Grice e Vinadio: la ragione conversazionale della
prassi ed il valore – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Grice: “Of course, Vinadio is bound
to be a good dialectician, since Italian neo-idealists take Hegel’s Dialektik –
or colloquenza, as the count prefers – much more seriously than the most
Hegelian of Oxonians! (And I don’t mean Bradley!”) -- Grice: “I like Vinadio; but then I’m English
and we like an earl!” – “My favourite of his tracts is the one about dialettica
which he understood just as Plato did, only better!” -- Felice Balbo di
Venadio, conte di Venadio, vide, “Il conte di Vinadio” --. Considerato una delle voci più significative della
filosofia italiana e un intellettuale impegnato in un vasto progetto di ri-fondazione
della filosofia politica nell'immediato secondo dopoguerra. Figlio di Enrico
Balbo di V., naque in via Bogino 8, nel palazzo che e del conte Cesare Balbo,
ministro di casa Savoia. Dopo la laurea, partecipa alla seconda guerra mondiale,
prima come sottufficiale degll’apini, poi come membro della resistenza. Come
consulente d’Einaudi cura una collana di filosofia. Insegna filosofia a Roma. Si
raccolge attorno a lui un gruppo di filosofi per discutere sulla crisi dei
valori nella società e sui modi di superarla mediante l'impegno sociale. Il suo
impegno trova espressione inoltre con i contributi alle riviste “Cultura e
realtà” e “Terza generazione”. Vicino all’organizzazioni della sinistra e al partito
comunista, comprende come il mutamento centrale della società e avvenuto nel
rapporto tra lavoro umano e tecnica. Assunto all'IRI presso il Servizio
problemi del lavoro. Si interessa di formazione del personale. Direttore del
Centro IRI per lo studio delle funzioni direttive aziendali. Saggi: “L'uomo
senza miti”; “Il laboratorio dell'uomo”; “Studi in memoria di SOLARI [vide] dei
discepoli” (Torino, Ramella); “La sfida storica del comunismo al cristianesimo
e le sue conseguenze filosofiche” (Mulino); “Idee per una filosofia dello
sviluppo umano” (Torino, Boringhieri); “Opere” (Torino, Boringhieri)’ “Essere e
progresso”; “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); “Lettere a Ludovica”; Archinto. Boringhieri,
“Per un umanesimo scientifico. Storia di libri, di mio padre e di noi” (Torino,
Einaudi); Cavalieri, “Scienza economica e umanesimo positivo. la critica della
ragione economica” (Milano, Angeli); Tassani, “La Terza Generazione: tra stato
e rivoluzione” (Roma, Lavoro); Tassani, “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); Invitto,
“Una filosofia pragmatica dello sviluppo” (Mulino, Bologna); Invitto, “Di
fronte a fenomenologia ed esistenzialismo” (Salentina, Lecce); Invitto, “Una
questione aperta, "Italia contemporanea", Dizionario storico del
movimento cattolico in Italia: i protagonisti” (Marietti, Torino); Grotti (Boringhieri,
Torino); Grotti, “Un altro futuro è possible” (Egeria); Possenti, “La filosofia
dell'essere” (Vita e Pensiero, Milano); “Tra filosofia e società” (Angeli,
Milano); Invitto, “Il superamento delle ideologie” (Roma, Studium); Ricci, “Cattolici
e marxismo: filosofia e politica” (Milano, Angeli); Dal marxismo ad economia umana”
(Brescia, Morcelliana); “La prassi e il valore: la filosofia dell'essere” (Roma,
Aracne); “Il cristianesimo nella sfida della “modernità” su storia e futuro” --
Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Filosofi italiani del XX secolo Insegnanti italiani Professore. IOVANNI
INVITTO Le idee di Felice Balbo Una filosofia pragmatica dello sviluppo IL
MULINO CAPITOLO SETTIMO L'istanza manageriale L'uscita dal PCI non
determina l'ingresso di Balbo in schieramenti alternativi, ma lo porta ad
assumere una azione di fiancheggiamento, di « compagno di strada » per alcune
forze interne allo schieramento cattolico, in chiara antitesi alla linea
degasperiana 1. Nel '51 è Dossetti ad avvicinarsi a Balbo e a subire la sua in
fluenza e nel senso della visione della « catastrofe » del sistema e nel
rifiuto delle tesi maritainiane, fino ad allora costante ideologica degli
intellettuali cattolici di sinistra 2. L'accostamento Dos- setti-Balbo è stato
importante in quanto, nel momento della dissoluzione del gruppo dossettiano, il
suo leader, ma solo per una breve stagione, ha pensato di poter avere nel
pensiero balbiano una integrazione teorica 3. Ben presto t Non ritengo di
condividere nella sostanza quanto afferma Giura Longo: « Il Balbo, invece [di
Rodano], segui altre strade, giungendo a farsi ispiratore di un gruppo di
intellettuali democristiani, attraverso la rivista ` Terza generazione ' che ha
dato qualche contributo (si pensi ad un Morlino) sul piano dell'impegno
politico dell'attuale gruppo diri- gente democristiano » (La sinistra cattolica
in Italia. Dal dopoguerra al Referendum - Storia documentaria, a cura di R.
Giura Longo, Bari, 1975, p. 31). teli sembra che sia, piuttosto, un gruppo di
intellettuali cat- tolici, anche impegnati nella D.C., ad interessarsi al
pensiero di Balbo (che allora era ad una chiara svolta) ed a tentare di
annetterlo e di mu- tuarlo. 2 Cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., pp. 352-53,
359-60. Nel convegno di Merano (agosto 1951) dei giovani democristiani, la
mediazione del pen- siero di Balbo, portata da Baget-Bozzo, « consenti di
ristabilire alla diri- genza giovanile DC quell'unità di linguaggio che lo
scioglimento del dossettismo aveva posto in crisi. La presenza in politica dei
cattolici ` in quanto tali ' era giustificata dal fatto che la Chiesa aveva
conservato la filosofia perenne e, quindi, il principio della ripresa culturale
e civile ». Si ebbe, cosí, il superamento del maritainismo portato da Lazzati
(Ibidem, p. 369). 3 Se « Cronache Sociali » si era interessata a Balbo (cfr. A.
Romanò, op. cit.; S. Lombardini scrive che Dossetti « personalmente ancora nel
1945 ebbe occasione di esprimere [a Padre Stefano Bianchi] simpatie per la
sinistra cristiana » op. cit., p. 37) anche i cattolici-comunisti si erano 139 Dalla
rivoluzione alla collaborazione inventiva Dossetti si accorge che il tentativo
di filtrare i suoi motivi attraverso quelli balbiani non può avvenire per una
na- interessati alla rivista di Dossetti (dr. P. Pombeni, Le « Cronache So-
ciali » di Dossetti, cit., pp. 161, 225, 231). Anzi possiamo dire che,
soprattutto con La Pira, c'erano stati accostamenti già dal '38 (A. Os- sicini,
a nome del gruppo Roma-Sud di Azione Cattolica, aveva eviden- ziato a La Pira «
l'urgenza di un impegno diretto nell'azione politica, e La Pira ammise che
questo era necessario, anche se le forme di esso era difficile prevederle e
prospettarle. Rispose esplicitamente: ` Fate; comunque, qualcosa uscirà ' »; A.
Cuccchiari, op. cit., pp. 25-26). Il fu- turo sindaco di Firenze prenderà le
distanze « ideologiche » necessarie, criticando i cattolici-comunisti, perché,
secondo lui, il materialismo dia- lettico è « causa » del materialismo storico:
« Ora l'effetto non è mai separabile dalla causa » (G. La Pira, Premesse della
politica, Firenze, 1945, pp. 62-63; riportato da L. Fiorillo, Il fondamenti
teorici dell'im- pegno politico di Giorgio La Pira (1926- 1945), in Novecento
minore, cit., p. 209). Anche su « Cultura e realtà » era stato un dibattito sul
dossettismo, attraverso un intervento di F. Rodano (l'articolo, Laicismo e
Azione cattolica in Italia, n. 2, luglio-agosto 1950, era però firmato da Nino
N o- vacco) e una risposta di Baget-Bonzo (cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., p.
364). Secondo Possenti la diversità fra Balbo e Dossetti è costituita dal fatto
che, mentre il torinese « manteneva aperta la possibilità di una azione civile
sulla base di una cultura rinnovata », Dossetti si stava volgendo verso la tesi
della estraneità del cristiano al civile e verso una visione « panmonastica »
(op. cit., p. 216). Mi sembra, invece, che anche la concezione di Dossetti
monaco recuperi il civile in una sfera più alta. Infine, ricordo a titolo di
testimonianza che Giuseppe Dossetti, in uno scambio di battute avute con me a
Bologna il 5 febbraio 1978, mi diceva che a Balbo era stato legato da profondo
affetto e che Balbo « era stato molto importante in un certo periodo de lla sua
vita ». Ciò non toglie la differenza di temperamento, di cultura, di
problematica tra i due; differenze che sembrano determinanti a chi ha avuto
lunga consuetudine con entrambi (mi riferisco a quanto mi dicevano Mar- cella e
Giuseppe Glisenti). 4 Due storici della sinistra cattolica italiana, pur
partendo da pre- supposti storiografici diversissimi, hanno notato che
l'accostamento fra Dossetti e Balbo (che avrebbero avuto come comune «
preoccupazione apologetica » quella di inserire la Chiesa fra le masse operaie,
anche se proponendo vie alternative; cfr. L. Bedeschi, La sinistra cristiana
ecc., cit., pp. 15-16) non è casuale nelle motivazioni, né nel tempo in cui é
avvenuto. Scrive Campanini: « Nel 1951, infatti, sembra consu- marsi l'illusione,
comune e insieme diversa, di Balbo e di Dossetti. La prima, quella di
condizionare dall'interno il partito comunista italia- no e di potere operare
in esso come cattolici; la seconda, quella di con- dizionare dall'interno la
Democrazia Cristiana e di spostarla nel suo com- plesso a sinistra. L'uscita di
Balbo dal PC e di Dossetti dalla DC appaiono cosí in un certo senso il segno
emblematico de lla conclusione di questa vi- cenda » (G. Campanini, Fede e
politica, cit., pp. 14-15). Lo stesso Campanini ricorda che nel '51 (al
congresso dell'UCIIM tenuto a Camaldoli nel-140 tura diversa dei due
pensieri: da una parte Balbo ribadisce il primato della tecnica filosofica,
dall'altra Dossetti è fer- mo al primato della prassi, mistica o politica 5.In
questa forma di gramscismo balbiano (gli intellet- tuali forza trainante nella
prassi politica) è da ritrovare una chiara eredità della « corrente Politecnico
», relativa al con- cetto di « eccedenza » della cultura sulla politica 6.
All'in- terno della cultura cattolica la posizione di Balbo era di assoluta
novità non tanto perché si contrapponeva ai due integralismi in auge: quello di
destra geddiano, quello di sinistra, dossettiano, come è stato molto «
schematicamen- te » definito '. La novità è costituita da lla pregnanza filo-l'agosto),
Dossetti svolse una relazione che « si può considerare il suo testamento
politico ». In essa, parlò del fascismo come « autobiografia della nazione » e
« sbocco inevitabile del liberalismo », evidenziando « l'accostamento ad alcune
tesi portate avanti in quegli stessi anni da Felice Balbo » (Ibidem, p. 90).Da
testimonianze indirette, si sa che l'ultimo Dossetti, per intender- ci
il.monaco che vive a Gerico, insiste nelle sue prediche sulla situazione di «
catastrofe » della civiltà occidentale. Anche questo concetto, tipica- mente
balbiano, può essere stato acquisito da Dossetti nel periodo del loro
avvicinamento. È utile aggiungere, però, che già nel gruppo dos- settiano era
presente il tema dell'« apocalittica dell'ora decisiva » (che P. Pombeni
riconduce a un clima generale nell'Europa post-bellica; cfr. Il « dossettismo
», cit., p. 131).5 Il tentativo di Dossetti avvenne nell'agosto del '52. Sul
fallimento di questa mossa, scrive Baget-Bozzo: « Probabilmente le tesi di
Balbo gli [a Dossetti] apparvero troppo esclusivamente filosofiche ed
intellettua- li: una causalità assoluta e primaria della filosofia sullo
sviluppo storico non era facile da accettarsi per una persona cosí legata alla
concretezza dell'agire » (Op. cit., p. 356).6 Aveva scritto vittorini a
Togliatti che la cultura che si adegua alle masse è politica, ed è cultura
quella che si impegna nella ricerca: « Ma se tutta la cultura diventa politica,
e si ferma su tutta la linea, e non vi è pii ricerca da nessuna parte, addio »
(Politica e cultura, cit.).7 L'accusa di « integralismo » di sinistra a
Dossetti è di A. Del Noce (Genesi e significato ecc., cit., p. 458) ed è
confutata da G. Baget-Bozzo con argomenti definitivi (op. cit., pp. 361-62).
Anche Pombeni prende chiara posizione contro l'ipotetico integralismo di
Dossetti, aggiungendo che quasi sempre il termine si usa in maniera imprecisa e
generica (Il « dossettismo », cit., pp. 128-29). A proposito del termine «
integra- lismo », spesso usato phi per evitare un giudizio che non per
esprimer- lo in concreto, mi viene in mente ciò che Bobbio ha scritto sul
termine « borghese » e sul suo uso: « Oggi si chiama da alcuni ` borghese '
tutto quello che si vuol respingere. ` Borghese' ha soltanto piú un significato
negativo, è un segno ` non ' posto di fronte a un qualunque sostantivo, e
quindi privo totalmente di contenuto » (N. Bobbio, Politica e cultura, [1955],
'Torino, 1974, p. 68).L'istanza manageriale141 Dalla rivoluzione alla
collaborazione inventivasofica della proposta di Balbo, che non si limita ad
ope- rare all'interno delle masse cattoliche organizzate, ma, de- lineando un
profilo della crisi umana del Novecento, ripro- pone un ribaltamento anzitutto
del progetto filosofico, co- me ritorno al senso comune e, quindi, l'opzione
per una via pragmatica ed anti-utopica allo sviluppo.In questa rifondazione
filosofica ci si è chiesto quale sia stata la prospettiva dominante: se quella
di Maritain o quella di Mounier. Del Noce dice che la sinistra cristia- na
dimostra la sua simpatia prima per Maritain, poi per Teilhard de Chardin, ma aggiunge
che il vero iniziatore della sinistra cristiana è stato Mounier (che sta a
Mari- tain, come Gobetti sta a Croce) s. Ora bisogna dire che per Del Noce,
Mounier è di molto inferiore a Maritain, e Balbo avrebbe di fatto incoraggiato
la diffusione del suo pensiero in Italia 9. Questo è vero solo in parte in
quanto il pensiero di Mounier, assolutamente assente dagli scritti di Balbo, è
invece reperibile in esperienze culturali diverse sin dal '46, da « Il
Politecnico » a « Cronache sociali » 10.Comunque l'accostamento alla
cattolicità ufficiale vede da parte di questa un tentativo di « catturare »
Balbo e di aiutarlo finanziariamente per un programma di elabo- razione di una
« scienza dello sviluppo » 1. Il programma, che impegnerà Balbo fino al '54,
sarà basato su un gruppo di ricercatori di filosofia e di scienze sociali 1`.
La suddi-8 Cfr. A. Del Noce, Pensiero cristiano e comunismo ecc., cit., p. 976.9
« L'interesse [fu] portato sul tanto inferiore Mounier, in cui tut- to c`,
veramente esplicito, senza germe alcuno che abbia bisogno di ma- turare; col
che non intendo dire che Balbo abbia incoraggiato volonta- riamente la fortuna
italiana di Mounier, ma che contribuí, per l'abban- dono dell'aspetto
filosofico-politico del pensiero di Maritain, allo spo- stamento di interesse
verso la sua opera » (A. Del Noce, Genesi e signi- ficato ecc., cit., p. 483).10
Su « Il Politecnico » (n. 31-32, luglio-agosto 1946, pp. 7-8) appare un
articolo di E. Mounier, Agonia del Cristianesimo (il termine « ago- nia » è
preso da M. de Unamuno), con presentazione di F. Fortini (Fr. F.). Su «
Cronache Sociali » nel '49 (n. 10) c'è una intervista a Mou- nier; nel 1951
appaiono due articoli di P. Scoppola, uno sul filosofo francese (n. 6) ed uno
su « Esprit » (n. 9). Questa linea si affianca a quella maritainiana di
Lazzati.11 C. Leonarcli dice che tramite per il finanziamento fu L. Gedda (op.
cit., p. 377).12 La suddivisione fatta da Balbo era in cinque settori che
corrispon- 142 visione rappresenta i settori nei quali la crisi è avvenuta
in maniera globale, e attraverso i quali una ripresa « ri- voluzionaria » può
avvenire. Non è, però, assolutamente il caso di gonfiare l'espediente dei
gruppi (che era piú una metodologia) a sistema. Il pensiero, l'impegno di Bal-
bo negli anni '51-'54 non si risolvono nei « quintetti ». La crisi è per lui
caduta di un rapporto di funzioni nel- l'ambito del sistema sociale globale: il
sistema teoretico deve svolgere funzione di rinnovamento, il sistema etico ha
funzione di sviluppo, quello economico la funzione di innovazione, quello
politico la funzione di movimento, í1 sistema giuridico-statuale la funzione di
conservazione 13. Sulla base di questi schemi ideali (che qualcuno definirà
utopici) si svilupperà una nuova iniziativa-esperienza-ten- tativo cui
partecipa Balbo: « Terza generazione ». Il grup- po balbiano cerca di
conservare una « propria rilevanza pubblica » inserendosi nell'ideazione di
questa rivista men- sile 14. Si è parlato molto, ma si è scritto un po' di meno
su « Terza generazione ». Anzitutto c'è da definire il rapporto con il
degasperismo nell'indirizzo della rivista. Sappiamo già come il distacco tra
Balbo e il PCI non colmi la diffidenza e il rifiuto di Balbo nei confronti de
lle tesi degasperiane. D'altra parte è appurato l'aiuto finan- ziario dato da
De Gasperi a lla rivista, ma meno noto è il disinteresse pratico dello statista
per « Terza genera- zione » 15. La nascita della rivista non fu ritenuta underebbero
a cinque scienze autonome: diritto, economia, sociologia, morale e politica.
Responsabili dei gruppi erano: C. Napoleoni, M. Motta, G. Sebregondi, U.
Scassellati, N. Novacco (cfr. C. Leonardi, op. cit., pp. 377 e segg. e le Note
biografiche in F. Balbo, Opere, pp. XVI-XVII).13 Cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit.,
p. 516. Confrontando lo schema proposto da Leonardi e quello proposto da
Baget-Bozzo, troviamo l'as- similazione tra momento sociologico e momento
teoretico (cfr. C. Leonar- di, op. cit., p. 377).14 Cfr. anche G. Baget-Bozzo,
op. cit., p. 516.15 Claudio Leonardi, che fu redattore nella rivista nella
seconda fase, in una conversazione con chi scrive, nel novembre 1975, diceva
che De Gasperi finanziò la rivista, ma che probabilmente non l'ha mai letta.
L'interesse di De Gasperi per l'iniziativa era stato sollecitato da padre
Delbono (cfr. C. Leonardi, op. cit., p. 398; l'autore riprende L. Garruccio
(pseud. di L. Incisa di Camcrana), La politica era tuttoL'istanza manageriale143 Dalla
rivoluzione collaborazione inventivafatte r, strutturale » ma una iniziativa «
congiunturale », derivata dalle elezioni dei '53, per lo meno a quanto dice uno
dei suoi responsabili ', ma ebbe ambizioni « struttu- rali » e di rifondazione
ideologica. Ciccardini, nel rico- struirsi le fonti, integra le nutrici
balbiane de « Il Poli- tecnico » con alcuni autori cattolici i-`, ma riafferma
la congiuntura catastrofica della realtà 's. Balbo, nell'unico suo scritto
sulla rivista, puntualizza il senso della crisi come crisi del modello di
autosufficienza dell'individuo che andava dalla Grecia a Mara ', e il
riconoscimento del fallimento di tutta la storia 0. La via che Balbo e « Terza
generazione » cercano di perseguire e però una via asso- lutamente nuova
rispetto a quelle tentate da lle altre forzepolitiche, culturali, economiche:
la proposta di una diver- sa classe manageriale.La nuova dirigenza, scrive
Balbo a Ciccardini, deve reggersi sul piano dell'invenzione e non su quello
dello sfruttamento delle doti naturali; « dirigenze sociali » di nuovo tipo
faranno salvi gli indici intellettuali , morali e tecnici dell'intera soviet ì
2t. La dirigenza sociale proposta(Cronache della generazione del '45), in «
L'Europa », VII, 1973, n. 8-9, p. 90).to Cfr. C. Lelnardi, op. cit., p. 37S.17
« Eleggemmo a nostri maestri Maritain e Ferrero, Mounier, Dor- so, Sturzo,
Giobetti e Gramsci «: B. Ciccardini, L.: politica: era tutto, in « Terza
generazione », num. di presentazione, agosto 1953, pp. 1-3. Balbo aveva
scritto: « Dobbiamo rifarci essenzialmente ai nomi di Go- betti e di Dorso e di
Gramsci » (Cultura antifascista, cit., p. 14).is « Se non appare unsi
soluzione. 1a nostri so ìer ì si :ivvi:i :alla disgregazione ed alla catastrofe
» (B. Ci ecirdini, op. cit., p. 3).t^ Cfr. F. Balbo, Le soluzioni stanno ogi
davanti a noi, in « Terza ge- nerazione », num. di presentazione, agosto 1953;
ora in Opere. pp. 533-42, il concetto richiamato è a p.p. S36.20 Balbo
scrivcral in seguito: «Comprendendo la verit:t di Mari si viene a riconoscere
la fine dell'epoca moderna e il fallimento di tutta la storia fino ad oggi se
non si origini uno nuovi storta a livello supe- riore »; in Per la rilevazione
e l,: critica delle: scoperta essenziale d MMfart, in Studi in memoria di G.
Solari, Torino, 1974, pp. 375-9t; orsin Opere, pp. 318-31; il passo cit. ` a p.
330.21 Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, cit., p. 541. Questi
originale identificazione trai imprenditore cd intellettualeun° degli spunti
pití interessanti della proposta bailbiana. intatti, an- che questo il periodo
in cui Balbo tentava a Torino il « Centro dì rela- zionc » c sperimentava in
Irpinia. assieme ad altri ricercatori, tipi cui Achille Ardigò, un nuovo modo
di impostare l'iniziativa agri olai. Quel144 da Balbo è qualcosa di
diverso dall'operatore privato e dall'operatore pubblico, in tal senso è
qualcosa di pii dell'imprenditore di tipo gobettiano, che è sempre l'ope-
ratore privato anche . se aperto all'uso sociale dei suoi beni 2. Ciò che sollecita
questa proposta ultimativa è, ancora una volta, la coscienza di una « crisi
finale » del sistema storico-sociale dominante, cioè quello illuministico-
democratico o individualistico che ha incluso e raggiunto ogni altro sistema. E
come sistema individualistico, Balbo pone anche quello comunista per la sua «
originaria e íne- liminabile ispirazione anarchica » 23. In questo senso, «
Ter-za generazione » nasce dal crollo della generazione prece- dente, quella
resistenziale e antifascista. C'è l'illusione nei giovani redattori de lla
rivista di superare la genera- zione che « aveva dato vita al Politecnico a
Cronache So- ciali ad Iniziativa Socialista » 2'. Invece, per certi versi,
esiste una palese continuità tra questi fatti culturali e, ad- dirittura,
alcune impostazioni redazionali di « Terza ge- nerazione » ricordano
esplicitamente la rivista vittorinia- na. L'ambiguità unanimistica del nuovo
tentativo è chia-periodo é ricordato come quello dei « pomodori ».Tutto ciò ci
dice la fondatezza delle motivazioni di chi ha respintoun appiattimento
teoreticistico del pensiero balbiano (P. Pratesi, Lafilosofia di F. Balbo, in «
L'Avvenire d'Italia », 22-XI-1966, contro l'in-terpretazione di Del Noce).È
anche questo il caso di Penati che, però, critica il ridimensiona-mento
balbiano della teoresi (cfr. Penati, rec. Idee, in « Rivista di Fil.
neoscolastica », 1962, p. 626).22 Gobetti parla di imprenditori nuovi (« i soli
che abbiano diritto a chiamarsi borghesi nel senso economico della parola »)
all'interno di un sistema capitalistico del quale però sia possibile un esito
socialista (« Il socialismo è conquista da parte del proletariato di una
relativa indispensabile autonomia economica e l'aspirazione delle masse ad af-
fermarsi nella storia [...]. Anche il nostro liberalismo è socialista se si
accetta il bilancio del marxismo e del socialismo da noi offerto pii volte. Basta
che si accetti il principio che tutte le libertà sono solidali »). I brani sono
presi, rispettivamente, da Storia dei comunisti torinesi scritta da un
liberale, in « La Rivoluzione Liberale », I, n. 7, 2 aprile 1922, pp. 24-26;
ora in P. Gobetti, Scritti politici, cit., p. 279; e da Liberali- smo
socialista, in « La Rivoluzione Liberale », III, n. 29, 15 luglio 1924, p. 114,
nota non firmata a un articolo di C. Rosselli; ora in Scritti poli- tici, cit.,
p. 761. Sull'ultimo brano, v. pure L. Valiani, Gobetti, uno dei nostri, in «
L'Espresso », XXII, n. 7, 15 febbraio 1976, p. 112.23 Le soluzioni stanno oggi
davanti a noi, cit., p. 356. u B. Ciccardini, op. cit., p. 2.L'istanza
manageriale145 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaramente enunciato
da Leonardi quando parla di richiami per la sinistra e per la destra (per la
prima era determi- nante il carattere « utopico » della proposta di Balbo, per
la seconda il superamento di fascismo e antifascismoriba- dito da Scassellati)
25. Naturalmente la critica successiva ha privilegiato una categoria o l'altra
26. Comunque non do- vrebbe esser messa più in discussione la « leadersbip » di
Balbo sul gruppo 27, anche se si tratta di un primato p1625 Cfr. C. Leonardi,
op. cit., p. 378. Alla discussione intorno alla ipotesi di una sostanziale
utopia del pensiero balbiano è dedicato il quinto capitolo di questa seconda
parte.26 Leonardi ci presenta la storia delle interpretazioni di «Terza
generazione» come« fatto» di destra. Ricorda gli articoli di «Panora- ma»
(Cinque per cinque, X, n. 298, 30 dicembre 1971, pp. 68·73; J profeti armati,
XI, n. 299, 13 gennaio 1972, pp. 48-54) dove si parla del gruppo di «Terza
generazione» come di un gruppo che stava prepa- rando una «svolta totalitaria
di destra in Italia ». Ricorda pure un ar- ticolo su «Astrolabio », a cui
risponde A. Paci, con la lettera Un disce- polo di Balbo, ioi, 15 febbraio
1972, pp. 9-10. Anche F. Parri rispose su « Astrolabio ». Se «Lotta Continua»
ha definito Balbo «un cretino» (iI 16 dicembre 1971; cfr. C. Leonardi, op.
cit., pp. 366-67), Giura Longa ba visto nella rivista «inquinamenti di
carattere reazionario»Giura Longo, op. cit., p. 73). Pregiudizi partitici?
Autosuggestioni? di si, se un intellettuale come N. Bobbio ha parlato di «Terza
generazione» come «di un gruppo avanzato che ha gli occhi sulle cose del nostro
p a e s e » (Cultura ueccbia e politica nuova, in «II Mulino », IV, 1955, n.
45; ora in N. Bobbio, Politica e cultura, p. 205). un giornalista-scrittore,
che ha la destra politica ineccess,ivJ 'lU!]'alla, ha scritto di Balbo:« in
Francia o in o anche income un rivoluzionario culturale in sensoNonscrittodoveconosce(G.F.in
alcunesociali e dice che le Einaudi).ifosse vissuto, poniamo, sarebbe oggi
riconosciuto un paese cattolico. odierno che Balbo non abbia affrontato:
chiunque abbiaultimi trent'anni, pertra la società politica, se non ri- o
improvvisa» fa cadere l'autore i cattolici comunisti con i cristiano- di Balbo
sono state pubblicate dastoriche:27 È sempre Leonardi a riportare la criticap.
366). Lo stesso Ciugni, che dala prospettiva umanistica che costituiscebalbiano
(Giugnì dice che deveduttivo «ma l'iniziativaun ordine capace di garantiresioni
»; in J m i t i in cui abbiamone », num. di present., cit., p. Il). Inè
presentata in maniera piti scopertaper l'organizzazione della cultura, in «
Terza generazione », I, n. 2, no-146delpunto (op. cit., socialista, assume
nodale del discorso non solo il lavoro pro- I'invcnzione creativa [ ...] umana
in tutte le sue dimen- ii Terza generazio-l'Ipotesi balbiana immediata (cfr A.
Paci, Appunti di fatto, che non per decisione esplicita,L'ipotesi chiave è
la situazione di «zero alla partenza », a cui esser fedeli senza guardare il
passato, sicuri che non tutto è politica, come afferma Balbo 28, e come di- ce
Cìccardini nell'editoriale di presentazione 29, Ma la si- tuazione di « zero
alla partenza» e il rifiuto del totus po- liticus erano già de « Il Politecnico
», sulla linea, anche in ciò, di un involontario crocianesimo 30,La rivista
entra, però, in serie contraddizioni. La esperienza di Scassellati alla
direzione mette in crisi lo stesso Balbo perché, secondo Leonardi, aveva
dimostrato il carattere utopico di fondo del suo pensiero «che era in grado di
mobilitare delle forze, ma non di soddisfar- le» 31, Con l'avvento della linea
di Claudio Leonardi, ab- biamo una ulteriore contraddizione «formale ed espli-
cita» con lo schema balbiano, in quanto il neo responsa- bile privilegia il
momento morale, rispetto alle altre tec- niche 32, Se Balbo non accetta la
posizione politica divernbre 1952, pp. 33-34).Chi, tra gli altri, ha sostenuto
la tesi della egemonia culturale diBalbo su «Terza generazione» è stata la
Buongiorno Veroi che affer- ma essere stato Balbo il «vero animatore» della
rivista (cfr. T. Buon- giorno Veroi, «Terza generazione », in «Il Veltro »,
1964, n. 4, p. 670). La stessa fa dipendere la fine della rivista da una
autonoma decisione di Balbo, dopo una riunione ristretta in cui il filosofo
avreb- be fatto l'autocritica per l'errore pelagiano in cui si era caduti (p.
683).28 Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, cit., p. 542.29 B.
Ciccardini, op. cit., tra l'altro dice: «Ma nel '45 [...] la poli- tica era
tutto: morale e rivoluzione, speranze e novità d'esperienze, con- servazione e
poesia. Era un fatto molto vitale in cui ciascuno cercava la sua parte e vi si
trovava a suo agio ».30 La polemica di Vittorini con Togliatti era basata, come
si è già ricordato, sul rifiuto di una concezione della cultura come realtà
totale. Poco prima della polemica in questione, Croce aveva scritto a
Togliatti: «lo ripugno a diventare toius politicus come (e non la invidio
perché talvolta penso che debba soffrirne) è Lei in ogni Suo gesto e parola»
(la lettera è del 31 dicembre 1945, pubblicata in «Rinascita» del 22 maggio
1965, p. 22). Garin, nel commentare il brano, aggiunge che, però, Croce fu semper
politicus (cfr. Intellettuali italiani del XIX seco- lo, cit., p. 66).31 C.
Leonardi, op. cit., p. 406.32 Cfr. Ibidem, p. 432. « È dunque il fatto stesso
di porci il problema dello sviluppo che ci obbliga immediatamente a porre il
problema della moralità »; C. Leonardi, La questione prcgiudiziale, in «Terza
generazione », II, n. 8, maggio 1954, p. 2).147 Dalla rivoluzione alla
collaborazione inventivaScassellati, non accetta neanche quella di Baget o di
nardi, che vede legati a prospettive integralistiche 33. Cosi muore questo
tentativo culturale, lasciando però, anche qui, qualche eredità balbiana 34.L'uomo
cerca una sua collocazione precisa, degli stru- menti adeguati alla
realizzazione delle sue intuizioni spe- culative, un modo nuovo di essere
intellettuale, o meglio, di essere un filosofo non intellettuale. Il 1956
presenta, su questa linea, due avvenimenti-svolta nell'esistenza di Balbo: gli
ultimi significativi fatti che, rappresentando dei momenti di professionalità,
sono anche due nuovi modi di dimostrare una nuova figura di filosofo. Mi
riferisco alla assunzione di Balbo presso l'IRI, per il settore « Proble- mi
del lavoro» e all'incarico di Filosofia Morale avuto al Magistero di Roma.
Comincia cosi a lavorare come « l'al- tra gente» 35. Se l'insegnamento
universitario gli permet-33 « P e r il filosofo torinese, infatti, la
dimensione ecclesiale era una condizione personale del ricercatore, che non
poteva mai intervenire direttamente nel discorso storico »; G. Baget-Bozzo, op.
cit., p. 531.34 Se l'inizio di «Terza generazione» era stato possibile anche
gra- zie al sostegno economico di De Gasperi, la fine della rivista si ebbe un
mese dopo la morte dello statista (con il n. 12, del settembre 1954). Ma
neanche qui esiste un rapporto di causalità fra i due fatti. La rivista fu
chiusa dopo varie riunioni indette da Balbo e dal suo gruppo «rivo- luzionario»
(cfr. C. Leonardi, «Terza generazione» ecc., cit., p. 433); il filosofo
torinese accusò il gruppo redazionale di eresia « semi-pelagia- na » (con un
termine dossettiano); Lconardi, invece, vede nel falli- mento della rivista il
limite dell'esperienza pluri-idcologica di Balbo; la velleità di partire «da
zero» ingenerava componenti «moralistiche e attivistiche [Leonardi intuisce,
senza il nucleo pragmatico del pensiero di Balbo?], e dunque nuove » (Ibidem,
pp. 432-33).Una eredità di questa esperienza rimane anche in Baget-Bozzo, che
in essa rappresentava di fatto l'alternativa teorica all'impostazione di Balbo.
Dice il teologo genovese che nel periodo della rivista « L ' O r d i n e
civile» (1959-1960) egli risente delle posizioni culturali che lo hanno in-
fluenzato: il dossettisrno, «Terza generazione» Felice Balbo (« la no- zione
della crisi della civiltà e della necessità di nuove forme di pensiero e di
azione autonome dallo Stato come condizione per la stessa ripresa dell'azione
dello Stato »; G. Baget-Bozzo, I l partito cristiano e l'apertura a sinistra -
La DC di Fanfani e di Moro .19.54/1962, Firenze, 1977, p. 193).35 Scrive
Natalia Ginzburg: «Balbo andò a vivere a Roma, e lasciò la casa editrice. Poi
annaspò per anni fra progetti assurdi ed errori. Infine ebbe un vero lavoro.
Imparò a lavorare come l'altra gente» (op. cit., p. 187).148 te di
approfondire alcune tematiche interne ai suoi inte- ressi etico-politici36,
l'impegno all'IRI, accettato per ne- cessità 37, lo porta a non considerarsi un
intellettuale in senso classico in quanto rifiuta, come nota Baget, un com- pito
legato solo alla parola, che è strumento di mistifica- zione 38,Nel frattempo
il suo discorso tende a mettere in luce, ancora una volta, sotto prospettive
diverse, la novità di Marx, ma anche i suoi sotismi. La premessa metodologica
che Balbo ritiene indispensabile è riconoscere come im- prescindibile
«necessità teorica e pratica» quella di un « integrale ricominciamento storico
dalla filosofia alle isti- tuzioni » 3 9 , Sempre sulla linea di un marxismo
italiano che privilegia i Manoscritti (vedi Della Volpe) 40, il pen-36
Argomenti dei corsi universitari di Balbo sono quelli della urna- nizzazione
dell'uomo nella moderna civiltà industriale, della proprietà privata e del bene
comune, del problema dell'utopia di K. Mannheim e S. Weil, il problema del
diritto naturale in L. Strauss, la crisi dei valo- ri in M. Scheler (cfr. Note
biografiche, cit., pp. XVII-XVIII). Il metodo d'insegnamento seguito da Balbo
consisteva nel prendere spunto da fatti realmente accaduti e da questi risalire
a considerazioni teoriche.37 Il dover lavorare alle dipendenze dello Stato non
fu una scelta di comodo per Balbo, ma, come testimoniano le persone a lui più
vicine, gli fu imposto dalla necessità di «dover vivere» (problema che prima
non si era mai posto in termini concreti). Pertanto ci sembrano OlLllJLLUX:, su
tale argomento, le critiche « teoreticistiche » di Lconardi a intoppo
esistenziale del filosofo (« Il sistema obiettivamente mo- ralmente più forte
[00']' Ci pare che la presenza di Balbo nell'Llc.L, che iniziò poco dopo, come
la sua ultima produzione siano lemeno significative della sua attività, e
rappresentinovistoso del suo limite laicistico »; «Terza generazione »
ecc"433-34). Più aderente alla realtà, nei suoi toni l'intuizionechi
afferma che Balbo «spari nel gorgo, e diversi anni pni tardi morf, ingoiato da
una professione di prestigio certote accettato con la rassegnazione implicita
in casi» (G.F,op, cit.). Mi piace ripetere ora una affermazione di Pombeni: «l~
malsano tentare interpretazioni del dossetìisrno traendo spunto dalle tuali
vicende dei suoi personaggi» (Il «dossettismo» ecc., cit., p. 118), È un invito
a non mescolare le carte e i piani del discorso ed è premessa indispensabile
per ogni metodologia corretta,38 Cfr. G. Baget-Bozzo, Il partito cristiano al
potere, cit, p. 3.56.39 Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 330,40
Cfr. su'questo tema G. Duso, Il nodo Hegel-Marx nel dibattitodel '48, in Gli
intellettuali in trincea, cit., pp. 101-06.Pavese ci parla di «orrore» di Balbo
e del gruppo romano, quandoin una riunione della Einaudi, egli aveva proposto
la pubblicazione delL'istanza manaueriaie149 Dalla rivoluzione alla
collaborazione inventivasatore torinese coglie la verità filosofica
fondamentale del marxismo-leninismo nel vedere come le idee, i comporta- menti
e le manifestazioni dell'uomo, in quanto prodotti,41.Mediando certi temi del
marxismo con le istanze della43,Il limite del marxismo, limite teorico-pratico,
è indi- viduabile nel concetto di sintesi, come fine o soppressione semplice
della proprietà privata. In questo modo non si arriva, secondo Balbo, al
superamento ma alla disgregazio- ne; un reale processo dialettico non dovrebbe
comportare una oppressione positiva della proprietà privata, ma una forma
superiore del sistema di appropriazione, « deve es- sere la nascita di
istituzioni superanti (ossia superiori si- stematicamente) il nostro attuale
sistema istituzionale » 45.Capitale, « estravagante », in una collana assieme
alla Bibbia e a Mille Volevano linciarmi » (lettera a G. Einaudi del 7 settem-
eunanote:«bre 1945, in Lettere, cit., pp. 499-500).41 Cfr. Per la rilevazione e
la critica ecc., cit., p. 319. Balbo affermache la contraddizione del marxismo
è stata centrata da Della Volpe, Del Noce e Löwith (Ibidem, p. 318 e n.).
Aggiunge che si rimane nell'apolo- gia del marxismo anche in casi di «
altissimo livello culturale », come in Gramsci e Lukàcs (Ibidem, p. 319). É
evidente che Balbo sta rivedendo il suo giudizio su Gramsci.42 « La
forza-lavoro o pratica attività sensibile è indubbiamente il presupposto reale
attivo (causa efficiente) della produzione come tale cosí come la natura ne è
il presupposto reale passivo (causa materiale). Ma altrettanto indubbiamente
non sono e non possono essere i presup- posti reali di ogni ` modo particolare
' della produzione » , escludendo cosí la peculiarità dell'uomo, cioè la
produzione razionale come specifica (Ibidem, p. 323). Si ricorda su ciò una
polemica con Rodano.43 Balbo sarebbe, invece, piú vicino alla visione
dell'antropologia culturale, secondo la quale ogni forma storico-culturale è un
prodotto umano. Cfr. S. Moravia, La ragione nascosta ecc., cit., pp. 327-37.44
Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 320. 45 Ibidem, p. 329.sottostanno
alle leggi della produzioneper Balbo costituisce il sofisma marxiano è il far
coinci- dere ogni forma di produzione (anche quella razionale) con la attività
pratica-sensibile, cadendo nel materialismo dia- lettico 42.antropologia
culturalesuo complesso ciò che include tutta la storia umana, e ciò che misura
la realizzazione della natura umana: « Dove c'è produzione c'è storia e
realizzazione umana, dove non c'è produzione non c'è storia né realizzazione
umana » 44.150Balbo vede nella produzione nelCiò che, invece, Infatti,
l'eliminazione di uno dei termini dialettici non risolve la contraddizione e
rappresenta, invece, elemento di corruzione della storia esistente, in quanto
conserva all'infinito la contraddizione invece di superarla ` 6. Non si tratta
piú di sopprimere istituzioni, ma di crearne altre nel quadro di una espansione
organica totale. Quindi non si parla di fine dello Stato, ma « della nascita di
nuove dirigenze dello sviluppo continuo della società » (l'istanza
manageriale), non di fine della filosofia nella rivoluzione, ma di definitiva
acquisizione della indispensabilità della47.filosofia come funzione socialequesta
fase del suo pensiero, Balbo ha ormai raggiunto alcune linee abbastanza precise
e nei confronti del marxi- smo (che non si tratta piú di integrare, ma di
correggere), e anche nei confronti di un quadro globale delle istitu- zioni
sociali: riaffermazione della proprietà privata, tra- sferita su un piano di
solidarietà umana non adeguatamente definita, ripresa della proposta
manageriale, corroborata da una nuova figura di filosofo. L'errore essenziale
di Marx sarebbe di aver voluto impostare una problematica48,« aristotelica » (o
realistica) in termini hegelianirore che si accompagna alla verità delle
domande poste da Marx, domande per le quali non esiste ancora, a livello
storico, una filosofia adeguata. Balbo comunque dice che la via per rispondere
esiste ed è l'assumere la posizione filosofica di Aristotele e di san Tommaso
(non la loro filosofia, ma il loro punto di vista sul reale).In sostanza « da
Marx in avanti, resta tutto da fare in teoria e in pratica » 49. Marx,
affossatore e vittima della dialettica hegeliana 50, annulla la dimensione
creativa del-46 Cfr. Ibidem, p. 330.47 Cfr. Ibidem, pp. 329-30.48 Cfr. Ibidem,
p. 322n.49 Ibidem, p. 331.3o Balbo afferma che Marx demistifica la dialettica
hegeliana, manon la rifiuta; perciò il rovesciamento della prassi riduce il
marxismo a « empirismo praticistico collettivistico ». Sotto questo aspetto,
gli ul- timi scritti di Stalin (probabilmente il filosofo si riferisce alle
trad. it. apparsc in quegli anni di Questioni di leninismo, Roma, 1952 e di
Pro- blemi economici del socialismo nell'URSS, Roma, 1953) rappresentereb- bero
« il tentativo di una specie di ' revisionismo pratico ' interno alL'istanza
managerialeCome si può notare, inun er-151 Dalla rivoluzione alla
collaborazione inventival'uomo; anche a certe interpretazioni pii disponibili
per l'uomo non si può dar credito perché non sono conformi alla « norma base »
della verità del sistema S 1. Una ri- presa delle tesi umanistiche non può
avvenire che come ripresa filosofica: una storia priva di filosofia « a livello
storico » è quella storia disumana e catastrofica, dice Bal- bo, che il
marxismo ci ha svelato. Se prima la filosofia ha solo conosciuto o solo mutato
la storia, ora si deve con- temporaneamente conoscerla e mutarla S2.Il filosofo
che deve conoscere e mutare il mondo non è in questo autosufficiente, ma deve
strumentare i suoi interventi attraverso organismi intermedi. Quello su cui la
riflessione e la funzione organizzativa di Balbo si ap- puntano maggiormente è
il « gruppo di lavoro ». Ogni elaborazione specifica è sempre inquadrata in una
visione pití ampia e piú fondata teoricamente. Balbo afferma che il problema
primario dell'ontogenesi sociale non è quello dello Stato o dell'assetto
giuridico-economico della proprie- tà (come dice Marx), ma è quello della
giusta forma so-ciale dei lavoro, cioè « il trascendimento effettivo del si-
stema sociale da parte della persona, senza evasione », cosa che Marx
addirittura nega, sostanzializzando la real- tà collettiva S3. Alla istanza
etica di recupero dell'uomo va, pertanto, affiancata una tecnica adeguata , al
pari di quan-marxismo e tendente ad impedire, o almeno a ritardare, le
conseguenze ultime, tecnocratico-burocratiche, dell'essere teoretico tipico del
marxi- smo »; (Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 327).51 Balbo si
riferisce a Lenin e a Gramsci come elaboratori delle tesi « sull'umanità
dell'uomo » all'interno del marxismo (Ibidem, p. 324).52 Cfr. Ibidem, p. 331.53
Cfr. Il piccolo gruppo di lavoro e la sua funzione nella grande or-
ganizzazione, in Termine e concetto di Costume, Atti del II Convegno-
laboratorio del Centro Intern. delle Arti e dei Costume, Venezia, 27-29
settembre 1956 (B rescia, 1957); ripubblicato con alcune varianti in « Rivista
di Organizzazione aziendale », III, n. 4, 1958; ora in F. Balbo, Opere, pp.
543-64; i concetti citati sono a p. 547. G. Petrilli ha ricor- dato alcuni
passi di Balbo relativi a lla pianificazione e al lavoro come« ritrovamento
dell'ordine » (G. Petrilli, Dal progresso alla crescita, in « Civiltà delle
macchine », n. 5, settembre-ottobre 1965).St « L'etica senza tecnica adeguata
non vive, infatti, nella societ ì umana. Vive in alcuni momenti della vita
degli individui, può risorgere continuamente e come intenzione pura. Ma,
poichi. gli uomini non sono152 to è avvenuto in America (come fenomeno
secondario e non primario). Infatti 11 vi è stata la scoperta « dell'uma- nità
dell'uomo » da parte della società industriale: è stata una scoperta empirica e
sperimentale della non riducibi- lità dell'uomo a « fattore economico »,
attraverso nuovi modi di gestione del lavoro nell'industria S5. In questo
orizzonte, ci deve essere una chiara collaborazione fra me- todo sperimentale e
metodo filosofico: ciò che si ottiene con l'uno, non si ottiene con l'altro, e
viceversa 56. Il pic- colo gruppo di lavoro diventa quindi il risultato di unaconvergenza
tra istanze filosofiche, morali, manageriali: « Il piccolo gruppo umano e in
particolare il piccolo grup- po di lavoro viene considerato oggi dagli
scienziati, tec- nologi ed educatori come una unità sociale primaria, aven- te
realtà, proprietà e caratteri distinti da quelli dei singoli individui, che lo
compongono » S'. Se il tecnicismo può es- sere liberato dai suoi vizi e dai
suoi mali, questo, affermaangeli, non può esistere socialmente senza tecnica
corrispondente e a livello tecnico dell'ambiente. Peggio, l'intenzione etica
retta pub con- giungersi con una porzione di ambiente tecnico opposto e
determinare delle vere e proprie mostruosità sociali di cui la nostra epoca è
ricca » (Ibidem, p. 560).55 Balbo si riferisce all'esperimento di Elton Mayo
alla Western Electric (Ibidem, p. 548). L'esperimento in questione va con il
nome di « Hawthorne », perché ebbe luogo dal 1927 al 1932, negli stabilimenti
Hawthorne della Western Electric C., che si trovano a Cicero, alla peri- feria
di Chicago. La sostanza dell'esperimento consiste nel tentativo di scoprire il
rapporto tra il rendimento dell'operaio e le condizioni « uma- ne » del lavoro.
Il resoconto phi ampio di questo esperimento è nel vol. dei diretti esecutori
F. J. Roethlisberger e W. J. Dickson, Manage- ment and the Worker, Boston,
1934; Cambridge, Mass., 1939. Si leggano pure E. Mayo, The human problems of an industrial
civilization, New York, 1933; una sec. ed. è The social problems of an
industrial civiliza- tion, Boston, 1946. Una
buona esposizione è in J. Madge, Lo sviluppo dei metodi di ricerca empirica in
sociologia, [1962], trad. it., Bologna,19692, pp. 221-83; a p. 279 è una
bibliografia de lla critica alla scuola di Elton Mayo. Sugli stessi temi,
ritornano gli scritti di A. Zaleznik, C. P. Christensen, F. J. Roethisberger,
Motivazioni, produttività e soddi- sfazione nel lavoro, [ 1958], trad. it.,
Bologna, 1964. Per un rifiuto glo- bale delle human relations, e delle «
comunità » di fabbrica come « trap- pola ormai logora », cfr. A. Illuminati,
Lavoro e rivoluzione, Milano,1974; in particolare, dove l'autore vede E. Mayo
inglobato nel taylorismo (p. 29).56 Cfr. 11 piccolo gruppo di lavoro ecc.,
cit., p. 552. S7 l bick,,,, p. 550.L'istanza manageriale153 Dalla
rivoluzione alla collaborazione inventivaBalbo, può avvenire attraverso il
piccolo gruppo di lavoro, diventato generatore delle norme etiche e tecniche
della grande organizzazione, che può soltanto applicarle ".È un po' la
critica allo Stato etico, ribaltata a livello di impresa industriale: a Balbo
interessa tanto la umanità del lavoro, quanto la produttività dello stesso 59,
privile- giando il primo momento rispetto al secondo che, invece, poteva essere
pii presente nell'esperimento di Hawthor- ne.Quella balbiana è una ricerca di
soluzione all'interno delle strutture malate: si tratta non di modificare il
si- stema, ma di giungere a forme pii umane di lavoro e quindi a una maggiore
produttività. Balbo sembra essersi rassegnato al sistema capitalistico, non
prospetta alter- native strutturali, ma solo terapie per l'individuo e vede nel
piccolo gruppo la nuova cellula in cui ogni realtà, ogni fatto della vita del
gruppo, ogni elemento del suo lavoro può essere a portata diretta dei sensi,
dell'intelligenza e del fare di ogni singolo componente E 0.In questo quadro si
colloca il riemergere, nel pen- siero di Balbo, delle istanze antropologiche,
il riesame delle possibilità storiche dell'uomo e una definizione ot- timistica
della vita terrena 61. Se si è parlato di pessimismo cristiano è stato per l'esperienza
dello scarto tra la con- dizione umana di peccato .e il presentimento del
possibile essere, mentre il pessimismo pagano è irreversibile in quanto parte
dallo stato di decadenza e dalle perdite de- finitive dell'età dell'oro 62. II
discorso di Balbo sembra rie- cheggiare il clima de « Il Politecnico », quando
nota una« reciproca universale necessità di ogni uomo per ogni uomo, in quanto
in ogni uomo si sostanzia l'essere urna-58 Cfr. Ibidem, p. 559.59 Cfr. Ibidem,
p. 557.60 Cfr. Ibidem, p. 552.6t Balbo afferma che la vita terrena è incoativa,
quella ultraterrenaé perfettiva; ma aggiunge che questo non comporta una
concezione « at- tesista » e una svalutazione della vita terrena (cfr. Il
futuro e l'« al di là » - Note di ricerca metafisica sull'uomo, in « Archivio
di Filosofia », Metafisica ed esperienza religiosa, 1956, pp. 235-55; poi in
Idee per una filosofia dello sviluppo umano, cit., pp. 464-66).62 Cfr. Ibidem,
pp. 445-46. 154 no.» 63. I1 motivo dell'io umano « onni-esistenziale » è
unodei pii complessi all'interno del pensiero di Balbo, inquanto ha matrici non
bene definite o, al limite, può es-sere il minimo comune denominatore di fonti
diverse,talvolta opposte. « Analizzando la mia esistenza intendodunque
analizzare l'essere umano che è in me come inogni altro che ha la mia stessa
natura » 64: dalle letterepaoline, a Croce e Gentile, si trova tutto in questa
defi-nizione, ma l'ancoraggio è costituito da una solida filosofia65.ritrovata
mediante la ricerca e la dimostrazione razionale, mentre la nozione religiosa è
dogmatica 6. Alla fine non possono, però, divergere e Balbo definisce l'uomo
come o il poter essere sussistente » dal punto di vista dinami- co, dell'azione
pratica, della produttività 67. Una ripresa, ancora una volta puramente
lessicale, di termini marce- liani troviamo quando il pensatore torinese
enuclea le categorie antropologiche e dice che l'uomo ha bisogno di essere, di
avere e di dare; ma la categoria dell'avere è quella maggiormente rilevante,
per una continuità ed in- tegrazione anche a livello ontico 63. Direttamente
legato63 Ibidem, p. 460. I1 riferimento a lla rivista è, in questo caso, molto
mediato. Infatti su « Il Politecnico » (n. 1 del 29 settembre 1945, p. 3)
appare il brano di J. Donne, premesso ai romanzo di E. Hemingway, Per chi suona
la campana, [ 1940], trad. it., Milano, 1945 (l'ultima è del 1977). Sulla
rivista di Vittorini è pubblicata la trad. a puntate, a cura di L. Foà e B.
Zevi, con il titolo Per chi suonano le campane. Il brano di J. Donne è questo:
« Nessun uomo è un'Isola in sé compiuta; ogni uomo è un frammento del
Continente, una parte del tutto; se il Mare inghiotte una zolla di terra,
l'Europa ne è diminuita, come se quella zolla fosse un Promontorio, o la Casa
dei tuoi amici o la tua propria; la morte di ogni uomo diminuisce me, perché io
sono parte dell'Umanità. E cosí non mandar mai a chiedere per chi suonano le
campane: suo- nano per te » (trad. de « Il Politecnico »).64 Idee per una
filosofia dello sviluppo umano, cit., p. 400.65 F. Ferrarotti scrive: « Balbo
passa dall'io trascendentale de lla filo- sofia moderna all'io umano
onni-esistenziale de lla filosofia dell'essere che in assoluta libertà di
spirito, al di là degli schemi consueti del tomismo e della neo-scolastica, si
apprestava ad elaborare: una filosofia come attività » (Op. cit., p. 16).Cfr.
Il futuro e l'« al di la», cit., p. 446.67 Cfr. Ibidem, pp. 450-51.68 L'uomo «
ha bisogno di avere per affermare ed espandere l'esseredell'essereL'antropologia
di Balbo, a questo punto, è critica eL'istanza manageriale155 Dalla
rivoluzione alla collaborazione inventivaa questa categoria antropologica è il
lavoro, fatto metafi- sicamente costitutivo dell'uomo, tanto nella fase terrena
« incoativa » quanto nella fase ultraterrena « perfettiva »; ma del « lavoro »
necessario pure nella vita ultraterrena non possiamo dire niente se non per
rivelazione divina 69. Attraverso il lavoro si attua quella integrazione con
gli altri che è sintesi nuova e non somma di elementi; perciò Balbo dice che
questa sintesi nuova è un dato reale cherende essenziale l'integrazione nella
ricerca dell'umanità 70. È facile riscontrare in queste affermazioni, accanto
alla teorizzazione dei molteplici gruppi costituiti nelle varie esperienze
culturali di Balbo, la sua nuova ipotesi di una filosofia costruibile in
gruppo; cosí come, dal punto di vi- sta manageriale, si può vedere una
riproposta del piccologruppo come cellula nuova dell'organismo industriale da
ristrutturare.Alla base di questa speculazione è oramai chiara- mente
individuabile l'impronta di una ontologia « leggi- bile » in termini
aristotelico-tornisti, ma Balbo ricorda che i termini non glieli suggerisce la
tradizione filosofica bensí « la fortissima vergine evidenza della verità » cui
cerca di corrispondere 71. Aveva detto la stessa cosa san Tom- maso a proposito
de lle sue fonti 72. Nell'ammettere un im- porsi della verità attraverso la
evidenza dei principi è ilche è secondo le potenze ad esso proprie. Ha bisogno
di avere per con- tinuare ad essere ciò che è e non morire. Ha anche bisogno di
avere per essere ciò che non è ancora, ma che può essere» (Ibidem, p. 453).69
Cfr. Ibidem, p. 456.7° Cfr. Ibidem, p. 447. La ripresa filosofica di F. Balbo è
citata in questo senso anche da C. Napoleoni (cfr. L'enigma del valore, in «
Rina- scita », 21-2-78, p. 25).71 Cfr. Ibidem, p. 447.72 San Tommaso aveva pii
volte ripetuto che l'argomento dell'auto- rità è il pii debole (Summa Theol.,
I, I, a.8; In VIII Phys., 1.III); che la sapienza non procede « propter
auctoritatem dicentium », bensí « propter rationem dictorum » (Sup. I3oët. de Trinit.,
p. II, a.3). Infine aveva scritto: « Studium philosophiae non est ad hoc quod
sciatur quid hornines senserint, sect qualiter se habeat veritas rerum » (In I
De Coelo, 1.22), Erroneamente il Sertillanges (La filosofia di s. Tommaso
d'Aquino,[1910, n.e. 1940] trad. it., Roma, 1957, p. 22) traduce il qualiter
... con « di sapere quello che han detto di vero », inquinando le intenzio- ni
e il testo tomistici che eliminano la mediazione dei filosofi e dicono che
occorre conoscere in che modo si abbia la veritil.156 tomismo di Balbo, o,
come preferisce dire il filosofo del Novecento, il punto dove anche san Tommaso
ha toccato la verità. Quindi tale tomismo consiste, ora, nel tema della
evidenza dei principi primi pratici, « incorruttibile garanzia morale » del
potere dell'uomo sul futuro. Anzi Balbo rilegge la sua prima produzione proprio
sotto il tema della sinderesi 73.Lo sguardo appuntato sulla funzione dell'uomo
di cul- tura ci mostra ancora un Balbo in parte legato all'im- magine
dell'intellettuale che esce da lla Resistenza. Parla, infatti, di un
intellettuale che « non deve appartenere a coloro che decidono, o che muovono
le masse, ma a coloro che propongono, che sollecitano, che ideano e aprono
nuove vie, che portano a verità l'opinione confusa e con- traddittoria, che
scoprono ed enunciano nuovi bisogni, nuovi doveri, che determinano, in una
parola, il primo atto in ogni processo di umanizzazione degli uomini » 74.L'autonomia,
o « distinzione » dell'intellettuale nei confronti del politico, comporta un
eroismo di preveg- genza 7S, una priorità di mansioni (che nello sviluppo della
speculazione balbiana si riaccostano sempre piú a tema- tiche crociane a
livello di « autocoscienza ») 76, e rischia di isolarlo in una casta, quando
Balbo parla della neces- sità della vocazione, aggiungendo, però, che con
questo7a Cfr. Il futuro e l'« al di là », cit., p. 470. Nella nota Balbo af-
ferma che L'uomo senza miti, «malgrado le insufficienze e le oscillazioni,
verte, in fondo, tutto sulla tematica della sinderesi ». Come ho già chia- rito
prima, non è corretto parlare, a proposito del primo libro di Balbo, di
tomismo, inteso come ripresa diretta di teorie torniste, quanto piut- tosto di
una confluenza teorica tra la visione balbiana di un ripristino della evidenza
e quella tomistica della sinderesi, cui solo dopo Balbo si avvicinerà
chiaramente.74 La funzione dell'intellettuale, cit., p. 567.75 L'intellettuale,
per Balbo, non deve avere il coraggio fisico delle armi, ma l'eroismo dei
momenti non eroici: « La vedetta ha il suo mo- mento eroico nel resistere al
sonno delI'alba, quando gli altri dormono, e non nel darsi da fare con gli
altri quando la nave è finita tra gli scogli » (Ibidem, p. 568).76 a
Intellettuale [non è uno status sociologico], mi pare, è chi espri- me con la
parola, o manifesta con l'esempio dei valori universali nel tno- mento storico,
e cioè chi produce l'autocoscienza storica del suo tempo » (Ibidem, p. 565).L'istanza
managcriale15 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivatermine non
vuole indicare altro che una particolare capa- cità alla funzione, al compito
intellettuale n. E che l'in- tellettuale abbia un primato nei confronti del
politico è, per Balbo, evidenziato dal fatto che non è mai una strut- tura
organizzativa a dare la giustizia sociale, ma l'ethos trasformato e sviluppato
n.Il nodo che gli intellettuali italiani, ed europei in ge- nerale, si trovano
a dover affrontare e risolvere alla metà degli anni Cinquanta, dopo la
destalinizzazione in Russia, è quello di un possibile dilemma tra le istanze
dell'indi- vidualismo liberale e que lle di un collettivismo che ha an- nullato
tutta la sua potenzialità positiva nelle forme radi- cali del regime sovietico.
Balbo afferma che il dilemma tra individualismo e collettivismo non si risolve
scegliendo uno dei termini, ma superando la contraddizione « in una nuova
realtà che include ciò che tutti i contrari includono e ciò che la loro
contrarietà esclude »". Questo tema del superamento e del rifiuto di una
logica dicotomica, inteso come somma dei valori positivi inclusi nelle tesi, ridimen-
siona il tema marxiano della lotta di classe che, se è vista come principio,
può dare origine a una evasione perma- nente, o a una centralizzazione di tutto
il potere in una classe, o in un gruppo, o in un individuo B0. Il rifiuto della
lotta rivela nelle tesi del Balbo una sfiducia progressiva verso la dialettica
politico-economica, ridefinisce la lotta come mezzo e non come principio perché
in tal caso non dà origine « ad altra realtà che la lotta stessa » 81. Questa77
Cfr. Ibidem, p. 556.78 Cfr. Note filosofiche sul problema della giustizia
sociale, conf. te- nuta a lla Fac. di Magistero di Roma, il 24 maggio 1957, in
u Atti della Società filosofica romana », 1957; poi in Tesi filosofiche per lo
sviluppo sociale, dispense redatte da F. Balbo sul corso tenuto da lui alla
Fac. di Magistero di Roma, nell'a.a. 1959-60; ora in Opere, pp. 577-627 (pub-
blicazione parziale); il concetto ricordato nel testo è alle pp. 596-97.79 Il
futuro e l'« al di là », cit., p. 469.sa Cfr. Note filosofiche sul problema
della giustizia sociale, cit., p. 594.81 Ibidem. La teoria statuale di Balbo fu
ripresa in un convegno or- ganizzato a Lucca dalla Democrazia Cristiana, nel
1967. In quella sede, G. De Rosa ricordò Balbo, come un « profondo filosofo
cristiano della nostra età » (cfr. R. Orfci, L'occupazione del potere, Milano,
1976, p. 222 e G. Galli, Storia della Democrazia Cristiana, Bari, 1978, p. 268.158 polemica
« strisciante » con le teorizzazioni marxiste del- la società borghese, come
società essenzialmente conflittua- le, è interna a tutta la revisione che Balbo
ha operato della sua lettura del marxismo; revisione il cui punto centrale è
costituito dallo spostamento di giudizio sulla ateologicit à che diventa «
ateismo » e « antireligione mar- xista » s`. Il pensatore torinese non
rinunzia, però, ancora a rintracciare, oltre l'ateismo dichiarato, « un'orma di
Dio » nel desiderio di giustizia presente nel marxismo s3Da una angolazione piú
chiaramente po litica, l'ideo- logo della Sinistra Cristiana, che aveva fondato
la scelta di classe anche per i cattolici, ora propone la collabora- zione di
classe come risultato di una certa lotta « che miri appunto all'equilibrio per
integrazione di soggetti auten- tici di interessi e di poteri: si può
considerare cioè che esista una lotta di classe che non cerca di sopprimere uno
dei termini della lotta, che cerca anzi l'equilibrio effettivo dei termini e
che quindi coincide con la collaborazione di classe » s4. L'interclassismo era
stato uno dei motivi teo- rici per cui non si era realizzata la fusione tra la
« Sini- stra giovanile cattolica » e il partito degasperiano nel '43Galli
critica come « ovvietà tardoilluministiche » il concetto balbiano di Stato
rappresentativo, gestito dai piú forti o dall'equilibrio dei gruppi phi forti:
è questa, chiaramente, una banalizzazione del pensiero di Balbo sul superamento
della lotta di classe). La stampa vedrà proprio nella riscoperta di Balbo
l'aspetto phi interessante di quel convegno (cfr. M. Scarano, Affrontare la
sfida degli anni '70, in « Il giorno », 30- IV- 67).82 Cfr. Il futuro e l'« al
di la », cit., p. 458n.83 « Chiamo il ` desiderio di giustizia ' presupposto
reale e non prin- cipale del marxismo, perché, mentre il marxismo non lo
riconosce come elemento del proprio sistema teorico e pratico [...], esso è
d'altra parte la forza senza la quale il marxismo stesso non avrebbe corso
storico. Il marxismo a mio avviso ricava la sua forza storica piú profonda dal
fatto di apparire come il realizzatore della desiderata giustizia, vera ed
effet- tiva, e come il giustiziere della morale e del diritto ` astratti ' »
(Ibidem).84 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, cit., p.
593.85 Cfr. C. F. Casula, Il Movimento dei cattolici comunisti e la Resi-
stenza a- Roma, in « I1 Movimento di liberazione in Italia », ottobre- dicembre
1973, pp. 48 e segg.; poi in C. F. Casula, Cattolici- comunisti ecc., cit., pp.
63-64. Per il programma interclassista della DC i documen- ti fondamentali sono
Il programma di Milano e le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, che
possono essere letti nella stesura origi- naria in E. Aga Rossi, Dal Partito
Popolare alla Democrazia Cristiana,L'istanza manageriale159 Dalla
rivoluzione alla collaborazione inventivaemerge ora una proposta interclassista
avanzata da un Balbo che ha abbandonato i programmi massimalistici per un
riformismo non ipocrita, ma comunque ambiguo ed eterogeneo al quadro della sua
speculazione anteriore 86.Infatti ora il filosofo teorizza la tesi per cui è
necessa- rio che « gli interessi e le classi sussistano e non si sop- primano
con violenza diretta o indiretta » 87. Né riteniamo di poter accostare questo
interclassismo ai temi di Gobetti nei quali il termine di « classe » era pura
astrazione: quindi ci poteva essere annullamento delle classi, ma non loro
collaborazione S8. Invece, per Balbo si deve instaurare un equilibrio dinamico
fra le classi, « ossia un equilibrio che si fondi su di un'autonoma, effettiva
e adeguata (so-stanzialmente e non solo quantitativamente) partecipazio- ne al
potere in tutte le sue forme da parte di ogni classe, di ogni interesse,
singolo e collettivo. Il che sarebbe ap- punto la giustizia sociale » 89.
Questo interclassismo ha motivazioni antropologiche ed etiche che per certi
versi richiamano temi dell'anarco-marxismo di Sartre, ma solo perché convergono
nell'identificare la libertà nella libera- zione, e la integrazione creativa
nel movimento 90.Bologna, 1969, pp. 331-45. P. Scoppola parla, pure, delle
difficoltà in- terne alla DC, che non riusciva ad esprimere compiutamente la
propo- sta interclassista « di cui la società italiana aveva bisogno » (cfr. P.
Scop- pola, La proposta politica di De Gasperi, Bologna, 1977, pp. 154-56; da
p. 124 esamina acutamente e attraverso documenti spesso inediti l'atteg-
giamento di De Gasperi nei confronti della Sinistra Cristiana e il suo
incunearsi tra essa e la Santa Sede).36 « Una collaborazione di classe che non
riconosca i termini dei contrasti fondamentali e particolari di classe (nel
senso assunto da que- sto termine dopo Marx), che non riconosca la esistenza,
la natura e le ragioni dei contrastanti interessi sociali e delle lotte aperte
o nascoste che conseguono a tali contrasti, non è una collaborazione di classe,
ma la maschera ipocrita del dispotico dominio (o tentativo di dominio) di una
classe sull'altra, di un interesse sull'altro » (Note filosofiche sul problema
della giustizia sociale, cit., p. 592)." Ibidem, p. 594.88 Ha scritto
Gobetti: « Nella concreta realtà dell'atto spirituale glischemi perdono la
validità loro: le classi diventano meri fantasmi » (Definizioni: la Borghesia,
in « La Rivoluzione Liberale », I, n. 4, 5 marzo 1922, ora in Scritti politici,
cit., p. 262).89 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, cit.,
p. 593.9b « Gli uomini non sono liberi cd eguali in senso rigoroso se non nella
loro integrazione creativa per lo sviluppo umano, per la giustizia160 prospettiva
riformistica, in chiave interclassista, non può che realizzarsi tornando agli
incroci tra privato e pubblico, tra momento di analisi e momento di sintesi
deliberativa.Cosi Balbo, che ha cercato di correggere la struttura industriale
intervenendo sui piccoli gruppi di lavoro, ri- tiene che il problema centrale
della democrazia sia nelle « erme ï collettive », dove di tatto è il potere e
il con- trollo delle masse; quelle entità erano diventate, dopo oltre un
decennio dalla Resistenza, delle « macchine » V', senza spazi reali per le
decisioni di base. Il filosofo scrive che solo con un'azione individuale e
collettiva, teorica e pratica, centrale (non centralistica) e periferica di
inven- zione si può realizzare un equilibrio dinamico di interessi e si può
realizzare l giustizia sociale, cioè un crescente influsso di collettività di
persone « sulla proprietà, sull'uso, sulla destinazione dei mezzi di produzione
» y=.L'ipotesi balbiana è quella di intervenire sugli orga- nismi intermedi
come strutture portanti di un regime de- mocratico; il discorso dei rapporti
economici diventa, quin- di, un tema consequenziale e derivato. t un ridare il
pri- mato alla politica, ma, come tiene a specificare il pensa- tore, non il
primato al pensiero politico. I.l pensiero è solo « la premessa statica » dei
partiti, una premessa ge- nerica e spesso mistificatrice « presa in prestito e
non creata dalla loro attività », strumento di persuasione o « momento
subordinato dell'organizzazione » ". Ciò chesociale » (Ibidem, p. 597).
Sartre dirà che il superamento della dialettica tra soggetto e oggetto è il
gruppo, .< per la sua impresa e per quel suo movimento costante
d'integrazione che tende a farne una praxis pura e a sopprimere in esso tutte
le forme d'inerzia » (Critica; della ragione lettica - I - Teoria degli insiemi
pratici, [1960], trad. it., Milano, 1963, p. 382).91 Cfr. Note filosofiche sui
problema della giustizia sociale, cit., pp. 598- 99. R. De Vita cita e illustra
la teoria balbiana del « piccolo grup- po », nel suo scritto Piccoli gruppi e
società in trasformazione, Milano, 1978, pp. 112- 13.92 Note filosofiche sul
problema della giustizia sociale, cit., p. 595.93 La sfida storica del
comunismo al Cristianesimo e le sue couse- gueuze filosofico - sociali, in a Il
M ulino », a.V II, n. 3, 1958; unito a Ancora su Cristianesimo, comunismo e
azione politica, ivi, a.VII, n. 12,L'istanza manageriale161Dalla rivoluzione
alla collaborazione inventivacostituisce realmente i partiti (clic Balbo
ritiene le arterie della democrazia) è l'essere strumenti di organizzazione
della volontà e degli interessi politici 94.L-`rilevante sottolineare che
questo tema del partito politico come struttura portante è una ulteriore
caratte- rizzazione ciel pensiero filosofico di Balbo che lo pone a metà strada
tra la concezione del materialismo storico e quelle, estranee ma parallele,
dello storicismo crociano e della storia cone storia filosofica di Del Noce 95C'è
quindi, nell'autore di L'uomo senza miti, questa esigenza esasperata di
sceverare nelle sue esperienze teo- riche una linea di unificazione, anche se
la sua « filosofia della storia » propende verso una accentuazione dei mo- tivi
di « materialità » (o nel senso delle istituzioni, o nel senso del bisogno
economico), rispetto alle urgenze puramente ideali.L'operare dall'interno del
sistema, pid che rassegnazione alla sconfitta, è caparbietà pragmatica e
machiavelli- ca nel voler trasformare le cose e frenare la « catastrofe ». Non
sempre la proposta speculativa di Balbo è, però, ade- guata alle sue istanze.1958,
è ora in Opere, con il titolo Comunismo e Cristianesimo, pp. 332-50; il brano
cit. 6 a p, 339.w Cfr. ibidem.as Riguardo a questo dissenso, Del Noce afferma
che fu tra le cause clic gli vietarono di aderire alle trii di Balbo, nel
periodo della Sinistra Cristiana. Da ciò il sorgere tra lui e Balbo a di una
discussione, che per l'uno e per l'altro era piuttosto un monologo che un
dialoga; non certosensodl una sordia, ma anzi in quello di una fusione
masatma,nel ,per cui ognuno combatteva nell'altro una posizione che ritenevadl
aver Avissuto '(e non soltanto obiettivam ente pensato) e oltrepas - atrt^ r►
(Ge netlesignificatoecc.,cii,. p. 426).162 Felice Balbo Venadio, conte di
Venadio. Felice Balbo Vinadio. Vinadio. Keywords. Refs.: H. P. Grice Papers,
Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vinadio: being, value – and
colloquenza!” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
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