Grice
ed Evagrio: la ragione conversazionale e l’implicatura degl’ottimati -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Evagrio was an aristocratic
philosopher based in Rome.
Grice
ed Evandro: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice
ed Evandro: la ragione conversazionae e la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to
Giamblico.
Grice
ed Evanore: la ragione conversazionale e la setta di Sibari – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Sibari) – Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.
Grice
ed Evareto: la ragione conversazionale e il circolo romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He as a philosopher in Rome, a
friend of the lawyer and legal scholar Publio Salvio Giuliano. Quinto Elio Egrilio Evareto.
Grice
ed Evete: la ragione conversazionale e la setta di Locri -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice ed Evola: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della romanità – l’implicatura
di Romolo – la scuola di Castropignano -- filosofia romana – filosofia lazia --
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Grice: “Evola was a bit of a linguistic philosopher; I enjoyed his
rambling on the proper use of “Latin” versus “Roman;” Evola notes that the
implicatures differ. ‘Roman’ he links with Spartan, and he opposes to the
formation, ‘greco-romano’ o ‘classico’ – “Latin” he applies to “lingua romana,”
as Orazio and Tacitus had done!” – Grice: “If I had to think of the equivalent
linguistic analysis by an English philosopher, I can only think of DeFoe, and
his satire on what constitutes an Englishman! Later parodied by Gilbert and
Sullivan and put to good effect in “Chariots of Fire,” where Abrams is seen
referred to as “HE IS.. an Englishman! For he himself has said it!” -- - Italian
philosopher – Figlio di Vincenzo e Concetta Mangiapane, barone di CASTROPIGNANO.
Studia
a Roma. Manifesta un'opposizione a Roma, soprattutto in riferimento alla teoria
del peccato e della redenzione, del sacrificio divino e della grazia. Studia FILOSOFIA.
Entra in contatto con alcuni esponenti del Futurismo quali Balla e Marinetti. Partecipa
alla esposizione futurista a Palazzo Cova, Milano. Rientra a Roma dopo il
conflitto ed attraversa una profonda crisi esistenziale che lo porta al bordo
del suicidio. Aderisce al dadaismo ed
entra in contatto epistolare con Tzara. Fonda “Bleu” Esce un saggio sull'idealismo
magico. Si deve superare i limiti dell'umano per andare verso
“l'oltre-uomo”.Studia la teoria e fenomenologia dell'individuo assoluto. Nel “L'uomo come Potenza”
compare una concezione dell'io ispirata ai dettami del tantrismo e del
taoismo. Queste ultime opere segnano un'ulteriore svolta: passaggio da
una posizione filosofica di tipo teoretico ad una di tipo pragmatico. Cerca
infatti di individuare strumenti concreti per mezzo dei quali calare nella vita
quotidiana la teoria dell'Individuo assoluto. Inizia un'intensa esperienza
giornalistica: partecipa alla redazione di Lo Stato democratico e collabora a
riviste come Ultra, Bilychnis, Ignis, Atanor e Il mondo. Frequenta i circoli
esoterici romani e partecipa alla vita notturna della capitale. Disumano qual
è, gelido architetto di teorie funambolesche, vanitoso, perverso, s'è trovato
dinanzi a me come a cosa tutta viva, tutta schietta, mentre aveva fantasticato
chissà quale avventura necrofila. E questa cosa tutta schietta l'ha turbato,
l'ha commosso, segretamente. Coordina “Ur”, che si occupa di esoterismo.
Conosce Reghini. Pubblica “Paganesimo.” Attacca violentemente Roma ed esorta a
ritrovare la grandezza della civiltà romana. Oserà dunque Italia assumere qui,
qui donde già le aquile imperiali partirono per il dominio del mondo sotto la
potenza augustea, solare, regale, oserà qui riprendere la fiaccola della tradizione
mediterrane? Influenzato da Guénon abbandona in seguito le tesi estremiste a
favore del concetto di “tradizione" e fonda “La Torre” destinata a
difendere principi sovrapolitici, in realtà una tribuna di filosofi che si
battevano per una Italia più radicale e più intrepida. Critiche mosse ad alcuni
personaggi del Regime dalle pagine de La Torre, provocano l'intervento di
Starace che prima diffida Evola dal continuare la pubblicazione, poi proibisce
a tutte le tipografie romane di stampare la rivista la cui pubblicazione, alla
fine, viene sospesa. Viene sorvegliato dal regime in quanto accusato di
affiliazione all'Ordo Templi Orientis ed è costretto ad assumere alcune guardie
del corpo (come testimoniato da Massimo Scaligero). In Meditazioni delle vette,
intende l'alpinismo come pratica ascetica e meditazione spirituale: superamento
dei limiti della condizione umana attraverso l'azione e la contemplazione, che
divengono due elementi inseparabili, un'ascesa che si trasforma in ascesi. Successivamente
pubblica due saggi La tradizione ermetica e Maschera e volto dello spiritualismo.
“La tradizione ermetica” è una disamina dell'aspetto magico, esoterico e simbolico
dell'alchimia. “Il volto e la maschera” è un saggio critico su quella filosofia
che invece di elevare l'uomo dal razionalismo e dal materialismo, lo portano
ancora più in basso: spiritismo, teo-sofia, antropo-sofia e psicoanalisi. In “Rivolta
contro il mondo” traccia un affresco della storia letta secondo lo schema
ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro nella
tradizione occidentale. Analizza le categorie qualificanti l'uomo della
tradizione e le anticha "razza divina” Esamina a fondo Il mistero del
Graal e le sue implicazioni dottrinarie nelle visioni dei diversi periodi
storici, impostando tutta la sua disamina sul concetto di "tradizione
ghibellina dell'impero", cercando di svincolare il Graal e la sua portata
simbolica da Roma. Collabora attivamente con la Scuola di mistica da Giani,
tenendo alcune conferenze e figurando nel comitato di redazione della rivista
Dottrina. La maggior parte degli interventi di Evola in conferenze e scritti,
riguardano principalmente il concetto di “razza divina”, argomento che trova
appoggio da parte di Giani. Il concetto di “mistica” rappresenta
un'incongruenza potendo parlare, al più, di “etica.” Questo perché in realtà la
dottrina non affronta il problema dei valori superiori, i valori del sacro,
solo in relazione ai quali si può parlare di mistica. Evola ravveda nella
mistica un elemento rilevatore di una spiritualità lunare e del polo femminile.
E infatti il sottotitolo di Diorama filosoficola pagina prima mensile e poi
quindicinale curata da Evola nel quotidiano Il Regime è: Problemi dell’etica. Una
serie di scritti di Evola relativi alla scuola di mistica, sono stati
pubblicati dall'editore Controcorrente e aiutano in parte a chiarire le
posizioni assunte dal filosofo all'interno della suddetta corrente. Sia
in fatto o nell’ideale, esiste una opposizione fra l'uomo ariano e tradizionale
europeo e l’altri. L’ariano e capace di concepire e di realizzare un'armonia
fra corpo ed anima (“La civiltà occidentale”, Augustea). In “Mito del Sangue
ricostruisce le concezioni sulla razza dalle civiltà fino alle teorie di Gobineau,
Woltmann, de Lapouge, e Chamberlain. L'ariano (da "Arya") appartiene
al corpo e lo spirito. Si esprime negativamente sul colonialismo giudicando
l'Etiopia conquistata dall'Italia nient'altro che una contraffazione
degenerescente di un organismo tradizionale. Critic ail materialismo zoologico.
Ha una concezione dell'uomo come essere costituito da corpo, anima e spirito,
dove lo spirito deve avere il primato sull’anima e il corpo. L’opportunità di
questa formulazione risiede nel fatto che una razza può degenerare, anche
restando biologicamente pura, se lo spirito è diminuito o obnubilat, se ha
perso la propria forza, come presso certi tipi nordici. Un corpo di una data
razza si liga in un individio lo spirito di un'altra razza. Respinge ogni
teorizzazione del razzismo in chiave “zoologica”! ponendo il pensatore
tradizionale tra coloro che «imboccata una certa strada, la seppero percorrere,
in confronto con tanti che scelsero quella della menzogna, dell'insulto, del
completo obnubilamento di ogni valore culturale e morale, con dignità e persino
con serieta. Non è il solo a prendere le distanze dal razzismo zoologico. Altre
note figure della cultura del tempo, come Acerbo, e meno note, come Mazzei, se
ne dissociano. L'impostazione critica data da Felice su questo passaggio del
pensiero di E. è particolarmente apprezzata dagli autori filo-evoliani. Anche Orano
sviluppa, secondo taluni, una forma di razza divina etico-sociale che rinvia a Il
mito del sangue di E. Primo, in ordine di tempo fu Orano. Dietro di lui, con
una vena più scadente, comparvero Romanini ed E. C’e tre ordini di razza:
corpo, anima, spirito. Dunque, E. riprende, seppur in maniera meno esplicita,
alcune delle teorie del de Gobineu che cercano di identificare una gerarchia
ideale nei gruppi delle razze umane. Cio non impedisce ad Evola di avere una
"doppia affiliazione" ed essere pure membro della Massoneria. E. non
aderisce al Partito e tale mancata adesione gli impedisce di arruolarsi come
volontario contro l'Unione Sovietica nel corso della Seconda guerra mondiale. Critica
del germanismo tuttavia l'incompletezza nell'attuazione di questo programma,
non abbastanza radicale e aderente ai principi della "Tradizione".Per
esempio una difesa della razza e improntata giuridicamente e il potere e derivato
dal popolo e non un potere regale di origine divina come nell'ideale società
ario-germanica delle origini. Teorizza dunque il tradizionalismo puro,
ideale e radicale, capace di attuare i propri principi e di far trionfare la
cultura romana pagana delle origini -- un impero europeo e pagano sotto la
guida egemonica della Roma di Cesare. Fa ritorno nell'Italia liberata solo al
termine della guerra. Essendo rigorosamente contrario all'abrogazione della
Monarchia e alla trasformazione dell'Italia in una Repubblica, intraprende
tentativi di influenza.Si occupa di studiare e combattere le trame occulte e antitradizionali
della massoneria. Pubblica “Impero”.Scrive E.: “Io potevo aver
difeso e potevo continuare a difendere certe concezioni in fatto di dottrina
dello Stato. Si era liberi di fare il processo a tali concezioni. Ma in tal
caso si dovevano far sedere sullo stesso banco degli accusati: Platone, un
Metternich, un Bismarck, il Dante del De Monarchia e via dicendo.” Si tenta di
effettuare una "doppia lettura" dei suoi testi: una lettura palese
per il volgo ed una "esoterica" per gli "iniziati". Pubblica
“Gli uomini e le rovine” che esercita grande influenza negli ambienti della
destra italiana nel quale spiega la decadenza del mondo moderno in seguito alla
distruzione del principio di autorità e di ogni possibilità di trascendenza per
l'affermarsi del razionalismo, in contrasto con le antiche civiltà e i valori
della tradizione. In “Metafisica del sesso” tratta la forza magica e
potentissima dell'atto sessuale, attraverso lo studio dei simboli esteso a
numerose tradizioni. L'«Operaio» in Jünger. “Cavalcare la tigre”. Scrive sul concetto
metafisico ed immanente di tradizione, come Il Ghibellino. “Gli uomini e le
rovine” e “Cavalcare la tigre” sono considerati due testi fondamentali grazie
ai quali c'è una fattiva adesione al ribellismo anti-sistema”Pubblica Il
cammino del cinabro, la sua autobiografia, e L'arco e la clava. Assiste
alla costituzione dei “dioscuri”, sodalizio dedito al ripristino della
cultualità romana ed italica, di cui è uno degli ispiratori, attraverso i suoi
scritti sulla romanità, il paganesimo e le idee imperiali, oltre che attraverso
un particolare rapporto di intimità con i dioscuri. Solstitivm. Evola è
propugnatore del Tradizionalismo, un modello ideale e sovratemporale di società
caratterizzato in senso spirituale, aristocratico e gerarchico. Tale modello si
riscontra, da un punto di vista storico, in la civiltà romana. La civiltà romana
non si basa su criteri economici, materiali e biologici, ma e suddivisa e
gestita in base a criteri di gerarchia sociale di carattere ereditario e
spirituale. Ogni azione che avviene durante la vita biologica (il
divenire) rispecchia direttamente una medesima azione di carattere metafisico
(l'essere) e dunque imperitura e sovratemporale. Il cammino dell'uomo
avviene attraverso un percorso di tipo circolare. Traccia di questa teoria la
si trova, ad esempio, nella teoria delle *cinque età* (dell'oro, dell'argento,
del bronzo, degli eroi, del ferro). La civiltà romana, ritenuta superiora da
Evola si basa dunque su una più elevata dimensione metafisica e spirituale
dell'esistenza, anziché su criteri di ordine materiale. L'uomo ha la
possibilità di elevarsi alla sfera divina e metafisica attraverso precise
strade (il rito e l'iniziazione), utilizzando determinati strumenti (l'azione e
la contemplazione) all'interno di contesti sociali predeterminati (la casta,
l'impero). Non esiste differenza quantitativa tra l'uomo e il dio. Ogni uomo è
un dio mortale. Ogni dio un uomo immortale. La razza e "spirituale". Rifiuta
una visione zoological, in favore di un patrimonio di tendenze e attitudini
che, a seconda delle influenze ambientali, giunge rebbero o meno a manifestarsi
compiutamente. L'appartenenza a questa razza spiritual si individuerebbe dunque
sulla base dello spirito, e in seguito del corpo, diventandone col tempo questo
ultime il segno visibile. E un concetto metafisico di razza. La romanita spirituale
del quale parla E. parte appunto dal dato biologico, che gli pare ancora troppo
zoologico, rozzo e deterministico, per sublimarlo e portarlo a pieno compimento
sul piano dello spirito – non romano, ma romanita --, ossia sul piano
metafisico. Intendeva potenziare e nobilitare la romanita, avvolgendolo in una
nebulosa filosofeggiante e scrostandolo di quel tanto di ruvido zoologismo. Vengono
ritrovate sette lettere da E. a Croce (più una indirizzata all'editore Laterza.
Evola invia inizialmente a Croce la richiesta di intercedere presso Laterza per
la pubblicazione dei “Idealismo magico” e “Teoria dell'individuo assoluto”. La
seconda e una cartolina postale di Croce ringraziandolo per il giudizio di
apprezzamento sul lato formale dei due manoscritti dell’Idealismo magico e
Teoria dell’individuo assoluto. Laterza, nonostante l'appoggio favorevole
di Croce, Laterza scrive una lettera in
cui precisa di volersi riservare la massima libertà di decidere anche nei
riguardi di autorevoli amici. E. scrive a Croce chiedendo aiuto per “La
tradizione ermetica”, un saggio sull'alchimia. In una quarta lettera, E.
ringrazia Croce per l'interessamento. “La tradizione ermetica” esce per i tipi
dell'editore barese. E. invia quattro lettere a Gentile. Nonostante le
marcate divergenze sul piano filosofico E. si discosta dall'attualismo gentiliano
in favore di una rigida codificazione teoretica (l'idealismo magico) il
pensatore tradizionale cerca un confronto con uno dei massimi esponenti del
mondo accademico. Tale confronto non produce risvolti interessanti sotto il
profilo speculativo in quanto i due filosofi sono su posizioni eccessivamente
distanti, ed anche i presupposti dottrinali sono inconciliabili. Il
tentativo di E. di aprire un colloquio costruttivo rimane un fiore che non
sboccia. E. cerca di costruire, pur senza risultati apprezzabili, un punto di
riferimento culturale alternativo al gentilismo. Nel Cammino dei cinabro tenta
di spiegare così le ragioni di questo mancato incontro.“Ogni riferimento
extra-filosofico di cui il mio sistema filosofico e ricco sirve come un comodo
pretesto per l'ostracismo. Si poteva liquidare con un'alzata di spalle un
sistema che accordava un posto perfino al mondo dell'iniziazione, della
"magia" e di altri relitti superstiziosi. Che tutto ciò da me fosse
fatto valere nei termini di un rigoroso pensiero speculativo, a poco sirve.
Però anche da parte mia vi e un equivoco, nei riguardi di coloro ai quali, sul
piano pratico, la mia fatica speculativa posse servire a qualcosa. Si tratta di
una introduzione filosofica ad un mondo non filosofico, la quale posse avere un
significato nei soli rarissimi casi in cui la filosofia ultima avesse dato
luogo ad una profonda crisi esistenziale. Ma vi e anche da considerare (e di
questo in seguito mi resi sempre più conto) che i precedenti filosofici, cioè
l'abito del pensiero astratto discorsivo, rappresentano la qualificazione più
sfavorevole affinché tale crisi potesse essere superata nel senso positivo da
me indicato, con un passaggio a discipline realizzatrici.” Gentile tuttavia
riconosce ad Evola una certa competenza in campo esoterico-alchemico ed infatti
chiede al filosofo della tradizione di curare la voce “atanor” per
l'Enciclopedia Italiana. Anche alcuni allievi di Gentile riconoscono ad Evola
una certa stima, in particolare Calogero. Giuli successivamente riporta altre
informazioni, relative al carteggio E.-Gentile, reperite all'interno della
"Fondazione Gentile per gli studi filosofici", occupandosi dei saggi
che Evola invia con dedica a Gentile. Invia sette lettere a Schmitt che mette
in luce da una parte alcune amicizie e conoscenze in comune tra i due pensatori
(Jünger, Mohler e il principe di Rohan), dall'altra il tentativo di proporre la
pubblicazione in italiano del saggio di Schmitt sul tradizionalista Cortes.Tale
tentativo non va in porto, così come fallisce anche il secondo progetto di
pubblicare un'antologia schmittiana. Di rilievo, all'interno dello
scambio epistolare, le due divergenti visioni rispetto al ruolo dell'uomo
politico e la sua autonomia. Evola interpreta il concetto di dittatura
incoronata come «necessità di un potere che decida assolutamente, ma ad un
livello di una dignità superiore, indicata dall'aggettivo incoronata. Per
Schmidt, invece, esiste prima di tutto un passaggio significativo che porta dal
concetto della legittimità del regnare a quello della dittatura. La dittatura
incoronata significa solo un pis-aller pratico mai ha concepito questo
espediente pragmatico come una forma di salvezza. E in questo caso così come
già ampiamente esposto in Rivolta contro il mondo moderno, il costante rimando di
Evola ad un fondamento trascendente dell'ordine politico rimane quell'ineliminabile
discrimine che non può essere in alcun modo occultato o minimizzato. L'epistolario
assume rilievo in relazione al tentativo di fornire di solidi contrafforti
ideologici e culturali il mondo conservatore che, nel dopoguerra italiano, si
trova a combattere la sua battaglia politica. Entra in contatto epistolare con
Benn, appartenente alla cosiddetta rivoluzione conservatrice. Il primo incontro
risale durante la tappa berlinese di un viaggio che E. effettua in Germania. Da
quell'incontro scaturisce una recensione-saggio di Benn alla versione di Rivolta
contro il mondo moderno che appare in Die Literatur di Stoccarda. Nel
presentare Rivolta contro il mondo moderno, Benn espone le sue teorie
convergendo con la visione del mondo di E. Si ha rintracciato tre lettere da E.
a Benn. Le lettere sono importanti in quanto chiariscono la comunanza di vedute
dei due autori rispetto al tema della tradizione e di una visione del mondo
conservatrice, oltre al fatto che entrambi non si riconoscono nel
establishment. Sono sempre più convinto che a chi voglia difendere e realizzare
senza compromessi di sorta una tradizione spirituale e aristocratica non
rimanga purtroppo, oggi e nel mondo moderno, alcun margine di spazio; a meno
che non si pensi unicamente a un lavoro elitario. E un tentative di riprendere,
nel dopoguerra, i rapporti con i filosofi conservatori. Invia lettere a Tzara. Si
tratta di una trentina di documenti tra lettere e cartoline. Molte tappe del
cammino artistico del filosofo romano sono già note prima del rinvenimento
della corrispondenza con Tzara: in parte perché lo stesso E. ne parla nella sua
autobiografia, in parte perché dedotte dai critici e dagli studiosi nelle
partecipazioni, in qualità di articolista, che ha in alcune riviste d'arte
dell'epoca: Noi, Cronache d'Attualità, Dada e Bleu. Ciò che invece non è noto
prima del rinvenimento della corrispondenza, sono le modalità dell'avventura
evoliana nella sfera artistica, ovvero come essa si attua, come èvissuta, a che
mira. L'archivio della corrispondenza tra i due artisti ha, inoltre, il pregio
di colmare il vuoto di un periodo poco conosciuto di E. Questo vuoto si colma
sia attraverso la ricostruzione di tappe cronologiche (il recupero di alcune
date, partecipazioni a mostre, riviste, incontri) sia attraverso il recupero di
tappe più specificamente psicologiche. In particolare quelle che portano E. ad
annunciare il proprio suicidio e che raccontano d’un uomo colto nel pieno male
di vivere, di una sperimentazione del travaglio interiore che l'artista vive,
dove la sofferenza acuta si alterna alla disperazione. Altre opere: “Arte astratta,
posizione teorica” (Roma, Maglione e Strini); La parole obscure du paysage
intérieur, Roma-Zurigo, Collection Dada); Saggi sull'idealismo magico,
Todi-Roma, Atanòr); L'individuo e il
divenire del mondo, Roma, Libreria di Scienze e Lettere); “L'uomo come potenza,
Todi, Roma, Atanòr, “Teoria dell'individuo assoluto, Torino, Bocca); “Imperialismo
pagano, Todi, Roma, Atanòr); “Fenomenologia dell'individuo assoluto” (Torino,
Bocca); “La tradizione ermetica, Bari, Laterza); “Maschera e volto dello
spiritualismo contemporaneo, Torino, Bocca); “Rivolta contro il mondo moderno,
Milano, Hoepli); “Tre aspetti del problema” (Roma, Mediterranee); “Il mistero
del Graal, Bari, Laterza); “Il mito del sangue, Milano, Hoepli); “Indirizzi per
una educazione” Napoli, Conte); “Sintesi di dottrina” (Milano, Hoepli); La
dottrina del risveglio, Bari, Laterza); “Lo Yoga della potenza, Torino, Bocca);
“Orientamenti, Roma, Imperium”; “Gli uomini e le rovine, Roma, Ascia); “Metafisica
del sesso, Todi, Roma, Atanòr); L'Operaio in Jünger, Roma, Armando); “Cavalcare
la tigre, Milano, Vanni Scheiwiller; Il cammino del cinabro, Milano, Vanni
Scheiwiller; “Saggio di una analisi
critica” (Roma, Volpe); “L'arco e la clava, Milano, Vanni Scheiwiller; “Raâga
Blanda, Milano, Vanni Scheiwiller; “Il taoismo, Roma, Mediterranee; Ricognizioni.
Uomini e problemi, Roma, Mediterranee; Lao Tze, Il libro della via e della
virtù, Lanciano, Carabba, Cesare Della Riviera, Il mondo magico de gli’eroi, Bari,
Laterza, René Guénon, La crisi del mondo moderno, Milano, Hoepli, Malinski, Poncins,
La guerra occulta, Milano, Hoepli, Meyrink, Il Domenicano bianco, Milano, Bocca,
Meyrink, La notte di Valpurga, Milano, Bocca; Bachofen, La virilità, Torino,
Bocca; Meyrink, L'Angelo della finestra d'Occidente, Milano, Bocca, Eliade, Lo
sciamanesimo e le tecniche dell'estasi, Milano, Bocca, Ur, Introduzione alla
magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, Weininger, Sesso e carattere,
Milano, Bocca, Spengler, Il tramonto dell'occidente, Milano, Longanesi, Erkes,
Credenze religiose della Cina antica, Roma, IsMEO, “Pitagora I Versi d'Oro”
(Todi-Roma, Atanòr); Tze, Il Libro del Principio e della sua azione, Milano,
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tempo, Roma, Volpe, Schoeps, Questa è la Prussia, Roma, Volpe, Leddihn, L'errore
democratico, Roma, Volpe; Litt, Le scienze e l'uomo, E., Roma, Armando, Randolph,
“Magia Sexualis”, E., Roma, Mediterranee, Loewenstein, La Monarchia nello Stato
moderno, E., Roma, Volpe) Reininger,
Nietzsche e il senso della vita” (Roma, Volpe); Avalon, Il mondo come potenza,
Roma, Mediterranee, Suzuki, Saggi sul Buddhismo Zen 1, Roma, Mediterranee, Tzu,
Il mistero del fiore d'oro, Roma, Mediterranee, Yû, Lo Yoga del Tao, Roma,
Mediterranee, Come “Carlo d'Altavilla”: Litt, Istruzione tecnica e formazione
umana, Roma, Armando, Meyrink, Alla frontiera dell'Aldilà, Napoli, Rocco, Litt,
Spranger, Pestalozzi, Roma, Armando, Hilker, Pedagogia comparata: storia,
teoria e prassi, Roma, Armando, Ulmann, Ginnastica, educazione fisica e sport
dall'antichità ad oggi, Roma, Armando, Dürckheim, Hara: il centro vitale
dell'uomo secondo lo Zen, Roma, Mediterranee, George, L'ondata rossa sulla
Germania dell'Est, Roma, Volpe, Leddihn, L'errore democratico, Roma, Volpe, Reiner,
Etica, teoria e storia, Roma, Leibfried, L'università integrata: l'istruzione
superiore nella Repubblica federale tedesca e negli Usa, Roma, Armando, Cassirer, Saggio sull'uomo:
introduzione ad una filosofia della cultura, Roma, Armando, Wefers, Basi e idee
dello Stato spagnolo d'oggi, Roma, Volpe, Gaucher, Idee per un movimento, Roma,
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"Bilychnis", Padova, Ar, I saggi della "Nuova Antologia",
Padova, Ar, L'idea di Stato, Padova, Ar, Gerarchia e democrazia, Padova, Ar, Meditazioni
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Massoneria volgare speculativa, Arya, Genova. E., Par delà Nietzsche, Torino, Aragno, E., Fascismo Giappone Zen. Scritti sull'Oriente,
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Documenti per il Fronte della Tradizione Fascicolo, Raido, E., MUSSOLINI (si veda) e il razzismo,
Documenti per il Fronte della Tradizione Fascicolo, Raido, E., Le SS. Guardia e
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"Castelli dell'Ordine" e i nuovi Junker, Documenti per il Fronte della
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esoterica. E. Croce Laterza. Carteggi editoriali, Barbera, Roma, Fondazione E.,
Lettere a Schmitt, Roma, Fondazione E., Lettere a Gentile, Roma, Fondazione E. E.
La Torre. Foglio di Tradizioni varie e di espressione una, Marco Tarchi,
Milano, Falco, Mutti, E. sul fronte dell'Est, in Quaderni del Veltro, Turris,
La corrispondenza tra E. e Benn, su centro studi la runa, Turris, Profilo di E.,
in E., Rivolta contro il mondo moderno, Roma, Mediterranee, Registro degl’atti
di nascita di Roma, Archivio di Stato di Roma
Registro degli atti di nascita di Cinisi, Archivio di Stato di
Palermo Registro degli atti di nascita
di Cinisi, Archivio di Stato di Palermo
Registro degli atti di matrimonio di Cinisi, Tribunale di Palermo Registro degli atti di nascita di Roma Archivio
di Stato di Roma Il Barone Immaginario
Il Barone Immaginario, Turris, Ugo Mursia Editore, Milano, Catalogus Baronum, pagina Vanni Scheiwiller,
Nota dell'editore, in E., Il cammino del cinabro, Milano, Scheiwiller; E., Il
cammino del cinabro, Catalogo della mostra con tutte le opere in: Grande Esposizione Futurista, Milano, Le
Presse, Bruni, E. Dada, in Turris, Testimonianze su E., Roma, Mediterranee. E., Il cammino del cinabro. Egli prende la
terra come terra, pensa alla terra, pensa sulla terra, pensa 'Mia è la terra' e
si rallegra di ciò: e perché? Perché egli non la conosce, dico io. L'estinzione
vale a lui come estinzione, allora egli deve non pensare all'estinzione, non
pensare sull'estinzione, non pensare 'Mia è l'estinzione', non rallegrarsi
dell'estinzione: e perché? Perché impari a conoscerla, dico io.” Lettere a
Tzara, Roma, Edizioni Fondazione E., Carlo Fabrizio Carli, Evola pittore tra
futurismo e dadaismo, su julius evola. Bruni, E. Dada. Per un approfondimento: Conte,
Maschere di E. come percorso controcorrente, Atti del convegno di studi "E.
e la politica", Terlizzi. Maria, Introduzione a: Marinetti, Teoria e
invenzione futurista, Milano, Mondadori, Per un approfondimento sulla
produzione pittorica di E. si rimanda a due cataloghi: E. e l'arte delle
avanguardie. Tra Futurismo, Dada e Alchimia, Roma, Fondazione E., e Conte, E.
Arte come alchimia, mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, E., Il cammino
del cinabro. Poi ristampati sotto forma di antologia: Gruppo di Ur,
Introduzione alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca. Per una
trattazione esaustiva dell'argomento si rimanda a Ponte, E. e il magico gruppo
di Ur, Borzano, Sea R, E., Il cammino del cinabro. LAMENDOLA (si veda), Alcuni
aspetti del pensiero filosofico di E.. Fenomenologia dell'Individuo assoluto,
Roma, Mediterranee, Tarquini, Il Gentile dei fascisti, Bologna, Il Mulino, Gangi,
Misteri esoterici. La tradizione ermetico-esoterica in occidente, Roma,
Mediterranee, E., Ponte, Meditazioni delle vette, La Spezia, Tridente, Demattè,
E., Meditazioni delle vette, in Secolo d'Italia, Turris, Biografia, in Turris,
Testimonianze su E., E., Fascismo e Terzo Reich, Benoist, E., reazionario
radicale e metafisico impegnato, in E., Turris, Gli uomini e le Rovine e
Orientamenti, Roma, Mediterranee, LA SCUOLA DI MISTICA FASCISTA. Scritti di
mistica, ascesi e libertà, Napoli, Controcorrente, Il fascismo quale volontà di
impero e il cristianesimo, in Critica Fascista, Bertoldi, Salò. Vita e morte
della repubblica Sociale Italiana, Milano, Rizzoli, Vivarelli, Fascismo e
fascismi, in Nuova storia contemporanea, E. stipendiato dal Duce, in Avvenire, Marco
Tarchi, E. e il fascismo: note per un percorso non ordinario, in Cultura e fascismo. Letteratura, arti e
spettacolo di un ventennio, Firenze, Ponte alle Grazie, Parlato, Fascismo,
Nazionalsocialismo, Tradizione, in E., Fascismo e Terzo Reich, Roma,
Mediterranee, Renzo De Felice, Storia degl’ebrei sotto il fascismo, Il
Fascismo, saggio di un'analisi critica dal punto di vista della Destra, Volpe,
Roma, Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella
Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Rauti e Sermonti, Storia del fascismo,
Roma, Centro Editoriale Nazionale, Parlato, Fascismo, Nazionalsocialismo,
Tradizione. Cfr. anche, sulla critica allo stato educatore, E., Fascismo e
Terzo Reich, E., Fascismo e Terzo Reich, Fascismo e Terzo Reich. Gianfranco De Turris, Nota del curatore, in E.,
Fascismo e Terzo Reich, Per un elenco completo delle collaborazioni
giornalistiche: Gianfranco De Turris, Biografia, in Turris, Testimonianze su E.,
E., Il mito del sangue, Milano, Hoepli, E., L'esposizione anti-ebraica di
Monaco, "Il Regime fascista", E.I testi del Corriere Padano, Padova,
AR, Cuomo, I Dieci. Chi erano gli scienziati italiani che firmarono il
manifesto della razza, Milano, Baldini Castoldi Dalai, E., Il mito del sangue. E.,
Il mito del sangue. Il cammino del cinabro. E., Il cammino del cinabro, Rosati,
Un pessimismo giustificato? Intervista a E., La Nation Européenne, Felice,
Storia degl’ebrei sotto il fascismo, Torino, Einaudi, Felice, Storia degl’ebrei
sotto il fascismo, Torino, Einaudi, Turris, Testimonianze su E., Roma, Edizioni
Mediterranee e Vanni Scheiwiller, Note dell'editore in E., Il cammino del
cinabro. Tale è l'opinione di un'importante testata giornalistica italiana del
tempo: Il Giornale d'Italia (l'articolo
è firmato da Adone Nosari). Il rif. si trova in: Renzo De Felice, Storia degli
ebrei italiani sotto il fascismo, opAttilio Milano, Storia degli ebrei in Italia,
Torino, Einaudi, Francesco Germinario, Razza del Sangue, razza dello Spirito: E.,
l'antisemitismo e il nazionalsocialismo, Torino, Bollati Boringhieri, ALombardo,
Razza del sangue, razza dello spirito, Centro Studi La Runa. Cassata, A destra
del fascismo: profilo politico di E., Torino, Bollati Boringhieri. Rossi, Il
razzista totalitario. E. e la leggenda dell'antisemitismo spirituale,
Catanzaro, Rubbettino, Jesi, Cultura di destra, Milano, Garzanti, Caldiron, Un
filosofo buono per tutte le destre, in Avvenire, Jesi. Rimbotti, Linea, Massoneria
e fascism: dall'intesa cordiale alla distruzione delle Logge: come nasce una
«guerra di religione», Castelvecchi, E., Per un allineamento politico-culturale
dell'Italia e della Germania, in Lo Stato. Il cammino del cinabro. Fra queste
la Piccola Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Bocca, La Repubblica
di Mussolini, Bari, Laterza, Bruno Zoratto, E. nei documenti segreti
dell'Ahnenerbe, Roma, Fondazione E., Turris, E.. Un Filosofo in Guerra, Milano,
Mursia, Il cammino del cinabro, Fondazione E., Una biografia di E., su Fondazione E.. Turris,
Lettere di E. a Comi, Roma, Fondazione E., Carnelutti, In difesa di E., in
L'Eloquenza, E., Autodifesa, Roma,
Edizioni Fondazione E., Rauti, E.: una guida per domani, in Civiltà, Turris, Elogio e difesa di E., Roma, Mediterranee,
Turris, Elogio e difesa di E., op. E., Razzismo e altri orrori (compreso il
ghibellinismo), L'Italiano, Turris, Elogio e difesa di E., Pallavicini, E., traditore dello spirito, Corriere
della Sera, Turris, Elogio e difesa di E.. Tosca, Il cammino della tradizione,
Rimini, Il Cerchio, La via romana, Centro Studi sulle Nuove Religioni. E., Statuto della Fondazione E., Paradisi, Gl’Arya
seggono ancora al picco dell'avvoltoio, in Conti, E. tascabile, Roma, Settimo
Sigillo, Baccelli, Ricordo dell'uomo, in Civiltà, //lastampa// edizioni/ aosta/la-nostra- fuga- dagli-sul-
monte-rosa- per- seppellire- le-ceneri-di-e.- E., Freda Orientamenti undici punti, Padova, Ar, E.,
Rivolta contro il mondo moderno, Collotti, Il fascismo e gl’ebrei, Bari,
Laterza, Barbera, La biblioteca esoterica. Carteggi editoriali E.-CROCE (si
veda), Laterza, Roma, Fondazione E., Medail, E.: mi manda Don Benedetto, Corriere
della Sera, Cfr. la prefazione del testo
Lettere di E. a CROCE (si veda), pubblicato dalla Fondazione E. Savelli, Cronache di un incontro mancato. Gli
ardui rapporti tra l'attualismo e l'idealismo magico, su italia sociale. Arcella,
Gentile amico e nemico, L'Italia Settimanale, Durst, Il contributo di E. all'enciclopedia
italiana, Veltro, Calogero, Come ci si orienta nel pensiero? Sansoni, Firenze, Giuli,
E.-GENTILE (si veda)-SPIRITO (si veda): tracce di un incontro impossibile, Annali
della Fondazione Spirito. I volumi sono: Saggi sull'idealismo magico, Teoria
dell'individuo assoluto, Imperialismo pagano e Fenomenologia dell'individuo
assoluto. Lombardo, Caro conservatore ti scrivo, su centro studi la runa, Si
tratta del saggio Cortes in gesamteuropäischer Interpretation, poi pubblicato
in Schmitt, Cortés Interpretato in una prospettiva pan-europea, Milano,
Adelphi, E., Ricognizioni. Uomini e problemi, Roma, Mediterranee, Schmitt, Cortes
Interpretato in una prospettiva pan-europea, E., Rivolta contro il mondo
moderno, Damiano, E. e l'utonomia del politico, Atti del convegno di studi
"E. e la politica", Alatri, Terlizzi, Caracciolo, Due atteggiamenti
di fronte alla modernità, in Caracciolo, Lettere di E. a Schmitt, Roma, Fondazione
E.. Essere e divenire, in E., Rivolta contro il mondo moderno. E., infatti,
oltre a Benn, scrive a Guénon, Eliade e Schmitt e Jünger. E., Il cammino del
cinabro, Lettere a Tzara, Roma, Fondazione E., Valent. In italiano Tilgher, E., in ANTOLOGIA DEI
FILOSOFI ITALIANI, Modena, Guanda, Turris, Omaggio a E., Roma, Volpe, Turris,
Testimonianze su E., Roma, Mediterranee, Serra, L'avanguardia distonica d’E.,
in Studi, Aurea, E. e il nichilismo, Palermo, Thule, Vassallo, Modernità e
tradizione nell'opera evoliana, Palermo, Thule, Baillet, E. e l'affermazione
assoluta, Padova, Ar, Veneziani, La ricerca dell'assoluto in E., Palermo,
Thule, Lami, Introduzione a E., Roma, Volpe, Veneziani, E. tra filosofia e tradizione,
Roma, Ciarrapico, Melchionda, Il volto di Dioniso, Roma, Basaia, Ferracuti, Rimini,
Il Cerchio, Jellamo, E. Il filosofo della tradizione, La destra radicale,
Milano, Feltrinelli, Vona, E. e Guénon. Tradizione e Civiltà, Napoli, Società Napoletana,
Yourcenar, Incontri col Tantrismo, in Il tempo grande scultore, Torino,
Einaudi, Malgieri, Modernità e Tradizione, Roma, Settimo Sigillo, Tradizione
e/o Nichilismo, letture e ri-letture di "Cavalcare la tigre", Milano,
Società Barbarossa. Negri, E. e la filosofia, Milano, Spirali, Bianco, E., Dizionario
biografico degl’italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, Fraquelli,
Il filosofo proibito, tradizione e reazione nell'opera di E., Milano,
Terziaria, Echaurren, E. in Dada, Roma, Settimo Sigillo, Turris, Morganti;, E.,
mito, azione, civiltà, Rimini, Cerchio, Valento, Homo Faber, E. fra arte e
alchimia, Roma, Fondazione E., Ponte, E. e il magico gruppo di Ur, Borzano,
SeaR, Consolato, E. e il buddismo, Borzano, SeaR, Delle rovine ed oltre, saggi
su E., Roma, Pellicani. Turris, Elogio e difesa di E., IL BARONE e i
terroristi, Roma, Mediterranee, Romualdi, Su E., Roma, Fondazione E., Damiano,
La filosofia della libertà di E., Padova, Ar, Montonato, Comi-E.. Un rapporto
ai margini del fascismo, Lecce, Congedo, Dario, La via romana al divino: E. e
la religione romana (Padova, Ar); Germinario, Razza del sangue, razza dello
spirito, Torino, Bollati Boringhieri, Stutte, E. Dal dadaismo alla rivoluzione
conservatrice, Roma, Aracne, Cassata, A destra del fascismo. Profilo politico
di E., Torino, Bollati Boringhieri, Damiano, L'ora che viene. Intorno a E. e a
Spengler, Padova, Ar, Sandro Consolato, E., Roma, I libri del Graal, Conte, E..
Arte come alchimia, mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, Dana, E. e la
tentazione razzista, Mesagne, Sulla rotta del sole, Lombardo, E., gl’evoliani e
gl’antievoliani, Roma, Nuove Idee, Turris, Esoterismo e fascismo, Roma, Mediterranee,
Hakl, La questione dei rapporti fra E. e Crowley, Arthos, Rossi, Il razzista
totalitario, Catanzaro, Rubbettino, Iacona, Il maestro della tradizione.
Dialoghi su E., Napoli, Controcorrente, Tarquini, Il Gentile dei fascisti,
Bologna, Mulino, Iacona, E. e le vicende processuali legate ai Far, Nuova
Storia Contemporanea, Venzi, E. e la libera muratoria, Roma, Settimo Sigillo, Turris,
E. Un filosofo in guerra, Milano, Mursia, Guenon, Lettere a E., edizioni
Arktos, Heliodromos, Speciale E., Catania. Documentari Dalla Trincea a Dada di Murelli.
DVD dalla Società Barbarossa di Milano,
della durata di 101 min., che ripercorre il periodo artistico di E. Con musiche
di Soph, Kaiserbund, Roma, Wien, Zetazeroalfa. Ronconi, Reghini, Parise, Pitagorismo
Tradizionalismo, Paganesimo, Via romana al divino, Fondazione E. Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani,
Rigenerazion E. Centro Studi La Runa. Vatimmo, “E., un filosofo scomodo per
tutti”; Approfondimenti sul pensiero Rosati, Intervista a E., Monastra, E. tra
la seduzione e l’aristocrazia. Ognissanti, Luci ed ombre su E., salpan. Lombardo,
Da Rivolta contro il mondo moderno a Gli uomini e le rovine. Polia, Linee per
una critica al concetto di tradizione in E., Accame, E. e la Konservative
Revolution, Rimbotti, E. così com'è, Conte, Maschere di E. come percorso
controcorrente, Dugin, Astrazione e differenziazione in E., Opere dadaiste, futur-ism.
2artericerca. Interviste Intervista a E., su you tube Intervista a Tringali, su
youtube Intervista a Lami, su youtube Quando E. intervistò il conte Kalergi, su
rigenrazione evola. ROMA. E. parie
dall’idealismo: il mondo è per lui a rappresentazione dell’io. Ma poiché
l’io subisce Kfa rappresentazione del mondo come nn limite e wLffrc
in essa la sua passività, s’impone all’io l’obblitpi pratico di sciogliere la
sua passività in atti- vità riducendo il mondo sotto il comando suo,
[a- j rendo di esso l ' atto dell’Io. La tecnica di questo pro-
gresso di risoluzione del mondo nell’Io è data dal- l’Occultismo magico.
Dall’innesto dell’Idealismo classico con la Magia nasce /'Idealismo Magico di E.. irò
I; r„ Opere principali. Saggi sull’Idealismo magia. L’uomo
come potenza. Imperialismo pagano, Todi, Atanor; Teoria dell’individuo assoluto.
Fenomenologia dell’individuo assoluto. Maschera e volto dello spiritualismo
contemporaneo, Torino, Bocca; L’indivìduo e il divenire del mondo, Roma, Scienze
e Lettere; La tradizione ermetica Bari, Laterza; Rivolta contro il mondo
moderno Milano, Hoepli. Ha diretto le riviste Ur e
La Torre. Dall'idealismo assoluto all’idealismo magico. La Grande
Solitudine. Una volta che l’io si sia costituito a principio a sè, a
centro distinto di autoriferimento. il fatto stesso che egli possa
comunicare con qualcosa di altro da lui, il fatto stesso che egli
possa in generale conoscere, appare come un singolare mistero. E poiché è
evidente che posto il soggetto da una parte, l’oggetto dall’altra non vi
è più alcun modo di intendere come quella lor congiunzione, in cui
consiste il conoscere, sia possibile; e poiché d’altra parte l’Io
ha preso ormai coscienza di sè e non può più tornare a quello stato di
ingem )4 adesione, di compenetrazione con le cose cli f era appunto
condizionato dal suo non esser.! si ancora posto; resta aperta una sola
via al problema della conoscenza, e cioè: negar,, che l’idea di una
realtà esistente in sè stessa abbia un qualunque senso, affermare che ]
a sostanza delle cose consiste semplicemente nel loro venire
rappresentate o pensate dall’io, intendere dunque che l’intero sistema
mondiale, nella ricchezza sterminata delle sue forme, con i suoi oceani,
i suoi soli e ] t . sue vie lattee, non è che un fenomeno, una
apparizione che è di questo Io e per questo Io, fuori dal quale non gli
si saprebbe coerentemente garentire alcuna consistenza. Lungo una tale
via l’uomo vede dunque venir meno progressivamente tutti quegli appoggi e
tutte quelle naturali evidenze su cui prima riposava — tutto gli si fa
ora dubbioso, problematico, contingente. Tutto ciò che sa, è che egli ora
si trova così e così determinato, che questa è la sua attuale esperienza,
queste le leggi e le categorie secondo cui egli si trova costretto
a pensarla. Ma circa il fondamento di tale determinatezza, di tali leggi
e di tali categorie, egli non sa nulla, e così nulla saprebbe garentirgli
che le cose, se così sono ed anche sono state nei casi osservati,
non possano ad un tratto cambiare, che ogni uni- L rI )iilà cd
ogni costanza non sia astratta e precaria, c h e , fondato su una
radicale contin- g c,lZ za , questo sistema di fenomeni e di
cateti» 1 ' j e non sia che un episodio fugace, disper- mia incoercibile,
imprevedibile vicenda. in Se, dopo di ciò,
l’individuo cerca ancora „ n punto fermo, egli soltanto nel suo io
può Irovarlo. Il mondo è una rappresenta- r joiie, sta bene: ma si
può forse parlare di Ljpprescnlazione, senza nello stesso punto
resupporre resistenza di un « rappresen tall- ite». di un soggolo cioè
che la rappresenti? [n mondo è un sogno: ma ogni sogno non im- Iplica
forse un sognatore? Si può chiamare f a | S o, illusorio, non esistente
l’insieme dell’esperienza — ma colui che sperimenta e afferma cotesta falsità,
illusione, non esistenza non può essere, lui, falso, illusorio, non
esistente. Di là dall’obliquità e dalla fluttuazione delle cose che sono e non
sono vi è dun- que una sola certezza: 17o. Soltanto qui l’individuo, con
un possesso, ha una realtà assoluta ed in sè stessa evidente. Di tutto il
resto _ dell’oceano sterminato dei nomi, delle forme e degli esseri — non
vi è reale certezza: parvenza, contingenza, violenza di un bruto,
irrazionale esser là, tali ne sono i princi- pi. * lo solo sono — il
resto è mia rappresentazione: in ciò si può dunque intendere la
conclusione del secondo stadio della storia della coscienza. Prima
di passar oltre, occorre rilevare v necessità che questo momento critico
deli storia ideale dell’individuo sia portalo e vk suto sino a
fondo. Non prima che egli abbj a di tutto dubitato e tutto negato, non
prima eh,, egli abbia fatto intorno a sè il deserto, noft prima che
di ogni realtà abbia sofferta I’j N realtà, di ogni evidenza la
precarietà, di ogi, luce l’oscurità: non
prima che egli abbia distrutto ogni appoggio e ogni rifugio ed abbj a
realizzato il punto della grande solitudine — non prima di ciò
l’individuo può chiamarsi veramente tale, non prima di ciò egli è un
essere autonomo ed autocosciente. È quest,, atto negativo, questo
assoluto strapparsi da quanto prima gli dava consistenza — che ora
lo fa essere. Così come secondo l’energico detto di STIRNER. L’io non è tutto,
ma ciò che distrugge tutto. Per questa assoluta negatività albeggia
nell’uomo quel principio tragico che — come è distintamente visto
dal buddhismo — lo fa superiore all’insieme della natura ed
allo stesso regno del divino. Si può precisare il luogo di un tale io come
segue. Ogni esperienza è inseparabilmente accompagnata dalla nota, implicita o
esplicita, di essere una MIA ESPERIENZA. Uauto-riferimento, l’ahamkàra della
metafisica indiana, è la condizione elementare, senza di cui non è
concepibile alcuna realtà, giacché la sola di cui posso concretamente
parlare è iella che, in un modo o nell’altro, si risolve r eal
|:l in ull a MIA ESPERIENZA [cf. H. P. Grice, “Personal
identity” “I” sentences, and deixis – PERRY]. Ora è possibile staccare cpiesto
principio di auto-riferimento dai particolari contenuti delle esperienze
per rilegarlo in un certo modo su sè stesso. Allora s i ha: IO — IO, cioè una
nuda esperienza, un possesso, qualcosa di semplice e d’ineffabile. Questa
nuda esperienza si presuppone, ,|i fatto e di diritto, a qualsiasi altra
esperienza si può dire che essa è come la tela sul- i a quale poi tutte
le particolari esperienze si ritagliano: qui si ha quel veggente che
non -, mai veduto, quel conoscente che non è ina i conosciuto, quel
punto di centralità pura di cui parlano l’Upanishad, e rispetto a cui
ogni particolare esperienza, fenomeno o pensiero è un POSTERIVS, qualcosa
che viene dopo e che sta alla periferia. Si badi: qui non si tratta nè di
un io superiore, nè di un io inferiore, nè di un io empirico, nè di
un io trascendentale, — semplici nomi e astrazioni concettuali — bensì del MIO [H.
P. Grice, “I”, “me, etc.] I>>, di quella assoluta presenza che sono
nella profondità del MIO essere individuale. Ora che un tale IO [cf.
H. P. Grice, “I” sentences, and Personal identity] sia qualcosa di
immoltiplicabi- lr, qualcosa che è solo e senza un secondo, è troppo
evidente. Parlare di altri io da questo livello è infatti contradizione in
termini [“Nobody can express what I express when I say, “I intend to go to
London.” If someone says, “Grice
will go to London,” he is expressing HIS intention, not mine!”] Gli altri Io, in quanto sono altri, non sono IO,
bensì dei particolari contenuti p P senti nella MIA esperienza — dunque
degl’oggetti, dei conosciuti, al più il concett di un conoscente e di un
soggetto, non il sogetto [cf. Grice, “OBBLES AND SOBBLES”], non il conoscente
quale è in sè stesso (cioè: come auto-esperienza), che, come t a |^
esso è unico e incomunicabile. Fenomeni pJj tieolari in questo grande
fenomeno, che è il mondo a cui, come individuo, MI sveglio, altri io
– “il plurale di ‘io’, nell’uso filosofico che Flew critica da Jones, e “io” --
ne partecipano la contingenza, sono qualcosa il cui principio MI sfugge, di
cui non ho alcuna reale CERTEZZA [cf. Grice, “Intention and uncertainty”]--
forse che ara che i sogni non MIpresentano la parvenza di altri esseri
simili a ME? E non potrebbe essere la cosidetta esperienza reale un sogno
più po. tenie e costante impresso in ME, come lo suppose la scessi di
CARTESIO, da un qualche spirito? -- che cadono fuori da quel centro che,
solo, può costituirmi una terra ferma nel gran mare dell’essere. È questo un
punto su cui occorre richiamare particolarmente l’attenzione: colui che, o
per preoccupazioni morali e sentimentali — a dir vero riconnettentisi
alla precedente fase dell’evidenza naturale — o per insufficienza di
riflessione critica, non sia giunto ad estendere il dubbio sulla
realtà stessa degli altri soggetti, epperò a concepirli come
null’allro che MIE rappresentazioni, quegli non ha veramente condotto a
fondo quel distacco, di cui poco fa si è parlato, ep .SO però
non ha ancora perfettamente realizzala la pura essenza dell’individuale.
Costui non è ancora maturo per il passaggio alla terza epoca
giacché di nulla può avere assoluta I certezza quei che prima non ha
saputo di tulio dubitare. Passando dunque alla terza fase, diciamo subito
che in essa si ha un superamento del lato negativo connesso all’adergersi
dell’individualità. Come chi una avversa vicenda avesse gittato sur una isola
deserta [ROBINSON CRUSOE – Witters – Friday] incalzato, di là dal primo
sgomento, dalla volontà di vivere, va a cercare ed a creare mezzi per una
nuova esistenza, così l’individuo, che si sente ormai solo con se stesso
nell’intero ambito del mondo, può essere portato a trarre dal proprio
interno un principio che sa fissare una nuova realtà di là dall’ordine
della parvenza e della mera rappresentazione, in cui ogni cosa ormai
è andata sommersa. Questo principio è LA POTENZA DI DOMINIO. L’IO di
ROMOLO, infatti, non è una cosa, un dato, un fatto, ma, essenzialmente,
un centro profondo di volontà e di potenza. Come lo dice FICHTE, egli non
è, che in quanto si pone — e soltanto un puro porsi è, a dir vero,
il suo essere. Come tale si rivela, per un ulteriore auto-approfondimento,
la natura di quel punto fermo, che si è realizzato nel secondo stadio.
Ora questo punto fermo può comunicare la propria consistenza a quel
che non ne ha, e ciò evidentemente quando si vadano a riprendere secondo
il rapporto proprio ad una affermazione incondizionata dell’individuale i vari
ordini di quella realtà, che prima appare irrazionalmente, in bruta contingenza,
senza partecipazione della volontà dell’IO di ROMOLO, quasi come in un
sogno. Resta da procedere ad una determinazione di questo stadio,
tale che si definisca l’oggetto del presente saggio e cioè il rapporto dell’individuo
al divenire del mondo. Nel frattempo si può dire quale è il criterio di
certezza che si impone a questo punto. Esso è espresso dal principio. Vi è
assoluta certezza — ed è postulatile realtà — soltanto di quelle cose,
dell’essere o del non essere, dell’essere cosi o dell’essere altrimenti delle
quali l’IO ha in sé, in funzione di dominio, il principio o la causa,
delle altre, solamente nella misura di ciò che in esse soddisfa ad
un tale criterio. Queste cose dipendendo infatti interamente dalla
potenza dell’IO DI ROMOLO, partecipano dell’intrinseca evidenza che è inerente
al nudo principio di questo. Volendo dunque sviluppare la
posizione assunta dalla coscienza nel terzo stadio, si ns idererà
l’unica vera obbiezione incontra- W dall 'idealismo assoluto.
Nell’idealismo assoluto si ha la dottrina che cerca di trasfor- I re in
qualcosa di positivo quel lavoro ne- 1 ,ivo di critica e di scessi che
definisce il secondo stadio. E ciò cessando di intendere I il mondo come
un fenomeno, come una sem- jj cC apparizione (unica legittima
conclusio- I „ e dell’indagine critica) per intenderlo invece [
come qualcosa di posto, di creato dall’IO. Per- Bianto quando si parla
non più di rappresenta- la bensì di porre e di creare, entra in giuoco il
concetto di una libera volontà, ed allo- I rii sorge questo problema: lo
posso ben ri- B durre il mondo alla MIA ruppi esentazione, nui fino
a che punto posso ridurlo anche alla mia volontà ed alla mia libertà? Qui
bisogna porre un punto fondamentale, e cioè intendere l’essenziale
differenza che in- I lercorre fra spontaneità e volontà. Si ha spontaneità
là dove il possibile essendo identico al reale ossia dove quel che è
essendo ciò che soltanto puo essere, l’atto ha la forma di I una
inconvertibile compulsione, di un bruto accadere e scatenarsi, ed è
passivo, impotente rispetto a sè stesso. Invece nella VOLONTÀ vi f è una
eccedenza del possibile sul reale, non si passa cioè dal possibile al
reale o all’attuale [cf. Grice, “What is actual is possible”] immediatamente,
ma un punto di autarchia, di POTESTAS, domina l’atto come l’estrema,
incondizionata ragione del suo essere o del suo i 1(Jll essere, del suo
essere così o del suo essere altrimenti come alto che è solamente uno c| e
j POSSIBILI, anzi dei COMPOSSIBILI. È importante notare che tanto la
spontaneità che la volontà possono dirsi libere. Però, mentre nella spotaneità
si tratta di una libertà affatto negativa, di una libertà cioè che vuole
semplicenieji. te dire: non essere determinato dall’esterno, nella volontà
si ha una LIBERTÀ POSITIVA, una libertà cioè che significa assoluta assenza di
condizioni, siano esse interne che esterne, e quindi contingenza, o, se si
preferisce, ARBITRARIETÀ dell’atto. Una volta compresa questa
distinzione, che non poggia tanto su concetti e sottigliezze
intellettuali, quanto piuttosto sur un dato immediato di coscienza, sur
una evidenza interna che o si ha o non si ha, quando l’idealista assoluto di
contro al sistema della realtà afferma essere stato l’IO DI ROMOLO a
porlo, è evidente che egli si riferisce non ad una volontà, ma ad
una spontaneità. Egli si riferisce infatti a quell’attività onde le cose
vengono percepite e rese intime al nostro IO DI ROMOLO, a
quell’elementare assenso onde ci si accorge di esse — assenso che se è
condizione necessaria per ogni realtà, in quanto realtà sperimentata dall'IO
DI ROMOLO (e di altra realtà noi non possiamo coerentemente parlare), è
ben lungi dall’essere anche
r ^dizione sufficiente. Infatti nel rappresen- c , il
reale o l’attuale [cf. Grice, “What is atual is possible”] non è dominato dal POSSIBILE,
l’io passivo di ROMOLO rispetto al proprio atto — non tanto Lff ernia le
cose, quanto piuttosto è come se i L » cose si affermassero in lui. Come
la passione e l’emozione, la rappresentazione è sì qual- , sa di MIO,
qualcosa che IO DI ROMOLO traggo dal MIO proprio interno (e fin qui arriva la
legittimità dell’istanza dell’idealismo, del resto soddisfatta sin da Leibniz),
ma non è me, giacché jo non posso darla liberamente a me stesso, giacché
io non sto in rapporto di SIGNORIA alle determinazioni d’essa, onde mi si
dispiega lo spettacolo della realtà che è questa realtà, |l0) i la
realtà che IO DI ROMOLO voglio. Conseguentemeu- i c; in tanto l'idealista
può dire di essere stato [lo a porre la natura, in quanto egli riduce l’IO
DI ROMOLO a natura, cioè in quanto di quello, che c libertà, non sa
nulla, o, per meglio dire, fa come se non sa nulla, e, con evidente
paralogismo, mutua il concetto dell’IO DI ROMOLO con quello del principio di
spontaneità. Posso dire di essere stato IO DI ROMOLO a porre la natura,
ma IO DI ROMOLO in quanto sono spontaneità, non in quanto sono
propriamente un IO DI ROMOLO, e cioè libertà e DOMINAZIONE. E questo è il primo
punto. Il realista o l’attualista, riferendosi propriamente al punto
della reale o attuale individualità, avanza dunque una istanza che è
interamente legittima. Egli ci pone dinnanzi ad una qualunque contingenza
dell’esperienza, per es. dinnanzi a ,| una tempesta, e ci domanda se possiamo (
|j. re di essere stati noi a porla. Mentre q U j l’idealista
risponderebbe con l’affermativa e ciò perchè per lui porre significa
semplicemente rappresentare C o a libera necessità — noi invece, riferendoti ad un porre
che il principio del dominio dell’incondizionata libertà comandi, risponderemmo.
Ciò, in verità, non è posto dall’IO DI ROMOLO. Altro non chiede il realista per
dire subito. Poiché ciò non è posto dall’IO DI ROMOLO, vi deve essere un
“altro” a porlo— ed inferisce ad una causa reale o esistente in se stessa
delle rappresentazioni, quale il divino, la materia, il noumeno, ecc. Qui
sta invece l’errore e il punto su cui ci si permette di richiamare tutta l’attenzione.
Dire che IO DI ROMOLO, come lo, cioè come principio sufficiente e
libero, non posso riconoscermi come causa incondizionata delle
rappresentazioni, non vuole affatto dire che queste RAPPRESENTAZIONI sono
CAUSATE da altro e abbiano per substrato delle cose reali o esistenti
in sè stesse, ma vuole semplicemente dire che io di ROMOLO sono
insufficiente ad una parte della MIA attività, la quale è ancora
spontaneità, che una tale par- te non è ancora MORALIZZATA, che l lo come
libertà in essa soffre una PRIVAZIONE. Tutto ciò su cui non posso, tutto
ciò che re- 5 j e a iia mia volontà, non è che una privazione
di questa volontà stessa, qualcosa di ne- (ivo, non un essere, ma un
non-essere. Per- il realista va respinto par ime fin de non ecevoir:
egli nel suo riferirsi ad un altro – il divino, noumeno, sostanza, REMO, ecc. —
fa del non- ^sere un essere, chiama reale ciò che essen- j 0
solamente una privazione della mia potenza, essendo nuH’altro che una negazione
ed ’ vuoto nel corpo immoltiplicabile della MIA attività, si dove invece,
secondo giustizia, dire irreale o inattuale, o impossibile. Così conferma
questa privazione slcssa così
{ugge-, all’atto che, dominandole, possedendole, annulla le cose (1) e
redime la privazione, egli invece sostituisce l’atto che le
riconosce e che dà loro superstiziosamente un essere e una realtà
autonoma. Proprio al primo atto si appunta invece il criterio di CERTEZZA
[cf. Grice, Intention and Uncertainty] della terza delle fasi indicate: esso
chiede cioè che l’Io di ROMOLO libero e nudo dell’individuo puo veracemente
affermare il principio dell’idealismo assoluto, epperò dire. In verità,
io di ROMOLO stesso son la causa ed IL SIGNORE di questo mondo, in cui MI
vivo. Ma quando è possibile affermare ciò? Evidentemente quando l’individuo
abbia redento in un corpo di li- ti) Naturalmente: le annulla in quanto
sono altre, per affermarle invece come gesti di una vulon- U)
potente. berla l’oscura passione del mondo, quando ha fatto passare
la forma secondo cui egli vive l’attività rappresentativa
(quell’attività cioè per cui si forma in lui lo spettacolo dell’universo),
da spontaneità — da coincidenza di possibile e reale o attuale— a nuda,
incondizionata causalità, cioè a: volontà potente. Ora che soltanto
in una tale veduta l’atto dell’individuo abbia un valore cosmico, e
che invece in quella del realismo all’attività venga tolto ogni vero
senso e scopo, può risultare ad ognuno chiaro. Infatti l’attività ha veramente
un senso ed un valore soltanto là dove vi è da far reale qualcosa, che già non
e tale. Questo caso si verifica appunto là dove l’altro — ossia ciò
che rispecchia il limite Come questa trasformazione, che affermiamo essere
non un mito, ma possibilità reale, possa poi praticamente compiersi, è un
problema da noi trattato almeno nei limiti in cui sia possibile pubblicamente e
genericamente trattarlo — altrove, c che qui non trova posto. Si può dire
soltanto che è un compito a cui nè cultura, nè devozione, nè FILOSOFIA,
nè arte, nè morale, nè nient’altro di ciò che gli uomini chiamano
spiritualità, può portare il menomo contributo. Quanto alla FILOSOFIA, il
suo limite è l’idealismo magico, in cui perviene a riconoscere la propria
insufficienza e a postillare la realizzazione della potenza come ciò in cui i
suoi massimi problemi possono trovare l’unica assoluta loro
soluzione. Ella mia ,i,)erla — venga inteso non come "f 1
realtà bensì come una negazione ed un K » 0 - allora il mondo appare come
qualco- ' l \]i incompleto, come qualcosa che chiede E u a
integrazione a quell’atto dell’individuo, ILe 1«necessità si fa libertà,
a quello f ii u pp° deir auto-affermazione onde l’attuale potente dell’unico
si estenda e riaffermi r q U anto ne è la privazione. Se invece si
po- f c i K . 1’ altro in quanto tale — cioè pro- |Ljo come quel PRINCIPIO
CHE LIMITA LA MIA LIBERTÀ — sia non una privazione e un non-es- bensì una
positività e una realtà — alloro tutto è già perfetto, tutto è già essere,
e „on occorre far altro. Ogni scopo ed ogni valore dell’attività e del
divenire, ogni responsabilità vengono meno — giacché i vuoti del ìmio
essere non sono anche vuoti dell’essere in generale: l’altro, con la
realtà attribuitaglili riempie. Invece nell’altro caso tutto il inondo
appare come una oscura, dolorosa richiesta all’Io affinchè questi si dia a sè
me- desimo secondo potenza e, in ciò, lo attui nell'essere, in ciò lo
redima dalla privazione, in ciò lo faccia reale. E il divenire — CIÒ CHE
IO FACCIO — ha allora un valore, un valore cosmico. Esaminando più da
vicino la posizione realistica, si vede che essa si fonda su questo
presupposto: che una attività imperfetta, una attività limitata da per sè
stessa non poJ sa venire concepita, che non appena sia p r .ì sente
una attività limitata si debba snjjju pensare a qualcosa che sia causa di
questa limitazione. Infatti così sta la quistione nel problema della
conoscenza: nelle cose vi è Utl aspetto per cui esse indiscutibilmente
dipendono dall’attività dell’Io di ROMOLO, aspetto che si rifcrisce al loro
venire in generale rappresentale o sperimentate; ma vi è anche un
secondo aspetto, che rappresenta un lato negativo nell’attività dell’Io
di ROMOLO, riferentesi appunto aU’in 1J)(> . tenza di percepire, non
percepire o trasmutare la percezione come si vuole. Ora su che cosa si
basa il realismo? Appunto su ciò, che à sente il bisogno di dare una
spiegazione a questa limitazione, che esso non vuole ammettere che una
attività limitata, cioè una attività incompleta, sia ciò che sta prima, e
quindi sente il bisogno di spiegare la limitazione con qualcosa di
altro. Si riferisce dunque ad una realtà distinta dall’IO DI ROMOLO come
causa delle rappresentazioni. Ma un tale presupposto ilei realista
è ciò che vi può essere di più contestabile. La concezione a cui si
rimette è questa: che ciò che sta prima debba essere l’assoluto e
che tutto ciò che è particolarità e finitezza non sia concepibile
altrimenti che come una negazione operata da parte di un altro. L Ila
pienezza di questo assoluto preesisten- tratta cioè della posizione
platonica e te -noziana, espressa dal principio: Ciò che '
veramente, è l’universale; il particolare da 1 ' s è stesso non esiste,
cioè: in ciò che esso . l’universale, e in ciò che è propriamente
Articolare non è, è fredda e piatta negazio- r s Ora ad una tale
concezione si può con- Lmporre l’altra, secondo cui non si va a pre- '
apporre 1’assoluto di BRADLEY al finito e al Particolare’ f. aim nette
invece che ciò che sta prima sia precisamente il finito e il particolare,
intesi \ r ò non come qualcosa di in sè contraditto- Ijjjo bensì
come qualcosa di incompleto, non conni qualcosa che non esiste da sè
stesso, bensì come qualcosa che già in una certa misura possiede l’essere
e rispetto a cui l’assoluto non ne sarebbe la negazione, ma lo sviluppo- P unto
in cui esso va a rentlere Per ' folto il proprio principio secondo un
processo continuo dal meno al più, dalla potenza all’atto, da un grado più
povero ad un grado pii, intenso di attualità e di essere. Ora in
una tale concezione — che si impone dovunque sviluppo, sintesi e
divenire non siano un vuoto nome — a ciò che viene prima, in quanto viene
prima, inerisce un certo grado di privazione, il quale gli è naturale e in
nessun modo chiede di venire spiegato. La sua spiegazione, se mai, non
sta indietro — in un assoluto limitato dalla potenza di un altro — bensì avanti
— nel processo dell’incornpi^ to che si integra, della potenza che arde
nel l’atto, onde non vi è propriamente da spiega re, ma da agire,
da procedere in una più j, tensa affermazione. E’ importante notare la
relatività del conte!, to di privazione. Un dato elemento non è mai p ri
. vazione in sè, ma sempre in relazione al valore del- Pautarchia.
Il passaggio ad un tale valore fa di q ll( ,| che era positivo come
spontaneità qualcosa di ne- gativo e di in potenza rispetto al punto
ulteriore. Cosi pure per chi non vuole passare dal punto di vista logico
a quello della volontà il concetto di privazione non è intelligibile, ma
allora l’idealismo astratto resta l’ultima istanza. Quando si crede di
superare la presente dottrina spiegando la privazione con una realtà
distinta, non si fa un passo avanti ma un passo indietro, giacché si [
a uso della categoria logica della causalità, con il chi- questa
stessa realtà diviene condizionata, logicamente posta dall’io. E il cerchio si
richiude e il livello critico resta il limite. Si passa invece oltre per
un assoluto positivismo. Quale è la differenza fra una cosa reale ed
una imaginata? Rappresentate, lo sono tutte e due egualmente; ma di là da
ciò l’attività rappresentativa a cui corrisponde la cosa reale è una
attività rispetto a cui sono impotente. Vi sono elementi su cui non
posso. Questo è tutto. Il problema di interpretare questo non-potcre
non lo risolviamo, perchè non lo poniamo e anzi tacciamo d’intellettualistica,
d’astratta, d’irrile- Si può dunque contestare il presupposto
lei realismo, si può non concedere il concel- |. gpinoziano del finito
come negazione su : peso si basa. Poiché le cose sono, in
quan- cu ^ f anzitutto sono rappresentate, cosi che un ole
rispetto a ciò che davvero importa a questo unto ogni ricerca di tale
genere. Questo è un punto fondamentale. Noi affermiamo che la
spiegazione EL] fatto che si è impotenti in certe situazioni con ricorso
ad un altro — cosa in sè, Dio, storicità dello spirito et similia — è una
psendospie- Laziorie, anzi un circolo vizioso per questo: che in
noi il concetto d’altro trae il suo senso e il suo fondamento dal
concetto di non potere, il quale l ciò che sta prima e di cui
oggettività, cosa in sè, ilio. ccc. non sono che tanti simboli e
traduzioni intellettuali. Le cosidette cose reali sono simboli ,1,1
mio non-potere, della mia privazione. E’ perché sperimento una privazione che
chiamo reale una cosa c non viceversa. La privazione spiega
il concetto di una realtà oggettiva e non la realtà oggettiva il concettò
di privazione. Segue da ciò una dichiarata professione di agnosticismo, un
arreco dinnanzi al nudo fatto del non-potere con rinuncia a spiegarlo come che
sia? Niente affatto. Ciò che neghiamo (non perchè non ne possiamo
dare una, ma perchè tali spiegazioni non ci servono e non ci
bastano) è la pseudo-spiegazione intellettuale, che lascia i fatti come
sono, che non trasforma il rapporto reale della mia potenza con le cose. Si
crede sul serio che la miseria e la contingenza che dannano l’essere
finito sono in qualche cosa rimosse quando le si spieghino con la materia
anzi- grado di attività e però di positività è già implicito; poiché l’io
si può sperimentare immediatamente come una energia, come un principio di
azione, come qualcosa che non chi e . de ad altro il suo essere; poiché
di diritto non esiste un limite inconvertibile per lo sviluppo, del
potere; non vi è alcuna necessità di trascendere, in ordine al problema del
conoscere, il concetto di una attività imperfetta (quale è la spontaneità
rispetto alla volontà) che solo, ci viene imposto da un esame
positivo e spiegare la rappresentazione con il riferimento realistico ad
un altro che la causi e la sottenda. In ciò si avrebbe non tanto
una che con Dio. con l’io trascendentale anziché con la materia, e
cosi via, in simili cattive e a buon mercato astrazioni? La spiegazione che l’idealismo
magico esige è ben altra. È una spiegazione mediante l’azione, una
spiegazione risolutiva. È explicare, ossia attuare, rendere perfetto: far
passare in atto ciò che è in potenza, in perfezione ciò che è
imperfezione, in sufficienza ciò che è insufficienza, secondo un processo
sintetico, originale, creatore. Questa è la sola, vera spiegazione. Il resto è
passatempo. Noi aspramente combattiamo tutta la rettorica
intellettuale e filosofica onde l’uomo si indugia a discorrere intorno
alla sua impotenza (ciò noi intendiamo quando ci si parla di verità,
razionalità, ecc., anziché balzare finalmente in piedi, impugnarsi e,
ardendola, farsi ciò che in sé è: un Dio, un costruttore del mondo. Baione
intellettuale, quanto piuttosto il Rfjsnia infingardo di colui, che,
insufficiente, dall’atto. perciò la concezione che si presenta al
ter- s tadio dello sviluppo dell’individuale è, tj complesso la
seguente: un continuum di Eit’vità che ha per limiti da una parte la
spon- f c ità, dall’altra la volontà libera. La spon- r c jtà è
l’universale, la volontà libera l’individuale. Questi limiti stanno fra loro
come po- I a adatto: tutto ciò che nell’esperienza è Eretti vità,
immediatezza, necessità, è, rispetto al punto dell’individuale, il non-essere
ine- [fcnte a ciò che è in potenza — e qui si com- anderà forse a
che cosa alludessero certi fistici quando parlano dell’oscura passione
del mondo, dell’indicibile sofferenza dell’esistenza in cui il corpo dell’uomo
I celestiale è crocifisso. Di una tale tenebra, di una tale privazione, la
libertà è l’a//o e la Lm ma luminosa; e il mondo diviene, si fa
reale secondo realtà assoluta soltanto in e per questa fiamma, cioè
soltanto nella misura in cui l’individuo, affermandosi nel punto
della potenza e della dominazione, consuma, arde la sua originaria
natura, fatta di spontaneità. Da qui un punto fondamentale. Solamente
nell’individuo assoluto, solamente nell’autarca il mondo diviene reale. La
sufficienza che egli si dà a sè stesso dà alla natura un essere, una
consistenza, una certe?*., e una ragione che essa, prima di lui, non p 0
. siede già, ma chiede. Onde cercare la verità e la certezza nella
natura è un assurdo: <jj ac> che la natura in quanto tale è
privazione axépTjotc e la certezza e la verità non l’ha i n sè, ma
nell’individuo, epperò in tanto Pi la in quanto l’individuo se la dia a sè
stesso. Il mondo è, soltanto se egli è. Ma questo essere egli non potrà
mutuarlo da nulla, chè, avuto la altro, esso non è più essere,
essere essendo soltanto ciò che è da sè stesso < xxil’ aùtó). Se
dunque egli non si fa il salvatore di sè stesso, nulla mai potrà
salvarlo. È così che la spiegazione e la verità non stanno dietro, ma
avanti — e non in un dedurre, ma in un passare all’atto. Tutta la natura,
insieme d’esseri condizionati, insieme d’esseri che si rimettono ognuno
ad altro da sè, gravita sull’individuo: quei che non ha bisogno di nulla,
quei che non si appoggia su nulla — è ciò di cui tutti gl’esseri hanno
bisogno, su cui tutti gl’esseri si appoggiano e con cui, nella misura in
cui essi sono, sono uno. Egli solo, come colui che ha in sè stesso il
proprio principio, come colui che è ente di possesso, clic è
persuaso, sostiene il peso del mondo: a lui, che consiste, il processo
universale si appen- de e in lui trova la sua condizione, ciò per
cui dall’eternità è, ed in cui ha la sua destinazione finale. Perciò solamente
nel punto in cui l’individuo si attua nella folgorazione jello
potenza sorge una finalità, una ragione f ii uno scopo nella natura: non
prima; è lui che gliela dà. Essa la chiede al suo atto. Epperò un solo
imperativo ha ormai l’indivividuo. «SII, fatti DIO, e in ciò fa essere, SALVA
il mondo. Il mondo, atto dell’Io. A lumeggiare questo punto,
connettiamo due ultime considerazioni, riguardanti l’una il problema
dell’essenza e dell’esistenza, l’altra quello dell’uno e dei molti. Le
cose sono essenza ed esistenza. L’idea di cento talleri e cento talleri
reali non sono evidentemente la stessa cosa. Pertanto nei cento
talleri reali, così come lo mostra KANT, non vi è logicamente compreso
nulla più che non sia nell’idea dei cento talleri. Ne segue che in
tanto si fa differenza fra gl’uni e gl’altri, in quanto ci si riferisce a
qualcosa ili irreduttibile all’elemento logico. Questo qualcosa è 1’esistenza,
opposta all’essenza, o, più rigorosamente, l’ESSE EXISTENTIÆ opposto all’ESSE
ESSENTIÆ. Ed ora un secondo punto. All’essenza, al che cosa è di una
determinata realtà principio esplicativo è il concetto: quando una
realtà venga mediante il concetto geneticamente costruita in tutte le
note che la individuano, l’istanza esplicativa nell’ordine dell essenza è
esaurita. Pertanto ch’un oggetto di cui si sia interamente penetrato ciò
che è, sia, il nudo fatto del suo esser là come oggetto reale, ciò
costituisce un punto che sfugge interamente alla spiegazione razionale, è un
àXcyov — e principio esplicativo ad esso adegualo è non il concetto,
bensì la volontà o, per meglio dire, la potenza. Infatti il puro essere delle
cose costituisce per me un mistero fin quando esso ha carattere di
bruto dato, di qualcosa che è là senza partecipazione del mio volere, imponendosi
anzi secondo violenza a questo. Breve: come una privazione della mia attività.
Mentre l’essenza posso pensarla e quindi costruirla, l’esistenza semplicemente
la patisco — e per questo mi costituisce una oscurità. Si imagini invece
una situazione in cui puo connettere Tesserci delle cose al loro volerle
incondizionatamente, cioè in cui la mia volontà avesse valore di potenza
creatrice. Allora la loro esistenza di fatto di là dal loro concetto cessa
d’essermi un mistero, essa al contrario mi è perfettamente intelligibile — essa
è spiegata. Essenza ed esistenza hanno dunque per rispettivi principi
esplicativi la costruzione ideale opera del pensiero e la causazione
reale l"[ 0 pera della volontà. E questo è il secondo punto. Il
terzo punto è il seguente, che fra costru- F" nza od esistenza — non
vi è differenza di « nnlinnlo /lì errarlo I .MHpa ò fTÌà 1111 ideale
e volontà creatrice — quindi fraatura. ma soltanto di grado. L’idea è già
un dell’affermazione reale; e la cosiddet- f* realtà oggettiva non è
che l’affermazione pii 1 intensa e completa di quella potenza
che forma elementare, determina LA COSA sempliceinente pensata o RAPPRESENTATA.
La realtà non è che l’atto dell’idea, ciò in cui questa individua ed
esprime interamente sè, cosi copidea non è che una realtà in potenza, os-
sia U na realtà semplicemente abbozzata o al- lo stato nascente. Fra
l’una e l’altra non vi è dunque salto, vi è invece progressività. Il
penderò di cento talleri e cento talleri reali non sono evidentemente la
stessa cosa — ma ciò n0 n qualitativamente -- cosi come potrebbe
pensare chi crede che il pensiero, anziché un'impotenza, sia l’imagine
impersonale di una realtà oggettiva -- ma intensivamente, nel senso che i
cento talleri reali sono la più profonda, intensa potenza, relativa
propriamente all’atto magico, dell’affermazione corrispondente ai cento talleri
pensati. Ed ora uniamo questo risultato a ciò che si è detto poco la. Vi è
una esistenza che è morte, privazione, irrealtà — e tale è quella
corrispondente spontaneità rappresentativa, residuo .yl prima
epoca, in cui l’atto è passivo rispep sé stesso, die l’io non domina come il
SUo gnore. Di questa esistenza non vi è certeàjj vera: non dipendendo da
me come la n»« ne o 1 emozione, essendo un puro accade un principio
di radicale contingenza la ripr e i de. Vi è invece una seconda
esistenza, che i quella che una volontà elevatasi a pot eri2 può
incondizionatamente produrre: sola mi! te questa è propriamente
esistenza, realtà ajJ solida, e solamente di essa — ove si trova L
nn giunto soltanto con se stesso in un possesso ed in un dominio —
l’io può avere una reale certezza. Fra l’una e l’altra di tali esistenze
vi è l’attività mentale propriamente detta. In altre parole: di là dal limite
ideale del regno della pura necessità — della natura e della spontaneità —
come di là dalla sua privazione, l’individuo fruisce nell’ordine
razionale o ideale di un primo grado dell’attualità sufficiente e della
libertà. Questo grado procede verso la sua perfezione nello sviluppo secondo
cui la potenza si riafferma in livelli sempre più complessi e profondi
della spontaneità — dell’antica natura o dell’universale — fino a
dominare lo stesso grado intensivo dell’esistenza reale. Allora da oscura
passione e da feroce deserto fatto di pii- Rione, il mondo si fa l'atto
stesso dell’individuo, ed in ciò è redento e persuaso Ji l'individuo assoluto. Si può
raccogliere insieme nel modo sedente quanto si è detto. Il punto di
partenza è l’universale, il qua- L nell’ordine della realtà non
costituisce il grado più ricco — come lo vuole il platonico — ma invece
il grado più povero, non il punto di arrivo, il TERMINVS AD QVEM, ma
il punto di partenza, il TERMINVS A QVO. In esso s j ha infatti il
semplice stato dell’essere che trova sè stesso, che è pura spontaneità,
che nini si possiede ma, semplicemente, è. Stato di pienezza e di
luce per l’io non ancor nato, t presso al punto dell’individuale esso
appare invece come oscurità e morte. Cosi in un primo momento esso si
dissolve nel mondo della parvenza e della mera RAPPRESENTAZIONE. In
Jan secondo momento viene sentito come passuine infinita, come il dolore cupo e
muto della privazione, come l’indicibile crocifissione nel mondo della
necessità. Ma, nata da lui, questa morte l’individuo la assume ora
con gioia. Egli è sufficiente ad essa. Egli sa che soltanto il suo
proprio, sovrannaturale valore l’essere fatto di possesso ne è la
causa; egli la riconosce come la materia, dalla q a . lo soltanto
egli potrà trarre lo splendore <ij una vita e di una realtà assolute.
Ed allora l’oscurità gradatamente si illumina, allora dall’abisso
della necessità sorge il fiore ferribile dell’individuo assoluto. Egli si erge
lentissimamente nel cielo senza stelle, liacndosj dalla vampa di ciò che
egli divora nella sua potenza. Le cose e gli esseri muoiono nell’intensità
vertiginosa di lui che, gradatamente, irresistibilmente, diviene — che,
spaventevoh nella sua purità, è signore del Sì e del K? Dominatore dei
tre mondi. E in lui, ente di possesso, ente che arde e fiammeggi,
il processo dell’universo avrà con il suo allo, la sua consumazione o
perfezione tinaie. Questo è, ad un dipresso, il senso del sistema che io
sostengo; nel quale da una parte ho cercato di fondere il problema
gnoseologico e il problema ontologico con quello etico e della
autorealizzazione o magico; dall’altra, di rivendicare il valore
dell’individuo e di fargli nascere la coscienza del suo compito e della sua
dignità cosmica. E’ ciò che io riconosco come verità, o, per meglio dire,
è ciò che io voglio come verità. L’individuo e il divenire del mondo, Roma,
Libreria di Scienze e Lettere. Race and the Myth of the Origins of Rome In his Life of ROMOLO, PLUTARCO
writes: ROMA would not have risen to such power had it not had, in any way, a
divine origin, such as to offer to the eyes of men something great and
inexplicable. CICERO repeats the same thing (Nat. Deor.) and then goes on to
consider (Har. Resp.) the Roman civilisation as that which surpassed every other
people or nation through sacred knowledge -- omnes gentes nationesque
superavivums. For the ancient Romans, SALLUSTIO has the expression “religiosissimi
mortales”. On the other hand, in our day, all of that is fantasy or
superstition for many serious persons and critical minds. The facts are the
only thing that count for them. The mythical traditions of the ancients have no
value, or they have it only insofar as it is supposed that, here and there,
they are confused reflections of real events, that is to say, tangibly
historical. There is, in that, a fundamental misunderstanding that is denounced
by Vico, then by Schelling, still more recently by Bachofen and, finally, by
the most recent school of the metaphysical interpretation of myth, and by those
little known today (Guenon,Otto, Altheim, Kerenyi, etc.). According to all
these philosophers, a mystical tradition is neither an arbitrary creation more
or less on the poetic and fantastic plane, nor a deformation or transpositions
of a historical element.. Especially in regard to origins, Bachofen points out
that a symbol or a legends, if only in a dramatised form, may represent
actually and truly the history of the beginnings of a nation. Not the history
of events occurring materially on earth, but rather of spiritual processes that
give birth to a people alongside other people although different in culture and
civilization. This is history, so to say, of its prenatal period. Legend and
history are tightly connected. The former proceeds through interiorisation and
is dispersed through images. The latter proceeds through exteriorisation as
facts, an action, or an event. An image is the result of a formative living
force. A fact is organised by human thought. In a legend, one is transported by
a formative force. In history, there is premeditated organisation of facts. But
the legend is a part and the root of history. A legend is not poetry. Rather, a
legend is a reality much vaster than history itself. The threads of the destiny
of a people that unravel in the most various ways in their historical development
go back to an impulse, to the creative sphere, to which the HERO of its legend is
connected. Bachofen thus reveals that, even at the point in which evidence, by
being recognised as a LEGEND, comes to be rejected by profane history, even
when it is a positive witness to the spirit of a people. In that way, a study
of a mystical tradition, using a different criterion, may lead us to an interesting
conclusion from the point of view of a theory of race that is similarly not
defined by the material aspects of the issues, but also addresses the inner
reality of race. We want to illustrate this interpretative method with the
birth of Rome -- applying it precisely
to the exegesis of the legend of our origins. The legend related to the birth
of Rome concentrates such a quantity of sensitive elements based on general
meanings of civilisations and mythologies of the Aryan people, that a full
seminar would be necessary to analyse them and clarify them adequately.
Therefore, I shall point out here only the most notable themes, among which
are: the miraculous birth, the theme of being saved by the waters, the wolf,
the tree, the rival pair of twins. The legend of the union of a god with a
mortal woman, in the present case, of MARTE with the vestal RHEA SILVIA, form
which union ROMOLO and REMO are born, recurs in almost all traditions in regard
to the birth of a divine heroes. GIOVE and LETONE give birth to APOLLO, GIOVE
and Alcmene to ERCOLE -- ERCOLE being the symbolic hero of the Doric-Achaean
Aryan peoples, and Apollo having a connection with the land of the Hyperboreans
and with the primordial Nordic-Aryan races. An analogous origin, in properly
Germanic traditions, is attributed to the heroic peoples of the Volsungs, to
which Siegfried belongs. In the ancient royal Egyptian tradition - whose remove
origin can with good reason also be considered to be Aryan and
Atlantic-Occidental - every sovereign is thought to have been begotten by a god
uniting with the queen. This is a mystical tradition in which the hidden
meaning of the LEGEND comes to the fore, inasmuch as a miraculous birth without
the help of a man, of a human father, is imagined. Since the queen has her
consort, the idea that her son was conceived by a god, being awaken to life by
her husband, could only indicate that he, not in his moral part, but so to say,
in that eternal and divine part, had to be thought of as a type of incarnation
of a decisive supernatural element that came to confer a royal dignity on him.
In the case of ROMA, therefore, MARTE is such an element from above, that is,
the divine representation of the principle of warrior virility. Such a force
stands therefore at the origins of the Eternal City and at the basis of its secret
origin, veiled by the legend: so that in some traditions form the era of the
Roman Republic itself, it will be directly conceived as the son of MARTE. And
this MARTE force is associated with those who may be the guardians of the
sacred flame of life; symbolically, with a vestal (RHEA SILVIA). The twins ROMOLO
and REMO are abandoned to the waters and are saved from the waters. Here again
is a symbolic theme recurring in many traditions. Moses is saved from the
waters, the Indo-Aryan hero Karna is left in a basket in the river and is saved
from the waters, and so on. But the symbol contained in the most ancient Aryan
tradition is especially important, i.e., the Vedic tradition, in which ascetics
are depicted as supreme natures who stand on the waters. Analogous explanations
and, therefore, the hidden meaning of such a symbol, can be clarified as
follows. The waters have traditionally always depicted the current of time,
i.e., the basic element of mortal, unstable, contingent, passionate, fleeting
life. The weak man is taken from the waters and carried from the waters. The
seer or HERO, the ascetic or the prophet is saved from the waters, or is
capable of standing on the waters, or of not sinking in the waters. Hence, in
the legend of the origins of Rome, this symbol must again characterise the
divine element of the founder of Rome, his, so to speak, super-natural dignity.
The twins find refuge near the fig tree – the “ficus Ruminalis” -- and are
suckeld by a wolf. The word “ruminalis” contains the idea of feeding: the
quality of “ruminus”, related to GIOVE, alluded to the quality of nourisher:
the god who gives nourishment in Latin. But this is the most elementary aspect
of the symbol. In general, in the most ancient traditions of the Aryan race,
the tree is the symbol of universal life, it is the tree of the world or the
cosmic tree. If it is in the form of a fig tree as it appears in the legend of
Roman origins, precisely as a “fico indico”, the Banyan tree, the ashwattha
tree - it is depicted as upside-down in the Indo-Aryan tradition to express
that its roots are from above, in the heavens. The idea of a mystical flood
from the tree is an often recurring theme: the myth of GIASONE, ERCOLE, Odin,
Gilgamesh, etc. Naturally, according to the races and their spirit, this then
present diverse variations. We know from the Hebraic myth that to pick and eat
from the tree in order to make oneself like god is considered as the principle
of guilt, abuse of power, and a curse.Things are conceived in a very different
way in the myths of the Aryan race and even in the paleo-Chaldean myth of
Gilgamesh. Also, in the legends of the Ghibelline Middle Ages, the heroic theme
prevails and the tree often appears as that of the universal empire, reaching
it in the symbolic lands of the mysterious Prester John means insuring the same
dignity that the ancient Ario-Iranian rulers associated with the title of king
of kings. Returning to our subject, in the legend of the twins at the origins
of Rome, we therefore have the allusion to a supernatural food from the Tree -
but also the Wolf. The symbol of the wolf, considered in its entirety and in
all the stories that refer to her, has an ambiguous character. LUCIANO and
GIULIANO recall that, in the ancient world, on the basis of the phonetic
resemblance between the two words, the idea of the “lupa” and of “luce” are
often associated – “lykos” – lizio --, which in Greek means wolf, sounds like “lyke,”
light. But there are also figurations of the wolf a sa hellish animal, as a
dark force. The wolf thus appears to us in the double aspect, symbol of a
ferocious and savage nature and also as the symbol of aluminous nature. This
duality is verifiable, not only in Hellenic-Mediterranean prehistory, but also
in the Celtic and Nordic. In fact, on the one hand in the Nordic-Celtic and
Delphic cults the wolf is connected to Apollo, i.e., to the Hyperborean,
Nordic-Aryan god, simultaneously conceived as the solar god of the golden age
and significantly associated by VIRGILIO with ROMAN greatness. “Sons of the
wolf”, on this basis, was a designation for warrior and heroic peoples of
Nordic-Germanic origins, designations that persisted even up to the epoch of
the Goths and Nibelungs. Yet, on the other hand, in the Edda, the age of the wolf
signifies a dark age, marking the epoch of the outbreak of savage and
elementary forces, almost of the power of chaos, against the forces of the
divine heroes, or Aesir. Now we can certainly also relate this quality to the
principle that, according to the legend of origins, fed the twins insofar as we
see it reflected in their very nature, that is, in the antagonistic duality of ROMOLO
e REMO, as related to us in the legend. As others already noticed, so also the
theme of a single principle from which an antithesis is differentiated, whether
depicted by the antagonism of twins or, in general, of a couple, is found again
in many traditions, and not rarely in respect ot particularly significant
moments for the origins of a given civilisation, race, or religion. For
example, we only recall that in the ancient Egyptian tradition Osiris and Set
are two brothers of discord - conceived as twins - and one incarnates the
luminous power of the sun, the other, a dark, “infernal”, principle, whose
generation is called the “sons of the impotent revolt”. Does not something
similar also show through perhaps in the ROMAN legend? ROMOLO is the one who
marks the contour of ROMA as the meaning of a sacred rite and a principle of
limit -- of order, of law - having received the right of putting his name to
the city form the apparition of the solar number, of the XII vultures. REMO is,
instead, the one who violates such a limit and is killed for this reason. One
could say that the primordial force of Roman origins thus are differentiated
and destroys the dark powers that are contained in themselves, affirms in its
luminous aspect of order, Olympian denomination, purified warrior force. There
have been attempts to see in the contrast between ROMOLO and REMO the
reflection of the contrast between opposed Aryan racial forces, or of the Aryan
type, and non-Aryan or pre-Aryan types. Research of this kind is without doubt
interesting. Problematic in its conclusions, if it intends to remain
exclusively on the plane of material facts, or archaeological and
anthropological evidence. It has greater possibilities if it also penetrates
legend in order to extract elements that integrate research in other domains.
Naturally, in order to accomplish that, it also needs to resolve to outline
general frameworks of various aspects of ancient Roman society, considering,
for example, with various philosophers, somewhat probable that the social
system of castes of ancient Rome has a racial substrate. In this totality, it
is interesting to examine the link between the two principles, whose symbolic
figurations could well be ROMOLO and REMO -- with the two hills Palatine and
Aventine. The PALATINO is, as we know, ROMOLO’s hill and the AVENTINO is REMO’s.
Now, according to the ancient Italic tradition, on the PALATINO, ERCOLE met the
good king Evander (who significantly founded a temple of the goddess Victoria
on the same Palatine hill) after having killed CACO, son of the Pelasgian
(pre-Aryan) god of the subterranean fire: and Hercules conquered and killed in
Cacus’ cave, located in the AVENTINO, and erected an altar to the Olympic god,
to whom he was allied according to the Hellenic legend. Researchers like PIGANIOL
are of the opinion that this duel between ERCOLE and CACO - with the
corresponding opposition of the PALATINO and AVENTINO hills - could be a mythic
transcription of the battle waged by peoples of opposing races. The mythic
legend of the origins of Rome is therefore saturated with deep meaning. The
triumph of ROMOLO and the death of REMO is the key to the origin hidden in
Romanity - and the first episode of a dramatic, outer and inner, spiritual,
social and racial battle, in part known, in part still enclosed in symbols or
in an event not yet penetrated with respect to their most essential aspect -
almost, we will say: with respect to the third dimension. Through this secular
battle, Rome rises gradually and asserts itself in the world as a triumphal
manifestation of a principle of light and of order, of an ethic and a vision of
life that, in its original and uncorrupted forms, is witness to the Aryan
spirit. And we know what it is, according to the most widespread tradition, the
conclusion of the legend of origins. It is the apotheosis of ROMOLO, ROMOLO
deified. He returned from the earth to heaven after his mortal part was
destroyed by means of the dazzling fire. So what has been treated is neither
fantasy, nor poetry, nor rhetoric. Analogous explanations recur in the
traditions of all peoples, according to a uniformity that should lead anyone to
reflection. Also in regards to ROMOLO, the legend contains a faith and a
spiritual certainty. It is the meaning of a reality that, freed from the person
and symbol, is not once, but will always be, and will always be present, in its
greatness beyond history, the race that knows how to recall the mystery. E. è stato il più importante teorico della rivoluzione
conservatrice in Italia. Nei suoi saggi filosofici si ritrova l'utilizzazione
consapevole della espressione «rivoluzione conservatrice», la base
teorica e i limiti entro cui ha senso tale definizione. Tuttavia, in E. la
rivoluzione conservatrice si dissocia nettamente dall 'ideologia italiana. La
sua elaborazione del concetto di rivoluzione conservatrice è attinta
direttamente dalla konservative Revolution tedesca, e ad essa si rifà
espressamente, pur con alcune specifiche motivazioni. In secondo luogo, l’idea
di rivoluzione conservatrice in E. si situa in una linea fortemente
critica verso la tradizione teorica e storica italiana. A cominciare
dall’idea stessa di nazione, di cui E. sottolinea l'eredità giacobina,
egli sottopone a una critica serrata tutte le stazioni più importanti
della ideologia italiana: la critica del Risorgimento, che pure è ricorrente in
tutta l’ideologia italiana, è condotta da E. non più nel nome dell’inveramento
del Risorgimento, inteso come radicalizzazione o correzione di rotta,
ma diviene rifiuto e negazione del Risorgimento, visto come la traduzione
nazionale della rivoluzione francese, e rigettato come l'espressione di
un liberalismo anti-tradizionale. Qui E. accoglie l'eredità del pensiero
contro-rivoluzionario e si situa nettamente nel solco della tradizione
reazionaria, pur non condividendo il riferimento cattolico e cristiano
che la sottende. Critiche non meno nette E. rivolge al processo unitario
post-risorgimentale e a tentativi come quello crispino di generare una
sintesi tra nazional-populismo e autoritarismo. Ma la critica di E. non si
arresta nemmeno alle soglie del FASCISMO, a cui pure il suo nome è solitamente
associato. Quasi tutta la critica evoliana verso il fascismo gravita
proprio sul tentativo fascista di costituire una ideologia italiana o di
inserirsi nella tradizione italiana, sia verticalmente, cioè come
recupero della storia italiana, sia orizzontalmente, come tentativo di
integrare le masse e tutte le diversità in una comunità nazionale. Per E.,
il fascismo non avrebbe dovuto abdicare al suo ruolo di MINORANZA attiva,
di aristocrazia, di OTTIMATI, avrebbe anzi dovuto accentuare la sua diversità,
da quel che costituiva la linea italiana risorgimentalista. La
critica di E. all'ideologia italiana, così implacabile, sconsiglierebbe dunque
di ritrovare nella sua filosofia i lineamenti di quella rivoluzione
conservatrice -- il filo rosso della storia italiana. Le sue scelte lo
porterebbero, piuttosto, nella linea di de Maistre e de Bonald o di larga parte
della filosofia mitteleuropea. Ma a questo punto si dispiega uno dei
maggiori paradossi della dottrina politica evoliana: quanto più E. teorizza una
tradizione radicalmente diversa dalla modernità e integralisticamente depurata
da ogni scoria di pseudo-tradizionalismo» nazionalista e risorgimentale,
tanto più Evola coniuga l’idea della tradizione con posizioni che appartengono
al mondo della rivoluzione. Rivolta, anomìa, anarchismo di destra,
nichilismo attivo sono ricorrenti espressioni della filosofia evoliana che
segnano un indubbio recupero della dimensione rivoluzionaria. Questo dualismo,
solitamente, è stato attribuito a due tappe differenti e fondamentali della
filosofia evoliana, e identificate l’una ne “Gli uomini e le rovine”, e l'altra
in “Cavalcare la tigre.” Ma, più vastamente, l’intera opera evoliana si
dispiega all’interno di un orizzonte antinomico, tra rivoluzione e tradizione,
se si considera l'esperienza pittorica dadaista, fortemente eversiva, il
periodo filosofico, con sostanziali elementi rivoluzionari e stirneriani,
la valorizzazione del tantrismo nel suo aspetto più distruttivo (la via
della mano sinistra). Elementi che convivono nell’opera evoliana con la
ricerca e l'affermazione della tradizione, il primato dell'essere, il recupero
della dimensione metafisica; o nel mondo politico con il richiamo a una
concezione fondata sull'autorità, l’ordine e la gerarchia. Sul piano della
dottrina politica, l'aporia può forse trovare agevole soluzione
se si tiene presente che, in un mondo sconsacrato e secolarizzato, la
tradizione non può che rivelarsi come una rivoluzione e attraverso la
rivoluzione. Il ritorno alla tradizione, in questo contesto, sarebbe infatti un
evento di rottura, una radicale inversione di rotta rispetto alla realtà
presente. La rivoluzione sarebbe dunque per E. il rigetto del presente
nel nome del passato; rivoluzione-restaurazione, ovvero rivoluzione nel senso
dell'astronomia classica, come già ripete E.. In uno scritto divulgativo,
tra gl’ultimi di E., il pensatore tradizionalista afferma. Se si vuole,
ci si può riferire alla formula, solo in apparenza paradossale, di
una rivoluzione conservatrice. Essa concerne tutte le iniziative che si
impongono per la rimozione di situazioni negative, fattuali, necessarie
per una restaurazione. In linea di massima, si può riconoscere la
coerenza di questa posizione e il rigoroso uso dell'espressione di rivoluzione
conservatrice. Tuttavia, soprattutto se si tiene conto dell'orizzonte di
pensiero in cui E. utilizza questa definizione, i due piani di
rivoluzione e tradizione non sembrano poi così nettamente delineati e
divisi. In E. vi sono interpolazioni e attraversamenti: talvolta la
pratica rivoluzionaria finisce col rivoltarsi contro gli stessi principi
tradizionali e finisce con l'assumere valori autonomi. L’anomìa finisce con l’essere una
pericolosa arma a doppio taglio. E dall’altra parte, soprattutto
nell’ultimo E., il metodo rivoluzionario risulta spesso alterato o addirittura
soppiantato da una scelta pratica di tipo conservatore, fondata sui
parametri del salvare il salvabile, preferire il male minore, allearsi
con i moderati per combattere la sovversione, eccetera. A parte questi
sconfinamenti, peraltro marginali se si considera l’itinerario evoliano nel suo
complesso, E. si pone legittimamente come il teorico principale della
rivoluzione conservatrice vista da destra. Il suo pensiero è alle origini
sia dell’integralismo di destra che del modernismo di destra -- in parte
defluito da destra. Non si potrebbe infatti comprendere il neo-tradizionalismo,
anche quello cattolico, senza transitare per le opere di E. imperniate sui
valori della tradizione. Ma dall'altro verso non si potrebbero
comprendere neanche i fermenti della cosiddetta nuova cultura, della nuova
destra o i tentativi di andare al di là della destra e della sinistra,
senza risalire a quel filo rosso che scorre dall’E. dadaista e
iconoclasta all’E. FILOSOFO, al seguace del tantrismo e soprattutto
all’autore di Cavalcare la tigre. Da entrambe le posizioni, NEO-TRADIZIONALISTE
[cf. H. P. Gric on P. F. Srawson] e moderniste [cf. H. P. Grice on ‘the heirs
of PEANO (si veda) e Principia Mathematica], si sono staccate frange
opposte e simmetriche, che hanno parimenti rifiutato l'eredità evoliana, l'una
nel nome della tradizione cattolica, l'altra nel nome della modernità
assurta a valore. Se il linguaggio non e improprio e desueto, si potrebbe
dire che la sua opera genera una destra e una sinistra evoliana. È
curioso osservare che i modernisti di destra ripercorrono, pur con specifici
tratti, lo stesso cammino già percorso da un certo radicalismo di destra
che trova in Evola elementi per fondare una scelta rivoluzionaria in
senso nazional-popolare. Il cammino dei modernisti di destra si rivela
come la versione debole (e quindi più intellettualistica, più dolce nel metodo
e più esitante) di quello stesso processo di modernizzazione del pensiero
evoliano, la cui versione forte è costituita proprio dal rivoluzionarismo
nazional-popolare. I vari filoni dipartitisi d’E. ritrovano oggi sul loro
cammino gli stessi incroci in cui si dibatte la filosofia evoliana:
trasgressioni e fedeltà, soggettività e tradizione, organicismo senza
statolatria, ricomposizione comunitaria ed élitismo, rigetto
dell’ideologia italiana e insieme esigenza di radicarsi nel tessuto reale
di que sta società, e così via. Le contraddizioni, mutatis mutandis, sono
ancora le stesse. Per ripercorrere queste stazioni cruciali della
filosofia evoliana, e proficuo attraversare le principali interpretazioni
critiche della filosofia d’E. che si possono ricondurre a quattro tesi
fondamentali. In primo luogo, l'interpretazione di E. come maestro eretico
del pensiero negative. In secondo luogo, E. visto come teorico di un neo-paganesimo
anti-cristiano e anti-trascendente. In terzo luogo, E. visto come un gentiliano
minore che tenta invano di superare l'attualismo. Inine, E. visto come
l'ispiratore del neo-nazi-fascismo. L’accostamento tra E. e il pensiero
negativo si può far risalire al tempo della contestazione, quando
qualcuno ravvisò impressionanti simmetrie tra il pensiero evoliano e il
pensiero di MARCUSE. Simmetrie che lo stesso E. non ha mancato di sottolineare,
seppure rimarcando la radicale divergenza di fondo. Di quel parallelo
aveva parlato qualche anno fa GALLI, soffermandosi soprattutto sulle sue
valenze politiche. Da un punto di vista filosofico la collocazione di E.
nell'alveo del pensiero negativo è stata recentemente proposta da MANCINI e CACCIARI.
Entrambi scorgono in NIETZSCHE il crocevia della filosofia negativa. Dopo NIETZSCHE,
si puo quasi parlare di un pensiero negativo di sinistra che coniuga Nietzsche
con MARX, Freud e al limite STIRNER, e che si esprime, soprattutto, ma non
solo, con la triade francofortese Adorno, Horkheimer e Marcuse; e un
pensiero negativo di destra che coniuga Nietzsche con i valori
tradizionali e che si esprimere tra gli altri con E., JUNGER e larga parte
del pensiero rivoluzionario-conservatore. Quale è il filo comune del pensiero
negativo? In primo luogo, la critica radicale della ragione e delle
pretese sintetiche e costruttive della razionalità. In secondo luogo, lo
smascheramento della civiltà moderna e borghese e la rivolta contro la nostra
società. In terzo luogo, lo sfaldamento della fiducia nel progresso ma
anche negli antichi appoggi; la crisi del principio di identità e di non
contraddizione; indi, la concezione conflittuale e catastrofica della storia. E
scavando più a fondo si giunge alla matrice del nichilismo: la morte di
Dio, la perdita del reale, del senso e degli scopi, l'incertezza
esistenziale, l'oscuramento della metafisica. I due versanti del pensiero
negativo sarebbero dunque compresi nell’alveo del nichilismo. Soltanto che
il versante destro del pensiero negativo, a cominciare d’E., per
estendersi a buona parte della rivoluzione conservatrice, tradirebbe
Nietzsche, mascherando il nichilismo nell'irrazionale e nella retorica dei
valori. A questo punto le conclusioni di un MANCINI conducono a una
condanna senza appello del pensiero evoliano, le conclusioni di CACCIARI
conducono invece a un appello senza condanna agli evoliani: liberatevi
dal camuffamento irrazionalistico, liberatevi dalle vostre certezze che
reggono solo sulla retorica, e procedete con occhio sgombro verso un sapere
senza fondamenti, verso un nichilismo consapevolmente vissuto e accettato come
destino finale. In fondo il discorso ruota intorno a un’equazione
tutta da dimostrare: l'equazione, appunto, tra E. e il pensiero
negativo. È necessario dunque affrontare la differenza radicale che
allontana E. dal pensiero negativo. Una differenza di provenienza e di approdi,
di metodi e di aperture. È certamente vero che il pensiero negativo e il pensiero
evoliano nascono entrambi come filosofie della crisi. Ma la crisi del
pensiero negativo è la crisi di una razionalità che ha perduto la ragione, di
una dialettica che ha perso la possibilità della sintesi, di un
materialismo che ha perduto la materia, di un orizzontalismo che ha
perduto orizzonti, di una rivoluzione che ha perduto il progetto. La
crisi da cui nasce il pensiero evoliano è invece la crisi di una trascendenza
che ha perduto Dio, di un verticalismo che ha perduto il suo vertice, di
un eroismo che ha perduto gli eroi, di un Olimpo che ha perduto gli
dei, di una tradizione che ha perduto i suoi templi, i suoi riti e i suoi
uomini. Da una parte è l’orfanità della ragione che incita a ripensare i
miti. Dall'altra parte l’orfanità del mito che spinge a cercare le
ragioni. In entrambe si assisto al disormeggio della storia secondo la
suggestiva espressione di CIORAN. Da una parte in E. la tradizione sembra
smarrire gl’anelli che la congiungono al presente. Dall’altra parte nel
pensiero negativo il progresso si separa dall’ottimismo e dal migliorismo
storico e scivola nella catastrofe, nel vuoto. Ma differente è pure la
reazione alla crisi. Il pensiero negativo diviene pensiero della
liberazione trasgressiva, sollecita a liberarsi dai vincoli della realtà e
della ragione, oppone la ragione distruttiva come risposta alla
ragione decretante. Opposta appare invece la reazione evoliana alla crisi.
Alla liberazione dal destino si oppone qui l'accettazione del destino, la
fedeltà ai valori oscurati, l’azione nonostante i frutti, la risposta
eroica al nichilismo. Entrambe le vie germogliano dunque dalla crisi:
ma il pensiero evoliano induce a vivere come se i valori esistano. Il
pensiero negativo induce a vivere come se non abbia importanza avere
valori. E. scommette sui valori, il pensiero negativo rigetta la scommessa come
insignificante, fuorviante, mistificatrice. Nel pensiero negativo il
nichilismo è pensato e vissuto come esito finale; nel pensiero evoliano il
nichilismo è inteso come prova del fuoco, come deserto da attraversare.
L’esperienza del nichilismo è rivolta in E. a fortificare il bagaglio
interiore, a essenzializzare la vita, a denudare i valori dalle incrostazioni,
per ricondurli alla nudità originaria. Il nichilismo, secondo questa
prospettiva che E. coglie da Nietzsche, dovrebbe rafforzare ciò che non riesce
a spezzare. Il pensiero evoliano ha Nietzsche alle sue spalle, ombra
titanica che si allunga sul suo cammino; il pensiero negativo trova
invece Nietzsche davanti a sé, scoglio insormontabile per la ragione
dialettica. Ciò che in E. è punto di partenza, che pure si allunga su tutto
il percorso, nel pensiero negativo è punto d'arrivo, oltre il quale
non si può andare. Non è un caso, poi, che il pensiero negativo si definisca
tale, laddove il pensiero evoliano si autodefinisce magico: il pensiero magico
è per sua stessa vocazione rivolto a comporre, a ordinare il mondo
e non a disfarlo, a rivelare la sua segreta armonia, a concepire la libertà
come attività produttiva e creativa. Il pensiero magico risale dal caos
al cosmos, dal conflitto all’armonia, ponendosi infine come pensiero
costruttivo, pensiero positivo. Il pensiero negativo al contrario dissolve il
cosmos nel caos, nell'armonia scorge il contrasto, eternizza il conflitto e la
catastrofe, definendosi infine come pensiero distruttivo. Nel crocevia tra
magia e trascendenza, il pensiero evoliano si inviluppa in alcune contraddizioni:
le forti aporie tra senso della trascendenza e immanentismo volon¬
taristico che si esprimono nell'Autarca, le tentazioni faustiane, il
pericoloso velleitarismo di chi vuole traversare l'abisso, l'etica della
disperazione che si risolve talvolta in Evola in uno spiritualismo nobile ma
cieco, che rigetta i frutti e le prospettive. Ma pur nella contraddittorietà
delle posizioni ciò che distingue radicalmente E. dal pensiero negativo risale
a una opzione di fondo: è la opzione della trascendenza che conduce
Evola alla riscoperta del sacro. La trascendenza resta una dimensione
assente nel pensiero negativo in virtù di una originaria opzione
immanentistica mai smentita. La f iducia in una «più che vita», la
scommessa sull’immortalità, la certezza del sacro, il culto dell'invisibile e
de fì'eterno, accend on o in Ev ola un bag lioré metafisico che non é flato tr
ovare, n el pensi ero negativo. Alla luce del sacro, la stessa concezione
eroica esce dal campo del puro arbitrio, della mera retorica, del volere
autarchico, per farsi essa stessa segno di quella certezza metafisica e
metaesistenziale, espressione e testi¬ monianza che pure vacillando nel
vuoto, la strada percorsa è quella che sale. Occupandosi del radicalismo di
destra, Civiltà Cattolica ha individuato in E. il principale ispiratore
di una nuova destra fortemente anticristiana e neo-pagana . Le argomentazioni
condotte a rinforzo di questa tesi erano attinte quasi interamente dalla
lettura di iperialismo pagano. Che in E. vi sia una forte ascendenza di tipo
pagano è certamente fuori discussione: la grande valutazione del mondo greco e ROMANO,
l’esaltazione della spiritualità nordica, il risalto attribuito alla figura di
Federico II, sono solo alcuni tra i segnali di questa ispirazione pagana del
pensiero di E.. Tuttavia l’interpretazione di E. come padre di un
neopaganesimo anticristiano, è semplicistica e a tratti fuorviante. Vi è
in primo luogo una ragione metodologica: non si può valutare il pensiero
evoliano soffermandosi sulla lettura di Imperialismo pagano, un saggio
che E. scrive non ae che in seguito disconobbe. Imperialismo pagano è un
pamphlet fortemente polemico che risente degli umori del tempo e che si
inserisce nel dibattito preconciliare. Imperialismo pagano è un'opera
certamente minore rispetto ad altre opere evoliane di spessore ben più
notevole. Per comprendere E. bisogna transitare almeno da altre cinque, sei
opere ignorate da Civiltà Cattolica. In secondo luogo, il pensiero
evoliano si alimenta di correnti e torrenti che sarebbe improprio
definire di tipo pagano: la tradizione gnostica e orfica, pitagorica, la
metafisica orientale, il buddismo. Se si vuol definire pagano, nel senso
di anti-cristiano, tutto ciò che non è cristiano, si finisce nel più
piatto manicheismo. In terzo luogo, dal complesso dell'opera
evoliana non si può dedurre un orientamento anti-cristiano e ancor
meno un orientamento anti-trascendente. Altrimenti non si comprenderebbe
in E. la lettura dei mistici cristiani, l'influenza di certo gnosticismo
cristiano, l’attenzione positiva verso pensatori come Meister Eckart e SAN
GIOVANNI DELLA CROCE, la grande influenza di Carlo MICHELSTAEDTER che
rivela profondissime tracce di cristianesimo. E non si comprenderebbe il
carteggio evoliano con REBORA, il ritiro di E. in un convent, la sua difesa
della Chiesa del Sillabo (se la Chiesa fosse ancora quella del Sillabo —
afferma E.— non ci sarebbero esitazioni a schierarsi dalla sua
parte per affermare i valori della tradizione»), ma anche della fede cristiana
e del suo significato nella nostra epoca sconsacrata. E non si
comprenderebbe infine per quali misteriose ragioni la lettura di E. sia
stata per molti una stazione d i transito ve rso una riconversion e al
cattolicesimo -- una riscoperta del sacro e del trascendente, del rito e
dell aJracE zionèr È un paradosso^lha mòTti dfcoTo- ro che hanno poi
criticato il pensiero evoliano alla luce del cattolicesimo tradizionale,
devono a E. la conoscenza di autori come de Maistre, Donoso Cortes, de Bonald.
È poi significativo che E. condanna le franga moderniste [del
cristianesimo , colo ro che riducono la religione nell’orizzonte immanentistico
de l messaggioso. ciale, la stòricizzazione e l’umanizzazione del divino,
la teologia dellà morte di Dio, la razionalizzazione dei principi e delle
tradizioni, la confusione del crstianesimo conjun moralistico
sentimentalism o borghese. In E. permane, certamente, un senso di
estraneità al cristianesimo, ma non di ostilità; vi è un differente tipo di
spiritualità che trae alimento da differenti tradizioni. Nel cristianesimo
E. denuncia la mancanza di una dottrina esoterica che possa affiancarsi
alla religione fideistica e devozionale. Appare quindi improprio il
tentativo di demonizzare il pensiero evoliano come l'espressione di una rivolta
anti-cristiana con esiti immanentistici. Questa riduttiva interpretazione del
pensiero evoliano rimanda a un'antitesi più vasta e insensata quando pretende
di essere assoluta: l’antitesi tra paganesimo e cristianesimo alla cui
radicalità mostrano di credere da un verso Civiltà Cattolica e dall'altro
verso alcuni esponenti della nouvelle droite, a cominciare da de Benoist.
L'antitesi autentica e radicale della nostra epoca, in realtà, non è tra
paganesimo e cristianesimo ma tra sacro e nichilismo, tra vocazione alla
trascendenza e sfaldamento nell'immanenza. Per un autentico spirito
cristiano la santità è intesa come il culmine del sacro, è il gradino
supremo in cui il sacro si incarna nell'umano e si palesa nel mondo;
per una autentica religiosità di tipo pagano, la santità è una
delle più alte manifestazioni del sacro. Per entrambi resta essenziale
l'antitesi tra sacro e nichilismo. Per una spiritualità di tipo cristiano il
senso elèi sacro può dirsi quasi il rosminiano sentimento fondamentale,
quell'innata vocazione metafisica sulle cui basi si eleva poi la fede
cristiana. Per una spiritualità di tipo pagano, il sacro può intendersi non
come la base ma come il vertice verso cui convergono le religioni, il
principio metafisico di cui le religioni sono bracci, manifestazioni,
assi di una ruota. Nel pensiero contemporaneo, la distinzione di campo più
rigorosa è senza dubbio quella tra pensiero ispirato alla trascendenza e
pensiero esaurito nell’iimmanenza, tra pensiero fondato metafisicamente
(proteso verso l'essere) e pensiero senza fondamenti o comunque fondato
storicisticamente, vitalisticamente e materialisticamente (risolto dentro il divenire).
In questa distinzione di campo, il pensiero di E. ritrova una identità
molto diversa da quella che gli viene attribuita da Civiltà Cattolica e da
taluni esponenti del «neopaganesimo». Vi sono certamente alcune
cadute immanentistiche e superomistiche nel pensiero evoliano che in un
pensatore come GUENON, ad esempio, non sono presenti: ma il pensiero di
Evola rischia l’impurità e talvolta l’incoerenza perché si cimenta con la crisi
contemporanea. È una scommessa più difficile quella di E., un cammino più
arduo: attraversare il nostro tempo. Questa sua scommessa può essere
intesa come la sua peculiarità più feconda e insieme come il suo limite
più netto: ma, in ogni caso, il pensiero di E. si incammina sul l a s
trada, del sacro. Un autorevole filosofo come NEGRI ha individuato in
Evola un «gentiliano minore» che tenta invano di superare l'attualismo.
L’interpretazione di NEGRI ripercorre i sentieri già solcati da SPIRITO,
CARLINI, e SCIACCA che appunto a GENTILE avevano ricondotto il pensiero
di E. Che l’ombra gigantesca di GENTILE (si veda) si allunghi su tutta la
filosofia italiana può essere difficilmente confutabile. Persino lo
spiritualismo cattolico o la filosofia della prassi di GRAMSCI mostrano i segni
di quella influenza. Ma che vi siano specifiche e preponderanti tracce di
influenza su E. è largamente inesatto. Si deve anzi osservare il fenomeno
opposto: forse non è mai accaduto che due pensatori, vissuti nello
stesso tempo e nella stessa nazione, associati seppur genericamente in
uno stesso indirizzo filosofico e in uno stesso ambiente storico-politico,
siano stati così lontani come Gentile ed E. Alle sorgenti della formazione
evoliana vi sono correnti e autori in larga parte estranei a Gentile.
Manca a Gentile il riferimento alla metafisica orientale, al pensiero
tradizionale e legittimista, a Stirner, a Nietzsche, a Bachofen, a Weininger,
a MICHELSTÄDTER (si veda) e a tutta la grande cultura mitteleuropea, a
cominciare da Spengler e Junger. E manca a E. la lettura del pensiero
risorgimentale, l’influenza di SPAVENTA e di MAZZINI, di GIOBERTI e di ROSMINI,
il confronto con la filosofia di Marx e con lo storicismo, che sono
invece determinanti nella formazione di Gentile. I riferimenti comuni si
limitano a certi autori dell'idealismo tedesco. In E. l'idealismo è
un episodio, seppure notevole, inserito in un altro episodio, seppure
importante, quale è il suo periodo filosofico. Se si prescinde dalle coordinate
extrafilosofiche, si è già lontani dalla comprensione del pensiero
evoliano. Inoltre, va ricordato, della filosofia evoliana si occupa CROCE
ma non se ne occupa mai Gentile, che non vi riconobbe mai alcuna
parentela. E della filosofia gentiliana, E. se ne sempre occupa in chiave
critica. I suoi rilievi, le sue critiche all’attualismo sono notevoli, radicali
e tutt’altro che superabili. Sul piano storico, E. condanna del fascismo
quel che Gentile approva o addirittura egli stesso ispira. E le
distanze con Gentile non si attenuarono nemmeno quando il vento del CONCORDATO
conduce Gentile ed E. a scontare una comune emarginazione. Come per
Gentile, anche per E. il fASCISMO e inteso come una rivoluzione conservatrice,
anzi una restaurazione. Ma restaurazione non della tradizione italiana esaltata
dal risorgimento e dalla filosofia nazionale, come vuole Gentile, ma
restaurazione di LA TRADIZIONE ROMANA e ghibellina. Ovvero una
restaurazione così radicale che finisce con l'essere una rivoluzione rispetto
al passato più prossimo. Nel momento in cui E. supera Gentile in radicalismo
restauratore, lo supera al contempo in radicalismo rivoluzionario. Va infine
considerata l'evoluzione storico-politica del pensiero evoliano in senso
aristocratico e tradizionalista, che diverge nettamente dall'evoluzione
gentiliana verso l'umanesimo del lavoro. In definitiva, se è
riduttivo chiudere il pensiero evoliano nell alveo dell'idealismo, è
doppiamente riduttivo e fuorviarne considerare la filosofia di E. alla stregua
di un attualismo malriuscito, un tentativo velleitario di superare Gentile. In
E. vi è ben altro. Per un tempo, E. è stato conosciuto come l'ispiratore
dell'attivismo neo-fascista e neo-nazista. Una definizione canonica che domina
nel giornalismo e nella cultura politicante, che trova la sua giustificazione
teorica in filosofi come JESI ma una definizione che ancora resiste, come
dimostrano certi interventi al convegno di Cuneo sulla cultura di destra
o certe pagine di un volume collettaneo sulla destra radicale. In realtà, se vi
è stato un autore di destra che più ha contribuito à scongelare il neo-fascismo
dall’ibernazione nostalgica, questi è stato proprio E. Da figla prima di
ogni altro filosofo, la destra ha imparato a leggere IL FASCISMO e il
nazismo in chiave critica, anche se la critica di E. ai due fascismi é
pur sempre dal punto di vista della destra, Leggendo il fascismo di
E. le sue note sul terzo reich, la sua critica al nazionalismo e alla
statolatria, al bonapartismo e al populismo fascista, al razzismo biologico e
agl’isterismi del fuhrer, all'idealismo gentiliano e al sentimentalismo
cristiano-borghese, conoscendo le difficoltà che E. dove affrontare
durante il regime fascista, il radicalismo di destra avverte l'esigenza di
rivedere il proprio patrimonio ideale e storico. E leggendo E.,
quella destra comincia a conoscere orizzonti più vasti, prospettive storiche e
meta-storiche più ampie, nel tempo e nello spazio. Conosce filosofi e
tradizioni che con il fascismo poco o nulla avevano a che vedere. Si deve
principalmente a E., alle sue letture e alle sue divulgazioni, alle
sue traduzioni e ai suoi riferimenti, se quella destra conosce ampi
filoni della cultura mitteleuropea, a cominciare dalla konservative
Revolution, grandi pilastri della sapienza orientale, solidi pensatori
legittimisti e tradizionalisti. In secondo luogo, se vi è stato un autore
di destra che ha meno sollecitato l'attivismo, questi è stato proprio E.
Se un limite si deve individuare nella lezione politica di E. esso è piuttosto
di segno contrario: coloro che si sono avvicinati a E. si sono solitamente
allontanati dall’attivismo politico. Ci si avvicina a E. alla ricerca di
fondamenti per la propria scelta politica: ma la radicalizzazione del politico
è coincisa con il rigetto della politica. La lettura del pensiero evoliano
ha infatti un esito generalmente impolitico. Quando E. richiama
tradizioni lontane nello spazio e nel tempo, remote età dell'oro,
inaccessibili vette del grande passato di cui non sopravvivono più
neanche tracce e vestigia, né riti né fiaccole viventi, la tradizione
finisce di essere una radice per diventare un'idea, cessa di essere una
trasmissione di valori per convertirsi in una rappresentazione concettuale, si
estingue come pratica viva e rituale per ridursi a un oggetto del puro
pensare. Tradizione è collegamento e qui diventa isolamento, è
apertura verso il mondo e qui diventa solipsismo, è anello di
congiunzione e qui diventa rottura con il tempo. Quando E. definisce
la tradizione una discesa dell’Individuo assoluto nella concretezza storica, priva
la tradizione del suo significato meta-storico e metafisico, riduce la
tradizione o travestimento dell'io, a una volizione del soggetto. Non vi
è alcuna tradizione che possa ricondursi a una soggettività. Ogni
tradizione si incarna e trascende i membri di una COMUNITÀ. Altrimenti
tradizione non è. Quando E. ripropone la dottrina tradizionale dei cicli
storici, delle quattro età, e ci ricorda che viviamo nell'età oscura, ci
conduce davanti a un paradosso insolubile. Se aderisco fedelmente alla
dottrina, devo convincermi che io non posso modificare il corso metafisico
delle epoche, e quindi inutile è la mia azione politica, il mio impegno nel
mondo. Se viceversa penso che gl’individui possono cambiare radicalmente il
corso dell'epoca, la dottrina perde il suo vigore meta-fisico e la tradizione
si piega ancora una volta al soggettivismo volontaristico. Quando E.
sostiene che il fascismo è stato rovinato dalla natura del popolo italiano, può
avere ragione sul piano della pura teoria, ma esprime un'osservazione
impolitica, riduce il fascismo a una pura categoria dello spirito, astratta
dalle coordinate storiche e temporali. La politica agisce in un dato
tempo, in un dato spazio e in un dato popolo. Se si dice che il tempo, lo
spazio e il popolo sono inadatti per quell'idea si fa dell’idealismo
assoluto, e si è decisamente lontani da ogni considerazione politica. Non
può esistere una politica sradicata dalla storia e dalla natura degli
uomini su cui vuole agire. Quando E. sostiene che la nostra patria
non deve essere quella sancita dalla nostra appartenenza naturale e
territoriale, ma la vera patria è l’idea, riduce la patria, e la stessa
tradizione, a un'essenza disincarnata. Riduce il radicamento, architrave di
ogni tradizionalismo, a puro convincimento intellettualistico. Sulla scia
di queste aporie serpeggia tra molti evoliani una forma di pessimismo
assoluto, una specie di anti-provvidenza che vuole i migliori sempre
perdenti, poiché il successo di un’idea, nel nostro mondo sconsacrato, è il
segno del suo scadimento. Se la verità è ciò che si oppone alla storia, è
fatale che la via della verità divienne la negazione della storia. Si è
così insinuata una cultura della disperazione, il mito dell’eroe
perdente, del profeta inascoltato, del suicida veggente. Senza una adeguata
mediazione, questi orientamenti evoliani conducono fatalmente a un esito
impolitico. E conducono a quei due opposti equivoci che inibiscono oggi il
rapporto tra la cosiddetta destra radicale e la politica: da un verso lo
sradicamento e dall'altro l’ibernazione. Da una parte nasce il
tradizionalismo immobile, che per inseguire il soprastorico scivola
nell'a-storico, il tradizionalismo chiuso a ogni forma di attivo impegno
nel mondo e dunque un tradizionalismo senza tradizione perché senza
continuità effettiva. Ma dall'altra è nato il tentativo di disancorare la
storia dalla tradizione, di liberare l’impegno civile e politico da
ogni punto fermo, di emanciparsi da ogni appartenenza radicata. I due
pericoli sono opposti nello sviluppo ma uniti nella genesi. Entrambi nascono
dalla convinzione che vi sia una frattura insanabile tra il mondo dei
valori e il mondo dei fatti, tra l’ideale e il reale, fra la tradizione e
la storia. Partendo entrambi dalla constatazione di questa frattura,
le strade poi divergono. I primi seguono la via dell’imbalsamazione, del
dogmatismo e fatalmente approdano all'isola immobile dell’impolitico. I secondi
scelgono la via della liquefazione, del relativismo e finiscono poi a
inseguire il successo ad ogni costo, prescindendo dai motivi di fondo per
cui il successo avrebbe un senso. I due comportamenti sono
fondamentalmente contrassegnati dall'individualismo e si rivelano letteralmente
schizofrenici. Nascono infatti da una dissociazione di fondo tra pensiero e
atto, idea e realtà, essere e dover essere. L'esito dei primi è segnato
dall'idealismo, con la tradizione ridotta a pura rappresentazione mentale
e soggettiva, disincarnata dalle sue forme visibili, sensibili e
comunitarie. L'esito dei secondi è il nominalismo, la riduzione dei valori a
strumenti di locomozione, a convenzioni e volizioni del soggetto.
In questo senso va ripensata non solo la frattura posta da E. tra i
valori della tradizione e gli strumenti della modernità. Ma occorre
rimeditare anche lo iato sancito da E. sul piano storico-politico tra
rivoluzione conservatrice e ideologia italiana. Una frattura,
quest'ultima, che ha contribuito non poco a generare a destra quel
rigetto della tradizione nazionale e quella ricerca di autori e modelli
attinti da altre tradizioni e da altri paesi. Nell'opera in cui Evola
teorizza esplicitamente i lineamenti di una rivoluzione conservatrice,
vale a dire Gl’uomini e le rovine, è ribadita con forza la frattura tra ideologia
italiana e rivoluzione conservatrice. Dopo aver spiegato il senso in cui
si può positivamente parlare di rivoluzione conservatrice, E. aggiunge. Pel
vero conservatore rivoluzionario è questione di una fedeltà non a forme e
istituzioni di tempi trascorsi bensì a dei princìpi. Affermazione che già
presenta l’insidia del puro idealismo ovvero il disancoramento della tradizione
dalla storia; ma, al limite, si può ancora condividere soprattutto se si tiene
conto del passaggio da una veduta integralmente tradizionalista, e quindi
fondata sulla continuità, a una veduta rivoluzionaria conservatrice, e quindi
fondata sulla consapevolezza di una frattura verificatasi fra tradizione e
modernità. E ancor più si può comprendere e apprezzare il riferimento
evoliano se si ha presente il contesto a cui E. si rivolge: riferendosi
agli ambienti del neo-fascismo, E. invita a non confondere la difesa di valori
con la nostalgica difesa di regimi e istituzioni che non sono più
presenti. Quello di E. e un passo forse troppo prematuro, per dissociare
il mondo rivoluzionario-conservatore di destra dal puro nostalgismo. Ma E.
si spinge ancora ben oltre. Egli giunge ad affermare che la componente
rivoluzionaria presente appunto nella rivoluzione conservatrice, va
intesa nel senso di fare tabula rasa della storia per lasciare il
posto alle pure idee. Grazie al carattere rivoluzionario le forze attive
«si presenteranno ad uno stato quasi puro, con un minimo di scorie storiche». E
a questo E. aggiunge: «Appunto perché l’appoggio materiale consistente in
un passato tradizionale ancora vivo e concretizzato in forme storiche non del
tutto scadute è da noi inesistente, la rivoluzione restauratrice dovrà
presentarsi in Italia come un fenomeno anzitutto spirituale ed avente come base
la pura idea. Rispetto a quel che E. intende per tradizione, la sua
conclusione è rigorosa quanto ineccepibile. Ma altrettanto evidente è l'esito
impolitico e la separazione dalla storia che essa sancisce.
Il problema che si pone, in fondo, è questo; se si intende scegliere una
strada esistenziale dissociata da ogni impegno politico, il rigetto della
ideologia italiana, e della storia italiana, è in linea di rigorosa coerenza
con le idee affermate da E. e ha una sua legittimità e dignità incontestabili.
Ma se, viceversa, si intende costruire una linea politica, se si intende
davvero adoperarsi per una rivoluzione conservatrice, allora è
impossibile fare il vuoto intorno e dietro a sé, recidendo i ponti con la
storia del proprio paese e con la realtà del proprio popolo. Né si può
disancorare, in questa seconda ipotesi, l'idea di tradizione dalla
rappresentazione storica che ha avuto. Occorre allora rimeditare la storia
italiana, almeno dal Risorgimento in poi, con spirito critico, senza
dubbio, ma senza apocalittici dinieghi. Né va trascurato il fatto
che talvolta, a sostenere cause che meta-storicamente si possono definire
negative, possono trovarsi uomini e ragioni che hanno intrinseci
tratti di giustezza, di nobiltà e di dignità. Uomini giusti per cause
sbagliate. Articolare i giudizi, dunque, pur senza privarli della loro
globalità, e risalire alle intime ragioni di certi accadimenti.
In questo senso la teorizzazione evoliana di una linea
rivoluzionaria conservatrice rivela tratti di insufficienza e di carenza sul
piano storico-politico. Laddove invece, nelle grandi linee metafisiche e
metastoriche, il pensiero evoliano risulta ancora di inesaurita ricchezza
e fecondità. E., Gli uomini e le rovine, Roma, E., Cavalcare la tigre,
Milano E., Essere di destra, in «Roma», poi in Citimi scritti, Napoli cfr., Gli
uomini e le rovine, cit., Galli su E. cfr. La destra in Italia, ciLa tigre di
carta ed il drago scarlatto, Bologna. Mancini, Il pensiero negativo e la nuova
destra, Milano Cacciari, i riferimenti sono a una intervista da lui concessa a
G. De Turris, Z//r- razionale? E chi lo conosce, in «Il Settimanale», e
all'articolo È una figura complessa su E., apparso sempre su «Il Settimanale». E.
ha avuto un ruolo importante per la conoscenza e la diffusione in Italia
della konservative Revolution. Oltre ai suoi contributi, e ai numerosi
riferimenti sparsi nella sua opera, E. ha tradotto in Italia II Tramonto
dell’Occidente di Spengler, ha introdotto Anni decisivi dello stesso autore, h
a tradotto/!/ muro del Tempo di Junger (Roma) e ha scritto un’ampia
sintesi dell 'Operaio, solo per citare alcuni dei suoi contributi.
Cioran, Storia e utopia, Milano. Il riferimento è a un editoriale anonimo ma
attribuito allallora direttore della rivista, padre Bartolomeo Sorge, apparso
nella «Civiltà Cattolica», Il neo-paganesimo della Nuova Destra.
Imperialismo pagano, Roma Veneziani, E. tra filosofia e tradizione, Roma. A
tale proposito si veda Benoist soprattutto Come si può essere pagani?,
Roma. Negri, E. e il superamento dell'attualismo in appendice a Veneziani, E.
tra filosofia e tradizione. Negri si riferisce a E. anche nel suo
Sviluppi e incidenze dell’attualismo. I riferimenti a Evola di Spirito, Carlini
e Sciacca sono stati raccolti da G. De Turris in “Omaggio a E.,” Roma. Gentile
non è il nostro filosofo, in Tradizione, Il filosofo Gentile, in «Il
Conciliatore», (poi in Ricognizioni, Roma). Si vedano inoltre di E. su
Gentile: Saggi sull’idealismo magico, Roma; Il cammino del cinabro, e gli
scritti Superamento dell’idealismo e L'equivoco dell'immanenza raccolti
in Diorama filosofico, cJesi, Cultura di destra. Il linguaggio delle parole
senza idee, Milano Nuova destra e cultura reazionaria negli anni Ottanta,
cit. Si veda anche La destra radicale, Milano E., Il Fascismo visto dalla
Destra. Con note sul Terzo Reich, E., Il cammino del cinabro, A proposito della
teoria evoliana sulla razza è da riferire quanto emerge dai documenti segreti
del terzo reich pubblicati a Roma a cura di Cospito e Neulen. In uno
scritto, una nota inviata dal dirigente dell’ufficio politico della razza
della NSDAR, Gross, al ministro tedesco per l’istruzione popolare e propaganda,
E. e accusato di elaborare una teoria razziale italiana, e fondamentalmente
antitedesca. Osservando che E. pone il primato dello spirito sul corpo,
l’estensore della nota rileva che E. aderisce all’idea della superiorità
spirituale dei popoli latini e asseconda la favola della barbarie nordica in un
altra forma. Dopo aver accusato E. di teorizzare un razzismo annacquato,
privo di scientificità, antievoluzionistico, il redattore afferma. Dalla
latinità dell’autore scaturiscono concezioni che costituiscono un
atteggiamento totalmente estraneo alle visioni tedesche. Per questa ragione
colpisce in molti punti la sintonia con il cattolicesimo mediterraneo e
prosegue con alcuni esempi (Huttig, Berlino). Su tale idea cfr. Gl’uomini
e le rovine, Orientamenti, Roma. A tale proposito cfr. M. Veneziani,
Prefazione all'ultima edizione di «Orientamenti», Roma, Testimonianze su E.,
Roma; E. e la generazione. E., Gli uomini e le rovine. The Germans do
not have the concept of virility. Evola’s concept of ‘maschio’ is very complex
– vir sums up best. Julius
Evola. “Giulio
Cesare Andrea Evola”. Keywords: romanità, virilità. pitagora, roma, origini di
roma, romolo, romanità, virilità, pitagora canti d’oro, ercole, male bonding,
virilita, vir, Dioscuri, castore e policce, Weininger, Buehler, homoerotic,
intergenerational male bonding, tutor/tutee, hero, Aryan, European – Roma, l’implicatura
di Romolo. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice ed Evola," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Evola.
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