nc,&di Vitcllio.     Nerone.  NERONE. VITE L LrO.  ORO. BRONZO.      Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero vn’I-  foletta à modo d’vna galeotta, cioè larga nel mezzo,lua-  ga due ottani di miglio, appuntata da bado , & piu larga  di fopra, à modo d’vna poppacL’vna naue:la quale Ifola  fu già confagrata à E(culapio,ati!ina,dop-  po che Romolo l’hebbe edificato nel palagio , apprefib  la vettoria hauuta de Sabini, io ti priego d’cllcrc in aiuto  alla Rcpublica & Città diRoma, Stame in tutte le dif-  gratie mie. yltore   P'S      <r 3   Vlcorc fu chiamato, & honorato da Romani come  Marce, per edere l’vno & l’altro vendicatore delle cofe  mal fatte: & in Italia , maTTimamcntc nel territorio Ca-  pouano detto Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r vn Auxun  fanciullctto lenza barba, del qualefcce mentione Vie- Virgilio.  gilio nell’ viij.libro dell’ Encida, quando dille:   Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus aruis  r Pr<efìdet.   Et è ancor Giouc coli (colpito (opra vna medaglia  d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà fede-  re nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nel-  la manca lo fcettro,con vna corona di Quercia, o d’Vlt-  uo,ilchc non ho potutotroppo bene difccrnerc,per la  piccolezza della mcdagliarnondimeno Phornuto affer-  machefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno  di perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, & tiene qual-  che poco del colore cclcltc.   ME DATgTi E DI P ANSAI   ARGENTO. Et Ti     *4  Tempio   d'Augufto  in Alcjptn  ària.      EtlicomcGiouchaucua in Roma (come e dctto)iI  Tuo tempio magnifico , & era chiamato Scruatorc Se  Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile  conlagratofcome fcriuc Filone nel libro della Tua lega-  tioncà Caio Ccfarc) à A uguftoConfcruatorc, chiama-  to hauuto in vcncrationcda i nauiganti.Era   quello grandillimo & altiflìmo tempio pollo innanzi al  Porto,picno di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,& di  flacuc marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento  Se d’oro, con portichi Se loggic per Ilare al coperto, &  palleggiare, & vna libraria accompagnata dagradilEmc  làlc,portali,bofchetti,& lunghe vie, che di lontano por-  geuonofpcranzadi falutc à tutti i nauiganti,che volc-  uono pigliare porto in Alcflandria: benché quali per  tutto il modo foflcro flati dirizati & fatti molti altri tem  pii in memoria d’Augufto & per eternità del fuo nome,  li come li troua nelle medaglie battute al tempo di Ti-  berio, il quale cominciò vn tempio in honorc fuo che  Caligula fornì poi,& Io confagro al fuo nomccon ofH-  cij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il che ei con-  ferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmula-  cro della pietà à federe con vna tazza nella man dritta,  & la fianca ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of  fido pio che Caligula faccuainuerfo i fuoi parenti , con  quelle parole, e. caesar divi avgvsti prone-  POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A  POTESTATE QVARTVM PATER PATR1AE. & poi   quella altra appreflo folamcntc, pietas. Dall’altro Ia-   Sdtrificio to mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio d’Augufto flato ri-  diCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono) tra gli Dci:& nel mezzodi   detto     Librario   b.Uifiinu   d'AuguJlo.     Tempio  tA ugujlo  (omincUto  per Tibe-  rio, cr for-  nito per C4ligula. <r 5  detto tempio vn’altare,fopra al quale c vn Buc,tcnuto  da colui che n’haucua la cura, chiamato Vittimario,con  vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio, teneri  do vna razza nella mano deftra,& dietro alle fpalc vn  miniftro con vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia. AVGVSTO.   ORO.  MED ÀGLI ÒNI DI TIBERIO. Tempio   dkugujlo   reflituito   per A nto~  nino. Comminciando dipoi quello tempio col tempo à  rovinare, Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi come h ve-  de per le Tue medaglie d’argento, d’oro, & di bronzo,  douc fono lettere che dicono .templvm divi  avgVsti restitvtvm. Ne contento di qucfto,  ne fece fare vn’altroad Adriano fuo predcceflbrc,comc  ricordeuolc de benefici), che haucua riccuuti da lui.   Anto   c-j  ANTONINO PIO.   BRONZO. Oltre à quelli templi , furono anchora fatti molti  altari in honored’Augulto, per moftraremaggiormen- imiti de  te, & per diuerfe vie la fua eternità con quelle parole,  providentia, hauendo quei Romani quella vana  opinione, chela deitàd’Augullo potcflèloro concedere  tutto quello,dichehaueuonobifogno per laucnire.  tu»-,   -ilKrTivb'Jì  E coli per tutte l’altre medaglie de gli Imperatori;  che erano (lati à modo loro deificati, folcuono gl’anti-  chi (colpire quelli altari in legno della loro deificatione-. Deferivo* Scriuc Apulco nel dogma di Platone , chela proui-  XkJu denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc mantie-  ne femprcfelice colui,checlla piglia vna volta iti cura:  & altri hanno detto che folamenteriguardaua Se pcnlà-  Dtuodi uaalIecofeaucnire:ma i dannati Epicuri£al(amcntecre-  zpÙHro. deuonochcDio non haueflc alcuna cura de mortali.  Ond’io à propofito di quella Prouidenza mi ricordo ha-  uerctra molte altre pietre intagliate, cheiofcrboin ho-  nore dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita vna  vtformU* formica con tre fpighc in bocca,fignificatricc della Pro-  K de Polii- uidenza-.la quale pietra fu altre volte trouata ne i fonda-  de*K4. menti d’vna delle torri cheio ho fatte farcnclla mia cafa   della Maddalena, che per edere cofa anttchitfìma & rà-  ra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto al naturale. Diafpro.  Et perche Plotina ha già comporti in 4. libri della  Prouidenza, inoltrando che tanto le piccole come le  grancofe cranogoucrnate per il Dio di natura, io rimet-  terò il lettore à quella lcttione,& ritornando al propoli -  to mio, dico chegl’antichi riputorno la Prouidenza per  Dea, come anchora ha inoltrato Cicerone nel libro del-  la naturadegli DcijOndcpcrla Tua figurabile clafem-  bianzad’vna matrona ftolata , ò velata & dritta , che in  vnamano hàlolccttro,&con l’altra moftra vn globo,  chcgli Ita à piedi, pare che voglia lignificare che la Pro-  uidenza goucrna tutto il mondo, come vna buona ma-  dre di famiglia, nel modo, che nelle loro medaglie la fi-  gurorno (benché con diuerlì atti) Traiano & Pertinace  Imperatori. r. ;• -  fiorini.  PROVIDENZA. Cietront.   'V ' >     r !  Alcuni altri Imperatori, comeTito, la fecionodipin  gereconvntymone& vn globo, inoltrando come ella  gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per vna  filetta di Giouc accompagnata da molte altre. A leda n-  droScucroper vn vaio pieno di fpighe,& Probo & Fio  riano per vna fcminaftolatacon vn globo in mano,vn  fccttro &vn Corno d’abbondanza.     rrouidtnz'*  diuerfmen  tc pinta da  antichi. Caracal Ei mi parrebbcinuano affaticare ,fc io non auertiflì  0 « lettore della pazza fuperftitionc de gli aderbi Roma  ni,i quali durante la vita de i loro Imperaton, o buoni,  o catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo non lalciauonodi  fare loro templi,ttatue & altari , & doppo la morte di  lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi dibuo  ni Principiai fondatori di pace, & (non ottante che ha -  ueflino maltrattato il Scnato,& Popolo Roman o)di re   E 4     CONSECRATIONE   V<tra f a .   flit ione  ir Romani  nel fanttfi-  tar loro imperatori. FLORIAN A  S S. MAMMEAT  BRONZO.  ftauratori della Città di Roma, fteome auenne di Lu-   cio Settimio Scuero,il quale oltre aireflcrehuomobar-  baro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto pcr-  ucnnealla dignità deilTmpcrio, ingannò & tradì Clodio Albino gcntilhuomo Romano per venire à capo  dei fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì & fece dare  più per paurache per volontà dal Senato Romano tùt-  ti i titoli di buono Imperatore.  S   ARGENTO  Ma che diremo noi di quello Monftro di Natura co-  minciato & non finito,il quale doppo la fua morte fu  connumerato daRomaninelnumerodei buoni Dei,&  del quale foleuadirc Nerone, che l'haueua fatto auelc-  nare, che egli era ftato fatto Dio p c r mezzo del boccone  d’vn fungo?   clodio;     ORO. E per contrario furono i buoni Principi, di T raiano,  Antonino Pio,& Marco Aurelio, che per le loro virtù &:  buoni coftumi,mcritarono d’cflcre chiamati ottimi Impcratori,& canonizati,fe lecitaméte fifolfc potuto ciò fa  re. Trai quali è pur degno d’clTcrc Tempre nominato&  ricordato il nome d Antonino Pio , lolito dire che piu  tofto volcuacolcruarc &faluare la vita d vn Cittadino,  che ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £ Antonino  piena di pietà & degna d’vn buono Imperatore, come  cglicra,&:comclo chiamòil Senato, facendoli dirizarc  come à Traiano, vnaColonna,& Templi nel modo che £ Antonino  fi vede qui di fono.    amo moftraco cornea! tempo anticogli   ucrrdctì Inipcratorieranoconfngrati,&diuentauonoDijdoppo   ^TLi ]aI . 0r ° m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al-  tio di ttm - rar * * n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli ficdegl’agncl-'  & Reonfegnado loro Sacerdoti & Flammini nel modS che  di Celare A ugufto ha già fcrirro Prudcnrio^diccndo:  Prudenti». Hunemorem V ererum docili Um aiate fejnuta  ? olì eritas t men fa t atque adytit } & fiamme^ tris ANTONINO PIO.   BRONZO.  ON. PIO BRONZO. Uuguft   AuguJlum col nitritalo placa uù tgd agno:   Strafa ad puluinar iacuit, refj>onfa popofcit.   Tcjlantur tituli,prod»nt confulta Scnatus  Cafareum louis ad ) fecitm Jlatuentia templum.   Equanto al reità della conftgratione , chiamata da  Greci & della quale ha le ritto minutamente He   radiano al vij.capitolo del iii j.Iibro,mi è parlo non fola-  ménrc di figurarla cjui fottoal naturale, ritratta dalle me-  daglieantiche d’Antonino Pio,& dt M. Aurelio, ma tra-  durla in volgare,pcr maggiore intelligenza del lettore.   ANTON; Pia M- AVRELIOl BRONZO BRONZ O. c   Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte lo-  ro tuttiquclli Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli  heredi dell' Imperio, in quello modo penlando efTcre ri--  ceuutr nel numero de loto fallì DijrEa Citta tiftta vcftita  abruno,&picna di dolore &di lamenti, folennemente  fatta fàrcvnaimaginediccra limile al morto Imperato  re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato in  alto aU’cntrarc del palagio Imperiale. Era quello letto  coperto di prctiofì panni d’oro &dcntroui quella ima-   gine  Erodiano. b o«».f  W «HV    Ccrimonù  de Roma*  nella mori  de loro l«  fe rotori. ginc pallida àguifa quali di ammalato Imperatore/! ri-  polaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i Senato  ri vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno dimo  rauono.Et dal lato deliro tutte le Donne Romane, cias-  cuna fecondo ladignità & grado dcloro padri,ò mariti,. fenza ornamento alcuno d’anelli, maniglie, ò catene  d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco leggicrmetc(qualì  come portano in tal calo le getildonne in Francia)# tue  te piene di maninconia. Durauono quelle cerimonie  vij.giorni,nel qual tempo i Medici ogni giorno s’apprcf  fauonóalla bara, fingendo di toccare il polfo all’amma-  lato,# mollrando che gli andaua fempre peggiorando.  Ma fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i primi  letto i Up4 Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo nel  YtZ'ZÌ? ^ av ‘ a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i Magillrati  tutori Romani Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i loro.  officij.Erano in quello luogo da due lati fatti certi pal-  chi con ilcalc,dai’vn de quali tutti i piu nobili giouani &  patritij Romani, & dall’altro le piu illullri donne canta-  Himi tan- uonoHynni & Cantici Iamctcuoli# pietofi,nelmodo,  tati nette po che s’vla ncllcpópe funebri. Dopo quello i Senatori di  pt funebri. nuouo fa lcuauono la bara fullc Ipallc, &la portauono  fuora della Città in vn luogo chiamato il capo di Mar-  te,douecravn tabernacolo quadro fatto di gradirmi  legni fcccjii,& ripieno di fcrméti.di paglia, & di falcine,  & di fuora riccamctc adorno di cortinclauorarc d'oro,  di flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque  Ho tabernacolo n’era vn altro lìmile,ma piu piccolo,&  riccamente acconcio come l'altro,cccetto che haueua le  porte & le fincllre aperte, & coli di mano in mano mótaua  H77   tauapiù alto nel mcdclimo modo fempre diminoedo.  Potrebbe!! quella ftruttura ailbmigliarc à certe Torri  fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da moderni,   Fanali, dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu TJnaU  mi perfarefeorta a inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati  to letto fopra al fecondo ftaggio.quiui fpargcuono gra-  dequantitàdi fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, &  d’vngucnti odoriferi di tutte leparri del Mondo, facen-  doqualì à gara di chi più , ò meglio, porc/Tc honorare,   & fare quello vltimo prefente al loro Imperatorc.Fat-  to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa intorno  al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé  Pyrricada gli antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 '  ceuono il mcdelìmo i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i  carrettieri erano vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi-  lì,con mafchcrc fomiglianti à i Capitani , & principi che  haueuonogià fcruito il morto Imperatore. Et con finite  tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre all’-  Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il  fuoco nel Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al-  trhpoidi mano, in manoùl quale per la materia tato fec-  ca,& le cofc vnte deprofumi, & olij profumati, leuaua { j, e   fubito le fiamme in alto,pcr mezzo lequali, vfcitavn’ A- t*   quila viua del minore & più alto Tabernacolo, fc n’an- «  daua volando in verfo il cielo , quiui di terra portando i cieli  (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql me  delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale  poi coli adorauono come Dio,& gli faccuono altari &     templi, come e detto di fopra.     » C rwr,-*  r-’ìRtn  M. AVRELIO. FAVSTINA 4U«  tu 1 PERTINAX BRONZO FAVSTINA ARGENTO Crédcuono i Romani qiicfto mi fieri o non Iblam  elfere vcro,ma molti giurauono hauerc veduto vfeire  del fuoco l’anima dell Imperatore , & altri pagauono  huomini à polla per confermare coli fatta bugia, diccn -  do che l’Axjuila di Gioue l’haucua portata in Ciclo, &  coli ecco in cheniodofu anchora canonizato Seucro  lottizzo* collocato nel numcrodegli Dei, inlìcmccon moltialrri  Imperatori & Imperatrici ch’elPopo.Ro. fece fàlir per   forza      COM     forza alciclo nel medefimo modo che Scucro. Ma ri -  tornando alla materia de noftri templi, doppo haucrc  fcritto de i più trionfanti di tu tti,cioc,di quello di Giouc  Capitolino , di quel d'Augufto à Roma&in Alcflan-  dria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci reftai vede- Tempio «K  rcil marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba edifica ^j c pg %  rione del quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,& Repu  blichc dell* Alia maggiore, contribuendo ogniuno per  lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di religionc,qua'n-   tunquepcr Ja fuagrandezza folle a pena tornito in CC.  anni,& fondato rifpetto a i tremuoti in vn Pantano, tal-  mente che ci fu connumcrato per vno dei lette miracov  li del Mondo, & di poifcolpito in piu medaglie di di-  ucrfi Imperatori. CLAVDia  ARGENTO stnr. Ma pcrcbeil fimulacro interodi Diana,qualc era nel   Àmpio degli Efcfij,nonfi. può interamcce {cingere nel  le med agliedi pi ntedi fo p ra,mi cpàrfódi farlo-hilthopa  di nuouo ritrarre qui di fotto nel modo , che io ihoirt  e ” due     '.Ikimfc  K.OII     8o DELLA RELtGIO   due medaglie Grechc,l’ vna di C5modo,S: l aura a nntonino Pio , nell'vna delle quali e Icritto aptemhx  e «• exian , cioè, Diana degli Efelìj , & nell’altra quella  l ola parola, e « e s i a spedendo tutte l’altrc lettere perdute.  ANTOM. PIO COMMODO.  BRONZO. Dtfcrizìon  del tempio  di Diana.     Era la lunghezza di quello tempio ccccxxv. piedi,  & la larghezza e e x x. ornato di e x x v 1 1 . colóne, ogniu-  naalta lx. piedi, & nondimeno fu abbruciato da quel-  lo fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli hau  ua fatto qualche cofa degna di mctporia:bcnche di poi  fu rillaurato & rifatto anchora piu bello da Dinocratc,  Celebrati!) Architettore d’Alellandro Magno. Quiui aduque lolc-  cUDianf* L, ono ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la fella di Diana, trouarlì tutti i giouani ,& fanciulle , vergini del  paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò lìmaritauono iUcrne?   Il fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo le fue  dignità & qualità dipinto & figurato da gli antichi in di-  uerfe manierc,lt come ella fu pariméte chiamata perdi;  JSSL. uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera tutta pie-  na, la dilegnauono per la lua chiarezza con vno tor-  chio  v  8x  chioaccelo in ambedue le mani, come fi vede nelle mc-  dagliedi GiuliaPia, moglie di Seuero Imperatore, con  lettere chedicono, di an a lvcifera.     GIVLIA PIA.  argento. BRONZO. Et per inoltrare anchora meglio che Diana &la LlT-  na eranoinqucl tempo vna mcdefimacofa,ioho fatto  qui mettere vn'altra medaglia di brózo della mecfefima  Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo  carro tirato daducccruic, chcfignificauono checll'cra  Dea della caccia, quantunque l’interprete d’Arato hab-  bia detto che quello fignificaua la fila leggerezza. Ma  quadogl’antichila figurauono poico vnolpiedcinma  no,& vn ccruio apprcfio,voleuono lignificare che cac-  ciando, ella pigliaua & ammazzauai ccrui pcrforza,no  minadola »^óa«c, & per memoria che ella era la prima   cacciatricc,fofpcndcuono le corna de cerui dinanzi al  fuò tepio.DclIa quale cofahauendo affai à baftazadif-  corfo nel libro , che per comandamento di fua Maefli  iohò fittodella naturadc giammai! ferochpcrò rimette  rò il lectorcà vederne quello, chcion’hò quiui trattato.    MED AGLI E D’H OSTILIO.   ARGENTO.Trouanfi anchoradelle medaglie , doue Dinnac di-  pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in legno che ella foleua  ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro rcflimoniolamc  daglia di Gcta Triumuiro, nella quale da vn lato è fcol-  pita la tefta di Diana , & dall’altro vn cinguialc , ferito  d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane appreffo. GETA TRIVMVIR Quando i Romani figurauono Diana cacciatrice,  ordinariamente la folcuono accópagnared’vn turchaf-  fo,d’vn , arco,& di frccciccon vn cane da ghignerei fc -  gugio,(cnzaraiiirode quali non fi può cacciarci come  mortra la medaglia qui di lotto. med 7 ~d f C~P OSTVMO ARGENTO Ma nelle medaglie d’Augurto fi vede vna volta Dia-  na figurata tutta ritta in habito virginale, con l'arco in  vna mano , & con l’altra /opra al turcharto, facendo le-  gno di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel mezzo lette-  re, che dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sici-  x.i a. & altre che dicono , im perator vNDEciEs.Et L  nel rouefciod’vn altra fi vede con la velie alzata, vnar- sthukitl  co in vna mano , & nell’altro vno fccttro, vn can da giu- *  gnerc,& gli rtiualcrti infino à mezza gamba , colà prò- £ 1  pria per lei come cacciatrice, &i quali daPolluccfono An<lro »”-  ftati Endiomidi chiamati. des ' AVGVSTO. Tra cucce le medaglie d oro, che fanno ìjjj.furnorro  uaccàTolofa, & rraquelleche mi vennero nelle mani,  io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di Diana,  col Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn tempio, nel cui  mezzo c vn trofeo naualc,in cima al quale è vna celata  antica:& della prua della natte, c fitto vn tronco come  vno Itile con due rami, vno riuclliro d’vna corazza, & da  l’altro pendono due dardi & vna rotelIa:& à pie del tron  co è vn Ancora da vn lato,& vn timone da J aItro,in le-  gno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc Augu-  ro racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al frontilpi-  Tri gSbe, c *° ^ mc J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con  impresici lettere che dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì fignifi-  UsùiU can do che Augullo ringratiaua Diana della vettoria  hauutadc nimici Tuoi.   - av   AVGVSTO.     Et nc rouefci delle medaglie battute in honoredt Mar  cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due mani lebrato in  prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s *” a *-  ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl te-  foro portatone à Roma,iI quale-fu {limato tanto, quan-  to quello che i Romani cauorno di Cartagine. MAJICELLINO,. BRONZO..  Animali  tonfatati  i Diana.     Solcuono gl antichi placare Diana imolando la cer-  iliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali confècrati  lei, fi come tcftimoncranno le medaglie Latine &  chc,che io ho fatto ritrarre qui di lotto.     FILIPPO.   BRONCO.  Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1. libro della fua Cofmògra  to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra fondato nclflfola d’Icaria &  polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh ni. della quinta  Decade , lo chiamò parimente Tauropolum , & Tauro poli*  i ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondime-  no nel fuo libro de Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia  mataTauropoU dalla regione, ma dalla quantità de tori,  ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però detta  dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia Gre   ca qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i-   IÓN DAMASI AZ.   MED f     vi.  MEDAGLIA GRECA D I DIANA ARGENTO Chequcfto fiavcro,& che Diana Ila (lata chiamata  TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij dal toro che l’era  confagrato,come il cane, dimoftra anchora Diodoro  nel iti. libro, douc parlando della Rcina delle Amazo-  nc dice, che ella faceua ogni giorno cflcrcitarc le Tue ver-  gini allacaccia, acciò chcpiu facilmente tollcraflino il  difagio dcllarme & della guerra , facendo le fare vn cer-  to facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’ Autori  tanto Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no  mi Tdurouoliumjduropolum, & Tauropobolum, & malli me  Suidane i Collcttanei, chiamando Diana Tduroholosfal  Toro(quello che anchora conferma Euftathio) il quale  l’era facrificato, come fi vede nella medaglia d’argento  ' d’ Aulo Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato Diana  con vna luna in teda, l’arco & il turcafTo:& dall'altro il fa  orifìcio del toro, nel modo, che fi vede qui di fotro.   F 4 Sacrifìci»  di Diati»  ordinato  da la regi,  na deli a-  mazonc.     Diana chi»  mata Tau-  robolos .     tttJICi   : v ni'   A VLO PO STHVMO. - ARGENTO. eia, & ma/firneàLettora,doue fe nc vede grandi/fim»  Tùtro gì - quantità, donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto Se  deVanuZ g ranc * c amatore delle cofc antiche, fi conofcechcifacri-  ti ficij fatti anticamente da i facendoti alla madre degli Dij  congrande apparecchio,crano chiamati TAuroj>olium&  •>- • altre volte Taurtuolium , &non folamente à Diana   Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo maflìmamente  credere àSuidas: benché di coli fatti fiicrificij io habbia,  aliai diftefamete fcritto negli Epigrammi, che io hò rac-'  colti di tutta la Francia.  'a • ; ' b - •• t . * e* V. ... LeBor* inpropugrutcttlo \rbis.   matri devm pomp. philvmenae   t*VAE PRIMA EECTORAE TAVROBOIIVM  F e e r T. .   tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna piccola chiefa di S. Tomafo  giuu mezza rouinata nella medefima terra, vn’altro epitaffio   in vna      S*   hi vna colonna, che regge l’altare grande, per il quale fi  conolce che i Decurioni di quel tempo , cioè gouucr-  torì della Tcrra,feciono il facrificiodi Tauropolium alla  madre degliDij per la falutc diGordiano Imperato-  re, & di Sabina Tranquillina Tua moglie. In facelle D.Thanutnunc diruto in columna i   aitarli vijìrur. 1   PRO SALVTE I MP. ANTONINI GOR- <   DI ANI PII FEL AVGV. TOTIVSCHE^  DOMVS DI VI N A£, PROQVE STATV C li  V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT  ÒRDO LACT. D. N. GORDIANO II. ET  POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- "  RANTIB. M. EROTIO ET FESTO CA- »   NINIO SACÈRD. Di quella Sabina Tranquillina ho io veduto altre  yolte yna medaglia d’argento, & vno Epitaffio fatto in  quello modo,   FVRIAE SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE  SANCTISSIMAE A V G. CONIVGI DOMI-  NI N. M. ANTONINI GORDIANI PII  FEL1CIS INVICTI A VG V STI DECVRIALES AEDILIVM PLEBIS CERI ALI VM  DEVOTI NVM1NI MAIESTATICHE EO-  R VM.     Trouafià Roma vn gran marmo antico fcolpitoin otfmzion  honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione del-  cibele  Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea co-  ronata d’vna Torre con vn tamburo nella man manca appoggiato fopra alla fuacolcia,& con la ritta tiene cer-  te fpighe di grano, à federe fui fuo carro tirato da due  liooi,& accompagnata del fuo Atis, che tiene vna palla  in mano, & cappeggiato à vn Pino, come albero con- F 5 9Carro de  la madre del divino, tirato di duo  leoni. Dichiara-  tionedel'in  fegna de la  madre de  gli Dei. {agrato arale Dea, à caufa della monragnad’Ida, eh ciò  Candia, òdi quella di Frigia, abondantifiime ambedue  diPinij&doue cllac adorata principalmente per Dea,'  & dedicatele le Pine, onde Marciale ha detto di quelle  parlando,   Toma fumus Cybeles.   Ma quanto à i due Iioniche tirano il Tuo carro ,co-.  mefcriuc Virgilio,   Et iunBi rerum dominai fubiereleones.  voltano i Greci lignificare, che non fi troua cofi Acrile  terra,chc ben coltiuata,non diuenti fertile & buona. La  torre lignifica leCitta & edifìci j de quali la terra è orna-  taci tamburo la mondezza della terra, benché alcuni  veglino che ciò lignifichi i venti rinchiufiui dentro, &  le fpighe,ch© la terra fola è quella che nutrifee l’huomo. Figura : -  FJG y R A~ D E LA MADRE DE I DEI R I 7 R ATTA  del marmo artico, il qual fi vede in Roma ntll’ecchiefa di S.Sebafliano.  M. d: M. L ET ATTINIS     L. CORNELIVS SCIPIO OREITVS  V. C. AVGVR TAVROBOLIVM  SIVE CRIOBOLIVM , FECIT  DIE IIII. KAL. MART.  TVSCO ET ANNVLLINO COSS. Cibelt tOf-  riU. Nell’altra medaglia pure Greca li vede da vn lato  Cibelc torrira,& dall’altro il folgore di Giouc con al-  tre facttc, la quale c tanto vecchia & frulla, che non lì  c potuto cauare alcun fenfo delle parole Greche.   Meda Vari I nomi  de la madre  dei Dei.     Diana con-  feruatrice,  adorata in  Sieilia.     Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in  guifadi madreche nutriteci figlìuoli.la terra limilmcn-  te nutrilcetuttigrhuomini & animali del Mondo, coli  dice Furnuto.I «Greci & Romani le dettono più nomi  & attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc, Cere-  re,^ Terra,Prolcrpina, &fecondo Lucretio, madre delle  beftie. Veda, &Diana:il che li vede & conferma per due  medaglie di bronzo Greche, ncll’vna delle quali c Dia-  na da vn lato con quelle parole, 2 atei p a, & da l’altro  il folgorc,dcdicatole cornea Velia ,& limili parole  x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia battuta dal  Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice.    Nel tempo, che io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc faglie  clonate alcune medaglie d’argento, di quelle, che viti- doro &  inamente furono trouateà Reims, tutte quafi di Seuc- trouute°t  ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t diMacrino. Et per-  chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc  convnfolgorc in mano,& à federe fopra vn  qucflc parole , ind  mi cparfo non fuora  di fotto. L’vna. GLIA GRECA. bronzo. V «A  » if pino con- L’vna dell altre due medaglie e dì Giulia, nella quale  madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila in compagnia di due lioni & àfc-  Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo di pino in vna mano,   & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia fopra il Tuo tam  buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm.  Il medefìmo rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali  del tutto foni iglianteà quello. ARGENTO.     BRONZO.     Figuro MED. DI C. VOLTEIO.   ARGENTO.; ANTO. Pio. BRONZO. p JJ W DE GL’ANTICHI DOMANI.   Figurornoanchora gl’antichiil lìmulacro di quella  Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘ che  cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta,  due Honi Copra i bracci , & diuerfr animali incorno,  produtei da lei come Dea della Natura, & di più due  ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, & quella  erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot-  to tempo che ella fu ricrouata in vna grotta ancichiflì-  maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra vol-  ta M. Antonio Fantuflì dipintore Romano, la quale io  ho polla nel miolibro de la Natura de gli dèi , per dame  la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte quelle  forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme,  come per il tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamc-  nc:& Virgilio, dichiarandoci che in cielo lì chiamaua  Luna, in terra. Diana,& nell’inferno Profcrpina , coli laf :  ciò fcritto,   Tergeminamque Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx.   Et perche la figuradi Diana, ritratta da vn marmò  antico,!! vedrà meglio nelnollro primo libro dell anti-  chitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro , ma fola-  mence dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i più  ricchi Romani foleuono ogni mefe far facrificio à Dia-  na, mettendo fopra i canti delle llradc della Città, pane  & altre cofe,chcfubito da ipoueri erano leuaje via , co-  me fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la Luna, & Pro-  ferpina fodero vna mcdclima coCa.   Hauendoà baftanza parlato di Diana , & defìderan-  - do venire alladcfcrittionc degli altri Dij, comincieremo  da ^inerita* la quale fccondoi Poeti, nacque.de l capo   diGio Dea di mtura. Diana triforme.  Paufinid.  Virgilio.  Sacrifìcio  fattoi Dia  na fotto il  nome di  He tate.  Ateneo.     MINERVA.      di Giouc, pcreflcrcrintcllctto collocato nella certa dell*  huomo. Armaronla oltre à quello gl’antichi d’vno feudo, nclqnalcera il capo di Mcdufa,moftradochcrhuo-  mo fauiodcbbecon force animo & intrepido vifo refi-  ftcrc aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc*  ua fopra al morrionc , fignificaua rornamenro di tutte  lefciczc, &cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi  differenti l’vna all’altra, che la Capienza debbe clferefc-  grcta,&l'hafta che ella haucua in mano, che l’huomo  fauio guarda, con fiderà, & batte di lontano & con van-  drdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata (come habbiamo  Mintrtu. detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le tene-  bre il fuolplcndore-.i qualitutti lignificati pare chedcf-  criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua Mc-  tamorfofi, quando dille,  ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis hafiam,   Datgaleam capiti, defendituragide pettus,   ‘PercuJìa'mejuefua fimulàt decufiide ferrarti.   Edere cu mi; accia factum canentis oliua ,   Jrfirartque deos «perù vittoria finis.   Minmu Scriuc Varronc che Mincrua fu quella , che fondò  ie untoti Atcne,& per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt-  i- Atene. r e, che voi dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc   fcriue Fulgentio) la ìapienza non muore mai. Di qui ha  voluto Porfirio dire, che Mincrua none altro che la vir-  tù del fole, mediante la quale lafapienza entra & pene-  tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla  fommkàdcU’aria : però fi vede che i Poeti hanno finto  che Mincrua c vfcitadelcapodiGiouc. I Filici dicono  chela virtùintellccciuaècollocata nel cerucllo deliquio   mo,comc denrroalia principale fortezza del redo del  corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4  cioè Dea della guerra, lignificando chei Soldati debbo- d « * u  no non fidamente edere del continouo armati Spederei- S* frr <-  caci, ma proueduri di configlio: &rprima chccominciarc  vn imprcfa,cdàminarc molto bene le forze del nimico:  quello che confermò anchora Saludio dicendo, che ei  bifogna prima configliarfi,& doppo il configlio, & la  deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo difegno. Lacaufà perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatri-  ce d’Atcnc, è, che dicono che nafccndo difeordia tra lei  & Nettuno, di chi douede porre nome alla Città, gli Dei  fimedono in mezzo per pacificarli, &giudicorno che Ncttu-  qualc di loro due produrrebbe cofa piu vtilc alla detta Vaim  terra, quello le douede dare il nome, per il che pcrcoccndo la terra, & facendo nafcerc Nettuno vn cauallo, &   Minerua l’vIiuo,fu fententiato chcl’vliuo, piu che il ca-  uallo fodènccedirio & vtile alla vita humana,& cofi re-  do la Dea vincitrice, con attribuirle l’vliuo & cdcrechia-  mata Pacifera, come fi vede nelle medaglie di M. Aurevulimit -   Iio,& di Commodo Imperatore. 4 ut 1 q ncrua.   fM. AVRELIO (ANTONINO (si veda)) COMMODO.   BRONZO.  Ttfle di mi Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua ancho-  ra la celcbrationc della fella & giuochi di Minerua,  tjuatria. chiamati Quinquatrij, quali erano, che i fanciulli facen-  do vacationc dalle fcuolc & da gli ftudij porrauono la  mancia ài loro maellri in honore della Dea,come quel  Jache aiutaua la mcmoriarciò che Quintiliano a! 1 1 1. li-  bro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha dichia-  rato, quando ci dice,   'Pallata nunc putrì tener a j ornate p nella:   Qui lene placarit Palla Ja,Jolhuerir.   L’occafione fopradetta della difeordia di Mincrua  nettv- & di Nettuno, pare che mi porgea conuencuolcmare-  « n o. ria di ragionare anchora di quello Dio,il quale (come   il Delfino fcriuc Higinio) fi dipingevi con vn Delfino fotto il  dedicato ì piede 5 ò la "mano mancaappogiataui fopra, hauendo il  nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta , fi come dimollrano i rouefei delle   medaglie di M Agrippa.   M.Agr  IM.  AGRIPPA. BRONZO. Fu Umilmente da gl’antichi dipinto Nettuno con uettunodi  vn Tridente & vna Acroftolia (ornamento antico di  galea) in mano , come fi vede ne rouefei di due mie te cr una  medaglie d’argento, l'vnad’ A ugufi:o,& l’altra di Vefpa*  fiano.douc fono lettere che dicono, neptvno redv-  ci, in fegnodi ringratiare lo Dio del felice ritorno dal-  le imprefe nauali.  Acrojlolta  dagli anti-  chi. AVGVSTO. VESPASIANO.   ARGENTO. G z  100 ut inai*  : vufciiut 4t- Attribuirno parimente grantichiii Tridente a Nct-  mttuno 4 tuno,,n %no dello feettro , & ancho per efl'erc vno in-  perfetttro. frumento molto ncceflario à i marinai, dipingendolo  vna volta pacifico>& vn’altra adirato ,come fi vede per  le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, & la vet-  roria hanuta de Corlali, donc da vii Iato fono lettere,  che dicono, MAGNVS IMPERATOR ITERVM-.&  dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET O  ilARITIMAE EX SENATVSCONSV   MED. DI PO MP      ioi   Io ho tra molte pietre antiche, intagliate di diuerfc Ag<tu <m-  forci, l’Agata di forco figu rata , nella quale è il mcdelìmo  Nettunoà ledere, con vn braccio appoggiato fopra vn tmo*  va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella vna Cor-  niolaanticadicolorcdi rubino, nella quale cvn Nettu-  no fui fuo carro, tirato da due caualli, nel modo , ch’egli tumori-  è anchora figurato in vna medaglia di M. Agrippa con rito dà <a -  lertcrc che dicono aeqvoris me omnipotens. AGATA. CORNIOLO  M. AGRIPPA argento.  v."“ v - -m *   .VA  monete     ioz     N rtttmo i  fiutilo.  La caufa perche glancichi dedicorno il causilo à  Nettuno, fu,perchc ci fu il primo che trouò il modo di  domarli &frenarli, come dice VIRGILIO (si veda) nel y.dil'EncidL / ungir eejuos curru geni tot fumanti a. <jue addir  Frana f'eris ì manilupjue omnes ejfundit babenat.   Fanno vera teflimonanza di quello, ’ Tarcntini, nelle quali da vn lato fi vede Nettuno  uallo,& dall’altro Taras fuo figliuolo fopra vn Delfino.  HÌppOCTé-   tid.   Confutili. Nettuno in  h entore di  tutte del  tuuigtr. A iNettuno cauanere recionoiKomanjgia vn tempio,comc fi leggein Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar  cadi) il dì della fila fella Higgocratia , fi come gl'antichi  Confualia , nel quale tempo tutti i causili > muli, & mule  non erano in modo alcuno adoperati à rrauagliare,'  madai garzoni di Italia condotti à moftra per tuttala  Città di Roma con la teda coperta di fiori & ornata di  ghirlande con ricchi fornimenti.   Scriuc Diodoro che Nettuno fu il primo che trouò  l’arte del nauigarc& didrizarc vna armata di marc,&   che     D E GL’ ANTICHI ROMANI. 103 '  che per quello ci fu fatto da Giouc Ammiraglio del ma-  re^ di poi adoratocome Dio.Et per le due medaglie,   & vn Niccolo, figurate qui Cotto, vollono glantichi li-  gnificare che Nettuno haucua poflanza tanto in mare Ncttuno ^  quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor- gnordrima  ta & diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi, l’vno  (quale e la terra) ripreientato dinanzi per il cauailo, &  l’altro (qual’ è il marc)difcgnato dietro per la coda in  forma di Delfino.  ANTICO NICCOLO.   Qi CREPERIO. GALLIENO Quando i Romani volcuono moftrarc di ringratia-  rcNettuno di qualche vettoriahauuta in mare, lo facc-  uono Scolpire nelle loro medagliedavn lacoconil Tri-  dente^ dall’altro mctteuono vnaVcttoriafulla poppai  d’vnaNaucmel quale modolofcciono già fare Demetrio, Augufto Ccfarc, Vcfpafiano, & Tito fuo figliuolo.  Imp.Rom. MED. DI DEMETRIO. ARGENTO. AVGVSTO. VESPASIANO.   ARGENTO. ARGENTO.      Ritor   I  E serv-  ir API a Machione DE GL’ ANTICHI ROMANI. 105  Ritornando à gl’altri noflri Dij,& loro templi, altari  & fimulachrijdiciamo chcEfculapio Dio della fa nità,fu  il primo chctrouò l’vfo della Medicina, infcgnataglifor  fc prima da qualche Dio flato innazi à lui. Quelli al rem  po di Homero fi vcdcchcnon era anchora flato collo-  cato nel numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta fa  medicare àPconcle piaghe di Marte. Ma quadoci parla  diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama huomo Ma(hégj  figliuolo d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij figliuolo  ncccflarij perla fanità dcllhuomo , & lo fa tato eccellete  in quella arte, che ci dice che rifufcitaua i morti .Dice Lat Stantio.  tantiochc Efculapio nacque di padre & di madrc,chcn6  fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato in mezzo à  vn campo,& trouato da certi cacciatori, fu dato i n guar-  dia à Chironc Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica-  renella quale vfarono dipoi fempregl’antichi fino al tc-  pod’Hippocrate,che la riduflc alla fua perfezionc.L’ha- Kippocratt  birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi Schiauonia, Umdu^a  & dagli antichi chiamata Epidauro, doue ci fucòfiigra- * pnfctno  to, fattogli vn tempio, & vna flarua d’oro & d’auorio per " f *  le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc fcriuc Pau  fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos. ^ef^iuio  Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in nedeiima-  marmo bianco fi vede anchora à Roma,& in molte me  daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla do Eufebio.  Greca, con vn baflonc in mano, & fopra al quale(attor-  cigliato d’ vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella ma-  niera che io l’hò in vn’altra belliffima Corniola, &in  vno Niccolo, ritratti qui di forco al naturale. G 5 .ori oia/ì  Jr     ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO ANT. Tornato. Microbio. I a Ciuciti  dedicata ì  Efculapio. SIGNIFICA i™ la fcrpc secondo Fornuto che fi come  quelle fi fpogliano & mutano la icorza, cofi auiehedc  Mcdccichc riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fa-  ttiti, rendendo loro vn corpo nuouo. Altri voglionoche  fi come la ferpe lignifica laprudcza,cofi bifogni al buo  Medico edere prudente circa alia finità d’vna perfona.  Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc fia de-  dicata à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:&  Macrobio dice che quello e, perche la ferpe ha la villa  fiottile, come bifiogna che habbia il Medico nella cura  d’vn infermo, &chc il battone fignifica,chcvn huomo  ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io fiollcnga,  in modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba-  ftonegl’è attribuito, come quello che ^er appoggiarli e  ncccdario à vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata  à Eficulapio la Ciuctta, lignificando che il medico debbe  edere vigilante più la notte che il giorno intorno all'in-  fcrmo.fi come lì vede ne rouefici delle medaghedi Nero  nc,&di Vitcllio. Nerone. NERONE. VITE L LrO. *  ORO. BRONZO. Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero vn’I-  foletta à modo d’vna galeotta, cioè larga nel mezzo,lua-  ga due ottani di miglio, appuntata da bado , & piu larga  di fopra, à modo d’vna poppacL’vna naue:la quale Ifola  fu già confagrata à E(culapio,doppo che il fuo lìmulacro fuilato condotto à RomafQttolafbrma d’vnalcr-  pc,òpiùtoftod'vnDcmonio:in honorcdcl quale fedo*  no già i Raugei battere monete con la lèrpc &: conlctre-  re Greche, che diceuono epuat pio N,la. quale Città  (comclcriueLiuio)fufoIàmenre nobilitata dal tempio  d’Efculapiojlontanodaquellacinque miglia,douecon  molte cerimonie fu adorato come Dio.   MON.  Simulacro  d'Efculapù  portato fa  Roma.  Moneta é  i Epidauri    Quelle parole Greche attorpatop o taaepia-   •NOS, r A A A I E NO X , O TAAEPIA NOJ KAJXAPES.nOH   dinotano altra co(à,fc nonchcVaIeriano Imp.fccc bat-  tere quella medaglia con l’effigie Tua &rde due Tuoi figli-  uoli Gallieno & Va!criano J & i tre tcpli nel rouelcio con  tali parole Greche, tpix neokopoi nikomhaeon:  lignificano chetrc guardiani de detti tcpli pregauono  pcrlafanità & falute(figurataperlafcrpe)dc fopradetti  tre Impcradori.   iTP I C N t^KD   k PvA-N     Nel  Vittri di  ThafiU.     . io*   Ncllhorto dcllachielàdi S.BartoIomeo,che c ncll’l-  fola nominata di (opra, fi vede anchora vna nauicclladi  pietra Thaflìa,chcè molto (limata per la varietà de (uoi  colori, nella qualcdavnlato fi vede (colpita vna ferpe,  che alcuni vogliono che fia delle reliquie del tempio già  detto d’Efculapio : &quafi Tempre nelle medaglie de gli  Imperatori fi trouala ferpe con la fanità,chc fiotto figura SANITA>  d’ElcuI.tpiogli fa làcrificiorò veramente la ticneabbrac-  ciata, lignificando che da quello Dio dipendeua la fani-  tàfiola.  Anton, pio.  BRONZO. M. AVRELIO (ANTONINO (si veda) ARGEN TO.  M. AC ILI A ARGENTO. ARGENTO.  Sono no Medaglione din.  Aurelio  trouato in  JU ione.  Pub. Vittore. Sono forfcfei mcfi,ch’eflcndomi portato vna vecchia  medaglia di M. AureIio,ft:ata crociata nc fondamenti del  la vecchia zecca di Lione, mi e parfo di farla ritrarre qui  di fottoalnaturalc,pcrfarc meglio intendere àgl’ama-  tori del l'antichità in che modo,fotro colore d’vna ferpe,  gl’antichi fingeuonodi fare facrificio iEfcuIapio per le  manidiMinerua,con vna tazza in mano coperta d’vno  vliuo.&dinazi la Vcttoria,chc porta vn’altra tazza pie-  na di frutte.   MEDAGLIONI. M. AVRELIO. COMMODO. Non fi potendo lenza la finità fare bene alcuna cofa,  pare che meritamente ella debbia haucre luogo tra tanti  altri Dijril tempio della qualefcome fcriué Publio Victore)era nclvi.quartiere della Città di Roma, quantun-  que Domitiano le ne faccfTc edificare vn’altro piccolo, 1 doppo il pericolo che egli haueua portato nella venuta  di Vite Uioà Roma. DO.  Ili   CASTITÀ.   L’habitodi quella Dea con l’imagine Tua, (colpita  nelle medaglie di Giulia Pia, Donna di Scuero Impera-  tore, fu limile à quello d’vna Donna vedouaaflifafopra  vna Tedia con lo feettro in mano, & due colóbc appref-  fo, lignificando che come la colomba c bianca & pura, ^ fo/om _  coli la caftitàdcbbe edere fenza macchiarla Donna da bt j imbolo  bene fcmplicc&purafimilmentc. dictjUu. gTvlia PIA ARGENTO. DOMITIANO ARGENTO. Quelli, che hanno dichiarata la Caftità, dicono che  dtu cajli - ella c vna virtù, che cfccd’vn buon cuorc:& piu torto co-  fentc di patirc,chc fare atto lontano dall’honcrto &dal-  l'honore.Et le pure egli auicne che cllafia forzata, non  per quello riccue alcun torto, non fi potédo corrompe-  re il cuore accompagnato da vna buona indiamone &  nutrimentoialla quale (come cofa fimilmente chara &   li ber P ret ' 0 ^ a )g^ an fi c ^*^ cttcr0 P cr cópagna la Libcrtà,chia«  T a. madola,comc l'altrc, Dea, amata & cerca da tutti i begli   ingegniionde ci non farebbe polfibile di fcriucre à pieno  lacontentczza di colui, che viuendo liberamente lenza  ambinone, fi contenta di quello checglihà, ncconofcc  perfona che per Pallidità de beni di quello mòdo (fotto-  poftiaU‘inuidia& alla fortuna) gli porta comandare, &  farlo pervn poco di bene incorrere ingrandirtìmima-  li, quello che anchorapcr Euripide c ftato dottamente  Euripide. dichiarato,douc ci dice:   'Ham hberum effe, maximum dico bonum:   Quoti fi quii ejl pauper,puter fe diuirem.   Et Cicerone ne Tuoi Paradofli dichiarando la Libertà  fimilmente dille, che la vera libertà non era alerò chcpo  Tempio di tere viucrecomc l’huom volcua.il tépiodi quella Dea  uberei. cra nc j m 5 tc Aucntino, ornato di molte ftatue &r cotóne  di bronzo, onde per l’orazione che Cicerone fece à i Pó-  tcfici per la fuacafa, fi conofcc come Claudio l’haucua  conlagrataalla Dea Libertàd’habito della qualeerad’v-  naDonnacon vna Itola, òvn velo addoflb,vn’haftain  vna mano, & nell altra vn capello, folitodarfi àiferui,  che erano liberati da i padroni, quantunque alcuni altri  habbino detto che forte vna campana.GAL. Chequcfìocappcllofairein legno della Libertà(fì co il cappella  me io ho più chiaramente inoltrato nella fine del mio li  bro dell’antichità di Roma)lì vede nelle medaglie battu  rein honoredi Brutto libcratoredella Patri a,& di Ccfa-   quidi fotto al naturale. CALIGVLA. BRONZO: GALBA. ~ TRAIANO.   BRONZO- ARGENTO. cnc delia libertà nalcc la felicità, io accompa- FELICI  gneròqucltacon quella^ inoltrerò cornei Romani L- TA fcciono vn tempio & vn’alcare,dcl quale fcriuendoPli-   H  iM •. nio dice che la (latua della Dea Felicità,crafl:ata fatta da   rufits! ° Archcfilao Pla(les,& coftata à Luculloix.gran fcfter-  tij, (limando i Romani cflcre all'hora i tempi felici , & la  vera Felicità regnare per tutto, quando i loro Imperato-  ri haucuono viuuto,ò regnato lungamente:quando ha-  ueuonogencratibci figliuoli,&foggiagati, & vinti i lo-  ro nimicijondclapaccpublica regnaua: quando fi feo-  priua qualche tradimento òcogiuratione contro all lm  perio,& quando egli era abbondanza di grano, ò le naui  cariche di quello, & d’altre mercanzie arriuauono al  portod'Oftiaàfaluamento. FAVSTINA. BRONZO. BRONZO CARACALLA TACITO ARGENTO. ARGENTO. wj  ANTON. PIO. SEV.ERO.   BRONZO. ARGENTO. Maqucllacla vera felicità quando la Giuftitia regna  in vn Reame, laqualefa che gl'imperatori, i Rc,& le Re ^ia* 71  publichc durano Iungamente:ondegl’antichifoIeuono i Principi  dire che Giouc fenza la Giuftitia non farebbe potuto fta  reinciclo,nclaRepublicain piede pu re vn’h ora. E v la  Giuftitia vna perpetua & ferma volontà di fare ragione  adogniuno, &viuédo virtuofamente, non fare torto à  perfona , rendendo àciafcuno quello che c fuo. Della  Giuftitia fono nate due leggi , l’vna publica , & priuata Lfgg[ fUm  l’altra. La publica c di por méte alla comunefalutc de- blica&pri  gli ftati,& la priuata è quella (come anchoras’accordail uiU ‘  Iurifc5fuIto)de i particulari. Quella cóccrnc la religio-  ne, le colè fagrc,i Sacerdoti & iMagiftrati:& quella è fon  data fulla ragione naturale, ciuile,&: humana:della quale fc piace al lettore di fapcrne piu oltre, legga Plutarco, v lutano.  doue,fcriucndo della dottrina de principi, moftra aflài:  chiaramente quantoprctioIa,fanta , Se ncccflariacofa è  la Giuftitia :lacui forza è tale, che ella regna in inferno  (doue non èvirtùalcuna)quiuicflTendo cadi gate le fcc-   H »  rr n:i     n* DELLA RELIGIONE   leratczzc degli huomini fecondo i meriti & grandezze  loro.Quefla a Juque volcdo (colpire, ò dipingercglan-  tichija (aceuono con vna taflàin vna mano, che era la  gruatMgii r ‘ tta : & nella manca le dauono lo feettro , ponendola à  intubi u federe in vna Tedia nel modo, che l’hà figurata Hadria-  Giujìitia, no nc jj c f uc mC( J a gIi C- quelli che non hanno co-  gnitione delle cole antiche, l'hanno figurata nel modo,  che fi vede hoggi, cioè con la fpada & le bilancic,che fono propriamente le infegne,con le quali foleua l’Equi-  tà cflèrcdifcgnatadagl’antichi. TIBERIO. BRONZO BRONZO ADRIANO- ALE X.M A M M E A. ARGENTO.  BRONZO. Che l’Equità folle dipinta nel modòdettodi fopra,& E ^in luogo dilpadacon vn corno d’abbondanza, li vede ta.  per le medaglie di Gordiano & di Filippo, non altriméti  che fi folle in limile modo il fimulacro della Dea Mone  rain quelle di Collante ,& di Diocleciano,con lettere,  che diccuono, sacra moneta avgvstorvm et nontuf CAESARVM NOSTRORVM. fr< GORDIANO.   ARGENTO FILIPPO BRONZO «MITCJb MS COSTANTE. DIOCLETIANO BRONZO. MED. D I T.   ARGE N   Volendo t»TlmpcracoriRomani dare cimorc ài talli  £!$Z ficittori delle mon'ete,hlccuono in quelle (colpire le ima  perfori f, inj lorojconfidciando che non e cola che piu ìmpedll-   ZX. ca l'abbondanza de iviueciin vna -Città, quanto la mo- ‘  inugini nel nc rafalfa,aftcncndofi gl'huomini forcOicn di portami  u lormonc ^ j oro mcrc hantic:chec pure vn peccato troppo cnor-  me,chcgrhuomlnifalfificatori(portando fi gran danno  all’vniuerfale per vno vtile particularcjcorrópino quek   lo che   -irJP»  DEGL’ANTICHI ROMANI u*   Io che l'ingiuria dei tempo, nela terra, ne il fuoco non  hanno potuto ne {apuro guaftare.Et di qui nacque chei rrimuin  Romani crearono tre huomini,da loro detti T riumuiri, * te mone-  fopraie monete con autorità di fare battere oro, argéto  & bronzo, come fi vede per le medaglie di Celare Dit-  AVGVSTO BRONZO. L'officio di Macftri delle monete era di guardare,& fa  reproua selle erano di buona lega, prima che farle fta-  pare,& poi ch'elle erano battute, selle erano di pefo : on-  d’io penfo che Aùgufto, volendo che quella buona vfim  za fi mantcneflc Tempre conia maelHdcirimperio Ro-  mano, ^erò lafirinflè a i Triumuiri delle monete quella  autorità accompagnata dalla poflànzade Tribuni, co-  me fi vede perle medaglie battuteda M. Saluto Otonc,  CaioPlotio Ruffo, &diuerfi altri. UO della religione   AVGVSTO.   ' BRONZO. BRONZO.  Trouanfi anchora molte altre medaglie lenza l'ima-  ginc d’Augufto,per le quali fi conolcc quello edere vc-  ro,chc noi habbiamo fcritto qui di fopra,&maflìmc per  lcparole,chc accompagnate d’vna corona ciuica, dico-  no, avgvstvs tri bvnitja pot est a t e. & dal-  l’altro lato , AERE, ARGENTO, AVRÒ FLAVO FERVNTO AVGVSTO BRONZO. BRONZO. Pc   l'cr i quali tcftimonij chiaramente vergiamo che  tale autorità di fare battere monete , pcfarlc,& e {lami-  narle, apparteneua anticamente à i Tribuni , & mafiì-  tnc che tra le loro leggi fi trouano fcrittc cofi fatte pa- hrggi (fr role, TRIBVNI SVNTO DOMI, PECVNIAM PVBLI- ttnuirali.  CAM CVSTODIVNTO, &! più baffo, AES, ARGENTVM,  AVRVMYE PVBLICE SIGNANTO.   Erano tutti huomini da bene & virtuofi quelli, à qua •  li gl’imperatori concedcuono cofi fatto Magiftrato,  con pcrmifiìoncdi fare mettere nelle medaglie i nomi>  loro, per piùficurtà delle monetc,& perche il popolo  conofirefie quando &fotto quali huomini erano fiate  battute.Pur nondimeno mancò col tempo ( come fan-  no tuttel'altrc^quefta buona vfanza,& pallate le meda-  gliedi Claudio & di Neronc, non fi trouò neviddepiù  l’Equità dipinta con la bilancia in mano. BRONZO. NERONE BRONZO. Soleuono tutti i buoni Principi & Imperatori Ro-  mani vifitando le Prouincic fuggette alloro Imperio   H 5 ua DELLA RELIGIONE   fare lcrcparationi per tutto doue erano neceflàrie,& fo-  pra tutto liuiHtarc Je monete , & farne battere dcllc :  nuouc per le Città principali in ogni regione. Ciò che  strabane, conferma Strabonc, quando ci dice, che i Principi Ro-  mani lèdono battere monete d’argento & d’oro nella  Luigixm- G*ttà di Lioneda quale cofa imitò Luigi mi. Impera-  perutorc 4 . tore & Principe virtuofo & bellicolb, amato da tutto il  Rrdì ma mondo, quantunque sfortunato fi trouafleneH’imprelà  che ci fece in Vnghcria. Somigliò molto quello buon  Principe Hadriano Imperatore, con ciò lìa che ei fece-*  a#aiviaggi,&nominòlcterrc principali, che egli hauc-ì  ua rillaurateal fuo tempo nelle fue monetc.Et ficomei  buoni Principi Romani ficeuono fcolpirc le* infegne  della Religione nelieloro medaglie,colì quello religio-  fó Imperatore mctteua nelle fue monete da vn lato vn  tempio con la figura d’vna Crocc,& parole che diccuo-  no, c hristi an a re Li ciò. & dall’altro , vna Croce  maggiore con qucllcaltrc parole > lvdovicvs impe-  rator.  MED. DI LVIGI IMPERATORE 1 1 1 iT  RE DI FRANCIA.   ARGENTO. Non è molto tempo éhc vn lauoratore di terranei vafo piena  paefedi Lione, trouò lauorado vnltio campo, vicino à  vna tcrricciuola chiamata Anfa,vn gran vafo di terra troultoa'p-  pieno di medaglie d’argéto del detto Imperatore, delle  quali(haucdoncio vnaparte)mi e parfo non fuora'pro- Uour '  polito di moftrarne qui di Lotto lcflempio al Lettore. MONETA DI LVIGI IlÌL 'Mone  li 4 MONETA DEL MEDESIMO. ARGENTO.     tini   A' ri. CICERONE (si veda)     Volle quello magnanimo & virtuolo Principe (coli  valorofamencc operando, & facendo officio di pio &  catholico) moftrarcà i Tuoi fucceflòri in che modo fi  debbe imitare la virtù, honorare la memoria de gl'anti-  chi, portare riucréza alla R cligionc,tcmerc Dio, & ama  re la Republica& la Patria: Quello, che anchora ci ha  infegnato CICERONE (si veda) dicendo, nel fuo libro della Natura  Diffinitio i- degli Dei,chc leflcrc pio none altro che la riucrenza  w dì vut*. c | ie no | debbiamo hauercà Dio, à i noftri maggiori, ài  pitturi de parenti,à gl amici,& alla patria. Quella virtù fu dipinta  da Antonino Pio in habito di Matrona, ò dona vedoua  conia fua verte lunga, vnturibulo in mano, chiamalo  da i Latini ^cerrafic dinanzi vnaltarc cinto d’vn fefto-  nccol fuoco accefo pcrfacrificare.   Antonino   Wt   -r.'- . JWjr . ' £ -pr •  Xttrr 4.  onci/  ANTONINO PIO ADRIANO BRONZO ARGENTO diariamente nel libro della Cita di Dio, dice chela vera  pietà non è altrochel’adoratione d’vnfolo Dio,creato-  re del ciclo & della terra, ribattendo & dannando l’op-  pinioni de gl’antichi Romaniche cglihauclfino inRo-  ma(comc afferma Prudcntio)tanti templi &alcari,quah indenti*.  ti penlàuono edere Dij nella Naturaci che tutta volta  fivcdechcnalceuada buona intentione, facendo que-  llo per religione : della quale cofa ci fan fede le meda-  glicdi Giulio Ccfare, di Pompeo, d’Augufto, di Vclpa- ln f egntlìano, d’Hadriano, d’Antonino Pio, & di Màico Aure- l* rtii&io-  lio,pienc d’antichi inftrumenti di religione, come d’vn  cappello,d’vn lituo, d’vn prcfcriculo, d’vn fimpulo,d’vn  coIccllo,chiamatoiVr^//vr,di taze & validi molte fort£  dequah (come cofa aliai nota) non bilognagià fare più  lunga mcntione.  j GIV. ANTONINO PIO. M. AVRELIO.  argento. Argento.  PtlUdioii Da l’atto pio di religione, venendo à quello che fi  Tnia. debbe vfareinuerfo i padri, noi ne faremo qui fede per   lemcdaghe di M.Herennio, che portò fuo padre Tulle  fpalle,& per quelle di Cefare,doue fi vede Enea, che fi-  milmente portò Anchife nel medcfimo modo, portan-  doin manpil Palladio di Troiarondc Vergiliolcrifle,  ^At t>w ^ÀeneAs.  M. HE- DE GL'ANTICHI ROMANI. M. HERENNIO. GIVLIO CESARE.   ARGENTO. ARGENTO. Quello medefimo ateo pio pare che habbia concefi.   Co la Natura infino à gl’animali bruti, onde veggiamo  che la Cicogna fofticne & nutrifee il padre & la madre vitti di u  nella loro vecchiezza: Cofa da farebene arroflìre , & c,f0 £' w *  vergognare gl’ingrati, che rendono male per bene ài  loro benefattori:& da fare adirare infino à Dio, al quale  temendo anchora di non difpiacere i Romani, fi vede vieti di  che fumo amorcuoli & grati fimilmente ne i proprij fi- «<« » nfa  gliuoli,& maflìme Antonino Pio,nel rouefeio d’vna  medaglia, nel quale fi vede la Pietà con due figliuoli in  braccio, & due altri ài piedi:Et nelle medagliedi Domi-  na, & di Sabina moglie di Traiano fi vede anchora la  Pietà figurata in diuerfe maniere.   Anton. AV  ÌJÌ3K     fcl & * l»,° ì'r*  iz* ANTON. PIO. M. AVRELIO (ANTONINO (si veda))  BRONZO. DOMITI A. ARGENTO. ARGENTO. SABINA.  bronzo.   .Tv   DE G’LANTICHI ROMANI. izp   Per le medaglie battute di Titofigliuolo di Vefpafia -  no, fi vede la Pietà che mette inficine d’accordo i duo  fratelli Dominano & Tito, dandoli la mano l’vno ali ai  tro,pcr mofirare l’amore, il quale debbono duo fratelli  portare I’vno all’altro. TITO.  BRONZO  ma. Vlinio.   CLEMENZA.  Era il tempio della Dea Pietà in Roma, fatto da At- t mpio di  tilio fulla piaza,douc era fiata la cala di quella figliuo-la, che haueua già dato la poppa à Tuo padre in prigio-  nc,conIafua fiatuachcriprcfenraua latto piccolo vlà-  to da lei, & col quale(comcdice Plinio) non fi può fare  comparatione alcuna.Et perche dalla pietà nafee lami*.  fericordia& la clcméza,hò giudicato. non fuora di pròpofico accópagnare con qucfti eflcmpli la cella di Giulio Celare(comc quello ched’humanicà&di clemenza  pafiò tuttii Principi del mondo) ftampatain vna meda-  glia di Tiberio , aggiugnendoci vna Temenza antica  degna d’efierclcritta con lettere d’oro, fi come era in vn BcUifiima  marmo, che diccua ,nihil est qvod magis ftntmùu   I 1  DECI AT PRINCIPEM QVAM LIBERALITAS ET   ole menti a. Etnei vero, non è cofa nel mondo piu E retiofa & piùconueneuoleà vn Principe che la liberata & la mifcricordia.  TIBERIO.   BRONZO. VITELLIO. ARGENTO.  Da quelli atti pij inuerfo la rcligione, il padre, la madrc,i parenti & la Patria,proccdc poi l’eternità de nomi  di coloro, che fono fiati tali,fi come ci hanno dimoftra-  to i Romani per ifimulacri delle loro vcttoric, perle  fcftc & giuochi fccolari, penanti magnifichi & ricchi  templi &cdifitij, ne i quali faccuono fcolpirc f Eternità  come vna Dea in habito di matrona, con vn’hafta nella  man dritta,& nell’altra vn Corno d'abbondanza, & il  pie manco (opravnglobo.Alcuni altri l’hanno figura-  ta con due teAe in mano, fi come fi vede in vna meda-  aliad'Hadriano,   ° Tito    TITO VESPA FAVST1NA.rii. Et Filippo Imperatore riprcfentò l’eternità ne i fuot  giuochi Secolari fopra vno elefante^ quale fignificaua  vna longa & cjuafi eterna vita. I Romani la difpinfero  con duo elefanti, & alcune volte conduolioni cnetira-  uono il cirro de glImperatorc> o Imperatrice eh crano>  fiati deificati. W  I x TERRA. Gl' titubi  ftcnficaut   noi la ter-   T4.  : TJt   GIVLIA PIA FILIPPO. E certo,cofa molco difficile (confìderato il numero  fìgrandedcgli Dij antichi) di potere crollare Je meda-  glie àpropofito di cutrùpurc fermando la mia imprefa,  io m ingegnerò di ripreientarci tutte quelle, nelle quali  furono figurati gli Dij.ò Dee à modo loro, che portor-  noqunlche vrilcalIJuimana natura, come la terra, alla  qualcfc ono vn tempio, & in luogo che a' glabri Dcifà-  crificauono con l’inccnfo J & altri buoni odori, à quella fàceuono fàcrificio de femi, eccetto che delle faue, & al-  tre colè aromatiche : là onde per la medaglia che fece  ftamjxtrcCómodo in honorc della tcrra,fi vede che ei la  fece a giacere in terra mezza ignuda , come cola ftabilc  con vn braccioappoggiato (opra vn vafo,dcl quale efee  vna vite,&con Tauro ripofà fopra vn globo celefte, in-  torno al quale fono un. piccole figure che le prefenra- '  no TvnadclTvuc, l’altra delle fpighccon vna corona di  fiori, l altra vn vaio pieno di liquore,*: l’vltimac la Vct-  toriaconvnramodi palma & lettere che dicono, te l-  tvs stabilts, lignificando che tutte quelle cofechc  la tetra produce/onoper lavitadelThuomo.  MEDAGLIONE     CO M MODO.     Perhaucre affai lungamente trattato delle feite Ce- C e r e*  reali nel mio libro dell’Antichità di Roma, io non nc RE *  parlerò qui altrimente, contentandomi folamétc di met  tcrc innanzi il rouefeio della medaglia di C. Mcmmio c nummi»  Edile Curulc, nella quale fi vede Cerere che hà in vna ^naltQt  mano tre fpighe,& nell'altra vn torchio accefo, &il pie rc»u.  manco fopra vna ferpe, con parole che dicono , mem-   I 3 MIVS. AEDILI5 C £ R. £ ALIA PRIMVS F E C I .tJ   Ma per altre medaglie tanto diVoltcio,chedi Panfa, fi  vede femprc Cerere con due torchi nel fuo carro, tirato  da due lerpi.Etin due altre medaglie fi trouacon la ve-  de alzata, con due torchi, & à i piedi la manica di Tara-  ti porto co tro,& nell’ altra ilporco,òla porca, che gli antichi le fo-  enrere. * Ictiono racrificare,pcrchcguada le biade: onde Ouidio  haferitro,   Prima Ceres grauid* gauifaejì fanguine porca, i   Ulra fuas merita cade nocentu opes.   debutiti ^ comc cra p cr mcdh d’ammazare il porco, coli era  fcfo fra li proibito d’immolarei buoi nellàcrificio di Cerere, per-  Roawni. chelauorano Se non guadano i beni della terra, onde  ouidio. Ouidio xiel 1 1 1 1. de Fadi fende anchora,  kA bone fuccintti cultros remouete minijìri:   %os aree, ignauamfacrijì care fuem.  lAptd mgo cern ix non efl ferienda fecuri:   ZJiuaCi&J in dura fape laboret humo. *Ve. ME MED. h Óf>ì » » ùueihi Cerere e la Pace, con ciò  lìache la guerra porga impedimento al lauoratore di  coltiuare&lcminare i campi, eflendo conrtretto di fug-  girli &faluarc dentro ài bofchj.,0 fu per i monti i Tuoi  beftiami. Quello che Umilmente ha bene fcritto OVIDIO (si veda) nel u n. deludi Farti, doucei dice,   Pace Cerei Uta \os orate coloni. Perpetuam pacem,pacifì cum <jue Z)eum.  EtTibullo quel medelìmo nella x.Elegia>   Intere a pax ama coldt,pax candida p)   Z)uxit aratura fub tuga curila boues.   Et poco piu difetto,   ‘Pace bidens fornir yue Vigent-jit trijtta   Stillini in tenebra occupat arma Jìtics.   Quando gl’antichi dipingcuono la Pace col Cadu-  ceo, vi aggiugneuonolcfpighcdigranojil corno d’ab-  bondanza, lignificando che la Pace era quella,chcf ce-  lia multiplicarc il grano & le frutte per la vitadcU'hua-   i  , I 4   uloitioJ - PACE.  L4 guerra  contraria à  Cerere. OVIDIO (si veda) » ’i   h t%J*v     Tibullo» BACCO. Il buco fi  reificato, Bieco. mojondc il raedelìmo Tibullo nella x.Elegiaparimen-  tc dille, irnobispax alma y>eni,Jj>icdmejue tenero, ‘P erfluat pomis candidai ante [mot.  OTTO.  ARGENTO.  VESPASIANO.   ARGENTO.   Et lì come Cerere haueua la corona di ipighe per in-  fegna,& per vittima la T roia,colì al atdrc Libero, altri-  mente detto Bacco, lì ponetiaintcfta Ta corona d’Ellcra,  & il becco à i piedini quale gl era £acrificato,perchc gua-  ita le vignc,ondc Virgilio dille,   Saccho caper omnibus ari*   Caditur.   Et nel rouclcio della medaglia di Molò lì vede vn  faccrdote col Tuo habito innanzi à vn’alrarc riucllito  d’vn fellone, che con vna mano tiene il Jituo,&: con l’al-  tra il lìmpulo con vn becco innanzi,tcnutoda vnmini-  llro per lacrificarlo.Etio tra l’altrc mie cofc ho longua-  menteferbato vna Corniola antica, nella quale c vn Sa-  tiro , che conduce vn becco fuiralrarc,doue e il fuoco  aCccfo per lacrifìcarlo allo Dio Bacco.     Corniola  CORNIOLA ANTICA.     f 'Wm.   ir   Ma perche   di Bacco in diuerfe manicre,come farebbe à dire, in for- e «to'.  ma d'vn fanciullo che abbraccia vn grappolo d’vue,&  vn'altra volracome vngiouane co vn ramo di Pino, nel  modo che fi potrà vedere nel libro, che io ho comporto  in Latino delle Imagini de gli Dei antichi:però mi e par  fo di ripreientare qui al naturale il piccolo Bacco di  bronzo,chc ioguardo(comc cofa fi ngu la re & arti fitio*   f à)tra le mie ftatuc & medaglie antiche. l'iCLOLO MMOLACRO DI BACCO. d’antichi lo leuono dipingercilfimulacrò .     Ciltuv. il     V      Vogliono gl’ancichiffigurado Bacco in quello modo)  lignificare che vn'huomo troppo fuggetto al vino,diué-  ta limile à vnfanciuIlo,chcnon fa quello clic fifa. Tro-  uomi anchora due Niccoli antichi, i quali riprefentano quello Bacco ignudo con vnbaftoncin manometto da  i Latini Tyrfo,& nell'altra vn grappolo d’vuc,& intorno  kMcIto' a ^ r,lcc *° vni P e ^ c di Tigre, animale particularmentc  Bièco. 0 4 confacraro à Bacco.Et quanto alle Baccanti , ò Bacchi-  dc,o Mimalonidcschc cclcbrauono la fella di Bacco, io  ^ ne metterò qui fotto l’eflcmpio d’vna medaglia Greca,   & M , chegiàmi donò M.Giulio di Calcftan da Parma ,gran-  - • • diflimo amatore delle cole antiche idoue da vn laro c  Bacco incoronato d HeIIera,& lettere Greche, chedico-  nó avì un, cioè libcro,& dall’altro fono le Baccanti,chc  ballano, facendo vn prclcntc à Dionifio (chccofi ancho  ra era chiamato Bacco)con vn fuoco, in fegno di facrifì-  cio , & lettere che dicono aiowvio acpds. che vuol  dire, Donod Dionifio.  ’.  » i ," ,   NICCOLI ANTICHI.     Medaglia     . m  MEDAGLIA GRECA ARGENTO. E per glabri due medaglioni di Bacco porti qui di  fiotto, dequali vno e di Nerone, & l’alerò d’Antonino  Pio, fi vedrano lefefte Baccanali, &vn Bacco nel Tuo car buccmmIì.  rotiraroda d ue Pantere (animali dedicati à lui) accom-  pagnato de Tuoi Satiri con tutto il Tuo mifterio : & qualche volta per due tigri, comcdice Propcrtio , parlando  d'Ariadna rapita da Bacco, Lynciius in c*lnm \c&d \ArUdna. tu'u.   Et per le medaglie di Filippo &di Gallieno fi vede  anchora il tigre, il qual ripreienta Bacco, con lettere che   dicono, LI BERO PATRI CONSERVATORI A VQV-sti, rimettendo il lettorcal mio primo libro dell’Antichità di Roma, doucpiù lungamente io hòdifeorfo di a J   querti Baccanali.»V, ME 1 ’»t 4 - k  V  km  LIBERALITÀ.   XAuitdeU   Oberatiti.  FILIPPO MEDAGLIONI.   NERO. ANTONINO PIO. Si come da Ccrerc e Bacco nalce l’abbondanza d’o-  gni cofa,cofi dall’abbondanza dipende la liberalità, Dea  delidcrata & cara acuito il mondo , la quale tira à le il  cuore dcH'huomo.comc la Calamita il ferro, tanto che  lìnoà quelli che habitano nelle eftreme parti del mon-  do per la loro liberalità ne vengono lodati, anchora che  non lì fpcri cofa alcunadaloro:!! come vituperati &in  poca Rima fono quelli , che fono tutti lepolti nella loro    GALLIENO.   BRONZO     auaritia.Là onde fé noi porremo ben mente allo fplcn- Liberalità  dorè della liberalitàdi Celare, d’Augulto, di Tito, di Vef  pafiano,di Traiano,&d’Alcflandro di Mammca, trouer  rcmoch’ei dura infino a hoggi, ne hard forza il tepo che  fi fponga mai : della quale cola fé alcuno dubicalfc, va-  da à leggere Tranquillo, & vedrà come Auguftohauc- sartorio  ua per vfanzadi diltribuirc fpefl'o al popufo Romano  vnagrandiffimafommadidan«iri,dai Latini chiamata  Congiarium , da Tofeanila mancia, & dai Franccfi larghe  zarlc quali quando fi dauonoà i foldati, fi chiamauono  Donatiuojcomc fi vede in più luoghi nel libro di Taci  to,douc parlando di Cefarcgiouanedice,0»^/Wr///»7^.  pulo,Z)onariuHm mtlitibus iedit.'Hc mai mancòquefio li-  beralifiimo Principe nel Tuo Imperio, che palio cin-  quanta anni, di donare quella mancia, dilhibuendot.il  volta xxx. piccoli feftcrtij per huomo , altre volte x l.   & altre volte, e CL.comediceSuetonio , tantoché non  crafanciullo(purccheci pallafic xi i. anni) che non ha-  ueffe qualche colarla quale vlanza fu conferuata da tut-  ti glabri Imperatori buoni &cattiui,chc voleuonoha-  licre lagratia del populo Romano ,come fi inoltrano  le Medaglie di Commodo, di Ncronc.di Tito, di Traia-  no, d’Hadriano,d’ Antonino Pio,di M. Aurelio, &: dimoi  ti altri, i quali tutti farebbono tropo lunghi à raccon- Congiario .  Liberalità  di Augusto  Cesare.     tare.   TI     IV   t/i liberatiti  di il. Aure  Ito .   Pittiti* de  U Liberati  ti. TITO. TRAIANO BRONZO. RRONZO.  La maggioredillributioncnon Ci faccua croppafpcf-  fò,mala minore fi benc,comchà {cricco Succoniordalla  quale liberalità cofi vfacainuerfoilpopolo,nafceua che  Ipefio finoà i cacciui Imperacori erano màtenuti in ilia-  co &difefi da lui,& da foldaci nella pacc,& doppo hauc  rcccrminaca qualche pericolofa & difficileimprefa, nel  quale ccmpoquafiordinariamcnccdauono quello con-  ciario, & faceuono quello donaciuo. Onde era le mie  medaglie io in ho vna di M. Aurclio,doucfi vede che egli  baucua vlaca quella liberalità già fecce voice, figurando  nelrouefcio di detea medaglia la Liberalicà,vellita d vna  velia funga,. come falere Dee > con lettere che dicono,  liberalitas avgvsti s epti m a. nel modo che  anchora fi vede nelle medaglie di Gordiano minore, &  Tacito Imperatore con altre limili parole, cioè, li b e-   RALITAS AVGVSTI T ERTI A ET QVARTA, CÌÒ   che anchora fccionoin vna altra maniera Filippo il pa-  dre & figliuolo, come fi vede per le lor medaglie pólle  qui appreflo.     M.Au  DEGL’ANTICHI ROMANI.  M. AVRELIO. GORDIANO.   BRONZO. BRONZO.  tt nella medaglia a Adriano &: d’ Alcflandro Seuero Liberatiti  fi veggono ìin.figurc, onde la maggiore è quella dell’- dl 0 Had J]ff  Im pcratoreà federe fopravna Tedia, con vnruotolodi [miro. *  carta in vnamano,& con l'altra moftra di donare qual-  che cofaà vno,chc fi prefenta innanzi àlui:la qualità &   Comma della quale,parc che fia figurata per i punti, che  fi veggono notati nel rialto doue ci tiene i piedi,! quali fa  cilmente potrebbono cflère il numero de feftcrtij:& l’altro  FILIPPO PADRE. FILIP. FIGLIVOLO. DELLA RELIGIONE  trochemoftradilalire, e colui che riceuc il donatiuo  conlimaginc ritta della Liberalità da vn lato, che tiene  vn Dado in mano con limili parole, liberalità   a ve v s t i ;    Dentizio-  ne di nobili  tì. ADRIANO BRONZO ALESS. SEVERO.   BRONZO. Ugge de  Macedoni/- Ugge delle  Amazzoni,  crdrglt Sey  ti.  Il Dado, portato dalla Liberalità, è tanto conofciu-  to,che io non ne parlerò piu oltrc,dcliderofo di moftra-  re che la liberalità nafee da nobilità di cuore: la quale co  là fola ha cauGito che i nobili virtuofi fono (lati hono-  rati comegiufo, onde c vfcitalapoflanza reale,& tutti  gli altri principati, che mediante la Giu fona & l’Equità  hanno mantenuti i loro fuggetti 3 6r quelli difelì dai loro  nimici.Di qui nafee che tutti coloro , che afpirano alla  lode & alia gloria, li danno volentieri all'eflcrcitio della  guerra, per eflèrc tanto priuilegiati:ondeiMacedonijfo  leuono condannare colui àportarcvna corda in luogo  di cinturaci quale no hauefle fatto qualchccola hono-  rcuolc alla guerra. Alle Amazzoni non era permclTo  maritarli , fe prima non haueuono fuperato vn loro   nimico.      i 45  nimico. EttragliScyti non era lecito a perfona toccare  la tazza òvafovfato nei facrificij, che non hauc/Tc alla  guerra meritato qualche honorc. Di tutte quelle cofc  fanno fedele hiftorieRomanc,douefi leggono le qua-  lità de premi) che fi dauonoà coloniche haueuono fat-  toqualchc fcruitio alla Rcpubl.come erano le corone c " 0 "'  ciuichc,Ie trionfali,Ic murali, & le nauali,infieme con ti- KomLi.  toli,cpiteti Sellarne, che fàccuono fede della virtù loro:  onde non c da marauigliarfi,fe Roma venne in coli fat-  ta grandezza, poi che di grado ingrado dTaltaua & ho^  norauai Tuoi foldati, fino alla dignità dell’Imperio,& il  Confido ò Imperatore riftoraua il buon foldaco con ca-  tene d’oro,maniglie, corone, & ricchi fornimenti dica-  ualli,fi come moltra vn’Epitaffio che fi vede in Turino,  inoltratomi già dal Symeonc,il cui tenore è quello,   C. GAV IO L. F.   STEL. SILVANO  PRIMIPILARI LEG. Vili. A VG.   TRIBVNO COHOR. II. VIGILVM  TRI B V NO COH. XIII. VRBAN.   TRIBVNO COH. XII. PRAE TOR.   DONIS DONATO A DIVO CLAVD.   BELLO BRITANNICO  TORQVIBVS ARM1LLIS PHALERIS  CORONA AVREA  PATRONO COLON.   D D   Et fi come dei buoni Temi nalcono anchora i buoni  frutti, cofidegli huomini virtuofinafconoinobili, purc  che fianoeflercitati nelle lettere cneH'armi:lequali quado fono accompagnate infieme, fanno che la nobilità fia  K CICERONE (si veda). Dichiaratione delti  nobiliti.  Tlinio.   Cornelio   Nipote. Tullio.     luuenale. Annotile. perfetta & duri fiempiternamentc. Stimauafi amicameli  te la nobilita che nafceua dalla gcncrofità del fanguc,di-  fcgnata da Cicerone nelle fue Topiche à qucflo modo,  C tntile s fune, qui inter fe todem nomine funr, quia! ingenui s  oriundi funr quorum maiorum nemo feruitutem feruiuit,qui  capire non funr diminuti. La quale definitionc dice Tul-  lio edere nata daSccuolaPontefice,&io l’hò intcrpreca-  ra in quello modo, Nobili fono coloro che ha no vn me •  defimo nome, che nafeono di padri & madri liberi, glan  tichide quali non hanno mai fcruiro,nccambiato di (la  to,conciò fia che la mtitatione faccia perdere la nobili-  ta & la gctilczza , la quale gl'antichi riprefentauono per  leimaginijdaloro portate nelle pompe funeralide loro  maggiori, come recita Plinio nel xx x ix.librodeUHiflo'  ria naturale , Se Cornelio Nipote nel libro de gli Huomi  ni illuflri.il quale parlando di Portio Catone òìcc, Imago buius funeri* grati* producifolet. Della quale oppenione  canchora M.Tullio, Se gl’antichi chiamorno tali ima-  gi ni Stemmata, come fi vede in lu uenale, quando beffan  doli di tale nobilita fienza l’operc nobili, dice.   Stemmata quid ' fucilanti quid prodejl Pontice longo  Sanguine cenferifè) pt&os o fendere vultas  Jrfaiorum?& fante s in curri! us ^AemilUnosI  Ariflotilc nondimeno nclv.libro della Politica dicc,che  nobili fono coloro, i preccfTori de quali fono flati, ò ric-  chi,ò virtuofi:effcndolc ricchezze neceffarie per foccor  rere la Rcpnblica,&vfiarelalibcra!ità, la quale fenza la  ricchezza non può flare.Etfc qualcuno domadafleche  differenza c tra la nobilita d’AriflotileSr di Sceuola, tifi-  pondo, che Ariflótile domanda la ricchezza, & Sceuola  non:   nonrattclochc la nobilita può viucrccon la pouertà:  benché col tempo poi(volendofì palcerc di quello fumo  di direche fono nobili) fi muoiam di fame : onde nafee  che gli antichi faui hanno Icritto che la vera nobilita  condite nella virtù,comc quella, alla quale non può mai  mancarc:& quello è quello di che ragiona luucnale, dicendo:   Tota licet Veteres exornent indizile cera  tria:nohiliras fola efyOtque Vmca v ireos.   Conciò lìachcl’huomovitiofocheprcdicalafua nobi-  lita, mediante i fattidefuoi antccclTori,condannafeme-  delìmo,non fendo egli virtuofo,& lì può dire di lui quel  locherifpofe Anacarfeà vn’altro che lo chiamaua bar- Rìjpofta  baro,& nato nella Scytia,chc fu tale, la mia patria ****&&   COME BARBARA MI ARRECCA QVALCHE 1 N-  f AMIA, MA TV FAI D 1 S HONORE ALEA TVA  che e' tanto nobile et c e nti l e. Circa  che bifogna conchiudere che la vera nobilita c quella, g*  che procede dalla virtù propria, nel modo cheproua  Boetionelm. libro di Confolatione,doucei dice,^?#^   Jì quid ejl in nobilitate bonumjd arhitror effe folum,vr impo-  rta noi? dii us necefuudo vide a tur, ne a maiorum V ir tute dege-  nerent. il quale propofito feguita dicendo,   TJmu enim rerum pater ejl,   XJnus cuntta mmiBrat-.   J Ile dedir Tinello radiati  Dediti cornua Luna:   1 He h ornine s & ferri* Omne liumanumgenus m terris  Similifurgit ah or tu.  K i     i 4 »  Dedit fè) fiderà Calo:   Hic claufit membri! animo s  Celfafedepetitos.   Mortale! igitur cunBos  Edit nobile germen.   Quid gentts féj proauos Jlrepifù ?   Si primordia 'vejlra  ^yiutorénujue Deum fieftes,   Nullus degener exrat ,   Ni 'finn peiora fouens  ‘Propriumdeferat ortum.   Parmi d’aucrtirc qui il lettore della differenza eh ed  tra nobile & generoforcon ciò fia che A riftotilc nel principio dell’Hiltoria degli animali,fcriue che nobile è quel  ladifftren lo che c nato di buona razza, & colui gencrofo che non  ** traligna dalla fua razzala buona , ò cattiua , allegando   fccrii gt l'eflcmpiodcl lupo& dcllione. Il lupo (dice egli) farà  ne ^[ 0 '. chiamato generofo, ma ignobile.Gcnerofo, perche non   deihpò ©• digcncra dalla fua cattiua razza:& ignobile perche egli e  ieliiooe. nato di cattiuo feme.Ma il Itone lì può dire nobile & gc-  nerofo inficme.Nobilc,perchcè vfeito di buonfeme, &  gencrofo, perche non digcncra dal fuo femeronde nafee  che fi comclc virtù dell’animo meritano d’eflcrc lodate  con parole, l’opere virtuofe richieggono d’cficrc hono-  ratecon i fatti.Cocludédo chcegli è impoffibile che vn  principe, fia gràde quato vuole, poffa nobilitare vn’huo-  mo che vuole edere villano : laqualc nobilita ci ha aliai  bene dichiarata in vna fua medaglia Antonino Gcta,  figliuolo di Seuerojhaucndo fatta dipingere la nobilita  inhabitod’vnaDonnada benc,conlofcetrro nella mano dirirra. & nellamanca il fimulacro di Mincrua, per  inoltrare chelarmc& lelcccerefonoduccofe ccccllcn-  'ti/dallcquali debbe Tempre eflcrc l'huomo nobile ac-  compagnato. GETA O natura tegli huo.miiu e la no - genio»  pinta conieruata&.crc(ciuta, però non fàràimpertintn-  tetrattarc anchqra qualche colà dello Dio di Natura, G°iró d io  chiamato dagl antichi Genio, & il quale ftimaronopa-  dredegli huomini,& figliuolo diDiorpenfandoncllalo  ro rèligiòncehc ciafcuno haueffe particolarmente vn ge  nÌGk& vno intelletto diuerfo Se propriojcomc lì vede per  la medaglia di Nerone, nella quale òlcritto, genio a v-  cvsTijin quelle d’AntoninoPio, genio senatvs,  in quelle di Collantino, genio pop vii rom ani^   in quelledi Claudio, genio exerci t v vMrfigù-   randolo mezzo vcllito& mezzo ignudo, con vno altare ^io.  innanzi A: yiì fuocojvna tazza nella manodiritta, & nel- ,• - ;; » j  l’altra vn Corno d’abbondanza, nel modo che Thà dipia to A m rhi ano Marcelli no nel xxv. libro che egli ha fatta  'di Giuliano Imperatore.. K    •n  ANT. PIO BRONZO NERONE BRONZO COSTANTINO CLAVDIO  Scriuc Ccnforinoncl libro da lui fatto De die nautiche (ubico che noi nasciamo, noi fiamo accompagnati  da vngcnio, chcciconducc,guarda & non mai ci abbati  donna. Altri hanno detto, & maflìme Fiacco nel lib.chc  lares. cilafeiò à Ccfarc de lniigitdmtntìi>che Lare & Genio era  b KtUde. no vnamedefima cofa.Et Euclide vuole che ogni huo-  mohabbia due Lari, cioè l’vn buono & l’altro catriuo,  chiamado il buono Larc,&: il cattiuo Lemure, come noi  hoggi anchora diciamo buono Angelo & cattiuo;à pro-   { jofito dei quali Icriuc Plutarcbo nella vita di Bruto } chc  a notte mentre che ci penfaua con vna lucerna accerti  alle facccdc della guerra jgl’apjjarfc vno fpirito in for-  ma d’vna perfona tragica, & più grado che il naturateci  quale fubito domandò Bruto (comehuomo intrepido  che egli era)chi egli folle , ò quello che ci cercaflc , & che  quello rilpofc,Io folio il tuocattiuo Genio, il quale tu ve  drai à Filippo:di che non punto fpauctatoBrutogli dif-  fe,Adunqucti vcdròioinquelluogoul che auennepot  innanzi eh’ eimoriflc:& di quella mcdelima oppcnione  fono flati & fonoi noftriTcologi, cioè che noi flamo  Tempre accompagnati (cornee detto) da vno Angelo  buono, che ci guida al bcne,& da vn cattiuo, che ci mena  al male.Platone parlando di Socrate loleuadire,chein  lui era vno fpirito, ò Genio particularc & diucrlo da  glaltri-Nel tempo de Romani non era lccito(comelcri  uc il Iurifconfulto fotto il titolo T)e \ erborarti oUigationi-  bus) di giurare per i Lari, ne per il Genio del Principe, ri-  putando qucfto giuramento grandiflìmo, però chefàcc-  dolo& fapendofl, erano puniti graueméte, laonde rom  peuonograntichi più torto il giuramento fitto fotto il  nome d’ogni loro Iddio, che Torto il Genio del Principe  lorojlìcomehàmoftro Tertulliano nella Apologia da  lui fatta contro à i Gentili, &Ouidio parlando della cu-  ra che hanno di noi i noftri Genij,quando ci dice:   Et vigiUntnoJìnt frmper in \rbt Ldres.   Da quelli Lari fuchiamato Larario quel luogo à par-  te &fcgreto nelle cafe,doue gl’antichi adorauonoiloro   K 4     >5*  Lare c r  L( mure- Buoni c r  canini fal-  liti.   Genio appi  rato 4 Bruto.   P Ul* Difefo di  giurar per  il genio de  t'imperato,  re trai Romani. Tertulliano. Gnidio,  f$i,   Xf tjfmdro Dij domcftici & particulari,il che hà confermato Spar-  baHfMin tiano, quando nella vita d’AlelIandro figliuolo di Mam-  fui Urtino mea, dice che egli haucua nel luo Larario l’imagine di  GUfuchrf- Giefu Chrifto con quelle d’altri Dij.Ne è molto tempo  fio. che in Lione fui monte della croce di Colle fu trouara   vna Lucerna ant cadi bronzo che mi fu donata , nella  quale erano fcrittc coli fatte pa rolc, l a ri b v s sacrvm . 1  con altre più baflc,^ più piccole, che lignificandola pu  blica felicità de Romani, dicono, p ve lic /e telici*  tati ro m a n or v M,nel modo che lì vede qui di fottoi   ' ~LV CE jTiTJl JL KT1 '   di H ronzo , trovata in Lione Canno LARI B V S   SACRVM  P. F. ROMAN. Stima  5 r 153   Stimarono gl’antichichei Lari follerò figliuoli della iUri pgiil  Luna & di Mercurio, come fi vedeindiuerfi Autori , la «oli di uh  quale oppenione mi porge materia di parlare di Mer-  curio lecondo la Teologia de gl’antichi , che volcuonò mercv-  che la ftella di quello Pianeta facelle gli huomini elo- R 1 °*  ìquenti &grAmbalciatori,maflìmamente quando egl( stella dì  èra congiunto col Sole & con Gioue,comeper contra-  rio volcuonoche ci folle dannofo cficndo accompagna  to da Martc,ò da Saturno Et lacaufa perdici Poeti nan  ilo attribuito à Mercurio Ambalciator de gli Dei il ca-  duceo, il cappello chiamato Galero da Latini, & laiicaf  capo & ài piedi, è, pcrchevolcuono lignificar, che fico-  me vn’vcccllo vola leggiermcntepcr l’aria, coli la paro-  Jafàcilmcnte efee della bocca d’vn’huomo eloquente.   I Greci lo chiamornoe PMH2,cioé interprete , ò Tur- uermet.  cimanno,&Dio della Mercatura, perche le parole fo-  no quelle che fono mezzane d fare comperare, ò vende- menadi»-  revnacofa. *'•   a 7 r  N T O. coprilo di Plauto nondimcmo & glabri Icmtori più antichi  Mercurio hanno chiamato il cappello Pccafo, come fi vede perle  ntafo. Icntture di piu marmi antichi che dicono, cvm m e r-   cvrio petasato, volendo lignificare cheli co-  me il cappello cuoprclatcfta,cofi le parole fcruono per  coprirli & giuflificarlì contro alle falfc calunnie degli  huomini maligni & inuidiolì. Altri hanno detto, che  quello cappello lignificauache vn buono Ambafciado-  redoueua goucrnarli nelle fuc faccédc fegrctamente:&  il Caduceo che Mercurio ha in mano,Ia pace che il piu  delle volte lì tratta per mezzo d hu omini eloquenti, co-  me lì vede in diuerle medaglie de glantichi.   VESPASlANO. FOSTVMO. ARGENTO. BRONZO.   ylìnio Della lignificatione delle dueferpi intornoai Cadu-   ceo ha Icritto Plinioallài diftefamentc,& però io (come  cofa fu peritinola) rimetterò il lettore à quella lezione:  & pcrfaperncla fauoIa,àHiginio, il qualenel Tuo libro   t adirò in Agronomico ha fatto il medelìmo, confermando che  f'gnadip*- J Caduceo fu concedo à Mercurio in légno della pace: " la i 5f  la quale volendo dipingere gl’imperatori nelle loro  monete, &moArarecncei n’erano flati autori, faceuono  battere nelle monete la Dea di Felicità, con vn Caduceo peuci-  invnamano,&neira!travncornod’abbondanza,figni- T A ficandochc nella pace publica non fi (ènte careflia. GALBA TITO BRONZO. BRON ZO.  Ne i Comenrari j di Celare fi troua fcritto che i Fran-  ccfi adorornoMercurio/rome inucncore di tutte Farti,  & guida de camini , (limando che egli hauefle gran pof-  fanza per fare ricchi i mercanti, ciò chcconferma Plinio  nclxxxnii. libro dellHiftoria naturale, parlando de  coloflì&ftatue antiche, & doueei dice, che Scnodoro  haueuanel Tuo tempo Superato in grandezza di fiatue  tutti glabri fculcori,haucndo inx.anni fatto in Auuer-  nia quella di Mercurio d'altezza di c c c c. piedi.Solc  uonooltreàqucflograntichi attribuire il galloà Mcrcù  rio,figni beando che i mercanti debbono edere vigilati  ti&folliciti lamattinaàbuon’hora, volendo arricchire  &farc bene le faccende loro. Tra le mie pietre antiche,   io ho     Mercurio  dorato da  franctjì.   Plinio.     Scnodoro  fcultor ec-  ctUauifii.  mo.   Statua di  Mercurio  fatta in  AuMernia.   ij<r    io Ho vn Niccolo &dùe Corniole, ncllequalrfono le fi-  gure di Mercurio. Nel Niccolo fi vede con vna boria  in mano,& nell’altra il caduceo. Et nella Corniolaàfc-  dcre fopravn granchio marino: con il caduceo in vna  mano, & con l’altra tiene l'vno de piedi del granchio;  col cappello in tefta.Per Mercurio c fignificata la paro  Ja,& per il granchio, che i mercanti non fi debbono af-  frettare nelle parole, ne (penderci loro danari fenzacon  fidcratione.    I fi   s /   * < /.r  V   i > 7  Sono (lati alcuni altroché hanno detto che l’eloquen  zà fu attribuita à Mcrcurio,pcrelfere (lato ii primo che  haueua ordinate & meflè le parole inficine per ifprime-  fei concetti della mente, deformare vna bella oratione,  ncceflaria à gl'Auocati & Procuratori , & pero dille Vi-  truuiocheil fuo tempio lì doueua edificare preflò alle  piazze.   Grande fu certamente la curiofità & fupcrlìitionc de  gl’antichijvolendoche Gioue finalmente fignificaflè il  ciclo, &Giunone l’aria, per cflerecofi vicino l’vnoallal-  tro:Nettuno il mare:&Plutonela terra, 8c che la mo-  gi ie di Netruno folle Salaria, & quella di Plutone Profcr-   1 >ina,fi come Giunone di Gioue, alla quale attribuirno  a cura delle Donne grollèjinuocandola in quel tempo  cheell’crano vicine à partorire , & poi che il figliuolo  era nato (come Diodoro afferma) lalciandone la cura à  Dinna,ncl modo che fi può vedere per l'hynno fatto da  Callimaco in honore della Dea. Et quando le Donne  Romane che non potcuonoingrauidare,voleuono ha-  uere figliuoli,cllc andauono al tempiodi Giunone,chia  mata Luci na,douc llaua vn facerdotc detto Lupcrcalc,  che fattole fpogliare tutte ignude & dillcndcre in terra,  le pcrcoteuacon vna sferza fitta di cuoio di becco,co-  me fi vede per le medaglie di Lucilla : ne i rouefei delle  quali fi vede Giunone à federe in habito didonna ve-  douacol fuo lecttroinmano come Rcina,& nellaltra vna sferza & lettere che dicono, ivnoni lvcinae.  Lucilla Menurio  Dio d’rioquenza. Vitruuio.     GIVNONE.   Giunone * -  iutrice de  le dine gr 4  uide.   Diuotione  de le donne  Romane 4  Giunone  Lucina  DELLA RELIGIONE  LVCILLA BRONZO. BRONZO cerimonie Quando quelli facerdoti Lupercali corrcuono per  dt faccrdo- mezzo le llradc, erano tutti ignudi,eccctto le parti vcr-  t« Lupcrca- g 0 g no f ejC h c erano coperte di pelli di beccbi,llati faenfi  cati fu l'altare di Giunonc.Et delle coreggie che haueuano Era pure grande quella luperllitionc chele Donne  Romane pcnlalTino (clTcndo coli battute da i sacerdoti  di Giunone d’hauereàingrauidare,&chc la felicità piu  grande era di hauer molti figliuoli, come fi vede perle  infraferittte Medaglie.   FA V S T I N A. GIVLIA M A MME A.   ARfitNTO. BRONZO 155  no in manoandauono pcrcotcdo le mani delle Donne  che le norgeuono loro per ingrauidarc. Era qucfto  luogo chiamato Lupcrcale nel palagio di Roma, & de-  dicato allo Dio Lupino, chiamato altrimenti daiRo-  maniPan Lyceo.Pcròchequiui haucuono già- poppa-  tala lupa Romolo & Remo, come moftrano le piccole  imagini Fatte di bronzo, che hoggi anchora fi veggono  in Campidoglio , & le molte medaglie di Confoli &  d’imperatori.   ME DAGL ÌE Di' D io lupino  ò nero, Pan  Lyceo.MEDA. DI SESTO P  lOmI     l(Zo     DE LA RELIGI ONE  DOMITI ANO.   HADRI ANO.  Fu Romolo di poi la Tua morte conlagrato & meflo  nel numero de gli Dei, come fi vede perle medaglie  d’Anconino Pio, nelle quali è Romolo veftito come vn  Marte,che tiene da vna mano vn’hafta & dall’altra vn  trofeo fullcfpallc con quelle parole , romvlo avg.   ANTO N I N G~P To.  BRONZO.  BRONZO.  La lini plici ta degl’antichi fu tale, che non badando  roma. j oro j iaue r C deificato Romolo, fcciono anchoradiuerfi  templi à Roma, & la chiamorno Dea, dipingendola vna  r volta DE GL’ANTICHI ROMANI, k;i  volta vcttoriofa con vna hafta in vna mano,& nell altra  vna vcttoria che l’incoronaua di lauro , & altra volta  con vn globo, in fegno della Monarchia,& limili paro-  le* r o m ae AETERNAE. NERONE.   ARGENTO. FILIPPO.   ARGENTO. Roma eter  no. Et nelle medaglie di Malfientiofitrouano Umilmen-  te più templi dedicati i Roma eterna, la quale i lèdere  fopra certe infegne militari,&convn morrione in tcfla,  hi in vna mano lo ficctcro,& nell’altra vn globo, che ella  prefenta all’Imperatore coronato d’alloro, lignificando  che egli era conferuatore del Mondo, come fi vede per ni ff entio  vna Prouincia foggiogata che ei tiene fiotto i piedi , il ‘onferu*-  dardoche egli hi in vna mano,& dell’altra piglia ilglo  bordino con la fiua corazza & mantello militare , &  lettere intorno che dicono , conservatori vrbis   AE T E R N AE.  \C l  MASSENTIO  BRONZO. BRON ZO. Vcfpafiano fimilmcntcfccc (lampare nelle Tue meda  SdTRoM gta Roma con vn celatone incapo, la veflecinta, mez-  nrOr meda- za ignuda, lo feettro in mano, gli (liualetti in piedi , col  glie di ve- Teuero prediche havn giunco in manovella appog-  frajìin 0 . gj ata ( a f cttc co ijj ? lettere che dicono , Roma.Ec  nelle medaglie d’Hadrianofi vcdeconvn ramo d'allo-  ro nella mano manca,& nell altra vna Vetcoria con vn  globo fotto i piedi.   VESPA’   iiti   M. AVRELIO ANTONINO (si veda) BRONZO Mentre che io fcriucuo quelle cofc,mi fu donata vna KmJi. 4  medaglia di bronzo, nella qualeda vn Iato è la teftadel  Sole,& dall’altro vna Luna convn globo, & due (Ielle  r opra,con lettere fottoche dicono, Roma, lignifican-  te le vectorie & fatti de Romani rifplcndeuono, co-  ll Sole per tutto il mondo, &erano (àliti (ino al cielo.  ITALIA. MEDAGLIA DI ROMA?   BRONZO. Non ballando à i Romani haucrc figurata Roma in  tanti modijfcciono quel limile d’Italia, coronàdola co-  me Reina del mondo à federe fopra vn globo (Iellato, &  mezza ignuda con vnofcettro&vn corno d’abbódan-  za,in fegno della fertilità del paefe d’Italia, come fi vede  nelle medaglie d’Antonino Pio.   ANTONINO PIO.   BRONZO BRONZO. Volendo à pieno narrare le Iodi di queda Prouincia,  noi ci diuertiremo troppo dal nodro intento principale:   Pur   DEGL’ANTICHI ROMANI. i<r 5  Pur nondimeno non lafciercmo di recitare qui quei  yerfi che il Petrarca , tornando di Proucnzain Italia, Pt(Wrt ,  cantò arriuato falla cima del Mon Gencua,in quello  modo, Saluecard T)eo tellnsfdnBifimd ftlue,   Teìlus tuta honis } teUus metuenddfuperbis »   Tellus nobilibus multum genero f or oris . Ne manco voglio lafciare in dietro che Collanti-  no Impciatorc fece battere medaglie di bronzo in Ro-  ma,nelle quali da vn lato è la lupa che lecca Romolo  & Remo mentre ch’ci la poppanoj&rdall’altro la Tua te-  tta. Et in Collantinopoli Umilmente dipoi fece batte-  re monete d’argento & d’oro con la Tua tetta , & lettere  che dicono, constantinopolis, lì come in quel  Jc di Roma haueua metto, vr b s koma. Ver fi iti  Vttrarcd in  lode i'itn-  IU. COSTANTINO. BRONZO. ARGENTO. ScriueStrabone(parlado d’Italia) che in quettaPro-  uincia fitroua il temperamento dell'aria migliore che  in altro luogorl’abbondanza delle fontane & de bagni ft «*  falubri,per Jacommodità&fanità dell'huomo, i frutti  i L 3  buonijc mine-di cuttii metalli, & marmi di diucrfi co-  ìtJid gU lori, onde non fcnza ragione, è ella Hata Regina del  rtgin* del mondo , producendo tutte le cofc neceflarie alla vita  mondo. humana:huomini eccellenti ncllarmc, & nelle lettere,  nella pittura, (cultura, architettura, & in tutte lecofe più  rare&fingulari,lc quali con molti libri farebbono an-  chorain piede, fe la maladctta & barbara natione de  Gotti, non l’haueflc tante volte corla & moleftata.Ma  perche di fopranoici trouiamo hauere aliai ragionato  vetto- delle Vcttorieicolpitc per tante medaglie, non faràfuo-  radi proposto (feguitando il fubietto della noftra ma-  teria) di (criucrecomeanchora quella fu da gli antichi  riputata vergine & Dea, & fattili più templi nella Gre- .  pittura del cia,douc (comefcriucTaufaniaró^tf/Và) ella fu adora-  la vetto- figuratacon l’alie,vna corona d’ Alloro in vna mano,& nell’altra vna Palma, ’& lotto i piedi vn globo :an-  chora che Domitiano la facelTc dipingere con vnCornocopia,fignificando che dalla Vettoria nafee l’abbondanza delle cofc.    DOMITIANO. BRONZO. BRONZO.  ic 7   tc perii rouelcio della medaglia d’argento diL.Hoftilioli troua la Vettoria figurata con vn Caduceo in  vna delle maniche lignificala pace di Mercurio, Se ncL-  l’altra vn trofeo delle fpoglie d i ninnici , modrando-chc  la guerra & la Vertoria apportano la pace. JL. HOSTIL1O. ARGENTO.  DOMITIANO. BRONZO. Ma Tuo Imperatore la feccfcolpire nelle fue meda- vittore del  glie d’argento con vna palma & corona d’Alloro fenza  'alimonie quellochc no voleua chcella difpartiffc mai  da.ìui: Se co fi la dipinfero gli Atenicfi (come dice Pausania nelle fue Attiche) per quella medefima ragione. VÈSPASIANO. TITO VESPA. L   #  ics Labaro in l cm,c medaglie doro io n’ho vna d’Auguflo,’   ftSM pria- nel rouefeio della quale e vna Vetcoria Copra vn globo  cipde de & l’alie aperte per volare, con vna corona d’Alloro in  ri«per<- vna mano ^ nell’altra il Labaro, infegna dcll’I mperatore,che i Franzefi Hoggi dicono Cornetta, folita por-  tarli innanzi al Principe, quando in perfona fi trouaua  alla guerra, come inoltrano le lettere che intorno alla,  medaglia dicono, i mperator c     Nella declinatiòne dell’Imperio Romano,commin-'   linoni ciorno di P oi gl’l m P cratori a fare <ii P in 8 ere l’Aquila in  tT quello labaro, come fi vede nel rouefeio della medaglia   di Maflcntiojdouc fi vede armato della corazza, & velie  militare con il Labaro in vna mano,& nell altra vn ra-  mo d’Alloro,le gambe armate , & vna Prouincia , ò ni-  mico folto i piedi, & lettere che dkono, victqru 1 AVGVSTI LIBERATORI ROM ANOIVM. Bctt   che dipoi folle vinto da Collantino Imperatore , in  virtù d’vna Croce , ò figlilo moftrato al detto Costantino i<r?  {lamino in vifionc , & ancho perche fu aiutato affai i lf'g»optr  da 1 medefimi Romani, & chiamato in Italia, non potè- ^n 0 ^ Un  do più fopportarela tyrannide di coli crudele huomo.  Haucndo coli Coflantino reftituito nella fua dignità  Tlmperio, fi fece Chrifliano , & volle che tutti gl abri cojUntino  adoraffino Chrilto, al quale edificò piuchiefc, & per  l’innanzi portò lemprcin tutte lefucimprcle il Labaro (0 Ui tempii  pcrinfegna,di fcarlatto, & d’oro con quello carattere»  fesche non lignifica altro fe non il nome & la virtù di  christ o, accompagnata da lettere, A. & w .cioè , che sìgnìficatio  il principio & la fine di tutte le cole è Di o, & ancho per- nf<u, “ n  che i Greci feriuendo il nome di Chrillo , cominciano  per X.la prima lettera diqucllo.Onde molti hanno er-  rato intorno à quello, dicedo che tal fegno era vna Cro-  ce d’oro che Collantino haueua fatta lare partendo di  Francia per andare à combattere in Italia con Malfen-  tio. Vfarono poiifucccfiori di Collantino lungo tempo  quella infogna, come fi vede per le monete di Collante»  nelle quali èl lmpcratorc armato col mantello digucr-  ra, vna Vettoriain mano, che lo vuole incoronare d’Al  loro,& in vna altra tiene il labaro col fopradetto fegno  di Collantino , pofando i piedi fulla prua d’vna galea»  il tinjone dcllaquale tiene in mano vna Vettoria, & let -  tcrecbc dicono, f elix temporvm reparatio*   V, L MASSENTIO. ARGENTO. COSTANTE. ARGENTO.  G'udUno Dccentio,Coftanzo,& altri Imperatori di poi infino   àpojìata. £ j tempi di Giuliano A portata vfarono Tempre quella  inlègna&figillodi Coftantino con limili parole, s a lvs   DOMINORVM NOSTRORVM AVGVSTORVM LVCET, COSTANZO. DECENTIO. BRONZO. BRONZO. s. a mbro- Chetale figillo forte il fegno diChrifto , dimoftra S.  I 10 ' Ambrogio nel v. libro, & nella Epiftola xxix. che egli  fcriuciTeodofioImpcratorc,&Prudétio nei Tuoi verfi  àquerto modo: Chrijhts . i 7 x   Chrijlus purpureum gemmanti textiu in auro,   Signabat labarum,clypeorum infignia Chrijlus  £crip[erat,ardebat fummis crux addita crijlis.   Era quello flcndardo fatto di fcta pagonazza chermi  fina con vna frangia d’oro tutto intorno, ornata di pie-  tre pretiofe,nel mezzo del quale era la Croce di Chrifto  fatea di riite uo,& nel mezzo di quella ricamato il fegno di Coftantino, &cofi legata fullacima d’vna lancia do-  rata fi portauain tutte le guerre dinazià fopradetti Im-  peratori, quali nel modo che fanno hoggi gli ftcndardi,  dedicati chià vn Santocchi àvn’altrod’alcu ne religio  iccompagnie. Ma ritornando all’imagini delle noftrc comedipin  Vettorie,dicochegrantichi ladipinferoin formad’An  gclo con l’alic,& bene fpefioà federe fopra le fpogliede torio.  nimici con vn trofeo dinanzi, il petto fcopcrto,con vna  palma, &vno feudo &paroleche diceuono,vicTORi a  a vg vs ti, nel modo che l’ha dcfcrittaClaudiano quan- cUudiano.  do ci dice:   Jpfa Duci [aerai ZJittoria panderetalos,   Et palma viridi gaudens & amica trophaù.   Cujlos imperij 'virgo qua fola mederii  ZJulneribuijnullumque docesfentire dolore m.   Et Plinio dille, Eaborem in vittoria nemo fentit. MEDAGLIONE DI M.   IONE  COMMODO.  avremo.  BRON/O.  Et perche la vettoria non fi può acquetare IcnzaFati-  t ° ca >f enza virtu,ne lènza forza, non farà fuora di propofi-  figura codi ragionare qui d’HcrcoIe, che ne guadagnò tante in  <l ucfto raodo > onclc » Romani volédo figurare la virtiUo  ualauirtù leuono dipingere il fuo fimulacro appoggiato fopra al  fuo ballone,& la pelle d’vn lioneauiiuppata intorno al  braccio, & altre volte tenédo abbracciato Anteo, il qua-  le vccifc, come dice Giuucnalc,   - Ceraie il us ctquat   H erettiti ^Anteum pronti a tellure tenenti*.   Nel quale modo lo dipinfcroanchora nelle loro meda-  glie Hadriano& Poftumio, con quelle parole, hercvli   MACVSANO, HA D. D’ADRIANÒ. POSTVMIO. BRONZO. BRONZO.   Et fi come la mazza & in lione fono due cofc fortiflì- Pm .  mc,& la virtù e fiata Tempre figurata ignuda, come quel tribuirono  la che non cerca ricchczzc,ma immortalità,gloria,& ho  norc,comc fi è vifto in vn marmo antico che dice, vi r- U pelle del   T VS NVDO HOMINE CONTENTA EST, Cofi   el’antichi volendo moftrare la virtù d’Hercole , doppo  la morte lo figurorno ignudo , con la pelle del lione &  con la mazza, &. la mazza & la pelle infiemc,comc fi ve-  de per le medaglie qui di fiotto. PRIN.   Ss. JW/ »74 PRINCIPESSA DI MACEDONIA. BRONZO.  BRONZO. Q^CINCINNIO III. VIR. AVGVSTO. argento.  ARGENTO. mix* di Fu chiamata da Greci quella mazza psrraAc*, la quale  Htrcole g lamichi fpeflè volte (dipingendo Hercolc)accompa-]   Ja Greci gnorono d’vn trofeo,&Hercolecon vn ramod’Alloro  Kbopalos. nc J} a ma dritta,& nella finiftra la mazza,& vna pelle di  lione,chiamandolo Vincitore: & volédo per la mazza  anchora lignificare la prudenza, conia quale fi gouer-  naua in tutte le fucimprefe.  ;; i  CAN. i  75   uaif   f   [lor   llc<5   n»   ifltf   Vii  CANTIO. MEDAGLIONE D’ARGENTO. COMMODO. Apulco lo nominò cercatore del mondo, domatore Epitetili  de gl huomini,&dclIcbeflieferoci:&:Tcocrito,occifore  di lioni & di tori, come moftrano le medaglie (lampare a puleo. In honorc fuo,ncI modo che fi vede qui di Cotto. t tonilo. MED. GRECA. C. BRONZO.  POBLITIO. ARGENTO. | iv laVttUia i/wiv. w v< » »•»»   pelle di lione & della mazza, fu, perche in quel tempo  nons’vfauonoaltrearmijche le pelli dcgranimalifalua-  tichi> per coprire il corpo : & i baffoni per offendere i   nimici,  i 7 <r Arme che nimici^ vendicare l’ingiurie. Et perche Homcro con  o mo ^‘ a ^ cr * P° ct * hanno fcritto.chc Hcrcolccauò Cerbe  "L Suo ro cane con tre teftejdell’inferno^crò mi c parfo non  HtrcoU. fuoradi propofito riprefentare qui appreso la figura  d’vna pietra antica, fiatami mandata da Narbona,&ri-  trouata in quel tempo che fi cauauono i fondaméti de i  baftioni di quellaCittà,nel modo che fivede qui di fiotto. S1MVLACRO DI HERCOLE ET DI  Cerbcro.ririrato d’vn mattilo antico di Natbona. “Interpretarono i Teologi antichi quclfo Cerbero per  tutti i vitij,lfati fupcrati & vinti della virtù d’HercoIe, co  me più apertamente potrà il lettore vedere nel trattato  * che hà fatto Lilio Gregorio Ferrarefe della vita d’Herco rarefi  leda (fatua del quale fu altrimenti dipinta con tre palle  nella mano diritta, &nclla manca la mazza, volendo Lffr ; wr .  perle tre palle lignificare la virtù di tre colè, cioè, lènza tudiHcrto  ira,fenza auaritia,& lenza defiderij vitiofironde ancho- k ’  ra hoggi li vedeà Roma vna fua (fatua di bronzo con  vna palla in mano trouata, non e lungo tepo,douc era  flato il fuo grade altare fulla piaza del mercato de buoi.   Fu oltra à quelfo dedicato à Hercole il Popolo albero di po o[g A  fpctic di Salicio, del quale i fiacerdoti Sali; fi faceuono ferro dedica  girlandc, volédo fare à Hercole làcrificio, come ha mo- t0 * Hfrf0 "  ffro Virgilio, doueci dice, “   Tunc Sali) ad canta inceri fa altaria circuì n  *?opuleid adfunt tuinRi tempora ramit.   Soggiugncndo altroue, Copulai ^Alcida gratif ima.   La quale cofa fi conferma ancora meglio per la me-  daglia Greca d’HcrcoIe, nella quale da vn Iato c la fua  telfa coronata di popolo con la pelle di lione intorno ai  collo,& dall’altro il Zodiaco con tutti iluoi fegni , & Fe-  tonte caduto del carro del fole con ini i.caualli, la fac-  cia del fole, & lettere intorno che dicono, a’at'nata  z h t n n, lignificando che ei cercauacofc impolfibilipcr  le forze fiumane.     M  MED. GRECA D’HERCOLE.   BRONZO. BRONZO.  Fuanchoradipintoquefto Hercole dagl’antichiGrc  cicon la pelle della teda del lionc in capo, in cambio di  celata, vn’arco,vn turcaflo,& la mazza,volendo lignifi-  care che la virtù dell huomo fcrcifccdi lontano. MED. GRECA   BRONZO.  D’ERCOLE  BRONZO.  Non  V .r ,.t*    mi   t'W.   §* T*  1   b  i^v   flfr   m  m   17  Non porto fare che (criucdo d'HcrcoIe, non mi ricor  di&non mi rida anchora della bertialità di Commodo   Imperatore, che vanamente afpirando aU’immorralita p * zz u   del Tuo nomc,8,Tendo emulatore, ò più torto iuuidiofo £  della virtù d’Hercole,rinuntiò il cognome fuo Droprio,   &della carta fua:&in luogo di Comodo figliuolo di M.   Aurelio, vollceflcrc chiamato Hcrcole figliuolo di Gio-  uc:& lartciando I'habito d’imperatore Romano, fi veftì  d’vna pelle di lionc, portò vna mazza in mano:&mefco  landò le vcfti di porpora ricamate d oro con quella altra,  non fi vergognò d’vfcircin pub!ico,& mortrarfi al popo  Io per tutto, come fi vede per le file medaglie d oro,d’ar-  gcnto,& di brozo, nelle quali da vn lato eia fua iella ac-  concia come quella d'Hercolecoil la pelle del lione, &  d’allaltro l’arco, il turcaflo,le freccierà mazza, & lettere  che dicono, hercvl 1 romano avgvsto. p , MEDAGLIONE DI COMMODO.   bronzo. bronzo.  M z    i8o     Dione.  Colonie   Commo-   dma. COMMODO.   BRONZO. Ne contento anchora Commodo di quello, vollc(co  me ferine Dionc)eflerc chiamato Hercolc fondatore di  Roma, facendo battere monete, nelle quali fi vedeua in  habito d’Hercolc condurre due buoi, in fegno di nuoua  colonia, Scche ci voleua mettere nuoui habitatori in  Roma, la qualcchiamò Commodiana,&Cómodiani i  Tuoi faldati, comefi vedepcr le lettere, chcdicono,coLo  N I A LVCII ANTONINI COM MODIAN A. & altrO-  UC, HERCVLES ROMANVS COND1TOR. COMMODO.    Ma quello chein quello moltrò anchora più la Tua  pazia, furono i titoli,! quaIi(fcriuendo al Senato Roma-  nojs'atcribuiua in quello modo,   IMPERATOR CAESAR LVCIVS AELIVS AVRELIVS COMMODVS AVGVSTVS PIVS  FELIX SARMATICVS GERMANICVS MA-XIMVS BRITANNICVS PACATOR ORB1S  TERRARVM INVICTVS ROMANVS HER-  CVLES PONTIFEX MAXIMVS TRIBVNITIAE POTESTATIS XVIII. IMPERATOR  Vili. CONSVL VII. PATER PATRIAE CON-  SVL1BVS PRAETORIBVS TRIBVNIS PLEBIS SENATVIQ^VE C.OMMODIANO FELI-  CI SALVTEM. Andando poi per paefe. lì faccua  portare innanzi la mazza,& la pelle di lionc , onde mol-  te ftatuegli furono fatte alla fomiglianza dell’altro Hcr  cole antico.Dal quale propofìto ritornando à quello del  noftro Hcrcole vcro, & lanciando in dietro tutte le fauo-  lepcr accodarci alla verità deirhiiloria, diciamo che(lc-  condo Halicarna lTeo) Hcrcolcfu vno eccellente Capitano, il qualcardito&fauiotrouàdofi vn efferato gagliar  do, pigliauapiaccrcd’andarc per il mondo, riformando i  cattiuicoflumide gl’huomini , ipegnendo i Tiranni,!  ladri , & giada Alni coll Greci , come Barbari , & Latini:  edificando nuouecittà:& drizzando per publica vtilità  (quello che è il debito d’ogni buon Principe) i camini, &  fiumi che guadarono il paefcrdella virtù del quale, qua-  tuque iohaueffi deliberato nó fare coli lungo dffeorfo*  nondimenoilgran numero di mcda^licchc iomitroua  di lui, mi conllringono,per piacere ai letterati amatori  delle cofc antiche, di leguitarc & mettere inanzi Hcrco-  le,chiamato da i Franiceli Ogmionffccondo la narratio-  r. ri     M   3 .  rou['     r8i     I nomi is-  tituii che fi  duua Com-  modo.     Qual fu   hcrcole fe-  condo li Hi  fonografi.   hcrcole  Gallico.  l     i$zne di Luciano oratore &Filofofo Greco, il fenfo della  come i Fri quale fatto prima latino da Erafmo, è tale: I Francefi in  « fi dipinfe loro lingua hanno chiamato Hercole Ogmion,& l’han-  roucrtole. n0 formato in vn modo molto nuotio & Urano, però  che ei l'hanno figurato vecchio , canuto , & decrepito,  tutto caluo dinanzi, con pochi capelli , dietro "rinzuto,  & cotto dal Sole come vn contadino vecchio, o marinic  rc,tantocheinaItracofa non pare Hercole fenon per  l’habitochc ci porta, veftito d’vna pelle di lionecon la  mazza, l’arco tefo, & il turcafiòda quale cola io harciccr  tamentc penfaro che folle Hata fatta da i Francefi in dc-  Htrtolc rifione & difprcgio di quei Grcci,chc haueuono fcritto  negno^l ^ oro Hercole haueuafeorfo come virtcitorc ilRe-   f ranci*, gno di Francia, {ciò non hauclfi villo vn numero infini-   to di huomini,& di donne legate per gl’orccchicon cate-  • nuzzcd’oro,& d’ambra alla lingua d’HercoIe, lenza fa-  re non folamcntc légno d’cllérccofi menate contro alla  loro voglia, & di volere rompere i legami, ma parendo  che tutti facclfinoà gara di follccitarc il palTo piu di lui,  dubitando nonrcllarc indietro, anzi leccando lecatenc,  comecola grata, métrcchc Hercole col vifo volto inuer  fo loro gli guardaua tutti allcgramentcril quale miflcrio  mentre che coli riguardato arrccaua marauiglia à Lucia  no, dice che vn altro Filofofo Francclc,ma dotto in Grcco,fc gli fece innanzi & dille. Amico io ti voglio dichia-  rare la difficultà di quella dipintura: Sappi che noi altri  Francefi non attribuiamo l’eloquenza à Mercurio, co-  me vo i a Ic r i Greci folcre fare, ma à Hercole, come qucl-  édanreolc. lo che è più robullodi Mercuriodà onde tu non «debbi  marauigliarc fe tu lo vedi vecchio, con ciofiaj che l’eloqucnza rade voice è ne i giouani,eflendo offufcaci dalle  tenebred’ignoranza,ondc la lingua de vecchi lènza paf-  jfione pronuncia più cleganrcmcnrcifuoi concerti,cncc  il lignificaco di quella pitcura, volendo inoltrare, che il  parlare ornaco li eira apprcflo le perfone perlaconue-  nicnza,che hàlalinguacongl’orecchi.Ncmcno ci debbi  marauigliarc,ncbialimarc Hcrcolc, che egli habbia la  lingua toraca, conlidcrandoche noi vfiamo nelle nollre  Comedicdidire,che cucci coloro hanno bucara la lin-  gua che parlono aflai,& bene, come faceua Hcrcole:che  per ciò(lecondo l’opinione di noi alcri Francclì ) lì rcn- Hfrf0 / f  dcua luggecce cucce lenarionij&orrcneuaciòcheglipia tot fuo fcrf  ccua, mediate léfóttìliflìmc & ingegniolc ragione ch'ci  {àpcuaallcgarc,&concireperfuadercleperfone,la qua- ti™* i fe  leacucezza & foccigliczza d’ingegno c figuraca perle huom *   freccie, per l’arco & pel curcalTo:onde voi alcri Greci lo-  Iecedirechela parola c pennucacome vndardodaqua-  lcinccrprecacione ci fcruiràhora Umilmente per ilcriuc  redellefrecc^&dclrarcod’ApollojCon le quali am-  mazzo il TerpencePitone,& per ciò daHomcrofu decco L0>  ^oWu^«,cioècheiciraua lonrano:&i Greci Io figu-  rornoinquello modo, come fi vede per le medaglie di  Nerone, doue da vn laro c dipinco con vna corona d’al-  loro, il curcaflo Tulle fpalle & la ftella di Febo, con lectcrc  che dicono, a no a aon snrHP.cioc Apollo Conferua  tore,lì come i Greci vfarono faquila,& ilfolgorc nel me  defimoTenfo. A  M 4 CLAVD. NERONE.  ARGENTO. MEDAGLIA GRECA. BRONZO. Apollo dio  di [oiukori  di lira. Quella lira fu attribuirai Apollo, perche gl'antichi  penfornoche cifofle Dio de fonatori, dipingendolo ancora con i capei lunghi fenza barbala lira, & vn ramo  d alloro in mano,& vn altra volta con vna tazza & vna,  velie lunga fino à i piedi, per mollrare la fua deità.  AN  I  l  ANTON. PIO. CARACALLA.  ARGENTO. ARGENTO. Ma i Grecigh attribuirne non folamcntclalloro per vdHoroc 5   la fauoladi Dafne, ma per la virtù della pianta Tempre f*sr*to ai  verde, volendo mollare l'ctcrnftà del Sole, & perche - 1   ella feruiua nella purificatone de i facrificij, & perche la è mai touo  factranonla tocca,comciha fcritto Plinio:& pcrchcdi U f* u ~  quella s’ornauonoi turcaflì, le citare, &i cappelli de gli L'alloro de  Imperatori, quando trionfauono con vn ramo d’alloro dic .* t0 * *  in mano, onde il medefimo Plinio la chiamò Portina-  ea delle cale de i Cefiiri & de Pontefici , & nuntiatrice di \   vettoria, conciò fia chela coróna d'alloro foleua ariti- 1   camente Ilare legata dinanzialpalagio de gli Imperatori, con quella di Quercia in mezzo, come fi vede per il  tcftimoniod’Ouidio nel primo libro del Mctarriorfo- o iddio.   (co douc ci dice,   * JMediamtjtie tuebere ejuercum.   Delle quali corone fi rrouano tutte piene le monete  de gl'imperatori in quello modo,  < M j   v: c'n;.m r.ll.i: r.:iv i; .«•- ... otr.ooiop tic DE LA RELIGIONE  AVGVSTO.  BRONZO. ARGENTO.  Plinio.  Inodore di  rdUoroftfc  ttiU pejle. Dbterpcpà  ture de U  flatua d'Ar  pollo. Probo.     La virtù di qucfta pianta c tale, che fc nel tempo di  peftc(comc fcriue Plinio) i’huomo (blamente l'odora Se  porta fcco,ei non può hauerc malc:&: per certo fi legge  che cflendo vnagranpeftein Roma, Commodo fi ritirò  à Laurentojcoficonhgliacoda i medici Tuoi, per cflcrc  quel luogo abbondante d’allori. Et quanto alì’imagine  d'Apollojoltrc aU’arcoJefrccciej Se la lira, con la quale  lo (oleuonodipingcregl’antichi, l’Imperatore Gallieno  (volendo moftrarela (ua im prefa d’Oriéte) lofecefcol-  pire informa di Ccntauro,con la lira in vna mano, &  nell'altra vna palla con quefte parole., apollini co-  miti, moftrando che egli andaua col fauorc del Sole.  Ma Probo lo dipinfc Copra vn carro con piu razzi in ca-  po, & con la briglia in mano di n n.caualli, chiaman-  dolo luuitto con quefte parole, soli invicto. Et  glabri Imperatori , come Coftantino, Aureliano Se  Crifpo ftamporno nelle loro medaglie il Sole ignudo,  coronato di razzi, con vna palla nella mano diritta, Se   nella DE GL'ANTICHI ROMANI. nella manca vnasfcrza, con limili parole, soli invi-  cto coMiTi, fignificando,che con 1 aiuto d Apollo egli haueuono vinto &lbttomeflcdiucrfe regioni. GALLIENO. BRONZO. COSTANTINO. BRONZO- PROBO. BRONZO. A VP ELIANO. BRONZO. Ec perche alcuni hanno detto che il tempio del Soìè Tempio del  era in forma tonda, però mi èparlbdiriprefénrarequi la SoIe '  medaglia di M.Antonio Triumuiro, nella qualeha fi-  figurato il Sole in vn.tcmpio quadrato,& accompaqnato da simili parole, in. v ir r, p. c. cioc, trxvmvir  i38 vir reipvblicae constitvendae, &dalf altro Ia-  to, MARCVS ANTONIVS 1MPERATOR.   M. ANTONIO TRIVMV IRÒ.   ARGENTO. Moneta di I Rodi anidipinfono nelle loro monete il Sole coni   KodianL razzi j n capo, lenza barba, & con i capei lunghi da vn  lato, & dall’altro (colpirnovna rolà,Hora in vn modo,&  horain vnoalcrocon quelle parolcpoamN apizto-  KPITOI, Se POAION,   MONET ARO PIANA. VVù OiT^ v   iV  MONE  DE GL'ANTICHI ROMANI. <i8j> MONETA RODI ANA. BRONZO.ALTRA MON. RODIANA. ARGENTO. Etne roucfci delle medaglie d’oro di Traiano, Ha- Vorlpat '  driano>& Aureliano Imperatori fi troua ( fecondo l'v- u°mc2gul  fanza de Greci) fcolpito I Oriente per la faccia del So- de limpt-  le,con lettere che dicono, oriens. Ma in quelle di ratoru  Lucio Plaucio fi vede la tetta d’Apollo accompagnara  dadueferpi,comcPythio, & nelroucfcio della medefi-  ma medaglia vna Vettoria,che tiene per la briglia i caualli del Sole.  TRA  Coloffo   Rodi-   TRAIAN CL AVREL1ANO. ORO. ARGENTO, ' Non erTlaTnaTa Tintcntionedi fcriuerc altrimenti del ColofTodiRodi, il quale è la flatua d’Apollo, perche  io ne haueua già parlato nel fecondo mio libro dell’ANTICHITÀ DI ROMA, ma essendomi flato predato vn certo  libro Greco antichiflìmo, & lenza Autorc/critto a ma-  no da M Giorgiodi Vauzelles Caualierc di Rodi, ed onore della Torretta, quale egli haueua portatodi Grccia, non ho voluto mancare di communicarc a gl altri   huomini   ì*r  huomini quello, che io ne ho ritratto intorno à quello,  nel modo che fcguc: Tra gl’altri miracoli del mondo (dice egli) era il Coloflo di bronzo dentro à Rodi Deferito  fatto in honorcdel Sole, da Colalìe in dodici anni,& al-  todi fettanta cubiti. La bafeche lo fofteneua era trian a.  golare , & ciafcuno lato (ottenuto da fettanta colon-  ne di marmo. La (tatua era tutta vota dentro & fatta à  (cala à vite, per la quale fi faliuafinoà la cima:&quiui  erano diuerfi ftromenti, che in verfi Iambici faccuo-  no vna mufica foaue. In quella (tatua, la quale era  volta inuerfo Egitto , fi vedeua tutto il paefedella Si-  ria, & i nauili che andauono in Egitto, mediate vno fpec-  chioche ella haucua legato intorno al collo , cttcndo  del retto tutta ignuda, con vnafpada nella mano diritta,   & nella manca vn’hafta lunga,tanto che la (pefa costa ccc talenti d’oro. Aucnne di poi, che doppo cinquanta anni, che ella era ftatafatta,ellafu metta per ter-  ra da vntremuoto, che durò vii. giorni , & coli rotta in Mirrile  piu parti (ì trouauono pochi huomini, che potettmo ab- trmuoto '  tracciare vnodei fuoi diti grottì,& colui che ne compe-  rò i pezzi del bronzo, ne caricò 500. Camelli.Ma ritor-  nando al noftro Apollo, & alla diferenzachc egli hebbe rifiorii*  con Marfiafonatore,come ha fcritto Apulco,nel primo ** A P °£ 9  libr.de fuoi Floridi, dico che à cottui parcua edere coli  eccellente, che accecato dalla fua infolenza , non fi ver-  gognò di volere competere nella mufica cori vntanto . v  Dio,allaprc(cnza delle mule, le quali, data la fentenza  in fauorc d’ A pollo,fcciono che legato Marfiaad vno al- M -  bcro per punirlo (come ci meritaua) della fua temerità, fiortiutt.  lo (corticaflc, nel modo che ha moftrato Ouidio ne i.  t: fuoi   isn . Tuoi Farti, dicendo,   o uidio. ‘Prouocat & e Phcebum i < Phxbo fuperante pependin. Cafa recejprunt a cute membra fua.   Et Nerone nel fuofuggello, del quale la figura cpofta  qui di fotto. sy OO LL LO DI NERONE RlTRATTO  d’ t ma pietra tattica. Dipingeuono fimilmcntcgrancichi Apollo accom-  dtUc°Mufe pagnato bene (peflo dalle Mule, volendo inoltrare che  con Apollo, tra lui Sdoro, è vna naturale conuentione, fi comcmo-  Virgilio, rtrò Vergilioall’horache della natura di quelle ragio-  nando dille,   In medio rejìdens compleBìtur omnia ‘Phccbut.  l*. ùv/è Le quali però fumo da gl’antichi vergini figurate(coucrgini. mc h a fcritto Phumuto) perche il frutto delle feienze  « . ' nafee , 1*3  nafcc dal giuditio dell’ingegno, & perche la virtù occul  ta fi contenta del fuo ornamento naturale: &: che l'ha-  bitationc delie Mule uer i monti &; per i bofchi,non fi-  gnifica altrove non cal gli huominipiù dotti & ccccl- imonti.  lenti viuono,& vanno volentieri foli,& feparati dalla  ignoranza della plebe, (blamente (come dille il Petrar-  ca)al vii guadagno intenta, imaginandofi la (ciocca,  che le lue ricchezze le habbinoà infondere ad vn tratto  la fapienza,& la dottrina nel capo , perii che diuenuta  infolcntillìma, & volendo riprendere quei, che fanno  più dilei, rimane alla finelcorbacchiata & fcorticata, come vna bcllia della propria pellciilqualc propofitocoti  fermò Plutarcho quando fcrilTechei templi delle Mufe  non fi trouauono altrouc le non lontani alle Citta , & a  i eradichi de gli huomini plebci:& Orfeo & Proclo ha-  no voluto che le Mufe fodero le prime inucntrici della gionc . rc   rcligionc,dclla quale ritorneremo fubito a parlare, che  noi haremo inoltrata la figura del Trepie,ò Tripode  d'Apollojgià tanto celebrato & venerato da gl’antichi. S Apollo,  Di quello adunque fi vede il difegno nelle medaglie  d’argento di Vitcllio,& di Vefpafiano,& (quello che io  Rimo anchora più cofa rara) in vn dialpro rollò antico  che io hò meco , douc egli e figurato con vna cornac- a j  chia,la lira,& vn ramo d’alloro, tutte cofe conlagrate à a pollo, lui, come qui fi vede. N t>4  DIASPRO ANTICO. VITELLIO.  ARGENTO. VESPASIANO:ARGENTO.  Il iimu  Tf » Il fimulacro del Sole, che i Fenicij chiamorno nella ìtsoledrt -  loro lingua HeliogabaIo,fu portato à Roma dall’Impe-  latore Antonino, coli chiamato anchora lui, il quale nel (,«/„*  monte Palatino gli fece fare vn tempio (come fcriuc  Lampridio)& qui volle che non folamcntci Romani, r  ma i Chriftiani & Giudei facchino tutti i loro facrificij,  non per altra ragione, fe non perche nella fuagiouanez- rèpio dedi  za egli era flato fatto fàcerdotc del Sole , honorato & ** s ®:   tenuto in grande riuerenzada i Fenicij, però che gl’ha- tiero&mo»  ueuono fatto vn tempio marauigliofo di pietre quadra- Antonino  te, & (come fcriuc nel 5. libro Herodiano) ornato dar-  gento,d’oro,& di pietre prctiofè : onde io ho tra le mie le.  due medaglie d’argento del detto Imperatore, nelle  quali fi vede in abito di fàcerdotc di Fenicia facrilicare  al Sole con vna tazza in vna mano,& nell’altra vn ra-  mo d’a!loro,&fopra l’altare, doue c il fuoco accefo,fi  Vede il Sole,& lettere che dicono ncll’vna delle meda-  glie, svmmvs sa cer do s, & nell’altra, invictvs  sacerdos ,chc fono i medefimi epiteti del Sole. HELIOGABALÒ. ARGENTO. FORTV NA.  t5rf Io nonmidiftcnderò più oltre àfcriucre la vita fede-  rata di quello Imperatore, ma bene mi dorrò del cieco  & tirannico arbitrio della Fortuna, che lo meflc in quel  luogo che ci non mcriraua,ficomcanchora veggiamo  che ella fa di molti altri à i tempi no(lri,onde gl’antichi  volendo moltrarc la fua portanza , & come ella gouerna tutte le cofe del mondo, la dipinfcro con vn corno  pitta* de d’abbondanza in vnamano,& nell'altra con vn timone  U fortund. Ji nauc fopra vna palla. TRAIANO BRONZO. HADRIANO. ORO. ARGENTO. ANTON. PIO.  ARGENTO.  1*7  F,u Umilmente figurata da glantichi à federe in terra  col comocopia,& vn braccio appogiato fopra vnaruo-  ta,per moflrarc la fua inconftanza , & limili parole,  fORTVNAE red ver. Et di qui nacque che A pel le Aprile rr-  cclcbratilfimo pittore Greco,domandato perche hauc-  uadipinta la Fortuna à federe, rifpof? chchaucuaciò  fatto per che ella non haucua mai ripofo. ANTON. GETA TRAIANO.  argento. argento.      Ma quella che noi habbiamo chiamata Fortun a, i  Greci lachiamorno sella folle fiata buona,*«^ w, ^ ^  *»»comc fi vedrà per vno intaglio antico portato di Gre- fortuna  cia,& donatomi da Frate Andrea Thcuet d’Angulcmc,  nel ritorno del fuo viaggio di Ierufalem.con molte al- Caladi  tre medaglie antiche, che io moftrerò ritratte, nel libro  che io hò fatto dell’Antichità di Roma, accompagnan-  do in quello mezzo la nollra Fortuna d’vnDiafpro , &  d’vna Corniola antica,doueella c fcolpita con vn cor-  no d’abbondanza, & vn ramo d’alloro, lignificando DIASPRO antico, corni O-  LA ANTICA. La fortuna  accompagna il Ut  to diCefa-  ri. Vlinio. Difftnition  de la fortuna. Arijlofane.Tempio fuperbo de la  Fortuna in  Prenefte. Vcdcfi per l'hifìorie che vna Fortuna tutta doro acr  compagnaua Tempre il Ietto de gl’imperatori , & che  quando ci veniuonoà morire, in Tua prefenza eraporta-  taàiloro fuccelforr.ondePlinio la chiama leggiera, in-  conftante,&fallacc,come quella che fauorilcei manco  degnirnon dimeno , alla verità, la Fortuna non c altro  che la prouidenza di Dio , dalla quale fecondo i noftri  iteriti noi riceuiamo male,ò benè.Et la caufa perche  gl'antichila dipinfono anchora cieca, fu per la cagione  nominata di fopra-di che ha molto bene icritto Arifto-  fahe nel fuo Plutone,DiodcIleRicchezze:il quale argu  • mento hà Tradotto Luciano nel fuo Mifarftropos.il det-  to Ariftofanc fcriue che quando Giouc donale richczzo  à i buoni, ei fi moftra zoppo, & porgedoleà icattiui,cor-  re leggiermente. A‘ Prtfncftc anticamente fu il fupérbo .  tempio di Fortuna cdificatoda Sylla , con la Tua ftatuà  di bronzo dorata, la quale èra di tanta eccellenza cheli  foleuadire perproucrbio(volendolodarc vna cofaben   dorata w>  dorata) la doratura Prcneltina. Nc contento Sylla di  quello, cominciò à fare il pauimento di detto tempio  di Mufaico,chegl’antichi chiamorno Lytoftrates , con  mirabili figure di diuerlì colorali comcPlimo (parlando  dei pauimenti) fcriuc nel xxxv. capitolo del xxxvi. li-  bro dcH’Hiftoria naturale. Et perche la Fortuna può  molto nella guerra, però mie parfo di collocarla preffo  lo Dio Marte, al quale i Romani feciono fare diucrli  templi,&dandoglifacerdoti , detti Salijdo chiamorno  vna volta Vincitore, all'hora cheei porrà vna Vettoria  (lilla mano:vn’altra volta Propugnatore, Vendicatore,  &Pacatore, quando egli haucua nella mano dritta vn  ramod’vliuoj&nellaltrala fuahalla con la corazza à i  piedi, & dinanzi targhe, rotelle, & il celatone,con vn pen  nacchio,& lettere cnedicono , Marti pacatori, li-  gnificando che quelli che vanno alla guerra, li debbono  lenza paura moftrarc à inimici.     M« [aito.  MARTE-     Epiteti di  Marte. Qui ua alla guerra  non deve ha  tter paura. V1TELLI O.  ANTON. PIO.  zoo   L’haftachc eiportauafu chiamata Qiiiris dai Sabi-  ni,& Romolo Quirino,comefi vede per le infralcrittc  medaglic,doue egli è dipinto tutto armato, per fignifi-  care,che lui era vendicatore, nel modo che lo chiama-  rono i Romani. QniriJ. Marte QH* rtno. ANTON. PIO. BRONZO. V  aoi GORDIANO. ALEX. MAMMEA. BRONZO. HADRI ANO. ARGENTO. CLAVDIO.   BRONZO Il tempio di Marte Vendicatore fu fatto i Roma per Tépioetifì  Cefare Auguftoin forma tóda,à cau fa della gucrra.chc  egli haueua giurata concra Filippo, per vendicare fuopa da a ugufto  dre,come fcriue Suctonio,& Ouidionci Falli, doue ei Ct f* re ’  dice Tempi d feresfè) me vittore Vocaberis Ultori ouidio.   Uoueraty&fufoUtnt ab bojlereJit.   Scriue Dione neliniUibrodellHiftoriaRomana, che OÌ9at »   N 5 ARGENTO. r pmfr.DELLA RELIGIONE   Celare Augufto edificò quello tempio in Campidoglio}  & vi fece portare gli ftendardi &inlcgne militari, con  l’Aquila deRomanirondeil Senato dipoi volendo an-  chora maggiormente honorare Ja fua memoria, vi fece  condurre il carro fui quale egli haueua trionfato. AVGVSTO. L. - CTN NX   ARGENTO. ARGENTO. Si come gi’antichi dipinlero Marte, nelle maniere già  ville di fopra, chiamandolo infieme con Giouc Vendica  torc & Propugnatore, & in molti altri modi Greci & La-  ùniche forebbono troppo lunghi à raccontare, coli dir   pin AVGVSTO. , . Ci , ' *   ARGENTO.*>3     jpingendo Venere, la chiamorno Vincitrice, con la Vet-  raria, Io feeeero & appogiata fopra vno grande feudo, & v e n b -  altra volta con vn morrionc in luogo di Vettoria,ò con R E *  vna palla, in figno che ella haucua fupcrate in bellezza  tutte Falere Dee. Il fuo carro,fecondoil direde Poeti, era carro div e  tratto daduocigni:Ecper tanto dice Ouidio,   - JuriBif^ue per dir A cygnis  'C arpie iter.   CARACALLA M ACNVR B FcX     nere tratto  da duo ti-  gni.  PLAVTILLA. FAVSTINA. La Ve      io4 venere La Venere chei Greci chiamorno Afroditi ,i Latini   1 hanno detta Dea di bcllcza,&di gencratione,nata(fec6  do i Poeti)dclla fchiuma del marerEt Cicerone nel libro  della Natura de gli Dei,parlado di i n i. Venere, dice che  Tempio di l’vna fu figliuola del Cielo,& di Giouc,&haucre vifto il  eMc* hi o tempio in Elide: l’altra vfeita della fchiuma del mare:  la terza di Gioue& Dione moglie di Volcano:& la quar  ta Siriaca di Siro nominato Allarte,chc fu quella mari-J  D*r vene* tat ‘™l bello Adonc.MaPlatone nel fuo Conuiuio hàpo  re fecondo fto due Venere, vna cclefteche incita gl’huominialbuo  vintone. no amorc> & l’altra terrena che gli muouc al piacererdi-  cendo chela prima fenza madre fu figliuola del CicIo,&  venere uc- 1^ altradi Dione &diGioue:Iaquale 1 Fenicijvenerauo-   ne rata   Tcnicij.     ta dai no afiai, per cflere (lata moglie d’ Adone, & Adone nato  nel pacic loro, onde in memoria della mortedi quello     lamentandoli lefaccuono facrificio:le quali fàuololc  opinioni & fu perftitioni lanciando tutte in dietro, ven-  ghiamoà vedere come fenfa laVcttoriala dipinfcCe-  fare Dittatore nellefue medaglie.     ARGENTO     GIVLIO CESARE.     Et ne ANTICio*   Et ne i rouelci delle medaglie d’argento di Cefa re mi -  norc,fi veggono due Cupidi condurre il carro di Vene- corrodi ut  re volando, & lei che ticncabbracciato il fuofccttro con   11,. lo d 4 duo   lettere che dicono, lvc n ivli lvcii filii. cupidi.     Gl VL. CESARE.   ARGENTO.  AVGVSTO.   ARGENTO.  Auguftodipoi dedicò à Giulio Celare il tempio di Tempio di  Venere Genitrice, coli adorata da i Romani, &alla qua- j' n ' rede '  le haucua Cefarc fatto vn bullo di perle, le quali (come A u g u ji 0  fcriue Plinio nel libro xxx vi. dell Hilloria naturategli Ctfurt,  haueua portate d’Inghilterra, hauendo prima farrofa-  bricarla detta figura diVenere Genitrice da Archefi-  lào:& per la fretta di dedicarla,non fi fendo potuta for-  nire, coll imperfetta la collocò nel mezzo del fuo Foro. AVGVSTO CES     ANT I-  NOVS. Tempio £  fAntinoo  magnifico e  di fiotto da  Adriano,  fopra il Ni  lo.   Taufania in  Arta£ck. Io non hareì altrimenti qui fcritto d’ Antinoo , quali  tunqucHadriano Imperatore lo faccflegià deificare, fc   10 non mi forti per forte ritrouate due fue medaglie, che   11 detto Imper.fcce battere in honoredi quello, doppo  chcei fu morto, accompagnando Hadriano nellafuapc  regrinationc fopra al Nilo:il quale non cotento di que-  llo, & doppo haucrlo pianto molti giorni, gli fece edifi-  care vn tempio, &vno altare, con vna Città chiamata  dal fuo nome,douc meflè faccrdoti & Flamini per farti  làcrificio:&in Arcadia nella Città di Mantinea feccfir  milmcntc vn’altro tempio celebratiflìmo, con ftatuc ne  igynnafij,& per tutta la Città fono nome di Dionifio,  come narra Paufania.EtpcriI rouefeio dvnamcdaglia  ch’io mi trouoncllcmanijè riprefentato il tempio ma-  gnifico eh Hadrianp fece edificare fopra il Nilo in fuo  honore,& adornare & arricchire di belle ftatue& indagini, con talcinfcrittione, AAPiANos okoaomhìen,  che voi dire, adrianvs constrvxit, frdifottoil   tempio      de gl’Antichi romani.   tempio è vnCrocodilo, animale particolare del fiume  Nilo, nel quale mori Antinoo.  MEDAGLIONE GRECO   CANTI NO O. k  MEDAGLIONE GRECO  D’ANTINO. Antmoo tu  Ma nell'altra fua medaglia fi vede vn giouane di Biti  toin b iti- n i a Ji marauigliofa bellezza con lettere Greche che dico   nO,OZTIAlOZ MAPKEAA02 O IEPETt TOT AN * »   or. & dall’altro lato, t 012 axaioxx an e ©hke , cioè, HOSTILIVS MARCELLVS SACERDOS ANTIN0I acheis dic avit , & nel rouefeio della medaglia c  il eauJb fcolpito il cauallo Pcgafo,& Mercurio con i talari & il  regdfo. Caduceo.   DAGLIONE GRE   D'ANTINO. Finalmente per l'intera cognitionc de i templi antichi, quanto alla religione io ne ho farti ritrarre 1 1 1 i.qui  di lotto, de quali pcreflère le medaglie logore, non ho  potuto tirare (enfo alcuno.  CL. NERONE. TITO. BRONZO. BRONZO. SEVERO.   bronzo. bronzo. L’ vicini o di quelli quartro templi,fattoin forma ron VESTA -  da,parequafi limile à quello di Velia tanto riuerira da r  Romani, per ripofare là dentro Iaftatuadi Mi nenia, fta-  ta portata, da T roia:& la quale era in tanta vencrationc   O  no     Tempio di  Pace abbru  ciato. DELLA RELIGIONE   che mai huomo non l’haucua vida.Nondimeno quado  abbrucici il tempio della Pace, il fuoco s’appicò anchora  à qucfto,onde le vergini Vedali prefo il Palladio, & con  cdo paflandoperla via facra, lofaluornofìno al palagio  dcirimpcratorcj&vcdefi il Tuo ritrattone irouefei del-  le medaglie di Vcfpafiano,& di Giulia Pia, che non è altroche vna piccola datua di PaIlas,con l’hadainvna  mano, & nell’altra vno brocchiere. VESPASIANO. GIVLIA PIA. ARGENTO. ARGENTO. CLAVDIO VESPASIANO.  ARGENTO BRONZO. Fedo  DEGL'ANTICHI ROMANI. in  Fccionogl’antichi quello tempio di Vefta informa Tempio di  tonda, llimando che tale Dea folTe la terra, & il primo fu  Numaà corniciarlo per addolcire, lòtto Ipctie direligione, la ferocità de Tuoi fuggetti.  EVINTO ARGENTO. NERONE. ORO. VESPASIANO. ORO.  L’entrata dfq nello tempio era vietata à gl’liuomini,  comeànoi hoggiquclla deMunilleridcIIc nollre Mo- ^  nache già (late riformate :& il numero delle Vertali fu drOcvrfia-  ncl principio mi.&dipoiv i.& coli durò lungarni nte, w -   O ‘ z     mi  come mollrano le medaglie di Fauftina , & di Lucilla^  ùiu'vr/lì nc ^ c c I ua ^ fi vede il loro modo di facrificare,con i loro  li. vefti menti bianchi.chia mari dai Latini Sufftul* , lun-   ghetti & quadrati , tanto che le ne potcuono coprire la  iella, & Maflìma tralalrrefcome farebbe tra le noftrc la  BadefTa)hauere come prima il fympulo (vafo ordinato  peri facrificij)in mano, & l’altra innanzi alci, chela ri-  guardaci turibulo in mano Umilmente detto ^cerradi  Latini, col quale(facendoalIa Dcafacrificio)dà lo incen-  do alla Dea fopra all’altare, dipinto inficmc concila nel  modo che fi vede.   '-'FAVSTINA: medaglione di   BRONZO. LV CILLA.  Augmcntorno col tcmpo quelle Vertali fino al nume  fiali orditi* ro di vcnth&bifognaua per edere Monache cheellefof  tt al [imi- £ no natc Ji padre libero non feruo, vergini, & lènza ma  fta. 1 Vt ~ cula alcuna nella loro pcrfona,& d’età di Tei anni fino à  dieci, nel qual tempo era loro infegnato 1 vfo del facrifi-  care,comc moflra la medaglia di Fauftina, netta quale fi  vede la piccola Vellalc riceuuta dentro al Munifleroda   quale   zi 3 quale à capo d’altri X. anni faceua làcrificio , & ncl-  l’vltimo della fua vecchiezza inlègnaua all'altre que-  fiomedefimo,con qucftaconditionc,chcinxxx. anni vajffti io.  fi poceuonomaritare,quatunquc(pcrquellochc filcg- jj IHp p 0 u  ge^tutte quelle che cxercitorno quella vita, furono sfor uano mari -  lunate &. capitorno male. Etpcrchedi fopra habbiamo ttrc ‘  detto che la principale di Ioro,cioè la Badeffa fu da i Ro  mani chiamata Maflìma : noi prouerremo quello per  due Epitaffi antichi fiati ritrouati à Roma nel noftro  tempo ,1’vno de i quali comincia, &fornilcc in quello  modo.     Epitaffio di Fiatila Manilla U e fiale.  FL. MANI LI AE V V. MAXIMAE, CV1VS EGREG1AM SANCTIMONIAM ET VENERABILEM  MORVM D1SC1PLLNAM INDEOS QVOQ. PERVIGILEM ADMINISTRATIONEM SENATVSLAVDANDO COMPROBAV1T AEM1LIVS  FRATER ET RVFINVS FRATER ET FLAV1I  SILVANVS ET H IR E N E V S SOROR 1 S FILII  A' MILITUS OB EXIMIAM ERGA SE l’IETATEM PRAESTANTIAM Q  Epitaffio di Claudia Elia Claudiana  ZJ e fiale. CL. AE LI AE CLAVDIANAE V V. MAX. RELI-  GIOS1SSIMAE BENLGN1SS1MAE Q. CVIVS  RITVS ET PLENAM SACRORVM ERGA  DEOS ADMINISTRATIONEM VRBIS AE-  TERNAE LA V DIBVS SS. COMPROBATA OCTAVIA HONORATA V V. D1V1NIS ADMON1TIONIBVS SEMPER PROVECTA. Erano quelle vergini Veftali hauute in grandilfima  vcnerationcdal popolo Romano, come fi vede nelquin  veneranoto libro della prima Deca, di Tito Liuio, douc èferitto  wrfoUv* c b c rincontrandole vna volta à piede Albino huomopo  fiali. polare,comadòalla moglie & a i figliuoli di Icéderedel  carro, perfarui fiilircfopra levcftali: &quefto aueniua  pcrlarfucrcnzachc i Romani portali ono al fuoco pcr- fuoco per - p Ctuo ,che ledette Monache tcncuono Tempre accefo,d  pttU °' qualcfe per dilgratialafciauonofpegncrc, elle erano dal   gran Pontefice acerbamcte caftigare,quantunquc ogni  r inoiutio- annofoflTcda loro rinouato,quafi nel modo che foglia-  ne del fuoco mofarenoidcl gran cero di Pafqua.Su l’altare degli He  U fitto fan brei fimilmcntcftaua Tempre il lumeaccefo,fignifican-  no in anno . do che le grafie di Dio Ita no Tempre per gl'huominiap-  parecchiatc tanto di dì, che di notte:& nella miftica Tco  logia de gl’antichi Verta non fignificaua altroché fuoco,  ilquale(comedicc Furnuto) perche nel Tuo continouo  mouimcnto per le medefimo non genera nulla,però era  dalle vernini guardato : &i Poeti anchora (parlandodi  fuoco. Vefta)l’hanno Tempre prefa & intefa in qucfto fcnlo,co-   me fi vede in Ouidio,quando ci dice,   ’Nectu aliud "vejlam ejuampuram intelligejlammdm,  ‘Natdque de fiamma, corpora nulla. vides.   Iure igìtur virgo e[,(jua [emina nulla remittìt,   *tiec capirà comires virginitatis amar,  dciic’vc- Anzi furono quelle Veftali in tata auroriti,chelpcf-   flali. Co pacificornoinficmeil Popolo Romano nelle guerre  ciuili:& ho ollèruato io che,quado entrauono la prima  Lt ve fiali volta in Muniftero fi tofauono, come anchora hoggi fan  togate. no ] c Monache noftre: ne era loro permelTo di lafciarfi   piu  DE GL’ ANTICHI ROMANI.   più crefcereicapegIi,comcfi vede in Plinio , quando al  xvi.Iibro dcH’Hiftorianaturale fcriue: Antiquior lothos  efiejua C<t pillata dicìtur,quoniam xirginum Uejìalium ad ea  capillus defertur.\\ vitto loro vfciuadal publico, & durò  quella vfanza (ino al tépodiTeodalio Imp.chriftiano,  al quale mandorno iGécilhuomini Romani Symmaco  Patritio per ambalciacorc fìnoà Milano (doue all’hora  faceua refideza il detto Impcratore^pregandolodi con-  fcruarc i priuilegi alle loro Vertali, acciò che elle potelfi-  no cflèguire i teliamoti &lafciati ftati loro fatti da diucr  Ce pcrfone,però che i loro beni potcuono cflcrc tali, che  di quello che farebbe auanzato loro, harebbono potu-  to aiutare molte pouere pcrfonc,& guardare che aliai di  loro nonfoflero andate mendicando per Roma, & po-  tendo giouare anchora à iforerticri.Nondimcnofu tan  to in quello roftinationedcH’Imperatore,che Symma-  co non potette ottenere il defiderio Tuo, ne del Popolo  Romano:& cofì fumo tolte alle Vertali tutte l’entrate, di che egli dolédofl nella fua oratione,dice limili parole:  Honorauerat lex parentum TJejlales virgines,ac minitlros  Deorum vittu modico, iu fi fijue priudegmfijtt muneris huius  integriti yfque ad degentres trapelerai. Soggiugnen-  do più baffo. : Sequura ejl hoc fames puhlica , & Jf>em  prouinciarum omnium me fi agra decepit,. 'Non fìtnt hac  "pitia terrarum , nihil imput ernia aufiu , nec rubigofe -  getibus ohfuit , nec auena frugei necauit. Sacrilegio annus  exaruit. Ne cefi enim fiit perire omnibus quod religioni-  bus negabatur. Quid tale proauipertulerunt,cum religtonum  miniftros honor publicus pafeeretì A' i quali argu menti   rifpofe poi affai bene Prudentio,moftrando che innan*   O 4  ir 5  Le Veftali  haue ujno  lor vitto  dal publico.  Teodofìo  imp. Cbri-  ftiano.  Symmaco  patritio am  bafi.     Amba f. di  Symmaco  nulla .  Aifrojìa de  Prudcntioi  Symmaco-  zi che il Palladio, ncVcfta , ne lari, ne Dei penati follerò  itati portaci àRoma,ilportod’Hoftiacra picnodinaui-   li carichi digrano,i granai pieni iìmilmétc,& tanta gran  de abbondanza di viueri erano in Roma,chc neiTunofo  reitiero che vi venifle per vederci giuochi Circciì,non  morì di famc,& che fc tal volta la terra iterile non ren-  derla le biade in abbondanza, naiceuaqueito,ò per cagio   Trudtntio. ne dcH'aria.ò per altri accidenti naturali, il cheanchora  meglio dichiara nel principio del iuo libro fecondo, do-  ue dice parlando contro àSymmaco:   Ultima legati defitta dolore querela ejl ,   ! Palladiu quod farra focu,vel quod fip'u ipfs  U irgimbm } caìlifque torti alimenta negentur. h   XJeJlales foluù faudenturfumptibus ignei. Doppo laqualc rifpoitadcicriucndo la vita & modi ho-  nciti delle vergini Vertali, dice in quello modo:   Qua nunc Oefalis fu virginità tu bone fot,  2)ifcutiam,qua lege regat decus omne pudori*.  kA c primum parua teneri i capiuntur in annis,  lAnte Voluntati* propria, quam libera feda  Laude pudiciria feruens,(Q amore Deorum, 1 tifa maritandi condemnat vincala fexus.   Captiutts pudor ingrata addicitur arit ,   ‘Nec contenta perir miferisfed adempta voluptas ,   Corporii intatti meni non intatta tene tur.   ’Necrequies dar uri Ila torli , quii ut innuba cacum  ZJulnuiy&' amiffat fujjnratfoemina redat. Tum,quianon totum JJ>es falua interfeit ignem,   Nam refdes quandoquefaccs adolere licebir,   Feda  Dtfcrizione della uita delle Ve  fiali. FeJldrjue decrepiti s offendere flammea canti  Tempore prafcripto, membra intemerata retjuirens ,  Tandem virgineam fajlidit Zdejìa feneBam,   2)um rhalamit habilis timuit Vigor, irrita nuUns  Foecundauit amor materno vifcera par tu,   Tdubir anta veterana [acro perfunBa labore,  2)efertisejue foca, tjuibus ejl famulata tuuentus,  Transfert emerita* ad f ultra iugalia rugar,   Z)ifcit &• in gelido noua nupra repefcere leBo.   Intere a dum torta vagos ligat infula crine s,  Fataléfjue adoler primas innupta facerdos,   Fertur per mediai vt publica pompa platea t.   Rilento refdens, molli scejue ore reteBo  Imputar attonita virgo ffeBabilis Vrbi:   Inde ad concejfum cauea pudoralmus expers  Sanguina, it pietas hominum vifura cruento s  Congrejfu, morte fjue,^d vulnera Vendita pajlu  Spellatura facris oculisfed & illa Verendis,  Vittarum infignU phalerufuiturtjue lanifis.   0 tenerum mirimene animarne onfurgit ad iBus,  Et tjuoties viBorferrum iugulo inferir , illd  T)elicias ait effe fuas,peBufe]ue incentri  TJirgo mode fi a iubet conuerfo pollice rampi,   *He lateat pars ‘itila anima vitalibus ima  girini impreffd dum palpitar enfe fecutor.   Hoc illud mentum efl,tjuod continuare feruntur  Excubiat, Lari] prò maiejlate palati],   Quod redimane viram populi.procertimaue falutem,  ‘Perfundunr quia colla comis bene, Voi bene cingane  Tempora taniolrsjtf litia crinibue addane.   9 5     p ompa iti  le V filali  nel tempo  di Pruden-  ti.     Di qual ma  feria fabri-  cauono gli  antichi le  imagini.  p aufania in  Arcadie if.     \A uite è  mtn fugget  ta à corrosione. U8 Et quia fubterhumum lujlrales rejlibus Ombrìi   In fldmmam tuguUnt pecuJes,&' murmurc mifeent.  Quello c tutto quello che Prudentio fcriue della fuper  (licione & pompa delle Vertali , che acconcic lafciua-  mente andauono fopra i loro cocchi, o carrette à vede-  re tutte le felle St giuochi cheli faceuono ne i circhi &  Amfiteatri & (oltre à quello che fi conuienc all’habi-  to,& l’animo pio de i religiofi)pigliauono piacere di  vedere i gladiatori combattere con le beftic feroci, &  ammazare le pcrfone,ondc Prudentio nella fine de ver-  fi fopradetti priega l'Imperatore di tor via coli fatti  fpettacoli crudeli, dicendo in quello modo,   Te precor ^ Aufonij T)ux ^Auguftifìme regni,   TJtum trifie ftcrttm tube *s ,yt exter a rolli.   Hauendo à baftanza fcritto de templi, & nomi de  gli Dei & Dee de gl’antichi Romani ,rcfta à vedere, &  faperela materia della quale ei fabricauono le imagini  Sellarne loro. Qucfteerano (come IcriucPaufania) dc-  bano,d’arcipreflb,di cedro, di quercia, di loto,di milacc,  & di boflolo , anchora che Teofrafto vi aggiunga la  radice deU’vliuo per le ftatue minori, & Plinio la vitc^  quando ci dice dhauere veduto nella Città di Polo-  nia il fimulacro antichiflìmo di Gioue fatto di legno di  vite : la quale cofa io crederrei facilmente potere effere  fiata vera , confiderato che Ce gl‘antichi eleggeuono i  fopradetti legnami, come quelli che durauono aflai, la  vite fenza dubbio, è quella che è men fuggetta alla cor-  rozionc,ficome fi è villo per diuerfe fperienze, quan-  tunque la ftatua di Mercurio in Arcadia non forte fatta  d’alcuno de i fopradetti legnami , ma di quello che c   chiama  zip  chiamato Thya,& da Homcro Troìetbes ; la fpctic del rhya.  quale è limile aH’arcipreflb di rami, di foglie, d'odore &  di frutto,&comcfcriueTcofrafto, tenuto in pregio per  l’odore tra tutti quelli, che nafeono nella contrada  di Cyrcne,foggiugnendo che della Tua radice fi faccuo-  no anchora mille intagli & cofc pretiofe. Vfiirono fi Gli antichi  milmcntc gl’antichi di fare ftatue di cera & di falc, onde u b aron ? di  non è molto tempo che in vna grotta prefloà Volterra i magni &  nefurno alcune ritrouatc, fi come anchora fi trouano  molte cole antiche di vetro, tra le quali io ho vn vafo  fatto in forma della teftad’vn Moro, & ripieno il fondo  di certa compofitionc anticaglie fa molto di buono, il  qualccon molti altri fu trouatogiànel Delfinaroin ca-  la del fignore della Motta, che ne fece prefente alla buo-  na memoriadi Monfignore d’Orliens. Adopcrorno ol-  tre à quello gl’antichi nelle imagini loro, l’oro, l’argcto,  il bronzo,il ferro, lo llagno,il piombo, l’auorio, &ìater  ra grafia detta arzilla, accompagnandole permaggiorc  ornamento de iloro templi, di pietre pretiolè, & final-  mente fi feruirono d’ogni forte di marmi, portati dilon  tani paefi. Dal quale ragionamento venendo al modo  &ordinedelorofacerdoti,&facrificij,dircmo cheque- f^dlu  Ili fumo diuerfi,comeil maggiore,& minore Pontefice, Romani.  Flamini, &Archiflamini, che tcneuono i primi ordini  fagri:gl’Auguri per gl’vccelli:i Salijper Marte, & altri   preti particulari (quali come i noftri Canonici) che fur-  r rr lì 1 • i i  Sacerdoti   no afiegnati alla memoria de loro Imperatori, da poi che Augnati»   egl'erano fiati deificati, come gl’Auguftali d’Augufto,   gl’Heluiani d'Heluio,gr Antoniani d'Antonino, gl’Au - TulTiìanU   rcliani d’ Aurelio, & i Fauftiniani di Faufiina , tutti oidi- f*»fiinia- na nati per la religione, pietà, & fàntità, la quale Cicerone  interpreta per la fciéza d’adorare i loro Dei, ò più rollo  demonij,& per fare facrificij, cerimonie fagre,dedicatio-  n',confasrationi,(uppIicarioni,proccflìoni, voti &altre  loro vane pompe diaboliche, & vane fupcrllitioni.     Sicrrdotio   ic i futi   Amili.  QUffto fi-  enfi do è  detto da Li  tini. Ambir  tuli fieri. 2) e s^t Cervo ti 1 et fz^ti   Ornali elei facrificio chiamato  isi mheruale .   Omolofuil primo inuentorc di quello  ordinc,8c dicreare il primo facerdotc per  i facrificij publici intorno alle terrc,& al-  le biade , acciochc elle crcfccffino in   maggiore abbondanza , pigliando per   infegna vna corona, ògirlanda di fpighe, legata con vn  cintolo bianco, ne palfauono il numerodi xn. Quelli  cofì fatti faccrdoti,&il modo del loro facrificio era tale.  Il primo di quelli facerdoti accompagnato da tutti  graltri,&r coronato d’vna girlandadi quercia , cantando  le Iodi di Cerere con vna troia,© vna vacca pregna cir-  cundaua tre voltci campi pieni di biade, & doppo ha-  uerebeuto del vino,& del latte innanzi che fegarc le  biade/acrificauaà Cerere la troia, ò la vacca. Et il pa-  ftorcvolendoalficurarcilfuo belliame dalla rogna &  da tutte altre malattie, gli fpruzaua prima 1 acqua fopra,  &di poifatta vnafaccellinad’aIloro,& di fauina mefeo-  lata con zolfo I’acccndeua,& tre volte circondando il  Tuo belliame con certi verlì facri Io profumaua,facrifi-  candoneH’vltimo vna torta di miglio, & di latte alla Dea  Pale,auocata dei pallori, credendo in quello modo   rende      , in  rendere ficuro( come e detto) il Tuo gregge da tutti  quanti i mali. ~1d E q L‘ V g V X I, ET Z> E  U lor dignità.   Verta fpetie di religione fu portata à Ro- cicerone  ma & inlegnata da i Tolcani , la quale A»g»re.  Cicerone (per eflèrc flato di quefto or-  dinc^ Icriue nel libro della Natura de rate di prò  gli Dei, 8i doue egli hi parlato de Diin- ^tf^aiKo  natione,cllerc fiata tanto venerata da Romaniche non mani.  harebbono mai fatto, ne deliberato cofa alcuna dentro  o fuora di Roma,che prima non haueflìno prefo l’Augurio. Anzi venne quella dignità in tale riputatione,  rifpetro allhonorc & vtile , che ne riceucuono quelli  eh erano Auguri,che i primi Romani cercauono d’en-  trare in quefto laccrdotio, come fi vede per le medaglie  di Pompeo, & di Cesare Dittatore, che vi mcllèanchora  M. Antonio & Lepido, nelle quali fi troua il lituo(bafto- m. Anio-  ne torto & limile alpaftoralcdeinoftri vclcoui^ilfym-  pulo,i 1 cappelloni vafo,&i pulcini , tutte infegne che  moftrano la dignità &cofe necclfaric à quefto officio. IL LI  «   IL L 1 TU 0, S USTORI B UVgurale degl’antichi Romani. GIVLIO CESARE. POMPEO.   Argento argento.  M. AVR. zz 5     M. AVR. ANTONINO, ET AEL. VERO. RESTI T. ARGENTO. ARGENTO. ARGENTO. M. ANTONIO. ARGENTO. ARGENTO.   Erano  Nuwfro de  gli Auguri. Auguratorio.   jJtuoJbajlo  ne Augurale. zi 4 Erano in quello Collegio degli Auguri tre nel principio diputati,àcaufia delle treTribu,&di poi quattro comeficriueHalicarnalèo. Madomandando il popolo  col tempo che quello numero folle crclciuto, ve nefuro  no aggiunti cinque della Plebe & mi. Patri tij, & coll  continouò dipoi femprequeftavfanza di noueinterpre-  ti de gli Dei fino alla fine. Il luogo, nel qualcfipiglia-  uono gl’Augurijieraà modod’vn tempio, douc l’Auguratore ftaua àlcdcrccon latclla velata, & il Lituo in  mano,col quale fegnaua 1 quattro angoli del ciclo, eficn-  do veftito d’vna verta doppia, & lunga,tintain Scarlat-  to, &chiamata Lena, o Trabea da i Latini, come fi vede nelle medaglie di M. Antonio , con tale infcrizione,  MARCVS ANTONIVS LVCII FILIVS MARCI  NEPOS, AVGVR 1MPERATOR T E R T 1 V M.  Et in vn’altra fi vede la terta del Sole , con tali parole  abbrcuiatc,TRlVMViR REIPVBLICAE consti.  TVENDAE CONSVL DESIGNATVS ITE R VM  ET TERTIVM: & figurate con altre di LcntuloSpin-  ter,nel modo che fi vede qui di fiotto.   m. anto"n ia ARGENTO. Lcntu   LENTVLO SPINTE R.. ARGENTO. ARGENTO. Ec per venire alla conclùfione di quanto io voglio vtjtidift-  fcriuerc de gl’Augurij, io metterò qui dinanzi la. figura a»*  ritratta dVnà medaglia d’argento d’Augusto, nella quale SUuU '  fi veggono ifacerdoti conlorovcfti lunghe, & il fimpu  I . lo , & lituo in mano x tutti inrtrumenti accomodati alla   loro religione,   -V P • H]    k   i  fi   Wc  ite • xXrGygt ET SACERDOTI. CHE. PORTANO L'Vfitt-  gnt tltld religioni per mejlrdr U fitti. Quanto all’augurio de Galletti , & del loro beccare,  onde gl’Aurpici de i Romani folcuono pigiare l’augu-  rio, & giudicare delle cofefuture,anchora che io ne hab-  bia ragionato qui difopra,&chciociò ftimicofa ridicu  la, vana & piena di fuperftitionc, io nondimeno non ho  voluto mancare per fatisfatione del lettore & de gli  amatori delle buone lettere di moftrarne qui Ja.prefen-  te figura. P a FiayK^f È ITA ATT A Dt-LL c/f JUXD^GtliA D'iAM-  gmtt iiJU.Lef ìit rriummrt.   I Romani hcbbcro in tale venerationc i lacerdoti  drepolli allo Aufpicio, che ei fondauono tutto il loro  giuditiodcllccolcaucnire & di quello che doucuono fare,(opra il beccare de polli, non cominciando alcuna  imprefa che prima non hauclTìno prefo quello augu-  rio,ncl quale fé vedeu ono beccarli allegra mentc,piglia *uonotalcofaperbuonfcgno,&lcalrrimentiaccadcua, ne de ro-  non faccuono in quel giorno cola alcuna. L’huomo,  che baueua la cura di quelli polli, li chiama ua pvll a •   Rio, & la gabbia, ò Hia douc erano rinchinlì, cavea  tVL l aria, fatta nella medelìma forma diqucliachclì  vede di marmo nella loggia del palagio dei Cardinale  Cclìsin Roma,accompagnara d’vn bcllilHmo epitaffio  pollo qui di Lotto nel modo chefegue, wt I. 0 ST1U *P ZJ L L  ria, ritratta <Tì>n marmo antico in Roma .  M. POMPEIO M. F. ANI ASPRO LEG. XV. APOLLlNAR.> COH. III. PR.  PRIMOP. LEG. III. CYREN PRAEF. CASTR.  LEG. XV. VICTR.   ATIMETVS LIO. PVLLAR1VS   FECIT ET SIBI ET  M. POMPEIO M. F. ET C1NCIAE  COL. ASPRO SATVRNINÆ, FILIO SVO ET VXORI SVAE   M. POMPEIO M. F COL. ASPRO FILIO MINGRI     U.varro. 1 fdctrioti  differenti  fecondo le  dijferentìt  de gli Dij.  Ornamen-  to del fla-  mine Dia-  le. Del Flamine Diale. Sacerdoti di Giouc& di Marte fumo ora-  dinari, & chiamati Flamini da Numa  Pompilio: onde Varrone nel libro della  Lingua Latina dicc,chcgrantichi hebbe-  ro tanti Flamini j. quanti haueuono Difc  come il Diale di Gioue, il Marnale di Marte, il Quiri-  nale di Romolo, il Volcanale dì V òlcano, & molti altri  alla differenza de noltri che noi chiamiauono Vcfcoui, Archiuefcoui, Patriarchi, Cardinali. Mail Senatodipoi ordinò anchora Flamini à ^'Imperatori diati da loro  deificati-come gl’Auguftali per Augufto,& gl’ Antoni-  ni per Antoninoctra quali il Diale era meglio vellico de  gl'altri, & haucua la fua Tedia d’auorio, ordinata loia-  mente per i Magiftfaci, &il Flamine lolo portauail cappello biancojfcnza.il quale non gli era lecito vfeire fuo-  ra dicafa-  CAP  .«. z)i   CAPPELLO DEL FLAMINE  ritratto et i>n fregio antico di marmo eh e in /Lorna. De Sali],   Ra tutti quelli faccrdoti ne fece Numa  anchorax 1 1. chiamati Salij,da i Etiti Io  Icnni,che ei faccuorio ne i loro facrificij.  Et dipoi Tulio Hbftilro gli crebbe infì-  noà x xiiil & di x x 1 1 n. alla fine flir-  tanti che feciono vngran Collegio^, ne potcuono  cfleredi quello ordine le non quelli, che non haueuo-  no padre ne madre. Di quelli Icriué Tito Liuio,  egli andauono cantando & ballando per mezzo la Ara-  ba, & cantando veri! Saliarij n<*l melodi Marzo porra-  uono in mano lo feudo célerte 1 chiamato , zHncilè ì in ho-  norc di Marte, come lìvedeDtr le medaglie d’Àu’truAn  <^efaxe,& d’Antonino  nmm Poi» pii infittiti  iSalif. Tutto fillio.  Anale, jcu-   ànrrltM*  1 AVG. CESARE. ARGENTO. ANT. PIO.   BRONZO.  totani*- L’acconciatura di quelli Salijcra vna velie honorc-  turddis*- uo I Cj di calore pagonazzo, con vna celata in capo,&  quando ballauono pcrcoteuono i loro feudi con vna  daga,o pugnale che portauonoin mano.  Uj,  <  Sdendoti   tbumeti   Epuloni.      2>e \ij. h uomini Epuloni.   Er quanto fi è potuto conofccre, quello  ordine d’Epuloni era vna fpetie di faccr-  doti,trouatida i Pontefici ppr ordinare!  conuicichei Romani faccuono,cclebran  do le fede de i loro Dij, annuntiando il  giorno nel quale fi doueua fare la cena di Gioue:doucfc  per fortuna accadcua che la folcnnità non foflcintcra-  mcnte oflcruata,con ledebite cerimonie, ci lo diccuono  à i Pontefici, che rimediauono à tutto ; quantunque i  i lutili*. GrccigHchiamaflbno piuto{ltì»^«f«, cioè,faccrdoti di  buon tem po, che fare facnficio à i loro Dij.   L. CAL  xjj  L. CALDO SEPTEMVIR EPVLONE. ARGENTO. Vedeli la memoria di coftuianchorahoggi in Roma Vir<tm ^ e   • 1 _ | \ c ' c * . . , ittica che   per le paroleinragliarcin vna Guglia, o Piramide di mar fìutdcint *  jno quadrata, che fono tali, opvs a bsolvtvm D i E _ «irto*.   BVS CxXX. EX TBSTAM. C. CORNELII TRIB.   pleb. septemviri epvlon v m> le quali interpreta*  tc voltano dire,ch'ella fu fatta in ex xx. giorni per tc>  ftamenro di Caio Cornelio,Tribuno della plebe, & del  numero di quelli v 1 1. Epuloni, moftrando l’autorità &  portanza che egli haucuono con limili parole, tv c ivs   CALDVS SEPTEMVIR EPVtONVM.   De due y cl xv. huomini.  Tarquino fumo ordinati due  mini per fare fieri ficiorà quali ne agg  Zeftio & Licinio Tribù  olì fletterò lino à temp  Sylla,chc veneaggiunfcv.altri lcuan  donc duciamo che in tutto furnox v.lacerdoci fulamcn M buoni-  tc:l’officio de quali era d» leggere & interpretare i librila-   P 3     mento il tm.  — J»< tf-  cri; oSibilIini:&rifpondcre & consigliare al popolo Romano tutte le cole dubbiofcj affiftcndoiifacrif icijd'A*  pollo.romcmoftra il Tri podeftampato nelle medaglie  di Vitcllio & di Velpafiano con lettere che dicono»  qvindecim vir sacris fAc ivndis. \  VITELLIO. VESPASIANOTli   '* ARGENTO. ARGENTO. Del gran ‘Pontefice.   Ra tutti i Pontefici creaci da Numa nc  fu fatto vno più grande degl altri,il qua*  lecol tempo venne in tanta riputatone  chenonpoteua eflerne alcuno fenonSe  t l cttione Ba^aa a natorc,& cofi m orendo glabri Pontefici  drigri fon minori ncelcggeuonovn’altro.come fanno hoggi i nc  *É“cZ* ftri Cardinali vn Papa. Haueua quello gran Pontefice  5 cura delle eofc Sagre, coli priuatc come publiche» delle cerimonie, prodigi], rnortorijjd’intcrpretarc le cofc diui?   hp.u * nc,fegnare,{criucrc accomandarci qualialtari&r Dij fi  * doucuono fare i facrificij : & Sopra tutto. por mente 8t   ’ prohibire   a  x J5   prohibirc che nuoue vfanze non entragno in Roma   perdifturbatc,o corrompere le cerimoniedclla loro pri   ma religione & loro Dij : della quale autorità ha ferino non ricette-   Cicerone nel Po ratio ne che fece per conto della fua prò U0 "‘ 0n 0tte   pria cala in quello modo» Cum multa, diuimtusfponnfi- cerimonie   ces.amaiorilms no (lri« inuenta arane inftirura fune, rum mini rt ^~ , J v , , 1  1 gwnr.   praclanns quam quod )>o; @T religioni bui Deorum immorta-   lium , (g) flemma Xeipuhlica pratjfe \>oluerunt,'vt ampi fimi  clarifiimi Citte; ReipuMicabene gerendo, ‘Pontifico s reli-  gione; fapienttr interpretando , Rempuilicam conferttarenr.   Laonde per meglio inoltrare la lua autorità & dignità  chcgl’antichi (timauono tanta, eiportaua vn cappello,  fatto nel modo che lì vede per le medaglie di Celare Die  tatore in compagnia del fimpulo& lettereche dicono, ^fg^UnPò   CAESAR IM0ERATOR PONTIFEX MAXIMVS. All teficc.   chora che in altre medaglie fi vegghino la tazza, il cappcl  lo, il limpulo,&: il lituo , come proprie infegne del gran  Pontefice. GIVL. CESARE.   ARGENTO argento li „   Non ottante quello fi veggono anchora affai meglio  cappella ^ quelle inlègnc della religione, & cappello del gran Potè  u$xT ° ^ ce nc » fregi di marmo , che fono in Roma {colpite in  quello modo. .MM     CAPPELLO 2) E L   ‘Pontefice.  confetta- La confccratione di quello Pontefice è tanto ridicu-  tione dipo la & llrana,che ella merita d’efièrc tutta interamente di-  “rldentio. mollrata nel medefimo modo che l’hà ferina Pruden-  tio:il quale dice che quello Pontefice nel fuo habito P5-  tificale,con la miccra in tc(la,& la velie alzata entraoain  vna foflà,fopra la quale era vn pótedi legno tutto bue-  cato,douc dal Victimario era condotto vn toro ornato  Horr Mi tutro fi° r * > & d’oroin torno alcapo , che il detto coa-   ctto,& del fangue co fi caldo che n’v •  cr i bufehi del ponte,cra il detto Pon   teficc     cerimonie     ductorctcriuanelp  Mti - feiua & trapclaua p  Cenativi  loridi.  il tordo di *  litato libo.  teficc tutto imbrattato con fregartene gl’occhi 3 gI’orec-  chUclabia & la bocca, & coll vfeendo fu ora coli fpor-  cho & brutto,& molto terribile a riguardare, era da tut-  to il popolo falutato & adorato. L’altre cerimonie , fatte  per i piccoliPontcfici,Flamini,Archiflamini & albera-  no i conuiti magnificamente apparecchiati, de quali hi  jfcritro Macrobio dicendo, che all'entrare della Cenale tifici,  prime viuande prefentate erano fpinofi di mare, dipoi s P ino fì &  peloridi & fpondili,fpetic di nicchi , o chiocciole mari- spo ^ c p*  ne,& tordi,chc i Romani ftimorno cofi dilicato cibo,  che venuti in tauolalafciauono ogni altra viuanda , &  pc^trouarli mcgliori nel tempo d'Auguftogli riempie-  uono dentro di più buòne cofe. Dipoi feruiuòno fpara-  gi con vna gallina grafia, oingraflàta àpoda, la quale  vfanza leuò via pcrleggc & bando publico Caio Annio cjjoAmifa  Eannio, volendo che le galline fi mangiaflero,comc elle ramo.  erano trouatc,dclmodode iquai conuiti chivuole an-  chorapiù àpieno vederne lniftoria, legga Varrone &  ColumcIla,doucegli infognano tutti i modi della gola.   Doppo quelle colè veniuono piatti d’oftrighe, peloridi,  che ci chiama, Salanos nigros ffialbos, fpondilos &gly- BaUnL  comandas,fpetie di nicchi & d'altri pefei che non fi pof-  fano (non fendo in vfo) altrimenti dichiarare al nortro BeccafiebU  tepo, bcccafichi, colombcllc,vn’arifta di porco, cingialc, rorpórj  . capretti, bcccafichi impattati, po!ipi,oporpori et murici «i sangue  del sangue de quali gl’antichi faccuono lo fcarlatto , &  de quali fcriuédo Seneca nella prima Epiftoladel x 1 1 1 1.  libro dice , marauigliandofi della gola degli huomini,   O quanteforti di Conchili portati di lontani paefi pallazfcUmatti  noper loftomacodell’huqmo,chclbno ben poucri d’in  Seneca. gegno. gegno, &dilgratiati poi che maggiore hanno lappemo  che il ventre .El fccòdo piatto era d’vna teda di cinguia-  Ic,vn piatto di pelei fritti nella padella: vn piatto di Som-  sommta. mataj f atta delie poppe d'vna troia, che haucflTc figliato  frclcamente,lequali erano (limate tanto migliori quan-  to più erano piene di latte. Doppo quelle leruiuonoi  petti dcH'anitre faluatiche, ccrucllid’animali Jeifi , lepri,  vani detta molti vccelli arroftiti,con pani della Marca d’Ancona, Ancona. quali fifaccuo no di farina ftcmpcrata noue giorni ncl^ latifana,oalica,&poiarroftica con zibibbo in vna pen-  tlinio. toladi terra dentro alfornoja quale (come dice Plinio)  non fi poteua poi altrimenti disfarete mangiare fc non  meda nel lattc,o nell’acqua & nel mclIe.Et taleerail mo  do del cenare & l’apparecchio delle viuandede Pontefi-  ci, ripiene d’vn fi grande numero di viuande mefeokte.     2) e fi cerdoti ^ugttjldli^ di loro collegio*     I berlo Celare fu quello chccrcò prima,  il collegio defàccrdoti Augullalijdoppò  Ihauerc edificato vn ten^io ad Augu-  ro, che C,. Caligu la co nfiigrò dipoi apporne fi vede rUerio c»  fare fondi  glihngyfU     predo la morte di Tiberio  per la fua medaglia di bronzo..CESARE. CALIGVLA.   BRONZO. BRONZO. Scriuc Strabono nell in.Iibro della Tua Geografia che Tempio  à LyoncdoucilRodano&laSona fi congiungono in- * A w*  ficmc ,fu fatto vn altare, &vn tempio doppo la morte ’^yoM?  d’Augufto,&quiui porta vnaftatua da tutte JcProuin-  cic della Francia, la quale cofa m’hà fatto penfitre che  quello poteflèeflereilluogOjdoucchoggilaBadiad’Ai- colonne di  né,rifpctto alle gran colonne di getto che vi fi veggono w  dentro:&quiui penfcrei io che folle fiato il collegio de i  faccrdoti Auguftali, come chiaramente dimoftra vna  pietra antica di marmo, eh e fi vede nella chiefa delle Mo  nache di S. Pietro, in Lyonc,  IO VI O. M.   (VADCINNIVS VRBId  FIL. MARTINVS SEQ.   SACER.DOS ROM AE ET A VG. AD ARAM AD CONFLV ENTES ARA.   RIS ET RHODANI FLAMEN  ff. V 1 R IN CIVITATE   SE QJ/AN OR VM.   Ter  Per il (opra (cricco epitaffio (ì conofcc , che non Co Ia-  menccàRoma&àLyonc,mapcr tutto il mondodoppo  la morte d'Auguflogli furono edificati templi, dcrizati  a ^ CiU ' con vn collegio di Sacerdoti detti Stxtum-'vir't^iu  Ut. gujlalesjin honored’Auguflo, comcanchora fi vedein  vna pietra fcritta alla porta di S.Giufto in Lyone,in que-  llo modo,   D. M.   C AL VISI AE VBRICAE ET  MEMORI AE S A N C TISSI MAE  P. POMPONIVS GEME LLl N VS  limi. VIR AVG. LVGD. À  CONIVGI CARISSIMAE  ET INCOMPARABILI  POS VIT.   Tranquillo Quello collegio de gl’ Augurali venne col tempo in   sagio gA tanto credito, che( fecondo che fcriuc Tranquillo) Scrba A«gW * gj 0 G a lb a innanzi che fode Imperatore, vi. volleencrare  dentro, & fu riceuutotraifàcerdoti Auguflali ,de quali  inficmecol Scflumuiratohaucndo àbaflanzafcritto,&  maffime neh n.libr.delle mie Antichità di Roraacócro  all’oppenione dclI’Alciato nelm. libro.del Codice, & moftroqual’era rautoritàdc Decurioni,&comeei dona  uono &diftribuiuono quelli offici) perle Prouincic,tor  nero à parlare della Cittàdi Lyone,la quale doppo ede-  re data popolata daPlanco per ordine del Senato Romano, paflò di grandezza, di magnificenza, & di richez-  za tutte raltrcterrcdelmondo,rifpettoallefierc& traffi-  chi che fempre fono flati in edà fatti , come ^iùi I Ugo io  ho moflro ne detti mici libri dell’Antichità di Roma,  cdcndoobligatodi pagare quello debito alla mia patria. De  Aleuto. lodi della  Città di  Lyooe. X  e Sacerdoti di Cy Itele Madre degli Dei. Sacerdoti di quella dea fumo detti Gal-  li^ Archigalio il maggiore di loro:i qua  li nel principio della primaucra (come  recita Herodiano)vfauonoogn’anno fa  re vnagran fella in honoredi quella, por  il lìmulacro.o ftatua della, acompngnato  dalle più prctiolè cole, che haueuono in cala, come vali  riccamente lauorati d’oro & d’argento, elfendo permef-  foà ogniuno di traucllirlì & vcltirlì in che modoglipia-  ccua celebrando quella fella,la quale chiamarono Me-  galejìa &ioè, maggiore di tutte lai tre. Quella fu folcnnemcntc già fatta da Commodo Impalipoi che cghhcbbc scampato dalla congiuratione di Materno, & fattoli tagliare la tella, però che clTo Commodo volendo ringra-  tiare la dea del pericolo paflàto,portò egli medelìmo tue  tele reliquicdi quella, & il popolo fecegrandi/Tima alle-  grezza & diuerlì giuochiper la falutc del Principe, chia-  mandoli Seteria, cioè,facrifìcij di falutc:dcllc quali ceri-  monie chi vuole più largamente fapere, legga ilxxix.  libro delle Decadi di LIVIO (si veda).Vedclì adunque che l’officio  di tutti quelli faccrdoti non era altro che fare facrificio  à i loro demonij più rollo che Dij,inlIcmecon proceffìoni& orationi, oringratiamenti di qualche vetroria  hauuta, opcr mitigare l’ira dclcielo : portando innanzi  il lìmulacro di Giouc, & fu per i canti delle vie pofando-  lo fopra certi altari,quafì comc noi hoggi vlìamo di fa •  re per lafèlla del corpo di Chrillo,anchora che non conuenga quelle vere & lecite à quelle falfc & profane cerici Calli, Sacer  doli di Cybele. Tejla in onore di <jne  /la Dea.  MrgalcfU. Sacrificio  di falutc d't  to Sotcria.  Tifo Limo.  Qual tra  l'officio d'i  faccrdoti.   Cofiumi de  gli antichi  guardati  in trancio. Ordine del  le procreo  ni degli an-  tichi. Nel I-libr.  degli F ajli.  monic aflomigliare. Et à quello propofito io mi ricordo  hauere veduta vna medaglia di Dominano, nel rouclcio  della quale era vna proceflìone fatta dai Romani, douc fi vedeuono innanzi à tutti i fanciulli chetici, e poi i  fiiccrdoti più vecchi in habito, & getto dicaminarei  tutti con vna girlanda in tcfta.in mano vn ramo d’allo;  ro,& l’Imperatore ncll’vltimo, vettito di (carlatro:onde  none dubbio alcuno che i prieghi, l'offerte, i voti,i facri-  ficij,& l'orationi fono i mezzi, per i quali s’arriuaàgl’orecchi del divino: quello che afiai bene haferitto OVIDIO (si veda) quando ei dice, Fleti itur ir ar ut 'voce rogante Deut. Sape Iouem \idi,cum fetta mietere pellet  Fulmina, th ur e dato fujlinuijjemanttm. L’orationeha tanta forza,fccondo Pittagora, chc media  te quella fiorirono tutte falere virtù, & ella conduce  l’huomo infino al cielo, eflendo fatta con fede inuerfo  Dio.il quale c quello che ci fa forti contro àtutte le paffioni &r dilgratie humane,rifufcitandoinnoi Iafpcran-  za che faremo difefi da lui,&per mezzo dcH’orationcfà  remo ripieni di carità con animo di correggerci de no-  ftri errori, &nó tornare piùà peccare, comchabbiamo  fatto per il pattato, trouàdoci tanto fortificati.che cofi fa  cilmentenon potremo piùcrrarc:Sc finalmente deliberando di viueregiuftamentc, & accompagnarci con la  temperanza con fermo propofito di vincere tutti gl’tn-  fortunijchecipoccttìnoaueniredi Dio, eflendo ragioncuole che fotte ringratiato colui, checidaua&dona tutti  i beni, il che non fi può fare per altro mezzo migliore. fittene, che quello dcll’orationc:ilchc cófcrmò finalmente Pi* F de   loratione  fecondo Pittagora. cone  tone dicendo, chcà l’huomoera ncccflàrio d’honorarc, & riuerirc Dio,volcndolo hauerc con elfo Iui,& prolpc murre in  rare in ogni atrionc:ondc fi vede che quelli che di que- ;ìfi  fto non hanno curarono il più delle volte dilgratiati, ne damentode  fono mai eflauditi da Dio, come per contrario fortunati  o felici tutti coloro che ricorrono à Dio, come moftra Omero dicendo, o't « èiriT<i'S»T«i, ixdtut Ti<t>u»r iu-n. Cioè, coluièeffaudito dal divino, che olIcruai fuoi precetti. colui indi Era parimente l’officio di quelli fiiccrdou di fare ogni [ 0 he annoi voti publicidoppoleCalendidi Gennaio, come fuoiprtut-  fcnueTacito nelfcfto libro de fuoi Annali, e PLINIO (si veda) Secondo nel fuo Panegirico, dicendo che i Romani vfauo atiiom*  nodi nominarci voti perl’eternità. deH'Impcrio , per la rL  fanità de Cittadini, & principalmente per Ja falutc de Principi, che è quello che i Latini propriamente hanno  detto, Nuncupare ìord, facendo facrificij publici : onde 2T* 0 *  nafccche fi trouano lettere diuerfe fcritte in quella forma , vota PVBLICA, QVIN QV ENNAL1A, DECENNALI A, VICENNALIA, TRICENNALIA, QVADRIcennalia, come fi vede in più medaglie di Impera severo geta: ARGENTO. ARGENTO. CRISPO. GIVLIANO. BRONZO. ARGENTO CONSTANTI NO. GIVLIANO.   BRONZO.' BRONZO.  Mallìm/a  MAòSIMIANO. DIOCLETlANO. BRONZO. BRONZO. Faccuanfi quefle cerimonie da ifaccrdoti &? Flamini vertici nel loro habito (accrdotalc alla pri Lenza de-  Confoli, Pretori &Cenfori, che pigliauono il votopubli  cp innanzi à tutto il popolo Romano. CARACALLA.   bronzo  MEDAGLIONE DI   CR tSPINA. Tutti iM agi tirati di poifaceuonofcriuerequeftLvo ìuotiferit-  ri in vn marmo>o in vna tauola di ramc.battendo meda  wlicchc mollrauono gl’anni domadati per ricominciar- uolc di t *  li,cio<ì di cinque in cinque anni, di x.di xx.di xxx. &tal Wf *   Ovolta iniìnoàxL. come moftrano le medaglieri Maf-  fentio & Dccentio,neIlcqualic ferino, votis qvin- QVENNAL1BYS MVLTiS D E C E NN A LI B VS, ornate di cappelletti guarniti nella fommitàdel laboro,& intórno lettere che dicono, v ictorue do minouvm   NOSTRORVM AVCVSTORVM ET CAESARVM.  M ASSENTI O. DECENTIO.   BRONZO BRONZO.   $CUZ> O 7)1 FORM .A  oliale gratto del marmo antico.  TERi  Etpcr le medaglie d* Antonino Pio &. di M. Aurelio Ci  veggono i voti fatti per zo.anni conejueftc parole,v ot a  syscepta vicennalia,& iUàcerdotc il qual pròmetto de render i voti.; i-   ,|K3Kl   L'/ * v  Ó  Q. 4   é  MS della religione   FLAVIO Gl VL IO CRISPO ”   BRONZO. BRONZO. Tra l’altrc mie medaglie ione hòdue d’argento l’vna  di Valente & l’altra di Teodono Irap.ne rouefei delle,  voti# jo. fi veggono i voti di xxx.&2fxxx.anni,conrimagi   tir 4 m ne di Roma à federe,chc tiene vn globo io mano con la  croce difopra , SIGNIFICANDO [imperio de principi Chri-  ftiani.   VALENTE. TEODOSIO. Quello elici faccrdotidomandauonoin quelli voti  inliemecol popolosa lunghezza di vita per gl’imperatori. Ronwiù w  lor uoti,<ì  gli Dei. a*?  ratori , ficurtà dell’Imperio , la grandezza della cala de cfcr donni i  i.Principi,la fortezza delleflercito^a fidelità del Sena- <<4 " 4no '  to,la bontà del popolosa pace del mondo, & Iavctto-  ria contro à nimici,comc li vede per le medaglie polle  quidi fopra,doue habbiamo villo, vie tori a domi-   NORVM NOSTROR VM AVGVSTORVM ET CAEsarvm, in maniera che quelli voti hanno durato infino àhogg’,&fubito che i Romani erano giunti al termine di elfi, di nuouo ringratiauono il divino, & (come fcri-  uc PLINIO (si veda) Secondo à Traiano)faceuono altari con facri p /&„•„ $ f _  ficij, balli, fede & conuiti, dimando opera rcligiofa &  pia,quello che piu torto fi doucua profano Si empio KO manintt  giudicare, poi che egli haueuono licenzadi fare ogni ma ringratù -  lcicon ciò fia infino che negli Anfiteatri i carcerieri  correuòno per il circo, le bertic feroci erano ammaza- noti «iu-  te, i gladiatori sbranati, & gli Imperatori faliti lopra vn piut, ‘  palco ragionauono di dare la Mancia ai-popolo , che fdtrimnti  gridaua ad alta voce, c<w ?~ Denofins dnnu dugedt ubi I uff iter dnnos. Latino, cr Et mentre che fi faceuono quelli voti, il Pontefice era tramo di -  vcftito d’vna verta lina tutta bianca, & lunga fino ài  piedijfignificando la fermezza d’vna rifplendcnte virtù: za.   & de gli altriiàcerdoti chi cantaua hymni &peani,chi  fonaua flauti, chi la lira, o la ceterajn tanto che il mini-  ftrodcl facrificio tcneua vn bue,& vn’alcro detto vitti-  roario lammazaua,comc fi potrà vedere nelle Medaglie di Dominano, & di Geta per la cclebrarionc de i cMtuu*  loro giuochi, & fcfte feculari. ™ bi   5 ri.  » -enfe- r*b% tljrm 4 FtGVRA ritratta  ht* gmochifeciLm d\yt*g*fb.  iiiiiii   DOMITIANO ANT. GETA BRONZO. BRONZO.  domiti ano: BRONZO. BRONZÒ.     Facendoli quelli facrificij , tutto il popolo in Geme con l lmperatorc fi inginocchiaua.&adorauono i loro     fallì Dij,come lì vede nelle mcdagliedi Dominano. DOMI  Sagrauono nmilmcntc le imagini de i loro Dij > non  firn* togli per amore di quelle (come dice Platone) ma perche elle  fomigliauono le deità di quelli, come noi hoggi figuria-  mo le no(lre,& tral’altrc cofc venerauono affai la faetta  di Gioueffimaginedellaqualccra confagràta dal gran  d! UtoZ Pontefice, (limando che per quella via il popolo &lc  fiumi!*» biade farebbono accurati dalla tempefta del ciclo, co-  4i Romam. me fa vc dcpcr le medaglie qui di fotto. AVGVSTO! A N T. P 1 0 A’ que    ijj  A' quello mcdcfimo effetto quello che i Cetili oflci>  ùauono& crcdcuono nella loro fupcrftitiofa religione,  noi l’vfiamo hoggi nella conlàcrationcdcllc noftrc cam Confacra-  panc, (limando che fonate caccino il mal tempo, fi co-  me egli vfauono ilfalc,l’acqua&gli cflorcifmi,pcnfan •  do che cacciafiìno i cattiui (piriti d intorno à i luoghi, & à le perfone:ondcio mi marauiglio grandemente che  tanti begli ingegni, & valorofi faui,& prudenti huomi-  ni, come fumo i Romani, penlàflino ((appendo la licen  tiofa& dishonefta vita di Gioue) che egli hauefle forza La uta 4  di tonare, danneggiare, mandare laette, & beneficare le ^ iou *  co le humanc,chiamandolo Ottimo, Mafiìmo & Omni  potente , & perche più torto non crcdefiìnodi poi che  Chrifto era già nato di molto tempo, che come illoro  Efculapiojchci fcciono volare al cielo per forza, non hrrtligio.  poteflè più torto Giefu Chrifto hauere rifulcitato i morti, & che ci folTc figliuolo d’vna vergine, come ei diceuono che vergine era Verta &madrc de gli Dei, & chc noftro Signore haueua alluminato vn cicco, come egli af-  fermauono hauere veduto fare quello medefimo mi-  racolo à Vcfpafiano in Alertandria.Ma tutta quella in-  credulità nafceua dal demonio che gl’accccaua. Ha-  ucndo aliai à balla nzaoflcruato & Icritto de l’ordine di  quelli facerdoti,facrificij & voti , i quali erano anchora,  che fecondo lefortune che egli haueuono (campate &  la qualità de voti fatti, egli appicauono alle mura de haucr t /Um  templi le tauole,douc erano dipinti tutti i cali, fi come pato qual -  hoggi fi coftuma in Fiorenza, & in molte altre chicfe f . he ca f° d'Italia,ondcHoratio fcriflc; Fortiuw. Me   rnr qual ca  gioitegli ut  fichi facrificomo. Cerimonie  del ftcrificiò. Moti.  PLINIO (si eda) nel libr. de  t Hifioria  tutur.  N«n» M fa-  cùfico il  primo 4  Dio, fecondo il diredi  PLINIO (si veda).  Microbio. VIRGILIO (si veda). purgatione  degli anti-  chi con l'oc  qua ffiarfa.  Jrfe tabula facer  ZJ attua paria indicai h umida  Sufj>endiJJe potenti  ZJefimenta maria Dee.   Refla à vedere tutte le cerimonie & inftrumcnti vfad  da glantichi ne i loro làcrificij,i quali fc alcuno mi do-  mandali! perche erano fatti, rifponderei per tre cofc. La  prima,pcr honore di Diod’altraper vtilcdel faccrdote,  che impetrauafanitàper il Principc, & per il popoIo;co-  mc cofa più prctiofa tra l’altre, & la terza , per doman-  dare perdono à Dio dcgl’crrori commcflì, pregandolo  di volere fanarc l’alma inferma. Era adunque il principio di quello facrificio che il prete innanzi, che ammaz-  zare la bcflia,lcmcttcua fui capo , o Culla fronte della  farina, dell’orzo arroflito,& del fale tutti mcfcolati in-  ficine, la quale millura gl antichi chiamorono Mola,  come fi vede in Plinio, quando ei dice, che Numa fu il  primo chcfacrificò à Dio col grano, & lo pregò con la  mola falatarnondimeno innanzi che fàcrificareil faccr-  dote fi lauaua,& quando volcua folamcntc rappacifi-  care l'ira de gli Dei,o rallegrarli fi gettaua l'acqua fopra»  come fcriuc Macrobio,& Vcrgilio parlando di Didone  apparecchiata per fare facrificio, ^yfnnam,cara mihi nutrixfuc fi fi e fororem.   Die corpus properet fluuialifargere lympha.   Etaltroue quando il detto Poeta parla della fèpoltura  di Mifeno,ci moftra come gl’ailìilenti al facrificio erano  purgati dal facerdote con l’acqua fparfa convn ramo  d’vliuo,o d’alloro nel modo chefeguev  Idem ter focios pura circumtulit inda, Spar $pdrgen$rortleHÌ,(èfr rtmoftlicìi olia*, Mai Romani di jjoì in luogo di quelli rami vfarono  vn’afperge, limile a quella che fi colliima hoggi nelle  nollre chicle, come li vede in più medaglie & fregi an-  tichi che fono à Romaà quello modo.Quelta alperge llaua ncll’acqua,douc prima era /la-  ro fpcntovn torchio accerojchchaueuaferuiro al làcri-   ficiofu l’altare. Et di qui nacque l’acqua di Mercurio .  predo alla porta Appia,della quale via ua il popolo Ro" « £££  manoinuocando Mercurio, & penfando coli fcanccl- s ^ rr fi i ~  Ure i peccati leggieri & fpccialmcnre la fede rotta , & le ‘ÌZ  bugic.Oltrc a quello ho olléruato che gl’antichi driza-  uono innanzi ài loro templi vna Pila magnifica, douc  del continouo teneuonol’acqua, con la quale li tocca-  uono prima che entrare nel tempio per fare fa orificio. A   %}( ‘PILLjl T 1 2t sAT DEL '   marmo antico.   I !»   ir  Vfauonodi poi vn’altro vafctto minore & portatile. li  con acqua, limile à quello che portano anchora hoggi uà   nelle chicfc & fuora i noftri preti. 1 1   FigVra sin   ir   tot   tf   VI  FigVK^l 2)' UK VASETTO  portàtile a tenere l acqua [aera. Ma gl’Hebrcià l’entrare de loro templi vfauonovn Tind  gran vafo fatto in forma di Tina, chiamato da i Latini altrimenti  lal>rum ì del quale i facerdoti che andauono per (acrilica-  re pigliando dell’acqua lì lauauono le mani,& i piedi, & il modo di  volendola benedire vi gittauono dentro le cenere della f ar l ac ì u4  vittima arfa,& di quella con vn ramo d’hifopo bagna- degli h «-  uonogl’alfiftenti, benché io ho ofleruatoche nella fine trfi *  de loro facrifìcij, quando il fuoco era per mancare, vi  gittauono fopra certe fcheggicdi cedro, hifopo , & co-  rnino, & della cenere diqucfte tre cofefaceuono l’acqua  facra.Douec danotarcchein tutti i facrifìcij antichi lì rrèfortidi  trouauono tre forti di purgationi,cioè di pino, di zolfo, pmrgationi  & d’acqua, quello che conferma Plinio nel vi. libro  quando ei dice che la teda, o vero pino tra tutti gl’albc-  ri, che fanno la ragia, è molto grato per il fuo fuoco nei   R     i5 8 vrodo. facrificij. Del zolfo (come dice Proclo) vfarono i faccr-  doticon 1 alphalto o bitume, & acqua di mare nelle loro  purificationi,pcrchc il zolfo per l’acutezzadcf fuo odo-  zoìfo. ^ re ha forza di purificare.Et Plinio /criue che il zolfo è  buonoalla religione &per purgare le cafe col fuo fu-  mo. Oltre a quello i fàccrdoti ftauono conrinenri & di-  giunauono prima checntrarc al facrificio,ondc volen-  ti»* ^.° ^ uma Pom P'^° pregare perla ricolta & facrificnre,  Tompj&di s aftenne prima dal mangiare della carne, & dalle don-  GiulUno nc. Et Giuliano Imperarore(fe noi vogliamo crede-  spartùno. re a Spaziano) fi contentò prima che andare al facri-  ficio di cenare d’hcrbe & di pere folamenteicon ciò fia  (come dice Porfirio) che l'vfo della carne nuoca piùtofto alla fanità chele gioui,confiderato che le infermità   nenzf. afii ' fi N g uarifcon ° benc fpàfo per dieta. Et cofi per fobrie-  ta,pcr carità, & religione debbiamo cercare di purgare,  & nettare l’anima , acciochc ella viua ficura contro ì  ogni pericolo che le poteflè auenirc, cacciando da noi   . tutti i penfierichecipo{ Tonoporrarepregiudicio, &o£   fufcarci 1 ingegno & la ragione, confiderato che I’aftinenzaguardal huomo di peccare, la /obrietà fa finge -  TauoUfu- gno fottile, &ildigiuno perl’eflèmpiodellatauoIa /agra  bru'dì ri- & ^ 0 ^ r,a ^ e P‘ ta g or,c, >cifa viucrc lungamente. La legge  tagorid. de i Bracmani era tale, che ella non patiua , che alcuno  ugge de entraflè nelloro collegi o,chc non potelfe aftenerfi dalla  diunto i carne, dal vino, & dal peccato. Et le noi porremo ben  hjUncnzi. mente al x xx v. libro di Tito Liuio, noi troueremo  il digiuno c ^ c il digiuno fu oflcruato per «lamichi, quando ei di-  ojjWo ce, che comandando il Senato all’officio de’Dicci huo-  Sf anti ' mini di riguardare i libri Sibillini, PER INTENDERE IL SIGNIFICATO d'alca ni prodigaci rilpofono,chc bilogna di  cinque in cinque anni ordinare i digiuni in honore del-  la Dea Cerere. Ma quanto alla continenza, ella c vtile  all’anima &r al corpo,comc inoltrarono ilaccrdori de-  gli Atenielì chiamati Hierofantes , i quali lìcallrauono h icrofdn*  col bere il fugo di la cicuta.Ne balla quello (blamente, Us ‘  che ei bifogna fpogliarlì d’ogni affezione & pallìone  particulare , come dice Cicerone nelle Tue queltioni cicerone Tulculanc, chiamandole pcllifercmallattie dell’animo:  ondeincambio, che gl’antichi penlauonodilauare con  l’acqua i loro peccati , lauiamo noi con la penitenzai penitenza  noltri euori/eguitandoin quella la Temenza di Seneca. èilueromo  in Thiefte,dooc ei dice, t&fi'ì /£   Qutm poenitet peccajje,pene e/l innocens.. Iute.   La quale cofa ci feruira di vero zolfo , Se vera bitume , Seneta *  come Icriflc Ouidio,nel libro </r Tonto, ouidio.   Sape leuant pcenas,ereptd<jue lumia* reddunt,   Cùm bene peccati poenieuijje V idear.   Vlauono anchora gl’antichi rElcmolìna , come ferme  Spartiano nella vita d’Antonino Caracalla, dicendo, s P* rtiano '  'Nontenaxin Urgitionem , non lentus in eleemofynam. Ec La limojìn*  Homcro narra d’vn giouaneche s’adira con Anrinoo “ ^P r< \“  Proco, perche egli haucua ingiuriato vn pouero huo- m tr^gU  mo, che gli domandaua la limolala innanzi aH’vfcio R- 0 »-  della Tua cala, inoltrandogli che Diocclclle lopunirebbe.E' certo che i laccrdotidc Gentili innanzi che fare tf*eerdo i i  facrifìcio lì confeflauonod’hauereerrato,domandando  (come dice Pitagora & Orfeo) ài loro Dij Tempre cofe facrip.care  giulle,doppo la quale confcdionc publica il preteche u f auAno ld  andaua innanzi & miniltraualecole fagre vfaua di f lr co ^ c P ,onr ‘R a 2.60 silcntio ne - mili parole, hoc age , per fare che il popolo tacef-  <'ir™ ncl fc,& ftclfc intento à i sacrificij, facccndo fare largo con  grf . 7 vna bacchcttaùl qualc filentio è neceffario nelle cofcfa-  grc,come Icriuc VIRGILIO (si veda) quando dice,  Hinc fida filtntia fiacris.   Non elfendo dubbio alcuno che ogni bene procede  rune ft- dal poco parlare. Et coli il prete comandaua fautrtfa-  trfto. crù,ò funere linguis , che altro non è, come dice Fedo, che honafiari, le quali parole io ho vfate latine per non  vfeirefuora de termini antichi circa ài facrificij, maflì- inamente che i noftri poethvolcndo dire filentio, vfa-  rono aliai quello \cxbo fiauere. Finalmente quando il prete s’appreflaua all’altare per facrificare, ei lo troua ornato in quello modo,   FigVX^i 2 ) 1 U ^ LT^XE 0  nato de fiefioni,come fi vede nel marmo antico Menandro. Ed il faccrdotc era coronato d’herbe chiamate ver- verbene. bene, per edere appropriate, & (limate felici ne i sacrifìcij.Ie quali coglieuono in luoghi fagri: quantunque noi  impropriamente parlando chiamiamo verbene Talloro,Tvliuo, e la mortine, nondimeno Menandro afferma che quello è proprio la mortine vfata nelle loropurifi  cationi infieme col Pcntafìlo,chc noi diciamo cinque  foglie: anzi erano gTantichi d'oppinione che Tvliuo foflè proprietà albero tanto netto &puro,che fcvna meretrice, o altra ^Muo.  femina impudica lo toccaua , o piantaua,non portadè  frutto, & fi fcccadè.Et benché gTantichi ornaffino i lo-  ro altari di quede foglie , pur nondimeno (limauono  che ogni divino haueife la sua erba e albero particularc: come Giove Te(cuIo,ch’è vna fpctiedi quercia, Apollo  l’alloro, Minerua Tvliuo, Venere la mortinc,àcaufadel  fuo buono odore,Pan il pino, & gli Dei infernali Tarci-  preflò, per non rimettere mai quefla pianta vna volta f° tagliato  tagliata, non più che vn morto non e buono à nulla: BACCO Tcllera, & Hercolcil popolo nominato di (opra. veUeraeo-  Stimauono parimentechc ogni loro divino hauede un animale proprio, come BACCO la capra, o ilbecco, perche ogni dìo I ROMANI eonfatrarono ad ogni divino la fua berba. Varcipref- ei nuoce alle vigne. Cerere la troia, perche guadale  biade, Diana il cervo e il cane, Nettuno dl cauallo per proprio. le ragioni allegate di sopra, Fauno, laca^l, Gioue il toro, Efculapio il gallo, & Ifis , Tocha. Nell’immolare  adunque, o sacrificarc quedi animali, il flamine, o sacerdoteera veditod’vna vede di lino bianca, chiamata  da Latini SIGNIFICANDO CHE la purità è grata al divino, e perche ogni cosa che esce della terra, è nel suo t fce di u  principio pura e netta daquaje usanza c anchora hoggi terra ' m ~   R 3 “ t0 Zdi  trai noftri preti nella popa di loro faenfieij, & nel prin  cipio che egli entrano all'altare : & vogliono alcuni che  gl'Egittij ne fodero inuctori,vfando le dette velli ne i fa-  crificij d’vn lino detto A^/flWjonde fu detta la vede Xylin*  rUnio. nel modo che lo IcriuePlinionel xvi ni. libro dell’Hi-  cucrone. fLoria naturale. He CICERONE (si veda) dice nel saggio delle Leggi, che il colore bipco e molto grato al divino: &r che le vedi  colorate non debbono servire le non à gl'huomini di HrfWfo de guerra:fomma, che quello habito faccrdotalecra fi lun-  [kcerdoti go,ched’ogni parte dracinaua per terra, come lì vede  per la prclcnte figura. SACRIFICIO TIRATO DEL MARMO ARTI,  co Ài Jlom*. Veluuon  a * 3 Veftiuonfi ancora quelli faccrdoti d’vna tonaca dr-  pinta,&foprala tonaca vna falcia intorno al petto, fi  comcparlandodiNuma Pompilio ha fcritto Tito Li-  uio,dicendo che ei creò à Giouc vn Flamine Diale perpetuo, vcftillo d’vna bella verte , & gli donò la Iella Cu-  rulc: & clic oltre à quello ordinò xii. preti Salij per fa-  re lacrificio à Marte, vertendoli d’vna tonaca dipinta  con vna falcia di rame intorno al petto, quali nella maniera che vlàno hoggi i noftri facerdori.ma di feta ornata d’argento, & d’oro, e di piecre pretiofe.Ornolli Umil-  mente d’vn cappello di la nabiàca, chiamato Albogalc-  ro,il quale perche à caufa del troppo caldo non pote-  uono Iellate fopportare,fi legauono vn filo intorno al  capo, non ssendo loro lecito d’andare lènza nulla in terta, nondimeno bisogna che idi delle felle lo portaflino, pcr moftrare meglio la dignità facerdotale: oltre à  tutte quelle cofe bifognaua che il facerdore antico hauerte il capo raso/ccondoil modo degli Egitti] , come  fcriuono Herodoto&Plinio,dicendo che altroue i pre-  ti portauonoi capcgli,main Egitto nonronde Com-  modo Antonino volendo portare (come fcriue Lampridio)rimagined’Anubi,bifognòchefiradefie il capo:  ia quale cola gl’interpreti della Icrittura (aera , & mallì-  mc S. Hieronimo hanno interpretata che la tefta rafa  non vuole altro lignificare,, che la depofitionc di tutti i  penficri & cofe temporali, & che la corona, ò cherica  de ipreti fignificala corona del cielo. Ma ritornan-  do alle cerimonie de noftri facrificij antichi , dico che  quando fi veniua à facri ficare , il facerdore voltando-  li dallaltarc inuerfo il popolo, si mette la mano al-   R 4 Tonaca do  i fateraori. LIVIO (si veda) A Ihogale-  royucjlimtn  to del flamine Diale  Al sacerdote non è lecito andar colla  testa ignuda. Il sacerdote antico ha la testa rafa. Commodo si fa radere il capo. Hieronimo.   Cherica de  freti. Segno di filmilo. DELLA RELIGIONE  la bocca, lignificandoli il filcntio, quali nel modo che fi  sonatori volgono i preti di noftra religione : nel quale mezzo  "io. ^ auc ‘ e ^ cctcrc fonauono,i quali flauti ne i facrificij  erano di boflolo : & nelle fede & giuochi fècolari d’àr-  ornamento g cnto > & la vittima paffo à paflo andaua caminando  4riu uitti- verfo l’altare ornata di fiori intorno al capo, & certi pa-  m ' ternoftri dorati, che le penderono dalla punta de corni,   efifendo condotta da i vittimarij mezi vediti d’altre pelli  ntn , JU di beftie,chc egli haueuonogia facrificate, comc moftra OVIDIO (si veda) dicendo, -Induraque cornilus auro  vaglio. Vittima. EtVergilio,   vlinio. ^ ft atUdm ante ar4S dUrata fronte iuuencum.   Quello che ha confermato Umilmente PLINIO (si veda), nel saggio dell’Historia naturale, dove ci dice che  non si pensa nel suo tempo ad altra colà che trovare una gran bestia, con le corna doratc, pcr farne onore e sacrificio «à gli Dij immortali nel modo che fi vede qui  difotto.  FIG DE GL ANTICHI ROMANI. is 5  • FiCjVR^ YlrTZrrfZi IdeZ   marmo antico, che fi vede in Roma.  Mala viteima minore cheli doneua imolareà qual- i» oUtione  che Dio,era coronata d’vn ramo delle foglie dell albero  dedicato arale Dio,o veramente d’vna falcia di lana, chiamata infula, dalla quale pendeuonoduc bendedette  Tal viti da Greci, & Vitu & a i Latini, & fe menata all'altare Lenza clfcre legara(quantunquc per l’adietro ella lo fo  ledè ellèrcjcome inoltra Iuuenaledicendo,   Sei proctil extenfum perulans <j uatìt hojìia funem.) segni di   ella faccua refiltcza d’accoltarlì , o fi fuggiua,o che per-,  colla gridaua,o cadcua da vn’altro lato che quello, che lime de ro  dilègnauono i Romanici pélauono quello cllere mal- mani R 5  VIRGILIO (si veda). 1 Vittima  ri j dowrjli-  t duerno le  bejUcperle  vittime.  Tranquil-  lo.   Audacia di  Ceftre. Btfticpiù   utili ithuo  a<r<? ‘l’augurio,# illacrificio non grato à gli Dij, nondimeno  non lafciauonod’ammazzarlaful luogo medcfìmo,do-  ue era fopragiunta, come per contrario,pigliauonoin  bcne/c pacientcmente ella afpcrtaua il colporqucllo che  ha moftro Vcrgilio in quel verfo,chc dice.   Et duElus cornu Jldbit fteer bircus dJ dir dm.   & Hadriano Imperatore nelle fuc medaglie.   MED. GRECA D’HAD~RIANO. BRONZO. BRONZO Dipoi per ouuiare à quefli dubbi) , Scnondiftur-  barei {acri fìcij,ordinorno gli antichi i vittimarij à polla, che domellicauono le beftie, & coli facilmente le  conduceuonoaH‘altare:quantunque Celare del fuggire, o non fuggire della vittima(come lèriucTraquilh  faceflèconto,&non IalcialTedi combattere doue  rione lì prefentaua : anzi fumo gl’antichi in quelli,  riolì , che prima che itnolare vna bcftia.la poneuo  mentedaleapo lino ài piedi, accioche ella folle fènz ^ , ~ula, & coli pcnfauono douerc essere molto piùgra-  Ioro Dij. Etfurono le vittime usate dai Romani,!*  ;a, la troiani bue, &la capra, come bellic più manfuece z6 7   fuctc & facili à condurre douc l’huomo vuole, ed anno, trono  cho come beftìe più vtili alla vira dell’uomo, con ciò  lìache le pecore danno il latte & la lana, & i buoi lauora- p t u e de «-  noia terra, e del jfelo delle capre gl’antichi faccuono ft roniin  feltri per la pioggia, & delle pelle dccaftroni cucite in- v ^ 0 ‘* , ^ oUd  ficme , i foldati mantelli perla guerra.Et coli nelprin  cipio del facrificio illàcerdotc Romano veniua all’al-  tare velato Scoronato d’alloro in compagnia del coro  di fanciulli^ fonatori di flauti & di ccrere.che fonauo-  no& cantano, come mostra la medaglia di  Longino Triumuiro. ti Romani  perla gu nr  ra. LONGINO TRIVMVIRO. ARGENTO. ARGENTO. Oltre àqueflo non farebbe parfo interamente buo-  no ilfacrificiOjfc illaccrdore non haueflè tenuta la ma-  no fu l’altare , come ha moftro Vergilio nel 4. dell’ Ac- vtrgilio.  neid.doueei dice:   Talli ut orantem JiBis ardfijue tenentem ’^duJtit omniporens. Volta soltuono i Voltaua Umilmente il iàcerdotc il vifo all’Oriente nel   g^Umt P rc g arc gli Di j, -fida mattina di buon’hora, {limando  titutxr f*- gl’antichi che quello folle il tempo proprio, nel quale gli  ucrfrorié- Dci lecndeuono nel tempio perricctiere & vdirc i priete. ghi, & voti di queflo & dic]ucllo: Ia<]uaIev{anzahabbia  Forano, moritenutaanchora noi ncllanoflra Rcligione:& Por-  fino ha voluto che le ftatue & entrate de templi fiano  tutte volte aH’OrientCjConforme in <juc{lo(feben miri-  cordo)con Vitru uio. FiqLm^t TlTt^T^l Z> L-  la colonna di Traiano. tifine 1 Doppo quello il sacerdote piglia tra le corna della vittima del pelo, e lo gitra sopra il fuoco accelo, nel  modo che ha fcritto Vergilio quando dice.   Et fummat carpens mediti inter comua feto*»   Jgnibta imponitfacris.   La quale fuffumigatione fatta con altre di frutti &  biade primaticcie, chiamate dai Greci come si vede per la figura.  i Co  VIRGILIO (si veda).  FlGVRA T> E COLTURE,  don erano polle le primicie ftj fruttijnnanzi  cine facrifìcafiino. Gl’antichi pensano quelto cflcreaugurio di futura  fertilità, rendendo gratic à gli Dij d’cflcrc arriuati in vn  tempo più ciuile,& più bcllo,nel quale in cambio di ghi  ande & d’orzo potcuono mangiare viuande più dilicate. I granelli di quello orzo mclcolati con Tale ( Sic   mifcel      a 7 o Cerche mef tnifìellam inteìligunt Oraci ex hordeo, & f*le> mar eri am )  Ronuni f- fichiamauono Ole&cUle,\ quali coli magiauonagl'an-  orzo con il tichi,prima che folle in vfo il macinare. Ne vi mefcola-  rt ficrifi- uono *1 P cr h fertilità, eflcfndo cola (Ieri le, nc manco   àj. per ringratiaregli Dij,ma perche lo Rimarono vn lega-  Uftlcriprc mc £ f e£ , no d’amicitia , & di qui nafceua che innanzi à  game dumi gl hofti&aglamici liprclentaua il (ale prima che tutte  citu. l’altrccofè, volendo /igni ficare la fermezza dcH’amici-  tia,& moltrarechecomedi più acque fijfavn corpofo-  Iidò(quajc c il (ale)cofi della volontà di più perfone fi  genera vna perfetta concordia & amicitia. il medefimo  faccrdote d ipoi gittaua tra le corna della vittima la mola, & verfaua del vino,comehà moftroVergilio, douc  ei dice.  Simbolo di  ucraamici-  tu.   Mola.  Vrobatione -Frontone inuergit vinafacerdos.   della uitti - lignificando per quello che la vittima era crcfciuta in di  ma " gnitàr&ancho lo faceuonopcr prouarc fecllahaucua   paura , {limando che lenza la mola il ficrificio non è grato à i loro Dij:&: il vino era portato in vn vafo detto  l 0 . Prcfcriculo,per vnodei miniflridel lacnficio,nclmodo   chcfe ne veggono à Roma invìi marmo antico. VUSO VUSO, Tinnirò DEL M^tR-   mo antico-, chiamato ^ref inculo.  Ma innanzi che il prete fpargefleil vinofu la tcftadel-   Ia vittima, eil’aflàggiauacoì/ìmpulojchceravnaltro pie s imputo.   colovafo , fatto nel modo che fi vede qui difotto,& ri-  tratto da diuerfi marmi & medaglie antiche.   SI MTV LI TIRATI D‘V 2ST  fregio dntico cine in Roma. Ne man  t 7 i i Ro»Mn{ Ne manco fi faceuono quelli fiicrificij fenza fuoco, il   non fucrifi- q Ua J c era dilegnc (ceche porte fu l'altarc,fi come vfiamo  ““fuoco, anchora hoggi ne i noftri facrificij (non per ouuiareallc  tcnebre,ma per moftrarc nell’adoratione fegno di gioia)  & come fi vede per il candeliere de gl’antichi, fatto in  quella forma,  CERVELL ERE, RITRUT-  to del nurmo antico. Lclegnedel detto facrificiononpoteuonoc/Ièred’v-  téttiu o tu- liuo,d’alIoro,ne di quercia, perche gl’antichi ftimauono  *’"*• che tutti quelli alberi faceflìnocattiuoaugurio:& quan-  fidccold il do il facerdote racccndcua,pigliaua vna fiaccola di pi-  P in0 \ • no guardando bene di non errare fecondo l’ordine delle cerimonie ’o , • i , i i< -t   primdch oc loro cerimonie antiche ,doppo le quali il prete toccaua  eiderUuit- | a k e ftj aC0 n vn coltello, dalla iella per infino allacoda,  yergìlìo, come ha moftro VIRGILIO (si veda), dove dice» Et tempora ferro Stimma notar pecudum.   Comandando dipoi al vittimano di mettere i coltelli fo  pra alla bcftia,come dinuouo ha inoltrato VIRGILIO (si veda) qua  do dice,   Supponunr alif cultros, Et di qui c nato che gl’antichi diceuono mattare, cioè  crefccre,percotcndo la viteima con vn maglio/atto nel  modochefi vede qui difotto,   MAGLIO ET SCURE con quali ammazzinone le Vittime. Non è lecito ai ministri di percuotere la vittima» ^   fé il faccrdote non Io comandaua;gI habiti de quali per i mnìjbi  cflerc differenti , mi è parfo inoltrarne la figura qui di- d, ff eTtnte >  (beco.  FICfV'R^l Z>’ l MJlslJSTXJ   del facrifdo, ritratta del marmo antico. Et tutti quelli ch’andauono innanzi 1 . grand jfacrifì  cijdicenro buoi, chiamati Hecntombc,ciòè trombet ti, fonatori di flauti, o dicorni, & quei chcconduccuo  no le vittime , óccheporrauono i vali, Se altre cofe ne  ceflaric per il ficrificio, èrano differen temerne corona  ti, 6i vcftiri *ncl modo che fi vedc.qui difolto, H eeatobr. SO  no innanzi alle vittime, Quella vittima era bene fpellbammazata di coltello, colteUochi  fubico che il làcerdotc comandaua di ferirla nella gola, Sf "  il quale coltello, chiamato Seeejpira, è simile à quello  ritratto da i marmi & fregi antichi , che fi veggono in  Roma. S a v  zf?  Wf i <K1 / X r z J ! qjj ^ L 1   ammazzino le vittime. Etalcunialtri tcneuonograndillìmi bacini da loro  detti difchi,per riceucre gli inteftini della beftia,Ia forma  de quali Ci vede in Italia & in Francia in molti luoghi  fatta à quello modo. S  Tutte quelle colè non erano fatte lènza millerio, con  ciò lìa,chc doppo haucre glatichi sacrificato i buoi, per  Mijitrio memoria del facrificio,& in honorede loro Dij faccuo-  no f u I luogo (colpire 1 bacini, &:i tcfchidc buoi, có fcfto*   pojitnticni. # . c • . \ | . r,  nnntorno.comeinpiulati li vede mgran marmi anti-  chi, & maflìme fopraà gl’archi delle pone di S. Giufto in  Lyonc.  2) 1 S CO, 0 2 CI Fregio  *7*   FX3 q io TTYZTro Wltm   marmo antico eh' è in Lyone. Pelle detto  vittima in- Alcuni alcri,lcQrticatada vittima/accuorio rtietrère la  pclleconl’altreinfegne della religione, dormendo bene fpeffone i templi fopra le dette pelli, per affettare la ri- religione.  fpofta de iloro Dij,come mollraVerglio, quando dice, y  ‘Pellihus ine uh ut t JlratisJomnofque perirne. S 4 vìD l  UT''  I Giu Et ficome letcftedc buoi erano quiui collocate per  mostrare la pietà e la religione, & tutte le loro cerimo-  nie vfate nei facrificij, colici mctteuonoanchora quelle  de caftroni facrificati,fi come fi vede nel fopradetto fre-  gio, onde io ho fatta ritrarre la figura.  a i ,/V'y, ' ' . ^ x yfq   i8o' /. TESCHIO DEL' TO X q  mejfo tra le infegne della religione. ito  ‘ I Giudei (come fcriue Straberne al vi. libr.)haueuo- i Giudei  no anch’eglino quella vfanza di dormire ne i tcmpli,&  di vegliami dentro , come faccuono i Romani , perche tomcTUo-   comehà detto Cicerone, gli Dei parlano (blamente à mni '  coloro che ei trouano dormendo : la quale vfiinza (co-  me (criucEufebio Panfilo) fu dipoi tolta via daCoftan E “A bio  tino,auertito de i maliche fotto colore di bene fi face-  uono là dentro. PELLE PELLAI VITTIMAI.Vltimamcnte il fiicerdotefaceuarizarc vna gran tauola chiamata EncUhrnjz ome i vafi , che fcruiuono per  ifacrificij, fumo detti EncUbria, , fopra la quale faceua  porre la vittima (parata percercarcdiligctemente gl’in- QsoUinte-  teftini (quali erano il cuore,iI polmone &il fegato)con  vn coltello di ferro,& cognofcerc fe gli Dei s’erano contentati del facrificio & pacificatila i Greci (come scrive Pausania) appreflo auere guardati gl’inteftini de Taufaù. glagnclli, capretti, & vitelli, folcuono predire le cose  ■;.v: S 5  jl8i della religione   officio de future.EfgrArufpicioflcruauonofolamentclc fiamme  t^nelfacri' delfuoco,dal q ua le era la vittima abbruciata. Hauen-  ficio. do i faccrdoti coli bene effeminati gl’intcftini , faccuono diuiderele membra della beftia, & quelle coperte di  farina,& polle in vn paniere, ne faceuono offerta à c o-  lui,chehaueua fatto il fecrificio,&cofì (limauono la vit-  tima pcrfetta.il coItcIlo,col quale era la vittimafquar-  DoUbré tata, fu chiamato Dolabra ‘Pontifici, fi come Tito Liuio  ponfj/icu, ha nominato quello, col quale fe le tagliaua la gola , Se-  ua,yel a fecando SeceJj>ir*.}Az i coltelli, coni quali s’am-  mazzauonoi piccoli animali, fumo detti Cultrii come  ottico nel hàmoftro Ouidio quando ci dice,  il TrJff ‘ ‘PercuJJufque [augnine cultros  form, lnficit.   Et de gl abri coltelli che feruiuono alla caccia, detti Ve-  natori) cultriy ha fatto mcntione Tranquillo nella vita  di Claudio, douc ei dice , Reperti eejuejlri ordinuduoin pu-  hlico cum dolane & "venatorio cultro. Solamente i Giudei     Coltelli di nelle loro circuncifioni vfaronoi coltcllidi pietra. putra per *   e™™"' ~SCVRE ET COLTELLA [A N TJ CH ì\  Laltro   Ì83  L altro coltello, col quale era fquartata la vittima, coltelli per  era fatto nel modo,che fi vede qui (otto. uìttim  LTXO CO LTE L LO ^ANTICO. Inuitami la diuerfitàdi quelli co!telIi,& per fare pia- piwr p f j  ccreàgl’amatori delle cofe antichc,à riprefentare quindi de coltelli  forco la figura dei coltelli antichi, che i vittimarij portauono appiccati alla cintura in quello modo. COL i8 4 della religion e   • COTTE L Li CHE ‘PORT^V^'HO  w »*» ordinariamente i ZJittìmarij alla cintura. Etfc alcuno purefteflc anchora in dubbio del modo di quelli facrificij, mi è parfo di riprefcntarc qui al  naturale quello che fi è potuto ritrarre della colonna di Traiano à Roma. S.JCR 1 Bh>'ob -A. ih' iup 31 l MI 51 1141^Ha . ; t pn jnnr. 3 KV)*j   f  :J. ^ 'ff ’   !:Ì,W MJtll 11 * 03 1 n I :  , obomofbop ni Mina; ; sjbinoàiq ; : onta* zfy   sucrifTcTo~~u wr Tcori fxZf ttò dalla colonna di Traiano. Riguardata la vittima, e fatto preferite al sacrificatore di pezzi migliori, il prete gli faceua abbruciare sull'altare, quantunque benefpclfo la carne reftaflè i i sacerdoti doppoil (angue fparfo fu l'alrare,come hi tno-  ftro VIRGILIO (si veda) quando ei dice, Sanguinis @r [acri patera. Mane gran sacrificij dntida i la   vittima h gittaua tutta intera dentro al fuoco, come hi  dimostro il medesimo poeta dicendo,   Etfolida imponunt taurorum inferra fammi s. La ittLa quale carne non era coli torto porta dentro a 1 fuo-  frtu ì'tc- co, che il prete vifpargcua fopra delì incenfo del corto,  nerliiuen- & altre cole odorifere, che ci pigliaua dentro à vna caf-  fetta detta ^ cetra da I LATINI, e de noi hoggi Turibulum,  come moftrala predente figura, t ~ . d C S S E TT yA DOVE TEMEVANO   ifacerdoti line enfi.  W ’ :  il uino in Qucfto iflccnfo,o profummo (comeio penfo) s’ab-  ufo ntl fa- bruciaua per amorzarc il cattiuo odore della carne  «rifido, abbruciata, doppo il quale il facerdote vcrfauadcl vino rane in mag fu l’altare, e all’hora fi ftimaua fornito il sacrifici tono in ma g LU I aitare, oc auuuia u muuw lumuu n facrificio,  gior pregio quantunque il più perfetto & maggiore era tenuto quel mi Curi - j Q ^ c j lc ^faccuad’vnatroiajd’vn toro,d’vn becco, ed’vn  montone, e appreflo àgl’Ateniesi d’vna troia.d’vn montone e d’vn toro, chiamato dai Romani Solitaurilia, e  fatto da Censori per lustrare, o purgare la città di Roma, come qui lo dimoftra la figura,  ~ “ SjLCZi nel sacrifi  ào. Solitaurilia. SACRIFICIO CHIAMATO SOLitauri hajirato dui marmo antico. Qiì e ft ovoca bolo, folo, dirnoflra laqualirà delfacrU  ficio, cioc che egli era perfetto e intero, conciofia che solum in lingua T ulca sìgnifica intero, come dimoierà. Solum -  LIVIO (si veda), chiamando gli ftrali fohferrei, cioè tutti di LIVIO (si veda).  erro. Nel resto e ultimo de sacrificij i medesìmi preti apparecchiauono la cena, alla quale era permeilo di Ctnd  i  trovarsì à ciafcuno, che era flato prelènte aIlacrificio: e preti Rodi quel che auanzaua,poteua il facrificarorcportarc & mnu  donare ài parenti, &à gli amici,qualì come li fa nella <   noftra religione hoggi del pane ,che ogni domcnicair   diftri nijlribu- diftribuifce per Icchicfc.il modo del loro mangiare craj  tionejetta nc l tempio ftauono tutti ritti con certi panetti tonati anti * diin mano, mentre che ficantauono d’altra parte le lodi del divino, facendo cuocere la loro carne dentro à vn  vafo detto Olld,&. da noi Pentola, nel modo che da i  marmi antichi ella fi vede ritratta qui difotco. PENTOLA DOVE 1 S UCÌtl El-  ettori ftceuano cuocere Ucarne de li facrijìcij. Avendo anchora olìcruato per la icultura d'vn'altro marmo antico, che fi vede fopra la porta della chicia  di Bcauieu ixn. leghe di Lyone.comcdoppo che la vit-  tima era fiata pofta morta lu l’altare, il vittimario fe la  caricaua fu le (palle,& la portaua per metterla in pezzi,  & farla cuocere, come fi vede pcrilgiouane vittima-  rio,che porta la pentola & la mcfiola,& il facrificatorc  noUfiU- il paniere douc era la mola falata , però mi è parlo di  u, ripresentarne qui la figura al naturale. Eigv 4 >M   Me FiqUR^l T12tUT<st' D'V'N   fico eh’ è /opra la porta de la chiefa di Tcauiett in Seauiolois. J Cerere lulus per le biadc, di Venere Ereriches, c ioc picn  d’amore, e di BACCO, dityramhus: benché grimbriachi  h yanl de haucuono i loro hynni à parte, i quali Ariltofanc inXd-ba chiamati ft yÌHunct, à caufa che i Greci chiamano  e». 4 1 tremito de la tefta*p>*a'>irr, & mangiare & bere J   troppo. H ora appreflo à tutte quelle cole, il prete, liccnvenilio. tiaua ogniuno,comc moftra Vcrgilio, quando dice,   -Dixutjue nouifiirru vtrl> 4 . 1*   il fine del ^ et: volendo mollrarccheil facrificio eraforni fecrifieio. to, comehoggi anchora fanno i noftri preti alla fine della mefla, quando dicono, ItemiJJa e fi. In quelli templi  tra l’altrc era vna Tedia à parte dinanzi all’altare, perii Principe, o quello che tencua la giuftitia, intorno ali ai- r   tare vn coro, & nel rcfto del tempio erano portichi   Ioggie,doucil popolo lpaflcggiaua, afpcttando che lì facelle il lacrificio. Et certamente che Te noi mettiamo  ogni induftria & facciamo ogni grande fpela per Tare bei palagi, e: belle cafe,tanto più douerremo ingegnarci di fare beile chielc, Scorationi à Dio , per intrattenere  Religione co  a P‘ cta, * a religione & la mifericordia,come ci hati  degli enti- noinfegnato OTTAVIANO (si veda),Vespasiano, Nerva, &M. 'Jf  ehi impero Aurelio, tutti buoni e diuoti Impcratori,pcr quanto li  tifarne- vede nelle loro medaglie, doue fono tutte infegne della  gnifiebité- antica loro religione, nel modo che fi trouano qui difottO; ANTON.  A   Pf- 2*1  ANTON. PIO. M. AVRELIO.  ARGENTO. ARGENTO. Ma perche gl’ Egitcij fono (lati i primi , che Icuando Religione  gl’occhi in verfo ilcielo, e affifando la mente nella cognitione del divino trouorno molte cerimonie, e modi di  religione:pcrò ho giudicato non fuora di propofito , Io  fcriuere qui neH’vlfimo qualche colà di loro: & come  penfando che il Sole & la Luna fodero Dij ,chiamorno  quello Ofiris,& quell’altra Ifis, adorata poi infino a Roma, come fi vede per la infraferitta medaglia, dclla quale io ho scritto altrove adai largamente. MEDAGLIA DEL CINOCEFALO. ARGENTO. E Commodo imperatore (come fcriuc Spartiano)  hpiiorò molto tra gli altri facrificij, quello di quella  Dea, come fi vede nelU fua medaglia , doue ella tiene  vna sfera in mano, come madre di tutti Parti, & vn vaio,  ovcroamfora piena di Ipighe, SIGNIFICANDO LA FERTILITÀ d’Egitto. BRONZO. BRONZO. L’vfanza de gl’Egitij nell’adorarc i loro Dij, è nel  principio pura e semplice, senza effuzione di sangue, o  usare altra crudeltà, però che egli offeriuono sull'altare  quei medesimi frutti che ei mangiano, il che feciono anchora tal voltai Romani, come dimostra la figura: e abbruciando le radici & le foglie insiemc, guardauonoi frutti offerti all’altare, pacificando il divino celeste col fumo fidamente.  v pinzi fogli Egitti/  nelTadora- rt » loro  X>ij.  s^Cz/  SACRIFICIO 2)1 FRVTTI TIRATO  del marmo antico di Roma. Scrive Porfirio che in quel primo tempo non sono Porfirio.  In uso ne rincenfo, ne Iamyrra, nc la cannellate il zol fine il zafferano, ma l'erba verta, la quale mostra la potenza della cerra, e tale sacrificio quale si faccua propriamente dell’erbe si chiamava da Greci 5v*t*. Di poi vennero Hiperbio e Prometeo che trovorno il Hipfr&io  modo di Eterificare le bclfic,& di conoscere selle erano  intere &fane,& il facrificio grato à gli Disperò chefcil fiacri fi tatotoro rifiuta u a la farina, o le capre i ceci, chc sono pre- acif ~  (curati loro, giudicauono il sacrificio ne le bestie edere buono. Dipoi offerirno myrra e zafferano, e ndl'vlti- T 3  Cerimonie  degli Egitti f, i felli'  tarloroDij  ld mattina. VITRUVIO (si veda).  Itore certe  per far oratione, cr citare. PLINIO (si veda) TACITO (si veda). Macrobio,  Marcellino, Cojlume  t Orfeo à  far giurare  i forejiitri  entrido nel  la fua religione. L ecofebuo  ne communicate ima  Ugni, perdo  nolorriputatione.  mofcciono vna vera beccheria dei facrificij loro. L’altre cerimonie de gl’Egittij erano di falutare la mattina i  loro Dij, il quale modo da gl’antichi fu detto adoratio-  nc, comc mostra VITRUVIO (si veda) nel saggio dell’Architettura, doueci vuole che i templi del divino fiano  prdl'o alle ftrade macftrc:acciochc i paflànti gli pollino  più commodamentc salutare e adorareda quale vfanza  pare che habbino ritenuta i nostri preti, dicendo il mattutino, & terza & feda, comcgr Egirtij faccuono orationc  la prima, feconda e terza hora, cantando hynni & altri  canti, fitti in laude del loro Dci,& fcritti, come scrive PLINIO (si veda), ne i loro saggi di religione, per figure e caratteri di bestie, d’uccelli, e d’altre cose, che TACITO (si veda), Macrobio e Marcellino chiamano Hyerogliphice, come anchora si può vedere ne i loro obelisci, o vero piramidi e guglie, delle quali ragiona Plinio al x x x v i. hb.dcl-  fHiftoria naturale in quello modo,Gl’intagli, caratteri,  & imagini,chc noi veggiamo, fono lettere de gl’Egittij  fcnzaordine e intelligenza di persona, fcnondi coloro  che sono prepossi alla religione. Ed Orfeo (come narra  Firmico) mollrando à gli huominiforellieri, chc entrauono nella fua religione, i lecreti & miflerij di quella,  gli faceua prima folla portadel tempio giurare, che non  riuclcrebbono maicofa, che egli hauellìno veduta ài  profani, cioè à quellichcnon erano dell’ordine loro: e certamente non fenza ragione, conlìdcraco come le cole buone perdono di rìputationcquando ellcfonocoftì  municatc à huomini ignorami, incredulfonuidioii, per-  fidi & maligni. Vlauono oltre à quello gl’Egittij, che pigIiauonogl’ordinifacri,di pigliare anchora prefentida ogniuno. a* 5 ogniuno,& poi faccuonovn conuitoà tutti quelli , che  erano flati prefentialle cerimonie loro: e il gran sacerdote (come noi diremo hoggi vno de i noftri vefcoui)  infegnaua poi lorc^ciò che ci doueflìno fare, dandoli vn  libro, o ruotolo , come quelli che vfauono i Giudei. I ROMANI poi haueuono altri vigniti de  ordini tra loro, come il maggiore e minori Pontefici,  flamini, archiflamini, e protoflamini, simili al nostro papa, cardinali, patriarchharchinefcoui, vescovi, abbati priori, canonici e altri , à i quali porta uono molto ho-  nore& obbediuonogl’antichigrandemcntr-.ondc Cicerone fcriuc,che la religione fu quella che fece coli gran- urrllgim  di I ROMANI, anchora che egli haueflino affili nationi superiori à loro in molte cose. Pofledcuono parimente gl’antichi benefici) con la dispensa del maggiore Ponte- eB  fìce,come fi vede in Tranquillo nella vita di CLAUDIO, & doti Antichi  in LIVIO, quando ci dice che il figliuolo di Fabio Massimo ha due bencficij, quando ci fu fatto pontefice: i quali beneficij sono di si gran valuta, che non solamentc ei poteuono intrattenere le loro case e famiglie  magnificamcnte, ma perenire alle sommc dignità de i  loro trionfi, non lasciando per questo di tenere altri offici) secolari e publichhandarc alla guerra, e fare mercanti a, secondo che roccasione si presentaua: & erano  quefli bcneficijdidueforti d’vnaVfa fuggettaalla colla-  tionedc Ponteficbde la Republica, & degli Imperatori, e l'ahra reftaua libera & hcreditaria di mano in mano à R 0m JT «  i fucceflorijche chiamorno tali facerdotij Gentilirij, e tuamentr.  quafi al modo noftro patronati:de quali hà coli parlato  CICERONE, nel libro de Aruftìcum reftonfìs, Ei fono (dice citarne., che hanno fattoi  T 4 egli) in qucfto ordine molte perfone   intrjte de facrificij Gentilicij in quello iftclTotcmpio.Nc e damatntjiaf. rauigliarfi fc l’enrrattc di quelli benefici j antichi erano  cofi grandi, confidcraro che quando i ROMANI veniuonoa fondarctcpli o munillerj,ci gli jfotauono digrandissimi beni, cosi indanari,& penfioni,comcin tcrre&  altre cole (labi li, & i Re &gl IMPERATORI le faccuono fijonluioni a quelle, che in Francia fi chiamono Fondationi  rtélL Realidcntratte delle quali fi coinè fono rifeofTe e pagate dai Riceuitori del Dominio, cofi quelle de ROMANI paflàuono per le mani de questori, o Telorieri, fi co-  coUcgìdd m x c mostra LIVIO, quando ei dice che NUMA ordine V rftaii no i Collegi de i Flamini & delle vergini Vcftali,&: aflc-  - N ^ id4 £ n ° foro entrate & prouifionidei beni publicida quale  vfanza non bifogna dubitare che non fo/Iè poi ofleruata & matcnuta da gl altri fondatori che vennono do-  cSformiti P° lui. Concludendo che fc noi porremo ben mente,noi  troucrrcmo e vedremo che gl’ordini della noslra reli- Gentili con gionefonóin moire cole limili à quelli de gl’antichi Egit  k nojircin tij, ROMANI, comclbno i camicide pretine ftolcde piì-  netejecherichc ralc, che i Franzcfi, chiamano corone,  lo inclinare della tcfla, volgendoli all altare, il principio  et la fine del sacrificio, i prieghi, i voti, l’orationi, gl’fiy tini, le mufichc delle voci,ifuonicomequellidegli organi, proccfIìoni, & molte altre cofc,chc vn buono spirito potrà facilmente ricorre, hauendo bcneconlideratc quelle cerimonie & qucIle:ecccttoche quelle de Gcn-’  df ti,icrano «tlupcrfiitiofe, ma lenollre sono Chri-  g aitili. diane & catholichc, eflèndo fatte inhonoredi Dio Padre Omnitenrc, &di Gicfu Chrillofoo figliuolo, à cui fia gloria eternalmente. Grice: “There are many issues about philosophical theology, as we may call it. The romans were into cult, rather than religion – they didn’t even know where ‘religio’ came from, and Lucrezio famously disagreed with Cicero – It seems it was all about killing livestock in lieu of humans, as the barbarians did!” -- Grice: “Enzo should concentrate a bit on how the ancient Romans dealt with their civil religion. Roma and romanitas. Carlo Enzo. Enzo. Keywords: l’uomo, essegesi, ermeneutica, i quattro sensi – from Genesis to Revelations: a new discourse on metaphysics, eschatology – perhaps Moses got more than the 10 comm from Sinai --. Ebraismo e romanita – romanita pagana – la teologia naturale dei romani antichi – la religione civile dei romani – I simboli della religione romana pagana --. La religione ufficiale della Roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enzo” – The Swimming-Pool Library.

 

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