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Friday, August 26, 2011

Garibaldi: The Opera

Luigi Speranza

La vera storia della Spedizione di Garibaldi trasformata in "storiella" dai libri di testo ad uso degli studenti nelle scuole

L'arma segreta dei Mille? La corruzione?

Il realtà la travolgente vittoria delle Camicie rosse fu comprata con la corruzione di ministri, generali e ammiragli borbonici, che determinò il prodigioso "squagliamento" dell'esercito delle Due Sicilie, forte di 100 mila uomini ben armati, e della più potente flotta da guerra del Mediterraneo

Sullo sfondo, Piazza
Pretoria a Palermo.
Al centro, la lapide
celebrativa di Garibaldi
posta sulla facciata
del Municipio di Palermo
in Piazza Pretoria.
Foto di Nicola Bruni

Era davvero una bella storia, quella che ci avevano fatto studiare a scuola, da ragazzi, sull’Impresa dei Mille di Garibaldi.

Ogni volta, la sua rievocazione mi riempiva di entusiasmo patriottico.

Sono rimasto perciò deluso quando, in età matura, ho appreso
che quella “storia” era in realtà una “storiella”, perché la “liberazione” dell’Italia meridionale dal dominio borbonico non si era svolta in maniera così “eroica” come ce l’avevano raccontata.

La versione ufficiale dei fatti tramandata
dai testi scolastici è largamente smentita
perfino dal libro di un grande ammiratore
dell’Eroe dei Due Mondi, lo storico
napoletano Alfonso Scirocco,
“Garibaldi - Battaglie, amori,
ideali di un cittadino del mondo”
(ed. Laterza 2001), indicato come
testo di riferimento dal comitato
per le celebrazioni del bicentenario
della sua nascita nel sito
www.garibaldi200.it.

Catania, Porta Garibaldi,
già Porta Ferdinandea, 1768
(foto di Nicola Bruni)

I "Mille" sbarcati a Marsala furono l'avanguardia di altri 20 mila soldati
trasportati in Sicilia con navi sabaude

Quell’autore riconosce che i “Mille”
sbarcati a Marsala l’11 maggio 1860,
e ai quali si aggiunsero un migliaio
di “picciotti” volontari reclutati
nell’isola, furono solo l’avanguardia
di successive spedizioni navali
con circa 20.000 uomini e cospicui
rifornimenti di armi, giunte in Sicilia
sotto scorta della flotta sabauda.

D’altra parte, ammette il fallimento
della coscrizione obbligatoria decretata
da Garibaldi per tutti i siciliani
dai 17 ai 50 anni, che rifiutarono
in massa di presentarsi, e la scarsa
affluenza di volontari dal napoletano.

Poi Scirocco, pur sostenendo che
il successo dell’impresa nell’isola
“è dovuto all’abilità di Garibaldi,
all’eroismo dei volontari,
all’insofferenza dei siciliani
per il dominio borbonico”,
non può far a meno di registrare
una serie di strane ritirate
delle truppe nemiche (a cominciare
da Marsala, poco prima dello sbarco)
e di facili capitolazioni di fortezze
(per “incapacità dei generali”),
e di riferire che dopo il passaggio
dello Stretto di Messina l’Eroe
non incontrò più alcuna seria resistenza nell’avanzata verso Napoli,
dove poté permettersi di arrivare
comodamente in treno,
senza il suo esercito al seguito,
addirittura su invito del ministro
dell’Interno borbonico, Liborio Romano,
che aveva voltato gabbana.



La conquista del regno borbonico
fu completata dai piemontesi
4 mesi dopo il ritiro di Garibaldi

Inoltre, ci informa che Garibaldi
non riuscì a conquistare tutto il regno
di Napoli, perché dopo la battaglia
del Volturno (1° ottobre 1860),
l’ultima combattuta dal suo “esercito
meridionale” (con perdite superiori
a quelle degli avversari, 1900 tra morti,
feriti e prigionieri contro 1300),
restavano inespugnate le fortezze
di Capua e Gaeta, mentre il grosso
delle truppe borboniche, circa 50.000
uomini, si era raccolto nelle province
di Terra di Lavoro, Molise e Abruzzi,
dove Francesco II aveva l’appoggio
delle popolazioni.

A quel punto, l’Eroe, resosi conto
che l’esercito del Borbone, epurati
i traditori, “era un avversario troppo
forte per i suoi volontari”, si sarebbe
piegato a “cedere il passo a Vittorio
Emanuele II”. Quindi, a completare
l’opera (nel febbraio del 1861)
fu l’armata piemontese, sopraggiunta
al comando dei generali Fanti e Cialdini.
Quest’ultimo, il 20 ottobre 1860
(sei giorni prima dell’incontro
di Teano), “aveva sbaragliato
il generale borbonico Scotti Douglas”
al Macerone “e si era aperto
il passo verso il Volturno”.

Ancora dal libro di Scirocco, salta fuori
che nell’ottobre 1860 un giornale
“democratico” di Genova, Il Movimento,
sostenne che una notevole somma
era stata data riservatamente
da Vittorio Emanuele a Garibaldi:




Napoli (S. Maria della Catena), la tomba
di Francesco Caracciolo, ammiraglio
della Repubblica partenopea del 1799,
fatto impiccare al pennone di una nave
da Orazio Nelson, il quale poi ne ebbe
in premio da Ferdinando I di Borbone
la Ducea di Bronte. Per difendere i diritti
di proprietà sulla Ducea degli eredi inglesi
di Nelson dalle rivendicazioni dei contadini,
Garibaldi mandò Bixio a reprimere
nel sangue la rivolta di Bronte.
Foto di Nicola Bruni






La spiaggia di Marsala
(foto di Nicola Bruni)

“una notizia ghiotta - commenta
lo storico - che non ci risulta
né confermata né smentita”
(come dire che fu tacitamente
confermata). E ciò in coincidenza
con la costruzione di una nuova
casa per l’Eroe a Caprera.

L'oro della Massoneria inglese
al massone italiano Garibaldi
per distruggere il Papato

Al pari di altri storici, il professor Scirocco,
che insegna Storia del Risorgimento
all’Università Federico II di Napoli,
non azzarda neppure il sospetto
che l’Impresa dei Mille possa essere
stata facilitata dalla corruzione
delle forze armate borboniche:
sospetto che farebbe ricadere
su Garibaldi l’accusa di essere stato,
direttamente o indirettamente,
un corruttore e comprometterebbe
il mito delle sue vittorie.
Di probabile corruzione dei capi
dell’esercito nemico, parlò invece,
in un convegno di studi storici
della Massoneria piemontese
svoltosi a Torino nel 1988
(e di cui sono stati pubblicati gli atti),
il professor Giulio Di Vita, trattando
il tema del “Finanziamento della
Spedizione dei Mille” [cfr. Vittorio
Messori, “Ripensare la storia”,
ed. San Paolo 1992]. Quello storico
della Massoneria, scartabellando
in archivi inglesi, aveva scoperto
che nel 1860 al massone Garibaldi,
per l’invasione della Sicilia, fu
segretamente versata in piastre d’oro
turche una somma equivalente a tre
milioni di franchi francesi,
pari a “molti milioni di dollari di oggi”,
da emissari del governo di Londra,
presieduto dal massone lord Palmerston.
A che scopo? Secondo Di Vita,
il sostegno della Gran Bretagna
a Garibaldi (che dalla Sicilia voleva
marciare su Roma) era finalizzato
a "colpire il Papato nel suo
centro temporale, cioè l’Italia,
agevolando la formazione
di uno Stato protestante e laico”.

Non a caso lo sbarco dei Mille avvenne
a Marsala, allora una sorta di feudo
britannico, sotto la protezione di due
navi da guerra inglesi; e proprio su una
nave inglese nel porto di Palermo fu
firmata la resa dei borbonici in Sicilia.

A che cosa servì tutto quel danaro?
“E’ incontrovertibile - afferma Di Vita -
che la marcia trionfale delle legioni
garibaldine nel Sud venne immensamente
agevolata dalla subitanea conversione
di potenti dignitari borbonici
alla democrazia liberale. Non è assurdo
pensare che questa illuminazione
sia stata catalizzata dall’oro”.


Stemmi borbonici siciliani
(foto di Nicola Bruni)

I nomi dei borbonici corrotti
nei diari dell'ammiraglio piemontese
Persano, fiduciario di Cavour

L’accusa si fa più documentata nel libro
di Angela Pellicciari “I panni sporchi
dei Mille” (ed. Liberal 2003)
e nel saggio di Giuseppe Ressa
“Il Sud e l’unità d’Italia” (consultabile
nel sito www.ilportaledelsud.org),
che citano i diari del contrammiraglio
piemontese Carlo Pellion di Persano
(pubblicati nel 1990) come prova
testimoniale dell’opera di corruzione
perpetrata da quel personaggio
tra gli alti ufficiali dell’esercito
e della flotta di Francesco II.
Persano poteva attingere ad un fondo
segreto di un milione di ducati
(pari a 16 milioni di euro attuali)
del quale rispondeva a Cavour.
Ai collaborazionisti si garantivano
anche assunzione e carriera nelle forze
armate del futuro Regno d’Italia.

Tra i presunti corrotti, Ressa annovera
il generale Landi, che “regalò”
ai garibaldini la vittoria di Calatafini
ordinando la ritirata delle sue truppe
mentre stavano prevalendo
in battaglia; il generale Lanza,
che rendendo inoffensivi i suoi
21.000 uomini, permise a Garibaldi
di conquistare Palermo; il ministro
borbonico della Guerra, Pianell,
e il comandante della guarnigione
di Messina, Clary, che bloccarono
l’invio di rinforzi al valoroso colonnello
Bosco impegnato nella battaglia
di Milazzo; i comandanti della flotta
delle Due Sicilie, che, fingendosi
distratti, non intervennero a impedire
prima l’afflusso nell’isola di 20.000
“volontari” su navi sabaude e poi
il passaggio attraverso lo Stretto
dell’esercito garibaldino; infine,
il generale Ghio, che a Soveria Mannelli
in Calabria si arrese senza combattere,
pur disponendo di 10.000 uomini,
e così lasciò le province meridionali
senza difesa fino a Salerno.

Dunque, la corruzione dei vertici
militari della controparte sarebbe
stata l’arma segreta che consentì
ai "Mille" di Garibaldi di provocare
lo “squagliamento” di un esercito
ben armato di 100.000 soldati
e della più potente flotta
da guerra del Mediterraneo,
al costo umano di appena 78 morti
tra i 1089 volontari iniziali.

La Spedìzione dei Mille
fu organizzata dal governo di Cavour
e Garibaldi ne fu il leale esecutore


La Spedizione dei Mille non solo ebbe
l’approvazione del re Vittorio Emanuele II,
ma fu anche segretamente organizzata
e finanziata dal governo di Cavour che,
mentre finse di ostacolarla per ragioni
diplomatiche, le preparò il terreno con
una costosissima “campagna acquisti”
di ministri, ammiragli e generali borbonici.

In sostanza, fu una guerra non dichiarata
di espansione territoriale del regno
dei Savoia (più che di “unificazione”
tra Nord e Sud d’Italia).
Garibaldi ne fu il leale esecutore:
partì da Quarto con il grado di generale
dell’esercito regio, ne indossò l’uniforme
quando si presentò a Talamone
per rifornirsi di armi, e quando a Palermo
salì su una nave inglese per trattare
la resa delle truppe borboniche
[cfr. A. Scirocco, opera citata];
assunse la “dittatura” e ogni atto
del suo governo, in Sicilia e a Napoli,
in nome di Vittorio Emanuele II
“re d’Italia”; impose il plebiscito
per l’annessione incondizionata
del regno meridionale allo Stato
sabaudo, come voleva Cavour;
infine, consegnò disciplinatamente
i territori conquistati al re,
suo mandante, e tolse il disturbo.

Peraltro, il “furto” con “arrembaggio”
delle due navi della compagnia Rubattino
di Genova, su cui si imbarcarono i Mille,
fu una sceneggiata che - in rapporto
alla meta della Spedizione - potremmo
definire “napoletana”. Entrambe erano
state acquistate con un contratto
segreto stipulato a Torino la sera
del 4 maggio 1860, presso il notaio
Baldioli, tra Rubattino e Giacomo Medici
in rappresentanza di Garibaldi.
Garanti del debito, per il successivo
pagamento, erano Vittorio Emanuele
e Cavour, secondo gli accordi conclusi
il giorno prima tra Rubattino
e funzionari dei servizi segreti piemontesi.
Poi, il debito fu estinto con
il trasferimento a Genova
e la consegna a Rubattino dell’intera
flotta siciliana Florio [cfr. Antonio
Pagano, “Due Sicilie, 1830-1880”,
Capone Editore 2002].

Le terre demaniali della Sicilia
rimasero ai nobili "gattopardi"
per i quali non cambiò nulla

C’è da aggiungere, fuori del mito, che
Garibaldi si “comprò”, da un lato,
il favore dei contadini siciliani
con la promessa di distribuzione
delle sole terre demaniali
(che invece restarono nelle mani
dei baroni latifondisti) e, dall’altro,
l’appoggio dei nobili “gattopardi”
dell’isola con la garanzia che
per loro non sarebbe cambiato nulla.

Da che parte stava effettivamente
il “dittatore” della Sicilia “liberata”,
lo si vide quando scrisse di suo pugno -
come racconta Scirocco - l’ordine
di inviare “immediatamente una forza
militare a sopprimere i disordini”
di Bronte che minacciavano
“la proprietà inglese”.
Si trattava di difendere la Ducea
degli eredi di Orazio Nelson
[notizie dal sito www.bronteinsieme.it],
un vero e proprio feudo di quasi 15.000
ettari che i Borbone avevano donato
al celebre ammiraglio britannico
come premio per aver stroncato
la rivoluzione napoletana del 1799.

Con quell’intervento, affidato
al “pugno di ferro” di Nino Bixio,
Garibaldi intese ricambiare
la protezione ricevuta da “codesti
Signori dell’Oceano”… anche se esso
gli comportò una bruttissima deroga
ai “sacri princìpi” di libertà
e di indipendenza della patria
dallo straniero.

Nicola Bruni
da La Tecnica della Scuola
5 novembre 2007
(testo aggiornato il 2 maggio 2010)

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Il plebiscito truccato


Lapide celebrativa del plebiscito
di annessione della Sicilia al regno sabaudo,
posta sulla facciata del Municipio
di Palermo in Piazza Pretoria
(foto di Nicola Bruni).

In realtà, per quel plebiscito in Sicilia
non si è mai saputo il numero
degli aventi diritto al voto,
su una popolazione di 2.400.000
abitanti, né quanti di essi si astennero.
Furono resi noti solo i risultati ufficiali:
su 432.720 voti totali,
432.053 "sì" e 667 "no".

Un "no" cancellato

Nel romanzo "Il Gattopardo",
Giuseppe Tomasi di Lampedusa
racconta la rabbia repressa
del guardiacaccia del principe
di Salina, don Ciccio Tumeo, che,
avendo votato "no" a Donnafugata,
si era visto cancellato il suo voto
dal risultato ufficiale dello scrutinio:
"Iscritti 515; votanti 512;
'sì' 512; 'no' zero".
"Io, Eccellenza, avevo votato 'no'.
'No', cento volte 'no'... e quei porci
in Municipio s'inghiottono la mia
opinione, la masticano e poi la cacano
trasformata come vogliono loro.
Io ho detto nero
e loro mi fanno dire bianco!".








Palermo, Martorana
e chiesa di San Cataldo
(foto di Nicola Bruni)




DON LORENZO MILANI: "I NOSTRI MAESTRI CI HANNO INGANNATO"

"Quando andavamo a scuola noi, i nostri maestri, Dio li perdoni,
ci avevano così bassamente ingannati. Alcuni, poverini, ci credevano
davvero: ci ingannavano perché erano stati a loro volta ingannati…
A sentir loro tutte le guerre erano ‘per la Patria’…

I nostri maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana
e cioè che gli eserciti marciano agli ordini della classe dominante.
In Italia fino al 1880 aveva diritto di voto solo il 2 per cento della popolazione.
Fino al 1909 il 7 per cento. Nel 1913 ebbe diritto di voto il 23 per cento,
ma solo metà lo seppe o lo volle usare.
Dal ’22 al ’45 il certificato elettorale non arrivò più a nessuno,
ma arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose…
Allora l’esercito ha marciato solo agli ordini di una classe ristretta…

I nostri maestri non ci dissero che nel 1866 l’Austria ci aveva offerto
il Veneto gratis. Cioè che quei morti erano morti senza scopo.
Che è mostruoso andare a morire e uccidere senza scopo…

Ho rispetto per quelle infelici vittime.
Proprio per questo mi parrebbe di offenderle se lodassi
chi le ha mandate a morire e poi si è messo in salvo".
---
Don Lorenzo Milani, lettera ai giudici del Tribunale di Roma
che lo processavano per apologia di reato (aveva sostenuto
il diritto all'obiezione di coscienza) nell'ottobre 1965.
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