Presunto autoritratto (1506 circa), Galleria degli Uffizi, Firenze
Raffaello Sanzio (Urbino, 28 marzo o 6 aprile 1483 – Roma, 6 aprile 1520) è stato un pittore e architetto, tra i più celebri del Rinascimento italiano.
Raffaello Sanzio nacque a Urbino «l'anno 1483, in venerdì santo, alle tre di notte, d'un Giovanni de' Santi, pittore non meno eccellente, ma sì bene uomo di buono ingegno, e atto a indirizzare i figli per quella buona via, che a lui, per mala fortuna sua, non era stata mostra nella sua bellissima gioventù»
.
La notizia del Vasari comporta che Raffaello sia nato il 28 marzo (venerdì santo).
Tuttavia esiste un'altra versione secondo la quale il giorno di nascita del maestro urbinate dovrebbe essere il 6 aprile, e ciò sulla base della lettera di Marcantonio Michiel ad Antonio Marsilio (confermata dal noto epitaffio, un tempo ritenuto opera di Pietro Bembo ed oggi invece attribuito al poeta Antonio Tebaldeo) che sottolinea come la data del giorno e dell'ora di morte di Raffaello, apparentemente coincidente con quella di Cristo - ore 3 del 6 aprile, venerdì prima di Pasqua - corrispondano esattamente con la data della sua nascita.
Naturalmente, tutto questo ha il sapore della leggenda e se si può ritenere sufficientemente certo il giorno della sua morte, non può essere così per quello della sua nascita.
Raffaello (ritratto bambino dal padre nella Cappella Tiranni in Cagli) fu il primo e unico figlio di Giovanni Santi e di Maria di Battista di Nicola Ciarla.
Il cognome "Sanzio" infatti non è che una delle possibili declinazioni di "Santi", in particolare derivata dal latino "Sancti" con cui Raffaello sarà poi solito, nella maturità, firmare le sue opere.
La madre morì di lì a poco, il 7 ottobre 1491[3].
Il padre si risposò poco dopo con una certa Berardina di Piero di Parte, dalla quale ebbe la figlia Elisabetta. Con le due donne la famiglia del padre ebbe liti per motivi finanziari.
Nella formazione di Sanzio fu determinante il fatto di essere nato e di aver trascorso la giovinezza ad Urbino, che in quel periodo era un centro artistico di primaria importanza che irradiava in Italia e in Europa gli ideali del Rinascimento.
Qui Raffaello, avendo accesso con il padre alle sale del Palazzo Ducale, ebbe modo di studiare le opere di Piero della Francesca, Luciano Laurana, Francesco di Giorgio Martini, Pedro Berruguete, Giusto di Gand, Antonio del Pollaiolo, Melozzo da Forlì e altri.
Raffaello apprese probabilmente i primi insegnamenti di disegno e pittura dal padre[2], che almeno dagli anni ottanta del Quattrocento era a capo di una fiorente bottega, impegnata nella creazione di opere per l'aristocrazia locale e per la famiglia ducale, come la serie delle Muse per il tempietto del palazzo, nonché l'allestimento di spettacoli teatrali[3]. Giovanni Santi inoltre aveva una conoscenza diretta e aggiornatissima della pittura contemporanea non solo italiana, come dimostra una sua efficace Chronaca rimata, scritta in occasione delle nozze di Guidobaldo con Elisabetta Gonzaga[3].
Nella bottega del padre, il giovanissimo Raffaello apprese le nozioni di base delle tecniche artistiche, tra cui probabilmente anche la tecnica dell'affresco: una delle primissime opere a lui attribuite è infatti la Madonna di Casa Santi, delicata pittura murale nella casa familiare[4].
Il 1º agosto 1494, quando Raffaello aveva undici anni, morì il padre.
Tale data ha ridimensionato in alcuni studi il contributo della bottega paterna nella formazione dell'artista; è altresì comprovato come nel giro di pochissimi anni, in piena adolescenza, l'artista raggiunse rapidamente una maturazione artistica che non può prescindere da un avviamento molto precoce all'attività artistica[5].
Non è noto attraverso quali vie il giovanissimo pittore arrivò a far parte della bottega del Perugino: non sembra infatti credibile la notizia del Vasari, secondo la quale Raffaello sia stato allievo del Perugino ancora prima della morte del padre e persino di quella della madre[6].
Probabilmente, più che di un vero e proprio apprendistato a Perugia, il ragazzo ebbe modo di frequentare saltuariamente la bottega di Perugino, intervallando l'attività in quella paterna, almeno fino alla morte del genitore: in quell'anno Raffaello ne ereditò l'attività, assieme ad alcuni collaboratori tra cui soprattutto Evangelista da Pian di Meleto[4] (artista quasi sconosciuto agli studi storico-artistici) e Timoteo Viti da Urbino, già attivo anche a Bologna dove era stato a diretto contatto con Francesco Francia[7].
Le prime tracce della presenza di Raffaello accanto a Perugino sono legate ad alcuni lavori della sua bottega tra il 1497 e il nuovo secolo. In particolare si è ritenuto di vedere un intervento di Raffaello nella tavoletta della Natività della Madonna nella predella della Pala di Fano (1497) e in alcune figure degli affreschi del Collegio del Cambio a Perugia (dal 1498), soprattutto dove le masse di colore che assumono quasi un valore plastico ed è accentuato il modo di delimitare le parti in luce e quelle in ombra, con un generale ispessimento dei contorni. Se comunque la sua mano è ancora difficile da individuare, a Perugia Raffaello dovette vedere per la prima volta le grottesche, dipinte sul soffitto del Collegio, che entrarono in seguito nel suo repertorio iconografico[8].
Sembra però che la sua prima opera cui possa darsi un reale credito attributivo sia la Madonna col Bambino, affrescata nella stanza in cui si crede sia nato, in casa Santi a Urbino, databile al 1498 (e che fino a pochi anni addietro si riteneva opera del padre, che avrebbe raffigurato nei personaggi lo stesso Raffaello e la prima moglie Maria Ciarla).
Nel 1499 Raffaello, sedicenne, si trasferì con gli aiuti della bottega paterna a Città di Castello, dove ricevette la sua prima commissione indipendente: lo stendardo della Santissima Trinità per una confraternita locale che voleva offrire un'opera devozionale in segno di ringraziamento per la fine di una pestilenza proprio quell'anno. L'opera, sebbene ancora ancorata agli echi di Perugino e Luca Signorelli, presenta anche una profonda, innovativa freschezza, che gli garantì una fiorente committenza locale, non essendo reperibili in città altri pittori di pregio dopo la partenza di Signorelli proprio nel 1499, alla volta di Orvieto[8].
Il 10 dicembre 1500 infatti, Raffaello ed Evangelista da Pian di Meleto ottennero dalle monache del monastero di Sant'Agostino un nuovo incarico, che è il primo documentato della carriera dell'artista, la Pala del beato Nicola da Tolentino, terminata il 13 settembre 1501 e oggi dispersa in più musei dopo che venne sezionata in seguito a un terremoto nel 1789. Nel contratto è interessante notare come Raffaello, poco più che esordiente, venga già menzionato come magister Rafael Johannis Santis de Urbino, prima dell'anziano collaboratore, testimoniando ufficialmente come venisse già, a diciassette anni, ritenuto pittore autonomo dall'apprendistato concluso[9].
A Città di Castello l'artista lasciò almeno altre due opere di rilievo, la Crocifissione Gavari e lo Sposalizio della Vergine. Nella prima, databile al 1502-1503, si nota una piena assimilazione dei modi di Perugino (un "Crucifisso, la quale, se non vi fusse il suo nome scritto, nessuno la crederebbe opera di Raffaello, ma sì bene di Pietro", scrisse Vasari), anche se si notano però i primi sviluppi verso uno stile proprio, con una migliore interazione tra figure e personaggi e con accorgimenti ottici nelle gambe di Cristo che testimoniano la piena conoscenza degli studi di matrice urbinate, dove l'ottica e la prospettiva erano materia di studio comune fin dai tempi di Piero della Francesca[10].
Nel frattempo la fama di Raffaello iniziava ad allargarsi a tutta l'Umbria, facendone uno dei più richiesti pittori attivi in regione. Nella sola Perugia, negli anni tra il 1501 e il 1505, gli vennero commissionate ben tre pale d'altare: la Pala Colonna, per la chiesa delle monache di Sant'Antonio, la Pala degli Oddi, per San Francesco al Prato e un'Assunzione della Vergine per le clarisse di Monteluce mai portata a termine, dipinta poi da Berto di Giovanni[11]. Si tratta di opere di impianto peruginesco, con una graduale messa a fuoco verso elementi stilistici più personali.
Nella Resurrezione di San Paolo del Brasile Roberto Longhi lesse influssi di Pinturicchio - nel paesaggio, nei particolari della decorazione del sarcofago e nella preziosità delle vesti dei personaggi - legati a una fase databile al biennio 1501-1502.
Allo stesso periodo sono riferibili alcune Madonne col Bambino che, sebbene ancora ancorate all'esempio di Perugino, preludono già all'intenso e delicato rapporto tra madre e figlio dei più importanti capolavori successivi legati a questo tema[12]. Tra queste spiccano Madonna Solly, la Madonna Diotallevi, la Madonna col Bambino tra i santi Girolamo e Francesco[8].
Verso il 1503 l'artista dovette intraprendere una serie di brevi viaggi che lo portarono ai primi contatti con importanti realtà artistiche. Oltre alle città umbre e alla nativa Urbino, visitò quasi sicuramente Firenze, Roma (dove assistette alla consacrazione di Giulio II) e Siena. Si trattò di brevi viaggi, magari di qualche settimana, che non possono essere definiti veri e propri soggiorni[11]. A Firenze vide forse le prime opere di Leonardo da Vinci, a Roma entrò in contatto con la cultura figurativa classica (leggibile nel dittico delle Tre Grazie e il Sogno del cavaliere[10]), a Siena aiutò l'amico Pinturicchio, ben più anziano e in pieno declino, a preparare i cartoni per gli affreschi della Libreria Piccolomini, di cui restano due splendidi esemplari agli Uffizi, di incomparabile grazia ed eleganza rispetto al risultato finale[11].
A Siena fu invitato da Pinturicchio, con il quale intesseva una stretta amicizia. Il pittore più anziano invitò Raffaello a collaborare agli affreschi della Libreria Piccolomini, fornendo dei cartoni che svecchiassero il suo stile ormai in una fase di declino, come si vede nei precedenti affreschi della Cappella Baglioni a Spello[11].
Non è chiaro quante di queste composizioni vennero in effetti disegnate da Raffaello, ma quasi sicuramente deve essere di mano del Sanzio il cartone con la Partenza di Enea Silvio Piccolomini per Basilea oggi al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe di Firenze[11].
Raffaello dovette infatti abbandonare presto l'impresa, poiché, come riporta Vasari, venne a conoscenza, tramite alcuni pittori locali, delle lodi straordinarie a proposito del cartone della Sant'Anna di Leonardo, esposto nella basilica della Santissima Annunziata a Firenze, nonché del disegno della Battaglia di Anghiari, sempre di Leonardo, e del cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo, che incuriosirono a tal punto il giovane pittore da farlo decidere di partire subito per la città sull'Arno[11].
L'opera che conclude la fase giovanile, segnando un distacco ormai incolmabile con i modi del maestro Perugino, è lo Sposalizio della Vergine, datato 1504 e già conservato nella cappella Albizzini della chiesa di San Francesco di Città di Castello.
L'opera si ispira a una pala analoga che il Perugino stava dipingendo in quegli stessi anni per il Duomo di Perugia, ma il confronto tra le due opere mette in risalto profonde differenze. Raffaello infatti copiò il maestoso tempio sullo sfondo, ma lo alleggerì allontanandolo dalle figure e ne fece il fulcro dell'intero spazio della pala che sembra ruotare attorno all'elegantissimo edificio a pianta centrale. Anche le figure sono più sciolte e naturali, con una disposizione nello spazio che evita un rigido allineamento sul primo piano, ma si assesta a semicerchio, bilanciando e richiamando le forme concave e convesse del tempio stesso[13].
A Firenze Raffaello soggiornò per quattro anni, pur facendo viaggi e brevi soggiorni altrove, e senza recidere i contatti con l'Umbria, dove continuò a spedire pale d'altare per le copiose commissioni che continuavano a giungergli.
Raffaello si trovava a Siena, da Pinturicchio, quando gli giunse notizia delle straordinarie novità di Leonardo e Michelangelo impegnati rispettivamente agli affreschi della Battaglia di Anghiari e della Battaglia di Cascina. Desideroso di mettersi subito in viaggio, si fece preparare una lettera di presentazione da Giovanna Feltria, sorella del duca di Urbino e moglie del duca di Senigallia e "prefetto" di Roma. Nella lettera, datata 1 ottobre 1504 e indirizzata al gonfaloniere a vita Pier Soderini, si raccomanda il giovane figlio di Giovanni Santi «il quale avendo buono ingegno nel suo esercizio, ha deliberato stare qualche tempo in fiorenza per imparare. [...Perciò] lo raccomando alla Signoria Vostra»[14].
Probabilmente la lettera voleva assicurare qualche commissione ufficiale al giovane pittore, ma il gonfaloniere era in ristrettezze economiche per il recente esborso per acquistare il David di Michelangelo e i grandiosi progetti per la Sala del Gran Consiglio. Nonostante ciò non passò molto tempo che l'artista riuscì a garantirsi commissioni da alcuni facoltosi cittadini soprattutto residenti in Oltrarno, come Lorenzo Nasi, per il quale dipinse la Madonna del Cardellino, suo cognato Domenico Canigiani (per cui fece la Sacra Famiglia Canigiani), i Tempi (Madonna Tempi) e i coniugi Agnolo e Maddalena Doni[15].
Nel clima artistico fiorentino, fervente più che mai, Raffaello strinse rapporti d'amicizia con altri artisti, tra cui Aristotile da Sangallo[16], Ridolfo del Ghirlandaio, Fra' Bartolomeo, l'architetto Baccio d'Agnolo, Antonio da Sangallo, Andrea Sansovino, Francesco Granacci. Scrisse Vasari che «nella città molto onorato e particolarmente da Taddeo Taddei, il quale lo volle sempre in casa sua e alla sua tavola, come quegli che amò sempre tutti gli uomini inclinati alla virtù»[17]. Per lui Raffaello eseguì, nel 1506, la Madonna del Prato di Vienna - che il Vasari giudica ancora della maniera del Perugino e, forse l'anno dopo, la Madonna Bridgewater di Londra, «molto migliore», perché nel frattempo Raffaello «studiando apprese»[17].
Il soggiorno fiorentino fu di fondamentale importanza nella formazione di Raffaello, permettendogli di approfondire lo studio dei modelli quattrocenteschi (Masaccio, Donatello...) nonché delle ultime conquiste di Leonardo e di Michelangelo. Dal primo apprese i principi compositivi per creare gruppi di figure strutturati plasticamente nello spazio, mentre sorvolò sulle complesse allusioni e implicazioni simboliche, sostituendo anche l'"indefinito" psicologico a sentimenti più spontanei e naturali. Da Michelangelo invece assimilò il chiaroscuro plastico, la ricchezza cromatica, il senso dinamico delle figure[18].
I suoi lavori a Firenze erano destinati quasi esclusivamente a committenti privati, gradualmente sempre più conquistati dalla sua arte; creò numerose tavole di formato medio-piccolo per la devozione privata, soprattutto Madonne e Sacre famiglie, e alcuni intensi ritratti. In queste opere variava continuamente sul tema, cercando raggruppamenti e atteggiamenti sempre nuovi, con una particolare attenzione alla naturalezza, all'armonia, al colore ricco e intenso e spesso al paesaggio limpido di derivazione umbra[14].
Ma all'inizio del soggiorno fiorentino erano soprattutto le commissioni che continuavano ad arrivare da Urbino e dall'Umbria a tenere occupato l'artista, che di tanto in tanto si spostava in quelle zona temporaneamente. Nel 1503 aveva ricevuto l'incarico, dalle monache del convento di Sant'Antonio a Perugia, di una pala d'altare, la Pala Colonna, che ebbe una lunga elaborazione, visibile nelle differenze di stile tra la lunetta ancora «umbra» e il gruppo «fiorentino» della tavola centrale[19].
Un'altra commissione ricevuta da Perugia, nel 1504, riguardò una Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Nicola (Pala Ansidei) da collocare in una cappella della chiesa di San Fiorenzo, che fu completata, secondo quanto sembra leggersi nel dipinto, nel 1505. Nell'opera ancora di ispirazione umbra, Raffaello apporta una sostanziale semplificazione dell'impianto architettonico, così da dare all'insieme una più efficace e rigorosa monumentalità, di stampo leonardesco. In tale opera, nonostante il tema convenzionale, sorprende il dominio del mezzo pittorico, ormai pienamente maturo, con le figure che acquistano consistenza in funzione del variare della luce[19].
Sempre nel 1505 firmò a Perugia l'affresco con la Trinità e santi nella chiesa del monastero di San Severo, che anni dopo Perugino completò nella fascia inferiore. In questo lavoro le forme sono ormai più grandiose e possenti, con una monumentalità immota che rimanda all'esempio di Fra' Bartolomeo e che preannunciano la Disputa del Sacramento[20].
Nel 1505-1506 Raffaello dovette trovarsi brevemente ad Urbino, dove venne accolto alla corte di Guidobaldo da Montefeltro: la fama raggiunta nella sua città natale è testimoniata da una menzione lusinghiera nel Cortegiano di Baldassarre Castiglione e da un serie di ritratti, tra cui quello di Guidobaldo, di Elisabetta Gonzaga sua consorte e dell'erede designato del ducato Guidobaldo della Rovere.
Per il duca inoltre dipinse una grande Madonna e tre tavolette di soggetto simile, San Michele e il drago, un San Giorgio e il drago oggi a Parigi e uno a Washington. Quest'ultimo venne dipinto per essere regalato a Enrico VII d'Inghilterra come ringraziamento per il conferimento dell'Ordine della giarrettiera: la giarrettiera è infatti evidente al polpaccio del cavaliere, con l'iscrizione "Honi" che è la prima parola del motto dell'ordine ("Honi soit qui mal y pense", "Sia vituperato chi ne pensa male").
Celebre è la serie delle Madonne col Bambino che a Firenze raggiunge nuovi vertici. Per famiglie fiorentine della borghesia medio-alta Raffaello dipinse alcuni capolavori assoluti, come alcuni gruppi di Madonne a tutta figura col Bambino e san Giovannino: la Bella giardiniera, la Madonna del Cardellino e la Madonna del Belvedere. In queste opere la figura della Vergine si erge monumentale davanti al paesaggio, dominandolo con leggiadria ed eleganza, mentre rivolge gesti affettuosi ai bambini, in strutture compositive piramidali di grande efficacia. Gesti familiari si riscontrano anche in opere come la Madonna d'Orleans, come quello di solleticare, o spontanei come nella Grande Madonna Cowper (Gesù allunga una mano verso il seno materno), o ancora sguardi intensi come nella Madonna Bridgewater[21].
Queste figure dimostrano inoltre l'assimilazione di vari modelli iconografici fiorentini, che dovevano ispirare positivamente la committenza. Da Donatello ad esempio prende spunto per la Madonna Tempi, con i volti di madre e figlio teneramente accostati, mentre al Tondo Taddei rimandava la postura del Bambino della Piccola Madonna Cowper o della Madonna Bridgewater[18].
Le composizioni divengono via via più complesse e articolate, senza però mai rompere quel senso di idilliaca armonia che, unita alla perfetta padronanza dei mezzi pittorici, fanno di ciascuna opera un autentico capolavoro. Nella Sacra Famiglia Canigiani, databile al 1507 circa, quindi quasi alla fine del soggiorno fiorentino, le espressioni e i gesti si intrecciano con sorprendente varietà, che riesce a rendere sublimi e poetici dei momenti tratti dalla quotidianità[21].
Al periodo fiorentino appartengono infine alcuni ritratti nei quali è manifesta l'influenza di Leonardo: la Donna gravida, Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, la Dama col liocorno e la Muta.
Ad esempio in quello di Maddalena Strozzi è evidente l'impostazione a mezza figura nel paesaggio, con le mani conserte, derivata dalla Gioconda, ma con risultati quasi antitetici, in cui prevalgono la descrizione dei lineamenti fisici, dell'abbigliamento, dei gioielli, e la luminosità del paesaggio, scevra dal complesso mondo di significati simbolici ed allusivi di Leonardo[18]. In queste opere Raffaello dimostra la capacità di indagare attentamente la psiche, cogliendo i dati introspettivi degli effigiati, assieme a un'appassionata descrizione del dettaglio di matrice fiamminga, appresa probabilmente alla bottega paterna[20].
Opera cruciale di questa fase è la Pala Baglioni (1507), commissionata da Atalanta Baglioni, in commemorazione dei fatti di sangue che avevano portato alla morte di suo figlio Grifonetto, e destinata a un altare nella chiesa di San Francesco al Prato a Perugia, anche se dipinta interamente a Firenze.
I numerosi studi pervenutici sull'opera dimostrano un graduale passaggio iconografico per la pala centrale, da un Compianto, ispirato a quello di Perugino nella chiesa di Santa Chiara a Firenze, a una più drammatica Deposizione nel sepolcro[22].
In quest'opera Raffaello fuse il senso tragico della morte con il vitale slancio del turbamento, con una composizione estremamente monumentale, drammatica e dinamica, ma bilanciata con cura, in cui si notano ormai evidenti spunti michelangioleschi, nella ricerca plastica e coloristica, e dell'antico, in particolare dalla rappresentazione della Morte di Meleagro che l'artista aveva potuto vedere durante un probabile viaggio formativo a Roma nel 1506[23].
Opera conclusiva del periodo fiorentino, del 1507-1508, può considerarsi la Madonna del Baldacchino, lasciata incompiuta per la sua repentina chiamata a Roma, da parte di Giulio II. Si tratta di una grande pala d'altare, la prima commissione del genere ricevuta a Firenze, con una sacra conversazione organizzata attorno al fulcro del trono della Vergine, con un fondale architettonico grandioso ma tagliato ai margini, in modo da amplificarne la monumentalità. Ogni staticità appare annullata dall'intenso movimento circolare di gesti e sguardi, esasperato poi negli angeli in volo accuratamente scorciati. Sant'Agostino ad esempio allunga un braccio verso sinistra invitando lo spettatore a percorrere con lo sguardo lo spazio semicircolare della nicchia, legando i personaggi uno per uno, caratteristica che a breve si ritroverà anche negli affreschi delle Stanze vaticane[22].
Tale opera fu un imprescindibile modello nel decennio seguente, per artisti quali Andrea del Sarto e Fra' Bartolomeo[23].
Verso la fine del 1508 per Raffaello arrivò la chiamata a Roma che cambiò la sua vita. In quel periodo infatti papa Giulio II aveva messo in atto una straordinaria opera di rinnovo urbanistico e artistico della città in generale e del Vaticano in particolare, chiamando a sé i migliori artisti sulla piazza, tra cui Michelangelo e Donato Bramante. Fu proprio Bramante, secondo la testimonianza di Vasari, a suggerire al papa il nome del conterraneo Raffaello, ma non è escluso che nella sua chiamata ebbero un ruolo decisivo anche i Della Rovere, parenti del papa, in particolare Francesco Maria, figlio di quella Giovanna Feltria che già aveva raccomandato l'artista a Firenze[24].
Fu così che il Sanzio, appena venticinquenne, si trasferì velocemente a Roma, lasciando incompiuti alcuni lavori a Firenze[22].
Qui affiancò una squadra di pittori provenienti da tutta Italia (il Sodoma, Bramantino, Baldassarre Peruzzi, Lorenzo Lotto e altri) per la decorazione, da poco avviata, dei nuovi appartamenti papali, le Stanze.
Le sue prove nella volta della prima, poi detta Stanza della Segnatura, piacquero così tanto al papa che decise di affidargli, fin dal 1509, tutta la decorazione dell'appartamento, a costo anche di distruggere quanto già era stato fatto, sia ora che nel Quattrocento (tra cui gli affreschi di Piero della Francesca)[25].
Alle pareti Raffaello decorò quattro grandi lunettoni, ispirandosi alle quattro facoltà delle università medioevali, ovvero teologia, filosofia, poesia e giurisprudenza, cosa che ha fatto pensare che la stanza fosse originariamente destinata a biblioteca o studiolo[26].
Opere celeberrime sono:
-- la Disputa del Sacramento
-- la Scuola di Atene o
-- il Parnaso.
In queste dispiegò una visione scenografica ed equilibrata, in cui le masse di figure si dispongono, con gesti naturali, in simmetrie solenni e calcolate, all'insegna di una monumentalità e una grazia che vennero poi definite "classiche"[27].
Nel 1511, mentre i lavori alla Stanza della Segnatura andavano esaurendosi, il papa tornava da una disastrosa guerra contro i francesi, che gli era costata la perdita di Bologna e la tanto temuta presenza di eserciti stranieri in Italia, nonché un forte spreco di risorse finanziarie.
Il programma decorativo della successiva stanza, destinata a sala delle Udienze e poi detta di Eliodoro dal nome di uno degli affreschi, tenne conto della particolare situazione politica: venne deciso infatti di realizzare scene legate al superamento delle difficoltà della Chiesa grazie all'intervento divino[27].
Già il primo degli affreschi, la Cacciata di Eliodoro dal Tempio, mostra un radicale sviluppo stilistico, con l'adozione di un inedito stile "drammatico", fatto di azioni concitate, pause e asimmetrie, impensabile nei pur recentissimi affreschi della stanza precedente. Assiste dalla sinistra dell'affresco il papa imperturbabile, come se fosse davanti a una rappresentazione teatrale[28].
Nella Messa di Bolsena tornano ritmi pacati, anche se la profondità dell'architettura e gli effetti luminosi creano un'innovativa drammaticità; il colore si arricchì di campiture dense e più corpose, forse derivate dall'esempio dei pittori veneti attivi alla corte papale[28].
Di nuovo nell'Incontro di Leone Magno con Attila ricorrono asimmetrie e azione, mentre nella Liberazione di san Pietro si raggiunge il culmine degli studi sulla luce, con una scena in notturna ravvivata dai bagliori lunari e dell'apparizione angelica che libera il primo pontefice dalla prigionia[28].
All'inizio del 1513 Giulio II morì, e il suo successore, Leone X, confermò tutti gli incarichi a Raffaello, affidandogliene presto anche di nuovi[28].
Mentre la fama di Raffaello si andava espandendo, nuovi committenti desideravano avvalersi dei suoi servigi, ma solo quelli più influenti alla corte papale poterono riuscire a distoglierlo dai lavori in Vaticano. Tra questi spiccò sicuramente Agostino Chigi, ricchissimo banchiere di origine senese, che si era fatto costruire in quegli anni la prima e imitatissima villa urbana da Baldassarre Peruzzi, quella poi detta villa Farnesina[29].
Raffaello vi fu chiamato a lavorare a più riprese, prima con l'affresco del Trionfo di Galatea (1511), di straordinaria rievocazione classica, poi alla Loggia di Psiche (1518-1519) e infine alla camera con le Storie di Alessandro, opera incompiuta creata poi dal Sodoma[29]. In questo periodo Raffaello conobbe una popolana, figlia di un fornaio di Trastevere, di nome Margherita Luti, con cui scoppiò una passione amorosa. Pare che[30] per fare incontrare l'artista con la sua "Fornarina" il Chigi non esitò a farla ospitare nella sua villa, in modo da evitare dispendi di tempo prezioso per portare avanti i lavori[29].
Inoltre per i Chigi Raffaello eseguì l'affresco delle Sibille e angeli (1514) in Santa Maria della Pace e soprattutto l'ambizioso progetto della Cappella Chigi in Santa Maria del Popolo, dove l'artista curò anche la progettazione dell'architettura, i cartoni per i mosaici della cupola e, probabilmente, i disegni per le sculture, eseguite dal Lorenzetto e completate, anni dopo, da Gianlorenzo Bernini[29].
Accanto all'attività di frescante, un'altra delle fondamentali occupazioni di quegli anni è legata ai ritratti, dove apportò molteplici innovazioni sul tema. Già nel Ritratto di cardinale oggi al Prado (1510-1511), l'uso di un punto di vista ribassato e il conseguente leggero scorcio delle spalle e della testa introdusse un aristocratico distacco confermato dall'atteggiamento impassibile del personaggio[31]. Il Ritratto di Baldassarre Castiglione (1514-1515), grazie alla rara affinità spirituale tra effigiato ed effigiante, riesce a incarnare quell'ideale di perfezione estetica e interiore della cortigianeria espressa nel celebre trattato del Cortegiano. Nel Ritratto di Fedra Inghirami (1514-1516) anche un difetto fisico come lo strabismo viene nobilitato dalla perfezione formale dell'opera.
Ma fu soprattutto col Ritratto di Giulio II che le innovazioni si fecero più evidenti, con un punto di vista diagonale e leggermente dall'alto, studiato come se lo spettatore si trovasse in piedi accanto al pontefice. L'atteggiamento di malinconica pensosità, così indicatore della situazione politica dell'epoca (il 1512), introduce un elemento psicologico fino ad allora estraneo dalla ritrattistica ufficiale. In pratica lo spettatore è come se si trovasse al cospetto del pontefice, senza alcun distacco fisico o psicologico[31].
Un'impostazione simile venne replicata anche nel Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi (1518-19, Uffizi), in cui il papa, di nuovo con una prospettiva basata su linee diagonali, è rappresentato mentre, sospesa la lettura di un prezioso codice miniato, si trova al cospetto dei due cardinali cugini, con un intreccio di sguardi e gesti che sonda lo spazio in profondità, calibrandosi su un'estrema armonia. Lo straordinario virtuosismo nella resa dei dettagli, come la resa materica della mozzetta, la campanella cesellata o il riflesso della stanza nel pomello della sedia, aiuta a creare quell'immagine di splendore tanto cara al pontefice.
Sempre agli stessi anni (1518-19) risale il celeberrimo ritratto di donna noto come La Fornarina, opera di dolce ed immediata sensualità unita a vivida luminosità, in cui l'artista ritrasse seminuda la sua musa-amante Margherita Luti (o Luzi).[33]
L'altro motivo fondamentale di questa stagione quello legato alle radicali trasformazioni messe in atto sul tema della pala d'altare, all'insegna di un sempre più profondo coinvolgimento dello spettatore.
Già nella Madonna di Foligno (1511-1512) lo schema tradizionale dell'ancona è superato dai continui rimando tra parte superiore e inferiore, con un'orchestrazione cromatica che dà unità all'insieme, compreso il vibrante paesaggio sullo sfondo, legato a un evento miracoloso che era stato all'origine della commissione[31].
Il passo decisivo si compì però con la Madonna Sistina (1513-1514), dove una tenda scostata e una balaustra fanno da cornice a un'apparizione terrena di Maria, scalza e priva di aureola, ma resa sovrannaturale dall'area luminosa che la circonda.
Attorno ad essa due santi guardano e indicano fuori dalla pala, come a voler introdurre gli invisibili fedeli a Maria, verso i quali essa sembra incedere, miracolosamente immota ma spinta da un vento che le agita la veste. Anche i due celeberrimi angioletti pensosi, appoggiati in basso, hanno il ruolo di mettere in connessione la sfera terrena e reale con quella celeste e dipinta[34].
Punto di arrivo è la pala con l'Estasi di santa Cecilia (1514), tutta giocata su un'impalpabile presenza del divino, interiorizzato dallo stato estatico della santa che rinuncia alla musica terrena, raffigurata nella straordinaria natura morta di vecchi strumenti musicali ai suoi piedi, in favore della musica eterna e celeste dell'apparizione del coro di angeli in alto[34].
Riferibile a quest'opera , per lo meno nella fisiognomia della Vergine, si reputa la "Madonna del Divino amore" (1516) , soggetto sulla cui ideazione e realizzazione recentemente è stata riportata la responsabilità a Raffaello stesso (e di cui esiste una copia di Gian Francesco Penni alla Chiesa della Sacra Famiglia di Cinisello Balsamo)
Nonostante gli impegni proseguì la produzione di tavole destinate all'uso privato.
Ad esempio il tema della madonna col Bambino raggiunge il culmine sublime di perfezione geometrica e armonizzazione spontanea e naturale dei sentimenti nella Madonna della Seggiola (1513-1514 circa).
Figure emblematiche come La Velata (1516 circa) La Fornarina (forse l'amante dell'artista) mostrano un'impareggiabile qualità pittorica e un virtuosismo che non mettono mai in secondo piano la vivida descrizione delle protagoniste.
Per far fronte alla sua crescita di popolarità e alla conseguente mole di lavoro richiesto, Raffaello mise su una grande bottega, strutturata come una vera e propria impresa capace di dedicarsi a incarichi sempre più impegnativi e nel minor tempo possibile, garantendo comunque un alto livello qualitativo.
Prese così all'apprendistato non solo garzoni e artisti giovani, ma anche maestri già affermati e di talento.
A trent'anni circa Raffaello era il titolare della più attiva bottega di pittura a Roma, con una schiera di aiuti che inizialmente si dedicavano essenzialmente a lavori preparatori e di rifinitura di dipinti e affreschi[29].
Col tempo, negli anni avanzati del periodo romano, la quasi totalità dei lavori di Raffaello vide poi un contributo sempre maggiore della bottega nella stesura pittorica, mentre la preparazione dei disegni e dei cartoni restava solitamente ad appannaggio del maestro.
L'integrazione tra le varie figure era tale che risulta difficoltoso anche distinguere la paternità di opere e disegni, tanto più che i vari artisti della sua scuola furono individualmente incaricati di completare le varie opere pittoriche e architettoniche lasciate incompiute.
Il sistema di lavoro della bottega, per un periodo ospitata nella stessa casa di Raffaello (Palazzo Caprini), era strutturato con efficienza e formò un'intera generazione di artisti[29].
Il suo atelier fu per certi versi opposto a quello di Buonarroti, che preferiva lavorare con appena i modesti aiuti indispensabili (preparazione dei colori, degli intonaci per gli affreschi, ecc.) mantenendo una leadership assoluta sull'esito dell'opera finale[35].
Raffaello invece, con l'andare degli anni, delegava invece sempre più spesso parti consistenti del lavoro ai suoi assistenti, che ebbero così una crescita professionale notevole. Ne è esempio Giovanni da Udine, che assoldato come decoratore professionale specializzato in grottesche, divenne un valido creatore di nature morte con originalità ed eleganza, anticipando le scene di genere seicentesche.
Allievi fedeli e duttili furono Tommaso Vincidor, Vincenzo Tamagni o Guillaume de Marcillat, mentre aggiungevano alla bottega un bagaglio di conoscenze polivalenti, dall'architettura alla scultura, personalità come Lorenzo Lotti[35].
Giovan Francesco Penni fu un vero e proprio factotum della bottega, capace di imitare i modelli del maestro alla perfezione, tanto che è difficile distinguere la sua migliore produzione grafica da quella di Raffaello; la sua scarsa inventiva però lo resero una figura di secondo piano dopo la scomparsa del maestro.[35]
L'allievo più conosciuto e quello capace poi di avere la migliore carriera artistica indipendente fu Giulio Romano, che dopo la morte del maestro si trasferì a Mantova diventando uno dei massimi interpreti del manierismo italiano.
Un altro allievo affermato fu Perin del Vaga, fiorentino dallo stile elegante e accentuatamente disegnativo, che dopo il Sacco di Roma si trasferì a Genova dove ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione locale del linguaggio raffaellesco.
Altri artisti che ebbero poi una carriera indipendente di successo furono Polidoro da Caravaggio, Alonso Berruguete e Pedro Machuca[35].
Sanzio collaborò anche con numerosi incisori come Marcantonio Raimondi, Agostino Veneziano, Marco Dente e Ugo da Carpi a cui affidò la realizzazione di stampe tratte da propri dipinti o disegni, assicurando una grande diffusione alla propria opera figurativa.
Nelle Stanze Leone X non fece altro che confermare a Sanzio il ruolo che aveva sotto il suo predecessore.
La terza Stanza, poi detta dell'Incendio di Borgo, fu incentrata sulla celebrazione del pontefice in carica attraverso le figure di suoi omonimi predecessori, quali Leone III e IV.
La lunetta più famosa, nonché l'unica col consistente intervento diretto del maestro, è quella dell'Incendio di Borgo (1514) in cui iniziano ormai ad essere evidenti i debiti verso il dinamismo turbinoso degli affreschi di Michelangelo, reinterpretati però con altri influssi, fino a generare un nuovo "classicismo", scenografico e monumentale, ma dotato anche di grazia e armonia[36].
Le imprese che distolsero il Sanzio dall'esecuzione materiale degli affreschi nella terza Stanza furono essenzialmente la nomina a sovrintendente della basilica vaticana dopo la morte di Bramante (1 agosto 1514) e quella degli arazzi per la Cappella Sistina. Leone X desiderava infatti legare anche il proprio nome alla prestigiosa impresa della Cappella pontificia, facendo decorare l'ultima fascia rimastra libera, il registro più basso dove si trovavano i finti tendaggi e dove decise di far tessere a Bruxelles una serie di arazzi da appendere in occasione delle liturgie più solenni[36].
La prima notizia sulla commissione risale al 15 giugno 1515.
Raffaello, trovandosi a confronto direttamente coi grandi maestri del Quattrocento e soprattutto con Michelangelo e la sua sfolgorante volta, dovette aggiornare il proprio stile, adattandosi anche alle difficoltà tecniche dell'impresa che prevedevano la stesura di cartoni rovesciati rispetto al risultato finale, la limitazione della gamma cromatica rispetto alle tinture disponibili dei filati e il dover rinunciare ai dettagli troppo minuti, preferendo grandi campiture di colore[36].
Nei sette su dieci cartoni conservati oggi al Victoria and Albert Museum di Londra si nota come il Sanzio seppe superare tutte queste difficoltà, semplificando la determinazione dei piani in profondità e scandendo con maggiore forza l'azione grazie a una netta contrapposizione tra gruppi e figure isolate e ricorrendo a gesti eloquenti, di immediata leggibilità, all'insegna di uno stile "tragico" ed esemplare[36].
Nonostante la velocità e l'efficienza della bottega, la notevole consistenza degli aiuti e l'eccellente organizzazione lavorativa, la fama di Raffaello andava ormai ben oltre le reali possibilità di soddisfare le richieste e molte commissioni, anche importanti, dovettero essere a lungo rimandate o inevase.
Le clarisse di Monteluce di Perugia dovettero aspettare circa vent'anni prima di ottenere una pala con l'Incoronazione della Vergine commissionata nel 1501-1503 circa e dipinta solo dopo la morte dell'artista da Giulio Romano su disegni appartenenti alla gioventù del maestro.
Il cardinale Gregorio Cortesi provò nel 1516 a chiedergli affreschi per il refettorio del convento di San Polidoro a Modena[37], mentre l'anno successivo Lorenzo duca d'Urbino, nipote del papa, avrebbe voluto che l'artista disegnasse il suo profilo da battere nelle monete del ducato[38].
Isabella d'Este non riuscì mai ad ottenere un "quadretto" di mano di Raffaello per il suo studiolo[37], né vi riuscì suo fratello Alfonso per i camerini d'alabastro: nonostante il versamento di un acconto e le ripetute insistenze degli ambasciatori ferraresi alla corte pontificia (ai quali Raffaello arrivò anche a fingersi impegnato pur di non riceverli), alla fine il Trionfo di Bacco dovette essere dipinto da Tiziano[38].
Nel frattempo però il marchese aveva ricevuto numerosi cartoni e disegni di Raffaello per non perderne le grazie[38].
Quando Raffaello decise di accettare l'incarico di soprintendente ai lavori nella basilica vaticana, il più importante cantiere romano, egli aveva già alle spalle alcune esperienze in questo campo. Le stesse architetture dipinte, sfondo di tante celebri opere, mostrano un bagaglio di conoscenze che va al di là del consueto apprendistato di un pittore[39].
Già per Agostino Chigi aveva curato le cosiddette "Scuderie" di villa Farnesina (distrutte, ne resta solo il basamento su via della Lungara) e la cappella funeraria in Santa Maria del Popolo. Inoltre aveva atteso alla costruzione della piccola chiesa di Sant'Eligio degli Orefici. In queste opere si nota un reimpiego di motivi derivati dall'esempio di Bramante e di Giuliano da Sangallo, coniugati con suggestioni dell'antico, all'insegna di una notevole originalità[39].
La Cappella Chigi ad esempio riproduce in piccolo la pianta centrale dei quattro piloni angolari di San Pietro, ma aggiornati a modelli antichi come il Pantheon e tendenzialmente decorati con maggiore ricchezza e vivacità, con connessioni armoniose alle strutture architettoniche[39].
Nel novembre 1515 dovette partecipare a Firenze alla gara per la facciata di San Lorenzo, vinta poi da Michelangelo[37].
La storiografia artistica ha a lungo trascurato la portata e l'influenza di Raffaello architetto, riscoprendolo solo dopo la grande mostra del 1984.
Fu così che Raffaello si dedicò al cantiere di San Pietro con entusiasmo, ma anche con un certo timore, come si legge dal carteggio di quegli anni, per la dimensione dei suoi slanci che vorrebbero eguagliare la perfezione degli antichi. Non a caso si fece fare da Fabio Calvo una traduzione del De architectura di Vitruvio, rimasta inedita, per poter studiare direttamente il trattato e utilizzarlo nello studio sistematico dei monumenti romani[41].
Sebbene i lavori procedessero con lentezza (Leone X era infatti molto meno interessato del suo predecessore al nuovo edificio), suo fu il fondamentale contributo di ripristinare il corpo longitudinale della basilica, da innestare sulla crociera avviata da Bramante[39].
Nella progettazione Raffaello utilizzò un nuovo sistema, quello della proiezione ortogonale (dice: l'architetto non ha bisogno di saper disegnare come un pittore, ma di avere disegni che li permettono di vedere l'edificio così com'è), abbandonando la configurazione prospettica del Bramante. Da una pianta attribuita a Raffaello si distingue una navata di cinque campate, con navate laterali, che viene posta davanti allo spazio cupolato bramantesco; i pilastri che presentano doppie paraste sia verso la navata maggiore sia verso le navate laterali; vi si vede la facciata costituita da un ampio portico a due piani.
Le fondazioni dei piloni si mostrarono insufficienti; per questa ragione si decise di posizionare le pareti (quelle più sollecitate dal carico) più vicine ai piloni della cupola. L'ordine gigante della crociera proseguiva sui pilastri del transetto, e le colonne tra i pilastri formavano un ordine minore.
Raffaello non aveva alcuna intenzione di modificare la cupola di Bramante: l'aspetto esterno della chiesa sarebbe stato dominato dal sistema trabeato all'antica, composto cioè da sostegni verticali e architravi orizzontali senza l'uso di archi. Sia nei deambulatori che sulla facciata, colonne libere o semicolonne addossate alla muratura sostengono una trabeazione dorica.
Antonio da Sangallo il Giovane, successore di Raffaello (1520), espose però i difetti del progetto di Raffaello in un famoso memoriale.
Raffaello progettò (secondo Vasari) il palazzo Branconio dell'Aquila per il protonotario apostolico Giovanbattista Branconio dell'Aquila, demolito poi nel Seicento per fare spazio al colonnato del Bernini di fronte a San Pietro. La facciata aveva cinque campate, ispirate a Palazzo Caprini di Bramante, ma si distaccava dal modello del maestro.
Il pianterreno ad esempio doveva essere affittato a botteghe e non era di bugnato, ma articolato da un ordine tuscanico che incorniciava arcate cieche. Al piano superiore abbandonò gli ordini classici, rompendo così la tradizione da Palazzo Rucellai, e fu superata anche la tradizionale distinzione chiara tra elementi portanti e parti di riempimento.
Altri palazzi quasi certamente furono progettati da Raffaello, con l'aiuto della sua bottega, che comprendeva Giulio Romano, sono il Palazzo Jacopo da Brescia ed il Palazzo Alberini.
P
alazzo Vidoni Caffarelli, nonostante sia stato attribuito per molto tempo a Raffaello, non fu progettato personalmente dal maestro, ma sicuramente da un suo allievo, probabilmente Lorenzo Lotti, e rispecchia comunque un modello e uno stile riferibile non solo a Raffaello ma anche a Bramante.
A Sanzio è attribuito, secondo anche quanto riportato dal Vasari, anche il progetto di Palazzo Pandolfini a Firenze, avviato dal 1516, dove però sovrintese i lavori Giovanfrancesco da Sangallo e poi Bastiano da Sangallo, detto Aristotile.
Non è chiaro se il palazzo, insolitamente a due soli piani invece dei tre canonici, sia incompleto o no.
Un altro progetto, destinato a trovare grande risonanza e sviluppi per tutto il Cinquecento, fu quello incompiuto di Villa Madama alle pendici del Monte Mario, iniziata nel 1518 su incarico di Leone X e del cardinale Giulio de' Medici.
L'impostazione rinascimentale della villa venne rielaborata alla luce della lezione dell'"antico", con forme imponenti e una particolare attenzione all'integrazione tra edificio e ambiente naturale circostante.
Attorno al cortile centrale circolare si dovevano dipartire una serie di assi visivi o di percorso, in un susseguirsi di logge, saloni, ambienti di servizio e locali termali, fino al giardino alle pendici del monte, con ippodromo, teatro, stalle per duecento cavalli, fontane e giochi d'acqua[39].
Delicatamente calibrata è la decorazione, in cui si fondono affreschi e stucchi ispirati alla Domus Aurea e ad altri resti archeologici scoperti in quell'epoca[42].
L'opera venne sospesa all'epoca di Clemente VII e danneggiata durante il Sacco di Roma.
In Villa Madama si trova la stessa insistenza sulle visuali interne, come nella Cappella Chigi, e la medesima rinuncia a un sistema strutturale che governi tutto l'insieme, come nel palazzo Branconio dell'Aquila.
Nessun edificio precedente aveva riprodotto così esattamente la funzione e le forme degli antichi modelli romani: struttura e ornamento si fondono insieme.
« Quanta calcina di è fatta di statue et d'altri ornamenti antichi? » |
(Raffaello, Lettera a Leone X) |
Sotto il pontificato di Leone X, Sanzio ricevette anche l'incarico di custodia e registrazione dei marmi antichi, che lo portò a condurre un attento studio delle vestigia, per esempio esaminando le strutture e gli elementi architettonici del Pantheon come nessuno aveva fatto fino a quel momento.
Il progetto più coinvolgente e ambizioso in questo settore fu quello di redigere una pianta di Roma imperiale, che richiese la messa a punto di un procedimento sistematico di rilievo e di rappresentazione ortogonale.
L'ausilio venne fornito da uno strumento munito di bussola, descritto in una lettera al papa, che venne redatta con Baldassarre Castiglione e in cui si trova anche una famosa, appassionata espressione di ammirazione per la cultura romana classica.
La volontà di misurarsi con essa non poteva prescindere dall'esigenza di conservarne i resti, lamentandosi per le distruzioni, non tanto quelle dei barbari, ma di quelle dovute all'incuria e alla superficialità dei precedenti pontefici, arrivando a perdere l'immagine e la memoria stessa della Roma antica.
Il tema del "paragone de li antichi" divenne centrale nelle opere degli ultimi anni del Sanzio, sia come rivivere dei miti, sia nel raggiungimento della perduta perfezione formale.
In opere come la Loggia di Psiche o le grottesche della Stufetta o della Loggetta del cardinal Bibbiena viene elaborato un sistema di decorazione "all'antica", evocato da stucchi e affreschi nello stile della Domus Aurea (scoperta qualche anno prima), fino alla ripresa di tecniche come l'encausto o la pittura compendiaria con tocchi rapidi ed essenziali, ravvivati da lumeggiature.
Le Logge che decorano la facciata del palazzo niccolino in Vaticano, avviate da Bramante, vennero proseguite da Raffaello, sia nell'esecuzione che nella decorazione.
Sanzio arricchì l'articolazione delle pareti e coprì le campate con volte a padiglione, che permisero alla sua bottega di disporre di piani più vasti per la decorazione pittorica.
Quest'ultima, avviata nel 1518, vide l'opera di un folto numero di assistenti, e comprendeva una sessantina di storie dell'Antico e Nuovo Testamento, tanto che venne chiamata la "Bibbia di Raffaello"[45].
Nel 1516 il cardinale Giulio de' Medici mise su una sorta di competizione tra i due più grandi pittori attivi in Roma, Raffaello e Sebastiano del Piombo (alle cui spalle stava l'amico Michelangelo), ai quali richiese una pala ciascuno da destinare alla cattedrale di Narbona, la sua sede vescovile.
Raffaello lavorò piuttosto lentamente all'opera, tanto che alla sua morte era ancora incompleta e vi mise sicuramente mano Giulio Romano nella parte inferiore, anche se non si conosce in quale misura.
La sua opera riguardava la Trasfigurazione di Cristo, che era fusa per la prima volta con l'episodio evangelico distinto della Guarigione dell'ossesso[46].
Opera dinamica e innovativa, con uno sfolgorante uso della luce, mostra due zone circolari sovrapposte, legate da molteplici rimandi di mimica e gesti.
Forza drammatica è sprigionata dal contrasto tra la composizione simmetrica della parte superiore e la concitata gestualità e le dissonanze di quella inferiore, raccordandosi però sull'asse verticale fino all'epifania divina, che scioglie tutti i drammi[46].
Raffaello morì il 6 aprile 1520, a soli 37 anni, nel giorno di Venerdì Santo. Secondo Vasari la morte sopraggiunse dopo quindici giorni di malattia, iniziata con una febbre "continua e acuta", causata secondo il biografo da "eccessi amorosi", e infelicemente curata con ripetuti salassi.
Uno dei testimoni del cordoglio suscitato dalla morte dell'artista è Marcantonio Michiel, che in alcune lettere descrisse il rammarico "d'ogn'uno et del papa" e il dolore dei letterati per il mancato compimento della "descrittione et pittura di Roma antiqua che'l faceva, che era cosa bellissima".
Inoltre non mancò di sottolineare i segni straordinari che si avverarono come alla morte di Cristo: una crepa scosse il palazzo vaticano, forse per effetto di un piccolo terremoto, e i cieli si erano agitati[38].
Scrisse Pandolfo Pico della Mirandola a Isabella d'Este che il papa, per paura, "dalle sue stantie è andato a stare in quelle che feze fare papa Innocentio"[47].
Si tratta di un leit motiv dei contemporanei del Sanzio che, all'apogeo del suo successo, lo consideravano tanto "divino" da paragonarlo a una reincarnazione di Cristo.
Come lui era morto di Venerdì santo e a lungo venne distorta la sua data di nascita per farla coincidere con un altro Venerdì santo. Lo stesso aspetto con la barba e i capelli lunghi e lisci scriminati al centro, visibili ad esempio nell'Autoritratto con un amico, ricordavano da vicino l'effigie del Cristo, come scrisse Pietro Paolo Lomazzo: la nobiltà e la bellezza di Raffaello "rassomigliava a quella che tutti gli eccellenti pittori rappresentano nel Nostro Signore".
Al coro di lodi si unì Vasari, che lo ricordò "di natura dotato di tutta quella modestia e bontà che suole vedersi in colore che più degli altri hanno a certa umanità di natura gentile aggiunto un ornamento bellissimo d'una graziata affabilità".
Nella camera ove egli morì era stata appesa, alcuni giorni prima della morte, la Trasfigurazione e la visione di quel capolavoro generò ancora più sconforto per la sua perdita.
Scrisse Vasari a tal proposito:
La quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l'anima di dolore a ognuno che quivi guardava.
La sua scomparsa fu salutata dal commosso cordoglio dell'intera corte pontificia.
Il suo corpo fu sepolto nel Pantheon, come egli stesso aveva richiesto.
Pietro Bembo, scrittore umanista suo amico, compose per lui questo epitaffio:
ILLE HIC EST RAPHAEL TIMUIT QUO SOSPITE VINCI RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI | Qui giace quel Raffaello, da cui, vivo, Madre Natura temette di essere vinta e quando morì, [temette] di morire [con lui]. |
Leonardo da Vinci era già più che trentenne quando Raffaello nacque, ma la sua fama di pittore innovativo e capace di esiti straordinari era ancora ben viva quando Sanzio decise di recarsi a Firenze, per ammirare, tra l'altro, la sua Battaglia di Anghiari.
L'influenza di Da Vinci, del suo modo di legare le figure in composizioni armoniche caratterizzate da schemi geometrici, e del suo sfumato fu una delle componenti fondamentali del linguaggio raffaellesco, anche se venne rielaborata con esiti completamente diversi.
Opere come la Madonna del Belvedere mostra una composizione piramidale derivata da Leonardo, ma è del tutto assente il senso di mistero e l'inquietante carica di allusioni e suggestioni del pittore di Vinci, sostituiti da un sentimento di calma e spontanea familiarità[49].
Sicuramente l'esempio di Leonardo inculcò nel giovane la volontà di superare le sterili repliche di modelli di repertorio (come era solito fare il Perugino), in favore di una continua rielaborazione e studio organico di tutte le figure e del paesaggio, spesso rilevato dal vero, per favorire una rappresentazione più naturale e credibile.
Lo stesso Vasari testimoniò come al giovane Raffaello "piacendogli la maniera di Leonardo più che qualunque altra avesse veduta mai, si mise a studiarla", distaccandosene però a poco a poco, verso uno stile pienamente proprio[49].
Resta ad esempio una copia della Leda col cigno leonardesca di mano del Sanzio.
Da Vinci fu a Roma nel 1514-1516 e qui ebbe sicuramente modo di venire in contatto con Sanzio, il maggior pittore alla corte papale.
Non c'è notizia di contatti diretti tra i due, né di commissioni pittoriche a Da Vinci in quel periodo, però opere di Raffaello di quegli ultimi anni mostrano un rinnovato interesse per l'arte di Leonardo, anche quella vista magari un decennio prima.
Ad esempio nella Perla del Prado lo schema riprende quello della Vergine delle Rocce, mentre nella Trasfigurazione alcune figure riprendono direttamente quelle di Leonardo nell'Adorazione dei Magi.
Sanzio fu molto attratto dalle novità di Buonarroti (tra i due correvano circa otto anni di differenza), arrivando a trasferirsi a Firenze proprio per ammirare, tra l'altro, il suo cartone per la Battaglia di Cascina.
Una volta arrivato, Sanzio poté studiare con attenzione il monumentale David marmoreo di piazza della Signoria, dal quale trasse alcuni disegni particolareggiati.
Alcune Madonne del periodo fiorentino risultano influenzate dalle sculture del Buonarroti, come il Tondo Pitti o il Tondo Taddei e, cosa piuttosto strana, la Madonna di Bruges, che non uscì dalla bottega dell'artista se non per essere spedita in gran segreto nelle Fiandre.
Forse, tramite l'intercessione del suo maestro Perugino, Raffaello era riuscito ad accedere dove molti fiorentini non poterono.
L'ammirazione per Michelangelo si trasformò in un vero e proprio scontro artistico al tempo del soggiorno a Roma.
Probabilmente non furono i due interessati a schierarsi volontariamente contro, ma il clima fortemente competitivo della corte papale, surriscaldato probabilmente da Bramante, che cercava di tirare l'acqua al proprio mulino screditando il fiorentino Buonarroti e promuovendo invece il suo conterraneo Raffaello.
Le risorse papali, per quanto immense, non erano comunque infinite e Bramante, impegnato nella difficile impresa della ricostruzione di San Pietro fece mettere in secondo piano il progetto della tomba di Giulio II, dando avvio a quelle vicende della "tragedia della sepoltura", che lo avrebbero tormentato per quarant'anni. Scrisse infatti Michelangelo in una tarda lettera.
«Tutte le discordie che nacquono tra papa Julio e me, fu l'invidia di Bramante et di Raffaello da Urbino [...] et avevane bene cagione Raffaello, che ciò che aveva dell'arte, l'aveva da me»[52].
Bramante, a giudicare da lettere e testimonianze, cercò spesso di mettere Buonarroti in cattiva luce, forse preoccupato del suo straordinario talento e dall'interesse che suscitava nel papa, trovando in Sanzio, suo malgrado, un alleato.
Ad esempio a causa della scarsa pratica del Buonarroti nella tecnica dell'affresco tentò di far affidare la volta della Cappella Sistina al Sanzio.
La rivalità tra Sanzio e Buonarroti portò presto al nascere di veri e propri schieramenti, con sostenitori dell'uno e dell'altro, ai quali si aggiunse Sebastiano del Piombo, preso sotto la protezione del Buonarroti.
Nonostante i toni anche aspri della contesa, Sanzio dimostrò di essere interessato alle novità di Michelangelo negli affreschi della volta della Cappella Sistina.
Oltre a includere un suo ritratto nella Scuola d'Atene, in opere successive allo scoprimento della volta si notano riferimenti ben eloquenti a Michelangelo, come nel Profeta Isaia, lodato dallo stesso Buonarroti, o nell'Incendio di Borgo, dove i corpi muscolosi in tumultuoso movimento rimandano direttamente al suo esempio.
Un nuovo momento di scontro sorse quando Giulio de' Medici decise di affidare due grandi pale d'altare a Sebastiano del Piombo e Raffaello.
Scrisse Leonardo Sellaio al Buonarroti:
«Ora mi pare che Raffaello metta sottosopra el mondo perché lui [Sebastiano] non la facia, per non venire a paraghoni» (19 gennaio 1517). Michelangelo disegnò di sua mano le figure principali della pala di Sebastiano (la Resurrezione di Lazzaro) e i due artisti in ballo ritardarono la consegna dell'opera per non svelarsi prima al rivale.
Alla fine Sanzio morì, lasciando la celebre Trasfigurazione, completata dai suoi allievi.
In definitive Sanzio si mosse sempre in modo da assimilare il meglio da chi aveva a portata d'occhio, fosse la ricchezza cromatica di un veneziano, la dolcezza di da Vinci o il dinamismo di Buonarroti.
Ammirando e imitando in tempi diversi, senza mai seguire gli esisti estremi delle poetiche altrui ma piegandole alla propria sensibilità, Sanzio si pose come figura di mediazione, esempio per il futuro e terzo personaggio nell'ideale triade dei grandi "geni" del Rinascimento[53].
Sanzio ebbe una sincera e profonda ammirazione per l'arte dell'incisione, e sono documentate alcune opere di Albrecht Dürer che egli teneva esposte nella sua bottega.
Egli arrivò a inviare un suo discepolo, Baviero de' Carrocci detto il Baviera, per mettersi in contatto con Marcantonio Raimondi, incisore bolognese attivo a Roma, allievo del Francia e influenzato da Dürer. A lui affidò il compito di riprodurre in serie una cospicua quantità di dipinti e disegni del Sanzio, favorendone la straordinaria diffusione[54].
Vasari riportò come Raffaello fosse stato non solo consapevole ma in un certo senso promotore di questa lucrosa attività del Raimondi, spingendolo a vendere le riproduzioni a stampa a prezzi accessibili, per una platea molto ampia, rispetto alla ristretta cerchia dei facoltosi committenti che si garantivano le opere dell'urbinate.
Tale mercato ebbe un'enorme successo, in Italia e all'estero, arrivando a rappresentare uno dei maggiori veicoli di diffusione della Maniera moderna in Europa, rendendo noti le iconografie e gli schemi compositivi su cui si formarono intere generazioni di artisti.
Sanzio fu uno dei pittori più influenti della storia dell'arte occidentale.
La sua ripresa dei temi michelangioleschi, mediati dalla sua visione solenne e posata, fu uno degli input fondamentali del manierismo.
Gli allievi della sua bottega ebbero frequentemente carriere indipendenti in più corti italiane ed europee, che diffusero ovunque la sua maniera e i suoi traguardi.
Senza le opere monumentali della fase romana è impensabile il "classicismo" del secolo successivo, al tempo stesso aggraziato e magniloquente, dei Carracci, di Guido Reni, di Caravaggio, Rubens e Velázquez.
Modello imprescindibile ancora nella fase delle accademie sette-ottocentesche, fece da fonte di ispirazione a maestri anche molto diversi come Ingres e Delacroix, che trassero da lui spunti differenti.
Nel corso del XIX secolo la sua opera ispirò ancora importanti movimenti, come quello dei Nazareni e quello dei Preraffaelliti, questi ultimi interessati alla sua estetica giovanile, legati a un'arcadica rievocazione del Quattrocento e del primissimo Cinquecento italiano, prima appunto del "Raffaello classicista"
- Madonna del Granduca, 1504, olio su tavola, 84x55 cm, Firenze, Galleria Palatina
- Volta, 1508
Primo moto, 120x105 cm
Virtù e la Legge, 1511, base 660 cm
1511-1514, ciclo di affreschi, Vaticano, Musei Vaticani
1511-1512, base 750 cm
1512, base 660 cm
1513
base 660 cm
L'Incontro di Attila e Leone Magno
1514
base 750 cm
- Ritratto di Giulio II, 1511, olio su tavola, 108,7x81 cm, Londra, National Gallery
Ciclo di affreschi, Vaticano, Musei Vaticani
360x400 cm
345x535 cm
PALAZZO PITTI
Firenze.
Madonna della Rosa, 1518, olio su tela, 103x84 cm, Madrid, Museo del Prado
La Fornarina, 1518-1519, olio su tavola, 85x60 cm, Roma,
Galleria nazionale d'arte antica di
Palazzo Barberini
Vaticano, Musei Vaticani
Vaticano, Musei Vaticani, perduti
Galleria Estense
Vaticano, Musei Vaticani
Vaticano, Pinacoteca Vaticana
Già negli ultimi anni di vita Raffaello fu più un appaltatore di lavori per la sua bottega che un pittore nel senso stretto; produceva solitamente i disegni e cartoni per opere che venivano eseguite dai suoi assistenti. Per questo le sue idee continuarono a essere eseguita anche dopo la sua morte.
Battaglia di Costantino contro Massenzio
Battesimo di Costantino
Donazione di Roma
- Incoronazione di Monteluce, 1524-1525, olio su tavola,
Roma, Pinacoteca vaticana
Roma (la facciata è stata rifatta nel Seicento)
basilica di Santa Maria del Popolo
Roma
1513
Firenze
dal 1514 al 1520,
Vaticano
Palazzo Apostolico,
Vaticano
Roma
Roma
1516
Roma
Roma
Roma
Altro
Onorificenze
A Raffaello Sanzio è stato dedicato l'asteroide 9957 Raffaellosanti.Dal 1997, Raffaello Sanzio venne raffigurato sulla banconota da 500.000 lire italiane, in corso fin quando l'Italia adottò l'euro.
Inoltre a Raffaello Sanzio è stato dedicato l´aeromobile di lungo raggio Alitalia Airbus A330-202, registrato EI-EJG. http://www.planespotters.net/Production_List/Airbus/A330/1123,EI-EJG-Alitalia.php
Nel 1943 Enrico Guazzoni realizzò il film La Fornarina dove l'artista venne interpretato dal pittore Walter Lazzaro.
Note
Che nel 1483 corrispondeva al giorno 28 marzoGiorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, Vita di Raffaello da Urbino, Firenze 1568.
- ^ a b c d Franzese, cit., pag. 10.
- ^ a b c Franzese, cit., pag. 12.
- ^ www.electaweb.it in raffaello e urbino.
- ^ Per Vasari, Pietro Perugino, «preso il putto, non senza molte lagrime della madre, che teneramente l'amava, lo menò a Perugia»
- ^ Santi, cit., pag. 323.
- ^ a b c Franzese, cit., pag. 13.
- ^ Franzese, cit., pag. 14.
- ^ a b De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 158.
- ^ a b c d e f Franzese, cit., pag. 15.
- ^ De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 159.
- ^ De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 159.
- ^ a b De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 190.
- ^ Gloria Fossi, Uffizi, Giunti, Firenze 2004, pag. 366. ISBN 88-09-03675-1
- ^ a b G. Vasari, Vita di Raffaello
- ^ a b c De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 191.
- ^ a b Franzese, cit., pag. 17.
- ^ a b Franzese, cit., pag. 18.
- ^ a b Franzese, cit., pag. 19.
- ^ a b c Franzese, cit., pag. 20.
- ^ a b De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 192.
- ^ Franzese, cit., pag. 21.
- ^ Franzese, cit., pag. 22.
- ^ Franzese, cit., pag. 23.
- ^ a b Franzese, cit., pag. 24.
- ^ a b c d Franzese, cit., pag. 25.
- ^ a b c d e f Franzese, cit., pag. 256.
- ^ La fonte è Vasari.
- ^ a b c De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 207.
- ^ De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 209.
Un particolare interessante a proposito della donna di Raffaello, riportato dal Vasari e da altri storici, è che -alla morte del Maestro- Margherita si ritirò nel monastero romano di S.Apollonia, ove rimase fino alla morte a dimostrazione del grande amore che l'aveva legata al pittore.
- ^ a b De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 208.
- ^ a b c d e f Franzese, cit., pag. 142.
- ^ a b c d De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 2010.
- ^ a b c d De Vecchi, cit., pag. 83.
- ^ a b c d De Vecchi, cit., pag. 83.
- ^ a b c d e De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 211.
- ^ Franzese, cit., pag. 143.
La traduzione, una delle prime conosciute, di cui esistono due redazioni manoscritte, riporta la seguente intestazione: "...tradocto di latino in lingua e sermone proprio e volgare da Messere Fabio Calvo ravennate, in Roma in casa di Raphaello di Giovan de Sancte da Urbino e a sua instantia...": vd. F. Di Todaro, Vitruvio, Raffaello, Piero della Francesca, in Annali di Architettura n. 14, 2002.
- ^ Franzese, cit., pag. 29.
- ^ Frommel, Ray, Tafuri (a cura di), Raffalello architetto, 1984
- ^ De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 212.
- ^ a b De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 213.
- ^ a b De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 217.
- ^ a b Franzese, cit., pag. 138.
- ^ Cit. in De Vecchi-Cerchiari, pag. 217.
- ^ a b Franzese, cit., pagg. 139-140.
- ^ Dell'opera si era persa la memoria in Toscana, tanto che neanche Vasari la citò.
- ^ Franzese, cit., pag. 139.
- ^ Franzese, cit., pag. 142.
- ^ Franzese, cit., pag. 140.
- ^ a b Franzese, cit., pag. 147.
- ^ Franzese, cit., pag. 149.
Bibliografia
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Bette Talvacchia, Raffaello, Londra, Phaidon, 2007
Le logge di Raffaello:
L'antico, la Bibbia, la bottega, la fortuna,
Milano, Jaca Book-LEV-Musei Vaticani 2008
Raffaello e la devozione lauretana, Toscana Oggi, Settembre 2009
Raffaello e Urbino.
La formazione giovanile e i rapporti con la città natale,
Milano, Electa, 2009
Raphaël. Les dernières années, Musée du Louvre (11.10.2012-14.01.2013), Paris, Hazan, 2012
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