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Friday, August 26, 2011

Garibaldi: drama per musica in tre atti

Luigi Speranza


Il 4 luglio 1807 nasceva in Francia Joseph-Marie, l’Eroe dei Due Mondi: Italia e Uruguay.

I libri di scuola tendono a censurare gli aspetti del personaggio che non si adattano al mito risorgimentale costruito su di lui.


Ma ora, anche da Internet, vengono fuori rivelazioni sorprendenti.

Ci basta oggi fare una ricerca su Internet, e scopriamo un Garibaldi “scomodo” che i nostri libri di scuola non ci hanno raccontato quando eravamo studenti.

Uno alla volta, vengono fuori particolari inaspettati, contraddittori e sorprendenti della sua vicenda sui quali anche gli attuali manuali di storia preferiscono generalmente sorvolare.


Per esempio, si tende a sottacere che:

l’Eroe dei Due Mondi, simbolo principale del Risorgimento italiano, nacque “cittadino francese”, nella città di Nizza che nel 1807 era già da 15 anni
annessa alla Francia;

Il suo nome di battesimo non era “Giuseppe” ma “Giuseppe Maria”, registrato nell’atto di nascita come “Joseph-Marie”.

In Sud-America aveva fatto anche il corsaro, catturando e depredando
navi mercantili e i relativi passeggeri con la scusa di partecipare ad una guerra;

In Brasile, Uruguay e Argentina aveva combattuto non “per la libertà dei popoli” ma in sporche guerre civili, al servizio ora del latifondista brasiliano Bento Gonçalves ora del generale golpista uruguayano Fructuoso Rivera;

Ad onta della devozione religiosa di quella “santa donna” di sua madre, si spinse a professare un feroce anti-clericalismo e addirittura il proposito di distruggere con il papato l’intera Chiesa cattolica.

Era massone fin dal 1844, e nel 1864 divenne Gran maestro della Massoneria italiana.

Praticava lo spiritismo e nel 1863 accettò la presidenza onoraria di una società spiritica veneziana che si definiva "atea".

Era un “tombeur de femmes”, un donnaiolo, con preferenze anche in età matura per le “giovinette” (dalla diciottenne Anna Ribeiro, sedotta nel 1839, alla diciassettenne Giuseppina Raimondi, nel 1859, alla quindicenne Francesca Armosino,
nel 1867).

Perfino i suoi “sponsor” Giuseppe Mazzini e Vittorio Emanuele II arrivarono
ad esternare giudizi sprezzanti su di lui.

L'annessione del Sud

Sentite che cosa scrisse quel re a Cavour, da Napoli, dopo che l’Eroe gli aveva
consegnato il regno borbonico:

“Come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene, siatene certo, questo personaggio non è affatto docile, né così onesto
come lo si dipinge e come voi stesso ritenete.

Il suo talento militare è molto modesto, come proval’affare di Capua [la cosiddetta
Battaglia del Volturno, ndr], e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il denaro dell’erario, è da attribuire certamente a lui
che s’è circondato di canaglie, ne ha seguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa”

da Antonio Pagano, Due Sicilie, 1830-1880, Capone Editore 2002].

Vittorio Emanuele non esagerava, come documenta Giuseppe Ressa nel saggio “I 62 giorni di Garibaldi e il saccheggio di Napoli” (consultabile nel sito
www.ilportaledelsud.org): tra le “canaglie” a cui si riferiva, c’erano i "boss" della camorra napoletana, preposti al mantenimento dell’ordine pubblico.


IN SUD-AMERICA - In Brasile, Uruguay e Argentina l'Eroe dei Due Mondi non combatté
"per la libertà dei popoli", come fece credere la sua propaganda, ma in sporche guerre civili (in cui si sgozzavano i prigionieri e si saccheggiavano le città),
al servizio ora del latifondista brasiliano Bento Gonçalves ora del generale golpista uruguayano Fructuoso Rivera.

Ma l’aspetto più grave che non viene messo in luce, nei testi di scuola, è la responsabilità esclusiva di Garibaldi riguardo all’

annessione incondizionata
del regno meridionale al regno
sabaudo (premessa alla sua “colonizzzione”
o “piemontizzazione”), contro il parere
dei “democratici” che proponevano
l’elezione di un’assemblea incaricata
di trattare le condizioni dell’unificazione.

Fu lui, infatti, ad imporre con i suoi poteri di “dittatore” che si tenesse il 21 ottobre 1860 un plebiscito secco per il "sì" o per il "no".

E fu lui, poi, a disertare la causa della “rivoluzione meridionale”,
assumendo l’atteggiamento dell’offeso che rifiutava ogni carica pubblica e si
ritirava come un Cincinnato a Caprera, dopo che il sovrano piemontese
gli aveva negato le funzioni di vicerè dei territori conquistati.

Un mito mondiale

Sta di fatto che Garibaldi riuscì a diventare un mito vivente di grande successo mondiale, incarnando la figura dell’eroe romantico, ribelle e cittadino del mondo, dell’uomo dotato di virtù straordinarie e soprannaturali, del combattente coraggioso
e disinteressato per la libertà dei popoli, privo quasi di connotazioni politiche, che aveva posto la sua vita al servizio di un ideale.

Folle enormi gli tributarono entusiastiche accoglienze al suo arrivo a Londra nel 1864.

Il suo nome e il suo carisma gli garantirono, a partire dal 1859, l’acquisizione di consistenti donazioni di denaro, soprattutto dall’estero, e spinsero migliaia di volontari ad arruolarsi per combattere con lui.

Su come ciò sia potuto avvenire, ha indagato a lungo una studiosa inglese (irlandese), n. 1962, Lucia Riall, che ora cerca di spiegarlo nel volume “Garibaldi -L’invenzione di un eroe” (Laterza 2007), ricostruendo
l’accorta strategia comunicativa perseguita fino alla morte dal Nizzardo con l’aiuto
compiacente della stampa internazionale, l’uso propagandistico nazionalista
che ne fece Mazzini, le fantastiche biografie romanzate scritte su lui da Alexandre Dumas e da altri autori popolari, che ebbero una notevole diffusione in tutta Europa, negli Stati Uniti, nell’America del Sud, persino in Australia, e infine la sua “santificazione” e il culto “religioso” della sua personalità implementati
dalla classe dirigente unitaria al fine di sacralizzare il Risorgimento dell’Italia laica.


Per il link con il seguito di questo articolo
L'ARMA SEGRETA DEI MILLE?
LA CORRUZIONE
clicca qui sopra
sull'immagine di garibaldini con prigionieri
borbonici al Volturno, del Museo del Vittoriano.
Foto di Nicola Bruni


La conclusione a cui è giunta Lucia Riall è che il mito di Garibaldi, al quale venne attribuita da giornalisti e scrittori una personalità immaginaria, ”fu un prodotto appositamente costruito e attentamente gestito”, ma al suo successo contribuì
molto il fascino personale e l’aspetto fisico attraente dell’Eroe.

Anche i suoi sdegnosi ritiri a Caprera, ammantati di disinteresse per il potere
e di silenziosa protesta, facevano parte di quella strategia comunicativa
che Garibaldi curava intensamente dedicando molto tempo ai rapporti
personali ed epistolari con la stampa italiana e internazionale.

Garibaldi fu iniziato alla Massoneria nel 1844, a Montevideo.

Nel 1860 a Palermo fu nominato Gran Maestro della Massoneria siciliana.

Nel 1864 a Firenze fu eletto Gran Maestro della Massoneria italiana.

Nel 1881 fu insignito della suprema carica di Gran Hyerophante del Rito di Memphis e Misraim.

Fu in stretti rapporti con le logge massoniche britanniche e statunitensi che contribuirono a finanziare la Spedizione dei Mille.

Eroe "immaginario"

Riall osserva che il mito di Garibaldi, inventato dal repubblicano Mazzini,
osannato dai nazionalisti liberali, finanziato (con finalità anti-cattoliche)
dalla Massoneria anglo-sassone, usato a proprio vantaggio dalla monarchia
sabauda, fu fascistizzato da Mussolini nel Ventennio, repubblicanizzato
dalle “Brigate” anti-fasciste italiane “Garibaldi” nella guerra civile spagnola
del 1936-39, comunistizzato dalle “Brigate” comuniste “Garibaldi” che combatterono
nella Resistenza in Italia e Iugoslavia dal 1943 al 1945, e preso a simbolo
elettorale del fronte socialcomunista nelle elezioni politiche del 1948.

Nei decenni del governo democristiano, su Garibaldi, depurato del suo “estremo
anticlericalismo” (accuratamente “occultato alla vista dell’opinione pubblica”)
e assurto a padre fondatore dell’

Italia repubblicana

(nonostante i suoi trascorsi monarchici),

si costruì un consenso generale, perché dopo la guerra perduta gli italiani avevano bisogno di riconoscersi in un grande eroe nazionale.

Negli anni Ottanta del Novecento, due diversi leader politici, Giovanni Spadolini
e Bettino Craxi, “fecero a gara nel riproporre la sua figura sulla base
delle personali immagini idealizzate
che ne avevano, rispettivamente
come simbolo delle virtù repubblicane
e fondatore del socialismo italiano”.

Più recentemente, anche Carlo Azeglio Ciampi si è adoperato per rinfrescarne
il mito.

E il 4 luglio 2007, Fausto Bertinotti, presidente della Camera,
intervenendo in Parlamento alla cerimonia commemorativa
del bicentenario della nascita
di Garibaldi, è arrivato a collocarlo
addirittura

“in prima fila nelle iniziative
per […] l’abolizione della pena di morte”.

In realtà, quel “discepolo di Cesare Beccaria” - come ebbe a definirsi -
decretò, lui stesso, per due volte

l’istituzione della pena di morte:
il 5 luglio 1849 in Toscana,
durante la fuga da Roma
del suo esercito di volontari,
allorché giustiziò personalmente
un suo subordinato sorpreso a rubare;
e il 28 maggio 1860 in Sicilia,
per i colpevoli di furto, saccheggio
e violenze, tra i quali successivamente
furono individuati e fucilati cinque
“capri espiatori” della rivolta contadina
di Bronte [cfr. Alfonso Scirocco,
Garibaldi -Battaglie, amori, ideali
di un cittadino del mondo, Laterza 2001].

Ritratto di Garibaldi vecchio e malato
a Caprera, eseguito dal vero
il 28 maggio 1882, 40 giorni prima
della morte, da Gaetano Bortignoni
(Roma, mostra al Vittoriano).
Foto di Nicola Bruni

"Repubblicano"-"monarchico"

La polivalenza politica del mito di Garibaldi è dovuta, in larga misura,
all’ambiguità del suo pensiero e alla contraddittorietà del suo curriculum.

Tanto che, ad un certo punto, Pippo Mazzini lo accusò di “opportunismo”.

In effetti, l’Eroe è stato un "repubblicano-monarchico"
“subalterno” al re Vittorio Emanuele II,
un democratico dittatoriale
e anti-parlamentare ma favorevole
al suffragio universale,
un guerrafondaio-pacifista,
un nazionalista cosmopolita,
un meridionalista-nordista,
un socialista amico dei possidenti,
un “rivoluzionario disciplinato”.

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"O Roma o morte"
giuramento spergiuro

Questa lapide, posta sulla facciata
di un edificio in Piazza Bra' a Verona,
ricorda che Garibaldi da quella casa
l'8 marzo 1867 salutò il popolo
giurando "Roma o morte"
(foto di Nicola Bruni).

Otto mesi dopo, Garibaldi, al comando
di un esercito di circa 10.000 volontari
invase lo Stato Pontificio da Terni
al grido di "Roma o morte",
ma non riuscì a provocare
una sollevazione popolare
e, dopo aver conquistato Mentana,
fu sconfitto a Monterotondo
dalle truppe pontificie e francesi
(3 novembre 1867).

Nella fallita impresa trovarono la morte
alcune centinaia di "garibaldini",
ma l'Eroe di "Roma o morte"
salvò la propria vita
scappando oltre confine.

Garibaldi ritratto nel 1860 da Saverio
Altamura (Roma, mostra al Vittoriano.
Foto di Nicola Bruni

A CAPRERA - "La quasi totale segregazione
gli consentì di coltivare varie relazioni
intime con una serie di ricche e colte donne,
più o meno contemporaneamente
e in modo del tutto riservato: dapprima
una relazione con

Emma Roberts

...;
poi un'amicizia intima con

Jessie White

...;
quindi una relazione con la contessa italiana

Maria Della Torre

... In seguito ebbe una lunga
storia d'amore con la scrittrice tedesca,
la baronessa

Speranza von Schwarz...

Nello stesso periodo, Garibaldi ebbe anche
rapporti sessuali con la sua governante
di Caprera,

Battistina Ravello,

dalla quale
nella primavera del 1859 ebbe una figlia, Anna"
(da L. Ryall, Garibaldi - L'invenzione di un eroe,
Laterza 2007).

I soli a non avere appigli per tirarselo
dalla propria parte, sono i cattolici,
poiché Garibaldi, fin dalle vicende
della Repubblica romana del 1849,
maturò un odio crescente ed assoluto
per il papa Pio IX (da lui definito
“un metro cubo di letame”),
i preti e la Chiesa cattolica.

Mascherò quell’odio, di deferenza
verso il clero e le tradizioni religiose
dei siciliani e dei napoletani, solo
durante la cosiddetta Spedizione
dei Mille.

Ma poi riprese le invettive
contro la Chiesa. Nel 1869 aderì
ad un Anticoncilio, riunito a Napoli
in contrapposizione al Concilio
Vaticano I. Nel 1880 lanciò lo slogan
“I preti alla vanga”, per il loro impiego
forzato nella bonifica delle terre.

Infine, nel suo “testamento politico”,
Garibaldi dichiarò di rifiutare
“il ministero odioso, disprezzevole
e scellerato d’un prete che considero
atroce nemico del genere umano
e dell’Italia in generale”.

Un giudizio quanto meno ingeneroso
verso quei preti che erano stati
al suo fianco in varie imprese
(come il francescano Giovanni
Pantaleo, cappellano dei Mille),
o che si erano fatti ammazzare
per seguirlo (come il barnabita Ugo Bassi,
cappellano dei garibaldini a Roma,
fucilato dagli austriaci a Bologna nel 1849)
o che lo avevano aiutato in momenti
difficili (come don Giovanni Verità,
parroco di Modigliana in Romagna,
che lo soccorse e nascose in casa sua
nell’agosto del 1849).

Ritratto di Garibaldi dal vero eseguito
a carboncino il 12 febbraio 1875
da Tranquillo Cremona - Roma, Vittoriano.
Foto di Nicola Bruni

Gli occhi di Garibaldi erano castani, ma molti suoi intervistatori e biografi
li descrissero come "azzurri".

A diffondere il suo mito contribuì il romanziere francese Alexandre Dumas,
che ne fece un super-moschettiere.

Astemio a Marsala

Tra gli aneddoti curiosi meno conosciuti sulla vita di Garibaldi, c’è che era astemio.

Perciò, sbarcato a Marsala, non poté godere dell’omonimo, prelibato, vino locale.

Per leggere inforcava gli occhiali,
ma li faceva sparire quando si metteva
in posa per i ritratti ufficiali.

Ad un’amica confidò che la prima moglie,

Anna, era gelosissima, e lo minacciava
con due pistole: “una da scaricare
contro di me, l’altra contro la rivale”.
Durante la fuga dell’agosto 1849,
in Romagna, ricorse al trasporto
di un mulattiere papalino
soprannominato “Pio IX” che chiamava
uno dei suoi muli

“Garibaldi”:
vent’anni dopo, a Caprera, ricambiò
la cortesia insultando con l’appellativo
di

“Pio Nono” uno dei suoi somari
[cfr. A. Scirocco, opera citata].

Una battuta su di lui spiega che
indossava preferibilmente il poncho,
come i gaucho della pampa argentina,
per non essere “tirato dalla giacchetta”…
ma non ci riuscì.

Nicola Bruni
da LA TECNICA DELLA SCUOLA
5 ottobre 2007
(testo aggiornato il 2 maggio 2010)

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Pio IX vituperato da Garibaldi
e beatificato da Giovanni Paolo II


Statua del papa Pio IX - Roma, Scala Santa.
Foto di Nicola Bruni.

«In mezzo agli eventi turbinosi
del suo tempo, egli fu esempio
di incondizionata adesione al deposito
immutabile delle verità rivelate.
Fedele in ogni circostanza
agli impegni del suo ministero,
seppe sempre dare il primato assoluto
a Dio ed ai valori spirituali.
Il suo lunghissimo pontificato non fu
davvero facile ed egli dovette soffrire
non poco nell'adempimento della sua
missione al servizio del Vangelo.
Fu molto amato, ma anche odiato
e calunniato. Ma fu proprio in mezzo
a questi contrasti che brillò più vivida
la luce delle sue virtù: le prolungate
tribolazioni temprarono la sua fiducia
nella divina Provvidenza,
del cui sovrano dominio
sulle vicende umane egli mai dubitò».

Giovanni Paolo II

nel discorso per la beatificazione di Pio IX
(3 settembre 2000)







Le immagini di Garibaldi inserite in questa pagina sono tratte da una mostra per il bicentenario della sua nascita allestita a Roma nel museo del Vittoriano
(foto di Nicola Bruni).



Le saline di Marsala
Foto di Nicola Bruni


Nei libri di scuola generalmente si evita di dire che Garibaldi in Sud-America aveva fatto il corsaro, che era massone e ferocemente anticlericale,
che voleva distruggere con il papato l'intera Chiesa cattolica,
che fu lui a decidere con i suoi poteri di "dittatore" l'annessione
incondizionata del regno del Sud a quello sabaudo
(contro chi voleva trattare le condizioni per l'unificazione),
e che poi disertò la causa della "rivoluzione meridionale"
assumendo l'atteggiamento dell'offeso,
perché il sovrano sabaudo gli aveva rifiutato
le funzioni di viceré dei territori conquistati.
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