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Wednesday, May 29, 2024

GRICE E VINADIO IOVANNI INVITTO Le idee di Felice Balbo Una filosofia pragmatica dello sviluppo IL MULINO CAPITOLO SETTIMO L'istanza manageriale L'uscita dal PCI non determina l'ingresso di Balbo in schieramenti alternativi, ma lo porta ad assumere una azione di fiancheggiamento, di « compagno di strada » per alcune forze interne allo schieramento cattolico, in chiara antitesi alla linea degasperiana 1. Nel '51 è Dossetti ad avvicinarsi a Balbo e a subire la sua in fluenza e nel senso della visione della « catastrofe » del sistema e nel rifiuto delle tesi maritainiane, fino ad allora costante ideologica degli intellettuali cattolici di sinistra 2. L'accostamento Dos- setti-Balbo è stato importante in quanto, nel momento della dissoluzione del gruppo dossettiano, il suo leader, ma solo per una breve stagione, ha pensato di poter avere nel pensiero balbiano una integrazione teorica 3. Ben presto t Non ritengo di condividere nella sostanza quanto afferma Giura Longo: « Il Balbo, invece [di Rodano], segui altre strade, giungendo a farsi ispiratore di un gruppo di intellettuali democristiani, attraverso la rivista ` Terza generazione ' che ha dato qualche contributo (si pensi ad un Morlino) sul piano dell'impegno politico dell'attuale gruppo diri- gente democristiano » (La sinistra cattolica in Italia. Dal dopoguerra al Referendum - Storia documentaria, a cura di R. Giura Longo, Bari, 1975, p. 31). teli sembra che sia, piuttosto, un gruppo di intellettuali cat- tolici, anche impegnati nella D.C., ad interessarsi al pensiero di Balbo (che allora era ad una chiara svolta) ed a tentare di annetterlo e di mu- tuarlo. 2 Cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., pp. 352-53, 359-60. Nel convegno di Merano (agosto 1951) dei giovani democristiani, la mediazione del pen- siero di Balbo, portata da Baget-Bozzo, « consenti di ristabilire alla diri- genza giovanile DC quell'unità di linguaggio che lo scioglimento del dossettismo aveva posto in crisi. La presenza in politica dei cattolici ` in quanto tali ' era giustificata dal fatto che la Chiesa aveva conservato la filosofia perenne e, quindi, il principio della ripresa culturale e civile ». Si ebbe, cosí, il superamento del maritainismo portato da Lazzati (Ibidem, p. 369). 3 Se « Cronache Sociali » si era interessata a Balbo (cfr. A. Romanò, op. cit.; S. Lombardini scrive che Dossetti « personalmente ancora nel 1945 ebbe occasione di esprimere [a Padre Stefano Bianchi] simpatie per la sinistra cristiana » op. cit., p. 37) anche i cattolici-comunisti si erano 139 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva Dossetti si accorge che il tentativo di filtrare i suoi motivi attraverso quelli balbiani non può avvenire per una na- interessati alla rivista di Dossetti (dr. P. Pombeni, Le « Cronache So- ciali » di Dossetti, cit., pp. 161, 225, 231). Anzi possiamo dire che, soprattutto con La Pira, c'erano stati accostamenti già dal '38 (A. Os- sicini, a nome del gruppo Roma-Sud di Azione Cattolica, aveva eviden- ziato a La Pira « l'urgenza di un impegno diretto nell'azione politica, e La Pira ammise che questo era necessario, anche se le forme di esso era difficile prevederle e prospettarle. Rispose esplicitamente: ` Fate; comunque, qualcosa uscirà ' »; A. Cuccchiari, op. cit., pp. 25-26). Il fu- turo sindaco di Firenze prenderà le distanze « ideologiche » necessarie, criticando i cattolici-comunisti, perché, secondo lui, il materialismo dia- lettico è « causa » del materialismo storico: « Ora l'effetto non è mai separabile dalla causa » (G. La Pira, Premesse della politica, Firenze, 1945, pp. 62-63; riportato da L. Fiorillo, Il fondamenti teorici dell'im- pegno politico di Giorgio La Pira (1926- 1945), in Novecento minore, cit., p. 209). Anche su « Cultura e realtà » era stato un dibattito sul dossettismo, attraverso un intervento di F. Rodano (l'articolo, Laicismo e Azione cattolica in Italia, n. 2, luglio-agosto 1950, era però firmato da Nino N o- vacco) e una risposta di Baget-Bonzo (cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., p. 364). Secondo Possenti la diversità fra Balbo e Dossetti è costituita dal fatto che, mentre il torinese « manteneva aperta la possibilità di una azione civile sulla base di una cultura rinnovata », Dossetti si stava volgendo verso la tesi della estraneità del cristiano al civile e verso una visione « panmonastica » (op. cit., p. 216). Mi sembra, invece, che anche la concezione di Dossetti monaco recuperi il civile in una sfera più alta. Infine, ricordo a titolo di testimonianza che Giuseppe Dossetti, in uno scambio di battute avute con me a Bologna il 5 febbraio 1978, mi diceva che a Balbo era stato legato da profondo affetto e che Balbo « era stato molto importante in un certo periodo de lla sua vita ». Ciò non toglie la differenza di temperamento, di cultura, di problematica tra i due; differenze che sembrano determinanti a chi ha avuto lunga consuetudine con entrambi (mi riferisco a quanto mi dicevano Mar- cella e Giuseppe Glisenti). 4 Due storici della sinistra cattolica italiana, pur partendo da pre- supposti storiografici diversissimi, hanno notato che l'accostamento fra Dossetti e Balbo (che avrebbero avuto come comune « preoccupazione apologetica » quella di inserire la Chiesa fra le masse operaie, anche se proponendo vie alternative; cfr. L. Bedeschi, La sinistra cristiana ecc., cit., pp. 15-16) non è casuale nelle motivazioni, né nel tempo in cui é avvenuto. Scrive Campanini: « Nel 1951, infatti, sembra consu- marsi l'illusione, comune e insieme diversa, di Balbo e di Dossetti. La prima, quella di condizionare dall'interno il partito comunista italia- no e di potere operare in esso come cattolici; la seconda, quella di con- dizionare dall'interno la Democrazia Cristiana e di spostarla nel suo com- plesso a sinistra. L'uscita di Balbo dal PC e di Dossetti dalla DC appaiono cosí in un certo senso il segno emblematico de lla conclusione di questa vi- cenda » (G. Campanini, Fede e politica, cit., pp. 14-15). Lo stesso Campa- nini ricorda che nel '51 (al congresso dell'UCIIM tenuto a Camaldoli nel- 140 tura diversa dei due pensieri: da una parte Balbo ribadisce il primato della tecnica filosofica, dall'altra Dossetti è fer- mo al primato della prassi, mistica o politica 5. In questa forma di gramscismo balbiano (gli intellet- tuali forza trainante nella prassi politica) è da ritrovare una chiara eredità della « corrente Politecnico », relativa al con- cetto di « eccedenza » della cultura sulla politica 6. All'in- terno della cultura cattolica la posizione di Balbo era di assoluta novità non tanto perché si contrapponeva ai due integralismi in auge: quello di destra geddiano, quello di sinistra, dossettiano, come è stato molto « schematicamen- te » definito '. La novità è costituita da lla pregnanza filo- l'agosto), Dossetti svolse una relazione che « si può considerare il suo testamento politico ». In essa, parlò del fascismo come « autobiografia della nazione » e « sbocco inevitabile del liberalismo », evidenziando « l'accostamento ad alcune tesi portate avanti in quegli stessi anni da Felice Balbo » (Ibidem, p. 90). Da testimonianze indirette, si sa che l'ultimo Dossetti, per intender- ci il.monaco che vive a Gerico, insiste nelle sue prediche sulla situazione di « catastrofe » della civiltà occidentale. Anche questo concetto, tipica- mente balbiano, può essere stato acquisito da Dossetti nel periodo del loro avvicinamento. È utile aggiungere, però, che già nel gruppo dos- settiano era presente il tema dell'« apocalittica dell'ora decisiva » (che P. Pombeni riconduce a un clima generale nell'Europa post-bellica; cfr. Il « dossettismo », cit., p. 131). 5 Il tentativo di Dossetti avvenne nell'agosto del '52. Sul fallimento di questa mossa, scrive Baget-Bozzo: « Probabilmente le tesi di Balbo gli [a Dossetti] apparvero troppo esclusivamente filosofiche ed intellettua- li: una causalità assoluta e primaria della filosofia sullo sviluppo storico non era facile da accettarsi per una persona cosí legata alla concretezza dell'agire » (Op. cit., p. 356). 6 Aveva scritto vittorini a Togliatti che la cultura che si adegua alle masse è politica, ed è cultura quella che si impegna nella ricerca: « Ma se tutta la cultura diventa politica, e si ferma su tutta la linea, e non vi è pii ricerca da nessuna parte, addio » (Politica e cultura, cit.). 7 L'accusa di « integralismo » di sinistra a Dossetti è di A. Del Noce (Genesi e significato ecc., cit., p. 458) ed è confutata da G. Baget-Bozzo con argomenti definitivi (op. cit., pp. 361-62). Anche Pombeni prende chiara posizione contro l'ipotetico integralismo di Dossetti, aggiungendo che quasi sempre il termine si usa in maniera imprecisa e generica (Il « dossettismo », cit., pp. 128-29). A proposito del termine « integra- lismo », spesso usato phi per evitare un giudizio che non per esprimer- lo in concreto, mi viene in mente ciò che Bobbio ha scritto sul termine « borghese » e sul suo uso: « Oggi si chiama da alcuni ` borghese ' tutto quello che si vuol respingere. ` Borghese' ha soltanto piú un significato negativo, è un segno ` non ' posto di fronte a un qualunque sostantivo, e quindi privo totalmente di contenuto » (N. Bobbio, Politica e cultura, [1955], 'Torino, 1974, p. 68). L'istanza manageriale 141 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva sofica della proposta di Balbo, che non si limita ad ope- rare all'interno delle masse cattoliche organizzate, ma, de- lineando un profilo della crisi umana del Novecento, ripro- pone un ribaltamento anzitutto del progetto filosofico, co- me ritorno al senso comune e, quindi, l'opzione per una via pragmatica ed anti-utopica allo sviluppo. In questa rifondazione filosofica ci si è chiesto quale sia stata la prospettiva dominante: se quella di Maritain o quella di Mounier. Del Noce dice che la sinistra cristia- na dimostra la sua simpatia prima per Maritain, poi per Teilhard de Chardin, ma aggiunge che il vero iniziatore della sinistra cristiana è stato Mounier (che sta a Mari- tain, come Gobetti sta a Croce) s. Ora bisogna dire che per Del Noce, Mounier è di molto inferiore a Maritain, e Balbo avrebbe di fatto incoraggiato la diffusione del suo pensiero in Italia 9. Questo è vero solo in parte in quanto il pensiero di Mounier, assolutamente assente dagli scritti di Balbo, è invece reperibile in esperienze culturali diverse sin dal '46, da « Il Politecnico » a « Cronache sociali » 10. Comunque l'accostamento alla cattolicità ufficiale vede da parte di questa un tentativo di « catturare » Balbo e di aiutarlo finanziariamente per un programma di elabo- razione di una « scienza dello sviluppo » 1. Il programma, che impegnerà Balbo fino al '54, sarà basato su un gruppo di ricercatori di filosofia e di scienze sociali 1`. La suddi- 8 Cfr. A. Del Noce, Pensiero cristiano e comunismo ecc., cit., p. 976. 9 « L'interesse [fu] portato sul tanto inferiore Mounier, in cui tut- to c`, veramente esplicito, senza germe alcuno che abbia bisogno di ma- turare; col che non intendo dire che Balbo abbia incoraggiato volonta- riamente la fortuna italiana di Mounier, ma che contribuí, per l'abban- dono dell'aspetto filosofico-politico del pensiero di Maritain, allo spo- stamento di interesse verso la sua opera » (A. Del Noce, Genesi e signi- ficato ecc., cit., p. 483). 10 Su « Il Politecnico » (n. 31-32, luglio-agosto 1946, pp. 7-8) appare un articolo di E. Mounier, Agonia del Cristianesimo (il termine « ago- nia » è preso da M. de Unamuno), con presentazione di F. Fortini (Fr. F.). Su « Cronache Sociali » nel '49 (n. 10) c'è una intervista a Mou- nier; nel 1951 appaiono due articoli di P. Scoppola, uno sul filosofo francese (n. 6) ed uno su « Esprit » (n. 9). Questa linea si affianca a quella maritainiana di Lazzati. 11 C. Leonarcli dice che tramite per il finanziamento fu L. Gedda (op. cit., p. 377). 12 La suddivisione fatta da Balbo era in cinque settori che corrispon- 142 visione rappresenta i settori nei quali la crisi è avvenuta in maniera globale, e attraverso i quali una ripresa « ri- voluzionaria » può avvenire. Non è, però, assolutamente il caso di gonfiare l'espediente dei gruppi (che era piú una metodologia) a sistema. Il pensiero, l'impegno di Bal- bo negli anni '51-'54 non si risolvono nei « quintetti ». La crisi è per lui caduta di un rapporto di funzioni nel- l'ambito del sistema sociale globale: il sistema teoretico deve svolgere funzione di rinnovamento, il sistema etico ha funzione di sviluppo, quello economico la funzione di innovazione, quello politico la funzione di movimento, í1 sistema giuridico-statuale la funzione di conservazione 13. Sulla base di questi schemi ideali (che qualcuno definirà utopici) si svilupperà una nuova iniziativa-esperienza-ten- tativo cui partecipa Balbo: « Terza generazione ». Il grup- po balbiano cerca di conservare una « propria rilevanza pubblica » inserendosi nell'ideazione di questa rivista men- sile 14. Si è parlato molto, ma si è scritto un po' di meno su « Terza generazione ». Anzitutto c'è da definire il rapporto con il degasperismo nell'indirizzo della rivista. Sappiamo già come il distacco tra Balbo e il PCI non colmi la diffidenza e il rifiuto di Balbo nei confronti de lle tesi degasperiane. D'altra parte è appurato l'aiuto finan- ziario dato da De Gasperi a lla rivista, ma meno noto è il disinteresse pratico dello statista per « Terza genera- zione » 15. La nascita della rivista non fu ritenuta un derebbero a cinque scienze autonome: diritto, economia, sociologia, morale e politica. Responsabili dei gruppi erano: C. Napoleoni, M. Motta, G. Sebregondi, U. Scassellati, N. Novacco (cfr. C. Leonardi, op. cit., pp. 377 e segg. e le Note biografiche in F. Balbo, Opere, pp. XVI-XVII). 13 Cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., p. 516. Confrontando lo schema proposto da Leonardi e quello proposto da Baget-Bozzo, troviamo l'as- similazione tra momento sociologico e momento teoretico (cfr. C. Leonar- di, op. cit., p. 377). 14 Cfr. anche G. Baget-Bozzo, op. cit., p. 516. 15 Claudio Leonardi, che fu redattore nella rivista nella seconda fase, in una conversazione con chi scrive, nel novembre 1975, diceva che De Gasperi finanziò la rivista, ma che probabilmente non l'ha mai letta. L'interesse di De Gasperi per l'iniziativa era stato sollecitato da padre Delbono (cfr. C. Leonardi, op. cit., p. 398; l'autore riprende L. Garruccio (pseud. di L. Incisa di Camcrana), La politica era tutto L'istanza manageriale 143 Dalla rivoluzione collaborazione inventiva fatte r, strutturale » ma una iniziativa « congiunturale », derivata dalle elezioni dei '53, per lo meno a quanto dice uno dei suoi responsabili ', ma ebbe ambizioni « struttu- rali » e di rifondazione ideologica. Ciccardini, nel rico- struirsi le fonti, integra le nutrici balbiane de « Il Poli- tecnico » con alcuni autori cattolici i-`, ma riafferma la congiuntura catastrofica della realtà 's. Balbo, nell'unico suo scritto sulla rivista, puntualizza il senso della crisi come crisi del modello di autosufficienza dell'individuo che andava dalla Grecia a Mara ', e il riconoscimento del fallimento di tutta la storia 0. La via che Balbo e « Terza generazione » cercano di perseguire e però una via asso- lutamente nuova rispetto a quelle tentate da lle altre forze politiche, culturali, economiche: la proposta di una diver- sa classe manageriale. La nuova dirigenza, scrive Balbo a Ciccardini, deve reggersi sul piano dell'invenzione e non su quello dello sfruttamento delle doti naturali; « dirigenze sociali » di nuovo tipo faranno salvi gli indici intellettuali , morali e tecnici dell'intera soviet ì 2t. La dirigenza sociale proposta (Cronache della generazione del '45), in « L'Europa », VII, 1973, n. 8-9, p. 90). to Cfr. C. Lelnardi, op. cit., p. 37S. 17 « Eleggemmo a nostri maestri Maritain e Ferrero, Mounier, Dor- so, Sturzo, Giobetti e Gramsci «: B. Ciccardini, L.: politica: era tutto, in « Terza generazione », num. di presentazione, agosto 1953, pp. 1-3. Balbo aveva scritto: « Dobbiamo rifarci essenzialmente ai nomi di Go- betti e di Dorso e di Gramsci » (Cultura antifascista, cit., p. 14). is « Se non appare unsi soluzione. 1a nostri so ìer ì si :ivvi:i :alla disgregazione ed alla catastrofe » (B. Ci ecirdini, op. cit., p. 3). t^ Cfr. F. Balbo, Le soluzioni stanno ogi davanti a noi, in « Terza ge- nerazione », num. di presentazione, agosto 1953; ora in Opere. pp. 533-42, il concetto richiamato è a p.p. S36. 20 Balbo scrivcral in seguito: «Comprendendo la verit:t di Mari si viene a riconoscere la fine dell'epoca moderna e il fallimento di tutta la storia fino ad oggi se non si origini uno nuovi storta a livello supe- riore »; in Per la rilevazione e l,: critica delle: scoperta essenziale d MMfart, in Studi in memoria di G. Solari, Torino, 1974, pp. 375-9t; ors in Opere, pp. 318-31; il passo cit. ` a p. 330. 21 Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, cit., p. 541. Questi originale identificazione trai imprenditore cd intellettuale un° degli spunti pití interessanti della proposta bailbiana. intatti, an- che questo il periodo in cui Balbo tentava a Torino il « Centro dì rela- zionc » c sperimentava in Irpinia. assieme ad altri ricercatori, tipi cui Achille Ardigò, un nuovo modo di impostare l'iniziativa agri olai. Quel 144 da Balbo è qualcosa di diverso dall'operatore privato e dall'operatore pubblico, in tal senso è qualcosa di pii dell'imprenditore di tipo gobettiano, che è sempre l'ope- ratore privato anche . se aperto all'uso sociale dei suoi beni 2. Ciò che sollecita questa proposta ultimativa è, ancora una volta, la coscienza di una « crisi finale » del sistema storico-sociale dominante, cioè quello illuministico- democratico o individualistico che ha incluso e raggiunto ogni altro sistema. E come sistema individualistico, Balbo pone anche quello comunista per la sua « originaria e íne- liminabile ispirazione anarchica » 23. In questo senso, « Ter- za generazione » nasce dal crollo della generazione prece- dente, quella resistenziale e antifascista. C'è l'illusione nei giovani redattori de lla rivista di superare la genera- zione che « aveva dato vita al Politecnico a Cronache So- ciali ad Iniziativa Socialista » 2'. Invece, per certi versi, esiste una palese continuità tra questi fatti culturali e, ad- dirittura, alcune impostazioni redazionali di « Terza ge- nerazione » ricordano esplicitamente la rivista vittorinia- na. L'ambiguità unanimistica del nuovo tentativo è chia- periodo é ricordato come quello dei « pomodori ». Tutto ciò ci dice la fondatezza delle motivazioni di chi ha respinto un appiattimento teoreticistico del pensiero balbiano (P. Pratesi, La filosofia di F. Balbo, in « L'Avvenire d'Italia », 22-XI-1966, contro l'in- terpretazione di Del Noce). È anche questo il caso di Penati che, però, critica il ridimensiona- mento balbiano della teoresi (cfr. Penati, rec. Idee, in « Rivista di Fil. neoscolastica », 1962, p. 626). 22 Gobetti parla di imprenditori nuovi (« i soli che abbiano diritto a chiamarsi borghesi nel senso economico della parola ») all'interno di un sistema capitalistico del quale però sia possibile un esito socialista (« Il socialismo è conquista da parte del proletariato di una relativa indispensabile autonomia economica e l'aspirazione delle masse ad af- fermarsi nella storia [...]. Anche il nostro liberalismo è socialista se si accetta il bilancio del marxismo e del socialismo da noi offerto pii volte. Basta che si accetti il principio che tutte le libertà sono solidali »). I brani sono presi, rispettivamente, da Storia dei comunisti torinesi scritta da un liberale, in « La Rivoluzione Liberale », I, n. 7, 2 aprile 1922, pp. 24-26; ora in P. Gobetti, Scritti politici, cit., p. 279; e da Liberali- smo socialista, in « La Rivoluzione Liberale », III, n. 29, 15 luglio 1924, p. 114, nota non firmata a un articolo di C. Rosselli; ora in Scritti poli- tici, cit., p. 761. Sull'ultimo brano, v. pure L. Valiani, Gobetti, uno dei nostri, in « L'Espresso », XXII, n. 7, 15 febbraio 1976, p. 112. 23 Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, cit., p. 356. u B. Ciccardini, op. cit., p. 2. L'istanza manageriale 145 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva ramente enunciato da Leonardi quando parla di richiami per la sinistra e per la destra (per la prima era determi- nante il carattere « utopico » della proposta di Balbo, per la seconda il superamento di fascismo e antifascismo riba- dito da Scassellati) 25. Naturalmente la critica successiva ha privilegiato una categoria o l'altra 26. Comunque non do- vrebbe esser messa più in discussione la « leadersbip » di Balbo sul gruppo 27, anche se si tratta di un primato p16 25 Cfr. C. Leonardi, op. cit., p. 378. Alla discussione intorno alla ipotesi di una sostanziale utopia del pensiero balbiano è dedicato il quinto capitolo di questa seconda parte. 26 Leonardi ci presenta la storia delle interpretazioni di «Terza generazione» come« fatto» di destra. Ricorda gli articoli di «Panora- ma» (Cinque per cinque, X, n. 298, 30 dicembre 1971, pp. 68·73; J profeti armati, XI, n. 299, 13 gennaio 1972, pp. 48-54) dove si parla del gruppo di «Terza generazione» come di un gruppo che stava prepa- rando una «svolta totalitaria di destra in Italia ». Ricorda pure un ar- ticolo su «Astrolabio », a cui risponde A. Paci, con la lettera Un disce- polo di Balbo, ioi, 15 febbraio 1972, pp. 9-10. Anche F. Parri rispose su « Astrolabio ». Se «Lotta Continua» ha definito Balbo «un cretino» (iI 16 dicembre 1971; cfr. C. Leonardi, op. cit., pp. 366-67), Giura Longa ba visto nella rivista «inquinamenti di carattere reazionario» Giura Longo, op. cit., p. 73). Pregiudizi partitici? Autosuggestioni? di si, se un intellettuale come N. Bobbio ha parlato di «Terza generazione» come «di un gruppo avanzato che ha gli occhi sulle cose del nostro p a e s e » (Cultura ueccbia e politica nuova, in «II Mulino », IV, 1955, n. 45; ora in N. Bobbio, Politica e cultura, p. 205). un giornalista-scrittore, che ha la destra politica in eccess,ivJ 'lU!]'alla, ha scritto di Balbo:« in Francia o in o anche in come un rivoluzionario culturale in senso Non scritto dove conosce (G.F. in alcune sociali e dice che le Einaudi). i fosse vissuto, poniamo, sarebbe oggi riconosciuto un paese cattolico. odierno che Balbo non abbia affrontato: chiunque abbia ultimi trent'anni, per tra la società politica, se non ri- o improvvisa» fa cadere l'autore i cattolici comunisti con i cristiano- di Balbo sono state pubblicate da storiche: 27 È sempre Leonardi a riportare la critica p. 366). Lo stesso Ciugni, che da la prospettiva umanistica che costituisce balbiano (Giugnì dice che deve duttivo «ma l'iniziativa un ordine capace di garantire sioni »; in J m i t i in cui abbiamo ne », num. di present., cit., p. Il). In è presentata in maniera piti scoperta per l'organizzazione della cultura, in « Terza generazione », I, n. 2, no- 146 del punto (op. cit., socialista, assume nodale del discorso non solo il lavoro pro- I'invcnzione creativa [ ...] umana in tutte le sue dimen- ii Terza generazio- l'Ipotesi balbiana immediata (cfr A. Paci, Appunti di fatto, che non per decisione esplicita, L'ipotesi chiave è la situazione di «zero alla parten- za », a cui esser fedeli senza guardare il passato, sicuri che non tutto è politica, come afferma Balbo 28, e come di- ce Cìccardini nell'editoriale di presentazione 29, Ma la si- tuazione di « zero alla partenza» e il rifiuto del totus po- liticus erano già de « Il Politecnico », sulla linea, anche in ciò, di un involontario crocianesimo 30, La rivista entra, però, in serie contraddizioni. La esperienza di Scassellati alla direzione mette in crisi lo stesso Balbo perché, secondo Leonardi, aveva dimostrato il carattere utopico di fondo del suo pensiero «che era in grado di mobilitare delle forze, ma non di soddisfar- le» 31, Con l'avvento della linea di Claudio Leonardi, ab- biamo una ulteriore contraddizione «formale ed espli- cita» con lo schema balbiano, in quanto il neo responsa- bile privilegia il momento morale, rispetto alle altre tec- niche 32, Se Balbo non accetta la posizione politica di vernbre 1952, pp. 33-34). Chi, tra gli altri, ha sostenuto la tesi della egemonia culturale di Balbo su «Terza generazione» è stata la Buongiorno Veroi che affer- ma essere stato Balbo il «vero animatore» della rivista (cfr. T. Buon- giorno Veroi, «Terza generazione », in «Il Veltro », 1964, n. 4, p. 670). La stessa fa dipendere la fine della rivista da una autonoma decisione di Balbo, dopo una riunione ristretta in cui il filosofo avreb- be fatto l'autocritica per l'errore pelagiano in cui si era caduti (p. 683). 28 Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, cit., p. 542. 29 B. Ciccardini, op. cit., tra l'altro dice: «Ma nel '45 [...] la poli- tica era tutto: morale e rivoluzione, speranze e novità d'esperienze, con- servazione e poesia. Era un fatto molto vitale in cui ciascuno cercava la sua parte e vi si trovava a suo agio ». 30 La polemica di Vittorini con Togliatti era basata, come si è già ricordato, sul rifiuto di una concezione della cultura come realtà totale. Poco prima della polemica in questione, Croce aveva scritto a Togliatti: «lo ripugno a diventare toius politicus come (e non la invidio perché talvolta penso che debba soffrirne) è Lei in ogni Suo gesto e parola» (la lettera è del 31 dicembre 1945, pubblicata in «Rinascita» del 22 maggio 1965, p. 22). Garin, nel commentare il brano, aggiunge che, però, Croce fu semper politicus (cfr. Intellettuali italiani del XIX seco- lo, cit., p. 66). 31 C. Leonardi, op. cit., p. 406. 32 Cfr. Ibidem, p. 432. « È dunque il fatto stesso di porci il problema dello sviluppo che ci obbliga immediatamente a porre il problema della moralità »; C. Leonardi, La questione prcgiudiziale, in «Terza generazione », II, n. 8, maggio 1954, p. 2). 147 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva Scassellati, non accetta neanche quella di Baget o di nardi, che vede legati a prospettive integralistiche 33. Cosi muore questo tentativo culturale, lasciando però, anche qui, qualche eredità balbiana 34. L'uomo cerca una sua collocazione precisa, degli stru- menti adeguati alla realizzazione delle sue intuizioni spe- culative, un modo nuovo di essere intellettuale, o meglio, di essere un filosofo non intellettuale. Il 1956 presenta, su questa linea, due avvenimenti-svolta nell'esistenza di Balbo: gli ultimi significativi fatti che, rappresentando dei momenti di professionalità, sono anche due nuovi modi di dimostrare una nuova figura di filosofo. Mi riferisco alla assunzione di Balbo presso l'IRI, per il settore « Proble- mi del lavoro» e all'incarico di Filosofia Morale avuto al Magistero di Roma. Comincia cosi a lavorare come « l'al- tra gente» 35. Se l'insegnamento universitario gli permet- 33 « P e r il filosofo torinese, infatti, la dimensione ecclesiale era una condizione personale del ricercatore, che non poteva mai intervenire direttamente nel discorso storico »; G. Baget-Bozzo, op. cit., p. 531. 34 Se l'inizio di «Terza generazione» era stato possibile anche gra- zie al sostegno economico di De Gasperi, la fine della rivista si ebbe un mese dopo la morte dello statista (con il n. 12, del settembre 1954). Ma neanche qui esiste un rapporto di causalità fra i due fatti. La rivista fu chiusa dopo varie riunioni indette da Balbo e dal suo gruppo «rivo- luzionario» (cfr. C. Leonardi, «Terza generazione» ecc., cit., p. 433); il filosofo torinese accusò il gruppo redazionale di eresia « semi-pelagia- na » (con un termine dossettiano); Lconardi, invece, vede nel falli- mento della rivista il limite dell'esperienza pluri-idcologica di Balbo; la velleità di partire «da zero» ingenerava componenti «moralistiche e attivistiche [Leonardi intuisce, senza il nucleo pragmatico del pensiero di Balbo?], e dunque nuove » (Ibidem, pp. 432-33). Una eredità di questa esperienza rimane anche in Baget-Bozzo, che in essa rappresentava di fatto l'alternativa teorica all'impostazione di Balbo. Dice il teologo genovese che nel periodo della rivista « L ' O r d i n e civile» (1959-1960) egli risente delle posizioni culturali che lo hanno in- fluenzato: il dossettisrno, «Terza generazione» Felice Balbo (« la no- zione della crisi della civiltà e della necessità di nuove forme di pensiero e di azione autonome dallo Stato come condizione per la stessa ripresa dell'azione dello Stato »; G. Baget-Bozzo, I l partito cristiano e l'apertura a sinistra - La DC di Fanfani e di Moro .19.54/1962, Firenze, 1977, p. 193). 35 Scrive Natalia Ginzburg: «Balbo andò a vivere a Roma, e lasciò la casa editrice. Poi annaspò per anni fra progetti assurdi ed errori. Infine ebbe un vero lavoro. Imparò a lavorare come l'altra gente» (op. cit., p. 187). 148 te di approfondire alcune tematiche interne ai suoi inte- ressi etico-politici36, l'impegno all'IRI, accettato per ne- cessità 37, lo porta a non considerarsi un intellettuale in senso classico in quanto rifiuta, come nota Baget, un com- pito legato solo alla parola, che è strumento di mistifica- zione 38, Nel frattempo il suo discorso tende a mettere in luce, ancora una volta, sotto prospettive diverse, la novità di Marx, ma anche i suoi sotismi. La premessa metodologica che Balbo ritiene indispensabile è riconoscere come im- prescindibile «necessità teorica e pratica» quella di un « integrale ricominciamento storico dalla filosofia alle isti- tuzioni » 3 9 , Sempre sulla linea di un marxismo italiano che privilegia i Manoscritti (vedi Della Volpe) 40, il pen- 36 Argomenti dei corsi universitari di Balbo sono quelli della urna- nizzazione dell'uomo nella moderna civiltà industriale, della proprietà privata e del bene comune, del problema dell'utopia di K. Mannheim e S. Weil, il problema del diritto naturale in L. Strauss, la crisi dei valo- ri in M. Scheler (cfr. Note biografiche, cit., pp. XVII-XVIII). Il metodo d'insegnamento seguito da Balbo consisteva nel prendere spunto da fatti realmente accaduti e da questi risalire a considerazioni teoriche. 37 Il dover lavorare alle dipendenze dello Stato non fu una scelta di comodo per Balbo, ma, come testimoniano le persone a lui più vicine, gli fu imposto dalla necessità di «dover vivere» (problema che prima non si era mai posto in termini concreti). Pertanto ci sembrano OlLllJLLUX:, su tale argomento, le critiche « teoreticistiche » di Lconardi a intoppo esistenziale del filosofo (« Il sistema obiettivamente mo- ralmente più forte [00']' Ci pare che la presenza di Balbo nell'Llc.L, che iniziò poco dopo, come la sua ultima produzione siano le meno significative della sua attività, e rappresentino vistoso del suo limite laicistico »; «Terza generazione » ecc" 433-34). Più aderente alla realtà, nei suoi toni l'intuizione chi afferma che Balbo «spari nel gorgo, e diversi anni pni tardi morf, ingoiato da una professione di prestigio certo te accettato con la rassegnazione implicita in casi» (G.F, op, cit.). Mi piace ripetere ora una affermazione di Pombeni: «l~ malsano tentare interpretazioni del dossetìisrno traendo spunto dalle tuali vicende dei suoi personaggi» (Il «dossettismo» ecc., cit., p. 118), È un invito a non mescolare le carte e i piani del discorso ed è premessa indispensabile per ogni metodologia corretta, 38 Cfr. G. Baget-Bozzo, Il partito cristiano al potere, cit, p. 3.56. 39 Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 330, 40 Cfr. su'questo tema G. Duso, Il nodo Hegel-Marx nel dibattito del '48, in Gli intellettuali in trincea, cit., pp. 101-06. Pavese ci parla di «orrore» di Balbo e del gruppo romano, quando in una riunione della Einaudi, egli aveva proposto la pubblicazione del L'istanza manaueriaie 149 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva satore torinese coglie la verità filosofica fondamentale del marxismo-leninismo nel vedere come le idee, i comporta- menti e le manifestazioni dell'uomo, in quanto prodotti, 41. Mediando certi temi del marxismo con le istanze della 43, Il limite del marxismo, limite teorico-pratico, è indi- viduabile nel concetto di sintesi, come fine o soppressione semplice della proprietà privata. In questo modo non si arriva, secondo Balbo, al superamento ma alla disgregazio- ne; un reale processo dialettico non dovrebbe comportare una oppressione positiva della proprietà privata, ma una forma superiore del sistema di appropriazione, « deve es- sere la nascita di istituzioni superanti (ossia superiori si- stematicamente) il nostro attuale sistema istituzionale » 45. Capitale, « estravagante », in una collana assieme alla Bibbia e a Mille Volevano linciarmi » (lettera a G. Einaudi del 7 settem- eunanote:« bre 1945, in Lettere, cit., pp. 499-500). 41 Cfr. Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 319. Balbo afferma che la contraddizione del marxismo è stata centrata da Della Volpe, Del Noce e Löwith (Ibidem, p. 318 e n.). Aggiunge che si rimane nell'apolo- gia del marxismo anche in casi di « altissimo livello culturale », come in Gramsci e Lukàcs (Ibidem, p. 319). É evidente che Balbo sta rivedendo il suo giudizio su Gramsci. 42 « La forza-lavoro o pratica attività sensibile è indubbiamente il presupposto reale attivo (causa efficiente) della produzione come tale cosí come la natura ne è il presupposto reale passivo (causa materiale). Ma altrettanto indubbiamente non sono e non possono essere i presup- posti reali di ogni ` modo particolare ' della produzione » , escludendo cosí la peculiarità dell'uomo, cioè la produzione razionale come specifica (Ibidem, p. 323). Si ricorda su ciò una polemica con Rodano. 43 Balbo sarebbe, invece, piú vicino alla visione dell'antropologia culturale, secondo la quale ogni forma storico-culturale è un prodotto umano. Cfr. S. Moravia, La ragione nascosta ecc., cit., pp. 327-37. 44 Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 320. 45 Ibidem, p. 329. sottostanno alle leggi della produzione per Balbo costituisce il sofisma marxiano è il far coinci- dere ogni forma di produzione (anche quella razionale) con la attività pratica-sensibile, cadendo nel materialismo dia- lettico 42. antropologia culturale suo complesso ciò che include tutta la storia umana, e ciò che misura la realizzazione della natura umana: « Dove c'è produzione c'è storia e realizzazione umana, dove non c'è produzione non c'è storia né realizzazione umana » 44. 150 Balbo vede nella produzione nel Ciò che, invece, Infatti, l'eliminazione di uno dei termini dialettici non risolve la contraddizione e rappresenta, invece, elemento di corruzione della storia esistente, in quanto conserva all'infinito la contraddizione invece di superarla ` 6. Non si tratta piú di sopprimere istituzioni, ma di crearne altre nel quadro di una espansione organica totale. Quindi non si parla di fine dello Stato, ma « della nascita di nuove dirigenze dello sviluppo continuo della società » (l'istanza manageriale), non di fine della filosofia nella rivoluzione, ma di definitiva acquisizione della indispensabilità della 47. filosofia come funzione sociale questa fase del suo pensiero, Balbo ha ormai raggiunto alcune linee abbastanza precise e nei confronti del marxi- smo (che non si tratta piú di integrare, ma di correggere), e anche nei confronti di un quadro globale delle istitu- zioni sociali: riaffermazione della proprietà privata, tra- sferita su un piano di solidarietà umana non adeguatamente definita, ripresa della proposta manageriale, corroborata da una nuova figura di filosofo. L'errore essenziale di Marx sarebbe di aver voluto impostare una problematica 48, « aristotelica » (o realistica) in termini hegeliani rore che si accompagna alla verità delle domande poste da Marx, domande per le quali non esiste ancora, a livello storico, una filosofia adeguata. Balbo comunque dice che la via per rispondere esiste ed è l'assumere la posizione filosofica di Aristotele e di san Tommaso (non la loro filosofia, ma il loro punto di vista sul reale). In sostanza « da Marx in avanti, resta tutto da fare in teoria e in pratica » 49. Marx, affossatore e vittima della dialettica hegeliana 50, annulla la dimensione creativa del- 46 Cfr. Ibidem, p. 330. 47 Cfr. Ibidem, pp. 329-30. 48 Cfr. Ibidem, p. 322n. 49 Ibidem, p. 331. 3o Balbo afferma che Marx demistifica la dialettica hegeliana, ma non la rifiuta; perciò il rovesciamento della prassi riduce il marxismo a « empirismo praticistico collettivistico ». Sotto questo aspetto, gli ul- timi scritti di Stalin (probabilmente il filosofo si riferisce alle trad. it. apparsc in quegli anni di Questioni di leninismo, Roma, 1952 e di Pro- blemi economici del socialismo nell'URSS, Roma, 1953) rappresentereb- bero « il tentativo di una specie di ' revisionismo pratico ' interno al L'istanza manageriale Come si può notare, in un er- 151 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva l'uomo; anche a certe interpretazioni pii disponibili per l'uomo non si può dar credito perché non sono conformi alla « norma base » della verità del sistema S 1. Una ri- presa delle tesi umanistiche non può avvenire che come ripresa filosofica: una storia priva di filosofia « a livello storico » è quella storia disumana e catastrofica, dice Bal- bo, che il marxismo ci ha svelato. Se prima la filosofia ha solo conosciuto o solo mutato la storia, ora si deve con- temporaneamente conoscerla e mutarla S2. Il filosofo che deve conoscere e mutare il mondo non è in questo autosufficiente, ma deve strumentare i suoi interventi attraverso organismi intermedi. Quello su cui la riflessione e la funzione organizzativa di Balbo si ap- puntano maggiormente è il « gruppo di lavoro ». Ogni elaborazione specifica è sempre inquadrata in una visione pití ampia e piú fondata teoricamente. Balbo afferma che il problema primario dell'ontogenesi sociale non è quello dello Stato o dell'assetto giuridico-economico della proprie- tà (come dice Marx), ma è quello della giusta forma so- ciale dei lavoro, cioè « il trascendimento effettivo del si- stema sociale da parte della persona, senza evasione », cosa che Marx addirittura nega, sostanzializzando la real- tà collettiva S3. Alla istanza etica di recupero dell'uomo va, pertanto, affiancata una tecnica adeguata , al pari di quan- marxismo e tendente ad impedire, o almeno a ritardare, le conseguenze ultime, tecnocratico-burocratiche, dell'essere teoretico tipico del marxi- smo »; (Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 327). 51 Balbo si riferisce a Lenin e a Gramsci come elaboratori delle tesi « sull'umanità dell'uomo » all'interno del marxismo (Ibidem, p. 324). 52 Cfr. Ibidem, p. 331. 53 Cfr. Il piccolo gruppo di lavoro e la sua funzione nella grande or- ganizzazione, in Termine e concetto di Costume, Atti del II Convegno- laboratorio del Centro Intern. delle Arti e dei Costume, Venezia, 27-29 settembre 1956 (B rescia, 1957); ripubblicato con alcune varianti in « Rivista di Organizzazione aziendale », III, n. 4, 1958; ora in F. Balbo, Opere, pp. 543-64; i concetti citati sono a p. 547. G. Petrilli ha ricor- dato alcuni passi di Balbo relativi a lla pianificazione e al lavoro come « ritrovamento dell'ordine » (G. Petrilli, Dal progresso alla crescita, in « Civiltà delle macchine », n. 5, settembre-ottobre 1965). St « L'etica senza tecnica adeguata non vive, infatti, nella societ ì umana. Vive in alcuni momenti della vita degli individui, può risorgere continuamente e come intenzione pura. Ma, poichi. gli uomini non sono 152 to è avvenuto in America (come fenomeno secondario e non primario). Infatti 11 vi è stata la scoperta « dell'uma- nità dell'uomo » da parte della società industriale: è stata una scoperta empirica e sperimentale della non riducibi- lità dell'uomo a « fattore economico », attraverso nuovi modi di gestione del lavoro nell'industria S5. In questo orizzonte, ci deve essere una chiara collaborazione fra me- todo sperimentale e metodo filosofico: ciò che si ottiene con l'uno, non si ottiene con l'altro, e viceversa 56. Il pic- colo gruppo di lavoro diventa quindi il risultato di una convergenza tra istanze filosofiche, morali, manageriali: « Il piccolo gruppo umano e in particolare il piccolo grup- po di lavoro viene considerato oggi dagli scienziati, tec- nologi ed educatori come una unità sociale primaria, aven- te realtà, proprietà e caratteri distinti da quelli dei singoli individui, che lo compongono » S'. Se il tecnicismo può es- sere liberato dai suoi vizi e dai suoi mali, questo, afferma angeli, non può esistere socialmente senza tecnica corrispondente e a livello tecnico dell'ambiente. Peggio, l'intenzione etica retta pub con- giungersi con una porzione di ambiente tecnico opposto e determinare delle vere e proprie mostruosità sociali di cui la nostra epoca è ricca » (Ibidem, p. 560). 55 Balbo si riferisce all'esperimento di Elton Mayo alla Western Electric (Ibidem, p. 548). L'esperimento in questione va con il nome di « Hawthorne », perché ebbe luogo dal 1927 al 1932, negli stabilimenti Hawthorne della Western Electric C., che si trovano a Cicero, alla peri- feria di Chicago. La sostanza dell'esperimento consiste nel tentativo di scoprire il rapporto tra il rendimento dell'operaio e le condizioni « uma- ne » del lavoro. Il resoconto phi ampio di questo esperimento è nel vol. dei diretti esecutori F. J. Roethlisberger e W. J. Dickson, Manage- ment and the Worker, Boston, 1934; Cambridge, Mass., 1939. Si leggano pure E. Mayo, The human problems of an industrial civilization, New York, 1933; una sec. ed. è The social problems of an industrial civiliza- tion, Boston, 1946. Una buona esposizione è in J. Madge, Lo sviluppo dei metodi di ricerca empirica in sociologia, [1962], trad. it., Bologna, 19692, pp. 221-83; a p. 279 è una bibliografia de lla critica alla scuola di Elton Mayo. Sugli stessi temi, ritornano gli scritti di A. Zaleznik, C. P. Christensen, F. J. Roethisberger, Motivazioni, produttività e soddi- sfazione nel lavoro, [ 1958], trad. it., Bologna, 1964. Per un rifiuto glo- bale delle human relations, e delle « comunità » di fabbrica come « trap- pola ormai logora », cfr. A. Illuminati, Lavoro e rivoluzione, Milano, 1974; in particolare, dove l'autore vede E. Mayo inglobato nel taylorismo (p. 29). 56 Cfr. 11 piccolo gruppo di lavoro ecc., cit., p. 552. S7 l bick,,,, p. 550. L'istanza manageriale 153 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva Balbo, può avvenire attraverso il piccolo gruppo di lavoro, diventato generatore delle norme etiche e tecniche della grande organizzazione, che può soltanto applicarle ". È un po' la critica allo Stato etico, ribaltata a livello di impresa industriale: a Balbo interessa tanto la umanità del lavoro, quanto la produttività dello stesso 59, privile- giando il primo momento rispetto al secondo che, invece, poteva essere pii presente nell'esperimento di Hawthor- ne. Quella balbiana è una ricerca di soluzione all'interno delle strutture malate: si tratta non di modificare il si- stema, ma di giungere a forme pii umane di lavoro e quindi a una maggiore produttività. Balbo sembra essersi rassegnato al sistema capitalistico, non prospetta alter- native strutturali, ma solo terapie per l'individuo e vede nel piccolo gruppo la nuova cellula in cui ogni realtà, ogni fatto della vita del gruppo, ogni elemento del suo lavoro può essere a portata diretta dei sensi, dell'intelligenza e del fare di ogni singolo componente E 0. In questo quadro si colloca il riemergere, nel pen- siero di Balbo, delle istanze antropologiche, il riesame delle possibilità storiche dell'uomo e una definizione ot- timistica della vita terrena 61. Se si è parlato di pessimismo cristiano è stato per l'esperienza dello scarto tra la con- dizione umana di peccato .e il presentimento del possibile essere, mentre il pessimismo pagano è irreversibile in quanto parte dallo stato di decadenza e dalle perdite de- finitive dell'età dell'oro 62. II discorso di Balbo sembra rie- cheggiare il clima de « Il Politecnico », quando nota una « reciproca universale necessità di ogni uomo per ogni uomo, in quanto in ogni uomo si sostanzia l'essere urna- 58 Cfr. Ibidem, p. 559. 59 Cfr. Ibidem, p. 557. 60 Cfr. Ibidem, p. 552. 6t Balbo afferma che la vita terrena è incoativa, quella ultraterrena é perfettiva; ma aggiunge che questo non comporta una concezione « at- tesista » e una svalutazione della vita terrena (cfr. Il futuro e l'« al di là » - Note di ricerca metafisica sull'uomo, in « Archivio di Filosofia », Metafisica ed esperienza religiosa, 1956, pp. 235-55; poi in Idee per una filosofia dello sviluppo umano, cit., pp. 464-66). 62 Cfr. Ibidem, pp. 445-46. 154 no.» 63. I1 motivo dell'io umano « onni-esistenziale » è uno dei pii complessi all'interno del pensiero di Balbo, in quanto ha matrici non bene definite o, al limite, può es- sere il minimo comune denominatore di fonti diverse, talvolta opposte. « Analizzando la mia esistenza intendo dunque analizzare l'essere umano che è in me come in ogni altro che ha la mia stessa natura » 64: dalle lettere paoline, a Croce e Gentile, si trova tutto in questa defi- nizione, ma l'ancoraggio è costituito da una solida filosofia 65. ritrovata mediante la ricerca e la dimostrazione razionale, mentre la nozione religiosa è dogmatica 6. Alla fine non possono, però, divergere e Balbo definisce l'uomo come o il poter essere sussistente » dal punto di vista dinami- co, dell'azione pratica, della produttività 67. Una ripresa, ancora una volta puramente lessicale, di termini marce- liani troviamo quando il pensatore torinese enuclea le categorie antropologiche e dice che l'uomo ha bisogno di essere, di avere e di dare; ma la categoria dell'avere è quella maggiormente rilevante, per una continuità ed in- tegrazione anche a livello ontico 63. Direttamente legato 63 Ibidem, p. 460. I1 riferimento a lla rivista è, in questo caso, molto mediato. Infatti su « Il Politecnico » (n. 1 del 29 settembre 1945, p. 3) appare il brano di J. Donne, premesso ai romanzo di E. Hemingway, Per chi suona la campana, [ 1940], trad. it., Milano, 1945 (l'ultima è del 1977). Sulla rivista di Vittorini è pubblicata la trad. a puntate, a cura di L. Foà e B. Zevi, con il titolo Per chi suonano le campane. Il brano di J. Donne è questo: « Nessun uomo è un'Isola in sé compiuta; ogni uomo è un frammento del Continente, una parte del tutto; se il Mare inghiotte una zolla di terra, l'Europa ne è diminuita, come se quella zolla fosse un Promontorio, o la Casa dei tuoi amici o la tua propria; la morte di ogni uomo diminuisce me, perché io sono parte dell'Umanità. E cosí non mandar mai a chiedere per chi suonano le campane: suo- nano per te » (trad. de « Il Politecnico »). 64 Idee per una filosofia dello sviluppo umano, cit., p. 400. 65 F. Ferrarotti scrive: « Balbo passa dall'io trascendentale de lla filo- sofia moderna all'io umano onni-esistenziale de lla filosofia dell'essere che in assoluta libertà di spirito, al di là degli schemi consueti del tomismo e della neo-scolastica, si apprestava ad elaborare: una filosofia come attività » (Op. cit., p. 16). Cfr. Il futuro e l'« al di la», cit., p. 446. 67 Cfr. Ibidem, pp. 450-51. 68 L'uomo « ha bisogno di avere per affermare ed espandere l'essere dell'essere L'antropologia di Balbo, a questo punto, è critica e L'istanza manageriale 155 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva a questa categoria antropologica è il lavoro, fatto metafi- sicamente costitutivo dell'uomo, tanto nella fase terrena « incoativa » quanto nella fase ultraterrena « perfettiva »; ma del « lavoro » necessario pure nella vita ultraterrena non possiamo dire niente se non per rivelazione divina 69. Attraverso il lavoro si attua quella integrazione con gli altri che è sintesi nuova e non somma di elementi; perciò Balbo dice che questa sintesi nuova è un dato reale che rende essenziale l'integrazione nella ricerca dell'umanità 70. È facile riscontrare in queste affermazioni, accanto alla teorizzazione dei molteplici gruppi costituiti nelle varie esperienze culturali di Balbo, la sua nuova ipotesi di una filosofia costruibile in gruppo; cosí come, dal punto di vi- sta manageriale, si può vedere una riproposta del piccolo gruppo come cellula nuova dell'organismo industriale da ristrutturare. Alla base di questa speculazione è oramai chiara- mente individuabile l'impronta di una ontologia « leggi- bile » in termini aristotelico-tornisti, ma Balbo ricorda che i termini non glieli suggerisce la tradizione filosofica bensí « la fortissima vergine evidenza della verità » cui cerca di corrispondere 71. Aveva detto la stessa cosa san Tom- maso a proposito de lle sue fonti 72. Nell'ammettere un im- porsi della verità attraverso la evidenza dei principi è il che è secondo le potenze ad esso proprie. Ha bisogno di avere per con- tinuare ad essere ciò che è e non morire. Ha anche bisogno di avere per essere ciò che non è ancora, ma che può essere» (Ibidem, p. 453). 69 Cfr. Ibidem, p. 456. 7° Cfr. Ibidem, p. 447. La ripresa filosofica di F. Balbo è citata in questo senso anche da C. Napoleoni (cfr. L'enigma del valore, in « Rina- scita », 21-2-78, p. 25). 71 Cfr. Ibidem, p. 447. 72 San Tommaso aveva pii volte ripetuto che l'argomento dell'auto- rità è il pii debole (Summa Theol., I, I, a.8; In VIII Phys., 1.III); che la sapienza non procede « propter auctoritatem dicentium », bensí « propter rationem dictorum » (Sup. I3oët. de Trinit., p. II, a.3). Infine aveva scritto: « Studium philosophiae non est ad hoc quod sciatur quid hornines senserint, sect qualiter se habeat veritas rerum » (In I De Coelo, 1.22), Erroneamente il Sertillanges (La filosofia di s. Tommaso d'Aquino, [1910, n.e. 1940] trad. it., Roma, 1957, p. 22) traduce il qualiter ... con « di sapere quello che han detto di vero », inquinando le intenzio- ni e il testo tomistici che eliminano la mediazione dei filosofi e dicono che occorre conoscere in che modo si abbia la veritil. 156 tomismo di Balbo, o, come preferisce dire il filosofo del Novecento, il punto dove anche san Tommaso ha toccato la verità. Quindi tale tomismo consiste, ora, nel tema della evidenza dei principi primi pratici, « incorruttibile garanzia morale » del potere dell'uomo sul futuro. Anzi Balbo rilegge la sua prima produzione proprio sotto il tema della sinderesi 73. Lo sguardo appuntato sulla funzione dell'uomo di cul- tura ci mostra ancora un Balbo in parte legato all'im- magine dell'intellettuale che esce da lla Resistenza. Parla, infatti, di un intellettuale che « non deve appartenere a coloro che decidono, o che muovono le masse, ma a coloro che propongono, che sollecitano, che ideano e aprono nuove vie, che portano a verità l'opinione confusa e con- traddittoria, che scoprono ed enunciano nuovi bisogni, nuovi doveri, che determinano, in una parola, il primo atto in ogni processo di umanizzazione degli uomini » 74. L'autonomia, o « distinzione » dell'intellettuale nei confronti del politico, comporta un eroismo di preveg- genza 7S, una priorità di mansioni (che nello sviluppo della speculazione balbiana si riaccostano sempre piú a tema- tiche crociane a livello di « autocoscienza ») 76, e rischia di isolarlo in una casta, quando Balbo parla della neces- sità della vocazione, aggiungendo, però, che con questo 7a Cfr. Il futuro e l'« al di là », cit., p. 470. Nella nota Balbo af- ferma che L'uomo senza miti, «malgrado le insufficienze e le oscillazioni, verte, in fondo, tutto sulla tematica della sinderesi ». Come ho già chia- rito prima, non è corretto parlare, a proposito del primo libro di Balbo, di tomismo, inteso come ripresa diretta di teorie torniste, quanto piut- tosto di una confluenza teorica tra la visione balbiana di un ripristino della evidenza e quella tomistica della sinderesi, cui solo dopo Balbo si avvicinerà chiaramente. 74 La funzione dell'intellettuale, cit., p. 567. 75 L'intellettuale, per Balbo, non deve avere il coraggio fisico delle armi, ma l'eroismo dei momenti non eroici: « La vedetta ha il suo mo- mento eroico nel resistere al sonno delI'alba, quando gli altri dormono, e non nel darsi da fare con gli altri quando la nave è finita tra gli scogli » (Ibidem, p. 568). 76 a Intellettuale [non è uno status sociologico], mi pare, è chi espri- me con la parola, o manifesta con l'esempio dei valori universali nel tno- mento storico, e cioè chi produce l'autocoscienza storica del suo tempo » (Ibidem, p. 565). L'istanza managcriale 157 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva termine non vuole indicare altro che una particolare capa- cità alla funzione, al compito intellettuale n. E che l'in- tellettuale abbia un primato nei confronti del politico è, per Balbo, evidenziato dal fatto che non è mai una strut- tura organizzativa a dare la giustizia sociale, ma l'ethos trasformato e sviluppato n. Il nodo che gli intellettuali italiani, ed europei in ge- nerale, si trovano a dover affrontare e risolvere alla metà degli anni Cinquanta, dopo la destalinizzazione in Russia, è quello di un possibile dilemma tra le istanze dell'indi- vidualismo liberale e que lle di un collettivismo che ha an- nullato tutta la sua potenzialità positiva nelle forme radi- cali del regime sovietico. Balbo afferma che il dilemma tra individualismo e collettivismo non si risolve scegliendo uno dei termini, ma superando la contraddizione « in una nuova realtà che include ciò che tutti i contrari includono e ciò che la loro contrarietà esclude »". Questo tema del superamento e del rifiuto di una logica dicotomica, inteso come somma dei valori positivi inclusi nelle tesi, ridimen- siona il tema marxiano della lotta di classe che, se è vista come principio, può dare origine a una evasione perma- nente, o a una centralizzazione di tutto il potere in una classe, o in un gruppo, o in un individuo B0. Il rifiuto della lotta rivela nelle tesi del Balbo una sfiducia progressiva verso la dialettica politico-economica, ridefinisce la lotta come mezzo e non come principio perché in tal caso non dà origine « ad altra realtà che la lotta stessa » 81. Questa 77 Cfr. Ibidem, p. 556. 78 Cfr. Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, conf. te- nuta a lla Fac. di Magistero di Roma, il 24 maggio 1957, in u Atti della Società filosofica romana », 1957; poi in Tesi filosofiche per lo sviluppo sociale, dispense redatte da F. Balbo sul corso tenuto da lui alla Fac. di Magistero di Roma, nell'a.a. 1959-60; ora in Opere, pp. 577-627 (pub- blicazione parziale); il concetto ricordato nel testo è alle pp. 596-97. 79 Il futuro e l'« al di là », cit., p. 469. sa Cfr. Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, cit., p. 594. 81 Ibidem. La teoria statuale di Balbo fu ripresa in un convegno or- ganizzato a Lucca dalla Democrazia Cristiana, nel 1967. In quella sede, G. De Rosa ricordò Balbo, come un « profondo filosofo cristiano della nostra età » (cfr. R. Orfci, L'occupazione del potere, Milano, 1976, p. 222 e G. Galli, Storia della Democrazia Cristiana, Bari, 1978, p. 268. 158 polemica « strisciante » con le teorizzazioni marxiste del- la società borghese, come società essenzialmente conflittua- le, è interna a tutta la revisione che Balbo ha operato della sua lettura del marxismo; revisione il cui punto centrale è costituito dallo spostamento di giudizio sulla ateologicit à che diventa « ateismo » e « antireligione mar- xista » s`. Il pensatore torinese non rinunzia, però, ancora a rintracciare, oltre l'ateismo dichiarato, « un'orma di Dio » nel desiderio di giustizia presente nel marxismo s3 Da una angolazione piú chiaramente po litica, l'ideo- logo della Sinistra Cristiana, che aveva fondato la scelta di classe anche per i cattolici, ora propone la collabora- zione di classe come risultato di una certa lotta « che miri appunto all'equilibrio per integrazione di soggetti auten- tici di interessi e di poteri: si può considerare cioè che esista una lotta di classe che non cerca di sopprimere uno dei termini della lotta, che cerca anzi l'equilibrio effettivo dei termini e che quindi coincide con la collaborazione di classe » s4. L'interclassismo era stato uno dei motivi teo- rici per cui non si era realizzata la fusione tra la « Sini- stra giovanile cattolica » e il partito degasperiano nel '43 Galli critica come « ovvietà tardoilluministiche » il concetto balbiano di Stato rappresentativo, gestito dai piú forti o dall'equilibrio dei gruppi phi forti: è questa, chiaramente, una banalizzazione del pensiero di Balbo sul superamento della lotta di classe). La stampa vedrà proprio nella riscoperta di Balbo l'aspetto phi interessante di quel convegno (cfr. M. Scarano, Affrontare la sfida degli anni '70, in « Il giorno », 30- IV- 67). 82 Cfr. Il futuro e l'« al di la », cit., p. 458n. 83 « Chiamo il ` desiderio di giustizia ' presupposto reale e non prin- cipale del marxismo, perché, mentre il marxismo non lo riconosce come elemento del proprio sistema teorico e pratico [...], esso è d'altra parte la forza senza la quale il marxismo stesso non avrebbe corso storico. Il marxismo a mio avviso ricava la sua forza storica piú profonda dal fatto di apparire come il realizzatore della desiderata giustizia, vera ed effet- tiva, e come il giustiziere della morale e del diritto ` astratti ' » (Ibidem). 84 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, cit., p. 593. 85 Cfr. C. F. Casula, Il Movimento dei cattolici comunisti e la Resi- stenza a- Roma, in « I1 Movimento di liberazione in Italia », ottobre- dicembre 1973, pp. 48 e segg.; poi in C. F. Casula, Cattolici- comunisti ecc., cit., pp. 63-64. Per il programma interclassista della DC i documen- ti fondamentali sono Il programma di Milano e le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, che possono essere letti nella stesura origi- naria in E. Aga Rossi, Dal Partito Popolare alla Democrazia Cristiana, L'istanza manageriale 159 . Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva emerge ora una proposta interclassista avanzata da un Balbo che ha abbandonato i programmi massimalistici per un riformismo non ipocrita, ma comunque ambiguo ed eterogeneo al quadro della sua speculazione anteriore 86. Infatti ora il filosofo teorizza la tesi per cui è necessa- rio che « gli interessi e le classi sussistano e non si sop- primano con violenza diretta o indiretta » 87. Né riteniamo di poter accostare questo interclassismo ai temi di Gobetti nei quali il termine di « classe » era pura astrazione: quindi ci poteva essere annullamento delle classi, ma non loro collaborazione S8. Invece, per Balbo si deve instaurare un equilibrio dinamico fra le classi, « ossia un equilibrio che si fondi su di un'autonoma, effettiva e adeguata (so- stanzialmente e non solo quantitativamente) partecipazio- ne al potere in tutte le sue forme da parte di ogni classe, di ogni interesse, singolo e collettivo. Il che sarebbe ap- punto la giustizia sociale » 89. Questo interclassismo ha motivazioni antropologiche ed etiche che per certi versi richiamano temi dell'anarco-marxismo di Sartre, ma solo perché convergono nell'identificare la libertà nella libera- zione, e la integrazione creativa nel movimento 90. Bologna, 1969, pp. 331-45. P. Scoppola parla, pure, delle difficoltà in- terne alla DC, che non riusciva ad esprimere compiutamente la propo- sta interclassista « di cui la società italiana aveva bisogno » (cfr. P. Scop- pola, La proposta politica di De Gasperi, Bologna, 1977, pp. 154-56; da p. 124 esamina acutamente e attraverso documenti spesso inediti l'atteg- giamento di De Gasperi nei confronti della Sinistra Cristiana e il suo incunearsi tra essa e la Santa Sede). 36 « Una collaborazione di classe che non riconosca i termini dei contrasti fondamentali e particolari di classe (nel senso assunto da que- sto termine dopo Marx), che non riconosca la esistenza, la natura e le ragioni dei contrastanti interessi sociali e delle lotte aperte o nascoste che conseguono a tali contrasti, non è una collaborazione di classe, ma la maschera ipocrita del dispotico dominio (o tentativo di dominio) di una classe sull'altra, di un interesse sull'altro » (Note filosofiche sul pro- blema della giustizia sociale, cit., p. 592). " Ibidem, p. 594. 88 Ha scritto Gobetti: « Nella concreta realtà dell'atto spirituale gli schemi perdono la validità loro: le classi diventano meri fantasmi » (Definizioni: la Borghesia, in « La Rivoluzione Liberale », I, n. 4, 5 marzo 1922, ora in Scritti politici, cit., p. 262). 89 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, cit., p. 593. 9b « Gli uomini non sono liberi cd eguali in senso rigoroso se non nella loro integrazione creativa per lo sviluppo umano, per la giustizia 160 prospettiva riformistica, in chiave interclassista, non può che realizzarsi tornando agli incroci tra privato e pubblico, tra momento di analisi e momento di sintesi deliberativa. Cosi Balbo, che ha cercato di correggere la struttura industriale intervenendo sui piccoli gruppi di lavoro, ri- tiene che il problema centrale della democrazia sia nelle « erme ï collettive », dove di tatto è il potere e il con- trollo delle masse; quelle entità erano diventate, dopo oltre un decennio dalla Resistenza, delle « macchine » V', senza spazi reali per le decisioni di base. Il filosofo scrive che solo con un'azione individuale e collettiva, teorica e pratica, centrale (non centralistica) e periferica di inven- zione si può realizzare un equilibrio dinamico di interessi e si può realizzare l giustizia sociale, cioè un crescente influsso di collettività di persone « sulla proprietà, sull'uso, sulla destinazione dei mezzi di produzione » y=. L'ipotesi balbiana è quella di intervenire sugli orga- nismi intermedi come strutture portanti di un regime de- mocratico; il discorso dei rapporti economici diventa, quin- di, un tema consequenziale e derivato. t un ridare il pri- mato alla politica, ma, come tiene a specificare il pensa- tore, non il primato al pensiero politico. I.l pensiero è solo « la premessa statica » dei partiti, una premessa ge- nerica e spesso mistificatrice « presa in prestito e non creata dalla loro attività », strumento di persuasione o « momento subordinato dell'organizzazione » ". Ciò che sociale » (Ibidem, p. 597). Sartre dirà che il superamento della dialettica tra soggetto e oggetto è il gruppo, .< per la sua impresa e per quel suo movimento costante d'integrazione che tende a farne una praxis pura e a sopprimere in esso tutte le forme d'inerzia » (Critica; della ragione lettica - I - Teoria degli insiemi pratici, [1960], trad. it., Milano, 1963, p. 382). 91 Cfr. Note filosofiche sui problema della giustizia sociale, cit., pp. 598- 99. R. De Vita cita e illustra la teoria balbiana del « piccolo grup- po », nel suo scritto Piccoli gruppi e società in trasformazione, Milano, 1978, pp. 112- 13. 92 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, cit., p. 595. 93 La sfida storica del comunismo al Cristianesimo e le sue couse- gueuze filosofico - sociali, in a Il M ulino », a.V II, n. 3, 1958; unito a Ancora su Cristianesimo, comunismo e azione politica, ivi, a.VII, n. 12, L'istanza manageriale 161 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva costituisce realmente i partiti (clic Balbo ritiene le arterie della democrazia) è l'essere strumenti di organizzazione della volontà e degli interessi politici 94. L-`rilevante sottolineare che questo tema del partito politico come struttura portante è una ulteriore caratte- rizzazione ciel pensiero filosofico di Balbo che lo pone a metà strada tra la concezione del materialismo storico e quelle, estranee ma parallele, dello storicismo crociano e della storia cone storia filosofica di Del Noce 95 C'è quindi, nell'autore di L'uomo senza miti, questa esigenza esasperata di sceverare nelle sue esperienze teo- riche una linea di unificazione, anche se la sua « filosofia della storia » propende verso una accentuazione dei mo- tivi di « materialità » (o nel senso delle istituzioni, o nel senso del bisogno economico), rispetto alle urgenze pura- mente ideali. L'operare dall'interno del sistema, pid che rassegna- zione alla sconfitta, è caparbietà pragmatica e machiavelli- ca nel voler trasformare le cose e frenare la « catastrofe ». Non sempre la proposta speculativa di Balbo è, però, ade- guata alle sue istanze. 1958, è ora in Opere, con il titolo Comunismo e Cristianesimo, pp. 332-50; il brano cit. 6 a p, 339. w Cfr. ibidem. as Riguardo a questo dissenso, Del Noce afferma che fu tra le cause clic gli vietarono di aderire alle trii di Balbo, nel periodo della Sinistra Cristiana. Da ciò il sorgere tra lui e Balbo a di una discussione, che per l'uno e per l'altro era piuttosto un monologo che un dialoga; non certo sensodl una sordia, ma anzi in quello di una fusione masatma,nel ,per cui ognuno combatteva nell'altro una posizione che riteneva dl aver Avissuto '(e non soltanto obiettivam ente pensato) e oltrepas - atrt^ r► (Ge netlesignificatoecc.,cii,. p. 426). 162

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