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Sunday, May 26, 2024

GRICE ITALICO A/Z S

 

Grice e Serra: economia filosofica – storia dell’economia romana – massoneria – filosofia italiana – Luigi Speranza (Dipignano). Filosofo italiano. Mercantilista. Considerato il primo filosofo dell’economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. A lui va il merito di avere composto per primo un trattato scientifico, seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica. Poco si conosce della sua vita: laureato probabilmente in utroque, imprigionato nelle carceri della vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al complotto architettato da CAMPANELLA per liberare la Calabria ma più probabilmente dietro accusa di falso monetario.  Mentre e in carcere compose “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere” e lo dedica al vice-ré di cui spera l'aiuto. Riusce a farsi ricevere dal nuovo viceré, III duca d’Osuna, per proporgli un programma di riforme utili al Regno. L’incontro fu infruttuoso e e ri-mandato nelle carceri della vicarìa, dove probabilmente muore. Essendo molto gravi le condizioni finanziarie del Regno di Napoli -- esausto il tesoro pubblico e l'onere del fisco già così gravoso da indurre molti a lasciare la città per sottrarvisi -- Santis propone di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di cambio con le piazze estere. La polemica con Santis è alla base della proposta di S. Dimostra con esempi tratti dalla antica storia romana  l'inutilità e anzi il danno di questi presunti rimedi. Da ciò trae occasione per spiegare la vera causa della prosperità della nazione italiana. Analizza la causa della scarsità di moneta nel Regno di Napoli e il fattore che puo invertire questa tendenza economica. Il primo ad analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia commerciale incluso il bene di servizio e il bene del movimento di capitale. Spiega come la scarsità di moneta nel Regno di Napoli e causata dal deficit della bilancia dei pagamenti. Utilizzando le sue scoperte e in grado di respingere l'idea per cui la scarsità di denaro e dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata al problema e indicata nella promozione attiva delle esportazioni. S. segna il distacco dalla concezione moralistiche scolastica per passare ad una spiegazione laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Croce la define lampada di vita. Galiani a scoprirlo, tessendone un elogio in una nota del suo celebre trattato Della Moneta. Chiunque legge questo trattato, scrive, resta sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale ignoranza dell’economia filosofica ha S. chiare e giuste le idee della materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de nostri mali e de soli rimedi efficaci. Galiani paragona S. a Melon e a Locke, considerandolo superiore per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di ignoranza dell’economia filosofica.  Egli, che in vita era stato del tutto trascurato e per secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente dimenticato, dopo molto tempo è stato finalmente riscoperto. Addante, Cosenza e i cosentini: un volo lungo tre millenni, Rubbettino, Martelloni, Regno di Napoli e Terra d'Otranto, Aspetti economici e sociali di una crisi, in Perrotta, La scienza è una curiosità. Scritti in onore di Cerroni, Manni, Benini, Croce, Storia del Regno di Napoli, Laterza. Avendo ottenuto di parlare al vice-ré duca d’Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, e udito, presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto ciarle e chiacchiere senz'altro concludere, e ri-mandato al suo carcere. Parise, Vita e pensiero del primo economista moderno, Ecra,  Destefanis, Illuministi Italiani, Galiani, Milano-Napoli, Galiani, Della moneta, Napoli, Salfi, Elogio, primo filosofo di economia civile, in Addante, Patriottismo e libertà. L'Elogio di Salfi, Cosenza, Custodi. Scrittori classici italiani di economia politica, Milano, Pecchio, Storia della economia pubblica in Italia, Lugano, Narrazioni tratte dai giornali del governo di Girone duca d'Ossuna vice-ré di Napoli scritti da Zazzera, Archivio storico italiano, Savarese, Trattato di economia politica, Napoli, Ferrara, Prefazione, in Trattati italiani, Torino, L. Bianchini, Della scienza del ben vivere sociale e della economia pubblica e degli Stati, Napoli, Andreotti, Storia dei cosentini,  Napoli, Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, Cosenza; Fornari, Studii (Pavia); Amabile, Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia” (Napoli); Marco, Teorie economiche, Memorie del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, classe di lettere e scienze storiche e morali, Benini, Sulle dottrine economiche, Appunti critici, in Giornale degli economisti,  Economisti, Graziani, Bari, Arias, Il pensiero economico di S., in Politica, Croce, “Storia del Regno di Napoli” (Bari); Economisti napoletani, Tagliacozzo, Bologna,  Einaudi, Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma, Schumpeter, Storia dell'analisi economica, Torino, Rosa, I critici, Atti del Congresso storico calabrese, Napoli, Galasso, Economia e società nella Calabria” (Guida); Nuccio, Rivista storica del Mezzogiorno, Colapietra, Introduzione, in Problemi monetari negli economisti filosofici napoletani, Colapietra, Roma, Aquino, L’approccio monetario all'analisi della bilancia dei pagamenti, in Studi economici, Colapietra, Genovesi in Calabria, Rivista storica calabrese, Manoscritti napoletani di P. Doria, Galatina,  Toscano, La disputa sui cambi esteri del Regno di Napoli, Rivista di politica economica, Rije, ed. anast., Napoli, Ricossa, Cento trame di classici dell’economia, Milano, O. Nuccio, Il pensiero economico italiano, Sassari, Il Mezzogiorno agli inizi del Seicento, Rosa, Roma-Bari, Alle origini del pensiero economico in Italia, I, Moneta e sviluppo negli economisti napoletani, Roncaglia, Bologna, Zagari, Moneta e sviluppo, Rosselli, La teoria dei cambi,  Landolfi, Valentia, A. Placanica, Storia della Calabria (Roma); Roncaglia, Rivista italiana degli economisti, Addante, Repubblicanesimo e mito di Venezia, Istituzioni e sviluppo economico, Roncaglia, La ricchezza delle idee: storia del pensiero economico, Roma-Bari, Grilli, Visto da Grilli, Roma, Villari, Politica barocca. Inquietudini, mutamento e prudenza, Roma); Roncaglia, S., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Economia, Roma,  Villari, Un sogno di libertà. Napoli nel declino di un impero, Milano; Parise, Vita e pensiero del primo economista moderno, Roma; L. Addante, La politica del Breve trattato (Soveria Mannelli). Mercantilismo Storia del pensiero economico. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia. Antonio Serra. Serra. Keywords: massoneria, circolazione degl’idee massoniche, mito di Venezia, economia romana, l’economia del liceo, roma antica, antica roma, Machiaveli, mercantilismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Serra” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Servio: VIRGILIANA – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.  (Roma). Filosofo italiano. Nei "Saturnali" di Macrobio, rivolti alla glorificazione di VIRGILIO, S. appare uno degli interlocutori. La sua attività filosofica ha per sede Roma. Predilesse Virgilio, che esalta come il maestro di ogni sapere e che commenta in un’opera di cui rimangono due redazioni. La più breve sembra tramandare lo scritto autentico di S., mentre la più ampia ("Servius auctus o plenior o Scholia Danielis", dal Daniel, che la pubblica) pare derivata dalla prima e da una riduzione del commento d’Elio Donato. Si discute se gl’appartengano l’Explanatio dell'Arte Grammaticale dello stesso Donato e tre saggi di metrica. Il commento include non poche dottrine di carattere filosofico, che però provengono dalle fonti usate da S.. Si è voluto fare di S. un seguace dell’accademia. Ma, da una parte, non è lecito attribuirgli una teoria filosofica organica, e, dall’altra, le proposizioni che dovrebbero provenire da quella scuola non sono proprie di essa, perchè appartengono all’accademia in generale, a Posidonio, o anche alle credenze mistico-religiose di quell’età: natura divina dell'anima, immortalità di essa quale principio di movimento, sue trasmigrazioni, suoi destini dopo la morte, teoria delle sfere. Quando, oltre alle tre parti dell'anima, l'anima vegetativa, l'anima sensitiva e l'anima razionale, ne ammette anche una quarta anima, l'anima vitale, principio di movimento, si allontana dalle teorie tradizionali inclusa l’accademica. Quando S. afferma che nulla esiste salvo i quattro elementi (acqua, aria, fuoco, terra) e il divino, che è uno spirito (o una mente, o un'anima) il quale, infuso in essa, genera ogni cosa, sicchè uguale è la natura di tutte, accetta in complesso la cosmologia del PORTICO esposta da VIRGILIO, che però cerca di liberare dal suo materialismo originario. Del resto, esplicitamente S. loda i filosofi del portico -- et nimiae virtutis sunt, et cultores deorum -- che contrappone ai filosofi dell’Orto, che critica spesso. In S. mancano un coerente e un indirizzo preciso, sebbene si affermino in lui le tendenze mistiche dell’età sua.  Un'edizione del XVI secolo di Virgilio con il commento di S. stampato sulla sinistra del testo. S. Mauro Onorato. Grammatico e commentatore romano.  L'appellativo Deutero-S. o S. Danielino si riferisce alla pubblicazione da parte di Daniel di un'edizione del commentario di S. all’Eneide contenente alcune aggiunte rispetto all'originale serviano. Tuttora è discussa l'autenticità del cosiddetto S. Danielino. S. ompare come uno degl’interlocutori nella “Saturnalia” di Macrobio. Alcune allusioni presenti nei saggi ed una lettera di Quinto Aurelio Simmaco indirizzata a S.. Saggi: “Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, Commentarii in Vergilii Bucolica, Commentarii in Vergilii Georgica. Del commento alle opere di Virgilio esistono due tradizioni manoscritte. Il primo è un commento relativamente breve e conciso, attribuito di per certo a S., ed è chiamato “S. Minore". A una seconda classe di manoscritti appartiene un altro commento, molto più esteso, infatti le aggiunte sono abbondanti e in contrasto con lo stile di S.. L’autore è ignoto. Questo secondo è chiamato "S. Auctus" o "S. Danielinus" da Daniel, che lo pubblica. Esiste una terza classe di manoscritti, composti in Italia, derivati dai primi due, a significare la diffusione di questi commenti.  Per quanto riguarda il "S. Minore" è in effetti l'unica edizione completa esistente di un romano scritta prima del crollo del principato in Occidente. È una vasta critica al testo di VIRGILIO, con critiche anche ai commentatori prima di lui -- in un certo qual modo ci fornisce il modo di pensare dei secoli precedenti. S. non usa un linguaggio particolarmente elevato, ma è colorito e fantasioso qualora si tratti di etimologie. Oltre all'aspetto grammaticale, i commentari di S. contengono abbondante materiale filosofico, la maggior parte del quale probabilmente è derivata da fonti di filosofi anteriori, con cui la poesia di Virgilio viene interpretata nel suo aspetto filosofico.. Commentarius in artem Donati, Raccolta di note grammaticali d’Elio Donato. De centum metris ad Albinum - Un trattato di diverse figure metriche, dedicato a Cecina Decio Albino. De finalibus ad Aquilinum - Un trattato di metrica sui finali. De metris Horatii ad Fortunatianum - Un trattato di metrica di Orazio, forse dedicato ad Atilio Fortunaziano. Vita Vergilii. Enciclopedia italiana. Funaioli, S., in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pellizzari, S.. Storia, cultura e istituzioni nell'opera di un grammatico (Firenze, Olschki); Ramires, S., Commento al libro IX dell'Eneide di Virgilio; con le aggiunte del cosiddetto S. Danielino, Bologna, Patron, su Treccani  Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. S., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. S. su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. S. su digilibLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Avogadro. S. Open Library, Internet Archive. Opere complete di S., su forum romanum.org. V · D · M Grammatici romani -- Portale Biografie   Portale Letteratura Categorie: Grammatici romani Romani. The second version was named the Egyptian, which is a puzzling name since the first reference to this particular descent/ascent concept seems to come from a commentary on Book IV of the Aeneid of Publius Vergilius Maro, or Virgil, by the commentator S. In S.’s version, each planetary sphere is associated with one of the seven major vices. The list is as follows: I avarice avarizia from Saturno; II desire for dominance and gluttony from Giove; III violent passions or anger from Marte; IV pride from the Sole; V lust from Venere; VI envy from Mercurio; and VII sluggishness from the Luna. Some philosophers differ as to *which* vice to assign to which *planet*, e. g., sluggishness is often assigned to Saturn instead of the Moon. It should be noted that each of these seven vices, are all psychological characteristics as is befitting of a soul. Roman philosopher and grammarian, commentator on Donato and Virgilio There is some doubt as to his name. The commentator on Donato in the Parisinus Latinus codex (GrL) is called _Sergio_ , as is the commentator on Virgilio in the Bernensis codex. In other manuscripts, the commentator on Virgil is called S. but no mention is made of the rest of his name (Marinone). In the Saturnalia, MACROBIO (si veda) gives a portrait of as him  an adulescens; and Daniel asserts, in a note to the Bernensis codex that he is one of Donato’s students. If these indications hold true, it would appear that he lives in Rome, where, according to MACROBIO, he belonged to the intelligentsia of the ACCADEMIA. Of considerable importance are his commentaries on Virgil's Aeneis, Eclogae and Georgica, surviving in two ms. codices of varying length. The shorter is published by Daniel, who adds several scholia -- the Scholia Danielis -- to it. It is commonly known as the S. Danielinus. Critics disagree as to the contents. Thilo holds that the additions are probably a fusion of an original text with parts of Donato’s lost commentary on Virgil. His commentaries, based for the most part on his predecessors (Donato in particular), enlarge on and enhance that tradition by virtue of the quality of the grammatical observations and the comparisons of Virgil with other philosophers. Various grammatical treatises bear his name but modern criticism unhesitatingly ascribes to him only the Commentarius in artem Donati (GrL). Prisciano mentions S. as the author in Institutio de arte grammatica (GrL). Other attributions are uncertain. The two books of the Explanationes in artem Donati (GrL) are apparently posterior to S. (Schanz-Hosius). The tract De littera de syllaba de pedibus de accentibus de distinction (GrL) gives "Sergius" as the author but seems to be an extract from the Commentarius and thus not a work intended by S. to stand alone. Criticism is divided over attributing to S. De centum metris (GrL), a treatise on metrics: Müller excludes S. as the author while Marinone defends the opposite view. The treatises De finalibus (GrL) and De metris Horatii (GrL) are similarly controversial; see Müller. In his Commentarius in artem Donati, S. brings home two points which characterize Roman grammatical thought, as seen in the artes. First, grammar is intimately connected with all the disciplines dealing with language – philosophy – GRAMMATICA FILOSOFICA – SEMANTICA FILOSOFICA -- dialectics, and esp. rhetoric (GrL). Second, grammar has a distinguishing subject matter which consists, according to S., of the analysis of the VIII parts of speech – Latin does not have an article, but it has interjection. S.’s admiration for Donato derives, in fact, from the latter's unswerving conviction that a grammatical treatise ought to begin by defining the partes orationis -- other grammarians were hesitant and inconsistent).‘That is why Donato is wiser, who starts out with VIII parts of speech that concern the grammarians – including the philosophical grammarians – specifically – UNDE PROPRIUS DONATUS EST DOCTIUS, QUI AD OCTO PARTES INCHOAVIT, QUÆ SPECIALITER AD GRAMMATICOS PERTINENT – Commentarius. S. holds, together with Donato, that the study of grammar, taken to be the study of the partes orationis, is a prerequisite for literary analysis, i. e., for commenting on poetic texts, such as Virgil’s. Although S. contributes to enriching the discussions of the grammatical distinctions formulated by Donato, by citing and criticising the work of other philosophical grammarians, S. leaves unsolved the many problems inherent in the categories handed down by tradition. For example, some grammarians considered the 'future' tense to be a separate MODVS and not a tense of the 'indicative' mode, given that, properly, one can 'INDICATE' only what one knows and not the future, by definition an un-known. “And remember I’m a philosophical grammarian!” Grice: “In Rome, grammarians simpliciter were usually slaves!”. S. expounds the question clearly (GrL), but does not venture an answer. "Martii Servii Honorati Commentarius in Artem Donati" (GrL).  "Commentarius in Artem Donati"; "De finalibus"; "De metris Horatii"; repr. Hildesheim. S. Grammatici qui feruntur in Vergilii carmina commentarii, Thilo e Hagen eds., Lipsiae. Editio Harvardiana, Rand et al. eds., Lancastriae, Ad Aeneam; Stoker/Travis eds., Oxonii (Ad Aeneam). Commento ai libri 9 e 7 dell'Eneide di Virgilio, with introd., biblio. and critical ed. by Ramires, Bologna. BARATIN, La naissance de la syntaxe à Rome, Paris. Id., CRGTL, BARWICK, "Zur S.-Frage", Philologus; BRUGNOLI, "S.", Enciclopedia Virgiliana, Roma. KASTER, "Macrobio and S., Verecundia and the grammarian's function", HSCP; MARINONE, "Per la cronologia di S.", AAT; MÜLLER, L. "Sammelsurien", Jbb. für Klass.Philologie; SCHANZ, M. e HosIus, Geschichte der römischen Literatur, München, TIMPANARO, "Note serviane, con contributi ad altri autori e a questioni di lessicografia latina", Studi urbinati di storia, filosofia e letteratura; WESSNER, "S.", RE. Keywords: Virgilio, Donato. Servio Mario Onorato. Servio.

 

Grice e Sestio: il fallito morale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He founds his own school in Rome that draws heavily on La Setta di CROTONE and IL PORTICO. S. preaches an ascetic way of life, which includes vegetarianism, and exhorts his followers – whom he called ‘Sestiani’ – to reflect at the end of each day on their moral failings – “if any.” Upon his death, his son, also called Quinto S., inherits the school, but it does not long survive him. One of the Sestiani is SOTIONE, who becomes Seneca’s tutor – Seneca himself is influenced by the school’s teachings for some time. Quinto Sestio.

 

Grice e Sesto: sentenze trasformative – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. S. is a compiler – The “Sentences of Sesto” are mainly of an ethical nature and show signs of a variety of influences including traditional wisdom literature, and IL PORTICO. They proclaim that wisdom is attained through the conquest of the passions. – Chadwick, “The sentences of Sextus,” Cambridge. Grice: “Chomsky thought that the sentences of Sextus were ‘transformational’!”

 

Grice e Sesto: l’accademico d’Antonino – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor to Antonino. Antonino regards him as something of a role model and greatly admires the morality and humanity of both his life and his teachings. Accademia. Suda thinks that S. is of the scesi only because he confuses him with Sesto Empirico!

 

Grice e Severo: il principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He studies philosophy with Stilio (si veda). He becomes the principe di Roma when his cousin Elagabalo is assassinated. His principate is not however a success and he is himself assassinated not long after. So much for the line of succession. Severo Alessandro.

 

Grice e Severo: l’amico lizio d’Antonino – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A lizio, friend of Antonino. Claudio Severo.

 

Grice e Severo: principe filosofo -- Roma—filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) Filosofo italiano. Severo rules the Roman empire and it is said that he is well-versed in philosophy. Severo Settimio.

 

Grice e Settala: i problemi sessuali d’Aristotele -- desiderio e piacere -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo Italiano. Profisico. Studia a Brera e Pavia. Insegna a Milano. Si prodiga in occasione della famosa peste dei “I promessi sposi”. Manzoni lo nomina una prima volta  quando parla del figlio, Senatore S., medico, membro, insieme a Tadino del tribunale della sanità ai tempi della vicenda di Renzo e Lucia. È tra i primi ad accorgersi che la strana malattia che si diffonde nella zona lecchese, e la peste. Saggi: “In librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis, [et] locis, commentarii V. Appositus est Graecus Hippocratis contextus ope antiquorum exemplarium, restitutus et emendatus cum indice rerum et verborum locupletissimo una cum nova eiusdem in Latinum versione” (Colonia: Ciotti); “Problemata di Aristotele” (“Commentariorum in Aristotelis problemata” -- VII primas sectiones – secundam heptadem -- continens, ab eodem Latine facta”) (Francoforte sul Meno: Wecheli, Marnio, Aubri);  “Animadversionum et cautionum medicarum libri VII quorum materiam sequens pagina indicabit” (Milano, Bidell); “De peste et pestiferis affectibus libri V (Milano, Bidell); “De ratione instituendae et gubernandae familiae libri quinque” (Milano, Bidell); “Della ragion di stato” (Milano: Bidelli); “Cura locale de' tumori pestilentiali, che sono il bubone, l'antrace, o carboncolo, ed i furoncoli contenente tutto quello che si ha da fare esteriormente nellquesti mali tolta dal libro della cura della peste” (Milano, Bidelli); “Preseruatione dalla peste” (Brescia: Fontana); “Anti-rotario romano con l'aggionta dell'elettione de semplice e prattica delle compositioni e di due trattati, vno della teriaca romana, l'altro della teriaca egittia aggiontoui in questa vltima impressione auertenze e osseruationi appartenenti alla compositione de medicamenti” (Milano: Bidelli); “Avertenze, et osservationi appartenenti al curar le ferrite” (Milano: Cardi); “Compendio per curare ogni sorte de tumori esterni et cutanee turpitudini, raccolto da osseruationi fisice, e chirurgice” (Milano: Monza); Statistica medica di Milano Milano, Guglielmini e Redaelli, Belloni, Borromeo e la Storia della Medicina, in San Carlo e il suo tempo: convegno, Milano. Edizioni di Storia e Letteratura,  Bartolomeo Corte, Notizie istoriche intorno a medici scrittori milanesi, Milano,  Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium seu acta, et elogia virorum omnigena eruditione illustrium, qui in metropoli Insubriae, oppidisque circumjacentibus orti sunt, Mediolani, Sangiorgio, Cenni storici sulle due Pavia e di Milano e notizie intorno ai più celebri medici, chirurghi e speziali di Milano dal ritorno delle scienze sino all’anno. Opera postuma, Longhena, Milano, Renzi, Storia della medicina italiana, Napoli, Ferrario, Intorno alla vita ed alle opere mediche Cenni, Milano, Capparoni, Profili biobibliografici di medici e naturalisti celebri italiani, Roma, Cava, La peste di S. Carlo. Note storico mediche sulla peste, Milano, Ricerche Firenze Ferro, La peste nella cultura lombarda, Milano, Cosmacini, Il medico e il cardinale, Milano. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Firenze,  Molini,  Facchin, S.: un intellettuale barocco fra scienza e arte Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Mellerio,S., in Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, openMLOL, Horizons Unlimited srl. Patricio Milanese. Ludovicus Septalius. Ludovico Settala. Settala. Keywords: ragion di stato, lizio, sesso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Settala” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Severino: il velino -- oltre il linguaggio, oltre l’aporia di Parmenide – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo ialiano. Intende collocarsi oltre ogni filosofia permeata dal nichilismo. Si laurea a Pavia come alunno dell'almo collegio borromeo, discutendo una tesi su metafisica, sotto la supervisione di BONTADINI. Insegna a Milano e Venezia. Lincei. Critica sia il capitalismo sia il comunismo, fonti della vita inautentica in quanto espressioni di dominio della tecnica, come d'altronde il FASCISMO, ma anche la sinistra in quanto non è più social-democrazia, rilasciando anche dichiarazioni sul suo punto di vista sul passato e sull'avvenire dell'Italia. Le spiegazioni della crisi del nostro tempo rimangono molto in superficie anche quando vogliono andare in profondità. Il fenomeno di fondo, che non viene adeguatamente affrontato, è l'abbandono, nel mondo, dei valori della tradizione occidentale; e questo mentre le forme della modernità dell'Occidente si sono affermate dovunque. Un abbandono che si porta via ogni forma di assolutoe innanzitutto Dio. Muore, dicevo, ogni forma di assolutezza e di assolutismo, dunque anche quella forma di assoluto che è lo stato, che detiene il monopolio legittimo della violenza. Questo grande turbine che si porta via tutte le forme della tradizione è guidato dalla tecnica ed è irresistibile nella misura in cui ascolta la voce che proviene dal sottosuolo del pensiero filosofico del nostro tempo. Il turbine travolge anche le strutture statuali. Investe innanzitutto le forme più deboli di stato. La trasformazione epocale di cui parlo non è indolore: il vecchio ordine non intende morire, ma è sempre più incapace di funzionare, soprattutto in paesi come l'Italia. E il nuovo ordine non ha ancora preso le redini. È la fase più pericolosa (non solo per l'Italia). Criticando "l'assolutismo religioso e comunista", oltre che tacciando la magistratura di "ingenuità", poiché processando una classe politica a fondo ha rivelato la contiguità anche con la criminalità organizzata, figlia della guerra fredda e, secondo  S., impossibile da debellare integralmente in pochi anni senza debellare lo Stato stesso, causando notevoli problemi.  «L'Italia è uno stato acerbo. Ha 150 anni su per giù. Ma soprattutto ha alle proprie spalle una storia di frazionamento politico-economico-sociale, dove si sono imposte forze che hanno avuto nel mondo un peso ben maggiore di quello dell'Italia unita.. Sull'evasione fiscale: Una tara storica, come prima le dicevo. L'evasione fiscale è un furto ai danni di tutti. Se c'è da costruire una strada io devo metterci anche la parte degli evasori. Certo, molti artigiani e piccoli imprenditori, se non evadessero, fallirebbero. Tutti sanno queste cose. Però conosco anche tanti cattolici ai quali molti uomini di chiesa facevano capire che se non avessero ritenuto "giusto" pagare le tasse dello stato, avrebbero fatto bene a non pagarle. Questo Papa, da buon pastore, sta cercando di cambiare le cose. Ma non vorrei che si perdesse di vista che la "corruzione" di fondo è l'"evasione" del mondo dal passato dell'Occidente. Oltre alle citate critiche, Heidegger parlando con FABRO a Roma ha a dire a proposito di "Ritornare a Parmenide" di S. Immobilizza il mio Dasein. Già da molto prima prima, alcuni appunti di lavoro heideggeriani testimoniano come Heidegger seguie S. (da uno studio di ALFIERI e HERMANN  --  è stato criticato da ODIFREDDI, in risposta a un giudizio critico su un'opera di ODIFREDDIi, ovvero l'introduzione scritta all’ABC della relatività di Russell, dove venneno citati alcuni filosofi (tra cui S. e CROCE) in maniera non congrua e "alla rinfusa l’ODIFREDDI l’ accusa invece di non considerare l'importanza della scienza, come già fecero i neo-idealisti, come CROCE e GENTILE, a differenza di filosofi che studiano a fondo alcune teorie. Nel dialogo con Chiara, “Oltre l’umano e oltre il divino” la filosofia della necessità si contrappone alla filosofia della libertà. Fa spesso riferimento a pensatori come PARMENIDE di VELIA, LEOPARDI, e GENTILE. LEOPARDI e GENTILE sono all'apice della follia del nichilismo. Considera LEOPARDI e GENTILE come i due più grandi geni che hanno portato all'estremo la concezione del mulla ovvero l'entrare e l'uscire degli enti dal nulla.  Affronta il problema dell'essere. Tutte le filosofie costituitesi precedentemente sono caratterizzate da un errore di fondo: la  fede del divenire. Sin dagli antichi, infatti, un ente (ovvero un qualcosa che è) e considerato come proveniente dal nulla, dotato di esistenza e successivamente ritornante nel nulla.  Rifacendosi a VELIA,  è stato definito come un neo-veliano, di cui sarebbe l'unico esponente, peraltro criticato in senso anti-metafisico da SASSO e VISENTIN, i quali sostengono, rovesciando la sua tesi, come, contrariamente all'opinione diffusa, in VELIA esiste invece un deciso rifiuto della metafisica.. Riflettendo sull'opposizione assoluta tra essere e non-essere, dato che tra i due termini non vi è nulla in comune, ritiene evidente che l'essere non può non rimanere costantemente uguale a se stesso, evitando di rimanere alterato dall'altro da sé. Anzi, essendo l'essere la totalità di ciò che esiste, non può esserci altro al di fuori di esso dotato di esistenza (S.rifiuta, quindi, il concetto di differenza ontologica così come è stato avanzato da Heidegger). Per S., quindi, tutta  la storia della filosofia occidentale è basata sull'errata convinzione che l'essere possa diventare un nulla, sebbene alcuni filosofi tentano di negare tale assunto.  Ma, mentre VELIA tenta di risolvere il conflitto tra il divenire e l'immutabilità dell'essere affermando l'illusorietà del divenire (negando l'esistenza delle cose del mondo e cadendo quindi in un'aporia), sceglie una via differente, portandolo a delle tesi estreme.  Dato che l'essere è, e non può mai diventare un nulla, ogni essente è eterno. Ogni cosa, ogni pensiero, ogni attimo e eterno. Il di-venire non può, quindi, che rappresentare l'apparire degli eterni stati dell'essere, così come i fotogrammi di una pellicola si susseguono sino a formare lo svolgimento completo di un film. Gl’essenti entrano ed escono del cerchio dell'apparire. Quando un essente esce dal cerchio dell'apparire, non diviene un nulla, ma si sottrae semplicemente all’inter-soggetivo. Dunque, l’essente esiste anche quando scompaie ovvero non si perceive. Vedere senza vedere, dice Sperduto in una tragicommedia. Afferma che il di-venire dell’essente è come lo scorrere dell’essente sulla superficie di uno specchio. L’essente, infatti, esiste  prima di entrare nel campo inter-soggetivo dello specchio e ovviamente continua ad esistere anche dopo esserne uscite. Il di-venire e l’ immagine inter-soggetiva dell’essere. Questo si estende anche a ogni essente che nel divenire si manifesta.  La dimostrazione dell'eternità di tutti gli essenti, si basa sostanzialmente sul principio di non contraddizione, ma non nella versione che ne dà Aristotele nel “De Interpretatione”. In essa anzi il discorso del tramonto del senso dell'essere trova la sua formulazione più rigorosa e più esplicita. Bisogna invece ritornare a VELIA correggerne l'esito aporetico, dimostrando che l'evidenza fenomenica non è in contrasto col principio di non contraddizione, ma scoprendo anche che il divenire così come uscire dal nulla e ritornare nel nulla, non appare affatto, non è affatto evidente. Di qui si potrà proseguire su una via -- quella indicata da VELIA, il sentiero del giorno. Consideriamo la proposizione di VELIA -- è infatti l'essere, il nulla non è. Tale proposizione esprime l'opposizione assoluta tra i "essente" e "non essente". Pertanto ogni essente, in quanto ent-e, è assolutamente opposto al nulla e non ci può essere uno stato in cui un ente non sia, come pensa invece il principio di non contraddizione aristotelico -- è necessario che l'essente sia, quando è, e che il non-essente non sia, quando non è". Quest'enunciato esprime il pensiero di una condizione, in cui l'essente è nulla, in cui essere = nulla. Questa impossibile ed impensabile contraddizione costituisce una follia essenziale. Infatti il pensiero occidentale pensa sì, consapevolmente, l'essente come essere, ma insieme come di-veniente, cioè che esca dal nulla e ritorni nel nulla. Ad esso sfugge invece che ciò equivale a pensare l'ente come nulla; e questo è il nichilismo più proprio, la follia che si annida nell'inconscio della filosofia. L’essere non è un ente tra gli enti. Esso rappresenta piuttosto l'apparire ontologico degli enti, e per questo motivo viene definito un transcendens rispetto all'ente. Rigetta questa concezione. Afferma che la totalità dell'essere è costituita dalla totalità degli enti. La vera differenza ontologica è quindi quella che si costituisce tra l'essere (l'ente) diveniente e quello immutabile.  L'essere che appare e scompare non è lo stesso essere immutabile, ma è anch'esso eterno. Entrambi esistono, ma in differenti dimensioni. L'essere come fondamento è una struttura eterna e non soggetta ad alcun mutamento.  Tutto è avvolto (fino alla morte) dal nichilismo Un po' tutti i filosofi che l'hanno avuto sottomano hanno inteso il nichilismo come allontanamento dalla verità, e l'hanno dunque declinato a seconda dell'idea di verità a cui stavano pensando. Nella prospettiva severiniana dell'eternità di tutte le cose, il nichilismo è dunque il credere che le cose siano mortali, ovvero che l'essere possa non essere,ed uscire e rientrare nel nulla, ovvero credere nel di-venire delle cose. Credere infatti che le cose escano dal nulla e vi ritornino equivale ad identificare l'essere con il nulla: quindi si parla di pura "follia". Al di fuori della follia appare l'eternità di ogni cosa e di ogni evento. Al di fuori del nichilismo il sopraggiungere dell'ente è il comparire o lo sparire dell'eterno. Il divenire dell'essere è un'opinione senza verità. L'Occidente non domina il mondo casualmente o perché ha una possibilità offensiva superiore; ma, al contrario, ha una possibilità offensiva superiore perché domina il mondo che crede nelle sue stesse imprescindibili idee guida (scienza, potenza, tecnica, salvezza, ecc.) e quindi in una cultura che ritiene più avanzatae dove dunque l'avanzamento non è una virtù morale, ma la capacità di capire e fare più cose per sopravvivere all'imprevedibilità dell'esistenza. Ritiene che la filosofia abbia sempre cercato riparo contro il terrore che scaturisce dall'imprevedibilità dell'esistenza perché innanzitutto si è sempre creduto nell'evidenza del divenire degli enti, del loro uscire dal nulla e rientrarvi. Anche le grandi forme di epistème che tendono a dare un ordine ed una configurazione prestabiliti all'esistenza, si muovono sullo stesso terreno.  L'intera storia della filosofia italiana è quindi storia del nichilismo. La radicale distruzione dell'epistème operata da parte della filosofia e la rapida ascesa della scienz ai vertici del sapere sono conseguenze inevitabili di questa forma di pensiero (la civiltà della tecnica è, infatti, la forma estrema di volontà di potenza). Tutto ciò che appare appare in maniera necessaria ed il progressivo manifestarsi degli eterni non segue, quindi, una sequenza casuale. Ciò significa che la libertà dell'uomo non esiste, ma appare all'interno di quell'essente (anch'esso eterno) che è il nichilismo. Ed è proprio all'interno dell'Occidente che appare il "mortale" come noi lo conosciamo.  Ma l'Occidente è destinato al tramonto, per fare spazio al destino della verità, la verità che testimonia la follia della fede nel divenire. Solo all'interno del destino della verità la morte acquista un significato inaudito: in realtà la morte è la persuasione dell'assentarsi dell'eterno.  Da quanto detto precedentemente appare chiaro come non ci sia posto per il divino comunemente inteso. Nel corso della storia della filosofia,  l'affermazione dell'esistenza di qualcosa di immutabile (tra cui il divino in tutti i diversi modi nei quali filosofia e religione lo hanno concepito) è sempre stata fatta partendo dal presupposto che il di-venire non significhi necessariamente la nascita dal nulla e il tornare nel nulla delle cose che in esso si presentano. Quest'affermazione è, inoltre, sempre avvenuta con l'intento di risolvere le varie contraddizioni che quel presupposto implica e di inventare un rimedio per l'angoscia che il pensiero dell'annientamento provoca. Questo genere di immutabilità è, quindi, di segno diverso da quella che compete agli enti sulla base dell'impossibilità assoluta che qualcosa si annulli. Per questo motivo è impossibile che esista un divino. A maggior ragione è impossibile che esista un dio dotato della capacità di creare gli enti dal nulla e di mantenerli in esistenza grazie alla sua libera volontà (altrettanto libero potrebbe essere, pel divino, l'annichilimento"diverso dal concetto fisico di annichilazione -, e cioè la volontà di far cessare la durata della loro esistenza per farli ritornare nel nulla).  Essendo ogni ente eterno, non può esserci né creazione né annientamento, e quindi neanche un Dio comunemente inteso. Alla luce del destino della verità, ogni ente, anche il più insignificante, acquista un significato inaudito. L'uomo si porta quindi radicalmente al di là del super-uomo e della volontà di potenza. L’uomo è un super-dio, ben più grande del divino della tradizione religiosa. L'inconciliabilità fra la dottrina dell'Essere e AQUINO è stata sostenuta da Fabro. BARZAGHI, con cui ha più volte dialogato pubblicamente, ha mostrato la possibilità di utilizzare le intuizioni  sull'eternità dell'essente proprio per affermare l'esistenza di Dio e ricondurre il pensiero del filosofo all'alveo cristiano da cui si è staccato (entrambi sono stati alunni, all'Università Cattolica, del filosofo cattolico e apologeta BONTADINI). Pur non rivedendo pubblicamente il suo punto di vista sull'esistenza del divino, apprezza ed elogia la proposta di BARZAGHI.  Con “La Gloria” giunge, tra le altre cose, alla dimostrazione necessaria dell'esistenza degli "altri". Quando Cartesio infatti scopre che la carta vincente della scienza è la conferma delle ipotesi da parte dell'esperienza, e cioè da parte della presenza certa a me da parte delle cose, si apre il problema della fondazione dell'esistenza appunto di altre dimensioni che come la mia accolgono l'accadere del mondo, ma che a differenza della mia non sono apparenti, non sono cioè da me visibili. I fallimenti dei tentativi di soluzione a tale problema (eminentemente proposti ad opera della fenomenologia, sì che questo problema fu certamente uno dei più cogenti all'interno del discorso filosofico di Husserl), a cominciare da quello di Cartesio, si determineranno essenzialmente per l'assenza del senso autentico dell'essente e del senso dell'oltrepassamento. L'oltrepassamento dell'attualità nella costellazione infinita di cerchi finiti dell'apparire del destino è necessità dell'esistenza di un altro apparire finito, diverso da quello attuale.  Nella Gloria, perviene alla fondazione del senso autentico dell'oltrepassamento, dopo aver stabilito nelle opere precedenti che il divenire autentico (cioè non nichilistico) non è il crearsi e l'annullarsi dell'essente, ma il comparire e lo sparire di ciò che è eterno. Ma è in questa sede innanzitutto fondamentale precisare, a partire da considerazioni svolte dallo stesso S. in Destino della Necessità (che le cose della "terra" (termine con il quale S. designa la dimensione degli essenti che via via appaionoe che, per contro, il nichilismo pensa come fuoriuscenti dal nulla ed al nulla ritornanti) "incominciano" ad apparire (il loro apparire esce cioè dall'ombra del non-apparire ed entra nel cerchio dell'apparire). Con "cerchio dell'apparire" si intende, qui, la totalità degli enti che appaiono: è, cioè, l'apparire in quanto ha come contenuto tutto ciò che appare (ossia è l'apparire "trascendentale"); l'apparire delle cose della terra, quell'apparire incominciante di cui sopra, è, perciò, la relazione tra il cerchio dell'apparire (l'apparire trascendentale) e una parte del suo contenuto.  È altrettanto fondamentale precisare che l'incominciare della terra (a sua volta eterna), non aggiunge alcunché al tutto eterno che è, con VELIA, appunto, “non incompiuto” (ouk atelePombaon), “non manchevole” (oulon achineton). Anche l'incominciante apparire, difatti, è eterno: il suo incominciare è il suo entrare nel cerchio dell'apparire. Entrandovi, naturalmente, apparema questo apparire dell'entrare è lo stesso entrare, ossia è quello stesso di cui si dice che, eterno, entra nel cerchio dell'apparire. E, così come ogni ente, anche l'appartenenza della terra al cerchio dell'apparire è eterna. L'eterna appartenenza al cerchio dell'apparire entra nel cerchio eterno dell'apparire. Entrandovi, appare, e quest'ultimo apparire è lo stesso apparire incominciante in cui consiste l'incominciante appartenenza della terra al cerchio dell'apparire. L'apparire incominciante è cioè apparire di sé stesso (e di tutte le altre cose che incominciano ad apparire), ed è questa autoriflessione dell'apparire incominciante ciò che entra nel cerchio dell'apparire e incomincia a far parte del contenuto di questo cerchio.  Ma ogni essente che incomincia ad apparire (ogni oltrepassante) è destinato ad essere oltrepassato: diventerebbe, altrimenti, condizione indispensabile dell'apparire degli essenti e quindi originarietà che sarebbe dovuta apparire già da sempre. Un oltrepassante che sia non oltrepassabile è impossibile, perché altrimenti esso dovrebbe iniziare ad appartenere allo sfondo (e  intende, con questo termine, quel complesso di significati, o costanti persintattiche costanti sintattiche di ogni significato –, senza i quali non apparirebbe nulla, motivo per cui non possono non essere sempre presenti. Tra questi ad esempio vi sono i significati esseree e nulla. Inoltre, la serie progressiva degli essenti che via via appaiono è necessariamente finita; infatti, se in direzione del passato fosse estensibile all'infinito, ci vorrebbe un percorso infinito, e quindi mai concluso, per giungere al momento attuale. C'è quindi un primo passo compiuto dalla terra.  La totalità attuale di ciò che è destinato ad apparire è, per quanto sopra esposto, necessariamente oltrepassata. Ma in che senso?  Essa non è, difatti, oltrepassata dall'apparire infinitogiacché l'apparire infinito (l'infinito oltrepassarsi da parte delle forme proprie dell'apparire finitodove la Gloria è proprio questo infinito dispiegarsi) non è un oltrepassamento incominciante, ma è l'oltrepassamento già da sempre ed eternamente compiuto della totalità del finito. La totalità attuale dell'incominciante è, dunque, necessariamente oltrepassata da un incomincianteil quale non può apparire attualmente, ma è tuttavia necessario che appaia (in quanto l'incominciare è incominciare ad apparire), e che quindi è necessario che appaia sopraggiungendo in un cerchio diverso, altro, dal cerchio originario dell'apparire. La totalità simpliciter degli essenti-che-sono-degli-oltrepassanti (la totalità dell'oltrepassante, cioè, che include come parte la totalità attuale dell'oltrepassante) non può essere a sua volta oltrepassata, perché ciò che la oltrepasserebbe sarebbe un oltrepassante non incluso nella totalità dell'oltrepassante; e se l'oltrepassante (cioè l'incominciante) che oltrepassa la totalità degli oltrepassanti non fosse a sua volta oltrepassato, esso sarebbe quel contenuto impossibile che è, appunto (per quanto sopra esposto), l'incominciante non-oltrepassabile.  Poiché la terra oltrepassa anche l'attualità dell'apparire del cerchio originario, sopraggiungendo in un cerchio diverso, il contenuto incominciante che appare nel cerchio originario dell'apparire attuale, è oltrepassato (infinitamente) in due direzioni:  (a) In quanto contenuto incominciante, esso è oltrepassato lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale del cerchio originario (o, per utilizzare il suo lessico, lungo la Gloria del dispiegamento infinito della terra che si inoltra nel cerchio originario). Ma non è in quanto tale contenuto è attuale che esso viene oltrepassato lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale.  (b) In quanto contenuto attuale (in quanto, cioè, alla sua attualità) il contenuto incominciante è oltrepassato invece in un altro cerchioe in un'infinità di altri cerchi dell'apparire. L'oltrepassante-incominciante, qui, entra nell'apparire non attuale. Anche questa seconda direzione dell'oltrepassamento è un dispiegamento infinito nella Gloria, ma, appunto, nella gloria che consiste nell'infinito sopraggiungere, nel cerchio originario, della costellazione infinita degli altri cerchi. La gloria è l'unità di queste due dimensioni. La dimensione dell'essente, che incomincia cioè ad apparire nel cerchio originario, è necessariamente oltrepassata da un'altra dimensione dell'essente (perché l'incominciante non può incominciare ad appartenere all'essenza dello Sfondo, non incominciante e non tramontante, del cerchio originario); ma anche l'attualità dell'essente che incomincia ad apparireossia anche l'apparire (che, in quanto tale, è apparire attuale) dell'essente che incomincia ad apparireincomincia ad apparire, sì che (per lo stesso motivo) è necessariamente oltrepassata in un altro cerchio dell'apparire; e anche la sintesi tra l'attualità del cerchio originario e l'attualità in sé dell'altro cerchio incomincia ad apparire nel cerchio originario, quando in esso incomincia ad apparire ciò che ne oltrepassa l'attualità; e dunque (per lo stesso motivo) tale sintesi è oltrepassata in un terzo cerchio (e, cioè, l'attualità in sé dell'altro cerchio non è oltrepassata solo nel cerchio originario, ma necessariamente in un terzo cerchio)e così all'infinito.  In definitiva, l'oltrepassamento dell'attualità di un cerchio non avviene solo lungo la dimensione "verticale" del singolo cerchio, ma anche lungoquella "orizzontale" della costellazione di cerchi del Destino.  L'oltrepassamento hegeliano, invece, conserva "idealmente", cioè astrattamente, ciò che oltrepassa, e non realmente, determinandone la distruzione. In un contesto siffatto è fondata l'impossibilità dell'esistenza degli "altri", perché l'altro, che è il mio oltrepassante, determinerebbe il mio superamento, e mi consegnerebbe ad una dimensione puramente ideale. Infatti nel sistema hegeliano l'esistenza degli altri significa l'esistenza di soggetti empirici, sensibili, che è quindi comunque interna all'esistenza produttiva dell'unico io. Il nichilismo è un essente che incomincia ad apparire, ed è quindi destinato ad essere oltrepassato. L'essente che oltrepassa il nichilismo è l'essente che porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità. Il nichilismo è, infatti, pensare e vivere le cose come nulla in quanto delle cose non appare il legame alla struttura originaria della verità, e quindi non appare l'eternità. L'essente, o la dimensione di essenti, che porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità è la gloria (cioè la manifestazione) della verità stessa. L'ampiezza dell'isolamento non coinvolge solo il legame tra i singoli essenti e la verità, ma anche il legame tra gli infiniti cerchi dell'apparire, il loro passato e il futuro del percorso che la terra è destinata a compiere in essi. Nella Gloria non si è il divino, perché il divino crea ed annienta le cose anche e soprattutto quando ama; e dunque appartiene al regno dell'errore perché l'amore è volontà e la volontà è voler alterare il senso proprio ed eterno, cancellarne l'identità. Il divino è, quindi, infinitamente meno della più umbratile tra le cose vere. Tutto è oltre il divino e oltre ogni forma di mortalità, compresa la vita umana come credenza nel poter creare e annientare gli essenti.  Saggi: “La struttura originaria” (Brescia, La Scuola; Milano, Adelphi); “Fichte” (Brescia, La Scuola, poi in Fondamento della contraddizione,  Milano, Adelphi); Filosofia della prassi, Milano, Vita e Pensiero,  Milano, Adelphi); “Ritornare a PARMENIDE di VELIA” -- Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Ritornare a Parmenide. Poscritto -- «Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Essenza del nichilismo. Saggi, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Gl’abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica (Roma, Armando,  Téchne); “Le radici della violenza” (Milano, Rusconi, IMilano, Rizzoli); “Legge e caso, Piccola Biblioteca Milano, Adelphi,); “Destino della necessità. Κατὰ τὸ χρεών, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi); “A Cesare e a Dio” (Milano, Rizzoli, La strada, Milano, Rizzoli); “La filosofia antica” (Milano, Rizzoli); “La filosofia moderna” (Milano, Rizzoli, “ Il parricidio mancato, Collana Saggi. Milano, Adelphi, La filosofia contemporanea. Da Schopenhauer a Wittgenstein, Milano, Rizzoli,  Traduzione e interpretazione dell'«Orestea» d’Eschilo, Milano, Rizzoli,  La tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, Adelphi, “Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Biblioteca Filosofica n.6, Milano, Adelphi); “Antologia filosofica dai Greci al nostro tempo, Milano, Rizzoli); “La filosofia futura” (Milano, Rizzoli); “Il nulla e la poesia. Alla fine dell'età della tecnica: LEOPARDI, Milano, Rizzoli); “Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti” (Firenze, Sansoni); “Oltre il linguaggio” (Milano, Adelphi); “La guerra” (Milano, Rizzoli); “La bilancia” (Milano, Rizzoli); “Il declino del capitalismo” (Milano, Rizzoli); “Sortite -- sui rimedi e la gioia” (Milano, Rizzoli); “Metafisica” (Milano, Adelphi); “Pensieri sul Cristianesimo” (Milano, Rizzoli); “Tautótēs, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi,  La filosofia dai Greci al nostro tempo” (Milano, Rizzoli); “La follia dell'angelo” (Milano, Rizzoli); “Leopardi -- Cosa arcana e stupenda” (Milano, Rizzoli); “La tecnica” (Milano, Rizzoli); “La buona fede” (Milano, Rizzoli); “L'anello del ritorno” (Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi); “Crisi della tradizione occidentale” (Milano, Marinotti); “La legna e la cenere, ovvero, dell’esistenza” (Milano, Rizzoli); “Il mio scontro con la chiesa” (Milano, Rizzoli); “La Gloria. ἄσσα οὐκ ἔλπονται: risoluzione di destino della necessità (Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi); “Oltre l'uomo e oltre Dio” (Genova, Melangolo, Lezioni sulla politica. I Greci e la tendenza fondamentale del nostro tempo” (Milano, Marinotti); Tecnica e architettura” (Milano, Cortina); Dall'Islam a Prometeo, Milano, Rizzoli); Fondamento della contraddizione, Milano, Adelphi,. Nascere. E altri problemi della coscienza (Milano, Rizzoli,  Milano, BUR,. Sull'embrione, Milano, Rizzoli, Il muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica, Milano, Rizzoli); Ricordati di santificare le feste” (Milano, AlboVersorio); “L'identità della follia” (Milano, Rizzoli). “Oltrepassare” (Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi); Etica e Scienza” (Milano, Editrice San Raffaele,  Immortalità e destino, Milano, Rizzoli, La buona fede. Sui fondamenti della morale, Milano, Rizzoli, Volontà, fede e destino, Grossi, Milano-Udine, Mimesis); L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica, e sulla pena di morte, Milano, AlboVersorio, La ragione, la fede, Milano, AlboVersorio,  L'identità del destino. Milano, Rizzoli, Il diverso come icona del male, Torino, Boringhieri,  Democrazia, tecnica, capitalismo, Brescia, Morcelliana,  Discussioni intorno al senso della verità, Pisa, ETS, La guerra e il mortale, Taddio, Milano-Udine, Mimesis. Macigni e spirito di gravità. Riflessione sullo stato attuale del mondo, Milano, Rizzoli,. L'intima mano, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi); Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente, Perone, Torino, Rosenberg e Sellier, Istituzioni di filosofia, Brescia, Morcelliana); Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli,; Milano, BUR,. La bilancia. Milano, BUR, Del bello, Milano, Mimesis,,  La morte e la terra, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi,. Capitalismo senza futuro, Rizzoli, Milano,. Educare al pensiero, Brescia, La Scuola,. Pòlemos, Milano, Mimesis, Intorno al senso del nulla, Milano, Adelphi,. L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica. E la pena di morte, Milano, AlboVersorio, La potenza dell'errare. Sulla storia dell'Occidente, Milano, Rizzoli,. Il morire tra ragione e fede, Venezia, Marcianum, Parliamo della stessa realtà? Per un dialogo tra Oriente ed Occidente, Milano, Jaca, Sul divenire. Modena, Mucchi,. Piazza della Loggia. Una strage politica, I. Bertoletti, Brescia, Morcelliana,. In viaggio con Leopardi. La partita sul destino dell'uomo, Milano, Rizzoli,. Dike, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi,. Cervello, mente, anima, Brescia, Morcelliana, Storia, Gioia, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi, Il tramonto della politica. Considerazioni sul futuro del mondo, Milano, Rizzoli); “L'essere e l'apparire” Brescia, Morcelliana, Dell'essere e del possibile, Milano, Mimesis,.  Sulla verità e la morte, Milano, Rizzoli, Il nichilismo e la terra, Milano, Mimesis, Testimoniando il destino, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi,  Ontologia e violenza. Milano, Mimesis,  Aristotele, I principi del divenire. Libro primo della Fisica (Brescia, La Scuola). Filosofo dell'eterno. Il mio ricordo degl’eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli,  “Parmenideo” -- VELIA, su la Repubblica,  Scianca, Addio a S.: ecco chi era il grande filosofo dell'essere, su Il Primato Nazionale,  Bovegno, il filosofo cittadino onorario, su giornale di brescia  «L'esperimento di Barzaghi è importante e va seguito con attenzione. Immerso nell'alienazione, il cristianesimo è come una casa invisibile di cui qualcuno dice, indicando un banco di nebbia: "Là c'è una casa". Che cosa si riuscirebbe a vedere se la nebbia (l'alienazione) diradasse? Forse una casa. Ma forse nulla. Nel primo caso, il cristianesimo avrebbe ancora qualcosa da dire, e di grande» (S., Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa).  «Rigoroso fino alla fine. Solo un po' più triste», in Brescia oggi,  Emanuele Severino, il tributo si celebrerà a Palazzo Loggia, in Bresciaoggi. Ecco perché la giovane Italia va in malora", su il Fatto Quotidiano, Odifreddi, La scienza sotto tiro, su la Repubblica, Fusaro e Didero, Filosofico. Miligi et al., "Sguardo su S.", su filosofia.)  "filosofo poetante" cf. La Guerra, occorre riconoscere che le sue posizioni, qualunque sia il giudizio che si pensa di dover dare su di esse, non sembrano aver avuto, perlomeno fino ad ora, un vero e proprio seguito tra coloro che si occupano professionalmente di filosofia.» (Cfr. Visentin, Il neo-parmenidismo italiano. Le premesse storiche e filosofiche, Napoli, Bibliopolis)  Neo-parmenidismo, su filosofia.  Se noi potessimo mai non essere, già adesso non saremmo. La prova più certa della nostra immortalità è il fatto che noi ora siamo. Perché ciò dimostra che su di noi il tempo non può nulla: in quanto è già trascorso un tempo infinito. È del tutto impensabile che qualcosa che è esistito una volta, per un momento, con tutta la forza della realtà, dopo un tempo infinito possa non esistere: la contraddizione è troppo grossa. Su questo si fondano la dottrina cristiana del ritorno di tutte le cose, quella induista della creazione del mondoche si ripete continuamente a opera di Brahma, e dogmi analoghi di Platone e altri filosofi.» (A. Schopenhauer)  Sperduto, Vedere senza vedere ovvero Il crepuscolo della morte, Schena ed., Fasano di Brindisi, "Ritornare a Velia", in Essenza del Nichilismo, Brescia, Aristotele, Liber de Interpretatione, essenza del nichilismo, follia estrema ed estremamente nascosta: la persuasione che gli essenti, in quanto tali, escano dal loro non essere e vi ritornino: la persuasione che vi sia un tempo in cui l'essente (prima di essere e dopo il suo essere) sia nulla, che il non niente sia niente: la persuasione che è il culmine in cui si mantiene l'intera storia dell'Occidente. Destino della necessità, Milano, Adelphi, L'alienazione dell'Occidente. Quadrivium, Genova); “La struttura originaria, Milano, Adelphi, Sito web Amadori F., Il libero arbitrio, "Filosofia" Antonelli, Verità, nichilismo, prassi. Roma, Armando, Berto F., La dialettica della struttura originaria, Padova, Poligrafo, Crapanzano, L'immutabilità del diveniente. Roma, Gruppo Albatros Il Filo, Cusano, Capire S.. La risoluzione dell'aporetica del nulla, Milano, Mimesis Cusano N., S. Oltre il nichilismo, Brescia, Morcelliana,. Sasso, Dal divenire all'oltrepassare. La differenza ontologica, Roma, Aracne, Dal Sasso A., Creatio ex nihilo. Tra attualismo e metafisica” (Milano, Mimesis); Giovanni, Sul divenire. Gentile e S., Napoli, Scientifica, Paoli, “Furor Logicus” (Milano, Angeli); Aporia del fondamento, Napoli, Città del Sole); Fabro, L'alienazione Genova, Quadrivium, Goggi, Al cuore del destino. Milano, Mimesis Goggi, Vaticano. Magliulo, Quaestiones disputatae, Milano-Udine, Mimesis, Mauceri, La hybris originaria. Cacciari Napoli-Salerno, Orthotes, Messinese, L'apparire del mondo. sulla struttura originaria Milano, Mimesis, Messinese, Il paradiso della verità. Pisa, ETS, Messinese, Stanze della metafisica. Carlini, Bontadini, Brescia, Morcelliana,. Messinese, Né laico, né cattolico. S., la Chiesa, la filosofia, Bari, Dedalo, Petterlini, Brianese e Goggi, Le parole dell'essere. Per S., Milano, Mondadori, Poma, Necessità del divenire. Una critica a S., Pisa, ETS,. Saccardi, Metafisica e parmenidismo – I veliani, Il contributo della filosofia neoclassica, Napoli-Salerno, Orthotes,. Scilironi, Ontologia e storia, Abano Terme, Francisci, Scurati, Pensare l'identità.  Milano, Alboversorio, Simionato, Nulla e negazione. L'aporia del nulla (Pisa, Plus); Soncini, Il senso del fondamento in Genova, Marietti, Spanio, Il destino dell'essere. Brescia, Morcelliana,. Sperduto, Vedere senza vedere ovvero Il crepuscolo della morte, Fasano di Brindisi, Schena, Sperduto, Maestri futili? Annunzio, Levi, Pavese, Roma, Aracne, Sperduto, Il divenire dell'eterno. Su S. (ed ALIGHIERI), Prefazione di Messinese, Roma, Aracne,. Testoni, S., La follia dell'angelo, Milano, Mimesis, Tarca, Verità,  alienazione e metafisica. Rilettura critica della proposta filosofica di S., Treviso, Mevio Washington, Valent, Cura e salvezza. Saggi dedicati, Bergamo, Moretti & Vitali, Visentin M., Tra struttura e problema. Note intorno al pensiero di E. Severino, Venezia, Marsilio [ora in Il neoparmenidismo italiano, Dal neoidealismo al neoparmenidismo, Napoli, Bibliopolis, Metafisica Ontologia Episteme Nichilismo Leopardi Velia Valent Galimberti. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Associazione spazio interiore ambiente, Ursini. Emanuele Severino. Severino. Keywords: velino, velia, parmenide, zenone, scuola di velia. Zenone il velino, Parmenide il velino, divenire, GENTILE -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Severino” – The Swimming-Pool Library.

 

 

 

Grice e Sforza: iustum/iussum – tra idealismo e positivismo -- filosofia italiana –  Luigi Speranza (Forli). Filosofo italiano. Direttore del Resto del Carlino. Insegna a Roma. Autore di importanti saggi di filosofia del diritto quali Il concetto, il diritto e la giurisprudenza naturale, Filosofia del diritto e filosofia della storia, Idee e problemi di filosofia giuridica, ecc. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Widar Cesarini Sforza. Sforza. Keywords: iussum, iustum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sforza” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sgalambro: all’isola -- della misantropia – filosofia dell’isola di Sicilia – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lentini). Filosofo italiano. Important Italian philosopher. La sua filosofia è nichilista, definizione spesso respinta da lui stesso, ma talvolta anche accettata, e si può piuttosto definire un'originale sintesi tra la filosofia della vita di Schopenhauer e il materialismo e pessimismo di RENSI, con le influenze dell'esistenzialismo sui generis di Cioran, di alcuni temi della scolastica e della teologia empia e naturalistica di VANINI e Mauthner. Noto anche per la collaborazione con Battiato. Da una famiglia benestante (il padre era un farmacista), osserva un riserbo quasi conventuale nella sua vita privata, fornendo tuttavia alcuni elementi biografici nelle sue interviste o presentazioni. Dopo l'infanzia trascorsa a Lentini, si trasferisce a Catania. S’iscrive a Catania. Dicedo di non iscrivermi in filosofia perché la coltivavo già autonomamente. Mi piace il diritto penale e per questo scelsi la facoltà di giurisprudenza. Inoltre non si trova d'accordo con la cultura filosofica dominante allora nelle accademie, troppo legata all'idealismo di CROCE e GENTILE. Sono loro che occupano tutto lo spazio filosofico. Ma io non mi ritrovo affatto in quei sistemi complessi e completi, dove ogni cosa era già stata incasellata. Per me, filosofare e una destructio piuttosto che una costructio. Sono uno che noto le rovine, piuttosto che la bellezza. Questo e un po' scomodo, e non certamente accademico. Il reddito che proveniva da un agrumeto (lasciatogli in eredità dal padre) non basta più, così sceglie di integrarlo compilando tesi di laurea e facendo supplenze nelle scuole. Il matrimonio è un momento, come dice Hegel, in cui la realtà determinata entra in un individuo. Dunque il matrimonio non coincide semplicemente con l'amore per una persona, ma con la durata. Ecco dove sta l'essenza, quasi teologica, del matrimonio. E dichiaratamente ateo anche se crede nella reincarnazione, come ricordato anche da Battiato, e ha avuto un funerale religioso. Vive da solo nella sua casa catanese. Che non ci sia niente di peggiore del mondo, non si deve dimostrare. Ripete spesso che non possedeva titoli né lauree per i biglietti da visita e quindi come sia riuscito a diventare un filosofo e  «un mistero» che egli stesso stenta a spiegarsi. Il suo primo contatto con un saggio filosofica avviene quando legge “La formazione naturale nel fatto del sistema solare” di ARDIGÒ. Collabora a “Prisma” con un saggio, “Paralipomeni all'irrazionalismo” dove, influenzato da RENSI, sviluppa un attacco all'idealismo crociano allora in piena egemonia. S’ispira anche all'ironia di Kraus di cui ama lo stile aforistico. Se Kraus avesse scritto Il Capitale lo avrebbe fatto in tre righe. Scrive per “Incidenze”“Crepuscolo e notte” (Messina, Mesogea), un saggio di "esistenzialismo negativo". Scrive anche per la rivista Tempo presente. Decide di organizzare la sua filosofia in un saggio sistematica. Manda “La morte del sole” con un biglietto di due righe ad Adelphi. “E lì è rimasto.” “Ma siccome io sono fatto in questo modo, non ho chiesto niente. Poi è arrivata una telefonata. Mi chiedevano di andare a Milano, per prendere contatto con l'editore.  Calasso mi dice che “La morte del sole” (Milano, Adelphi) non e maturo, e marcio: ed e esattamente così. Pubblica “Trattato dell'empietà: (Adelphi, Milano); Anatol (Adelphi, Milano), Del pensare breve (Adelphi, Milano) Dialogo teologico (Adelphi, Milano), Dell'indifferenza in materia di società (Adelphi, Milano), La consolazione (Adelphi, Milano), Trattato dell'età – una lezione di metafisica (Adelphi, Milano), “De mundo pessimo” (Adelphi, Milano); “La conoscenza del peggio” (Adelphi, Milano); “Del delitto” (Adelphi, Milano) e “Della misantropia” (Adelphi, Milano). Viene avvicinato al nichilismo. Talvolta ha respinto la definizione, mentre altre volte l'ha accettata, nel senso di un nichilismo attivo e demolitore, non passivo e chiuso. Indubbiamente questa visione è nell'intimo di me stesso. Per un nichilista le cose -- il Papa, MUSSOLINI, un vaso di terracotta -- si equivalgono. Questo non significa che non si ha il senso di ciò che vale. Significa piuttosto che si prova a romperlo come si può, per esempio con il martello del pensare. Intanto con alcuni amici avvia una piccola attività editoriale a Catania. Nasce così la De Martinis. All'interno di questa casa editrice, si occupa di saggistica, pubblicando un paio di propri testi – “Dialogo sul comunismo” (Martiniis, Catania) e “Contro la musica – sull’ethos del ascolto” (Martiniis, Catania) -- e ristampando VANINI e di Benda. Suscita polemiche una sua intervista a Battistini sulla mafia, dove critica anche Sciascia e il mito dell'anti-mafia militante (che tra l'altro fu criticata da Sciascia stesso. L'immagine della Sicilia. C'è, come no? Ma cercarla in faccende di Cuffaro e di Gabanelli è come cercare un tesoro fra le spine dei fichi d'India. Cercare che cosa, poi? La griglia mafiosa è una gabbia. È chiaro che ha ragione la Gabanelli e che Cuffaro vuole cancellare a suo modo la mafia, con un tratto di parole. Ma contesto che la mafiosità sia una chiave di conoscenza. Non cambio idea. La mafia è un concetto astratto. E gl’astratti si distruggono con la logica, non con la polizia. La polizia può arrestare la mafia. Eliminarla, mai. Quello che importa è la Mafia maiuscola, concetto generale e perciò indistruttibile. La mafia in sé non mi fa venire in mente nulla. Come la patria, i morti di Solferino. Cose vetuste. Sciascia e lo scrittore sociale, un maestro di scuola che vuole insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è come ri-leggere Pellico. La sua funzione si è esaurita. La mafia è l'unica economia reale di quest'isola. Ci sono fenomeni della storia, ricchezze che non si possono fare con le mani pulite. Qui la ricchezza è sempre stata fondiaria, senza investimenti. La ricchezza è per sua natura sporca. Basta col gioco della spartizione -- è mafioso o no? Domande da periodo di lotte religiose -- è luterano o cattolico? In Sicilia sono arrivati anche i laici, per fortuna. Definisce poi Fava "quel piagnone", affermando che "i famosi Cavalieri", soprannome dato dal padre di Fava a quattro imprenditori catanesi considerati collusi con Cosa nostra, erano l'unica economia possibile» per la città. -- è tornato in maniera sarcastica sull'argomento. Considero la Sicilia come un fenomeno estetico e non ne cambierei nulla. In questo senso potrei dire che mi considero un mafioso. E attaccato da  Ferrarotti che lo define un neo-reazionario e di "intolleranza aristocratica e silenzio sulla mafia. Alla sua isola ha dedicato “Teoria della Sicilia”. Là dove domina l'elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell'isola è segnata da questa certezza. Un'isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull'instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave. Vi incombe il naufragio. Oltre ai saggi per Adelphi, pubblica per Bompiani Teoria della canzone, Variazioni e capricci morali, e due raccolte di poesie, frammenti di una biografia per versi e voce e Marcisce anche il pensiero (frammenti di un poema), nonché L'impiegato di Filosofia, nel quale ironicamente afferma di aver rinunciato alla filosofia ritrovandosi più filosofo che mai, curioso libretto stampato in un museo della stampa con caratteri mobili, edito da La Pietra Infinita. Pubblica “Del metodo ipocondriaco” (Il Girasole, Valverde), Quaternario (racconto parigino), la raccolta di poesie Nell'anno della pecora di ferro, e Dal ciclo della vita. La matematica è il tribunale del mondo. Il numero è ordine e disciplina. Ciò con cui si indica lo scopo della scienza, tradisce col termine la cosa. L'ordine, già il termine ha qualcosa di bieco, che sa di polizia, adombra negli adepti le forze dell'ordine cosmico, i riti cosmici. L'autentico sentimento scientifico è impotente davanti all'universo. L'inflazione che caccia nelle mani dell'individuo, in un gesto solo, miliardi di marchi, lasciandolo più miserabile di prima, dimostra punto per punto che il denaro è un'allucinazione collettiva. Avviene l'incontro con Battiato, del tutto casualmente, perché presentavano insieme un volume di poesie dell'amico comune Scandurra. Battiato gli chiede un appuntamento per proporgli di scrivere il libretto di “Il cavaliere dell'intelletto”. Un anno fa non ci conoscevamo neppure. Da allora non abbiamo fatto altro che lavorare insieme. Lui e anche un filosofo, ma per me è un talento che mi stimola e arricchisce. Mi sembra impossibile tornare a scrivere i testi delle mie cose. In mezzo a tutto questo, mi capitò tra i piedi Battiato. Per un certo verso direi che è stato uno di quegli incontri che ti portano fuori strada, ma questa è una percezione che ho avuto molto tardi. A volte trovo che è come se tutto quel tempo io lo abbia perduto. La questione sta nel vedere se sia possibile recuperarlo. Accetta e risponde ironicamente all'invito di Battiato chiedendogli di scrivere insieme un disco di musica pop. Tra lui e Battiato si sviluppa un sodalizio artistico e umano, anche se non sempre facile. Anche perché io non sono un grande seguace dell'amicizia. Con Battiato abbiamo avuto lunghe liti, che duravano parecchio. Poi uno dei due, in genere lui, telefonava e il rapporto riprendeva. Tutti i litigi erano per un rigo da cambiare in una canzone. Io non accetto le esigenze della musica e per lui questo e costoso. Il suo impegno in politica? Non ho mai capito come si sia potuto lasciare tentare, tutti i giorni ho cercato di convincerlo a levarsi, solo ora per fortuna sta tornando in se stesso. Collabora a quasi tutti i progetti di Battiato, per cui scrive:  i libretti delle opere Il cavaliere dell'intelletto su Federico II di Svevia, Socrate impazzito, Schopenhauer e TELESIO, Campi magnetici; L'ombrello e la macchina da cucire, L'imboscata, Gommalacca, Ferro battuto, Dieci stratagemmi, Il vuoto, Apriti sesame, Perduto amor, Niente è come sembra, Auguri don Gesualdo Bufalino). Benché affermasse che la canzone era per lui "una distrazione", scrive testi di canzoni anche per Pravo (Emma), Alice (Come un sigillo, Eri con me), Il movimento del dare, Marie ti amiamo, Non conosco nessun Patrizio (Facciamo finta che sia vero ed Aurora).  Dopo essere intervenuto anche ai concerti di Battiato, si cimenta lui stesso con la musica e pubblica il singolo. In una rappresentazione de L'histoire du soldat di Stravinskij interpreta la voce narrante, con Battiato nella parte del soldato e Giovanni Lindo Ferretti in quella del Diavolo.  Pubblica Fun club, prodotto da Battiato e Cosentino. Un alleggerimento che considero doveroso. Dobbiamo sgravare la gente dal peso del vivere, invece che dare pane e brioches. Questa volta, mi sono sgravato anch'io. E poi, la musica leggera ha questo di bello, che in tre minuti si può dire quanto in un libro di 400 pagine o in un'opera completa a teatro.Dà la voce all'aereo DC-9 Itavia nell'opera Ultimo volo di Pollina sulla strage di Ustica.  La canzone della galassia, cantata assieme al gruppo sardo-inglese Mab.  Torna ad esibirsi in un pub di Catania, assieme al Fazio e Cantarella. Finita l'esibizione alla presenza di Russo e Battiato, seguì il concerto delle Lilies on Mars, band formata da due ex componenti del gruppo MAB (Masia e Cristofalo), band che si era esibita con Battiato in Il vuoto.  Di passaggio (L'imboscata) recita: La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi. Interviene in Shakleton, da Gommalacca. In Invito al viaggio (da Fleurs) recita: «Ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto. I soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l'incanto dei tuoi occhi quando brillano offuscati. Laggiù, tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà; il mondo s'addormenta in una calda luce di giacinto e d'oro; dormono pigramente i vascelli vagabondi, arrivati da ogni confine per soddisfare i tuoi desideri. I fiori del male. Corpi in movimento, Campi magnetici, recita. Se io, come miei punti, penso quali si vogliano sistemi di cose, per esempio, il sistema: amore, legge, spazzacamino e poi non faccio altro che assumere tutti i miei assiomi come relazioni tra tali cose, allora le mie proposizioni, per esempio, il teorema di Pitagora, valgono anche per queste cose.  Hilbert, Lettera a Frege. Partecipa a quasi tutti i tour di Battiato:  Recita versi in latino sul brano di Battiato  Canzone chimica: «Bacterium flourescens liquefaciens, Bacterium histolyticum, Bacterium mesentericum, Bacterium sporagenes, Bacterium putrificus.  Esegue una nuova versione con il testo riadattato in chiave filosofica. Accetta il consiglio. Canta due brevi strofe dei suoi versi nella canzone La porta dello spavento supremo, Dieci stratagemmi di Battiato. Quello che c'è ciò che verrà ciò che siamo stati e comunque andrà tutto si dissolverà Sulle scogliere fissavo il mare che biancheggiava nell'oscurità tutto si dissolverà. La porta dello spavento supremo. Il sogno; “Teoria della canzone, Milano, Bompiani, Frammenti di una biografia per versi e voce, Bompiani, Milano, Poesie, Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Segrete (Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Opus postumissimum; Firenze, Giubbe Rosse, Dolore e poesia (Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita,  Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto) e Dialogo sul comunismo), Quaternario. Racconto parigino” (Valverde, Girasole); “Frammenti di una biografia” (Milano, Bompiani); “La consolazione, L'impiegato di filosofia” (Reggio Emilia, La Pietra Infinita); “Nell'anno della pecora di ferro” (Valverde, Girasole); Marcisce anche il pensiero. Frammenti di un poema, Opus postumissimum” (Milano, Bompiani); “Teoria della canzone” (Milano, Bompiani); Variazioni e capricci morali” Milano, Bompiani,  Dal ciclo della vita” (Valverde, Girasole); Devozione allo spazio in Raciti, Dello spazio, Catania, CUECM, Sciascia e le aporie del fare in Sciascia. Scrittura e verità, Palermo, Flaccovio, Carpe veritatem, La filosofia delle università” (Milano, Adelphi); “EMPEDOCLE o della fine del ciclo cosmico” in Grado, Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà” (Catania, Maimone); “GENTILE o del pensare” in Grado, “Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà (Catania, Maimone); Post scriptum in Barcellona, Lo spazio della politica. Tecnica e democrazia” (Roma, Riuniti); “Un discorso coerente sui rapporti tra il divino  e il mondo” (Catania, De Martinis); “La filosofia dell'autorità” (Catania, De Martinis); quarta di copertina prefazione in Scandurra, Trigonometria di ragni, Milano, All'Insegna del Pesce d'Oro, La malattia dello spazio in Insulæ. L'arte dell'esilio, Genova, Costa e Nolan, “VANINI e l'empietà” VANINI, “Confutazione delle religioni” (Catania, De Martinis); “Breve introduzione in Tornatore, Una pura formalità, Catania, De Martinis, Piccola glossa al “Trattato della concupiscenza” in Bossuet, Trattato della concupiscenza, Catania, De Martinis, Klaus Ulrich Leistikov, Mantrana. Un gioco, Catania, De Martinis); “GENTILE e il tedio del pensare in Gentile, L'atto del pensare come atto puro” (Catania, De Martinis); S., Il bene non può fondarsi su un Dio omicida in Martini, Eco, In cosa crede chi non crede? Roma, Liberal, Sciascia e le aporie del fare in Sciascia. La memoria, il futuro, Collura, Milano, Bompiani, Ottonieri, Elegia sanremese, Milano, Bompiani, La morale di un cavallo in Cappellani, La morale del cavallo, Scordia, Nadir, Cosentino, I sistemi morali, Catania, Boemi, postfazione in Trischitta. Il miraggio in celluloide, Catania, Boemi, Piccole note in margine a Basso in Basso, Dui, Catania, Prova d'Autore, Il fabbricante di chiavi Ingaliso, Nell'antro del filosofo. Dialogo, Catania, Prova d'Autore, postfazione in Pumo, Il destino del corpo. L'uomo e le nuove frontiere della scienza medica, Palermo, Nuova Ipsa, Sodalizio in Battiato. L'alba dentro l'imbrunire (allegato a Battiato. Parole e canzoni),  Mollica, Torino, Einaudi, Del vecchio in Mondo Turinese, Hillman. Venticinque scambi epistolari Torino, Boringhieri, I malnati, Porretta Terme, I Quaderni del Battello Ebbro, seconda di copertina, Lettera a un giovane poeta in Farruggio, Bugie estatiche, Roma, Il Filo, prefazione in Contiero, Reggio Emilia, Aliberti, Teoria della Sicilia in Guidi Guerrera, Battiato. Baiso, Verdechiaro, Falzone, Battiato. La Sicilia che profuma d'oriente, Palermo, Flaccovio, Una nota in Battiato, In fondo sono contento di aver fatto la mia conoscenza (allegato a Niente è come sembra), Milano, Bompiani, L’ethos della musica in  Monsaingeon, Incontro con Boulanger, Palermo, rue Ballu, prefazione in Vos, Il giardino persiano, Fanna (PN), Samuele, S. prefazione in Scandurra, Quadreria dei poeti passanti, Milano, Bompiani, seconda di copertina Sull'idea di nazione in Catania. Non vi sarà facile, si può fare, lo facciamo. La città, le regole, la cultura, Catania, ANCE, Dicerie in Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano, Bompiani, postfazione in Guarrera, Occhi aperti spalancati, Messina, Mesogea, Di un fantasma e di mari, Catania, Prova d'Autore, Nota in Bataille, W. C., A. Contiero, Massa, Transeuropa, Massa, prefazione in Bellucci, Un grappolo di rose appese al sole, Villafranca Lunigiana, Cicorivolta, prefazione in Pourparler, Catania, Prova d'Autore, Apologia del teologo in Presutti, “Deleuze e S.: dell'espressione avversa” (Catania, Prova d'Autore); Riflessione in Scuriatti, Mico è tornato coi baffi, Milano, Bietti, Presentazione in Rotoletti, Circoli di conversazione a Biancavilla, Modugno, Arti Grafiche Favia, Il senso della bellezza in Battiato, Jonia me genuit. Discografia leggera, discografia classica, filmografia, pittura, Firenze, Della Bezuga, Moralità plutarchee in Trischitta, Catania, Il Garufi, La città dei morti in Spina, Monumentale. Un viaggio fotografico all'interno del gran camposanto di Messina, Milano, Electa, prefazione in Bellavia, Fermo immagine, Catania, Il Garufi, Sulla mia morte in Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani); Fun club, Milano, Sony,Sony, feat. Mab, La canzone della galassia, Milano, Sony, L'ombrello e la macchina da cucire, Breve invito a rinviare il suicidio, Piccolo pub, Fornicazione, Venosa, Moto browniano, Tao, Un vecchio cameriere, L'esistenza di Dio, in Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, Milano, EMI, Di passaggio, Strani giorni, La cura, Amata solitudine, Splendide previsioni, Ecco com'è che va il mondo, Memorie di Giulia, e Di passaggio in Battiato, L'imboscata, Milano, Polygram,  voce (Canzone chimica) in Battiato, L'imboscata live tour (registrazione video di un concerto), Milano, Polygram, Emma Bovary in Pravo, Notti, guai e libertà, Milano, Sony, Casta diva, Il ballo del potere, La preda, Il mantello e la spiga, È stato molto bello, Quello che fu, Vite parallele, Shackleton in Battiato, Gommalacca, Milano, Polygram, Medievale, Invito al viaggio in Battiato, Fleurs. Esempi affini di scritture e simili, Milano, Universal, La quiete dopo un addio, Personalità empirica, Il cammino interminabile, Lontananze d'azzurro, Sarcofagia, Scherzo in minore, Il potere del canto, Personalità empirica in Battiato, Ferro battuto, Milano, Sony, Invasione di campo in  Invasioni, Come un sigillo in Battiato, Fleurs, Milano, Sony, Non dimenticar le mie parole in Battiato, Perduto amor, Milano, Sony, voce (Shackleton, Accetta il consiglio) in Battiato, Milano, Sony, Tra sesso e castità, Le aquile non volano a stormi, Ermeneutica, Fortezza Bastiani, Odore di polvere da sparo, Conforto alla vita, 23 coppie di cromosomi, Apparenza e realtà, La porta dello spavento supremo)  in Battiato, Dieci stratagemmi. Attraversare il mare per ingannare il cielo, Milano, Sony, in Un soffio al cuore di natura elettrica (registrazione audio e video di un concerto), Milano, Sony, Il vuoto, I giorni della monotonia, Aspettando l'estate, Niente è come sembra, Tiepido aprile, Io chi sono?, Stati di gioia e dell'adattamento in italiano di Era l'inizio della primavera (da Tolstoj) in Battiato, Il vuoto, Milano, Universal,  Il movimento del dare, Milano, Sony, testi (Tutto l'universo obbedisce all'amore, Del suo veloce volo (da Antony Hegarthy, Frankenstein) in Battiato, Fleurs 2, Universal, testo (Marie ti amiamo) in Consoli, Elettra, Milano, Universal, 'U cuntu in Battiato, Il tutto è più della somma delle sue parti, Milano, Universal, testo (Non conosco nessun Patrizio!) in Milva, Non conosco nessun Patrizio, Milano, Universal,  Facciamo finta che sia vero, in Celentano, Facciamo finta che sia vero, Milano, Universal,  Eri con me, in Alice, Samsara, Arecibo, Un irresistibile richiamo, Testamento, Quand'ero giovane, Eri con me, Passacaglia, La polvere del branco, Caliti junku, Aurora, Il serpente, Apriti sesamo, in Battiato, Apriti sesamo, Milano, Universal,  Strani giorni, in Battiato, Milano, Polygram, Patty Pravo, Emma Bovary, Milano, Sony, F, Battiato, Milano, Polygram, Il ballo del potere, Emma, L'incantesimo in Battiato, Milano, Polygram, Sarcofagia, In trance) in Battiato, Milano, Sony, testo in Battiato, Il vuoto, Milano, Universal, Battiato feat. Consoli, Tutto l'universo obbedisce all'amore, Milano, Universal, Battiato, Inneres Auge, Milano, Universal, Battiato, Passacaglia, Milano, Universal; Il cavaliere dell'intelletto, i Palermo, testi e attore in Kleist, Socrate impazzito Catania) testi e attore in Battiato, Fano, attore in Stravinskij, L'histoire du soldat, inedito, Roma,  libretto e voce, Corpi in movimento, La mer, in Battiato, Campi magnetici. I numeri non si possono amare, Milano, Sony, Firenze, voce, Volare è un'arte, Negli abissi, Pratica di mare, A tu per tu con il Mig, Verso Bologna, Simulacro, in Pollina, Ultimo volo. Orazione civile per Ustica, Bologna, Storie di Note, Bologna) attore Carlo Guarrera, Frammenti per versi e voce, Catania, Battiato, TELESIO, Opera in due atti e un epilogo, Milano, Sony,  Cosenza, Alliata in Battiato, Perduto amor, Giarre, L'Ottava, nobile senese, in Battiato, Musikanten, Giarre, L'Ottava, Battiato, “Niente è come sembra” (Milano, Bompiani); Intervento in Consoli, La verità sul caso del signor Ciprì e Maresco, Zelig, intervento in Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano, Bompiani,  intervento in Perrotta, Sicilia di sabbia, Movie Factory,  intervento in Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani,  Videoclip attore in Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, attore in Battiato, Di passaggio, attore in Battiato, Strani giorni, attore in Battiato, Shock in my town, attore in Battiato, Running against the grain, attore in Battiato, Bist du bei mir, attore in Battiato, Ermeneutica, attore in Battiato, La porta dello spavento supremo, attore in F. Battiato, Il vuoto, attore in Battiato, Inneres Auge, Battiato, Niso, Comunità dello sguardo (Torino, Giappichelli); L. Ingaliso, “Nell'antro del filosofo” (Catania, Prova d'Autore);  Cantello, Uno scherzo mimetico che possa introdurre ad una filosofia, Mas Club, L'ultimo chierico, Messina, Mesogea,  Caro misantropo. Saggi e testimonianze Carulli Iannello, Napoli, La Scuola di Pitagora, Fazio, Regressione suicida. Dell'abbandono disperato di Cioran, Barrafranca, Bonfirraro,  Breve invito all'opera, Miccione, Caltagirone,  Lettere da Qalat,  A. Carulli, Introduzione a S., Genova, Il Melangolo, Carulli, Necchi, La piccola verità. Quattro saggi (Milano, Mimesis); Zavoli, Le ombre della sera in Di questo passo. Cinquecento domande per capire dove andiamo, Torino, Nuova ERI, C. Rizzo, De consolatione theologie in Iiritano, Quinzio. Profezie di un'esistenza, Soveria Mannelli, Rubettino, Matteo, il dovere dell'empietà in Della fede dei laici. Il cristianesimo di fronte alla mentalità postmoderna, Soveria Mannelli, Rubettino, Lanuzza, Il filosofo insulare in Erranze in Sicilia (Napoli, Guida);  Aprile, Giù al sud. Perché i terroni salveranno l'Italia, Segrate, Piemme, Risadelli, Nizza, Polisofia, Roma, Nuova Cultura, Per la critica della notte. Saggio sul Tramonto dell’Occidente (Milano, Mimesis); Arosio, Ora, il mondo in L'Espresso, Lanuzza, Il pensiero ipocondriaco in Il Ponte, Bergfleth, Finis mundi, Corda, filosofo irregolare in Arenaria, Raciti, Maestro cattivo per elezione in Ideazione, Raffaele, Intorno alla creatività filosofica. A colloquio con in Parolalibera, Nisio, l'unico che canta. Mille sguardi, II in Democrazia e diritto. Guerra e individuo, Faletra, Dialogo, Cyberzone, Presutti,  Il cavaliere dell'intelletto in Freetime. Sicilia, Faletra, La pistola,  in//peppino impastato.com/ visualizza.asp Faletra, L'azzardo del pensiero o il filosofo della crudeltà: Cyberzone Faletra, In ricordo, Artribune, Tesi di laurea Fazio, Cioran e S.: un confront, Catania, Battiato S.. Tra musica e filosofia, Palermo, L'impossibilità di essere consolati. L'itinerario tragico, Genova, Filmografia G. Cionini, Il consolatore, Cionini, Faletra, Bellone, Battiato su Storia della musica  Repubblica, adesso il filosofo diventa crooner  Intervista a Battiato e S. YouTube  Intervista a S.: Il filosofo rock che dà del “lei” a Battiato livesicilia |  l'ultima intervista  "Teoria della canzone", Bompiani, e la prefazione a "La filosofia delle università", Adelphi, il ricordo commosso di Cacciari. Con lui incontro straordinario, Il Fatto Quotidiano. A un tratto ci si accorge di quella cosa che chiamiamo pensare”: Addio a S.. La sua ultima intervista.  cfr. "De mundo pessimo", "Frammenti di storia dell'empietismo", "Trattato dell'empietà" Adelphi  GAP Speciali. Un viaggio oltre il luogo commune Rai Scuola  Mariacatena De Leo e ;  Ingaliso, Nell'antro del filosofo: dialogo con Manlio Sgalambro (Prova d'autore È morto Manlio Sgalambro, il filosofo di Battiato, radiomusik, Battiato choc a Napoli. Sento la fine vicina, meglio cogliere il giorno. Il filosofo che canta il nichilismo, Tesio, "In ginocchio davanti", Tutto Libri,  "La conoscenza del peggio", Adelphi  La scrittura aforistica,  La Recherche, Calcagno, Il filosofo è uno spione da La Stampa, Battistini,  Sciascia addio, non servi più, Corriere della Sera, Formenti, Ferrarotti accusa: neoreazionario in “Corriere della Sera”,   Battiato: note per un filosofo (da La Stampa).  Così S. canta la sua filosofia (da La Stampa Sito ufficiale, su S. altervista.org. Meta Brainz Foundation. Il filosofo cantante maestro dell'ironia. Sono un uomo felice di stare su quest'Isola, Repubblica, Incontro in Le conversazioni di Perelandra. Manlio Sgalambro. Sgalambro. Keywords: Telesio, Vanini, Gentile, Ardigò, Croce, Empedocle, Gorgia, Lentini, Rensi, la sofistica, Girgenti, filosofia dell’autorita. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Sgalamabro," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Sgalambro

Grice e Siciliani: la critica della filosofia zoologica e la psico-genia di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Galatina). Filosofo italiano. Studia a Otranto, Lecce e Napoli, dalla quale fugge dopo essere stato segnalato alla polizia a causa delle sue simpatie liberali. Si laurea a Pisa sotto STUDIATI, stringendo inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con PUCCINOTTI, che influsce molto sua filosofia. Sringe rapporti di profonda amicizia con personalità importanti e influenti della cultura, quali: CENTOFANTI, PACINI, CAPPONI, e BUFFALINI. Seguendo la sua vocazione, orienta i propri studi verso le discipline filosofiche e ottenne la cattedra di filosofia nel regio liceo di Firenze. Iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.” Nominato professore di filosofia a Bologna. Divenne docente ordinario della stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche un corso di sociologia. Qui, inoltre, strinse amicizia con CARDUCCIi, anch'egli accademico a Bologna ed entra in contatto con FIORENTINO e SPAVENTA. Dirige la Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole. Ne abbandona la direzione per divergenze maturate in seno alla direzine generate, probabilmente, dall'impostazione eclettica che S. intende dare alla rivista e che contrastava con l'indirizzo idealistico voluto da FIORENTINO. A Bologna istitue un centro di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di scienza. Convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia e della società. Altro sua filosofia fondamentale e il principio dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Ricevette onoranze e attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da Gentile che vede in lui un'espressione benché autonoma del positivism. Di recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero. A lui è dedicata la biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il "Fondo S." la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al filosofo. A lui è dedicato anche il Liceo di Lecce. Di formazione giobertiana,  si accosta a VICO, tentando di inaugurare una filosofia mediana -- detta della terza via -- che individua una sintesi tra opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni filosofia contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo della filosofia mediana e  dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono della filosofia per rigettarne le astrattezze e le esagerazioni.  Con il saggio “Zoologia filosofica” (Napoli) approde nel più ampio dibattito, ricevendo apprezzamenti e pareri favorevoli dai più illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfonde e da il suo contributo speculativo alle nuove discipline che muovano alla ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (“Socialismo, darwinismo e sociologia” (Bologna); “Teorie sociali e socialismo” (Firenze) e la psicologia – “Prolegomeni alla psicogenia” (Bologna). SANCTIS confere a S. la presidenza di congressi a Firenze, Venezia, Genova, Milano, e Roma. Queste esperienze lo portano a un approfondimento sempre maggiore della filosofia alla quale contribue a conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico (v. le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione). “Filosofia della scienza” (Firenze); “Il metodo numerico e la statistica” (Firenze); “Della legge storica” (Firenze); “Della libertà ed unità organica della filosofia” (Firenze); “Della fisiologia sperimentale” (Pisa);” “Medicina filosofica”  (Firenze); “I principi metafisici di VICO” (Firenze); “Il triumvirato: ALIGHIERI, GALILEI, E VICO” (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di Galatina un saluto e un augurio (Firenze); “Il criterio filosofico” (Bologna); Critica del positivismo (Bologna); Le fonti storiche della filosofia positiva in Italia in GALILEI (Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del positivismo (Bologna); Della pedagogia all’educazione in Italia (Bologna); L’educazione (Bologna); Sul rinnovamento della filosofia in Italia (Firenze); “La scienza dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla pedagogia (Bologna); Dei massimi problemi della pedagogia (Roma); Il sacro secondo i dettami della filosofia (Firenze); L’nsegnamento della pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica (Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie sociali (Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia (Torino); “L’educazione secondo i principi della sociologia” (Bologna); Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano) Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna). CALOGERO, Enciclopedia Italiana, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. Calogero. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Invitto e Paparella, “Ri-leggere S.” (Lecce); Capone Galatinesi illustri, Guida Biografica, Galatina, Tor Graf Galatina,  Carteggio familiar,  Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce,  P. S. e Pozzolini. Filosofia e Letteratura, Convegno Galatina Treccani L'Enciclopedia italiana, Psicologia filosofica. SUL  RINNOVAMENTO DELLA FILOSOFIA  POSITIVA IN  ITALIA PBOrESBOBB DI FILOSOFIA NELLA R. UNIVEBSITÀ DI BOLOOKA,QlX   PB0FES80BE   NEL   B.  LICEO DI FIBENZE, FIRENZE, G. BARBÈRA, PRINTBD  IN  ITALY-;atana Quest'opera  è  stata  depositata  al  Ministero  d'Agricoltura,  Industria  e  Commercio per  godere  i  diritti  accordati dalla logge sulla proprietà  letteraria. G.  BarbI'.ra. !',  (rcnuitifi  TERENZIO  MAMIANI  DELLA  ROVERE. Mio  SiQsoR  Conte. Ella  fu  primo  tra  i  moderni  italiani  a  tentare un  rinnovamento  della  filosofia  ^  e  a  Lei pure  spetta  il  vanto  d' aver  continuMa  e  compiuta la  nobile  tradizione  de'  OaUuppi^  de  Bosmini  e de'  Oióbertij  della  quale  per  fermo  rimarranno durevoli  tracce  nella  storia  dd  pensiero  nazionale. A  chi  dunque  meglio  che  dUa,  S.  V.  potrei intitolare  questo  mio  saggio j  il  quale  mira  al  fine medesimo  cui  Ella  indirizzava  il  suo  primo  lavoro? Che  se  talora^  per  quella  libertà  di  giudizio alla  quale  Ella  stessa  educò  le  nostre  menti con  le  sue  dotte  scritture^  troverà  contbaittUi  in queste  pagine  akuni  jprincijpii  da  Lei  propugnati  ^ non  vorfà  perciò  reputare  scemato  qud  senso  di schietta  riverenza  chcy  come  ai  pochi  sommi  onde si  onora  U  paese  nostro,  le  professano  tutt^  i  cid tori  degli  studi  severi.  Anzi  novella  prova  di  questa larga  tolleranza  io  m*  èbbi  testé,  quando,  con  la squisita  gentilezza  che  in  Lei  è  natura,  Le  piacque accettare  V  offerta  di  questa  mia  fatica.  La  quale io  spero  vorrà  giudicare  benignamente:  al  che  mi conforta  pure  il  ricordo  di  certe  argute  parole ch^  Ella  dicevami  ima  volta  chiudendo  un  lungo conversare  circa  le  gravi  divergenze  delle  diverse scuole  filosofiche:  «porro  unum  necessarium ! coscienza  e  fervore  nel  lavoro:  il  resto  verrà da  sé.  » Suo  deditissimo P.  Siciliani. BiTiglìano  presso  Monte  Senario In  questo  salutare  innovamento  politico  d'Italia cui  assistiamo  trepidanti,  un  libro  di  rinnovamento filosofico  dovrebbe  giugnere  opportuno  e  gradito.  Perocché se  tutti  oggi  andiamo  ripetendo  l'arguta  frase d’AZEGLIO  — fatta  ormai  V Italia,  Insogna  far  gl’taliani—  parmi  sia  d'uopo  cercare  di  rifarci  innanzi tutto  nell'intimo  di  nostra  coscienza,  nella  radice, nella  sorgente  stessa  d' ogni  umano  e  civil  progresso, eh'  è  dire  il  pensiero  filosofico.  Andare  a  Roma,  grazie agli  eventi  fortunati  e  al  nostro  buon  diritto  nazionale, non  è  stato  guari  difficile,    sarà  difficile,  speriamo, potervi  restare.  Ma  vi  staremo  senza  dubbio materialmente,  se  Roma,  la  vecchia  Roma,  il  pensiero cattolico  non  si  verrà  anch'esso  riformando  e  svecchiando. La  qual  cosa  certo  conseguiremo  per  gradi e  con  le  arti  che  dovrebbe  saperci  dare  la  sapienza politica,  civile  e  amministrativa  ;  ma  gioverà  non  dimenticar mai  come  l' espediente  più  d' ogn'  altro  efficace e  sicuro  ad  opera  siffatta,  sia  per  appunto  una rinnovata filosofia n  bisogno  di  restaurar  la  filosofia  surse  di  buon'ora neir  animo  degl’italiani  ;  il*  che  parrebb'  essere  un d^' caratteri  speciali  della  storia  della  nostra  speculazione, sino  da  quando  gli  scrittori  del  Rinascimento, scosso  il  giogo  della  scolastica,  mandavan  fuori  i  lor libri  col  titolo  De  PhilosophÙB  renovatione.    quindi è  a  meravigliare  se  cotal  necessità  sia  venuta  crescendo sempre  più  nelP  animo  e  nella  mente  nostra  col  succedersi degli  anni,  tanto  che  a  siffatta  impresa  nobilissima abbiam  visto  provarsi  gV  ingegni  più  illuminati e  fecondi:  primo  fra  tutti,  in  questo  secolo,  il  Mamiani  col  Binnovamento  della  Filosofia  antica italiana e,  poco  appresso,  SERBATI  col  Binnovamento  della Filosofia  in  Italia;  indi  il  Gioberti  con  la  Introduzione aUo  studio  dèlia  Filosofia,  con  la  quale  mirava  anch'  egli ad  una  restaurazione  filosofica  nel  nostro  paese;  e,  per ultimo,  il  professore  Spaventa  ha  procacciato  volgere anch'  egli  al  medesimo  intento  le  sue  dotte  scritture, in  ispecie  quella  su  la  Filosofia  dd  Gioberti. Se  non  che  rinnovare,  pel  filosofo  di  Pesaro,  altro non  voleva  dire  se  non  restaurare  certi  principi!  e richiamare  in  vigore  alcune  industrie  metodiche  de' filosofi appartenenti,  la  massima  parte,  all'età  gloriosa del  nostro  Risorgimento.  Talché,  quando  il  Rosmini  gli fece  toccar  con  mano  i  pericoli  ne'  quali  s' era  messo mostrandogli  come  il  Binnovamento  proposto  da  lui conducesse  diritto  ad  una  maniera  di  sensismo,  e'  venne modificando  siffattamente  le  dottrine  propugnate  nel suo  primo  libro,  che  dopo  trenta  e  più  anni  s' é  studiato nelle  Confessioni  d'un  Metafisico  d'inaugurare un  novello  Platonismo,  siccome  forma  di  filosofare acconcia  air  indole  della  mente  italiana.  H  Roveretano poi  non  solo  mirò  a  restaurar  cose  vecchie,  ma  volle produrre  altresì  qualcosa  di  nuovo.  E  pur  nullameno, chi  guardi  ben  addentro  ne'  copiosi  e  disameni  volumi che  seppe  darci  quella  mente  potentissima,  tranne  il •  problema  psicologico  eh'  ei  giunse  ad  illustrare  in guisa  davvero  originale,  ogn'  altra  cosa  in  lui  parrebbe invecchiata  e  quasi  stantia.  Della  stessa  menda  riesce offesa  la  Introduzione  del  Gioberti.  Che  V  ardente  e generoso  autore  del  Primo^  intendeva  svecchiare  (come diceva,  gloriandosene,  egli  stesso)  le  idee  cardinali  di quattro  o  cinque  filosofi  cristiani,  il  cui  sussidio  e autorità  invocava  quasi  ad  ogni  voltar  di  pagina.  Non parlo  qui  del  rinnovamento  eh'  e'  veniva  meditando nella  Protologia:  nella  quale  senza  dubbio  avremmo avuto  germi  fecondissimi  di  vera  e  solida  ristorazione filosofica,  se  a  queir  ingegno  privilegiato  e  supremamente italiano  fosse  stato  pur  conceduto  imprimere valore  diffinitivo,  forma  netta  e  coerente,  alle  diverse dottrine  che  con  ansia  febbrile  andava  saggiando  e trasmutandosele  in  sangue.  Per  contrario SPAVENTA, del  quale  abbiamo  in  grandissimo  pregio  l'ingegno  e l'amicizia,  intese  dare  anch' egli  nuovo  indirizzo  al pensiero  italiano,  ma  battendo  ben  altra  via;  la  via  del- l'Idealismo  assoluto.  E  studiossi  d'inserirci  nell'animo e  nella  mente  i  principii  dell' Hegelianismo,  per  due ragioni:    perchè  egli  pensa  esser  questo  il  vero  e  compiuto sistema  di  speculazione,  almeno  secondo  che viene  interpretato  da  lui  ;  e    perchè  gli  è  parso d'averne  rintracciato  i  germi  in  certi  nostri  filosofi a  cominciare  dal  Telesio,  per  esempio,  fino  al Gioberti. Fer  noi  rinnovare  non  vuol  dir  solamente  richiamare, instaurare,  svegliar  dalP  antico,    solamente importare  dal  di  fiiora;  che    nelF  un  caso  come  nelr  altro  il  rinnovamento,  anziché  naturale,  spontaneo, autonomo,  storico,  riescirebbe  artifiziale,  imposto,  incosciente e,  dirò  quasi,  meccanico.  Vuol  dire  bensì far  da  noi:  far  da  noi  con  elementi  che  ci  appartengano, ma  tali  che  serbino  (ciò  che  più  monta)  ^virtù  d' originalità  e  di  verace  modernità.  Vuol  dire  » insomma  esplicare;    si  può  esplicare  senza  correggere,  compiere,  inverare. Avremo  sbagliato  strada  anche  noi?  Potrebb' essere! Non  saremmo  i  primi,  e,  certo,  neanche  gli ultimi.  In  qualunque  modo .  ci  sembra  che,  pure  sbagliando, noi  non  resteremo  troppo  indietro  fra  le  mummie, né  avremo  corso  tropp'  oltre  col  pericolo  di  fiac-  \ card  '1  collo.  So  ben  io  che  i  Positivisti  fan  presto  ; ad  innovar  la  filosofia  radiandola  addirittura  da'  libri  ^ e  dandole  il  ben  servito  dalle  nostre  scuole  grandi e  mezzane,  quasi  fosse  un  trattato  di  teologia  dommatica.  Ma  costoro  avrebber  fatto  i  conti  senza  Toste. £  r  oste  in  tal  caso  é  lo  stesso  pensiero,  anzi  la mente  stessa,  dalla  quale  per  nostra  fortuna  mai  non riesciranno  a  sradicare  il  profondo  e  sempre  più  acuto bisogno  del  filosofare  :  senza  dir  già  che,  s' ei  riescissero  ne'  loro  intenti,  scambio  di  sciogliere  V  intricato nodo,  altro  non  avrebber  fatto  che  tagliarlo  di  netto  ; e  che  potessero  giugnere  a  tagliarlo  con  sicurezza ninno  il  crederà,  pensando  come  la  spada  eh'  e'  ci brandiscon  sul  viso  non  par  che  somigli  quella  del gran  discepolo  d'Aristotele! Accennato  il  carattere  generale  ed  il  proposito del  mio  saggio,  toccherò  della  sua  forma  e  del  suo disegno.  Mi  si  potrà  chiedere  :  È  egli  cotesto  vostro saggio  un  lavoro  di  genere  critico,  storico,  monografico, ovvero  dommatico? A  parlar  proprio  non  è  nulla  di  tutto  questo.  Un lavoro  d' indole  dommatica,  per  solito,  dee  racchiuder l'esigenza  d'un  sistema  nuovo,  d'una  dottrina  ori- ginale, se  pur  non  voglia  esser  vana  ripetizione  ed increscevole  imitazione  del  passato.  Ora  un  novello) sistema  filosofico  oggi  sarebbe  impresa  da  muovere a  riso,  od  a  pietà.  Sono  ormai  ventidue  secoli,  e  noi, tardi  nepoti,  ci  andiamo  pur  sempre  aggirando,  ivi sostanza,  fra  il  Platonismo,  e  l' Aristotelismo.  La  qual cosa  non  recherà  maraviglia  a  chi  consideri  bene  la storia  del  pensiero  filosofico,  nella  quale,  volta  e  gira, non  si  può  esser  che  con  l' uno  o  con  l' altro  sistema, ovvero  fra  l' uno  e  l' altro,  e  però  con  tutt'  e  due,  se pur  non  vogliamo  smarrirci  inevitabilmente  e  miseramente in  una  forma  di  scetticismo,  o  di  nullismo. Ai  di  nostri,  dunque,  un  nuovo  sistema  filosofico  p^rmi utopia,  sogno  e,  stavo  per  dire,  ciarlatanismo.  L' ingegno filosofico  oggi  deve  assumer  valore  di  funzione critica  rintegrativa,  nella  quale  si  faccia  luogo  alla concorde  attività  di  due  forze,  la  storia  e  '1  pensiero, che  vuol  dire  il  fatto  e  '1  da  fare. La  monografia  poi,  o  è  d'indole  semplicemente storica  e  obbiettiva,  ovvero  d' indole  critica.  Se  storica obbiettiva,  ella  avrebbe  a  essere,  dirò  così,  un fedel  ritratto,  una  perfetta  immagine  della  mente  d'un filosofo,  0  di  tutta  una  scuola  di  filosofi.  Or  cotesto immagini  e  ritratti,  se  da  una  parte  tornano  inutili e  infruttuosi  stantechè  non  facciano  che  ripeter  sot- t' altra  forma  cose  che  potremmo  leggere  nella  stessa lor  fonte,  dalP  altra  mi  paion  quasi  impossibili,  perchè è  impossibile  penetrar  davvero  nelle  intime  viscere del  pensiero  altrui,  e  farai  dentro  alle  occulte pieghe  della  mente  d' un  filosofo.  H  notissimo  detto di  Kant  si  può  e  devesi  applicare  anche  qui:  quidqtUd recipUur,  ad  modum  recipietUis  recipitur.  Che  se  poi la  monografia  è  di  genere  critico,  ella  riesce  assai pericolosa;  perchè  trattandosi  d'interpretare,  è  pur facilissimo  affibbiare  agli  altri  quel  che  invece  frulla nel  capo  nostro  ;  nel  qual  vizio  intoppano,  com'  è ^  noto,  gli  Hegeliani,    per  la  natura  stessa  del  loro metodo,  e    per  le  secreto  esigenze  del  loro  sistema. Da  ultimo,  un  lavoro  di  genere  puramente  istorico oggi  non  dovrebb'  essere  impresa  molto  ardua  fra tanti  libri  storici  che  ci  piovon  da  tutte  le  parti. Basterà  sposare  un  sistema,  una  dottrina  da  farla servire  qual  criterio  giudicativo;  basterà  un  po'  d' acume critico,  un  po'  di  tedesco  per  le  citazioni  obbligate a  pie  di  pagina,  e  poi  molta  e  molta  dose  di  pazienza e  di  sgobbo  per  raccogliere  e  adunar  notizie  e  teoriche da  farle  servire  al  criterio  giudicativo  che  ci torna  comodo. Per  me  l'ideale  d'un  buon  libro,  l'ideale  d'un  libro serio,  coscenzioso  e  positivo  di  genere  filosofico,  oggi dovrebb'  essere,  diciamo  così,  una  sintesi  di  tutt'  e quattro  cotesti  aspetti  o  condizioni  le  quali,  guardate disgiuntamente  e  solitariamente,  si  palesan  manchevoli  tutte  e  difettose.  Ha  da  essere  perciò,  nel medesimo  tempo,  monografico,  isterico,  critico,  e  anche dommatico  sino  a  certo  segno.  Cotesto  ideale  (negozio non  molto  agevole,  come  sanno  coloro  che  se  ne  intendono e  che  possiedono  quel  che  dicesi  gusto  de^  lavori filosofici),  non  può  essere  un  ricamo  sovra  una  stoffa altrui,  e  neanche  un  parto  assoluto  del  nostro  cervello  ; sibbene  ha  da  essere  il  risultamento  di  due  forze  com- binate, come  dicevo  poco  fa  ;  ciò  è  dire  della  mente di  chi  scrive,  e  di  chi  per  avventura  possa  più  spiccatamente rappresentare  il  corso  tradizionale  della scienza.  A  questo  sol  patto  sarà  dato  pervenire  al connubio  fra  la  teorica  e  '1  fatto,  tra  la  scienza  e  la storia  della  scienza,  portandole  entrambe  ad  un  fiato^ come  direbbe  il  filosofo  nel  quale  io  amo  attingere ispirazioni.  Laonde  chi  volesse  oggi  filosofare  con  co- scienza ,  dovrebbe  saper  costruire,  come  dicon  gli Hegeliani  (e  qui  dicon  benissimo)  ;  ma  dovrebbe  co-  ^ struire  senza  tradire,  che  è  per  V  appunto  il  gran guaio  della  critica  hegeliana. Questa  grave  difficoltà  parmi  d' averla  superata, s' io  molto  non  m' illudo,  E  mi  pare  d' averla  supe- rata, perchè  il  mio  libro  è  come  la  sintesi  e  vorre' dir  la  fusione  razionale  e  organica  de'  quattro  aspetti quassù  rammentati  ;  e  tal  sarebbe  la  novità  Cquant'  al disegno  e  alla  forma  del  lavoro)  alla  quale  vorrei pretendere,  se  avessi  coscienza  d' aver  raggiunto  lo scopo.  Cotesto  scopo,  lo  veggo  da  me,  io  non  ho potuto  raggiugnerlo,  perchè  ho  dovuto  costringere e  rannicchiare  il  mio  pensiero  entro  un  dato  numero di  pagine,  affogando  in  nota  molte  e  molte  cose  alle quali  avre'  voluto  pur  dare  ben  altro  svolgimento  e fisonomia.  Però  chiedo  un  po'  di  compatimento  quant'al modo  col  quale  ho  incarnato  il  disegno,  ma  domando severità  di  giudizio  quant'  alle  idee.  Le  quali,  medi- tate da  me  per  tempo  non  breve,  sento  di  poter difendere  contro  chi  vorrà  farmi  V  onore  d' una  critica non  leggiera,  non  velenosa,  non  da  scuola,  né da  sacristia  (alla  quale  non  saprei  rispondere,  né risponderò),  ma  d'una  critica  seria,  onesta,  profittevole. Il  Gioberti  scrisse  che  il  critico  onesto  e  co- I  scienzioso  deve  durar  la  metà  della  fatica  spesa  dal- l' autore  nel  meditare  e  scrivere  un'  opera  di  scienza. |Leibnitz  andava  molto  più  in  là,  e  richiedeva  da'lettori quasi  '1  medesimo  lavoro  sostenuto  dallo  scrittore.  Io non  pretendo,    davvero  posso  pretender  l' una  cosa, né  r  altra  :  ma  certo  potrò  desiderare  che,  chi  voglia giudicarmi  con  qualche  serietà,  debba  leggere  e  (se oggi  non  fosse  troppo)  meditare  un  po' le  cose  ch'io dico.  11  che  ho  voluto  qui  avvertire,  perché,  se  può dubitarsi  che  in  politica  esistano  le  cosi  dette  con- sorterie, certo  é  che  tra'  filosofi  cominciano  a  far capolino  certe  fratellanze  le  quali  giudicano  d' un  la- voro a  priori,  guardando  solo  al  titolo  e  al  nome  del- l'autore.  Dio  ci  liberi  dalle  fratellanze  filosofiche! Esse  per  me,  a  dirla  schietta,  sono  altrettante  Compagnie di  Gesù  negli  ordini  del  pensiero  e  della  libera speculazione  metafisica. Questo  mio  saggio,  e  l' altro  che  terrà  dietro su'  principi  della  Sociologia^  non  é  l' espressione  di nessun  partito,  di  nessuna  setta,  di  nessuna  scuola. Non  é  frutto  di  speculazioni  e  ricerche  passionate,  per- che  io  non  mi  sento  schiavo  di  nessuna  scuola,  servo di  nessun  nome,    milito  sotto  nessuna  bandiera più  0  meno  germanica,  italica  o  francese  che  sia. \Baiùmem,  quo  ea  me  cumgue  ducete  sequar:  ecco tutto.  Neanche  sarebbe  una  di  quelle  novità  sba- lorditole alle  quali  siamo  avvezzi  da  dieci  anni  a questa  parte.  Esso  anzi  è  la  più  modesta  cosa  del mondo:  che  per  quanto  il  titolo  paia  ardito,  non  sarà tale  per  chi  ripensi,  come  la  sostanza  delle  dottrine eh'  io  propugno  non  mi  appartenga  in  modo  assoluto. S'altri  mi  darà  dell' ecclettico,  risponderò  d'esser tale  precisamente,  ma  nel  profondo  significato  che costumava  dare  il  Leibnitz  a  questa  usata  e  abusata  pa- rola. E  se  qualcuno  poi  trovasse,  che  questa  o  cotesta dottrina  alla  quale  verrò  accennando  non  sia  propria- mente dell'  autore  eh'  io  dico  d' ormeggiare  nel  metodo e  Dell'indirizzo  filosofico,  tanto  meglio  per  me.  Ri- sponderò come  in  un  caso  simile  rispose  egli  medesimo a  certi  suoi  avversari  :  «  Che  se  finalmente  non  volete »  ricevere  questa  sentenza  come  di  Zcìione^  mi  dispiace »  di  darlavi  come  mia;  ma  pur  la  vi  darò  sola,  e B  non  assistita  da  nomi  grandi.  » €  Le  cose  fuori  del  loro  stato  naturale non  dnrano    s' adagiano.  »    Vico. Non  intendo  scrivere  la  storia,  e  tanto  meno  far  la crìtica  minuta  del  Positivismo;  indirizzo  che,  come  ognun sa,  non  senza  buon§  e  diverse  ragioni  invade  oggi  e  per- vadeTa  mente  di  molti  filosofi,  di  scienziati,  di  storici  e scrittori  d'ogni  maniera.  Altra  volta  m'avvenne  d'accen- nare alla  parte  debole  di  cotesto,  diciamolo  pure,  sistema filosofico.  E  allora  parvemi,  fra  1'  altro,  di  provar  que- sto: che  il  Positivismo,  secondo  il  concetto  che  se  ne sono  formati  segnatamente  i  Francesi,  non  pur  mancava di  storia,  ma  non  può  averne  avuta  di  nessuna  sorta.* Oggi  poi  dovrò  intrattenermi  a  ragionare  su  le  dir. verse  forme  che  il  Positivismo  ha  preso  e  può  prendere in  avvenire,  giacché  ormai  comincia  ad  avere  anch'egli una  storia,  per  brevissima  che  sia,  da  raccontare;  e [quindi  rilevare  certa  parentela  ch'egli  ha  con  l'Hege- 'lianismo.  Nel  quale  riscontro  probabilmente  meriterò anch'  io,  dall'  alto  giudicatorio  su  cui  siedon  gli  Hege- liani, la  solita  commiserevole  sentenza  che,  com'è  pur  [Vedi  Critica  del  Positivismo,  Bologna,  Monti]. 5ICILUM.  1 troppo  noto,  suona  così:  Pover'uomo,  non  ne  capisce niente  di  niente;  non  Im  dramma  di  potenza  speculativa,  ^ ne  briciolo  di  nerbo  dialettico!  Mostrerò,  da  ultimo,  se  . una  vera  forma  di  Positivismo,  ch'io  chiamerò  Filo-  i sofia  Positiva  italiana,  sia  per  avventura  i)ossibile;  e] in  qual  maniera  si  possa,  mercè  sua,  pervenire  a  cor- regger r  uno  e  compiere  V  altro  de'  due  sistemi  suddetti, accogliendo  quelle  parti  veramente  pregevoli  che  in essi  certamente  non  mancano. Comecché  il  Positivismo  non  sia  ne  voglia  essere  un sistema,  pure  quant' all' origine  psicologica,  per  così  dirla, non  mi  sembra  eh' e' s'abbia  a  distinguere  gran  fatto dagli  altri  sistemi  filosofici.  La  ragione  immediata  del  suo apparire  parmi  risegga  nell'  esigenza  di  contrapporsi  ad una  forma  contraria  di  filosofare  creduta  affatto  erronea  ; e  questo  filosofare  in  tal  caso  è  il  dommatismo  metafi- sico. (IJom'  è  chiaro,  cotesta  in  sostanza  è  l'origine  stessa dello  scetticismo,  secondo  che  c'insegna  tutta  una  storia di  ventidue  secoli,  ne'  quali  affermazioni  risolute  souosi contrapposte  a  risolute  e  persistenti  negazioni.  Il  Posi-j tivista,  infatti,  reputa  inconcludente  ogni  speculazione! trascendentale.  Positivismo  quindi  vuol  dire  esigenza! della  prova,  esigenza,  bisogno  della  dimostrazione;  maC della  prova  di  fatto,  della  dimostrazione  sperimentale. Se  non  che,  a  guardarci  bene,  lo  stesso  Positivismo  ma- nifesta già  senz'addarsene  un  bisogno  filosofico,  una  ten- denza speculativa,  un'attività  trascendente    dove,  per dirne  una,  procaccia  di  raggiungere  la  così  detta  comples- sità crescente  nel  coordinamento  de' fatti,  e  nel  volere imprimere  forma  gerarchica  all'insieme  delle  particolari discipline.  Col  che  non  intendo  dire  che  il  Positivismo sìa  già  una  metafisica  ;  ma  è  per  lo  meno  una  metafisica incosciente,  come  un  illustre  scrittore  francese,  non  senza cert'  aria  di  meritato  rimprovero,  ha  detto  al  Littré. Per  la  qual  cosa  paimi,  che  il  Positivista  contraddica*^ apertamente  a    stesso  quando  vien  su  gonfio  e  pettoruto a  dichiarar  guerra  sino  all'  ultimo  sangue  contro a  ogni  maniera  d'indagini  metafisiche;  tanto  che  la tendenza  de' Positivisti  a  filosofare,  tendenza  del  resto naturalissima  e  necessaria,  diventerebbe  atto,  facoltà, vo'dire  diventerebbe  metafisica  vera,  quando  potesse avverarsi  una  condizione.  Mi  spiego  subito.  Io  non  credo offendere  anima  viva  osservando  che  fra'  Positivisti irancesi  sia  un  bel  po'  difficile  trovare  un  solo  che  ab- bia studiato  con  amore,  per  esempio,  la  Ragion Pura  di Kant,  segnatamente  la  Critica  dd  giudizio:  difficilissimo poi  ritrovare  uno  solo,  fra'Positivisti  italiani  militanti  ^ sotto  le  bandiere  del Comte  o  meglio  del  Littré,  che  con pari  amore  e  spassionatezza  d' animo  abbia  letto,  per esempio,  il  Nuovo  Saggio  di SERBATI.  Prescindendo  dalle mende  svariate  di  che  non  va  esente  il  Criticismo  e nemmanco  il  metodo  psicologico  rosminiano,  io  non  so persuadermi  come,  dopo  aver  letto  e  inteso  a  dovere  lei due  scritture  mentovate,  si  possa  essere  o  dirsi  Positivi vista,  secondo  il  concetto  volgare  che  di  questa  parola ci  ha  dato  e  ci    oggi  chi  piti  ne  parla. Se  non  che  nessuno  immagini  eh'  io  qui  intenda  far  \ un  fascio  del  Positivismo  Francese,  del  Positivismo  In-  \ glese  e,  se  vogliamo,  anche  del  Positivismo  Germanico;  1 benché  quest'ultimo,  assumendo  sempre  più  forma  di schietto  e  nuovo  e  ardito  materialismo,  mostri  esser  già un  sistema  beli'  e  buono,  checché  se  ne  sia  detto  o  vo- glia dirsene  in  contrario.  Ma  di  questo,  fra  poco.  Quan- t' all'  altre  due  forme  di  Positivismo,  ninno  sarà  che  ' ignori  le  polemiche  tanto  gravi,  pacate,  esemplarmente  ' serene  fra  Stuart  Mill  e  Littré  avvenute  or  fa  un  anno.  \ E  molti  conosceranno  le  obbiezioni  che  quel  robusto ingegno  di  Herbert  Spencer  ha  saputo  muover  contro certe  dottrine  del  Comte.  Chi  abbia  vaghezza  poi  di sapere  qual  sia  il  carattere  e  il  resultato  di  queste  due maniere  di  Positivismo,  potrà  innanzi  tutto  guardare  alla forma,  al  fine,  persino  al  titolo  delle  opere  nelle  quali tale  dottrina  è  insegnata  e  propugnata.  Così,  mentre Stuart  Min  ha  fatto  una  logica,  o,  a  dir  meglio,  un  ft Sistema  di  Logica,  che  potrebbe  riguardarsi  addirittura  \ come  un  contr' altare  al  sistema  della  logica  hegeliana;  ; il  Comte,  almeno  nei  primi  volumi  delle  sue  opere,  ci ha  lasciato  (chiedo  perdono  a  tutti  gV  iddii  della  Senna) una  specie  di  rassegna,  ma  di  rassegna  ragionata,  giu- diziosa e,  dicasi  pure,  ingegnosa,  delle  particolari  disci- pliiie,  massime  di  quelle  che  a  lui  tormivan  più  familiari. Ho  detto  nei  primi  volumi,  perchè  nelle  opere  poste- riori, com'  è  noto,  desiderando  compier  V  edifizio,  egli ammannì  un  sistema  di  politica,  un  sistema  di  religione e  d' educazione,  un  sistema  di  morale  positiva,  e  financo d'igiene:  morale  senza  principio,  se  pur  non  vogliamo appellare  così  certa  regola  di  condotta  eh'  egli  espresse con  quella  brutta  parola  d' Altruismo  :  religione  senza Dio,  se  pur  non  vogliamo  piegare  il  ginocchio  e  dar  in- censo a  quella  divinità  chiamata  il  Grand*Essere;  intomo alla  quale,  com'è  noto,  il  fondatore  del  Positivismo  fran- cese finì  per  fantasticare  alla  maniera  de'  neoplatonici Alessandrini  e  del  FICINO.  Checche  ne  sia,  può  dirsi ch'egli  predicasse  bene  quant'a  metodo,  ma  razzolasse male  quant'a  sistema,  perchè  affermava,  anzi  esagerava nella  pratica  ciò  che  sdegnava  e  risolutamente  negava nella  teoria  e  nell'ordine  speculativo;  intendo  il  con- cetto dell'  unità  o  Sistematismo  nd  sapere,  secondo  il suo  linguaggio. Da  questo  primo  riscontro,  che  diremo  esteriore perchè  riflette  la  forma  generale  delle  opere  e  un po'  anche  il  valore  del  metodo  ne' due  filosofi,  si  può ai^omentare  che  Mill  guardi  la  scienza  sotto  l'aspetto subbiettivo,  cioè  come  una  serie  di  concetti,  mostrando così  d'aver  piena  fiducia  in  una  logipit  che  sia  atta  a risolvere  un  problema  distinto    cJaT  problemi  e    dal soggetto  in   che  versano  le  speciali  discipline/  Esiste infatti,  egli  dice,  una  conoscerla  scientifica  déWuomo  in quanfè  un  essere  intéUettude,  morale  e  sodale,  e  quindi una  dottrina  delie  cognidom  détta  coscienza  umana.* Agli  occhi  del  Comte,  per  contrario,  non  esiste  logica tranne  che  intrinsecata  con  la  natura  stessa  di  ciascuna scienza.  Se  volete  conoscere,  per  esempio,  la  logica  della chimica  (egli  dice),  studiate  la  chimica.  Ecco  la  scienza sotto  r  aspetto  puramente  ed  empiricamente  obbietti- vo; in  quanto  che  considera  le  cose  in  sé,  e  solamente come  oggetti.   Tal  difiFerenza,  com'  è  evidente,  non  è lieve,  massime  quando  tengasi  conto  de' risultati.  Il  ri- sultato cui  giugno  il  Positivismo  inglese  è  questo  :  la} metafisica  esser  possibile,  ma  solo  come  ricerca  logica,! come  investigazione   e   analisi  di  concetti.  Il  che,  s'  è| pregio  nella  logica  del  Mill  per  la  fede  eh'  e'  ripone nelle  forze  del  pensiero,  è  auche  il  suo  difetto  massimo, stante  che  siffattamente  ei  chiudesi  tutto  nel  formalismo  ** logico,  secondo  che  altrove  mostrai.' So  che  il  Mill  se  ne  vuol  difendere,  facendo  vedere qual  divario  corra  fra  la  logica  formale  e  quella  eh'  e'  dice logica  della  verità.  Ma  la  pecca  di  nominalista  in  lui è  chiara.  Ed  è  chiara  per  chi  abbia  convenevolmente considerato  quelle  quattro  teoriche,  nelle  quali  il  filosofo inglese  vuol  darsi  addirittura  per  innovatore:  intendo  ' le  dottrine  della  dimostrazione,  della  definizione,  degli assiomi  e  della  induzione.  In  tutto  questo  egli  è  per- *  Vedi  Stuart  Mill,  A.  Comte  et  U  Pontivitme,  Paris. Vedi  la  Ont,  del  Po9ÌHv.  innanzi  citata,  VI,  pag.  19. fetto  Baconiano,  checché  ne  dica  egli  stesso.  Perocché, se  la  inente  ne'suoi  concetti,  secondo  questo  filosofo,  è superiore  ai  fatti;  non  però  cessa  d'essere  un  artifizio, logico,  un  artifizio  psicologico,  un  intreccio  a  cui  nulla  ; d' obbiettivo  potrà  mai  rispondere.  E  di  qua  proviene  i poi  un'  altra  conseguenza,  eh'  è  questa.  Se  nella  logica la  posizione  del  Mill  riesce  evidentemente  unilaterale  e subbiettiva,  è  pur  d' uopo  eh'  ella  si  manifesti  impotente anche  nella  scienza  storica,  eh'  è  dire  nell'organamento  ^ razionale   de'fatti    storici.   Ora  se  il  metodo  positivo giunge  a  legittimar  1'  analisi  de'  concetti  e  la   critica delle  idee,  non  bisognerà  dire  che,  come  esigenza  critica, ei  contraddica  a    medesimo  quando  dichiara  di non  potere  in  alcun  modo  studiare  idee  e  concetti  nel- l'obbiettivo lor  significato?  E  donde  questa  impotenza? Dalla  natura  stessa  della  mente,  si  può  rispondere.  Ma, s'egli  è  così,  la  possibilità  della  scienza  si  traduce  in impossibilità  vera.  Che  poi  questo  non  sia  e  non  possa essere,  ne  porge  guarentigia  sicura  il  processo  istorioo delle  scienze  tutte,  e  l' incessante  progresso  ond'  elle  ci dan  prove  luminose.  La  ricerca  in  senso  obbiettivo,  adun-? que,  è  possibile;  dove  che  per  il  Mill  è  addirittura  im-* possibile.  Questa  è  la  parte  debole  del  Positivismo  inglese.  ; L' errore  opposto  è  il  Jifetto  del  Positivismo  fran- cese. Se  per  il  Mill  psicologia  e  logica  sono  scienze  che s' alimentano  di    medesime;  per  il  positivista  francese, al  contrario,  elle  non  sono  che  appendici  della  biologia, al  modo  stesso  che  la  sociologia  é  come  un  allargamento della  storia,  ciò  é  dire  una  generalizzazione   del  fatto istorico,  ma  del  fatto  verificato  mercè  la  deduzione  delle leggi  della  natura  umana.  Qui,  ripetiamo,  la  differenza è  profonda.   La   scienza   della  civil  società,  secondo  il' Positivismo  inglese,  pone  radice  nella  così  detta  Etolo- gia, li' Etologia  è  la  vera  scienza  dell'uomo,  egli  dice.  . Essa  è  una  generalizzazione  non  già  verificata,  ma sì  primiti/vamente  suggerita  dalla  deduzione  détte  leggi della  natura  umana.^  Ora  la  funzione  deduttiva,  nel Positivismo  inglese,  non  è  operazione  immediata,  non  è operazione  secondaria  alla  induzione,  com'  è  nel  Positi- vismo francese,  ma  è  funzione  a  priori,  è  funzione  i cui  risultati  vonn'  esser  giustificati  con  T  osservazione, e  con  la  scrupolosa  ricerca  delle  leggi  empiriche. Brevemente,  dunque:  pregio  singolare  del  Positivismo inglase  è  il  metodo  deduttivo-concreto  (per  usar  la  frase del  Mill)  applicato  alle  scienze  morali  in  generale.  Que- sto metodo  è  costituito  di  due  processi  che  si  svolgono, per  così  dire,  di  fronte  ;  non  già  di  due  parti  d' un  me- desimo processo,  V  una  delle  quali  sia  conseguente  al- l' altra,  com'  è  per  i  Francesi  positivisti.  Per  tal  prero- gativa massimamente  parmi  che  il  Positivismo  del  Mill mostri  accostarsi  all'  indole  della  filosofia  nostrana,  e molto  allontanarsi  dal  Baconianismo  alla  maniera  che questo  metodo  s'intende  da'più.*  Carattere  e  pregio poi  del  Positivismo  francese,  parmi  stia  nel  credere  alla j)ossibilità  d'una  filosofia  come  risultato  di  tutto  quanto il  sapere  umano,  e  quindi  nel  porre  come  inevitabile  o sua  condizione  la  necessità  della  storia.  L'indagine storica,  il  metodo  di  filiazione:  ecco  il  distintivo  del Comtismo,  eh' è  anco  il  massimo  suo  pregio.' Contro  il  Comtismo  è  facile  muovere  la  medesima difficoltà,  quantunque  in  senso  contrario ,  mossa  te- sté contro  il  Mill.  Se  infatti  è  possibile  una  ricerca  e una  critica  storica;  perchè  non  sarà  possibile  una  ri- cerca logica,  una  critica  dei  concetti,  come  tali?  Per- chè dunque  negare  una  logica  e  una  psicologia  supe- f *  Vedi  Mill,  Sy^time  de  Logique. Vedi  CoMTB,  Pha.  Pontive.  Voi.  V,  Lez.  48". . riore  alla  storia?  Se  non  che  delle  due  maniere  di Positivismo,  quella  de' Francesi  va  piii  facilmente  sog- getta a  contradizione;  la   qual  cosa  tiene  alla  doppia origine  storica  per  cui  si  distingue  cotesto  sistema.  Pa- recchi  scrittori   francesi  infatti  hanno  avvertito,  che ove  il  Comte   parla  di  natura  e   di  scienze  fisiche,  è decisamente  sensista,  materialista  e  nominalista  ;  men- tre che  ove  parla  di  filosofia  politica  e  storica  si  mo- stra panteista,  ma  senza  dar  prova  di  quella  specula- zione ingegnosa,  di  quella  mirabile  unità  razionale,  cui sanno  poggiare,  bene  o  male  che  sia,  i  Panteisti  moderni.'  Donde  tal  contraddizione?  Dall'essere  il  Comte,  } per  una  parte,  figlio  del  Sensismo  francese  ;  dall'  altra  ì poi  figlio  del  Sansimonismo,  che,  com'  è  noto,  è  forma  j grossolana  di  panteismo.  Per  questa  doppia  tendenza  | i  Positivisti  di  Francia  non  possono  salvarsi  dal  cadere  j nelle  conseguenze  d' uno  de'  due  sistemi  :  materialismo, 0  panteismo.  So  eh' e'  fan  presto  a  difendersi  dall'una taccia  come  dall'  altra.  Ma  la  logica  vale  qualcosa  più delle  parole  e  delle  calde  proteste.  E  veramente  chec- ché se  ne  possa  dire,  uno  degli  scrittori  poco  fa  citati ha  fatto  toccar  con  mano  al  Littré,  che  inevitabile  re- sultato del  Positivismo  è  il  materialismo.*  E  d'altra parte  sappiamo,  come  tutti  i  Positivisti  oggi,  e  propria-  ' mente  i  Gomtisti,  faccian  causa  comune  con  que'  della  \ sinistra  hegeliana,  co'  quali  hanno  intimo  legame,  se-l condo  che  mostreremo.  ' Ho  detto  come  per  ragion  d'origine  al  Positivismo francese  tomi  più  facile  inciampar  nelle  contraddi- zioni. Ne  poi^o  qualche  esempio.  Non  si  vuol  sapere nulla  di  cause  finali!  Ma  non  è  forse  il  medesimo  Lit- *  Vedi  Rbkocttibb,  Annuairephìl  1867  Q  nell^altro  del  1868.    Vaohb- BOT,  Metaphi9iq\w  potive.  Tom.  Ili;  Trattenim.  14.  —Jakbt,  Onte  phiL *  Vedi  Janbt,  Op.  cit.  pa^.  116  e  seg. tré  quegli  che,  mentre  grida  contro  il  principio  della finalità,  lo  afferma    ove  dice,  per  esempio,  l'essenza stessa  della  materia  oi^anizzata  esser  la  causa  prima della  finalità?  Eccoci  in  pieno  materialismo,  e  in  pieno sistema;  tutto  che  i  Positivisti  non  vogliano  esser  detti né  materialisti,    sistematici.  Ancora,  io  domando:  se  per domma  del  metodo  positivo  nulla  è  da  accettare  che  non  # sia  guarentito  immediatamente  o  mediatamente  da' fatti; perchè,  al  di    de^  fenomeni  e  dell'  esperienza  e  delle leggi  che  se  ne  traggono,  voler  credere  in  un  obbietto il  quale,  per  inconoscibile  che  sia,  é  sempre  un'  afferma- zione della  ragione?  Domando:  è  egli  atto  di  metodo positivo,  di  critica,  di  ricerca,  il  parlare  di  certo  grande oceano  qui  vieni  battre  notre  rive,  et  pour  lequd  nous n'avons  ni  barque,  ni  voiles,  mais  doni  la  dcdre  vision est  aussi  sahUaire  que  formUàble?  È  egli  atto  di  Posh tivismo  e  di  ricerca  che  sdegni  qualunque  spiraglio  di soprassensibile  e  di  soprannaturale,  parlarci  così  d'un Infinito,  comecché  non  se  ne  riconoscano  tutti  quelli  air tributi  che  il  fanno  tale?  E  se  ponete  la  possibilità  di conoscere  cotesto  vostro  inconoscibile  per  il  quale  dite di  non  aver  barca    vele  che  bastino,  ma  la  cui  cMaroi visione  é  pur  tanto  sàkiiare  al  pensiero;  in  che  maniera non  accorgervi  come  tutta  la  storia  della  filosofia  non altro  sia  stata  per  tutt'i  secoli  scorsi  fuorché  una  serie di  risposte,  per  così  dire,  a  cotesta  medesima  domanda che  neanche  voi  dite  illegittima,    strana?  Sarann'elle erronee  tali  risposte:  ne  potrò  convenire.  Ma  saran  tutte errori  da  farne  proprio  tavola  rasa? Da  siffatte  considerazioni  ci  é  dato  trarre  una  con- seguenza. Nel   Positivismo   oggi  avverasi  una  legge; quella  legge  che  accompagna  sempre  ogni  novello  indi- rizzo nella  filosofia,  eh'  é  dire  l' opposizione  nel  seno  % stesso  del  sistema.  Ecco  una  ragione  di  più  per  dichia- rare,  che  dunque  il  Positivismo  è  un  sistema  come  tutti  , gli  altri  !  La  cagione  profonda,  dice  il  Littré,  che  divide  / il  Comte  dal  Mill,  è  il  punto  di  vista  psicologico  e  logico nel  quale  s'è  messo  il  filosofo  inglese,  e  la  definizione reale,  obbiettiva,  non  già  formale    psicologica,  con  che si  presenta  la  scienza  nel  filosofo  francese.^  Ora  se  il  Po- sitivismo inglese  è  principalmente  un  formalismo  logico,  , e  il  Positivismo  francese  è  essenzialmente  un  empirismo  ! storico;  ne  viene  di  conseguenza  che,  in  virtiì  della stessa  critica  positiva,  noi  dobbiamo  riconoscer  legit-^ tima  una  terza  forma  di  Positivismo,  la  quale  sappia  sebi-    Vedi  Op.  di  Vico,  ediz.  Predar!,  pag.  762. Vedi  Op.  cit.  Risposta  al  Finetti,  pag.  40. cosmologici  sparsi  nel  LS}ro  Metafisico,  e  in  questi  attingere forza  a  meglio  interpretare  e  propugnare  le  ap- plicazioni fatte  dal  Vico  nella  Sdenisa  Nuova.  La  con- traddizione, dunque,  passata  dal  maestro  al  discepolo  * e  il  non  aver  saputo  cogliere  il  principio  cosmologico del  Vico,  fece    che  tale  polemica,  nel  modo  ch'era sostenuta  dal  Duni,  apparisse  inefficace  e  manchevole. Debole  e  manchevole  infatti  ci  sembra  questa  ma- niera di  ragionare  :  «  Voi  vorreste  che  i  primi  fondatori delle  nazioni  fossero  stati  dotati  d' innocenza  di  costumi. Ma,  caro  signor  censore,  come  potete  voi  spiegare  le origini  dell'  idolatria,  la  barbarie,  l' immanità  negli  usi delle  orride  loro  religioni  piene  di  duro  materialismo? Come  l'immanità  delie  loro  leggi  e  costumi,  le  cui  re- ligioni si  sono  per  lungo  tempo  conservate  finanche  nei tempi  della  maggior  loro  cultura,  per  qui  tacere  le  ori- gini delle  lingue,  delle  poesie,  della  frode  e  cose  simili? Come  finalmente  i  progressi  di  tali  nazioni  di  cui  ne abbiamo  le  memorie  troppo  sicure,  e  non  soggette  alla minime  dubbiezze?  Ma,  giacché  i  monumenti  e  la  sto- ria degli  antichissimi  e  de'  presenti  barbari  popoli  sono per  voi  sogni,  favole  e  delirii,  perchè  non  ci  dite  con quali  altri  principii,  origini  e  progressi  di  cose  umane debbasi  ragionare  di  questo  mondo,  degli  uomini,  deUe nazioni,  delle  tante  umane  istituzioni,  delle  origini  e progressi  delle  umane  industrie  nelle  colture  delle  co- gnizioni,alle  tante  maravigliose  invenzioni,  nei  governi e  polizia  de'  popoli  ed  in  tante  altre  maraviglie  che  os- serviamo nel  gran  teatro  di  questo  mondo  degli  uomini? Come  non  sapete  che  i  costumi  e  le  leggi  umane  deb- bano necessariamente  trarre  loro  origine  e  progressi daUe  idee  degli  stessi  uomini?  Come  potete  negare  il vario  corso  di  tali  costumi,  che  di  grado  in  grado  spogliandosi del  materialismo,  li  troviamo  di  fatto  più  puri nell'  età  avanzata  che  nella  fanciullezza  di  tutte  le  na- zioni.* » — Io  non  dico  che  tutto  ciò  non  sia  vero:  dico *  Vedi  Risp.  al  Finetti,  pag.  41. che  il  Duni,  a  difendere  invittamente  la  sentenza  del suo  maestro,  avrebbe  dovuto  movere  dai  principii  co- smologici e  psicologici,  i  cui  germi  non  mancano  cer- tamente nelle  opere  del  Vico. Gasuista  acutissimo,  quanto  insolente,  il  Finetti  sor- rideva a  sentir  elogiare  e  difendere  questa  dottrina della  Scienza  Nuova;  e  tutto  pieno  d'entusiasmo  reli- gioso rispondeva  con  XXIII  obbiezioni  cavate  dai  libri santi.'  Quindi  esclamava:  «  Dottrine  veramente  altissime  ! religiosissimi  e  ammirevoli  pensamenti  !  Tra  le  varie  cose onde  pretende  il  Vico  di  far  grandemente  spiccare  la divina  Provvidenza,  una  è  quel  capriccioso  di  lui  corso delle  nazioni  sulle  regole,  diciam  così,  del  trel  II  Duni andrà  in  estasi  a  tal  pensamento  ;  e  pure  a  me  è  sog- getto da  ridere,  spezialmente  quando  si  pretende  con à  costante  ternario  di  far  spiccare  la  divina  Provvi- denza ;  essendo  chiaro  eh'  ella  rìsplende  nella  grandezza ed  importanza  de'  fini  e  nella  idoneità  e  giusta  propor- zione dei  mezzi,  e  non  già  nel  far  correre  le  nazioni pe'  numeri  di  tre  o  quattro.  Un  tale  giuoco  non  sembra certamente  degno  dell'  infinita  sapienza  di  Dio.*  »  E  al- trove, allargando  la  sua  critica,  aggiunge  :  «  La  maniera di  filosofare  inventata  dal  Vico  è  tale,  che  può  porgere delle  armi  per  oppugnare  la  Religione....  e  non  poco corredo  a  chi  voglia  farne  uso  per  impugnare  e  met- tere in  dubbio  la  Sacra  Scrittura  e  la  divina  rivela- zione....; »  tanto  che  paragonandolo  al  Boulanger,  uno. degl'increduli  de  suoi  tempi  (com'  egli  stesso  nota),  non dubita  porre  a  riscontro  le  dottrine  dell'uno  con  quelle dell'altro  per  otto  diflferenti  capi. Com'  è  chiaro,  il  Finetti  non  ebbe  tutt'  i  torti  se  gli venne  in  grave  sospetto  la  Scienza  Nuova.  Avea  torto bensì  nel  confondere,  come  il  Romano,  tale  dottrina  del Vico  difesa  dal  Duni,  con  quella  de' filosofi  francesi  '  Vedi  Sommario  delle  oppoeizioni  del  Sietema  Ferino   di  Vico  alla Sacra  SeriUura,  de' suoi  tempi.  Ed  è  a  confessare  che  questo  mede- simo torto  hann'  avuto  di  poi  parecchi  altri  critici,  an- che viventi,  laddove  parlano  della  dottrina  su  lo  stato ferino  propugnata  nella  Sdeiiza  Nuova»  Avvertiamo  una volta  per  sempre  che  lo  stato  di  natura  del  Vico  noa ci  ha  che  vedere  con  quello  de'  giusnaturalisti  vis- suti nella  seconda  metà  del  secolo  XVII,  e  nella  prima del  XVIII.  E  tornando  al  Finetti,  a  meglio  capire  la maniera  della  sua  critica,  nonché  il  carattere  delle  sue opposizioni,  giova  qui  rammentare  certe  parole,  da  lui stesso  riferite  con  aria  di  trionfo,  d'un  personaggio"^ napoletano.  Il  quale,  stato  già  scolare  per  più  anni  del Vico,  raccontava  come  il  suo  maestro  in  Napoli  fosse ritenuto  per  uomo  veramente  dotto,  ma  che  poi  fosse stimato  pwsfjso  a  cagione  delle  sue  stravaganti  opinionL Finetti  si  degna  dirci  d' aver  chiesto  a  quel  gentiluomo partenopeo  se  quando  il  Vico  scrisse  la  Scienjsa  Nuova fosse  dotto,  0  non  più  veramente  pazzo.    ediz.  Siena,  1829. ligente  fu,  al  pari  del  Duni,  il  Pagano,  di  cui  il  solo nome  è  ricordo  pietoso  ad  ogni  anima  gentile  e  aperta ai  sensi  di  libertà.  Come  nel  Duni,  così  pure  nel  Pa- gano le  idee  vichiane  leggiamo  esposte  con  chiarezza  e facilità,  ma  anche  con  troppa  imitazione;  che  anzi  è da  confessare  come  in  lui  faccian  difetto  alcuni  pregi del  Dunf,  per  esempio    dove   pone  questi  principii  : —  che  lo  stato  della  primitiva  barbarie  non  fosse  gene- rale ;  che  la  gelosia,  piuttosto  che  un  certo  vago  senso religioso,  spingesse  T  uomo  al  matrimonio  ;  e  che  tra  la barbarie  originaria  e  la   barbarie  medievale  il  Vico non  iscorgesse  divario  di  sorta: — il  che,  come  vedre-1 mo,  a  noi  non  sembra  punto  vero.  Ma  grave  errore del  Pagano  è  quello  di  volere  interpretare  la  storia  in un  senso  troppo  fisiologico;  e  questo  tiene  alla  efficacia che  nella  sua,  mente  esercitò  la  filosofia  francese  di quell'età.  E  alla  stessa  cagione  forse   è  da  riferire s' ei  non  seppe  vedere  come  il  processo  storico  non  sia . né  possa  essere  unilaterale,  ma  complesso,  organico, dovendo  abbracciar  tutte  le  manifestazioni  e  tutti  gli elementi  d' una  data  storia  e  civiltà.  Per  le  quali  cose non  possiamo  accettare  la  sentenza  ond' altri  ha  pro- nunziato, che  i  Saggi  del  Pagano  siano  la  interpretp,- zione  più  fedele  della  Sciema  Nuova:  tanto  piii  che il  Pagano,  intendendo  in  maniera  grossolana  al  pari dello  Stellini  la  dottrina  del  corso  e  ricorso,  non  dubita sostenere  che  le  nazioni  tutte  a  per  lo  stesso  movimento onde  son  rimenate  alla  luce  della  cultura,  ricadono nelle  tenebre  della  natia  barbarie.  »  Nel  che  non  s'accorge quel  nobile  e  sventurato  ingegno  come  il  ricorso del  Vico  sia  anche  progresso,  e  come  il  suo  svolgimento abbia  luogo  in  età  diflFerente  da  quella  in  che  accade  t il  corso  della  civiltà;  mentre  al  contrario  in  un  medesimo popolo ,  per  esempio  nel  greco,  egli  vede  insieme  un  | eorso  e  un  ricorso  storico.*  Il  Pagano  dunque  non  iscorge *  Vedi  Mario  Pagano,  Op.  edlz.  Capolagro,  Gap.  VI.  Saggio  VI, il  modo  con  che  il  suo  maestro  intese  coordinare  i  diversi momenti  de'  grandi  periodi  della  storia  eh'  ei  disse  corsi e  ricorsi  storici.  Non  riesce  a  salvam  dall'errore,  nel quale  intoppò  lo  Stellini,  d'ammettere  una  prima  età storica  non  ferina,  ma  innocente.  Non  sa  vedere  l' er- rore del  Vico,  oggi  assai  grave,  delle  catastrofi  e  dei  ca- taclismi fisici  onde  gli  uomini  furon  da  prima  scossi  e menati  a  civiltà.  Finalmente,  come  origine  assoluta  delle famighe  ponendo  il  ratto  delle  donne  per  opera  degli uomini  forti,  non  s' avvede  che  nelle  dottrine  del  mae- stro, più  che-  cagione,  cotesta  era  semplice  occasione, non  altrimenti  che  le  suddette  catastrofi  e  cataclismi di  natura.  Ma  è  da  notare  che  fra  tanti  errori  egli talora  sorpassa  il  maestro,  non  che  i  mitologi  suoi  con- temporanei, quando  sostiene,  per  esempio,  che  i  Greci, \  quant'  a  mitologia,  non  facevano  che  vestir  poetica- mente racconti  d' origine  primitivamente  orientale.Né  a  quel  tempo  erasi  ancor  difi'usa  quella  febbre, che  tutti  oggi  invade,  dell'  orientalismo  indiano.  E  Vin- cenzo Cuoco,  benché  seguisse  il  Vico  nelle  esagerate ,  interpretazioni  del  suo  Platone  in  Italia,  romanzo  fatto sul  gusto  délVAnacarsi  del  Barthélemy;  ne  divina  ta- lora qualche  idea  originale  come  quando  pone,  a  dirne solo  quest'esempio,  un'origine  spontanea  anzi  che  co- municata e  artificiale  alle  manifestazioni  storiche,  reli- giose, mitologiche,  poetiche  e  poUtiche.  Così  mercé  il Pagano  e  il  Cuoco,  entrambi  ingegnosi  discepoli  del Vico,  temperavasi  quella  dottrina  del  maestro  che,  come vedremo  in  altro  luogo,  potrebb'essere  interpretata  con opposti  e  contrari  significati.  E  vuoisi  che  il  Cuoco meditasse  e  anche  scrivesse  un  lavoro  sulla  Sdenta \  Nuova,  ma  che  da    medesimo  avesse  poi  distrutto, forse  per  que'  motivi  politici  che    crudelmente  gli  fu- nestaron  l'animo,  il  quale,  non  meno  del  Pagano,  egli ebbe  pieno  di  carità  patria.  Del   Cuoco  in   sostanza *  Op.  cit.  Saggio  I,  Gap.  XXIII. non  abbiamo  ne  interpretazioni,    esplicazioni  del pensiero  che  informava  la  Sdenta  Nuova,  degne  d'esser rammentiite.  È  bene  anzi  avvertire  com'  egli  ne  acco- gliesse alcune  idee  al  tutto  erronee:  quella,  per  esem- pio, d'  un'  antichissima  sapienza  italica,  anteriore  alla romana  e  alla  greca  per  cui  riteneva  che  gli  Etruschi, sparsi  un  tempo  per  tutte  le  terre  italiane,  avessero costituito  un  popolo  solo.  Non  pertanto  il  Cuojo  dà s^ni  evidenti  d'avere  studiato  la  Scienza  Nuova  ed essersene  giovato,  chi  consideri  quanto  egli  imitasse  e ripetesse  le  idee  del  Vico,  ma  sempre  in  modo  inge- gnoso, acuto,  geniale,  sul  corso  della  civiltà,  su  la  co-l stituzione  di  Roma  e  su  la  legislazione  in  universale. Chi  dovea  più  d' ogn'  altro  valersi  del  Vico  in  fatto  I di  principii  legislativi  fa  il  Filangieri.  Il  quale,  se  stu- •  diasse  le  opere  del  nostro  filosofo,  e  se  in  grande  ve- nerazione avesse  alcuni  principii  di  lui,  ce  lo  attesta,  da  una  parte,  una  lettera  del  Goethe  scritta  da Napoli  nel  1787,*  e  dall'altra  le  citazioni  ch'egli stesso  £a  e  le  dottrine  eh'  e'  non  di  rado  toglie  dalla Sdenta  Nuova.  Dalle  opere  del  Vico  infatti  esce  lumi- nosa la  prova  dell'  esistenza  d' un  elemento  universale e  assoluto  nelle  leggi  guardate  lungo  il  processo  isto- rico,  e  per  cui  la  legislazione  nella  storia  non  è  altro che  la  incarnazione  dell'idea  del  Diritto;  della  quafe egli  aveva  additato,  come  vedremo,  il  principio  -nel- r  opera  sul  Diritto  Universale.  Perciò  nella  Scienza Nuova  avverte  che  la  filosofia  del  Diritto  considera Vuomo  guai  ddb'  essere mentre  la  legislazione  censi-  ' dera  V  uomo  quale  è  per  farne  buoni  usi  neW  umana società}  Ora  appunto  la  seconda  parte  di  questa  sen- tenza tolse  a  studiare  il  Filangieri,  e  però  diciamo  che  la . scienza  della  legislazione  altro  non  sia,  chi  ben  guardi,  ' che  un'  applicazione  di  questo  concetto  vichiano.  E  vera- mente, se  ad  applicare  ottime  leggi  al  civile  consorzio *  Vedi  nel  Cintohi,  Studi  oritiei,  ec.  pag.  276. •  Vedi  Degnità  VI,  VU. è  necessaria  l'esperienza;  e  se  l'arte  dello  sperimento non  è  possibile  in  siflFatt'  ordin  di  cose  tranne  che  me- diante la  storia;  perocché  se  la  storia  elevata  a  filo- sofia è  atta  a  mostrare  che  i  fatti  legislativi,  guardati nella  loro  idea  e  nelle  attinenze  con  altri  fatti  pos8on  essere  considerati  come  altrettanti  esperimenti  che la  civiltà  va  seco  medesima  operando:  se  tutto  ciò  è vero,    da  concludere  che  l' antecedente  logico  della Scienea  deUa  LegislcusAone  sia  per  l' appunto  la  Scienea Nuova.  Laonde  non  parmi  che  il  Lerminier  s' apponga, dicendo  il  Filangieri  seguace  del  Montesquieu,*  per  la semplice  ragione  che  il  medesimo  Filangieri  ebbe  co- scienza di  non  dover  battere  le  vie  già  con  tanta  gloria calcate  dal  filosofo  francese,  com'egli  stesso  ci  assicura. Filangieri  non  intese  a  ricercar  leggi,    a  descriver  | costumi  :  volle  anzi  levarsi  alla  teorica  dei  costumi  e  • delle  leggi.  Ora  cotesta  teorica,  come  vedremo,  è  inutile cercarla  nel  Montesquieu  ;  ed  è  inutile  cercarvela  anche per  confessione  degli  stessi  Francesi.  Ripeto  quindi  che la  Scienza  della  Legislazione,  chi  la  guardi  nella  originalità  del  suo  disegno,  è  di  fattura  tutta  italiana,  e possiamo  designarla  perciò  come  una  pagina  (splendida pagina  in  vero!)  della  Scienza  Nuova.  Ciò  non  pertanto  è  da  confessare  come  il  Filangieri talvolta  s'accosti,  forse  anche  troppo,  al  fare  del  Ro-j magnosi,  il  cui  pensiero  mostra  d'  avere  tanta  affinità con  la  filosofia  francese.  In  gran  parte  meccanica  e artificiale  riesce  infatti  la  sua  dottrina  storica,  alla quale  si  riferisce  la  legge  ch'egli  espone  su  le  Religieni e  eh'  è  pure  una  debole  imitazione  attinta  nel  Vico  ;  1 ma  è  tal  legge,  ch'io  starei  per  dirla  disorganata. Filangieri  è  da  lodare  per  piil  conti,  massime  per  aver I  saputo  cogliere  il  vero  di  quel  principio  vichiano  sulla incomunicabiUtà  originaria  dei  miti  presso  popoli  dif- ferenti: *  col  che  mostra  d'  aver  attinenze  sempre  piiì  '  ItUroduction  generai  eo.  Gap.  XV,  pag.  188. *  Vedi  Scienxa  ddla  Legialanone,  Gap.  VI. apffini  con  gli  altri  seguaci  e  imitatori  d'  un  comune maestro  e  d'  un  ispiratore  comune,  quali  abbiam  visto essere  stati  per  differenti  guise  il  Duni,  il  Cuoco,  il Pagano. Se  non  che,  come  la  tendenza  alla  pura  imitazione eccita  spesso  la  critica,  parimenti  la  critica  efficace! e  produttiva  viene  più  spesso  eccitata  dalla  critica infeconda  e  negativa.  Così  Melchiorre  Delfico  quantunque più  volte  citi  '1  Vico  e  ne  accetti  perfino  al-  ) cune  dottrine  su  la  Giurisprudenza  romana,  si  pre- senta come  negazione    lui  quando  si  pensi  che  il Vico  fu  primo  interprete  critico  del  Diritto  Romano,  e dicasi  pure  della  Storia  romana.  Il  dubbio  critico  e  fe- condo dell'uno  su  le  origini  di  Roma  e  delle  XII  Ta- vole, diventò  dubbio  scettico  nell'  altro.  Egli  infatti giunse  a  dire  che  la  comune  opinione  sulla  grandezza romana  devesi  ridurre  al  solo  ingrandimento  de' con- fini, ottenuto  spesso  con  mezzi  rei  ed  infami.*  E  se il  Gravina  appoggiandosi  all'  autorità  di  Cicerone  fin da' primordi  del  secolo  XVIII  appella  Diritto  per  ec- cellenza il  Diritto  Romano;  il  Delfico,  in  su  lo  scorcio  1 dello  stesso  secolo,  non  teme  affermare  che  Roma, tuttora  barbara  e  ignorante,  avea  già  veduto  a'  suoi fianchi  gli  Etruschi,  i  Sabini,  gli  Umbri,  celebri  già per  leggi  e  per  giustizia,  gli  Equi  e  gli  Equicoli, così  appellati  perchè  giusti.  Che  cosa  ne  fecero  i  Ro- mani se  non  distruggerli,  piuttosto  che  imitarli?'  Le grandi  lodi  poi  fatte  in  ogni  tempo  ai  frammenti delle  XII  Tavole,  egli  chiamava  letterario  fanatismo. Il  tanto  encomiato  Diritto  Civile  riguardava  come  ri- saltato delle  interpretazioni  dei  Giurisprudenti  e  delle dispute  forensi.  Incertezza,  arbitrio,  volontà  di  conservare r  aristocratico  dispotismo  diceva  essere  il  carattere proprio  del  Diritto  Romano.  Che  se  Roma  cadde, Vedi  Riocrehe  nU  vero  earattere  della  Oiurttprudenxa  Romana  e  dei  \ 9uoi  cultori.  Firenze,  2"  ediz.  1796,  Introd.  pag.  27. non  cadde  perchè  oppressa  dal  pondo  dell'  estrema  sua grandezza,  ma  per  mancanza  di  base  e  difetto  di  solida architettura  nell'edifizio.  E  conchiudendo  poi  la  prima parte  del  suo  libro,  afferma  che  :  (c  la  giustizia  di  Roma fu  in  principio  quale  può  essere  neUa  barbarie;  d'indi| quale  dev'  essere  nell'  anarchia,  nella  confusione  delle leggi,  e  nella  generale  corruzione.*  »  Talché  in  ogni  età al  pensiero  del  Delfico  Roma  si  presenta  in  antitesi  con la  ragione  e  con  la  umanità:  la  giurisprudenza  per  lui è  il  fatale  retaggio  eh'  ella  ci  lasciò,  e  i  secoli  ne  hanno moltiplicato  le  specie.*  Vedremo  altrove,  che  se  il  Vico  fu  primo  a  studiare con  riservatezza  guardinga  e  saviamente  scettica  la  storia del  popolo  e  del  Diritto  Romano  assai  cose  distrug- gendo accolte  già  e  sanzionate  dall'  autorità  di  molti secoli;  non  però  cadde  in  quell'  aperto  e  desolante  scetti- cismo che,  uccidendo  i  fatti  nella  storia,  spegne  ad  un tempo  la  fede  nell'  animo  di  chi  ne  interpreta  il  signi- ficato, com'è  appunto  il  caso  del  Delfico.  Il  Vico  anzi pervenne  a  dimostrare,  come  vedremo,  una  legge  d' in- timo progresso  nelle  successive  manifestazioni  storiche  ' del  Diritto  Romano.  E  questo  evidentemente  contraddice al  dubbio  scettico  del  Delfico. Così  può  dirsi  chiuso  il  primo  periodo  degli  scrit- tori che  han  discorso  di  questa  o  quella  dottrina  del nostro  filosofo.  Nel  qual  periodo,  ciò  che  ha  molto  valore  | per  noi,  è  la  polemica  fra  il  Duni  e  il  Finetti:  il  resto  è lavoro  d'imitazione  piii  o  meno  fedele  che  solamente  nel Filangieri  comincia  ad  assumere  forma  d' esplicazione  ' originale.  E  questa  tendenza  imitativa,  che  finisce  con  lo scetticismo  giuridico  e  storico  del  Delfico,  ci  mostra  poi quanto  sia  vera  quell'osservazione  fatta  da  parecchi  sto- rici nostrani,  che  la  snervata  filosofia  firancese  principal- mente scemasse  originalità  agli  scrittori  italiani  d' allora, togliendo  loro  il  poter  discemere  qual  novità  di  principi! avesse  introdotto  il  Vico  nel  regno  della  scienza  e  della storia  umana. Tra  il  secolo  XVIII  e  il  secolo  XIX  possiamo  dire che  corra  un  abisso.  Nell'ordine  puramente  speculativo ci  è  di  mezzo  il  Criticismo;  e  nell'ordine  delle  idee  stori-  1 che  e  giuridiche,  come  in  quello  de'  fatti  politici,  abbiamo i  filosofi  giusnaturalisti  francesi,  e  la  grande  Rivoluzio- ne. Con  la  Scienza  Nuova  noi  avevamo  già  prevenuto l'esigenza  critica,  dal  puro  mondo  dell'attività  psicolo- gica trasferendola  e  compiendola  nel  regno  dell'  attività storica;  e  nell'ordine  delle  idee  avevamo  sorpassato  al-tresì la  Rivoluzione,  perchè,  ammesso  il  processo  istorico al  quale,  secondo  la  Scienza  Nuova,  deon  soggiacere  tutti i  fatti  e  tutte  le  idee,  non  v'è  pagina  in  questo  libro  dove non  si  senta  la  necessità,  e  non  si  tocchi  con  mano,  per così  dire,  lo  scoppio  d'un  radicale  innovamento  negli  or- dini del  consorzio  civile,  politico  e  sociale.*  Brevemente: nei  tempi  moderni  veggiamo  accadere  nel  nostro  pen- siero quello  stesso  che  venne  verificandosi  nell'  età  del Risorgimento.  Co' nostri  vecchi  filosofi  noi  avevamo  arditamente sorpassato  la  Riforma,  nel  modo  stesso  che  con le  nostre  scuole  politiche  (sempre  nell'  ordine  dell'idee) *  Nella  Sociologia  mostreremo  che  co*principii  del  suo  Diritto  C7ni-1 vende  il  nostro  filosofo  Compie  la  dottrina  della  Socialità  di  Orozio, corregge  i  prìncipii  e  quindi  le  consegoonze  der  Naturalimno  speculativo  e wteta/meo  di  Spinoza,  inrera  il  Natwali«mo  empirico  di  Hobbes,  contraddice al  TeoeraiÌ9wu>  della  scuola  di  Bossuet,  alio  Scetticismo  giuridico  di  Bayle, di  Pascal  e  di  Montaigne,  e  previene  le  idee  principali  di  Montesquieaj e  di  Rousseau  legittimandole  nel  suo  concetto  istorico. avevamo  già  sorpassato  le  tendenze  nonché  i  bisogni politici  di  quell'età.* Col  primo  schiudersi  del  nuovo  secolo,  adunque,  non può  non  ischiudersi  un  periodo  novello  di  studi  assai più  severi  circa  le  dottrine  del  Vico  ;  talché  V  abisso fra' due  secoli  poco  fa  accennato  per  noi  non  esiste,  e in  ogni  modo  la  Scienza  Nuova  avrebbe  trionfato  nel- r  animo  nostro  come  nelle  nostre  menti:  avrebbe  trion- fato nella  nostra  storia  civile  come  nel  nostro  pensiero filosofico,  quand'  anche  il  gran  fatto  della  Eivoluzione non  ci  avesse  scosso.  Ci  saremmo  arrivati  da  per  noi  J forse  più  lenti,  ma  certo  più  securi.  D  segnale  dunque de' nuovi  studi  s'inaugura  cqu  coscienza  più  chiara  sul valore  delle  dottrine  vicinane,  e  tal  segnale  ci  è  dato  innanzi tutto  da  im  poeta  assai  splendido  nella  forma  quale fu  Vincenzo  Monti,  e  da  un  poeta  assai  potente  e  insieme potentissimo  prosatore  quale  si  fu  Ugo  Foscolo.  Nel  1803 in  una  delle  nostre  più  illustri  Università,  il  Monti pronunziava  quella  beUissima  sentenza  che  poi  tutti  hsìn ripetuto  e  ripetono  parlando  del  Vico:  La  Scienza Nuova  è  come  la  montagna  di  Golfonday  irta  di  scogli e  gravida  di  diamanti.  E  quindi  soggiungeva:  Chi amasse  di  chiamare  a  rivista  le  idee  generatrici  e  pro- fonde delle  quali  si  è  fatto  saccheggio  nel  Fico,  tesse- rebbe lungo  catalogo,  e  nuderebbe  a  moUe  riputa^zioni.* Ma  il  Monti  sente  la  verità  e  grandezza  delle  idee vichiane  com'  un  poeta.  Il  Foscolo    un  nuovo  passo e  va  molto  più  innanzi  allora  che  nel  1805,  nel  celebrato discorso  d'apertura  all'insegnamento  letterario  nella stessa  Università  Pavese,  piglia  a  trattare  con  l' usata  maschiezza  d'ingegno  il  vasto  soggetto  dell' origine  e dell'  ufficio  della  letteratura;  nel  quale  prova  insieme quant'  avesse  studiato  le  opere  del  nostro  filosofo,  e come  sotto  novelle  forme  si  possa  applicarne  le  dot- *  Ferbari,  Cforto  augii  aeriUori  Politiei  italiani^  pag.  846. *  V.   Monti,  Proluaùme  agli  atudi  delV  Univeraità   di  Pavia,  MUa- no,  1804.  Pag.  58  e  59. trine  anche  nei  temi  letterari.  Ugo  Foscolo  avea  colto il  valore  d'alcune  sentenze  psicologiche  sparse  nei  lihri del  filosofo  napoletano  ;  e  da  queste  appunto  ei  seppe trarre  il  concetto  posto  come  principio  fondamentale del  suo  ragionamento.  Egli,  infatti,  ricorre  ai  bisogni dell'uomo  nel  rintracciar  Torigine  delle  lettere;  e  quindi reputa  necessario  investigarne  la  natura  psicologica studiando  le  facoltà  stesse  dell'  uomo.'  Che  poi  avesse meditato  e  inteso  le  altre  dottrine  del  filosofo,  lo  mostra il  modo,  per  dire  un  esempio,  con  che  egli  discorre  \ ea  l'origine  e  su  la  natura  della  parola;  la  quale,  tra- ducendo quasi  lo  stesso  linguaggio  del  Vico,  dice  essere ingenita  in  noi  e  contemporanea  dia  formazione  dei sensi  estemi  e  delle  potente  mentali.  Seguace  del  nostro filosofo  anche  si  palesa  quand'  accenna  fuggevolmente a  certe  idee  (per  esempio  a  quelle  del  diritto  e  del dovere)  le  quali,  manifestandosi  dapprima  idoleggiate con  simboli  ed  immagini,  si  snodano  poscia  e  parlan quasi  da    stesse  nella  nuda  verità  di  ragione.  Seguace altresì  quando  tocca  delle  origini  del  consorzio  sociale e  dell'imperio  civile:  del  che  poi  egli  stesso  ci  assi- cura dove,  accennando  a' poeti  filosofi,  dice  che  delie verità  sui  principii  di  tutte  le  nazioni  vedute  dal  VicOy egli  s' è  studiato  dimostrare  e  applicare  le  conseguenze alla  storia  dei  nostri  tempi}  Dottrine  del  Vico,  finalmen- te, applica  nel  discorso  su  le  De^cazioni  nella  Chioma  ' di  Berenice,  secondo  che  confessa  da    medesimo. Ma  alla  Scienza  Nuova  volge  tosto  gli  occhi  con  ben altro  acume  di  critica  il  napoletano  Cataldo  lannelli; la  qual  critica,  come  vedremo,  esagerandosi  nel  Roma- gnosi,  finisce  per  esser  perdutamente  scettica  nel  Fer- rari. Di  tutte  le  opere  o  studi  fatti  su  la  Scienza  Nuova quella che  più  d'ogn' altra  merita  d'esser  letta  e  me-  ! ditata  è  appunto  l' opera  del  modesto  impiegato  della •  Vedi  Ditearto  delV  origine  e  deW  ufficio  detta  LettercUura^  nel  vo- lume deUe  Lesioni   Queste  osservazioni  hann'  anch'  elle  un  aspetto  di verità  ;  ma  se  il  Romagnosi  avesse  meditato  la  Sdevusa Nuova  con  più  amore  e  men  disprezzo  e  meno  boria  a  lui, del  resto,  tanto  naturale,  avrebbe  visto  che  il  Vico  altro non  intese  dire,  come  vedremo,  se  non  quello  precisa- mente eh'  egli  stesso  ha  detto  qui  assai  male  e  senz'  al- cun  metodo  filosofico.  E  perchè  poi  reputa  impossibile  la similarità  de' circoli  storici?  Perchè  intese  anch' egli, in  modo  volgare,  come  parecchi  altri,  il  valore  di  cosi fatta  legge.  Ei  non  poteva  persuadersi  come  nella  sto- ria ci  sia  ritorni  e  ripetizione  di  forma  (meccanismo); ma  non  s'avvide  che  se  pel  Vico  nella  storia  ci  è  ri- petizioni, cotesto  ripetizioni  non  sono  possibili  senza veraci  innovazioni  (dinamismo). Io  non  so  capacitarmi  come  l' ingegno  potentissimo del  Romagnosi  non  penetrasse  nell'  intimo  della  Scienza Nuova.  Non  so  capacitarmi  com'ei  facesse  una  critica Certo  U  Romafirnosi  non  TÌde  che  se  il  Vico  prevenne  Roasseau  e tutti  qnei  giasnataralisti  del  secolo  XVIII  i  quali    volentieri  ciarlavano sa  lo  ttato  di  natura,  li  prevenne  correggendoli,  cioè  legittimando  ra- zionalmente cotesto  stato  natarale,  col  porre  in  opera  ben  altri  prin- eipii  di  psicologia  e  di  storia  cho  non  eran  quelli  de' saddetti  filosofi. debole  e  scucita  cosi  che  gira  sempre  attorno  senza mai  coglier  la  sostanza  delle  dottrine  del  Vico.  U  che senza  dubbio  terrà  alla  forma  della  sua  filosofia,  della quale  il  Rosmini  pose  in  evidenza  i  molti  e  sostanziali  i difetti,  e,  nonostante  le  calde  e  lunghe  difese  del  Nova, i  giudizi  del  Roveretano  restano  pur  oggi  intatti  e  verL Il  Romagnosi,  in  ima  parola,  non  poteva  pregiar  la Scienza  Nuovii,  perchè  le  sue  dottrine  putiscon  di  meccanismo. Artificiale  e  meccanica  è  in  lui  la  dottrina  sul governo  dello  stato,  ch'ei  paragona  al  cervello  dell'ani- male. Artificiale  e  meccanica  la  dottrina  dei  Tesmo- fori  in  politica  e  in  religione  ;  le  quali  per  lui  sono bensì  strumenti  benefici  al  popolo,  ma  nelle  mani  dello stato.  E  dottrina  presso  che  meccanica  quella  de'  suoi Fattori  dell'  incivilimento.  *  Perfino  la  terminologia eh'  egli  adopera  ne  palesa  l' indole  della  mente  e  delle idee:  storia  naturale  dei  popoli,  fisiologia  degli  stati, funzioni  meccaniche  e  dinamiche  della  società,  dina- mica e  meccanica  morale,  e  simiU.  * Come  passaggio  della  critica  empirica  e  negativa del  Romagnosi  alla  critica  scettica  del  Ferrari,  si  pre- senta la  traduzione  e  l' anaUsi  che  della  Sdenjsa  Nuova die  alla  Francia  6  alla  eulta  Europa  l' illustre  Miche- let. Agli  occhi  degl'Italiani  questo  scrittore  ha  due grandi  meriti:  d' aver  fatto  conoscere  il  nostro  filosofo isin  dal  1827  fuori  d'Italia,  e,  che  più  monta,  d'averlo fatto  capire  nella  sua  verità  mercè  quell'  arte  facile, disinvolta  e  con  quel  fare  schietto  e  rapido  con  cui,  tra- ducendola, seppe  imprimere  alla  Scienga  Nuova  forma netta  e  fedele.  Se  non  che,  per  quanto  il  Michelet  non sia  crìtico  interprete  (né  egli  vi  pretende)  ma  critico espositore,  non  pertanto  i  suoi  giudizi  son  tutti  co- *  Si  yegga  la  definizione  che  ne    nello  Leggi  dtlV ineivUimento,  §  43. *  Il  Ferrari  ha  rilevato  con  molta  esattezza  la  differenza  tra  Vico e  Bomagnosi  nel  lihro  La  menu  di  Romagnoti.  E  noE  a  torto  poi  il chiarissimo  professor  Ferri  pone  il  Romagnosi  come  primo  ponHvi^ta In  Italia.    Ved.  RÌ9t.  de  la  PhU.  lud.,  Tom.  1«%  Paris  1869. scienziosi  e  pressoché  tutti  pieni  di  verità.  Eccone  un saggio.  Ci  ha  due  Scienze  Nuove,  egli  dice;  ma  se  le Scienze  Nuove  son  due,  la  prima  d' esse  è  insieme  I r  ultima  parola  dell' autore  ;  ultima  quant' alla  sostanza delle  idee.  Un'altra  osservazione  è  questa:  carattere e  intento  supremo  di  codesta  Scienza  Nuova  è  quello d'essere  una  filosofia,  e  nel  medesimo  tempo  una  storia dell'umanità.  E  un'altra  riflessione  che  merita  sia ricordata,  è  la  seguente:  il  concetto  d'una  perfezione stazionaria  accennata  dal  Vico  nella  Scienza  Nuova  e riprodottasi  poscia  in  tanti  libri,  non  riappare  altrimenti nella  seconda  Scienza  Nuova.  Mi  giova  notare  con  ispe- dalità  quest'  ultimo  pensiero  del  Michelet,  per  correg- ger la  sentenza  di  tutti  quegl'  interpreti  i  quali  per d  lungo  tempo  ci  han  detto  e  ridetto  che  dei  corsi  e ricorsi  entro  cui  il  Vico  chiuse  V  umanità  (per  dir  la parola  consacrata),  ei  non  abbia  parlato  fuorché  nella seconda  Scienza  Nuova.  Non  ne  ha  parlato  mai,  in  nes- sun libro,  in  veruna  pagina  de'  suoi  libri  I  La  staziona- rietà (sia  detto  unU  buona  volta  per  tutte)  non  è  con- cetto vichiano.  Io  noi  trovo  esplicito,    implicito  in lui  ;  e  non  iscaturisce  in  verun  modo  dall'  insieme  delle sue  dottrine.  Il  concetto  del  corso  e  ricorso  storico, adunque,  alla  maniera  volgare  ch'é  inteso  da' più,  è concetto  che  assolutamente  ripugna  al  pensiero  e  alle scritture  del  nostro  filosofo. Ma  non  tutti  i  giudizi  del  Michelet  ci  paiono  ugualmente giusti.  Ei  non  giugno  a  spiegar  convenevol- mente, per  esempio,  il  concetto  storico  del  nostro  filo- 1 sofo  su  la  forma  del  governo  monarchico;  tanto  meno que'due  principii  accennati  piii  d'una  volta  nella  iScien^^a Nuova  e  nel  DvrìUo  Universale  su  la  necessità  in  che può  ritrovarsi  un  popolo  di  consentire  a  lasciarsi  gover- nare ov'  ei  non  sappia  governarsi,  e  su  l' affidar  l' im- pero del  mondo  alla  solerte  prudenza  dei  migUorì.  Il  Michelet seppe  delle  opere  del  Duni,  ma  forse  non  potè leggerle:  così  parrebbe  almeno  dal  modo  con  che  lo SrnuAiii.  ff cita  fiiggevolmente  solo  una  volta.  Se  quindi  avesse  cono- l  scinto  il  Duni,  avrebbe  dato  al  Jus  Gentium  del  Vico  il suo  proprio  valore.  E  s'inganna  poi  quand' aflFerma,  che il  Libro  Metafisico  sia  la  sola  scrittura,  le  cui  dottrine non  fossero  state  trasportate  nella  Scienza  Nuova,  del che  lo  riprende  giustamente  il  Predari.  Ma  il  Miche- let ci  compensa  di  cotesti  erronei  giudizi  laddove  con acume  non  ordinario  confessa  di  riconoscere  nel  Vico  U metafisico  sottile  ,e  profondo.  E  poi  ci    prova  sicura d'animo  spassionato  e  libero  da  ogni  boria  nazionale, quando,  egli  francese,  francamente  dichiara  essere  il Vico  r  antagonista  per  eccdlenaa  del  CartesianismOy l'avversario  più  illuminato  e  più  eloquente  dello  spirito del  secolo  XVIII.'  Anche  quest'osservazione  è d'ogni  parte  vera  e  luminosa;  perocché  se  carattere  di quel  secolo,  come  giustamente  si  crede,  fu  la  negazione assoluta,  la  negazione  in  tutto  e  di  tutti,  distintivo,  al contrario,  delle  dottrine  del  Vico  si  fu  quello  di  tutto restaurare,  e  tutto  affermare  mercè  l'opera  del  me- todo isterico.*  E  poiché  siamo  a  parlare  de'  Francesi,  occorre  far menzione  degli  altri  che  in  quel  paese,  nell'epoca  di che  trattiamo,  non  reputarono  tempo  perso  volger  la mente  al  nostro  filosofo.  E  primo  fira  tutti  il  Lerminier, *  Vedi  Prtncipet  de  la  PhU.  de  VHiat,  traduite  de  la  Scietua  Nuova de  J.  B.  Vieoy  BruxeUes  1839,  pag.  lxxi.  — La  prima  Ediz.  è  del  1827. *  La  ridazione  fatta  dal  Michelet  détte  occasioce  iu  Italia  ad  una critica  del  Kicci    pubblicata  nolV  Antologia  del  Vieusseax  (Anno  1838»  1 N.  88,  e  92).  Il  Ricci  mostra  come  lo  storico  francese  altro  non  desse alla  Francia  che  ì  frantumi  della  Scienza  Nuova,  e  per  cinque  diversi capi  ne  rileva  la  incompiutezza.  Oltre  a  questo  pregio,  negli  articoli  del Btcci  re  n'  è  un  altro  ;  Taver  posto  in  chiaro,  meglio  forse  che  non  facess^i il  Dani,  il  significato  della  parola  Autorità^  che  ne*  libri  del  nostro  filo- sofo non  è  di  lieve  momento,  e  mostra  che  talora  egli  assume  questa parola  nel  senso  del  Gius   Komano  come  sorgiva  de*  diritti  pubblici  e privati;  talora  com*effotto  del  consenso  d*  una nazione  in  un  dato  prin- cipio; tal*  altra  come  potestà,  come  potere  ch*ò  negazione  di  ragione  e di  coscienza  speculativa.  Notiamo  altresì  come  il  Ricci  è  quegli,  fra*  cri- tici, che  più  insiste  su  l*  ufficio  del  Seneualiemo  nelle  idee  storiche  delj Vico.  Ved.  Art.  I,  pag.  85. come  quegli  che  nelle  due  principali  sue  scritture  ne discorre  sempre  con  entusiasmo,  con  amore  e  grande  ve- nerazione. Ben  s' appone  a  designar  la  Sciema  Nuova come  il  monumento  sublime  e  hieearro^  in  cui  è  viva  la impronta  delle  fofrme  e  dei  colori  dd  medio  evo,  e  che gittato  in  meeeo  ed  secolo  XVIIlj  fa  del  Vico  centro dette  antiche  tradizioni,  e  insieme  precursore  déUa  Scienza Nuova:  *  talché  non  a  torto  fino  dal  1829  lo  considerò come  il  vero  predecessore  de'  Wolf,  de'  Niebuhr,  e  degli Hegeliani.  Se  non  che  non  sempre  questo  dotto  e  simpa- tico scrittore    nel  vero,  come  quando  lo  dichiara  padre dell' JEfcfewswto  moderno,^  o  come  laddove  osserva  che nella  storia  del  mondo  egli  trasportasse  quella  di  Roma. Lerminier  non  vide  che  di  questa  seconda  istoria  ei  gio- V06SÌ  a  meglio  intender  la  natura  della  prima,  alle  storie tutte  e  perfino  alla  storia  universale  trasferendo  gli  ele- menti essenziali,  originari,  universali  costituenti  la  na- tura umana.  Assai  meglio  avrebbe  detto  d'aver  egli  tras- ferito la  psicologia  nella  storia,  anzi  che  la  storia  di questo  0  quel  popolo  alla  storia  di  altri,  ovvero  a  quella di  tutt'i  popoli  in  universale.  Né,  d'altra  parte,  il  Vico intese  applicare  una  legge  alla  storia  in  generale;  er- rore, come  vedremo,  dei  Teologisti  e  degli  Hegeliani: intese  bensì  applicarla  ai  popoli  considerati  nelle  indi- viduali lor  tradizioni  e  civiltà.  Tanto  meno  poi  é  lecito creder  eh'  egli  ponesse  identità  fra'  tempi  eroici  primi- tivi e'  '1  medio  evo:  bensì  è  vero  eh' e'  vi  discemesse  un moto  perenne  di  ripetizione  essenzialmente  progressiva. Altrove  il  Lerminier,  parlando  del  Machiavelli,  os- serva come  r  autore*  della  Scienza  Nuova  correggesse lo  spirito  storico  del  Segretario  fiorentino,  mercé  una pciitica  ideale  e  platonica.  '  Questa  sentenza  in  parte è  vera;  e  dico  in  parte,  poiché  si  può  chiedere  se co'  suoi  principii  applicabili  alla  politica,  il  Vico  abbia •  Vedi  Introd.  gin.  à  VHitioire  du  Droit,  cap.  Xm. *0p.  cit.  pag.  167. •  Vedi  JKrt.  de  la  Phtl,  du  Droit,  Tom.  U,  pag.  102. corretto,  o  non  piuttosto  compiuto  ciò  che  nel  Machia- velli è  solamente  arte  politica.  Tutt'  insieme  dunque  può dirsi,  che  se  la  critica  del  Lerminier  non  è  molto  acuta né  molto  sicura  in  alcuni  giudizi,  ella  riesce  nondimeno a  cogliere  con  lucidezza  tutta  francese  la  natura  e  '1 fine  della  mente  e  deUe  opere  del  nostro  filosofo.'  Su'  giudizi  del  Lerminier  riguardanti  le  idee  giurìdiche e  politiche  del  Vico  torneremo  in  altra  occasio- ne. Qui  giova  notare  come  in  Francia,  quasi  nel  mede- simo tempo  in  che  gli  scrittori  di  cui  abbiamo  accennato facevan  conoscere  il  nostro  filosofo,  altri  presero  a  par- lame  come  il  Gousin,  Teodoro  Jouffroy,  il  Ballanche. Tutti  ripeton  le  usate  lodi,  e  qualche  giudizio  del  Gou- sin, al  solito,  a  volerlo  sottilmente  esaminare,  non  riesce molto  esatto.  Quando  vuol fard  credere,  per  esempio, che  il  Vico,  benché  combattesse  Gartesio  ne  seguiva nuUameno  la  filosofia  generale^*  ognuno  capisce  com'ei  si studi  attaccare  al  gran  carro  del  cartesianismo  perfino il  Vico;  quasi  che,  anco  a  detta  del  francese  Miche- let, non  ne  fosse  stato  anzi  V  avversario  piii  terribile. E  va  lungi  dal  vero  quand'  osserva,  che  tutto  ciò  che è  nel  Bossuet  e  nel  Vico  trovasi  in  Herder;  '  quasi  che si  possa  ignorare  che  Fautore  della  Metacritìca  contro il  Kant  non  fosse  altro  che  un  buon  sensista,  il  quale '  perciò  non  dubitava  credere  che  dall'  organismo  pul- lulasse ogni  nostro  pensiero  e  facoltà:^  nella  quale sentenza  ci  conferma  il  suo  traduttore  francese  il  Qui- net.  U  Gousin  poi  dice  il  vero  laddove  pone  l'Herder '  come  compimento  del  Vico  quant'  al  concetto  della  na- tura e  della  efficacia  che  la  natura  dispiega  sulla  storia. Ma  avrebbe  dovuto  avvertire  che  s'egli  è  compimento  *  Eccone,  per  esempio,  una  prora  nella  seguente  arguta  osserraxione:   w/tico  più  che  scettico,  con  la  sua  critica  egli  comin- cia a  riprender  V  andamento   pacato  e  sereno   dello .  lannelli.  Il  Cattaneo  è  come  Y  anello  fra  il  Ferrari  e 'il  Tommaseo.   Noi   non  possiamo,  egli  dice,  studiare con  profitto  lo  spirito  umano  in  sé,  nella  sua  essen- za, bensì  nelle  sue  elaborazioni  storiche,  e  nelle  situa- zioni più  numerose  e  diverse  che  si  possa.  Però  biso- gna studiare  il  poliedro  ideologico  nel  fluissimo  numero di  sue  faccey  e  da  questo  terreno  tutto  storico  e  speri- metitàle  dovrà  sorgere  la  vera  cognizione  dell'uomo;  la quale  indarno  si  cerca  nei  nascondigli  della  coscienza. Lo  studio  dell'  individuo  nella  società,  V  ideologia  sodale: ecco  una  sentenza  piena  di  verità  per  cui  il  Cat- taneo si  chiarisce  assennato  seguace  del  Vico.  E  che egli  abbia  inteso  il  pensiero  del  filosofo  napoletano  lo pruova  l'altra  osservazione  su  le  successive  trasforma- zioni storiche  del  diritto,  per  cui  nella  Scienza  Nuova a  troviamo  fusa  la  dottrina  d^l'  interessi  come  cam- peggia nel  Machiavello  con  la  dottrina  della  ragione i  esposta  da  Grozio,    togliendo  eoa  la  contraddizione che   divideva  la  storia  dalla  filosofia.'  »  Che  se  anche il  Cattaneo  s'  addolora  al  pensiero  dei  Circoli  fatali^ che  il  Vico  ebbe  in  comune,  secondo  lui,  col  Machia- mipremi  principii  d'umanità,  PuDOR  e  Libbrtas,  che  sono  il  cardine  della  ' Scienza  Nuova,  e  per  cui  anch*  il  servo,  anch*  il  bimane  un  bel  giorno diventa  uomo,  personalità  ?  é'*  Cade  col  Machiavelli  nd  »iHema  delU  dué fati,  V  ima  harharay  V  altra  eivtU,  No,  introduce  nn  nuovo  sistems  nelle due  differenti  fasi,  Tuna  tpantanea  e  raltrart^faMo;  e  questo  non  è  circolo fatale,  identico,  ma  progressivo.  Dice  poi  che  il  Vico  eroit  que  la vdonU  peut  eorrompre  Vceuvre  de  la  roMon  (pag.  105).  Qui  evidente- mente il  Ferrari  non  ha  saputo,    poteva  col  suo  scetticismo,  intender* e  comporre  in  organismo  i  principii  psicologici  del  suo  maestro. *  Firbàri,  Vieo  et  VltaUe.  Paris  1889. *  CiTTRinBO,  nel  Politeonieo.  Voi.  II,  257. *  Vedi  Periodico  oit  pag.  264. velli  e  col  Campanella,  una  consonanza  mirabile  però  sa trovare  fra  i  più  recenti  sistemi  umanitari  e  quello  del Vico,  agli  occhi  del  quale  la  Provvidenza,  con  V  occa- sione degV  interessi  delle  inique  passioni,  trae  la  giustizia effettuandola  gradatamente  nel  mondo  delle  nazioni. Laonde  osserva  come  prima  di  Fichte,  segnatamente prima  di  Schelling,  a  lui  fosse  dato  riguardar  la  ragione  ' qual  facoltà  che  occasionalmente  si  sveglia  nell'uman genere.' •CONTINUA  IL  PERIODO  DE' CRITICI  E  DEGLI  ERUDITI. Co'  suoi  Studi  Critici  V  illustre  Tommaseo  segna  il passaggio  al  terzo  periodo,  e  quindi  ad  una  terza  classe di  scrittori  che  si  sono  occupati  del  Vico.  Critico  e  filosofo, infatti,  egli  stabilisce  V  anello  fra  i  puri  critici  e  gì'  in- terpreti filosofi  negli  studi  riguardanti  il  nostro  autore: Imitazione  e  riproduzione,  come  negli  scrittori  del  primo periodo,  non  era  possibile  nell'ingegno  versatile,  dut- tile, acuto  ed  elegante  del  Tommaseo;  e  tanto  meno possibile  in  lui  una  critica  scettica  alla  maniera  del Ferrari.  Piena  la  mente  e  l'anima  di  fede  e  di  pro- fondo sentire,  questo  scrittore  è  anche  filosofo,  e  vi pretende.  Egli  ha  scritto  libri  di  filosofia;  ha  inter- pretato, e  non  di  rado  con  sottigliezza  scolastica  ha difeso  il  princìpio  speculativo  del  Rosmini,  e  propu- gnatolo con  ardore  giovanile.  Nessuno  dunque  può  ne- gare a  quest'ingegno  artistico  e  severo  buona  dose di  virtù  speculativa.  Sarà  filosofo  scologizzante,  sarà filosofo  più  che  rosminiano,  ma  è  filosofo,  oltre  che critico  de'  più  sottili:  è  filosofo  e  critico,  e,  senza  con- Nel  PoUteenico  cit.,  pag.  276. trasto,  quant'  a  proprietà  di  linguaggio  occupa  oggi  1 primo  seggio  fra  i  viventi  scrittori  del  nostro  paese. Nessuno  meglio  di  lui  poteva  farsi  a  rilevar  le  bellezze nella  parte  letteraria  ed  estetica  delle  idee  del  no- stro filosofo.  E,  facile  a  spigolare  ne'  campi  altrui,  anche in  questo  egli  è  andato  scegliendo  fior  da  fiore,  e ne  presenta  cotal  mazzo  che  lascia  scorgere  l'arte  di  chi n'  ha  fatto  la  scelta.  Chi,  prima  di  lui,  avea  saputo  ritrar r  indole,  per  esempio,  di  certe  composizioni  poetiche  del Vico,  additar  la  possente  originalità  nello  stile,  la  sel- vaggia lobustezza  della  parola,  la  forma  singolare  del- l' ingegno,  e  segnatamente  l' animo  e  tutto  il  carattere morale  dell'uomo?  Una  delle  più  notevoli  pagine  della prosa  italiana,  egli  osserva,  è  la  nobile  immagine  di donna  egregia  lodata  dal  Vico  :  ed  è  verissimo  ;  e  vere  ed argute  non  meno  ci  paion  quelle  considerazioni  su  la storia  del  Caraffa,  nella  quale  spesso  questi  è  dipinto non  qncd  era  ma  guai  doveva  essere,  per  meritare  le  lodi del  Vico.  La  dignità  del  lodatore  si  vendica  per  tal  modo della  indegnità  del  lodato j  e  la  lode  diventa  condaivna.^ Ma  il  Tommaseo,  ho  detto,  è  anche  ingegno  speculativo, e  spesso  è  felice  nell'intravedere  il  vero  di  certe  idee filosofiche  del  Vico.  Ecco  un'acuta  riflessione:  Fólibio  e gli  antichi  deducono  osscì-va^ioni  generali  da*  fottio  U  Mct- chiavelli  trae  consiglif  il  Vico  determina  leggi.  Ma  le  SUE LEGGI  NON  PANNO  FORZA  ALLA  PRATICA,    anzi  egli dice  cìie  l'uomo  dee  nelle  teorie  r attenersi  come  cavallo aìiimosoy  per  poi  nelle  pratiche  cose  correr  di  maggior lena}  Altra  bella  osservazione  è  quando  nota  come  da Platone  egli  traesse  non  l'idea,    la  ispirazione  della sua  storia  ideale.  Il  che  mi  piace  avvertire  col  Tommaseo contro  chi  pretende  rimontare  sino  al  filosofo  ateniese a  ripescarvi  un  antecedente  alla  Scienza  Nuova!  Veris- simo altresì  che  le  due  Scienze  Nuove  paiono  entrambe due  grandi  edifici  secondo  la  medesima  idea  architettati  : *  Tommaseo,  Studi  Critici.  Venezia,  1843  Voi.  I,  pag.  89. 6  questo  avverta  chi  ha  creduto  vedere  nella  seconda di  esse  non  so  che  stravaganze,  follie  o  puerilità.  Con salde  ragioni  poi  contro  parecchi  critici  del  Vico  egli dimostra  come  nelle  opere  di  lui  si  manifesti  potente, vera,  chiara  l'idea  del  progresso;  perchè  se  aUe  cose umane  vide  un  corso  e  ricorso  in  orbita  fissa,  non  disse che  V  orbita  non  si  potesse  più  e  più  sempre  cól  volger de' tempi  allargare^  E  non  meno  della  critica  che riguarda  per  diretto  il  Vico,  preziose  paionmi  anche quelle  undici  appendici  indirizzate  ad  illuminare  il  testo dove  il  filosofo  napoletano  sorge  principal  figura:  dico le  appendici  sopra  lo  Stellini,  il  Grozio,  il  Romagnosi,  il Foscolo,  sul  gius  sacro  e  sul  gius  Romano,  su  le  origini sociali,  su  gli  Sciti,  Illirici,  Slavi,  sul  Niebuhr  ed  altri. Il  Tommaseo  vuol  esser  rammentato  ed  encomiato eziandio  per  un  altro  lavoro  speciale  sul  Diritto  Univer- 1 sale,^  È  un  esame  critico,  al  solito,  assai  condensato e  sparso  di  riflessioni  ingegnose,  d'opportuni  e  fedeli riscontri  e  di  felici  divinazioni  nel  penetrare  le  idee  del filosofo.  Ma  è  pur  d'uopo  confessare  che  se  come  cri- tico nessuno  può  entrargli  innanzi  per  sobrietà  e  giu- stezza di  giudizi,  come  filosofo  non  tutti  sapranno  accet- tarne ogni  sentenza.  Molte  interpretazioni  e  parecchie confutazioni  eh'  ei  move  al  Vico  noi  non  potremmo  acco- gUere:  quella  per  esempio  dove,  accennando  alla  luce metafisica  del  nostro  filosofo,  si  studia  vederci  non  pili che  Tessere  ideale  del  Rosmini,'  e  T  altra  onde  presume che  dal  concetto  della  Trinità  egli  traesse  l' ordinamento delle  facoltà  umane,  e  nel  medesimo  concetto  scorgesse radicarsi  la  metafisica,  la  morale  e  fin  la  giurispruden- •  Op.  cit.,  pag.  125.  fe  anche  del  Tommaseo  quesV  altra  bellissima osseryazionc  :  Dalle  proprie  averUure  il  Vico  dedusse  H  mondo  invecchiato  : ma  ^gìi  medesimo  ci  vieta  di   crederlOf  egli  che  pronunziò:  mundus  enim jaTenescit  adhuc;  interpretazione  luminosa  deUa  sua /rantesa  dottrina  delh* legje  de  ricorsi,  e  risposta  sufficiente  a    lo  accusa  di  negare  al  genere umano  ogni  forza  (T  avatuamenfo.    Dizionario  Estetico»  Voi.  I,  pag.  398. •  ^kudi  Filosofici,  Voi.  II.  Venezia  mdoooxl,  pag.  118  o  segg. l«  Stwli  OrUici,  Voi.  I,  pag.  30. za.*  Sbaglio  grave,  dice,  Taver  negato  la  trasmigrazione I  delle  civiltà  da  popolo  in  popolo  innalzandovi  mura di  bronzo.*  Errore  gravissimo  poi  da  restame  scandalizzati, più  che  uno,  mille  Tommasèi,  gli  par  la  sen- tenza, che  dopo  il  diluvio  gli  uomini  si  disumanas- sero 1  *  E  qui  r  illustre  critico  si  fa  forte  delle  censure ^  del  Lami,  del  Romano  e  del  Finetti  e  di  tutti  gli  opposi- tori del  primo  periodo,  co' quali  dopo  un  secolo  e  mezzo par  ch'ei  si  trovi  in  pieno  accordo.  Il  Tommaseo  non  po- teva penetrare  nelle  dottrine  speculative  del  Vico,  e  da quéste  trarre,  più  che  dai  due  o  tre  passi  d'autori  lettini o  dagli  urli  dell'uomo  bestiale  assordante  l'aria  e  le selve,  nuove  dottrine  e  vere  su  le  origini  dell'  umanità, non  discordanti  oggi  co' risultati  delle  scienze  naturali. Come  si  vede,  con  una  critica  sempre  acuta  nelle sue  osservazioni  tuttoché  non  sempre  vera  ne' suoi  giu- dizi, il  Tommaseo  è  stato  il  primo  fra  noi  ad  espri- merci '1  bisogno  d' interpretare  in  maniera  filosofica  le dottrine  del  nostro  filosofo  ;  ma  non  vi  giugne,    il poteva,  perchè  non  gliel  permettevan    le  esigenze della  fede  tanto  salda  e  vigorosa  nell'  animo  suo,    la filosofia  schiettamente  Kosminiana  nella  quale  è  uso  at- tingere i  principii  filosofici  e  i  criteri  metodici.  Usciamo ora  un'altra  volta  dal  nostro  paese,  e  vediamo  se  nel giro  degli  anni  di  che  parUamo  gli  studi,  i  giudizi  e  la stima  circa  il  nostro  filosofo  sian  venuti  sempreppiù progredendo  anche  presso  altra  letteratura  come  presso di  noi. L'illustre  Renouvier  avrebbe  stimato  manchevole la  sua  storia  della  filosofia  moderna  ove  anch'  egli  non avesse  accennato  all'autore  della  Scienza  Nuova.  11 Vico,  egli  dice  ripetendo  un'aflFermazionedel  Michelet, •  ToMMAsio,  Studi  Filotojiciy  Voi.  cit.,  pag,  129. •  Studi  Gritici,  Voi.  cit.  pag.  78. •  Due  o  tre  pa$9Ì  d*  autori  latini  e  H  troppo  reU^oto  rispetto  di  tutu torta  tradizioni  in  tali  togni  tmarrirono  tale  ingegno.    Vedi  Op.  cit. Voi.  cit.  pag.  8S. del  CDUsin,  del  Lerminier,  dello  JoufiFroy  e  d'altri  fran- cesi, ha  fatto  alla  scienza  una  rivelazione  nuova  creando la  filosofia  della  storia;  talché  dopo  la  morte  de' due martki  suoi  compatrioti  Bruno  e  Campanella,  ei  ci  si presenta  davvero  qual  rivelatore  d'un  mondo  nuovo.* Un'  altra  osservazione,  di  cui  è  bene  prender  nota,  è quella  dov'  egli  afferma  che,  quant'  a  Cartesio,  il  Vico ebbe  pieno  diritto  a  biasimarne  l'incompiutezza  del metodo,  egli  che,  considerando  come  scienze  la  poesia, ^  la  storia  e  la  filologia,  potè  gettar -le  basi  d'un metodo  novello  supremamente  sperimentale,  storico  e comprensivo.  Ma  quali  sono  propriamente  i  principii filosofici  del  Vico?  Ha  egli  una  serie  di  principii  meta- fisici? Il  Renouvier  non  risponde  a  questa  domanda,  e  si tiene  contento  nell'  affermare  solamente  eh'  egli  ama/va la  metafisica  di  Descartes. Sarebbe  questo  il  luogo  di  rammentare  il  Bouchez;  * ma,  fra  tutt'  i  francesi,  questi  è  l' unico  scrittore  che del  Nostro  abbia  parlato  in  guisa  assai  meschina,  tanto che  a  veder  come  lo  cita  e  come  n'  espone  le  idee,  farebbe sospettare  di  non  averlo  letto,  o  che  ne  abbia solamente  discorso  per  sentita  dire.«£  noi  non  avremmo tirato  fuori  il  nome  di  questo  debolissimo  filosofo  della storia  e  tenutone  conto,  se  nel  suo  libro  non  si  vedesse confermata  certa  notizia  della  quale  giova  prender  nota. Citando  un  vecchio  periodico  di  Francia,  il  Bouchez  dice come  le  opere  del  Vico  fossero  quivi  note  già  sino  dai primi  lustri  del  secolo  passato.  I  francesi  dunque  molto probabilmente  non  ignoravano  il  primo  libro  del  Diritto  \ Universale  e,  che  più  monta,  neanche  il  secondo  nel  ' quale  è  racchiusa,  com'  è  noto,  la  sostanza  della  Scienza Ifuova.  La  qual  cosa  abbiam  voluto  qui  avvertire  col fine  di  rinfiancare  vie  piii  la  sentenza  d'alcuni  critici su  l'origine  delle  molte  affinità  fra  alcune  idee  del  Vico, *  RBiroinriBB,Jfaraii««Z  de PhUot.  moderne  ;  Paris  et  Uipsig  1 842  pag.  368. '  BouoHBZ,  Inltrod.  è  la  Scietkce  de  VHiet,  ec.  Paris,  1814. e  quelle  di  certi  filosofi  e  storici  francesi  anteriori  alla rivoluzione,  massime  del  Tm^ot  e  del  Condorcet. Nel  tempo  di  cui  parliamo  (1844)  novella  traduzione comparve  in  Francia  per  opera  dell'  autrice  anonima  del Saggio  sulla  formaeUme  dd  damma  eaftólico.  E  anche qui  e'  è  progresso;  perchè  se  la  traduzione  det Michelet, come  si  disse,  è  una  riduzione  non  molto  fedele  e  man- cante di  critica,  la  traduzione  di  che  discorriamo,  oltre d'esser  propriamente  traduzione,  è  poi  fornita  d'un lungo  lavoro  su  le  opere  e  su  le  dottrine  del  Vico,  pre- gevole soprattutto  per  V  analisi  cui  è  sottoposto  il  pen- siero del  nostro  filosofo.*  L' autore  di  questa  prefazione s' accorge  subito  ov'è  il  nodo  delle  dottrine  e  del  metodo vichiano.  Cotesto  nodo,  evidentemente,  è  nella  distin- zione e  insieme  nella  relazione  tra  il  vero  e  il  certo,  tra la  ragioìie  e  Vautoritcu^  E  innanzi  tutto  osserva  come  la parola  autorità  pel  Vico  voglia  dir  volontà,  coscienza, 1  voce  interiore,  sorgente  di  quel  conoscere  ond' all'uomo non  riesce  additar  le  ragioni  scientifiche  e  universali. Brevemente;  la  coscienza  è  autorità  anzi  la  piìi  grave delle  autorità.  La  ragione  poi  è  facoltà  che  giugno  a dimostrar  la  cosa  scientificamente,  e  quindi  produce  il vero.  E  poiché  tutto  ciò  che  1'  uomo  dimostra  è  fatto da  lui  e  però  ha  natura  finita,  ne  segue  che  il  vero debb'  essere  inferiore  al  certo.  V  è  pertanto  differenza  tra il  vero  metafisico  e  '1  vero  matematico:  questo  è  nostra fattura,  e  quindi  è  vero;  quello,  in  vece,  non  ci  appar- tiene come  nostro  effetto,  e  in  conseguenza  riguardo  a noi  è  solamente  un  certo.  Ora  siccome  conoscere  vuol dire  scomporre  ed  astrarre  per  cavarne  gli  elementi; così  di  Dio  non  potremo  aver  nozione  vera,  ma  certa, stantechè  non  ne  sia  dato  scomporre  ciò  eh'  è  essenzialmente uno,    ritrovar  cause  di  ciò  che  è  causa  per  sé. È  necessario  adunque  un  modo  nuovo  di  conoscere  Dio; *  La  lunga  ed  elaborata  prefazione  a  coi  alludiamo  si  vaole  scrìtta da  un  celebre  storico  firancese  (A.  M.)  amico  della  traduttrice. *  La  Seience  NouveUe,  trad.  etc.,  Paris,  1844,  pag.  ltii. e  però  necessaria  una  nuova  facoltà.  Questa  facoltà  è  ap- punto il  volere,  che  si  rivela  col  mezzo  della  coscienza. La  nozione  di  Dio  quindi  è  un  fatto  di  coscienza  e  di  au- torità, perchè  autorità  e  coscienza  tornano  il  medesimo. Ho  voluto  accennar  brevemente  queste  osservazioni non  solo  a  mostrare  che  la  prefazione  di  cui  parliamo non  è  da  annoverarsi  fra  le  solite  ampolle  messe  in  fronte alle  traduzioni  delle  opere  di  grandi  autori,  ma  a  far Tederò  altresì  come  in  essa  racchiudansi  interpretazioni davvero  ingegnose.  Il  traduttore  poi  avverte  la  confusione fatta  dal  Vico  tra  Zenone  lo  stoico  al  quale  è attribuita  la  dottrina  del  punto  metafisico,  e  quel  Ze-I none  à^Elea  che  riguardava  i  corpi  siccome  aggregati d'infinito  numero  d^ atomi  o  di  punti.  Nota  essere  esclu- rivo  del  Vico  quel  concetto  per  cui  si  considera  il  corpo siccome  |?wn^o  metaifisico  esteso.  Osserva  (e  qui  prego  gli altri  critici  H  tener  conto  di  tale  osservazione)  che  il Vico  non  volle    poteva  respinger  l' idea  del  progresso, attesoché  avrebbe  contraddetto  alla  propria  metafisica: le$  cercle4  doni  il  entoure  Vhutnanité  doit  nécessairement marcher  en  avant.^  La  qual  sentenza,  che  cioè  nel  padre della  scienza  storica  rifulga  chiarissima,  chi  sappia  di- scemerla,  l'idea  del  progresso,  è  sostenuta  in  modo splendido  da  un  altro  francese  vivente,  dal  De  Ferron come  appresso  vedremo. Fra  le  idee  originali  del  Vico  il  traduttore  pone anche  questa  :  V  uniformità  originaria  di  civiltà  appo differenti  popoli  più  come  eftetto  della  comune  natura  e dell'  unità  di  fine  che  ne  presiede  allo  svolgimento,  anzi che  come  resultato  di  comunicazioni  dirette  avvenute fira  popoli  diversi.'  Riferisce  al  Vico  la  scoperta  de'  tipi fantastici  di  differenti  classi  d'uomini  contro  chi  non vi  sapeva  scorgere  altro  fiiorchè  personificazione  di  forze naturali.  À  lui  medesimo  riferisce  l' aver  dimostrato  sto- ricamente il  processo  delle  tre  forme  politiche  generali, [ La  Science  Nouvdle,  pag.  OVli. aristocrazia,  democrazia,  monarchia  ;  V  aver  avuto  co- scienza come    T  eloquio    la  civiltà  latina  fossero provenute  di  Grecia;  e,  anziché  divinato  (come  vorreb- bero alcuni  tedeschi),  aver  egli  dimostrato  in  gran  parte i  suoi  principii  storici,    solamente  dato  impulso  alla presente  filosofia  della  storia,  ma  avere  concorso  pro- priamente a  svolgerla,  a  costituirla:  al  qual  proposito notiamo  come  il  traduttore  giustamente  rivendichi  al Vico  il  merito  attribuito  a  Champollion,  d' aver  inter- I  pretato  e  svolto  le  conseguenze  del  celebre  passo  di  San Clemente  Alessandrino.  Fa  vedere  poi  come  in  pili  cose ei  mirasse  più  giusto  e  più  sicuro  dei  suoi  successori quant'  alla  storia  del  Diritto;  per  esempio,  su  la  tanto vitale  distinzione  fra  popolo  e  plebe,  non  veduta  da !  Livio,  e  comprovata  dopo  il  Vico  dal  Beaufort  e  da Niebuhr.  Mostra  quindi  essere  assolutamente  nuovo  il modo  con  che  V  autore  della  Scienza  Nuova  considera e  risolve  la  questione  circa  l'origine  delle  XII  Tavole; nel  che  lodiamo  la  forza  e  la  maniera  ingegnosa  ond' anch'  egli  sa  difenderne  la  verità.  Verissimo,  final- mente, quel  giudizio  su  la  dottrina  risguardante  Omero e  i  poemi  omerici,  accorgendosi  come  il  Vico  non  in- tendesse con  tal  dottrina  negare  un  Omero  personale  che 'impresse  forma  esteriore  ai  suddetti  poemi,  ma  negare bensì,  nel  che  egli  ebbe  ed  ha  ragione,  un  Omero  che fosse  creatore  de'  medesimi,  come  vedremo  a  suo  luogo. Tali  sono  i  pregi  di  quest'assennato  lavoro  critico che  va  innanzi  alla  seconda  traduzione  della  Scienza Nuova.  Ma  non  vi  mancano  difetti  ;  e  ne  cito  qualche esempio.  Come  non  iscorger  l' attinenza  fra  il  vero  e il  certo  del  Vico?  Come  non  veder  che  1'  autorità  altro non  è  che  la  stessa  ragione  considerata  quale  obbietto che  propone    a    medesima,  essendo  due  termini  co- testi che,  come  altrove  diremo,  van  soggetti  anch'essi alla  legge  di  conversione?  Se  questo  avesse  inteso  il traduttore,  non  avrebbe  affermato  che  dell'  assoluto  non si  possa  aver  nozione,  ma  sentimento.  Nella  Ragione  e jìeW Autorità  del  Vico  egli  forse  ha  voluto  scorgere  qual- cosa della  Ragion  pura  e  della  Ragion  pratica  del  Kant,  ' G  certo  non  s' è  intieramente  ingannato.  Ma  non  s' in- canna egli  quando  si  piace  di  scendere  a  conclusioni  cosi immediate  col  Criticismo?  Che  poi  tanto  in  metafisica quanto  in  geometria  il  punto  sìsl principio  d^ estensione; che  però  la  matematica,  sia  come  dire,  copia  materiale atta  a  farci  conoscere  il  tipo  immateriale  eh' è  appunto  la  r»i  avverato  dopo  la  pubUicaiione  di  tale  storia,  aTcndo  questo scrittore  poeto  il  gran  princìpio  per  cui  la  storia  è  aommesea  {dVim- pero  di  leggi  univeraali.  Ma  non  è  questa  per  1*  appunto  la  grande  sco- perta della  Scienza  Nuova  almeno  quant*al  suo  principio?  E  tutte  le leggi  su  la  costanza  de*  fatti  sociali  trovate  dal  Buckle  e  più  dal  Que- tulut,  non  sono  forse  altrettante  applicazioni  sociali  di  quel  princìpio? Ma  prima  di  procedere  innanzi  giova  rispondere  ad mia  difficoltà  non  diffìcile,  a  nascer  nella  mente  di  qualche pedante.  Si  domanderà:  perchè  insieme  co' puri  cri- tici ed  eruditi  in  questo  secondo  periodo  avete  messo  filo- sofi di  gran  nome?  La  risposta  è  facile  e  chiara:  primo, perchè  tale  è  l'ordine  cronologico  di  cotesti  filosofi; secondo,  perchè  costoro  han  parlato  o  accennato  alle dottrine  del  Vico,  adoperando  una  critica  più  presto erudita  e  storica  che  filosofica.  Qui  non  potevamo disporre  e  coordinare  gli  autori  in  ragione  delle  opere scritte  e  per  gli  studi  eh'  essi  han  coltivato  e  per  la forma  del  loro  ingegno,  bensì  pel  valore  della  critica ch'essi  hanno  esercitato  su  le  dottrine  del  nostro  filo- sofo. Nessuno  ha  dato  segno  d'elevarsi  ai  veri  prin- dpii  di  queste  dottrine,  non  perchè  non  sapessero,  ma sia  perchè  alcuni  di  essi  non  ebbero  tal  fine  parlando del  Vico,  sia  perchè  non  han  creduto  ad  una  filosofia  ' di  quest'autore.  Nondimeno  a  contar  dai  primi  fino agli  ultimi  scrittori  appartenenti  a  questo  secondo  pe- riodo, dallo  Jannelli,  per  esempio,  al  secondo  traduttore francese  della  Sdenta  Nuova,  è  evidente  un  progresso mercè  cui  la  critica  sul  nostro  filosofo,  da  erudita  e  sto-  \ rica  e  filologica,  viene  assumendo  gradatamente  valore sempre  più  filosofico;  di  modo  che  T ordine  logico,  in questo  nostro  saggio  di  storia  sulla  Scienza  Nuova, risponde  perfettamente  all'  ordine  cronologico. La  critica  nel  senso  d' interpretazione  filosofica  sarà quind'  innanzi  il  carattere  per  cui  si  distingueranno  gli autori  a' quali  verremo  accennando  nel  seguente  capitolo. periodo  degl'  interpreti  filosofi. Il  terzo  periodo  degli  studi  sul  filosofo  napoletano, se  è  vero  che  ha  da  risolversi  logicamente,  come  s'è detto,  in  una  critica  filosofica,  doveva  esser  dischiuso propriamente  da'  filosofi  come  quelli  i  quali,  più  che  fer- marsi alle  applicazioni,  costumano  anzi  risalire  ai  prin- cipii  e  alle  ragioni  di  esse.  Or  le  ragioni  e  i  principi! (  della  Scienza  Nuova  giacciono  sparsi,  quasi  germi  fe- condi, nelle  opere  latine  del  nostro  filosofo  ;  e  a  queste vediamo  accennare  più  spesso,  e  ad  esse  volgersi  più che  ad  altro  la  mente  degli  scrittori  che  noi  verremo adunando  ed  esaminando  in  questo  terzo  periodo. Primo  di  tutti,  infatti,  al  Libro  Metafisico  ricorre r  illustre  Terenzio  Mamiani  ;  e,  trovatovi  il  criterio  del vero  e  del  fatto  che  è  come  il  nodo  vitale  di  tutte  le teoriche  vichiane,  nel  Binnovamento  dell'  antica  filosofia I  italiana  viene  applicandolo  a  quella  dottrina  ch'ei  disse della  hvtuijsione.  Sennonché,  un  criterio  qual  è  questo di  valore  essenzialmente  universale,  come  vedremo,  un criterio  che  nelle  più  elevate  questioni  di  metafisica assume  qualità  e  forma  di  principio;  nelle  mani  del  filosofo pesarese  invece  piglia  natura  e  proporzioni,  per cosi  dire,  di  norma  psicologica,  o  ideologica  che  sia: né  quindi  ebbe  torto  il  Rosmini  se  in  cosiffatto  innesto operato  dal  Mamiani  vide  annidarsi  difetti  non  pochi, né  lievi  magagne,  confessate  oggi  tacitamente  e  nobil- mente dall'  autore  delle  Confessioni  d*  un  metafisico. Vedremo  a  suo  luogo  se  quando  il  Vico  propose  quel criterio,  non  intendesse    punto    poco  uscir  da'  termini della  Intuizione,  come  allora  pensavasi  '1  Ma- miani.* Il  quale,  ove  oggi  tornasse  a  parlarne,  certo ne  discorrerebbe  in  ben  altri  sensi  e  co' riguardi  di  buon platonico,  più  che  di  filosofo  naturale  seguace  della filosofia  del  comun  senso,  al  modo  che  con    acceso entusiasmo  prese  a  fare  trentacinque  anni  addietro.*  Del •  Vedi  Del  Rinnovamento  della  FU.  antica  Itah,  Parijri.  1884,  pag.  474. *  Difatto  nelle  Con/esnoni  (voi.  I,  pag.  597)  il  ManiiaDi  designa  il filosofo  napoletano  come  il  vero  e  ardito  rinnovatore  della  teorica  delle idee,  ma  non  dice  come,  non  dice  perchè,  e  non  giustifica  in  alcun  luogo ed  in  vernn  modo  tale  affermazione.    Teramente  il  poterà,  stantechè rimanente  il  merito  a  cui  egli  può  e  dee  pretendere panni  questo.  Primo  d'  ogni  altro  ei  richiamò  alla mente  degl'italiani  non  pur  la  dottrina  su  l'anzidetto criterio,  ma  eziandio  alcune  teorie  cosmologiche  sparse nel  libro  De  Antiquissima  Itàlorum  sapientia.  Tale  si  è quella  de'  punti  metafisici  come  generatori  di  solidi,  in quanto  ci  significano  una  forza  unica  che  in  ciascun corpo  meditiamo  sotto  la  concezione  d'  un  punto:  tale queir  altra  su  la  continuità  che  questa  forza  infonde  a tutte  cose:  *  tale  anco  la  idea  del  conato  motore  iden- tico per  tutto:  tale  il  concetto  della  incomunicabilità del  moto  onde  ogni  particola  materiale  si  può  dir  che possieda  in  proprio  il  principio  motivo  già  ricevuto  da tutto  il  subbietto,  talché  il  moto  sia  da  ritenere  per  al tutto  spontaneo:'  tale,  finalmente,  l'idea  della  impos- sibilità del  vuoto  assoluto,  e  1'  altra  che  il  divisibile accusi  r  indivisibile,  l' indefinito  e  l' immutabile  in  seno alle  fenomeniche  e  divise  realtà.' Ognun  vede  quant'il  Mumiani  del  Rinnovamento cogliesse  giusto  in  queste  idee  cosmologiche  del  Vico. Dopo  trenta  e  piii  anni  però  egli  è  ritornato  a  parlarne, ma  troppe  cose  nella  nuova  cosmologia  scordandosi  della vecchia.  Ristringendoci  infatti,  per  ora,  al  concetto  isto- rico,  se  dell'  antico  maestro  invocato  sei  lustri  innanzi ei  pur  si  rammenta,  se  ne  rammenta  sol  per  addolorarsi anch'  egli  che  il  Vico  fosse  stato  l' autore  della  dottrina ^  Corsi  e  ricorsi  storici  (malaugurata  dottrina!)    sa darsi  pace  pensando  come  mai  nella  mente  di  quel sommo  tal  gravissimo  errore  fosse  potuto  capire.  Al  con- trario oggi  egli  stima  d'aver  gettato  le  basi  alla  filosofia storica,  mercè  l' idea  dell'  finità  organica  del  mondo isterico.  Ma,  diciamolo  con  buona  pace   dell'illustre U  sua  teorica   neopIatoDìca  delle  idee  sia  diametralmente  opposta  a quella  che,  come  redremo,  scaturisce  dall*  insieme  delle  dottrine  richiane. *  Dd  Rinnovamento^  ec  pai|^.  297. nomo,  cotesto  a  noi  sembra  ed  è  un  concetto  assolutamente  vìchiano.  Per  tre  fattori,  infatti,  dice  il  Mamiani, il  mondo  de' popoli  forma  unità  organica;  e  sono  questi: 1*  natura  comune  e  perpetua  negli  uomini;  2  È  una  relazione *  Vedi  negli  Atti  ddV  Accademia  di  Torino,  Maggio,  1866. celesta,  tra  Kant  e  Vico,  della  quale  giova  tejier  conto;  e abbiam  voluto  farlo  citando  le  parole  del  valoroso  Bertini. Augusto  Conti,  pensatore  profondamente  cattolico e  altrettanto  onesto  e  sincero  nelle  sue  convinzioni,  ha voluto  consacrare  intera  una  lezione  alle  dottrine  del I  nostro  filosofo  nel  suo  Specchio  della  storia  generale  della filosofia.  Chi  conosce  i  principi!  filosofici  dell'  illustre  ed elegante  scrittore  toscano  saprà  indovinar  subito  quale esposizione  egli  faccia  del  Vico,  e  sospettare  in  che  senso ne  interpreti  le  dottrine.  Può  dirsi  eh'  e'  sia  il  rovescio degli  hegeliani;  perchè  si  studia  di  tirar  tutto  dalla sua  parte  l' A.  della  Scienza  Nuova,  segnalandolo  naturalmente com'  uno  de'  tanti  anelli  della  sua  filosofia  perenne. Io  non  istarò  qui  a  negare  ne  che  il  Vico  sia cattolico,    che  la  critica  del  prof,  pisano  sia  fatta male.  Sarà  anzi  critica  savia  e  coerente:  ma  è  tutto il  Vico  della  prima  maniera  quello  eh'  ei  ci  dà,  perocché niente  vi  sappia  discemere  che  non  si  ritrovi  più  o men  palesemente  in  Agostino,  in  Tommaso,  in  Anselmo e  simili.  Però  nel  Vico  nulla  ci  é  di  nuovo,  nel  senso del  filosofo  samminiatese,  salvo  che  il  concetto  d'una filosofia  civile.    potrebb'  esser  diversamente,  ammessa la  maniera  con  che  suol  procedere  in  tale  esposizione  cri- tica appoggiandosi  per  lo  pili  in  certe  aflFermazioni  gene- rali e  duttilissime  del  nostro  filosofo,  qual  è,  per  esempio, questa:  Dio,  com'è  U  principio  ddV essere,  così  è  anche del  conoscere.  Quante  mai  conseguenze  non  si  potreb- bero far  rampollare  da  cosifiatto  principio  !  Un  giobertiano,  per  esempio,  vi  mostrerebbe  com'  ei  si  sgomitoli tutto  nelle  note  formolo  e  cicli  creativi  e  concrea- tivi assoluti  e  relativi  di  cui  al  solito  egli  ha  piena  la bocca;  dovechè  un  hegeliano  non  mancherebbe  darvi pruova  di  tal  destrezza,  da  sciorinarvi  sotto  gli  occhi a  fil  di  logica  tutta  la  rete  delle  sue  leggi  dialettiche. Nel  Vico  c'è  parecchie  di  cpsi  fatte  sentenze;    al Conti  poteva  riuscir  difficile  tirarle  alla  sua  filosofia comprensiva.  Ma  egli  dice  benissimo  dove  osserva  che  i prìncipii  del  Vico,  anzi  che  condurre  al  panteismo,  lo combattono;  e  in  ciò  noi  conyeniamo  pienamente.  Or non  sarebbe  stato  mestieri  dimostrar  come  non  vi  con- dncano  e  conte  lo  possan  combattere?  Consentiamo altresì  col  dotto  scrittore  in  tutte  quelle  saggio  rifles- sioni eh' e' sa  fare  su  l'indole  comprensiva  e  storica del  metodo  vichiano.  Ma  non  sapremmo  concedergli che  la  dottrina  dei  corsi  e  ricorsi  apparisca  solo  nella seconda  Scienza  Nuova.  È  quistione  di  fatto  eh'  ei  potrà risolvere  col  ridar  un'  occhiata  al  sommario  della 1*  Scienza  Nuova.  Farà  male  anche  a  lui  cotesta  dibat- tuta e  combattuta  dottrina;  ed  è  forse  per  questo  ch'egli procaccia  di  trovar  modo  a  scusarne  l'autore:  ma,  più che  scusarlo,  avrebbe  dovuto  e  potuto  difenderlo.  Crede anch' egli  poi,  erroneamente,  come  il  Ferrari,  che  il Vico  s'ispirasse  alla  teorica  delle  monadi  di  Leibnitz;* ma  contro  il  Ferrari  mostra,  e  fa  benissimo,  quanto  il Vico  fosse  lungi  dal  confonder  la  causalità  con  l' iden-  ( tità  ideale.  Finalmente  osserviamo  che  i  principii  ond'  il Vico  resiste  al  Cartesianismo  e  che  il  Conti  riduce  a  tre, sono  da  lui  debitamente  interpretati,  meno  T  ultimo poco  fa  menzionato;  che  Dio,  cioè,  essendo  principio dell'  essere,  è  anche  principio  del  conoscere.  Accettando questa  sentenza  accetta  anco  l' altra  tanto  familiare  al Vico,  per  cui  la  metafisica,  la  matematica  e  l'etica  siano da  Dio.'  Anche  cotesta  è  afi'ermazione  generale,  onde nnlla  può  concluderai  finché  non  si  giùnga  a  mostrare come  precisamente  accada  che  quelle  scienze  rampol- lino da  Dio.  Per  ciò  medesimo  accoglie  e  ripete  quel- r  altro  pensiero  che  il  sommo  della  certezza  risegga nella  metafisica;  contraddicendo  cosi  a  ciò  eh'  egli  stesso ana  pagina  innanzi  aveva  accettato  dal  Vico  :  la  certezza somma  potersi  l'aggiugnere  unicamente  con  le matematiche.    Bisogna  pur  confessare  che  con  la  sua critica  il  Conti  ha  lasciato  il  Vico  dove  appunto  l' avean *  A.  CoNTf,  Storia  della  Filotofich  Firenze  1864,  Lez.  XX,pag.  405. '  Id«m,  eod.  pag.  420. condotto,  per  esempio,  il  Duni,  Tlannelli,  il  Tommaseo, r Amari,  il  Rosmini  e  tutti  gl'interpreti  filosofi  catto- lici. E  noi  non  sapremmo  fargliene  carico:  con  la  sua maniera  di  filosofare  non  poteva  far  diversamente. Anche  l'illustre  Franchi,  scettico  ingegnoso,  one- stissimo, sincero,  e  critico  furibondo,  pare  talora  siasi data  la  pena  di  leggere  qualche  libro  del  Vico;  e  ne  parla I  in  due  luoghi  neUe  sue  Letture  sulla  storia  della  filosofia moderna.  È  noto  come  il  Vico  più  volte  accenni  a  Ba- cone, nella  Scienza  Nuova,  nel  Libro  Metafisico,  nel- ^  r  Orojsiotie  sugli  studi,  e  fin  nelle  sue  Vindicue  contro gli  Atti  degli  eruditi  di  Lipsia.  Lo  rammenta  sempre con  parole  amorose  e  riverenti,  annoverandolo,  com'è noto,  fra'  suoi  maestri.  Il  valoroso  Ausonio  reputa  esa- gerati cotesti  elogi,  massime,  die'  egli,  quando  si  pensi a  Gralileo.  Non  possiamo  qui  intrattenerci  sul  valore speculativo  di  Bacone:  il  divario  e  le  somiglianze  fra  lui e  il  nostro  Galilei  accennammo  altrove.*  Ma  gli  elogi  del Vico  al  filosofo  che  primo  ebbe  coscienza  della  teoria sperimentale  (dico  della  teoria)  non  dovrebbero  parere esagerati  a  nessuno:  il  Franchi  anzi  avrebbe  dovuto chiamarsene  contento,  se  avesse  badato  all'indirizzo  sto- rico e  però  sperimentale  cui  è  tutta  volta  la  Scienza Nuova.    qui  giova  gran  fatto  invocar  l'autorità  di Cartesio,  dicendo  ch'ei  fece  appena  menzione  di  Ba- cone; del  Newton  che  noi  nominò  mai;  del  Locke  che lo  citò  solo  una  volta,  non  come  filosofo,  bensì  come storico.  Questa  anzi  è  una  ragione  di  più  per  apprez- zare gli  elogi  che  ne  fa  il  Vico.  Qual  è  il  motivo  princi- pale onde  r  autore  della  Scienza  Nuova  encomia  tanto spesso  r  autore  del  Nuovo  Organo?  Questo,  parmi;  l'esi- genza in  Bacone  a  dimostrar  con  esperimenti  la  verità già  concepita,  e  quasi  preveduta  col  pensiero.*  La  ragione dunque  ond'  al  Vico  piaceva  Bacone,  ci  mostra com'  egli  sapesse  intendere  e  pregiare  la  mente  del  filo- *  Vedi  la  nostra  memorìa  su  Galileo.  Bologna.  1868. *  Vico,  Vindìeke^  nve  NoUb  in  Ada  erudiUìrvm  lAptitnna,  §  9. sofo  inglese.  E  dico  intendere  e  pregiare,  perciocché -egli  non  iscorgeva  nel  Nìmvo  Organo  quel  rachitico sperimentalismo  che  ci  san  vedere  i  positivisti,  e  per  cui solamente  e  con  tanto  calore  costoro  invocano  a  maestro il  conte  di  Sant'Alban.  Di  che  proviene  poi  un'altra  ri- flessione ;  ed  è  che  dalla  citazione  del  Vico  testé  riferita è  manifesto,  come  gli  sperimenti  non  sieno  la  sorgiva, bensì  la  riproduzione,  la  conferma  di  ciò  che  in  qualche  ' maniera  si  è  innanzi  concepito  ;  e  per  cui  i  diritti  dello spiritò  restano  salvi  di  fronte  a  qualsiasi  forma  d'empirismo. D'altra  parte,  poiché  senza  sperimenti  ciò  che  s'è speculato  riesce  al  tutto  sterile  e  vuoto,  ne  segue  che  non senza  buone  ragioni  nella  Scienza  Nuova  il  metodo  di iilosofare  del  Nuovo  Organo  è  detto  essere  il  metodo più  accertato.  Avea  dunque  torto  il  Vico  nel  profondere •encomii  al  Gran  Cancelliere?  Esagerazione  é  il  dire, nell'  Autobiografia,  essere  stata  grande  fortuna  per  lui aver  avuto  notizia  del  libro  del  Signor  di  Verolamio? Ma  e'  é  di  pili.  Il  Franchi  reputa  Bacone  padre  di  quella storia  che  l' autore  del  nuovo  Organo  disse  letteraria,  e senza  cui  la  storia  del  mondo  pare  vagli  come  la  statua* di  PoUfemo  priva  dell'  occhio.  Or  come  va  che  l' acutis- simo critico  non  s' è  accorto  esser  la  Scienza  Nuova  pre- cisamente cotest'  occhio  dato  dal  Vico  al  Polifemo  di Bacone?  E  non  é  ella  cotesta  un'altra  relazione  fra' due filosofi?  E  non  è  in  questa  relazione  appunto  il  motivo degli  encomii  esagerati?    Il  Franchi  parla  del  Vico anche  a  proposito  del  Cogito  di  Cartesio.  È  noto  come l' autore  della  Scieìiea  Nuova,  ragionando  di  questo  cri- terio, facesse  menzione  altresì  del  detto  di  Sosia:  quum cogito,  equidem  certe  idem  sum  qui  semper  fui.  Ne  parla €ome  fatto  inconcusso  inverso  a  cui  le  lance  dello  Scet- ticismo, per  acutissime  che  paiano,  rimangono  spuntate appunto  perchè  il  dubbio,  essendo  anche  pensiero  e quindi  importando  identità  personale,  racchiude  certezza. Il  Franchi  domanda  (e  nel  domandare,    segno di  stupire  in  che  maniei'a  la  penna  d'un  Vico  abbia potuto  scrivere  tali  enormezzel):  che  cosa  mai  ci  ha che  vedere  il  motto  volgare  di  Plauto  col  principio filosofico  di  Cartesio?  Ma,  buonissimo  e  valoroso  Au- sonio, trattasi  per  T  appunto  di  questo  I  La  posizione Cartesiana  è  ella  davvero  un  principio,  o  no?  È  egli un  vero,  o  non  piuttosto  un  certo? Tra  i  filosofi  vi  è  anche  il  Mazzarella,  che  in  que- st'  nltim'  anni  ha  parlato  del  Vico  nella  sua  Storia della  Critica,  e  ne  ha  considerato  l'ingegno  critico  in relazione  alla  critica  anteriore  e  posteriore  all'autore della  Scienza  Nuova.  Con  la  solita  chiarezza  e  sempli- cità e  dirittura  di  pensiero  egli  ha  saputo  mostrar  che cosa  rappresenti  il  filosofo  di  Napoli  nella  Storia  della Critica  :  !•  il  disprezzo  della  critica  meramente  erudita: 2 zioni  poco  fa  rammentato,  niun  altro  fra  noi  ha  parlato  del  Diritto   Uni- vermle^  tranne  roi:rregio   prof.  Luchini  nella  sua  Critica  della  penalità^ condotta  secondo  i  principii  del  filosofo  napoletano.  Egli  ha  messo  a  ri- scontro ia  dottrina  del  Nostro  con  le  teoriche  di  Kant,  del  Bentham,  del Romagnosi,  del  Rossi  e  della  Scuola  toscana,  e  se  ne  dichiara  seguace. Vedremo  nella  «Socto^ofTtd  s'egli  siasi  apposto  nello  mterpretar  la  teorica della  penalità  dell*  autore  del  Diritto  Univtrtale, anteriori.  Di  fatto,  porre  a  fondamento  della  società  un doppio  bisogno  materiale  e  morale,  eh' è  dire  l'istinto  al bene  essenzialmente  morale  e  all'utile  tolto  nel  significato di  equo-buono;  dimostrar  Funo  anteriore  logicamente all'  altro  e  questo  mostrar  co'  fatti  anteriore  a  quello per  sola  ragion  cronologica;  trame  quindi  il  principio giuridico  ed  etico  d' una  doppia  società  (soci^as  veri  e sodetas  (squi-boni)  ;  far  consistere  la  natura  d'entrambe in  uno  scambio  di  beni  materiali  e  morali  fra  gì'  indi- vidui; porre  il  concetto  di  giustizia  come  proporzione onde  questi  beni  vonn' esser  distribuiti,  ri  che  quan- d' anco  non  esistesse  un  bene  di  genere  morale  ma  solo  * beni  materiali  ci  avrebbe  a  essere  ciò  nullamanco  una misura  secondo  la  quale  siffatti  beni  devano  andar  ripartiti, e  quindi  la  necessità  del  medesimo  concetto  di giustizia  anche  nelle  attinenze  puramente  materiali  fra gli  uomini:  presentare  siffattamente  la  scienza  del  diritto, dice  il  Franck,  vuol  dire  creare  addirittiu*a  la  filo-  ' sofia  delie  relimoni  civili  e  sociali,  la  benintesa  Sociologia. Due  sono  perciò  le  regole  fondamentali  dell'umana condotta  che  scaturiscono  da'principii  del  Vico:  ope- rare di  buona  fede  rispettando  la  verità  in  tutto,  ed esser  utile  ai  propri  simili.    ("onvien  confessare,  di- ciamolo di  passata,  che  ove  il  Franck  avesse  tenuto conto  principalmente  di  questi  criterii,  non  avrebbe speso  molte  parole  a  biasimare  il  Vico  a  proposito  del- l'esagerato  concetto  che  questi  ebbe  intorno  alla  carità, la  quale  talora,  com'è  noto,  egli  confonde  con  la  giustizia. Altro  pregio  insigne  di  questo  scrittore  è  l'aver  sa- puto cogliere  i  veri  principii  del  Diritto  punitivo  del  ' nostro  filosofo,  mostrando  com'  egli,  col  tener  d' occhio nella  sua  dottrina  non  pure  il  colpevole  ma  anche  i diritti  e  gì'  interessi  della  società,  compia  nel  medesimo tempo  le  due  opposte  teoriche  penali;  quella,  cioè,  dei sistematici  platoneggianti  che  nel  comminar  la  pena mirano  soltanto  all'  ammenda  del  colpevole,  e  l' altra degli  ntilitarii  e  positivisti  che  della  parte  morale  non  ^ sanno  tener  conto,  ne  punto,  ne  poco.  Ma  sopra  tale argomento  ci  rifaremo  altrove  di  proposito.  Seguitando intanto,  parmi  che  il  pregio  massimo  della  crìtica  di questo  scrittore  stia  nel  modo  col  quale  considera  i  principiì  delia  politica;  prìncipii  che,  quantunque  nello stato  di  germe,  possiamo  rintracciare  nel  Diritto  Um- versale.  La  politica  del  Vico,  egli  osserva  giustamente, è  tutta  fondata  sul  Diritto,  ma  in  armonia  con  la  storia. Sentenza  verissima  e  feconda,  che  il  Franck  avrebbe dovuto  rifletter  meglio  dove  censura  il  Nostro  per  al- cune applicazioni  eh'  ei  venne  facendo  alla  storia.  Laddove il  Vico,  egli  dice,  s' accinge  ad  applicare  il  metodo allo  studio  del  Diritto,  urta  evidentemente  ad  un doppio  scoglio  ;  da  una  parte,  quand'  egli  chiede  soc- corso alla  sola  ragione,  risica  di  confondere  e  spesso confonde  il  dominio  della  giurisprudenza  con  quello della  metafisica;  dall'altra  poi,  quando  chiede  aiuto alla  storia,  altro  non  fa  che  aggirarsi  in  mezzo  alle istituzioni  e  ai  destini  del  popolo  romano,  quasiché  la storia  di  questo  popolo  fosse  la  storia  universale.  In altre  parole  il  Franck  dice  così  :  il  Vico  da  una  parte , svapora  nell'a  priorismo  e    nelle  astrazioni;  mentre poi  dall'  altra  intoppa  nell'  empirismo. Il  Franck  dice  benissimo.  Nel  filosofo  napoletano questa  doppia  tendenza  è  manifesta.  Ma  anziché  difetto cotesto,  perché  non  dirlo  pregio?  Non  é  egli  stesso,  in- fatti, che  non  rifinisce  d'incelare  il  metodo  vichiano appunto  perché  consiste  nel  connubio  della  filosofia  con la  filologia,  della  metafisica  con  la  giurisprudenza,  della ragione  con  l'autorità?  Or  l'esigenza  d'un  doppio  organo, d' un  doppio  strumento  nel  metodo,  non  é  la  condizione legittima,  e  propriamente  la  parte  vitale  d' una dottrina,  doveché  gli  errori  d' appUcazione  hanno  valore Affatto  secondario?  Il  non  aver  poi  riflettuto  a  questo ha  fatto    che  il  Franck  giugnesse  ad  una  conseguenza non  vera,  dicendo  che  il  Montesquieu,  quant'al  metodo, vinca  e  superi  il  filosofo  italiano.  Paragoni,  somiglianze, analogie,   riscontri   fra  questi  due  scrittori  non  sono possibili.  Montesquieu  non  ebbe  neanche  sentore  àeV  n metodo  vichiano;  ed  ecco  perchè  l'opera  su  lo  Spirito ddle  leggi  non  è  una  filosofia  della  storia,  non  è  la  Scienza Nuova,    quindi  credo  che  lo  scrittore  francese  siasi ispirato    punto    poco  neir  italiano,  come  inchine- rebbero a  supporre  il  Lerminier,  il  Carraignani,  l'Amari ed  altri.  Il  senso  delle  storicità,  come  primo  fra  tutti osservò  il  Ferrari,  manca  affatto  nel  Montesquieu;  e manca  in  lui,  come  tutti  oggimai  ritengono,  il  compi- mento razionale  filosofico;  vi  mancano  insomma  i  principii,  0,  per  dir  la  parola  che  usano  gli  stessi  Francesi a  tal  proposito,  vi  manca  il  carattere  détta  raziofialità.^j L' ultimo  libro  nel  quale  si  parli  cou  serietà  scien- tifica del  nostro  filosofo,  è  quello  del  De  Ferron,  inge- gnoso e  abilissimo  scrittore.  Nessun  francese  meglio    1 lui  ha  saputo  cogliere  il  significato  razionale  della  Scienza  I Nuova,  comprenderne  il  metodo  isterico,  e  pome  l'autora in  quel  seggio  che  gli  spetta  fra  i  pensatori  dell'  evo moderno.   Tracciata  la  storia  dell'idea  del  progresso,^' egli  entra  a  discorrer  su  la  scienza  de'  fatti  storici qual'  era  concepita  prima  del  Vico,  sul  Diritto  Romana rispetto  alle  dottrine  di  lui,  su  la  Scienza  Nuova  di fronte  alla  critica  moderna,  e  con  erudizione  eletta, acconcia,  sobria  e  non  affollata,  prende  a  trattare  la '  Il  Canuignani  dice  benissimo  dove  affernia  che  il  metodo  del  Mon-  ) tesqaien  rassomiglia  al  microscopio,  in  mentre  che  quello  del  Vico  rende imagine  del  telescopio.  (Storia  della  FU,  del  Diritto^  lib.  III.)  Che  poi  il difetto  di  razionalità  costituisca  la  parte  debole  deiropora  del  filosofa francese,  è  cosa  ormai  detta  e  ridetta  e  provata  fino  dal  secolo  passato, e  confermata  sempreppifi  dai  moderni.  Non  potendo  trattenerci  in  questi particolari,  rimandiamo  i  lettori  al  giudizio  che  in  proposito  danno  i seguenti  scrittori,  e  che  torna  conforme  al  nostro  espresso  poco  fa:  Duxi, Saggio  mila    Giuritpr.   univ.,  pag.  57.    FlLAKOlRRI,  Se.  della  Legialaz.^ lotrod.    MaCKINTOSH,  Vige,  nur  Vétude  du  Droit  de  la  nature,  ec.  pag.  22,-t —  RoTTBSKAg,   Emil,  1.  V.    Fra  i  moderni   poi  cons.   Lebminirr,   Biat,^ ginér,   oc,   pag.   1 75.    Barkt,   Hiwf.  dea  idéen  morale»  et  politiquea  en France  en  XVI JI  Siede.    Jakrt,  Hiat.  ec.  yol.  II,  pag.  516.    DaFAO,^; De  la  méth.  d*olaervation  aux  aciencea   mor.  et  poi.,,   pag.   860,  nota  XL. Qneit*  ultimo  anzi  dice  mancare  affatto  nel  Montesquìon  una  teorica. quistione  su  Tetà  dell'oro,  e  l'altra  su  T orìgine  e  sul valore  de'  poemi  Omerici.  Il  buon  senso  del  De  Ferron nel  saper  rilevare  in  siffatte  quistioni  il  merito  del  no- stro filosofo  a  me  sembra  davvero  mirabile.  Con  dirit- tura di  giudicio  intende  la  relazione  fra  il  diritto  civile e  '1  diritto  filosofico  ;  e  con  tal  chiave  nelle  mani  riesce ad  interpretar  debitamente  la  storia  ideale  che  l' autore della  Scienza  Nuova  seppe  cogliere  nello  svolgimento  del gius  romano.  Uno  per  lui  è  il  sistema  del  Vico;  onde  le due  Scienze  Nuove  non  sono  da  riguardarsi  altrimenti che  come  detix  rédadions  éCun  ménte  sujet:  al  che  do- vrebbe por  mente  il  nostro  Cantoni.  Ritiene  egli  pure che  lo  Champollion  non  discoprisse,  bensì  confermasse pienamente  la  dottrina  del  Vico  su  la  storia  della  scrit- tura, tale  essendo  infatti  la  triplice  scrittura  egiziana geroglifica,  jeratica  e  demotica.  Dimostra  ch'egli  prima d'ogn' altri  ritrovò  e  compose  in  armonia  parecchie dottrine  accettate  oggi  e  rassodate  difinitivamente  dalla scienza,  quali  sono,  per  citarne  qualcuna,  la  formazione del  dramma  satirico  riguardato  come  sorgente  d'ogni poesia  drammatica,  l'anteriorità  del  linguaggio  poetico al  linguaggio  prosaico,  e  simili.  Da  ultimo  fa  rilevare come,  non  contento  d' avere  scoperto  la  legge  secondo cui  si  vanno  svolgendo  nel  corso  isterico  le  grandi  ci- viltà nonché  le  forme  semplici  del  reggimento  politico, profondasse  la  mente  nel  ricercare  e  determinare  il carattere  d' un'  epoca  anteriore  alla  città  ed  alle  ari- stocrazie feudali,  epoca  che  costituisce  appunto  l'età divina.  La  quale  osservazione,  fatta  da  un  francese, dovrebbero  oggimai  spassionatamente  meditare  i  posi- tivisti francesi  che  non  rifiniscon  di  celebrare  la  sco- pei'ta  della  legge  sociologica  del  loro  maestro! Ma  nel  De  Ferron  incontriamo  riflessioni  che  non ci  è  venuto  fatto  ritrovare  in  verun  critico.  Base  della città,  die'  egli,  fondamento  del  formarsi  delle  nazioni per  r  A.  della  Scienza  Nuova  non  è  Y  istinto  della  so- ciabilità, come  credevano  i  giusnatnralisti  suoi  contemporanei.  Se  tale  istinto  può  aver  creato  la  iaiiiiglia  e le  tribiì,  non  però  basta  a  fondar  la  città ,  non  riesce a  condurre  un  popolo  ad  una  data  costituzione  poli- tica. È  necessaria  dunque  una  l'orza  estrinseca,  senza cui  r  uomo  rimarrebbesi  nello  stato  pastorale.  Ora  co- tal  forza  estrinseca  e  tutta  naturale  consiste  nel  fatto del  successivo  migrare  delle  tribù  da  alcuni  centri;  nel loro  successivo  aggrupparsi  in  dati  luoghi;  nel  fissare lor  sedi,  ond'  è  resa  possibile  l'agricùltura;  e  finalmente) nel  fatto  delle  conquiste,  le  quali  hanno  virtù  di  creare e  rendere  sempre  più  stabili  e  quasi  organiche  le  nazioni sedentarie.  Tutto  questo,  dice  benissimo  il  De  Fer- ron,  scaturisce  a  fil  di  logica  dalle  dottrine  del  Vico. Diciamolo  ora  con  parole  nostre:  T  organismo  sociale,"' la  società,  è  da  natura;  è  nella  natura:  l'organisiifo  dello Stato,  in  vece,  è  sottoposto  a  processo  ;  questo  processo tiene  ad  arte;  ma  quest'  arte  è  fondata  aqch'ella  in  na- tura. La  relazione  storica,  dunque,  ecco  il  concetto  del Vico  che  il  De  Ferron  ha  interpretato  a  meraviglia.*  , Altra  osservazione  assai  notevole  parmi  questa.  Non v'è  stato    v'  è,  die' egli,  chi  i;on  abbia  celebrato  il filosofo  di  Napoli  qual  padre  della  filosofia  della  sto- ria; mais  on  se  garde  d'exposer  sa  méthode  historique, aristoteliemie,  i  cui  principii  son  oggi  venuti  applicando  , in  diverse  ricerche  storiche  il  Macaulay,  il  Michelet,  il Guizot.'  Con  queste  parole  il  De  Ferron  mostra  d' aver pienamente  compreso  il  metodo  della  Scienza  Nuova; metodo  essenzialmente  aristotelico,  checché  ne  abbian' detto  e  si  piaccian  dire  certi  hegeliani.  Ed  ecco  per- ché egli  s'  allontana  da  parecchi  altri  critici  nell*  ap- prezzare il  concetto  vichiano  sul  progresso  ;  rispetto  al quale  consente  con  Y  anonimo  traduttore  francese,  col Tommaseo,  con  lo  Spaventa  e  con  altri,  per  citare  qui '  È  uno  de'  principii  su'  quali  è  fondata  la  Sociologia  del  Comte  e ch'eglif  spesso  appella  contenBo,  cospirazione  {Coum  de  PhiU  posity  voi.  V). Sarà  anche  questa  una  scoperta  del  Positivista  francese? *  Db  Ferron,  Op.  cit.  Voi.  I,  pag.  137,  107. tre  nomi  che,  quantunque  discordanti  nel  resto,  con- vengono ciò  nondimanco  nel  credere  che  nel  Vico  esista r  idea  del  progresso.  E  a  chi  neghi  o  dubiti  che  cote- sto concetto  ritrovasi  nella  Scienza  Nuova,  il  De  Fer- ron  è  pronto  a  rispondere:  cela  parati  impassible  a PRIORI,  car  le  progrès  décovUe  de  son  sy stèrne;  mais en  otUre  U  le  prodame  formellemeYU}  Si  dirà  che  il Vico  non  vide  1'  elemento,  la  molla  principalissima  delprogresso,  cioè  la  trasformazione  dei  rapporti  econo-  spirito.  Uno  de'  suoi  pregi,  come  s' è  detto,  è  la  posi- zione del  pensiero  qual  inizio  di  scienza  indipendente da  ogni  qualunque  autorità  :  ma  di  ciò,  com'  è  noto, Cartesio  non  può  vantarsi  d' essere  stato  primo  divul- gatore e  sostenitore  nel  regno  della  scienza.' Vero  pregio,  pregio  massimo  dell'autore  delle  Me- ditazioni sta  neir  aver  considerato  come  originaria virtù  dell'anima  l'attività  stessa  del  pensiero;  aver posto  r  anima  come  il  pensiero  stesso,  e  però  come  sog- getto e  obbietto.'  Senonchè  il  pensiero  per  lui  non  era altro  che  rappresentazione,  e,  come  tale,  unione  a  dir cosi  meccanica,  incosciente,  immediata  di  due  oppositi elementi,  dell'universale  e  del  particolare,  dell'infinito  e del  finito.  Come  dunque  potev'  egli  riuscire  al  vei'o  or- ganamento del  sapere  filosofico,  posto  un  fatto  empirico, Dt$c  et  le  Cartinanimne,  Introd.    Franchi,  St.  detta  FiL  mod.,  Tol.  1, letlnrs  9,  10,  11.    Jaitbt,  (Euw,  phiL  de  LeibnitZj  ToL  I.,  Introd.  —Trn- mtiiAinf,  Su  ddla  FU,,  voi.  II,  p.  84. '  La  riforma  cartesiana,  cosa  arvertita  presso  che  da  tutti  gli  sto- riografi, non  giunse  nuova  fra  noi,  tanto  clie  la  si  riguardi  come  rinno- ramento  filosofico,  quanto  che  come  reazione  scolastica.  ATevamo  avnto già  il  Petrarca,  poi  il  Da  Vinci,  la  scuola  Telesiana,  poi  la  scuola  Gali- leiana. (Vedi  Libri,  HUt.  de»  •eienc,  math.,  t.  III.  ~  PncoiiroTTi,  Sl  della Med,^  voi.  ult.)  Potremmo  dire  altresì  che  TAconzio,  come  osserva  giustamente  il  Franck  [Diet,  de»  »eiene.  phiL)  fosse  stato  in  Italia  il  devander  \ del  metodo  cartesiano.  Avevamo  avuto  anche  il  Bruno;  e  segnatamente il  Campanella,  le  cui  opere  non  dovettero  esser  del  tutto  ignote  a  Cartesio, come  nota  il  Bitter  {Hi»t.  de  la  phU.  mod.,  voi.  I,  pag.  14, 85).  Ma  anche qui,  al  solito,  s*  inciampica  neir esagerazione  quando  si  vuol  risalire  fino a  sant'Agostino  a  ripescar  1*  antecedente  del  pronunziato  Cartesiano  !  Nò io  mi  ci  vo'  opporre,  sapendo  che  in  quel  Santo  Padre  e'  è  pur  troppo r  esigenza  cartesiana  (Vedi  per  es.:  De  Lib.  Arò.,  lib.  II,  cap.  8;  e  spe- cialmente De  Civii.  Dei,  lib.  XI,  cap.  26).  Ma  il  valore  della  posizione  è tanto  diversa  ne*  due  filosofi,  quanto  diversi  i  tempi  in  ch*ei  vissero, trattandosi  ben  più  che  di  certezza  d'esistenza.  Il  Cousin  poi,  com'è noto,  va  fino  al  No»ee  te  ipeum  di  Socrate  !  Contentiamoci  di  questo,  che non  è  poeo:  un  eclettico  ne  potrebbe  far  di  peggio. •  DiBOARTBS,  Médit.  2,  art.  7.  Lettre»,  U  II,  U».  Obi.  répotue»,  I,  4. posta  una  dualità  empìrica?  E  in  che  maniera  spiegare nel  pensiero  l'unione  del  finito  con  l'infinito?  Ma  che davvero  l' idea  di  Dio  sia  innata  e  a  priori  nella  nostra mente  com'  egli  stesso  afferma,  *  al  modo  eh'  è  innata, non  nata,  cmmcUa  l' idea  di  noi  medesimi  (ciò  eh' è  proprio la  novità  di  Cartesio)  è  ancor  cosa  da  dimostrare. È  ella  possibile  nel  nostro  pensiero  l'idea  dell'infinito veramente  detto?  L'essere  adegua  il  conoscere,  dicono certi  interpreti  hegeliani;  e  poiché  nel  conoscere  v'è r  infinito,  il  pensiero  è  dunque  infinito  :  ecco  la  novità vera  di  Cartesio,  su  la  quale  s' imbasa  propriamente  la filosofia  moderna.    Ma  il  pensiero  è  egli  propriamente l'essere,  come  si  vorrebbe  darci  ad  intendere?  Non potrebbe  stare  che  cotesta  fosse  un'affermazione  arbitraria di  Cartesio,  fatta  legittima,  più  che  altro,  dal desiderio,  nonché  dall' artifiziosa  interpretazione  che  gli hegeliani  porgono  all'entimema  cartesiano?  .Diranno non  ci  essere  artifizio  di  sorta  in  questa  loro  inter- pretazione. Ma  non  è  forse  egli  stesso,  Cartesio,  il  quale a  chiare  note  ci  dice  in  che  senso  parli  d'innatismo, afiermando,  la  natura  stessa  averci  fornito  d'una  facoltà mercé  cui  produceìido  queUPidea  possiamo  conoscere Dio?*  Checché  ne  sia,  era  d'uopo  rivedere,  chiarire  e correggere  in  gran  parte  la  posizione  cartesiana  del pensiero.  Questo  quant'  al  Descartes,  come  iniziatore  del novello  indirizzo.  Quanto  poi  agli  esplicatori  del  Carte- sianismo, in  generale,  era  d' uopo  restituire  alla  scienza'' il  concetto  delle  cause  finali  invocando  segnatamente lo  studio  della  storia;  porre  l'assoluto  come  obbietto •  Descartes,  Médit.  8«. ■  Vedi  nella  Troinhn.  oljection9f  Z"  Rép,  :  e  nella  Rép.  à  M.  Begiut. Non  ignoro  che  nella  Meditaz.  3^  e  5"  egli  dice  apei-tamente,  Tidea di  Dio  essere  innata  in  quanto  ci  ^  imprenta  da  lui  medesimo.  E  qoi  è chiara  la  contraddizione  tra  ciò  eh*  egli  afferma  in  queste  Meditazioni, e  le  illustrazioni  eh*  egli  stesso  ne    nelle  Risp.  alle  obbiezioni  poco  fa indicate.  Bisogna  dunque  levarla  di  mezzo  tale  contraddizione;  è  fuori dubbio.  Ma  perchè  pretendere  di  leTarla  con  T  identificare  Dio  e  pen- siero, facendo  contro  cosi  a  tutte  lo  esigenze  della  metafisica  cartesiana  ? anziché  come  principio  di  ricerca;  accomunare  in  un subbietto  dinamico  universale  tanto  la  costituzione  del mondo  fisico,  quanto  quella  del  mondo  morale  ;  e  quindi statuir  le  norme  d'un  metodo  non  geometrico,  non puramente  psicologico,    assolutamente  a  priori  nella, costruttura  della  Scienza  Prima. Questo  per  V  appunto  presero  a  fare  il  Leibnitz  in Germania  e,  poco  appresso,  il  Vico  in  Italia.'  Non  vorrei che  i  lettori  stimassero  inconcludente  il  ravvicinamento di  questi  due  nomi,  e  inutile  e  vuoto  un  riscontro  delle loro  dottrine.  Non  è  cotesto,  intendiamoci,  uno  de'  soliti riscontri  onde  rigurgitano  certi  libri  odierni  appo  cui non  di  rado  si    per  concreta,  storica,  reale  un'attinenza meramente  logica,  o  ideale  che  sia.  Il  riscontro  tra il  filosofo  di  Napoli  e  il  filosofo  di  Lipsia  è  tutto  ideale  ; ma  la  ragione  di  esso  pone  radice,  meglio  che  in  qual- che riposta  e  fatai  legge  dialettica,  in  queste  due  ragioni principalmente:  !•  nella  forma  e  natura  stessa  di  lor mente  :  2*  nelle  condizioni  della  filosofia  del  secolo  XVII. E  innanzi  tratto  ricordo  anche  qui,  non  esser  possibile dimostrare  che  il  filosofo  italiano  siasi  ispirato  nel  filosofo ) di  Lipsia  ormeggiandone  metodi  e  dottrine,  com'  altri hann' affermato.'  Nullamanco  l'affinità  fra  alcune  dot- *  Il  Vico  ebbe  coscienza  della  propria  posizione  specalativa,  e  sciente- mente opponevasi  alP  esagerazioni  ed  errori  cui  ruppero  le  diverse  dire- zioni e  scuole  nate  dair  indirizzo  cartesiano.  £gli  conobbe  lo  opere  di  Spi- no}^, di  Locke,  di  Malebranche,  e  Tisi  oppose.  Quant'a  Spinoza,  cfr.  Op. voi.  Ili,  12, 80,  221  ;  V,  49,  138,  573  ;  VI,  99.  --  QnanV  a  Locke,  IV,  40, U40;  VI,  5.    Quant'al  Malebranche,  II,  95,  96, 149,  161;  VI,  107,  113; lU,  232.  Non  è  dunque  niente  vero  ciò  che  è  stato  affermato  da  un hegeliano  che  il  Vico,  posto  eh*  abbia  speculato,  speculasse  incoscia- mente  e  senz"  alcuna  relazione  alla  storia  della  scienza. *  In  tutte  le  suo  scritture  ne  rammenta  il  nome  appena  appena  due volte  a  proposito,  non  già  di  qualche  dottrina  filosofica,  ma  delle  controversie fra  Newton  e  Ldbuìtz.  Una  di  queste  citazioni  è  nella  seconda Sa  meth,,  ec,  pag.  180. ■  Leibnitz,  Meth,  nova  ditte,  dpcend.  juritpr,,  P.  II,  §  29.  Amendne si  presentano  al  pubblico  con  questioni  di  metodo;   ricerca  degl* ingegni veramente  grandi,  anziché  da  filosofi  pedanti  e  scolastici,  come  si  crede. '  Nella  Ragion  degli  Hudi  v'  ha  i  criteri  per  lo  studio  della  ginrisprndenza. *  Vedi  quant' al  Leibnitz  Mimoire»  de  VAeadfmie  de  Berlin^  voi.  I,art.  1. '  Leibnitz,  Xouv.  Et»,  I,  pag.  277. il  sustrato  della  Scienza  Nuova,  si  che  vede  svolgersi cotale  idea  anche  attraverso  gli  antichi  poemi. Quant'  alla  fisica  poi,  alla  res  extensa  di  Cartesio, agli  atomi  fisici  del  Gassendi,  contrappongon  gli  (domi di  sostanza,  gli  atomi  metafisici,^  i  punti,  i  momenti  me- tafisici e  lo  sforzo  impedito  nell'essenza  stessa  dell'uni- verso.' Per  questa  medesima  ragione  entrambi  parlano linguaggio  somigliante  circa  la  natura  delle  matemati-i che.  Di  fatti  contro  Cartesiani  e  Hobbesiani  il  Leibnitz mostra  la  inefficacia  di  siffatte  scienze  nelle  indagini propriamente  filosofiche,  e  al  di    del  calcolo  aritmetico e  geometrico  crede  esserci  luogo  ad  un  altro  e  più rilevante  calcolo  che  tiene  all'  analisi  delle  idee;  stan- techè  nella  sostanza,  die' egli,  ci  abbia  sempre  qualcosa d' infinito.'  La  medesima  insufficienza  del  metodo  geo- metrico scorge  anche  il  Vico  in  più  luoghi  delle  sue  scrit- ture; e  lo  reputa  difficile,  anzi  impossibile  alla  mente del  metafisico.^  Col  che  essi  anticipano  alcune  idee  di Kant  in  proposito. *  Lbibnits!,  %ff.  noìit;.  etc,  tomo  II,  pag.  126. *  Vico,  Risp.    al  GiomaU  de'  Letterati,  L*  affinità  de*dne  filosofi, come  si  vede,  è  mirabile  anche  nel  linguaggio:  punti  metaJUici,  conato («VTf^i'X^'av)  tramezzante  la  potenza  e  Tatto  (Lbibkitz,  Op.  II,  1, pag.  19),  0,  come  direbbe  il  Vico,  la  Quiete  e  il  Moto;  per  cai  la  matte- ria, anziché  passiva,  ò  per  entrambi  una  forza  viva  (Op.  cit,  pag.  817). Anche  i  punti  matematici  per  entrambi  non  sono  che  simboli  de*  metajitici;  e  i  punti  jieiei  per  tutt'e  due  riescono  indivisibili,  ma  solo  in  apparenza. La  ragione  poi  ond*essì  adoperano  la  parola  punto  è  la  idede- sima;  ed  è,  che  il  punto  racchiude  infinito  numero  di  relazioni.  Finalmente si  potrebbe  dir  propria  anche  del  Vico  la  nota  sentenza  del  Leibnitz: eonatue  e*t  ad  motum,  ut  punctum  ad  epatium,  (Id.  eod.  II,  2,  pag.  8;  e pel  Vico  vedi  nelle  Risposte  al  Oior.  de*  Lett.). In  omnibu»  èubetantiis  aliquid  eet  infiniti;  unde  fit  ut  a  nobie  per/ecte  intelligi  potint  sciite  notionee  incompUtfr,  qualee  eunt  numeromm, figurarumj  aliorumque  hujuemodi  modorum  a  rebus  animo  abstractorum. Lkibxitz,  Op.,  ediz.  cit.,  V,  pag.  143. Vedi  neW Autobiografia,  AìtroY e  dice  che  la  matematica  è  la  più  certa di  tutte  le  scienze,  perchè  prova  per  cause  [De  Antiq,  Ital.,  cap.  I,  1), ma  il  metodo  di  essa  riesce  esiziale,  sterile  e  pericoloso  quando  si  voglia adoperare  nelle  altre  discipline  (Risp,  al  Gaeta,  pag.  99),  disastroso  poi nella  fisica,  neir  educazione  degT  ingegni  (/&»',  passim),  utile  solamente neir  ordinare  anziché  nello  scoprire  (De  Antiq.,  Ital.  cap.  VII,  §  4). Entrambi  poi  riconoscono  in  Dio  le  stesse  primalità: potenza,  volontà,  intelligenza;*  e  se  nell'uno  troviamo il  principio  che  Dio  creando  non  possa  produrre  altro che  il  migliore  e  il  più  perfetto  de' mondi,*  nel  Vico tale  dottrina  si  lascia  argomentare,  come  vedremo,  dal- l' insieme  delle  sue  dottrine.  Quant'  alla  storia,  V  un d' essi  riconosce  un  progredire  continuo  nel  tutto,  e  la possibilità  del  regresso  nelle  parti;'  dovechè  l'altro, meglio  determinando  e  dimostrando  cotal  concetto,  pone la  dottrina  dé*c(/rsi  e  ricorsi  storici,  in  cui  sono  racchiuse le  idee  di  progresso  e  regresso,  governati  da  una medesima  legge.  Che  se  è  stato  detto  esser  d'uopo risalire,  meglio  che  al  celebre  Discorso  del  Bossuet,  alla metafisica  del  Leibnitz  per  ritrovare  un  concetto  spe- !  culativo  che  fosse  come  il  vero  antecedente  della  filosofia della  storia,  s'è  detto  giusto;  atteso  che  veramente  il filosofo  di  Lipsia,  col  sommettere  al  principio  della  ragion sufficiente  l' ordine  delle  cose  fisiche  e  morali,  dischiuse la  via  alla  dottrina  del  Determinismo  universale,  perocché tutto  per  lui  si  annodi  nel  mondo,  tutto  si  corrisponda, tutto  armonizzi.  Nel  Vico  veggiamo  questa medesima  esigenza  ;  ma  nello  stesso  tempo  ne  troviamo la  correzione.  Perciocché  se  anche  per  lui  il  passato  è gravido  del  presente,  al  modo  stesso  che  il  presente partorisce  il  futuro;  non  tutto  però  nel  mondo  delle nazioni  é  avvinto  a  leggi  fatali  e  cieche,  perché  nel regno  dello  spirito  vi  è  agli  occhi  suoi  la  ragione,  v'  è pur  la  libertà,  sicché  tutto  il  processo  isterico  per l'Autore  della  Scienza  Nuova  non  é  altro,  in  sostanza, j  che  la  soluzione  del  problema  della  libertà,  sia  che  tu  la consideri  negl'  individui,  sia  che  negli  Stati.  Dinanzi  alla mente   d'entrambi,  dunque,  risplende  chiara  la  legge della  continuità  nel  giro  de' fatti  umani  e  storici. Né  si  creda  che  l' affinità  fra  ^  i  due  filosofi  non  si *  Lribnitz,  MonaU.,  Op.,  ediz.  Erd.,  pag.  705.— Vico»  De  Univ.  Jur, *  Idem,  Theod.,  8. *  Idoin,  eod.,  8. lasci  scorgere  altresì  nelle  contraddizioni  e  non  di  rado anche  nelle  strettoie  fra  cui  gi  resta  impigliata  la  co- scienza religiosa.  Ei  cominciano  a  scrivere  innanzi  d'aver fissato,  determinato  e  organato  le  proprie  idee  ;  di  modo che,  se  l' uno  fin  quasi  ai  quarant'  anni,  fino  alla  com- parsa delle  Meditazioni,*  va  fluttuando  non  libero  da incongruenze,  T  altro  va  tentennando  fino  alla  terza  edizione  della  Scienza  Nuova.  Onde  non  è  a  meravigliare se  tutt'  e  due  si  contraddicano  quant'  al  concetto di  creazione  ;  perchè,  se  V  uno  ponendo  la  moltiplicità delle  monadi  come  primitiva  ed  esistente  per  necessità metafisica,  dice  nullamanco  esser  Dio  quegli  che  sceglie r  ottimo  fra  i  mondi,  e  immagina  delle  monadi  create par  des  fidgurcUiotis  continudles  dalla  divinità;*  l'altro poi,  stabihto  il  criterio  della  conversione  in  senso  metafisico, non  dubita  parlarci  del  miracolo  della  creazione, e  dell'annullamento  del  mondo!    Quanto  aiprincipii, in  generale,  si  palesano  entrambi  eclettici  ;  ma  è  d' uopo intenderci  nell'  applicar  loro  cotesto  nome.  Sono  eclet- tici appunto  nel  significato  e  nel  valore  che  lo  stesso Leibnitz  dav'  a  tal  voce;  nel  qual  valore  ci  conferme- rebbero molte  sentenze  del  Vico.  Sono  eclettici,  io  dico, non  perchè  raccolgano  in  un  tutto  ciò  che  si  presenta come  vero  squadernato  ne'  differenti  sistemi,  eh'  è  precisamente il  fiacco  e  volgare  eclettismo  sfornito  d' ogni originalità;  ma    perchè,  aggiugnendo  anch'essi  qual- che altra  cosa  di  proprio,  riescono  a  comunicare  novello impulso  a  tutti  gli  ordini  delle  scienze.'    Rispetto alle  fonti  del  conoscere,  o  fondamenti  del  sapere,  alla doppia  sorgente  vichiana  del  vero  e  del  certo  risponde '  Meditationea  de  cognitionet  veritate  et  ideiti f  1684. Lribnitz,  Monad,f  ediz.  cit.,  pagr.  708. '  Vedi  questa  sentenza  del  Leibnitz  nelle  Lettre*  à  Rémond  de  Mont- mort,  edlz.  Erd.,  pag.  701.  e  ne*  Nouv,  £»».,  Hb.  I.  Nel  Vico  poi  troviamo molte  affermazioni  del  tenore  seguente:  Chi  ai  trae  fuori  da  questi  prin- eipii,  guardi  clC  ei  non  traggati  fuori  deìV  umanità,  E  eh*  egli  poi  sia eolettico  in  questo  senso,  anziché  nel  significato  voluto  dal  Cousin,  dal  ristica  e  popolare  col  suo  concetto  della  monade.  (La  FU.  di  Oiohertif  p.  103.) Più  chiaro  e  più  accoucio  di  tutti  sembraci  il  modo  col  quale  il  Chalibosus pone  relazione  fra'  successori  di  Leibnitz.  Kant,  egli  osserva,  col  concetto della  cosa  in  s?,  col  noumeno,  nega  Leibnitz;  la  scuola  di  Jacobi con  r  ide&  d*  un  contenuto  razionale  accessibile  solo  al  sentimento,  s' op- pone all'idealismo  critico  di  Kant,  e  nel  medesimo  tempo  all'idealismo subiettivo  di  Fichte;  mentre  la  scuola  di  Herbart  col  realismo  delle  mo- nadi e  col  realismo  psicologico,  si  oppone  all'idealismo  obbiettivo  e  as- luto  di  Schelling  e  di  HegeL  (Willm,  Op.  cit.,  p.  87.)  Questi  due  gruppi rappresentano  un  doppio  svolgimento  del  pari  esclusivo  del  concetto  mo- Men  fortunato  del  Leibnitz  il  Vico  non  ispiegò  gran- d' efficacia  in  Italia,  nettampoco  in  Europa,  per  le  ra- gioni ormai  dette  e  ridette  da' suoi  critici  ed  espositori. Ma  anche  in  questo  gioverebbe  guardarci  dal  cadere  in esagerazioni.  Posta  la  storia  della  Scienza  Nuova  da  noi tracciata,  nessuno,  crediamo,  vorrà  più  oltre  dubitare  che l'azione  del  filosofo  italiano  fosse  stata  nulla,  così  ne' suoi contemporanei,  come  ne'  suoi  seguaci.  Legami  intimi, vincoli  speculativi  necessari,  storici,  nou  vi  sono  ;  e  quindi è  inutile  cercarvi  continuità  e  processo  veramente  detto. Il  Genovesi  e  '1  Galluppi,  per  dire  un  esempio,  tutto- ché non  ignorassero,  in  ispecie  il  primo,  le  opere  di  lui, scrissero  non  pertanto  come  s' egli  non  fosse  esistito  al mondo  mai.  Verso  il  sesto  lustro  del  presente  secolo,  in quella  che  co'  seguaci  di  Hegel  comincia  a  declinare  il moto  filosofico  originale  di  Germania,  e  in  Francia  come in  Inghilterra  odonsi  i  primi  rumori  del  Positivismo, vedemmo  come  anche  fra  noi  si  cominciasse  a  sentir più  acuto  il  bisogno  al  filosofare.  E  cosi  il  Mamiani (il  Mamiani  del  Rinnovamento),  e  quasi  nel  medesimo anno  il  Rosmini,  si  provano  a  rannodar  gli  anelli  della nostra  tradizione  filosofica,  ma  con  efficacia  assai  lieve. E  dico  lieve,  perchè,  quantunque  ella  ingagliardisse  vie più  col  crescer  degU  anni  e  col  succedersi  de' nostri  filo- sofi, non  pertanto  pretendere  di  stabilire  in  essa  tradi- zione un  vero  processo  ed  una  continuità  logicamente progressiva,  a  me  sembra  vana  impresa  e,  fino  a  certo punto,  anche  infruttuosa.  Giova  ripeterlo:  a  voler  rin- tracciare alcun  filo  di  cotesta  tradizione  in  maniera  positiva, ciò  è  dire  storica,    soltanto  ideale,  io  per  me  non iscorgo  altra  via  tranne  quella  che  noi  abbiamo,  anziché percorsa,  additata;  intendo  la  via  che  dal  Vico  ci  mena ai  nostri  ultimi   filosofi,  ma  per  mezzo  de'  giusnatu- oadologico;  ma  vi  ò  certamente  un  progresso  fra  1  rappresentanti  del primo  e  qaelli  del  secondo.  Vedi  per  le  notizie  particolari  di  questo periodo  fllotollco  tedesco  il  Barohoc  dr  Ponhoem,  Hìh,  de  la  Phil.  depuU UibnitK  juMqu'à  Hegel.    BuuLE,  Hi9t.  de  la  PhU,,  voi.  Vili. ralisti,  de'sociologisti,  de'critici  e  degli  storici  attraverso i  tre  differenti  periodi  già  discorsi.  Altre  vie  ci  saranno, io  lo  so;  ma  tutte  artifiziali,  tutte  pericolose,  tutte  vuote 0  rigonfie  de'  soliti  riscontri  ideali  che  agli  occhi  dello storico  e  del  critico  positivo  valgono  fin'  a  certo  segno. Con  la  qual  cosa  non  è  a  credere  che  noi  pretendiamo dare  alla  filosofia  italiana  caratteri  e  prerogative  eh'  ella non  ha,    può  avere  di  fronte  a  quella  di  Grermania. Il  professore  Spaventa  osserva,  che  la  filosofia  italiana non  costituisce  processo,    assomiglia,  per  così  dire,  ad un  filo  che  si  sgomitoli  necessariamente  e  razionalmen- te, com'  é  quello  che  in  organismo  vivente  e  palpitante annoda  l' Idealismo  critico  con  l' Idealismo  assoluto, mercé  l'Idealismo  subbiettivo  di  Fickte  e  l'Idealismo obbiettivo  di  Schelling:  non  é,  in  somma,  unevolturìone strettamente  logica,  un  dispiegamento  serrato,  compatto, e  come  chi  dicesse  inquadrato  e  chiuso  tutto  in    medesimo com' una  severa  dimostrazione  geometrica.  Il professore  di  Napoli  dice  benissimo.  Questo  oggi  dicon tutti;  e  questo  medesimo  ripetiamo  anche  noi.  Sola- mente chiederemmo:  non  potrebbe  stare  che  cotesto filar  compatto  e  processuale;  che  coteste  filiamoni  se- riali, com' ha  detto  lo  Spencer  ai  Positivisti  francesi; che,  in  somma,  coteste  annodature  organiche,  conside- rate (già  s'intende)  nell'ordine  istorico,  fossero  per avventura  altrettante  immaginazioni  del  nostro  cervello, meglio  che  relazioni  di  fatto  a  cui  ci  spinga  la  ragione, meglio  che  attinen/ie  concrete  in  cui  ci  confermi  la storia?  Annodamenti,  giunture,  articolazioni  intime  formano di  certo  il  pregio  massimo  della  Scienza;  costi- tuiscono r  essenzial  condizione  del  sistema  ;  sono  la  vita della  ragione,  avvisata  come  funzione  filosofica  e  meta- fisica. Ma  si  vorrà  dire  che  tutto  ciò  sia  anche  pregio e  condizione  vitale  ove  dall'ordine  astratto  e  teore- tico e  individuale  si  discenda  in  quello  delle  applica- zioni e  della  storia,  per  esempio  ad  un  periodo  storico nel   quale  ci  sia  dato  assistere  all'opera  svariata  di molti  ingegni,  al  lavoro  molteplice  di  più  menti  fra  loro diverse  per  infinito  numero  di  condizioni,  condizioni differenti  per  luogo,  tempo,  educazione,  carattere  indi- viduale, e  civiltà?  È  egli  pregio,  di  grazia,  o  non  più  ve- ramente difetto  il  prendere  un  dirizzone  e  andare  sino in  fondo  diritto  come  fil  di  spada?  E  dov'è,  dunque, la  necessaria  moltiplicità  di  direzioni,  e  quella  ricchezza d'aspetti  differenti,  e  quella  varietà  di  vedute  e  di  metodi e  dottrine  in  cui  risiede,  a  dir  proprio,  il  moto  e  l' essere e  la  vita  feconda  della  storia?  I  quattro  filosofi  di  Germania costituiscono,  come  dire,  una  mente  sola,  un  sol pensiero;  formano  quasi  un  sol  uomo  che  svolga  e  deter- mini la  propria  attività:  e,  in  effetti,  come  un  sol  uomo essi  hanno  saputo  filar  sillogismi  e  tesser  la  scienza cosi  da  comporre,  sto  per  dire,  una  catena  salda  e  com- patta di  soli  quattro  anelli.*  Per  contrario  la  filosofia italiana  non  ci  pone  sott'  occhio  nulla  di  simile.  Ella  non è  un  processo,  o  al  più  è  un  processo  distratto,  rotto, saltellante,  fatt'a  pezzi  e  a  bocconi,  Qual  relazione mai  tra  Vico  e  il  Galluppi?  tra  Galluppi,  Rosmini  e Gioberti?  tra  Gioberti  e  lo  scettico  Ferrari?  fra  Ausonio critico  radicalissimo,  e  il  cattohcissimo  Conti?  fra  il  neo- platonico Mamiani  e  il  severo  storico  Bertini  ?  fra'  nostri Hegeliani  e  i  nostri  redivivi  Tomisti?  Riconosciamo  francamente  i  pregi  del  periodo  filosofico germanico;  e  non  meno  francamente  riconosciamo i  difetti  della  nostra  moderna  filosofia  considerata  sotto r  aspetto  storico.  Ma  ci  si  permetta  una  confessione,  ed  è che  noi  saremmo  tentati  a  scegliere  più  presto  questi  di- fetti, anziché  que'pregi  ;  per  la  semplice  ragione  accennata poco  fa,  che  gli  uni,  nella  mancanza  d'unità  e  d'un'euriti- mia  stecchita  e  geometrica,  ci  presentano  il  fecondo  moto *  Ecco  come  il  Remnsat  riduce  quasi  a  forma  geometrica  V  andamento progressivo  del  pensiero  germanico,  o  meglio,  de*  quattro  filosofi in  discorso  :  L*  idea^  dice  Kant,  non  prova  che  «d  «fe««a  :  V  idea^  ripigìiè Firkte^ produce  Veuere:  Videa,  soggiunte  Schelling^  riproduce  V  e«itcrc  :  V  idf^, eondwe  Hegel,,  >  Vetsere.  (De  la  Phil.  ÀUem,,  p.  45.) del  fatto  istorico,  dovecchè  gli  altri,  nell'  evoluzione serrata  e  compassata  di  loro  speculazioni,  ci  traggono  e e'  incatenano  allo  spirito  dommatico,  esclusivo,  unilate- rale del  filosofare,  e  perciò  medesimo  racchiudon  la  morte del  pensiero  appunto  perchè  presumon  di  chiudere  il circolo  dello  stesso  pensiero.  Non  dimentichino  gli  ama- tori de'  periodi  storici  filati  e  serrati,  come  la  storia della  scienza  e  delle  grandi  età,  presso  cui  rifulse  più splendido  il  pensiero  filosofico,  stia  tutta  contro  di  loro. Si  rammentino  che  nell'  età  gloriosa  del  Rinascimento  in Italia  cotesto  filar  sottile  di  speculazione,  cotesto  fitto  an- nodarsi di  più  scuole  e  stringersi  e  allacciarsi  di  più  filo- sofi impersonandosi  quasi  in  un  sol  filosofo,  non  ebbe luogo.  Non  ebbe  luogo,  checché  se  ne  dica,  nel  più  celebrato periodo  che  ci  presenti  la  storia  del  pensiero  umano,  il periodo  della  filosofia  greca,    prima    dopo  Socrate; ma  in  esso  il  critico  vede  una  moltiplicità  sempre  più crescente  e  feconda  da' primi  Ionici  agli  ultimi  Stoici,  agli ultimi  Scettici,  agU  ultimi  Neoplatonici,  tuttoché  quelle scuole  così  differenti  si  fossero  succeduta  sotto  l' impero d'una  legge  universale,  storica  e  psicologica  insieme.^ *  Questa  legge  conforme  alla  quale  si  venne  svolgendo  il  pensiero  spe- culativo nelle  scuole  greche,  possiamo  trovarla  accennata  dal  Laerzio (come  hanno  osservato  il  Brandis  e  il  Ritter)    dov^egli  afferma  che presso  quei  popolo  la  filosofia  sMniziò  con  la  nozione  d*una  pluralità^  indi venne  progredendo  con  quella  d*  un' assoluta  um'rà,  e  appresso  cercò  di stabilire  una  relazione  fra' due  concetti.  E  questi  caratteri,  in  generale, ci  additano  veramente  la  scuola  ionica  e  pitagorea,  la  scuola  eleatica e  poi  quelle  d'Anassagora  e  d'Empedocle;  ma  sempre  in  maniera  esclu- siva, grossolana,  oggettiva  e  naturale.  La  comparsa  di  Socrate  segna un  ricorto  della  medesima  legge,  ma  con  ben  altro  significato  e  indirizzo razionale.  Accanto  a  lui  vediamo  sorgere  la  Sofistica:  il  che  vuol  dire  che, oome  in  ogni  ritorno  istorico,  nel  2fi  periodo  della  filosofia  greca  ha  luogo un  doppio  lavoro  di  demolizione  e  di  ricostruzione;  l'uno  rappresentato da'  Sofisti»  l'altro  da'  Socratici.  Ond'è  che  la  sofistica    vuol  esser  avuta in  dispregio,  come' fanno  alcuni  fra'quali  il  Ritter,  e  nemmanco  esagerarne il  valore  e  l'importanza  isterica  secondochò  fanno  altri,  per  esempio l'Hermann,  col  porre  i  Sofisti  a  capo  d'un  periodo  novello  di  filoso- fare. Nella  storia  del  pensiero  greco  (passaggio  al  2o  periodo),  tanto vale  un  Sofista,  quanto  un  Socratico;  appunto  perchè  se  la  negazione  del primo  non  è  annullamento  di  speculazione,  l'affermazione  del  secondo  non Un  vincolo  storico,  reale,  positivo,  cosciente,  lo  tro- viamo fra  Platone  e  Aristotele.  Al  di  qua  e  molto  più al  di    de'  due  luminari  non  ci  ha  che  relazioni  ideali, gran  numero  delle  quali  è,  piò  che  altro,  l'effetto della  critica  armeggiona  di  certi  storiografi;  essendo già  note  le  spostature  a  comodo  che  son  venute  muli- nando certe  fantasie  hegeliane  dietro  l'esempio  del maestro,  ponendo,  per  dime  una,  dopo  la  scuola  Zeno- niana  d' Elea  quella  d'  Eraclito,  con  aperta  smentita della  storia,  de'  fatti,  della  cronologia  e  de'  dati  storici più  sicuri,  e  considerando  Socrate,  per  dirne  un'altra, come  logicamente  posteriore  ai  Sofisti,  mentre  è  noto .come  il  gran  figliuolo  dell'umile  Fenareta  fosse  loro contemporaneo!  Rammentiamoci  che  cotesti  lambicchi e  distillatoi,  cui  si  pretende  sottoporre  la  storia,  non ti  può  dir  neanche  posizione  sistematica,  ovvero  esplicazione  organica  d'nn dato  ordln  d' idee.  Ma  la  ricostmzione  rappresentata  da  Socrate  è  essen- zialmente psicologica  ed  etica,  non  più  naturale,  empirica  ed  estrinseca  ; stantechè  in  loi,  come  incontra  in  ogni  ricorto  ttoricOf  ripetesi  il  ca- rattere della  pluralità  oggettiva  (però  come  eoncetH,  i  quali  importano la  coscienza),  e  quindi  in  Platone  ed  Aristotele  si  ripetono,  ma  trasfl- gorati,  gli  altri  due  caratteri.  Platone  infatti  pone  V  unità  assoluta  in 8Ò,  mentre  che  Aristotele  si  studia  ritracciare  una  relazione  fra  quel- la mmo  e  il  moluplieet  sforzandosi  di  levare  il  dissidio  fra  1*  immanenza deU*a8ffoInto  nel  mondo,  e  la  permanenza  del  mondo  neir  assoluto  avvi- sato in    stesso.  Dopo  il  *i0  la  Log,  d^Ari»U^  T.  U,  19^. '  n  Barchou  de  Penho^ln  dice  anche  lui  non  di  rado,  come  il  Boul- lier,  qualche  enormità  tutta  francese.  Per  esempio  questa,  che  Cartesio, Spinoza  e  Malebranche  formino  una  mrd4>nlmn  icuofa^  e  una  ntf^itm  dot' trino/  — Vedi  Op.  cit.,  p.  101. discredere  ad  ogni  processo  istorico  nel  pensiero  filosofico? Tutt'  altro!  L'esigenza  del  processo,  in  tutto,  non  è meno  salda  e  men  vivace  nella  nostra,  che  nella  vostra mente.  In  noi  non  sistematici  assoluti  eli'  è  piii  vera, più  legittima,  più  pratica,  positiva  :  ecco  la  nostra  pre- tensione. Sarà  puerile  o  troppo  ardita  cotesta  pTeten- sione  :  ma,  fra  tante  pretensioni  che  c'è  al  mondo,  e  delle quali  si  mostrano  cotanto  ricchi  gli  annali  della  filosofia, non  ci  potrà  capir  anche  questa?  Un  processo  nel pensiero  filosofico,  tanto  nella  storia  universale  come ne'  suoi  differenti  periodi  e  sin  nelle  diverse  scuole  d'un sol  periodo,  ci  ha  da  essere;  e  ci  ha  da  essere  appunto perchè  la  storia,  anche  agli  occhi  nostri,  è  sempre l'opera  d'un  disegno.  Ma  poiché  l'incarnazione  di  co- testo disegno  non  è  soltanto  effetto  di  pensiero  inco- sciente, ma  è  la  risultante  di  condizioni  molte,  svariate, complesse  per  numero  e  complicate  per  natura,  fra  cui signoreggiano  le  intuizioni,  prevalgono  i  sentimenti,  pri- meggiano le  tendenze  istintive;  ne  seguita  che  il  pro- cesso non  può  manifestare,  come  si  pretenderebbe,  una forma  squisitamente  organica  e  seriale,  Ei  debb'  essere incompiuto,  com'  avviene  d' ogn'  altro  fatto  storico.  Or s'egli  è  incompiuto,  non  bisognerà  pur  compierlo?  E  chi potrà  compierlo,  chi  potrà  integrarlo  fuorché  il  pensiero che  lo  studia  e  sommette  alla  propria  speculazione? Un  processo  dunque  ci  ha  da  essere;  ma  ha  da essere  insieme  obbiettivo  e  subbiettivo,  storico  e  specu- lativo, essendo  l' opera  combinata  non  già  dalla  nostra fantasia,  com'  è  vezzo  di  certi  storiografi  che  annodano, per  esempio,  Cartesio  e  Kant  co' fili  ch'ei  sanno  mae- strevolmente rimaneggiare  a  tutto  lor  profitto,  bensì r  opera  combinata  fra  il  pensiero  che  fa,  e  il  pensiero che,  facendo,  vede,  scopre  e  progredisce  e  sale  sempre più  in  su.  Spieghiamoci  meglio.  Non  si  tratta  di  com- binare fra  loro  le  diverse  menti  de' filosofi  d'un  dato periodo:  si  tratta  di  combinar  tutto  il  periodo,  o,  per lo  meno,  i  risultati  di  tutta  la  speculazione  d' un  dato periodo  filosofico,  con  noi  medesimi,  cioè  con  la  nostra mente,  co'  bisogni  della  presente  speculazione.  Nel  primo caso,  plasmando  a  nostra  immagine  e  simiglianza  una data  serie  di  dottrine  e  di  filosofi,  la  storia  sarebbe fatta  da  noi  :  nel  secondo,  invece,  ella  sarebbe  fatta  mercè una  doppia  forza,  in  virtù  d'una  doppia  leva;  cioè  da sé  stessa,  e  anche  da  noi.  Non  è  quindi  la  storia,  la storia  come  storia,  quella  che  possa  e  deva  render  com- patto organando  appuntino  il  processo;  il  quale  perciò non  può  esser  costituito  nella  sua  forma  organica  da  più scuole  e  da  più  menti  considerate  queste  alla  maniera d'una  scuola  od' una  mente;  bensì  dev'esser  fatto  tale da  chi,  venendo  dopo,  è  deputato  a  raccoglierne  l'ere- dità. Se  non  fosse  così  che  cosa  ne  seguirebbe?  Ne seguirebbe  che  per  nessun  miracolo  al  mondo  sapremmo salvarci  da  questa  conseguenza:  che,  cioè,  la  storia della  scienza  s' identificherebbe,  si  compenetrerebbe  con la  scienza  stessa;*  e  quindi  per  inevitabil  necessità  do- vremmo giungere  ad  uno  di  questi  due  corollari:  credere, cioè,  0  che  il  sapore  filosofico  1'  avremmo  oggi beli' e  conseguito,  o  che  noi  conseguiremmo  giammai, essendo  indefiniti  i  limiti  della  storia.  Dimodoché  do- vremmo, com'è  evidente,  imbrancarci  o  con  gli  Hege- liani, ovvero  co' Positivisti.  E,  se  co'  primi,  non  avremmo torto  dijicantar  su  tutt'i  tuoni  d'aver  già  piantato  le colonne  d'Ercole;  né,  se  co' secondi,  c'inganneremmo menomamente  nel  predicare  illusorie  le  speranze  d' un sapere  propriamente  scientifico  e  metafisico.  La  condizione  dunque  del  processo  istorico  del  pensiero filosofico  non  istà  nell'esserci  fUicusione  e  continuità ne' suoi  rappresentanti:  basterà  che  ci  sia  svolgimento e  progresso,  e  quindi  vincoli  ideali  ove  sieno  impossi- bili gli  storici;  i  quali  non  di  rado  è  impresa  ben  vana il  cercare,  non  potendo  esistere,  o,  pur  esistendo,  non  *  È  questo,  coni*  è  noto,  ano  de*  dommi  supremi  deU*  Hegeliauismo, (Tedi  Hrocl,  Logique^  Introd,  §  XIII)  e  del  Positivismo,  tuttoché  il  significato ne  sia  diverso.  —-Vedi  CoirrB  e  Littbì  nelle  Op.  innanzi  citate. sarebbero  che  eccezioni.  Anche  noi  quindi  crediamo  che nella  storia  della  filosofia  c'è  attinenze;  ma  aggiungiamo che  c'è  anche  salti:  e  se  c'è  attinenze  e  salti,  la  conse- guenza (conseguenza  buona  solamente  per  noi,  anziché per  gli  aggomitolatori  e  sgomitolatori  de'  periodi  storici) è  questa,  che  una  critica  è  necessaria;  necessaria  una critica  filosofica  atta  a  scoprire  le  une,  e  colmare  gli altri.  Tornando  ora  al  proposito,  nella  storia  della  filosofia italian«r  ci  è  salti,  per  esempio,  fra  Bruno  e  il Vico,  fra  il  Vico  e  il  Galluppi,  fra  il  Galluppi  e  il Rosmini  e  il  Gioberti:  ma  non  ce  ne  maraviglieremo per  ciò,  sapendo  che  se  questo  non  è  pregio,  non  può  dirsi nemmanco  difetto.  Poiché  il  punto,  ad  ogni  modo,  sta nel  vedere  se  tomi  possibile  scoprirvi  una  progressione ideale;  e  questa  per  appunto  debb' esser  l'opera  con- corde de'  viventi  filosofi,  e  il  frutto  d' una  storia  saviamente critica. Nulla  infatti  è  inutile  nella  storia  della  scienza,  e tantp  meno  in  quella  della  filosofia.  Agli  occhi  dello storico  spiegano  egual  valore  tanto  il  moto  speculativo attuatosi  dal  Leibnitz  ad  Hegel,  quanto  quello  che,  pur con  varietà  d'indirizzi,  è  venuto  effettuandosi  fra  noi  dal Vico  al  Gioberti.  Nello  svolgersi  di*questi  due  periodi filosofici  potremo  verificare  una  gran  legge;  la  legge medesima  che  presiede  alla  storia  generale  del  pensiero filosofico.  Mi  spiego  subito  e  in  brevi  termini,  anticipando un'  idea  che  altrove  giustificherò.  Platonismo  e  Aristote- lismo sono  due  parole  di  significato  altamente  compren- sivo per  la  storia  della  filosofia  occidentale.  Non  sola- mente elle  racchiudono  una  legge  che  ritrae  la  natura del  processo  isterico  della  filosofia,*  ma  cotesta  lor  legge è  anche  principio,  un  principio  d'indole  teoretica.  Non v'  è  infatti,    v'  è  stato  filosofo,  il  quale  non  si  possa dir  seguace  dell'  uno  o  dell'  altro  indirizzo,  ovvero d'entrambi,  ma  accordati  e  accostati  insieme  in  uno *  Tedi  la  nota  di  qaesto  medesimo  Cap.  a  pa^.  196. de'  tanti  modi  tentati  e  ritentati  già  fino  da  antico,  a contare  da  Cicerone  a  Boezio,  da  Boezio  a  Bessarione, e  dagli  altri  molti  che  nel  Rinascimento  si  provarono in  simili  accordi,  fino  al  Rosmini.  D'altra  parte  chi pigli  per  poco  a  filosofare  con  serietà  scientifica  anziché da  burla,  come  par  che  vogliano  fare  oggi  critici  e positivisti,  non  può  a  meno  di  non  riconoscer  nelle  cose un  fondamento  assoluto.  Ora  tal  fondamento  assoluto  non può  esser  posto  tranne  che  in  uno  di  questi  tre  modi:  o nel  senso  dell'  idea  platonica,  o  nel  significato  della  cate- goria aristotelica,  ovvero  in  una  terza  maniera  nella  quale tomi  possibile  un  accordo  fra  l'esigenza  dell'uno,  e  quella dell'  altro  indirizzo.  Qual  debba  esser  la  natura  di  tale accordo  e  come  porlo  in  opera,  diremo  altrove.  Qui  giova avvertire  che  siffatta  legge  non  solo  racchiude  il  nodo, per  così  dire,  della  storia  della  filosofia,  tanto  guai-data neir  insieme  del  suo  svolgimento  universale  quanto  nei suoi  particolari  periodi,  ma  costituisce  ad  un  tempo  la vera  scienza  della  storia  del  pensiero  speculativo,  appunto perchè  forma  il  triplice  aspetto  sotto  cui  può  esser  con- siderata in    medesima  la  mente  del  filosofo  nella  soluzione del  problema  metafisico.  Si  dirà  per  avventura che  cotesta  maniera  di  considerare  la  storia  del  pensiero filosofico  sia  merce  hegeliana?  Può  darsi  che  in  appa- renza la  si  dimostri  tale.  Ma  fin  d'ora  avvertiamo  che cosiffatto  principio  è  superiore  all' hegelianismo  stesso, in  quanto  costituisce  il  criterio  col  quale  potrà  esser giudicato  il  valore  speculativo  di  quel  sistema. Tornando  al  proposito,  posto  il  Cartesianismo,  Leibnitz  e  Vico  non  potevan  essei-e,  e  nel  fatto  non  sono, né  puri  platonici,    puri  aristotelici.  Essi  bensì  ci  espri- mono il  conato  verso  un  accostamento  scambievoli  dei due  indirizzi;  tale  essendo  il  valore  della  loro  universa- lità, e  di  quella  sintesi  confusa  ond'  inaugurano,  come avvertimmo,  i  due  periodi  moderni  della  filosofia  te- desca e  italiana:  i  quali  perciò,  rappresentando  l'analisi, costituiscono  il  lavoro  a  cui  necessariamente  conduce  quella  sintesi.  Invero  dopo  Leibnitz  in  Germania e  dopo  il  Vico  in  Italia,  la  filosofia  assume,  tanto  nel- l'uno quanto  nell'altro  paese,  il  vecchio  contenuto,  ma sotto  novelle  forme:  da  una  parte,  la  filosofia  fondata nel  sentimento,  e  l'idealismo  assoluto;  dall'altra,  lo psicologismo  scolastico,  e  l'ontologismo:  indirizzi  più 0  meno  esagerati  del  platonismo  e  dell'  aristotelismo. E  lasciando  qui  de' due  aspetti  vieti  della  filosofia  germanica e  dell'italiana,  le  due  forme  che  in  esse  ad- dimostrano più  spiccata  originalità  rassomigliano  quasi a  due  correnti  che  riescono  a  due  punti  fra  loro  op- posti e  contrari,  e  sono  la  filosofia  ctisiologica,  e  quella dell'assoluta  identità.  Se  nella  prima  vi  è,  come  s'è detto,  processo  e  continuità  di  sviluppo  ;  nella  seconda non  manca  già  un  carattere  comune  tra  i  suoi  propugnatori, n  Teismo  fra  noi  è  venuto  assumendo  evidentemente forma  sempre  più  netta,  meno  impacciata, men  grossolana;  perchè  se  il  concetto  religioso, per  dime  un  esempio,  agli  -occhi  del  Galluppi  e  del Rosmini  e  del  Gioberti  costituisce  un  elemento  essen- ziale nell'organamento  del  loro  sistema,  la  rdigion  civile di  cui  ci  parla  il  Mamiani,  è  una  parola  com' un' altra; una  parola  che  non  dice  nulla,  o  pochissimo;  e  pure ha  fatto  e  fa  tanto  comodo  all'  autore  !  Questo  processo e  questo  risultato  della  filosofia  itaUana  è  come  una risultante  di  più  forze:  fra  cui  è  da  notare  innanzi tutto  r  educazione  storica  tradizionale  e  cattolica,  la forma  e  natura  speciale  dell'ingegno  italiano  non  così facile,  come  dissi,  a  dar  negli  estremi,  e  segnatamente gl'influssi  della  stessa  filosofia  germanica.  Queste  ed altre  cagioni  partoriscono  il  movimento  filosofico  in Italia  nel  nostro  secolo.  Il  pensiero  filosofico  nostrano (e  qui  han  ragione  gli  Hegeliani)  è  venuto  promosso, eccitato  dal  pensiero  germanico  ;  a  quel  modo,  potremmo dire,  che  le  diverse  forme  di  filosofia  nel  XV  e  XVI del  nostro  Risorgimento  vennero  eccitate  dal  sùbito risvegliarsi  della  filosofia  greca  e  platonica;  da'  com- Aatori  arabi  e  aristotelici  delle  scuole  di  Padova, /bologna,  di  Firenze.  Il  Criticismo  esercita  grande Zone  sili  GaJluppi;  e  le  tre  forme  dell'Idealismo  ger- n/anico,  subbiettivo  obbiettivo  ed  assoluto,  spiegano alla  lor  volta  influssi  potenti,  immediati  sul  Gioberti  e sul  Rosmini,  come  ci  dimostrano  la  Protologia  del  primo e  Ja  Teosofia  del  secondo,  e  anche  in  gran  parte  sul Msaniani.  Ma  se  è  vero,  com'  è  verissimo,  che  i  nostri filosofi  han  procacciato  d'ormeggiare  i  Tedeschi,  e  questi sono  valsi  ad  eccitare  in  quelli  piìi  gagliarda  la  virtù speculativa;  è  altrettanto  vero  che  gì' Italiani  mai  non cessaron  di  combattere  le  pretensioni  sistematiche  as- solute del  Germanismo;  e  questo  è  un  altro  carattere comune  che  li  distingue.  Si  può  dire,  in  somma,  che il  pensiero  italiano  sia  venuto  affilando  le  armi  nella fucina  dello  stesso  avversario:  ecco  tutto. Di  chi  sarà  il  trionfo?  Chi  canterà  gl'inni  della vittoria  ? Parliamoci  tondo  e  netto.  Il  trionfo  dell'  Ontologi- smo e  del  Neoplatonismo,  come  ci  è  dato  da'  nostri  filo- sofi, è  un'  illusione  ;  ma  non  sarà  meno  illusione  il trionfo  dell'  Idealismo  assoluto.  Noi  dunque  non  faremo festa  ne  all'  uno  ne  all'  altro,    batteremo  le  mani  alla vittoria  del  Grermanismo    dell'Italianismo,  per  la semplice  ragione  che  in  siffatt'  ordin  di  cose  le  credute vittorie  ci  paiono  sogni  di  menti  ammalate.  Queste  due scuole,  queste  due  filosofie  (ci  sia  permesso  stringerle entrambe  sotto  due  concetti  o  indirizzi  distinti)  ci  rap- presentano la  speculazione  ardita  del  nostro  secolo;  ma per  opposte  ragioni  si  dilungano  entrambe  dalla  casti- gatezza della  sintesi  ontologica,  discostandosi  in  pari tempo  dalla  severità  del  metodo  istorico  e  psicologico. Sennoncthè,  oggi  segnatamente,  chi  ben  le  guardi,  elle cercano  allearsi  e  compiersi  a  vicenda,  giusto  perchè rappresentano  e  riproducono  anch'esse  l'antica  lotta fra  r  Aristotelismo  e  il  Platonismo,  tanto  in    stessa e  nel  loro  insieme,  quanto  nelle  loro  particolari  divi- sioni,  esprìmendoci  perciò  il  bisogno  perenne  e  crescente di  quell'accordo  sperato  sempre,  ma  non  attinto  mai. Questo  panni,  dunque,  tutto  il  significato  del  loro  svolgimento; e  questo  mi  sembra  il  problema  alla  cui  soluzione elle  s' affaticano  da  un  secolo  e  mezzo  a  questa parte.  Non  è  egli  giusto  quindi  affermare  che  chi  spera nel  trionfo  assoluto  dell'una  su  l'altra  spera  invano,  e chi  s' affida  in  certi  accordi  e  temperamenti  in  sostanza esclusivi  e  unilaterali  non  ispera  peggio?  Citiamone  un esempio.  Il  Gioberti  dello  Spaventa,  lavoro  (checché  se ne  dica  dagli  hegelianissimi)  d'una  potenza  critica  vera- ramente  singolare  fra  noi  dopo  i  libri  del  Rosmini,  nelle intenzioni  dell'  autore  dovrebb'  essere  un  accordo  tra  la filosofia  italiana,  e  la  così  detta  filosofia  moderna  Europea. Lasciando  stare  quel  moderna  e  molto  piii  Y  europea (frase,  la  quale  a  me  rammenta  quella  che  han  su  la punta  della  lingua  i  Pontefici  di  Roma  quando  costoro menan  vanto  de'  creduti  e  desiderati  dugento  milioni  di cattolici),  io  chiederei,  se  il  fare  assorbire  à  quel  modo eh'  egli  ha  fatto  il  filosofo  italiano  dal  filosofo  tedesco, sia  da  dirsi  accordo,  o  non  più  veramente  un  solenne trionfo  del  secondo  sul  primo,  e  quindi  '1  trionfo  assoluto del  divenire  sul  creare? ¥*  allora  dov'è  mai  l'ac- cordo fra  le  due  filosofie? Un  accordo,  come  suona  la  parola,  è  necessario,  ed è  razionale;  che  posta  l'analisi,  posto  il  lavoro  anali- tico di  quel  doppio  indirizzo,  una  sintesi  ne  dovrà  sgor- gare di  necessità.  E  il  fatto  stesso  ce  ne  porge  prova e  guarentigia.  Il  Mamiani,  l'autore  delle  Confessioni^ ha  pronunziato,  fira  le  altre,  questa  gran  verità:  d'aver egli  concluso  e  chiuso,  fra  noi,  un  periodo  filosofico  nel quale  egli  stesso,  col  Galluppi  e  col  Rosmini  e  col  Gio- berti, è  venuto  cogliendo  allori  molti,  e  ben  meritati. L'À.  delle  Confessioni  ha  detto  benissimo:  ha  chiuso  dav- vero un  periodo  ;  ma  solo  ha  dimenticato  avvertirci  che in  esso  egU  ha  chiuso  anche    medesimo.  Chi  consi- deri infatti  il  suo  neoplatonismo,  per  quel  tanto  che contiene  di  correzione  verso  gli  altri  nostri  filosofi, l'illustre  Pesarese  ha  merito  grande;  ma  avvisato  in sé  stesso  cotesto  neoplatonismo,  specie  quant'  alla  parte psicologica,  è  già  morto  in  sul  nascere.  E  doveva  esser così,  almeno  per  chi  voglia  ammettere  che  la  storia della  filosofia  non  possa  esser  ripetizione  inutile  e  in- fruttuosa di  teoriche  trascendentali.  D'altra  parte  l'He- gelianismo,  checché  se  ne  voglia  dire,  ha  oggimai  esaurito la  propria  vitalità  con  lo  scindersi  nello  tre  note scuole  di  destra,  sinistra  e  centro.  Oggi  dunque  non  è impossibile  raccorre  i  frutti  di  così  lungo,  di  così  osti- nato lavoro,  e  di  lotte  e  contrasti  e  discussioni  infinite attuatesi  nei  due  paesi,  appo  cui  l' ingegno  europeo serba  piii  acconcia  e  vigorosa  virtù  speculativa.  A  tale impresa  hann'  influito  efficacemente  i  nostri  hegeliani, r  opera  dei  quali  riguardata  stòiicamente,  io  non  dubiterei chiamarla  provvidenziale.  Nelle  mani  di  questo infaticabile  artefice  che  appelliamo  storia,  i  nostri  he- geliani sono,  mi  si  lasci  dir  così,  un  istrumento,  un mezzo,  acciocché  nel  possibile  accordo  delle  due  filo- sofie abbia  a  trionfare  il  vero.  Più  che  apostoli  e  messia e  predicatori  della  buona  novella,  com'  essi  medesimi  si piaccion  segnalarsi,  sia  col  tradurre  le  opere  di  Hegel, come  fa  il  Vera,  sia  col  modificarne  e  interpretarne  le dottrine,  come  fa  Spaventa,  e'  mi  paion  la  condizione imprescindibile,  efficace,  perché  il  pensiero  filosofico possa  innovare    stesso  nella  pienezza  d' una  coscienza speculativa  chiara,  intima,  vivace,  sceverando  dal  vero quel  carattere  arbitrario  di  costruzioni  dommatiche  il quale  accompagna  i  pronunziati  dell'  Idealismo  assoluto. L' Hegelianismo  é  cosa  nostra:  lo  ha  detto  il  professore Spaventa;  ed  é  verissimo.  Ma  é  cosa  nostra  in quanto  è  anche  un  assoluto  realismo;  realismo  obbiettivo nel  vero  senso  della  parola,  non  già  campato  a mezz'aria,  com'è  quello  di  Hegel,  il  quale  perciò  usurpa, non  legittima  il  significato  della  obbiettività. Ripetiamolo:  se  la  filosofia  ha  bisogno  d'innovarsi esi-  i stro  \ ica.  i diventando  positiva  e  razionalmente  positiva,  tale  esi genza  del  pensiero  italiano  e  tedesco,  pia  che  dal  nostro cervello,  ha  da  scaturire  dalla  stessa  ragione  istorica Osservando  lo  svolgersi  di  queste  due  forme  del  pen- siero filosofico  moderno,  è  facile  accorgersi  com'elle assomiglino  (ci  si  permetta  un  paragone)  al  cammino di  due  linee  le  quali,  partendo  lontane  fra  loro,  nondimeno si  vadano  accostando  sempreppiù.  L'una  s'è  mossa prima  dell'  altra  ;  e  assai  più  spedita  e  più  rapida  ne'  suoi passi  e  difilatamente  ha  percorso  assai  più  lungo  tratto che  non  abbia  guadagnato  la  seconda.  Questa  poi  s' è mossa  dopo,  e  spesso  è  venuta  sviando  e  svagando  per più  e  diverse  ragioni;  ma,  non  altrimenti  che  ne' feno- meni elettrici  d'induzione,  passo  passo  ne  ha  sentito gì'  influssi,  e  le  si  è  venuta  più  e  più  avvicinando.  Un punto  di  coincidenza,  dunque,  fra  queste  due  linee  convergenti è  necessario;  ma  la  grave  difficoltà  sta  nel trovare  cotesto  punto.  Usciamo  di  figura.  Se  i  due  pe- riodi filosofici  nel  dischiudersi  per  opera  del  Leibnitz e  del  Vico  mostrano,  come  vedemmo,  cert' affinità spontanea  e  incosciente,  è  pur  mestieri  che  cotest' affi- nità s'abbia  da  palesare  altresì  nel  loro  chiudersi;  ma s' ha  da  palesare  cosciente,  riflessa,  e  quindi  promossa, eccitata,  ricercata  e  partorita  dalla  stessa  ragione  come funzione  filosofica.  E  pensiero  moderno  debbe  aver coscienza  di  tale  affinità:    può  averla  se  non  la cerca;    può  cercarla  efficacemente  se  non  la  pone.' *  Ninno  si  meraTigli  se  fra*  vari  indirìzzi  moderni  della  filosofia  noi qui  non  abbiamo  tenuto  conto  altro  cbe  della  speculazione  tedesca,  e dell*  italiana.  L' ingregno  inglese  procede  sempre  a  un  modo,  ne  da  due secoli  A  questa  parto  ò  mai  uscito  dalle  orme  segnategli  dal  suo  Bacone, e  poi  dal  Locke,  da  Hume  e  dalla  Scuola  scozzese.  Spencer  e  Mill  ce  *1 dicono  chiaramente  ;  ne*  quali  filosofi  è  pur  chiaro  un  progresso  rispetto ai  loro  antecessori,  ma  è  un  progresso  monotono,  omogeneo.  L*  ingegno francese  poi,  dopo  le  grandi  tracce  lasciategli  dal  Cartesianismo,  si  è svolto  sempre  fra  11  Sensismo  eil  un  acquoso  Spiritualismo  ;    la  scuola eclettica,  i  cut  ultimi  rappresentanti  oggi  fan  tanto  onore  alla  Francia, ha  nulla  di  veramente  originale.    una  bella  eccezione  in  quel  paese  la scuola  e  gli  studi  iniziati  dal  Main^de  Biran.  Se   dunque  originalità  di Italia  e  Glermania,  madri  d'ogni  grande  filosofia  e  dìvi- natrici  delle  più  ardite  concezioni  metafisiche,  per  ne- cessità isterica  hann'a  risalire  alle  loro  primitive  sor- genti moderne,  Leibnitz  e  Vico  ;  ma  risalirvi  (intendia- moci) con  tutta  quell'opulenta  ricchezza  che  a  noi porge  il  lavoro  di  specukzione  compiutasi  nello  spazio di  due  secoli.  Il  trionfo  ha  da  esser  comune,  perchè comune,  quantunque  diviso,  è  stato  il  lungo  lavoro. Se  non  fosse  cosi,  la  conseguenza,  per  le  menti  che con  ansia  febbrile  e  con  ignorati  e  crudeli  tormenti ma  con  altrettanta  fede  si  travagliano  invittamente nella  ricerca  d'ogni  parte  spinosa  della  verità,  sa- rebbe dura  davvero,  sarebbe  sconfortevole.  E  la  con- seguenza è,  che  la  storia  sarebbe  un'  ingiustizia  :  ingiu- stizia altrettanto  manifesta  e  insopportabile,  quanto inesplicabile.  Ancora  :  se  questi  due  periodi,  queste  due filosofie  di  cui  si  parla,  non  avessero  quelle  attinenze  e quel  valore  e  quel  fine  che  noi  diciamo,  elle  assomiglie- rebbero a  due  forze  distratte,  inconsapevoU,  naturali, sciolte  da  ogni  legge,  libere  da  ogni  ragione;    vera- mente che  le  analogie  e  le  differenze  e  l'intero  loro svolgimento  sarebbero  tutte  cose  accidentali,  estrinseche, meccaniche,  fortuite,  e  perciò  stesso  empiriche,  perciò stesso  inesplicabili,  perciò  stesso  insignificanti,  non  al- trimenti che  que'  riscontri  ingegnosi  ma  vani,  ma  incon- cludenti, che  alcuni  storici  sanno  scorgere  fi-a  la  storia d'un  popolo,  e  quella  d'un  altro,  fra  la  China,  per  esempio, e  l'Europa,  tra  Confucio  e  Pitagora,  fra  il  Celeste  Impero e  il  Teocratismo  papale,  come  fa  il  nostro  Ferrari.  Or  noi domandiamo  alla  coscienza  di  tutti  gl'indefessi  indagatori del  vero;  domandiamo  alla  coscienza  degli  amici  sinceri e  de'  sinceri  nemici  della  filosofia  :  È  egli  mai  possibile speculazione  oggi  è  possibile,  è  d' uopo  ricercarla,  quantunque  sotto forme  diverse  e  con  risultato  e  valore  differente,  nell*  ingegno  tedesco  e italiano.  So  che  gli  Hegel ianissimi  sorrideranno  di  gran  cuore  a  queste parole.  Ma  io  qui  vo* restringermi  a  chiedere,  se  da  quarantanni  a questa  parte  fuori  d*  Italia  ci  sìa  stato  filosofo  che  possa  reggere  al  para- gone dell'ingegno  del  Rosmini,  miracoloso  per  acutezxa  speculativa. che  la  storia,  massime  la  storia  del  pensiero  filosofico, abbia  da  essere,  o  un'  opera  cotanto  ingiusta,  ovvero  un artifizio  cotanto  sterile,  infruttuoso  e  meccanico? Concludo  per  ciò  che  riguarda  il  nostro  filosofo nonché  la  seconda  parte  del  nostro  lavoro.  Si  è  detto e  si  dice  che  il  Vico  non  ispiegò  efficacia  di  sorta  nel soQ.  secolo.  E  poi  s' aggiunge  che,  quand'  ei  venne  sco- perto (e  fu  vera  scoperta)  noi  già  l' avevamo  sorpassato. Sarà  vera  V  una  cosa  e  l' altra.  Ma  gli  uomini  grandi e  ì  grandi  ingegni,  se  vogliamo  stare  all'  osservazione di  Stuart  Mill,  i  quali  per  difetto  di  favorevoli  oc- casioni non  poteron  lasciare  traccia  alcuna  di    nella loro  età,  spesso  sono  stati  di  gran  valore  per  i  posteri.* Tale  per  noi  è  il  Vico;  e  tale  si  é  pure  la  sua  Scienza Nuova.  S'ei  nulla  valse  pe'  nostri  padri  (il  che  non  è vero),  vale  moltissimo  per  noi.  Solamente  in  lui  potremo rannodar  gli  anelli  della  nostra  tradizione  scientifica: in  lui  ricongiugnere  il  nostro  Rinascimento  col  nostro moderno  Risorgimento.  Per  andare  avanti  debitamente, come  suona  il  motto  volgare,  è  d' uopo  dare  un  passo indietro  :  Chi  vuol  salire,  pigli  V  aire.  Se  questo  é  vero, se  questo  é  necessario  in  tutto;  non  sarà  altrettanto vero,  altrettanto  necessario  in  filosofia? Con  sifi'atti  intendimenti  noi  prendiamo  ad  interpre- tare il  principio  filosofico  della  Scienza  Nuova.  L' acuto Littré  lia  detto  benissimo:  Tout  annonce  gu'on  ne  verrà plus  aucune  grande  éruption  métaphysigue,  comparàble à  celles  qui  otit  signaU  Vére  moderne  depuis  Descartes, et  qui  ont  abouti  à  HegeV  Ma  la  conseguenza  vera  non è  quella  che  ne  trae  il  positivista  francese,  bensì  quella che  ne  ricaviamo  noi  :  e  tal  conseguenza  é  la  necessità di  critica,  la  necessità  di  ritomo  critico  su  la  feconda speculazione  degli  ultimi  grandi  filosofi,  e  quindi  la  ne- cessità d'un  accordo  fra  essi.  '  St.  Mill.  SytL  de  Log.,  toI.  2,  pag.  545. *  LiTTRi,  Princ  de  Phtl.  Poeit.,  Pré/,,  pag.  59,  Paris,  1868, Il  concetto  della  Scienza  e  '1  concetto  del  Criterio  si richiamano  a  vicenda,  poiché  non  si  può  determinar  l'uno senza  additare  nel  medesimo  tempo  il  significato  del- l' altro.  La  prova  più  facile  e  megUo  convincente  di  tale affermazione  ci  è  data  dalla  storia  della  filosofia;  non v'essendo  sistema,  non  dottrina  filosofica,  nella  quale que'  due  concetti  non  rispondan  fra  loro  per  caratteri comuni,  e  per  note  affini  ed  omogenee.  E  poiché  applicare il  criterio  vai  come  imprimere  forma  al  conoscere,  onde poi  risulta  il  metodo;  è  naturale  che,  tanto  l' idea  della scienza,  quanto  quella  del  criterio,  abbiano  a  racchiu- dere altresì  la  nozione  del  metodo.  Se  non  che,  scienza metodo  e  criterio  sono  tre  concetti  dipendenti  dalla soluzione  d' un  medesimo  problema,  del  problema  della conoscenza:  nel  quale  perciò  si  radica  propriamente, direbbe  il  Trendelemburg,  l' ultima  differenza  de'  sistemi. Sono  dunque  tre  aspetti  diversi,  sono  tre  diverse determinazioni  d'un  medesimo  subbietto;  le  quali  noi non  possiamo  definire,  ma  espUcare,  stanteché  la  defi- nizione, secondo  il  detto  di  Campanella,  sia  come  la conclusione  e  quasi  l' epilogo  della  scienza  stessa.  Nel circolo  della  riflessione  infatti  la  mente,  ripiegandosi in    medesima  si  compie,  si  pone,  si  determina,  cioè si  definisce;  e  si  definisce  perchè  si  è  venuta  esplicando; e  con  r esplicarsi  mostra  col  fatto  che  cos'è  mai  T intendere, quali  vie  abbia  percorso,  e  con  che  guarentigie si  possa  pervenire  ai  risultamenti  più  sicuri  del  sapere. Nondimeno  ci  è  cose  che  noi  potremo  sapere  fino da  ora  ;  voglio  dire  le  condizioni  del  sapere.  In  che  mai dobbiamo  fondare  la  scienza?  In  che  porre  i  limiti  del sapere  metafisico?  I  più  de'  filosofi,  com'  è  noto,  si  fanno tosto  a  rispondere:  «  su  la  natura  e  sul  valore  dell'uomo stesso.  »  Ma  il  punto  è  precisamente  questo:  qual'  è  mai la  natura,  qual  è  il  valore  dell'  uomo  ?  La  risposta  più seria  e  positiva  a  tale  domanda,  se  non  vogliamo  per- derci nelle  solite  ciance  trascendentali,  panni  questa: che  l'uomo,  l'uomo  quale  ci  è  dato  da' fatti  e  dalla storia,  non  l' uomo  concepito  sotto  forma  di  spirito  del mondo  {der  WéUgeisf),  non  sia  tutto,  e  nemmanco  nulla  :  * di  che  ci  porgono  guarentigia  nel  medesimo  tempo  la coscienza,  l'esperienza  e  la  ragione.  Ora  se  questo  è  vero, due  conseguenze  n'emergono  innegabili;  la  prima,  che la  scienza,  tolta  nel  significato  di  sapere  metafisico, non  può  esser    propriamente  negativa,    propria- mente assoluta;  la  seconda,  che  non  si  può  esser  siste- matici e  dommatici,  non  essendo  noi  tanto  fortunati  da possedere  una  formola  assoluta  entro  cui  mostrar  chiusa la  ragione  ultima  e  propriamente  essenziale  delle  cose. Ma  diremo  perciò  che  il  filosofare  altro  non  possa  essere fuorché  una  pura  e  semplice  ricerca  sfornita  di  qual  si voglia  risultamento  metafisico  che  sia  positivo,  sicuro, determinato?'  Che  se  anche  per  noi  filosofia  suona ri- '  Homo  quia  neque  nthU  e«(,  neqite  omnia^  nee  nihil  percipit,  nec  in,' Jinitum,    De  sntiqaiss.  Italoram  sapientia,  cap.  Ili,  16. *  Filosofo  dommatieo  e  filosofo  nttematioo  a$8oluto  per  noi  suona  il medesimo,  anche  ammesso  che  un  sistema  possa  esser  costruito  per  sola Tìrtù  di  ragione,  e  innalzato  (se  fosse  possibile)  ad  evidenza  matematica, secondo  che  pretendon  gli  Hegeliani.  Il  dommatismo  volgare,  teologico, fondandosi  in  un  principio  estrinseco  alla  ragione,  è  da  ripudiarsi  per difetto;  ne  conveniamo.  Ma  il  dommatismo  sistematico  de*  metafisici  as- solati col  pretender  troppo,  anzi  tutto,  non  è  da  ripudiarsi  per  eccesso  ? Différiscon  ne'  mezzi  infinitamente,  io  lo  so  ;  ma  il  risultato  è  il  mede- cerca  e  amor  di  sapere,  nondimeno  è  ricerca  effettiva, è  ricerca  non  solo  atta  a  raccogliere  il  fatto,  ma  tale  che sia  un  fare  altresì  ella  medesima,  cioè  una  funzione  cri- tica, ma  efficace,  positiva,  attuale,  come  può  e  debb'es- sere  dopo  il  Kant;  funzione  quindi  capace  non  già  a  ri- mandarci al  futuro,  cioè  ai  risultati  della  storia,  sibbene a  saperci  dire  qualcosa  anc'  oggi  su'  grandi  e  terribili problemi  di  nostra  esistenza,  del  mondo,  della  vita,  della società.  Se  la  scienza  è  possibile,  come  alcuni,  positivisti cominciano  a  credere,*  non  vuol  essere  in  qualche  maniera attuale?  Poiché,  giova  bene  ripeterlo  anche  qui, un  possibile  che  mai  non  esca  dalla  nuda  possibilità,  in realtà  non  è  alti*o  che  un  impossibile! È  da  dire  perciò  che  tanto  V  idealista  assoluto  o l'ontologista  Giobertiano,  i  quali  in  una  formola,  tut- toché diversissima,  ti  assommano  la  ragione  d'ogni  umano e  divino  sapere,  quanto  il  positivista  e  il  puro  critico che  ogni  sapere  metafisico  dichiarano  impossibile,  escano tutti  dal  positivo,  perchè  chiudon  l'indagine,  e  spengono siffattamente  ogni  bisogno  critico  nel  pensiero.  E così  neir  uno  come  nell'  altro  caso,  la  mente  si  rimane impigliata  in  un'  affermazione  supremamente  dommatica:  dommatica  positiva  (sistematica)  nel  primo,  dom- matica  negativa  (esclusione  della  metafisica)  nel  secondo. Or  la  filosofia  intanto  può  assumere  forma  e  valore  di speculaziope  positiva,  in  quanto  riesce  a  schivare  non pure  il  donmiatismo  (il  sistema  assòluto  propriamente detto),  ma  eziandio  l'assoluto  positivismo  (scetticismo, nullismo  metafisico).  Fra  questi  contrari  il  filosofo  che Simo,  perchè  Tano  con  la  credenza  e  l'altro  con  la  dimostrazione  pre- samono  darci  tutto  il  vero.  Entrambi  quindi  negano  1*  attività  speculatÌTa; il  primo  la  nega  dichiarando  la  ragione  impotente,  il  secondo  la  nega reputandola  esauribile  anzi  esaurita  e  soddisfatta.  Che  nel]*  insieme  delle dottrine  del  Vico  non  vi  sia  pretensione  di  gUtema  propriamente  detto, Tabbiam  visto  riportando  (pag.  173)  alcune  parole  della  Conchu.  del Libro  MetaJUieot  e  meglio  si  può  vedere  laddov*egli  accenna  ai  dom- matici  del  suo  tempo  ch'erano  i  Cartesiani.—  De  Antiqui^,  etc.,  Gap.  I,  §  2. '  Vedi  la  Conclus.  dell'ultimo  libro  del  Taine  suìV Intelliyenza, voglia  esser  davvero  positivo,  sa  di  non  esser  dommatico;  ma  poi  sa  qualche  altra  cosa.  Egli  sa  di  non  poter esser  mai  dommatico,  non  mai  sistematico  assoluto. Sa  di  non  saper  tutto,  e,  che  più  monta,  può  giugnere a  conoscere  la  ragione  per  cui  deve  ignorare  qualche cosa.  È  il  caso  del  sapere  del  non  sapere,  appunto  per- chè se  ne  ha  coscienza.    E  non  è  ignoranza  cotesta? mi  si  dirà.    Sì,  certo,  è  ignoranza:  ma  è  ignoranza dotta,  direbbe  il  Cusano. Tre  ci  sembrano  adunque  le  condizioni,  tre  i  carat- teri precipui  del  filosofare  che  voglia  riescire  seriamente e  razionalmente  positivo;  e  sono  questi: A)  La  speculazione  filosofica  non  può  esser  fon- data sopra  elementi  che  non  siano  sperimentali,  ma  di esperienza  intema  ed  esterna.  Tutto  è  processo,  genesi, attività  nel  pensiero;  stantechè  tutto  in  lui  sia  generato, tutto  edotto  mercè  i  dati  sperimentali.    questo  vuol dire  sensismo,  psicologismo  grossolano,  nettampoco  materialismo ed  empirismo,  come  potrebbe  parere  a  tutta prima;  perocché  non  per  nulla  ne'  ricchi  annali  della moderna  filosofia  esistono,  chi  voglia  meditarli  sul  serio, i  Nuovi  Saggi  del  Leibnitz,  la  Critica  della  Ragion  pura e  quella  sul  Giudizio  di  Kant,  il  Nuovo  Saggio  del  Ros- mini, e  qualche  altro  libro  di  questo  genere,  ma  non certo  d' egual  valore.  Fatti  dunque  (ripetiamo  anche  noi co'  Positivisti)  e  leggi  de'  fatti  ;  ma,  aggiungiamo,  la ragione  anche  degli  uni  e  dell'altre. B)  La  filosofia  non  meriterà  titolo  di  positiva,  dove pretenda  procedere  scompagnata  dall'  altre  scienze,  e far  da  sé.  Come  nella  soluzione  de'  grandi  problemi  que- ste non  bastano  a    stesse,  parimenti  non  v'  è  ragione a  credere  che  anche  quella  da  sola  non  abbia  a  soggia- cere alla  medesima  condizione.  Che  se  mossa  da  antico orgoglio  presuma  d'essere  scienza  di  tutto,  per  ciò  appunto eli' abbisogna  di  tutto;  abbisogna  di  tutt'i  fatti, di  tutta  r  esperienza,  del  concorso  di  tutte  quante  le sfere  e  discipline  dell'  lunana  enciclopedia.  Il  perchè  non si  può  dire  in  modo  assoluto  esser  la  metafisica  quella  che generi  le  scienze;  vecchia  pretensione  del  teologismo che  ci  ricaccerebbe  nel  più  fitto  medio  evo:  ma  nean- che si  può  aflFermare  esser  le  scienze  quelle  che,  come altrove  notammo,  possano  di  per    sole  partorire  la filosofia.  A  due  patti  la  funzione  filosofica  riesce  positiva: quando  sia  generata  dalle  scienze,  e  quando,  ge- nerata che  sia  in  qual  si  voglia  modo,  possa  e  sappia come  ogni  produzione  organica  viver  da  sé,  e  far  vi- vere. Non  è  dunque  vero  che  all'altre  discipline  ella porga  principii  e  dispensi  metodi  e  partecipi  criteri.  Ri- ceve anzi  dal  di  fuori  tutte  queste  cose;  ma  per  legit- timarle, organarle,  ricrearle  :  il  che  non  può  esser  rico- nosciuto dal  positivista  conseguente  a    stesso,  senza ch'egli  inciampichi  in  contraddizioni  per  quanto  evidenti altrettanto  inevitabili. C)  Il  terzo  carattere,  conseguenza  da' due  primi,  è questo;  che  concepita  così  la  filosofia  di  fronte  alle  altre scienze,  ella  riesce  positiva,  ma  non  però  cessa  di  posse- dere un  valore  metafisico.  Diventa  metafisica,  non  meta- fisica teologica,    metafisica  a  priori  e  tutta  d'un  pezzo; orditura  dialettica  ideale  somigliante  a  rete  d' acciaio  che stringa,  affoghi  e  strozzi  tutto  ciò  che  tocca  o  ricopre. Diventa  bensì  metafisica  atta  a  costruire    stessa,  ma  in quanto  costruisce  anche  le  scienze;  in  quanto,  in  somma, é  attività  filosofica  d'un'  attività  anteriore,  dell'attività scientifica,  sperimentale,  molteplice,  essenzialmente  ana- litica e  particolare.  Non  é  quindi  lecito  confondere, né  identificare  queste  due  sorgenti  d'attività,  sia  ridu- cendo la  prima  alla  seconda,  sia  facendo  che  questa venga  tutta  assorbita  in  quella.  Evidentemente  con- traddiremmo ad  un  fatto;  contraddiremmo  al  bisogno potente  in  ogni  tempo,  in  ogni  luogo  per  la  speculazione. Perocché  non  è  possibile  (per  dirla  con  le  me- morabili parole  di  Kant)  che  V  uomo  rinunei  alla  me- tafisica, come  non  rinunzia  cMa  respiratone  anche  con la  paura  di  respirare  uri  aria  malefica. Queste  condizioni  che  noi  poniamo  alla  ricerca  filo- sofica sono,  quanto  semplici,  altrettanto  positive.  Non  è a  dirsi  eh'  elle  precludano  e  arrestino  in  modo  alcuno  la funzione  critica,  secondo  che  incontra  tanto  ai  nemici d'ogni  sistema,  quant'  ai  sistematici  assoluti.  Nel  deter- minare infatti  la  natura  e  '1  fine  della  scienza,  i  primi ci  dicono:  «  non  bisogna  tentar  V  impossibile  prefiggen- doci '1  fine  di  conoscere  VinconoscìbUe,  Tassoluto.  »  Ecco posta  al  sapere  una  condizione  essenzialmente  negativa, perchè  contraddice  alla  natura  stessa  del  pensiero  e  del- l' attività  critica.*  I  secondi  poi,  cioè  i  sistematici,  sostengono che  la  scienza  non  solo  può  e  deve  attingere r  assoluto,  ma  ha  da  ridurlo  trasparente  così  da  adequarlo, da  conoscerlo  sicuti  esty  altrimenti  vai  come  nulla conoscere.*  Ma  se  cotesto  conoscere  (metafisicamente) il  tutto,  fosse  un  bel  sogno;  non  ne  verrebbe  che  nulla *  I  poBitWisti  credono  anch*  essi  no  fatto  il  bisogrno  specalativo  ;  e come  fatto  noi  negano.  Ma  dopo  aver  distinto  quel  che  in  esso  ?*  ha  di permanente,  cioè  la  presenza  perpetua  dell'infinito  nollo  spirito,  da  ciò che  è  transeunte,  eh'  è  dire  1*  inutile  sforzo  a  risolverò  problemi  per  se medesimi  insolubili,  sogrgiungono :  e  Se  l'Assoluto  è  qualche  cosa,  non  può essere  che  una  realtà. Ora og^ni  realtà  si  conosce  mercè  l'esperienza,  la quale,  del  resto,  non  potendosi  applicare  all'Assoluto,  ci  fa  piombare  In un  circolo  senza  uscita.  Dunque  la  metafisica  e  una  fase  tratmtorta  dello •pirito  umano,  »  (Littré,  Prineip.  de  Phtl.  Posiu  Prófac.  p.  53, 1868.)  Innanzi tutto  domandiamo,  se  condizione  permanente  del  fatto,  che  nel caso  nostro  è  il  bisogno  della  speculazione,  ò  la  presenza  nel  pensiero d'un  infinito,  non  sarà  appunto  per  ciò  possibile  una  ricerca  metafisica? Quant'all'inutile  sforzo  poi  non  approda  fondarsi  nella  storia,  non  potendo in  siffatt'  ordin  di  cose  indurre  legittimamente  dal  passato  al  futuro. Finalmente,  quant'al  circolo  senz'uscita,  osserviamo  che  l'assoluto  è  reale, realissimo,  ma  non  di  realtà  sensata  e  tangibile  ;  e  non  è  vero  che  ogni realtà  non  si  possa  altrimenti  conoscere  se  non  per  l'esperienza  ;  errore capitale  del  Positivismo.  Queste  ed  altre  risposte  han  dato  al  Littré  i medesimi  francesi,  specialmente  Janet,  Caro,  Vacherot,  Rénouvier,  Pillon, Reville,  Laugel.  A  noi  piace  rammentargli  un'altra  bella  sentenza  d'un filosofo  poco  fa  citato  non  certamente  benevolo  ai  matefisici:  Una  me- tajinca  è  tempre  enttita  e  tempre  eneterà  nell*  umanità^  perche  etto  ì  ine- rente  alle  invettigagioni  della  ragione  umana  che  epecìda.    E.  Kant,  Critica ddUi  Ragion  Pura^  noli' Introd.  alla  2.*  odiz.  §  1. "  Niente  ni  conosce  te  tutto  non  ti  conotce.    Spaventa,  Lex.  di  FU. p.  154.    Vrba,  specialmente  nell' /n6  resultato  d'azioni  e  reazioni  fra  il  mondo  fisico  e quello  dello  spirito,  e  quindi  d'  una  doppia  serie  di leggi,  naturali  e  psicologiche,  modificate  dalle  diverse ,  attribuendogli  caratteri  e  valore  non  propri:  avrete  falsato  la natura  delle  scienze  ;  le  avrete  confuse  ;  ne  avrete  guasta  V  ìndole,  turbando cosi  tutta  r  economia  razionale  del  sapere. Questa  dottrina,  essenzialmente  psicologica  e  quindi  razionalmente positiva,  contraddice,  com'  è  evidente,  alla  distribuzione  enciclopedica de*  sistematici,  per  esempio  a  quella  del  Gioberti  e  di  Beerei  ;  e  nel  men- tre racchiude  i  pregi  della  classificazione  de*  Positivisti  inglesi  e  fran- cesi, ne  corregge  insieme  i  difetti.  Ma  i  pregi  e  la  verità  d*  un  criterio ordinativo  non  può  vedersi  altro  che  nelle  sue  diverse  applicazioni,  nelle •quali  non  possiamo  intrattenerci.  Solo  notiamo  che  tal  dottrina  ò  un*  in- terpretazione de*  principi!  psicologici  del  nostro  filosofo,  come  vedremo. *  T.  BuCKLS,  History  of  OivUiMation  in  England^  voi.  I,  cap.  2». fa  benissimo.  Ma  nella  sua  dottrina  cotal  distinzione  à un'inconseguenza.  La  costituzione  d'una  scienza  muove dalla  ragione  :  la  evoltmone  di  essa,  per  contrario,  è  frutto della  storia.  Or  se  F  una  cosa  non  è  V  altra,  è  da  con- cludere che  la  scienza  è  superiore  alla  storia.  Perchè dunque  compenetrarvela?  D'altra  parte,  non  è  punto  vero che,  vuoi  nella  genesi  ideale  o  psicologica  delle  scienze, vuoi  nella  lor  genesi  storica,  procedasi  dalla  parte  al tutto,  dal  semplice  al  composto,  dal  rudimentale  e  irreducibile al  complesso,  come  vogliono  i  Francesi.  È  vero bensì  che  dal  tutto  si  va  al  tutto,  cioè  dal  tutto  iniziale al  tutto  attuale,  o,  come  direbbe  lo  Spencer  in  suo  lin- guaggio, dall'  omogeneo  slVeferogeneo,^  La  genesi  storica del  sapere,  infatti,  rassomiglia  quella  della  società  stessa: nella  quale  dapprima  i  poteri  dello  Stato,  per  esempio, anziché  distinguersi  fra  loro,  formano  un  potei'e  unico  ; e,  anziché  individui  liberi,  vi  esiste  un  solo  individuo. Parimenti  le  scienze  forman  dapprima  una  scienza  ;  uno le  possiede,  uno  o  pochi  le  insegnano,  come  uno  è  quegli che  comanda.  Però  diciamo  che  la  genesi  storica  di  esse procede  per  tre  momenti  (vecchio  concetto  aristotelico) cioè  :  Sintesi  iniziale  e  confusa,  poi  Analisi,  e  poi  Sintesi finale.  Nel  primo  di  cotesti  momenti  non  s' ha  una  data serie  di  scienze,  come  dice  il  positivista  francese.  S' ha bensì  tutte  le  scienze,  ma  fomite  d' un  carattere  comu- ne ;  il  qual  carattere  sta  nel  comporre  il  sapere  traen- done le  ragioni  da  tutt'  altra  fonte  che  non  è  Y  intimità stessa  dello  spirito.  In  questo  primo  momento,  in  somma, *  La  legge  secondo  cui  lo  Spencer  chiarisce  la  sua  teorica  del  pro- gresso con  tanta  sapienza  ed  erudizione  da  lasciar  maravigliata  la  mente d*ogni  lettore,  si  potrebbe  applicare  benissimo  alla  genesi  delle  scienze intesa  storicamente.  Egli,  come  8*ò  detto,  non  ha  fatto  quest'applicazione. Ma  ci  è  da  sospettare  che,  facendola,  rieacirebbe  incompleta,  com*  è  in- completo il  principio  su  cui  è  basata.  Il  procedere  daW  omogeneo  alV  ete- rogeneo è  davvero  un  processo  :  ma  è  processo  che  non  risolve,  mancan- doci un  terzo  momento  necessario  a  compiere  il  primo  e  *1  secondo.  Oltre questo  difetto,  il  principio  dello  Spencer  ha  V  altro  di  non  esser  nuovo, anzi  vecchissimo,  perchè  risale  ad  Aristotele  :  *Aft  70?^  sv  tw  iffS^C \jncf.p^st  To  vfpÓTtpov,  De  An.  II,  m. lo  spirito  è,  come  dire,  fuori  di  sé,  nella  natura,  nelr  autorità,  e  quindi  la  scienza  è  quasi  indotta;  ma  tale induzione  dapprima  è  affatto  empirica,  naturale,  gros- solana, divina,  direbbe  il  Vico.  Nel  secondo  momento ci  ha  distinzione,  analisi,  astrazione  :  e  qui  la  mente, accostandosi  a    medesima,  deduce.  Nel  terzo,  final- mente, il  pensiero  possiede    stesso,  perchè  possiede l'altro:  egli  é  filosofia  perchè  è  scienza;  ed  è  scienza vera  perchè  è  filosofia.  Ci  è  dunque  rispondenza,  ci  è  ar- monia fra  la  genesi  ideale  e  la  genesi  stòrica  della  scien- za, non  già  compenetrazione,  come  vorrebbe  il  Comte. Anche  noi  quindi  crediamo  in  una  legge  di  succes- sione nell'attività  del  pensiero;    respingiamo  una  di- sposizione gerarchica  e  genealogica  del  sapere.  Ma  né r  uua  è  assoluta  filiazione,    1'  altra  è  composizione organica  e  compatta    che  le  scienze  che  seguono  altro non  possan  essere  fuorché  semplici  appendici  di  quelle che  precedono.  È  vero:  il  pensiero  nella  storia  as- sume innanzi  tutto  forma  teologica.  £  quando  accada eh'  egli  abbia  carattere  metafisico,  il  suo  contenuto  sarà sempre  di  natura  mitologica,  religiosa,  tradizionale,  ri- velata, essendo  sempre  un  prodotto  d' autorità.  Appresso riveste  forma  naturale  ;  stanteché  sorgano  le  scienze  le quali,  svolgendosi  com' elementi  particolari  del  papere, si  vanno  liberamente  determinando  con  metodo  appropriato a  ciascuna  di  esse.  In  un  terzo  periodo,  final- mente, piglia  forma  complessa  e  insieme  universale  come nel  primo;  toa  non  più  sotto  forma  teologica,    me- tafisica ed  a  priori,  bensì  filosofica;  appunto  perché  è deputato  a  raccoglier  la  ricca  eredità  accumulatasi  negli antecedenti  periodi.  Or  se  è  vero,  come  dicemmo,  che il  pensiero  è  superiore  alla  storia  tuttoché  emerga dalla  storia,  non  è  men  vero  che  la  speculazione  riflessa trascende  anch'olla  le  scienze,  comecché  dalle scienze  sia  venuta  germogliando.  CJondanniamo  dunque, anche  noi,  la  metafisica  che  si  presenta  com' elabora- zione teologica  riflessa.  Condanniamo,  per  dirla  col  Lit- tré,  quel  punto  di  vista  metafisico  eh' è  trasformaeiane del  punto  di  vista  teologico.  Ma  potremmo  condannare quella  metafisica  eh' è  insieme  critica  e  inveramento del  punto  di  vista  positivo?  In  altre  parole,  condan- niamo rìsolutamente  la  metafisica  fatta  a  priori;  ma non  meno  risolutamente  neghiamo  che  la  terza  fase^  il terzo  stato  della  scienza,  abbia  da  esser  positivo  nel senso  che  i  Francesi  tolgon  questa  parola.  Lo  staio positivo  de'  Gomtiani,  afferma  un  giudice  non  sospetto, non  è  che  un'ignoranza  confessata  della  causa:  an avowed  ignoring  of  cause  àltogether^  Ed  è  veramente così.  L'attività  riflessa  della  ragione  intanto  giugno  ad esser  funzione  critica  feconda  e  profittevole,  in  quanto riesce  a  superare  il  positivo  mediante  il  positivo.  Or  è tejnpo  d' interrogare  il  nostro  filosofo. Che  cosa  ci  lascia  indurre  il  Vico  tanto  riguardo al  concettx)  della  scienza  in  generale,  quanto  rispetto alla  costituzione  e  coordinamento  delle  umane  disci- pline? Rifacciamoci  da  questo  secondo  punto. Ei  non  parla  di  formolo  dommatiche,    d'alberi genealogici.  Anzi  ci  avverte  come  in  certo  senso  la metafisica  abbia  da  esser  subordinata  aUa  fisica;  la quale    per  vero  ciò  che  sperimentalmente  possiamo imitare}  Sennonché  qui  è  da  far  piìi  osservazioni.  Una scienza  è  indipendente  nel  metodo  e  autonoma  nel  pro- cesso. Questo  è  il  nostro  pensiero.  Ma  potrebb' esser '  Sprncrb,  The  daasif.  of  The  Scienc,,  2*  ed.,  p.  87. *  De  Anttq.  hai,  Sap,^  nella  Condunone,  Si  dirà  che  per  lai  la scienza  tovrana  sìa  la  teologia:  ed  è  t ero;  ma  è  sovrana  solo  in  quanto è  la  piil  oerta.  Ora  il  eerto  nelle  sue  dottrine  non  è  il  vero,  ciò  ò  dire un  prodotto  di  ragione,  bensì  un  effetto  di  persuasione,  un  prodotto di  natura  empirica  inseritoci  nell*  animo  dall*  autorità.  Quanto  egli  poi si  mostri  avverso  alle  scompartÌEioni  sistematiche  delle  scienze,  vuoi nel  senso  pontivteta,  vuoi  nel  senso  metajUieo  dommatico^  può  vedersi  là dove  con  sottile  ironia  parla  de'  Cartesiani  (dommatici  del  suo  tempo) i  quali  unum  Metaphyeicam  «Me  docent  qua  notte  indubium  det  verum^  et ab  eOf  TAKQUiM  a  fontr  teeunda  in  aUa»  teientiae  derivari.»,,  quare  metaphyeieam  eeterie  »eientu9  fundo»^  euique  9uum  aatedere  exietimant.  Op. oit,  cap.  I,  §  II,  1. anche  tale  nelle  sue  ultime  conclusioni?  No,  certo: stantechè  queste,  essendo  di  natura  universale,  hann'  a dipendere  dal  lavoro,  anziché  d^una,  di  tutte  quante le  umane  discipline.  Più  ancora:  potrebb'ella  dirsi  in- dipendente rispetto  alle  condizioni  logiche  e  formali? Nettampoco:  se  così  fosse,  tornerebbe  impossibile  l'unità della  enciclopedia.  Finalmente  si  potrebbe  osservare, con  lo  Spencer,  che  a  sapere  se  i  corpi  esistano  la fisica  non  abbisogni  nuli' affatto  della  metafisica.  Ed è  vero.  Ma  evidentemente  cotesta  notizia,  più  che  ra- zionale, è  notizia  empirica.  Or  bene,  quando  il  fisico volesse  darsi  dimostrazion  razionale  del  soggetto  o della  materia  eh'  egli  ha  fra  mano,  e  cod  legittimare il  postulato  onde  move  il  suo  pensiero,  non  diverrebbe per  ciò  solo  un  filosofo?  Diverrebbe,  io  credo.  Nel processo  della  scienza,  dunque,  v'ha  un  momento  nel quale  il  fisico,  od  altri  che  sia,  non  può  far  a  meno della  speculazione  metafisica.  Se  a  tal  esigenza  egli sappia  e  possa  per  avventura  soddisfare  da  sé,  tanto meglio  :  vuol  dire  che,  oltre  d' esser  fisico  e  fisiologo  e geologo  e  simili,  egli  è  anche  filosofo.  Ma  ov'  egli  non senta  questo  bisogno,  con  che  diritti  e  ragioni  disco- )ioscere  ogni  valore  alla  ricerca  filosofica?  Il  vincolo che  tutte  aduna  e  stringe  le  scienze  son  le  norme  logiche ;  la  necessità  logica  che  scaturisce  dall'  intima  costituzione dello  stesso  pensiero.  Intesa  quindi  come  logica, la  filosofia  precede  e  accompagna  le  sfere  diverse  del sapere;  ma,  in  quant'è  metafisica,  ella  tien  dietro  ad esse,  e  ne  é  il  risultato  finale.  E  anche  in  ciò  siamo Aristotelici.* *  Mei.,  V.  --  Tal  si  è  pure  la  sentenza  del  Vico.  In  questo  senso  egli afferma  che  ninna  geienta  bene  incomineia  »e  dalia  mektfieiea  (logica)  non prenda  i  prineipii;  perchè  ella  ì  la  eeienna  che  ripartieee  alle  altre  i  lor propri  eoggetti;  e  poichi  non  pud  (in  quanto  metafisica)  dare  U  9W>,  dà loro  immagini  del  euo.  Onde  la  Geometria  ne  prende  U  punto  e  V  dieegna  ; VArUmetiea  V  uno,  e  *l  moltiplica  ;  la  Meccanica  il  conato,  e  V  attacca  ai corpi.  (Risp.  al  Oiomale  de^Lett.)  In  queste  parole  parmi  chiaro  T  ufficio della  filosofia,  in  generale,  rispetto  alle  altre  scienze.  Filosofia  è  logica. Veniamo  al  concetto  della  scienza;  ma  gioverà  fare innanzi  tratto  un'  osservazione  storica.  Dicemmo  com'  il Vico  sia  tra  Cartesio  e  KAnt,  vuoi  storicamente,  vuoi teoreticamente.  Posizione  puramente  psicologica  è  quella del  primo;  puramente  logica  e  psicologica  quella  del secondo,  la  cui  dottrina  perciò  molto  acconciamente  è stata  detta  Idealismo  crìtico,  o  Criticismo  ideale.  Nella posizione  cartesiana,  avvertimmo  anche  questo,  il  pensiero non  è  altro  che  un  fatto  (pag.  185-86):  la  coscienza  trascendentale di  Kant  poi  tiene  doppio  rispetto;  è  una  e molteplice,  è  diflferenza  e  medesimezza,  in  quanto  importa il  doppio  elemento  formale  e  materiale  nella  cognizio- ne. Ora,  per  quanto  diverse,  queste  due  posizioni  han comune  un  carattere;  quello  d'esser  solitarie,  astratte, puramente  suhbiettive,  e  quindi  insufficienti  ;  nel  che  ci confermerebbe,  s'altro  mancasse,  il  resultato  puramente speculativo  cui  pervennero  le  scuole  diverse  inaugurate da  que'  due  filosofi.  L' analisi  della  Ragion  pura  alla  fin fine  a  che  mai  riesce  ?  A  metterci  in  guardia  dell'assoluto di  ragione,  rilevandone  i  paralogismi  e  le  antinomie,  e facendoci  assistere  scontenti  e  umiliati  a  quell'inutile ideale  che  ci  rende  immagine,  a  dir  cosi,  dell' acqua  di Tantalo  :  per  cui  s'è  detto  che  l'autore  del  Criticismo,  sempre per  quell'  esigenza  d' un  ideale  rimastogli  in  tronco, scambio  di  chiudere,  apri  anzi  le  porte  ad  una  varietà di  scetticismo,  come  osserva  il  B.  Saint-Hilaire  :  nel  che tutti  convengono,  perfino  Hegel,  il  quale  appunto  con l'idealismo  obbiettivo  e  assoluto  cercò  soddisfare  aU' in- soddisfatto bisogno  della  Ragion  pura.^  Cartesio  poi  dove psicologia,  metafisica  e  simili.  Come  logica  eli*  è  scienza  madre,  in quanto  è  universale  condizione  d*  ogni  disciplina.  Che  poi  in  senso  di metafisica  debba  riguardarsi  come  risultato  finale,  ci  è  avvertito  dnl  medesimo filosofo  dove  accenna  alla  relazione  eh*  ella  ha,  per  esempio,  cou la  geometria:  Geometria  e  Metaphy$iea  mum  verum  tMccipity  et  aecepttun (e  però  elaborato)  in  iptam  Metaphynctim  refundit.  De  Antiq.y  101.  *  Giusta  quindi,  per  tal  motivo,  Taccusa  fatta  al  Criticismo  dallo  stesso B.  Saint-Hilaire:  Kant  a  voulu /aire  une  revolution}  il  na  guère  en/anté qu'iine  anarokie  plue  fatale.  Log.  d' Axist.,  Pref.  p.  CXLVUL si  riduce  egli?  Alla  necessità  d' invocare  il  solito  Deus  ex machina,  tornatogli  insufficiente  il  criterio  delPevidenza e  deir  idea  chiara  e  distinta  ;  *  senza  dir  già  eh'  egli medesimo  annunziava  il  Cogito  qual  semplice  ritrovato atto  a  soddisfare  il  bisogno  di  sua  mente,  non  già  pel fine  d' insegnare  agli  altri  un  metodo  a  ben  governare il  pensiero  :  seulement  (son  sue  precise  parole)  de  faire voir  en  quelle  sorte  fai  tàché  de  conduire  la  mienne. Nella  posizione  del  Vico,  per  contrario,  è  schivato nel  medesimo  tempo  tanto  il  fatto  empirico  di  Carte- sio, e  quindi  V  indirizzo  dell' ecclettismo  e  di  quel  timido spiritualismo  che  da  lui  hann'oggi  redato  i  Francesi, quanto  lo  scetticismo  al  quale  pur  tiene  aperto  il  fianco  il criticismo,  nonché  quella  serie  di  posizioni  che,  nate  dal Kant,  riescono  all'  Idealismo  assoluto.  Con  qual  mezzo? Con  un  mezzo  semplicissimo.  Col  criterio  del  vero  e  del fatto  ;  ma  elevato  a  dignità  e  valore  di  principio.  L'osser- vazione che  il  Vico  fa  a  Cartesio  è,  quanto  agevole,  altrettanto efficace.  Neanche  gli  scettici  dubitano  di  pensare, egli  dice:  essi  aifermano  solo  che  del  pensiero  non  si possa  avere  scienza,  bensì  cosdensa}  Ora  il  pensiero  car- tesiano è  un  eerto,  non  già  un  vero;  quindi  ha  natura  di segno,  d'indizio  certo  (rsxfxyj/jtov),  della  cui  certezza  ninno al  mondo  non  ha  mai  saputo    voluto  dubitare.  Di  qui si  vede  come  la  sua  posizione  speculativa  non  istia  già nell'aflFermare  una  verità  di  fatto,    nell' indagarne  l'origine, la  genesi,  la  guisa:  cioè  nel  far  la  critica  del  vero che  appare  alla  coscienza,  perché  sdre  est  tenere  genus seu  formam  qua  res  fiat.  E  si  vede  come  il  criterio  vi- chiano  del  fare  il  vero  acchiuda  una  dottrina  schietta- mente aristotelica,  eh'  è  dire  la  ragion  vitale  di  quel- *  Yed.  le  bello  riflessioni  del  Rsnottvzkb  in  proposito.  EnsaU  de  Ori- tiqne  generale^  toni.  Il,  part.  3. '  I  difetti  che  nella  posizione  Cartesiana  scorge  il  nostro  filosofo  gli abbiamo  già  riferiti  (p.  186).  II  Gioberti  non  s'ingannava  nel  dire  che Oarteno  non  ebbe  il  menomo  sentore  de*  teeori  che  n  acchiudono  nel  SUO Cogito.  (Protol.  VOLTI,  p.  250.) l'artifizio  logico  secreto,  naturale,  onde  la  mente  nel discorso  rinviene  il  medio  termine.  La  mente  sa  perchè fa:  AtTtov  Sort  vójfjffef  >?  i^épytia}  Or  di  cotesta  attività occulta,  superiore  ed  essenzialmente  eduttiva,  sensisti, scettici,  empirici,  positivisti  non  hanno  coscienza.  Essi ignorano  cogikdionis  causs€e,  seu  quo  poeto  cogitalo  fiai^ *  ilTTff  ff9.ittpòit  OTt  ra  ?ov«p£i  ovra  tiQ  ivspysiav  àva- '^òiJLstfx  gUjOtcxerai.  Airtov  5'ò?i  vónii^  >j  èvipynx.  ÌItt'  $5 ève py  e  loti  >i  Sxivafii^'  xa«  Antiqui^.  ItaLf  cap.  L  §  II.  Anch'  egli  quindi  è  scettico  la  sua parte:  e  debb' essere,  in  forza  del  suo  medesimo  criterio.  Ritiene  infatti che,  quantunque  la  mente  conosca    stossa,  ignora  nondimeno  la  propria genesi  :  Dutn  «e  mens  cognoscttp  non  facit;  et  quia  non  /acit^  neacit genvs  quo  «e  cognoscit.  (Ibi,  §  I,  17.)  Con  la  qual  sentenza  potrebbe  sembrare cb'ei  cada  in  contraddizione  con    stesso;  ma  riflettendo  che  la mente  che  «»  conotce  qui  ya  intesa  non  come  facoltà,  bensì  come  potenza (della  qual  distinzione  ragioneremo  appresso),  la  contraddizione  si  dile- gua. Così  pure  è  da  intendersi  quell'altra  sentenza  ove  dice  che  l'occhio Tede  le  cose,  e  pur  non  vede    stesso;  che  a  veder  so  medesimo  egli abbisogna  d'uno  specchio;  e  però  chiama  insufficiente  l'idea  chiara  e  di- stinta di  Cartesio.  Dal  tutt' insieme  quindi  possiamo  argomentare  tre conseguenze  :    Che  la  posizione  del  Vico  non  è    dommatica    scettica, ma  essenzialmente  critica;  e  Critica  del  vero  per  eccellenza  egli  definisca, ricordiamolo  anche  qui,  la  metafìsica  :    Che  a  pervenire  al  sapere  scien- tifico non  basti  il  eerto,  il  fatto,  l'indizio,    il  criterio  che  il  vero  sia il  fatto;  ma  è  d'uopo  che  cotesto  criterio  sia  levato  anche  a  principio: 3"  Che  a  Ini  non  manca  il  nuovo  pensiero,  il  nuovo  Cogito  reoo  bum, come  vorrebbe  Spaventa;  anzi  possiede  chiara  l'esigenza,  per  lo  meno, della  critica  psicologica,  bastevole  a  prevenire  il  Kant.  Dico  esigenza, perché  il  problema  critico  a  lui  si  presenta  sotto  1'  aspetto  isterico,  ciò che  forma  la  sua  novità  ;  e  avvertimmo  come  V  aspetto  storico  importi  già r  esigenza  psicologica.  Se  poi  si  vuol  dire  che  a  lui  manchi  il  Cogit*» nel  significato  di  mediazione  assoluta  e  però  di  perfetta  trasparenza  deWes- aercf  Spaventa  ha  ragione.  Ma  questo  per  noi,  anziché  difetto,  é  pregio grandissimo.  E  qui  il  filosofo  di  Napoli  é  tanto  dappresso  a  quel  di Kcenisberg,  quant' altri  non  s' immagina.  Dommatici  e  sistematici,  hege- liani e  ontologisti  cattolici,  unisconsi  ad  una  voce  nel  battezzare  scet- tico l'autore  del  Criticismo.  Perciò  gli  Hegeliani  credono  compierlo  di- cendo, che  la  Ragion  Pratica  ò  siffattamente  collegata  con  la  Ragion Pura,  che  la  prima  in  sostanza  non  sia  altro  che  l' incarnazione,  il  com- plemento della  seconda,  ma  che  questa  di  per    stessa  inevitabilmente meni  allo  scetticismo.  Io  non  vo'  negar  tutto  questo.  Osservo  solo  che due  sono  i  grandi  concetti  di  Kant:  1*  che  non  si  possa  giungere  al vero  sistema,  alla  dottrina  propriamente  dommatica^  2*  che,  ciò  non Non  si  può  ridire  il  mal  governo  che  s' è  fatto  e  se- guita a  farsi  del  criterio  vichiano.  In  molti  libri  leg- giamo: criterio  del  vero  è  il  fatto;  e  da  tutti  è  stato  inteso  • 0  in  modo  materiale  ed  empirico,  ovvero  in  significato trascendentale  e  assoluto.  Se  così  fosse,  quel  filosofo avrebbe  consacrato,  da  una  parte,  ogni  sorta  d'empirismo e  di  materialismo  ;  e  dall'  altra  avrebbe  fatto  ragione  ad ogni  maniera  di  panteismo.  La  formula  vera,  la  vera  po- sizione della  scienza  e  del  pensiero,  per  lui,  non  è  questa: Criterio  dd  vero  essere  il  fatto  ;  bensì  quest'  altra  :  La conversione  del  vero  col  fatto.  Fra  la  prima  e  la  seconda ci  è  un  abisso  addirittura.  E  per  veder  cotesto  abisso e  ritrarsene,  è  mestieri  penetrar  Bell'insieme  delle  sue dottrine  con  la  luce  del  medesimo  principio.  La  chiave  di volta  d' ogni  positiva  speculazione,  e  quindi  il  vero  Deus intus  adest  della  mente  di  questo  filosofo,  e  però  il  bandolo a  strigar  tanti  nodi  che  avviluppano  il  suo  pensiero,  è  ap- punto cotesto  criterio,  secondo  che  noi  lo  interpretiamo. 11  criterio  ha  da  esser  egli  un  segno,  un  indizio  del vero,  0  piuttosto  un  primo  vero?  Ha  da  esprimerci  un dato,  un  fatto,  o  pur  V  essenza  del  vero,  la  condizione originaria  e  trascendente  del  conoscere? Intendendolo  al  primo  modo,  la  scienza  tornerà  impossibile, e  trionfa  lo  scetticismo  ;  perocché  non  ci  sal- veremo dal  noto  circolo  eh' è  questo:  «  per  conoscer  la ostante,  non  si  cada  nollo  scetticismo,  appunto  perchè  egli  non  crede che  il  non  esser  sistematici  Teglia  dire  essere  scettici  addirittura. (V.  Critica  dtUa  Ragion  Pura,  2*  P.,  Gap.  IV.)  Per  me  la  riyoluzione operata  dal  filosofo  prussiano  nel  regno  della  speculazione,  cioè  quanta alla  natura  del  sapere,  sta  tutta  qui.  Il  Vico  in  ciò  lo  prevenne:  almeno era  su  la  medesima  strada.  Quindi  può  dirsi  che  entrambi  condannino le  due  posizioni  esclusiye  del  Si^temaH^mo  e  dello  Soetticinno. verità  è  necessario  il  criterio;  e  per  ayer  il  criterio  è necessaria  la  verità.  »  Pigliandolo  poi  nel  secondo  modo, difficilmente  schiveremo  un  sistema  esclusivo  e  domma- tico.  Il  vero  criterio,  dunque,  ha  da  esser  Tuna  cosa  e l'altra;  indizio  e  principio.  Come  indizio,  come  postulato atto  a  conquider  lo  scetticismo  e  inaugurare  la scienza,  e' consiste  nel  porre,  come  si  è  detto,  il  fatto  qual criterio  del  vero  ;    e''  è  altra  via.*  Come  principio,  sta nel  porre,  dall'una  parte,  la  conversione  del  vero  cól fatto,  e  dall'altra,  come  appresso  mostreremo,  la  con- versione del  fatto  nd  vero,  applicandolo  all'  essere  e  a tutte  le  categorie  dell'essere.  Or  in  questa  seconda forma  assume  egli  davvero  natura  di  principio?  Di certo,  l'assume;  giusto  perchè  importa  l'essenzial  con- dizione dell'essere  stesso.  Ma  non  anticipiamo. Abbiam  detto  che  di  questa  dottrina  del  Vico  s'  è fatto  mal  governo.  Mostrammo  già  come  primo  fra  tutti ne  discorresse  il  Mamiani,  e,  poco  appresso,  il  Rosmini. Giova  qui  riassumer  le  ragioni  della  controversia  fra' due filosofi.  Il  Mamiani  accogliendo  questo  criterio,  come  si disse,  osserva  che  con  esso  il  Vico  non  intende  pro- por  nulla  che  esca  da'  termini  della  intuinone  (secon- dochè  allora  diceva  l'A.  del  Rimiovamento),  ma  considerare in  essa,  oltr'  a'  caratteri  universali,  alcune  doti più  particolari,  col  fine  di  proferire  a  un  tempo  medesimo il  criterio  della  certezza,  e  '1  criterio  della  scienza. In  altre  parole  egli  dice  :  col  suo  criterio  il  Vico  intende guardare  non  pure  al  formale  della  cognizione,  ma  ezian- dio al  materiale  obbiettivo.*  Tutto  questo  è  vero  ;  ed  è verissimo  che,  tranne  la  natura  fisica  e  quella  degli  atti del  mondo  estemo,  tutt'  altro  pel  filosofo  napoletano  sia produzione  del  pensiero,  com'avviene  dell'algebra  e  della geometria.  È  fuori  dubbio  altresì  che  il  criterio  per  lui non  pure  ha  da  esser  segno  del  vero,  ma  anche  principio. *  «  Nee  ulla  »ane  alia  patct  via  qua  eeepticit  re  ipaa  convelli  poétit,  niti ut  veri  criterium  9Ìt  id  ip»um  fecitte*  t    De  Antiquisi,  Ttaì,,  cap.  1,  §  III. •  ìiAìttAVif  Rinnovdm,  ec,  p.  474. Sennonché  FA.  del  Rinnovamento  non  vide  allora  ciò  che avria  potuto  e  dovuto  veder  oggi  V  A.  delle  Confessioni. Non  vide  che  l'aspetto  originale  di  tal  dottrina  non  istà nel  riguardare  il  criterio  vichiano  qual  semplice  segno  ed inizio  di  scienza,  ma  qual  principio,  qual  legge  dell'es- sere stesso  in  universale.  Laonde  non  avendone  còlto altro  che  il  significato  psicologico,  accadde  che  alla possente  lima  del  Rosmini  non  poteva  tornar  guari  difficile ridurre  in  polvere  cotesto  criterio  al  modo  che  ma- neggiavalo  il  Mamiani.' Se  non  che  è  da  confessare  come  neanche  il  Rosmini dal  canto  suo  valesse  a  cogUere    la  dottrina  in  discorso né  quella  parte  di  vero  che,  con  altrettanta  verità  quanto calore,  propugnava  il  Pesarese.  È  noto  che  il  criterio  pel Rosmini  ha  da  essere  un  principio,  e  dev'  esprimere  la verità  prima,  l'essenza  della  verità.  Or  qual  è  l'essenza del  vero?  Eccotelo  ricorrere  al  solito  rifugio  àeW Ente idmle!  Ma  se  cotesta  potrà  dirsi  condizione  di  cono- scenza, non  però  é  principio  di  scienza,  criterio  del  sa- pere per  via  di  scienza.  Che  cosa  potrà  insegnarci  mai con  la  sua  vuotaggine  l'essere  possibile?  l^ou  è  dunque cotesto  il  criterio  di  cui  parlava  il  Mamiani,  e  tanto meno  quello  del  Vico. — Non  potendo  indugiare  in  mi- nute osservazioni  sul  modo  con  che  il  Rosmini  interpreta la  dottrina  di  che  parliamo,  osserveremo  solamente  che sapere  il  vero,  pel  filosofo  di  Napoli,  non  é  solo  un  cono- scere il  vero,  come  vuole  il  Rosmini,  ma  è  porre,  è  fare,  é creare  il  vero;  altrimenti  per  nessun  miracolo  al  mondo giugneremmo  ad  averne  notizia.  Conoscere  pel  Vico  non *  RosMiKT,  Rinnovami,  ddla  FU.  in  Ttalia,  Milano,  1836,  cap.  XXXV. Gioverebbe  Ieg(?ere  in  questo  copioso  volarne  del  Roveretano  qnel  lungo capitolo  e  que*  prolissi  cementi  nonché  quelle  sette  conseguenze  che  la invitta  dialettica  Rosminiana  seppe  cavare  dal  criterio  secondochè  in- tendevalo  il  Mamiani.  A  lui  bastò  congegrnare,  al  solito,  una  di  quelle sue  tavole  sinottiche  nelle  quali  ei  dimostra  di  quanta  e  qual  vena  analitica fosse  ricca  la  sua  mente,  per  metter  Tavversario  col  suo  criterio accanto  ad  Elvesio,  ad  Epicuro  e  ad  altrettali!  Ved.  Tav.  Sinottica  (WSitt. FU.j  intomo  al  criterio  della  cert&ma^  voi.  cit.,  p.  318. è  vedere,  non  è  patire,  non  è  semplicemente  appren- dere. È  vedere,  patire,  apprendere,  appunto  perchè  il pensiero  è  essenzialmente  un  conoscere.  In  una  parola, se  il  vero  non  si  conosce  facendolo,  non  si  conosce nuU'aifatto;  non  s'intende.*  Quand' è  infatti  che  di- ciamo di  pensare?  Giusto  quand'abbiamo  idee.  Avere idee  importa  cólligere  dementa  rei;  ex  quibus  perfecHs- sime  exprimatur  idea.  Il  vero  è  l' idea,  ma  l' idea  in- nanzi che  sia  tale:  è  l'idea  germe,  l'idea  potenza,  la stesso  spirito  in  potenza,  il  pensiero  non  per  anche  at- tuatosi come  tale:  in  una  parola  è  il  senso  che  si  leva a  dignità  d' intelletto.  Raccolta  l' idea,  fatta  l'idea,  cioè dispiegatasi  la  meìite,  eccoti  il  vero-fatto.  Mi  si  domanderà in  che  maniera  il  Vico  chiami  esterni  gli  elementi onde  risulta  l'idea?  Perchè,  rispondo,  l'eduzione  del- l'idea suppone  la  formazione  del  concetto;  e  il  concetto suppone  una  serie  di  atti  induttivi  che  appresso  deter- mineremo. Tutto  ciò  è  come  estemo  all'idea;  è  condi- zione, non  causa  del  suo  processo. Senonchè  col  raccorre  gli  elementi  esterni  la  mente pone  qualcosa  di  proprio:  pone  se  stessa  come  pensiero; diventa  ella  stessa  le  cose  ;  diventa  tutte  le  cose.  Ond'  è agevole  vedere  come  il  criterio  del  Vico  sia  il  princi- pio del  metodo  geometrico,  che  per  lui,  ricordiamoci,, suona  genetico.  Mi  spiegherò  con  un  esempio.  Come si  hanno  gli  assiomi,  le  verità  prime  e  necessarie,  se- condo i  positivisti?  Mercè  1'  esperienza,  risponderebbe il  Mill.  L' assioma  che  due  rette   non  cTiiudono  spazio *  «  Leggere  è  raccogliere  gli  elementi  della  tcriUura  onde  le  parole  tono composte  ;  con  V  intendere  è  COLLIORBB  elbmbnta  RBI,  KX  QUIBUS  PRRrBCTis-31VA  RXPRIMATOR  IDRA.  Donde  è  lecito  conghietturare  che  gli  antichi  ittt- liani  conveniseero  in  queeto  pensiero  :  Vbrum  rssr  ipsuv  factum.»  Qual  è cotesto  fatto?  È  il  pensiero,  il  vero-fatto:  perchò  ricevuto,  indotto,  rac- colto, e  anche  edotto  dalla  mente.  In  tale  questione  il  nostro  filosofo, contro  il  solito,  non  manca  di  chiarezza.  Egli  infatti  dice:  e  AUora  il  vero 9Ì  converte  col  /atto,  quando  trae  il  9uo  essere  dalla  mente  d^  lo  eonoece  ; HI  QDOD  YERUM  00GNO8CIT0R  SUUM  K8SR  A  MBNTB  HABBAT  QUOQaR  A  QOA cooKosci'TOR.»  De  Antiqui^,,  cap.  I,  De  Origine  et  ventate  Scientiaruni.. Sgorga  immediate  dall'esperienza.  Che  se  apparentemente si  origina  dal  pensiero,  cotesto  pensiero  in  tal caso  non  è  altro  salvochè  una  ripetizione  dell'espe- rienza :  è  r  immaginazione  che  allarga  i  limiti  del  fatto. Ma  questa,  evidentemente,  se  è  una  maniera  di  sapere, non  è  il  vero  conoscere;  perchè  cotesto  conoscere  non sarebbe  una  mia  fattura,  sibbene  imitazione,  copia  del- l'esperienza.  Che  cosa,  invece,  vi  direbbe  il  Vico  a  tal proposito?  Direbbe:  non  istate  a  immaginarvi  due  rette portevi  già  dall'  esperienza  e  poi  prolungate  all'infinito: fatevele  da  per  voi  medesimi  coteste  rette.  Ma  come  farle  ? Generandole  entro  voi,  per  voi  stessi,  con  elementi  sperimentali; e  così,  più  che  l' immagine  del  fatto,  avrete  la vera  definizione,  e  però  la  genesi  del  fatto.  Concepite il  punto  come  prolungato  verso  un  altro  punto  :  eccovi  la linea.  Or  se  due  rette  hanno  in  comune  due  punti,  po- trann'elle  chiudere  spazio?  Non  potranno.  Questo  pre- cisamente è  il  vero-fatto,  il  vero  da  me  stesso  fatto,  da me  stesso  prodotto,  da  me  stesso  generato.* Per  non  chiamare  il  vero  fattura  di  nostra  mente, il  Roveretano  si  puntella  nel  solito  argomento  de'  ca- ratteri della  verità:  immutabilità,  assolutezza,  eternità, necessità,  università  e  simili.  Ma  ci  sarà  lecito  chiedere  : *  «  Men«  humana  eontinet  dementa  verorum  quce  digerere  et  eomponere poMt'ti  et  ex  quibu$  dUpontU  et  compoeitie,  exittit  verum  quod  demoiutraiU {teientice)  ut  demontiratio  eadem  ae  operatio  «i/,  et  verum  idem  ao  faetum.  > Ve  Antiq.f  cap.  Ili,  4.    Yale  che  il  RosmÌDi,  chiamando  in  soccorso lo  stesso  Vico,  dica,  questi  elementi  esser  le  idee  e  coteste  idee  crearti  ed eccitarti  da  Dio  negli  animi  degli  uomini.  Per  questa  frase  VA.,  della  Scienza iVuova  è  stato  battezzato  Malebranchiano  !  Ma  come  non  vedere  che  in quel  luogo  il  filosofo  intende  parlare  del  senso  dato  a  questa  dottrina  da coloro  che  eteogitarono  tali  locuzioni,  le  quali  ei  non  accetta  perchè  non sempre  accetta  il  significato  delle  parole  latine,  come  osserva  lo  stesso Rosmini  a  proposito  del  Verum  e  del  Faetumf  Bastino  queste  parole:  e  Par, igitur  eet  ut  qui  ha»  loeutione*  excogitarint,  ideas  in  hominum  animi*  a Deo  oreari  exeitarique  eunt  opinati,  *  Cap.  VI,  2.  Fa  meraviglia  che  il  Rosmini non  siasi  accorto  come  quattro  righe  più  giù  V  autore  contraddica apertamente  a  Malebranche  {Malebranckii  doctrina  arguitur^  ibi.,  §  4)  : e  come,  se  fosse  vera  V  interpretazione  eh*  ei  ne  dà,  il  Vico  avrebbe  sciu- pato addirittura  il  senso  verace  e  originalissimo  del  suo  criterio. una  proposizione  d' Euclide  serba  ella  questi  ed  altret- tali caratteri  perchè  ve  li  abbia  inseriti  la  mente  di Euclide  come  tale,  o  non  piuttosto  il  pensiero  medesimo, il  pensiero  in  quanto  è  identico  appo  tutt'  i  pensanti, identico  nelle  sue  leggi  essenziali,  identico  nelle  condi- zioni logiche  originarie?  Nella  proposizione  4 -j-  4  =  8 havvi  necessità.  Perchè?  Perchè  lo  stesso  pensiero ne  ha  messo  gli  elementi.  Ma  perchè  vien  fiiora  8  e non  10?  Precisamente  perchè  ci  abbiam  posto  il  4  -h  4: cangiate  questo,  e  avrete  cangiato  anche  quello.  E perchè  serberà  egli  un  valore  universale  tanto  da  non parer  fatto    d' ieri    d'oggi,    intuito  solamente in  Francia  o  in  Australia,  nell'  età  della  pietra  ripolita 0  nel  bel  mezzo  del  secolo  XIX?  Appunto  perchè  il pensiero  è  anch' egli  necessario,  universale  nelle  sue native  condizioni  in  ciascun  individuo  che  in  qual  si voglia  tempo  o  luogo  sia  capace  di  pronunziar  4  -f-  4. Le  critiche  dunque  che  altri  potrebbe  trarre  dal  RoHmini    dov'  ei  si  studia  d' interpretare  a  suo  modo la  mente  del  Vico  rispetto  al  problema  del  conoscere, tornano  tutte  vane,  tutte  manchevoli. Ma  veniamo  al  più  sodo.  Il  criterio  del  nostro  filosofo si  porge  altresì  come  il  fondamento  più  saldo  della dottrina  della  prova.  Nel  conoscere  per  cause,  egli  dice  . seguendo  lo  schietto  Aristotelismo,  sta  la  vera  scien- za: il  che  si  riduce  al  medesimo  criterio  della  conversione del  vero  col  fatto.*  Che  cos'  è  in  sostanza  il provare  per  cause?  Al  solito  è  un  raccoglier  gli  elementi della  cosa.*  Provar  dunque  per  cause,  e  con- vertire il  vero  col  fatto,  suona  il  medesimo.  Un  esem- pio. Il  principe  Alberto,  dice  St.  Mill,  morirà.  Perchè? Non  perchè  tutti  gli  uomini  (egli  risponde)  sian  mor- tali ;  si  perchè  tutti  quelli  a  me  noti  e  che  son  vissuti, *  «  Probare  per  cauMaat  e/Jhere  eat,  Effecttu  eH  verum  quod  eum  facto eonvertitur.  *  (De  Antiq.  Cap.  Ili,  2).    }TCx>j,  ri  x  fitriy^o^Tx  ti  ^caviac,  ntpi aiTcaec  xxt  ^px^i  sVtiv,  if  o^xpi^ivripa^,  -il  dn'koìjvripaiy {Mttaph.\,\), Or  questo  precisamente  ò  U  metodo  che  il  Vico,  certo  in  modo  assai confuso,  esitante,  arruffatissimo,  adopera  nelle  sue  ricerche;    quindi il  De  Ferron  s' ò  apposto  male  nel  dichiararlo,  come  vedemmo,  metodo essenzialmente  aristotelico. *  Dice  anzi  così:  H  mio  criterio  i  in  me  aeeieurato  daUa  eeienga  Hi Dio,  eiCl  fonU  e  regalia  dT  ogni  vero.  (Risp.  II  al  Oior.  de^Lett.) eh'  ella  non  possiede,  ma  che  pur  va  con  infinito  pro- cesso e  per  gradi  accostando  sempre  più.  Talché  quando sentiamo  il  metafisico  teologista  e  Tontologista  affermare la  scienza  divina  essere  norma  e  regola  dell'  umano  sapere, mostrando  credere  con  ciò  d'averne  contezza  vuoi per  virtù  d'un  rapido  volo  d'intuito,  vuoi  per  notizia chi  sa  come  e  da  chi  graziosamente  rivelataci,  e'  non dicon  nulla  di  serio,  nulla  di  positivo  addirittura.  Per affermar  tutto  questo  con  tanta  sicurezza,  non  do- vremmo possederla  cotesta  scienza?  Non  dovremmo anzi  dominarla  e  rimaneggiarla  a  nostra  posta  così  come l'agrimensore  fa  del  suo  compasso? Norma  vera,  norma  che  noi  dominiamo  davvero, norma  già  nota  al  mondo  prima  d'ogni  altra,  semplice, evidente,  inconcussa,  è  per  l'appunto  la  matematica. Della  quale  l'A.  della  Scienza  Nuova,  non  altrimenti che  Leibnitz,  Galileo,  Boezio,  Cicerone,  Aristotele,  Pla- tone, Pitagora,  è  grandemente  innamorato,  e  sempre ne  parla,  e  sempre  con  passione  viva  ne  esalta  i  pregi* La  contraddizione  ch'altri  vede  nel  porre  ch'ei  fa  qual modello  del  sapere  or  la  scienza  divina  or  la  matematica, è  affatto  apparente.  Che  nell'un  caso  parla,  o  intende parlare,  deìVidea  massima  della  scienza,  della  scienza  di- vina, la  quale  altro  non  potrà  essere  salvo  che  la  per- fetta conversione  del  Vero  col  Fatto,  la  compenetrazione assoluta  dell'oggetto  col  soggetto.  Nell'altro,  invece,  di- scorre non  già  dell'idea  massima,  bensì  d'un  tipo,  d'una forma  che,  più  d'ogni  altra  accostandosi  alla  prima,  più fedelmente  la  esprima  e  la  rappresenti.  Tal  si  è  per  appunto la  matematica.  Tipo  infatti  del  sapere  squisita- mente razionale  per  lui  è  la  scienza  dell'astratta  quan- tità; tant'è  vero  che  Dio  stesso,  die' egli  in  suo  lin- guaggio, non  altrimenti  opera  nel  mondo  delle  forme reali,  di  quel  che  faccia  il  matematico  nel  mondo  delle figure.*  Questo  parmi  '1  significato  più  acconcio  da  dare Ved.  Risp.  n  al  CHorn.  de'  LetU,  §  IV. a  tal  sentenza  del  Vico  se  non  vogliamo  farlo  cadere  in aperta  contradizione  con  seco  medesimo;  non  già  che  Dio e  la  sua  scienza  abbian  da  esser  davvero  norma  immediata, origine  e  sorgente  del  sapere  umano  1  È  un  para- gone, è  una  figura  e  nulla  più. E  poiché  intende  a  questa  maniera  la  scienza  di- vina, perciò  riesce  a  salvarsi  dagli  estremi  cui  per  vie diverse  rompon  l' idealista  assoluto  e  il  teologista  onto- logo.  Pel  primo  scienza  umana  e  scienza  divina  son  tut- t'uno:  pel  secondo  ce  n' è  tal  divario  quanto  fra  il  finito e  V  infinito.  Se  non  che  Rosmini  e  Gioberti  nelle  opere postume,  ormeggiando  gli  aprioristi,  pongono  anch'essi medesimezza  fra  V  una  e  Y  altra  scienza,  distinguendo solamente,  specie  il  Rosmini,  la  materia  dalla  forma,  e questa  reputando  identica,  e  quella  diversa  nelle  due scienze.*  Ma,  s'egli  è  così,  divario  essenziale  non  ci  è, né  ci  può  essere;  stanteché  l'essenziale  nel  conoscere, più  che  nella  materia,  stia  nella  forma.  Invece  secondo la  dottrina  del  Vico  può  dirsi,  che  se  tra  l'una  e  l' altra scienza  non  corra  assoluta  identità,  non  vi  possa  esser nemmanco  assoluta  difi'erenza.  Il  pensiero  divino  co- nosce, perché  raccoglie  gli  elementi;  e  nel  raccorli  reci' meivte  li  pone.  Il  pensiero  umano  va  raccogliendoli  an- che lui,  e  nel  raunarli  idealmente  li  pone.  E  tale  vera- mente appare  la  sua  sentenza    dove  osserva  che  il conoscere  umano  si  discerne  dal  divino  quanto  il  solido dal  piano,  quanto  1'  effige  in  rilievo  dal  monogramma.* *  Rosmini,  Teosofia^  toI.  I,  cap.  Vili.  --  Gioberti,  ProtoUy  voi.  II. *  Altra  difficoltà,  secondo  alcuni  critici,  sarebbe  questa.  Se  vero  sapere è  il  sapere  per  cagioni,  se  conoscere  Tal  produrre,  se  pensare  è  fare  ;  com*  è possibile  arere  scienza  dell*  assoluto  senza  farlo,  senza  produrlo?  Cono- scere Dìo  a  questa  maniera  non  è  un  assurdo?  anzi  una  bestemmia,  a detta  del  medesimo  Vico?    Per  tutta  risposta  io  to*  riferire  alcune  sue  pa- role le  quali  racchiudono,  panni,  il  significato  sincero  di  sua  mente,  chec- ché ne  possa  dire  in  contrario  egli  stesso:    (Hist.  rol.  I,  p.  28.)  E  altroTO,  parlando  del  perìodo della  filosofia  greca,  dice  il  suo  processo  esser  e  eon/orme  au  déveloj^- ment  iiUelìeetuel  de  Vhofinne,  don»  Vindividu  eomme  dan»  Veipèoe,  ear  la civili»ation  tend  toujour»  de  la  circonférence  au  oenlre,  »  {j>.  ibi,  157.) periodi  storici  perchè  la  materia  si  presta  a  tal  fine, come  farebb'egli,  il  Ritter,  a  rilevare  e  ponderare  ac- conciamente i  caratteri  delle  differenti  scuole  e  sistemi senza  il  sussidio  d'una  norma  anteriore  e  superiore alla  storia?  Eccoci  ricascati  nella  solita  necessità  d'un criterio  che  valga  ad  imprimere  forma  razionale  alla storia  :  senza  di  che  lo  storico  potrà  esser  pregevole  per erudizione,  prezioso  per  esattezza  storica,  saggio  e  con- scienzioso  per  fedeltà  critica,  ma  non  per  questo  avrà valicato  i  confini  dell'  empirismo.  Tale  è  il  Ritter  fra  gli storici  contemporanei  della  filosofia.  Egli  è  critico  sa- vissimo, checché  ne  dica  la  scuola  di  Hegel.  È  interprete coscienzioso,  indipendente,  scrupoloso,  accuratissimo;  ma non  è  filosofo.  A  lui  fa  paura  il  dommatismo  ;  fa  paura il  sistema  nella  interpretazione  istorica  :  e  non  ha  torto. Ma  non  si  può  essere  storico  filosofo  senz*  esser  dom- matico  e  sistematico?  Il  gran  pregio  del  Ritter  sta  nel carattere  d' indipendenza  eh'  ei    alle  differenti  scuole. Ma  un  principio  sopra  cui  s'incardini  la  sua  critica,  e gli  porga  ragione  di  tale  indipendenza,  a  lui  manca assolutamente. 11  criterio  mercè  cui  lo  storico  potrà  render  utile lo  studio  della  storia  ed  elevarla  insieme  a  dignità  scientifica, sta  neir  interpretar  la  successione  e  la  genesi  e le  attinenze  de'  sistemi  filosofici  ponendo  in  opera  il  criterio delle  tre  posizioni  che  noi  abbiamo  accennato. Queste  tre  posizioni  (e  altre  non  sono  possibili)  invocate a  chiarirci  nel  magistero  della  critica  e  della  interpre- tazione della  storia,  non  costituiscon  già  un  criterio  em- pirico, né  un  criterio  d' indole  eclettica;  tanto  meno  un criterio  dommatico,  sistematico,  ricostruttivo.  Non  è  cri- terio empirico,  perchè  non  sono  i  fatti  storici  (e  nel  caso nostro  i  fatti  storici  sono  i  sistemi  filosofici)  che  lo  partoriscano, 0  lo  spieghino;  ma  egli  stesso  è  che  spiega la  comparsa  delle^differenti  scuole  e  dottrine  filosofiche nel  regno  della  storia.  Non  è  poi  criterio  eclettico  per- chè non  iscaturisce  dalla  storia,    da' sistemi;  anzi  ci fa  capaci  d' interpretar  V  una  e  giudicar  gli  altri  senza esser  sistematici  :  sentenza  che  per  taluno  avrebbe  faccia di  paradosso,  ma  non  è.*  Finalmente  il  nostro  criterio non  è  sistematico,  perchè  non  isgorga  dalle  viscere  stesse di  alta  metafisica,    quindi  importa  ombra  di  necessità dialettiche,  a  priori,  metafisiche.  Ma  qui  dobbiamo intenderci  con  gli  storici  hegeliani. Qual  è  il  criterio  storico  di  Hegel?  È  il  principio stesso  cella  sua  filosofia;  V  identità  assoluta.  Una  infatti per  lui  è  la  filosofia,  uno  il  sistema  ;  e  le  dottrine  par- ticolari non  altro  che  forme  diverse  d'  un  medesimo contenuto.*  11  dommatismo  sistematico  nella  storia  de'  si- *  La  H;nola  del  Cousin  scimmiottando  Hegel,  com'è  noto,  Terrebbe far  germinare  la  filosofia  dalla  storia,  o  considera  perciò  come  elementi organici  necessari,  aempiici  e  irriducihili  solo  quattro  sistemi;  Sensismo, Idealismo,  Scetticismo,  Misticismo.  Da  questi  fa  risultare  la  storia  d'ogni tempo  e  ln)go;  o  da  essi  medesimi  vuol  far  germogliare  la  filosofia:  La teoria  deve  emergere  dalla  storia.  [Court  ec.  Ber.  2*  t.  II,  p.  109-353.)  Or 80  la  storia  in  ogni  grand*  età  e  in  ogni  periodo  filosofico  presenta qne*  soliti  qiattro  demetiti  organieif  ne  segue  che  la  teoria,  dovendo  pul- lulare appuiÉo  da  essi,  altro  non  potrà  esser  che  un  accozzo  eterogeneo e,  meglio  che  un  eclettismo,  un  sincretismo.  Se  gli  elementi  infatti  sono contraddittorìi  ed  eterogenei,  non  dovrà  esser  tale  altrosì  V  insieme  che ne  verrà  fuom  V  Che  se  per  tale  accozzo  è  mestieri  d*  un  criterio,  eccoci tosto  fuori  della  storia;  e  allora  non  sarà  altrimenti  vero  il  gran  domma che  la  teoria  abbia  da  emerger  dalla  stessa  storia.    Altro  difetto  del Cousin  è,  che  iella  sua  divisione  non  trovan  luogo  parecchi  sistemi,  come per  es.  il  Critclsmo,  e  Y  Idealismo  assoluto:  1*  uno  perchè  non  è  sistema, e  nemmanco  icetticismo;  l'altro  perchè,  sotto  il  riguardo  psicologico, sarebbe  P  unione  di  due  sistemi,  secondochè  avverte  egli  stesso.  Inoltre non  giunge  a  determinar  nettamente  la  fiinzione  dello  Scetticismo  nella storia,  e  distinruerla  dalla  funziono  che  esercita  il  Misticismo,  il  quale definisce,  le  eotf>  ds  désespoire  de  la  raièon  humaine:  quasi  che  il  secondo fosse  un  atto  legativo  cosciente,  com'è  il  primo,  e  non  già  positivo  in qnanto  che  imprta  fede,  contemplazione,  sentimento  e  simili.  Finalmente chi  non  vorrà  legare  p^li  Eclettici  che  il  Misticismo,  il  Sensismo  e  lo Scetticismo  siaio  da  riguardarsi  come  altrettanti  sistemi  V    Ecco  a  che mena  un  criteri)  erroneo  su  la  divisione  e  genesi  de'  sistemi  filosofici. Non  s' intende  h  storia,  e  poi  si  precipita  senza  rimedio  in  una  teoria affatto  sincretici  e  però  assurda. La  storci  della  filosofia  mani/estaf  ne*  vari  sistemi  che  sono  apparsi,  una  sola  i  medesima  filosofia  che  ha  percorso  diversi  gradi,  e  prova che  i  prineipii  particolari  di  ciascun  sittema  non  sono  che  parti  d*  un solo  e  medesimo  utto.  >  (Hbgel,  Log.  Introd.  §  XIII,  trad.  Vercu    Wilmx, stemi  non  potrebbe  risaltare  più  evidente,  più  rigoroso, più  universale,  più  assoluto.  Noi  innanzi  tutto  neghiamo risolutamente  che  le  vario  dottrine  non  possan  essere altro  fuorché  momenti  diversi  d* una  filosofia.  Dov'è  identità di  contenuto,  a  dirne  un  esempio,  fra  Idealismo  e Materialismo?  Tra  Teismo  e  Panteismo  naturale  o  ideale che  sia?  Ci  vuol  davvero  la  pupilla  lincea  degli  hege- liani a  vedere,  o  meglio,  a  travedere  siffatte  ideatità  di contenuto  !  D' altra  parte,  se  posta  la  evoluzione  della idea  0  contenuto  dello  spirito  ne  seguita  (come  dicono) che  la  filosofia  ha  da  esser  identica  alla  storia:  non  è egli  codesto  un  principio  degno  d' un  eclettico  francese? Non  è  la  negazione  più  aperta,  più  schietta  del  progresso in  filosofia,  meno,  s'intende,  fino  al  ] 831,  epoca  memo- randa in  che  con  la  sua  bacchetta  d'acciaio  il  gran negi-omante  del  Nord  ebbe  diffinitivamente  segnato  e chiuso  in  perpetuo  il  circolo  della  filosofia?  S'egli  è così,  la  dottrina  ^é*  circoli  e  de'  ricorsi  storbi  che  il Vera  dice  esser  l' errore  madornale  della  Sdenzii  NuovOj per  me  sarebbe  anzi  una  conseguenza  logica,  imme- diata, inevitabile  dell'  Hegelianisrao,  almeno  quant'  al pensiero  speculativo.* Hi9t.,  voi.  IH,  p.  439).  La  successione  istorica  de'  sistemi  perciò  riesce identica  a  quella  delle  determÌDazioui  logiche  della  Idea:  il  perchè  in fondo  a  tuttM  sistemi  non  si  occulta  altro  che  un  medesioo  oontenuto. *  Chi  consideri  bene  le  dottrine  e  applichi  con  acciiiatezza  le  esi- genze del  metodo  vichiano  alla  storia  de' sistemi,  si  accorgerà  tosto  corno nella  filosofia,  guardata  storicamente,  ci  abbia  da  esser  moIiipUcità  di  momenti, e,  che  più  monta,  diversità  di  contenuto;  del  che /a  storia  dt'Ila filosofia  greca,  come  accennammo  (pa?.  19«,  197)  porge  splendido  esempio. Ma,  si  badi,  ciò  non  toglie  punto  che  ci  abbia  da  esser»,  come  di  fatto ci  è,  differenze  di  forma.  Se  i  ritomi  e  i  rieorgi  «tarici  nm  importassero anche  in  filosofia  un  contenuto  nuovo  pur  occultato  sotto  vecchia  forma, che  cos'  altro  sarebbe  la  storia  del  pensiero  filosofico  salvo  che  an'  og- ;,Mo8a  e  sterile  ripetizione  d'un  medosiuio  uggiosissimo  spettacolo'?  Nella storia  de' sistemi,  più  che  in  altre,  il  moto  e  lo  svolgim4Qto  storico  non somiglia  ad  una  linea  retta,  come  dicono  alcuni,  e  mmmanco  ad  un circolo,  come  pretendono  altri.  La  storia  della  filosofia  3  linea  retta  e circolo  insiememente.  È  linea  retta,  chi  guardi  al  contenuto  ;  ed  è  poi circolo,  chi  consideri  la  forma,  cioè  la  parto  meccanica  do'  fatti;  giacche la  storia,  lo  dicono  e  lo  credon   tutti,  ò  fornita  alch'ella  del  suo Un'  altra  osservazione  contro  gli  Hegeliani  poiché ci  calza.  Se  V  ingegno  filosofico  (quello,  ben  inteso,  de- gl' imperturbabili  e  severi  negromanti  in  filosofia)  rac- chiude in    tanta  virtù  e  tal  vena  architettonica  da costruire  con  lavorio  tutto  a  priori  il  sistema  della scienza  dell'essere  e  del  conoscere;  la  conseguenza  parmi chiara,  irrepugnabile  :  ed  é  che  la  storia  della  filosofia non  potrà  non  riescire  affatto  inutile  e  insignificante. A  che  sciupar  tempo,  a  che  sprecar  la  nostra  attività critica  a  studiar  ne'  bozzetti  piii  o  manco  smorti  e  me- lensi e  sconci  e  abortivi  che  ci  presenta  la  storia,  se abbiamo  già  dinanzi  agli  occhi  in  marmo  vivo  e  quasi palpitante  il  Davide  e  '1  Mosè?    Dicono:  «  Noi  invo- chiamo la  storia  de' sistemi,  é  vero,  ma  per  semplice  gua- rentigia del  sistema:  la  invochiamo  com' una  riprova  di fatto,  com'  una  conferma  sperimentale....  »  Conferma  di che?  Della  costruzione  a  priori,^  Dunque  codesta  vostra costruzione  è  una  congegnatura  inefficace  !    D' altra parte,  se  il  sistema  giace  ascoso  e  beli'  e  apparecchiato nella  storia  e  non  fa  che  germinare  da  essa,  in  questo caso  non  sarà  inutile  la  vostra  costruttura  ideale,  a priori?  Brevemente,  una  delle  due:  La  costruzione  a priori  del  sistema  é  ella  assoluta?  Dimque  è  faccenda inutile  la  storia  de'  sistemi.  Il  sistema  giace  egli  beli'  e apparecchiato  nella  storia?  Dunque  inutile  ogni  alma-  meccanismo.  Ora  dunque  per  noi  il  pensiero  fllosofico  ò  daTvero  pro- gressivo; è  progressivo  sul  serio;  progressivo  noi  verace  senso  della parola  progresso,  appunto  perchè  si  svolge  anche,  e  sopratutto,  nel  suo contenuto.  £  qui,  com*  è  chiaro,  noi  rispetto  agli  Hegeliani  siamo  addirit- tura a:rU  antipodi;  e  non  è  altrimenti  il  nostro  povero  don  Giam- battista quegli  che  non  ebbe  la  fortuna  (sic)  di  scoprire  la  gran Ugge  dd  progredire  della  utnanità,  ma  è  proprio  il  loro  Hegel  cui  toccò la  sventura  (abbiano  pazienza!)  di  non  conoscerla,  anzi  di  negarla  co- testa  legge;  o  almeno,  riconosciutala  da  Talete  fino  al  1831,  Tha  poi negata  a  tutt*i  secoli  avvenire,  condannandoli  senza  scam(H>  a  ruminare eternamente  la  medesima  formola  metafisica!  Il  concetto  del  vero  prò- gre99o  è  concetto  propriamente  impossibile  nella  mente  degli  Hegeliani, come  vedremo  nella  Sociologia. »  MiOHKLiT,  Exam,  Crit,  de  la  Mèi.  d'Arisi.,  Paris,  1836,  p.  305. nacchìo  architettonico  dialettico  a  priori.  Nel  primo caso  voi  sarete  altrettanti  Dii;  e  noi  non  v'intendiamo, perchè  confessiamo  di  non  esser  capaci  d' intendere  un linguaggio  e  un  pensiero  sovrumano.  Nel  secondo  poi sarete  eclettici,  o  positivisti;  e  noi  vi  superiamo. Non  v'è scampo.  Se  la  storia  de'  sistemi  ha  da  servire  di  per  sé sola  a  darci  la  filosofia;  se,  d'altra  parte,  la  congegnatura  a  priori  ha  da  essere  assoluta  e  tutta  d'un  pezzo: come  legittimarle  entrambe?  perchè  invocar  la  neces- sità d'entrambe?  Intendo  l'eclettico  che,  non  sapendo rinvenir  filo  d' energia  speculativa  ne'  bisogni  intimi  del suo  pensiero,  viene  a  chieder  soccorso  alla  storia.  Intendo non  meno  il  positivista  che  con  le  mani  sotto  le  ascelle tutto  aspetta  dalla  storia  appunto  perchè  non  ha  briciol di  fede  nelle  native  forze  della  ragion  filosofica,  e  sorride agli  sforzi  ne'  quali  nobilmente  altri  si  prova.  Ma  come potrò  intender  gli  hegeliani  che  invocan  la  storia  nel momento  istesso  che  vantano  la  singoiar  pretensione di  costruir  l' edifizio  scientifico  a  priori  rifacendosi  dal tetto  ? Che  cosa  dunque  è  da  concludere?  Precisamente r  opposto  di  ciò  eh'  essi  pretendono  :  che  ne  la  storia contiene  il  sistema,    la  mente  può  costruirlo  e  de- durlo  a  priori.    induzione,  al  solito,    deduzione neanch'  in  quest'  ordin  di  cose.  La  possibilità  d'  una dottrina  metafisica  può  germinare  dall'  azione  combi- nata delle  due  forze;  dalla  storia  de' sistemi  interpretati a  dovere,  e  dalla  energia  intima  del  pensiero  speculativo. Or  tutto  ciò  potrebb'  egli  esser  possibile,  se  questo pensiero  non  fosse  ad  un  tempo  e  dentro  e  fuori  della storia?* *  Lo  Schmidt  divìde  la  storia  de*  sistemi  filosofici  morendo  dal  con- cetto della  filosofia  elio  per  lui  è  teienza  del  fondamento  ultimo  del  nottro pentierOf  e  delV  a$§oluto,  E  poiché  cotest'  obbietto  si  può  concepire  in  tre gaise,  cioè  obbiettivamente,  sabbio ttiv amente  e  neirun  modo  e  nell*  altro riconoscendoli  entrambi  come  identici,  però  ne  deduce  1*  opposizione de*  sistemi,  e  la  divisione  della  storia.  La  prima  e  più  generale  divisione è  questa;    filosofia  grreca  ;  2o  filosofia  nuova  avanti  Kant  ;  S*"  filosofia Il  nostro  criterio  non  è  niente  di  tutto  questo.  Non  è empirico,  non  è  eclettico,  non  è  sistematico,  non  è  dom- matico.  E  positivo,  e  razionalmente  positivo.  Ed  è  tale perchè  piglia  di  mira  non  già  i  sistemi  propriamente detti,  anzi  le  posizioni  ultime,  più  semplici,  irreducibili del  filosofare,  squadrandole  sotto  doppio  rispetto  ;  sotto il  rispetto  della  scienza,  e  del  suo  oggetto.  Le  posizioni possibili  dell'  ingegno  filosofico,  di  fronte  al  sapere  metafisico, dicemmo  esser  tre:  !•  impossibilità  della  metafisica (Scetticismo);    sua  attualità  (Sistema  beir  e  com- piuto); 3»  sua  possibilità  (Critica).  Anche  tre,  dicemmo, le  posizioni  del  suo  oggetto,  cioè  le  possibili  soluzioni  del problema  metafisico.  Dunque  tre  han  da  essere  i  sommi generi  sotto  cui  la  storia  può  venir  adunando,  disponen- do, ordinando  le  dottrine,  gì'  indirizzi,  i  metodi,  le  esigenze speculative  formanti  le  specie  e  sottospecie,  le recente  dopo  Kunt  {St,  della  FU.,  p.  16).  Innan^ù  tutto  questa  è  una  diTisione  essenzialmente  sistematica,  e  riesce  alla  filosofia  dell*  identità:  il che  solo  basterebbe  a  condannarla.  Il  concetto  inoltre  nel  quale  è  fondata •  è  superlativamente  esclusivo;  tanto  cbe  rimaui^on  fuori  del  corso  isterico interi  periodi  di  speculazione  occidentale,  per  non  parlare  della  filosofia orientale.  Così  precisamente  egli  tratta,  per  esempio,  la  scolastica:  la quale,  tuttoché  non  si  possa  dire  speculazione  metafisica,  non  però  cessa d'essere  8peéulazione,quantunque  in  servigio  della  teologia  e  del  domma. K  poi,  come  mai  dalla  filosofia  greca,  con  un  salto  più  che  mortale,  si piomba  a  Cartesio  ?  Dov*  è  qui,  non  dico  la  verità,  ma  la  realtà  del  processo storico  della  filosofia?  Un'altra  domanda.  Lo  Schmidt  pone  Videntìtà come  contrassegno  del  8^  periodo  della  filosofia.  Ma,  con  qual  diritto,  con che  verità  qualificar  tutt*  i  filosofi  di  cui  egli  parla  nel  suo  S"*  periodo  col carattere  dell*  identità  ?  Come  si  vede,  lo  Schmidt  cade  nel  1*  a  pr»art«mo hegeliano,  ma  senza  far  pompa  de*  grandi  pregi  di  Hegel.  Tranne  V  op- posizione fra'  sistemi,  nonché  la  triplice  maniera  onde  in  essi  è  concepito l'assoluto,  ei  confessa    non  saper  altro  per  via  a  priori  di  concreto,  di particolare  circa  la  storia  delle  scuole  e  delle  dottrine  filosofiche:  doveccbò  Hegel  non  pnr  move  dalla  logica,  come  s'ò  detto,  e  dalle  alture logiche  procaccia  dedurre  i  sistemi  ed  i  momenti  della  storia,  ma  più  an- cora li  costruisce;  li  costruisce  indipendentemente  dalla  storia.  Il  metodo dello  Schmitd,  quindi,  avrebbe  una  parte  accettabile,  un  aspetto  vero; che,  cioè,  r  indagine  storica,  per  lui,  non  riescirebbe  un  di  più  affatto inutile,  come  in  sostanza  dovrebb' essere  per  Hegel.  Se  non  che  cotesto bel  pregio  svanisce,  tostraf«,  appresso  il  vero  metafinoo.  Or  questa  genesi a  cui  egli  accenna,  si  applica  evidentemente  tanto  al  processo  delle  scienze, quanto  a  quello  della  filosofia;  e,  di  più,  risponde  appnntìno  alla  storia e  al  processo  ideale  de' metodi.  I  metodi  per  lui  sono  ìtq  ;V  Induzione^  il Sittogiemo,  il  Sorite.  {De  Antiquiee.,  e.  VII,  §  IV,  14.)  È  bene  avvertire com'ecfli,  discorrendo  del  Sorite^  sbagli  nell'attnbuire  a  Socrate  quella forma. d'induzione  cui  allude  nel  Libro  metafìtico;  e  non  meno  sbaglia, come  osservammo,  quando  chiama  sillogistico  il  metodo  aristotelico.  Ma questi,  com'  ò  chiaro,  sono  sbagli  di  storia,  inesattezze  di  fatto,  non  già di  dottrina.  Ciò  che  importa  è  che  sin  nel  Libro  metaJUico  egli  sa scorgere  un  vincolo,  un  processo,  e  quindi  un  progresso  fra  le  tre  posizioni metodiche  del  pensiero:  Induzione,  Dedazione,  Eduzione,  rispondenti  alla storia  delle  scienze,  come  a  quella  della  filosofia.  Giova  perciò  intenderci bene.  L' Induzione,  per  lui,  è  un  artifizio  sintetico,  ma  d'indole  empirica; ondo  la  mente  non  facendo  che  raccogliere,  adunare,  procede  dall'effetto alla  causa,  e  quindi  è  analisi,  diremmo,  sintetica.  (Inductio,  pioura  àna- lytica;  Stllooismus,  stntrtioa.  Ved.  De  Conet,  PhUologim,  cap.  IV.)  Il Sillogismo  invece  è  un  artifizio  deduttivo,  è  ainteei  analitica  per  cui  la mente  procede  dalla  cagione  all'effetto;  ma  è  incerto  nel  euo  procedimento  e  però  inetto  a  scoprire  {De  AntiquÌ9$.,  cap.  II,  VII,  4).  Questo  è quel  metodo  eh*  ei  condanna  ne'  Cartesiani,  ed  è  quel  9ÌUogi»mo  debole oÌ79iv'/ì^  i7uXXo7(7]txo;  che  Aristotele  biasimava  in  Platone  (>lna/.  Poet.,!,) Finalmente  il  Sorite,  per  lui,  è  tutt' altro  di  ciò  che  ne  dice  la  logica  or- dinaria. II  Sorite  non  è,  a  dir  proprio,    sintesi,    analisi.  Non  è  ana- lisi sintetica  che  dall'effetto  ealga  alla  cagione,  e  nemmeno  è  sintesi analitica  che  dalia  causa  eeenda  all'effetto.  Invece  è  funzione  che  oofuxitena  caute  con  caute:  Qui  utitcb  borite  gauss  ab  oaussis,  ouiqur  proxi- MAif  ATTBXIT.  {De  AntiquÌ89„  De  certa /acultate  eciendi,  15.)  Perciò  il  Sorite essendo  la  funzione  sillogistica  nella  forma  pid  compiuta,  presuppone  e racchiude  in    l'analisi  e  la  sintesi,  la  deduzione  e  l'induzione,  e  di  fronte a  queste  debb*  esser  superiore  e  posteriore.  Dunque  la  funzione  discor- siva che  egli  appella  Sorite  e  che  pone  nel  terzo  momento  della  storia Se  tutto  questo  che  noi  siamo  venuti  sin  qua  discorrendo è  vero,  quale  ne  sarà  la  conseguenza?  Sarà  che tanto  nella  storia  deUa  filosofia,  quanto  nel  succedersi de'  sistemi,  il  progresso  non  è,  come  ci  predicano  i  posi- tivisti, un'  illusione  de'  filosofi  di  mente  ammalata  e nebulosa,  ma  un  fatto  storico  e  psicologico  ad  un  tempo  ; una  storica  e  psicologica  necessità.  I  diff'erenti  sistemi,  ci dicono  i  filosofi  deW  avvenire^  possono  conferire  al  pro- gresso non  come  cagioni  determinanti,  ma  come  sem- ideale  de*  metodi,  non  è  altro  che  il  processo  ednttiro  di  cai  altrove  abl)iaino  discorso.  Neir  annodar  cau»e  con  carne  sta  V  invenzione  del  termine medio,  e  perciò  la  conversione  dd  vero  col  fatto  (p.  215-46).  Se  non che  talora  anche  in  ciò  egli  si  contraddice  !  ifferma,  per  es.*,  che  V  analisi (la  qaale  abbiam  visto  essere  per  lui  posteriore  alla  sintesi,  e  però,  come artifizio  deduttivo,  posteriore  ali*  induttivo),  sia  il  metodo  puramente  cri- tico de*  Cartesiani  ;  e  non  senza  ragione  lo  condanna,  perchè  esclusivo  e solitario.  Ma  più  volte  poi  dice  esser  tale  anche  il  Sorite;  cioè  un  ar- tifizio puramente  critico  e  analitico.  {De  AnUqxUss,^  e.  VII,  §  IV.    Ds Nos.  Temp.  Stud.  Jiat,,  Argum.    RUp,  i*  al  Glor.  de'  Lett.,  §  IV.  --  /?« Oonst.  PhiloL,  e.  XIV.    Sec.  Se.  Nuo.,  p.  239.)  Ma  non  abbiam  vist  ) com'egli  medesimo  ponga  il  Sorite  dopo  Vlnduzimie  che  è  analisi-sintetica, e  dopo  il  SiUogismò  che  è  sintesi-analitica?  Come,  dunque,  se  è  posteriore e  superiore,  potrà  esser  non  altro  che  pura  critica  e  pura  ana- lisi, e  perciò  anteriore  e  inferiore?  Non  è  contraddizione  palpabile  cotestaV A  levar  di  mezzo  siffatti  controsensi,  bisognerà  stare  alla  definizione eh' ei  medesimo  ne  porge  del  Sorite:  funzione  che  concatena  cause  con ca«we,  non  già  effetti  con  causcy  o  eause  con  effetti.  Ella  compenetra,  come dicemmo,  in  un  medesimo  circolo  l'analisi  e  la  sintesi,  l'artifizio  induttivo e  '1  deduttivo  (p.  245).  fe  insomma  il  nwtodo  ch'egli  sposso  ap- pella geometrico  (2*  Risp.  al  Oior.  de'  LcU.,  §  IV).  È,  ripetiamo,  il  metodo ednttivo,  genetico,  il  quale  non  è  geometrico  in  quanto  debba  essere tolto  cosi  com'  è  dalla  matematica,  ma  nel  senso  che  dalla  geometria s'ha  da  pigliar  la  dimostrationCf  cioè  la  guisa  per  far  la  scienza.  Lo dice  egli  stosso;  non  m^hodus  geometrica^  sed  demonsb'otio.  E  dopo  ciò auguriamoci  che  alcuni  suoi  crìtici  non  vorranno  maravigliarsi  più  oltre ch'egli  abbia  voluto  appellar  geometrico  il  metodo  proprio  della  sua Scienza  Nuova!  {i^  Se.  JVuo.,  p.  140-50).  Uno  de' continovi  lavori  di  questa scienza  d  dimostrare  FIL  PILO....  lo  spiegarsi  delle  idee  umane  (ih.  p.  44). Concludendo:  Col  porre  la  genesi  psicologica  de* metodi  e '1  processo isterico  delle  tre  funzioni  metodiche,  il  nostro  filosofo  ci  ha  dato  insieme la  dottrina  su  la  genesi  positiva  delle  scienze,  secondo  l'interpretazione che  noi  altrove  abbiamo  accennato  (p.  230),  e  sopra  questa legge  si  modella  eziandio  la  storia  ideale  della  filosofia^  com'egli  dice,  o la  storia  naturale  de' sistemi  JUoéoJtci.  Sono  germi  cotesti,  io  lo  veggo; ma  germi  fecondissimi. plici  condizioni  del  progredire;  cioè  com' errori  che  si combattano,  e  che  nel  combattersi  a  vicenda  si  correggano. —  La  contraddizione  qui  è  palpabile  ;  e  non  è  la prima    l'ultima  nella  quale  intoppino  i  positivisti. I  sistemi  filosofici  non  sono  che  errori,  e  pur  si  correggono !  Ma,  so  correggonsi,  in  clie  maniera  saran  tutti un  errore?  È  possibile  correzione  senz'una  parte  di  vero? Or  se  racchiudon  parte  di  verità,  certo  non  avrebbe  a parere  impresa  disperata  poterli  assommare;  per  la semplice  ragione  che  se  la  mente  umana  è  quella  che ha  potuto  partorirli  e  poi  di  mano  in  mano  correggerli, ella  medesima  potrà  venirli  adunando  in  organismo,  nel che,  come  si  disse,  è  necessario  un  criterio  superiore/ Abbiamo  detto  esser  triplice  il  processo  delle  cose governato  da  un  medesimo  criterio,  il  quale  perciò  as- sume valore  di  principio  :  la  Conversione  del  vero  col fatto.  Ora  il  primo  processo  a  cui  è  d'  uopo  fare  co- testa  applicazione  è  appunto  la  storia,  perocché  lo  spi- rito nasce  nella  storia,  e  la  fa.  E  poiché  nel  medesimo processo  isterico  é  racchiuso  il  processo  psicologico  il quale  n'  è  il  fondamento  più  immediato  in  quanto  é  la *  I  sistemi  si  combattono,  è  vero:  essi  rappresentano  il  transito  a verità  ;  e  anche  questo  è  verissimo.  Ma  ciò  fanno  non  tanto  perchè  sono errori,  non  tanto  perchè  lottano,  qaanto  perchè  racchiudono  in    mede- simi un  elemento  di  speculazione  e  perciò  di  verità  metafisica.  In  una parola,  essi  lottano,  ma  non  per  distruggersi  a  vicenda,    per  legittimarsi, e  compiersi.  Giova  ripeterlo  anche  qui:  Positivismo  e  Idealismo  assoluto mancano  del  vero  concetto  del  progresso  nella  storia  de'  sistemi. L*  uno  considerandoli  come  produzioni  fantastiche  della  mente,  crede che  poco  alla  volta  essi  finiscano  per  divorarsi  a  vicenda  senza  verun incomodo  degli  spettatori;  dovecchò  l'altro,  avvisandoli  come  organi  e vegetazioni  d' una  medesima  pianta,  nega  loro  ogni  ulteriore  progresso giunto  che  sia  a  vedere  sbocciato  quel  fiore  nel  quale  sono  contenuti in  atto  rami,  fronde,  foglie,  tronco  e  radici  della  pianta.  Questo  fiore, si  sa,  non  può  essere  altro  che  la  filosofia  dell'identità.  Ora  a  me  pare che,  se  hegeliani  e  positivisti  vorranno  per  poco  tenersi  conseguenti  a  sé stessi,  la  storia  della  filosofia  agli  occhi  loro  non  potrà  essere  altro che  un  caput  mortuum;  sempre  per  la  solita  ragione,  che  gli  uni  hanno intera  fiducia  nella  costruzione  ideale  della  metafisica,  mentre  gli  altri non  ne  hanno  punto,  anzi  la  negano.  Caput  mortuuml    più,    meno. La  logica  è  inesoraWle. stessa  nostra  coscienza,  perciò  la  prima  applicazione di  quel  principio  riguarda  la  genesi  psicologica.  Ma, innanzi  tutto,  che  cosa  ci  dice  la  storia  della  psicologia rispetto  al  problema  psicologico? Capitolo  Quarto. platonismo  e  aristotelismo nel  problema  psicologico. Il  nodo  al  quale  per  ragioni  più  o  manco  immediate si  rappicca  la  soluzione  de'  piii  vitali  problemi  delle scienze  morali,  e  stavo  per  dire  anche  quelli  della  me- tafisica, è  il  problema  psicologico,  che  un  moderno  filo- sofo ha  giustamente  appellato  problema  generatore.^ La  psicologia  segue  anch'  ella  una  legge  cui  vediamo soggiacere  ogn'  altra  parte  della  filosofia.  Pigliando  a considerare  il  problema  psicologico  sotto  l' aspetto  teo- retico, ci  accorgeremo  tosto  della  possibilità  d' una  dop- pia soluzione,  che  si  riferisce  a  due  sistemi  fra  loro opposti  e  contrari:  i  quali  sistemi,  per  quanto  si  voglian fregiare  di  titoli  vistosi  e  facciano  pompa  di  nomi  pili 0  meno  appariscenti,  ci  rivelano  sempre  alla  fin  fine  l'esigenza del  materialismo,  ovvero  quella  dello  spiritualismo. Se  pigliassimo  poi  a  guardare  il  medesimo  problema sotto  r  aspetto  isterico,  sarebbe  agevole  il  vedere come  quelle  due  soluzioni  mettan  capo  a'  due  maggiori filosofi  dell'antichità,  Platone  e  Aristotele,  ne'  quali  s'im- batte sempre  la  mente  dello  storico  quando  meno  se  '1 crede.  Che  se  oltr'  ai  due  massimi  filosofi  di  Grecia  togliessimo ad  esame  anche  la  teorica  psicologica  degl'  insigni rappresentanti  della  sapienza  cristiana.  Agostino e  Tommaso,  i  quali  non  fanno  che  ormeggiare  i  due Fichte,  Doetrine  de  ki  Seienetf  trad.  Grimbl^t,  pag.  110. greci  quanto  le  necessità  del  domma  comportavano, avremmo  beli'  e  fissato  l' obbietto  e  determinato  i  con- fini della  critica  intorno  alle  principali  soluzioni  date sul  problema  in  discorso,  e  fors'anco  avremmo  tirato  le somme  linee  d' un  intero  disegno  isterico  della  scienza psicologica  fino  all'  età  del  Rinascimento^  I  quattro  filo- sofi menzionati  comprendono  in  germe  tutte  le  posi- zioni psicologiche  possibili,  meno  una;  meno  quella, cioè,  che,  nulla  serbando  di  filosofico  e  di  psicologico, si  riduce  tutta  a  negozio  di  biologia,  come  vorrebbero certi  moderni  fisiologisti. Nella  storia  della  filosofia,  infatti,  avviene  quel  medesimo che  in  ogn'  altr'  ordin  di  cose  morali  :  le  prime tracce  dello  sviluppo,  i  germi  del  processo,  come  germi, s'annidan  tutti  nelle  origini.  Nelle  origini  la  virtù  spon- tanea e  divinatrice  dell'  ingegno  emerge  vigorosa  e  po- tente così  che  basta  ad  alimentare  i'  attività  analitica di  più  secoli,  ed  eccitar  1'  ansia  e  '1  bisogno  speculativo di  più  e  più  generazioni.  Le  origini .  riflesse  della  spe- culazione occidentale  pongono  lor  prima  radice  nel  pen- siero greco  ;  massime  in  quel  perìodo  in  cui  Platone  e Aristotele  rappresentando,  per  così  dire,  1'  analisi  in cui  sdoppiossi  e  ingagliardì  la  sintesi  socratica,  giun- gono a  toccar  l'apice  della  riflessione  metafisica  sotto duo  forme  distinte;  distinte  nell'idea,  diverse  nella forma  e  anco  nello  stile,  ma  atte  ad  integrarsi  e  compiersi a  vicenda.  Il  vivente  storico  inglese  della  Grecia ha  detto  che  la  speculazione  europea,  nonché  gran parte  dell'orientale,  altro  non  sia  stata  in  sostanza fuorché  un  commentario  intricato  e  perpetuo  de'  due massimi  filosofi.  A  compiere  il  concetto  avrebbe  potuto •e  dovuto  aggiugnere  che  in  cotesto  commentario,  in cotest'  analisi,  tanto  più  evidente  appare  il  progresso, quanto  più  intenso  é  lo  svolgersi  delle  dottrine,  e  più fitto  e  più  variato  il  succedersi  delle  scuole.  Chi  dunque pigliasse  a  far  la  storia  critica  del  Platonismo  e dell'Aristotelismo,  e'  sarebbe  già  in  grado  di  far  la  sto- ria  della  filosofia:  in  cui  lo  scetticismo  avrebbe  quella funzione  e  queir  ufficio  che  gli  spetta;  ufficio  senza  fallo assai  rilevante,  ma,  come  dicemmo,  di  semplice  stru- mento più  che  d' artefice;  funzione  di  mezzo,  d' espe- diente, d'incentivo  piii  che  d'elemento  vitale  della  scienza. Se  infatti  v'  ha  cosa  nella  quale  consentano  appieno i  due  massimi  filosofi,  è  questa:  che  il  concetto  del  sa- pere, del  sapere  per  via  di  scienza,  debbasi  appuntare neir  universale,  stante  che  dall'  universale  possa  emer- gere unicamente  la  possibilità  della  metafisica  (pag.  22  )) Ecco  perchè  tale  possibilità  è  già  beli'  e  dimostrata, s' altra  prova  mancasse,  dal  fatto  storico,  dalla  storia della  filosofia.  Ecco  perchè  lo  scetticismo,  siane  qualunque la  forma,  è  distrutto,  o  meglio,  è  ridotto  al  suo legittimo  valore,  dall'esistenza  atessa  e  dallo  svolgimento cui  son  venuti  soggiacendo  il  Platonismo  e  l'Aristotelismo. Ed  ecco  perchè,  ripetiamolo,  questi  due  grandi  sistemi racchiudono  un  significato  supremamente  comprensiva per  due  rispetti  diversi,  l'uno  storico  e  l'altro  teore- tico, e  per  due  diverse  ragioni  altrove  accennate  (p.  201). Sul  carattere  precipuo  del  Platonismo  ci  sarebbe  a sperare  che    critici,    storici  qund'  innanzi  avessero a  discutere  più  oltre.  Volumi  in  foglio  scrissero  antichi e  riscrissero  moderni,  sia  per  determinare  il  concetto platonico  del  Bene,  sia  per  isgroppare  que'  tanti  viluppi su  la  natura  delle  idee,  sia  per  ispecificar  l' attinenza peculiare  fra  esse  e  Dio,  o  per  lumeggiare  il  processo della  dialettica  e  chiarir  la  forma  verace  del  metodo filosofico  platonico,  o,  finalmente,  per  additare  il  rap- porto fra  '1  pensiero  e  l' obbietto  sovrassensibile  di  esso. Pare  che  i  più  oggi  consentano  a  ritenere,  il  distintivo platonico  star  nella  teorica  dell'  esemplarismo,  e  quindi nella  dottrina  (vera  o  no  che  sia)  delle  idee  avvisate oom' eteme  conoscibilità,  e  com^  eterne  e  assolute  specie delle  cose,  *  11  che  tanto  più  avrebbe  a  parer  vero,  in ^Ytìov    wjTTioòc    To  (zé^iov    (iTxpct^ityt/y.)   iS\tntv.    Tm.     Cfr. quanto  che  il  punto  attorno  a  cui  s'aggira  la  critica dello  Stagirita  sta  tutta  qui:  Videa  non  pure  esser Buperiore  alle  cose,  ma  tutta  al  di    e  tutta  al  di  fuori delle  cose.    le  tre  scuole  d' interpreti  che  hanno  a capo  Herbart  Hegel  e  Bitter,  e  che  in  Germania  oggi dividonsi  '1  campo  della  critica  sul  significato  essenziale e  speculativo  de'  dialoghi  platonici,  dissentono  guari  in- torno a  cotesto  particolare,  quantunque  tutt'  e  tre  rie- scano a  dissidii  profondi  nell'  applicar  la  critica  non tanto  erudita,  quanto  d'interpretazione  filosofica. Difficoltà  pili  gravi  porge  T  Aristotelismo  ;  col  qual nome  intendo  abbracciare  tanto  Aristotele,  quanto  la interminabile  tratta  de' suoi  commentatori.  Queste  difficoltà senza  fallo  tengono  all'  indole  stessa  della  dot- trina aristotelica,  all'esser  eUa,  per  così  dire,  bifronte, racchiudendo  i  germi  di  due  contrarie  ed  opposte  dire- zioni speculative:  cosa  che,  ove  non  fosse  universalmente riconosciuta,  basterebbe  a  comprovarcela,  s' altro  man- casse ,  la  critica  che  neanc'  oggi  ha  smesso  e  certo mai  non  ismetterà  la  speranza  di  porre  in  accordo  lo Stagirita  con    medesimo.  Eertanto,  riconosciuta  l' ambiguità e  r  indeterminatezza  del  sistema  aristotelico  nonché il  difetto  d' impasto  omogeneo  in  parecchie  sue  teoriche; considerato  come  Aristotele  uscito  del  tirocinio platonico  dovea  serbare,  come  serbò  evidenti,  alcune tendenze  già  inseritegli  nell'  animo  dalla  viva  e  potente e  drammatica  parola  di  chi  seppe  concepire  e  scrivere il  Protagora  e  '1  Filébo;  tenuto  conto  sopratutto  del- l'opposizione  gagliarda  e  severa  ch'ei  mosse  contr'al maestro  ;  e,  finalmente,  considerato  lo  svolgersi  così  va- rio, così  intricato,  così  opposto  ne' suoi  resultamenti cui  r  Aristotelismo  andò  «oggetto  attraverso  civiltà  diverse, tempi  diversi,  luoghi  divedi  :  non  avrebbe  a  parer Stallbacm,  ne*  ProUgom,  al  Parmenide,  I,  Sez.  2.    Rosmini,  Aritt.  eep. ed  esam.f  Introd.    Zkllbr,  DeU^  espogiz.  aritt,  della  fil,  di  PUxtone, c.  rV.    Tbbndelsnburo,  Plut.  de  id.,  p.  60.    H.  Mabtik,  Éhui.  mr  le Tim,,  Tol.  1,  Àrgom,    CousiN,  Du  vrai,  du  beau  et  du  bien,  loz.  IV. troppo  ardito  T  argomentare,  come  dal  tatt'  insieme  delle sue  teoriche,  in  ispecie  dalle  tendenze  molteplici  degli esegeti  d'ogni  età,  cotest' indirizzi  devan  essere  tre,  me- glio che  due.  De'  quali  indirizzi  noi  chiameremo  il  primo ip&rpsicólogko;  il  secondo.  Triturale  oàempirico;  e  il  terzo medio,  ovvero  aristotelico-platonico  propriamente  detto. Dal  significato  stesso  di  queste  parole,  ognuno  s'accor- gerà come  il  nostro  criterio  diflferenziale,  e  la  divisione riguardante  gì'  indirizzi  della  dottrina  aristotelica  nonché le  diverse  esegesi  a  cui  elle  conducono,  sia  per  noi principalmente  di  natura  psicologica;  e  non  può  non esser  tale.  Aristotele,  infatti,  non  cessando  d' essere Aristotele,  è  anche  mezzo  platonico.  Un  criterio  diflFerenziale,  dunque,  circa  le  dottrine  de'  due  filosofi,  non potrebb' essere  attinto  in  altra  sorgente  salvo  che  in quella  della  psicologia,  dove  appunto  riluce  piii  netto il  dissidio,  checché  ne  dica  il  Ravaisson,*  tra  i  due filosofi  della  Grecia.  D' altra  parte  cotesta  nostra  divi- sione non  solo  si  porge  come  criterio  a  discemere  e giudicar  le  diverse  scuole  aristoteUche,  ma  ci  sommini- stra modo  altresì  per  valutare  l' esplicazione  storica  del Platonismo  al  lume  di  quel  terzo  indirizzo  che  noi  pensatamente abbiamo  appellato  medio.  11  quale,  se  con  gli altri  due  l' abbiam  detto  aristotelico,  non  è  meno  platonico perciò.  Cotesto  indirizzo  medio,  infatti,  non  è  ori- ginario, ma  secondario.  Non  è  nato  fatto,  ma  capace di  farsi,  di  generarsi,  d'assumere  fattezze  proprie  e fisonomia  sempre  più  individuale  e  spiccata  nel  corso della  storia.  Però  più  d'uno  storico  della  filosofia  ha paragonato  1'  Aristotelismo  e  '1  Platonismo  a  due  fiumi che  risalgono  verso  due  sorgenti  diverse;  e  meglio avrebber  detto  due  correnti  distinte  d'  un  medesimo fiume,  le  quali,  scorrendo,  sempre  più  si  rimescolano e  conifondono  per  entro  a  un  medesimo  alveo.  Nel- r  Aristotelismo  quindi  ci  è  il  Platonismo,  o  meglio  ci *  E9$ai  de  Ifitaph,  d'  ÀrUt,  Tom.  I,  Introd.  p.  Y. è  germi  di  due  maniere  di  Platonismo,  legittimo  e spurio.  Il  Platonismo  spurio  in  sostanza  è  Arabismo; e  la  cagion  prossima,  X  origine  immediata  di  esso  non risale  già  alla  dottrina  platonica,  come  altri  ha  creduto cogliendo  a  frullo  qualche  sentenza  qua  e    sparsa ne' dialoghi  del  filosofo  ateniese;  ma  risale  al  medesimo Aristotele;  e  ciò  per  due  diverse  ragioni.  La  prima delle  quali,  come  ha  osservato  un  illustre  storiografo,* si  radica  nell'opposizione  che  lo  Stagirita  ingaggiò  con- tro il  maestro  ;  e  questa,  più  che  cagione,  noi  diremmo sia  stata  occasione,  incentivo  alla  dottrina  averroistica. La  seconda  poi  vuoisi  riferire,  come  toccammo,  all'indeterminatezza e  ambiguità  della  stessa  dottrina  aristotelica su  l'intelletto;  tant' è  vero  che  Alessandro d'  Afrodisea,  intendendolo  in  parte  sotto  l'aspetto  empirico, potrebbe  aver  fatto  più  sdrucciola,  per  parte  sua, la  strada  all'Averroismo.'  Se  dunque  tale  è  l'Aristo- telismo di  fronte  al  Platonismo,  si  può  dire  che,  ove  altri pigliasse  a  far  una  storia  compiuta  del  primo  conforme al  criterio  che  noi  diciamo,  farebbe  anche  la  storia del  secondo,  cioè  del  Platonismo  vero,  del  Platonismo legittimo,  appunto  perchè  nell'uno  e' è,  anche  1'  altro, ma  corretto,  o  a  dir  meglio,  compiuto  per  più  d'un rispetto.' Ora  che  i  tre  indirizzi  non  siano  per  avventura  tre fantasie  del  nostro  cervello,  potrebb'  apparir  manifesto dalle  sentenze  diverse  che  noi  potremmo  agevolmente venir  adunando  nel  medesimo  Aristotele,  se  potessimo, anche  a  far  bella  mostra  di  peregrina  ma  non  difficile erudizione,  ingolfarci  in  esami  di  esegesi  minuta  e  par- ticoleggiata,  e  se  il  Rosmini  non  avesse  già,  meglio  che *  Renan,  Averrhoé»  et  VAverr.^  pag.  42. *  Ravaisson,  op.  cit.,  toro.  IT,  p.  296  e  segg. *  Il  Bonghi  parlando  della  metafisica  d'Aristotele  osserva,  c^  tutti qtianti  %  »Ì9temi  fino  a  Carteno  ei  »%  »ono  tpecehiati  dentro^  e  ci  hanno jwù  o  meno  riconoeciuto  il  proprio  vieo,  (Lett.  al  Rosm.,  Trad.  della  Me- taf.,  p.  Vili).  Il  Nourisson  dice  fino  a  Leibnitz.  {Tabi,  de»  progrU,  ec., 2*  ediz,  1S59  nella  Condu$,)  Perchè  non  dire  fino  ad  Hegel  addirittura? ogn'  altri,  posto  in  sodo  con  maniera  davvero  magistrale r  esistenza  nello  Stagirita  de'  due  primi  indirizzi.  Ma una  prova  più  chiara  potrebbe  averla  chi  guardasse al  modo  con  che  sonosi  venute  svolgendo  e  diramando e  poi  intricando  e  vie  più  ravviluppando  fra  loro  le  va- rie scuole  aristoteUche  non  solo  per  tutte  quelle  dieci età  che  il  nostro  Patrizi  distingue  nella  storia  degli esegeti  aristotelici,  ma  eziandio  per  tutto  il  periodo che  corre  dall'  epoca  del  Rinascimento  fino  agli  ultimi critici  tedeschi  hegeUani  e  non  hegeliani,  Michelet, Franti,  Zeller,  Trendelenburg.  Da  Teofrasto,  per  eserapio,  a  Stratone  di  Lampsaco  incomincia  a  prevalere di  già  r  indirizzo  naturale,  pigliando  forma  sempre  più empirica  di  guisa  che  si  potrebbe  dire  non  v'essere stacco  assoluto  fra  questo  indirizzo  aristotehco,  e  quelle scuole  che  vi  tenner  dietro,  segnatamente  l'Epicurea e  la  Stoica.*  11  Nominalismo  del  medioevo  che  il  Ro- smini più  acconciamente  appellerebbe  Bealisfno  aristotelico, nonché  il  naturalismo  d'alcuni  peripatetici del  secolo  XV  e  XVI,  ci  palesano  anch'  essi  l' indirizzo empirico.  '  I  Positivisti,  finalmente,  credono  anch'  essi oggidì  potersi  agganciare  allo  Stagirita,  ne  in  verità avrebbero  gran  torto  se  troppo  facilmente  non  dimen- ticassero come  accanto  all'Aristotele  positivista  ci  sia un  Aristotele  filosofo  anzi  metafisico  propriamente  detto. D'altra  parte,  il  Neoplatonismo  e  più  l'interminabile serie  dei  commentatori  arabi  o  arabeggianti  che  smar- rivansi  in  quella  grossolana  forma  di  panteismo  ])sico- logico  annidatasi  nella  dottrina  dell'intelletto  agente così  balordamente  interpretata  in  Aristotele,  non  ci palesano  schiettissimo  l'indirizzo  iperpsicologico? Fra  questi  estremi  quanto  evidente  nella  storia  al- *  Ravaisson.  Op.  cit.»  tom.  II,  p.*  4",  lìb.  1,  e.  1. •  RosMiivi,  ArUu  eiip.  ed  etam.y  Introd.  pagf.  46.    Roussblot,  Étud^ tvr  la  Phil.  dan»  le  moì/en  àgef    p.*,  pa«r.  80.    Saint-RinÌ  Taillak> DntB»  Seot  Erigene  et  la  Phil,  Seolwtt.,  p.  101.  -  CousiN,  Fragni,  de  PkiU du  fnoyen  Age,  p.  72. trettanto  necessaria  in  teoria  è  la  posizione  mediana. Ella  si  studia  porre  nn  accordo  fra  l'esigenza  fondamen- tale del  Platonismo,  e  quella  dell' Aristotelismo;  fra  l'uni- Tersale  in  sé,  e  Y  universale  anche  nel  mondo.  Se  non che  è  facile  vedere  come  questa  posizione  abbia  a  ren- dere immagine,  diremmo  quasi,  del  ferro  magnetico  il quale  senza  posa  oscilla  fra  mezzo  al  polo  positivo  e al  polo  negativo.  Tale  davvero  è  l' indirizzo  medio,  un ferro  magnetico  :  per  cui  non  è  impresa  agevole  stabilire, per  esempio,  se  certi  realisti  e  certi  nominalisti dell'  evo  medio,  de'  quali  il  Rosmini  con  l' usata  pazien- tissima industria  andò  scovando  più  e  diverse  famiglie, sLin  da  dichiararsi  aristotelici  meglio  che  platonici.*  L' indirizzo  medio  nelle  dottrine  filosofiche,  massime parlando  di  Platonismo  e  d' Aristotelismo  avvisati  nel loro  svolgimento  istorico,  spicca  per  questo  contrassegno: d'  esser  la  molla  maestra,  per  così  dire,  del  progresso nello  sviluppo  del  pensiero  speculativo.  Or  s'egli  è tale,  non  debb'  esser  rappresentato  da  que'  filosofi  che *  Pretendono  alcuni  storici  ctie  il  Nominalismo  non  dlfForìsca  punto dal  Concettualismo  (per  es.  il  Cocsin,  (Euvres  cT Abelardo  Introd.,  p.  XCVI in  ciò  confutato  meritamente  dal  Rosmini,  Atìm,  ec.  p.  22.)  Meno  a?7entato  degli  altri  il  Roverotano  si  contenta  designare  il  secondo  com*  una gpecie  del  primo.  E  sia  pure.  Ma  se  fra  Tun  sistema  e  T  altro  non  fosse alcun  diyario,  dovremmo  porre  in  un  fascio,  non  diciamo  con  quanta  ve- rità, i  nomi  di  Roscellino,  di  Guglielmo  di  Champeaux  e  d'Abelardo? Per  noi  la  differenza  delle  tre  direzioni  filosofiche  medievali  è  precisa- mente quella  che  esiste  fra  le  tre  posizioni  dell'  universale  rispetto  alle cose  :  ante  rem,  in  re,  poH  rem.  Non  dico  già  che  tra  Nominalismo  e  Concettualismo corra  quel  medesimo  divario  che  pur  troppo  intercede  fra  essi presi  insieme,  e  quella  specie  di  Realismo  per  cui  si  distingue, 'per  es., Anselmo  d*  Aosta.  Ma  la  differenza  è  pur  evidente,  essendoci  differenza, parmi,  tra  V  ammettere  e  'I  negare  Vunivenalenel  concetto.  Checche  se  ne dica,  la  scuola  di  Roscellino  è  nominale  pura.  Quella  di  Guglielmo  di Champeaux  è  schiettamente  realista.  Ma  un  barlume  di  vero  progresso nella  scolastica  traluce  nel  Concettualismo.  Esso  ci  rappresenta,  almeno compera  possibile  in  quell'età  e  in  quelle  condizioni  della  scienza,  l'indirizzo aristotelico  medio.  Il  Concettualismo  è  tanto  superiore  al  Nominalismo, quanto  Io  spirito  all'esperienza,  -le  idee  ai  fatti,  il  senso  al pensiero.  Il  Rimuaat  e  il  Nouritaon  han  saputo  rilevare  a  meraviglia  i meriti  di  questo  indirizzo  nel  periodo  scolastico.  (Abìlakd,  Tom.  1,40, II,  24.    Tahleaux  de»  progrì»,  ed.  cit.  p.  257.) la  critica  non  radamente  finisce  per  battezzare  con  titoli diversi  e  disparati  e  talvolta  anche  opposti,  non  altri- menti che  gli  zoologisti  adoperano  riguardo  a  certe specie  zoologiche  le  quali,  in  via  di  formazione  specifica, non  possiedon  per  anche  caratteri  netti,  spiccati e  ben  determinati?  Tal  si  è  agli  occhi  nostri,  per  dire un  esempio,  Alessandro  Afrodisio;  il  quale,  tuttoché meritasse  titolo  di  secondo  Aristotele,  ninno  però  vorrà dichiarare  schietto  aristotelico.  S'egli  infatti,  combatte la  dottrina  atomistica  degli  Epicurei  nonché  quella delle  forme  seminali  degli  Stoici,  é  questa  una  buona ragione  perché  non  sia  detto  seguace  dell'  indirizzo  ari- stotelico empirico.  E,  inoltre,  se  contro  Avveroé  piglia a  corregger  la  dottrina  dell'  intelletto  possibile,  ciò  dimostra com'  ei  non  sia  nuli'  afiatto  un  iperpsicologista, e  per  la  stessa  ragione  non  é  a  confondersi  co' puri platonici.  Che  se,  finalmente,  opponendosi  allo  stesso Aristotele  procaccia  dimostrare  come  la  specie  anziché nell'individuo  sia  nel  pensiero,  con  ciò  si  manifesta  chia- ramente seguace  dell'indirizzo  mediano.  L' Afrodisio dunque,  se  potessi  designarlo  così,  sarebbe  il  concet- tualista per  eccellenza  fra  gli  esegeti  ellenici,  e  quindi potrebbe  rappresentarci  l'antecedente  ideale  del  Con- cettualismo mediqevale.  Egli  per  primo  nella  storia  dell' Aristotelismo  ci  esprime  il  bisogno  d' accordare  le  due opposte  direzioni  aristoteliche,  restando  egli  stesso  aristotelico, e  però  non  arabo,    sensista.    Si  potrebbe facilmente  dimostrare,  se  qui  fosse  luogo,  che  il  mede- simo indirizzo  ci  esprime  e  la  medesima  funzione  eser- cita san  Tommaso  nel  medioevo;  talché  nell'età  me- dioevale il  D' Aquino  rappresenta  ciò  che  l' Afrodisio fra'  primi  commentatori  greci.* *  Parlando  di  sau  Tommaso  il  Bonghi  dice:  Quello  che  m'ha  fatto molto  maravigliare,  e  di  cui  non  mi  $on  reso  cofUo  pienamentef  ^  come •'  accordi  in  tanti  luoghi  coW  A/roditeo^  tema  perft  citarlo  mai,  ìé  accordo ^  tale  che  non  pud  ewer  casuale.  (Op.  cìt.  LeU.  al  Rosm.«  p.  XUI.)  È  vero, san  Tommaso  non  conoscerà  che  di  nome  rAfrodisio.  Lo  conosceva  per mezzo  d*A7erroé;  eppure  tanto  spesso  trovasi  d'accordo  con  lui  neir  in- Altri  esempi  più  spiccati  potremmo  averli  nel  Ri- nascimento; esempi  di  filosofì  che  a  tutta  prima  non paiono  stare    di  qua  ne  di  là.  Tali  per  noi  sono,  a dime  questi,  il  Porzio,  lo  Zabarella,  il  Lagalla,  il  Castellani; e  non  esiteremmo  annoverarvi  anche  il  Sessano, come  quegli  che  finì  per  combatter  l'Averroismo  e dar  molto  da  pensare  a'  seguaci  dell'  indirizzo  empirico fra'  quali  in  cima  a  tutti  siede  il  Pomponazzi  *  Che  se  il Patrizzi  e  più  il  Ficino,  fra  gli  altri,  si  palesano  schietti neoplatonici,  cotesto  lor  platonismo  non  va  certamente confuso  con  l'Arabismo.  Anche  noi  crediamo  che  certi Platonici  e  certi  Peripatetici  arabeggino  la  lor  parte, e  tanto  s'assomiglino  fra  loro  quanto  due  gocciole d'acqua.  Ma  perchè  pretendere  porli  in  un  mazzo? La  lor  mente  muove  da  sorgive  diverse;  così  che,  in- terpretando a  lor  modo  Aristotele  e  Platone,  gli  uni spesso  vaporano,  come  s' è  detto,  in  una  forma  confusa di  panteismo  psicologico,  in  mentre  che  gli  altri  svo- lazzano sì  da  restare  immersi  e  balordicci  in  mezzo agli  splendori  d' un  misticismo  il  quale  se  non  è  panteismo poco  ci  corre.  Arabismo  quindi  non  è  Plato- nismo; 0,  se  si  vuole,  è  i)  fiacco,  è  il  grossolano  Plato- nismo venuto  fuori,  come  to^tommo,  attraverso  la  critica male  interpretata  d'  Aristotele  contro  il  suo  maestro. Se  dunque  la  storia  dell'Aristotelismo  è    pronta  a mostrarci  incarnate  nelle  sue  scuole  tre  diverse  tendenze, ciò  vorrà  dire  più  cose.  Vuol  dire  che  queste  tre  tendenze debbono  esistere,  ma  esistere  come  in  germe  nelle  dottrine e  nella  mente  stessa  del  Caposcuola.  Vuol  dire terpretare  il  JUo$ofo,  che  davvero  tale  consenso  non  può  esser  ccituale. Quale  n'  è,  dunque,  la  ragione  ?  Il  Bonghi  non  ne  avrebbe  fatto  le  mera- viglie se  avesse  pensato  eh*  eran  tutt'  e  due  nel  medesimo  indirizzo,  nel- r  indirizzo  aristotelico  mediOf  per  quante  possano  esser  le  differenze. *  Molti  filosofi  italiani,  che  d'ordinario  sono  mossi  iu  fascio  col  Pomponazzi 0  con  gli  schietti  averroisti  ovvero  co'  puri  platonici  (come appunto  il  Nife)  a  noi  paion  seguaci  più  o  mono  spiccati  dell'indirizzo medio,  quando  siano  interpretati  con  benignità  di  giudizio,  e  senza  le traveggole  d'una  critica  sistematica. ch'elle  hann'a  distinguersi  e  sdoppiarsi  e  correre  il  palio del  processo  istorico.  E  vuol  dire,  perciò,  che  a  questo ior  successivo  distinguersi  ha  da  presiedere  una  legge di  progresso  che  per  passi  lenti,  ma  sicuri,  valga  a  ri- condurre r  analisi  alla  verità  della  sua  sintesi  primi- tiva. Aristotelismo  e  Platonismo,  ripetiamolo,  non  sono a  dir  proprio  due  filosofie  ;    sono  due  serie  di  filosofi gli  Aristotelici  veri  ed  i  veri  Platonici.*  Sono  ben»  due filosofie  que'  due  commenti  così  opposti  fra  loro  e  contrari, che,  fondandosi  in  un  concetto  b  empiricamente naturale  o  esageratamente  iperpsicologico  del  pensièro, vennero  fabbricandosi  col  succedersi  de'  secoli,  con  l'in- calzarsi de'  filosofi,  e  con  1'  avvicendarsi  delle  scuole. Non  seguiremo  perciò,  a  questo  proposito,  la  sentenza del  Buhle,  del  Bitter,  del  Renan  tb  d'  altri  storici  che altro  divario  non  sanno  scorgere,  fra'  peripatetici  del Rinascimento,  se  non  quello  eh'  è  possibile  riconoscere fra'  commentatori  d' un  medesimo  caposcuola.  Come confonder  l'Achillini  col  Porzio?  e  il  Porzio  col  Nifo? e  il  Nifo  con  lo  Zabarella  e  col  (3ontarini?  e  tutti questi  con  lo  Zimara  e  con  altri  di  simil  tenore? Il  criterio  innanzi  stabilito  ci  può  far  comprendere perchè  mai  tutti  quelli  che  han  sempre  sospirato  un accordo  fra  l' uno  e  l' altro  sistema,  risentano  piii  del- l' indirizzo  platonico  anziché  dell'  aristotelico  ;  e  perchè accanto  a  Bessarione,  al  Mirandolano,  al  citato  Gontarini,  al  Mazzoni,  e  a  tutti  gli  altri  che  credono  toccar col  dito  il  vagheggiato  accordo,  non  manchino  i  Donato, i  Folieta.  i  Buratella  che  reputino  pazzia  cosiflFatto accordo.  I  primi  ci  dimostrandoci  fatto  che  nell'Ari- *  Una  prora  estrinseca  che  fra  il  Platonismo  e  1*  Aristotelismo  pri- mitivi non  V*  è,  masdme  in  certi  ponti  di  metafisica,  divario  sostan- ziale, potrebb*  esser  tolta  dalla  maniera  ond'  Aristotele  conduce  la  crìtica inverso  alla  fllosofia  del  sno  maestro.  Lo  Scbleiermacher  Tha  chiamata critica  da  maestro  di  scuola:  e,  per  alcuni  rispetti,  non  a  torto.  Lo  Zeller infatti  ha  mostrato  ad  evidenza  come  il  discepolo  stiracchi  non  di  rado il  maestro  per  meglio  abbatterlo.    Ved.  Op.  cìt.  trad.  dal  Bonghi  spe- cialmente nel  Cap.  iV. stotelismo  c'è  il  Platonismo,  e  però  l'indirizzo  medio; i  secondi  poi  che  nello  Stagirita  ci  ha  i  germi  delle  altre opposte  e  contrarie  direzioni.  Un  accordo  è  possibile  ; ma  non  fatto  a  maniera  ^meccanica  e  per  sovrapposizione, come  si  pensano  certi  viventi  neoplatonici  col trasferire  all'un  filosofo  ciò  che  si  crede  faccia  difetto all'  altro,  e  dando  per  esempio  ad  Aristotele  l' idea  pla- tonica, e  a  Platone  il  concetto  della  Juva^c?  o  della ytvevii  aristotelica.  Il  discepolo  ha  pur  egli  la  sua  idea, cgme  al  maestro  non  manca  la  virtù  del  fatto  e  il  valore dell'esperienza.  L'accordo  quindi  è  opera  della  storia; ed  è  r  opera  travagliosa  della  critica  rintegratrice. La  quale,  rotondando  le  sporgenze  e  ammorbidendo  le angolosità  che  pur  troppo  si  lasciano  scorger  ne' due filosofi,  li  modifica,  li  rimpasta,  li  trasfonde  1'  uno  nel- r  altro  e  li  trasfigura  siffattamente  che  ci  scompaian dagli  occhi  Aristotele  e  Platone,  senza  che  perciò  abbia a  scomparire  ed  estinguersi  quell'eterna  e  vivace  esi- genza cui  levossi  il  pensiero  indoeuropeo  fin  da' primi momenti  della  sua  riflessione  speculativa  e  metafisica. Ripetiamolo  anche  qui.  Il  risultamento  finale  dell'Aristotelismo e  del  Platonismo  non  è  già  il  trionfo dell'uno  su  l'altro,  od  al  contrario.  È  il  trionfo  d'entrambi, per  una  ragione  altrove  rammentata  a  proposito delle  due  moderne  filosofie.  E  que' critici  che  tanto sudano  e  s'  arrovellano  a  mettere  in  trono  vuoi  un Aristotele  passato  attraverso  i  lambicchi  d'una  critica infedele  ed  eunuca,  vuoi  un  Platone  rimpannucciato co' cenci  d'un  troppo  vieto  tradizionalismo,  negano, senz'  addarsene,  la  storia.  Negano  la  storia,  perchè disconoscono  gran  parte  del  lavoro  storico  già  compiutosi per  opera  degli  esegeti  ellenici,  arabi,  alessandrini, latini,  italiani  del  Risorgimento. Reca  marayiglia  davvero  il  pensare  come  in  questa  maniera  di  critica incappino  perfino,  parlando  d'Aristotele^  gli  hegeliani  più  assennati  quando affermano,  per  esempio,  che  aìVidea  topra  le  cose  di  PlaUme  AnstoteU SOSTITUÌ  Videa  delle  coae^  o  la  forma.  Basterebbe  già  la  parola  909Htu\  a  far cangiare  ftsonomia,  non  pure  airAristotelismo  e  al  Platonismo,  ma  a  tutta Premesse  queste  considerazioni  generali,  veniamo alla  quistione  psicologica.  U  problema  psicologico  al quale  si  connette  ogn' altro,  è  quello  che  risguarda  la relazione  fra  V  anima  e  '1  corpo.  Se  cotesta  relazione interviene  fra  mosso  e  movente,  per  usare  l' antico  lin- guaggio, s'ha  l'indirizzo  platonico;  il  quale  j>wò  trovar riscontro  con  la  posizione  iperpsicologica  della  esegesi de'  commentatori  averroisti.  Se  è  relazione  di  potenza  e Aleuto,  pigliando  l' atto  come  determinazione  o  semplice la  storia  della  scienza.  B  tal  si  è  infatti  il  linguaggio  tenuto  nella  ìot critica  da  Hegel,  dal  Michelet,  dal  Franti,  dallo  Zeller,  ne'  quali  attingono ispirazione  i  nostri  hegeliani.  Ma  dicendo  che  Aristotele  sostituì  oc,  non sembra  che  lo  Stagìrita  abbia  inteso  di  negare  addirittura  V  idea  platonica? Giacché  a  poter  sostituire  bisogna  innanzi  negare;  e  per  mettere qualcosa,  è  d^uopo  averne  levato  qualche  altra.  Ora  il  vero  si  è  che  Aristotele, oltre  la  specie  come  predicabile,  il  che  costituisce  proprio  la novità  sua  di  rimpetto  a  Platone,  riconosce  altresì  la  specie  separata^  la specie  in  sé,    forma  in  sé,  spoglia  di  materia.  La  qual  forma  in  sé (s  Zi  poi  aurvj  x^-^'  aur^fv  vj  uo^^tj)  è  altrettanto  chiara  in  Aristo- tele,'quanto  la  forma  mista  alla  materia  (ùtgjùti^jvvj  (uterà  rrì;  vItiq).  lì divario  fra*  due  ftlosoft  perciò  non  risguarda  la  prima,  vo*  dir  la  specie per  eccellenza,  ma  si  la  seconda,  cioè  la  cosa  contenente  la  specie.  Di  che si  vede  come  per  lo  Stagirita,  oltre  l'insieme  de' due  elementi  (to  au  voXov) ci  sia  ben  altro  ancora.  Al  di    del  to'  slSoz  sv  fn  uXv),  infatti,  vi ha  l'essere,  vi  ha  la  ragion  delle  cose,    tìSo;,  (Ved.  Metaph.  X,  2).  In- tanto, che  cosa  ti  fanno  i  critici  hegeliani  ?  Essi  pigliano  quel  che  loro toma  comodo.  Pigliano  il  to'  oùvoXov,  e  il  resto  considerano  come  un  caput mortnumj  o  sentenziano:  Ècco  qua  il  vero  Aristotele!  Che  sia  l'Aristotele del  loro  cervello,  è  chiaro,    vi  cape  ombra  di  dubbio.  Che  sia  l'Aristotele che  ci  porge  la  storia,  lo  neghiamo  risolutamente;    ci  man- cherebbe modo  a  darne  dimostrazione,  se  questo  fosse  il  luogo.  Si  dirà che  quel  caput  mortuum  sia  come  il  Deus  ex  machina    Cartesio?  una contraddizione?  Innanzi  tutto  potrebbe  stare  ch'ella  non  fosse  tale:  e  tale infatti  non  la  reputarono  i  nostri  vecchi  critici  del  Rinascimento,  né tale  è  creduta  oggi  da'  massimi  e  più  severi  interpreti  moderni,  qual  è Trendelenburg  in  Germania,  Rosmini  in  Italia,  Ravaisson  e  B.  Saint- Hilaire  in  Francia.  Checché  ne  sia,  la  critica  seria  e  feconda  starebbe appunto  nel  levar  di  mezzo  la  contraddizione,  ma  senza  negare    ra- diare in  Aristotele  l'esigenza  platonica;  se  no,  risicheremo  d'incespicare nel  solito  scoglio,  quello  cioè  di  far  la  storia  zoppicando,  e  far  cammi- nare la  macchina  con  una  sola  ruota.  Nessuno  de'  quattro  critici  poco fa  rammentati,  fra'  moderni,  e  neanche  fra  gli  antichi  il  nostro  Simone Porzio  per  esempio,  avrebbero  detto,    dicono,  sostituì.  Avrebbero  dette aggiunse,  a/mpìè,  eon-ewT,  iiirern,  t'  simili. modificazione  della  potenza,  avrai  la  posizione  empirica dell'Aristotelismo,  il  cui  rappresentante  più  logico,  più originale  nell'  età  del  risorgimento  dicemmo  essere  il Pomponaccio.  Se  cotest' attinenza,  per  ultimo,  è  quella  di forma  e  di  matefia,  ma  intesa  in  maniera  che  la  prima tuttoché  rampolli  dalla  seconda  non  però  sia  come  assorbita da  questa  e  ne  dipenda  in  modo  assoluto,  ma  anzi  la superi,  la  informi  di    e  basti  ad  alimentarsi  di    me- desima; in  tal  caso  avremo  una  terza  posizione,  la  cui  esi- genza é  pur  manifesta  in  Aristotele,  e  nella  quale  pone radice  la  soluzione  più  acconcia  del  problema  psicologico. L' indirizzo  iperpsicólogico,  nome  che  d' ordinario scambiasi  con  l'altro  di  platonico,  ha  natura  dedut- tiva, e  costituisce  il  metodo  degli  spiritualisti  di  tutt'  i tempi  :  nelle  cui  mani  la  psicologia  assorbe  siifattamente la  fisiologia,  da  ridurla  alle  umili  condizioni  di  sem- .plice  appendice  della  prima.  L'indirizzo  aristotelico empirico  ha  natura  puramente  induttiva;  ed  é  il  metodo de'mateiialisti  d'ogni  età,  nonché  di  certi  moderni biologisti  e  positivisti,  agli  occhi  de' quali  la  scienza dell'  anima  é  com'  un'  ultima  pagina,  una  modesta  ap- pendice della  fisiologia,  ovvero  una  specie  d'enume- razione, come  direbbe  Hegel,  di  ciò  che  é  l'anima,  di ciò  che  in  lei  avviene,  di  ciò  eh'  ella  opera.  *  L' indi- rizzo medio,  finalmente,  facendo  giusta  parte  e  ragione tanto  alla  psicologia  quant'  alla  fisiologia,  interpreta  il rapporto  fra  la  potenza  e  l' atto  col  sussidio  del  metodo genetico  ;  e  così  giugno  a  salvare  ad  un'  ora  medesima i  diritti  dello  spirito  e  quelli  della  materia. A  siffatto  risultamento  ci  mena  la  critica  e  la  sto- ria delle  differenti  soluzioni  date  a  quest'  arduo  pro- blema. Rifacciamoci  brevemente  dal  Platonismo. Il  concetto  psicologico  del  gran  figliuolo  d'  Aristone, se  é  parso  profondo  a  molti  in  quanto  che  mira,  come direbbe  il  Cousin,  a  congiugner  la  natura  intelligibile *  Phil,  de  VEnprit,  trad.  del  Vera,  T.  1,  1868,  p.  72. con  la  materiale  maritando  due  mondi  opposti  nell'anima razionale  e  sensitiva,*  pur  nullameno  e' riesce  manche- volissimo chi  pensi  come  anima  e  corpo  al  filosofo  di Atene  s'  affacciassero  dislegati,  scissi,  e  solamente  ap- paiati così  fra  loro  com'  il  nocchiero  col  suo  naviglio.* Nessun  vincolo  secreto,  adunque,  nessun  nodo,    ombra di  processo  nelle  funzioni  psicologiche  pel  padre  del Platonismo.'  Di  qua  proviene  che  per  lui  la  mente,  vivendo d' una  vita  superiore,  non  abbisogna,  a  dir  proprio, di  pareli^;  il  pensiero  essendo  già  per    stesso un  discorso  con    medesimo  :  Sto^UyaSat^  Perciò  stesso una  divisione  razionale  e  organica  degli  atti  psicologici teoretici  nella  dottrina  platonica  è  impossibile  :  '  laonde quant'  all'  essenza  propria  e  specificante  l' anima,  piut- tosto che  generarsi,  si  compone;  o,  come  osserva  accon- ciamente un  acuto  scrittore,  si  raccozza,  non  si  esplica.® Il  concetto  psicologico  dunque  del  primitivo  Plato- nismo é  tanto  incompiuto,  quanto  incompiuto  si  palesa quello  della  sua  cosmologia,  nonché  l' altro  delle  relazioni fra  il  mondo  e  gli  etemi  paradigmi. Il  processo  psicologico  é  assai  meglio  determinato neir  Aristotelismo.  Ed  é  tale  in  grazia  della  dottrina dell'entelechia,^  e  della  relazione  fra  la  materia  e  la *■  L'  anima  uriiana  è  formata  alla  stessa  maniera  dell*  anima  del mondo.  {Tim.,  trad.  Coubin,  voi.  12,  p.  120  e  specialmente  123  e  segrg.) È  qualcosa  d' intermedio  fra  il  mondo  sensibile  e  V  idea.  (Zeller,  Eapo- »tx.  arìatotelica  della  jUoBofia  platonica.^  p.  304.) *  Di  qui  la  celebre  definizione  dell*  uomo  alla  quale  han  fatto  e  fauno buon  viso  tutti  gli  spiritualisti:  Avro^f  tu  toO»  (Tw^aro;  OLpy^ov (àjÀo'koyTntTafisv  «vO^owttov  govai  etc.  Ved.  nel  Primo  Alcib.f  51. •  Chaigkbt,  De  la  Paycologie  de  Platon^  Paris,  1862,  p.  232  e  segg. *  Ved.  nel  Soph,,  trad.  del  Cousin,  Tom.  XI,  p.  230. '  La  classazione  accennata  nella  Repub.  (Lib.  IV  e  IX)  si  riferisce agli  atti  morali;  e  lo  stesso  può  dirsi  dell'altra  simboleggiata  nel  mito poetico  del  Fedro.  Solo  nel  Teeteto  havvi  un  principio  di  divisione  teo- retica delle  funzioni  psicologiche,  ma  anche  questa  manchevole. •  BONQHI,  Storia  del  concetto  deWAnipia  neUe  varie  scuole  antiche  e del  medio-evot  pag.  288,  nei  Saggi  di  FU,  Civile^  Genova  1852. ■'  Arist.,  2)« i4».,  II,  e.  I,  §  VI:  W\j'/ri  sanv  «vtc>«x***  **^/'**'''*' arà^y.roc  yuTtprou  Sovy.jjLH  Zwvj'v  j^^ovto?. forma.  Tale  anche  dove  si  rifletta  al  valore  che  Aristotele porge  al  senso  come  rappresentazione  com' elemento essenziale  del  pensiero,*  nonché  all'ufficio  eh'  egli  attri- buisce all'immaginazione  (>3stxaT«a)  come  facoltà  me- diana fra  senso  e  ragione;*  anticipando  così  la  dottrina su  la  relazione  che  il  Kant  stabilì  fra  questa  facoltà e  le  altre  due  estreme  funzioni  dello  spirito.  Con  que- ste idee  fondamentali,  checche  ne  dicano  coloro  che  col B.  Saint-Hilaire  non  rifiniscono  d'incelare  la  psicologia platonica,"  Aristotele  creò  la  psicologia  come  scienza indipendente  dalla  biologìa,  gettando  insieme  le  basi della  zoopsicologia  che,  nelle  mani  segnatamente  del Darwin  e  dell' Agassiz,  oggi  comincia  ad  assumere  di- gnità e  significato  razionale.  Ecco  dunque  uno  degli esplicamenti ,  una  delle  correzioni  dell'Aristotelismo verso  il  Platonismo  neU'  àmbito  delle  ricerche  psicologiche. Nel  Timeo  Platone  riguarda  l'animo  qual  moto originario  e  spontaneo  fàuToxtv»Toc);  Aristotele,  meglio avvisandosi,  estende  siffattamente  cotal  virtii  da  riferirla altresì  all'  animale.^  E  questo,  senza  dubbio,  fu  un  passo gigantesco. Ma  se  nel  filosofo  di  Stagira  vi  ha  passi  cCoro  ad ogni  pie  sospinto,  non  per  questo  vi  manca  la  scòria. La  sua  psicologia,  come  quella  del  suo  maestro,  è  manchevole ;  ed  è  manchevole,  perchè  riesce  tale  altresì  la costituzione  della  sua  cosmologia.  Il  sistema  dell'universo per  lui  è  quasi  una  catena  di  cui  gli  anelli  principali '  rappresentati  dalla  forma  e  dalla  materia,  dalla potenza  e  dall'atto  (5uvx/:xtc  ed  ivtpyéia),  si  ripetono, s' ingradano  e  moltiplicano  viepiù  col  distendersi  di  essa. *  Akist.,  Ve  An.f  lib.  I,  cai).  L  ^ *  Idem.  Ta  y.iv  ovv  e*trìvì    vokjtcxov  «v  toìc  (por.vróÌ9fia9t  voti. De  An.,  III. *  B.  SAnrr-HiLAiRK,  Tmité  de  VAme^  Introd. *  Abist.,  Melaph.  X. *  Intendiamo  accennare  a*  due  princìpii  intemi  che  per  Aristotele costituiscon  r essere  e  sono  anzi  Tessere;  a  differenza  degli  altri  4no ntemi  che  ne  costituiscono  i  Jimiti.  (Meutph.f  II,  5,  7*%*.,  II  ) È  una  scala  in  cui  per  moto  continuo,  dallo  stato  di sonno  e  di  stupore,  la  potenza  s'aderge  al  più  alto grado  dell'attività  pura.*  In  cotesta  relazione  trovasi precisamente  la  materia  corporea  di  fronte  agli  esseri vegetabili  e  sensitivi  ;  il  vegetabile  e  '1  sensitivo  rimpetto all'essere  intellettivo;  e  T intellettivo  inverso  agi' intel- ligibili.' Ma  in  che  risied'egli  cotal  passaggio?  Tutto ciò  che  agisce  non  può  non  essere  un  ente  in  atto,  cioè la  specie  che  operando  sopra  un  ente  potenziale  vien così  traendolo  dal  nulla.'  La  forma  dunque  che  germoglia dalla  materia  è  davvero  il  passo  d^oro  nella cosmologia  aristotelica;  come  il  passaggio  empirico  e al  tutto  materiale  e  puramente  generativo  dall'  uno all'  altro,  n'  è  la  parte  inaccettabile  ed  erronea.  La potenza  non  movesi  da    per  intima  energia,  ma solo  in  virtii  del  movente,  della  forma.  Il  potenziale, in  una  parola,  non  giugne  all'attualità,  salvo  che  per mozione  d'un  attuale.*  Or  com'è  possibile  che  la  potènza riesca  anteriore  all'atto,  se  in  realtà  è  sempre  un atto  quello  che  ha  da  movere  il  termine  correlativo  ? Che  se  l'atto  è  antecedente  alla  potenza  e  la  precede altresì  di  tempo  ;  ^  non  è  egli  chiaro  che  cotesta  po- tenza abbia  a  riescire  affatto  vuota  e  sterile  e  infeconda, posto  eh'  ella  abbisogni  sempre  d' un  atto  che  la  tragga ad  atto? •  Ma  c'è  di  più.  Se  l'originalità  d'Aristotele  risiede neir  aver  visto  l' elemento  formale  intrhisecarsi  col  materiale ;  e  la  forma  in  quanto  reale  costituire  perciò  la sostanza  (ouVJa);  e  questa  esser  non  altro  che  processo. V?  fuo-c;,  wTTff  rin  trvvtyjia    XavOoévscv  to'  TtsBóptov  aur&ìv  xat tÒ  ^ttjoy  wOTi/Owv  ««TTt'v.  Hi»U  Anim.f  Vili. *  Arist.,  Metaph.  Ili,  8. *  Idem,  De  Oenerat.  Aninu,  II,  1. *  "O  ffTTÌv  VI  xcv)}(7(;  «V  Tw  xtv>jTw,  Stj'koy'  i'»Ts\éyr^siwc,  7ivj(T5a£  rt):  la  parte  fiacca  di sua  dottrina,  invece  sta  nell'aver  posto,  com'ho  toccato, medesimezza  di  natura,  fra  le  due  supreme  determina- zioni degli  enti  nell'ordine  delle  sensate  realtà,  onde  poi accade  che  rimanga  difettosa  tutta  la  cosmologia.  La potenza  avvisata  in    medesima  è  Sivafii^,  In  quanto fluisce  verso  l'atto  è  tvspysia.  In  quant'è  atto,  stato, riposo,  stasi,  è  5VT«>ex«ta.  In  quanto  poi  transigi  ad atto  novello  ripiglia  valore  d' Bvspyùv.,  e  così  di  seguito. Il  moto  (KlvYiTit:),  il  conato^  come  direbbe  il  Leiljnitz, il  conato  0  lo  sforzo,  come  direbbe  il  Vico,  costituisce l'essenza  di  tutti  questi  tennini  diversi;  in  lui  s'in- centrano potenza  ed  atto;*  il  perchè  formando  fra  loro continuità,  compongono  un  sol  ente  capace  di  passare attraverso  stati  o  momenti  in    stessi  diversi  per  intrinseca eccellenza.  La  produzione  si  fa  sempre  nella medesima  specie,  ed  all'  univoco.  * Or  se  cotest'  appunto  è  la  natura  del  passaggio, non  è  egli  chiaro  che  le  cose  devan  liescire  identiche nella  sostanza?  Non  é  chiaro  che,  ov'  elle  progrediscano, cotesto  lor  progresso  altro  non  sarà  che  trasformazione, ninno  potendo  affermare  che  trasformarsi  vai  progredire ?  E  s' é  così,  a  qual  fine  e  con  che  ragioni  mover critica  al  maestro,  nella  cui  dottrina  il  mondo  non  è che  parvenza,  fenomeno,  ombra  vaniente  e  passeggera? Nella  dottrina  cosmologica  aristotelica,  dunque,  il  prò- cessus  è  al  tutto  apparente.  Apparente  e  fallace  la  spon- taneità e  r  intrinseca  attuosità  delle  forze.    san  Tommaso ebbe  torto  d' affermare,  contro  gli  arabeggianti dell'età  sua  i  quali  così  appunto  interpretavano  Aristotele, che  una  forma  sostanziale  novella  mai  non  appare, *  "iÌTxs  \sins70n   TO   'key^Biv  slvxc    xat    ivépystav    xat    fivj 9*  ecyae,  Metaph,,  XI. *  Mrtaph.  XI,  3. ove  la  vecchia  non  isparisca;  e  che  la  generazione, concepita  qual  moto  continuo  e  come  incessabile  tras- formazione d' un  subbietto  identico,  renda  le  forme  no- velle affatto  accessorie  e  accidentali.'  Se  quindi  il  genie possente  d'Aristotele  seppe  scorgere  e  dimostrare  una delle  grandi  leggi  della  realtà,  vo'  dir  la  continuità  tra forma  e  materia  (tò  (ruv-^sf),  la  relazione  intima  fra  la ^uvaj^xì;  e  r  £VTf>èX5*«»  ^  P^rò  il  profoudo  concetto  della £V5/>7sia;  non  però  giunse  a  vedere  quell'altra  condi- zione, non  meno  imprescindibile  della  prima,  la  quale seguendo  una  vecchia  frase  pitagorica  potremmo  ap- pellar legge  ddV  intervallo  {StitTTviiia),

I  medesimi  pregi  e  le  stesse  manchevolezze  nella sua  psicologia.  L' uomo  è  tu vo>ov  :  dunque  è  materia  e forma  ad  un'ora  medesima.  L'anima  intellettiva,  quindi, è  atto.  E  la  potenza  di  quest'atto?  È  il  senso....  La- sciando le  induzioni  favorevoli  che  si  potrebbero  fare circa  tal  dottrina  d'Aristotele  interpretando  il  concetto del  senso  ch'ei  chiama  generale,  si  potrebbe  domandare: in  che  sta  la  relazione,  e  qual'  è  mai  la  natura  del  passaggio fra' due  -termini?  Se  ci  è  continuità,  in  che  maniera il  senso  può  diventar  ragione,  l'esteso  inesteso, la  materia  pensiero?  Se  poi  non  v'.è  continuità  (né  ci può  essere  una  volta  eh'  ei  medesimo  invoca  la  mente dal  di  fuora^),  com'  è  che  alla  fin  fine  si  ritrovan,  por cosi  dire,  sovrapposte  le  tre  anime  che  sono  anch'  elle forma  e  materia,  atto  e  potenza? —  Trendelenburg  e Rosmini,  fra  gli  altri,  han  messo  a  nudo,  com'  è  noto •  Summay  Pars  I,  LXXXVI,  iv,  e    fe  bene  arvertire  come  gli  storiografi hegeliani,  imbattendosi  in  questa  dottrina  Aristotelica,  credano scoprir  le  Indie  e  vi  s'aggancino  tenacemente,  senz'addarsene  ch'ei  s'agganciano, anziché  al  vero  e  genuino  Aristotele,  ad  nn  tronco  arabo  !  E'  non s'accorgono  come  già  da  sette  secoli  siano  stati  mlnerati  da  quel  mo- desto fraticello  che,  primo  e  meglio  d' ogn'  altri,  mise  a  nudo  le  maga- gne dell' Averroismo  ove  dimostra  Averroè  peripatetiofn  philotopJUm  de- pravatore Ved.  Opusc.  Contra  AverroytUy  specialmente  a  pag.  225  o  segg.  ; e  nella  Sommay  q.  LXXIX. *  Aribt.,   Or  Gerterot,  Anim.,  II,  3. questo  sconcio  aristotelico.  L' un  d' essi  non  capisce  in che  maniera  lo  Stagirita  interrompesse  la  serie  pre- clara, e  però  si  studia  correggerlo  facendo  che  la  mente in  potenza  (tw  Travra  7£vsf  cor*»;),  ma  anche potenza  del  corpo  (d^jv^im  tow  jw/xaro;).'  E  nello  stesso metodo  fu  poscia  ormeggiato  da  parecchi  filosoh  del Rinascimento  :  da  quelli  segnatamente  che  tra  V  anima e  '1  corpo  introdussero  un'  attinenza  di  causalità  reci- proca, stante  clie  la  natura  partorisca  la  forma  in  quanto é  potenza  anch'  ella,  ma  potenza  attuosa  ;  e  la  forma (juinci  rigeneri  e  ravvivi  la  materia  in  quanto  la  compie. Se  non  che  il  Tomismo,  scordando  spesso  l'ottimo indirizzo  d'Aristotele,  tìgge  gli  occhi  nella  materia,  e in  questa  presume  riporre  talora  la  ragione  e  '1  principio dell'  individualità.  Errore  del  quale  secondo  alcuni  sto- rici tornerà  sempre  vano  il  voler  difendere  il  dottore Angelico,  quando  si  consideri  che  la  materia,  perchè  si '  Idem,  eoci.,  XG:  educitur  e  potentia  imtterice. *  Ib.,  LXXVI.  Ved.  ueirOp.  cit.  del  RAyAiSHUN,  T.  II,  p.  296  e  sogg. porga  qual  principio  d'individuazione,  ha  pur  bisogno d'esser  determinata,  suggellata,  segnata:  or  da  che  cosa mai  può  esser  ella  improntata  sadvo  che  dalla  forma? ciò  che  formava  appunto  il  nòcciolo  della  opposizione degli  Scotisti.*  Del  buon  indirizzo  aristotelico  inoltre  si dimentica  san  Tommaso  dove,  rasentando  l'aristote- lismo emJ)irico,  si  mostra  così  titubante  su  la  verace natura  del  senso,  che  la  potenza  per  lui  non  è  così piena  e  così  feconda  come  pur  domanderebbe  la  produzione dell'atto;  e  quindi  sente  necessità  di  chieder sussidio  a  un  lume  piovutoci  addosso  non  sai  dir  come *  Io  qui  non  intendo  propugnare  la  teorica  sa  T  indìvidnazione  di san  Tommaso.  Son  anch'  io  del  parere  che  gli  Scotistl  non  aressero  poi tatt*  i  torti  neir  opporrisi,  perchè  davvero  non mancano  sentenze  nel Tomismo  che  debbano  andar  soggette  ad  una  critica  severa.  Ma  fa  meraviglia il  pensare  come  non  tutti  che  ne  han  parlato  siansi  dati  cura d' interpretare  con  benignità  siffatta  dottrina;  e  più  meraviglia  il  vedere come  r  abbian  trattata  male  anco  i  più  versati  nella  filosofia  sco- lastica e  nello  studio  deir  Àquinate,  qual*  ò,  per  esempio,  lo  Jourdain che  tanto  nel    quanto  nel  2*  voi.  dell*  opera  poco  fa  citata,  si  mette a  sfatar  V  Angelico  in  modo  poco  serio  per  le  contraddizioni  nelle  quali secondo  lui,  cade  1*  autore  della  Somma,  e  per  V  inanUà  con  che  tratta siffatta  questione.  Si  dice  e  si  scrive  che  il  principio  d*  itulividwuione per  TAquinate  stia  nella  materia;  e  se  davvero  fosse  così,  non  s*  avrebbe torto  a  dargliene  biasimo.  Ha,  a  voler  interpretare  con  dirittura  di  giu- dizio la  dottrina  tomistica,  non  è  proprio  e  sempre  la  materia  quella in  cui  è  da  riporsi  tal  principio,  slbbene  ciò  che  in  un  ente  ha  ragione di  primo  subbietto.  Ecco  le  parole  deirAquinate:  Ulud  qntodtenet  rationem  primi  tubieeti,  est  oausa  individuationie  et  divieionin  tpeciei  in  euppoeitis.  E  qual'  è  questo  primo  «ubbietto  t  Est  id  quod  in  alio  recipi  non potesL  Or  le  forme  separate,  per  ciò  che  non  ponno  esser  ricevute  in altro,  hanno  ragion  di  primo  subbietto;  però  s'individuano;  e  però  In et«  tot  »unt  epeeies,  quot  eunt  individua,  (Ved.  De  nat.  materia,  e  8.)  Or la  materia  è  ella  principio  di  distinzione?  Si,  certo:  ma  in  quanto  e  sin dove  ha  funzione  di  primo  subbietto.  Nella  dottrina  tomistica,  dunque, il  principio  d' individuazione  non  sarebbe    la  forma    la  materia,  ma or  l'una  or  l'altra  secondo  che  quella  o  questa  esercita  funzione  di primo  subbietto.  So  che  i  dubbi  non  per  questo  si  diradano,    gli  op- positori cessano.  Ma  io,  ripeto,  non  difendo  in  tutto  tal  dottrina,  sib- bene  chiarisco  la  interpretazione  da  darsene,  e  la  critica  da  fame.  — Vedi in  proposito  le  lettere  dell'  egregrio  Aless.  Bbrntazzoli  assai  dotto  nella filosofia  di  san  Tommaso:  Di  un  ulteriore  e  definitivo  esplicamenio  ddla FlIoHofin  /tcnlasttra  ec,  Bolo^'na,  ISCl. né  perchè,*  invocando  così  un  atto  immediato  di creazione.  Se  l'anima  è  forma,  atto  puro,  potrebbe esser  generata  dal  corpo?  Non  potrebbe,  risponderà Tommaso:  ciò  eh'  è  immateriale  è  impossibile  che  ram- polli per  via  di  generazione  ;  la  quale  non  è  altro,  a  dir proprio,  che  trasformazione.  Ma  potrebb'  esser  fatta della  sostanza  divina?  Tanto  meno;  perchè  questa  non è  che  un  atto  purissimo.'  Eccotelo  dunque  anche  lui all'  intervento  del  solito  DetAS  ex  machina;  alla  neces- sità d' un  atto  peculiare  di  creazione  ex  niMlo,  Or  non vi  sarebb'egli  altra  via  al  nascimento  dell'anima  fuori di  queste  due,  generazione  o  creazione  estranea  e  divi-

na? —  CJom'è  evidente  l'A.  della  Somma  (non  altrimenti che  l'A.  della  OUtà  di  Dio  risguardo  a  Platone)  eredita, co'  grandi  pregi,  anch' i  difetti  della  dottrina  aristotelica. Il  concetto  della  individuahtà  è  concetto  capitale nella  storia  della  psicologia.  È  propriamente  la  radice prima  onde  pullula,  chi  ben  guardi,  tutto  il  pensiero moderno  filosofico,  politico,  religioso.  La  teorica  della individuazione,  perciò,  è  l' addentellato  più  acconcio  per cui,  nella  storia  delle  soluzioni  riguardanti  il  problema psicologico,  il  medioevo,  segnatamente  il  Tomismo,  si congiugne  con  l' età  e  co'  filosofi  del  Rinascimento.  Non ostante  i  pregi  e  i  meriti  grandi  che  l'Aquinate  può vantare  verso  l'Aristotelismo  e  più  verso  il  Platonismo, la  sua  dottrina  doveva  esser  corretta  mostrando  che  il principio  d' individuazione  non  istà,  a  dir  proprio,  nella forma,    tampoco  nella  materia,  ovvero  nell'una  o nell'altra  secondo  la  ragione  del  primo  suòbietto.  Meglio ponendo  il  problema  psicologico  si  dovea  mostrare  che 1'  anima  è  individuale  non  perchè  informi  una  materia, ma    perchè,  materia  ella  medesima,  diventa  forma; perchè  l' anima  si  fa  coscienza;  perchè  la  coscienza  empirica attinge  valore  d'autocoscienza  e  di  libero  pen- *  Summa,  !•  2»,  CXI,  art.  2:  impre9no  divini  luminii  in  noòw,  re- fidgentia  divincB  cIoritoiM  in  anima, •  Summa,  P.  I.  LV,  v;  XC,  ii. siero,  nel  cui  regno  non  v'  ha  materia  e  organismo  che lo  spirito  non  vinca  e  sorpassi,    fantasma  o  imma- gine eh'  ei  non  superi  e  sottoponga  a    stesso. Ora  produrre,  o  almeno  compiere  cotal  dimostrazione in  maniera  positiva  ponendola  sotto  novelli  punti  di luce,  non  era  possibile  senz'  il  concetto  della  storicità, essendoché  appunto  in  seno alla  specie,  in  seno  al  co- mune e  alla  moltiplicità  appaia  e  si  determini  e  spicchi vie  più  la  nota  della  differenza,  tuttoché  cotal  differenza germogli  nelP  individuo,  e  sempre  per  natia  virtù  dell' individuo.  A  tal'  opera  spiegarono  grand'  efficacia  in- nanzi tutto  i  nostri  filosofi  del  Risorgimento.  Altrove mostreremo  come  in  tal'  epoca  si  riproduca  il  medesimo triplice  indirizzo  della  scolastica,  ma  con  esigenza  ben diversa,  perché  la  storia  è  tale  artefice  che  mai  non ricopia    stessa.  Qui  notiamo  solamente  che  nel  medioevo le  tre  tendenze  aristoteliche,  le  quali  abbiamo appellato  iperpsicólogica,  empirica  e  media,  riproducono nel  Risorgimento  l'esigenza  del  Realismo,  del  Nomi- nalismo e  del  Concettualismo,  ma  trasformandola.  Se per  queste  tre  scuole  la  ricerca  filosofica  versava  su la  natura  dell'  universale  dapprima,  e  poi,  massime  con r  Aquinate,  su  la  natura  del  medesimo  universale  ma in  relazione  col  particolare  (principio  d' individuazione)  ; per  i  filosofi  del  Rinascimento,  in  vece,  ella  risguardava  in modo  precfpuo  la  natura  intellettiva  dell'anima,  nonché il  rapporto  fra  il  pensiero  e  l'organismo.  Essi  modifi- cano profondamente  tanto  il  Platonismo  quanto  l' Ari- stotelismo; così  che  alcuni,  specie  quelli  che  rappresentano r  indirizzo  medio ,  non  intendono  ristringere l'intelletto  nel  puro  senso,  ma  lo  allargano  si  che, 'ri- collegando il  problema  psicologico  al  problema  cosmo- logico, si  sforzano  di  rannodar  l'anima  in  quanto  intelligente con  la  natura  in  quanto  intelligibile.* *  Noi  avremmo  buono  in  mano  a  dimostrare,  se  qai  fosse  luogo,  che r  indirizzo  medio  aristotelico  nel  Rinascimento  fa  rappresentato,  sebbene in  maniera  incerta  e  assai  confusa  come  portava  il  carattere  di  quel- Il  Rinascimento  apparecchiava  la  moderna  psicolo- gia, ma  non  la  costituiva.  E  non  la  costituiva  perchè il  problema  psicologico  non  può  ricevere  acconcia  soluzione quando  sia  troppo  confinato  nelle  pure  indagini psicologiche.  V'era,  per  esempio,  chi  studiavasi  di  pro- *  vare  V  immortalità  dello  spirito  e  chiarire  le  ragioni  e i  modi  ond'  il  pensiero  nel  suo  operare  s'  addimostra indipendente  dal  corpo.  E  v'  era  poi  chi  facevasi  ad  in- vocare il  sussidio  de' soliti  influssi  divini  come  fanno anc'oggi,  a  tre  e  quattro  secoli  di  distanza,  i  nostri neoplatonici.  Or  io  non  dirò  che  il  problema  su'  destini dello  spirito  possa  esser  risoluto  così  facilmente  quan- t' altri  s' immagina.  Dirò  che  alla  psicologia  potrà dirivare  qualche  sprazzo  di  luce  non  già  mostrando (inutile  tentativo!)  che  l'anima  sia  indipendente  dal corpo,  ovvero  che  Dio  faccia  piovere  il  suo  influsso  su r  intelletto  arzigogolando  in  che  guisa  lo  irraggi,  lo  il- ^  lumini  e  lo  riscaldi;  ma  procedendo  per  altra  via;  procedendo per  una  via  men  soggetta  alle  angustie  del- l'empirismo,  0  meno  aperta  alle  facili  speculazioni dell' a  priorismo.  Se  Dio  influisce,  comunque  si  voglia, su  l'anima,  altro  ei  non  potrà  fare  che  modificarne l'operazione:  cangiarne  la  natura  non  può  davvero. Che  se,  d' altra  parte,  si  giugno  a  dimostrare  l' indi-pendenza dal  corpo,  non  per  questo  s' avrà  dimostrato ch'ella  sia  proprio  immortale,  se  pure  non  vogliamo

r  età,  da  parecchi  filosofi  ;  fra'  quali  notiamo  il  Contarini,  il  Porzio,  lo Zabarella,  il  Gaetano  (De  Vio),  il  De  Spina,  lo  Scaino  fra  gì'  interpreti, 0  anche  il  Sessano.  Il  quale,  nella  forma  ultima  da  lui  data  alla  dottrina 8U  r  anima,  si  può  dire  che  si  rannodi  col  D'Aquino  e  perciò  anche  con TAfrodisio;  onde  il  Bonghi  ha  detto  benissimo  affermando  che,  nell' in- terpretare Aristotile,  il  Sessano  segue  appunto  il  commontatore  greco {Meta/,  rf'Arwt.,  Leti,  ed  Roam.  p.  XIII).  Questi  ed  altri  vecchi  nostri  filosofi andrebbero  studiati,  interpretati,  e  naturalmente  anche  corretti  secondo il  criterio  che  abbiamo  appellajto  medio.  Specialmente  andrebbe studiato  il  povero  Nìfo  cosi  malconcio  e  sfatato  dal  nostro  collega  Fio- rentino: al  quale  il  Franck,  del  resto,  ha  saputo  dire  che  il  Sessano  non pure  fu  il  piò,  Maggio  metafisico  del  suo  tempo,  ma,  più  ancora,  che  il Pomponazzi  trovò  appunto  nel  Nifo  un  contraddittore  imbarazzante,  e d'una  grande  autorità.  — (Joum,  dee  Sav.  Magg.  1869.) acconciarci  alla  celebre  quanto  inutile  distinzione  del Pomponazzi  dell'Io  fisico  e  dell'Io  intellettivo,  e  del- l' anima  propriamente  mortale  e  impropriamente  immortale! Al  pili  potremmo  giugnere  a  dir  questo;  che r  anima  non  finisca  così  come  finisce  il  corpo,  cioè disgregandosi  e  trasformandosL.  Ma  cotesta  soluzione non  è  affatto  negativa? Tutt' insieme  dunque  la  speculazione  del  Rinasci- mento, per  quanto  riguarda  il  problema  psicologico,  era piuttosto  negazione  anziché  affermazione  :  negazione  del medioevo,  e  apparecchio  a  novelle  affermazioni.  Nean- che il  Pomponaccio,  il  più  schietto  seguace  dell'  indi- rizzo aristoteUco  naturale^  potrebb' esser  detto  materia- lista nello  stretto  senso  della  parola.  Il  significato  vero del  suo  libro  su  la  immortalità,  diciamolo  di  passata,  è quello  di  porre  sott'  occhio,  da  una  parte,  le  magagne delle  viete  dimostrazioni  su  la  natura,  e  sul  fine  e  su r  origine  dell'  anima;  e  manifestare,  dall'  altra,  il  bi- sogno di  prove  più  salde,  e  però  la  necessità  in  cui trovavasi  il  pensiero  filosofico  di  tentare  ben  altre  so- luzioni, e  schiudersi  altre  vie.  Qual'  era  una  di  queste vie?  La  durata  dello  spirito,  come  personalità,  doveva esser  indagata  nella  medesima  essenza  e  costituzione intima  del  pensiero.  £  a  tal  fine  che  cos'  era  necessario? Era  necessario  lo  studio  del  processo  isterico; appunto  perchè  l'intima  costituzione  del  pensiero  si rivela  da    medesima  nello  svolgimento  della  vita dello  spirito;  e  la  vita  dello  spirito  è  appunto  la  storia. In  altre  parole  :  era necessario  vedere  per  via  di  fatto, cioè  col  processo  storico,  come  l' essenza  dello  spirito tutta  nelP esser  egli  un  conato,  un'attività  profonda che  sempre  più  si  estrica  da'  viluppi  di  natura  e di    stesso;  che  sempre  più  si  determina  in  sé,  e  si compenetra  con  la  natura  e  con    medesimo  ;  e  come per  siffatta  qualità  egli  sia  capace  di  trascender  la natura,  di  sorpassare  l'organismo,  di  superare  anche sé  medesimo,  pur  rimanendo  sempre  una  personalità. Ed  eccoci  pervenuti  alia  conclusione  dove  in  questo capitolo desideravamo  giugnere,  e  per  la  quale  abbiam dovuto  fare    lungo  giro  da  risalire  fino  alla  doppia sorgente  storica  del  concetto  psicologico.  Se  per  più  e diverse  ragioni  ne  il  Platonismo    l'Aristotelismo  primitivi non  pervennero,  in  generale,  a  determinare  il  vero concetto  dello  spirito  quantunque  ne  apparecchiassero gli  elementi  da  secoli  molti,  il  che  non  è  poco  ;  se  i  due massimi  rappresentanti  della  filosofia  cristiana,  tuttoché introducessero  due  nuovi  concetti  in  siffatta  questione, non  però  giunsero  a  salvarsi  da  incongruenze  manifeste  ; se,  da  ultimo,  cop  lo  sdoppiarsi  dell'Aristotelismo  nel Risorgimento  fu  messa  a  nudo  la  fallacia  delle  vecchie posizioni,  l'insufficienza  d'im  argomentare  fiacco e  barcollante  esprimendoci  così  l'esigenza  di  prove novelle  in  siffatte  indagini:  è  chiaro  come  all'uscire del  medio  evo  importasse  rannodare  i  quattro  concetti attorno  a'  quali  vennero  travagliandosi  per    lunghi secoli  co'  lor  proseliti  i  quattro  filosofi  cui  siamo  venuti accennando,  correggerli,  esplicarli,  compierli,  e  statuire una  dottrina  positiva  circa  la  genesi  psicologica.  In altre  parole:  importava  accettar  l'esigenza  psicologica platonica  risguardante  il  connubio  del  doppio  mondo sensato  e  razionale:  ma  occorreva  anche  correggerlo mercé  il  concetto  della  triplicità  intima,  originaria  cui poggiò,  primo  fra  tut^i.  Agostino.  Importava  altresì  ac- cettar r  esigenza  aristotelica  del  processo  psicologico,  e nel  medesimo  tempo  modificare  profondamente  e  trarre a  maggior  compimento  il  concetto  della  generazione psichica  dello  Stagirita  mercè  il  concetto  di  creazione; il  che  tentò  fare,  e  lo  fece  da  par  suo,  l' Aquinate  :  ma più  ancora  importava  correggere  il concetto  creativo de' Tomisti  e  de' filosofi  cristiani,  in  generale,  cancel- lando in  esso  queir  immediatezza  divina  eh'  è  un  dato  di fede  anziché  di  ragione,  avvisandolo  invece  com'  essenzial condizione  dello  spirito.  Questo,  possiamo  dire,  si  studiaron  di  fare  tutt'  insieme  parecchi  filosofi  italiani  de| Rinascimento,  o  per  lo  meno  ne  sentivano  la  necessità.  ^ Nessuno  vi  riesci  compiutamente,  per  la  ragione qua  ^ dietro  accennata,  d'  aver  voluto  ristringer  tale  ricerca  ^^ negli  angusti  confini  della  psicologia.  Ad  essi  mancava un  altro  grande  concetto.  Mancava  un'altra  posizione, per  cui  si  distingue  infinitamente  il  Rinascimento  dal tempo  moderno.  Mancava  l'esigenza  di  riguardare  il pensiero  innanzi  tutto  come  genesi  psicologica,  e  questa genesi  psicologica  poi  considerare  qual  fondamento  im- mediato della  genesi  storica.  Però  non  è  da  meravi- gliare se  alla  scuola  de'  nostri  politici  facesse  difetto la  vera  nozione  del  diritto  sopra  cui  si  puntella  uni- camente la  scienza  politica,  nonché  il  concetto  vero della  individualità,  senza  cui  non  può  sorgere    perpetuarsi lo  Stato  libero.    fa  meraviglia  se  i  teologi assorbissero  il  gius  nella  morale,  e  se  una  riforma  religiosa allora  non  potesse  fra  noi  essere  effettuata  nelr  ordine  civile,  comecché  fosse  già  in  gran  parte  pe- netrata nella  mente  de'  nostri  filosofi. Mostrammo  come  il  Vico  si  colleghi  col  Cartesiani- smo; e  dicemmo  che  co'  nostri  filosofi  del  Risorgimento ei  si  congiugne  logicamente,  più  che per  le  quistioni metafisiche,  per  la  ricerca  psicologica.  In  lui  si  compie la  posizione  cartesiana,  e  si  riproducono  e  ringiovaniscono i  vecchi  principii  improntati  del  sentimento  della viva  realtà.  Vi  é  dunque  un'  attinenza  ideale,  vi  é  un legame  logico  tra  la  posizione  del  Vico,  della  Scienza Nuova,  e  quella  de' filosofi  del  Risorgimento.  Alla  ri- cerca psicologica  nuda,  astratta,  empirica  e  subbiettiva, deve  tener  dietro  necessariamente  la  ricerca  informata alla  esigenza  della  storicità.  Ecco  perchè  a  ricostruire  la storia  del pensiero  italiano  e  rannodare  il  secolo  XVIII co'  secoli  anteriori,  non  avremmo  guari  bisogno    di Cartesio    del  Cartesianismo,  se  non  fosse  per  alcune questioni  cosmologiche  e  ontologiche.  Egli  si  ricongiugne co'  filosofi  del  Rinascimento  in  tre  modi,  come  nel  pros- simo capitolo  mostreremo;  ma  di  più  li  trascende  infinitamente,  perchè  se  è  vero  che  nel  medio  evo  il  pensiero filosofico  riponeva  l'essenza  dello  spirito,  a  così dire,  furori  di  §è,  mentre  nel  Rinascimento,  attraverso forme  diverse,  inchinava  a  riporlo  sotto  di  se;  è  natu- rale che,  col  sentire  la  necessità  del  processo  istorico, novello  sentiero  egli  avesse  a  dischiudersi,  rintracciando quell'essenza  nel  seno  stesso  dello  spirito  siccome  centro e  insieme  processo  della  storia.  Gli  storici  della  filosofia italiana,  ripetiamolo  anche  qui,  non  potranno  far a  meno,  quando  voglian  discoprire  un  vincolo  ideale fra  le  due  epoche,  di  questa  relazione  alla  quale  siamo

venuti  accennando,  e  su  la  quale  ci  rifaremo  più  riposatamente in  luogo  più  acconcio. Capitolo  Quinto.

ORGANISMO    E    PROCESSO    PSICOLOGICO. {Fxmdamenio  razionale  del  processo  istorico.) I  punti  sostanziali  ne'  quali  possiamo  stringer  la dottrina  psicologica,  seguendo  le  orme  del  nostro  filo- sofo, son  questi: !•  Concepire  in  maniera  compiuta  e  vera  la  natura della  facoltà  psichica  in  generale. 2«  Distinguere  nelle  funzioni  psicologiche  due  processi, conoscitivo  e  operativo,  ma  formanti  unico  organismo, unico  circolo. 3*  Riguardar  gli  atti  psicologici  come  una  molti- plicità  di  funzioni  distinte  e  per    stesse  irreducibili; ma  nondimeno  determinate  e  recate  in  atto  dalla  virtù d'  unico  principio  originario. 4*  Finalmente,  porre  siccome  base  razionale  e  immediata del  processo  istorico  lo  stesso  processo  psico-

logico. Col  primo  di  questi  concetti  il  nostro  filosofo  si  col- lega  dirittamente  con  Aristotele,  e  con  gli  Aristotelici del  Rinascimento  seguaci  dell'  indirizzo  medio;  e  nel medesimo  tempo  corregge,  in  ordine  alla  psicologia,  quel vecchio  domma  del  falso  Aristotelismo  e  del  malinteso Platonismo  che  suona  così:  niente  moversi  da  sé, che  non  sia  mosso.  Col  secondo  e  col  terzo  imprime forma  razionale  e  organica  alla  scienza  dello  spirito tanto  contro  Averroisti  e  Neoplatonici  che  troppo  distac- cano i  due  elementi  onde  risulta  V  ente  umano,  quanto contro  quegli  Aristotelici  empirici  che,  troppo  affogando r  uno  neir  altro,  finiscono  per  confonder  la  sfera  della psicologia  con  quella  della  biologia:  ma,    nel  primo come  nel  secondo  caso,  egli  serba  Y  esigenza  psicologica platonica  che  dicemmo  consistere  nella  distinzione  dei due  elementi,  nonché  V  esigenza  aristotelica  la  quale riguarda  il  processo  nelle  funzioni  psicologiche.  CJon  gli stessi  concetti  onde  corregge  nella  quistione  psicologica il  Platonismo  e  l'Aristotelismo,  previene  l' esigenza del  Criticismo  intomo  al  doppio  ordine  della  Ragion  teo- retica e  della  Ragion  pratica,  e  insieme  la  invera  e  la compie.  Col  quarto  concetto,  finalmente,  imprime  signi- ficato razionale  e  positivo  al  fatto  storico,  e  crea  la Scienza  Nuova. Innanzi  tratto  intendiamoci  sul  metodo  acconcio  a simili  indagini. Tommaso  Buckle  osserva  che  i  filosofi,  parlando su  la  natura  dell'anima,  non  sanno  pigliar  le  mosse altro  che  o  dalle  sensazioni,  o  dalle  idee;  riuscendo  così, nell'un  modo  e  nell'  altro,  ad  un  metodo  solitario,  astratto, inefficace,  inconcludente.*  Sennonché  egli  stesso,  il  Bu- ckle, non  giugno  a  salvarsi  dal  primo  difetto.  11  suo  metodo isterico,  differente  dal  deduttivo  inverso  raccomandato dal  Mill,  é  addirittura  un  metodo  empirico;  onde inciampa  in  quel  sensismo  ch'egli  condannando  vorrebbe causare.  Checché  ne  sia,  l'osservazione  é  degna  d'un *  HUtory  of  Civilization  in  England,  voi.  I,  cap.  Ili. positivista  inglese  ;  e  noi,  pur  correggendola,  non  dubi- tiamo farla  nostra.  A  schivare  infatti  tanto  le  conseguenze d'un  gretto  empirismo,  quanto  le  arditezze  d'un magro  e  sfumante  idealismo,  è  forza  movere  non  dal  fatto della  sensazione,  eh' è  cosa  estrinseca  e  quasi  soprav- venuta allo  spirito,  e  nemmanco  dalle  ideej  le  quali  in sostanza  non  sono,  per  noi,  fiiorchè  produzioni  di  lui; ma  da  lui  stesso  ;  dallo  stesso  spirito  in  quanto  pensiero. Bisogna  movere,  in  somma,  dal  centro,  anziché  dalla circonferenza;  dalle  facoltà,  ma  dalle  facoltà  concepite quali  sono  in  realtà,  cioè  come  funzioni.  A  tal  uopo  è necessario  adoperare  un  metodo  che  non  escluda,  ma che  sappia  includer  le  esigenze  di  tutt' i  metodi;  em- pirico, naturale,  sperimentale,  psicologico  astratto,  fisio- logico, e  simili.  In  una  parola,  è  necessario  il  metodo genetico  ;  il  quale,  rispetto  alla  psicologia,  è  ciò  che  il metodo  eduttivo  è  rispetto  all'ordine  del  conoscere.' *  Il  metodo  col  qnale  i  Positiristi  presamono  di  far  la  scienza  psicolosrica  è  al  tutto  empirico  e  artificiale;  ma  qui  non  intendo  porre  in  nn fascio  psicologi  positÌYisti  inglesi  e  francesi,  com*ha  fatto  il  Vacherot. {Betf.  de»  Deux  MondeSf  die.  1869.)  Spencer,  Mill  ed  Alessandro  Bain  stimano (come  notammo  nell'Introd.,  p.  6)  che  la  psicologia  è  superiore,  indipendente dalla  biologia,  precisamente  come  la  deduzione  è  indipendent-e  e  superiore air  induzione  pel  Mill,  e  come  la  Sociologia  è  indipendente  dalla  storia tanto  pel  Mill  quanto  per  lo  Spencer.  I  Francesi,  al  contrario,  facendo della  Psicologia  una  semplice appendice  della  Biologia,  non  sanno  con- cepir r  nna  senza  1*  altra.    ri'y  a  point  de  p9yeolog%e  en  déhors  de  la biologie.  (LiTTRÉ,  A.  Oomte  et  St.  Mill,  p.  29  e  segg.)  Tale  anche  è  per la  deduzione  rispetto  air  induzione,  la  psicologia  rispetto  alla  storia, la  Dinamica  rispetto  alla  Statica  Sociale.  Sennonché,  qualunque  ne  sia la  differenza,  le  due  scuole  intoppano  in  due  errori  diversi;  nel  formalismo empirico  Tuna,  e  nel  materialismo  Tal  tra:  e  così  entrambe  rendono  im- possibile la  scienza  della  psiche.  Rifacciamoci  brevemente  dagP  Inglesi. Qual  debb*  essere,  secondo  St.  Mill,  il  fine  della  psicologia?  Non altro  che  la  ricerca  diretta  delle  ntceeeeioni  mentali,  (Sjfét,  de  Log,  tom.  II, p.  484.)  E  quaV  è  la  legge  più  semplice,  più  generale  cui  si  riducono  i fenomeni  psichici?  Quella  àéiV anaoeiazione  delle  idee;  la  grran  legge  os- serrata  da  Hume.  [La  PhU.  de  Hamilton^  cap.  Vili.)  Innanzi  tratto  si può  osservare:  La  legge  dell*  associazione  è  legge  empirica,  e  quindi  ò  un fatto:  ma  qual  n'è  la  ragione?  Senza  questa  ragione  potreste  uscire  dal-

l'empirismo?  st.  Mill  non  ispiega  cotesto  fatto,  ma  1*  accetta  dair  esperienza. —  Altro  difetto  gravissimo,  conseguenza  del  primo,  è  questo;  che Il  metodo  genetico  applicato   alla  ricerca  psicolo- gica attinge  valor  positivo  e  insieme  razionale,  quando la  legge  d*  associazione  nou  racchiude  necessità  psicologica  di  sorta.  È una  legge  men  che  empirica,  e  può  mancare.  Dunque  una  notizia  scien- tifica circa  la  natura  psicologica,  per  lui,  è  impossibile.  — 'Più  ancora:  il prodotto  ddV  anaociaziowi  è  un  fatto  «t*  generi»:  egli  stesso  ne  conviene. {DUaertation  and  DiicuMiona,  III,  104.)  Or  bene,  come  spiegare  cotesto 9ui  generi»  con  la  pura  legge  d*  associazione  ?  Ci  ò  qui  rispondenza,  ci  ò proporzione  tra  V  effetto  e  la  causa?    Finalmente,  come  spiegare  con  la semplice  associazione  il  gran  fatto  della  coscienza  f  Bisognerà  dunque concludere  che  la  legge,  la  quale  St.  Mill  dice  esser  la  più  semplice  e  ge- nerale fra  tutte  quelle  d' ordine  psichico,  importi  qualche  altro  fatto  ante- riore, 0  irreducibile.  La  psicologia  contemporanea  inglese  quindi  cade  nel formalismo  empirico.  E  se  riesce  a  distinguer  la  psicologia  dalla  biologia e  dalla  storia  (eh*  è  il  suo  pregio),  non  riesce  a  trovare  fra  V  una  e  le altro  vincolo  di  sorta.    Tocchiamo  ora  della  scuola  psicologica  de* Posi- tivisti francesi. Il  Littré  riguarda  la  psicologia  qual  semplice  appendice  ed  appli- cazione della  biologia;  e  vuol  quindi  trattarla  con  metodo  analogo.  Ma fa  una  distinzione  acuta  e  ingegnosa  di  cui  giova  tener  conto,  perchè forma  la  sua  stessa  condanna.  Egli  pone  un  divario  profondo  tra  la  fa- coltà e  il  suo  prodotto.  Logica,  ideologia,  psicologia  (egli  dice)  non  si distinguon  menomamente  dalla  biologia  quando  siano  avvisato  come funzioni;  ma,  guardate  nei  lor  prodotti,  se  ne  differenziano  in  infinito. Parimente  il  linguaggio,  come  facoltà,  è  faccenda  biologica  ;  ed  ha  la  sua ragione  in  una  delle  circonvoluzioni  anteriori  del  tessuto  cerebrale,  secondochè  ci  assicuran  oggi  gli  sperimenti  fisiologici  :  ma,  come  grammatica, se  ne  discosta  per  grand*  intervallo,  o  nou  ci  ha  che  veder  niente  con  la biologia.    Che  cosa  rispondere  ?  Rispondiamo,  troppo  antica  e  troppo vera  esser  oggimai  la  sentenza  aristotelica,  che  tra  la  natura  della  causa e  quella  dell'  effetto  non  possa  esserci  divario  essenxiaie.  Or  negli  esempi

quassù  arrecati  il  divario  essenziale  e*  è:  gli  st>essi  positivisti  non-  ardiscono dubitarne.  Come  dunque  spiegarlo  cotesto  divario?  È  egli  possibile spiegarlo  senza  riconoscer  la  differenza  fra  le  due  scienze  non solo  quant' a* prodotti  psicologici,  ma  anche  quant*alle  facoltà?  Como funziono  il  linguaggio  non  appartiene  egli  anche  al  quadrumane?  Ora  in forza  di  che  cosa  riesce  tanto  profondamente  diverso  il  risultato  nel  bimane che  ha  pur  comune  col  quadrumane  la  funzione?  Si  dirà  in  forza  del- l' unione,  del  numero,  dell*  attrito  nella  specie,  nella  società?  Ma  non vivono  in  società  anche  alcune  famiglie  di  quadrumani?  Eppure  quella funzione  non  ha  dato,  e  mai  non  darà  il  risultato  che  pur  dovrebbe!  Àn- cora: se  il  prodotto  fosse  tant^  diverso  dalla  facoltà  solo  per  ragion  del- l' associazione  e  del  contatto,  che  cosa  ne  verrebbe?  Che  1*  uomo  sarebbe fornito  di  qualità  e  doti  essenziali  non  per  so  stesso,  cioè  non  perchè individuo,  ma  per  altri  e  da  altri,  cioè  perchè  membro  della  società.  Or tutti  sanno  che  la  £eicoltà  della  parola,  cosi  intimamente  annodata  col  pensiero, non  e  dote  accidentale ìn& eÈsenziffova;i^«i!l;  \iytxaiy  to  xvpiov  in  fvTf>f;i^sta  jctc.  (Id.  Eod.)  — È  Vachu  in  aetu  degli  Aristotelici  del  Risorgimento  segnaci  deir  indi- rizzo medio,  per  esempio  ^del  Gontarini,  come  aTrertimmo. *  RàTAiBSOX,  Métaplu  d'Aritt.,  t.  I,  p.  483. psicologica.  Lo  spirito  è  essenzialmente  processo,  è  ge- nerazione, ma  non  trasformazione.  Non  va  dalla parte al  tutto,  come  avviene  delle  combinazioni  meccaniche; ma  dal  tutto  al  tutto,  dal  tutto  potenziale  al  tutto  attuale, dal  di  dentro  al  di  fuori,  da  una  sintesi  origi- naria e  confusa,  ad  una  sintesi  analizzata.*  Voglio  dire che  il  processo  psicologico  s'inaugura  non  già  con  que- sta o  cotesta  facoltà,  anzi  con  tutte  le  facoltà.  Le  quali perciò  non  sono  funzioni  determinate  e  specificate  sin dalla  loro  origine,  ma  convengon  tutte  nell'  essere  altrettante potenze,  e,  come  tali,  formano  unica  potenza originaria,  eh' è  conato  essenziale,  sforzo  incessante.* Che  cosa  sia  questo  conato,  si  vedrà  nell'  altro  capitolo. Qui  dobbiamo  considerar  le  facoltà  psicologiche come  ce  le  presenta  il  fatto,  cioè  come  una  moltiplicità  di  funzioni. Che  cos'è  la  facoltà  psicologica?  È  un  passaggio dalla  potenza  all'  atto.  Ella  ci  esprime  la  pronta  ne- cessità di  fare,  di  determinarsi,  d'  attuarsi  ;  e  quindi vuol  dire  facilità,  prontezza,  solerzia,  agevolezza  di fare.'  Or  la facoltà  intanto  significa  pronta  e  spontcmea solerzia  di  fare,  in  quanto  fa  il  proprio  obbietto;  in quanto  si  fa  come  funzione;  in  quanto  si  pone  come *  Anche  in  ciò  la  psicologia  somiglia  alla  fisiologia,  ma  non    si confonde.  L*  organogenia  s' inaugura,  meglio  che  con  uno,  con  tutti  gli  or- gani ad  un  tempo.  Per  esempio  i  centri  primitiTi  multipli  del  sistema nervoso,  che  la  microscopia  ci  pone  sott*  occhio,  chiarisce e  conferma quest'  assunto.  Cfr.  Vulpian,  Physìologie  gfn.  et  comp.  du  syaL  nere.  — LhittS,  SyH.  New.  cerebro-spinale.    Glkibbrrg,  Intinto  e  Libero  cwbitrio^ trad,  del  Langillotti,  Nap.  1868. *  Oonatum  uni  menti  attrihuimu»f  quce  libero  arbitrio  prcedita  pottH BUB8TARB....  eoque  pacto  potett  motitm  subsistrre  et  stare  in  conato  [De Univ.  LXXV,  4).  Ne*  corpi  e*  è  moto,  secondo  il  concetto  cosmologico del  Vico,  ma  nell* animo  e*  è  moto  e  eoncUo:  o  meglio,  il  moto  qui  as- sumendo natura  di  conato  è  moto  del  moto,  e  quindi  è  aetw  in  actu. *  Expedita  seu  expromtn  f'iciendi  solertia  (De  Antiquisn,  TtaU  Sap.^

cap.  VII,  1).  Facoltà  suona  anche  proprietà,  ma  proprietà  cosciente  :  di- stinzione confermataci  dal  comun  linguaggio  che  attribuisce  la  proprietà alle  cose,  ma  predica  dell*  nomo  \h  facoltà.  Vedi  le  belle  riflessioni  dello JouFPRoy  in  proposito  {^filang.  Phil.,  ed.  Bruxelles,  p.  267). attività:  FacuUaùes  sunt  eorum,  quce  fadmus.  Ecco  il  con- 1 cetto  psicologico  piìi  originale  del  Vico.  Il  germe  di  que- sto concetto  è schiettamente  aristotelico;  *  ed  è  la  chiave ond'  egli,  anticipando  la  moderna  psicologia,  preveniva il  Fichte,  e  insieme  ne  correggeva  V  esagerazione.* Dunque  la  facoltà  posta  come  funzione  psicologica che  fa    stessa  in  quanto  fa  il  proprio  obbietto,  è  il  ' passo  d'oro  del  Libro  Metafisico.  Ad  esso  rispondono altri  due  che  troviamo  nel  Diritto  Universale  e  nella Scienza  Nuova;  e  tutt'e  tre  riescono  a  comporre  l'organismo del  processo  psicologico.  Tale  organismo,  in- fatti, parmi  racchiuso  in  queste  due  sentenze:  !•  che r  uomo  è  innanzi  tutto  SensOy  appresso  Immaginazione e  quindi  Ragione:  2*»  che  l'uomo  è  un  Potere,  un  Volere e  un  Conoscere  potenzialmente  infinito.^     ÀRlST.  De  an.^  Ili,  4. •  DoTe  stanno,  a  mo*  d'esempio,  i  colori,  i  sapori, gli  odori,  il  tatto? Se  il  senso  è  facoltà,  ne  segue  che  tu  in  sostanza  hai  a  far  i  colori  nel vedere,  tu  i  sapori  nel  guastare,  tu  i  suoni  nelP  udire,  tn  gli  odori  nel- r  annusare,  tu  stesso  il  freddo  e  '1  caldo  \iel  toccare.  Nam  si  «enatu  fa- cultates  sunt,  videndo  colore»,  sapores  gustando,  sono»  nudiendo,  tangendo frigida  et  calida  rerum  facimua.  {De  Antiquisa,  e.  VII,  3.)  Parimenti  con le  immagini  e  con  le  rappresentazioni  la  yirtù  fantastica  partorisce  il proprio  obbietto,  e  si  fa;  di  modo  che  scegliendo  il  meglio  di  natura ed  elevandolo  a  valore  di  tipo,  a  questo  vien  conformando  V  opera  d*  arte. De  medio  lectam  {formam)  ttupra  fidem  extoUunt,  et  ad  eam  auos  heroaa con/ormant.  (Ibi,  2.)  E  la  memoria,  potenza  che  rifa  e  penetra  so  mede- sima, non  potrebbe  rifarsi  e  penetrarsi  ove  innanzi  non  si  fosse  fatta; ne  quindi  può  esser  quella  magra  e  sterile  ritentiva  di  che  ci  parlano i  sensisti.  L' intelletto  è  facoltà  anche  lui,  perchè  col  determinarsi  viene a  geminarsi  nel  giudizio,  e  perciò  vede  ;  e  vede,  perchè  occhio  dell'  intel- letto è  il  giudizio  :  Judicium  eat  oculus  intellectu»  ;    potrebbe  intellet- tivamente vedere,  se  non  intendesse;    intendere,  ove  anch'agli,  al solito,  non  facesse  il  proprio  obbietto.  Intellectus  verna  faeultaa est,  quo quum  quid  intelligimua,  id  verum  facimua,  (Ibi,  5).  In  tutto  questo  il Vico  ormeggia  Aristotele.  Per  es.  la  visione,  secondo  lo  Stagirita,  è  Vatto dd  colore;  l'udito  è  V  aUo  del  auono.  (Ravaisson  Metaph,  d^  Ariat.,  t.  I, p.  427.    Aeist.  De  An.  I.) •  Il  primo  di  questi  due  principii  è  evidentemente  aristotelico,  per- chè dall*  ou^SvitTiq  al  voù^,  com'  è  noto,  ricorrono  parecchi  gradi  e  sfu- mature componenti  tutte  un  unico  processo:  ^ója,  ^àvTacr|ua,  se  V  Intel- ligenee^  voi.  II,  llb.  I,  cap.  III.    Lauoel,  Probi,  de  V Atne,    Litthé, Revue  de  Phil.  Potit.,  settembre  1868.    Consulta  anche  le  op.  «it.  di VuLPiAN  e  di  Lhuts. dell'  immaginazione,  cioè  all'  intendimento,  nonché  il passaggio  dall'intendimento  alla  ragione?  Fra  il  termine sensato  dell'  intuizione  e  '1  fantasma  e'  è  un  abisso. Un  abisso  tra  il  fantasma^  tra  il  fantasma  anche  salito ad  universale  poetico^  ed  il  concetto.  Un  abisso  ancora fra  il-  concetto,  e  la  nozione,  l' idea,  V  universale  pro- priamente detto.  Bisogna  credere,  perciò,  che  dall' un gruppo  all'altro  di  funzioni  psichiche  non  esista  continuità, ma  transito  ;  non  passaggio  immediato,  ma  in- tervallo. Or  bene,  come,  altro  che  per  miracolo,  l' una facoltà  potrebbe  trasformarsi  nell'altra?  Non  è  dunque la  facoltà  che  si  trasforma  e  diventa  ;  ma  è  lo  spi- rito che  si  forma,  che  si  determina  nel  multiplo  e  me- diante il  multiplo  delle  facoltà.  Laonde  attraverso  e  al disotto  a  questa  multiplicità  di  funzioni,  è  mestieri  supporre una  facoltà  madre  che,  come  facoltà  deUe  facoltà compia  i  diversi  passaggi  e  intervalli,  e  sia  come  il principio  dinamico  dell'organismo  psicologico.  Ma  di questo  faremo  parola  nel  prossimo  capitolo  dove  ricer- cheremo la  genesi  del  processo  psicologico.  Seguitiamo. Quel  che  s'è  dettò  del  processo  conoscitivo,  dicasi pure  del  processo  operativo  e  pratico  dell' organisriio  psi- cologico. Una  medesima  legge  governa  tanto  la  genesi

del  conoscere,  quanto  quella  dell'operare.  I  diversi gradi  e  momenti  del  processo  operativo  rispondono  a' di- versi gradi  e  momenti  del  processo  conoscitivo.  L'operare infatti  è  determinato  dal  conoscere  per necessità  tutta psicologica.  Come  dunque  potrebbe  non  riprodurre  la medesima  legge?   Il  processo  pratico  suppone  il  teoretico,  stantechò  la  funzione  yo- litiva,  alla  quale  si  riferisce  ogn' altra  facoltà  d'ordine  operativo,  sia funzione  essenzialmente  secondaria.  Accenneremo  qui  i  diversi  passag^ di  questo  processo  secondo  i  tre  gruppi  (no««ey  oeU«,^oMe)  additatici  dal Vico;  ma  ci  ristringeremo  a  notarne  i  difTerenti  gradi  seguendo  l'ordine ascensi vo,  tuituraU  e,  per  cosi  dire,  cronologico. L  a)  Istinto  fisiolooigo.    Risponde  alla  Sensazione;  anzi  è  la sensazione  stessa,  ma  sotto  l'aspetto  riflesso,  attivo,  comecché  inco-

sciente. In  esso  quindi  si  ripeton  le  medesime  condizioni,  non  altro  essendo fuorché  unità  incosciente  e  confusa  fra  Vagente  e'I  motivo  dell'azione. Additato  così  con  fuggevoli  tocchi  il  doppio  aspetto onde  risulta  il  processo  psicologico,  potremo  intendere ormai  quella  dottrina  del  nostro  filosofo  a  cui  più  di

una  volta  venimmo  alludendo  nelP  abbozzar  la  storia della  Scienza  Nuova:  dico  la  dottrina  del  Vero  e  del Certo,  che  ha  riscontro  con  V  altra  della  Bagione  e  dd- VAidorità,  11  vero  è  produzione  di  Ragione;  il  certo  è produzione  d^ Autorità,^  Ma  come  nelP  ordine  conosci- b)  Istinto  uitano  (il  poste  del  Vico  nel  sao  primo  grado  empi- rico). —  Si  ripeton  le  condizioni  della  Percezione  sensata.  I  due  termini qui  cominciano  a  distingaersi  ;  ma  VigUnto  non  è  por  anche  desiderio. L'istinto  anche  qui  è  immohile,  è  cieco,  e  pnr  nonostante  è  umano.  Ed è  umano  principalmente  perchò  non  può  rimanere  istinto^  ma  dehb*  esser superato  dal  desiderio,  dee  diventar  desiderio.  e)  Dbsidebio.  ~  Risponde  alla  Rappresentazione,  e  n'  è  T  attività. Il  motivo  dell*  azione  è  determinato,  particolare.  Quindi  fra  questo  motivo e  r  agente  havvi  necessità  empirica,  immediatezza. d)  Passignk.    Risponde  ai  primi  gradi  deirimmaginazione,  e,  come questa,  è  mobile  e  varia;  e  perciò  è  meno  indeterminata  che  non  sia  il desiderio.  Il  Desiderio  è  uno,'  la  Passione  ha  più  forme.  L'obbietto  che la  determina  non  è  il  particolare,  e  neanche  il  generale.  Appartiene  al-r  individuo  considerato  non  come  individuo,  ma  com'  elemento  di  società. Segna  dunque  un  passaggio  ;  il  passaggio  dal  desiderio  al  libero  arbitrio. II.  e)  LiBRRo  ARBITRIO. — L*  obbietto  è  generale,  astratto  ;  perciò  è più  mobile  della  Passione,  e  quindi  costituisce  il  passaggio  dalla  necessità empirica  alla  necessità razionale  (libertà  volgarmente  intesa).  Risponde alla  Immaginazione  imitatrice  e  riproduttiice  eh*  è  tuttora  schiava  della natura;  al  modo  istesso  che  il  libero  arbitrio  è  dominato  da  un  motivo tuttora  eteronomo. /)  Dbtkrminazionk  (passaggio  del  libero  arbitrio  alla  Libertà).  — Risponde,  più  che  all'Immaginazione  (combinatrice),  alle  varie  forme  del- l' Intendimento.  Varietà  d*  obbietti. g)  SuK  DIVBRSR  POBMB  {contrarietàf  contraddizione j  dezione).  — Anche  qui  ha  luogo  un  processo  come  neU*  Intendimento.  L*  elezion  razionale non  ò  più  libero  arbitrio,  ma  Libertà. III.  h)  Libertà.    È  determinata  dalla  Ragione  :  perciò  importa  la necessità  razionale.  Libertà  quindi  è  dovere  appunto  perchè  è  ragione. Ma  può  tornare  ad  una  delle  tre  forme  d'arbitrio,  stantechè  la  necessità, ond'è  signoreggiata,  sia  necessità  morale. »)  Personalità.    È  T  Autorità  che  si  converte  con  la  Ragione.  È il  risultato  del  processo  psicologico,  e  rappresenta  il  circolo  delle  facoltà perchò  le  suppone  tutte,  e  le  contiene  in  atto.  1&  dunque  la  circonfe- renza, cioè  rio  pienOf  attuale.  Qual  n*è  il  centro?  (Vedi  nel  Gap.  seg.) *  n  concetto  à^ÀtUorità  è  una  delle  idee  cardinali  dell'opera  sul Piritto   UniversaJle.   Noi'  qui  ne  parliamo  per  incidenza;  perchè  questa

tivo  è  mestieri  che  il  vero  si  converta  col  fatto,  così  nelr  ordine  pratico  il  certo  fa  d'uopo  che  si  converta  col vero.  In  altre  parole,  se  il  processo  teoretico  guardato psicologicamente  è  una  conversione  del  vero  col  fatto; il  processo  operativo,  al  contrario,  guardato  storica- mente, è  una  conversione  del  certo  col  vero.  La  rela- zione che  il  Vico  pone  tra  il  Vero  e  '1  Certo,  somiglia quella  che  nell'Aristotelismo  tiene  la  forma  verso  la  ma- teria, ma  considerata  nel  processo  isterico.  Risponde altresì  alla  relazione  eh'  egli  medesimo  scorge  tra  la filologia  e  la  filosofia.  La  filologia  porge  i  placiti  del- l' umano  arbitrio  (placita  humani  arbitri)  ;  la  filosofia indaga  i  principii  necessari  di  natura  (necessaria  na- turcey  Perciò][aiferma  :  «  La  Filosofia  contempla  la  Ra- gione onde  viene  la  Scienza  del  Vero:  la  Filologia osserva  V  Autorità deW  umano  Arbitrio  onde  vien  la Coscienza  del  Certo.^n  Or  la  Ragione,  producendo  il dottrina  dovendo  esser  considerata  principalmente  sotto  T aspetto  istorico (nel  che  sta  tutto  il  suo  pregio  e  la  sua  norità),  dovrà  quindi  formare oggetto  d' interpretazione  e    studio  nella  Sociologia.  Qui  dobbiamo avvertire  solamente  che,  quantunque  i  siguiiìcati  della  parola  Autorità pel  Vico  sian  diversi  (Autorità  polìtica,  religiosa,  monastica,  incononiica, civile  e  simili)  nullameno  tutte  le  specie  d'autorità,  chi  interpreti  bene

la  sua  mente,  hanno  d' aver  per  fondamento  originario  queir An^ontò  alla quale,  propter  rerum  novitateìn^  ei  volle  dare  un  titolo  nuovo,  e  V  appellò AUCTOttlTAS  NATURALIS,  ACCTOEITAS   ì>tATURMj[De  Univ.   Jur.,   XCI).   PerciÒ la  definisce:  Humana:  natura:  proprietae  (Ib.  XC).  Perciò  non  dubita chiamarla  divina.  Perciò  la  designa  come  T  unità  vivente  delle  tre  funzioni costituenti  l' ordine  pratico  psicologico:  noBsCf  velie,  posse  (Ib.  XCU). Perciò,  finalmente,  la  dice  Suitas;  e  la  Suitas  nell'uomo  vale,  per  lui, ciò  che  in  Dio  VAseitas  (Ib.  XCUI).  Vedremo  altrove  esser  questa  una dottrina  originale  onde  l'autore  della  Scienza  Nuova  prevenne  la  moderna filosofia  del  Diritto.  Del  che  niuno  de'  critici  di  cui  parlammo  ha  avuto sentore,  tranne  il  Carmignani  e  l'Amari;  ma  l'uno,  come  dicemmo,  ne parla  superficialmente,  e  l'altro  in  senso  tutto  cattolico  e  tradizionale. *  De  Constantia  Jurispr.,  Proem.,  4. *  Sec.  Se.  Nuova,  lib.  I,  p.  98,  X.  — Si  noti  qui,  a  maggiore  schiari- mento del  metodo  vichiano,  che  la  Filosofia  è  quella  che  contempla,  e la  Filologia  quella  che  ossa-va.  Secondo  il  nostro  linguaggio,  quella  deduce, e  questa  induce.  Or  la  Scienza  Nuova  non  fa  propriamente  l'una cosa,    l' altra.  Essa  pone  in  opera  entrambe  cotoste  funzioni,  e  le couipenctra  in  una  terza  che  dicemmo  essere  il  ma),àstoro  eduttivo. vero^  costituisce  il  processo  della  coscienza  ;  in  mentre che  r Autorità,  producendo  il  certo  e  legittimandosi nella  ragione,  forma  il  processo  dell'autocoscienza,  e partorisce  il  concetto  della  personalità  (Proprietas  sui; Suikis).  Sotto  l'aspetto  isterico,  perciò,  l'Autorità  è  il libero  arbitrio  che  diventa  libertà,  e  quindi  Ragione: sotto  l'aspetto  psicologico  è  lo  stesso  libero  arbitrio già  divenuto  ragione.  Ond'  è  che  come  il  certo  non  è il  vero  ma  una  parte  del  vero^  così  V  Autorità  non  è Ragione,  ma  è  partecipe  di  ragione.*    Che  cosa  è  da concludere  da  tutto  ciò  ?  Che  il  processo  pratico,  riguar- dato psicologicamente,  comincia    ove  finisce  il  teore- tico. Questo,  infatti,  s' inaugura  col  senso,  e,  sempre  più ascendendo,  si  risolve  nella  ragione.  Quello,  invece,  move dalla  ragione  avvisata  come  semplice  colioscere,  e,  tran- sitando pel  volere,  finisce nel  potere;  ma  nel  potere divenuto  già  attività  concreta,  piena,  reale,  vivente, stantechè  il  libero  volere  importi  la  ragione.  Che  se tra  conoscere  ed  operare,  fra  coscienza  e  autocoscienza, 0  (per  usare  il  linguaggio  del  nostro  filosofo)  tra  Ra- gione e  Autorità,  fra  il  Vero  e  il  Certo  e  tra  filosofia e  filologia  havvi  un  processo;  è  necessaria,  è  inevitabile una  conversione  fra'  due  termini.  Dunque  1'  Autorità devesi  poter  elevare  a  dignità  di  Ragione;  al  modo istesso  che  la  ragione  operativa  debbe  aver  coscienza di    medesima  anche  come  ragion  conoscitiva.  Or  che è  ella  mai  cotest'  Autorità  convertitasi  in  ragione  se non  l'autocoscienza?  E  non  è  appunto  quest'Autorità autocoscente  quella  che,  assolvendo  l' uno  e  l' altro  pro- '  Ut  autem  VBRUM  constai  RATiONE,  ita  criltuu  nititur  auotoritate, vd  noHra  $en»uum  quat  dicitur  aUTO^i'a,  vel  aìtorum  dicti»,  qua  in  tpeei^e dicitur  AUOTORlTAS,  cx  quorum  alterutra  naicitur  PRRSCASIO.  Sed  ipta  aucto- RITA8  e«t  ^ar»  ^rwofrfam  RATiONis.  {De  Univ.  Jur.y  Proloq.,  7.)  Vedi  le  di- verse applicazioni  del  Vero  e  del  Certo:  (Ibi,  LXXXII,  LXXXJII,  OLII,  5.) Il  primo  scolare  del  Vico.  Emanuele  Dani,  come  arrertimmo,  fin  dal  se- colo passato  colse  giusto  in  questa  dottrina  del  suo  maestro,  massime quant*  al  valore  e  alla  relazione  de'  suddetti  concetti.   (Tedi  Saggio  di Oiuriprndenza    Unirrr^aU,  ed.   cit.,  p.  CVIII). cesso,  costituisce  l'essere  veramente  umano  (universale)? E  che  cos'  è  l' ente  umano,  che  cos'  è  VHumaniiaSj  per cui  l'individuo  è  davvero  individuo,  subbietto  verace- mente universale,  fuorché  la  personalità?  E  che  cos'è la  persona  se  non  queir  unità  vivente  e  operante  del triphce  diritto  originario  (tutèla^  dominio  e  libertà)  nella quale  s' incarna  e  s' impersona  la  triplice  funzione  del Potere,  del  Volere  e  del  Conoscere?* Col  concetto  su  la  relazione  fra  il  processo  conosci- tivo e  '1  processo  operativo  dell'organismo  psicologico il  Vico  non  solo  previene  l' esigenza  Kantiana  del  dop- pio ordine  di  ragione,  ma,  che  più  monta,  la  supera. La  previene  distinguendo  la  Ragion  pura  (Batio)  dalla

Ragion  pratica  (Autoritas).  E  dovea  distinguerla,  perchè i  due  processi  conoscitivo  e  pratico,  tuttoché  for-

manti unico  organismo,  hanno,  come  s' è  visto,  origine, natura,  e  andamento  diverso.  La  supera  poi,  in  quanto che  scorge  la  conversione  (ripetiamolo)  non  pur  fra l'una  e  l'altra  ragione,  ma  eziandio  nell'una  e  nell'altra guardate  ciascuna  in    stessa.  Come  processo  conoscitivo la  Ragione  dee  convertirsi  con    stessa;  e  non potrebbe,  ove  non  divenisse  anche  Autorità.  Come  pro- cesso pratico  l'Autorità  non  potrebbe  neanch' ella  con- vertirsi con    medesima,  s'  ella  stessa  non  divenisse Ragione.  Li  altre  parole:  il  conoscere  non  potrebb' es- ser vero  conoscere,  ove  non  fosse  un  processo,  una  con- versione de'  tre  gruppi  di  funzioni teoretiche  innanzi discorse.  L'operare  non  sarebbe  vero  operare,  se  anch'egli  non  fosse  una  conversione  de'  tre  gruppi  delle funzioni  operative.  Finalmente  il  processo  conoscitivo *  De  Univ.  Jur.  LXXXVl,  XC,  XCII.—  Di  qui  nasce  il  concetto  del gitu  e  della  libertà  secondo  le  dottrino  Yichiane,  come  altrove  mostre- remo. Ma  già  i  lettori  prevedono  qnal  uso  noi  saremo  per  fare  di  cotesta dottrina  nelle  questioni  polìtiche,  giuridiche,  religiose  e  pedagogiche. Posto  il  concetto  àdV Auctoritcu  naturalU^  e  dell*  Autorità  in  generale come  particeptf  RaHonUy  cioè  come  facoltà  che  devesi  convertire  con  la Ragione,  ognuno  saprà  argomentare  qual  valore  giuridico  abbian  per noi  r  autorità  politica  e  1*  autorità  religiosa  nelle  teoriche  sociologiche. e  '1  processo  operativo  non  sarebbero  tali,  ove  non  fos- sero essi  stessi  una  conversione  tra  se  medesimi.  Così  il circolo  è  compiuto;  e  così  rimane  sbandita  ogni  maniera di  dualismo  e  di  formalismo  nel  regno  della  psicologia. Or  la  mancanza  di  processo  è  precisamente  il  tarlo che  rode  le  dottrine  del  Kant.  Posto  il  noumeno  come un'incognita,  posta  la  conoscenza  com'una  specie  di combaciamento  meccanico  anziché  come  processo  dinamico del  fatto  con  l'idea  e  della  materia  con  la  forma; non  poteva  non  chiudersi  ogni  via  per  intendere  il  fenomeno, e  salvarsi  dal  cadere  in  quella  specie  di  scetticismo metafisico  del  quale  altrove  toccammo  (p.  238). Senza  esempio  nella  storia  della  filosofia  egli  dimostra la  necessità  di  certe  condizioni  superiori  all'  esperienza nel  fatto  del  conoscere.  Ecco  la  massima  sua  gloria.  Ma non  perviene  a  spiegar  cotesto  fatto,  perchè  non  giunge a  risolvere  il  dualismo tra  la  sensibilità  e  l' intelletto col  discoprirne  il  germe  comune  eh'  egli  stesso  )ion  dubita chiamare  sconosciuto.^  D'altra  parte,  dal  disegno della  Critica  della  Ragion  Pura  egli  trae  quello  della Critica  della  Ragiofi  Pratica,  Nell'una  move  dal  senso, e,  attraverso  l' intendimento,  giugne  alla  ragione.  Nel- r  altra  tiene  un  cammino  opposto,  perchè  dal  concetto di  libertà  scende  nelle  facoltà  inferiori.  Or  1'  errore non  istà,  certo,  in  questo  cammino,  in  questo  circolo  ; ma  piuttosto  nell'  aver  interrotto  cotesto  circolo.  Donde avrebbe  dovuto  partire  nell'  organar  1'  edifizio  della Ragion  Pratica  ?  Precisamente  da  quel  punto  ove'  pon termine  la  Ragion  Pura,  Egli  invece  fa  un  salto;  salto mortale;  perchè  voltando  le  spalle  alla  ragion  pura  (né poteva  altrimenti),  si  basa  nel  concetto  di  libera  cau- salità.* Ov'  è  dunque  il  processo  fra  l' un  ordine  e  l' al- tro? Ov'  è  r  unità,  r  organismo  del  circolo  psicologico? Nella  distinzione  Kantiana  e'  è  del  vero.  Ed  è  che la  Ragion  Pura  è  facoltà  passiva  in  quanto   ha  per *  Kant,  Orit,  de  la  Raiaon  Aire,  p.  57,  terza  ed.,  Tissot. >  Idem,  Crit.  de  la  Maieon  Pratique^  p.  98,  220, termine  il  fenomeno,  tuttoché  s'  addimostri  attiva  nel concepire  e  disporre  e  costruir  questo  fenomeno  me- diante quella  mirabile  tela  delle  categorie.*  La  Ragion pratica,  al  contrario,  è  profondamente  attiva,  stanteche  con  r  atto  del  puro  volere  ella  ponga  il  noumeno^ Se  non  che  il  grand'  uomo  non  vide  che    la  Ragion pratica  è  assolutamente  attiva,    la  Ragion  pura  è assolutamente  passiva.  Il  conoscere,  certo,  serba  carat- tere di  passività  ;  non  altrimenti  che  V  operare  ha  ca- rattere d'  attività.  Ma  sono  tali  in  modo  relativo.  Sono tali,  cioè,  in  quanto T  ordine  pratico  sopravviene  a compiere  il  teoretico,  non  già  nel  senso  che  nel  secondo abbiasi  a  conseguire  ciò  eh' è  riescito  impossibile nel  primo,  vo'dir  la*  posizione  del  noumeno.  Che  cos'è infatti  cotesto  noumeno  nell'ordine  pratico?  Perchè  la Ragion  pratica  s'  ha  da  porre  qual  puro  volere,  cioè com'un  fatto  a  priori?  Insomma,  che  cos'è  questo  ro- lere  che  vuole    stesso? A  tal  grave  quesito  il  Criticismo  non  risponde,  checché ne  abbia  detto  poco  fa  uno  della  scuola  della  Morale  In- dipendente che  in  ciò  crede  poter  ormeggiare  il  filosofo prussiano.  Che  anzi,  se  la  legge  morale  procede  dalla  libertà come  volontà  indipendente  e  superiore  a  qualsi- voglia motivo,  cioè  come  autonomia  che  trascenda  ogni eteronomia;  è  da  confessare  che  un  principio  siffatto  è condizione  ni  tutto  subbiettiva,  e  quindi  sorgente  mu- tabile appunto  perchè  assolutamente  libera.  Un  atto assofuto  di  volere,-  il  volere  come  volere,  io  non l'in- tendo. Non  intendo  il  voglio  perchè  voglio^  giusto  perchè non  capisco  un  atto  che  sia  razionale  e  insieme  scisso e  quasi  staccato  dalla  ragion  pura.  Brevemente:  non intendo  una  Ragion  pratica  che  non  sappia    possa convertirsi  con  la  Ragion  teoretica.''  Se  la  radice  del *  Kant,  Orìt,  de  la  liaison  Pure,  ed.  cit.,  p.  158  e  segg. *  Idem,  Orit,  de  la  Raiaon  Pratique,  cap.  II,  p.  325. *  Secondo  il  Kant  la  Ragion  pura,  oltr'  esser  fornita  dell*  uao  tpe- culiiivoy  ha  eziandio  un  tntereaae  pratico  ;  il  quale  consiste  semplicemente dovere  sta  nel  sapere;  la  volontà  di  sua  natura  sarà sempre  una  funzione  secondaria,  non  mai  primaria  :  si che,  ove  nel  processo  istorico  si  svolga  da  sé,  in  tal  caso ella  si  determina  non  già  come  libertà,  ma  come  potere, come  desiderio,  come  passione,  come  libero  arbitrio. Laonde  se  il  filosofo  prussiano  sente  la  necessità  d' un reale  nel  suo  formalismo  critico,  cotesta  necessità  per  lui non  può  racchiudere  il  vero  concetto  del  dovere,  perchè importa  una  tendenza  cieca.  Non  è  dunque  un  atto  etico

veramente  detto,  ma  un  bisogno  assolutamente  empirico. Dal  che  si  vede  agevolmente  non  essere  al  tutto  vero  ciò che  aflFermano  due  serie  di  critici  rispetto  alla  natura de'  due  ordini  di  ragioni  poste  dal  Criticismo.  Alcuni credono  esserci  contradizione  perchè,  mentre  Ja  Ragion pura  è  indirizzata  solamente (tuttoché  con  artifizio  for- male) a  regolare  V  esperiènza,  la  Ragion  pratica,  invece, è  destinata  a  ricostruire,  a  costituire;  e  costruisce  mercè la  posizione  del  noumeno,  del  libero  volere,  reintegrando siffattamente  i  postulati  distrutti  nell'ordine  teoretico. Altri  pensano,  fra*  quali  Spaventa,*  che  la  contraddi- zione non  istia  già  fra  le  due  Ragioni,  ma  in  ciascuna d'esse.  Per  noi  è  vera  l'una  e  l'altra  sentenza,  ma  in questo  senso;  che  la  contraddizione  del  Criticismo  non istà,  come  abbiam  detto,  nel  porre  due  sfere  diverse  di ragioni;  due  ordini  di  processi  psicologici,  ma  si  nel non  aver  risoluto  nessun  de'  due.  La  contraddizione

esiste  non  pure  in  ciascuna  delle  due  sfere,  ma  anche tra  l'una  e  l'altra  ad  un  tempo;  con  la  differenza,  che nell'  un  caso  eli' è  essenziale,  dovechè  nell'altro  è  secon- daria. Togliete  quella,  e  avrete  insieme  levato  questa. Togliete  il  dualismo  e  '1  formalismo  nella  Ragion  pura, avrete  parimente  riparato  al  formalismo  e  al  dualismo della  Ragion  pratica.  Perciò  sommettete   a  processo nel  determinaref  non  già  ne)  eogtituire  la  Ragion  pratica.  (Ibi,  p.  825.) La  Ragion  pura  pratica  »i  eoHituiace  da  «2.  Ecco  il  grave  difetto  del

Kantismo  nell* ordine  morale. «   FU,  di  Kant  e  «uà  relaxione  coUa  FU,  /tal.,  Torino,   1860,  p.  67.

Puna  e  1'  altra,  e  avrete  schivata  la  contraddizione;  e invece  delle  Idee  sulla  Storia  Universale^  idee  che  paion come  disorganate,  avrete  l'organismo  della  Scienza Nuova.^  Or  la  contraddizione,  che  per  tre  divers^e  ma- niere offende  il  Criticismo,  potrà  essere  tolta  unicamente quando  dalla  dualità,  onde  non  si  potè  liberare  il  Kant, sappiasi  risalire  all'  unità  sua.  Qual  sia  questa  radicale unità  da  cui  move,  ed  alla  quale  ritoma  il  processo psicologico,  diremo  fra  poco.  Torniamo  al  Vico. La  Ragion  pratica,  l'Autorità,  VAuctorUas  naturalis^ che  per  lui  costituisce  la  base  del  processo  pratico  in tutt'e  tre  i  momenti  in  che  questo  si  svolge,  non  è  già un  primo  staccato  da  un  altro  primo  al  tutto  formale, ma  è  un  secondo  che  si  converte  con  un  primo^  e  per tale  conversione  formano  entrambi,  anziché  dualità  irresoluta, unidualUà,  Per  l'Autore  della  Scienza  Nuova  la ragione,  in  quanto  ragione,  è  una  non  due,^  Non  due perciò  le  sorgive  onde  rampollano  i  ragionamenti  ;  bensì *  Il  significato  della  storia  pel  Kant  si  riduce  a  questo.  Come  gli uomini  si  son  costituiti  in  società  per  ischivar  la  guerra,  cosi  tutt*  i popoli  tendono  a  stabilirsi  in  federazione  universale  {Idée  de  eeque  pourrait  ètre  Vhiètoire  universelle  dana  le»  vuee  d^n  eitoyen  du  monde,  1784). La  P  sentenza  è  un  errore  degno  degli  Hobbesiaui:  la  2"  è  un'utopia la  quale  partorisce  1*  altra  della  Pctce  universnlcf  e  V  altra  ancora  d*  una Chiena  filoeofica  il  cui  fine  dovrebb'  esser  quello  di  sorvegliare  alla  mo- rale del  genere  umano  (Vedi  nella  Relig,  dana  lee  lim.  de  la  raiwn).  Sennon- ché è  impossibile  spiegar  la  stona  col  porne  V  origino  in  una  condizione accidentale,  in  una  necessità  euipirica  qual'  è  appunto  la  guerra.  II  fatto isterico  può  essere  spiegato  col  risalire  alle  leggi  psicologiche,  e  scoprirne il  processo.  Or  poteva  egli,  il  Kant,  prefiggersi  tal  fine  s*  ei  non  seppe levare  il  dissidio  fra  le  due  Ragioni  e  mostrarne  la  conversione  V  Da  ciò anche  dipende  quel  proporre,  air  attuazione  del  progresso,  mezzi  affatto artiflziali  com'è  la  federazione  universale,  la  chiesa  filosofica,  e  simili. *  «  Con  lo  apiegarai  delle  umane  idee^  i  fatti,  i  diritti  e  le  cose  umane si  andaron  sempre  più  dirozzando,  prima  dalla  acrupoloaità  delle  auperatìzioni,  poi  dalla  aolennità  degli  atti  legittimi  e  dalle  angustie  delle  parole, finalmente  da  ogni  eorpìdenxa;  per  ridursi  al  loro  puro  e  vero  principio che  è  loro  propria  aoatanza.  *  Or  qual  è  questa  aoatanza  propria,  qual  è questo  principio  vero  e  puro  àe^ fatti  e  de'  diritti  umani^  eh'  è  dire  del- l' ordine  pratico?  È  la  aoatanza  umana,  la  noatra  volontà  determinata

dalla  noatra  mente  con  la  Forza  del  Vrbo  che  ai  chiama  Coscienza. {Prima  Se.  Nuova,  lib.  II,  p,  44-5.) due  le  maniere  del  ragionare.  Di  fatto,  se  lo  spirito  in quant'  è  conoscere  (Batio)  produce  il  vero  e    la  scienza  ; e  in  quant'  è  operare  (Auctoritds)  produce  il  certo  e  cosi esplica  e  conferma  la  prima,  ovvero  la  prenunzia  e  Y  an- ticipa ;  ne  viene  che  tra  Y  ordine  teoretico  e  Y  ordine pratico  una  conversione  è  necessaria.  In  che  risiede r  intima  natura  della  volontà?  Intelletto  e  volontà,  nel- r  ordine  psicologico  spontaneo,  hanno  radice  comune: per  cui  se  r  atto  del  volere  non  è  propriamente  atto d' intendere,  e  nondimeno  lo  sforzo  d' intendere  :  è  lo stesso  conoscere,  ma  in  quanto  si  realizza  come  Ragione universale,  come  operare  umano,  autonomo,  razionale. La  ragione  dunque  è  facoltà  di  conversione  per  eccellen- za ;  e  quindi  lo  spirito  dee  conformarsi  al  naturale  ordin delle  cose.  E  che  è  mai  il  naturale  ordin  delle  cose?  È la  Datura,  l'essenza,  il  valore,  l' essere  stesso  delle  cose.* Ora,  conformarsi  all'essere  delle  cose,  non  vuol  dire convertirsi  con  lui,  diventar  lui?  Col  concetto  d' ordine adunque  il  Vico  determina  la  natura  non  del  solo  co- noscere ne  del  solo  operare,  ma  la  natura  d' entrambi; cioè  della  Ragione  vivente  e  concreta;  della  Ragione  co- mune, universale,  imiana.  La  quale,  supponendo  già  il concetto  d'ordine,  cioè  dire  supponendo  il  processo Qpnoscitivo,  importa  anche  il  processo  operativo  come risultato  necessario  dell'  essenza  umana.* *  Con/ormatìo  eum  ipso  ordine  rerum  e$t  et  dicitur  batio.  {De  Univ, Jur.^  Proem.j  7.)  Questa  con/ormatio  mentis  suppone  già  il  processo  cono- scitÌTO,  e  quindi  il  criterio  della  Convernone  del  vero  col  fatto.  Ella  dunque è  risultamento  delle  funzioni  teoretiche,  e  insieme  principio  delle  fun- zioni pratiche.  È  la  sostanza  umana  determinata  con  la  Forza  del   Vero. *  Il  Rosmini  nella  FU.  del  Diritto  (voi.  I,  sez.  II,  X)  fa  la  critica del  concetto  d*  ordine  com'  è  inteso  dal  Vico.  Il  Finetti  area  fatto  lo stesso  fin  dal  secolo  scorso  nelle  sue  polemiche  col  Dnni  e  col  Concinna. {De  Prineip.  Jur.  ec,  tom.  II,  cap.  VI.)  Ma    V  uno    1* altro  s*è  accorto come  la  facoltà,  che  per  Vico  dee  conformarsi  air  ordine  naturale,  non  sia il  puro  conoscere  e  neanche  il  solo  operare;  cioè  non  la  Ratio  e  nemmanco

VAuetoritas,  ma  la  Ragione  per  eccellenza,  la  Ragione  in  quant' è  risultato finale  e  quindi  princìpio  del  doppio  processo  psicologico.  £  la  ragione,  in- somma, in  quanto  è  conversione  essenziale  con  la  natura,  con  la  storia, con  lo  Stato,  col  supremo  suo  fine,  e  della  quale  il  Duni  dice  che  dove Concludiamo  quant'  al  processo  pratico.  La  ragion pratica  non  contraddice  alla  teoretica.  Intanto  eli' è pratica,  in  quanto  è  comando  ;  ma  è  comando  della  ragione fondata  nel  concetto  del  fine  razionale,  che  vuol dire  d' un  fine  il  quale  iraponesi  come  legge,  e  perciò come  imperativo.  Cotesto  fine  imperante,  manifestato  o imposto  dalla  ragione  (e  tutto  ciò  per  noi  è  ragion pratica),  inevitabilmente  importa  la  necessità  etica,  il cui  soggetto  è  la  volontà:  ond'  è  che  tra  la  volontà  e  il suo  fine,  eh'  è  appunto  il  bene  morale,  òorre  una  sin- tesi necessaria.  Che  se  l' imperativo  per  Kant  è  la  stessa volontà  in  quanto  è  libera  da  ogni  movente  particolare e  d'ogni  particolare  interesse;  anche  per  noi  cotesto  imperativo è  il  volere  libero  da  ogni  qualunque  motivo, meno  da  quello  che  scende  dalla  ragione,  o  per  mezzo della  ragione;  ma  di  quella  ragione  pura  o  conoscitiva la  quale,  essendo  il  vero  convertentesi  col  fatto,  intende e  legittima  il  fenomeno.  Fra  lei  e  '1  noumeno  non  esiste un  abisso,  com'  è  pur  troppo  pel  Criticismo.  E  in  questo senso  non  ha  torto  Hegel  d'affermare  che  libertà  è ragione,  e  ragione  è  libertà.  Il  motivo  dell'  azione,  in- fatti, è  intrinsecato  con  la  ragione;  scaturisce  non  già dall'  estemo,  come  incontra  nelle  azioni  di  natura  mec- canica, ma  dall' intemo.  L'agente  dunque  è  razional- mente libero;  e  però  è  liberamente  necessario.  Il  per- chè se  una  sintesi  necessaria  annoda  il  volere  col  suo fine,  è  pur  mestieri  che  la  volontà  si  converta  con  la ragione,  e  produca  la  virtù.  Così  nella  sfera  pratica, non  diversamente  che  nella  teoretica,  il  criterio  è sempre  il  medesimo  :  la  conversione  del  vero  col  fatto, eh'  è  dire  della  legge  con  la  volontà.  E  poiché  la  legge neir  ordine  etico  partorisce  il  dovere,  e  la  volontà  nel- r  ordine  giuridico  produce  il  diritto; perciò  accade  che la  Morale,  nella  dottrina  del  nostro  filosofo,  deve  stare al  Diritto  cosi  come  il  vero  sta  al  fatto,  come  la  Ra-non  c'^  uniformaziont,,  non  e'?  ragione,  (Vedi  noi    Saggio  di   Giuritprw denzn   Umvermle^  ediz,  cit.:  voi.  cit.  Gap.  VI.> gione  air  Autorità.  Sono  due  sfere  di  fatti  diversi;  due ordini  di  scienze  differenti  per  origine,  e  per  applica- zione. Il  Diritto  non  iscaturisce  dalla  Morale,  ne  tam- poco la  Morale  potrà  emerger  dal  Diritto.  Se  cosi  fosse, l'una  di  queste  scienze  annullerebbe  l'altra,  assor- bendola. Esse  dunque  non  s'identificano,  ma  si  con- vertono.* Tal  si  è,  come  rapidamente  l'abbiamo descritto,  l'or- ganismo psicologico  ne'  suoi  elementi  e  nella  sua  natura. Ma  quest'  organismo  può  e  debb'  esser  considerato  riguardo a  due  soggetti,  che  sono  l'individuo  e  la  specie, cioè  dire  psicologicamente  e  storicamente.  Nell'individuo ci  è  dato  studiarlo,  come  chi  dicesse,  nella  condizione statica,  cioè  nel  suo  equilibrio,  nella  sua  compiutezza, a  cagione  delle  mutue  relazioni  onde  i  due  processi  ri- chiamansi  a  vicenda.  Psicologicamente,  infatti,  il  pen- siero inaugura,  determina  e  compie  il  processo  pratico. Lo  inaugura  come  senso  in  quanto  eccita  il  potere:  lo determina  come  rappresentazione,  immaginazione,  in- tendimento che  sveglia  e  sprona  il  volere:  lo  compie, finalmente,  come  ragione,  la  quale  costituisce  l'essenza stessa  della  libertà.  La  Ragione  dunque  è  l'atto,  la forma  dell'Autorità;  come  l'Autorità  è  la  potenza  e  la materia  della  Ragione.*  Io  voglio  ed  opero  perchè  cono- sco :    per  altro  potrò  conoscere  se  non  perchè  debbo operare.  La  ragion  del  volere  pone  sua  radice  nel  conoscere ;  come  la  ragione  e  '1  fine  del  conoscere  altro  po- trebb'  esser  che  Y  operare.  Chi  vuol  conoscere  per  cono- scere è  un  mezz'  uomo.  E  la  scienza  per  la  scienza  è frase  ch'io  non  intendo,  come  non  la  intendeva  nem- meno Aristotele.^  I  due  processi,  adunque,  ne'  quali  si sdoppia  e  determina  l' organismo  psicologico  nell'  indi- viduo, s' importano  a  vicenda,  e  tutt'  insieme  compon- •  Sotto  il  rapporto  psicolosrico  può  dirsi,  come  più  d*una  volta  ar- verte  il  nostro  filosofo,  che  ex  Rottone  Auctontas  ipm  orta  ett.  (De  Univ. Jur.,  XCIV.) *  Rayaisson,  Em,  9ur  la  Mitaph.  ec.  T.  I,  1.  T,  cap.  II. gono  un  sol  circolo.  In  questo  circolo  per  1'  appunto  sta l'autogenesi  dello  spirito. Al  contrario  nella  storia,  che  vuol  dire  nella  specie avvisata  come  un  individuo  attraverso  il  tempo,  l'organismo psicologico  ci  è  dato  considerarlo  quasi  in  via di  formazione,  cioè  sotto  il  rapporto  dinamico,  e  perciò nelle  condizioni  del  movimento.  Avviene  infatti'  in  que- st'ordin  di  cose  quel  che  la  scuola  di  Lamarck  pen- sava del  regno  zoologico.  Nell'organismo  compiuto,  nel mammifero,  ci  è  tutta  la  scala  zoologica,  ma  in  atto; al  modo  istesso  che  nelle  differenti  specie  d'organismi inferiori  abbiamo  l'organismo  perfetto,  ma  come  squa- dernato nella  successione  seriale  de'  diversi  momenti

del  suo  sviluppo.  Se  questa  dottrina,  secondochè  altrove diremo,  non  è  al  tutto  vera  in  ordine  alla  storia

naturale,  è  verissima  nella  storia  umana.  La  condi- zione statica  non  può  verificarsi  nell'  ordine  de'  fatti, massime  de' fatti  storici.  Nel  regno  della  realtà,  anziché quiete  ed  equilibrio,  tutto  è  moto  incessante,  sviluppo, attrito,  disequilibrio  perpetuo:  onde  la  Statica  sociale de'  Sociologisti  non  è  che  un'  astrazione  del  pensiero.  Il processo  psicologico  adunque,  avvisato  staticamente,  è tipo,  è  realtà  compiuta,  alla  quale  c'innalziamo  scru- tando la  natura  dell'individuo,  investigando  le  leggi  della psicologia.  Un  processo  psicologico  in  via  di  formazione non  è  altrimenti  Statica,  ma  Dinamica.  Ora  il  processo psicologico  è  r  atto,  il  tipo  del  processo  isterico;  e  quindi vana  impresa  è  il  pretendere  d' imprimer  ÌForma  di scienza  alla  storia,  senza  porvi  a  fondamento  imme- diato la  psicologia.  La  storia  non  fa  che  ripeter  la psicologia;  ma  al  modo  che  la  circonferenza  ripete  il centro.  Che  è  mai  la  circonferenza  fuorché  lo  stesso centro  considerato,  direbbe  il  Gioberti,  fuori  di  sé?  Tal è  la  specie  rispetto  aU'  individuo  ;  tal  si  é  pure  la  storia di  fronte  alla  psicologia.*  Ciò  che  nell'  una  si  compie *  Vedi  le  belle  riflessioni  del  Noubisson  in  proposito.  (La  nature humainef  Ess.  de  Fsycol.  appliquée,  Paris  1865,  p.  431  e  se^g.) attaraverso  lunghi  secoli,  nell'  altra,  cioè  nell'  individuo, s' assolve  attraverso  una  serie  d' anni  e  di  differenti  età. E  ciò  che  sono  i  secoli  per  la  storia  e  gli  anni  e  le diverse  età  per  l' individuo,  sono  per  la  coscienza  at- tuale que'  diversi  momenti  necessari  aftinché  ella  possa recare  in  atto  la  doppia  fimzione  del  conoscere  e  del- l' operare. Ma  per  quante  sian  le  differenze,  la  legge  è  sempre una;  non  essendo  possibile  che  le  note  essenziali  alla specie  manchino  ai  membri,  manchino  agli  elementi  di essa,  ciò  è  dire  agP  individui.*  Perciò  nella  storia  tanto  il processo  teoretico  quanto  il  processo  pratico  s'inau- gura cod  come  nell'  individuo.  U  senso,  lo  vedremo  in altro  luogo,  sale  a  ragione  attraverso  le  funzioni  in- termedie dell'immaginazione  e  dell'intendimento.  Il potere,  l'istinto  (il  che  verificheremo  nella  sociologia) assume  valore  di  Ubertà  mercè  la  successione  delle moltiplici  forme  cui  soggiaccion  le  passioni  e  le  deter- minazioni del  libero  arbitrio,  e  siffattamente  crea  il Diritto  e  lo  Stato.  Così  la  storia  è  una  correzione  lenta ma  incessante,  ma  progressiva  di  due  forze  che  mai non  posano,  Autorità  e  Rag^ne.*  La  molla  occulta  del- *  Ce  qui  9e  paage  dan»  Vévolvtion  4e  Vindividu  est  la  tacine  de  ce  qui se  passe  dans  VévoìuHon  de  Vétte  eoUectii*.  (Littbé,  PatoUs  de  Phil.  Posit. 2*  ed.)  Ognan  vede  che  questo  principio  non  è,  come  ci  dicono  i  Po- sitivisti di  Francia,  una  loro  invenzione  peregrina.  È  uno  de*  con- cetti fondamentali  della  Scienza  Nuova;  ed  è  insieme  la  correzione del  Comtismo,  per  la  ragione  più  volte  rammentata  che  la  psicologia pel  Vico  non  iscatnrìsce  dalla  storia,  ma  è  anzi  la  storia,  cioè  la  scienza istorica  quella  che  dee  tórre  a  modello,  a  criterio  la  psicologia. *  Tutte  le  opere  del  Vico  sono  una  dimostrazione  continua  di quésto  concetto.  Lasciando  delle  facoltà  d*  ordine  conoscitivo,  basta meditare  le  diverse  forme  attraverso  cui  procede  VAutotità,  per  vedere come  davvero  ella  sia  potenzialmente  ragione.  Vi  è  progresso,  per  dime un  esempio,  fra  le  tre  forme  d*  autorità  monasHcOf  economica  e  eivUe  (De Univ.  Jut.  LXXIII  e  segg.)  ;  e  vi  ò  progresso  nella  storia  dell*  autorità considerata  nelle  diverso  maniere  del  reggimento  politico  {Ptima  Se,  Nuova, p.  IH  e  segg.  —Sec.  Se.  Nuova,  p.  236,  342  e  segg.,  471,611  e  segg.) Scoprire  la  conversione  dell'  Autotità  con  la  Ragione,  è  una  delle  sue principali  esigenze,  e  quindi  uno  de'  precipui  aspetti  della  Scienza  Nuova. r  umano  progredire,  infatti,  sta  nella  faticosa  conver- sione d' entrambe.  Perchè    la  storia  è  la  vita  del  ge- nere umano,*  il  processo  di  questa  vita,  lo  svolgimento  di quest'organismo  altro  non  potrà  essere  fuorché  il  ridursi di  quella  dualità  a  valore  d' unità.  Il  processo  istorico adunque  non  fa  che  ripetere,  ma  sotto  forme  sempre diverse,  il  processo  psicologico  :  talché  se  la  psicologia, come  ha  detto  il  Michelet,  é  quasi  la  storia  in  miniatura, cioè  la  storia  come  raccolta,  adunata  e  quasi  concen- trata in  un  sol  punto;  la  storia  alla  sua  volta,  secondo l'osservazione  altrove  accennata  del  Cattaneo,  altro  non sarà  che  la  psicologia  stessa  in  più  vaste  proporzioni,  e sotto  aspetti  molteplici  e  svariatissimi.  Ma  quel  punto, quel  centro  (ripetiamo  la  figura),  vai  tutta  la  circonfe- renza; vai  più  che  la  circonferenza.  Se  la  psicologia infatti  nasce  dalla  storia,  chi  vorrà  dire  che  la  prima non  possa  essere  altro  fuorché  una  semplice  appendice della  seconda?  La  psicologia  è  superiore  alla  storia, come  il  presente  è  superiore  al  passato.  E  le  leggi psichiche  sono  anteriori  a  quelle  del  fatto  istorico,  al modo  istesso  che  il  criterio  e  la  norma,  in  generale, sono  anteriori  alla  materia  interpretata  e  giudicata.' Perciò  dice  che  il  suo  libro  è  anche  nn».  JUotoJia  deW  autorità  {Sec.  Se. Nuova^  p.  148,  171)  atta  a  ridurre  a  leggi  certe  V  umano  arbitrio  di  ma natura  incertÌ9»imo  (p.  174). *  Vita  generila  humani  Hiètoria  est,  [De  Univ.  Jur.  XCXIX.) *  Il  Taine  dice  benissimo  dove  osserva  che  la  pttyeologìt  ««  à  ehaque départentent  de  Vhintoire  humaine  ce  que  l^i  physiologie  generai^  e»t  h  la phyaiologie  partictdiire.  de  ehaque  esplce  ou  doAèe  animale.  {De  Vlntelli- gence,  t.  I,  Pref.  p.  7.)  Che  oggi  la  psicolog^ia  debba  esser  condizione essenziale  alla  scienza  del  fatto  storico,  ninno  è  che  ne  dubiti.  Ma  la questióne  ò  ben  altra,  e  di  ben  altro  valore  che  non  crede  il  Taine. Come  s' ha  da  considerar  la  psicologia  rispetto  alla  storia,  e  perciò r individuo  rispetto  alla  specie'?  Ecco il  punto!  Predicarci  la  necessità della  psicologia  nella  indagine  del  fatto  storico  è  un  bel  nulla,  se  innanzi tratto  non  si  stabilisca  qual  relazione  corra  fra  le  due  scienze.  Mi  spiego subito.  Se  Io  svolgersi  delle  concezioni  religiose,  delle  creazioni  artistiche e  letterarie  e  delle  scoperte  scientifiche  in  un  dato  periodo  istorico  e presso  un  dato  popolo  non  sono  in  realtà  altro  che  un'  applicazione,  un caso  particolare  di  quelle  medesime  leggi  che  in  ogn'  istante  regolano  lo svolgimento  psicologico  di  ciascun  nomo  ;  brevemente,  se  il  fatto  storico H  nostro  filosofo  non  pure  colse,  ma  dimostrò  la  re- lazione tra  r  uno  e  V  altro  ordin  di  fatti,  e  fece  quel che  non  giunsero  a  fare  i  nostri  platonici  e  aristotelici del  Rinascimento;  ciò  che  non  fece  tutto  il  Cartesia- nismo; ciò  che  dopo  di  lui  non  seppe  fare  il  Critici- smo in  ordine  alla  storia;  ciò  che  non  han  fatto,  né sanno  fare  i  Positivisti  e  gli  Idealisti  assoluti;  i  quali trascendono  il  positivo  perchè  disconoscono  la  difficile arte  de'  confini  nella  scienza  del  mondo  e  della  storia. Alla  sua  mente  lampeggiò  il  vero  concetto  dell'  ente umano:  il  concetìo  àeW  individuo  universale  vivente, concreto,  reale;  e  sotto  doppia  forma  venne  applicando il  suo  massimo  criterio  della  conversione  del  vero  col foHo  nel  conoscere,  e  del  certo  col  vero  nell' operare. Recò  in  atto  quindi  non  una,  ma  due  grandi  leve,  la psicologia  da  una  parte,  e  la  critica  de'  fatti  storici  dal- l'altra;  la  filosofia  e  la  filologia;  e  perciò  un  a  priori  di natura  puramente  psicologica,  e  un  a  posteriori  indagato pazientemente  con  oculata  osservazione:  e  così  gettando le  basi  del  vero  metodo  storico  razionalmente  positivo, riesci  a  comporre  la  scienza  dello  spirito.  Però  Storia e  Psicologia  non  sono  due  cose,  ma  una.  Esse  formano la  vera  scienza  dello  spirito,  quando  sian  portate  ad  un fiato,  com'  egli  dice  con  significantissima  frase.  Ecco  il grande  valore  della  Sdensfa  Nuova,  per  quanti  possano essere  i  suoi  difetti  nella  forma,  n^l  disegno,  nelle  con- clusioni, nelle  applicazioni.  Lo  dichiara  egli  stesso  :  «  il mio  libro  è  wrxR  filosofia  deW umanità.  »  Perchè  filosofia? non  è  che  un'applicazione  delle  lejrgi  psicologiche:  ne  viene  che  nella psicologìa  solamente  possiamo  ritrovare  il  criterio,  il  principio,  la  teorica da  applicare  nella  intorpretaziono  del  fatto  isterico.  Dnnqne?  Danque (mi  par  chiaro)  la  psicologia  è  anteriore,  e  superiore  alla  storia.  Or  io non  so  davvero  come  siffatta  conseguenza  possa  accordarsi  co'princìpii del  Taine,  specie  con  quello  ond'ei  ci  dichiara,  che  il  fatto  della  co- scienza non  è  altro  che  vm  fantamna  metajinco!  Il  problema  storico  è problema  psicologico:  lo  sappiamo  anche  noi  da  un  secolo  e  mezzo  a questa  parte.  Quel  che  non  sappiamo  è  il  modo  col  quale  il  valoroso estetico  francese  potrà  giugnere  a  risolvere  cotesto  problema  col  suo Positivismo. perchè  ne  inve^iga  le  coffionV  Or  le  cagioni  imme- diate e  positive  del  processo  istorico,  non  s'hann'  a  ra- dicar tutte  nel  processo  psicologico,  eh'  è,  dire  nella  na- tura umana  ?  *  Volere  investigar  le  ragioni  della  storia nonché  i  principii  della  sociologia  invocando  la  dicdeUica immanente  détta  Idea  come  fan  gli  Hegeliani,  ovvero r  opera  della  Provvidenza  immediata  come  fanno  Onto- logisti  e  Teologisti  ;  è  uscir  dalla  Storia,  dalla  natura umana,  dalla  psicologia  ;  ed  è  rendere  il  processo  storico un  processo  affatto  meccanico  e  arbitrario.  Un  principio estrinseco  e  superiore  che  non  emerga  dalle  viscere stesse  della  storia,  ma  che  alla  storia  si  sovrapponga  e s'imponga,  che  cosa  dee  produrre?  Da  una  parte,  mec- canismo, e  arbitrio  dall'altra.  Ed  è  anche  un  uscir  dalla storia,  dalla  psicologia  e  dalla  natura  umana,  queir  in- vocare i  soU  fatti  siccome  leggi  empiriche  riferendole  a cagioni  tutte  estrinseche,  tutte  mutabiU  tutte  acdden- taU,  come  sono  il  clima,  la  razza,  l'educazione  e  cento e  mille  condizioni  esteriori  e  secondarie  di  cui  ci  par- lano i  positivisti  e  i  filosofi  dett*  avvenire. Il  fondamento  razionale  positivo  del  processo  istorico dunque  è  l'organismo  psicologico,  ma  ravvisato  come processo.  Questa  precisamente  è  l' esigenza  più  legitti- ma, la  condizione  più  salda  del  metodo  istorico  che  sca- turisca dalle  opere,  dalle  dottrine,  dalla  mente  del  Vico. Metodo  isterico  è  anch'esso  metodo  genetico,  metodo eduttivo.  E  metodo  genetico  vuol  dir  metodo  essenzial- mente psicologico.  Ne  segue  perciò  che  la  legge  isterica delle  tre  età  {Divina,  Eroica,   Umana),  pone  sua  ra- *  Ved.  Prim,  Se  Nuav.y  p.  248. *  Le  tre/any  o  stati  del  PositÌTismo  francese  non  sono  che  un  fatto, una  legge  empirica,  non  la  ragione,  non  il  principio  delia  storia.  Lo  con- fessa lo  stesso  Littré;  il  quale  perciò  avendo  visto  la  necessità  di  correg- gere e  compiere  anche  in  questo  il  maestro,  alle  tre  fasi  del  Comte  sosti- toisce  le  cinque  forme  di  civiltà  calcate  sopra  altrettante  facoltà  psi- cologiche. (Vedi  A.  Comte  et  la  Phil,  Pont.)  Cosi  il  Littré  ritoma  al Vico,  cioè  al  concetto  psicologico,  quantunque  sbagli  nella  scelta  della strada. dice  non  già  in  un  fatto  parHccHare  quale  sarebbe  il  na- scere, il  crescere  ed  il  perire  dell'individuo,  come  ve- demmo pretendere  il  Vera  (p.  128),  ma    neljo  stesso organismo,  nello  stesso  circolo  delle  funzioni  psicolo- giche. Ciò  che  dunque  è  processo  teoretico  e  pratico deUe  facoltà  e  quindi  conversione  del  vero  col  fatto  e  del certo  col  vero  nell'  individuo  ;  nella  specie,  nella  comu- nanza civile,  assume  forma  e  valore  d' organismo  e  di processo  isterico.  Ecco  perchè  nello  svolgimento  della storia  e  delle  diverse  civiltà,  lo  stato,  la  fase,  o  (secondo il  linguaggio  del  Vico)  V  età  divina  ritrova  sua  ragione intima,  immediata,  nel  predominio  ed  esplicazione  deUe due  funzioni  elementari,  empiriche  e  naturali,  che  sono il  Senso  ed  il  Potere.  La  fase  eroica^  per  contrario,  è V  incarnazione  del  Volere  e  dell'  Immaginazione.  E,  final- mente la  fase  umana  è  V  attuazione  e  quindi  il  trionfo e  la  signoria  della  Ragione  spiegata,  la  quale  neU'  or- dine della  vita  civile,  politica  e  sociale  si  traduce  nel trionfo  della  libertà.  La  storia  dunque  è  un  organismo come  la  psicologia;  e  quindi  le  leggi  psicologiche  sono il  criterio  interpretativo  principale  del  fatto  isterico. Questo  è  il  vero  concetto  della  VoUcer  Psycólogie  per VA.  della  Scienza  Nuova.  Dove  sta  il  difficile?  Ap- punto nel  far  cotesti  interpretazione;  appunto  nel- r  applicare  le  leggi  psicologiche  alla  storia.  In  tale applicazione  occorre  schivare  (come  vedremo  in  So- ciologia) que'  due  gravissimi  errori  ne'  quali  rompono Hegeliani  e  Positivisti:  cioè  l'universalismo  nel  com- porre la  filosofia  della  civiltà,  e  il  particolarismo  e  '1 determinismo  nel  fissarne  le  leggi.  Due  perciò  sono  le condizioni  razionali  per  la  scienza  della  storia:  V  appli- care al  fatto  isterico  le  leggi  psicologiche  ;  ma  applicar- le, non  già  all'  umanità,  come  fanno  i  seguaci  di  Hegel, bensì  a'  popoli,  alle  schiatte,  alle  tradizioni  :  2**  tener conto  delle  mille  cagioni  estrinseche  ed  irraziouaU  che in  modi  infinitamente  diversi  e  molteplici  turbano  lo svolgimento  della  storia;  ond' emerge  la  necessità,  ripe* tiamolo,  della  psicologia  e  della  crìtica  storica  nello stabilire  i  principii  deUa  filosofia  dello  spirito. Or  cotesto  metodo,  oltreché  nelle  dottrine  metafisi- che, anche  nelle  teorie  storiche  e  sociologiche  risulta logicamente,  come  vedremo,  dallMndirizzo  medio  del- l'Aristotelismo rappresentatoci,  ne'  tempi  moderni,  dalla Sdenta  Nuova.  Nella  Sdenta  Nuova,  e  perciò  nel  me- todo isterico  e  psicologico  del  Vico,  abbiamo  la  con- danna più  severa  e  la  confutazione  di  fatto  degli  estremi indirizzi  aristotelici  rinnovatisi  in  questo  secolo  per opera  dell'  Hegelianismo  e  del  Positivismo  nel  regno degli  studi  storici  e  sociologici. Ma  qual  è  la  genesi  e  quindi  la  teleologia  del  pro- cesso psicologico?  That  is  the  question! Capitolo  Sesto. genesi  e  teleologia  psicologica. Lo  spirito  ha  le  sue  leggi  come  la  natura;  ed  è anch'  egli  un  organismo  come  la  natura.  Perciò  dap- prima è  Sintesi  iniziale,  come  si  disse,  poi  Analisi,  poi Sintesi  finale.  Spencer  direbbe  che  l' organismo  psicolo- gico procede  dall'  omogeneo  indeterminato,  all'  etero- geneo; e  dall'eterogeneo  (avrebbe  dovuto  aggiungere;,  fa ritomo  all'  omogeneo,  ma  all'  omogeneo  determinato  e universale.    Fin  qui  abbiamo  studiato  la  psicologia  nel fatto.  Movendo  da  una  dualità  empirica,  cioè  dal  senso che  iniziando  il  processo  teoretico  s' eleva  a  dignità  d'in- telletto, e  A^X  potere  che  preludendo  al  processo  pratico assume  valore  di  libera  volontà,  abbiamo  sorpreso  l'orga- nismo psicologico  nel  momento  stesso  dello  sviluppo, dell'analisi,  dell'eterogeneità, della diflFerenza e  moltipli- cità  delle  sue  funzioni.  Or  è  d' uopo  rimontare  all'ori- gine psicologica.  È  d'  uopo  ricercar  la  cellula  madre  di quest'organismo.  È  d'uopo  investigare  il  centro  di  questo cìroolo,  la  sintesi  origìiiaxia  di  quest'analisi  che  a  noi porge  la  coscienza. La  genesi  dello  spirito  vuol  esser  guardata  in  tre modi,  sotto  tre  forme,  per  tre  fini  diversi  :  psicologi- camente, logicamente,  ideologicamente.  La  Psicologia studia  lo  spirito,  ma  in  quanto  è  un  multiplo  di  funzioni, d*  operazioni,  di  facoltà.  La  Logica  studia  lo  spirito,  ne ricerca  le  funzioni  psicologiche,  ma  in  quanto  producono, generano,  partoriscono.  L' Ideologia,  finalmente,  studia anch'  essa  lo  spirito,  ne  indaga  le  funzioni  psicologiche, ma  guardandole  ne'  lor  prodotti  generali  La  Logica  dun- que siede  in  mezzo  all'  una  e  all'  altra  scienza.  Ella  studia non  altro  che  relazioni  :  studia  le  relazioni  fra  la  causa e  l'effetto,  le  attinenze  tra  la  forza  e  le  sue  produzioni, e  quindi  raccoglie  leggi  universali,  attinenze  necessarie, poiché  se  lo  spirito  si  differenzia  appo  gl'individui  per attività  ed  energia  di  potenza  e  per  moltiplicità  di  risul- tati, non  differisce  menomamente  per  le  leggi  alle  quali dee  soggiacere  ciascun  individuo.  La  Logica  è  universale, obbiettiva;  e  quindi  indipendente  dal  soggetto,  non  al- trimenti che  la  matematica.  Or  queste  tre  scienze  che r  analisi  immoderata  delle  scuole  ha  ridotto  a  frantumi, non  sono  che  tre  aspetti  d'un  medesimo  subbietto:  d'un subbietto,  cioè,  avvisato  P  come  forza  e  potenza:  2**  come atto  e  risultato  ;  3**  finalmente  come  potenza  in  quanto diventa  atto,  e  però  come  relazione  dell' un  termine verso  l'altro.  Psicologia,  dunque.  Logica  e  Ideologia dovranno  condurci  ad  una  medesima  conseguenza  nel problema  su  la  gencHi  psicologica. Nel  processo  psicologico  dicemmo  esserci  un  primo ed  un  ultimo  atto.  Questo  primo  e  quest'ultimo  atto, anziché  facoltà,  come  pretendon  gU  Spiritualisti,  anzi- ché semplici  condizioni  psicologiche  riducibili  alla  fin fine  alle  funzioni  biologiche,  come  ci  predicano  i  Posi- tivisti,* sono  invece  facoltà  delle  facoltà.  E  son  tali  per- *  Per  esempio  Sr.  Mill  {La  PhU,  de  Hamilton,  trad.  CazeUes  1869, e.  Vili,  p.  188).    H.  Taink  (2>«  VintelUgence,  T.  II.  1.  1,  e.  II,  §  VIII). che  runa  d' esse  è  originaria,  e  V  altra  è  complementare  ; perchè  la  prima  è  potenza,  e  la  seconda  è  atto  :  perchè,  in somma,  quella  è  T  Io  in  quant'  è  coscienza  primitiva,  e questa  è  V  Io  in  quant'  è  pienezza  di  personalità,  auto- coscienza. Or  è  mestieri  ammettere  che  la  coscienza,  in quant' è  facoltà  détte  facoltà,  esista  dapprima  come potenza  originaria;  preesista  com' energia  irreducibile; preceda  come  atto  che  sia  tutto,  e  nulla;  e  vaglia  quindi a  costituir  la  natura  stessa  di  quell'ente  che  nella  scala zoologica  diciamo  ente  umano,  E  innanzi  tratto,  s'egli  è vero  che  le  fimzioni  psicologiche  convengon  tutte  nell'es- sere un  conato  di  natura  essenzialmente  teleologica,  è d'uopo  che,  attraverso  a  tutte  e  in  fondo  a  ciascuna,  si occulti  un  atto  rudimentale,  radicale,  comune,  essenzial- mente generatore,  contenente  universale  e  indeterminato del  doppio  processo  psicologico  teoretico  e  pratico.  D' al- tra parte,  se  il  fatto  ci  addita  una  dualità  empirica, concreta  ed  elementare,  cioè  il  senso  e  il  potere  ;  ne  viene che  queste  due  facoltà,  sia  che  le  si  guardino  nel  loro obbietto  e  natura,  sia  che  nel  fine  cui  sono  indirizzate, ci  rappresentino  due  opposti,  ci  esprimon  due  contrari; e,  come  tali,  abbisognano  d'un  soggetto  comune  in  cui (secondo  l'esigenza  dell'Aristotelismo)  elle  sussistano originariamente.  La  duaUtà  empirica  e,  per  così  dirla, sensata,  ci  rimena  infatti  $ui  una  dualità  superiore  e trascendente,  la  quale  a  sua  volta  non  può  non  essere altresì  unità,  unità  confusa,  unidualità  anteriore,  e  della quale  possiamo  dire  ciò  che  Aristotele  afferma  delle parti  avvisate  in  riguardo  al  tutto.  Se  la  parte  poten- zialmente e  cronologicamente  precede  il  tutto;  attual- mente e  logicamente  il  tutto  dee  preceder  la  parte.* ^Xou  xai  >f  uX>i  TT^c  ouVtac"  Jtar'  «vT«Xj;^tiav  5'  u^7«/oov  5«a- XxtBivroi-  y(/.p  x«t*  £vTi>JX«*av  «(T']at.  (Met.  V.)  Ecco  la  ragiono (sia  detto  di  passata)  onde  la  Psicologia  differisce  in  immenso  dalla Zoopsicologia,  checché  ne  dicano  il  Darwin,  V  Agassiz,  il  Vogt  ed  altret- tali. Neir  ordino  zoopsicologico  la  dualità  empirica  del  »etuo  e  dell'  i»Hnto esiste;  ed  è  unità  confusa,  è  unidualità:  ma  riman  sempre  tale,  sempre Questo  tutto  originario,  quest'  unità  la  quale  anche come  primigenia  è  numero,  cioè  unìdualità  e  però  facoltà déHe  facóUà,  è  ciò  che  con  antica  ma  significativa  pa- rola il  Vico  suole  appellar  mente,  mens.^ Alla  medesima  conseguenza  ci  conduce  la  logica  e r  ideologia.  Rammentiamoci  della  dottrina  su  la  cono- scenza. Se  neir  ordine  del  conoscere  il  fatto  è  il  dato,  il fenomeno,  ciò  eh'  è  posto,  la  cieca  percezione;  insomma, ciò  che  non  può  esser  conosciuto  di  per    stesso:  il vero,  per  conta'ario,  è  V  elemento  ideale,  astratto,  vuoto, formale,  a  priori  ;  ma  a  priori  in  quant'  origina  imme- diate dal  seno  stesso  del  pensiero.  In  che  sta,  dunque,  il  nello  stato  potenziale:  mentre  neir ordine  psicologico,  cioè  umano,  ella diventa  atto,  numero,  e  quindi  il  Senso  e  il  Potere  vi  assumono  anche valore  di  sentimento  e  di  coscienza.  Se  dunque  è  così,  chi  vorrà  credere che  quella  dualità  sia  puramente  animale  come  nella  Zoopsìcologia  ?  Se fosse  tale,  non  dovrehhe  restar  sempre  la  medesima,  come  incontra  nel  soar- getto  zoopsicologico?  Dunque  (la  conseguenza  parmi  chiara)  quella  dualità neir  ente  umano  deve  importare  qual  cos'altro  che  non  sia  puro  Senso, né  puro  Istinto. *  Quel  che  latinamente  egli  chiama  men«  cmimi  è  essenzialmente  pen- siero; e  pensare  per  lui  è  manifestare    a    medesimo:  Mens  cogitando se  extbet  {De  AsUiqHÌ9.,  Cap.  VI).  Or  la  mente  è  principio  unico  di  tutte le  facoltà:  principium  unum  Men»;  e  I*  occhio  di  lei  é  appunto  la  ragione: eujw  oculua  Ratio  {De  Univ.  Proem.,  4).  Dunque  ciò  eh'  è  di    e  dentro e  dietro  a  quest'  occhio  eh'  é  la  Ragione,  é  appunto  la  MenU;  la  quale perciò  è  anteriore  a  tutti  i  gradi,  a  tutti  i  momenti  del  processo  cono- scitivo. Se  non  che  lo  spirito,  in  quant'ò  menUf  vede  anch'essa;  altrimenti come  si  farebbe  a  dirla  mente?  Ma  allora  soltanto  ella  disceme,  allora soltanto  é  oechiof  e  perciò  era  visione,  quando  diventa  ragione  epiegata,  e quindi  processo  teoretico.    Per  intender  meglio  il  significato  della  mente, ricordiamoci  del  »ene%u  intemtu,  del  eennu  eui,  della  eoecienta,  cwn-eeientia, di  cui  egli  parla  in  più  luoghi  delle  sue  scritture.  In  ispecie  è  da  riflet- tere quando  afferma,  la  coscienza  essere  insieme  univereale  e  pai-ticolare  ; e  il  senso  intimo,  individuaUt  e  insieme  comune,  fi  da  riflettere  dove accenna  ad  una  facoltà  naturale  e  epontanea  ond'  é  fornita  la  eomuiune natura  degli  uomini.  È  da  riflettere,  finalmente,  e  specialmente,  ove parla  di  certi  giudizi  istintivi  eh'  egli  chiama  giudizi  fatti  sknza  bifles- 8I0NK.  (Vedi  Prim.  e  See.  Se  Nuow%  passim.)  Or  di  sotto  a  questo  lin- guaggio esce  chiara  una  conseguenza;  la  necessità,  cioè,  di  riconoscere come,  attraverso  a  tutte  le  diiferenti  forme  psicologiche,  esista  un  punto centrale  onde  s' irradiano  e  dove  si  riconducon  tutte  le  funzioni  dello  spi- rito. Quest'esigenza  psicologica  nel  Vico  parmi  evidente  per  ciò  che  s*  è detto,  e  per  ciò  che  ancora  diremo. conoscere?  Nella  conversione  de' due  elementi.  Intendere è  legere;  e  legere  è  cdligere  dementa  rei,  cioè  coUigere  il vario  sensato,  il  fatto.  Questo  fatto  dunque  vien  raccolto e  innalzato  a  dignità  di  vero  e  quindi  ad  unità,  appunto quando  la  mente,  generando    stessa,  conosca  insieme  la guisa  onéPtma  cosa  è  fatta.  Or  in  cotesta  genesi  hawi  un intimo  vincolo  per  cui  V  eiFetto  è  anche  causa,  e  la  causa eflFetto;  ed  è  questa  quella  tal  funzione  eduttiva  onde la  ragione,  annodando  cause  con  cause,  e  però  conver- tendo il  vero  col  fatto  e  viceversa,  rintraccia  il  medio termine,  e  fa  la  scienza  (pag.  242-3).  Se  intanto  il  co- noscere è  un  atto  di  sintesi  ond'il  vero  è  forma,  predi- cato, categoria,  ma  non  per  anche  attributo  e  però cognizione,  mentre  il  fatto  è  materia  e  parvenza  feno- menale; ne  segue,  esser  davvero  una  grande  scoperta della  moderna  psicologia  quella  fatta  dal  Kant  e  le- gittimata in  gran  parte  dal  Rosmini,  ma  presentita  dal nostro  filosofo;  che,  cioè,  pensare  sia  essenzialmente giudicare.*  Che  cos'  è  infatti  il  giudizio  fuorché  il  pre- dicato assumente  forma  evalore  d'attributo?  Dunque, anziché  nel  cogliere  il  puro  vero,  o  nell'  apprendere  il puro  fatto^  il  giudizio  risiede  nel  concetto.  Ma  che  è egli  mai  il  concetto  salvochè  la  conversione  del  vero col  fatto,  considerati  questi  com' elementi  essenziali nella  sfera  dell'intendimento?  *  Ora,  tornando  al  pro- posito, comecché  il  vero  e  '1  fatto,  convertendosi,  gene- rino il  concetto  e  quindi  il  giudizio,  e  col  giudizio  fac- *  Kant,  Orit.  de  la  Raùon  Pure.  Log,  Tra»cend.,  L.  1.    BosMiin, Nuo,  Sagg,  voi.  II,  Sez.  V,  e.  I. *  L' atto  del  conoscere  ò  m'rtò  di  vedere  il  tutto  di  eitueheduna  omo, e    vederlo  tutto  ineieme^  ehi  tanto  propriamente  tuona  intblliobri,  e  allora veramente  ueiam  Tintblletto.  (Vedi  Lett.  al  Sotta,  p.  12.)  È  agevole  scor- gere, por  tutto  ciò  che  abbiamo  detto  qui  e  altrove  (p.  241, 275  e  segg.), quanto  nel  Vico  sia  chiara  Tesigeriza  kantiana  deirunirà  eintetica  detTapper- eezione,  non  che  quella  della  percezione  intellettiva  Rosminiana,  e  meglio ancora  (per  qaèl  che  diremo),  V  altra  del  Sentimento  fondamentale.  Ma  in grazia  del  suo  criterio,  al  solito,  si  può  riuscire  a  schivare  il  tubbietti- viemo  e  il  formaliemo  dell'uno  e  delPaltro  filosofo  adoperando  il  metodo deduttivo. cian  possibile  ad  un  tempo  la  coscienza  e  l'esperienza; nuUamanco,  a  somiglianza  delle  funzioni  ond'  essi  ram- pollano, restan  sempre  una  dualità,  ma  dualità  origina- ria; stantechè  non  potendo  T  uno  emerger  dalP  altro, né  r  altro  dalF  uno,  debbano  coesistere  entrambi  nella coscienza.  Se  non  che,  una  dualità  originaria  non  è  forse un  assurdo?  Senza  dubbio,  un  assurdo.  Dunque  è  ne- cessaria certa  unità  iniziale,  intima,  primigenia,  appo cui  1  vero  e  il  fatto  sussistano  germinalmente  come in  grembo  ad  una  sintesi  confusa. Alla  medesima  conclusione  potrebbe  giugnere  chi pigliasse  a  guardar  Y  intero  processo  logico,  cioè  le  fun- zioni teoretiche  tanto  nel  lor  movimento,  quanto  ne'  lor risultati.  Percezione,  Giudizio  e  Sillogismo  son  tre  gradi, tre  momenti,  tre  forme  distinte  d'una  medesima  funzione eh' è  la  Mente.^  Nella  percezione  la  Mente  si  manifesta come  unità  immediata  appo  cui  oggetto  e  soggetto  sian tuttora  confasi.  Nel  giudizio,  invece,  predomina  l'analisi, la  differenza;  perchè  i  termini  standovi  fra  loro  di  fronte l'un  r  altro  e  quasi  irresoluti,  avviene  che  la  mente  deb- basi  palesare  come  dualità.  Ma  poiché  il  giudizio  im- porta necessariamente  un  ritorno  sopra    stesso,  e questo  ritomo  appunto  costituisce  il  sillogismo  ;  accade che  in  questo  ritomo,  nel  sillogismo,  la  mente  si  palesi come  unità  e  dualità  in  atto,  come  triplicità  attuale, come  mente  spiegai'a.  Or  se  T  organismo  logico  e  l'ideo- logico son  anch'essi  un  processo  non  altrimenti  che l'organismo  psicologico;  se  il  risultato  finale  di  cotesto processo,  la  funzione  terminativa  di  cotest' organismo  è •    Tre»  mentit  operationes:  Pkroiptio,  JUDIOIDM,  Batiooinatio.  Tri- bua  artilM  diriguntvr:  Topica,  Critioa,  Mbthooo.  {De  AntiquUe.?  aavT6)v,  Met.  1.  III).  E  s'aggira  poi  attorno alla  seconda,  cioè  al  senso  e  all'  esperienza,  perchè  dee  verificar  la  prima, cioè  dove  inverare  il  principio,  o,  eh'  è  il  medesimo,  dee  convertire  il  vero col  fatto^  il  voù;  potenziale  con  l'esperienza.  Perciò  il  voù;  attuale  è  la conversione  per  antonomasia,  massime  quando  assuma  valore  di  Ragione, Perciò  stesso  la  scienza,  diciamolo  anche  una  volta,  non  può  essere  un magistero  deduttivo,  nettampoco  un  artifizio  meramente  induttivo. *  e  Metaphtfatei  enim  claritat  eadem  eat  numero  ae  illa  lueÌ9  quam  non nin  per  opaca  cogno»eimu».  Si  enim  in  clathratam  fenestram  qua  lucem  in aedee  tuimittitf  intente  ac  diu  intueari»  ;  deinde  in  eorpue  omnino  opacum aciem  oculorum  eonpertae;  non  lucem  «ed  lucida  ckuhra  tibi  videre  videaria. Ad  hoc  imitar  metaphtfeieum  verum  illustre  c«(,  nullo  fink  ooNOL0Drr(TR, NTTLLA  FORMA  disorrnitur;  quia  est  infìnitìim  omnium  formorum  principium  : phy9Ìea  mtnt  opaca,  nempe  formata  et  finita  in  quibu»  metaphyeid  veri  lu- men videmue.  {De  Antiquie,  c.  Ili,  §  8.)  Come  si  vede,  anche  in  ciò  il  Vico non  fa  che  inverare  l' Aristotelismo.  Che  in  Aristotele  infatti  ci  sia  il  con- cetto del  Noùc  potenziale  come  noi  l' intendiamo,  e  però  anziché  passivo, come  parrebbe,  sia  fornito  anch'  egli  d' attività  stantechò  possieda  un oggetto  somigliante  alla  luce  che  fa  essere  in  atto  i  colori,  si  può  vedere dalla  seguente  sentenza:  xa  la  mente in  potenua  d'Aristotele,  2**  V  ettere  ideale  del  Bosmini;  ma  levando  1  difetti che  certo  non  mancano  nelle  loro  dottrine.  Difetto  d'Aristotele,  come  avver- timmo, ò  la  mente  che  vien  difuora.  Difetto  del  Bosmini,  poi,  è  V  immobilità originarla  e  la  presenza  non  legittimata  del  suo  Ente  poetibile  dinanzi  alla mente.  Anche  per  noi  la  mente  vien  di  fuori  ;  ma  questo  di  fuori  è  la  natura in  generale.  È  un  di  fuori  nel  senso  eh'  ella  serba  intimi  vincoli  con  la natura  e  col  sensibile,  e  sorge  per  virtù  propria,  ma  col  mezzo  del  sen- sibile. Tal  si  è  l'interpretazione  che  potremmo  dare  a  questa  celebre  frase aristotelica,    ci  mancherebbero  testi  in  proposito  per  confermarla;  tanto la  natura  non  può  essere  intelligibile  in  quant'  ò  sem- plice realtà,  ma  in  quant' è  potenza  attuosa,  conato, processo,  divenire.  Or  in  che  maniera  potrebb' esser tutte  queste  cose  ove  non  includesse  una  legge,  un  ritmo, una  misura,  una  forma  di  moto,  un  moto  ordinato?  Che s'ella  è  per    stessa  intelligibile  in  quanto  che  espli- candosi mostra    medesima  e  si  fa  intendere  ;  eviden- temente non  potrebbe  fai-si  intendere  ove  non  impor- tasse tre  condizioni,  ciò  è  dire  un  principio,  un  mezzo, ed  un  fine.  Se  dunque  la  natura  è  potenza  attuosa  e quindi  per    stessa  intelligibile,  ha  da  essere  altresì))otenzialmente  intelligente.  E  sarà  intelligente  attuale ove  quelle  tre  condizioni  siano  insieme  compenetrate in  unità:  quando,  cioè,  il  principio  sia  soggetto,  il  fine oggetto,  il  mezzo  relazione. Che  cos'è  dunque  lo  spirito  nell'atto  suo  radicale, nel  suo  momento  originario?  È  soggetto,  oggetto  e  relazione:  pensante,  pensato e  pensiero.  Però  l' intima  sua  struttura  è  insieme  dua- lità e  unità,  difi'erenza  e  medesimezza,  e  quindi,  come si  disse,  triplicità;  ma  triplicità  sotto  forma  di  sintesi iniziale  e  confusa.  Ne  segue  perciò  che  l' intuito,  la mente,  il  NoJ;  potenziale  altro  non  possa  essere,  per noi,  fuorché  il  momento  istesso  in  che  la  natura  di- venta pensiero;  il  momento  per  cui  l'anima  attinge forma  e  sostanza  d'intelletto.  Ora  il  primo  pensiero non  potrebb'  esser  triplicità,  non  potrebb'  esser  sintesi primitiva,  quando  non  fosse  V  intelligibile  divenuto  al- tresì intelligente.  Dunque  la  Mente  è  la  natura  in- carnatasi come  individuo;  l'intuito  è  l'individuo  che, trascendendo    medesimo,  assume  valore  di  coscienza. più  che  interpretazione  somigliante  ne  dettero  alcuni  aristotelici  del  Rina- scimento, fra  cai  meritano  d*  esser  menzionati  il  Porzio  e  lo  Zabarella come  quelli  che  considoramno  la  luce  intelligibile  quasi  di8»eminata  tuHle /arme  materiali^  e  Dio  come  influente  sa  V  irUdletto  potnbihf  non  in quanto  intéUigente,  ma  solo  in  quanto  intelligibile.  (Vedi  Kosmini,  Peieol,, voi.  I    Ddle  Sentenze  de'  FU  ec,  XX.    Rinnooam.  h.  II,  LUI.) Possiamo  dire  perciò  che  cotesto  Noù?  potenziale  ci renda  immagine  della  testa  di  Giano.  Con  una  delle  sue facce  ccrtesto  Giano  guarda  al  processo  della  sostanza; guarda  alla  natura  in  quanto  piglia  valore  d'individuo: dovechè  con  l'altra  inaugura,  geminandosi,  il  processo psicologico,  del  quale  son  due  forme  essenziali  il  processo sociologico,  e  il  processo  storico.  Se  non  che,  lasciando per  ora  del  processo  della  storia  e  della  sociologia,  im- porta notare  come  dalla  costituzione  primitiva  del  pen- siero, secondochè  noi  l'abbiamo  designata,  emergano, fra  le  altre,  alcune  conseguenze  risguardanti  l'essere individuale,  l'origine  e'I  fine  dell'anima.  lUfacciamoci dalla  prima. La  triplicità  originaria,  o,  eh'  è  il  medesimo,  il  se- creto vincolo  fra  oggetto  e  soggetto,  costituisce  la  ra- dice prima  della  individualità,  e  però  il  fondamento cardinale  della  libera  determinazione.  Se  infatti  il  N^uc potenziale  è  due  cose  e  non  una,  cioè  mente  e  luce,  ne segue  che  in  quant'è  niente  è  soggetto;  e  come  soggetto non  può-non  esser  reale,  moltiplioe,  diverso,  individuale: in  quant'è  luce,  poi,  è  oggetto;  e  come  oggetto  deve  ser- bar carattere  indeterminato,  comune,  universale.  Ora  il concetto  di  persona  risale  appunto  al  connubio  di  que- sti due  elementi  primitivi.  E  invero,  come  mai  l' in- dividuo potrebb' esser  in-dividuo  se  non  fosse  ogget- to, fornito  perciò  della  nota  d'universalità?  E  come, d'altra  parte,  potrebb' esser  davvero  universale  ove non  fosse  nello  stesso  tempo  un  soggetto  concreto,  vi- vente, particolare?  Il  particolare  è  il  fatto;  e  al  pari del  fatto  e'  sarà  vero,  quando  assuma  valore  universale, non  ismettendo  d'esser  particolare.  Similmente  l'uni- versale è  il  vero;  e  al  pari  del  vero  sarà  un  fatto, quando  rivesta,  anche  come  universale,  natura  di  par- ticolare. La  conversione  del  particolare  e  del  generale non  può  farsi  che  nell'origine  stessa  del  pensiero.  Or se  tutto  ciò  è  indubitato,  come  potranno  salvarsi  dal- l'errore più  esiziale  all'umano  consorzio,  eh' è  l'annui- lamento  del  vero  concetto  di  persona,  tutte  quelle  di- verse famiglie  di  filosofi  che  altrove  riducemmo  ai  due indirizzi  estremi  del?  Aristotelismo?  Gli  aristotelici  em- pirici e  naturalisti  e  positivisti,  infatti,  distruggon  la  per- sonalità perchè  negano  il  Nou;  potenziale  come  diverso dal  senso;  perchè  lo  riducono  al  senso.  Ma  la  distrug- gono altred  gP  iperpsicologisti  antichi  e  moderni,  cioè gli  Averroisti  e  gli  Hegeliani:  i  primi  perchè  separando i  due  elementi  credono  il  soggetto  abbia  a  partecipare deir  oggetto  posto  fuori  e  sopra  dell'individuo  ;  i  secondi perchè  fanno  assorbir  l'individuo  entro  a  quell'oceano immobile  e  sconfinato,  ch'essi  addimandano  Spirito  Uni- versale. La  quale  affinità  di  risultati  non  avrebbe  a recar  meraviglia,  chiunque  sappia  come  la  dottrina  del- l'in^eZZ^^  agente,  e  l'altra  non  meno  speciosa  dello Spirito  Vniversàlej  rappresentino,  sotto  forme  diverse di  speculazione,  T  Ipeppsicologismo  aristotelico. Da  questa  prima  conseguenza  poi  nasce  una  seconda  di massimo  rilievo.  Posto  il  Noù;  potenziale  non  già  come passivo,  anzi  come  fornito  originariamente  d'attività spontanea  in  quanto  che  nella  sua  nativa  indetermina- tezza è  pur  determinato  da  un  oggetto;  si  riesce  a  schivare così  quell'errore  supremo  a  cui  rompono,  per  vie  diverse, i  suddetti  filosofi  seguaci  de' due  opposti  indirizzi  aristo- telici, e  che  riflette  i  destini  dell'anima  e  dell'umana  per- sonalità. Se  infatti  nella  mente,  nel  NoJc  potenziale  ri- siede la  ragione  della  individualità  e  quindi  la  radice prima  della  personalità,  ne  segue  che  lo  spirito,  essendo coscienza  originaria  e  quindi  soggetto  superiore  all'orga- nismo, non  può,  tuttoché  sgorgato  dall'organismo,  finire così  come  finisce  la  funzione  organica.  Se  l'organismo, come  dicemmo,  è  numero  che  diventa  unità,  o  meglio, unione  d'indole  dinamica  (p.  316),  è  chiaro  com'ei  non possa  altrimenti  finire,  salvo  che  disgregandosi  e  trasfor- mandosi. Il  suo  fine  è  semplice  ritomo;  è  ritomo  pro- priamente detto  :  il  suo  progresso  è  regresso  nel  signifi- cato di  monotono  rifacimento.  Per  contrario  lo  spìrito è  unità  e  numero  sin  dal  momento  ìstesso  eh'  egli  è pensiero.  Dunque  non  può  altrimenti  finire  fuorché attuandosi  vie  piii  e  compiendosi  come  individuo,  come coscienza,  anziché  annullandosi  come  tale  per  vivere  in grembo  all'  universale  d' una  vita  che  non  é  vita.  Il  suo finire  non  significa  ritornare,  ma  persistere.  11  suo  pro- gredire non  è  regredire,  ma  incessante  determinarsi.  Non è  insomma  un  monotono  rifarsi,  un  ripetersi  come  la specie:  é    perpetuo  farsi:  un  perpetuo  rinnovellarsi dell'  individuo  in  sé,  e  per    medesimo.  Che  sia  così, ce  ne  fa  capaci  T  essenza  stessa  del  finito,  delle  forze, della  natura.  Perché,  davvero,  se  la  natura  é  conato essenziale,  non  verrebbe  evidentemente  a  contraddire  a sé  medesima  ov'  ella  non  superasse  il  senso  e,  trascen- dendo il  fantasma,  non  se  ne  distaccasse  rendendosene indipendente?^ *  A  questa  maniera  di  prora  intende  accennare  Platone  dove  afferma che  r  immortalità  non  è    un  eato  di  cui  saremmo  felici  ore  ci  toccasse, nò  una  aperanM  della  quale  è  pur  bollo  lusio^^are  noi  medesimi:  x3c).oV 7a/9  o'  xtv'Tuvoc,  X3tì  jr^vj    roiavra  tò^mp  ffTroé^scv  eaurù. {Fed.^  ed.  Stallbanm,  p.  42.)  Che  se  altri  ci  chiedesse  notizia  su  la  pecnliàr forma  della  nostra  esistenza  sovramondana  e  sul  modo  con  che  il  NoJ; attuale  sarà  unito  con  T  Assoluto,  noi  risponderemmo  francamente  di non  ne  saper  nulla.  WpoaithOfW  razionalmente poA/etVo,  in  siffatta  quistione in  che  consiste?  Consiste  in  ciò;  che  il  Noù;  attuale,  in  quanto  pienezza di  coscienza  e  di  personalità,  finisco  di  necessità  neir  Assoluto,  cioò finisce  col  non  finire;  e  quindi  il  soggetto  j>of«»ùifmeiUe  tn/ìntro, qual  si è  appunto  lo  spirito,  non  può  finire  come  finiscon  gli  altri  soggetti  finiti,  i quali  finiscono  appunto perchò  non  sono  propriamente  aoggeui.  Orda  cotesto pentivo  si  dipartono  tanto  coloro  che  nella  soluzione  di  siffatto  problema  ci vogliono  dar  troppo,  quanto  quegli  altri  che  finiscono  col  non  darci  nulla addirittura.  Escon  dal  positivo  razionale  o  fecondo,  per  cadere  nel  dom- matico  tradizionale,  i  Teologistt  col  loro  inferno,  paradiso,  purgatorio, eternità  delle  pene,  e  che  so  io.  Escon  parimenti  da  questo  positivo,  per cadere  neira  priorinno  dommatico  e  sistematico  .e  nel  Nullismo,  gli Hegeliani  con  la  teoria  dell*  individuo  accidentef  fenomenico  e  pataeggiero, £d  escono  finalmente  dal  positivo  gli  stessi  Positivisti  per  cadere  nel  ne- gativo, sia  che  dicano  col  Littré  esser  davvero  impossibile  indovinar  nulla intomo  a  siffatto  problema,  sia  che  affehnìno  col  Feuerback  di  saperne ogni  cosa  quando  sia  risoluto  co*  principii  dello  schietto  materialismo. 31a  sopra  questo  tema  ci  rifaremo  altrove.  Qui  ci  basti  d'aver  accennato ad  una  maniera  non  troppo  usata  di  provare  la  immanenza  necessaria della  personalità  come  coscienza  individuale. Questo  quant'al  destino  dell'anima  umana.  Che  cosa potrà  dir  la  filosofia  positiva  nuant' all' origine  sua? Tutto  nell'ordine  psicologico  move  dal  senso;  ma nulla  non  può  nascere  per  ragion  del  senso.  Se  lo  spi- rito è  essenzialmente  pensare  e  giudicare,  e  quindi, come  s' è  detto,  luce  metafisica,  intuito,  mente  e  però triplicità;  ne  conseguita  ch'ei  nasce  a    stesso,  ch'ei genera    stesso  come  pensiero.  Ecco  il  vero  significato dell'  innatismo,  dell'  idee  innate,  dell'  innate  facoltà. Questa  conclusione,  circa  l' origine  psicologica,  contrad- dice, al  solito,  tanto  al  Materialismo  che  non  sa  ele- varsi più  oltre  delle  pure  leggi  meccaniche,  quanto  a quell'astratto  e  nebuloso  Spiritualismo  che,  incapace  di scendere  nel  regno  de'  fatti,  non  sa  penetrare  nell'  espe- rienza, ed  alimentarsene.  Però  la  filosofia  positiva,  nel problema  su  l' origine  del  soggetto  psicologico,  non  vuole, non  può  accettare  il  principio  della  trasformazione della  materia  come  pretendon  gli  aristotelici  empirici rappresentati  oggidì  dagli  Hegeliani  di  parte  sinistra  ;  e non  può  del  pari  accettare  il  principio  (pur  ridotto  a forma  squisitamente  razionale  e  metafisica)  d'una  crea- zione estrinseca,  immediata,  superiore,  secondoché  sti- mano, il  tomista,  il  teologist^,  l' averroista,  il  neoplato- nico, r  ontologista.  Dottrine  ipotetiche  entrambe,  elle non  sanno  reggere  al  martello  della  critica.  La  prima riesce  insufficiente  a  spiegare  il  fatto  del  penciero:  la seconda  torna  inutile  a  legittimarne  la  natura. Tra  il  senso  e  V  intelligenza  ci  ha  intimo  nesso  ;  ma ci  ha  da  essere  pure  indipendenza  e  diversità.  Anche qui  si  verifica  ciò  che  ha  luogo  attraverso  a  tutti  i  dif- ferenti gradi  della  scala  de' sommi  generi  cui  si  riducon le  forze  di  natura:  si  verifica,  vo'dire,  quella  doppia legge  che  altrove  appellammo  della  continuità  ideale^  o degl'  intervalli  reali,  Havvi  continuità  perchè,  posto  il senso,  posta  la  natura,  è  possibile,  anzi  è  necessario l'intelletto:  si  che  può  dirsi  che  dall'uno  scaturisca l'altro.  Ma  ci  è  pure  intervalli,  perocché  se  l'intelletto germina  dal  senso,  o  meglio  nel  senso,  non  per  questo potrà  esser  lecito  confonderlo  col  senso.  Ci  spieghe- remo brevemente. Dicemmo  come  l'esigenza  massima,  il  principio  che qualifica  V  Aristotelismo  sia  quello  che  si  riferisce  alla relazione  tra  la  potenza  e  Tatto.  Gli  Aristotelici  empirici (per  esempio  gli  Hegeliani  di  parte  sinistra),  ci  dicon che  la  potenza  diventa  atto;  e,  applicando  siffatto  pnn- cipio  alla  psicologia  col  fine  di  determinare  l' attinenza fra  l'anima  e  '1  corpo,  affermano  che  l'anima  debba rampollare  dal  corpo  in  forza  della  leggQ  del  diventare. Che  cos'  è  per  essi  il  diventare?  È  il  to  7$ vo?  tolto  in significato  al  tutto  empìrico  e  sperimentale;  il  quale perciò  vuol  dire  trasformazione,  generazione,  ripetizione e  quindi  passaggio  incessante  (attraverso  infinito  nu- mero di  forme)  d'un  soggetto  identico,  d'un  fondamento universale  ma  concreto  e  sensato,  qual  è  appunto  la Materia.^ Gli  Aristotelici  iperpsicologisti  poi  (fra'  quali  sono d'annoverarsi  gli  Hegeliani  di  destra),  ci  dicono  an- '  È  questa  la  teorica  propugnata,  come  altrove  toccammo,  da*  moderni Materialisti  tedeschi.  Essa,  com'  è  noto,  è  rappresentata  dal  Feuerbach,  è divulgata  e  sostenuta  con  incredìbile  superficialità  dal  Di' BUchner  (Foror ei  Matth-e,  trad.  Gamper,  Leipzig  1868.  Science  et  Nature  etc  trad.  De- landre, Paris,  1866),  ed  è  applicata  dal  Moleschott  alle  scienze  fisiologiche. Ho  appellato  Arùtoteliei  empirici  questi  moderni  materialisti  usciti  dal fianco  sinistro  doirHegelianismo,  perchè  davvero  considerati  st>orlcamente e*  non  fanno  che  svolgere  V  indirizzo  naturale  deirAristotelismo.  Bel  qual fatto  hanno  coscienza  essi  medesimi,  segnatamente  il  Moleschott,  il  più ingegnoso  fra  tutti,  quando  afferma  che  Vunion  de  laphilosophie  et  de  la acience  ne  e^eH  rialieée  qu'une  foie  don»  ArÌ9tote,  {La  Oirculation  de  la Vie,  Paris  1866,  t.I,p.  10.)  Ora  s'intende  agevolmente  comò  pel  Moleschott questo  connubio  della  Filosofia  con  la  Scienza  nella  mente  dello  Staglrita si  compiesse  tutto  a  scapito  della  metafisica.  Aristotele,  egli  dice,  è  co- noscitore delle  .opere  d*  arte,  degli  uomini  e  degli  animali  [Ibi).  Eviden- temente il  dotto  fisiologo  riconosce  in  Aristotele  l'autore  d'una  Bettorica, d'  una  Storia  degli  animali,  e  degli  otto  libri  su  la  Politica.  Ma  perchè dimenticar  r  autore  della  Ptieologia,  della  iSi'HoywKca,  dell' £Wea  e  segna- tamente della  Metafisica  t  Non  è  vero  dunque  che  T  Aristotelismo  de' Po- sitivisti, do'  Materialisti  e  degli  Hegeliani  di  sinistra  è  addirittura  falso, erroneo,  mutilato  storicamente  o  teoreticamente  V ch'essi  che  ìsl potenza  diventa  atto;  ma  il  loro  diventai^e, anziché  grossolana  ed  empirica  trasformazione,  è,  per cosi  dire,  un' addizione  ideale,  cioè  posizione  e  contrappo- sizione, determinazione,  individuazione  progressiva,  ma d' un  soggetto  unico,  universale,  intimo,  trascendente, assoluto,  eh' è  appunto  l' Idea.^  Ora  il  soggetto  del  di- ventare, tanto  per  l'empirismo  quanto  per  l'iperpsico-' logismo  aristotelico,  cioè  tanto  per  la  sinistra  quanto per  la  destra  hegeliana,  è  sempre  uno,  sempre  iden- tico a    stesso,  chiamisi  Idea,  chiamisi  Materia.  Ecco dunque  la  ragione  per  cui  ne'  risultati,  massime  nella soluzione  del  problema  psicologico,  le  due  scuole  s' ac- cordano a  meraviglia.  Di  fatto,  l'anima'  per  gli  uni na^e  dalla  materia,  è  materia,  e  finisce  nella  materia: per  gli  altri  nasce  in  virtù  dell'  idea,  è  l' idea,  e  finisce nell'Idea.  Qual  è  dunque  il  fine  supremo  dell'anima?  Non altro  che  un  ritomo,  un  estinguersi  nell'  Idea,  o  nella Materia:  ecco  tutto.  L'intima  parentela  tra  il  Positivi- smo e  r  Hegelianismo  non  potrebb'  esser  più  evidente  I Seguaci  dell'  indirizzo  medio  dell'  Aristotelismo,  a  noi pare  che  l' interpretazione  legittima  della  sentenza  ari- stotelica in  discorso  non  sia  questa,  che  cioè  la  potenza diventi  atto;  ma  quest'  altra,  che  la  potenza  passi  ad essere  atto.  Se  non  fosse  così,  tutto  affogherebbe  sotto il  pesante  domma  dell'identità  assoluta,    vi  sarebbe differenza  di  contenuto  fra  le  cose  in  generale,  e  nem- manco  fra  il  senso  e  l'intelletto  in  particolare.  Or  se questo  fosse,  anziché  progresso  avremmo  processo;  e '  La  materia  e  la  forma,  la  pot&Ma  e  V  atto,  la  forma  e  il  contenuto, non  ooetitHÌacono  altro  che  due  momenti  deWIdea,  (Hbgsl,  Log.,  Tol.  I, §  XUI  e  segg.  Vedi  anche  neir  Introd.  del  Vera,  Cap.  XII,  XIII.)  L*  Idea perciò  s*  occulta  eeaenxialmenu  in  entrambo  i  momenti  ;  con  questo  sem- plice divario,  che  nell*  atto  essa  è  piìi  determinata,  più  individuata,  più enudeata  (direbbe  con  parola  significantissima  Vittorio. Imbriaui)  di  quel che  non  sia  nella  materia  e  nella  potenza.  Dunque,  io  concludo,  la  difTe- renia  non  istà  nel  quali,  ma  nel  qoaktvm  ;  e  perciò  diventare  non  altro Tale,  a  dir  proprio,  che  traeformanL  Ecco  il  punto  di  coincidenza  de*  due estremi  indirizzi  aristotelici;  ed  è  pur  quello  nel  quale  per  logica  necessità debbono  consentire  (checché  se  ne  dica)  la  destra  e  la  sinistra  Hegeliana. quindi  monotonia,  eterno  e  indefinito  cangiamento  di forme.  Tutto  quindi  si  ridurrebbe  ad  un  meccanismo materiale,  ovvero  ad  un  meccanismo  ideale;  e  leggo universale  del  mondo  sarebbe  o  la  necessità  empirica  e fisiologica,  ovvero  la  necessità  dialettica  :  fatalismo  cieco nell'  un  caso  come  nelF  altro.  Invece  l' essenza  del  pro- cesso cosmico  per  noi,  come  vedremo,  sta  nel  canato secondo  eh'  è  inteso  dal  Vico.  Ma  come  il  conato  po- trebb' esser  conato  ove  non  includesse  l' intervallo,  la diversità  vera,  cioè  la  diversità  di  contenuto?  Conato è  passaggio  nello  stretto  senso  della  parola  (irjìpytx otTf)>?;);  è  transito,  non  trasformazione;  eduzione  (edu* dio  entis  ad  a4ium)  ma  eduzione  intrinseca,  e  quindi conversione  del  fatto  ìid  vero,  cioè  dire  conversione della  potenza  nelP  atto ,  creazione  intima ,  creazione spontanea.  La  potenza  dunque  recasi  ad  atto  non  in quant'  è  potenza ,  ma  in  quanto  cessa  d'  esser  po- tenza, e  passa  ad  esser  atto;  cioè  in  quanVè  potenza feconda.  E  come  potrebb' esser  feconda  (tò  ^warov),  ove non  fosse  privajsfione  («rrf/jvjTc;)?»  Or  tutto  ciò,  come sarebb'  egli  possibile  senza  la  doppia  condizione  della continuità  ideale  e  dell'intervallo  reale? Torniamo  all'  assunto.  L' intelletto  nasce  dal  senso  : è  vero.  Ma  forse  che  nascere  vài  risultare?  Se  così  fosse, r  intelletto  non  essendo  altro  che  un  risultato,  starebbe rispetto  al  senso  così  oomQ  precisamente  nella  storta del  chimico  sta  un  sale  rispetto  agli  elementi  onde risulta,  cioè  all'  acido  e  alla  base.  Or  questo  (chi  noi '  Questo  è  il  senso  che  noi  diamo  al  principio  aristotelico  della  pn- «astone.  {Metaph.,  l.IX.)  Anziché  principio  negativo^  la  pr«ea«ira  posto  oggimai  nella  sua  massima  evidenza  sopratutto  dal  Rosmini.  A niuuo  è  lecito  dubitare  della  necessità  d*una  forma  oggettiva  originaria nella  sfera  de*  fatti  psicologici.  Con  salde  ragioni  il  Kant  ha  dimostra- to, contr*ogni  maniera  d'empirismo  psicologico,  che  lo  spirito  intanto pensa  in  quanto  giudica;  e  più  ancora  il  Rosmini  ha  posto  in  chiaro che  lo  spirito  giudica  appunto  perchè  è  toggeito  e  oggetto  insiememente. (Vedi  Nuo.  Saggio  passim. —  Rinnowm,^  L.  Ili,  e.  XLVII.  — Psicologia, voi.  I,  e.  IX,  X.    Introd,  alla  FU,  p.  74.)  I  difetti  della  teorica  Bo- sminiana  li  accenneremo  in  quest'altro  capitolo.  Qui  osserviamo  che  in tale  dottrina  il  filosofo  italiano  si  ricollega  con  san  Tommaso,  e,  chi volesse  andare  più  in  su,  anche  con  Alessandro  Afrodiséo,  e  quindi  con Aristotele.  Nello  Stagirita  infatti  ò  chiaro  questo  principio:  NotjtvÌ  ^i in  iTÌpcK.  do.  Ma  nem- manco  è  presupposta  al  corpo,  come  dice  lo  stesso  Pla- tone, 0  piovutagli  addosso  dal  di  fuori  e  dall'alto  in  certo mese  e  in  certo  momento  della  vita  intrauterina,  come affermano  tomisti  e  teologi,  senza  dirci  ne  come  né perchè:  e  tanto  meno  potrebb* esser  venuta  fuora  e  ve- nir fuora  qual  risultamento  di  leggi  meccaniche  e  fisio- logiche. L'anima  è  creata;  o,  per  dir  meglio,  l'anima crea    medesima  per  una  legge  profondamente  dina- mica che  si  confonde  e  compenetra  con  l' essenza  stessa della  natura  e  del  finito.  Perciò  alla  domanda,  se  fra l'anima  e  '1  corpo  come  fra  il  sentire  e  l'intendere  oi è  salti  ed  abissi,  rispondiamo  subito  che  sì;  ma  tosto aggiungiamo,  che,  a  colmare  cotesti  abissi  e  varcare cotesti  salti,    la  psicologia  positiva  ha  punto  biso- gno d' invocar  V  atto  immediato  d' un  deus  ex  machina, né  r  ideobgia  ha  mestieri  d'  un  a  priori  che,  dardeg- giando all'  anima  il  raggio  dell'  intelligibile  sovramon- dano,  svegli  ed  ecciti  in  essa  la  virtù  dell'  intelletto.  Questo,  e  solamente  questo,  noi  potevamo  dire  'quan- t' alla  genesi  e  quant'  alla  teleologia  dell'  anima  umana, puntellandoci  unicamente  (come  s'  é  visto)  su  la  na- tura dell'  atto  essenziale,  dell'  atto  radicale  onde  vuol esser  costituito  il  pensiero.  La  psicologia  non  sarebbe famMndoèi  bel  bello  diventa  miracolosamente  intelletto,  ignorando  cosi  o facendo  le  Tlste  d'ignorare  gli  studi  profondi  e  le  parti  accettabili  deUa psicologia  Bosminiana;    serva  pure:  noi  non  istaremo  a  perderci ranno  e  sapone.  Ma  non  sarà  certamente  villania  il  dover  dire  di  lui con  Aristotele:  ^uoeo;  yixp  f^fw  o  toiowtoc  y,  toéoùtoc  'A^ril davvero  positiva,  non  sarebbe  razionalmente  positiva, quand'  ella  presumesse  di  risolvere  diffinitivamente,  doni- maticamente,  sistematicamente  questi  due  problemi,  che non  senza  ragione  il  Leibnitz  appellò  terribili.  Ella,  ripe- tiamo, deve  saper  contraddire  a  due  estremi  opposti  e contrari.  Da  una  parte  dee  contraddire  allo  Spiritua- lismo e  al  Materialismo;  dall'altra  al  Positivismo.  Dee contraddire  al  volgare  spiritualista  e  al  materialista, perchè  entrambi  pretendono,  tuttoché  per  vie  e  risul- tati assai  diversi,  d'aver  risoluto  in  maniera  invincibile cotesto  doppio  problema,  mentre  nel  fatto  l'un  d'essi disconosce  il  valore  intimo,  l'autonomìa  dell'anima,  e l'altro  finisce  per  impugnanie  perfino  l'esistenza.  Deve poi  contraddire  al  Positivismo,  perchè  questo,  al  solito, non  volendo  sapere  di  siffatti  problemi,  ne  dichiara  im- possibile tal  soluzione,  e  quindi  inutile  il  parlarne.  Il filosofo  seriamente  positivo  può  fare  qualcosa  di  più che  non  sappia  il  Positivista.  Ma  confessa  di  non  saper giugnere  fin  dove,  con  volo  icario  e  fatale,  sanno  spin- gersi materialisti  e  spiritualisti,  empirici  e  tradiziona- listi, hegeliani  di  destra  ed  hegeliani  di  sinistra,  mistici e  ontologisti.  I  principìi  della  psicologia  positiva  che abbiamo  interpretato  nell'  autore  della  Sdenza  Nuova ci  possono  far  capaci  di  determinare  siffattamente  la genesi  e  la  teleologia  dello  spìrito,  da  chiuder  l'adito allo  scetticismo  e  al  nullismo.  Il  che  non  dovrebb'  esser poco,  anzi  dovrebb'  essere  moltissimo,  agli  occhi  almeno di  coloro  che  modestamente  sanno  e  voglion  ricono- scere i  confini  del  pensiero  umano. Abbiam  visto  come  la  genesi  del  processo  psicologico sia  essenzialmente  genesi  teleologica.  Ella  dunque  ci  vieta d'essere  scettici  per  sistema,  ci  vieta  d'esser  nuUisti  circa il  sapere  metafisico.  Se  il  mondo  della  natura  e  quello dello  spirito,  come  altrove  toccammo,  sono  processo  e conversione,  stantechè  il  primo  sia  numero  che  volge ad  unità  e  il  secondo  unità  che,  in    medesima  attuan- dosi, divien  numero  ;  anche  1'  assoluto,  serbando  mede- simezza di  legge,  ha  da  esser  non  altro  che  conversione, processo,  mediazione.  È  dunque  possibile  che  la  mente penetri  in  qualche  maniera  nel  regno  delle  realtà  me- tafisiche. Ma  se  la  legge  è  comune,  sarà  pur  tale  il  con- tenuto? Agli  occhi  del  modesto  indagatore  del  vero  la metafisica  è  la  scienza  de'  confini.  Or  questi  confini  ap- punto ignorano  tanto  i  Neoplatonici  quanto  i  Neoari- stotelici per  opposite  ragioni. Di  fatto  anche  qui,  e  sopratutto  qui,  navighiamo  fra Scilla  e  Gariddi:  siamo  fra  que'due  soliti  estremi,  come si  disse,  in  che  travagliasi  '1  pensiero  filosofico  fino da' tempi  in  cui  sovraneggiarono  i  due  grsmà'' istitutorì déW  uman  genere,  come  il  vivente  filosofo  berlinese  non dubita  chiamare  Platone  ed  Aristotele.'  Qual  è,  in  ge- nerale, l'esigenza  e  quindi  '1  distintivo  de' Platonici  e del  Neoplatonismo  di  tutte  l'età  nell'afifermar  l'assoluto? È  il  propugnare  la  conoscenza  immediata  e  primitiva dell'  obbietto  metafisico,  qualunque  ne  sia  1'  ampiezza, il  grado,  il  valore  dell'intùito.  Qual  è,  invece,  l'esi- genza degli  Aristotelici  e  del  Neoaristotelismo?  È  il *  1|I0HIL«T,  Metaph,  d'ArUL,  ed.  cit,  p.  243. mantenere  la  mediatezza  del  conoscere  metafisico,  ov- vero menomarla  cosi  da  renderla  inefficace,  e  talora persino  affatto  negativa.' I  metodi  de' Neoplatonici  nelP  attinger  l'assoluto '  In  armonia  con  le  idee  accennate  già  nel  Gap.  Ili  di  questo  secondo libro  sa  la  storia  generalo  del  pensiero  filosofico,  noi  togliamo  in  sig^nificato largo  le  parole  Neoplatonismo  e  Neoaristotelismo.  In  esse  comprendiamo più  e  differenti  scuole  di  filosoft.  E  quindi  non  sono  soltanto  filosofi  Neo- platonici  gli  Alestandrini  o  quelli  àeXht  scuola  Toscana  del  secolo  XY«  od altri  simili  tra' filosofi  cristiani  massime  appartenenti  a*  secoli  XIIl  e  XIV. Filosofo  neoplatonico  è  chi,  pur  modificando  il  Platonismo,  ne  sorbi,  come notammo,  due  esigenze,  di  cui  1*  una  ò  p9Ìeologtea  e  1*  altra  è  tnetaJUica. La  prima  consiste  nel  porre  un*  attinenza  primitiTa,  e  quindi  una  connes- sione originaria  Tra  la  mente  e  l'obbietto  metafisico.  Secondo  tal  criterio, fra*  neoplatonici  andrebbero  annoverati  parecchi  filosofi  arabeggianti,  av- vegnaché per  ragione  isterica  ei  risalgano,  come  toccammo,  allo  Stagirita. (p.  287,  e  segg.)  La  seconda  esigenza  poi  risiede  nel  riguardar  le  idee siccome  entità  aottanxialmente  eaemplatrici;  il  che  costituisce  davvero  il distintivo  del  Platonismo  in  generale  (p.  280).  Or  le  diverse  famiglie  o varietà  di  platonici  e  di  neoplatonici  possono  esser  coordinate,  nella  storia della  filosofia,  secondochè  queste  due  posizioni  si  presentano  più  o  meno modificate.  Per  iVeoameoCetùn  poi  intendiamo  qne'filosofi  che  contraddicono, in  generale,  ali*  anzidetta  esigenza  psicologica  e  metafisica.  E  poiché  il Platonismo,  come  dicemmo  e  come  avverte  il  Barthélemy  Saint-Hilaire {Phif9.  d*ÀrÌ9t.,  Pref.  p.  XX),  si  riproduco  e  si  trasforma  in  Aristotele  non pure  quanto  alla  filosofia  ma  eziandio  quanto  ad  ogni  altra  sfera  di  scibile, cosi  noli'  Aristotelismo  è  d*  uopo  saper  rintracciare  i  germi  del  triplice indirizzo  speculativo  da  noi  altrove  accennato,  massime  deirindirìzzo  mediof nel  quale  unicamente  è  possibile  rinvenir  la  correzione  del  Platonismo  e dell*  Aristotelismo.  Ripetiamolo  anche  qui  :  tutta  la  storia  del  pensiero filosofico  occidentale  consiste  nelJo  svolgimento  fecondo  e  svariatissimo di  questi  tre  indirizzi;  ciò  ò  dire  nella  lotta  perenne  delle  due  estreme posizioni,  e  nel  trionfo  lento  e  faticoso,  ma  immancabile,  della  posizione mediana.  Se  questo  è  vero,  ne  segue  (almeno  per  chi  serbi  alcuna  fiducia nel  progresso  della  ragion  filosofica)  che  se  nessun  filosofo  oggi  può  dirsi od  essere  un  puro  platonico  od  un  puro  aristotelico,  tutti  invece  dobbiamo essere  e  dirci  neoplatonici,  o  neoarìstotelici,  ovvero  seguaci  del  terzo  in- dirizzo; il  quale,  sia  storicamente,  sia  teoricamente,  vien  fuora  tostochè sian  dati  i  due  primi.  Noi  non  possiamo  intrattenerci  sopra  questa  ma- teria e  corredar  di  prove  isteriche  tale  assunto,  essondo  ben  altro  il compito  del  nostro  lavoro.  Ma  riteniamo  per  sicuro  che  una  storia  par- ticolare 0  generale  della  nostra  scienza,  la  quale  non  sia  condotta  con silEatti  criteri,  altro  alla  fin  fine  non  potrà  esser  che  un  lavoro  d*  in- tarsio, come  tanti  se  ne  vedono,  ovvero  un  arbitrio  sistematico,  dom- matico  e  fftntastico  dairnn  capo  ali*  altro.  (Vedi  tutto  ciò  che  abbiamo discorso  a  tal  proposito  ne*  Gap.  III  e  IV  di  questo  Lib.  II.)      ( potranno  differir  nella  forma  più  o  manoo  arbitraria con  che  ci  è  data  la  dottrina  delP  immediatezza.  Ma tutti  ci  palesan  lo  stesso  difetto:  l'esser  dommatici,  Tesser sistematici;  poiché  tutti  trascendon  T esigenza  d'un  po- sitivo e  fecondo  psicologismo.  L' esagerazione  di  cotesto indirizzo  è  rappresentato  da  chi  presume  conseguir  la notizia  dell'  assoluto  con  la  ragione,  ma  con  la  ragione che  si  lasci  guidar  dalla  fede,  e  sorreggere  dal  senti- mento. Con  siffatta  maniera  di  speculazione  noi  non  ci abbiamo  che  vedere.  Essa  ci  rappresenta  quella  posi- zione metafisica  che  altrove  appellammo  DommcUismo empirico  (p.  251).  Dobbiamo  dunque  rifiutarla.  E  dob- biamo rifiutarla,  sia  perchè  in  sostanza  ella  riesce  a negar  la  speculazione  trascendente,  ùa  perchè  s'oppone alle  condizioni  più  elementari  della  scienza,  (p.  213.)  — Le  altre  forme  di  Neoplatonismo  afferman  l'immediatezza dell'  oggetto  metafisico  ponendo  l' intùito,  ma  l' intùito che  legittima    stesso  in  quanto  che,  assumendo  virtù riflessa,  diventa  ragione.  Secondo  tale  indirizzo  appunto è  venuta  svolgendosi  la  speculazione  italiana  nel  moderno periodo  della  nostra  filosofia.  Talché  noi  dovendo,  come richiede  l'indole  stessa  del  nostro  lavoro,  tener  conto  non pur  della  ragion  teoretica,  ma  eziandio  della  ragione isterica,  verremo  accennando  alla  dottrina  del  Rosmini, del  Gioberti  e  del  Mamiani,  che  ne  sono  i  più  legittimi rappresentanti.  Rifacciamoci  dal  primo  come  quegli  che per  ragion  cronologica  e  per  valore  di  speculazione  va innanzi  a  tutti. Al  Rosmini  s'  é  voluto  dar  titolo  d' idealista  piato- nico.  *  Con  egual  ragione  altri  potrebbe  dargli  titolo  di realista  aristotelico.  Il  Roveretano  corregge  davvero  il neoplatonismo  nella  ricerca  psicologica  ;  ma  v'  è  un  punto vitale  nel  quale,  come  si  vedrà,  ei  si  palesa  più  che  ne- *  È  un  titolo  in  gran  parte  sbagliato.  Quelle  eh'  ei  dice  propriamente idee  per  lui  sono  eeemplari  delV  eetenxa  inteUigibiUf  non'  già  eeemplatrici per  «è  medeeime,  {ArieU  E«p.  ed  eeam,,  Pref.)  Come  dunque  ò  idealista platonico  ? platonico.  Con  ingegno  potentemente  analitico,  temprata alla  severa  speculazione  d' Aristotele  e  deH'  Aquinate  * egli  ha  dimostrato  ciò  che  in  modo  assai  vago  eran venuti  affermando  gli  aristotelici  su  la  necessità  d^  una forma  oggettiva  nella  mente.  Ma  egli  non  si  contenta dell'essere  in  quanto  essere:  lo  dichiara  altresì  immo- bile,  immutabile,  obbiettivo,  inalterabile,  se^nplice,  uno, immescibile,  infinito^  necessario,  insussistente,  ideale}  Ecco il  puntello  ond'  egli  s' augura  di  spiccare  il  volo  inverso ali  Assoluto.  Ma  innanzi  tutto  guardiamo  tale  dottrina sotto  il  rispetto  psicologico  eh' è  appuntò  il  tema  pre- cipuo del  presente  capitolo. Col  porre  l'Essere  come  oggetto  primitivo  della  mente, e  col  dichiararlo  fornito  del  carattere  d' universalità,  il Rosmini  taglia  i  nervi,  come  dicemmo,  ad  ogni  maniera di  sensismo,  e  nel  medesimo  tempo  corregge  il  Critici- smo: lo  corregge  non  già  mondandolo  (com'  ei  si  vanta) della  magagna  della  subbiettività  di  cui  non  sa  neppur liberare    medesimo,  bensì  dimostrando  quant*  inutile fardello  sia  quella  moltitudine  di  categorie  originarie ond' il  Kantismo  si  distingue  fra' moderni  sistemi  di filosofia.  Ecco  ciò  che  forma  l'onore  della  psicologia rosminiana.  *  Ma  qual  è  il  suo  difetto?  È  il  non  aver indagato  fino  alla  più  fonda  radice  quel  eh'  egli  stesso appella  il  minimum  della  cognizione;  e  quindi  l'aver fatto  pesare  su  l'obbietto  originario  un  ingombro  di note  e  d'attributi  cotanto  copioso,  da  fargli  smarrire affatto  il  carattere  dell' originarietà.  E,  davvero,  cotest'  og- getto è  egli  ideale?  Dunque  è  già  beli'  e  determinato. Ór  come  un  obbietto  determinato  potrà  esercitare  fun- *  Il  prof.  Paganini  ha  mostrato  1*  affinità  fra  il  Rosmini  o  san  Tom- maso quant'alla  teorica  del  lume  intellettivo.  {Sagg.  9opra  «an  Tomm, éC  Aquino  e  t7  Roeminif  Pisa  1857.) «  Vedi  Rinnovam.,  LUI,  e.  XXXìX,—  Ptieologia,  Tol.  I,  XI,  XXIIi, ed.  cit.    Nuo.  Sagg.^  voi.  II,  Sez.  II. *  Il  prof.  Spaventa  ha  pasto  in  sodo  questo  gran  merito  del  filosofo italiano  di  fronte  al  Criticismo  nel  prezioso  opuscolo  altrove  citato  so  la '  FUo9ofia  di  Kant  e  la  tua  relazione  con  la  FUotoJia  Italiana,  Torino  1860. 2Ìoni  di  Primo  psicologico?  Non  verremmo  cosi  a  tur- bare e  confonder  l'ordine  primitivo  della  conoscenza col  riflesso?  Dunque  Y  essere  ideale  nell'organismo  della psiche,  anziché  Primo  psicologico,  sarà  il  Primo  logico.* Quanto  poi  air  attributo  della  infinità,  egli  ha  ragione dove  aflerma  con  san  Tommaso,  la  natura  del  soggetto dover  partecipare  a  quella  dell'oggetto:  e  quindi  se  a questo  appartiene  il  carattere  della  infinità,  non  si  vede perchè  non  debba  appartenere  anche  a  quello.  Or  s' egli è  cosi,  è  dunque  infinito  il  pensiero?  Lasciamo  agli  hege- hani  cotesta  innocua  pretensione  finché  non  ce  n'  abbiau dato  valide  e  serie  dimostrazioni." Se,  inoltre,  cotal  forma  innata  è  immobile,  immuta- bile, immescibUe  e  inalteràbile,  perciò  non  le  sarà  dato moversi  di  per    stessa.  Ella  si  move  bensì,  ella  diventa, ma  in  virtù  d' una  determinazione,  in  forza  d' un'  op- pliccunone.  Chi  recherà  ad  atto  cotest' applicazione?  La *  Lo  Spaventa  ha  ragione  :  «  V  errore  del  Roamini  non  ì  il  fare ddV  eteere  come  eeeere  il  primo  eeientijico  o  logico,  ma  di  fame  jil  primo peiedogieo:  non  U  primo  pensabile,  ma  il  primo  eonoeeibUe,  »  (Le  prime categorie  della  Log,  di  Hegel,  p.  130,  negli  Aui  dtUa  B,  Accad,  di  Nap., voi.  I,  1864.) '  Il  Rosmini  stesso  prevede  questa  grave  difficoltà,  e  tenta  rispondere in  più  modi  riparando  al  solito  arsenale  delle  distinzioni  ;  ma  questa  volta con  assai  poca  fortuna.  {Peieologia,  voi.  I,  e.  XI,  ed.  cit)  In  altre  opere, e  anche  nel  Nuo,  Sag.,  avea  chiamato  infinito  il  pensiero,  non  però  eotto tuui  gli  aepeUi.  Ma  un  inAnito  di  cotesta  foggia  chi  vorrà  accettarlo? La  creduta  infinità  dell*  oggetto  primitivo  non  ò  infinità,  ma  indetermi- natezza, E  di  fatto  la  nota  epeeijicante  della  Ittee  metaJUiea^  secondo  la sentenza  del  Vico  altrove  riferita  (p.  851)  è  appunto  la  indeterminatezza, la  potenzialità,  ma  la  potenzialità  non  vuota  e  subbiettiva  de*  Tomisti  e de*  Peripatetici,  bensì  piena,  feconda,  oggettiva,  essendo  nella  sua  essenza un  eonato.  Or  se  questo  ò  il  carattere  dell*  oggetto,  e  se  la  natura  del soggetto  ha  da  rispondere  a  quella  della  sua  forma,  ne  seguita  che  al- reggette  indeterminato  dee  far  riscontro  una  facoltà  d*indol6  somigliante. Ma  che  cos*ò  un  pensiero  indeterminato  nel  suo  oggetto  salvo  che  un essere  potenzialmente  infinito,  un  subbietto  che  tendit  ad  infinitum,  come  lo deRnisce  lo  stesso  Vico?  Dunque  1* indeterminatezza  è  il  carattere  pre- cipuo della  luce  metafieiea,  tuttoché  in  so  stessa  ella  sia  determinata  In quanto  che  non  cessa,  ripetiamo,  d*  essere  un  oggetto;  mentre  che  la potenzialità  feconda  è  il  carattere  del  pensiero  inteso  come  soggetto. Siciliani.  2Ì ragione.  *  Or  bene,  la  ragione  non  vi  potrebb'  essere mossa  tranne  che  da    stessa,  ovvero  dal  senso.  Dal senso,  no  ;  che  saremmo  sempre  impigliati  in  una  forma più  0  meno  schietta  di  sensismo,  dal  quale  indirizzo  il filosofo  di  Rovereto  rifugge  ad  ogni  patto.  Dunque  da sé  stessa.  Ma,  si  può  chiedere:  muovesi  ella  da    in quant'  è  soggetto,  ovvero  in  quant'  é  oggetto?  In  quant'  è soggetto,  no.  Un  soggetto  spoglio  di  forma  è  una  pò* tenza  vuota;  è  la  pura  potentia,  la  purafaeultas  degli scolastici:  e  come  tale  riesce  incapace  d'esercitar  fun- zione di  Primo  psicologico.  Movesi  dunque  siccome  og- getto; movesi  in  quant' è  luce  fnetafisica.  Or  come  si  potrà movere  s' ella  é  immobile,  immutabile,  immescibUe,  iikiZ- terabile? —  Da  ultimo,  il  difetto  che  in  tale  indagine  egli ha  comune  con  parecchi  altri  aristotelici,  e  pel  quale  vuol esser  segnalato  come  neoplatonico,  risguarda  l' origine di  cotesta  forma  ideale.  Donde  mai  cotal  luce?  Piove dall'  alto,  0  piuttosto  rampolla  dal  basso?  Non  dall'alto, non  dall' assoluto  in  maniera  diretta,  egli  risponde;  net- tampoco  dal  basso,  cioè  dall'esperienza.  Il  Rosmini  qui ha  ragione:  nessuno,  crediamo,  vorrà  fargliene  carico. Donde  e  come,  dunque,  ella  viene?  ' •  Vedi  Antropologia,  cap.  VITI.    Sistema  FUotofieo,  p.  82. '  Bisogna  confessare  che  nel  punto  più  vitale  delle  sae  dottrine, eh* è  Torigine  dell*  obbietto  primitiro  della  monte,  questo  filosofo  fu  sempre titubante  anche  ne*  suoi  lavori  postumi.  In  alcune  opere  evidentemente 8*  accosta  a  san  Tommaso,  dove  dice,  per  esempio,  che  Tessere  ideale  è un  cotal  raggio  ddla  divinità,  il  quale  noi  tftdremmo  in  modo  ineffabile identijì earai  con  etaa  quando  ci  si  potesse  disvelare  la  divina  e$»enMa.  (Atto. Sagg.,  vol.  II.)  Altrove  ritiene  che  la  forma  intellettiva  non  ci  abbia  che vedere  con  Dio  ;  e    dove  pur  ci  fosse  un*  attinenza,  difficilmente  (egli sogin»?"®)  ci  salveremmo  dal  panteismo.  {FU.  dd  Diritto,  voi.  II,  p.  195.) E  con  tutfaO  questo  el  non  dubita  alTermare,  additando  la  nota  scap- patoia della  distinzione  tra  forma  reale  e  forma  idecUe,  che  Dio  si  co- munica al  pensiero  idealmeìUe,  non  già  realmente  !  Ma  che  cosa  ò  mai, e  come  avviene  cotesta  eomunieagione  ideale  f  Che  8*ella  è  possibile,  come, in  tal  caso,  potrete  salvarvi  dal  panteismo  ideale?  Il  Rosmini  parla chiaro  (Teoeojia,  voi.  Ili,  nel  cap.  su  la  Partecipazione  del  divino  nella inteUigmza)  ove  dice  che  1*  essere  iniziale  della  mente  e  1*  estere  divino sono  addirittura  identici.  Dunque  non  v*  è  scampo  :  o  egli  non  riesce  a salvarsi  dal  panteismo,  ovvero  deve  attribuire  all'  obbietto  della  mente  la 11  Rosmini  crede  potere  attinger  la  notizia  dell'  as- soluto ponendo  in  opera  alcuni  espedienti,  per  esempio il  processo  d' dimincunone,  d' intcgrcmone  e  slmili.  Ma sopra  qual  fondamento  si  basano  cotesti  processi?  Ap- punto sul  concetto  dell'Essere  ideale.  Da  cotesto  con- cetto egli  stima  possibile  trar  gli  elementi  a  comporre quello  dell'  obbietto  metafisico.  Perciò  dagli  attributi dell'  ente  ideale  vuol  concludere  a  quelli  dell'  essere  in sé:  perciò  dal  simile  vuol  procedere  al  simile.  Or  co- testo è  un  processo  senza  processo:  è  un  processo  ap- parente, illusorio,  perchè  dal  simile  non  si  procede  al simile,  ma  si  è  nel  simile.  D' altra  parte,  per  isquisiti che  si  voglian  supporre  i  metodi  eh'  egli  adopera  a  tal proposito,  mai  non  avverrà  che  gli  attributi  dell'  ente ideale  possano  porgere  quelli  del  reale.  In  che  ma- niera convertir  le  note  d'assolutezza,  d'universalità e  d'infinità,  che  son  proprie  dell'uno,  con  quelle  del- l'altro? E  dove  e  come  poi  andare  a  ripescar  l'attri- buto della  realtà?  Checché  se  ne  dica,  a  tale  domanda ei  non  risponde,  o  ricasca  nel  ginepraio  delle  viete  ar- gomentazioni scolastiche.  E  mentre  crede  compiere  o correggere  il  celebrato  argomento  di  sant'Anselmo,  non s' accorge  il  grand'  uomo  come  restino  tuttora  incrolla- bili le  gravi  difficoltà  affacciate  dal  Criticismo.  Pur  non ostante  egli  reputa  negativa  l' idea  di  Dio.  Or  come  ne- gativa se  ci  avete  saputo  disasconder  tante  peregrinità a  questo  riguardo?  E  s'ella  é  davvero  negativa,  non siamo  già  nel  Positivismo?  E  se  non  é  assolutamente negativa,  perchè  non  è  tale?  perché  non  può  esser  tale? nota  della  realtà  alla  maniera  del  Gioberti.  In  altra  opera  postuma {Ari9t,  Etp,  ed  etam,,  1.  II)  le  titubanze  non  iscemano;  perchò  quan- tunque modifichi  in  alcune  parti  la  sua  dottrina*  V  Kssere  nondimeno  ^W si  prosenta  sempre  come  ideale^  e  crede  confermar  la  propria  sentenza con  r autorità  d'Aristotele.  Dalla  prima  ali* ultima  opera  del  Rosmini, dunque,  il  problema  su  la  conoscenza  s*  aggira  sempre  nelP  equivoco  tra il  Primo  pticologieo  6  il  Primo  logico  ;  ne  qnindi  crediamo  che  T  Ideali- smo Rosminiano  siasi  di  mano  in  mano  accostato  air  Ontologismo  del Gioberti,  come  pensa  il  eh.  prof.  Ferri  {Est.  tur  VHist.  de  la  Phil.  en  Italie, t.  I,  e.  IV,  p.  489.) La  guisa  ond^  il  Boveretano  crede  poter  penetrare nel  mondo  metafisico  non  sarebbe,  a  parlar  proprio,  un processo,  una  mediazione.  Nessuna  conversione  sarà  mai possibile  fra  due  termini  simili  appunto  perchè  fra  questi, ripetiamo,  non  è  possibile  un  intervallo.  £  dato  ci  sia cotesto  intervallo,  è  poi  necessaria  una  continuità  ideale; la  quale,  unzichè  per  comunicazione  dell'  oggetto,  co- m' egli  pensa,  avviene  per  eduzione  per  parte  del  sog- getto. Né  è  maraviglia  eh'  ei  non  abbia  visto  tali  ne- cessità, chiunque  pensi  come  la  filosofia  del  Rosmini partecipa  a  quel  difetto  che,  come  altrove  notammo,  è  il verme  pia  micidiale  che  roda  il  Kantismo.  Tutto  in  lui sembra  immobile,  freddo,  sterile  come  il  suo  ente  ideale. Psicologia,  ideologia,  cosmologia,  storia,  diritto,  politica e  religione,  nel  loro  insieme,  paion  quasi  altrettanti organi,  anziché  un  organismo,  perocché  uiun  soffio vitale  imprima  forza  e  movimento  a  tutte  queste  membra. A  lui,  in  somma,  fa  difetto  V  esigenza  del  processo.*  — Eppure  air  A.  del  Nuovo  Saggio  non  sarebbe  mancato il  fondamento  positivo  sopra  cui  avrebbe  potuto  in- nalzar r  edifizio  della  psicologia,  e  apparecchiare  cori la  soluzione  d'alcuni  problemi  cosmologici.  Avrebbe avuto  una  gran  chiave  nella  sua  teorica  sai  Sentimento fondametìicde,  intomo  a  cui  nessuno,  dopo  Aristotele,  ha saputo  discorrere  con  eguale  acume  e  accuratezza,  come saggiamente  osserva  il  Ferri.^  Ma  neanche  in  questo  ei potè  pervenire  a  disascondere  quel  secreto  vincolo  che in  seno  all'unità  primigenia  del  Noù;  potenziale  annoda *  Però  il  Oioberti  non  a  torto  rassomigliò  ad  uno  ttaUauUe  il  si- stema Rosminiano.  La  forma  stessa  del  suo  iugesrno  mostra  cotal  difetto. Kcco  perchè  non  gli  fa  dato  cogliere,  come  accennammo  (p.  99, 841,  248) il  valore  del  metodo  Tichiano.  Ecco  perchè  altra  lllosoila  della  storia agli  occhi  suoi  non  dovrebb*  esser  possìbile,  fuorché  quella  d*  Agostino, del  Bossuet,  dello  Schlegel,  del  De  Maistre.  Non  altro  concetto  sociolo- gico, salro  che  quello  della  società  divina  naitirale.  Non  altra  cosmolo- gia che  quella  del  Tomismo.  Non  altra  fisiologia  e  patologia,  tranne  che quella  de*  Tocchi  vitalisti. «  Op.  cit.,  t,  I,  p.  190. la  visione  ideale,  la  percezione  empirica,  nonché  il  sen- timento fondamentale.' I  difetti  del  Rosmini  prese  a  correggere  il  Gioberti; ma  die  neir  esagerazione.  In  maniera  invitta  egli  mostrò la  fallacia  della  posizione  dell'  ente  ideale,  ma  cadde  nel- rarbitrario  anche  lui  quando  ingolfossi  nel  mare  magno del  suo  intùito.  Se  infatti  havvi  dottrina  psicologica  la quale  più  spiccatamente  contraddica  al  criterio  della conversione,  e  quindi  all'  esigenza  metodica  aristotelica della  Sdema  Nuova,  è  appunto  quella  del  Neoplatonismo che  con  entusiasmo  senza  pari,  con  ingegno  mirabile  e con  vena  fecondissma  di  speculazione  egli  prese  ad  inno- vare fra  noi  con  anima  italianamente  generosa.  A  nes- sunitaliano  oggi  potrebb'  esser  lecito  disconoscere  i grandi  meriti  del  filosofo  subalpino  :  a  nessuno  i  bene- fizi grandissimi  che  in  età  assai  triste  sepp'  egli  operar nella  mente  e  nell'animo  di  tutti  con  le  sue  scritture. '  fi  noto  come  pel  Rosmini  sia  U  tentimeruo  intimo  e  perfettamente uno  che  uniece  la  eeneitività  e  V  intelletto.  {Nuov.  Sagg.,  Bez.  V,  e.  I  ; Ariet.  eep.  ed  eaam.^  L.  I,  e  XXXTl).  Ma  in  che  maniera  poi  accordare questa  sentenza  con  quel! *  altra  ove  dice,  la  ragione  eeeer  quella  che unieee  il  eentibile  e  V  intelligibile  f  {Pncologia,  Tol.  I,  p.  124,  ed.  cit.). L*  anità  de*  due  elementi  qui  sarebbe  posteriore,  mentre  sarebbe  ante^ riore  la  dualità,  e  quindi,  come  dualità  primitiva,  inconcepibile.  Il  che ci  è  confermato  da  lui  stesso  dove  afferma,  la  vitione  ideale  non  aver relazione  di  torta  con  la  percezione  empirica,  {Antropologiaf  C.  VILI).  Ora a  me  pare  che  il  Sentimento  fondamentale  avrebbe  potuto  porgrersi  a  lui come  base  d*  una  dottrina  psicologica  razionalmente  positiva,  quando avesse  pigliato  a  considerarla  come  unità  Iniziale,  come  sintesi  origina- ria del  doppio  elemento  della  conoscenza  :  il  che  non  apparisce  in  alcun luogo  delle  sue  scritture.  Che  cos*è,  infatti,  il  Sentimento  fondamentale  f te  V  atto  onde  V  anima  vivifica  il  corpo,  {Antropohf  L.  2,  Sez.  2,  C  VII), Or  bene,  checché  se  ne  possa  dire,  cotesta  evidentemente  è  psicologia neoplatonica,  e  però  tutt' altro  che  positiva.  Invece  per  noi  il  Seneo fondamentale  ha  natura  di  conato,  e  quindi  rappresenta,  anzi  incarna  il momento  in  che  la  vita,  la  ^uvauc;  biologica,  superando  so  medesima, passa  ad  assumere  anche  valore  di  pensiero.  In  altre  parole:  l'anima pel  Rosmini  è  energia  primordiale,  ò  una  originariamente  (Ibi,  e.  IX)  ; ma  è  una  come*  anima,  non  già  come  anima  e  corpo,  come  vita  e  pen- siero. E  con  questo  difetto,  eh*  egli  ha  comune  co'  platonici  e  con  san- t'Agostino come  v^emmo  (pag.  800  e  segg.),  contraddice  evidentemente all'indirizzo  medio  arittoulico  secondochè  noi  lo  intendiamo. Ma  chi  è  oggimai  che  vorrà  propugnare  sul  serio  la sua  teorica  psicologica  tuttoché  sia  da  accogliere  e  svol- gere non  pochi  principii  della  sua  Protologia?  ^ Fra  le  molte  e  gravi  obbiezioni  mosse  contro  V  on- tologismo giobertiano,  noi  ci  restringeremo  a  ripetere quella  semplicissima  affacciata  poco  fa  contro  il  Ro- smini, e  che  con  assai  più  ragione  s' attaglia  al  Gioberti. Come  oggetto  primitivo  del  pensiero,  la  formula  del- l' Etite  creante  è  un  oggetto  determinato,  sia  che  si  tolga a  considerar  la  natura  de'  suoi  membri,  sia  che  la  spe- cie di  relazione  che  li  rannoda  in  organismo.  In  che maniera  dunque  può  essere  inizio,  principio  della  genesi psicologica?  Anziché  il  minimum  del  pensabile,  qui s' avrebbe  il  maximum  del  conoscibile.  Or  s' egli  é  così, la  scienza,  io  chiedo,  sarà  ella  generazione,  conversione, eduzione,  o  non  più  veramente  copia,  imitazione,  ri- tratto d' un  vero  che  non  ci  appartiene?  La  posizione dell'Intuito  giobertiano  è  dunque  arbitraria,  ipotetica, oscurissima,  come  primo  d'  ogn'  altri  ebbe  a  mostrare lo  stesso  Rosmini.*  Perciò  la  Formula  non  può  essere riguardata,  secondochè  pretendon  gli  ontologisti,  come sorgente  d'  ogni  scienza,  criterio  d'  ogni  scibile,  fonda- mento d'  ogni  dimostrazione,  come  Primo  ed  Ultimo  del pensiero.'  Il  Nov;  degli  ontologisti  italiani  è  la  vecchia dottrina  dell'  Intelleito  agente^  ma  passata  attraversò  la scolastica,  e  ricorretta  dal  pensiero  filosofico  cristiano. È  r  IntelligibiHtà,  la  VerUà  di  sant'Agostino,  ma  deter- minata, concreta,  reale.  È  la  Reminiscenza  platonica, ma  fatta  viva,  presente,  parlante  al  pensiero.  Egli  dun- *  Ved.  il  nostro  opusc.  Introduzione  allo  ttttdio  delle  acìenxe  naturali e  ttoriche,  Firenze,  Celi  ini,  1861,  e  IV. ■  Ved.  Vincenzo  Gioberti  e  il  Panteismo,  Lucca,  1858,  3"  ed.,  p.  42. '  Dopo  il  Gioberti  del  prof.  Spaventa  è  impossibile  difendere  V  intuito del  filosofo  di  Torino:  se  ne  persuadano  gli  ontologisti.  Noi  accettiamo  la sua  critica:  ma  chi  ?orrà  accettar  le  conseguenze  eh*  «i  ne  trae,  o  la relazioni  eh'  egli  pone  fra  Io  Ctisiologismo,  in  generale,  o  V  Idealismo assoluto?  Anche  qnant*al  concetto  creativo  della /Vo(o/o^  fra  Tuno  e r  altro  sbtema,  come  avvertimmo,  corre  un  abisso.    '    « que  è  r  esagerazione  del  Platonismo.  È  un  iperpsicologi- smo  avente  il  suo  primo  puntello  nel  catechismo,    può quindi  essere  accettata  dalla  ragion  filosofica  positiva.* Sennonché  gli  ontologisti  si  fan  forti,  come  accen- nammo, della  celebre  sentenza  vichiana  su  la  rispon- denza fra  r  ordine  logico  e  Y  ordine  ontologico." Il  nostro  filosofo  non  parla  d' ordine  logico  e  ontolo- gico, ma    d' un  Primo  logico,  e  d' un  Primo  Vero  Me- *  Qui  abbiamo  inteso  accenDare  alla  dottrina  deir  Intuito  come  ci è  data  nelle  prime  opere  del  Gioberti.  Ognuno  sa  che  nelle  scritture  pò- stnme  egli  Tiene  talora  a  modificarla    che  s*  accosta  al  Rosmini,  o  me- glio, a  san  Tommaso.  Per  esempio,  dice:    {De  Univ,  Jur.,  I,  (a)  ).  Da  questo  lemma  è  agevole  argomen- tare che  Dio  è  Primo,  sia  che  tu  lo  consideri  come  essente,  sia  che  come conoscente.  Qui  non  v*  ha  luogo  ad  interpretazioni.  Ma  vi  è  il  lemma  VII che  dice:  «  Itaque  Primum  Verum  Methaphysieum  et  Primum  Verum  Lo ' gicum,  unum  idemque  esse.  Qui  la  critica  interpretativa  è  necessaria, perchè  qui  la  contraddizione  con  l' insieme  delle  altre  sue  dottrine  è pur  troppo  evidente.  Se  la  rispondenza  cai  allude  il  Nostro  fosse  da interpretarsi  come  pretendono  ontologisti  e  nooplatonici,  olla  contrad- direbbe alla  dottrina  del  conoscere  e  del  metodo  ;  la  quale  in  siffatte ambiguità  dee  prevalere  nel  pensiero  del  critico,  come  quella  che  costi- tuisce propriamente  T  originalità  del  Vico.  Se  dunque  in  forza  del  suo criterio  la  scienza  debb*  esser  frutto  d*  uno  s?olgimonto  riflesso  e  di  ri- cerca e  di  critica  essenzialmente  eduttiva,  parmi  evidente  come  il  rap- porto fra  r  ordine  delle  cose  e  quello  delle  idee,  anziché  di  corrispondenza originaria  e  di  parallelismo  primitivo,  abbia  da  essere  invece  di  rispon- denza derivata,  e  di  parallelismo  riflesso.  In  una  parola:  cotesto  paral- lelismo,cotesta  equazione,  non  è  un  principio,  è  un  risultato.  Nel  che 11  fliosofo  di  Napoli,  com*  era  da  sospettare,  interpreta  ed  invera  il  benin- teso Aristotelismo,  perchè  è  lo  stesso  Aristotele  quegli  che  osserva  come la  radice  di  tutti  gli  errori  de' Platonici  sia  per  l'appunto  la  confusione dell'ordine  logico  con  l'ordine  dell'essere,  e  però  delle  causo  reali  del- l'essere,  con  lo  cause  formali  della  scienza:  KW  ou  TtdvroL  o€a  tu \6yù»  zjporepoiy  xaì  tVì  oÙTc'a  vipÓTspx^  {Metaph,,  XIII). tafisico,  considerandoli  entrambi  come  unum  idemque. Siamo  dunque  nel  panteismo?  ovvero  in  una  dottrina neoplatonica?  Intendiamoci.  Qual  debba  essere  per  lui il  Primo  psicologico,  s' è  visto  neir  antecedente  capi- tolo. Or  quali  han  da  essere,  in  armonia  con  le  sue dottrine  psicologiche,  il  Primo  logico  e  '1  Primo  ontolo- gico? Il  Primo  logico  sarà,    vi  cape  dubbio,  un  princi- pio mediato,  risultante,  secondario,  cioè  posteriore  al Primo  psicologico.  Se  infatti  il  processo  della  psiche s'  attua  ingradandosi  in  pili  gruppi  di  facoltà  compo- nenti fra  loro  un  organismo  (p.  321);  e  se  il  processo conoscitivo  importa  una  serio  di  leggi  atte  a  governare le  diveree  funzioni,  che  vuol  dire  le  facoltà  stesse  avvi- sate in  relazione  co'  loro  prodotti  (rappresentazioni,  fan- tasmi, concetti,  nozioni,  idee,  giudizi  ec.)  ;  avviene  che come,  data  una  funzione,  è  già  beli'  e  dato  logicamente il  suo  prodotto  e  quinci  una  serie  di  leggi  che  ne  regga lo^'svolgimento;  così,  posto  il  Primo  psicologico,  non  po- trebbe a  verun  patto  mancare  il  Primo  logico.  Ora  se il  Primo  psicologico  è  V  essere  indeterminato,  eh'  è  dire il  Nov;  potenziale, in  quant'  è  luce  metafisica;  quale  sarà il  Primo  logico?  Non  altro  che  V  essere  nella  sua  prima determinazione  riflessa:  l'essere  in  quanto  ideale;  il quale  perciò  suppone,  sotto  il  riguardo  cronologico,  il sensato  reale,  il  fatto  ;  stantechè  il  senso,  come  toccam- mo, resti  incluso  nel  circolo  psicologico.  L'ente  ideale adunque  è  un  primo:  qui  ha  ragione  il  Rosmini.  Ma  è anche  un  ultimo;  uUimo  psicologico,  e  primo  logico. Al  qual  proposito  giova  notare  che  ove  il  Roveretano avesse  riguardato  a  questa  maniera  1'  Ente  possibile, non  sarebbe  caduto  nell'aperta  contraddizione  di  con- siderar l'essere  come  ideale^  e  come  immobile  ad  un tempo  ;  stantechè  se  in  quanto  è  luce  metafisica,  cioè  in quanto  originario  ei  non  può  non  essere  indeterminato, come  ideale  invece  è  mobilissimo,  essendo  già  beli'  e  de- terminato, e  come  tale  ci  esprime  lo  stesso  moto  della facoltà,  la  facoltà  in  quanto  è  funzione. Quale  sarà  intanto  il  Primum  Verum  Metaphysicum? Posto  il  Primo  logico  e  quindi  '1  processo  della  logica e  r  orditura  de'  concetti,  il  lavoro  speculativo  della mente  non  può  ad  altro  pervenire  fuorché  ad  uno  di questi  due  risultati:  o  air  essere  indeterminato  riflesso qual  è,  per  esempio,  V  Indeterminato  secondo  eh'  è  po- sto dair  Hegelianismo  quasi  chiave  di  volta  dell'  edifì- rio  dialettico  ;  *  ovvero  all'  essere  determinato  mercè  Tar- tifizio  del  metodo  compositivo  sintetico,  d' integrcurìone; voglio  dire,  all'essere  pieno,  all'essere  fornito  delle  note più  eminenti  o  delle  primalità  cui  sappia  poggiare  il pensiero  speculativo  soccorso  dall'esperienza.  Ora  il Primo  vero  metafisico  al  quale  accenna  il  Vico  non  può esser  l' ente  indeterminato  inteso  come  luce  metafisica, perchè  questa,  essendo  essenzialmente  indeterminata,  cioè indeterminata  per  necessità  di  natura  in  quant'è  oggetto primitivo  della  mente,  è  quindi  un  Primo  psicologico  an- richè  metafisico.  Non  può  esser  neanco  l' Indeterminato così  detto  dialettico  al  quale,  come  voglion  gli  Hegeliani, per  un'  assclida  e  subitaifiea  astrandone  si  levi  la  mente e  vi  si  estingua,  e  in  grazia  di  siffatta  estinzione scoppi  la  prima  scintilla  dialettica.  E  non  può  essere, sia  perchè  cotesto  Indeterminato  contraddirebbe  al  con* cetto  che  il  Vico  ci  porge  dell'  Assoluto,  sia  perchè, frutto  d'un  lavoro  onninamente  astrattivo,  manca  ne- cessariamente d'ogni  condizione  d'obbiettiva  e  metafi- sica sussistenza.  Se  dunque  non  è  l' indeterminato  né come  luce  metafisica    come  posto  dall'  astrazione, che  eoe'  altro  sarà  fuorché  l' ente  concepito  come  de- terminato nelle  sue  primalità  essenziali,  1'  ente  trascen- dente, il  Nosse-Velle-Posse  infinUum?    Sennonché,  per metafisico  che  sia  cotesto  essere,  ninno  vorrà  dirlo  reale. Donde  trarre  siffatta  determinazione?  Forse  da  un  in- tuito primigenio?  Ipotesi!   Dal  regno  de' fatti  e  della '  Il  Primo  Hegeliano,  dice  Spaventa,  ò  queUo  che  non  ha  altra  deno^ minanione  che  di  non  averne  alcuna,  {Ddle  prime  Categ.  della  Log.  di  Hegti, •d.  cit,  p.  141.  ^  Hbqil,  Log.y  toI.  II,  lxxxtii,  trad.  del  Vera.) esperienza?  Impresa  vana!  Dalle  viscere  dello  stesso pensiero  per  astrazione  assolila  e  subitanea?  Illusione! D' altra  parte,  tuttoché  entità  ideale,  non  per  questo sarà  lecito  credere  che  il  Primo  metatìsico  abbia  da essere  assolutamente  astratto,  poiché  come  determinato, cioè  come  concepito  e  costruito  dalla  mente,  è  pur mestieri  eh'  e'  risponda  ad  una  realtà.  Egli  dunque  è metafisico^  ma  non  per  questo  può  cessare  d'essere identico  al  Primo  logico.  Perchè?  Perchè  da  questo appunto  lo  trae  la  virtù  speculativa.  Il  Vico  dunque ha  ragione  :  il  Primum  Veruni  Metaphysicum  è  unum idemque  col  Primum  Logicum,  giusto  perchè  il  pen- siero vien  costruendo  l'uno  mediante  l'altro.  Breve- mente: egli  è  metafisico,  perchè  ha  valore  obbiettivo; ed  è  poi  unum  idemque  con  l' essere  logico  e  però  col Primo  psicologico,  perchè  non  è,  a  dir  proprio,  una realtà,  quantunque  per  necessità  metafisica  abbia  un riferimento  alla  realtà.  Ma  qui  si  può  chiedere  :  dunque il  Primo  metafisico  non  sarà  egli    assolutamente reale,    assolutamente  ideale,    obbiettivo,    sub- biettivo?  Precisamente  così.  Non  è  l'una  cosa    l'altra, ma  è  r  una  e  l' altra  insieme,  stantechè  sia  potenzial- mente infinito.  E  poiché  come  infinito  potenziale  non è  perfetta  conversione  di    con    medesimo,  però  fugge, quasi  diremmo,    stesso.  EgU  è,  in  somma,  un  essen- zial  conato  ;  e  come  tale  non  può  non  riferirsi  necessa- riamente ad  una  realtà,  e  in  questo  senso  possiede  na- tura metafisica.  Dico  necessaria  tale  oggettività,  perchè il  Primo  metafisico,  quando  sia  determinato  dal  pen- siero speculativo,  non  è  altro  che  la  stessa  triplicità psicologica,  ma  riguardata  nella  sua  universalità.  Che cos'è  mai  cotesta  triplicità  universale?  È  mentalità  in sé,  è  dialettica  in  sé,  è  oggettività  in  sé.  Ella  dunque non  può  esser  considerata  nell'  individuo,  ma  fuori  del- l' individuo,  in  un  soggetto  appo  cui  le  primalità  del- l' essere  si  convertano  e  compenetrino:  il  che  è  davvero impossibile  nell'  individuo,  come  quello  che  non  è  il pensiero  (voùc)  ma  la  facoltà  del  pensiero  (vouc  ^wa^ust) secondo  la  sentenza  aristotelica.*  Se  il  P^imo  metafi- sico, inoltre,  fosse  indeterminato,  non  avrebbe  alcun opposto,  quantunque  serbasse  distinzione  come  oggetto di  pensiero.  Al  contrario  éoncepito  come  determinato, e'  tosto  diventa  obbiettivo  ;  e  così  da  Primo  vero  metafi- sico assume  virtù  di  Principio  metafisico.  Or  che  cos'  è questo  principio  metafisico?  Che  cos'è  la  realtà  alla quale  ei  si  riferisce?  È  l'Assoluto:  ma  l'Assoluto  che  è davvero  assoluto,  come  appresso  mostreremo.* '  ÀR1ST.,  De  An.t  li,  iv.  Cfr.  anche  la  Metaph.,  Vili. '  Secondo  l'interpretazione  che  noi  qui  abbiam  dato  alla  sentenza del  Vico  8i  può  dire  che  il  Primo  Meta/uico,  essendo  il  vero  in  attinenza col  realtf  sia  il  Fatto,  cioè  il  fatto  del  pensiero  speculativo,  il  fatto  della scienza  che  convertesi  col  Vero  assoluto,  il  quale,  come  vedremo,  è  il  Primo fatto  per  eccellenza.  Accade  perciò  che  il  Primum  Verum  Metaphysicum debba  riguardarsi  come  anello  di  congiunzione  fra  la  Logica  e  la  Me- tafisica; ond'ò  che  fra  queste  due  scienze,  anziché  esserci  quella  me- diazione Hegeliana  la  quale  in  sostanza  ò  una  compenetrazione  asso- luta, ci  è  invece  conversione;  e  la  conversione  esprime  non  già  identità nella  difTerenza,  ma  identità  e  insieme  differenza.  Vi  è,  in  altro  parole, medesimezza  di  legge,  di  forma,  e  qnìndi  continuità  ideale;  ma  ci  è  pure differenza,  differenza  essenziale,  differenza  di  contenuto,  e  però  intervallo retde.  Ecco  perchè  il  Vico,  svecchiando  un  principio  aristotelico,  afferma: «  Qìullo  eh*  è  metafisico  in  quanto  contempla  le  co»e  per  tutti  i  generi  del- V  eteere,  la  steesa  è  la  logica  in  qwanto  considera  le  cose  jìer  tutti  i  generi di  eignificarle.  »  Questa  relazione  fra  la  Logica  e  la  Metafisica  fu  dal  no- stro filosofo  incarnata  sotto  forma  simbolica  nella  IHpiniura  ;  e  nell'  Iv^ro- duzione  alla  Scienza  Nuova  la  venne  determinando  nel  concetto  del  M(»ndo DILLE  Menti  r  di  Dio.  Menti  pensiero  spirito,  e  perciò  Psicologìa  Lo- gica e  Ideologia,  come  vedemmo,  formano  tutt*un  processo.  Un  processo ha  da  essere  anche  V  Assoluto.  Ma  le  Menti  e  Dio  formano  anch'  essi un  processo,  un  organismo,  un  Mondo:  in  quanto  che  fra  que'duo termini  ci  ha  da  essere  conversione.  Questo  tutto  organico  lo  dicemmo proceeto  ideale  per  parte  del  primo  termine,  cioè  delle  Menti,  nel  senso che  ha  da  essere  mediazione  razionale,  conoscitiva.  Perciò  Primo  vero metafineo  e  Principio  metafinco.  Logica  e  Metafisica,  Menti  e  Dio,  com- pongono un  Mondo;  un  Mondo  superiore  a  quello  della  Natura  nonché  a quello  dello  Spirito,  inteso  questo  come  sviluppo  isterico,  come  storia che  è  Vita  Humani  Qeneri»,  Dal  tutt' insieme  quindi  si  vede  come  il suo  Primo  Vero  metafineo  non  sia  nient'  affatto  una  vuotaggine,  un*  en- tità formale  e  puramente  astratta.  È  la  sua  luce  metafieica^  non  già indeterminata,  anzi  determinata  mediante    stessa;  determinata  me- diante il  processo  eduttlTO.   È  il  risultato  estremo  del  Noùc  attuale  e Veniamo  al  vivente  rappresentante  del  Neoplatoni- smo in  Italia.  L' illustre  Mamiani  ha  visto  la  necessità d'imprimere  novella  forma  e  rigor  logico  alla  dot- trina platonica  della  conoscenza,  modificando  la  teorica del  Gioberti,  e  correggendo  quella  del  Rosmim'.  A  spie- gare perciò  l'elemento  universale  del  pensiero  ei  si raccomanda  alla  solita  àncora  di  salvezza,  l'Intuito  del l'Assoluto,  ma  con  V  interposmone  delle  idee;  le  quali  per lui  somiglierebbero  quasi  ad  altrettanti  spiragli  ond'alla mente  lampeggia  la  Divinità.  Tutto  ciò,  del  resto,  non toglie  eh'  egli  abbia  da  ammettere  doppio  ordin  di  co-  ' noscenze,  percezioni  e  intellezioni,  assai  diverse  fra  loro e  pur  fra  loro  collegate  per  via  di  rappresentansia.  Ma non  potendo  intrattenerci  a  riassumer  le  ragioni  sopra cui  si  regge  cotal  dottrina,  ci  ristringiamo  a  far  poche osservazioni  guardandola  segnatamente  sotto  l'aspetto psicologico.  Due  ne  sembrano  i  difetti  principali:  T in- vocare l'intuito  dell'Assoluto  nello  spiegar  l'elemento universale  della  conoscenza;  2**  non  dimostrare  per  che mai  ragioni  l' ordine  delle  percezioni  abbia  a  rispondere a  quello  delle  intellezioni. Se  ne  l'intellezione,  come  vuole  il  Mamiani,  può rampollare  in  modo  alcuno  dalla  percezione,    questa ci  ha  che  vedere  con  quella  tuttoché  entrambe  devano esser  congiunte  in  armonia;  la  dottrina  psicologica  del rifleASo;  epilogo  della  scienza  psicolo^^ica,  e  però  Defìnwione  e  Principio della  Metafisica.  Or  la  luce  in  quant*  è  oggetto  del  Noù;  potenziale  no! la  dicemmo  metafitioa  perchè,  quantunque  superiore  al  sensOf  è  nondi- meno po9ta  da  natura,  ò  originaria,  e  quindi  essenzialmente  obbiettiva. La  conclusione  dunque  parmi  chiara  :  Primo  pticologico,  Primo  logico'  e Primo  vero  metaJUioo  non  sono  tre  entità  ruote  e  formali,  giuochetti d'astrazione,  indovinelli  da  algthritiij  come  direbbe  lo  stesso  Vico,  ma sono  tre  anelli  d*  una  medesima  catena,  tre  momenti  dinamici  d*  una medesima  energia  essenzialmente  obbiettiva.  Questa  (per  concludere  contro i  Neoplatonici  ontologisti)  parmi  V  interpretazione  più  acconcia  del  rap- portoche  il  filosofo  di  Napoli  pone  fra  il  /Vìnto  logico  e  *1  Primo  vero meta/uieo,  e  quindi  fra  T  ordine  logico  e  T  ordine  ontologico.  Ogn' altra non  riescirebbe  a  salvarlo  dalle  contraddizioni  col  proprio  metodo,  e  tanto meno  poi  dalle  incongruenze  con  la  ragion  filosofica  positiva. Pesarese  parrebbe,  come  ad  altri  è  parsa,  una  specie d'alcliimia.  Per  quanto  diverse,  le  percezioni  e  le  intelle- zioni hann'a  convergere  si  da  appuntarsi  quasi  due  raggi in  un  centro  comune,  cKè  V unità  sostaiìzUàe  dello  spirito.^ Or  non  è  questo  precisamente  ciò  che  da  ventidue  se- coli va  chiedendo  il  pensiero  filosofico:  come  mai,  cioè, se  diverse,  elle  compongono  fra  loro  unità?  Abbiamo un  intùito  di  qua,  e  un  intùito  di  là:  la  percezione  che  av- vertendo un  termine  estriìiseco  lo  apprende  siccome  forza, e  la  visione,  l'intùito  ideale^  che  con  T interposizione delle  idee  coglie  l' Assoluto.  Non  siamo  già  in  una  for- ma di  dualismo  psicologico  che  fu  ed  è  sempre  la  pie- tra d^nciampo  d'ogni  fatta  platonici?  Non  abbiamo qui  sott'  occhio  Y  etemo  e  gravissimo  difetto  del  Neo- platonismo, la  mancanza  di  processo?  Oltre  Talchi- mia  (col  dovuto  rispetto  al  grand'  uomo)  qui  veggiamo una  macchina  a  doppio  retaggio:  senso  e  concetti, esperienza  e  luce  divina,  fatti  e  Assoluto  splendente cui  lo  spirito  inerisce  con  marginale  adesione,  e  per  via di  contatto  spiìituale.  Chi  fa  tutto  ciò?  Come  avviene tutto  ciò?  L'illustre  di  Pesaro  ci  dice  e  ripete  a  sa- zietà,che  fra  l'ordine  delle  intellezioni  e  quello  delle percezioni  ci  ha  corrdaeione  ordinata  e  continua,  ri- spondenza puntualissima^  squisitissima  armonia.*  E  sta bene  :  chi  non  è  scettico  sistematico  non  penerà  gran fatto  a  riconoscere  e  sentire  cotesta  e  ben  altre  armo- nie.Ma  quel  che  ignoriamo,  e  pur  vorremmo  sapere, è  appunto  il  motivo  di  cotesta  squisita  rispondenza.  Or questo  motivo,  non  ci  è,  o  almeno  è  impresa  non  molto agevole  rinvenirla  nelle  Confessioni  d*un  metafisico^  Pe- rocché s'io  ho  da  coglier  l'Assoluto  mercè  l'idee,  o, meglio,  se  è  r  Assoluto  quegli  che  ha  da  comunicarmele *  Mamiaki,  Con/ftioni  d'un  mttaJUieOf  voi.  I,  p.  158,  §  IT. *  Idem,  eo: €  come  avvenga  che  ad  una  data  pereenone  rieponda  una  daUx  idea?  » Voi.  cit.,  pag.  163,  §  2^. non  già  graziosamente,  anzi  inevitabilmente,  quale  ne sarà  la  conseguenza?  Sarà  che  la  ragione  onde  questa 0  cotesta  percezione  ha  da  rispondere  a  quella  o  quel- l'altra  intellezione,  in  altro  non  si  potrà  occultare fuorché  in  un  vieto  occasionalismo,  od  in  una  vieta  e grossolana  armonia  prestabilita.  Non  v'è  scampo.* '  No'  parecchi  cangiamenti  cai  è  andata  sogrgetta  la  mente  del  Ma- miani,  sol  una  dottrina  è  rimasta  immutata  nelle  sue  scrìttnre,  e  della quale  ei  si  loda  più  d*  una  volta.  È  la  dottrina  su  la  percezione,  che  il nostro  egregio  amico  prof.  Ferri  dichiara  bellissima.  Bellissima  sarà: ma  è  altrettanto  salda?  Forse  che  Ano  dal  1837  il  Rosmini  con r  acuta  lama  della  sua  crìtica  non  la  ridusse  a  polvere  nel  suo  Rinnova- mento f  Intendiamoci  bene.  La  percezione  del  Mamiani  non  è  senso,  e nemmanco,  a  dir  proprio,  giudizio.  Che  cos*ò  dunque?  È  e  im  intuire V  atto  involto  nella  8en9axione  die  congiugne  in  uno  due  termini^  oggetto eentiio  e  avvertito  come  fortOy  e  soggetto  tentenìe.  »  {Oonfeasionif  voi.  cìt, pag.  68-64;  Meditazioni  Carte».,  e.  VII).  Or  bene,  che  è  egli  mai  co- testo intuire?  Quar  è  la  natura  intima  di  quest'atto?  È  difficile averne  risposta  ben  determinata.  L'animn,  dice  il  Mamiani  più  d*una volta,  è  dotata  d^una  veduta  it^eriore  di  ti  medeaimaj  e  questa  interior veduta  è  quasi  occhio  mentalcf  pupilla  spirituale,  anteriore  al  fatto della  percezione.  Che  cos*  è,  di  grazia,  cotest*  oeeAio,  cotesta  pupilla, cotesta  veduta  interiore  f  È  forse  un  giudizio?  No,  risponde:  che  alla funziono  giudicativa  devq  andare  innanzi  la  percezione.  {Confeenoni, voi.  cit,  p.  150).  Che  cos*ò  dunque?  Per  quanto  altri  voglia  andar  ri- cercando no'  copiosi  volumi  di  questo  Neoplatonico,  mai  non  gli  verrà fatto  ripescarne  risposta.  Ora  a  noi  pare  che  tal  veduta  interiore  di  si altro  non  possa  essere  tranne  che  un  ritorcersi,  un  geminarsi  primitivo, e  perciò  un  insieme  d'oggetto  e  di  soggetto,  una  triplicità  iniziale,  uu giudizio.  Sarà  giudizio  sui  generis;  sarà  giudino  fcUto  stnxa  riflessione come  direbbe  il  Vico;  ma,  in  sostanza,  ò  giudizio.  Se  dunque  è  tale,  non importa  un  oggetto?  Or  quale  sarà  l'oggetto  dell' infmor  veduta,  cioò  la luce  di  queir  occhio,    quella  pupilla  t  V  Ente  possibile  no,  certo  :  e  il Mamiani  con  dialettica  stringente  e  per  quattro  differenti  capi  s' accinge a  far  minare  dalle  fondamenta  la  teorica  rosminiana,  e  in  parte  vi riesce.  (Ibi,  L.  II,  e.  V).  Che  cosa  dunque  sarà?  A  quel  che  ne  pare, neanche  qui  egli  risponde.  E,  checché  possa  dirne,  certa  cosa  è  che  so l'anima  è  davvero  dotata  d'una  interna  veduta  (la  quale  perciò  è  logi- camente anteriore  alla  percezione),  a  spiegar  questa  non  si  può  prescin- dere da  quella.  Se  la  cosa  infatti  non  procedesse  così,  in  che  maniera la  percezione  verrebbe  capace  di  trascendere  i  limiti  del  puro  sensato  ? Brevemente  :  l' Io  non  percepisce,  V  Io  non  avverte  un  termine  esteriore siccome /orsa,  senza  eh' e' /)ereept«ca  e  avverta  so  medesimo.  Or  che cos'  ò  il  percepire    stesso,  tranne  che  un  atto  giudicativo  ?  Dunque anteriormente  al    fatto   della  percezione   (com'  ei  la  intende),  ci  ha  da Se  non  che,  la  più  fresca  novità  delle  Confessioni è  r  intuizione  dell'  Assoluto  ;  quindi  la  invitta  prova che  ne  scende,  secondo  il  Mamiani,  su  l'esistenza  di Dio  ;  quindi  la  salda  costituzione  a  priori  della  Meta- fisica. Innanzi  tutto:  se  cotesta  intuizione  non  è  altro fuorché  una  semplice  contiguità,  un'  adesion  marginale del  pensiero  con  l'Assoluto,  non  è  chi  in  essa  non  sap- pia ravvisare  quel  toccamento  spirituale  de*  Yecchi  Neo- platonici, dottrina  rinverdita,  quindici  anni  avanti  '1  Pe- sarese, dall'illustre  neoplatonico  Pomari.*  Vero  è  che la  sentenza  la  quale  a  tal  proposito  risulterebbe  dal- l'insieme  delle  sue  dottrine  potrebb' esser  questa:  che il  suo  intùito  non  sia  già  un  atto  originario,  potenziale, essenziale,  bensì  tutt'  un  ordine  d' intuizioni  per  quante potrann' esser  le  idee  attraverso  alle  quali  avvien  che traspaia  l' Assoluto.  Or  s' egli  è  così  (né  sappiamo  dir davvero  s' e'  sia  così),  perché  aflFermare  più  d'una  volta, esser  necessaria,  inevitabile  uxìl  intuizione  perenne  e  im- mediata délV  Etite  sortitaci  da  natura  e  dalla  essenza  dd nostro  spirito?  *  Se  l' intuizione  dell'Assoluto  é  un  atto essenziale,  come  potrebbe  non  esser  primitivo?  E  s' egli é  primitivo,  non  è  a  reputarsi  anteriore  logicamente alla  percezione?  In  sostanza,  se  T'Assoluto  é  quegli  che ^presenta  al  pensiero,  e'  s'ha  a  mostrare  fino  dal  primo atto  della  mente;  la  quale  perciò  sarà  mente,  sarà  pen- essere  qualcos'altro  che  ne  sìa  la  vital  condizione.  Evidentemente r  acuta  pupilla  speculativa  del  Pesarese  non  s*  è  profondata  nolla  na- tura di  siffatta  condizione.  E  puro  con  quest*  alchimia  e'  non  dubita  cre- dere d*  avere  una  buona  volta  composto  in  armonia  1*  antica  lotta  fra Platonismo  ed  Aristotelismo  ! '  Il  Hamiani  dice  :  «  balena  con  evidenza  V  intuito  cT  una  poeitiva, immota  ed  universale  realtà^,,  indeterminata  e  inqualiJiiMta  e  perciò  oeeura e  non  deecrivibile,  >  {Meditaz,  Carte».,  p.  229.)  Non  è  egli  cotesto  V  oh- biette  intelligibile  colto  dall*  intùito,  nulla  interpoeita  creatura,  di  che parlano,  per  esempio,  i  seguaci  di  sant*  Agostino,  e,  fra  questi,  il  For- narì?  (Ved.  VelV  Armonia  Univ.,  p.  74,  75,  ed.  cit.). *  Meditai,  Cartee,,  p.  234,  294.  Questa  sentenza,  come  ò  chiaro,  è in  aperta  contraddizione  con  quell'altra  onde  il  Mamiani  afferma  e  ri- pete, nulla  non  v'esser  nolla  sua  dottrina  d'innato,  nulla  di  primitivo. Vedi  Riep,  al  eig,  dott,  Akt»,  Brentazzoli,  Bologna,  1866. siero,  solo  in  grazia  di  chi  le  sta  dinanzi.  Ora  se  il  yero, metafisico  o  no  che  sia,  non  è  fatto  dalla  mente,  ma  da essa  ricevuto,  evidentemente  il  Neoplatonismo  del  Ma- miani  viene  a  contraddire  alla  dottrina  psicologica  del Vico,  rompe  contro  alle  severe  obbiezioni  mosse  al  Gio- berti, e  massimamente  soggiace  a  quella  grave  difficoltà che  Aristotele  oppose  al  suo  gran  maestro  circa  la  inu* tilità  deir  esperienza  e  de'  fatti  e  delle  percezioni,  posto che  il  vero  e  l'universale,  in  che  risiede  propriamente  la scienza,  debba  ne' suoi  principii  derivarci  dall'alto  e dal  di  fuori,  meglio  che  dal  didentro/ Se  non  che,  ingegno  elegantissimo  e  ricco  di  vena  poe- tica, questo  filosofo  spesso  indovina.  Talora  infatti  sem- bra non  esser  l'Assoluto  quegli  che  determina  e  significa se  medesimo  nelle  idee;  bensì  la  mente  stessa  la  quale, generando  cotesto  idee,  determina  idealmente,  esprime e  significa  l' Assoluto  :  tanto  che  non  sarebbe  altrimenti lo  splendor  divino  che  penetrando  quasi  attraverso  gli esilissimi  spiragli  delle  idee  ne  promoverebbe  l'intùito, ma  la  stessa  virtù  riflessa  ne  verrebbe  argomentando r  esistenza  e  la  natura  per  necessità  eduttiva.*  Ora  solo *  AbisTm  M«iaph.y  1.  1.  —II  Mamianì  potrebbe  dire:  il  mio  intiiito sta  in  ciò,  che  ogn*  idea,  avendo  a  significare  per  propria  natura  un  obbietto, debba  importare  un'  enistenza  etema,  ed  una  $peciaU  determinazione  ddVente aMolìtto  e  infinito.    Accettiamo  anche  questa  posizione.  Che  cosa  ne Terrà?  Poiché  gli  obbietti  tignijiecuiei  dallo  idee  non  potranno  esser  al- tro salvo  cho  determinazioni  ad  intra  o  determinazioni  ad  extra  del- r  assoluto,  sorge  la  necessità  di  spiegare  se  1*  intuito  s*  appunterà  verso le  une,  meglio  che  verso  le  altre.  Stando  alla  dottrina  della  maboinalb ADS8I0NR  e  del  toecawtento  epirituale,  V  intuito,  non  essendo  un  atto  pene- trativo, coglierebbe  le  seconde  anzi  che  le  prime:  e  quindi,  innanzi  ogni altra  determinazione  dell*  assoluto,  dovrebbe  afferrar  quella  dell*  atto creativo.  Or  se  questo  è  vero,  parmi  evidente  come  la  dottrina  del Mamiani  su  la  conoscenza  non  si  discosti  neppur  d*un  apice,  quanValla sostanza,  dalla  dottrina  del  Gioberti,  il  quale  non  ha  mai  preteso  che  il suo  intùito  abbia  da  essere  un  atto  penetrativo.    Ma  il  termine  esterno, il  sensato  (egli  dirà)  si  ha  per  via  di  percenone,    Ad  un  acuto  Qio- bortiano  qui  non  tornerebbe  guari  difAcile  cogliere  V  autore  delle  Oon- fe99ioni  in  aperta  contradizione  con  so  medesimo. *  Nelle  Con/e99Ìoni  è  sempre  T  Assoluto  quegli  che  s'affaccia  ed eccita  e  promovo  lo  spirito  al  pensiero,  e  solo  in  qualche  luogo  (per per  cotesta  via  egli  avrebbe  potuto  correggere  il  Gioberti, e  riconoscere  insieme  la  parte  di  vero  che  è  pur  nelle dottrine  Rosminiane.  Solo  per  cotesta  via  avrebb'egli inverato  il  Platonismo,  e  dischiuso  fra  noi  un  periodo novello  di  speculazione  feconda,  razionale,  positiva  e, che  più  rileva,  conseguente  alla  storia  della  scienza. E  solo  per  cotesta  via  non  sarebbe  incappato  nella  in- coerenza di  porre  l'Assoluto  come  uiroOt^tc,  e  in  un'ora medesima  dichiararlo  oggetto  d'intùito.  Perocché  se  con l'analisi  delle  idee  ci  è  dato  risalire  per  logica  neces- sità fino  a  cotesta  uttotsjc;,  a  me  pare  che  una  dottrina psicologica  0  ideologica,  la  quale  invochi  '1  sussidio  d'un intuito,  sia  un  fuor  d'opera  addirittura.    Con  ciò  stesso avrebbe  corretto  il  valor  rappresentativo  delle  idee, eh'  è  r  altra  originalità  cui  pretende  il  Neoplatonismo del  Mamiani.  Quale  attinenza  è  mai  fra  l'idea  e  l'ideato? Non  quella  di  somiglianza  come  han  creduto  balorda- mente i  Malebranchiani,  egli  risponde;  ma  si  quella d'una  vera  e  propria  significazione.  Eccolo  dunque  anche qui,  senza  addarsene,  alla  famigerata  wa/jo^ix  platonica tanto  invocata  dal  Gioberti  nella  sua  prima  maniera  di filosofare.  Nel  che  il  Pesarese,  anziché  progredire,  è  ri- masto molto  indietro  all'  autore  della  Protólogia  nella quale,  com'  é  noto,  il  concetto  della  piOiSi;  rivelasi  im- prontato d'una  forma  novella,  e,  fino  a  certo  segno,  origi- nale. Ma  lasciando  stare  del  regresso  e  dello  scadimento notevolissimo  che  nella  specuhizione  italiana  ci  segnano le  Confessioni  d' un  Metafisico  ove  si  ponga  a  riscontro lo  dottrine  del  Mamiani  con  V  ultima  forma  cui  s'  era levato  r  ingegno  potentissimo  del  Gioberti,  è  bene  qui accennare  un'ultima  osservazione  su  l' attinenza  che  il Pesarese  pone  fra  le  intellezioni  e  il  loro  obbietto. 68.  a  p.  95  e  seg.,  voi.  cit.)  fa  trasparire  la  nuora  tendenza  cni  allo- diamo.  Ma  noU*  opuscolo    risposta  ni  Bonatelli  (Bologna,  1868,  p.  49) questa  tendenza  è  pid  chiara,  tuttoché  manifestata  foggevolmente  e forse  Inconsapevolmente.  Dico  inconsapevolmente  perchè  nelle  Medita- zioni rinnovate  e*  ricasca  nella  solita  presenaialità,  nella  tolita  marginale ndenone^  come  ci  attestano  le  sentenze  qna  dietro  riferite. Le  idee  importano  il  divino,  egli  dice;  poiché  non sono  fuorché  altrettanti  simboli,  altrettante  significa- zioni dell'  Assoluto.  Se  questo  è  vero  ne  segue  che,  in quanto  simboli  e  segni,  elle  non  avran  valore  infino  a che  cotesti  simboli  non  siano  intesi  e  interpretati.  Macome  la  mente  potrà  giugnere  ad  intendere  e  inter- pretare siffatti  segni?  Mercé  l'ordine  delle  percezioni. Or  bene,  se  l' idea  non  basta  a  significar    medesima né  a  farsi  intendere  da  sé,  evidentemente  per  noi ell'é  come  un  chiaror  confuso,  vago,  indeterminato, insignificante,  e  quindi  al  tutto  inutile  alla  scienza. D' altra  parte,  se  l' ordin  delle  percezioni  é  di  sua  na- tura cosiffattamente  limitato  da  essere  incapace  a  darci r  universale,  non  potrà  non  riescire  anch'  egli  d'ingom- bro inutile  alla  mente.  Si  dirà  di  poter  superare  il  fe- nomeno e  attinger  la  scienza  mercé  il  connubio  dell'or- dine percettivo  con  l'intellettivo?  Questo  é  per  l'appuntò ciò  che  pretende  il  Mamiani.  Ma,  se  eoa  fosse,  non  ved- remmo ad  assomigliare  il  regno  della  scienza  e  delle  idee a  quello  di  natura  e  delle  fisiche  efficienze,  ove  se  a due  cavalli  non  vien  fatto  di  tirarsi  dietro  un  carro  vi potranno  benissimo  riescir  quattro?  Il  Mamiani  afferma non  dimostra  la  platonica  7ra/)0Tc«:  afferma,  non  dimostra la  platonica  xotvwvèa.  E  per  tutta  dimostrazione  ci  an- nuns^ia  che  l'idea  é  significativa,  perché?  perché  havvi un  obbietto  nel  quale  debb'  ella  necessariamente  termi- nare.Or  in  che  modo  legittima  egli  cotesto  obbietto? Lo  legittima,  come  s'  é  visto,  dichiarandolo  presente^  po- nendolo presente!  Questo  é  proprio  il  nocciolo  maga- gnatodel  Neoplatonismo.  La  preserunalUà  dell'Assoluto è  un'ipotesi,  un'affermazione  arbitraria:  ecco  tutto.* *  Corte  dottrine  del  Mamiani  ci  ricacciano  addirittura  fra  i  Plotino, i  Proclo  e  gli  Ammonio,  appo  cai  facilmente  troverebbe  riscontro  il  sno concetto  del  Bene.  E  chi  pigliasse  poi  a  rovistare  attentamente  nelle antiche  scuole,  per  esempio  nel  vecchio  e  anonimo  autore  della  Teologia (Rayaibson,'  op.  cit.,  t.  II,  p.  542),  potrebbe  ritrovar  più  che  un  germe della  dottrina  sn  \*influxu$  divintu  che  neir  Arabismo  e  anche  nella  Sco- Concludiamo.  Noi  abbiam  dovuto  fare  una  critica rapidissima  del  Neoplatonismo  italiano  considerandolo segnatamente  sotto  l'aspetto  psicologico,  perchè  i  tre filosofi  di  cui  abbiamo  toccato  ci  rappresentano  le  posi- zioni più  serie,  le  forme  principali  ond'il  Platonismo crede  attinger  l'obbietto  metafisico.  Rosmini  è  il  meno dommatico,  il  meno  arbitrario,  il  piii  positivo  e  quindi il  meno  platonico  fra  tutt'  i  platonici.  Egli  pecca  nel porre  l' essere  della  mente  come  ideale;  e  lo  sbaglio  di siffatta  posizione  vale  a  spiegarci  le  contraddizioni  in  cui spesso  ha  inciampato  nella  psicologia,  nonché  le  gravi manchevolezze  nel  suo  disegno  ontologico  su  le  tre  forme dell'  Essere.  Assai  piii  del  Rosmini  pecca  il  Gioberti  nella dottrina  psicologica  affermando  l'essere  come  reale  e, che  più  monta,  come  recde  determinato.  Non  meno  del Gioberti  e  del  Rosmini  pecca  il  Mamiani  ponendo  co- testo reale  come  infinito  in  se,  e  come  presente  al  pen- siero mercè  l' interposizione  delle  idee.  Si  direbbe  dunque che  il  Neoplatonismo  italiano,  in  questi  tre  filosofi,  abbia progredito  su  la  via  dell'  a  priorismo  e  dell'  iperpsico- logismo.  Essi  han  dato  tre  passi,  ma  indietreggiando sempre  più;  perchè  con  l'esagerare  l'esigenza  platonica han  trascurato  l' esigenza  aristotelica,  tuttoché  ciascun d'  essi  abbia  creduto  d' aver  impresso  oggimai  un  accordo definitivo  fra'  sistemi  de'  due  vecchi  filosofi.  L'ul- timo segnatamente,  il  Mamiani,  mostra  d'aver  progredito assai  più  del  Rosmini  e  del  Gioberti  in  questa  via.  Sotto certi  rispetti,  infatti,  il  Neoplatonismo  del  Pesarese  par che  confini  col  Teologismo:  talora  anzi  vi  si  confonde, chiunque  ripensi  a  quelle  cinque  differenti  maniere  (oltre la  sesta  della  comunione  ideale  ond' abbiamo  parlato) mercè  cui  egli  stima  debbansi  attuare  gV  influssi  divini.  E Dio  che  crea  l' anima,  e  la  fa  esistere.  Ma  è  anche  Dio che  le  fa  intendere  presentandosi  a  lei  attraverso  le  idee. È  Dio  che  le  fa  ammirare  il  bello,  e  incarnarlo.  È  Dio  che lastica  tien  luogo  del  processut.    (Vedi  lo  stesso  Rayaisson  ,  voi.  cit.,  p.  552 —  Vachebot,  Hi8t,  critique  de  VÉcole  d'^Alexandrie,  T.  II,  iv.) le  fa  operare  il  bene  e  la  virtù.  Che  più  altro?  È  Dio  per- fino che,  disponendola  ineffabilmente,  la  eccita,  la  trae all'adorazione.  È  proprio  il  regno  di  Dio  su  questa  nostra terra  1  E  Y  illustre  Mamiani  potrebbe  oggi  ripetere  le pietose  e  calde  parole  del  Malebranche:  0  Dieu!  exaucez ma  prière,  après  que  vous  Vaurez  formée  en  mai! Capitolo  Ottavo, continua  lo  stesso  argomento. {Critica  del  NeoarigtoteUsmo), Notammo  come  il  principio  del  conoscere  metafisico immediato  ponga  radice,  per  dirla  con  le  parole  di  He- gel, nel  rapporto  d' un  nesso  primitivo  ed  essenziale  fra il  pensiero  e  T Assoluto,  fra  il  soggetto  e  T  oggetto/  Àb- biam  visto  come  il  Neoplatonismo  italiano  moderno propugni  questa  connessione  sotto  tre  forme  più  o  manco razionali;  e  come  abbia  quindi  a  tornare  assai  difficile al  Rosmini,  e  molto  più  al  Gioberti  e  al  Mamiani,  li potersi  difender  dair  accusa  di  panteismo  ideale.  Gli estremi  si  toccano  anche  qui.  Con  la  teorica  dell'  intui- zione e  deir  immediatezza  i  nostri  Neoplatonici  riescono, checché  se  ne  dica,  a'  risultati  cui  perviene  la  dottrina della  mediazimie  propugnata  dagli  altri  nostri  viventi filosofi,  seguaci  caldissimi  dell'Idealismo  germanico. Dicemmo  qual  sia  la  doppia  esigenza  onde  il  Neo- platonismo si  divaria  dal  Neoaristotelismo  quant'al  co- noscere metafisico  (pag.  365).  Per  la  natura  istessa  di questa  doppia  esigenza  avviene  che,  come  nel  primo, cosi  pure  nel  secondo  indirizzo  sono  possibili  più  forme, più  maniere,  più  metodi,  sia  che  si  tolga  di  mira  il modo  con  che  si  crede  poter  attinger  l'assoluto,  sia che  il  risultato  ultimo  a  cui  si  potrà  giugnere.   Non «  Hegel,  Log.,  yol.  I,  p.  384,  §  LXIX. volendo  tener  conto  di  quella  vieta  e  volgar  maniera di  mediatezza  che,  quantunque  sotto  aspetti  differenti, fa  sempre  un  salto  mortale  quando  presuma  levarsi dall'effetto  alla  causa  e  dal  dato  alla  condizione  del dato;  possiamo  ridurre  a  due  le  forme  più  generali  e comprensive  di  tal  mediazione.  Esse,  al  solito,  risal- gono a  que'  due  estremi  in  che  dicemmo  sdoppiarsi r  Aristotelismo:  perchè  anche  nella  quistione  metafisica il  primo  di  cotest'  indirizzi  ci  è  oggi  rappresentato  dal Positivismo  e  dal  Materialismo;  l'uno  affermando,  nulla mai  non  potersi  conoscer  di  metafisico,  e  l'altro  innal- zando a  dignità  d'  assoluto  la  stessa  materia,  senza legittimarne  menomamente  il  concetto.  Il  secondo  poi vuol  essei^e  anch' egli  avvisato  sotto  doppio  rispetto, potendo  assumere  due  forme  che,  per  due  differenti ragioni,  rivestano  entrambe  carattere  iperpsicologico. Si  può  infatti  mantener  la  posizione  d'  un.  immediato irradiamento  per  virtù  d'un  principio  superiore,  gene- rale e  comune^  e  s' ha  uq  indirizzo  averroistico  ;  il  quale, benché  storicamente  sìa  come  un  virgulto  sbocciato  nel giardino  dell'Aristotelismo,  può  siffattamente  svolgersi  e grandeggiare,  come  nel  fatto  è  avvenuto,  da  toccarsi  e talora  confondersi  col  Neoplatonismo.  Ma,  d'altra  parte, può  assumere  forma  squisita  di  scienza,  e  s' ha,  come ne'  tempi  moderni,  una  delle  tre  maniere  dell'Idealismo germanico  appellate  subbiettiva,  obbiettiva,  assoluta. Sennonché  è  da  notare  come  fra  tutt'  i  sistemi  quello dell'assoluta  identità  serbi  '1  distintivo  d'esser  natura- lismo e  ipei-psicologismo  insieme,  e  racchiudere,  co'  molti pregi,  i  moltissimi  difetti  dell'uno  e  dell'altro  indirizzo. In  metafisica  l'Hegeliano  è  iperpsicologista.  Perocché quantunque  non  attinga  l' assoluto  per  opera  d' un  in- tuito e  d'un'immediata  visione  più  o  meno  spiccatamente neoplatonica,  dice  e  crede  mostrare  di  poterlo  cogliere quasi  d'assalto,  come  toccammo,  cioè  per  stibitanea  ed assoluta  astraeione  dd  pensiero  puro.  Dice  e  crede  mo- strare di  poter  dedurre  a  tìl  di  logica  la  dialettica  che per  lui  costituisce  la  chiave  di  volta  d' ogni  scibile  e d' ogni  ordine  di  realtà..  Anch'  egli  dunque  trascende;  e però  anch' egli  vizia  l'esigenza  d'un  positivo  e  severo psicologismo.  Ma,  oltreché  iperpsicologista,  l'Hegeliano è  anche  naturalista.  Checche  se  ne  dica,  la  sua  logica obbiettiva,  la  dialettica  intrinsecata  e  compenetrata  con la  stessa  metafisica,  non  è  altro  alla  fin  delle  fini  che imitazione  e  ripetizione  della  stessa  natura,  delle  stesse leggi  di  natura,  tuttoché  ridotte  al  grado  più  univer- sale e  squisito  di  trasparenza  ideale,  pura,  assoluta,  per cui  la  forma  costituisce  lo  stesso  contenuto,  e  viceversa. Il  perché  se  l'Idealismo  assoluto,  come  altrove  notammo, è  stato  detto  con  felice  espressione  esser  V  àlgebra  dd naturalisino,  con  altrettanta  verità  può  dirsi  essere un'  algebra  della  psicologia,  del  pensiero  e  delle  idee  ; tanto  che  ci  sarà  lecito  designar  come  indovinello  d'alge- bristi (direbbe  il  Vico)  quell'assoluto  che  gli  Hegeliani con  miracolo  non  mai  visto  fanno  venir  fuora  dalle  neb- biose alture  della  dialettica.  Possiamo  dunque  affermare che  Positivisti  e  Idealisti  assoluti  oggi  rappresentino  gli estremi  indirizzi  dell'  Aristotelismo.  E  queste  due  forme neoaristoteliche,  tuttoché  fra  Joro  si  differenzino  toto cedo  nel  metodo  e  nel  concetto  della  scienza,  nuUameno si  toccano  ne'  risultati,  massime  in  quello  risguardante il  valore  e  '1  destino  dell'  umana  personalità.* *  Chi  tien  conto  della  necessità  d*  ìndole  tutta  fisiologica  ed  empi- rica secondochò  è  intesa  da'  positivisti  e  da*  niaterìalisti,  e  della  necessità tntta  dialettica  ideale  assoluta  com'è  concepita  dagli  Hegeliani,  tosto 8*  accorgerà  d' un*  altr*  attinenza  fra  queste  due  tendenze  della  moderna speculazione.  Il  dinamismo  noli*  essere,  nelle  cose,  nella  scienza  e  nella storia,  sparisce  cosi  per  1*  una  come  pet  1*  altra  dottrina.  Meccanismo ideale,  come  dicemmo,  e  meccanismo  fisiologico  e  materiale:  necessità logica  e  formale,  e  necessità  empirica  e  meccanica;  ecco  tutto.  Oggi dunque  potremmo  affermare  dell'una  e  dell'altra  scuola  ciò  che  Aristo- tele diceva  de' pittagorìci  e  de' platonici:  'A).Xa  yiyovi  roì  fiscBri- fixrcx.  To?c  vvv  >j  ^tXoao^ia  {Metaph,  I.)  Cosi  Hegeliani  e  Positivisti, come  avvertimmo  nella  Introduxione,  tuttoché  movano  da  due  punti  Uh loro  interamente  diversi  ed  opposti,  riescono  pur  nullamanco  fid  una  me- desima legge.  E  come  al  Platonismo  primitivo  tenne  dietro  la  scuola  di Rifacciamoci  da' Positivisti,  i  quali,  ove  discoiTono intorno  al  problema  del  conoscere  metafisico,  non  mo- strano quella  serietà  scientifica  della  quale  non  pertanto vanno  lodati  quando  parlano  de'  principi!  metodici  da  ap- plicarsi alle  scienze.  Quant'  al  problema  d'una  realtà metafisica  e' non  sofirono  d'esser  messi  in  un  fascio  con gli  scettici  sistematici  e  co'  nullisti  ;  e,  davvero,  non  han torto.  I  Positivisti  infatti  ci  parlano  d'  un  Inconoscibile. Dunque  essi  confessano  V  esistenza  d' un  obbietto  trascen- dente. Ma  come  legittimano  cotest' obbietto?  Come  ne determinano  l'idea  tosto  che  ne  parlano?  I  Positivisti francesi  ne  discorrono,  ci  piace  ripetere  anche  qui  la frase,  come  d' un  oceano  immenso^  doni  la  daire  vision est  amsi  salutaire  que  formidable.*  I  Positivisti  inglesi poi  ci  porgono  un  concetto  più  determinato  di  cotesto Deus  àbsconditus,  àicenàoìo  potenza,  forzc^  di  cui  V  uni- verso è  simbolo  e  manifestazione} Il  positivista  francese  qui,  com'  è  evidente,  s' addi- mostra pili  positivo,  0  meglio,  più  negativo  dell'inglese, e  quindi  più    timido,   più   circospetto,  più  scettico  di di  Speusippu  cbe  radiò  addirittara  il  numero  ideale  (yortroc,  sc^yjtcxo;) sostitueodoTì  il  nunioro  sensibile  appunto  perchè  queir  idea  come  astratta e  generale  parevale  cosa  inutile  (Arist.  Metaph,,  XIII.  Rataibbon,  i!^>eu- 9ippe);  parimente  oggi  Positivisti  e  Materialisti,  in  luogo  dell* /iea,  pon- gono' II  Fatto  e  la  Materia;  e  cosi  mentre  negano  V  Idealismo  assoluto, mostrano  d'arer  con  osso  doppia  ed  intima  relazione,  una  storica  e  l'altra teoretica.  La  storia  del  pensiero  filosofico  progredisce,  non  v'ha  dubbio: ma  anche  nel  progredire  si  ripete.  Ecco  qua  -una  prova,  chi  vuol  vederla. *  E.  LiTTBi,  A,  Comte  et  la  Phil.  Poeit.,    ed.,  p.  529.  Per  quanto negativo,  nullameno  questo  concetto  del  Littré  su  V  Assoluto  è  una  cor- rezione deir  idea  del  Orand'  Eetere  intorno  alla  quale  con  tanta  vuotag- gine avea  finito  per  arzigogolare  il  Comte. *  H.  Spencer,  Firft  Prìnci^ee^  ed.  cit.,  e.  I.  Alcune  idee  di  questo scrittore  su  V  obbietto  metafisico  superano  quelle  di  St.  Hill.  L*  Autore del  Sietema  di  Logica  parla  del  soprannaturale,  come  notammo  in  altro luogo,  da  schietto  formalista,  senza  poterlo  quindi  legittimare  in  altra guisa  che  per  empirica  credenza.  (Ved.  A,  Comte  et  Le  Potitivitme,  p.  15.) La  relatività  del  eonoecere  per  lui  non  è,  a  dir  proprio,  quella  di  Spencer, e  neanche  quella  de*  Positivisti  francesi.  Vedi  il  novero  eh*  egli  stesso fa  de*  diversi  modi  con  che  può  intendersi  la  relatività  della  conoscenza nella  PhiL  de  Hamilton,  ed.  cit.  e.  I. fronte  alla  scienza  :  ma  le  contraddizioni  in  che  restano entrambi  avviluppati  son  le  medesime.  Anch'  essi  in- fatti, i  Positivisti,  obbediscono  e  rendono  omaggio  al bisogno  speculativo  che  punge  ed  eccita  continuo  il  pen- siero filosofico,  stantgchè  non  solo  riconoscono  la  realtà d' un  oggetto  trascendente,  ma  lo  determinano,  lo  pon- gono, lo  specificano  in  qualche  modo.  Che  cos'è,  per esempio,  l'Inconoscibile  onde  ci  parla  l'illustre  Spencer? È  il  fondo  occulto  delle  religioni,  e  insieme  l'estremo termine  a  cui  riescono  le  scienze.  Le  religioni  pongono tale  obbietto  per  virtù  d'istinto:  le  scienze  lo  subiscon per  legge  del  proprio  svolgimento.  Tra  fede  e  ragione, perciò,  non  v'è  antagonismo:  l'Inconoscibile  n'è  l' ob- bietto comune.  Conciliarle  dunque  è  possibile,  tosto  che s'abbia  diffinito  le  idee  madri  onde  scienze  e  religioni sono  inviluppate.  E  poiché  le  une  in  sostanza  Aon  fanno che  riconoscere  ciò  che  le  altre  contengono  ed  espli- cano istintivamente,  ne  segue  che  lo  spirito  umano' per  mezzo  della  scienza  perviene    ond'  egli  stesso  era partito  con  la  fede,  cioè  all'Inconoscibile. Il  pensiero  del  filosofo  inglese  è  chiaro  e  spiccato, ma  non  altrettanto  vero.  Innanzi  tutto:  perchè  le  reli- gioni e  molto  più  le  scienze  non  potranno  pervenire  a render  conoscibile  in  alcun  modo  l' Inconoscibile  di  cui pur  confessate  la  realtà?  Forse  che  tale  impossibilità, ripetiamolo,  non  contraddice  apertamente  all'attività critica  del  vostro  pensiero  speculativo,  alla  stessa  esi- genza del  vostro  metodo  critico  e  positivo?  Non  dubi- tate affermarlo  esistente  cotesto  Inconoscibile.  Giungete anzi  a  determinarlo  come  forza  di  cui  V  universo  è  ma- nifestojsnone.  Or  bene  perchè  non  dare  un  altro  passo? Perchè  non  ispecificar  l'attinenza  eh' è  tra  l'Incono- scibile e  '1  conoscibile?  In  altre  parole,  domandiamo: col  porre  i  termini,  non  siete  già  nella  necessità  logica di  mostrarci  in  qualche  maniera  la  relazione  di  essi, dirci  quale  attinenza  interceda  per  avventura  tra  la forjsfa  e  la  sua  manifestazione,  quale  sia  il  vincolo  che annoda  insieme  la  potenza  e  l'universo  onde  quella potenza  è  simboleggiata?  Brevemente:  siete  qui  in  una forma  di  panteismo,  o  di  teismo?  Il  Positivista  non risponde;  e  pur  dovrebbe:  dovrebbe  se  davvero  amasse mostrarsi  ed  esser  positivo. Inoltre,  l'Inconoscibile  onde  move  la  fede,  e  Fin- conoscibile  cui  giugno  la  scienza,  dice  lo  Spencer,  sono una  cosa.  Ma  perchè?  Perchè  col  prodotto  confondere due  facoltà  fra  loro  diverse?  L'Inconoscibile  della  fede incontra  un  limite  invalicabile  in  questa  o  cotesta  intui- zione particolare  in  cui  l'Assoluto  è  compreso  dal  sen- timento religioso  appo  un  dato  popolo,  e  presso  una  data civiltà.  L' Inconoscibile  delle  scienze,  invece,  è  l' inco- noscibile di  ragione;  e,  come  tale,  non  può  restare  per- petuamente indeterminato,  pel  solito  motivo  che,  ove rimanesse  cosi  necessariamente,  l' indagine  positiva  an- nullerebbe sé  stossa;  e  annullerebbe    stessa  perchè r  esigenza  critica  non  sarebbe  altrimenti  un'  esigenza invitta,  naturale,  un  irresistibile  e  crescente  bisogno speculativo.  Ora  se  il  contenuto  della  fede  è  condizio- nato ad  una  forma  speciale;  se  per  la  natura  stessa della  funzione  psicologica  ond'  ei  rampolla  riman  chiuso e  quasi  cristallizzato  nella  particolarità  d'un  senti- mento: perchè,  domandiamo,  voler  condannare  alla medesima  sorte  T  Inconoscibile  delle  scienze?  Perchè così  inesorabilmente  pretendere  di  segnare  i  confini  alla ragione  ponendo  limiti  all'  attività  del  pensiero  specu- lativo, eh' è  pur  la  forza  più  libera  dell'universo?  Non è  anch'  ella,  cotesta,  una  forma  di  dommatismo  ?  * '  11  PositiTÌsto  dirà:  tosto  che  voi  pigliate  a  determinare  Vlitco- no9cihile,  siete  già  beli*  e  uscito  dalla  scienaa^  e  cadrete  nella  metafisica. Verissimo:  questo  accade,  e  questo  appunto  deve  accadere.  Altrove  mo- strammo come  ciascuna  scienza,  come  tutte  le  scienze,  riescano  inef- ftcaci  nel  tentare  la  soluzione  di  certi  problemi,  segnatamente  nel  de- terminare il  concetto  àeWAt^oluto  (lib.  II,  cap.I).  Il  Positivista  che  è  tutto scienza  e  solamente  scienza,  da  una  parte  ha  paura  della  speculazione, mentre  dall* altra  sente  il  bisogno  di  determinare  in  qualche  modo  cotesto assoluto,  e  lo  determina,  per  esempio,  alla  maniera  dello  Spencer  o  del Concludiamo  quant'  a'  Positivisti.  Il  Positivismo  fran- cese rispetto  al  conoscere  metafisico  ci    un  Immenso indeterminato  ;  un  Incondizionato  reale,  11  Positivismo  in- glese poi, facendo  un  altro  passo,  determina  vie  più  cotesta ignota  realtà,  e  giugne  ad  affermare  che  le  forze,  la materia,  il  movimento,  la  vita  e  l'universo  non  siano fuorché  simboli  e  rappresentazioni.-  Altre  affermazioni d'altre  maniere  di  Positivismo  che  pongano  T assoluto senza  penetrar  nel  regno  della  metafisica^  io  non  cono- sco;ne,  a  dir  vero,  sono  possibili.* Littré  con  offesa  apertissima  della  logica.  Ora,  chi  non  voglia  offendere non  pur  la  logica  ma  neanche  il  hnon  senso,  e  insieme  salvarsi  dalla contraddizione,  dove  altro  può  penetrare,  uscendo  dal  regno  delle  «ctetue, fuorché  in  quello  della  tiietajUiea^  ma  della  metafìsica  intesa  non  già  come scienza/>rtma,  anzi  ultimaf  Determinare  in  qualche  modo  la  Potenza  di  cui r  universo  è  manifestazione;  specificaro  questo  Immento  formidàbile  e  pvr •alutare  oltre  cui  non  sa  penetrar  rocchio  dello  Scienze  ma  della  cai realtà  nessuno  che  abbia  mente  sana  potrà  dubitare;  cotesta  impresa, diciamo,  non  è    impossibile    puerile,  altro  che  per  gli  animi  volgari, incuranti  e  stupidi.  La  relatività  nel  conoscere  non  ò  muro  di  bronzo; non  è  oceano  assolutamente  sconftnato.  Il  conoscere  metafìsico  è  pos- sibile ;  ma  ò  possibile  come  aesolato  e  come  relativo  insiememente.  È  a«- eolutOf  nel  senso  che  salva  il  pensiero  dal  nullismo  metafìsico;  ed  è  re- lativoj  nel  senso  che  non  istringe  la  mente  entro  la  rigida  catena  d*  una formola  sistematica.  Se  intanto  ò  vero,  come  dice  Io  Spencer,  che  tra  V  In- conoscibile delle  religioni  e  V Inconoscibile  delle  scienze  non  esiste  antago- nismOy  no  viene  che,  fra  gli  altri  fini,  la  speculazione  metafisica  debba  pre» figgersi  anche  questo:  trasformare  la  fede,  interpretar  la  credenza,  porre a  nodo  il  germe  delFidea  che  pure  si  s  voi  ve  attraverso  le  produzioni  mi- tiche, superare  il  sentimento  riducendo  l'immaginazione  a  ragione  se- condochò  richiede  il  processo  psicologico  (Ved.  ciò  che  abbiamo  discorso nel  cap.  V,  lib.  Il),  e  siffattamente  porgere  guarentigie  sperimentali  al- l'inveramento  della  scienza  mercè  le  applicazioni  storiche  in  generale. *  In  questa  rapida  critica  su  la  tendenza  metafisica  del  Positivismo non  abbiamo  tenuto  conto  dell'  Umanismo  di  Ausonio  Franchi,  e  del suo  Dio  ddV  Umanità  che  nega  il  Dio  detta  Bibbia  {Razionalismo  del popolo,  Ginevra,  1856),  e  neanche  del  Fatto  della  vita,  àeW  Istinto  ài  cui parla  il  Ferrari  {Filosofia  della  Hivol,  voi.  11),  perchè  non  ci  paion  con- cetti scrii,    degni  di  critica  seria.  Quando  s' è  detto  che  il  Dio  Umanità^ che  la  Vita  della  storia  con  tutte  le  sue  leggi  non  sono  che  due  fatti i  quali  perciò  abbisognan  d'una  spiegazione,  s'è  detto  tutto.  Ora  a  co- testa  qualsiasi  spiegazione  non  sanno  e  non  vogliono  accostarsi  questi due  arditissimi  scrittori  per  paura  della  metafisica;  e  però  non  sono positivisti,  L' uno  è  critico,  non  Criticista,  com'  egli  pretenderebbe  giac- Or  bene,  la  filosofia  positiva,  la  speculazione  razio- nalmente positiva,  accetta,  deve  accettar  l' una  e  V  altra posizione  de'  Positivisti  inglesi  e  francesi,  perchè  ci  rap- presentano entrambe  uno  sforzo  di  metafisica,  perchè sono  entrambe  un  preludio  alla  metafisica.  Se  non  che esse  sono  una  metafisica  incosciente,  una  metafisica  ne- gativa, perchè  sentono  ma  non  soddisfano  l'esigenza speculativa.  Come  dunque  soddisfare  all'esigenza  dav- vero positiva  nella  speculazione  trascendente?  Eviden- temente bisognerà  appagarla  superando  il  negativo, superando  quel  sazievole  non  so,  quel  non  mi  preme sapere^  quel  non  si  può  sapere  che  ad  ogn'  istante  e  con incredibile  noia  ci  ripetono  i  Positivisti,  ma  nel  me- desimo tempo  restare  nel  positivo.  E  qual  è  il  positivo in  metafisica?  Lo  dicemmo  già,  e  lo  ripetiamo:  schivare gli  estremi  ;  perocché  il  nemico  mortale  della  positività metafisica  son  le  colonne  d'Ercole  del  tutto  sapere,  e del  nulla  sapere  metafisico  (cap.  I,  1.  II).  Se  quindi  la vera  filosofia  positiva  ha  da  accettare  quel  che  il  Posi- tivismo ci    e  nel  medesimo  tempo  superarlo  in  forza dello  stesso  metodo  positivo,  deve  accogliere  l' esistenza che  il  crìticista,  il  vero  Kantiano  affinchè  sia  tale,  dehb'  esser  tutto  d*un pezzo,  dero  accettare  anche  i  sommi  pronunziati  della  Ragion  Pratica, Ausonio  dunque  è  un  puro  critico,  un  critico  sottile,  è  il  doctor  mbtilissimwi de*    nostri,  abile  scaltri  mai  a  trovare  il  pel  neir  uovo  neMibri  altrui, ma  non  così  nel  dare  una  dottrina,  una  teorica  propria,  fosse  pur  la  teorica del  giudizio.  Il  Ferrari  invece  è  scettico  sistematico^  meravig^lioso  nell*  acca- tastare erudizione  come  nel  distrugger  sistemi,  ma  nullista  in  metafisica al  pari  d*  Ausonio.  Costoro  perciò  son  fuori  d*  ogni  forma  di  Platonismo e  d'ogni  forma  d'Aristotelismo;  e  se  ne  vantano;  e  se  ne  gloriano:  e si  sortano  pure!  Ma  non  sono  fuori  della  storia,  chi  sappia  che  cosa  vo- glia dire  storia  della  scienza  e  della  filosofia.  Franchi  e  Ferrari  hanno esercitato  fra  noi  quella  funzione,  parte  benefica  e  parte  malefica,  che  vie- ne esercitando  lo  scetticismo  in  certi  dati  periodi  storici;  funzione  al tutto  negativa,  ma  necessaria  (p.  207,e  sog.).  Ma  la  storia  dovrebbe  insegnar loro  due  cose:  che  il  l)Ì80gno  speculativo  è  uu  gran  fatto,  e  che  la  possibiltà d' una  metafisica  positiva  non  è  un  sogno.  A  questi  critici  e  scettici,  di  cui fra  noi  oggi  non  è  penuria,  opponiamo  un  dilemma  invincibile  do)  prof.  Ber- tini  su  la  possibilità  di  rintracciare  un  principio  metafisico.  (Ved.  La\ FU,  Greca  prima  di  Socrate,  esposiz,  storico- critica,  ed.  cit.  p.  13,  320.) d'  un*  ignota  realtà  in  quanto  è  Potenza  e  virtù  dell'  uni- verso, ma  legittimarla.  Così  il  metodo  positivo,  assumendo valor  critico  e  razionale,  non  più  sarà  l'esagerazione  d'uno de' due  estremi  indirizzi  dell'Aristotelismo,  ne  contrad- dirà'altrimenti  alla  sua  posizione  media,  anzi  varrà  a confermarla,  ad  inverarla,  ad  esplicarla  sempre  più.* L'opposto  indirizzo  del  Neoaristotelismo  dicemmo esser  THegelianismo.*  L'Hegeliano  si  oppone  al  Neopla- tonico, perchè  non  accetta  veruna  sorta  d' immediatezza nel  conoscere  metafisico.  Si  oppone  al  Positivista  e  ad ogni  maniera  d' empirismo,  perchè  non  può  accoglier  la nozione  d'  un  assoluto  portoci  dalla  coscienza  volgare, empirica  o  dommatica  ch'ella  sia.  Qui  egli  ha  piena- mente ragione.  Ma  qual  è  la  sua  via?  Qual  è  il  suo metodo?  Dov'egli  mira? L'abbiamo  detto:  l'Hegeliano riconosce  l' assoluto,  ma  lo  riconosce  ponendolo,  facen- dolo;e  lo  legittima  per  necessità  tutta  dialettica.  Lo pone  e  lo  fa  non  perchè  ci  è,  anzi  perchè  ci  ha  da essere  ;  e  per  ciò  nessuno  potrà  dire  eh'  e'  ci  sia  prima che  il  pensiero  s'accinga  a  farlo.  Di  qui  una  conclu- sione singolarissima:  Tutto  ciò  che  esiste,  è  anteriore  a quello  per  cui  virtù  solamente  egU  è  possibile  e  reale!  Ma non  anticipiamo.  Che  cos'  è  dunque  l'Assoluto  per  i  neo- aristotelici iperpsicologisti?    risposta  non  è    facile per  noi  quant'  avrebbe  da  essere  per  loro.  L' Assoluto è  il  Tutto  :  è  l' assoluta  e  immanente  relazione  :  è  la relazione  della  relazione:  lo  Spirito.' *  E  così  pure  ?a  in  forno  T affermazione  del  Littbì:  c  qui  e»t  mitapKyn- e»«n,  iCe»tpa9  po9ÌiivÌ9U;  qui  ett  positiwtefn'ett  pa$  métaphyiieien,  »  (Princip, de  Phil.  Ponit.  par  A.  Comte,  Préf.  d^un  ditdple^  p.  60.) *Noa  senza  ragione  un  nostro  acutissimo  hegeliano  (Dr  Mris,  Dopo  la r^aureOf  voi.  I.)  chiama  Hegel  V  ArÌ9ioule  moderno.  Ma  qual  ò  proprio  V  Ari- stotole  rappresentato  dal  filosofo  di  Stoccarda V  Ecco  il  punto!  U  nostro valoroso  e  carissimo  professore,  questo  Oariholdi  deW Hegdianimno  come  al- trove r  abbiamo  chiamato,  non  ammette  che  un  solo  Aristotele,  il  suo Aristotele! 'L'assoluto,  dice  un  fodol  ripetitore  di  Hegel,  non  è  questo  o quello,  r  identità  o  la  differenza,  ma  il  tutto  nella  differenza  e  neil' unità tua,  E  il  conoscere  assoluto  poi  sta  nel  porre  i  termini,   nel  mostrar Sennonché,  in  cotest'  assoluta  relazione,  in  cotesto centro  eh' è  anche  circonferenza,  è  pur  d'uopo  comin- ciare. Da  qual  parte  rifarci?  Qual  è  il  Primo?  Eccoci nel  cuore  dell' Hegelianismo  :  nella  più  alta  e  nascosa fortezza  dove  già  da  un  pezzo  la  breccia  è  stata  ajiertaper  opera  degli  stessi  tedeschi,  massime  dal  Trendelen- burg.  All'assoluto,  essi  dicono,  si  perviene  solo  per medicunone.  Ma»  cotesto  lavoro  di  mediazione,  come s'inaugura  e  perchè?  A  siffatto  processo  (ripetiamo la  frase  del  medesimo  Hegel  citata  nell'  altro  capitolo) va  innanzi  un  momento  d' assóltUa  e  subitanea  astra- zione} Col  subitaneo  astrarre  il  puro  pensiero  pone. Che  cosa?  Pone  Vinse,  l'Essere,  o  meglio  l'Indeter- minato. L'indeterminato  non  è  soggetto    oggetto; non  è  pensante    pensato  :  ma  è  qualcosa  oltre  cui  non si  può  andare,  e  senza  cui  nulla  non  sarà  mai  possibile,  e mercè  cui  tutto  sarà  attuabile  :  l' idea  assoluta,  l' etema nozione  {der  ewige  Begriff.y  Ecco  Vàbsólute  Prius,  il Vero  primo,  e  però  il  vero  Fatto.* La  prima  osservazione  che  qui  sorge  spontanea  è  la seguente.  Cotesto  Indeterminato  è  cosiffatto,  che  non  si può  nemmanco  pensare:  perocché  ove  accanto  a  lui  fosse come  s*  oppongano  fra  loro,  e  come  e  perchè,  opposti,  si  concilino.  (Vkba, Introd,  alla  Log.  di  ffegel^  voi.  I,  e.  XI,  p.  97).  ~  1/ assoluto,  dico  un altro  Hegeliano,  non  è  Tldea,  non  la  Natura,  non  lo  Spirito,  ma  è  Vldea- Natura-t^rito;  la  rdoMÌone  dtlla  relaztotie;  VindifferenMa  differenxiata indifferentemente  (Spaventa,  Le»,  di  FU.)  Il  vero  abeolute  Priue  è  1*  atti- vità, il  pensiero,  lo  spirito:  non  TEnte  che  come  puro  essere  è  Premp- poHo  cominciamento  ;  ma  il  Ponente,  vero  Principio,  che  ò  lo  Spirito. {Idem,  FiL.  di  Gioberti,  p.  512). '  Spaventa  ne  chiarisce  il  pensiero  cosi:  Io  mi  levo  aU^eeeere  per una  riaoluMtone  immediata f  per  un'auoluta  a$trazione.  {Le  Categ.  della Log,  di  ffegd  ed.  cit.,  p.  129). *  Hrgbl,  Log,  voi.  I,  Jntrod.  e.  Vili,  p.  145. *  L* Indeterminato  per  lo  Spaventa  è  il    È  proprio  uno  scherzo,  un  indovinello  da  algebristi  ! Dunque,  mi  si  chiederà,  nel  ^an  sistema  è  egli  ripudiato  V  elemento  della differenza?  Tutt*  altro.  611  Hegeliani  anzi  in  ogni  lor  libro,  in  ciascuna lor  pagina  s*  affannano  a  mostrare  e  giustificar  co*  fatti  cotesta  legge tanto  necessaria  air  organamento  della  dialettica.  Ma  quanto  i  Gesuiti non  s*  arrapinano  anch^essi  a  parlarci  di  libertà  di  pensiero  e  di  coscienza? K  pure  chi  non  sa  come  la  libertà  vera  per  costoro  sia  la  schiavitù  al Sillabo  e  al  Domma,  per  cui  la  ragione  è  libera  solo  in  quanto  è  as- sorbita dalla  fede?  Tal  si  è  il  diverso  per  gli  Hegeliani:  un  fuor  d*  opera. E*  ne  parlan  sempre,  ma  alla  fin  delle  fini  poi  si  trovano  ingoiati  nel- r  identico.  L'alterità  che  scorge  Hegel  nel  suo  pensierpuro  è  (ripeto  la sua  frase)  ineffabile  e  assolviamente  vuota.  Or  una  differenza  assoluta- mente vuota  non  è  forse  indifferenza,  cioè  non  differenza,  identità,  vuo- taggine addirittura?  E  dato  ci  sia  cotesta  differenza,  sarà  ella  di  na- tura metafisica,  o  non  piuttosto  logica?  E  una  differenza  non  metafisica, domanderò,  sarà  ella  vera  differenza  o  non  più  veramente  semplice  di- stinzione? Ecco  la  ragione  per  cui  l'Idealismo  assoluto  non  può  riescire a  dimostrare  l'oggettività  della  conoscenza,  e  salvarsi  dal  pretto  forma- lismo ond'  è  tutto  magagnato.  Che  se  poi  la  gran  pretensione  sta  nel volerci  dare  la  scienza  assoluta,  e 'sarebbe  d'uopo,  ripeto,  che  la  logica, proprio  come  logica,  fosse  la  metafisica;  talché  col  far  l'una  si  fa- rebbe anche  l'  altra,  e  così  potrebb'  esser  risoluto  l' arduo  problema  del- l' oggettività.  Invece  il  più  valoroso  de'  nostri  Hegeliani  come  rispon- d'egli  a  questo  proposito?  Se  n'esce  pel  rotto  della  cuffia  dicendo: «  Tale  oggettività  non  d  un  problema  logico:  la  logica  ami  la  presuppone,  * (Spaventa,  Op.  cit.  p.  165.)  La  presuppone?  Mi  par  di  sognare!  Se dunque  è  così,  la  conseguenza  chiara  come  il  sole,  almeno  per  noi  im- barbogiti sempre  più  nella  vecchia  logica  aristotelica,  sarà  questa: che  la  logica,  grande  o  piccola  che  sia,  subbiettiva  od  obbiettiva  che  si voglia,  non  sarà  e  mai  non  potrà  esser  quella  che  ci  si  vuol  dare  ad intendere,  la  chiave,  cioè,  del  grand'  edlfizio,  il  fondamento  a  priori  del- l'enciclopedia,  la  vera  metafisica  del  conoscere.    qui  vale  invocar  la Fenomenologia  qual  propedeutica  atta  a  dimostrare  1*  oggettività,  come fa' lo  stesso  Spaventa.  Cotesta  invocazione  anzi  è  una  ragione  di  più  per dichiarar  la  logica  degli  hegeliani  una  tela  di  ragno.  Perchè  se  la  Fenomonalogia  ha  da  esser  la  propedeutica  necessaria  della  Logica,  il  pro- cesso a  priori  e  assoluto  nel  costruire  la  scienza  diventerà  una  parola   [LIB.  H. della  nuova  loj^ica,  s' è  provato  a  schiacciarlo.  Ci  è  rie- scito?    Un  vizio  magagna  tutta  la  logica  hegeliana,  dice anch' egli;  ed  è  vizio  d'origine,  in  quanto  che  pone  ra- dice nelle  viscere  stesse  del  momento  astratto,  e  pro- priamente nel  concetto  dell'Indeterminato.  L'Indeter- minato è  un  equivalente  comune  dell'  Essere  e  del Non-essere,  dell'Idea  e  del  Pensiero,  dell'Astratto  e  del- l' Astraente.  Di  fatto,  che  cosa  mai  sono  cotesto  Essere e  cotesto  Non-essere?  Ei  son  cosa  indeterminata;  ma non  sono  lo  stesso  Indeterminato.  Se  fossero,  la  difiFe- renza  tornerebbe  davvero  impossibile  (difetto  radicale dell'Idealismo  obbiettivo  dello  Schelling),  perchè  avrebbe a  sgorgare  dall'identità.  Che  se  non  fossero  la  stessa cosa,  tornerebbe  impossibile  il  contrario,  cioè  l'iden- tità. Essere  e  Non-essere,  dunque,  sono  un  medesimo, è  vero,  ma  solo  in  quanto  indeterminati,  non  già  in quanto  indifferenti.  Essere  e  NuUa  sono  lo  stesso,  ma non  come  Essere  e  NuUa.^ Una  prima  osservazione  potrebb' esser  questa.  Se tra  r  Essere  e  '1  Nulla  havvi  identità  e  diiferenza;  iden- Yuota  di  senso,  an  a  priori  che  non  è  a  priori,  e  perciò  un*  ironia,  come dlcovamo  poco  fa..  Ancora:  se  la  Logica  in  cotesto  processo  a  priori  ha da  pretuppoire  la  Ffnomen^ogia,  ne  segrue  che  Tuna  di  queste  due scienze  non  potrà  essere  altro  che  imitazione,  ripetizione,  copia,  copia anche  ridotta  al  grado  supremo  di  trasparenza  ideale,  ma  sempre  copia deir altra;  e  quindi  s'intoppa  nella  solita  conseguenza,  che  cioè  la conge?natura  dialettica  hegeliana,  anziché  una  metafisica,  sarà  un  pretto formalismo,  un  assoluto  soggettivismo.  Che  se  la  Logica  prewpponendo necessariamente  la  Fenomenologia  non  può  non  essere  altro  che  una  co- pia trasparentissima  di  questa,  non  sappiamo  dir  davvero  che  cosa  gli Hegeliani  avranno  da  opporre  al  metodo  di  certi  Teologisti  i  quali  pi- gliano a  discorrere  della  natura  di  Dio  appoggriandosi  nelle  leggi  psico- logiche, ricopiandole,  ripetendole  e  trasportando  così  la  psicologia  nella teologia.  Del  resto,  sul  significato  e  sul-  fine  e  sul  valore  della  Fenome- nitlogiat  i  seguaci  di  Hegel,  com*è  noto,  navigano  pur  troppo  in  opposte correnti  neir  interpretar  la  mente  del  maestro.  È  d'  nopo  dunque  che innanzi  tutto  e*  s*  accordino  fra  loro  e  ci  sappian  dire  se  la  Logica  sia davvero  la  scienza  madre,  la  scienza  davvero  o  priori,  ovvero  abbia  da presupporre  qualcos'altro  dinanzi  a  sé.  In  entrambe  i  casi  le  difficoltà saranno  insormontabili. *  Spatbmta,  Le  prime  Categ,  ecc.  loc.  cit. tità  perchè  entrambi  indeterminaéi,  e  differenza  perchè entrambi  indifferenti;  io  domando:  cotesto  indifferente non  è  già  di  per    stesso  un  indeterminato,  cioè  non differente,  cioè  non  determinato?  Dìinqne  Isl  differenza di  cotesto  indifferente  è  una  parola  com' un' altra;  un pio  desiderio:  perocché,  ripetiamolo,  se  l' indifferente  è irrélativo,  sarà  per    stesso  irrazionale,  sarà  il  nulla,  sarà il  nulla  addirittura  :  quel  nulla  che,  come  dice  il  Vico, non  può  cominciar  nulla,  e  nulla  terminare  :  vuotaggi- ne, e  voragginel  *  Ora  piuttosto  che  dirlo  un  absclide Prius  cotesto  Indeterminato,  non  vuol  esser  anzi  ritenuto come  un  vero  capui  mortuum,  incapace  a  costituir  la scienza  perchè  incapace  a  far  cominciare  il  pensiero?" Sennonché  il  Professore  di  Napoli,  nel  corregger  V  Hege- lianismo,  par  che  voglia  uccidere  il  verme  velenoso  pro- cacciando mostrare  che  il  diverso  ponga  radice  nel  Nul- la, ma  nel  Nulla  inteso  non  già  com' essere  purissimo, astrattissimo,  scioperato,  bensì  come  astraente,  come NuHa-pensiero  il  quale,  perciò,  non  cessa    può  cessare d' esser  pensiero.  Or  bene,  l' illustre  uomo  così  non  ri- solve, ma  sposta  la  grave  difficoltà  del  Trendelenburg. Egli  riesce  a  mettere  un  po' di  calcina  alla  breccia,  è  vero; ma  senz'  addarsene  poi  n'  apre  un'  altra  non  meno  fatale della  prima,  perché  l' intrusione  del  diverso  è  sempre  lì duro  a  chiedergli  ragione  di  sé.  Infatti,  s'egli  considera l'Essere  come  un  in  sé,  e  considera  come  un  in  se anch' il  Non-essere;  non  v'  è  nessuna  ragione  al  mondo perchè  non  abbia  da  riguardare  anche  come  un  in  se il  connubio  de'  due  termini.  Intanto  che  cosa  fa  il  dotto filosofo  ?  Giusto  nel  momento  che  s' hann'  a  decider  le sorti  della  logica  obbiettiva,  giusto  nell'  istante  supremo *  RÌ9p,  al  Oiom,  de*  Leti.,  T,  IL. *  Si  dirà:  è  indeterminato  anche  il  vostro  intelli^bile,  la  {«ce  me- tafisica del  vostro  filosofo.  Verissimo,  io  rispondo:  ma  tra  il  nostro indeterminato  e  quello  degli  Hegeliani  corre  tanto  divario,  quanto  fra un  oggetto  posto  da  natura,  e  quello  colto  d'oMatto;  fra  T  oggetto  ori- ginario intuito,  e  r  oggetto  afferrato  por  risoluzione  astrattiva.  Veggasi quel  che  s*ò  discorso  nel  Gap.  V  e  VI,  di  questo  Lib.  II. in  cui  la  logica  dee  poter  rivestire  natura  e  valore  di metafisica,  egli  cangia  bruscamente  posizione,  e  invoca il  pensiero,  invoca  1'  astraente,  invoca  V  astrazione,  e cosi  dileguatasi  a  un  tratto  V  obbiettività,  ci  fa  divagare nel  mondo  delle  pure  forme,  ed  eccoci  di  bel  nuovo ricacciati  e  ravviluppati  per  entro  alle  fitte  maglie  della tela  di  ragno!  Dunque  (mi  si  chiederà)  a  voler  pene- trare sul  serio  nel  regno  metafisico,  nel  mondo  delle Menti  e  di  Dio  con  metodo  razionalmente  positivo,  chg cosa  è  da  fare?  Il  da  fare  è  manifesto  :  bisognerà  che  il connubio  de'  due  termini,  cioè  il  divenire,  sia  quel  me- desimo che  sono  cotesti  suoi  termini,  dal  cui  annoda- mento esso  dee  pullulare.  In  altre  parole,  bisogna  eh'  e' sia da  sé,  che  sia  per  sé,  che  sia  mediante  se.  Fa  d' uopo,  in- somma, che  r  Essere  (ripetiamo  volentieri  la  bella  frase del  Trendelenburg)  sia  dialettico,  ma  dialettico  davvero, non  da  burla;  dialettico  nel  verace  significato  della  paro- la, e  quindi  atto  a  moversi  da    medesimo,  anche  senza il  vostro  pensare,  anche  fuori  del  vostro  pensare.  Cosi  gli Hegeliani  potrebbero  schivare  qualvogliasi  intrusione;  e così  (e  solamente  così)  potrebbero  conseguir  quella  che tanto  essi  desiderano,  la  scienza  assoluta.  Ma  questo  non ha  fatto  Hegel;  e  questo  non  ha  fatto  Spaventa  benché con  tanto  acume  siasi  adoperato  a  rammendar  lo  strappo micidiale  che  con  abilità  di  grande  maestro  ha  saputo operare  il  dottissimo  Trendelenburg  nella  logica  hegelia- na. E  perciò  il  sistema  delF  identità  assoluta  è,  e  resterà in  perpetuo,  come  é  stato  appellato  nella  stessa  Germa- nia, il  monismo  del  pensiero  (monismi^  des  Gedenkes). Abbiam  detto  che  l' impossibilità  di  mostrare  il  prin- cipio della  difierenza  nel  regno  della  logica  fa    che il  passaggio  al  mondo  della  natura  si  manifesti  arbi- trario, illusorio,  fallace.   L'idea  logica,  dice  il  Vera, è  la  Idea  cieca,  V  Idea  senza  coscienza    pensiero,  la nuda  possibilità:  in  somma  é  l'Idea,  ma  non  l'Idea dell'  Idea.  In  cotesta  imperfezione  logica  sta  proprio  la ragione  del  passaggio  alla  natura,  e  quindi  la  sua  legge, e  la  sua  necessità.*  Dunque,  in  altre  parole,  perchè r  inderminato  è  indeterminato,  perciò  diventa  determi- nato ;  perchè  è  possibile,  perciò  diventa  reale  ;  perchè  è privazione,  perciò  h posizione.  Eccoci  alla  tt-ostc?  aristo- telica. Ma  dicemmo  che  la  privazione  non  è  negazione, non  è  vaga  e  astratta  indeterminatezza,  non  è  pretta potenzialità,  ma  energia,  principio  positivo,  e  potenza feconda  (to'  ^uvarov).  Or  Videa  deìTIdea  di  cui  parla il  Vera,  è  qualcosa  d'assolutamente  potenziale  e  d'in- determinato; è  una  possibilità  logica,  il  to'  ev^e^opevov, non  già  il    ^uvktov,  e  quindi,  meglio  che  principio  po- sitivo, è  negazione  d'ogni  principio.  Come  dunque  prin- cipia e  fa  principiare?  Come  passa  e  fa  passare?  In-, somma,  com'è  che  diventa?* *  Hegel,  Log.,  voi.  cit.  Introd.  e.  XIII,  p.  145. *  *  n  divenirey  osserra  il  medesimo  traduttore,  compie  la  a/era  dd- V  E98ere  e  del  Non-esaerey  e  forma  ti  passaggio  alla  sfera  ptù  concreta  del- l' Idea,  dove  per  novelle  addizioni  V  Essere  e  il  Non-essere  diventanoy  o meglio  son  divenute  {^)  qualità,  quantità,  essenza.  »  (Log.^  voi.  cit.,  p.  127.) Ma  come  fatte,  da  chi  Jhtte  e  perchè  fatte  coteste  novelle  addizioni?  Data la  sfera  dell*  Essere,  del  Non-essere  e  del  Divenire,  si  passa  tosto  e  necessa- riamente alla  sfera  concreta  del  medesimo  e  del  diverso...  Ma  come  si  passa? Chi  vi    il  diritto  d'affermare  cotal  passaggio?  Torniamo  a  domandarlo: siamo  qui  fra*  contraddittori,  ovvero  fra*  contrari?  Siamo  fra  nn  termine posto  ed  un  altro  opposto,  o  non  più  veramente  fra  il  puro  pensiero  e il  soggetto  determinatissimo  e  vivente  che  dicesì  naturai  Per  quanto  si faccia,  la  sola  relazione  logica  e  la  sola  necessità  logica  torneran  sempre inefficaci,  e  però  Hegel  (secondo  la  severa  critica  dello  Stahl)  non  giunge mai  ad  un  mondo  reale.  «  Egli  passa  dal  puro  pensiero  alla  Natura^  perchè? Perchè  l'uno  dee  negare    stesso  ponendo  l'altro,  l' opposto.  Ora  il  ca- rattere dell'opposto,  della  Natura,  non  è  la  realtà,  la  sostanzialità,  la causalità  (attribuiti  già  allo  stesso  pensiero  puro),  ma  è  la  negazione  del- l'essere  sostanziale,  reale,  causale.  Che  cosa  dunque  rimane  alla  Natura? La  semplice  determinazione  del  tempo  e  dello  spazio  (Ved.  Enciclop. §  247).  Or  per  qual  ragione  si  dovrà  ammettere  che  questa  natura  estesa e  temporanea  debba  esistere  attualmente,  che,  cioè,  sia  reale  e  non  sem- plicemente pensata  come  estesa  e  temporanea,  socondochè  ci  accade ne' sogni?  L'opposto  del  pensiero  puro  è  la  Natura  solo  come  tempora- nea ed  estesa  :  ma  per  aver  1'  opposizione  forse  che  non  basta  pensarla come  tale?  «  L^ Idealismo  oggettivo  di  Hegel  (conclude  lo  Stahl)  non  è  meno di  quello  soggettivo  di  Fichte  un  puro  mondo  di  sogni:  Tunica  differenza ì  che  vi  manca  ehi  sogna,  »  {FU.  del  Diritto,  p.  503).    A.  quest'  ultimo e  severo  giudizio  dello  Stahl  ci  piace  qui  aggiungere  quello  d' un  altro Parlando  dell'Idealismo  assoluto  non  possiamo  di- spensarci dall' accennar  poche  cose,  quant' occorre  al nostro  proposito,  sul  suo  organamento  generale,  e  su  le sue  relazioni  storiche  col  Platonismo  e  con  V  Aristoteli- smo in  generale.  Gli  Hegeliani  riconoscono  che  il  mondo si  svolge  per  una  legge  interna  anziché  per  un  caso  o per  necessità  ineluttabile  e  geometrica,  come  pensano  gli Spinozisti  ne' tempi  moderni,  e  come  pensavano  gli  Epi- curei in  antico.  L' Hegelianismo  racchiude  una  grande idea;  l'idea  del  processo,  che  vuol  dh-e  d'un  fine  da conseguire  con  pienezza  di  coscienza,  di  libertà,  di  ra- zionalità. L'Idealismo  assoluto,  quindi,  anziché  cieco meccanismo  e  fatalismo  ineluttabile,  parrebbe  un  es- senziale e  profondo  e  universale  dinamismo.  Ma  eccoci al  punto  1  Al  di    della  natura,  ci  si  dice,  è  l' Idea  che  per ogni  conto  è  indeterminata  e  potenziale  :  al  di  qua  poi ci  é  lo  Spirito,  eh'  é  l' Idea  dell'  Idea.  Ora  abbiam  visto come  la  Natura  non  si  possa  movere  per  l' Idea,  perchè ninno  potrà  mai  dare  quel  che  non  possiede.  Tanto  meno poi  si  potrà  movere  per  lo  Spirito,  perchè  lo  Spirito  vien posteriore  alla  natura,  e  le  si  sovrappone.  Ck)me  dunque movesi  cotesta  Natura?  Per  necessità  logica.  E  quale  è  il fine,  quale  il  motivo  ond'é  spinta,  eccitata,  illuminata? La  razionalità.  Or  non  è  ella  cotesta  una  forma  di  fata- lismo cieco  e  geometrico  che,  quant'  a'  risultati,  non  si  di- varia né  pur  d'un  apice  dallo  Spinozismo?  Qual  differen- aotoreTole  scrittore  su*  difetti  sostanziali  deiridealismo  assoluto.  «  Non 9%  pud  leggere  Hegel  tenxa  chieder9Ì  »*  ei  ragioni  ttd  terio.  Spesso  cade ntl  fatalismo y  nella  personificazione,  e,  leggendolo,  par  d*  assistere  alla  /or- matone d*  una  mitologia,  alla  genesi  di  un  mondo  che  somiglia  qtuilo degli  Gnostici,  in  cui  avviene  che  le  idee  piglino  corpo,  marcino^  e  subi- scano le  piti  svariate  vicende.  >  (SoBRRERt  M^langes  rf*  Histoire  religieuse, pag.  298).  A  proposito  della  Logica  hegeliana  poi  ci  sembra  notevole questa  sent-enza  d*ano  che  se  ne  intende,  e  che  per  il  solito  è  temperatis- simo  ne*  suoi  giudizi:  «  Higd  n*a  pas  renouveU  la  seience,  comme  Venthow situme  de  ses  disciples  Va  parfois  prodanU;  il  Va  dénatwée,  malgri  les avertissements  de  Kant,  et  en  la  faisant  la  premiare  des  seiences,  ou  pour mieux  dire  la  seuU  scienoe,  U  Va  tuée,*  (I.  Babthìlkmt  Saikt-Hilaibie Logique  d^Arisiote,  Tom.  I,  pag.  GL,  Pré&ce.) za,  infatti,  fra  la  necessità  dialettica  e  la  necessità  mate- matica, fra  lo  Stoico  V  Epicureo  lo  Spinoziano  e  V  Idea- lista assoluto  fuorché  la  coscienza,  in  quest'  ultimo,  della razionalità,  eh'  è  dir  la  coscienza  e  la  trasparente  vi- sione di  cotesta  superiore,  arcana,  invincibile,  inelut- tabile necessità?^ Quanto  poi  alle  sue  relazioni  storiche,  notammo  già come  r  Hegelianismo  distinguasi  da  ogni  altro  sistema per  la«pretensione  di  volerli  tutti  accordare  e  tutti  com- piere e  tutti  inverare.  E  poiché  guardando  al  modo generale  onde  si  suol  determinare  il  fondamento  asso- luto delle  cose,  tutte  quante  le  soluzioni  metafisiche possono  esser  rimenate  ai  due  indirizzi  del  Platonismo e  deir  Aristotelismo,  così  gV  Idealisti  assoluti,  con  la dottrina  delia  Idea  e  quindi  del  metodo  dialettico,  re- putano d'esser  finalmente  pervenuti  ad  accordare  l'esi- *    Tale  che  alcuni  fra  i  più  intelligenti  Hegeliani^  stimando  dMnter- pretar  meglio  la  mente  del  maestro,  riguardino  i  tre  momenti  del  processo assoluto,  nonché  i  tre  termini  del  gran  sillogismo,  come  in  un  sol  momeìUo^ cioè  nella  loro  immanenza,  nell'attuale  ed  assoluta  relazione,  vomire  nella immanenza  àeWIdea  della  Natura  e  dello  Spirito-  dandoci  così  a  credere che  cotesta  non  è  altrimenti  la  metafisica  della  Idea  immobile  e  ir- rigidita, e  neanche  della  Mente,  e  tanto  meno  poi  dell*  Ente,  ma  si  la metafisica  Tera  perchè  metafinica  dello  Spirito.  Con  Taggiugnere  al  con- cetto del  processo  e  del  reale  divenire  quello  dell*  immanenza,  panni  che le  difficoltà,  anziché  scemare,  crescano.  Fra  que*tre  momenti  e  que*tre termini,  infatti,  una  relazione  caueale  è  ineyitabile,  essendo  verità  troppo antica  ed  altrettanto  irrepugnabile,  che  la  catua  ì  per  la  tua  e$9enta avanti  V  effetto  (Twv  yàp  fiéd^v^  wv  coriv  l5«  xt  etrj^oirov  xae' o/BOTfjOov,  ocva^xacov  givat    zrpórspoy  airtov  t«5v  /xct'  auro. Arist.,  Metapk.f  1.  II).  E  questo  principio  rlbadiscon  oggi  per  Tia  speri- mentale tutte  le  scienze  naturali  e  fisiche,  mostrando  ad  evidenza  come la  natura  fisica,  nello  svolgimento  cosmico,  preceda  alla  comparsa  del regno  vegetale,  il  vegetale  (secondo  alcuni)  all'animale,  e  air  animale rumano.  Come  dunque  persistere  a  farci  erodere  aW immanenza  del  ter- nario f  Come  scaldarsi  tanto  per  darci  ad  intendere  che  V  Idea  i  insieme Natura  e  Spirito-  e  che  la  Natura  è  insieme  Idea  e  Spirito  f  È  metafisica positiva  cotesta?  o  non  più  veramente  un  abuso  di  logica  nonché  un'in- giuria ai  pronunziati  più  sicuri  della  moderna  scienza  di  natura?  L'op- posizione più  salda,  più  seria,  più  invitta  all'  Idealismo  assoluto  la  fanno oggi  le  discipline  sperimentali.  R  pure  gli  Hegeliani  non  se  ne  accor- gono! Felicissimi  loro! genza  metafisica  dell'  uno,  con  quella  dell'altro  sistema. Or  è  in  questo  preteso  accordo  eh'  ei  si  palesano  iper- psicologisti  per  doppio  rispetto.  Osservammo  come  uno de'  massimi  concetti  dell'  Aristotelismo  sia  quello  del moto;  fondamento  e  sintesi  di  tutte  le  categorie,  ou  xoivóv.  Metaph.,  1.  VII. *  TóSe  yy.p  rt    f^soóiievov  >?   Si  xcvyjaiC}  ov.  Phys,,  IV. *  Twv  a^à^ffwv  Z"»  e)  xévvjo'cc);  oX>)  ^%p  ri  zapi  fVT£(ai (TXSìpi?  ÒLV^p7)T0Lt.  Melaph.y  I.  I. '  Tal  è,  per  esempio,  il  ciottissimo  Felice  Raraisson,  il  quale,  se- gnatamente nel  2**  yolame  dell*  opera  che  noi  più  Tolte  abbiamo  citato, si  mostra  critico  assai  poco  benigno  verso  le  teoriche  platoniche  nel porre  a  riscontro  la  Dùdettiea  e  la  Metajitùsa,  E  di  questo  difetto  è  stato giustamente  ripreso  dagli  stessi  francesi  fra*  quali  Janet.  {ÉhuL  tur  la DialecHque  dant  Platon  et  dans  Hegel,  Paris,  1861,  p.  87.) come  nota  lo  Zeller,  che  le  idee  abbiano  da  esser  lo  stesso che  i  sensibili;  onde  poi  la  conseguenza  su  l'inutilità  di ciò  che  Aristotele  chiama  sensibili  etemi,  la  facilità  di rilevare  T  assurdo  delle  essente  separate,^  il  rimprovero su  la  necessaria  vacuità  degli  eterni  parodigmi,  e  la  irrisa e,  certo,  ridevole  mitologia  delle  idee  come  reminiscenze d' un'  altra  vita.*  Ora  il  Platonismo  espostoci  da  Aristo- tele arieggia,  per  più  rispetti,  al  sistema  dell'  assoluta identità  :  di  guisa  che  ov'  altri  desiderasse  elementi per  una  severa  confutazione  della  dottrina  hegeliana, dovrebbe  intendere  Platone  così  come  lo  intese  il  suo  ce- lebre discepolo  e  come  lo  stesso  Platone  si  rivela  talvolta nel  Parmenide  e  nel  Sofista,  e  saperne  quindi  ritrarre gli  assurdi.  Anche  nel  Platonismo  passato  per  la  trafila dello  Stagirita  si  può  dire  esser  la  logica  quella  che crea  il  mondo,  essendo  la  nozione,  il  generale,  Punita indeterminata  che  pone  il  multiplo.  Fra  il  finito  e  l'tw/ì- nito,  fra  l' Ente  ed  il  Non-ente,  fra  1'  Uno  e  V Altro (rauToi,  5dÌ7spoy)  nou  ci  ha  chc  uu  rapporto  di  natura logica;  sia  che  si  parli  di  fx^juviacc,  sia  che  di  fisOf^ic, ovvero  d'una  relazione  intima  ed  essenziale  emergente  *  "Ere  Sol^iisv  av  aSiivarov  ywpc'c  stvae  tìj'v  ouT^av  xai OH  VI  o\J7iOL'  wt7«  ctw;  «y  ac  cosai  ovacat  t»v  apxyfAOiTta'» oZdOLi  X^P**"^  suv.  Metaph,,  1.  XIII. '  Quanto  al  vaJore  della  critica  Aristotelica  cons.  lo  Zbllkb  {Eapo- •inone  arittotelica  ecc.,  ed.  cit.,  p.  482).    Vedi  anche  Tbendblbkbubq come  intende  i  n^ùròc  àpt^fAoi  {PleUonU  de  idei»  et  numerie  doetrina ex  Ariet.  iUtutrata,  Lipzia,  1826,  p.  78  e  seg.)    Stillbaum,  Prolog,  in Parmenide,  p.  129,  ove  tocca  dell*  esposizione  aristotelica.    !.  Simon, Étnd.  tur  la  Théodieée  de  Platon  et  cT  Artet,  p.  153  e  seg.    Cuosiir, note  al  Tim.,  p.  860  dorè  Platone  è  difeso  dall*  accusa  riguardante  la causa  finale.    Jacqitks,  Thior.  dee  Idée*  réfutiee  par  Ariet,    Lkvbano, De  la  Critique  et  Ice  Idéee  Platonicienne»  par  Ariat.  au  premier  liv.  de la  Métaph.    Lrclf.bc,  Penniee  de  Platon  preceduti  da  una  Hist.  abrégie du  plaumieme,    Oggimai  dunque  le  interpretazioni  e  la  difesa  in  favore di  Platone  sono  tante  e  così  evidenti,  che  la  crìtica  aristotelica  è  ri- dotta ai  suoi  legittimi  confini.  Molte  obbiezioni  Aristotele  andò  cercando col  lumicino;  ma  alcune  reggono  e  reggeranno  contro  ogni  forma  di Platonismo  come  altrove  toccammo,  e  come  vedremo  meglio  nel  pros- simo capitolo. dalla  natura  stessa  delle  idee  secondochè  appare  nel Parmenide.  Non  è  questo  il  luogo  per  dire  qual  possa essere  il  significato  sincero  di  questo  celebre  dialogo  e quale  il  metodo  più  acconcio  onde  vuol  essere  inter- pretata la  mente  di  Platone.  Ripetiamo  che  per  lo  Sta- girita,  come  per  alcuni  critici  francesi,  sembra  che  il filosofo  Ateniese  rimonti  all'  assoluto  mercè  gli  artifizi dell'  astrazione,  dispogliando  le  cose  de'  lor  caratteri individuali,  risalendo  gradatamente  a'  rispettivi  proto- tipi, e  giugnendo  così  al  minimo  della  realtà,  cioè  al generale  che  per    stesso  è  cosa  indeterminata  e  vuo- ta.*Ora,  dare  al  Platonismo  cotesto  valore  tornava comodo  al  discepolo  per  meglio  combattere  il  maestro  ; ed  era  altresì  naturale,  atteso  che  il  metodo  adoperato da  Aristotele,  anziché  iperpsicologico  ed  astratto,  come dicevamo,  si  palesa  essenzialmente  psicologico,  speri- mentale, induttivo  nell'ampio  significato  di  questa  pa- rola, per  cui  la  sua  metafisica  riesciva  al  massimo  delle realtà  eh' è  l'Atto  puro.  Così  ciò  che  per  questi  in- terpreti è  il  minimum  pel  malinteso  Platonismo,  è  il maximum  pel  beninteso  Aristotelismo. Questo  fa  oggi  l'Idealismo  assoluto,  ma  il  fa  con quella  ricchezza  d'espedienti,  come  giustamente  osserva r  illustre  traduttore  di  Hegel,  e  con  quella  possente vena  di  speculazione,  che  sanno  dar  venti  e  più  secoli di  storia  e  di  profonda  attività  filosofica.'  L' Hegeliano condanna  il  metodo  aristotelico,  lo  dice  empirico,  e  si studia  invece  di  seguire  e  compiere  il  metodo  dialettico dell'autore  del  Parm^enide;  ma  nel  fatto  non  fa  che  per- petuare la  vuota  posizione  del  Sofista^  in  quanto  che  col TÒ  ov  di  questo  dialogo,  che  è  precisamente  il  suo  In- determinato, e'  si  riman  sempre  nelle  secche  della  logica.' '  Rayaisson,  op.  cit.,  t.  II,  p.  14. ■  Vera,  V Hegelianifime  tt  la  PhUoBopkie,  p.  Iò8  e  seg. •  Ma  è  poi  davvero  Y Indeterminato  la  posizione  del  Sofista?  È  egli  tale forse  r«»«er«  che  ì  realmente  e  aaeolvUamejUe :  rw  travre^wc  ovt«? {Soph.,  p.  249) L'Idealista  assoluto  non  riesce  al  minimum  platonico, è  vero  :  ma  comincia  dal  minimum  dell'  essere,  perchè salendo  di  slancio,  come  dicemmo,  air  Indeterminato, coglie  immediatamente  (es  egreift)  l'In -sé  {dans  ansich) che  è  Nulla  ed  Essere,  e  poi  con  metodo  dialettico  e  ge- nerativo egli  viene  sgomitolando,  a  così  dire,  ogni  cosa con  ritmo  costante,  immutabile,  invincibile,  matematico, monotono,  per  indi  riuscire  al  medesimo  punto  onde era  mosso  per  l' innanzi.  E  con  ciò  pensa  d'aver  con- seguito il  vantato  accordo  fra  T  Aristotelismo  e  il  Pla- tonismo, mentre  in  realtà  ad  altro  non  riesce  che  ad una  forzata  compenetrazione  e  meschianza  del  melenso e  indiscerniljile    cv  con  quel  Noùc  immobile,  solitario  e tutto  chiuso  entro    stesso  di  cui  Aristotele  parla nel  XII  libro  della  Metafisica.  L'  Hegeliano  quindi  é iperpsicologista  per  doppio  conto.  Egli  incarna,  esplica logicamente  e  compie  mirabilmente  uno  de'  due  indirizzi estremi  dell'  Aristotelismo,  e  insieme  interpreta  il  Pla- tonismo con  una  critica  che  somiglia  non  poco  a  quella d'  Aristotile. Concludiamo.  Abbiam  visto  come  la  forma  di  me- diazione onde  i  Positivisti  mostrano  d'aver  coscienza dell'  Assoluto  sia  contraddittoria.  Essi  protestano  di  non saper  nulla,  di  non  poter  nulla  sapere  di  metafisico  ;  ma nel  fatto  confessano  un  nescio  quid,  la  realtà  d' un  ob- bietto  trascendente.  Lo  confessano  in  maniera  empirica, e  si  contraddicono  anche  qui,  perché,  dichiai'andolo  In- conoscibile, negano  così  l' esigenza  più  vivace  della  ricerca,  negano  il  metodo  positivo,  negano  la  critica  severa  e feconda.  Positivisti,  Critici,  Scettici  o  com'  altrimenti  si chiamino  cotesti  filosofi  déW  avvenire,  non  hanno  e  non vogliono  aver  fede  nell'  indagine  d' un  sapere  metafisico. Essi  dunque  condannano    medesimi,  il  proprio  metodo, la  ragione  e  la  storia  della  scienza,  poiché  non  fanno che  perpetuare  un  aristotelismo  fiacco,  empirico,  unila- terale, impotente,  negativo.    Ad  un  opposto  resultato riesce  il  neoaristotelico  iperpsicolggista.  L'idealista  as- Bolnto  dice  di  conoscer  l'Assoluto,  d'intenderlo  nel  senso più  stretto  di  questa  parola,  perchè  lo  fa  solo  in  pen- sandolo, e  ripensandolo  il  rende  a    stesso  traspa- rente. Chi  conosce  Bram  è  già  Bram,  dice  il  filosofo  in- diano.* Chi  giugne  a  pensar  Dio,  l'infinito,  ci  dicon gl'Hegeliani,  egli  è  già  Dio,  è  già  l'infinito.  Ma  il  modo con  che  pervengono  a  pensarlo,  il  processo  di  mediazione, non  è  processo,  non  procede,  non  cammina,  ma    in  sé rigira,  direbbe  l'Alighieri,  poiché  riman  sempre  nel mondo  del  più  puro  pensiero,  del  subbiettivismo,  in  quel letto  di  Procuste  appellato  formalismo  logico,  come  del- l' Hegelianismo  dice  un  illustre  scrittore  vivente  di  Ger- mania.' Cotesto  processo  quindi  é  una  mediazione  bu- giarda, perchè  non  é  vera  e  legittima  conversione. Quell'ombra,  dunque,  di  dottrina  metafisica,  quel vano  conato  di  conoscenza  trascendente  che  ci  porgono  i Positivisti  col  confessare  la  realtà  d'unDews  absconditus ci  rappresenta  una  delle  forme  costituenti  la  prima  |)0- sùnone  speculativa;  la  quale  perciò,  chi  guardi  alla  legge istorica  aristotelica  secondo  cui  si  svolve  il  pensiero filosofico  (pag.  272  e  segg.),  s'addimostra  tutt' altro  che positivo,  in  quanto  che  ci  rappresenta  l'esagerazione del  Dommciismo  empirico.  La  dottrina  hegeliana  poi neir  attingere  a  modo  suo  l' Assoluto  e  nel  determinarlo, ci  rappresenta  invece  la  seconda  posizione  speculativa, ed  è  l'esagerazione  del  processo  deduttivo,  in  quanto é  Dommatismo  sistematico  assoluto;  e  neanche  questo merita  nome  di  positivo.  I  Neoaristetelici  moderni,  dun- que, sia  che  per  necessità  di  sentimento  e  d' opinione  e d'istinto  pongano  l' Inconoscibile,  sia  che  a  furia  di  spe- culazione trascendentale  pongano  l'Indeterminato  come un  absdute  Prius,  partono  dall'ignoto;  partono  dal- l' impensabile.  Essi  movono  dal  buio,  o  riescono  al buio  :  talché  rassomigliano  a  que'  filosofi  di  cui  parla  Aristotele, i  quali  fanno  nascer  tutte  cose  dalla  notte  :  ol *  CoLEBBOOKE,  PhiL  dea  HindotUf  2.  ed.,  Ess.  II. *  Gbbvihub,  Hìh,  du  IHx*Neuviéme  SihUe,  Tom.  XIX.  Paris,  1 868,  p.  86. fx  vuxTo'c  7fvvo3vTic.  Perciò  i  Neoaristotelici,  s' appellinQ Hegeliani  o  Positivisti,  meritano,  comecché  per  ragioni diflFerenti,  il  titolo  di  filosofi  della  notte  ;  mentre  i  Neo- platonici con  le  vantate  visioni,  intuizioni,  splendori, irradiamenti  e  influssi  divini,  ben  ci  figurano  i  filosofi del  giorno  e  della  luce. Il  positivo  nel  conoscere  metafisico  non  istà  nella immediatezza  de'  Neoplatonici,  e  neanche  nella  media- zione de'  Neoaristotelici.  In  che  dunque  vuol  farsi  con- sistere? Capitolo  Nono. su  LA  RICERCA  DELL'ASSOLUTO SECONDO  LA  RAGION  FILOSOFICA  POSITIVA. Altrove  notammo  come  V  Essere  s' incarni  e  sostan- zii  ne'tre  processi,  ideale^  naturale,  istoricO'Sociologko: e  come  il  Vico,  a  significare  l'indipendenza  di  ciascuno e  insieme  la  comune  legislazione,  siasi  ben  apposto  nel chiamarli  a  Mondo  delie  Menti  e  di  Dio^  Mondo  della Natura^  Mondo  dello  Spirito  »  (p.  257).  Avvertimmo  al- tresì che  le  scienze  le  quali  studiano  lo  spirito  in  sé stesso  indipendentemente  dallo  svolgimento  isterico,  si adunan  tutte  nelle  tre  discipline  fra  loro  distinte  eppur connesse  in  unico  organismo,  i  cui  tre  momenti,  per così  esprimerci,  sono  il  Primo  psicologico,  il  Primo  lo- gico  e  '1  Primo  vero  metafisico  (p.  375  e  seg.) Ora  il  Processo  ideale  è  la  dialettica;  la  quale  vo- lendo essere  avvisata  sotto  doppio  rispetto,  ideologico e  metafisico,  è  davvero,  come  l'han  sempre  designata  i Platonici  ed  i  Neo platonici,  una  scala;  ma  una  scala  a doppio  congegno;  una  scala  ascensiva  e  discensiva,  come direbbero  certi  viventi  critici  francesi  nell' interpretare il  Parmenide  di  Platone,'  In  qnanto  ascensiva,  è  ideologia  ;  e  V  ideologia,  se  non  avesse  alcun  valore  dialet- tico, altro  non  sarebbe  che  una  serie  di  norme  logiche e  un  cumulo  di  leggi  e  d'attinenze  onninamente  formali. Essa  dunque  rappresenta  il  processo  eduttivo. Questo  processo  muove  dal  Primo  logico,  e  riesce  al Primo  vero  metafisico;  e  vi  riesce  col  mezzo  delle idee  (ntpi  iSé(av)  che  sono  il  medio  per  eccellenza,  lo strumento  pili  acconcio,  più  legittimo,  e  perciò  la  prova razionalmente  positiva  per  potere  attinger  la  notizia  del- l'Assoluto.* In  quanto  poi  la  dialettica  è  discensiva,  è metafisica;  ed  è  metafisica  perchè,  giunti,  come  accen- nammo, al  sommo  della  scala,  il  Primo  vero  meta- fisico assume  valore  di  Principio  metafisico  che  è  an- ch'egli  .processo  e  conversione  con    e  col  fuori  di sé.  Nel  Vico  é  abbastanza  chiara  l'esigenza  di  que- sto doppio  rispetto  della  dialettica  laddove,  nella  sim- bolica Dipintura  della  Scienza  Nuova,  pone  il  pen- siero e  l'essere  come  formanti  un  organismo,  un  sol mondo,  il  Mondo  delle  Menti  e  di  Dio^  secondo  che  ci venne  fatto  d'avvertire  nell'altro  capitolo  (p.  379).' *  Vedi  per  es.  Jankt,  Étude  »ur  la  Dicdectìque  ecc.,  ed.  cit.  p.  2'28, —  Vaoherot,  HÌ9t.  critique  de  VÉcole  (TAlex.^  t.  I,  p.  64.    NoCTRlsSOir, Expo8Ìtion  de  la  Théorie  pUUonieienne  de$  idée»,  PftHs,  1862,  p.  65.  ~ Simon,  HìH.  de  VÉcole  d'Alex,,  t.  I,  L  II,  e.  II. *  Perchè  le  idee  tornino  fruttuose  han  d' avere  un  valore  dialettico. Cons.  a  questo  proposito  Plat.,  De  Rep.,  VII:  Sop}i.\  p.  253,  ed.  cit.  — Abist.,  Metaph.,  1, 6.    Proclo,  Comm,  in  Parm.,  t.  IV,  1. 1.  Il  metodo  dia- lettico beninteso  risale,  secondochò  notammo,  a  Socrate,  come  quegli  che trasferi  tale  parola  dagli  usi  della  vita  (^ta'kéyt'jBxL^  eonvereare),  agli usi  della  scienza.  Però  dialettica,  nel  suo  razionale  significato, indica  la  con- venione  della  mente,  vuoi  con    medesima,  vuoi  con  altro.  Il  Vico  intende a  meraviglia  tale  origino  istorica,  nonché  Tapplicazione  speculativa  alla scienza,  laddove  afferma  :  V  ordine  delle  umane  cote  i  d*  ouervare  le  cote SIMILI,  prima  per  ISPIROASSI,  dipoi  per  provabr  ;  e  ciò  prima  con  V  ESKM- PLO  che  ti  contenta  d*  una  coea^  finalmente  con  V  INDUZIONE  che  ne  ha  hi' eogno  di  piò:  onde  Socrate,  padre  di  tutte  le  eitte  de*filo9ofi,  introdueee la  Dialettica  con  V  Induzione  che  poi  compiè  Aristotele  col  eillogiemo eJte  rum  regge  senza  un  universale,  {Se,  Nuo,  1.  II.)  Veggasi  quel  che  abbiamo discorso  quant*  al  metodo,  p.  246  e  seg.  ;  275  e  seg. *  Ricordiamoci  che  per  noi  la  metafisica  non  ò  sdema  aeedlmUi,  bensì Il  nodo  gordiano  della  filosofia,  e  però  la  chiave della  metafisica,  son  le  idee.  Se  il  lettore  ha  badato  al processo  e  alla  genesi  psicologica  che  assai  fuggevol- mente venimmo  tratteggiando,  avrà  potuto  indurre  qual sia  e  qual  debba  essere,  secondo  V  esigenza  del  filoso- fare positivo,  r  origine  e  la  natura  delle  idee.  Coteste idee  non  sono  entità  puramente  formali,    puri  concetti dello  spirito.  Non  sono  essente  sparate,  almeno  quelle intomo  alle  quali  (come  usava  dire  il  Galilei)  possiamo *  discorrer  noi  umanamente;  e  però  non  sono  sostanze esteriori,  come  Aristotele  interpreta  i  napaStiyyiotrx  del filosofo  Ateniese.  Non  sono  concetti  innalzati  ad  univer- salita  determinata  ne^  quali  col  chiudersi  il  circolo  del- l' essere  si  esauriscano  ed  assolvano  le  ragioni  delle  cose, com'  è  per  gl'Idealisti  assoluti.  Non  sono,  a  dir  proprio, le  cose  stesse  nelle  assolute  lor  qualità.  E,  finalmente, non  sono  quasi  altrettanti  simboli,  o  spiragli  attraverso cui  si  affaccia  al  pensiero  l'Assoluto.  Le  idee  costituì-, scono  il  prodotto  del  processo  psicologico.  Elle  dunque sono  una  fattura  di  nostra  mente:  son  la  mente  stessa, direbbe  il  Vico,  ma  la  mente  in  quanto  è  Magione  spie- gata. Ecco  le  idee  umane,  sul  cui  svolgimento  s'imba&a tutto  l'edifizio  e  tutto  il  valore  della  Scienza  Nuova.* Mcienxa  ddP  à»9oIìUo  in  quanto  è  Critica  del  Vero.  Però  accettiamo  anche qui  la  sentenza  che  costituisce,  diremmo,  la  chiave  dell*  indiriuMo  medio dell*  Aristotelismo.  Per  Aristotele  la  Metafisica  è  «ciennadeU^AatolìUo;  e questa  scienza  dell'Assoluto  è  anche  logica,  logica  in  «2,  logica  in  quanto considera  l'essere  »n  «è,  realmente  :  to'  sgw  ov  xai  x^/^'^l^v. {Metaph.,  XI):  il  che  consuona  con  la  sentenza  del  Vico  riferita  altrove: Quello  che  è  metafiaica  in  quanto  contempla  le  cote  per  tutti  i  generi  delV  e»- aere,  lo  tteseo  è  la  logica  in  quanto  considera  le  coee  per  ttUti  i  generi  di Bignifienrle.  Col  pensiero  d'Aristotele  poi  rinverga  il  concetto  del  suo  mae- stro. Platone,  come  ò  noto,  appella  filosofi  quelli  a*  quali  ò  dato  asseguir  la notizia  di  ciò  che  è  costante  e  assoluto  (^cXóaoooc  jiasv  oc  toù  àcc xxT«  rauToè  wc«i»tw;  e;^ovTo;  5«và^«ovi  SfxnrtfrOxt.  Bep.y VI,  484,  A.) *  A  prima  giunta  parrebbe  che  nella  dottrina  delle  idee  il  Vico  fosse un  filosofo  arciplatonico,  ma  non  è.  La  dialettica  platonica,  intesa  in  un  certo senso,  non  può  menomamente  prescindere,  come  osserva  il  Simon,  dalla  dot- trina della  reminiscenza:  La  euppreseion  de  la  remini»cenee  en  peycologie ut  la  négation  de  la  dialectique  et  de  la  tkéorie  de»  idée»  (Op.  cit.,  t,  1, Ma  se  le  idee  sono  il  moto  stesso  e  lo  stesso  esul- tato della  energia  psichica,  e,  come  tali,  chiudono  il  cir- colo della  natura  e  dello  spirito,  non  però  chiudon  sé stesse,  anzi  dischiudonsi,  e  col  dischiudersi  ci  mostrano di  lor  natura  un  intimo  riferimento  all'  Assoluto.  Se r  uomo,  lo  spirito,  secondo  la  nozione  del  nostro  filo- sofo, non  è,  a  dir  proprio,  Y  infinito  attuale  e  nemmanco r  attuale  finito,  ma  una  potenzialità  infinita,  una  po- tenza che  tendU  ad  infinitum,  ne  seguita  che  anche, le  idee,  sue  determinazioni,  voglion  esser  fomite  del doppio  carattere  della  finità  e  della  infinità,  sia  che  le si  considerino  nelle  intime  lor  attinenze  organiche,  sia che  nella  lor  solitaria  immanenza.  Dunque  l'idea  è genm,  è  forma  metaphysica,  e,  come  tale,  somiglia  alla forma  del  plasticatore,  anziché  a  quella  del  seme.*  Ma anche  come  genere,  anche  come  forma  metafisica  l' idea è  finita  e  infinita:  finita  in  ampiezza  e  universalità;  infi- nita in  perfezione.'  Però  tiene  del  finito,  in  quanto  che un'  idea  non  è  l'altra;  e  tiene  poi  dell'infinito,  perchè  è p.  241).  Or  la  dottrina  psicologica  del  Vico,  secondo  che  noi  siamo Tennti  interpretandola,  contraddice  ad  ogni  platonica  reminiscenza,  ad ogni  maniera  d*  intùito  iperpsicologico  ;  anzi  non  mancano  luoghi  ne^qaali egli  condanni  questa  dottrina.  (De  Univ.j'ur.^  e.  1, 1.)  Quanto  alla  Scienza e  alla  Virtù,  dice  esser  cose  che  hisogna  edurle  dalla  mente  e  dairanimo come  fa  T  ostetrico  (De  Coruu  PhiL,  e.  I).  Non  è  poi  nniraffatto  plato- nica nò  quant*alla  natura,    quant*  all'  origine  delle  idee,  perchè  le  idre, per  lui,  non  sono  gli  eterni  veri  (essenze  separate  ed  esemplatriei)^  ma  sono entità  che  significano  l'Assoluto  in  quanto  si  riferiscono  a  ]uì  [De  Univ., e.  y,  1).  Non  sono  quindi  appreso  direttamente,  ma  fatte.  Vedi,  per  es., quel  che  dice  sul  generarsi  de*  generi  e  delle  forme  metafisicke,  le  quali a  nostris  pueris  primulum  bua  spontk  «xpZtcantur  (Ibi,  e.  XII,  ili,  5).  E ciò  non  pertanto  gli  hegeliani  V  han  battezzato  o  seguitano  a  battezzarlo per  platonico  sviscerato  !  Neil'  altro  capitolo  vedremo  fino  a  qnal  segno e  per  qual  ragione  egli  possa  meritarsi  questo  titolo. *  Forma»  intelligo  metaphysioas  (pice  a  physieis  ita  diversce  sunti  «* forma  plaatm  a  forma  seminis.  Plastce  mim  forma  dum  ad  eam  quid  fer- matur,  manet  idem  et  semper  formato  perfeetlor  ;  forma  seminis,  dum  quo- tidie  se  esplicai,  demutixtur  ae  perjicitur  magie:  ita  ut  formfn  pkysicct  sint ex  formis  metaphysieis  formatw  {De  Antiq.,  c.  Il,  §  2).  Vedremo  fra  poco qual  valore  abbia  quest'ultima  sentenza. *  Genera  esse  formas,  non  amplitudine,  sed  perfezione  injìnitas  (Op.  cit. C.  U,  1). l'altra  e,  sotto  certo  rispetto,  tutte  le  altre.  La  legge  dia- lettica, dunque,  è  la  stessa  legge  universale  dell'  essere; legge  di  conversione;  legge  d'alterità  e  di  medesimezza. Sennonché  cotesta  conversione  ideale  non  è  semplice opposizione,  e  neanche  compenetrazione,  conciossiachè la  ragione  dell'un  termine  non  istia  solamente  nell'altro. Il  dialettismo  si  radica,  non  già  nelle  idee  come  opposte fra  loro  o  come  generate,  ma,  innanzi  tutto,  nel  soggetto che  le  genera.  Un'idea  non  è  universale  perchè  perfetta, ne  perfetta  perchè  universale.  E  non  è  finita  perchè infinita,    infinita  perchè  finita.  Questo  è  l'errore  delle dialettiche  a  priori  che,  levando  a  principio  l' opposizione per  r  opposizione,  riescono  ad  un  pretto  mecca- nismo ideale.  Un'  idea  è  infinita,  o  finita,  principalmente per  sé,  e  anche  per  l' àUra.  Se  dunque  la  lor  conversione non  è  equazione,    semplice  opposizione,  ne  consegui- tano due  cose:  V  ch'elle  non  chiudono  il  circolo; 2*"  eh'  esse  importano  l' ideato  nella  pienezza  di  sua  real- tà. Si  vorrà  supporre  che  anche  cotesto  ideato  sia un'idea?  un'idea  madre?  E  allora  avrà  luogo  il  mede- simo discorso,  e  saremo  sempre  daccapo.  Si  vorrà  giu- gnere  all'idea  dell'essere  mercè  i  soliti  lambicchi  de' raf- finamenti e  assottigliamenti  astrattivi?  E  avremo  la nuvola,  non  Giunone  !  Certo,  l' idea  dell'  essere  non  è come  le  altre,  finita  nell'ampiezza,  bensì  infinita,  uni- versale; ma  è  vuota,  è  vacua,    altro  è  capace  di  dare fuorché  yffi'kÒLi  evvoiaf.  Ella  comprende  tutto,  ma  non  rac- chiude nulla  :  è  un  Primo  logico,  non  già  un  Primo  vero metafisico.  Dunque  vuol  esser  determinata;  stanteché debba  cessar  d' essere  infinita  per  universalità,  e  assu- mer valore  d'idea  infinita  per  perfezione.  L' ascensione dialettica  perciò  è  incalzata  dallo  stesso  principio  della conversione;  e  la  mente  deve  posare  in  quell'ideato che,  a  dir  proprio,  sia  un  ideato  dialettico,  ciò  è  dire conversione  piena,  assoluta,  vivente,  reale.* *  1  Generi f  dice  il  Vico,  aono  non  per  univer»alità,  ma  per  perfezione inJiniH:  e  questo  eeeere  U  brieve  e  vero  9en§o  del  lungo  e  intricalo  F€tnn&' Se  r  idea  è  infinita  non  per  ampiegm  ma  per_per- fmone,  perciò  non  va  confusa  col  concetto;  al  modo nide  di  Platone;  e  questo  intendimento  doverti  dare  alla  famosa  Scala ddle  Idee  onde  i  Platonici  pervengono  alle  perfeUianime  ed  eteme  (Bisp.  I, al  Oiom.  de*  Lett.,  II).  Quanto  al  brieve  e  vero  senso  del  Parmenide  toc- cheremo più  giù.  Dove  poi  il  Vico  dice:  Genera  esse  formasy  non  amj^itu- dinef  sed  ptr/ectione  injinitas^  tosto  SOggiugne  :  et  quia  injinitas^  in  uno Deo  esse....  Come  va  intesa  questa  sentenza?  In  quanto  le  idee  possie- don  carattere  dMnfinità  e  d*  assoluta  perfezione,  elle  sono  in  Dio;  e sono  in  lui  perchè  forman  tutte  assoluta  unità,  e  assoluta  totalità:  uni- totalità.  Lo  avea  detto  Galileo  che  non  era  un  metafisico  :  Le  idee,  perchè inJinitCf  sono  una  sola  ndV  essenza  loro  e  nella  mente  divina  (Op.,  ed.  Al- bóri, 1. 1,  Dial.  de*  Mass.  Sist,,  p.  116).  Ha  in  quanto  possiedon  Tubo  e r  altro  carattere,  elle  si  producono  e  rìseggon  nello  spirito,  nel  pensiero  ; sono  il  pensiero;  e  sono  finite  e  infinite  perchè  tale  è,  ripetiamo,  la  natura stessa  dello  spirito,  cioè  potenzialità  infinita.  Ne  viene  perciò  che,  ove  le idee  fossero  infinite  in  atto,  non  potrebbero  essere  altresì  finite.  E  dove fossero  solamente  finite  e  puramente  universali,  sarebbero  forme  vuote  e astratte,  e  però,  contraddicendo  air  intera  dottrina  psicologica  del  nostro filosofo,  cadremmo  nel  pretto  sensismo.  Or  le  idee,  le  nostre  idee,  non  sono infinite  e  perfette  perchè  siano  lo  stesso  Dio  o  pertinenze  di  Dio,  ovvero spiragli  ond*ei  s*  afikccia  al  pensiero,  come  dice  il  Mamiani  col  suo  lin- guaggio tinto  di  certo  color  poetico;  ma  son  tali  perchè  tale  per  T ap- punto è  il  soggetto  che  le  partorisce;  il  quale  perciò,  mediando    stesso come  potenziale  infinito,  deve  per  necessità  eduttiva  concludere  alla  no- tizia deir  Assoluto.  Di  qui  nasce  che  le  idee  non  possono  essere  infinite di  fatto,  e  ce  *1  dice  egli  stesso  :  enim  vero  ista  genera  nomine  tenue  infinita, homo  enim  ncque  nikil  est,  ncque  omnia.  Quare  nee  de  nihilo  nisi  per  ali- quid  negatum,  neo  de  infinito,  nisi  per  negata  finita  cogitare  potest.  Ai enim  omnis  triangulus  habet  angulos  cequales  duobus  rectis.  Ita  bene:  sed non  id  miìU  infinitum  verum,  sed  quia  habeo  trianguli  formam  in  mentGot imprcssam,  cujus  hanc  nosco  proprietatem,  et  cu  mihi  est  archetypus  cete- roruh  (Op.  cit.,  e.  Il,  §  16,  17).  Fatta  dunque  Videa,  tosto  in  essa  io riconosco,  non  già  V  infinito,  ma  il  carattere  della  infinità:  hanc  proprie- totem  nosco.  Per  questa  proprietà  essa  diventa  un  archetipo,  diventa una  misura  {archetypus  ceterorum);  e  come  archetipo  e  misura  ella,  per me,  è  un  assoluto;  e  così  è  vero,  che  Vuom  tende  a  farsi  regola  deW  uni- verso,che  vuol  dire  tende  a  farsi  assoluto.  E  qui  toma  acconcio  il  ri- confermare quella  relazione  che  tra  le  opere  del  Vico  altrove  procac- ciammo chiarire.  Nella  Scienza  Nuova  Tuomo  è  regola  e  misura  in  tre maniere,  secondo  i  tre  momenti  dello  svolgimento  isterico  ;    nella  fase 0  stato  divino,  per  credenza  e  per  sentimento;    nella  fase  eroica,  per arbitrio,  forza,  potere,  volere  ;  3  nella  fase  umana,  per  magistero  logico e  scienziale,  cioè  per  la  ragione  spiegata,^eT  le  idee  {idee  umane).  Ecco dunque  una  prova  novella  che  ci  mostra  come  la  Scienza  Nuova,  anziché contraddire  al  Libro  metafisico,  lo  esplichi  e  lo  legittimi  sempreppiù,  al modo  istesso  che  questo  riassume  le  ragioni  metafisiche  di  quella. istesso  che  l'intendimento,  secondochè  mostrammo,  non è  da  confondersi  con  la  ragione.  Tanto  Videa  quanto il  concetto  sono  una  dualità,  perchè  T una  e  l'altro  sono conversione,  giudizio,  e  però  medesimezza  e  distinzione. Ma  la  dualità  dell'  idea  è  l' universalità  e  \2l  perfezione; dovechè  quella  del  concetto  è  l' estensione  e  la  compren- sione. Nel  concetto^  come  vedemmo,  ci  è  sempre  un'orma del  fantasma  (p.  321);  e  nell'  idea  v'  è  sempi-e  un'  orma del  concetto^  cioè  il  comune,  l'universale.  Or  chi  dirà che  il  concetto  abbia  carattere  d'infinità  solo  perchè  sia comune  e  universale?*  Il  circolo,  a  mo'  d'esempio,  in quanto  è  universale,  è  concetto;  ma  in  qijanto  racchiude la  nota  essenziale  ond'  e'  si  discerne  da  ogn'  altra  no- zione, è  quello  che  è  ;  è  perfettissimo  ;  è  infinito  ;  e  così lo  pensa  Dio  come  l'uomo.* '  Si  vero  id  contendane  etse  injinitum  gentu  (cioè  che  i  tre  angoli d*aii  triangolo  rettilineo  siano  eguali  a  due  retti,  eh' è  l'esempio  rife- ritopoco  fa  dallo  stesso  Vico),  quia  ad  eum  trianguli  archettfputn  accom- modari  innumeri  trianguli  po«8unt,  id  tibi  habeant  per  me  licet;  nam vocabulum  iÌ9  lubens  condono,  dum  ipti  de  re  mecum  eentiant.  Sed  enim  per- peram  loquuntur,  qui  decempedam  dixerint  injinitam,  quod  omne  extenaum ad  eam  normam  metiri  poannt,  >  {De  Antiq.^  C.  II,  17.) '  Galileo  nota  stupendamente  questo  privilegio  del  pensiero    dove distingue  V  intendere  extensive  dair  intendere  intensivCf  confermando  così la  dottrina  del  Vico.  Vintenèive  del  filosofo  pisano  è  il  perfettamente^ com*  egli  stesso  dichiara.  Ora  v*  ha  cognizioni,  egli  dice,  le  quali,  guar- date sotto  il  rispetto  della  inteneìtà  e  della  perfezione,  agguagliano  le  di-rine  neUa  certezza  obbiettiva^  perchè  con  essa  arriviamo  a  comprenderne la  nec€99Ìtà  sopra  la  quale  non  par  che  posta  essere  sicurezza  maggiore, {Dial.  de'  Mass.  Sist,j  loc.  cit.)  Gli  esempi  co'  quali  Galileo  procaccia  chia- rire tale  idea,  son  tolti  dalla  matematica;  e  la  matematica,  anche  per lui,  è  una  fattura  della  mente;  e  però  la  certezza  e  la  necessità  ond'ei parla  scaturisce  immediatamente  dalle  leggi  stesse  della  psicologia.  So che  il  Neoplatonico  neanche  qui  si  darà  pace,  ed  opporrà  la  solita  in- Titta  necessità  di  certi  yeri  che,  vada  o  Tenga  il  pensiero,  sono  e  saran sempre  quello  che  sono.  A  questa  difficoltà  ahhiamo  già  risposto  (p.  243  e seg.)  U  due  e  due  fan  quattro  (direbbe  un  neoplatonico  alla  Maminni) gli  è  un  yero  assoluto  e  necessario,    io  posso  pensare  il  contrario; dunque  T*ha  in  lui  qualcosa  che  non  m' appartiene  ;  e  però,o  è  Dio,  o  è pertinenza  di  Dio.  Nient' affatto!  Io  non  posso  pensare  il  contrario;  ed è  yerissimo:  ma  perchè  non  posso  pensarlo?  Perchè  non  posso  contrad- dirmi; ecco  la  ragione  immediata.  Il  regno  della  logica  non  è  il  regno Or  se  tale  è  V  organismo  delle  idee,  è  impossibile che  il  pensiero  partorisca  e  generi  un'idea  la- quale sia  infinita  così  nelF  ampiezza  come  nella  perfezione. Se  potesse,  e'  già  sarebbe  V  infinito  in  atto.  Se  potesse, egli,  col  farsi,  già  sarebbe  un  fatto.  Ma  così  non  si  con- traddirebbe? Non  annullerebbe    stesso  anche  qui? La  conseguenza,  dunque,  parmi  chiara:  il  pensiero,  que- sto nostro  pensiero  con  tutto  il  suo  ^contenuto,  non possiede  l' essere,  non  è  l'essere,  non  si  compenetra  con r  essere.  Questa  invincibile  manchevolezza  d'  essere, questa  insuperabile  impotenza  d' essere,  come  ci  si  ri- vela? quand'  è  che  ci  si  rivela?  Precisamente  nella  stessa impossibilità  d'afferrare  e  fermare  il  pensiero  nell'o/to. Ed  è  impossibile  poter  cogliere  e  fermare  quest'atto, appunto  perchè  lo  spirito,  pensando,  è  già  un  atto,  è già  faUo  (actum).  Or  se  non  è  atto,  non  ci  ha  da  esser r  atto  ?  Io  penso  l'essere;  io  son  l'essere:  eppure  non sono  la  realtà  dell'essere!  Dunque  la  stessa  impossibilità a  dedurlo  come  tale,  mi    il  diritto  a  concluderne  la realtà.  Il  che  accade  per  una  ragione  detta  e  ridetta, che,  cioè.  Essere  e  Pensiero  non  sono  l' uno  in  due  (come direbbe  lo  Spaventa),  non  sono  l' identico  nel  diverso, ma  sono  il  due  in  wwo,  sono  piuttosto  il  diverso  nel- r  identico. — E  qui  ci  è  dato  scorgere  sempre  più  netta- mente V  errore  degV  intuitisti  e  ie^  mediatisti.  Cotestoro, come  vedemmo,  voglion  rintracciare  la  ragion  dell'assoluto e  dell'  infinito  nel  pensiero,  e  ricorrono  ad  espe- dienti opposti  e  contrari.  Gli  uni  ci  dicon  che  la  mente colga  immediate  1'  Assoluto  ;  gli  altri,  che  lo  faccia.  Ora chi  dice  di  vederlo,  per  me,  sogna  ad  occhi  aperti;  e senz'  addarsene  resta  impaniato  nel  panteismo.  Chi  poi dice  di  farlo,  sogna  anche  lui  e,  per  di  più,  diverte  la doli*  arbitrio.  E  perchè  poi  non  posso  contraddirmi?  Giusto  perchò  lo stesso  pensiero  è  quello  die  nel  due  e  due  fan  quattro  pone  gli  elementi e  le  condizioni  del  giudizio:  le  quali  io  non  potrei  negare,  senza  distrug- gere il  mio  stesso  pensiero.  Se  potessi,  ne  verrebbe  che  io  farei,  e  non farei:  cioè /arci  il  nulla t gente  con  indovineUi  da  algebrista,  e  finisce  per  immer- gersi nel  nulla  :  talché  anniillando  cotesto  assoluto,  la  sua deduzione  riesce  davvero  ad  \m3i  bestemmia.^  11  Neoplato- nico s' affida  ad  un  intùito  ;  e  così  esagera  V  impotenza in  cui  è  il  pensiero  d' esser  V  essere.  11  Neoaristotelico hegeliano, al  contrario,  s'affida  a    stesso;  e  così  esa- gera la  potenza  del  suo  pensiero  adequandolo  all'  essere. Entrambi  dunque  deducono;  ma  l'uno  appoggiandosi neh' obbietto  intuito,  o  neW  Ideato  presente  al  pensie- ro; r  altro,  movendo  dsàV  Indeterminato  cólto  o  posto per  astrazione  immediata  e  subitanea.  Illusione  l' imme- diatezza dell' uno  !  illusione  e  arzigogolo  logico  la  me- diatezza  dell' al trol  Non  intùiti,  ne  posizioni  a  priori: non  immediatezza,    mediatezza,  ma  conversione,  ma processo  del  pensiero  con  l'essere.  Le  idee  non  sono r  Assoluto  significativo,  l' ente  in  quanto  sigtii/ica,  in quanto  presenta    stesso  al  pensiero:'  ma  é  lo  stesso pensiero  quello  che  per    medesimo  é  significativo  del- l'Assoluto,  in  quanto  é  Bagione  spiegata.  Brevemente: se  r  idea  è  mezzo,  eli'  è  il  pensiero,  ma  è  il  pensiero in  quanto  rappresenta  l'Ideato,  non  già  l'Ideato  in quanto  s' affaccia  al  pensiero.  Or  qui  si  compie  nella sua  vera  forma  la  funzione  eduttiva. Parlando  della  genesi  e  classificazione  delle  varie  discipline dicemmo,  le  scienze  eduttive  ridursi  ad  una  sola, ed  esser  la  filosofia  (p.  232).  La  filosofia  s' intrinseca  con tutte  le  scienze;  e  però  é  anch'olla  induttiva  e  deduttiva la  sua  parte.  Ma  anch'essa  é  autonoma,  anch'essa  è trascendente,  e  come  tale  è  di  natura  eduttiva  ;  poiché non  cessando  d'alimentarsi  de'  tesori  adunati  dalle  altre discipline,  nondimeno  sa  e  può  trovare  alimento  in  sé stessa,  e  per  sua  propria  virtù.  Se  le  idee  infatti  hanno lor  fondamento  in  natura,  nessuna  funzione  basterebbe *  Hine  adeo  impiat  euriontatit  notandi,  qui  Deum  Optimum  Maximum a  priori  probare  ttudeiU:  nam  tantundem  ettet,  quantum  Dei  Deum  «e  /a- oere,  et  Deum  negare,  quem  quixrunt.  (Vico»  De  Antiq.,  C.  Ili,  S.) *  Màmiani,  Lett.  al  DoU.  BrentoMMoUf  424  DILLA  DOTTBiNA  ulosoiioa.  [lib.  n. a  scioglierle  da'  viluppi  delle  sensate  apparenze,  ove  la stessa  mente  non  sapesse  pai*torirle.  Tra  il  fantasma e  l'idea,  tra  la  forma  metafisica  e  la  fisica^  c\  è  quel  me- desimo intervallo  esistente  fra  il  senso  e  la  ragione.  Or tuttoché  le  idee  pongan  radice  nella  natura  e  si  muo- vano in  questa,  nondimeno  con  lieve  soccorso  del  senso elle  possono  esser  generate  dalla  mente,  poiché  a  conce- pir r  idea  del  circolo,  o  meglio,  a  fissare  il  concetto del  circolo  nella  nota  che  costituisce  la  sua  perfezione e  trasformarla  in  idea  o  forma  metafisica,  non  v'  ha mestieri  di  prolungati  lavori  d'astrazioni  e  di  generaliz- zazioni. La  mente  perciò  nel  concepirle  fa  altrettanti giudizi  eduttivi.*  Il  giudizio  eduttivo  è  diverso,  così nella  forma  come  nel  contenuto,  dal  giudizio  induttivo, e  dal  deduttivo.  Il  suo  carattere  specificante  dicemmo radicarsi  innanzi  tutto  nella  relazione  de'  suoi  termini, e  quindi  nell'  origine  dell'  attributo.  L' attributo  non  è dato  dal  fatto;  e  però  non  è  sintetico  a  posteriori.  Non è  ricavato  dal  soggetto  e  applicato  al  soggetto  stesso come  parte  del  suo  contenuto;  e  quindi  non  è  di  na- tura analitica.  Non  è  ripetizione  del  medesimo  soggetto  ; e  quindi  non  è  identico.  Il  giudizio  eduttivo  serba  in- '  Se  pensare,  come  altrove  mostrammo,  è  giudicare,  e  giudicare  è un  atto  di  conversione  in  quanto  che  convertire  è  scorger  la  medesimezza e  la  differenza  ad  un  tempo;  ne  viene  che  il  giudizio  è  la  sintesi  di  due elementi,  convertione  del  vero  col  fattOf  sintesi  della  medesimezza  generica [vero)  e  della  diversità  specifica  (fatto).  Ora  guardando  alla  funzione speciale  onde  la  mente  forma  concetti  e  giudizi,  ricavammo  esser  tre i  sommi  generi  a  cui  essi  potranno  rimonarsi,  e  li  appellammo  induttivi, deduttivi,  eduttivi.  Questa  divisione  è  essenziale,  perchò  si  fonda  prin- cipalmente nella  differenza  del  contenuto  de*  giudizi,  e  perchò    origine alle  tre  funzioni  metodiche.  Si  fonda  dunque  su  la  dottrina  della  cono- scenza e  della  scienza,  e  perciò  è  razionale  e  cpmpiuta.  L'atto  del  giu- dicare, Infatti,  ò  sempre  identico  nella  sua  forma  logica,  poiché  è  sempre una  conversione  al  pari  del  concetto  ond' emerge;  ma  differisce  nel  contenuto, ed  ecco  r origine  delle  tre  differenze  di  giudizi.  Tutte  quelle  in- numerevoli distinzioni  e  classi  e  divisioni  e  suddivisioni  di  atti  giudi- cativi fatte  da  Aristotele  sino  al  Kant  e  al  Rosmini,  sono  spartizioni secondarie,  le  quali  riguardano  l' estensione,  la  quantità,  la  relazione,  la forma  e  l'indole  de' giudizi;  ma  riescon  tutte  incompiute. dole  essenzialmente  sintetica,  e  però  sgorga  dallo  stesso pensiero  per  virtù  e  necessità  eduttiva.  Ma  qual  sorta di  sintesi  è  cotesta  ?  Non  è  sintesi  a  priori  nel  senso de' Neoplatonici,  perocché  l'obbietto  non  è  dato  da nessun  intùito  o  visione  trascendentale.  Non  è  sintesi nel  senso  dell'  Idealismo  assoluto  e  del  Criticismo,  per- chè r  obbietto  non  è  posto  per  mera  legge  dialettica, e  neanco  per  non  so  qual  cieca  necessità  subbiettiva.  * H  giudizio  eduttivo  è  un  vero  atto  sintetico,  un  atto sintetico  trascendentale  per  eccellenza  perchè  l'attri- buto non  è  nel  soggetto,  e  nondimeno  è  posto  dal soggetto.* Qual  è  l'oggetto  di  questa  sintesi  trascendentale? È  appunto  ciò  che  le  forme  metafisiche  possiedon  di  co- mune. È  ciò  che  nel  concetto  e  nelle  determinazioni ideali  scopriamo  d' infinito,  non  già  nell'  ampiezza,  ma sì  nella  perfezione.  La  funzione  eduttiva  dunque  è  fun- zione dialettica,  dialettica  ascensiva.  Perciò  eduzione delle  idee  non  vuol  dir  la  pura  e  semplice  generalizza- zione delle  qualità  dell'essere:  vuol  dire  accrescimento dell'  essere  ;  vuol  dire  concentramento  dell'  essere  nella *  I  griudizi  iintetici  a  priori  di  Kant  non  sono  propriamente  apriori, ma  si  riducono  a  giudizi  analitici. *  Il  processo  conoscitivo  è,  per  dir  così,  nna  catena,  gli  estremi della  quale  sono  due  sintesi,  e  però  due  forme  di  conversione  ;  V  una  di esse  è  originaHay  e  l'altra  finale.  Quella  precede,  come  si  disse,  ogni riflessione,  e  costituisce  il  Primo  psicologico,  Y  unidualità  primitiva  ;  la quale,  facendo  possibile  la  formazione  de'  concetti  mercè  il  processo psicologico,  toglie  queir  apparente  petizion  di  principio  tra  la  necessità per  cui  ogni  giudizio  deve  importare  il  concetto,  e  la  necessità  ondMl concetto  debb'  essere  un  atto  giudicativo.  La  sintesi  finale  poi  riesce  al Primo  vero  metafieico^i]  quale  devesi  convertire  col  Principio  metafisico. Avviene  perciò  che  la  sintesi  originaria  sia  costituita  dal  pensiero  e  dal suo  obbietto  che  è  Tessere  in  quanto  indeterminato;  e  però  è  sintesi naturale  essendo  posta  dalla  stessa  natura  (p.  848  e  seg.).  La  sintesi finale^  per  contrario,  ha  per  oggetto  1*  essere  determinato  ideale,  e  de- terminabile in  quanto  reale  ;  e  )»er  ciò  è  sintesi  superiore  alla  natura essendo  prodotta  dallo  stesso  pensiero.  Queste  due  sintesi  dunque  sono due  giudizi  d'indole  sintetica,  ma  diversissimo  n'è  il  contenuto  ;  per  la ragione  che,  se  nel  primo  d'essi  l'obbietto  è  posto  da  natura,  nel  se- condo è  posto  dalla  stessa  mente. sua  idealità.  Or  se  tale  è  la  natura  di  questa  fun- zione^ accade  che  il  principio  ond'  ella  è  governata non  possa  esser  quello  d' identità,  di  repugnanza,  di causa  e  simili  ;  stantechè  qui  non  si  tratti  di  logica  for- male la  cui  materia  è  costituita,  in  generale,  da' giu- dizi deduttivi,  ne  di  logica  induttiva,  i  cui  giudizi  ri- posano sul  principio  di  causalità  e  di  sostanza  empiri- camente intesi.  Se  il  fine  della  logica  formale  sta  nel fissar  le  norme  del  ben  pensare,  e  il  fine  della  logica induttiva  nel  porgere  i  criteri  a  fruttuosamente  spe- rimentare; è  chiaro  esser  necessaria  una  logica  la  quale sappia  ritrovare  il  vero  facendolo,  se  pure  s' ammette che  la  metafisica  abbia  da  essere  una  Critica  del  vero. Ed  è  chiaro  altresì  esser  necessario  un  principio  che sappia  guidarci  nel  processo  di  siffatta  critica,  il  qual principio  è  appunto,  come  altrove  toccammo,  quello della  Conversione  (p.  250). Or  questa  funzione  eduttiva,  di  natura  essenzial- mente dialettica,  non  va  dall'effetto  alla  causa,    dalla causa  all'  effetto  :  non  va  dalla  sostanza  alla  determina- zione, né  dalla  determinazione  alla  sostanza.  Le  idee  non sono  effetti,  non  sono  risultati,    determinazioni  dell'As- soluto. Se  così  fosse,  come  sarebbe  possibile  il  transito dialettico?  Il  passaggio  dialettico  (nopsisi)  è  solamente possibile  dov'è  possibile  medesimezza  e  differenza;  do- v'è possibile  intervallo  e  continuità;  dov'è  possibile, insomma,  conversione  di  termini.  I  termini  in  quest'  or- dine di  cose,  da  una  parte,  sono  le  idea,  la  Eagiotie spiegata  ;  dall'  altra  sono  le  stesse  idee,  le  stesse  forme metafisiche,  ma  in  quanto  concludono  nel  loro  ideato, neir  ideato  come  Principio  e  Mente  reale,  nell'  ideato che  basti  a    stesso  (ro^izavov),  nell'ideato  che  nulla suppone,  ma  che  si  pone  (ro  ocvuttoOstov).  Intanto  la  ra- gione, tuttoché  secondo  le  leggi  altrove  notate  del  pro- cesso psicologibo  debba  mover  dalla  natura  e  dal  senso, nondimeno,  come  tale,  è  caussa  sui  (suitas)  ;  e  l' effetto  di tal  cagione  è  la  scienza,  le  idee,  le  quali,  in  quanto  forme metafisiche,  si  riferiscono  all'Assoluto.  E  cotesto  Asso- luto alla  sua  volta  è  Caussa  sui  (Aseitas),  ma  è  anche cagione  del  mondo  in  quanto  è  Mente;  e  l'effetto  di tal  cagione  è  lo  spirito,  non  già  come  Ragione  spiegata, come  Nove,  come  attualità,  ma  come  virtualità,  po- tenza, materia,  natura,  conato.  Ora  questa  evidente- mente è  conversione,  e  quindi  è  sintesi  eduttiva.  Ed è  tale  in  quanto  procede  da  causa  a  causa,  in  quanto concatenando  caussas  caussis  (p.  275)  le  annoda  e  di- stingue ad  un  tempo,  perchè  in  realtà  le  s'immedesimano e  si  distinguono  anche  fra  loro.  11  perchè,  se  da  una parte  qui  abbiamo  le  idee,  le  forme  metafisiche,  la  ragioìie spiegata,  la  coscienza,  il  Vero;  mentre  dall'altra  abbiamo r  Assoluto,  r  Assoluto  in  quanto  è  mente,  in  quanto è  la  Mente,  in  quanto  è  il  Fatto  per  eccellenza;  in  una parola,  se  da  una  parte  abbiamo  quel  che  il  Vico  direbbe le  Menti,  e  dall'altra  Dio:  ne  viene  che  in  questo  Motido delle  Menti  e  di  Dio,  in  quest'  organismo  del  pensiero con  r  essere,  il  passaggio  dall'  un  termine  all'  altro  non è  processo  deduttivo,    tampoco  induttivo,  ma  è  pro- cesso essenzialmente  eduttivo,  perchè  anche  qui  ha  luogo la  conversione  del  vero  col  fatto,  cioè  la  conversione  delle Menti  con  Dio,  della  logica  con  V  ontologia,  dell'  ideo- logia con  la  metafisica.  Sarà  un'  alchimia  anche  questa  ? Potrebbe  stare.  Ma  chi  ben  la  consideri,  anziché  un'al- chimia, scorgerà  in  essa  il  fondamento  della  prova  le- gittima, vera,  positiva  intorno  all'Assoluto.* *  Le  tre  ordinarie  maniere  d* argomentare  resistenza  di  Dio  furon ben  cento  volte  dimostrate  deboli,  incompiute,  fallaci,  per  la  solita  ra- gione che,  non  racchiudendo  processo,  mancano  perciò  di  valore  propria- mente dimottratico.  Il  cosi  detto  argomento  ontoìogicOf  per  es.,  qaalanque ne  sia  la  forma  datagli  da  Anselmo,  Cartesio,  Malebranche,  Fénelon,  Leib- nitz,  Gerdil,  Rosmini,  Gioberti,  Mamiani  e  simili,  non  può  concludere  alla realtà  assoluta,  perchè,  comunque  e'  si  squadri,  ha  sempre  nn  valore  dedut- tivo. Gli  argomenti  poi  dettiyì«ico,  moralcf  ootmologieOf  sono  sfomiti  d*  ogni rigor  di  prova  razionale,  in  quanto  che  si  riducono  alla  forma  induttiva, la  quale,  in  tal  caso,  racchiude  nna  petizion  di  principio.  Laonde  se  la deduzione  move  da  un /ntùtto, siamo  nella  ipotesi;  e  la  scienza  non  può accettar  le  ipotesi  come  principi],  tnttochò  se  ne  possa  e  debba  giovare È  dunque  vero,  è  verissimo  che  l' uomo  da    e  con la  propria  mente  faccia  Dio.  E  lo  fa  dapprima  col  senso, poi  con  r  immaginazione,  da  ultimo  con  la  ragione.  Col senso  lo  vede  immediatamente  nella  natura,  lo  sente  nella natura.  Con  l'immaginazione  lo  vede  attraverso  alla natura,   ma  lo  sente  in    medesimo.  Con  la  ragione lungo  il  suo  processo  come  d'altrettanti  mezzi.  Se  poi  muove  da  un  Indeter- minato f  siamo  nel  formalismo  psicologico,  nell*  arbitrio  logico,  e  però  si  riesce agi*  indovintUi  da  algebristi,  V  una  forma  di  deduzione  perciò  non  dimostra, cbè  anzi  invoca  appunto  l'Assoluto  per  dimostrare:  T altra  invece  dimostra troppo,  e  perciò  non  dimostra  nulla.  Dunque  V  argomento  eduttivo  o  della eonveraionef  che  noi  contrapponiamo  a  qualunque  forma  di  deduzione  e d*  induzi  one,  è  prova  legittima,  stantechè  racchiuda  il  vero  termine  medio, il  vero  m«szo  tra  il  mondo  e  T  Assoluto.  U  solo  Trendelenburg  ha  parlato d'  una  forma  di  prova  eh*  ei  chiama  argomento  logico,  il  quale  potrebbe avere  alcun  riscontro  col  nostro.  Ma  non  poche  sarebbero  le  difficoltà nelle  quali  intoppa  il  dotto  tedesco,  chi  guardi  al  concetto  del  moto  eh*  ei pone  a  capo  delle  categorie.  Neil*  ordine  psicologico  noi  moviamo  dal Vero  che  per  necessità  eduttiva  si  converte  col  Fatto  :  e  ne  ricaviamo  che cotesto  FaUo  non  è  già  moto,  anzi  pensiero  per  eccellenza,  mentalità assoluta.  Or  bene  s*  e*  fosse  moto,  corno  saria  possibile  una  conversione  f E  mancando  la  possibilità  della  conversione,  come  farà,  1*  illustre  autore delle  Bioerche  Logiche,  a  salvarsi  dal  pericolo  d*  un  vuoto  formalismo  ? Giova  qui  rispondere  ad  un'obbiezione.  Si  dirà:  cotesto  vostro  pe- regrino argomento,  in  somma  delle  somme,  si  riduce  ad  una  forma  d*  in- duzione. Dall' effetto,  andate  alla  causa;  dal  particolare,  al  generale; dalla  determinazione,  alla  sostanza;  dal  finito,  all'infinito.  Brevemente, dal  mondo  salite  a  Dio,  sia  che  consideriate  la  natura,  sia  che  lo  spi- rito, ovvero  le  idee. Rispondo:  induzione  pura  o  semplice,  'no;  ma  processo  induttivo: il  quale,  compiendosi  nel  processo  eduttivo,  assume  quindi  valore  d'ar- gomento razionalmente  positivo.  Dio,  a  parlar  proprio,  non  è  pura  so- stanza, causa,  essere  infinito  solitario  ;    il  mondo  è  pura  qualità  e determinazione, puro  effetto,  puro  finito  posto  dall'infinito.  Se  Dio  fosse cagione  semplicemente  presa,  il  mondo  (l'effetto)  ne  sarebbe  l'atto.  Se fosse  sostanza,  il  mondo  ne  sarebbe  la  modificazione.  Chi  ci  salverebbe dal  panteismo  ?  Se  poi  fosse  infinito  ut  «ie,  perchè,  domanderò  io,  se  basta a  so  stesso  ha  da  porre  il  finito  ?  Dio  è  tutte  queste  cose,  infinito,  causa, sostanza  e  simili,  ma  è  tale,  perchò  principalmente  è  idea,  pensiero,  men- talità. Or  non  è  anch'  egli  mente  e  pensiero  l' Universo  ?  L*  argomento della  conversione,  dunque,  non  va  dal  mondo  a  Dio,  non  procede  dal- i*  effetto  alla  causa  (ohe  non  procederebbe  davvero),  ma  va,  ma  procede da  causa  a  causa  annodandole  insieme.  E  le  annoda,  perchò  serbano  me- desimezza e  diversità;  le  annoda,  perchè  adopra  il  mezzo  delle  idee;  le annoda,  perchò  educe  le  idee,  e  perchò  queste  idee  converte  con  1*  ideato. —  Un* ultima  osservazione  che  avrei  dovuto  fare  già  in  altro  luogo:  me- Io  vede  nelle  sue  stesse  idee,  perchè  lo  fa  come  idea  ; e  così  r  uomo  (ripeto  la  ^bella  frase  del  Gioberti)  giunge a  rendere  a  Dio  la  pariglia.  L'idea  dell'Assoluto  ha  an- ch' egli  i  suoi  annali  ne'  diversi  momenti  della  storia  e del  processo  psicologico.  Ma  nel  far  cotest'idea,  e  pro- prio quando  l'abbiam  fatta,  noi  somigliamo  a  quell'arte- fice che  s'affatica  e  suda  e  si  travaglia  nell' incarnare il  tipo  che  gli  splende  dinanzi  alla  fantasia,  mentre la  stessa  natura  potrebbe  offrirglielo  vivo  e  palpitante nella  infinita  ricchezza  delle  sue  creazioni.  Novello  e arditissimo  Prometeo,  il  pensiero  del  filosofo  non  abbi- sogna d' alcuna  scintilla  :  la  scintilla  della  vita  s' agita già  vivissima  nell'opera  stessa  delle  sue  mani.  Perocché quando  il  pensiero  abbia  prodotto  l'idea  dell'Assoluto, e' tosto  s'accorge  d'aver  prodotto  quello  che  già  e'  era, quello  che  è  il  Fatto  per  eccellenza,  e  che  non  può  esser fatto  perchè  di  sua  essenza  è  il  Fare,  E  così  pure  ci  accor- giamo di  far  Dio  con  la  scienza  e  con  l' attività  riflessa, solo  perchè  è  egli  innanzi  tutto  che  fa  noi  come  potenza, perchè  siamo  potenza,  perchè  siamo  termine  del  suo  atto.  * glio  tardi  che  mai.  Il  Gioberti  accenna  una  sola  volta  (quant*  io  sappia) al  metodo  eduttivo,  e  lo  fa  consistere  nell*  andare  dal  particolare  al  par- ticolare, dal  generale  al  generale  (Protei,  voi. I,  p.  159).  £  precisamente la  funzione  deduttiva  come  la  intende,  per  esempio,  Stuart  Miìl.  La  edu- zione del  Gioberti f  com*  ò  eTìdente,  non  ci  ha  t;he  vedere  con  la  nostra. '  Questa  precisamente  è  la  facoltà  della  quale,  come  dice  Cartesio, ci  ha  saputo  fornire  la  stessa  natura,  e  con  la  quale  noi,  produeendo Videa  di  Dio,  conosciamo  Dio.  (2Ve  ossiano  forme  dell"  in- finito, e  disponendole  le  conosce,  e  in  questa  sua  cognizione  le  fa,  e  questa cognizione  d'  Iddio  è  tvMa  la  ragione  della  quale  V  uomo  /m  una  porzione per  la  sua  parte,  E  poiché  l'Ente  è  assoluta  conversione  del  Vero  col Fatto  interno  (Generato)  e  col  Fatto  propriamente  detto  (Mondo),  ne viene  che  debb*  essere  altresì  conversione  come  pensiero  e  come  forza, come  Causa  e  Mente,  appunto  percJiì  unica  causa  ^  quella  che  per  produrre V  effetXo  non%  ha  di  altra  bisogno  ;  come  quella  la  quale  contiene  dentro  di sì  gli  elementi  delle  cose  che  produce,  e  li  dispone,  e    ne  forma  e  com- prende  la  guisa,  e  comprendendola  manda  fuori  V  effetto,  (Ved.  liisp.  al Giom.  de' Leu.,  II). Per  quanto  questo  lingruaggio  possa  sembrar  vieto  e  coperto  di  muffa scolastica,  nullameno  tornerà  agevole  all'accorto  lettore  potervi  scorgere come  in  germe  la  soluzione  positiva  del  problema  metafisico.  In  queste tre  usate  e  abusate  parole.  Vero,  Generato  e  FaUo,  abbiamo,  per  così dire,  i  tre  punti  ne'  quali  s*  imperna  e  gira  il  processo  idealo  che,  con- siderato in  se  proprio,  costituisce  la  dialettica  discensiva.  Qui  è  la  so- stanza, com'  è  noto,  e,  sto  per  dire,  il  nocciolo  della  teorica  cristiana, ma  ^levata  al  supremo  valor  razionale  e  speculativo  oud'è  capace:  ed è  il  fine  (chi  ben  consideri  la  storia  della  filosofia  cristiana  e  non  cristiana, ortodossa  ed  eterodossa)  a  cui  par  che  convergano  insieme  e  riescano  il Platonismo  e  l'Aristotelismo  nello  differenti  loro  forme  isteriche.  Sennonché si  badi  a  non  pigliar  come  ripetizioni  vano  certe  analogie  e  somiglianze  di H  Vero  dunque  è  l'Essere;  e  cotesto  Essere-Vero non  sarebbe  tale,  ove,  anziché  identità  sostanziale  dei- Tessere  e  del  conoscere,  anziché  assoluta  unità  e  assoluto monismo,  non  fosse  invece  un'  essenzial  dualità  e  ^nità, essenzial  conversione  del  soggetto  con  V  oggetto,  e  quindi medesimezza  e  differenza  attuale.  Qui  dunque,  innanzi tutto,  il  nostro  filosofo  corregge  Aristotele  come  quegli  il quale  disconosce  una  condizione  eh' è  l'interna  necessità della  stessa  natura  dell'Assoluto.  Lo  Stagirita  pronunzia: ecTTtv  >j  vó>?o"ec  vovìtso;  vó/jtc?.  Ma  fo^c  che  l' eccellenza  del pensiero  starà  nel  pensar  solamente    come  sé,  e  non anche    come  altro?  ^  Una  Visione  veggente    stessa non  ^  un  atto  sterile  e  solitario?  Vedere  non  è  anche operare?  Pensare  non  è  generare?  Ov'è  dunque  il  gran linguaggio,  che  qui  il  Vico  potrebbe  aver  con  altri  filosofi.  Mi  spiego  su- bito. Per  sant'Agostino,  per  es.,  intelligibilità  e  realtà  si  compenetrano insieme,  e  danno  luogo  alla  natura  assoluta  formando  così  il  Vero-EnU fVed.  SolU?(T«oc  proprio  in  sé, e  s'  avvilirebbe  :    9st6xarov  Y.ot.1  to'  rifxtwTatov  vote,  xa/  ou fAsra^aXXci  *  «t;  ;^«t/90v  7à/9  ^  /x£Ta6o>KÌ.  Metaph.,  1.  XII,  9. pensiero  aristotelico  della  facoltà  che  pone  il  proprio obbietto  e  se  ne  distingue  ?  E  perchè,  mai  non  applicarlo anche  all' Atto,  e  soprattutto  all'Atto?*  U  Essere-Vero dunque  è  mestieri  che  sia  anche  Verbo,  anche  Fatto intemo,  anche  Generato.  Che  cos'è  il  Generato?  Non  è luce  metafisica,  non  è  oggetto  indeterminato  e  primigenio posto  da  natura,  come  nella  genesi  psicologica;  ma  è  luce e  colori,  è  oggetto  determinatissimo,  perchè  è  insieme la  natura  e  ciò  che  è  sopra  alla  natura.  È  dunque  il diverso,  il  diverso  dell'identico;  al  modo  istesso  che  il Vero  è  l'identico  del  diverso.  Perciò  è  l'intelligibile che,  mentre  adequasi  con  l' intelligente,  se  ne  distingue. Perciò  è  il  pensante  che,  convertendosi  col  pensato,  è pensiero,  e  quindi  è  in    medesimo  il  trinuno.  Se  dun- que l'Assoluto  è  generazione  e  dinamismo  interiore,  per ciò  stesso  è  Mente:  prindpium  unum,  Mens.  Or  come potrebb'  esser  mente  senza  esser  cagione,  attività,  ener- gia,e  quindi  idea,  possibilità,  relatività,  infinità,  mol- tiplicità  ideale? Ma  se  qui  il  nostro  filosofo  corregge  l'Aristotelismo, invera  nel  medesimo  tempo  il  Platonismo.  Il  Generato del  Vico,  in  quanto  è  termine  di  generazione  ad  intra, è  appunto  la  benintesa  idea  platonica.  Cote$ta  idea platonica  non  è  assoluta  Unità,    assoluta  Moltiplicità *  Ma,  si  badi:  il  difetto  metafisico  dell*  Aristotelismo  non  è  tale  che 1*  annnlli  e  distrugga  addirittara,  ed  è  appunto  per  questo  che  Aristotele non  potrà  esser  mai  in  etemo,    un  idealista  assoluto,    un  positivista, anzi  così  egli  si  presenta  come  una  confutazione  parlante  deir  Hegella- nismo,  e  del  Positivismo.  Voglio  dire  in  sostanza  che  il  principio  metafisico dello  Stagirita  non  è,  propriamente  parlando,  erroneo,  ma  incompiuto; e  però  è  tale  che  corregge  benissimo    stesso.  In  che  modo?  Se  V  Atto ha  da  esser  davvero  quello  che  dice  Aristotele,  ne  viene  che,  metafisica- mente e  logicamente,  è  impossibile  un  Actu»  pwru»  ab^olute.  Gli  Alessan- drini se  ne  accorsero;  e  questo  è  precisamente  e  principalmente  il  lor merito  di  fronte  air  Aristotelismo.  La  verità  della  Scuola  d'Alessandria e  dell* antico  Neoplatonismo  sta  chiusa  in  questo  poche  parole:  [0,in ptaiix JfiTai  Twv  ci^wv  xarà  to  tv  caurw  voitjtov  o'  vou?.  Vod.  Proclo in  Parm.  1.  V,  p.  152.  Lo  stesso  dicasi,  come  vedremo,  del  Platonismo;  e così  può  affermarsi  che  Tesigenza  della  correzione,  nel  concetto  metafi- sico deU'ano  o  dell*  altro  sistema,  sia  reciproca. in  sè.  Non  è  l'identico,  ne  il  diverso.  Non  è  il  moto,  ne la  quiete.  È  dunque  l'una  e  l'altra  cosa  ad  un  tempo istesso.  È  dunque  il    E?a/yv>?;  senza  cui  ella  riescirebbe affatto  inintelligibile,  e  assurda  ;  e  quindi  ci  significa  il Momento*  nel  quale  è  insieme  numero,  senza  cessare d'esser  altresì  unità  essenziale:  talché  costituendosi centro  e  circonferenza  ad  un  tempo,  rende  siffattamente possibile  l'accordo  de' contrari.*  E  tale  accordo  sarà  pos- sibile a  questo  sol  patto  :  che  il  Momento  sia  non  pur  la Nó»Ttc  vóvjTswc  dello  Stagirita,  ma  eziandio  Mente,  e  perciò Mente  e  Verbo,  Vero  e  Generato,  e  quindi  fornito  della virtù  onde  lo  fa  ricco  il  filosofo  Ateniese.'  Così  inter- pretando il  to'    E^otéipvvjc  (senza  confonderlo  col  fjura^y.l'kety che  sarebbe  confonder  la  condizione  col  condizionato,  il Generato  col  Fatto),  non  verremo  a  contraddire  al  con- tenuto degli  altri  dialoghi,  massime  al  Sofista  ove  la natura  dell'Assoluto  ci  è  determinata  come  pensiero,^ come  mente,  e  perciò  come  pienezza  di  vita  e  d' asso- luta realtà.' *  Il  Ficino  traduce  1*  'E^ai^vvj^  per  Mom€ntumindimduum;mii  in  qae- Bta  parola  e*  è  qualcosa  di  più,  esprimendoci  propriamente  V  istantaneo  ;  ed ecco  perchè  Platone  lo  dice  di  natura  mirabile  e  etrana:  ^ tUTcc  aroTróf  tc^. *  Partn.,  155,  E;  157,  B. *  *AjO  ouv  ìttì  to'  (xxoTTtìv  TOUTO,  sv  w  tÓt'  av  ety?,  ots  fiSTa- ^dXktfj    TToìov  5vi  ;  To'  e^at^vyj?.    ydip  i^at^vrjc  Toeòv^j  ti Jfocxf  a^juatvecv  wce?  «xatvou  ^«TaSaXXov  sìq  ixoirspov,  ov  yxp i'A  ye  Tov  io-Tavai  sttùtoì  in  asTa^séXXst,  ou5'«x  tkj;  kiwitsoì? xtvovfx«v>ic  «TI  fj.tr OL^iWti'  àW  Tn  i5at^v«c  auT>j  fvtriz  oironóz Ttf  iyìndBrirat  jExcTa^u  tt^C  xiv>jo'««c  rt  y.olI  «rTOCTEwc,  iv  XP^'*^} orjSsvi  ouTa,  xat  te;  TavTvjv  5vì  xai  e'x  TauT>JC  to  rs  xtvov'jEXffvov fjitra^oiWsi  ini    éo-Tavai  xa«    écTOc  «Vi    xivelo'dae. Kcv^uvsùst.  Kat  to  ?v  5v7,  etnsp  «a"Tv?x/  Te  xat  xivjÌTat,  /xsTa- 6a^^oi  av  if  éy.drtpOL'  fjLÓvwi  ydp  av  outo?  àp^ÒTSjoa  Trotot'y»* /xeTa6a).>ov  5'  sfat^vvjf  /xsTaéai^ft,  xac  ot£.  /xsTa€a»e£,  ev ou^evt  XP'^'^V  *^  ^^^'j  ou5«  xtvofT*  av  tòts,  ou5'  àv  ^rxirt. (Parm.  156.,  d.) *  Te  9:  ;  TO  7t7vwTXJCvì5  to  yiyvtàTìLsv^^ai  fCt.TS  noinuoc  I Tra^o;  :^  àfifòrspov;  -^  to'  asv  7ra3-/?aa  to'  ^s  5aT£^ov;  ì^  ttzv- TCCTra^tv  ou5sTg/30v  ouJiTfi^ov  TOUTwv  ^fTaXau/Savsev*  (Soph., p.  248,  D.)     ^ '    dai  itpò%  Atò;;  wc  a^>J'9'wc  x«vT7Ttv  xat  ^w>jv  xat  >/'vxiQv xa*  ^^óv>70'iv  tJ  paSi(ùi  7re£j3>jo"ò|txjOa      TravTsXw;   «?vti    /x>: Ma  se  r  Idea  è  il  Generato,  e  quindi  rispetto  al  Vero è  il  diverso  dell'identico  (tò  jts^oov),  ciò  nondimeno  rav- visata in    medesima  ella  è  un  possibile  ;  e,  in  quanto possibile,  è  anche  il  medesimo  d' un  altro  diveiso. Poiché  se  di  sua  natura  eli'  è  possibile,  deve  impor- tare una  moltiplicità  opposta,  estrinseca,  reale,  deter- minata; deve  necessariamente  importare  il  diverso,  il quale  sia  tale,  non  solo  di  fronte  all' ofóro,  cioè  rispetto al  Generato,  ma  anche  in    stesso  (tò  aXXo).  E  se  non includesse  cotesto  diverso?  Se  non  l' includesse,  finirebbe d' esser  possibile,  e  negherebbe    stesso.  Perciocché  un possibile,  il  quale  non  si  potesse  mai  recare  ad  atto, evidentemente  sarebbe  un  impossibile  addirittura,  o  al più  un  possibile  infecondo  e  fantastico.  Laonde,  poiché il  Generato  é  infinita  idealità,  e  quindi  infinita  possi- bilità, però  devesi  necessariamente  convertire  col  Fatto  : é  si  converte  in  quanto  lo  fa;  si  converte  in  quanto  lo pone.  Il  Vico  dunque  ha  detto  giustissimo:  Il  Vero  si converte  ad  intra  col  Generato,  e  ad  extra  cól  Fatto. Or  che  cos'  è  mai  cotesto  Fatto?  È  anch'  egli  il  diverso dell'  identico,  il  diverso  del  Generato  ;  ma  é  il  diverso  in sé  proprio  (tò  a).Xo),  il  mondo.  Poiché  quantunque  il  Fatto e  il  Generato  sieno  moltiplicità,  nonpertanto  l'uno  é ,  moltiplicità  reale,  e  1'  altro  ideale  ;  talché  se  la  prima  si 7r«/oetvac,  innari  K^v  aiiro  ^>j5s  (ppovelv  ùWoi  (rtfj.'^òv  zat  oiytov voùv  oux  f  §e  twv  7r/)afg&)v  xa^'  coìpidrMv  xac  à.'k'kri'Koìv  xotvwvta navrot^^v  yavTa^ópsva  no'kXd  yatvff^at  Ixa^Tov.  Qui  pare  che r  idea  8i  divida,  si  rompa,  si  spezzi  nella  moltiplicità  fenomenalef  e  co- stituisca il  positivo  del  fenomoDO,  ma  nella  forma  inadoquatadeir esten- sione: e  siamo  quasi  all'idea  hegeliana  che  passa  ad  tsaer  natura,  che si  contrappone  nella  natura,  che  jiiventa  natura.  Perciò  la  metessi  de*  pla- tonici mostra  sempre  un  carattere  di  passività  anzichò  di  attività,  ap- punto perchè  viene  di  su,  mentre  dovrebbe  partire  di  gii,  ed  estrinsecarsi per  opera  e  virtù  del  Fatto  in  quanto  è  infinita  potenzialità.  Questo  ca- rattere passivo  della  metessi  platonica  si  scorge  anche,  e  non  dovrebbe, nel  Parmenide:    elvat  ^Wo  7t  eTTtv  ri  p.:'0s5'C  ouTicz;  ^era ^povoìj  70Ù  Tra/oovTOff  (151,  E).  La  metessi  dunque  spiegherebbe  troppo; perchè  il  nesso  tra  l'idea  e  la  cosa  verrebbe  ad  esser  cotanto  immediato, da  non  farci  discernere  fra  1' una  e  l'altra  nessun  divario  essenziale;  e così  avremmo  V  identità  come  essenziale,  e  la  diversità  come  fenomenale. Or  se  l'Assolato,  perchè  davvero  sia  tale,  ha  da  ossero  innanzi  tutto  una conversione  di    con    stesso,  deve  risultare  indivisibile  e  imparabile nella  sua  stessa  moltiplicità  infinita:  e  se  il  mondo  ha  da  essere  anche  lui una  conversione  di  so  con  sé,  ne  segue  ch'egli  debb' essere  essenziale moltij^icità,  moltiplicità  in  sé,  diversità  in  sé;  tanto  che  l'unità  pro- gressiva, che  in  lui  si  agita  e  vive  e  spicca  sempre  più  ne'  diversi  gradi della  realtà  cosmica,  sia  ben  altra  cosa  dell'unità  che  dimora  in  seno all'  Assoluto.  Dunque  il  Vero  che  si  converte  col  Fatto,  cioè  (per  parlare il  linguaggio  degli  ontologisti)  l' infinito  che  pone  il  finito  è  anche  finito, ma  non  si  confonde  per  vorun  modo  con  lui.  E  non  può,  per  queste  duo semplicissime  ragioni:  1*  perchè,  se  cosi  fosse,  ne'  due  termini  avremmo una  ripetizione  sostanziale  inutile,  e  quindi  potremmo  cancellar  l'uno  o l'altro  addirittura,  e  così  finirebbe  per  aver  ragione  il  panteista;    perchè un  infinito  avrebbe  a  partorire-,  produrre  o  porre  un  altro  infinito,  e  cosi negherebbe    medesimo.  D'altra  parte,  se  il  Fatto  devesi  convertire con    medesimo  facendosi  Vero,  cioè  facendosi  infinito  essendo  poten- Mialità  in/inUaf  non  per  questo  si  potrà  credere  eh'  ei  si  possa  identificar con  lui,  per  le  due  ragioni  detto  poco  fa.  Dunque  stiamo  contenti  al  quia  ! né  identità  oMolutaf    aseotuta  diversità,  ma  conversione.  E  però  le  idee platoniche  non  sono  da  intendersi    come  7ra/9a^u7/xaTa,    come vov}^KTa,  secondo  che  vogliono  due  schiere  d'interpreti.  Se  fosse  così  ne verrebbe,  nel  primo  caso,  che  Vid^a  dovrobb'  esser  presente  alla  cosa  in maniera,  che  questa,  tanto  nella  sostanza,  quanto  nel  movimento,  tanto  nella materia,  quanto  nella  forma,  dipenderebbe  onninamente  dalla  prima, ed  altro non  sarebbe  fuorché  una  semplice  sua  copia;  e^allora  non  avremmo  bisogno d'un  Dio  artefice, non  del  SnfAioxjp'yoi  del  Timeo,  non  del  deus  ex  macchina dall'ontologista,    della  magna  Idea  degli  Hegeliani.  Nel  secondo  caso poi  r  idea  sarebbe  un  termine  del  soggetto,  ma  un  termine,  dirò  così, meramente  soggettivo:  somiglierebbe   quindi,  anzi  8areb))e  addirittura pretare  in  modo  razionale  e  positivo  l' intuizione  reli- giosa del  Ternario  cristiano. La  cognizione  immediata  e  divinativa,  in  questo  e in  ogn'  altr'  ordine  di  conoscenze,  previene,  come  V  om- bra la  persona,  i  portati  della  speculazione  metafisica. Così  prima  ancora  che  la  Scuola  d'  Alessandria  si  pro- fondasse nelle  ardite  e  vaporose  elucubrazioni  su  la triplice  ipostasi  Plotiniana,  il  mistero  della  Trinità  al- bergava di  già  nella  coscienza  popolare  siccome  oggetto d' intuizione,  e  cominciava  a  rivestir  forma  e  valore dommatico  *  mercè  la  Riflessione  teologica.  L' Assoluto è  uno  e  trino;  è  trinuno:  e  noi  ormai  lo  sappiamo.* Ma  è  egli  un  trino  ipostatico?  E  qual  n'è  l'essenza? L'assoluto  importa  tre  ipostasi:  ecco  il  mistero,  ed ecco  la  fede.^  Quanto  a  determinarne  l' essenza,  la  spe- culazione occidentale,  anche  sotto  forma  di  speculazione teologica,  non  poteva  non  interpretare  le  divinazioni altrettanto  spontanee  quanto  ricche  e  feconde  della coscienza  orientale  essenzialmente  religiosa,  con  l'in- V  inteìligìbUe  del  Dio  aristotelico,  con  1*  intelllgrente  formerebbe  identità essenziale;  e  allora  le  idee  non  sarebbero  essenzialmente  relative  quali appunto  sono  richieste  dall' economia  del  sistema  platonico,  e  T  esigenza vera  e  giusta  della  metafisica  platonica  sparirebbe.  Dunque  cotesto  idee plaioniche  come  s'hanno  da  intendere?  Le  idee  platoniche  sono  T'Egac^v;? stesso,  ma  concepito  come  essenzialmente  relativo  &\VaUro,  ma  iiValtro  non già  come    trspoif  puro,  assoluto,  bensì  come  70  ìrspov  in  quanto  abbia un  riferimento  necessario  al    àWo,  A  questa  maniera  non  è  altri- menti vero  che,  accettando  le  idee  platoniche,  debbasi  accettare  altresì la  dottrina  dell' avajtzvYiTcCt  come  han  detto  certi  critici  moderni:  e neanche  si  è  costretti  ad  accettarla>  nelle  forme  nuove  ond'  è  stata presentata  da'  moderni  neoplatonici,  dal  Malebranche  fino  al  Mamiani. «  SiMOX,  ffitt.  de  VEcole  d'Alex.,  v.  1,  lib.  I;  lib.  II,  e.  IV. '  Il  tre  è  il  numero  che  assolve  tutte  le  condizioni  della  perfeziono, ed  è  perciò  che  tutto  è  definito  del  tre:  to'  Tràv  y.(xt  to  Travra  rof; TùtTiTt  (fìptfTTat  (Arist.  De  Coelo,  I).  Vedi  le  belle  riflessioni  del  Gio- BRRTi  su  la  Trinità  considerata  razionalmente  {FU,  della  Rivelaz..,  XVIII) e  di  Tommaso  Rossi  {Regno  di  Dio  naturale,  ecc.  li  Studi  di  Giordano Zocehif  ed.  cit.) '  Prendiamo  la  parola  tpostcm  nel  significato:'  istiano  non  già  nel senso  neoplatonico  e  alessandrino. dirizzo,  al  solito,  dell' Aristotelismo  e  del  Platonismo. Il  peripatetico  nominalista  ripone  la  divina  realtà  ed essenza  nelle  triplicità  di  persone,  e  riguarda  l' unità come  un  puro  nome.  Tre  sostanze  indipendenti  e  sepa- rate, ma  congiunte  in  unità  mentale.  Perchè  congiunte? Perchè  fomite  d' egual  potere,  d' egual  volere,  d' egual conoscere.  Il  realista  platonico,  per  contrario,  vuol  far consistere  l'essenza  divina  nella  realtà  in  quanto  è unità  determinantesi  nella  triplicità  di  persone.  Agli occhi  del  primo,  dunque,  l' Assoluto  è  il  tre  in  uno  :  agli occhi  del  secondo  è  Vuno  in  tre:  ecco  la  lotta  interna della  riflessione  teologica  del  medioevo.  Ora  giusto  perchè questa  riflessione  è  di  natura  teologica  e  dommatica, avviene  eh'  ella  non  supera,  non  può  superare  il  senti- mento, né  trascender  l'intuizione,    solvere  il  mistero, né  disimpacciarsi  dall'aperta  contraddizione.  Laonde Nominalisti  e  Realisti  vecchi  nuovi,  avvegnaché  discordi nella  maniera  di  determinare  l' essenza  del  Ternario cristiano,  non  sanno  rimuoversi  d'una  linea  dall'inse- gnamento dommatico  su  l' unità  assoluta  nella  separa- eione  delle  tre  persone. Se  il  ternario  cristiano,  in  quanto  germina  dall'in- tuizione rehgiosa,  è  come  l'immagine  anticipata  della ragione,  in  esso  deve  acchiudersi  un  vero  che  la  ragion filosofica  dee  saper  disvelare,  correggere  e  legittimare. Questo  vero  non  risguarda  già  l'unità  nella  triplicità ipostatica:  riguarda  il  trinuno  assoluto,  l'assoluta  tri- plicità considerata,  come  abbiamo  toccato,  nella  mede- simezza di  subbietto.  Perocché  l' unità  di  sostanza  mai non  tornerà  conciliabile  con  la  pluralità  di  persone  ;  e se  così  non  fosse,  il  panteista  avrebbe  già  trionfato  nel regno  della  scienza,    io  davvero  so  dirmi  che  cosa mai  potrà  rispondere  il  sottile  teologo  all'  arguto  hege- liano, il  quale  pretende  precisamente  questo:  che  la  di- versità delle  persone  non  dimostri  nuli'  affatto  la  plu- ralità delle  sostanze.  Il  perché  pigliando  alla  lettera il  domma  della  Trinità,   la  teologia  cattolica  non  si salva  dal  precipitare  nel  tenebroso  vuoto  dell'  assoluta identità.* Il  contenuto  del  ternario  cristiano  adunque  ci  signi- fica le  tre  primalità  del  conoscere,  del  volere  e  del potere,  ma  nella  relazione  del  Vero  che,  convertendosi con    medesimo,  diventa  Generato,  e,  come  Generato, come  Verbo,  è  infinita  idealità  e  possibilità  del  Fatto. Interpretandolo  così  accade  che  l'intuizione  religiosa, generatasi  per  leggi  inerenti  allo  stesso  processo  psi- cologico, rinverghi  col  concetto  metafisico  a  cui  può elevarsi  la  ragion  filosofica  positiva;  e  quindi  può  dirsi che,  come  la  religione  è  il  preludio  naturale  e  neces- sario alla  filosofia,  di  pari  modo  la  speculazione  meta- fisica sia  la  interpretazione  critica  e  Tinveramento  delle intuizioni  spontanee  e  comuni  della  coscienza  religiosa. 11  cristianesimo  è  la  religion  razionale  per  eccellenza,  e con  essa  oggi-  chiudesi  il  corso  e  ricorso  delle  creazioni propriamente  mitologiche  e  delle  grandi  rivelazioni  e divinazioni  religiose.  Ed  è  razionale  perchè  è  in    me- desima processo,  e  svolgimento.  Che  se  anch'  ella  come tutte  le  manifestazioni  della  storia  é  un  processo,  é mestieri  applicare  ad  essa  la  universal  legge  storica  e sociologica  della  Scienza.  Guardata  infatti  nella  sua storia  ideale,  anche  la  religione  é  innanzi  tutto  divinay indi  eroica,  appresso  umana.  E  giugne  ad  essere  umana quando  la  forma  siasi  potuta  elevare  a  cotal  grado  di trasparenza,  che  il  simbolo  palesi  da    medesimo l'idea,  e  il  mito  siasi  venuto  elaborando  così  che  rac- *  Non  poco  8*  illudono  perciò  quo' filosofi  ohe,  come  il  Cusano  fra  gli antichi  e  il  Rosmini  fra  i  moderni,  si  sforzano  d'applicare  a  Dio  il  concetto delle  categorie  col  fine  di  spiegarsi  in  qualche  maniera  il  mistero  della Trinità.  Io  potrò  intendere  il  Cardinal  di  Cusa  dove  mi  dice  che  Unitcu, Iditas  e  Identità»  siano  quasi  i  tre  momenti  dialettici  interiori  dell*  asso- lato. R  potrei  forse  intendere  il  Roto  retano  quand'ersi  studia  mostrarmi che  Realtìk^  Jdeaìità  e  Moralità  sieno  le  tre  forme  in  che  si  determina l'essere.  Ma  come  intenderli  quando  il  primo  d'essi  afferma  che  Vvnità è  il  Padre,  VegtiaglianMa  il  Figlio  e  la  connessione  lo  Spirito,  e  quando il  secondo  applica  alle  tre  persone  quelle  sue  tre  sparute /orm«  ontologiche  f chiuda  un  vero  metafisi(X)  o  morale  che  sia.  Or  se  è tale  il  valore  del  sentimento  religioso  nello  svolgimento isterico  della  civil  società,  perchè  dirlo  morbo  della mente,  fiacchezza  della  coscienza  volgare,  abberrazione della  fantasia?  Se  dunque  la  ragion  filosofica  vorrà attingere  anche  qui  forma  razionalmente  positiva,  ella vi  potrà  giugnere  a  questo  sol  patto;  che  il  concetto metafisico  ond'  è  capace,  non  abbia  a  contraddire  in modo  assoluto  ai  portati  della  coscienza  religiosa.  £  se la  religione  dal  canto  suo  vorrà  essere  anch'  ella  po- sitiva e  razionale  e  perciò  rispettabile  e  santa,  potrà essere  tale  a  questo  sol  patto;  che  sappia  porgersi  alla ragion  filosofica  siccome  riprova  e  guarentigia,  tuttoché di  natura  istintiva  ed  empirica,  ai  pronunziati  della speculazione  metafisica.  Anche  qui  regna  la  gran  legge del  concorso  di  forze  combinate,  e  del  loro  corrispon- dersi tanto  necessario  alla  eccellenza  del  risultato.  E  in tal  caso  religione  e  filosofia,  serbando  entrambe  valor positivo  e  medesimezza  di  contenuto,  formeranno  un criterio  al  cui  lume  potrà  esser  giudicata  ogn' altra filosofia  e  religione.  Una  critica  religiosa  che  si  diparta da  questo  principio,  sarà  critica  infeconda  ed  erudita, com'  è  quella  de'  Teologisti  cattolici,  ovvero  critica  esi- ziale e  sistematica  com'  è  quella  de'  mitologi  hegeliani. Tal  si  è  precisamente  il  nostro  concetto  metafisico rispetto  al  ternario  cristiano,  che  è  il  mistero  piii  com- prensivo cui  abbia  saputo  elevarsi  la  coscienza  religiosa. L'uno  è  correzione  dell'altro,  al  modo  istesso  che  questo è,  per  così  dire,  guarentigia  sperimentale  del  primo.' *  Qui  abbiamo  dovuto  accennare  solamente  al  simbolo  della  Trinità, ma  nella  Sociologia  mostreremo  di  proposito  come  la  dottrina  del  Vico su  la  natura  ed  origine  del  mito  in  generale,  sia  fondata  anch'ella  nelle  leggri del  processo  psicologico,  e  quindi  racchiuda  il  concetto  e  la  necessità  della interpretazione  morale  nell'ordine  delle  intuizioni  religiose,  e  mitologiche; deHa  qual  necessità  il  Kant,  dopo  il  Vico,  ebbe  assai  chiara  coscienza {Rdig,  daiu  le»  lini,  de  In  raiton).  Ora  ciò  che  qui  preme  osservare questo:  s^  col  concetto  metafisico  del  nostro  filosofo  si  può  acconcia- mente interpretare  il  simbolo  del  ternario  cristiano,  ne  scendono  due Concludiamo.  Se  è  vero  che  la  metafisica  è  scienza non  assoluta  ma  dall'  assoluto,  stantechè  sia  possibile attinger  notizia  razionalmente  positiva  circa  il  fonda- conseguenze:  P  che  il  Libro  Metafisico f  nel  quale  troviamo  depositato il  germe  del  concetto  riguardante  il  procesto  ideale,  sia  intimamente  col- legato con  la  Seiema  Nuova,  appo  cui  la  teorica  sul  mito  (superiore sotto  più  riguardi,  come  vedremo,  a  quella  de*  mitologi  e  filologi  Tiventi), non  è  che  un'  applicazione  della  sua  dottrina  psicologica,  della  quale  noi ahbiamo  svolto  i  tratti  principali:    che  interpretando  col  suo  concetto metafisico  il  simbolo  cristiano,  in  generale,  e,  in  particolare,  quello  del ternario,  si  viene  a  contraddire  in  modo  serio  e  positivo  al  panteismo. Anche  per  gli  Hegeliani  il  mistero  della  Trinità,  come  ogn'  altro  mistero, shnboleggia  una  verità  filosofica.  (Heobl,  Phil.  de  VEaprit,  t.  I,  ItUrod. del  Vera);  nel  che  siamo  perfettamente  d'accordo.  Ma  l'interpretazione alla  quale  costoro  sottopongon  la  simbolica  religiosa,  anziché  legittimare in  qualche  maniera  la  credenza  elevandola  a  significato  filosofico,  l'annul- lano addirittura,  perchè  la  rendono  assai  più  inintelligìbile  e  parados- sastica  ch'ella  stessa  non  sia  come  credenza.  Idea,  Natura  e  Spirito: Padre,  Figlio  e  Spirito  Santo!  Ma  che  cosa  ci  ha  che  veder  la  Natura? Non  è  egli  questo  precisamente  ìl  vecchio  concetto  degli  Alessandrini,  di Plotino,  che  pretendeva  ritrovare  nel  Parmenide  le  tre  famigerate  ipo- stasi dell'  Unità,  del  Multiplo,  e  dell*  Unità-multiplo,  riponendo  quest'ultimo appunto  nell'anima  e  nella  natura V  {Enn.  lib.  I,  e.  8,  trad.  Boulliet). L' interpretazione  davvero  potitiva  e  non  già  fantastica  del  contenuto religioso,  non  deve  e  non  può  contraddire  al  simbolo  (almeno  per  quel tanto  che  esso  contiene  di  filosofico),  perchè  contraddirebbe  alla  stessa ragione.  Or  quest'  elemento  di  verità,  contenuto  germinalmente  nel  sim- bolo cristiano,  riguarda  per  appunto  il  ternario  considerato  in  sé;  ri- guarda il  ternario  assoluto,  il  ternario  com'è  richiesto  dall'esigenza metafisica  positiva,  e  non  già  il  ternario  trasport-ato  anche  nel  processo della  natura,  e  nello  svolgimento  della  storia.  Questa  enorme  confusione fanno  i  Teologi,  e  la  fanno  anche  gli  Hegeliani  con  la  lor  teorica  e  cri- tica della  simbolica  cristiana.  Che  cos'  è  il  Dio  che  eeende  nella  natura? Che  cos'è  il  Figlio  che  si  parte  dal  Padre  per  umanar»if  Che  cosa  mai sono  il  popolo  eletto,  i  profeti,  gl'ispirati,  il  mondo  latino-cristiano?  E che  cos'  è  la  Idea  che  dall'  astratta  mansione  dialettica  scende  anch'  ella e  passa  mediandosi  nella  natura  e  penetra  nella  storia?  Che  cosa  sono \6  funzioni  storiche  speciali  de'  popoli  privilegiati,  àQ*  privilegiati  perso- naggiy  del  mondo  cristiano-germanico?  L' Hegolianismo  è  davvero  una contraffazione  del  più  grossolano  Cattolicismo!  ò  una  mitologia  anche lui  !  E  quanti  punti  di  contatto  anche  in  questo,  e  specialmente  in  que- sto, con  la  dottrina  sociologica  dei  Comtiani!  Il  Vera  ha  detto  bene: il  Positivismo  i  una  contraffazione  delV  Heyelianismo.  E  noi  alla  nostra volta  crediamo  dir  benissimo  (col  permesso  dell'  illustre  traduttore)  che r  Hegolianismo  è  una  contraffazione  evidente  del  Cattolicismo.  Ma  di  ciò basti:  ce  ne  rifnrorao  altrove  più  riposatamente. mento  e  la  ragion  delle  cose;  se  è  vero,  d'altra  parte, che  il  significato  esteriore  della  storia  della  filosofia occidentale  sta  nella  lotta  fra  il  Platonismo  e  TAri- stotelismo,  mentre  il  significato  interno  ed  essenziale  di essi  risiede  nella  correzione  vicendevole  de'  due  estremi indirizzi  aristotelici  in  quanto  concorrono  al  trionfo  del- l'indirizzo  medio:  ne  viene  che  nel  concetto  del  Pro- cesso ideale  e  nella  relazione  de'  tre  termini  costituenti la  dialettica  discensiva  che  abbiamo  sin  qui  rapida- mente interpretata  nel  nostro  filosofo,  trovasi  non  pure il  risultato  e  insieme  l' inveramento  delle  tre  posizioni unicamente  possibili  in  metafisica  delle  quali  altrove toccammo  (pag.  444),  ma  l' inveramento  altresì  della doppia  esigenza  deU'ùZga  platonica  e  della  categoria aristotelica.  Trovasi  la  correzione,  come  ci  sarà  dato meglio  vedere  fra  poco,  del  Dio  platonico  previdente  e provvidente,  e  dell'  immobile  Dio  aristotelico  che  nulla vede,  nulla  prevede  e  niente  provvede  nel  mondo.  E  per tutto  ciò  troviamo  l'accordo  fra  il  principio  della  me- desimezza che  prevale  nel  padre  della  Dialettica,  e'I principio  della  diversità  che  predomina  nel  padre  della Metafisica.  Cìotesto  accordo  per  noi  è  vero  accordo,  è vera  conciliazione,  appunto  perchè,  come  dicemmo,  è vera  correzione:  correzione  dell'Idea,  dell'essenza  che, pur  sparata,  dovrebb'  esser  l' essenza  della  cosa:  cor- rezione dell' Ji^o  il  quale,  non  ostante  l'assoluta  immo- bilità sua,  dee  muovere  il  mondo  come  causa  finale. Quest'accordo  e  questa  correzione  trovano  lor  saldo fondamento  nel  criterio  della  Conversione,  elevato  a dignità  di  Pilicipio  metafisico. E  questo  medesimo  principio  metafisico  può  e  deve assumer  natura,  come  si  disse,  di  principio  speculativo, di  norma,  di  criterio  essenzialmente  isterico,  universale e  comprensivo,  a  poter  saggiare  e  acconciamente  pon- derare la  verità  delle  soluzioni  che  intomo  al  problema metafisico  han  dato  le  diverse  scuole,  e  le  differenti filosofie.  Se  ci  fosse  dato  fermarci  in  siffatti  riscontri storici,  non  sarebbe  guari  difficile  mostrare  come  in esso  trovi  correzione,  per  dir  qualche  esempio,  1'  Ales- sandrinismo; il  cui  rappresentante,  Plotino,  interpre- tando erroneamente  il  metodo  dialettico  del  Parmmide e  abusando  dell'  Unità  parmenidea,  non  potè  coglier  la ragione  del  vincolo  che  insieme  annoda  i  suoi  diffe- renti generi  del  sensibile,  co' suoi  generi  dell'intelligi- bile, e  siffattamente  sfumò  nell'iperpsicologismo  plato- nico pur  credendo  d' inverare  l' Aristotelismo.*  Questo vincolo  e  questo  passaggio  non  potè  scorgere  l'ingegno profondo  d'Erigena  con  l'ardito  concetto  della  yuVic  e con  le  quattro  diverse  maniere  onde  per  lui  s'attua la  Natura;  poiché  giunto  all'assoluta  essenza,  com'è noto,  ei  se  ne  ritrasse  invocando  in  sussidio  la  teologia rivelata.*    il  Cusano,  per  citare  un  esempio  del  Ri- nascimento, tuttoché  con  mirabile  acume  giugnesse  a cogliere  il  concetto  àéìT  alteritcLS  e  delle  determinazioni dell'Assoluto,  bastò  a  dedurre  acconciamente  e  neces- sariamente l'attinenza  verace  onde  il  mondo  è  a  Dio congiunto,'  e  anche  lui  finì  con  intender  l'atto  crea- tivo al  modo  che  è  posto  dalla  coscienza  religiosa.  Tanto meno  l'arditissimo  Bruno  potè  imbroccare  nel  segno,  con la  dottrina  de'  tre  intelletti,  quant' all'attinenza  tra  l'in- telletto divino  e  l'intelletto  che  tutto  fa;  *  e  quindi sfumò  in  quel  suo  naturalismo  che  potrebbe  dirsi  un aristotelismo  cui  manchi  il  concetto  dell'Atto  in  sé.  Né il  Campanella  giunse  ad  applicare  in  maniera  dialettica le  sue  tre  primajità  psicologiche  all'  Assoluto,'  come  il Vanini  non  superò  guari  la  dottrina  della  natura  e della  forma  de' peripatetici.  Nello  Spinoza  poi,  meglio che  dialettica,  ci  è  meccanica  e  geometria;  poiché  il concetto  della  sostanza  unica'  è  negazione  della  tripli- *  Simon,  BUt.  cit  lib.  U,  e  IV.  V  e  VIL *  Haubiau,  PhU.  Sool.,  ed.  cit.,  t.  I. '  Nio.  DB  Cuba,  DicU.  cU  Pot§e9t. *  Bbono,  Dial.  II,  De  Prine.j  oc. *  Camparblla,  MetapKt  lib.  I,  e.  Ili,  8. *  SpurosA,  £th.t  I,  n.  U,  7. cita  e  d' ogni  processo  intimo  e  dinamico  nelP  Assoluto  ; onde  il  pensiero,  che  è  uno  de' due  modi  universali della  sostanza,  riesce,  con  evidente  assurdo,  molto  piii che  non  sia  la  medesima  sostanza.  In  opposizione  alla sostanza  spinoziana  sta  la  monade  del  Leibnitz.  Ma  se nel  concetto  monadologico  del  filosofo  di  Lipsia  vi  è una  divinazione  originale  che  la  scienza  moderna  è  ve- nuta semprepiii  confermando,  voglio  dire  il  concetto  di- namico, niun  vincolo  razionale  e  dialettico  esiste  tra  la gran  Monade  e  T  universo  delle  monadi,  come  altrove dicemmo.'  E  per  toccare  finalmente  de' moderni,  niuno, tranne  gli  adepti,  vorrà  creder  sul  serio  che  Hegel  col suo  ternario  assoluto  ci  abbia  dato  un  concetto  meta- fisico positivo.  Egli  anzi  ha  cancellato  aftatto  il  concetto della  conversione  ad  intra^  riducendo  siffattamente  il dinamismo  ideale  ad  un  ideale  meccanismo;  talché  il processo  geometrico  della  Sostanza  spinoziana  avrebbe più  d' un' attinenza  col  processo  formale  e  dialettico dell'Idea  hegeliana.  Alla  vera  nozione  del  Processo ideale  non  sono  pervenuti  poi    il  Gioberti,    il  Ro- smini. Il  principio  ctisologico  del  primo  è  senza  dubbio un  processo,  come  vedremo  fra  poco  :  ma,  appunto  perchè processo,  non  dovrà  supporre  forse  un  altro  processo  ante- riore, e  superiore?  La  dialettica  giobertiana  é  Una  dialet- tica a  metà;  e  il  creatore  del  filosofo  subalpino  è  troppo accosto  al  suo  concreatore,  alla  sua  iitBì^ic^  al  suo  Intel- ligihile  relativo  che,  coni'  egli  dice,  è  l' Idea  redw^ata, V  Idea  per soìiificata;^  talché  potendovisi  facilmente  con- fondere, non  poteva  àgli  hegeliani  riescir  guari  difficile tirarlo  all'  Idealismo  assoluto.'  Il  Rosmini  finalmente, col  concetto  dell'  ente  iniziale  e  comunissimo  determi- *  Vedi  ciò  che  abbiamo  discorso  del  Leibnitz  nel  lib.  I,  p.  180  e  se^. ■  Gioberti,  FU,  ddla  Rivdaz.,  p.  805. '  Al  Gioberti  manca  e  deve  mancare,  come  vedremo  fra  poco,  il  vero concetto  della  dialettica;  e  Io  confessa  egli  medesimo    dove  si  prova a  distinguere  una  dialettica  interiore,  ed  una  dialettica  esterna,  (Protologia, V.  I.,  p.  629,  ed.  cit.) nantesi  nelle  tre  forme  dialettiche,  non  è  giunto,  e  non poteva  giugnere  neanch'  egli  a  sciogliere  e  poi  rilegare il  vero  nodo  dialettico.'  Com'è  possibile  un  processo fra  quelle  sue  tre  forme?  Com'è  possibile  la  distinzione categorica  reale  del  suo  essere? Le  cose  discorse  ci  menano  a  due  conclusioni  quanto chiare, altrettanto  irrepugnabili:  P L'Assoluto  è  il  Vero che  si  converte  ad  intra  col  Generato ,  e  ad  extra  col Fatto:  dunque  la  posizione  del  Fatto  è  razionalmente, liberamente  necessaria  :  2**  U  Fatto  è  V  aUrOj  è  il  di- verso: ed  è  tale  per  doppio  rispetto;  come  termine ^05^0, cioè  come  Fatto  semplicemente  detto,  e  come  Fatto  che si  fa  ;  come  sostanza  e  come  causa  :  dunque  il  Fatto  è estemo  al  Generato,  è  indipendente  da  lui,  non  come termine  posto,  bensì  come  Fatto  che  s'invera,  come Fatto  che  si  converte  con    stesso  e  perciò  nel  Vero  ; insomma  come  sorgente  perenne  d'attività.  Diciamolo in  altre  parole.  Dio  crea  il  mondo  in  quanto  lo  pone  ; e  il  mondo,  in  quanto  è  posto  come  fatto,  si  crea.  11 mondo,  adunque,  appunto  perchè  ha  natura  di  Fatto , appunto  perchè  ha  natura  di  altro  sotto  gemino  aspetto, è  insieme  posizione  e  creazione.  È  posizione,  in  quanto è  termine  di  conversione  con  1'  altro,  ciò  è  dire  con  Dio  : ed  è  creazione,  in  quanto  è  subbietto  di  conversione  con sé  e  per    medesimo.  Perciò  se  il  Fatto  non  è  creato ma  è  postOy  ne  viene  eh'  egli  ha  da  essere  il  vero  pò- nente,  il  vero  creante    medesimo.* *  Rosmini,  Teotojia,  toL  I. '  La  parola  ponzione  è  brutta,  io  Io  veggo;  ma  qui  non  saprei  come dire  dÌTersamento  per  non  restare  avviluppato  negli  equivoci  ed  esage* razioDi  in  che  sono  caduti  gli  ontologisti  con  V  uso  ed  abaso  deUa  parolA Il  mondo  nel  processo  cosmico  ci  si  presenta  sotto  tre aspetti.  Riguardato  come  Fatto,  egli  è  in  Dio.  Riguar- dato qual  Fatto  che  s'invera  e  converte  con    stesso, è  fuori  di  Dio.  E,  finalmente,  considerato  qual  Fatto  che si  converte  col  vero  nel  regno  della  storia  e  della  psico- logia, non  si  può  dir  propriamente  eh'  e'  sia  fuori  di  Dio né  in  Dio,  ma  Dio  è  in  lui:  é  in  lui  nel  senso  che  il mondo  è  pensiero,  scienza.  Ragione  spiegata.  Ecco  la  cor- rezione e  insieme  l'accordo  del  Dualismo  e  del  Panteismo. Non  vi  é  unica  ed  assoluta  sostanza:    vi  sono  due sostanze  poste  empiricamente.  Vi  è  bensì  una  dualità formante  unità:  vi  é  due  sostanze  formanti  organismo. ertaMÌ4me.  Nel  g^reco  non  ini  pare  ci  sia  una  voce  che  possa  rendere  il  con- cetto: anzi  non  ci  può  essere^  chi  consideri  come  al  pensiero  ellenico  manchi r  idea  alla  quale  accenniamo.  Tra  VAtto  puro  e  la  dateria  prima  deir  Ari- stotelismo non  ci  è  vincolo  nel  signifioato  di  potìnofu;  ma  t*  è  solamente relazione  di  finalità,  perchò  VAtto  non  pone,  ma  attrae  ;  e  attrae  la  materia in  quanto  essa  è  jiotoiua,  cioò  in  quanto  è  opi^i^  ;  e  però  in  quanto  nelle cose  Tiene  inserito  il  deeiderio  con  perpetua  in/ueion%  che  è  1*  interpre- tazione erronea  de*  vecchi  aristotelici  e  antiaristotelici  (Rjlvaisbok,  Me- taph,  ec ,  T.  II,  pag.  552).  Neanche  nel  Platonismo  ci  è  V  idea  della  po- sizione, e  quindi    pur  la  parola  che  vi  risponda  ;  essendo  noto  come  pel filosofo  d*  Atene  la  materia  sia  anche  eterna  e  al  tutto  indipendente  dal- l'ùlea,  cioè  un'assoluta  recettività,  iimeno  intendendo  Platone  come  si  fa d'ordinario:    poi  la  fii9t^i^  e  la  yLl^junii^^  come  toccammo,  bastano  ad esprimerci  il  concetto  della  conversione.  Il  pensiero  ellenico  dunque  non pervenne  a  determinar  nettamente  l'attinenza  (originaria,  non  finale) tra  l'indeterminato  e  l'Idea,  tra  V infinito  e  il  finito,  tra  la  forma  e l'Atto;  e  quindi  non  riusd,  com'ò  noto,  a  superare  il  Dualismo.  Ora trascendere  il  Dualismo  è  uno  degli  aspetti  e  però  uno  de'  fini  della  lotta fra  il  Platonismo  e  1'  Aristotelismo.  L'  Alessandrinismo  tentò  superarlo, ma  evaporò  nel  concetto  dell'  identità  assoluta  :  e  però  neanche  presso  gli Alessandrini  sarebbe  facile  trovare    il  concetto,    la  parola  che  si- gnifichi '1  vincolo  originario  tra  il  mondo  e  Dio.  Gli  Hegeliani  usano anch'essi,  fra  le  altre  non  meno  brutte,  la  parola  poeizione,  che  anzi costituisce  il  lor  pane  quotidiano.  Ma  per  l' Hegelianismo  poeizione  vale determinazione,  medùizione,  compenetrazione;  e  perciò,  checché  ne  dicano, esprime  un  rapporto  di  natura,  per  cosi  dire,  meccanica  e  formale.  La  no- stra posizione  è  diversa  dalle  loro  quanto  il  nostro  Generato  dalla  loro  Idea; quanto  la  nostra  convereione  dalla  loro  contrappoeizione^  negazione,  me- dÌ€tzione  e  che  so  io.  fe  inutile  avvertire  che  le  parole  bara,  asa,  vasàb della  letteratura  ebraica,  esprimon  tutt'  altro  concetto  di  quello  che  noi intendiamo  significare  con  la  parola  poeizione. Quest'organismo  è  vita,  non  è  morte fqueet'  organismo è  profondo  dinamismo,  non  è  meccanismo.  Ed  è  vita  e -dinamismo,  perchè  non  è  monismo  assoluto;  non  è  mo- nismo inintelligibile,  assurdo,  esiziale  alla  scienza  come alla  civil  società. E  qui  ci  corre  il  debito  di  rendere  giustizia  alla mente  straordinaria  del  Gioberti,  e  correggere  nel  me- desimo tempo  la  sua  formola  ctisologica.  Anch' egli  è tal  pasta  d' ingegno  che  si  svolge  e  s' allarga  e  s' in- vera e  si  corregge;  ma  non  per  questo  si  contraddice. La  novità  della  Protólogia  non  istà  nel  concetto  del creare  inteso  come  divenire,  secondochè  vorrebbe  lo  Spa- venta. Se  così  fosse,  egli,  in  verità,  non  avrebbe  detto nulla  di  nuovo;  come  nulla  di  nuovo  disse  nella Introdu' jrìone  col  rinverdire  la  vecchia  idea  della  creazione.  La novità  .vera,  la  nuova  esigenza  del  filosofo  subalpino  sta nel  concetto  della  concreojgione,  com'  ei  suol  dire  ;  della cancrecunone  intesa  non  già  come  fxsOf5«;  dell'Idea  verso il  mondo  e  rispetto  al  mondo,  ma  si  del  mondo  verso r Idea,  e  rispetto  all'Idea.  Perciò  l'Ontologismo  giober- tiano  va  corretto  ;  va  fatto  più  conseguente  con    stes- so :  e,  scambio  della  celebre  formola  dell'  Ente  creante l' Esistentey  è  forza  porre  la  formola  metafisica  del  Vico nella  quale  è  racchiuso  quel  vero  e  compiuto  dialettismo che  r  ardente  scrittore  del  Primato  andò  sempre  cer- cando con  ansia  febbrile,  e  non  trovò  mai  :  cioè  il  Vero che,  convertendosi  ad  intra  ed  Generato^  si  converte  anche ad  extra  col  Fatto.  La  sua  formola  teleologica,  poi,  vuol essere  anch' ella  corretta;  e  invece  d'aflFermare  che  V  esi- stente ritoma  alV  ente  (prima  maniera),  o  che  V esistente concrea  Venie  concreando  se  stesso j  è  d'uopo  dire  che  il Fatto  si  converte  nel  Vero  e  col  Vero,  e  perciò  si  crea, e  perciò  si  fa  divino.  ' *  Il  concetto  ctisolo^'oo  del  Gioberti  della  prima  maniera  (e  dico marnerà  per  dir  forma  nello  stiluppo,  non  già  diversità  di  contenuto  nella sua  dottrina,  come  Terrebbero  gli  Hegeliani),  sta  nel  presentar  V  atto  crea- tiro  siccome  prodaconte  T  esistenza  in  quanto  la  individua.  Nella  Intro- Mi  si  chiederà  :  la  seconda  forinola,  la  formola  cos- mologica esprimente  il  vero  concetto  della  creazione, cioè  il  Fatto  che  si  converte  nel  Vero,  esiste  ella  nel  Vico  ?  ' Esiste,  io  rispondo,  per  chi  la  sappia  ritrovare,  e  dedurre  ; e  dedurla  e  trovarla  è  negozio  agevolissimo.  Come  la  si deduce?  Considerando  con  accuratezza  la  sua  formola metafisica.  Quando  egli  pone  il  Fatto  siccome  termine  di duzione  il  creare  suona,  a  dir  proprio,  individuare.  Che  cosa  in£atti  ò r  individuo  ?  È  V  Idea  pasMta  dalla  potenza  alTaUo  (t.  II,  ed.  cit.  p.  195). Qui  t;*  ò  dol  neoplatonismo,  e  anche  buona  doso  di  panteismo.  Della  prima maniera  altresì  è  queir  afTermare  con  tanta  sazietà  che  T  uno  crea  ti  mi«l- tiplof  e  che  ii  tntdtiplo  ritoma  aU^tmo:  concetti  yaghi,  indeterminati  ed erronei  che  ci  fanno  pensare  a  Proclo  e  a  Plotino.  Se  il  Gioberti  fosse rimasto  qui,  non  sarebbe  stato  ingegno  potente  ed  essenzialmente  cor- rettivo di    medesimo.  Non  sarebbe  stato  ingegno  progressivo,  fecondo ed  esplicativo.  Ma  se  nella  Protologia  fosse  giunto  al  concetto  del  divenire, più  che  esplicarsi  e*  si  sarebbe  data  la  zappa  su' piedi;  si  sarebbe  cod- tradetto:  sarebbe  passato  dal  bianco  al  nero,  dal  no  al  sì,  da  Dio  alla  Idea, e  siffattamente  sarebbesi  mostrato  ingegno  leggiero,  pensatore  sghengo  e anche  un  pò*  vanesio.  Era  egli  tale  T  ingegno  del  Gioberti?  Lo  dica  chi può  !  Dunque  l' A.  della  Protologia,  se  per  nostro  conforto  fosse  vissuto, non  sarebbe  divenuto  Hegeliano;  anzi -avrebbe  inaugurato  novello  periodo filosofico  in  Italia  conforme  all'indole  di  nostra  mente;  ciò  che  non  ha fatto,  e  non  poteva  faro  il  Mamiani.  II  Ferri  ha  detto  benissimo:  la teconda  JUoaofia  del  Gioberti  {che  racchiude  non  già  un  nuovo  9Ì9tema,  eib- bene  uno  epirito  nuovo)^  inaugura  un  altro  periodo,  la  cui  aorte  i  rieeronta al  futuro  (Hist.  cit.,  voi.  II,  p.  204).  E  davvero,  se  fosse  vissuto,  ci  avrebbe dato  un  Btnnovn mento  filosofico,  al  modo  stesso  che  ci  dìo  il  RinnovametUo civile  col  quale  Inaugurò  la  nuova  Italia,  e  del  quale  Cavour,  dovremmo  es- serne ormai  convinti,  non  fece  che  attuare  il  programma.  Ciò  non  pertanto anche  nella  Protologia  si  scopre  l'uomo  vecchio,  VintuitUta,  e  però  il  neopla- tonico schietto.  Non  dubita  affermare,  per  esempio,  che  Videa  pone  il  finito, e  8i  COMUNICA  fv.  1,  p.  4S4):  che  le  idee  formino  in  Dio  una  gela,  la  quale 9Ì  «quaderna  e  pa^aa  dalV  as9oluto  ed  relativo  merde  V  atto  della  creazione (Id.,  p.  147):  che  V  infinito  attuale  e  V  infinito  potenziale,  anziché  due  cote, formino  una  sol  cosa,  ma  sotto  doppio  aspetto  (p.  440  e  seg.,  special- mente 159):  e  che  l'infinito  potenziale  non  è    il  finito    1* infinito, ma  la  sintesi  di  essi  (p.  427),  non  {scorgendo  il  grand'  uomo  come  finitò,  e infinità  potenziale  non  siano  già  due  cose,  ma  due  aspetti  d*un  medesimo subbit'tto,  ciò  è  dire  il  Fatto  in  quanto  è  alterità  verso  il  Generato,  e verso  se  st-csso.  Or  le  contraddizioni  da  cui  bisogna  salvare  il  Gioberti nella  sua  seconda  maniera  di  filosofare  sono  queste,  non  quelle  che  ci veggon  gli  Hegeliani.  E  bisogna  salvamelo  appunto,  per  liberarlo  dalle tracce  d* iperpsicologismo,  di  neoplatonismo,  di  alessandrinismo,  d'ara- bismo e  d' hegelianismo  che  pure  contiene. conversione  col  Generato,  cioè  il  Fatto  come  Fatto,  come posto;  con  ciò  stesso  ei  ci    questo  Fatto  come  sub- bietto  che  essenzialmente  si  converte  con    medesimo  ; cioè  come  creante  sé,  come  autogenito,  come  conato,  E come  poi  ritrovarla  cotesta  formola?  La  ritrova  chi abbia  occhi  in  fronte  ;  cioè  leggendo  la  Scienza  Nuova.  La quale  è  per  l'appunto  un'applicazione  di  essa,  ma  è  un'ap- plicazione al  mondo  de' fatti  umani,  eh' è  dire  d'ima parte,  d'un  genere,  del  sommo  genere  del  Fatto.  Che cos'è  il  Certo  che  diventa  Vero?  Che  cos'è  V Autorità che  a  grado  a  grado  assume  forma  e  valore  di  Ragione? Che  cos'  è  la  Filologia  che  diventa  Filosofia?  Che  cos'è la  storia,  l' uomo,  lo  spirito  che  dalla  fase  divina  passa alla  fase  eroica,  e  dall'eroica  all'wwana.^  Che  cos'è  il pensiero,  la  Mente  che  è  Senso^  poi  Immaginaeione  e poi  Ragione?^  Taluno  potrebbe  dire:  di  cotesta  for- mola il  Vico  non  fece  applicazione  al  mondo  della  na- tura. Neanche  questo  è  vero.  E  non  vero,  i)erchè  non solamente  quest'  applicazione  ci  è  dato  dedurla,  al  solito, dal  suo  principio  metafisico,  ma,  che  più  rileva,  ei  n'  ha lasciate  tracce  visibilissime,  germi  assai  fecondi  ne'  suoi principii  cosmologici,  come  vedremo  appresso.  Torniamo al  proposito. Dato  alla  creazione  il  significato  e  il  valore  che  noi diciamo,  ne  vengon  fuora  parecchie  conseguenze  le  quali verremo  accennando  man  mano.  La  creazione  non  è,  per parte  di  Dio,    una  deduzione,  per  dir  così,    un'  in- duzione. Per  dedurre  il  mondo,  egli  dovrebbe  cavarlo da    :  assurdo  grossolano.  Per  indurlo,  poi,  dovrebbe cavarlo  da  una  materia  preesistente,  ovvero  dal  nulla. Una  materia  preesistente  senz'  alcuna  idea,  un  ricetta- colo indeterminato,  come  lo  concepisce  il  Platonismo, riesce  inintelligibile,  e  ci  lascerebbe  in  pieno  dualismo. Dal  nulla  come  tale,  nel  che  sta  il  concetto  balordo  dal pietoso  credente,  tanto  meno.  Si  dirà  esserci  la  potenza *  Vedi  a  qaesto  proposito  quel  ohe  abbiamo  discorso  nel  Cap.  V del  Ub.  U. infinita  attuale?  Benissimo  :  quest'Atto  ha  da  esser  Oene- rato;  e,  in  quanto  è  Generato,  pone  il  fatto,  educe  il  fatto per  necessità  razionale,  e  quindi  per  legge  di  conversione. Se  dunque  lo  educe  per  necessità  intima  e  razionale,  veg-. giamo  scaturire  una  seconda  conseguenza,  ed  à  che  un mondo  particolare,  contingente  e  d' ogni  parte  finito  e mutabile  e  scorrevole,  senz'  altra  necessità  fuorché  quella d'  un  beneplacito  divino,  contraddice  apertamente  alla ragion  filosofica  positiva,  nonché  ai  risultati  sicuri  della moderna  scienza  fisica,  geologica,  cosmologica,  astrono- mica. Se  il  mondo,  anche  in    medesimo,  é  una  conver- sione di    con    stesso,  non  può  non  esser  necessario nella  sua  esplicazione  e  nelle  sue  leggi,  appunto  perché essendo  termine  di  conversione  d'una  causa  eh'  é  men- te, debb'  essere  anche  lui  causa,  mente,  razionalità.  U mondo,  in  somma,  é  posto  razionalmente.  Dunque  Tatto col  quale  Dio  pone  cotesto  mondo  é  liberamente  neces- sario, e  necessariamente  libero.* *  Dicemmo  qual  relazione  corra  fra  libertà  e  ragioue  (Gap.  V,  Lib.  II). Se  Tatto  volitivo  guardato  nella sna  radice,  secondo  la  legge  del  processo psicologico,  non  è  altro  in  generale  che  uno  «/orso  (Tintenderef  cotesto sforzo,  che  in  noi  ò  impedito  perchè  essenzial  conato,  nelP  Assolato  non  può aver  luogo,  e  quindi  è  speditissimo.  £cco  il  fondamento  della  necessità della  creazione.  Ma  la  sapienza  infinita  !  si  dirà:  chi  ne  misura  gli  abissi? Lasciamo  gli  abissi:  qui  la  faccenda  è  chiara,  perchè  ce  ne  porge  gua- rentigia la  psicologia  :  gli  abissi  ci  sono,  pur  troppo,  ma  non  qui  ;  e  qui ci  sono,  perchè  ce  Than  messi  T  ignoranza,  il  pregiudizio  e  T  immagina- zione. Nò  si  creda  che  togliendo  a  Dio  la  libertà  (anche  quella  a  n«oem(ate natura),  ella  rimanga  distrutta  altresì  nelPuomo.  Innanzi  tutto  non  è  vero che  si  tolga  a  Dio  U  libertà;  anzi  gli  si    la  libertà  vera,  dal  momento  ohe si  concepisce  come  vera  e  compiuta  ragione.  L* uomo  è  ^rt»eep«rous.*^  Non  v'è  dun- que destino  :  il  destino  è  la  natura  e  la  ragione  ;  e  ap- punto perchè  il  destino  è  natura,  perciò  è  lungi  d'esser cieca  necessità.-  Tutto  quindi  è  provvidenza  nella  mente del  Vico,  perchè  tutto  è  creazione,  attività  intima,  pro- fonda, spontanea  si  nel  mondo  fisico,  e    nel  morale; né  senza  ragione  volle  metterla  in  cima  alle  sue  discor verter  La  provvidenza  agli  occhi  suoi  apre  e  chiude il  circolo  della  scienza,  non  meno  che  il  processo  della Storia.  Ella  perciò  è  innanzi  tutto  naturale  e  divina, appresso  eroica ,  da  ultimo  umana.  La  provvidenza umana  è  la  stessa  ragione,  la  quale  non  può  non  essere libertà:  essa  dunque  importa  pienezza  di  responsabi- lità. La  provvidenza  è  il  primo  de'  tre  grandi  princi- pii,  0  sensi  comuni  ddV umanità:  ed  è  altresì  l'ultimo corollario  della  mente  del  filosofo.  La  Provvidenza  dun- que è  principio  e  fine  della  storia  umana,  al  modo istesso  eh'  è  dedica  e  conclusione  della  Scienza  Nuova.* *  E  anche  quest*  altra  :  ab  ipta  rerum  humatuxrum  natura.  (De  Oon$t, Philel  e.  XL) *  Il  coDCotto  del  Vico  è  concetto  aristotelico;  e  così  infatti  1*  Afro- dìsio  interpretava  la  neceasìtà Jinea  e  naturale  d'Aristotele.  (Ved.  Noo- BI8S0N,  De  la  UberU  et  du  Haaard,  E$8a%  sur  Alexandre  d'Aphrodina»  ec. Paris  1870,  p.  43,  98.) *  Ved.  Tavola  delle  Diteoverte  nella  Prima  Seien»a  Nuowu *  Perciò  chiama  il  soo  libro  una  teologia  civile  e  ragionata  déUa Prowedema  divina  (Sec.  Se.  Nao.,  lib.  I)  ;  e  più  d' ana  volta  si    Tanto d'aver  prodotto  una  nuova  dimostrazione,  una  dimostrazione  di  fatto ittorieo  circa  V  esistenza  di  Dio.  Che  cor'  ò  questa  dimoetratione  di  fatto ietoricot  t!  la  provvidenza  in  quanto  è  Fatto,  in  quanto  è  creazione.  & il  Fatto  che  si  converte  con  so  stesso,  e  mostra  quel  che  è,  quel  che contiene,  quel  che  debb' essere;  e  così,  mostrando    stesso,  mostra  anche Dio.  Perciò  la  provvidenza  non  ò  Dio  che  si  mostra,  Dio  che  interviene  ; ma  ò  il  mondo  delle  nazioni  che  attuandosi,  che  creandosi  e  edébrando così  la  propria  ìvatwra,  si  mostra  sensatamente,  e  si  manifesta  come  ter- mine di  conversione.  Indi  è  che  la  provvidenza  per  lui  non  può  essere un  argomento  induttivo  dimostrante  l'esistenza  di  Dio,  appunto  perchè ella  nel  mondo,  anziché  effetto,  ò  una  causa.  Questa  sua  dimostra- zione di /atto  ietorico,  dunque,  è  una  forma    eduzione,  non  già  di  sem- plice induzione  :  col  che  confermiamo  anche  una  volta  la  natura  del metodo  vichiano.  Ora  se  questo  è  il  significato  (significato  davvero  nuovo e  originale)  del  concetto  della  Prowidenaa  n^U'  A.  della  Scienza  Nuova, n  concetto  ctisologìco  inteso  al  modo  che  noi  lo  interpretiamo nel  nostro  filosofo,  si  presenta  come  il  ri- saltato del  mondo  moderno.  È  la  vita  stessa  della  scienza moderna:  è  il  gran  secreto  della  filosofia  positiva:  ed è  l'esigenza  massima  della  Sdenea  Nuova.  Chi  non Faccetta,  deve  negare  il  presente,  dee  dare  una  smentita alla  storia;  e  sarà  condannato  a  indietreggiare  sino  al medio  evo,  per  non  dir  già  sino  alla  Grecia.  La  formola cosmologica  del  nostro  filosofo  corregge  e  trascende,  anche in  questo,  il  Neoplatonismo  italiano  moderno,  ponendo non  è  a  merarigliare  s*egli  in  ciò  sia  stato  franteso  e  interpretato  assai male,  come  vedemmo,  da  certi  saoi  critici.  Notammo  già  come  lo  Jan- nelli  fosse  il  primo  ad  osserrare,  che  nella  Seiefìxa  Nuova  tale  concetto può  intendersi  in  dne  sensi  ;  e  V  acato  archeologo  napoletano  non  s' in- gannata. Talora  infatti  sembra  che  la  Provvidenza,  pel  Vico,  abbia  a consistere  solamente  nelP azione  di  Dio.  È  la  Provvidenza,  per  dirne un  esempio,  che  eccita  Atejo  Capitone  e  Lahtone;  il  primo  nella  gdoèa  e tenace  cuttodia  de^  vecchi  diritti,  e  il  secondo  nel  propugnare  interprc tOMioni  tempre  nuove  affindii  la  romana  ffiurieprudenMa  potetèc  evtdgerai. {De  Univ,  Jur,,  VII,  CGXII).  La  provvidenza  egli  invoca  per  iepiegare la  rapida  e  univereale  comporta  del  Cristianesimo  merco  la  civiltà  ro- mana; la  quale  perciò  altro  scopo  non  avrebbe  avuto  nel  mondo,  fuor- ché quello  di  schiuder  la  via  ali*  idea  cristiana.  (Ibi,  OCX VIII).  Or  tutto ciò  contraddice  ali*  esigenza  del  suo  metodo,  ed  è  in  aperta  opposizione con  la  sua  dottrina  metafisica.  Lo  stesso  religiosissimo  Jannelli,  il  quale del  resto  non  avea    punto    poco  subodorato  il  valore  della  filosofia  del suo  maestro,  non  dubita  affermare,  che  se  per  prowidenxa  neUa  Scienza Nuova  •»*  vuole  intendere  eolo  V  axione  di  Dio  eugli  uomini,  Mora  non  pare che  n  faccia  altro  che  una  lemone  di  teologia  poco  neeeeearia  ai  Cattolici, ami  ai  Crietiani  e  a  tutti  gli  eneeri  ragionevoli.  (Op.  cit.,  p.  161.)  Provvi- denza dunque,  pel  Vico,  vuol  dire  natura.  Provvedere  è  fare,  è  creare,  ò attuare  ;  dunque  è  incessante  e  vivace  conversione  del  Fatto  nel  Vero.  Per lui  quindi  è  Prowidenxa  T  itetnto,  laddove,  parlando  dell* origine  della  pa- rola 2ex,  dice  che  gli  uccelli  nidificano  pretto  le  fonti.  {De  Vniv.  Jur.,  p.  142 nella  nota.)  ^  provvidenza  il  pudore,  onde  procede  la  frugalità,  la  temperanza, la  giuttÌMia,  e  simili  {De  Contt.  Juritpr.,  I[I).*È  provvidenza  la storia  della  poesia,  e  le  false  religioni.  (Ibi,  XIII).  &  provvidenza  la  forma monosillabica  delle  lingue  (XII).  È  provvidenza  lo  teoppiar  de*  primi  tu- multi deUe  plebi  nella  terza  età  del  Tempo  Oteuro  (XXII).  È  per  provvi- denza {rebut  iptit  dietantibut)  che  le  religioni  cominciano  a  venire  in  dis- pregio (XXVIII).  È  prorvìdenn  {rebut  iptit  dietantibut),  1*  origine  dell* arte della  guerra  e  della  pace  (XXX).  fe  provvidenza  che  le  Centi  Minori apprendano  dalle  Centi  Maggiori;  ed  è  provvidenza  la  templieità  e  na- turalcMM  Oud*ò  condotto  U  corto  ddC  umanità  (Sec  Se.  Nuo.,  p.  882). a  nudo  le  magagne  del  concetto  creativo  del  Teologismo, nonché  dell' Hegelianiamo  e  del  Positivismo:  che  vuol dire,  al  solito,  corregge  i  due  estremi  del  filosofare,  iperpsi- cologismo  ed  empirismo.  Di  fatto  che  cos'  è  per  l' Hege- liano la  creazione?  È  V  identico  in  guanto  si  differendo. Dunque  non  è  vera  creazione,  svolgimento,  processo; ma  ripetizione  ritmica  e,  come  dire,  inquadrata  sovra un  medesimo  fondo  che  è  la  Idea.  Pel  Positivista  il moto,  la  vita  e  l' essere  delle  cose  non  è  che  trasfor- mazione di  forze,  o  di  materia;  trasformazione  fisica, meccanica,  biologica;  determinismo  affatto  meccanico, affatto  accidentale,  affatto  cieco.  Dunque  anche  per lui  la  creazione  è  ripetizione  monotona  d'un  identico subietto. Con  la  formola  cosmologica  del  nostro  filosofo,  inol- tre, si  giugne  a  conciliare  le  esigenze  legittime  del  Tei- smo e  del  Panteismo  su  la  natura  del  mondo.  Nel  Pan- teismo vi  è  un'affermazione  giusta  e  ragionevole;  ma  vi è  pure  una  negazione  iriragionevole,  erronea  ed  esiziale. L' affermazione  risguarda  lo  svolgimento  d' un  principio interno  e  divino  nel  mondo,  e  nella  natura.  La  nega- zione poi  riguarda  un'efficienza  sovramondana,  che  come intelletto  amore  e  potenza  ponga  il  mondo  e  la  natura, e  sia  presente  al  mondo  e  alla  natura.  U  Teismo  gros- solano e  volgare  contraddice  al  Panteismo  col  porre  l'ef- ficienza sovramondana  ;  ma  non  sa  intendere  per  nulla il  divino  della  natura;  non  capisce  il  divino  anche  nel mondo.  L'affermazione  del  Panteismo  è  l'esigenza  del- l'Oriente, e,  in  parte,  dell'Occidente;  della  scuole  jonica, eleatica,  pitagorea,  stoica,  alessandrina  ;  poi  delle  grandi intelligenze  d'.Erigena,  del  Bruno,  dello  Spinoza;  ed  è anche  l' esigenza  dell'  Hegelianismo.  L' affermazione  poi del  Teismo  beninteso,  è  principalmente  un  portato  della speculazione  occidentale,  perchè  è  1'  esigenza  profonda della  metafisica  platonica,  e  della  metafisica  aristotelica. Panteismo  e  Teismo,  dunque,  oggi  sono  di  fronte;  perchè essendo  pervenuti  entrambi  al  più  alto  grado  di  specu- lazione,  ci  porgono  due  forinole  nette,  chiare,  spiccate: V Essere,  il  Non-Essere  e  il  Divenire,  da  una  parte  :  D Vero,  il  Generato  e  il  Fatto,  dall'  altra.  Or  V  afferma- zione, r  esigenza  ragionevole  del  Panteismo  è  inclusa nella  formula  cosmologica  del  Vico,  e,  che  più  importa, vi  è  anche  corretta.  L'affermazione  e  l'esigenza  ragio- nevole del  Teismo,  poi,  trova  correzione  e  inveramento nella  formola  metafisica  dello  stesso  filosofo.  Quant'  alla parte  negativa,  cotesti  sistemi  sono  da  ripudiarsi  en- trambi. Se  il  Teismo  ignora  il  vero  concetto  di  natura e  però  disconosce  il  divino  e  perciò  stesso  disconosce  la creazione  autonoma  del  mondo;  il  Panteismo,  alla  sua volta,  disconosce  la  vera  natura  di  Dio,  e  perciò  disconosce la  vera  natura  dell'  uomo,  e  cosi  viene  a  distruggere la  grandezza  e  l' eccellenza  dell'  umana  personalità.^ Se  intanto  la  creazione  è  un  processo,  cioè  dire  il Fatto  che  si  converte  nel  Vero,  si  può  domandare  :  in  che maniera  s' attua  cotesto  processo?  In  altre  parole:  come avviene  che  la  creazione  diventa  provvidenza? Il  modo  con  che  s'  attua  la  creazione  potrà  dircelo solamente  1'  esperienza:  ce  lo  potran  dire  le  scienze  di natura,  e  le  discipline  istoriche  in  generale.  Ma  anche nella  soluzione  del  problema  cosmologica  sbagliano,  tanto quelli  che  tutto  vogliono  indurre,  quanto  quegli  altri  che tutto  pretendono  dedurre.  Oggi  non  è  permessa  una  dot- trinacosmologica  empirica;  e  tanto  meno  è  permessa una  cosmologia  che,  fabbricata  a  priori,  si  rimane  cam- pata a  mezz'aria.  La  filosofia  cosmologica  potrà  attinger valore  positivo  e  razionale  ad  un  sol  patto;  che,  cioè,  il pronunziato  generale  ch'ella  potrà  fornire  alle  scienze le  quali  si  travagliano  intorno  alla  ricerca  delle  leggi da  Stuart  Mill  appellate  empiriche,  sia  del  pari,  o  possa essere,  il  risultato  complessivo  e  finale  delle  scienze  stes- *  Giastissime  qaiodi  le  parole  d*aii  valoroso  sorltlore  moderno: «  (Tttt  ùonire  le  panthéitme  que  tou»  eeux  qui  retUM  ^i>rit  de  la  vrai grandéur  de  Vhomme  doivent  »e  riunir  et  eombattre,  >  (Tooqukvillk,  De  la VemoeraHe  en  Amerique,  Paris,  1850,  18*  ed.,  T.  Il,  P.  I,  o.  VIL) se.  La  metafisica  positiva  altro  non  sa  darci,  salvo  che la  legge  della  conversione  come  principio  della  essenzial costituzione  del  Fatto.  Quant'  al  modo  poi,  ella  non  sa, ella  non  può  assegnar    regole  ritmiche,    tricotomie a  priori  di  nessuna  sorta.  Che  se  anche  qui  per  avven- tura è  possibile  un  accordo  e  una  rispondenza  tra  la speculazione  del  filosofo  e  V  osservazione  induttiva  e  de- duttiva dello  scienziato,  in  verità  non  si  cerca  di  meglio. In  cosiiFatto  accordo  si  avrà  la  guarentigia  più sicura  dell'  ottimo  indirizzo  cosi  dell'  una  come  dell'  al- tra sfera  di  scibile. Se  il  Fatto  à  il  diverso,  non  solo  considerato  qual termine  di  conversione  col  Generato,  ma  anche  avvisato in    stesso,  avviene  che,  nel  convertirsi  con    mede- simo, e' debba  manifestare  varietà  di  momenti  e  pas- saggi e  transiti,  e  quindi  intervalli  e  tjontinuità  nel- r  esplicazione  delle  sue  forze.  Vuol  essere  insomma,  ri- petiamolo, un  vero  processo,  che  è  dire  svolgimento, conversione,  creazione,  anziché  una  serie  di  semplici trasformazioni  e  d' increscevoli  rimutamenti  di  forma. Vuol  esser  quindi  un  passaggio  incessante  ed  essenzial- mente dinamico  dalla  potenza  all'atto,  dall'omogeneo all'eterogeneo,  per  usare  anche  qui  la  frase  dello  Spencer, dall'indeterminato  al  determinato,  e  però  dal  genere  alla specie,  e  dalla  specie  all'  individuo,  per  finire  nell'  indi- viduo capace  d'essere  o  di  rappresentare  insieme  nella sua  virtù  il  genere  e  la  specie.  Tre  sono  i  Sommi  Gre- neri  del  Processo  cosmico;  e  altrettante  le  fermate  o, per  così  dire,  i  momenti  dell'attività  creatrice.  Tre sono  dunque  i  processi  speciali  e  differenti  attraverso  a cui  il  Fatto  si  fa,  e  che  potremo  appellare  Fisico,  Orgor nicOf  e  Storico-sociologico  od  umano;  e  tre  sono  quindi  gli anelli  della  gran  catena;  Forza,  Vita  e  Pensiero.  Fra questi  tre  processi  ci  ha  differenza  e  medesimezza,  e però  intervalli  e  continuità:  ma    questa  continuità  è di  natura  materiale,    quell'  intervallo  é  un  semphce passaggio  alla  maniera  che  lo  intendevano  e  lo  inten- dono,  come  notammo,  gli  aristotelici  empirici,  ed  i  mo- derni materialisti  (p.  359).  Fra  il  processo  Fisico  e  il processo  Organico,  per  esempio,  ci  è  continuità  ideale, e  quindi  intervallo  reale  ;  stantechè  non  sia  la  Forza che  diventi  Vita,    la  Vita  che  diventi  Pensiero,  ma è  la  forza  che  passa  ad  esser  vita,  e  la  vita  pensiero.  E nel  pensiero  compenetrandosi  non  già  sovrapponendosi od  assomandosi  le  prime,  abbiamo  nel  medesimo  tempo r  attuazione  della  forza,  e  della  vita.  Il  passaggio  quindi, come  accennammo,  non  è  semplice  trasformazione,  ma è  transito,  è  passaggio  nello  stretto  senso  della  parola (iyipyetò:  aTi>>i;),  eduzione  (eductio  entìs  ad  actum)y  e perciò  creazione.  Se  intanto  nel  passaggio  vi  ha  inter- vallo, cotesto  intervallo  non  è  egli  davvero  un  salto  che fa  la  natura?  L'intervallo  superato  dalla  stessa  natura è  precisamente  la  conversione  del  Fatto  nel  Vero;  è r  energia  creativa;  è  il  vero  passaggio  dal  nulla  all'  es- sere, dalla  potenza  all'  atto:  ed  ecco  il  significato  della creazione  ex  nihUo.  Dunque  l' intervallo  per  noi  non  è (come  altrove  toccammo)  quel  che  per  gli  antichi  era  i) diastema  e  il  cenon;  negazione,  vuoto,  nuUa.  È  anzi pienezza  d'essere,  attuosità  vivace,  conato  (to  Juvarov), perocché  ci  rappresenta  il  momento  in  cui  la  continuità ideale  tende  a  diventar  reale.  Ai  due  capi  della  catena poi  vedemmo  esserci  due  intervalli  ;  psicologico  l' uno, e  metafisico  l' altro.  U  primo  dicemmo  potersi  superare mercé  la  dialettica  ascensiva,  poiché  qui  il  Fatto,  già convertitosi  con    medesimo  e  perciò  divenuto  forza vita  e  pensiero,  si  converte  quinci  col  Vero,  eh'  é  dire col  Primum  Verum  metaphysicum  :  mentre  il  secondo é  superato  dall'essere  stesso  con  la  dialettica  discensiva, secondochè  ci  addimostrano  la  formola  metafisica  e  la formola  cosmologica  del  Vico. Queste  sono  le  due  leggi  universali,  o  meglio,  le  due condizioni  dell'attività  creatrice  di  natura.  In  virtù  di esse  é  possibile  una  scienza  cosmologica  razionalmente positiva,  poiché  in  esse  sta  il  nodo  di  que'  dibattati e  YÌtali  problemi  su  la  generazione,  su  la  genesi  spon- tanea, su  l'origine  delle  specie.    il  Platonismo,  né r  Aristotelismo,    alcuna  dottrina  che  risalga  a  queste due  sorgenti,  ci  potranno  dar  mai  questa  doppia  legge. Nell'uno  fa  difetto  il  concetto  del  processo;  nell'altro questo  processo,  ripetiamolo,  è  passaggio  empirico>  mec- canico, generativo,  ovvero  logico  e  formale.' Ammessa  quindi  la  legge  dell'  intervallo  nell'  atti- vità creativa  di  natura,  verremo  capaci  di  correggere il  vieto  concetto  cosmogonico  del  teologismo  e  dell'em- pirismo. Il  vecchio  naturalista  contro  il  teologista  pro- nunzia, che  natura  non  fadt  saltum.  A  salvare  il  Deus machina  il  teologo  risponde,  che  natura  fadt  sattum; e  questi  salti  per  lui  sono  altrettanti  atti  immediati del  Demiurgo.  Ora  la  verità  non  istà  dall'  una,  né dall'  altra  parte.  Naturalisti,  sperimentalisti,  determi- nisti, positivisti  hanno  ragione  a  non  credere  ai  salti; ma  non  ha  torto  il  teologo  se  dice  che  la  natura  pro- cede per  creazioni  ed  atti  creativi  diversi.  Il  positivo qui  dove  sta?  Neil'  accettar  l' una  e  l' altra  afferma- zione, e  correggerle  entrambe.  La  natura,  certo,  non fa  salti;  non  v'  essendo  ragione  perché  ella  non  pro- ceda continua  nella  ricchezza  e  fecondità  delle  sue  pro- duzioni Ma  eccoci  al  punto  1  Questa  continuità  (conti- nuità materiale,  fisica,  sensata)  ha  luogo  entro  la  sfera *  Ma  anche  in  questa  dottrina  Aristotele  potrebb*  essere  difeso, chi  lo  interpretasse  benignamente.  Se  pel  Platonismo  11  divenire  e  il generarsi,  ha  luogo  per  1*  essenza,  per  l' idea  che  attua  la  cosa  e  la  scorge e  la  determina;  per  Aristotele,  al  contrarlo,  1*  indeterminato  procede  al tUterminato  qucdUativo  per  sua  propria  energia.  Fra  i  molti  passi  che potrei  addurre  mi  contento  di  questo  che  si  legge  nel  Lib.  VII  della Metaph.:  Uòrtpov  ouv  iv^i  tic  (Ttfatpa  uxpot.  raqSi  Xf  oixiu  vK^pct TOtc  oXcvdouC}  i  01» J*  av  aoTf  iytyvexoy  ti  ovtwc  tJv,  róSt  ri; àXXa    Toióv^c  vrifjLaivtiy  róSt    xai  (upurixivov  oux  tf(r7(v, àWà  trotcì  xac'  7evvà  ex  totJ^s  rotov^s    xat  orav  7«vv>30i7,  Ìt^i ro$t  rotòvBt.  È  nna  prova  di  più,  come  si  vede,  della  possibilità  di rintracciare  e  dimostrare  nell'Aristotelismo,  anche  in  siflbtta  ricerca, r  indirizzo  medio  della  speculazione  filosofica  contro  gì*  interpreti  empirici e  contro  gì*  iperpsicologisti  che  il  generarsi  delle  cose  in  Aristotele  trag- gono  in  due  e  contrarie  sentenze  opposite. d'una  specie,  d'un  genere,  d'un  ordine,  anziché  nel passaggio  dall'uno  all'altro.  Se  così  non  fosse,  la  na- tura non  sarebbe  guari  natura,  non  sarebbe  creazione, sibbene  ripetizione  sazievolmente  monotona  d' individui. E  non  meno  ragione  ha  il  teologo  o  il  neoplatonico  che sia,  nel  pretender  che  la  natura  proceda  a  salti;  ma non  ha  niente  ragione  a  predicarci  essere  il  Demiurgo, proprio  lui,  quegli  che  la  fa  saltare.  È  ella  stessa,  è  la stessa  potente  e  feconda  natura  che  si  muove.  E  si muove  per  qualcosa  che  non  sopraggiugne  dal  di  fuora, anzi  sgorga  dal  di  dentro. Cosi,  e  solamente  così,  è  possibile  l' autogenesi  del mondo.  Chi  non  sia  disposto  ad  accettarla,  romperà senza  rimedio  contro  Scilla,  o  Cariddi;  che  vuol  dire contro  uno  de'  due  soliti  estremi. Come  intanto  s'inaugura,  come  si  svolge  e  come  si assolve  egli  il  Processo  cosmico? Capitolo  Decimosecondo. delu  attività  creativa ne'  diversi  momenti  del  processo  cosmico. Abbiamo  detto  che  se  1'  attività  creatrice  di  natura è  una  Conversione  del  FaUo  nel  Vero,  ella  non  può esplicarsi  altrimenti  che  per  gradi,  per  momenti  diversi, e  quindi  per  intervalli  e  per  continuità  ideale.  Il  Pro- cesso  cosmico,  dunque,  è  universale.  Ed  è  universale  prin- cipalmente perchè,  secondo  la  frase  del  Bruno,  racchiude in  sé,  quasi  circolo  più  ampio  altri  piccoli  circoH,  il  tri- plice processo  Fisico,  Organico  e  Sociologico.  Così  la legge  che  governa  il  tutto  come  le  parti  è  sempre  la stessa:  è  la  gran  legge  del  trasformarsi  e  del  rinte- grarsi  perpetuo,  progressivo,  incessante  delle  forze  uni- versali e  comuni  di  natura.  Perciò  è  il  numero  che Digitized  by  VjOOQIC 470  DELLA  DOTTRINA  FILOSOFICA.  [lIB.  H. sempre  più  volge  ad  unità;  è  T  indeterminato,  T  omo- geneo, l'indefinito  (tò  uopiiTòv)  che  procede  al  deter- minato, all'  eterogeneo,  al  perfetto  (tò  TsXitov).*  Se  tale dunque  è  la  natura  di  quest'  universal  movimento  che dispiegasi  nel  tempo,  in  che  maniera  potrebb'  esser  un incessante  cangiar  di  forme  e  di  fenomeni?  Se  cosi fosse,  quest'  universo  sarebb'  egli  un  cosmos^  o  non  più veramente  un  increscevole  ed  eterna  monotonia  d'ap- parenze fenomenali,  ovvero  un  caos?  La  legge  del  Pro- cesso cosmico  dunque  è  legge  di  creazione;  è  legge  di coixyersione,  anziché  di  semplice  trasformazione.  Gol Processo  fisico  si  genera  la  forza  ;  e  la  forza  è  subbietto omogeneo,  sintesi  confusa,  numero  e  unità  generale,  uni- totalità  vaga  e  indeterminata.  Cotesto  Processo  fisico si  sdoppia  nel  Processo  organico  nel  quale  si  genera  la vita;  e  la  vita  è  numero,  eterogeneità  essenziale,  essen- zial  dualità  (vegetale  e  zoologica).  Nel  Processo  istorico- sociologico,  finalmente,  si  genera  lo  spirito,  il  pensiero; ed  è  un  ritomo  all'  unità,  ma  come  triplicità.  La  forza quindi  si  converte  nella  vita,  come  la  vita  si  converte  nel pensiero.  Unità,  dualità,  dualunità:  Forza,  Vita  e  Pen- siero. Ecco  il  Processo  cosmico,  ed  è  sempre  il  Fatto  che si  converte  nel  Vero,  perocché  è  sempre  il  conato,  il  me- desimo, che  si  fa  diverso  per  intervallo.  Come  intanto *  È  il  vecchio  principio  per  cui  si  distingue  V  indirizzo  medio  aristotelico nella  dottrina  su  le  forze  fisiche,  organiche  e  organizzate: *H  $i  fxJffi^  ffivyet    aTrci^ov  *  to  fiiv  yoip  anstpov  otTtlsq,  -^ Si  «vece  «s(  K^Ttt  TsXoc  (I>e  (7en.  an.,  I).  E  più  chiaramente  ancora: 'Aft  yàp  €v  Tw  efslivii  vppxst  xo  upOTspov  {De  An.,  II,  ii).  La scienza  moderna  non  ha  fatto  e  non  fa  che  confermare  questo  principio aristotelico;  ed  è  quel  medesimo  pronunziato  che  lo  Spencer  considera  sic- come chiave  del  processo  cosmico.  Ma  avvertimmo  già  1*  aspetta  man- chevole delle  dottrine  del r  illustre  scrittore  inglese;  che,  cioè,  se  il  Pro- cesso cosmico  è  davvero  una  creazione,  è  forza  che  nella  sua  natura altro  non  possa  essere  che  uua  teleologia,  un  processo  essenzialmente teleologico,  a  partire  dall'etere,  dalla  materia  nebulare  indeterminata, e  scendere  giù  giù  fino  all'atto  estremo,  alla  forza  che  diciamo  pensiero. Questo  dato  vitalissimo  manca  allo  Spencer  nonché  ai  Positivisti e,  come  vedremo,  a'  naturalisti  Darwiniani.  E  pure,  chi  ben  rifletta,  è un  concetto  essenzialmente  poeitioo^  perchè  è  un  fatto. rivelasi  la  prima  conversione  del  Fatto?  In  altre  parole :  in  qual  modo  s' inaugura  l' attuosità  creativa  del- l'universo?  La  natura  comincia  con  Tesser  conato.*  Ella dunque  comincia  come  sintesi  iniziale  e  confusa:  ella s' inaugura  come  materia  metafisica.* '    (YiCO,  De  Antiqui^.,  III). *  La  nuiteria  tnetaJUica  alla  qaale  più  voite  accenna  confasimente il  Vico  e  che  il  Rosmini,  come  toccammo,  non  interpreta  convenevol- mente,ò  neir  ordine  cosmico  e  naturale  ciò  che  nell'  ordine  psicologico ò  la  luce  tnetaJUica.  Nel  passaggio,  nell*  intervallo^  in  generale,  ha  luogo nn  novello  conato,  eh' è  il  momento  creativo,  il  parto  {a/orno  impedito) della  natura;  e  quindi  racchiude  qualcosa  d' intimo,  d*  universale,  di metafisico,  d'iperfisico,  di  scprassensibile.  Ecco  perchè  talora  nel  Vico non  v'  ha  divario  nelle  parole  conato,  momentOf  t/orto  impedito,  luce  meta/i» nea^mcUeria  metaJÌ9Ìca,virtue^vi»,  dvvxfJLi^y  «vT«).ffXJeav,  e  simili.  Però è  facile  incontrarvi  qualche  sentenza  di  questo  tenore  :  Lux  metaphyeica §eu  eduetio  virtutum  in  actue  conatu  gignitur.  (Op.  cit.,  C  IV).  Perciò  se si  vuole  interpretare  a  dovere  la  sua  mente,  il  valore  della  parola  co- nato, nella  quale  pone  radice  la  novità  della  cosmologia  Vichiana  e  Leib- niziana,  è  questo  :  che  il  conato  per  lui  sia  il  principio  concreto,  reale, vivente  della  natura:  che  sia  perciò  relazione  la  qual  comprenda  e  annodi in  organismo  vivente  i  tre  processi,  e  per  cui  risulti  come  la  molla  secreta deir  intero  Proceeeo  eoemólogico,  È  la  relazione  concreta,  e  reale  del  Fatto col  Vero;  cioè  del  Fatto  che,  in  quanto  divereo  in  sé,  diventa  Vero.  In una  parola,  è  la  eoetanxa  della  natura,  come  fra  poco  vedremo,  e  perciò  è Vdpx^  xivKj  Tcwc  d'Aristotele  (AfetopA ,  1, 1, 8)  ma  corretto  profondamen- te, e  però  trasfigurato  e  legittimato,  stantechè  non  sia  altrimenti  un  prin- cipio di  movimento  ipercosmìco,  ma  nn  principio  essenzialmente  eoemico, essenzialmente  naturale  ;  e  perciò  è  lo  stesso  movimento  che,  in  quant'  è motOf  si  rivela  come  autogenito.  Il  Gioberti  che  aveva  un  senso  isterico divinativo  tutto  suo  nel  saper  cogliere  in  certe  sentenze  l'aspetto  origi- nale d*  una  dottrina,  non  dubitò  scrivere  che  la  teorica  de'  punti  e  del  i eoncUo  del  Vico  ì  il  perno  del  tuo  eietema;  aggiungendo  che  per  questa parte  egli  è  arietotelico  e  platonico  ad  un  tempo.  {Protol.,  v.  I,  p.  259).  Che la  dottrina  del  conato  sia  il  perno  della  sua  cosmologia,  nessun  dubbio; ma  la  cosmologia  non  è  la  sua  metafisica.  È  dunque  il  perno,  è  la  molla della  sua  formola  eoemoloffica,  non  già  della  sua  formola  metaJUica:  il perno  di  questa  seconda  è  ben  altro,  come  s'è  visto  ne' tre  ultimi  ca- pitoli. Che  poi  in  questo  egli  sia  aristotelico  e  platonico  insieme,  è vero;  ma  è  tale  in  quanto  corregge,  trasforma  e  compie  i  due  vecchi filosofi,  e  perciò  in  quanto  li  accorda.  Nel  Platonismo  il  concetto  del conato,  al  modo  che  è  inteso  dal  Vico,  non  ci  è,  e  non  ci  può  essere, come  si  può  ricavare  da  tutti  que'  luoghi  ne'  quali  siamo  venuti  accen- nando rapidamente  a  quel  sistema.  Può  esserci,  e  vi  è  di  fatto  in  Aristotele, ma  confuso  e  indeterminato  cosi  che  non  si  lascia  riconoscere facilmente.  Al  qual  proposito  mi  sia  qui  lecita  nn*  osservazione  isterica. Ma  se  la  natura  comincia  con  V  esser  conato,  appunto perchè  conato  ella  dev'  esser  riguardata  sotto  doppio QualcQDo  potrebbe  confondere  questo  conato  del  filosofo  napoletano con  la  monade  leibniziana,  o,  pegfifio,  con  1*  ?pe$(?  aristotelica.  Lasciamo della  prima  perchò  ne  dicemmo  qualcosa  in  altro  luog^o.  Qnant'al secondo  osserro  che  tra  Voptl^ii  dello  Stagirita  e  il  conato  àe\  nostro filosofo,  ci  è  profondo  divario.  Accennammo  già  qualcosa  riguardo  al- r aspetto  esagerato  della  «aiMo  y!iMi2«  d'Aristotele.  L'ó^e^cc  certamente è  designato  da  lui  qual  moto  9pontaneo;  e  basti  per  tutti  questo  passo: Kcvftrac  yoLp  to'  xivouufvov  t?  òpiysrat^  xat  17  xévTio'c;  rtc opsl^ti  ^  t»spytia.  {De  Xn,^  III)!  Ma  ò  poi  veramente  tale,  voglio dire  essenzialmente  spontaneo  cotest*  opegi^  d'Aristotele?  Non  sa- rebbe più  tosto  un  residuo  del  maestro  passato  nella  mente  dello  sco- lare ?  Aristotele,  avvertimmo,  rompe  la  terie  predara  in  due  modi  ;  con 1'  intdllgibUe  venuto  di  /uorOf  BvpstOiv,  e  con  la  canea  Jinale,  cioè,  col dender€tb%le  [70  òptxTÒv  xat  to'  voutÓv).  Luce  per  ribtelligenza,  dun- que, e  calore  per  la  volontà  vengon  d'altronde;  e  però  chi  determina  tanto .  il  peneiero,  quanto  la  tendenna,  è  il  pensiero  divino.  {Eih,  Eud.^  VII,  U). Ora  dunque  1*  opeHc'c  per  Aristotele  non  può  esser  davvero  spontaneo, se  no  si  contraddice.  E  tant*è  vero  che  la  natura  per  lui  non  ò  pro- priamente attiva  per  so,  che  non  mancò,  fk'a'  vecchi  aristotelici,  chi  pi- gliasse a  dimostrare  come  in  Aristotele,  in  forza  del  suo  medesimo  si- stema, debba  aver  luogo  la  eau«a  efficiente.  Se  Dio  infatti  ò  canea  finale^ per  ciò  stesso  ha  da  essere  anche  canea  efficiente  ;  tanto  pareva  ad  Am- monio (il  primo  a  dare  tale  interpretazione)  che  Aristotele  dovesse  met- tersi in  accordo  con  Platone.  (Yed.  Rayaisson,  Op.  cit.,  T.  II,  p.  539). Dunque  V  ops^i^  noir  Aristotelismo  ò  ?^e^cc  non  per  essenza  propria, ma  in  grazia  d*  un  determinante  estrinseco,  d*  un*  infiuenza  eeteriore  ;  la quale  influenza  non  essendo  stata  chiarita  nettamente  nella  sua  natura dal  filosofo  di  Stagira,  ha  fatto  e  fa  si  che  molti  i  quali  si  studiano d*  interpretarlo  benignamente,  credano  d'aver  buono  in  mano  per  assumerne le  difese,  e  fino  a  certo  punto  riescono  ad  aver  ragione.  Sennonché  il  vero concetto  dell'o^sHcc,  che  in  parte  risponda  al  conato  del  Vico  e  rap- presenti perciò  r  indirixMo  medio  in  siffatta  quistione,  sarebbe  da  riporre piuttosto  nella  nozione  di  svipyna  aTf>>i:,  la  quale  è  appunto  attiva per  sé,  ò  attiva  per  virtù  propria,  essendo  ciò  che  esiste  in  potenza,  ma in  quanto  s'avvia  all'atto;  e  s'avvia  per    medesima,  non  per  un  al- tro; s'avvia  e  procede  per  propria  essenza:  'O^óc  ttQ  ouTiav  {Me- taph,f  lY.)  In  altre  parole  è  ciò  che,  imperfetto,  non  ha  il  fine  in  so stesso,  e  quindi  lo  cerca.  E  lo  corca  non  perchè  ne  sia  attratto  (plato- nismo 0  aristotelismo  platonico),  ma  k1  perchè  ne  ha  bisogno.  E  se  lo cerca  e  ne  abbisogna,  vuol  dire  che  questo  fine  non  potrà  essere  un'il- lusione addirittura.  Perciò  Aristotele  determina  il  concetto  del  moto cosi:  Twv  apy.^£Mv  eiv  «tt/  taipoc^^  ov^sjMca  tjXoc,  àWà  t«v tapi  To  TsXo;.  {Metapk.,  IX).    Ci  slam  voluti  intrattenere  un  mo- mento su  questo  particolare  non  solo  per  chiarire  il  concetto  del  Vico sul  conato^  ma  anche  por  mostrare  1*  attinenza  ch'esso  ha  col  concetto  del rispetto.  Anche  del  Primo  cosmologico  possiamo  dire  qael che  dicemmo  del  Primo  psicologico:  egli  è  una  testa  di Giano;  ha  due  facce.  Il  conato  adunque  è  due  cose,  non una:  è  punto  e  momento^  (cf«7ft*i^  ^^v)  materia  e  moto, estensione  e  forza:  ma  e  punto  e  momento  di  natura metafisica^  che  vuol  dir  di  natura  potenziale,  virtuale, soprassensibile,  semplice,  indivisa,  universale.  In  altre parole,  il  conato  e  attuosità  concreta  e  reale;  ma  non è,  a  dir  proprio,    moto,    estensione,  bensì  virtii  di moversi,  e  d'estendersi:  e  come  virtù,  come  potenziaUtà, esso  in  generale  é  un  soggetto  identico:  Punctum  et MoYnentum  unum  sunt,  e  quindi  é  nel  medesimo  tempo numero  e  unità,  dualità  e  unità,  polarità  originaria,  e perciò  é  unitotalità  originaria,  concreta,  universale.  Ora il  conato  in  quanto  é  punto,  materia,  cioè  in  quant'  é soggetto  potenziale,  recettivo,  indeterminato,  omogeneo, indefinito  e  indefinibile,  é  il  ro  Ssrspov;  è  la  ^wa/xcc  come pura  capacità;  in  somma  é  il  Fatto  semplicemente  detto  ; il  Fatto  in  quanto  è  termine  di  conversione  dialettica  coi Grenerato.  Al  contrario,  in  quanto  é  momento,  ciò  é dire  materia  e  moto,  estensione  e  forza,  to'  Strtpov  e to'  notilo  e  però  to  ^warov,  é  il  Fatto  in  quanto  è  ter- mine di  conversione  cosmologica;  è  il  Fatto  in  quanto  é conversione  di    con    stesso;  e  quindi  é  sostanza semplice,  sostanza  universale,  sostanza  indivisibile  in sé,  ma  divisa  nelle  cose  che  sostiene.  Brevemente:  il conato,  guardato  come  puro  Fatto,  cioè  come  termine posto,  é  potenza  in  potenza,  come  direbbe  Aristotele (^uvfltfii;  ^uvot^n);  guardato  invece  come  termine  che  si pone,  come  soggetto  che  si  fa,  egli,  per  dirla  con  le significantissime  parole  del  Vico,  é  for/pa  che  si  fa  dentro moto  aristotelico,  il  quale,  inteso  a  doTere,  nono  tale  quale  d*  ordinario Tiene  interpretato  dagli  hegeliani.  £  ci  siamo  trattenuti  anche  perchè quest'ultimi  non  abbiano  a  pigliare  il  concetto  del  conato  per  Vopt^i^ giacché  nel  conato  del  nostro  filosofo  non  ci  è  necessità  dialettiche,  nò relaiioui  di  finalità  come  neiriperpsicologismo  aristotelico  fecchio  e nuOTo.  Il  conato  del  Vico  non  è  propriamente  VEatcre,  nettampoco  il NoH-ctnrc;  dunque  non  sarà  nemmanco  U  Divenire:  ecco  tetto. di    medesima:  perchè?  precisamente  perchè  SFOR- ZARSI È  UN  CONVERTIRSI  IN    STESSO;  0  perciò è  sostanza  che  si  sforsa  a  mandar  fuori  le  cose.  * *  Che  il  ùonato  nel  concetto  vlchiano  sìa  la  sostanza  delle  cose  e costituisca  perciò  il  nerbo  della  sna  formola  cosmologica,  si  pnò  rìca- Yare  agevolmente  da  queste  sentenze.  Che  cos*è  la  sostanza?  Sattanza, in  genertf  d  ciò  eke  »ta  9otto  e  90$tiene  la  eoaa;  indivitibile  in  «^  divisa nelle  cote  eh*  ella  fottiene,  e  $oUo  le  dìvite  cote,  quantunqtu  disuguali,  vi §ta  egualmente,  (Risp.  al  Giom.  de*  Lett,,  p.  179).  Questa  deflnizione  non ha  che  vedere  con  la  definizione  Spinoziana  :  id  quod  existit  a  te  et  per «e.  Sono  entrambe  definizioni  nominali,  e  però  vere  o  falso  flnchò  non se  ne  faccia  applicazione.  Dal  modo  con  che  applicolla  Spinoza,  venne fuora  il  suo  panteismo  acosmico  geometrizzato,  con  quella  lunga  sequela d*  assurdi  che  ognuna  conosce.  Il  Vico  1*  applica  al  Fatto  in  quanto  si fa  Vero,  non  già  al  Vero  che  si  converte  col  Generato;  e  perciò  riesce a  schivare  ogni  maniera  di  panteismo.  Infatti  egli  dice:  Quello  che  i moto  ne*  corpi  particolari,  neiVunivereo  moto  non  è;  perchè  V universo  non ha  con  ehi  altro  possa  mutar  vicinanze,,...  Dunque  è  una  forza  OHB  fa DRNTBO  DI    MBDESiifo  :  questo  in  s^  stesso  sforzarsi,  ì  uno  in  sa  strsso convertirsi.  Ciò  non  pud  eseere  del  corpo,  perchè  ciascuna  parte  del  corpo avrebbe  a  rivoltarsi  contro  di    medesima.  Onde  questo  sarebbe  tanto,  quanto le  parti  dd  corpo  si  replicassero.  Dunque,  dico  io,  U  CONATO  non  è  dd OORPO,  ma  deU*  UNI  Visse  del  corpo  (Ibi).  Tutto  ciò  è  chiarito  e  confer- mato da  quest'  altra  sentenza  ;  Virtus  est  extensi,  e  perciò  prior  extenso  est, soUicet  inextensa.  {De  Antiq.,  IV).  E  spiegando  altrove  il  valore  di  quest* ul- timo concetto,  dice:  Io  mi  servo  eie* vocaboli  di  virth  e  di potetaa  appunto come  se  ne  servono  i  meeeaniei,  appo  i  quali  sono  voci  oelebratissime  :  con questo  perciò  di  vario;  cA'  essi  (parla  de*  Cartesiani  seguaci  detta  dottrina meccanica)  V  attaccano  ai  corpi  particolari,  ed  io  dico  esser  dote  propria  e sola  dell*  universo.  (Risp.  al  Oiom.  de*  LeU.),  E  tornando  al  suo  concetto gradito  del  conato,  dice  plh  aperto  :  Nel  mondo  vero  e  reale  vi  ha  un che  invisibile  che  produce  tutte  le  cose.  (Ibi,  p.  165).  Ancora:  Uno  è  lo sforzo  delC  universo,  prrob2  dell*  univrrbo  :  ed  è  l*  indivisibile  centro  cui non  è  lecito  trovare  neU*  universo  (esteso),  e  cAe  dentro  le  linee  deUa  sua direzione  tutti  i  disuguali  pesi  sostenendo  con  egual  forza,  tutte  le  partieo' lari  cose  sostiene  insiememente  ed  aggira.  Questa  è  la  sostanza  che  si  SFORZA mandar  fuori  le  cose.  (Ibi,  151). È  impossibile  commentare  queste  sentenze.  Ci  vorrebbe  un  capitolo per  parola  ;  e  alla  fin  fine  poi  non  riesciremmo  che  ad  una  freddura,  ad una  ripetizione  fiacca  e  sbiadita.  Bisogna  dunque  farle  soggetto  di  medi- tazione severa, tramutarsele  in  sangue,  e  col  loro  sussidio  interrogare! fenomeni  e  le  leggi  del  mondo  sensibile.  Posti  intanto  questi  principi! cosmologici,  ecco  alcune  norme  metodiche  per  la  filosofia  della  natura  e delle  scienze  naturali  :  In  fisica  si  trattano  le  cose  per  termini  di  eorpo  t di  moto;  in  m^afisioa  trcUtar  si  debbono  per  qudli  di  sostanza  e  di  co- nato, E  come  U  moto  non  è  altro  realmente  che  eorpo,  cosi  il  conato  altro realmsnU   non  sia   che  sostanza,  (Ibi,  178).  L*  altro  domma  metodico  ri- Se  questo  è  il  cardine  della  cosmologia  del  nostro  filo- sofo, le  conseguenze  e  le  applicazioni  che  se  ne  traggono riescono  supremamente  feconde,  positive,  originali  in tutte  quante  le  sfere  delle  scienze  di  natura,  dalP  astro- nomia alla  fisiologia,  dalla  meccanica  celeste  alla  zoologia e  alla  zoopsicologia.  Noi  non  possiamo  intrattenerci  in queste  applicazioni,  e  ce  ne  duole.  Ci  ristringeremo  ad  ac- cennarne qualcuna,  e  rilevarne  V  aspetto  originale;  e  in- nanzi tutto  quella  risguardante  la  dottrina  del  Cronotopo. Se  la  sostanza  cosmica  è  una,  indivisibile  e  divisa nelle  cose  a  cui  sta  sotto  egualmente  per  diseguali  che queste  siano,  i  modi  essenziali  e  primigenii  in  che  ella si  determina,  sono  lo  spazio  e  il  tempo  puri  :  punto  e momentOj  virtus  extendendi  e  virtus  movendi.  Sennonché la  virtii  d' estendersi,  logicamente,  va  innanzi  alla  virtù del  moversi,  al  contrario  di  ciò  che  pensa  il  Gioberti; poiché,  al  solito,  se  il  Fatto  come  diverso  in    vuol  es- sere un  processo  autonomo,  avviene  che  la  prima  forma di  conversione,  la  prima  individuazione  cosmica,  deb- b'  essere  il  punto  che  divien  momento;  debb' esser  la virtù  d'estendersi  che  si  gemina,  e  assume  valore  di virtù  motrice.  Perciò  la  sostanza  in  quant'  è  virtus  exten- dendi,  inquant'é  pura  capacità,  è  V  altro,  è  il  diverso, è  il  Fatto  come  posto,  e  però  è  lo  spazio  infinito,  la  cui prima  determinazione  è  ciò  che  domandasi  etere  da'  mo- derni.* In  quanto  poi  è  virtus  movendi,  cioè  atto,  diverso gniardante  lo  stadio  delle  leggi  fisiche  ò  questo  :  L*  unica  ipoteti  (cioè  fin- zione speculativa)  per  la  qwd  dalla  MetaJUica  ndla  Fisica  discenda  giam- mai ti  po99a,  netto  le  matematiche;  e  che  il  punto  geometrico  eia  una  SOMI- OLIANZA  del  metafieicOf  dot  della  sostanza  ;  e  eh*  ella  aia  coea  che  vera- mente t,  ed  i  indivisibile;  che  ci    e  sostiene  distesi  uguali  con  egual /orza  :  perche  per  le  dimostnxzioni  del  Galilei  ed  altre  piene  di  meraviglittf le  disuguaglianze  quanto  si  vogliono  grandi,  ritirandoci  al  lor  principio  in- divisibile, cioì  ai  puntiy  tutte  si  perdono  e  si  confondono.  (Ibi,  174),  ti  ap- pena bisogno  d*  avvertire  che  con  la  sua  dottrina  cosmologica  ei  non  fa che  interpretare  ed  elevare  ad  altezza  metafisica  positiva  V  esigenza  del metodo  Galileiano.  Nelle  lor  relazioni  ideali  Galileo  e  Vico  si  richiamano a  vicenda.  (Ved.  il  nostro  Disc.  DanU,  Galileo  e  Vico,  Firenze,  Celliul,  1865). *  L'esistenza  déìVetere  od  abaro  (come  con  ragione  vuol  chiamarlo il  nostro  valoroso  e  valente  Colonnello  Pozzolinì)  che  per  i  fisici  è  una in  $èj  0  Fatto  ohe  si  fa,  la  sostanza  è  il  cominciamento originario,  autogenito  della  natura,  e  perciò  indipen- dente da  Dio.  Ed  è  affatto  indipendente  da  Dio  nel suo  svolgimento,  e  però  nelle  sue  leg{2p,  appunto  per- chè, come  fu  mostrato,  Dio  pone  il  mondo  non  già  come attuale,  anzi  come  potenziale.  Perchè  dunque  il  punto diventa  momento?  Per  necessità  della  propria  essenza: vo'  dire  perchè  è  diverso  in  se;  perchè  è  sformarsi  che è  uno  in    stesso  convertirsi.  Se  adunque  come  mate- ria il  conato  è  confusione,  impenetrabilità,  pura  ca- pacità; come  virtù  di  moversi,  invece,  è  cominciamento d' ordine,  inizio  di  cosmos  finteli'  atomo,  nelP  esteso  me- tafisico il  quale,  essendo  medesimezza  e  differenza  in atto,  rappresenta  perciò  la  prima  dualità  in  cui  forza e  materia  formano  un  medesimo  subbietto.* ipoteti  della  quale  non  possono  in  yenin  modo  prescindere,  nella  fonnola cosmologica  del  Vico,  invece,  assume  valore  di  teti.  Essi  non  sanno  dir che  cosa  sia  quest'eeere.  Noi  sanno  oggi^  e  noi  potranno  saper  mai: perchè?  Per  la  semplice  ragione  ch*ei  trascende  la  mente:  e  la  tra- scende in  quanto  che  riguarda  un*  attinenza  della  sostanza  come  potta, non  già  della  sostanza  come  causa,  come  forza.  Perciò  riguardando  il  dato della  creazione,  ne  Tiene  che,  por  intendere  questo  dato  in  qualche  maniera, bisognerà  filosofare;  e  per  filosofare  in  modo  serio  e  positivo  e  razio- nale bisogna  ricorrere  alla  formoUi  cotmologica  del  nostro  filosofo.  Non V*  è  scampo:  o  questa  formola,  oppure  il  concetto  inintelligibile,  gros- solano e  balordo  d*una  materia  concepita  qual  ricettacolo  assoluto  e generativo  d*  ogni  cosa  :  eh'  è  propriamente  (chiedo  perdono  a  tutti  i materialisti  e  meccanicisti  vecchi  e  nuovi)  un  concetto  da  cretini! *  Dunque  il  cronotopo  non  è,  come  pretendono  i  Leibniziani,  la  succes- sione e  coesistenza  di  punti  e  di  momenti;  teorica  al  tutto  empirica la  quale  non  ispiega  nulla  di  nulla,  perchè  non  addita  la  ragione della  coesistenza.  Non  si  può  dir  nemmeno  pertinenza  deir  Assoluto  in quanto  ì  V  Idea  ad  extr(h  Videa  come  potnbUità  infinita  (GiOBRBTi,  ProtoU, Sagg.  Ili);  ì°  perchè  non  s'intende  che  cosa  mai  sia  codest'Idea  ad extra;  2^  perchè  s*ella  è pottihilità infinita,  come  tale  appartiene  al  Fatto, il  quale  in  quanto  conato  è  precisamente  un'  infinita  po$9ÌbilitiL  Non  è poi  relazione  tra  U  finito  e  V  infinito  (FoRNABi,  DeW  Arm.  Univ.^  DiaL  I) perchè,  se  così  fosse,  dovendo  i  termini  partecipare  alla  natura  della relazione,  ci  avrebbe  a  essere  spazio  e  tempo  anche  nell' infinito!  Final- mente non  è  la  prima  e  immediata  esistenza  detta  Idea  (Spaventa,  Mem, mi  Tempo  e  tulio  Spazio,  negli  Atti  dell'  Accad.  di  Nap.),  perchè  1*  Idea è  incapace  di  rivestire  spazialità  e  temporalità  per  le  ragioni  altrove  ac- cennate. Dunque  che  cos'è  cotesto  cronotopo?  È  precisamente  il  conato; Abbiamo  detto  che  V  atomo  è  l' esteso  metafisico. Esso  dunque  è  la  compenetrazione  del  punto,  e  del  mo- mento :  è  il  punto  divenuto  momento  ;  è  la  virtù  d' esten- dersi che  s' estende  in  quanto  si  move.  Neil'  atomo  per- ciò, neir  esteso  metafisico,  trova  pienissima  applicazione il  pronunziato  del  Vico:  ptmctum  et  mofnentum  unum sunt  In  altre  parole:  che  cos'  è  V  atomo?  È  V  estrema realtà  (non  astrazione)  cui  possa  poggiar  la  mente. Dunque  è  la  prima  realtà  onde  move  la  natura.  Anche in  seno  all'atomo  quindi  si  dee  verificare  ciò  che  i  fisici oggi  riconoscono  in  molti  fenomeni;  il  principio  della polarità.  L'esteso  metafisico  è  un'essenzial  dualità;  è forza  e  materia  in  atto;  è  la  determmazione  originaria, autonoma  della  doppia  virtii  estensiva  e  motrice.  Dun- que è  la  prima  conversione  del  Fatto,  in  quanto  il Fatto  è  un  subbietto  diverso  in  sé.  Perciò  è  il  primo momento  della  creazione  propriamente  detta:  il  mo- mento solenne  in  cui  la  forza,  nascendo  nella  materia (non  dalla  materia),  si  crea.' ma  il  conato  in  qnanto  ò  polarità  essenziale,  essenzial  dualità.  È  la sostanza  stessa  del  mondo  in  quanto  ha  una  doppia  faccia:  estensione e  forza;  wirhu  extendendif  e  virtù»  movendi.  Ora  se  il  conato  è  un  su- bietto essenzialmente  duplo^  essenzialmente  polare,  ì  moderni  fisici  non possono,  non  debbono  menomamente  ripudiarne  il  concetto,  che  anzi accettandolo,  giungerebbero  a  spiegare  più  d'  una  loro  ipotesi. *  Chi  dunque  dice  fona,  dice  ereazione:  ecco  il  rero  dinamismo,  il dinamismo  positi?o.  Perciò  erra  tanto  il  materialista  grossolano  quando afferma  ch/D  la  forza  naaea  dalla  materia,  o  ne  sia  una  pura  e  semplice determinazione  ;  qnanto  il  dinamista  puro  (Hibn,  Cotuiquence»  phil.  et mHaph.  de  la  Thirmodinamique,  Paris,  1868)  che  pretende  concepire  la fona  anteriore  alla  materia!  La  forza  Don  nasce  dalla  materia,  o  per  la materia.  La  forza  si  pone,  e  perciò  si  crea  nella  materia.  Il  suo  nascere è  creare  nel  Tero  senso  della  parola;  è  uscire  ex  nihilo,  E  qual  è  il  nulla  f Il  nulla  del  filosofo  cattolico,  no:  cotesto  nuUa  ò  impossibile,  perchè  ò inconcepibile.  Dunque  è  la  materia,  ma  la  materia  considerata  come  puro Fatto,  come  pura  capaciti,  come  possibilità.  Platone  la  diceya  ricetta- colo, e  diceva  benissimo.  Dov'errava?  Errava  gravemente  nel  determinare il  modo  con  che  nel  contenente  sorga  il  contenuto.  È  precisamente  Ter- rore del  materialista  moderno.  La  forza,  dice  questi,  suppone  la  materia. Certamente!  ma  non  ò  pnra  e  semplice  trae/ormanane  o  modiJicoMione  o qualità  di  materia.  La  materia  in  qnanto  diventa  forza  è  conato  :  e  perciò (ripetiamolo)  ò  intervallo  già  superato;  ò  atto  propriamente  detto,  e Se  intanto  l'atomo  è  an'essenzial  dualità,  in  esso  è l'esigenza  dell'altro  atomo,  delle  molecole,  del  corpo,  del- l'organismo atomico.  Ma  ecco  tosto  nn  dilemma:  o  l'atomo è  semplice,  o  è  composto.  È  egli  semplice?  Dunque non  può  dare  il  composto.  È  egli  composto?  Dunque richiede  il  semplice.  Dilemma  seriissimo,  davvero. L'atomo  non  è  l'una  cosa  ne  l'altra;  o,  più  ve- ramente,, è  r  una  cosa  e  l' altra  insieme.  Se  l'atomo,  è conato,  momento  in  cui  la  materia  e  la  forza  si  com- penetrano; come  dirlo  semplice?  come  dirlo  composto? Pertanto  se  l' atomo  è  conato,  perciò  racchiude  l' esi- genza degli  altri  atomi.  Dunque?  dunque  l'atomo  non  ha figura  in  quanto  è  un  esteso  metafisico,  ma  ha  figura  in quanto  si  marita  e  si  converte  con  altro  atomo:  la  figura è  un  risultato.  Or  se  l' atomo  è  virtii  d' estensione  che  si attudij  avviene  che,  come  tale,  e' debba  essere  attrazione: e  s'egli  è  virtii  di  moversi  in  atto,  avviene  altre»  che, come  tale,  e'debb'esser  moto  essenzialmente  rotatorio} Se  dunque  1'  atomo  in  quanto  conato  è  insieme  iden- tico e  diverso,  perciò  è  in  sé,  e  fuori  di  se;  è  per  sé, e  anche  per  V  altro;  abbisogna  dell'  altro.  Per  questa comune  proprietà  gli  atomi  ci  rendon  quasi  immagine delle  idee  platoniche,  la  cui  vita  sta  nell'  essere  essen- qaindi  è  atto  naovo,  atto  creatÌTo.  — Eccoci  al  miracolo!  sento  grridarmi. Precisamente  al  miracolo  :  ma  gli  è  nn  miracolo  essensialmente  naturale, unlversaie, necessario;  e  per  consegnenza  non  ò  miracolo.  Se  dunoue  VeaUto metafinco  è  la  forza  in  quanto  si  genera  nella  mcUeriiif  ne  viene  cne  VaUnno ha  da  essere  tutt* altro  che  inerte.  Anzi  è  la  materia,  è  V etere,  è  Y  abaro,  è quel  quid  nebulare  primitivo  che,  da  unità  indeterminata,  passa  ad  essere anche  forza,  profonda  energìa  in  cui  e  per  cui  sMnaugura  il  Prooeeeo fieieo.  Se  così  non  fosse,  io  domando,  come  farebbe  il  chimico  ad  inten- der le  leggi  deir  affinità?  E  se  così  non  fosse,  la  moderna  dottrina  del- Tatonicità  non  andrebbe  in  fumo? '  Questo  è  il  moro  etemo  e  continuo  dell*  Aristotelismo,  cagione  d'ogni moto,  il  quale  perciò  non  può  non  ettere  un  moto  circolare  nello  epaxio {Phye,,  Vili,  ix),  e  come  tale  è  moto  naturale  d'un  elemento  eempliee  du non  ha  contrari,  {De  Cod.,  I,  li).  Al  Motore  motto  bisogna  sostituire  il Conato  ;  e  il  moto  circolare  non  avente  contrari  bisogna  darlo  all'  essenza stessa  deir  atomo,  dell*  eeteeo  metafieieo.  Ecco  una  delle  correzioni  vitali della  cosmologia  aristotelica  richieste  logicamente  daU'  indirimco  medio. zialmente  relative.  L' atomo  qaiadì,  in  quanto  è  mede- simezza, è  attrazione;  in  quanto  è  medesimezza  e  di- versità, è  rotazione  e  circolarità.  Dunque  può  dare  ori- gine al  moto  per  induzione  e  rivoluzione,  che  à  moto secondario  e  derivato.  Or  questa  legge  si  verifica  in  una lunga  serie  di  fenomeni;  luce,  elettrico,  calorico,  magne- tico.' Si  verifica  ne'  grandi  coi*pi  dell'  universo.  Perchè non  dovrà  verificarsi  altresì,  e  principalmente,  in  seno alla  stessa  vita  intima  degli  atomi  ?  Attrazione  e  rota- zione, dunque,  riduconsi  ad  un  sol  fatto  primitivo,  uni- versale, assoluto.  Il  conato  è  moto  essenzialmente  ro- tatorio ;  e  quindi  è  la  sorgente  prima  d' ogni  e  qualun- que forma  di  moto.  La  legge  di  rotazione  perciò  è  legge universale;  ed  è  la  sostanza  stessa  cosi  delle  grandi, come  delle  piccole  masse:  Questo  in  se  stesso  sforearsiy è  uno  in  se  stesso  convertirsi.* Le  conseguenze  di  questa  dottrina  cosmologica  sono evidenti,  originali,  modernissime. n  vuoto  è  un  assurdo;  perchè  è  un  assurdo  il  nulla.' Esiste  dunque  V  universo  infinito  ;  ed  è  tale  non  come mondi,  ben^i  come  conato,  come  sostanza  universale determìnantesi  ne'  due  attributi  essenziali  della  spazia- lità e  temporaneità  pure.  È  un  assurdo  il  moto  comu- nicato, perchè  è  un  assurdo  che  la  forza  si  rompa,  si scinda,  si  divida:  senza  dir  già  che,  se  è  vero  che  la  forza debb'essere  anche  materia,  la  comuniccmone  del  moto  im- porterebbe la  compenetrazione  e  insieme  la  inerzia  degli atomi,  ciò  che  costituisce  un  doppio  assurdo.    È  uYi '  Ved.  a  questo  proposito  la  bella  Mem.  del  Poxzolini  {Indumone delU  forte  finche,  Bologna,  18^8),  il  Baudrimoni,  Atomologie  (1861)  e  le tre  Memorie  eu  la  atrtUtura  cUi*  Corpi.  (Bordeaux  1864.) *  Ved.  la  Mem.  su  la  Legge  univeraale  di  rotazione  del  nostro  amico prof.  Bàrbera,  della  quale  accettiamo  in  gran  parte  la  dottrina  perchè ci  sembra  un'applicazione  rigorosa  de*principii  cosmologici  del  Vico.  Del Bàrbera  merita  esser  letto  il  discorso  stupendo  sul  Newton  e  la  Filoeofia Naturale  (Napoli,  1870).  La  Memoria  poco  fa  citata  del  Pozzolini,  come  que- sti due  scritti  del  Bàrbera,  sono  i  primi  segui  d' una  riforma  seria  delle scienze  astronomiche  e  della  filosofia  naturale  in  Italia. ■  Abibt.,  PAy«.,  IV,  Tiii. assurdo  che  il  moto  universale  cominci  e  finisca,  poiché è  un  assurdo  che  il  mondo,  che  è  pur  egli  necessario come  termine  di  conversione  dialettica^  abbia  principio e  fine.  È  un  assurdo  un  impulso  primitivo  impresso  da Dio  alla  materia,  ciò  che  è  V  esigenza  illegittima  del fiacco  Peripatetismo,  dell'Aristotelismo  platoneggiante: perciò  assurda  e  gratuitamente  ipotetica  la  base  nella quale  s'appoggia  la  teorica  Newtoniana  su  T origine  del moto.    È  un  assurdo  che  la  materia  diventata  forza, ciò  è  dire  V  atomo,  tomi  ad  esser  pura  materia;  perciò assurdo  che  la  forza  cessi  d'esser  quella  che  è  nella  sua essenza,  e  che  si  sperda,  che  decresca,  o  si  menomi  in qual  si  voglia  modo.  Sono  dunque  un  assurdo,  sono  in- dovinelli da  algebrisH  quei  conti  e  racconti  di  certi facili  calcolatori  matematici  che,  come  il  teologista  e  il millenario,  segnano  già  ne'  secoli  futuri  la  fine  e  lo  spe- gnimento della  terra.  Ne' loro  problemi  essi  dimenticano che  la  forza  è  creazione:  e  dimenticano  troppo  facil- mente, che  creare  vuol  non  dire  annullamento. U  conato  adunque,  è  il  vero  motore  immobile  e  mo- bilissimo dell'universo;  è  l'universo  stesso  in  quanto  è infinita  potenzialità;  è  V  àpxrì  xcv)ic  intrinsecato,  es- senziato  con  l'universo  stesso.'  Come  tale  l'universo procede  di  numero  in  numero  (secondo  la  frase  del Bruno)  svolgendosi  come  mondi  nelle  successioni,  e perciò  è  infinito  nel  tempo;  e  come  tale  anche  l'uni- verso, come  il  pensiero  nel  formarsi  il  concetto  dell'As- soluto, rende  a  Dio  la  pariglia.^  Cosi  il  principio  cosmo- '  LìtìQUB,  Le  premier  moteur  et  la  nature  dame  le  tyetòme  tTArietote Paris  1852.  V.  a  qoesto  proposito  con  che  assennatezza  crìtica  il Barthélemy  Saint-HUaire  dÌMOm  su  la  Cosmologia  aristotelica  (PAyttgiM trad,  en  /rangaie  et  aceompagnie  dCune  paraphraee  et  de  note»  perpetueUe», Paris  1862,  Introd.  V.  L) *  Cosi  resta  lesrittimato  il  concetto  su  V  Universo  e  su  lo  Spaaio  del filosofo  Nolano.  Egli  pone  Io  spazio  come  infinito  e  però  infinito  anche r  universo  che  è  nello  spazio  [DeW  Infinito  Univereo  e  Mondi,  DinL  I.) L*  uniTerso  certamente  ò  inAnito,  ma,  ripetiamo,  ò  tale  in  quanto  è  eo- naio  ;  e  così  pure  lo  spazio.  Perciò  Mondo,  Univerto,  Spazio  ec.,  sono  in- finiti nella  successione,  che  tuoI  dire  nella  lor  potenzialità. logico,  o  meglio,  il  Primo  cosmologico  del  Vico,  in  men- tre che  corregge  la  vecchia  cosmologia  de'  Platonici  e degli  Aristotelici,  condanna  ad  un  tempo  quella  de'  neo- aristotelici empirici  e  degl'  iperpsicologisti,  legittimando r  esigenza  de'  meccanici  e  de'  dinamisti,  de'  Cartesiani  e de'Leibniziani,  che  vuol  dire  della  materia  e  della  forza.* I  moderni  cosmologi  avran  fatto  moltissimo  quando avranno  ridotto  ogni  fenomeno  ad  un  ultimo  fenomeno.* Essi  così  dimostreranno,  o  meglio,  verificheranno  la vecchia  divinazione  aristotelica.  Ma  si  dovrà  arrestar qui  la  Cosmologia  razionalmente  positiva?  No,  certo.  U suo  grande  problema  sta  nel  dimostrare  (e  dimostrare non  vai  mostrare)  come  quest'ultimo  e  irreducibile  e universal  fenomeno,  sia  precisamente  la  sostanza  stessa delle  cose,  la  vita  stessa  degli  esseri,  la  vita  dell'uni- verso che  il  Vico  rassomiglia  ad  una  fiumana  onde sgorga  acqua  sempre  nuova  e  perenne:  H(BC  est  vita rerum,  fluminis  nempe  istar  quod  idem  videtur,  et  sem- per  alia  atque  alia  aqua  profluit} Se  il  Processo  fisico  s' inaugura  col  conato  in  quanto è  un  esteso  metafisico  e  risolvesi  con  l'estrinsecazione della  forza  nel  seno  stesso  della  materia;  ne  viene  che tal  debba  essere  altresì  il  corpo  nella  sua  sostanza; *  È  inutile  mostrare  come  il  concetto  del  nostro  filosofo  sul  Conato  sia una  correzione  del  conato  leibniziano.  Mostrammo  già  raffiniti  tra  il  Leib- nltz  e  il  Vico.  Con  la  dottrina  del  conato  questi  filosofi  ci  rappresentano  en- trambi r  indirizzo  medio  dell*  Aristotelismo  negli  studi  cosmologici. (P.  183.)  Ma  il  Nostro  supera  quel  di  Lipsia,  perchè  il  suo  conato  è  essen- zialmente un  e«(e«o  reale,  metafisico,  non  già  fenomenico,  ed  apparente. Questo  concetto  manca  assolutamente  nella  Monadologia, *  Gens,  il  LoYR  {E§9ai  9ur  Videntité  de»  agentt  qui  produigent  ec., Paris  1861.)  Obovr  {Correlation  de»  force»  phi/9Ìque§,  trad.  Moigno,  1856). E.  Saiqry  {E8»ai»nrVunité  de»  phenomène»  nature!»,  Patìs  1867.)  A.  Sroohi {Unità  ddle  forze  fiticke  ec.  Roma  1864),  Dr  BoocHRPORif  [Du  principe generale  de  la  PhU.  naturale,  Paris  1858).  A.  Obuyrb  {Principe  de  PhU, Phyeiqtte  ec.) "  De  Antiqui»».,  p.  109.  Gom*  è  evidente,  è  il  concotto  fisico  dell*  indi- rizzo medio  aristotelico:  La  vita  universale  della  natura  non  conosce  riposo, nò  morte:  Kac  toOto  flèOxvarov  xac  an'auTrov  xinapytt  roi^  ouTtv^ otov  ^a)>j  Ttc  ouffa  toì;  fxivtt  ^uvio-tùtc  notvtv.  Phy».,  Vili,  i. Siciliani.  8f forza  attuata;  monodinafnia ;  e  però  sorgente  perenne  di forze  fisiche,  meccaniche,  chimiche,  dinamiche.  L'atomo è  sfornito  di  centro,  perchè  è  centro  egli  stesso.  Il  corpo lo  possiede  cotesto  centro  ;  ma  è  di  natura  ideale,  e  perciò rende  immagine  dell'  universo  stellare  nel  quale  il  cen- tro non  è  in  alcun  luogo,  e  pure  è  dappertutto,  il  moto nel  corpo  è  monotono  ;  è  un'  etema  produzione  di  forza  ; e  questa  forza  non  è,  a  dir  proprio,  la  vita.  Però  è  un conato  onde  V  analisi  delle  forze  omogenee  e  de'  comuni agenti  di  natura  tende  ad  elevarsi  alla  sintesi;  ed  è  (ri- petiamo) lo  sforzo  del  numero  che  volge  ad  unità.  Or  la necessità  di  questo  conato  non  importa  egli  un  altro intervallo?  Il  centro  dunque  si  manifesta  nel  vegetabile, e  s' inaugura  il  mondo  degli  organismi.  Posto  il  Processo fisico,  la  forza,  nata  già  nella  materia,  qui  nasce  in  sé stessa,  qui  rinasce,  qui  si  rinnova,  e  qui  è  vita.  Ma  neanche il  vegetabile,  a  dir  giusto,  possiede  un  centro  reale.  Dun- que il  vegetabile  non  è  vita,  bensì  passaggio,  e  quindi strumento  di  vita.  11  Processo  fisico  perciò  trae  seco  il processo  geologico;  e  la  genesi  della  forza  importa  la genesi  della  terra.  Il  processo  geogenico  alla  sua  volta importa  il  Processo  organico  (vegetale  e  animale)  e quindi  il  Processo  paleontologico,  entro  cui  si  vengono accumulando  e  sovrapponendosi  cento  e  mille  faune  e flore.  Dalla  roccia  cristallina  non  istratificata  e  non fossilifera  alle  più  recenti  produzioni  geologiche;  dal jeriodo  antizoico  al  post-pliocene  e  all'  attuale,  rivelasi tutto  un  processo  di  forza.  È  il  Fatto  che  si  fa  come forza,  ma  in  quanto  è  altresì  conato  alla  vita.' *  DaU*  epoca  eotoica  nella  qaale  a*  annunzia  la  prima  aara  vitale,  e molto  più  dair  epoca  paleozoica  alla  oenozoiea  e  da  questa  ali*  età  poti- Urxtarifi  (quaternaria),  accade  che  col  processo  fisico  e  g^logico  si  marita  il processo  paleontologico,  e  così  ci  si  manifesta  la  continuità  della  vita  at- traverso  le  forme  organiche  passate  o  presenti.  Or  se  tutto  ò  processo e  conversione  e  perciò  successione  costante  di  fatti  regrolati  da  lejrgi necessarie  ed  immutabili,  ne  viene  che  i  cataclismi,  riferiti  a  cagioni ipercosmiche,  contraddicono  evidentemente  alla  ragion  filosofica  positiva, nò  V*  ha  interpretazione  benigna  ed  ingegnosa  della  critica  teologica  che sappia  legittimare  la   cronologia  mosaica  ed  il  racconto  biblico.  Ma  a Ma  come  avviene  egli  il  passaggio  del  Processo  fisico air  organico,  e  quindi  U  passaggio  della  forza  alla  vita? Avviene  per  legge  di  conversione  ;  la  quale  perciò,  sup- ponendo r  intervallo,  importa  la  differenza.  S'invocano, al  solito,  anelli  intermedi  nel  r^no  vegetabile.  Ma  forse che  il  vegetabile  rappresenta  il  transito  eflFettivo  tra  il minerale  e  l' animale?  SMnvocf  no  analogie  esteriori  fra certi  minerali  e  certe  piante.  Ma  forse  che  accanto  alle analogie  non  sorgono  diflFerenze  profonde?  *  S' invoca  la eterogenesi,  e  se  ne  traggono  disparate  illazioni  secondo il  sistema  che  si  vuol  propugnare,  come  se  la  genera- zione spontanea  possa  soggiacere  a  dimostrazione.* noi  non  ci  ò  permesso  intrattenerci  intomo  a  questa  particolarità. Solamente  ci  preme  d*  aTfertire  che  il  concetto  del  procetio^  nella  Geo- logia e  nella  Storia  naturale,  forma  oggi  V  onore  del  Lyell  e  del  Darwin. Ma  se  la  Sdenta  Nuova  ò  la  dimostrazione,  o,  per  lo  meno,  1*  esigenza del  processo  isterico,  in  essa  è  racchiusa  la  verità  della  moderna  geo- logia e  zoologia.  Quando  il  Vico  dice  che  i  fllosoA  prima  di  lui  avefaii ricercato  Dio,  la  scienza,  il  divino  nel  mondo  della  natura  e  non  per ancho  in  quello  della  storia,  ei  s' ingannava.  La  vera  scienza  di  natura, in  generale,  sta  nel  conoscere  principalmente  due  cose:  i^  il  doppio processo  geogenico  e  organico  (paleo-zoologico),  in  modo  affatto  spe- rimentale; 2*  neir  annodarli  entrambi  in  guisa  razionale  col  processo isterico.  Or  la  scienza  di  natura  condotta  a  questa  maniera  è  posteriore a  lui,  essendo  nata  e  cresciuta  principalmente  sotto  gli  occhi  de' due dotti  inglesi  poco  fa  mentovati,  mentr'  ei  non  faceva  che  inaugurarla  pre- venendone i  grandi  risultati.  E  questi  insigni  risultati  preveniva  non già  producendo  scoperte  geologiche,  zoologiche  e  paleontologiche,  ma incarnando  i^el  processo  de*  fatti  umani  V  esigenza  del  metodo  isterico, e  gettando  i  germi  d*  una  dottrina  cosmologica  nella  quale,  come  s*  ò visto,  è  racchiusa  la  necessità  del  processo  universale,  e,  iu  questo,  la necessità  del  triplice  svolgimento  fisico,  organico  e  storico. *  I  vecchi  naturalisti  pretendevano  rintracciare  argomenti  in  favore della  continuità  reale  fra  questi  due  processi,  notando  la  struttura  mirabUe e  squisita,  per  es.,  deirArragonite  cotanto  affine  a  quella  d*uno  de* più elementari  vegetabili;  come  se  nel  cristallo  la  composizione  semplice,  uni- forme, immobile  cosi  nel  tutto  come  nelle  parti  e  senza  centri  ne* suoi  nuclei ed  elementi,  avesse  che  vedere  col  composto  organico  più  rudimentale  ! *  Il  fatto  della  eterogenesi  è  tuttora  un*  ipoUsi,  e  probabilmente  re- sterà sempre  tale  nel  campo  della  osservazione,  ma  è  ten  nella  mente del  filosofo.  Gli  eterogenisti  s'affaticano  a  dimostrare  coi  fatto  ciò  che già  di  per  so  stesso  ò  fatto  !  La  genesi  spontanea,  appunto  perchè  tale, non  è  un  fenomeno  di  trasformazione  d*  indole  meccanica  della  /orna alla  vita:  essa  importa  già  un  transito,  e  quindi  un  intervallo.  Come Per  la  medesima  legge  avviene  il  passaggio  dal  ve- getabile air  animale.  È  vecchio  il  pregiudizio  per  cui si  è  creduto  che  Tun  ordine  d'esseri  si  congiunga  al- l' altro  col  digradarsi  del  processo  superiore,  e  col  per- fezionarsi deU'  inferiore.  Il  pesce  si  congiugne  con  l' an- fibio ;  gli  anelli  zoologici  inferiori  s'  annodano  co'  vege- tabili superiori,  e  simili  immaginazioni.  Oggimai  è  d' uopo raccomandarci  alla  paleontologia,  e  alla  geologia.  Queste scienze  ci  additano  un  processo  quasi  parallelo  ne'  due ordini  in  che  viene  sdoppiandosi  la  vita  sin  dalle  sue origini  primitive.*  Il  Processo  organico  dunque  non  può danque  potrà  esser  possibile  in  tal  caso  una  prova  sperimentale  seria e  irrepugnabile?  Ti  sono  parecchi  sperimenti,  io  lo  so.  Ma  come  fatti? Quante  e  quali  cautele  sono  state  adoperate  ?  La  questione  della  genesi spontanea  ò  mal  posta.  E  poiché  il  naturalista  non  ò  in  grado  di  porla diversamente  di  quel  che  fa,  sarà  quindi  necessario  abbandonarne  la  so- luzione ad  altro  metodo,  ad  altra  maniera  d*  investigazione.  In  somma è  una  questione  essenzialmente  filosofica:  si  diano  pace  i  travagliati seguaci  del  Pasteur  e  del  Poullet! *  Neir epoca  j9aZ«oltKeaapparÌ8con  le  grittogame  superiori  :  indi,  nel- l' epoca  nuéoUtica^  le  piante  conifere  :  appresso,  nell*  età  oenoUtica^  le  fa- nerogame ;  e,  finalmente,  nelP  età  antropolUica,  o  meglio  pott-terxiarta,  si manifesta  la  flora  attuale.  Ecco  qui  un  processo  nella  flora  primitiva.  Il medesimo  reggiamo  nello  svolgimento  della  fauna.  Co*  più  modesti  tipi vegetabili  s*  accompagnano  i  più  bassi  tipi  zoologici  negli  strati  inferiori che  ci  rappresentano  l'età  originaria;  e,  nella  medesima  epoca  negli  strati superiori  veggiamo  lu  prime  forme  di  pesci,  accanto  alle  quali  appariscon le  grittogame.  Con  le  conifere  appaiono  i  rettili  ;  e  negli  strati  superiori additatici  dal  periodo  eenolitico,  appariscon  gli  uccelli.  Ai  rettili  ed  agli uccelli,  dappresso  alle  fanerogame  teugon  dietro  e  si  manif^tano  le  forme inferiori  de*  mammiferi  ;  e  negli  strati  superiori  del  perìodo  terziario  si rivelano  le  primo  tracce  del  regno  umano.  Alla  flora  attuale  poi  s*  ac- compagrna  T attuale  fauna;  il  processo  riesce  evidente  anche  qui,  e  il  ri- scontro ne'caratteri  generali,  nella  flsonomia  e  nell*  insieme  delle  rela- zioni geografiche  e  biologiche,  toma  evidentissimo.  Vegetabile  e  Animale, dunque,  sono  due  correnti,  per  cosi  dirle,  che  movon  da  una  medesima sorgente.  Elle  si  rassomiglian  nella  semplicità  ed  omogeneità  delle  for- me primitive  ;  e  tal  riscontro  è  più  spiccato  in  ragione  che  il  panteolo- gista  ascende  verso  il  centro  comune.  Sennonché  il  processo  nella  serie zoologica  è  assai  più  compatto  e  variato;  lo  svolgersi  è  più  rapido,  e  l'at- tuarsi di  questo  svolgimento  è  più  intricato  quanto  più  ci  accostiamo  alle recenti  formazioni.  Tal  è,  per  es.,  lo  sviluppo  che  ci  palesano  gli  arti- colati e  i  vertebrati,  a  differenza  del  modo  con  che  si  vanno  svolgendo le  classi  de*  vermi,  de*  molluschi,  de*  celenterati,  degli  echinodermt non  esser  di  natura  essenzialmente  polare.  Il  vegetabile e  r  animale  ci  rappresentano  incarnata  la  legge  univer- sale della  dualità;  la  quale  movendo  dalF unità  sintetica iniziale  e  confusa  e  passando  per  V  analisi,  riesce  ad  una sintesi  concreta,  determinata,  analizzata.  La  vita  è  vita  in quanto  si  diversifica:  è  vita  in  quanto  si  etereogenizecu^ Ma  dov'è  la  radice  primitiva  ond'emerge  questa  doppia scala  in  cui  e  per  cui  la  forza,  incarnandosi,  diventa vita?  Non  si  discerne  cotesta  radice:  non  si  verifica;  né si  può  verificare.  Fin  negli  strati  primigeni  dell'  età  ar- cheolitica  vi  è  tracce  di  vita  animale  e  vegetale.  Dunque il  fatto,  r  osservazione,  ci  pone  sott'  occhio  una  dualità. Ma  una  dualità  originaria,  ripetiamolo  anche  qui,  non  è un  assurdo?  Dunque  l'analisi,  il  fatto,  suppone  già  una sintesi  rudimentale,  in  cui  sia  germinalmente  contenuta  la doppia  forma  di  vita  vegetale  ed  animale.  Or  questo  co- mune stipite,  che  con  felice  espressione  un  illustre  vivente naturalista  ha  chiamato  unità  astratta,'^  o  non  esiste  come realtà  sensata,  ovvero,  esistendo,  non  può  essere,  a  dir proprio,  ne  vegetabile,    animale,  ma  l'una  cosa  e  l'al- tra insieme.  S' ella  é  una  realtà,  è  destinata  a  scomparire dal  regno  della  vita,  appunto  perché  non  é  forza    vita. S'ella  é  una  realtà,  sarà  un  soggetto  di  natura  indeter- minata, fisica  e  organica  ad  un  tempo.  In  essa  la  forza diventa  vita;  e  quindi,  più  che  anello  di  continuità  reale, ci  rappresenta  una  continuità  ideale  ;  e  perciò  con  l' in- tervallo reale  ci  significa  la  virtù  e  l'efficacia  del  conato,* *  Ved.  H.  SpBircRR,  E$$ay$  $ei€ntifìe,  polUicalf  (md  9peeulativef  ed.  cit. Veramente  ingegnosa  è  V  analisi  che  quest*  autore  fa  circa  il  modo  con che  avviene  il  procetso  zoologico  il  quale  egli  talora  chiama  |7roee««o  di  di/- /erenziafzione  :  e  non  meno  ingegnosa  è  quella  sul  processo  geologico,  etno- logico e  paleontologico.  Jl  difetto  sta  neir  applicare  la  sua  legge  al  pro- cesso èoeiologieOf  dov*  egli  evidentemente  abusa  delle  analogie  estrinseche col.  mondo  zoologico.  Si  vegga,  per  dirne  una,  come  considera  il  fatto de*  fili  telegrafici  che  abcompagnauo  sempre  le  vie  ferrate,  in  relazione  a certe  leggi  biologiche  degli  organismi  zoologici  inferiori. *  VoQT,  Le  lib.  del  Diritto Univertale,  e  segnatamente  nella  Storia  delle  cinque  età  del  Tempo  Oscuro; dalla  quale  storia  risulta  la  legge  storica  e  sociologica  che,  portata  a pii^  largo  sviluppo,  costituisce  la  Seìenxa  Nuova.  Noi  consacreremo  appo- sito capitolo  intorno  a  questa  teorica  del  Tempo  Oécuro^  perchè  in  essa troveremo  il  fondamento  legittimo  della  sociologia  davvero  filosofica  e positiva.  L*  altro  strumento  poi  che  il  Vico  avea  fra  mano  e  sapeva maneggiare  in  guisa  che  non  ci  ò  dato    pur  sospettare  alla  lontana, costituisce  propriamente  la  parto  geniale,  originalissima  del  suo  metodo isterico;  ed  ò  quella  che  noi  dicemmo  di  natura  psicologica,  e  che  di fironte  alla  prima  serba  indole  a  priori;  ma  è  un  a  priori  positivo,  positi- vissimo,  perchè  di  natura  psicologica.  Ella  in  somma  cojitltuisce,  se  cosi potessi  esprimermi,  un  lavoro  mentale  da  geologo,  da  paleontologo.  Se  infatti  lo  spirito  dell'  uomo  in  una  data  epoca  istorìca  somiglia,  vorre*  dire, *  ad  una  caverna  ossifera,  bisognerà  studiarlo  analizzandolo,  anatomizzan- dolo, decomponendolo.  Perciò  è  necessario  dimenticar  noi  stossi,  e  lavo- rare attorno  ad  esso  in  modo  tutto  ideale  dÌ8cendendo  da  questa  no$tra umana  ingentilita  naturaf  a  queUe  affatto  fiere  ed  immani,  U  quali  oi  ^  affatto negato  d^  immaginare,  e  eolamente  a  gran  pena  ci  i  permeeeo  cT  intendere, (Sec.  Se.  Nuo.,  p.  141.)  Breremento:  bisogna  aver  presenti  noi  stossi,  ma nel  medesimo  tempo  dimenticarci  :  bisogna  etordire  ogni  eeneo  «T  uwtanità (sono  sue  parole)  e  ridurei  in  uno  etato  di  eomma  ignoranjta  di  tutta V umana  e  divina  erudizione,  (ibi.)  Questo,  come  notammo  (p.  833  e  seg.), è  precisamente  ciò  eh*  egli  dice  portare  ad  un  fiato  il  vero  e  il  eerto,  la fiioeofia  e  la  filologia.  Questo  è  il  metodo  isterico  davvero  positivo,  che è  propriamente  metodo  di  natura  eduttiva.  E  questo  dovrebbero  mediterò ed  applicare  i  nostri  sazievolissimi  predicatori  di  certi  metodi  storici  e critici  che  al  postutto  riduconsi  ad  un  meschino  empirismo  I perciò  medesimo  è  scienza  del  presente,  scienza  del- V  oggi,  e,  fino  a  certo  segno,  anche  del  domani.  Ma senza  quella  filosofia  che  non  le  è  incorporata  ma  ch'ella presuppone  necessariamente,  cotesta  Scienza  Nuova  non sarebbe  niente  di  tutto  ciò.  Posta  infatti  la  doppia  for- mola  metafisica  e  cosmologica,  i  cui  germi  giaccion  nel Libro  Metafisico;  posta  segnatamente  la  gran  legge  del Processo  cosmico,  ella  è  davvero  un  poema,  è  un  gran poema,  un  poema  sul  serio,  ma  un  poema  sui  generis. Perchè?  Per  questa  ragione  principalmente:  perchè  è una  Storia  naturale  della  umanità  nell'uomo: perchè  in  lei  si  scruta  l'originaria  formazione  dell'  ultimo Sommo  Genere  ;  perchè  eli'  è  la  celebrazione  solenne  dello Spirito  che  si  crea  nel  regno  stesso  della  vita  ;  perchè  è la  creazione  parlante,  vivente,  reale  del  pensiero  ch'esce dal  caos  delle  forze  brute  fisiche,  meccaniche,  biologi- che ;  perchè,  insomma,  rivela  il  Fatto  che,  convertitosi con    stesso  come  forza  e  come  vita,  ora  convertesi  col Vero  come  pensiero.  Ecco  l'originalità  vera  del  pen- siero Vichiano.  È  un  pensiero  d'una  grandezza  e  d'una potenza,  sto  per  dire,  titanica  !  un  pensiero  nuovo,  nuo- vissimo, anche  dopo  due  secoli  I La  Scienza  Nuova,  dunque,  rappresentandoci  la  ge- nesi del  processo  storico  e  sociologico,  fra  le  altre  cose pronunzia,  legittima,  compie  e  insieme  corregge  il  Darwi- nismo. Una  delle  Degnila  su  le  quali  è  innalzato  il  suo gi*andioso  edifizio  è  lo  stato  ferino  dell'Umanità;  cagione certamente  non  puerile  delle  dispute  e  delle  sètte  de' Fe- rini e  degli  Antiferini  surte  fra  noi,  come  toccammo, sotto gli  occhi  del  Papa  e  de'  cardinali  nel  bel  mezzo  del  secolo passato  (p.  39  e  seg.).  Il  suo  problema  dunque  è  il  gran problema  ond'  è  agitata  e  mossa  la  scienza  odierna.  È  lo stesso  problema  che,  con  significato  assai  pili  compren- sivo, assai  più  razionale,  assai  più  sintetico  e  profonda- mente sintetico,  agita  e  muove  sotto  gli  occhi  nostri  la filologia,  la  zoologia,  la  geologia,  la  paleontologia,  l'an- tropologia, la  sociologia,  la  filosofia  e  la  storia  del  Di- ritto,  la  filosofia  e  la*  storia  delle  arti,  la  filosofia  eia storia  delle  religioni,  come  saggiamente  ha  detto  il  De Fèrron  (p.  149  e  seg.)  Il  suo  problema  quindi  si  collega con  quello  stesso  di  Lamarck,  di  Couvier,  di  Geoffroy de  Saint-Hilaire,  di  Herbert,  di  Mathew,  d'  Omalius, d' Halloy,  di  Rafinesque,  di  Schaaffausen,  di  Hooker, de'  viventi  naturalisti,  de'  viventi  filologi,  de'  viventi  mi- tologi, e  degli  storici  d' ogni  maniera. Nella  Scienza  Nuova  infatti  il  processo  storico-so- ciologico nasce,  sorge  o  si  produce  nel  processo  zoologico; ma  nasce,  sorge  o  si  produce  creandosi.  Dunque  il  6e- stione,  r  uomo  ferino,  per  quanto  ferino  e  bestione  vo- gliasi immaginare,  importa  già  un  intervallo.*  Come  ci si  rivela  egli  cotesto  intervallo?  In  altre  parole:  com'è che  s'inaugura  il  processo  isterico?  Com'è  che  s'inizia il  regno  dell'  umanità  ?  Al  solito  s'inaugura  con  la  gi*an legge  delle  polarità,  ma  nel  medesimo  individuo:  s'inizia con  la  legge  della  dualità,  ma  nella  coscienza  stessa  dell'individuo.  Ciò  che  nell'  ordine  psicologico  è  senso  e intelligenza,  potere  e  volere.  Autorità  e  Ragione  ;  qui, nell'ordine  sociologico  e  storico,  è  Libertà  e  Pudore: ecco  i  due  Principii  éC  Umanità;  principii  essenzial- mente sociologici.* *  Lo  st-ato  ferino  pel  Vico  è  an  fatto  accidentale,  ed  è  accidentale perchè  non  è  universale  ;  ma  questa  dicemmo  essere  un*  aporta  contrad- dizione in  che  cadde  tanto  lui,  quanto  il  suo  discepolo  Duni.  Ed  ò  con- traddizione, perchè  fa  contro  non  solo  ai  suoi  principii  cosmologici,  ma anche  ali*  esigenza  stessa  del  suo  metodo,  fe-una  delle  contraddizioni  duo- que  dalla  quale  ei    libera  da  so  medesimo. *  Nessuno  prima  del  Vico  aTcva  impresso  valore  ed  importanza isterica  a  questi  due  iftm  o  prineipìi  d^umnnità.  Grozio,  per  citare un  esempio,  parla  anch*  egli- del  pudore;  ma  non  sospetta    la  neces- sità sociologica  e  istorìca  di  questo  fatto,    il  significato  psicologico di  questa  tondenza,  e  però  non  ne  fa  uso  di  sorta'.  (Ved.  Dt  Jwr.  M.  et paeitf  "2.  19,  3,  «10.)  Disse  la  libertà  madrt  di  qualsivoglia  diritto  civile (id.  2,  e.  5,  §  17)  ;  ma  perchè  madre  ?    Citiamone  un  altro  esempio.  Anche Platone  parla  de*  due  beni.  Pudore  e  OiuetÌMÌ€L,  che  Giove  impartì  agli uomini  [Protag.,  ed.  Cousin,  T.  Ili,  p.  110):  ma  pel  filosofo  greco  tale tendenza  ò  partecipata,  è  comunicata,  mentre  pel  Vico  è  affiatto  naturale. Per  Platone  riiman»tà  si  manifesta  nella  CVttèt,  nella  iSepubò^tca;  dovecbè Qual  valore,  infatti,  qual  significato  hanno  queste  due parole  nella  mente  del  nostro  filosofo?  Considerate  sotto il  rispetto  storico  e  sociologico,  PudoreLibertas  non  sono idee,  concetti,  nozioni,  astrazioni;  sono  bensì  condizioni efficienti  originarie,  intime,  spontanee,  istintive  di  nostra natura.  Sono  i  due  prificipii  che  principian  V  umanità nell'uomo;  principii  ch'ei  pone  quasi  geni  tutelari  alle porte  ddla  storia  e  delle  cose  umane.  Sono  facoltà,  ma facoltà  involute,  potenziali;  stantechè  Tobbietto  di  esse non  sia  per  anche  fatto,  noh  sia  per  anche  elaborato. Perciò  sono  giudizi,  ma,  al  solito,  giudm  sentUij  come direbbe  egli  stesso;  giudm  fatti  senza  riflessione.  Sono dunque  tendenze  primigenie,  sono  esigenze  autogenite;  e però  ci  rappresentano  anch'elle  ima  sintesi  confusa,  entro cui  si  racchiude  infinita  virtù  esplicativa.  Qual  è  infatti  il principio  d'ogni  socialità?  Qual  è  la  radice  della  socia- lità? £  il  concetto  stesso  d' umanità.*  £  come  si  deter- mina, come  si  esplica  dapprima  questa  tendenza  innata e  originaria  ad  umanarci?  Appunto  col  gemino  senti- mento del  pudore  e  della  libertà^  Questa  originaria dualità  costituisce  la  natura  stessa  dell'uomo,  giacché r  ente  umano  intanto  è  animale  umano,  in  quanto  non è  una  cosa,  ma  due:  (ùov  fiU7Ttxoy,  e  (wov  ttoXctcxov.  £d egli  è  tale  fin  dalla  sua  prima  origine,  questa  essendo  per l'appunto  la  invitta  necessità  del  processo  iperzoolo- pel  Vico  ò  originaria,  tanto  cho  si  manifesta  anche  nello  stato  di  natura:  il quale  perciò,  come  altrove  accennammo,  non  ò  quello  do'  giusnaturalìsti del  secolo  passato.  Fra  la  ReptMdiea  del  filosofo  ateniese,  quindi,  e  la  SeienMa Nuova,  anche  per  questo  rispetto  t*  è  un  abisso,  checche  ne  abbiano detto  0  possano  dime  certi  Hegeliani.  Per  questa  medesima  ragione non  ò  da  confonder  menomamente  V  uomo  ferino  della  Seitnua  Nuova, con  gli  nomini  selvaggi  di  cui  parlavano  tanto  spesso  gli  antichi,  se- gnatamente r  A.  della  RepubUica,  Aristotele,  Cicerone  e  simili.  ^  una posizione  affatto  diversa,  a  cui  bisogna  por  mente. '  HumaniUu  ett  hominU  hominum  juvandi  affedio,  {De  Conti,  JurU- prudenHt,  0.  II,  l.) *  Sed  ex  latiori  genere  Humanitatie  heie  a  nobU  aoupta  a  duobue prineijnù  ootMtal,  Pudori  et  Libebtatk.  {Id,  eod,,  II,  2.) gico,  e  della  legge  di  conversione:  rèbus  ipsis  didantì" bus.^  Or  qual  è  la  relazione  che  stringe  insieme  i  due Principii  d'umanità?  È  quella  medesima  che,  posto  il processo  isterico  e  sociale,  congiugne  in  armonia  la  so- cietà di  ragione  (Societas  Veri),  e  la  società  dell'utile (Societas  ^qui  boni).*  È  appunto  la  relazione  che  corre fra  il  certo  e  il  vero,  tra  la  forma  e  la  materia.* Ma  se  questa  dualità  di  principii  inauguratori  del- l'umanità  nell'uomo  è  originaria,  accade  che,  appunto perchè  originaria,  debba  rivestir  forma  d'unitotalità  e d'incosciente  unità.  Or  come  potrebb' essere  unità  ove, al  solito,  non  serbasse  natura  di  conato?  Pudore  e  Li- bertà quindi  sono  un  conato  ;  sono  dualità  e  unità  in- sieme ;  sono  perciò  triplicità.  Se  non  che,  questa  tripli- cità non  è  inaugurazione  del  processo  psicologico  teore- tico, bensì  pratico;  non  del  processo  conoscitivo,  bensì operativo.  E  dunque  una  triplicità  originaria  di  natura pratica,  empirica,  istintiva,  e  dee  quindi  serbare,  nel medesimo  tempo,  valore  psicologico  e  sociologico.  L'ente umano  adunque  è  di  sua  natura  un  soggetto  essenzialmente relativo.  Egli  è  in  un'  ora  medesima  in    stesso,  e anche  nell'oZ^ro:  è    stesso,  e  insieme  debb'essere  anche l'altro.  Egli  insomma,  ripetiamolo,  non  è  una,  ma  due  cose in    stesso:  uomo  e  cittadino.  E  dovendo  esser  tale  fin ^  Qai  risiede,  come  Tedremo,  la  condanna  della  dottrina  sociologica del  Positivismo,  e  della  confusione  eh*  ella  fa  tra  la  storia  e  la  socio- logia, tra  la  sociologia  e  la  psicologia,  tra  la  psicologia  e  la  biologia, nonché  1*  erroneo  concetto  della  Statica  toeiale  de*  Positivisti  francesi. *  De  Univ.  Jwriè  PrineiptOj  LX. *  Ex  vi  ip$iu9  humanct  natura  de  duobu$  hit  HumanitcUit  prineipii» di«8eramìt$f  ^orutn  unum,  ceu  forma,  erit  Pudor,  alterum,  vduti  matebia. erit  LiherUtf,  {De  CoMt,  Jur.,  II,  8.) Trasportando  questo  concetto  dall'or- dine sociologico  a  quello  delle  idee  e  della  scienza,  possiamo  affermare  che in  tal  modo  il  Vico  abbia  posto  nella  stessa  coscienza,  nello  stesso  indi- viduo, la  distinzione,  oggi  vitalissima,  tra  la  Morale  e  *1  Diritto,  salvando così  r  autonomia  d'entrambe  queste  discipline.  Perciò    la  Morale  può dedursi  dal  Diritto,  come  farine  i  giusnaturalisti  hegeliani  e  positivisti, nò  il  Diritto  dalla  Morale,  come  usan  fare  i  teologisti  e,  in  generale,  i filosoft  neoplatonici.  Di  queste  cose  discorreremo  nella  Sociofogicu dall'  origine  sua,  fin  da  che  apparve  naturale,  sdvaggio, ferino^  bestione;  perciò  in  lui  il  Pudore  è  conato,  stan- techè  col  conato  incofninciò  in  esso  a  spuntare  la  virtù deW  animo,^  Per  la  stessa  ragione  è  tale  anche  la  Li- bertà, la  quale  è  conato  proprio  degli  agenti  liberi,,,, onde  que'  Giganti  si  ristettero  dal  veezo  cT  andar  vagando per  la  gran  sélva  della  terra,  e  s*  aweisearono  ad  un costume  ttdto  contrario,*  Ma  se  la  relazione  che  annoda i  termini  di  questa  originaria  dualità  è  quella  che  corre tra  la  forma  e  la  materia  in  generale,  avviene  che  il Pudore  sia  logicamente  anteriore  alla  Libertà,  e  la  Li- bertà, alla  sua  volta,  sia  cronologicamente,  empirica- mente anteriore  al  Pudore.' *  See,  Seitiua  Nuova,  p.  248. *  Idtmf  eod,  p.  178. *  Perciò  dice  ohe  il  Pudore  l  U  primo  antiehitnmo  principio  d^ uma- nità. (Sec.  Se,  Nuova^  e  VI.)  E  gaardADdo  agli  effetti  di  qoesto  senti- mento, osserva  ohe  il  Pudore  arreeta  la  vaga  venere^  origina  la  eocictà matrimonÌ€i!e,  donde  emerge  la  eoeietà  (Prim.  Se.  Nuova,  o.  VI);  e  come inizia  la  società,  così  pure  inventa  la  religione  :  Pudor  inventar  religionie. {De  Conti.  Jur.,  LXX.)  Additando  poi  la  priorità  logica  del  Pudore  di fronte  alla  Libertà,  dice:  Pudor  euetoe  jurie  naturalie  {De  Univ.  Jur,y LI,  7);  «Tura  a  Pudore  oria,  ad  Pudorem  redeunt,  et  a  eontemplatione  nata, in  eontemplatione  poetremo  deeinunt  (Ihi,  OC  Vili)  :  Pudor  omnie  divini kumanique  Jurie  parene  (Ihi,  GIV,  4):  Pudor  Jurie  naturalie /one  {e.  Ili): Pudor  exoitator  virtutie  (id.,  §  8).  Il  senso  di  libertà,  poi,  assume  dap- prima nna  forma  affatto  empirica  e  naturale;  assume  forma  di  potere {poeee)^  di  volere  sfornito  di  ragione,  d'arbitrio,  di  passione;  e,  come tale,  riesce  cronologicamente  anteriore  al  Pudore^    potrebb*  esser  diversa- mente ammessa  la  relazione  intima  fra  il  processo  zoologico  e  il  processo isterico.  L'  anello  vero  perciò  fra  questi  due  processi,  I*  anello  reale  fra  i due  mondi,  òr  «OMO  stesso;  ma  Tuomo  considerato  come  un  poro  poeee^ potenza,  potestà  naturale.  Sennonchò  cotesto  ò  un  momento  indiscernibile  ; è  un  intervallo  che  tosto  ò  superato,  e  il  potere  già  diventa  voUre^  e il  volere  diventa  oonoeeere  sempre  per  la  solita  legge  del  rehue  ipeie  dio- tantUnu,  àéìVipea  rerum  natura.  Libertà  e  Pudore  quindi  son  come  le due  facce  del  conato  umano:  Tuna  ò  intima,  secreta,  individuale;  Taltra ò  sensata,  estrinseca,  e  perciò  di  natura  essenzialmente  sociologica.  Or come  tale  la  libertà  ò  il  primo  punto  di  tutu  le  eoee  umane  (Sec.  Se. Nuova^  p.  1 72)  ;  e  perciò  ex  libertate  eommereiay  ex  eommereiie  humanitae excuUa,  {De  Conet,  Jur,,  c.  FV,  2.)  E  poichò  ò  una  condizione  primitiva, perciò  la  dice  dote  proprissima  dell* uomo:  NihU  hcmini  magie  proprium quam  oo2imto«  (Ibi.,  c.  V,  19);  ed  essendo  proprissima  proj>rM(o^va  del  filosofare,  quanto le  forme  negative.  Ogni  maniera  di  speculazione  soccorre al  progresso  e  alla  ricostruzione  della  metafisica,  a  con- tare dalla  piiì  grossolana  affermazione  dommatica,  alla negazione  del  più  volgare  ed  em])irico  pirronista;  dalla più  ardita  formola  sistematica,  al  più  sottile  sofisma dello  scetticismo  sistematico.  Ma  neanche  qui  ci  poteva esser  concesso  dimostrare,  senza  trascendere  i  confini  del nostro  disegno,  il  modo  con  che  in  mezzo  allo  svolgersi de'  due  estremi  indirizzi  siasi  venuto  incarnando  e  pi- gliando quasi  persona  l' indirizzo  medio.  Mostrare  in- somma come  le  forme  positive  della  metafisica  siansi venute  svolgendo,  sarebbe  stato  lavoro  di  storia,  e  di crìtica:  al  modo  istesso  che  sarebbe  stato  lavoro  di esposizione  far  vedere  la  monotonia  con  che  si  sono succedute  le  forme  negative  del  filosofare. Solamente  ci  fu  mestieri  accennare  come  nell'età moderna,  dopo  le  divisioni  del  Cartesianismo  nel  quale ripetesi,  con  elementi  di  novella  speculazione,  la  vec- chia sintesi  aristotelica,  l' indirizzo  medio  ci  sia  rap-- presentato  dal  Leibnitz  in  Germania,  e,  più  spiccata- mente, dal  Vico  in  Italia;  e  come  ne' tempi  a  noi  piii vicini  siansi  ripetuti  gli  estremi,  e  si  ripetan  tuttora sotto  novelle  forme,  così  nell'uno  come  nell'altro  paese. È  iperpsicologismo  il  neoplatonismo  italiano  moderno: ma  forse  che  sarà  meno  iperpsicologismo  il  sistema jdeir  assoluta  identità  ?  È  empirismo  e  nullismo  meta- fisico il  positivismo  di  Francia  ed  il  materialismo  di Germania:  ma  sarà  meno  empirismo  lo  scetticismo  siste- matico del  Ferrari  e  certa  ibrida  forma  di  criticismo  del Franchi  e  il  nullismo  metafisico  de'  nostri  filosofi  del- P  avvenire  ?  * *  Vedi  qael  che  altrove  abbiamo  discorso  circa  le  forme  negative  e le  forme  po»Uìve  del  filosofare  e  circa  la  storia  della  filosofia  in  generale (Gap.  III.  lib.  II.)  Lo  scetticismo  non  è  da  pigliarsi  a  gabbo,  come  par che  facciano  tutto  giorno  dommatici  e  sistematici.  La  sua  funzione  isto- rica  ha  grande  importanza,  essendo  quasi  la  molla  efficace,  tuttoché negativa,  del  progresso  in  filosofia,    y*,ha  periodo  storico  in  cui  lo  scet- ticismo non  accompagni  sempre  lo  STolgrersi  del  dommatismo.  Il  dom- matismo  è  syariatissimo  nelle  sue  forme,  e  quindi  possiede  una  storia. Lo  scetticismo  invece  è  immobile,  è  immutabile;  e  questo  è  insieme  il suo  pregio,  e  la  sua  condanna.  Perciò  lo  scetticismo  non  ha    può avere  una  storia,  appunto  perchè  non  importa  un  processo;  e  non  è processo  appunto  perchè  è  negazione.  L*  arma  dello  scettico  infatti  è sempre  identica  a    stessa.  Nel  nostro  Ausonio  rivive  Enesidemo,  e  nel nostro  Ferrari  vi  è  tutto  Sesto  Empirico.  Chi  si  voglia  quindi  provare  o siasi  provato,  come  il  Bissolati  (Ved.  Tntrod.  alle  fgtituxioni  Pirroniane^ Imola  1870),  a  fare  una  storia  dello  scetticismo,  altro  non  fa,  altro  non potrà  mai  fare,  salvochè  una  rassegna,  un  racconto  monotono  e  sazievole d'argomenti  identici.  L'esigenza  scettica,  il  metodo  teettieOf  potrà  benissimo cangiare  i  punti  di  m«(a,  come  fann'oggi  gli  schietti  positivisti, ma  la  sostanza  rimane  e  rimarrà  sempre  la  stessa.  Invece  1*  esigenza dommatica  è  un  fatto  al  pari  dell' esigenza  scettica:  ma  ò  un  fatto  che si  muove;  è  un  fatto  che    fa.  Hegel  ripete  Platone,  e  ripete  Erigena; ma  non  è    Platone,    Erigena.  Rosmini  ripete  Aristotele  o  San  Tom- maso, ma  non  è    Aristotele,    San  Tommaso.  Gioberti  ripete  Male- branche, ma  non  è  nient'affatto  Malebranche.  11  Ferrari  anch'egli  ripete; ripete  Sesto  Empirico.  Ma  come  lo  ripete?  Facendone  la  fotografia!  Ora se  il  dommatismo  conta  una  storia  essendo  un  processo  isterico,  e  lo  scet- ticismo n'é  al  tutto  sfornito,  com'è  possibile  che  il  trionfo  stia  pel  se- condo anziché  pel  primo  ?  La  funzione  isterica  dello  scetticismo  dunque è  necessaria,  essendo  »na  ruota  della  macchina;  ma  badisi  a  non  con- fonder la  macchina  con  la  ruota,,  ciò  che  costituisce  appunto  l'errore-- di  chi  spera  (vana  speranza!)  nel  trionfo  definitivo  del  Pirronismo. Se  non  che,  lasciando  del  Leibnitz  e  del  moto  filo- sofico d'  Alemagna,  peculiar  proposito  del  nostro  libro  ' era  quello  d'  additare  la  correzione  e  V  inveramento delle  due  estreme  tendenze  (scettica  e  dommatica) che  nascono  e  rinascon  parennemente  nella  storia, e  che  oggi,  assunta  forma  pia  conseguente  e  razio- nale, s^addimandano  Positivismo  e  Idealismo  assoluto. D  fondamento  di  tal  correzione  e  '1  criterio  di  sif- fatto inveramento,  per  ciò  che  spetta  al  nostro  paese, pone  radice  nelle  dottrine  del  filosofo  napoletano,  in- terpretate e  ricercate  con  metodo  critico  rintegrativo. Ma,  a  far  questo,  che  cosa  era  d'  uopo  mostrare  in- nanzi tutto?  Era  d'uopo  mostrare  la  possibilità  di  rin- venire in  lui  cotal  fondamento.  In  altre  parole,  era d'uopo  mostrare  se  in  lui  per  avventura  fosse  alcuna originalità  di  speculazione  razionalmente  positiva:  il che  ci  parve  opportuno  innanzi  tutto  far  vedere  in  ma- niera indiretta  e  per  via  storica,  abbozzando  una  storia de' critici  e  degli  espositori  delle  dottrine  vichiane.  Che poi  davvero  esistano  in  lui  germi  d'originalità  metafi- sica, r  abbiam  chiarito  nel  secondo  libro  di  quest'  opera, interpretando  le  sue  teoriche  con  una  forma  di  critica che  scaturisce  logicamente  dalla  stessa  triplice  paiii- zione  de' periodi  ne' quali  abbiam  diviso  quel  nostro saggio  istorico. Se  pertanto  un  rinnovamento  del  pensiero  filosofico italiano  è  necessario  e  inevitabile  perchè  richiesto  dalla ragion  filosofica  positiva,  perchè  domandato  dall'  esi- genza del  sapere  moderno,  e  perchè  imposto  dalle  rinno- vate condizioni  politiche,  civili,  religiose  del  nostro paese  ;  si  domanda  :  come  innovarci  ?  introducendo forse  il  Positivismo,  o  perdurando  nello  Scetticismo? Evidentemente  contraddiremmo  all'indomabile  istinto verso  la  scienza:  contraddiremmo  al  bisogno  sempre più  acuto  e  profondo  di  nostra  ragione:  negheremmo la  ragione.  Vorremo  innovarci  seguitando  a  dirci  ed  essere iperpsicologisti?  In  tal  caso  dovremo  accettare  due condizioni:  costruire  la  scienza  con  la  ipotesi,  con  Va priorismo;  e  disconoscere  i  limiti  del  pensiero  e  della scienza  stessa,  dando  così  alla  ragione  un  valore  dom- matico,  sistematico,  assoluto,  anziché  critico  e  positivo. Chi  vorrà  oggimai  accettare  siffatte  condizioni?  Dunque Positivismo  e  Idealismo  assoluto,  negazione  assoluta  di sistema  e  assoluto  sistematismOy  son  le  colonne  d^  Ercole che  la  moderna  Francia  e  la  moderna  Germania  ci  vo- gliono imporre:  esse  non  ci  appartengono,  e  a  noi  sarà lecito  abbatterle,  non  per  vana  horia  nazionale,  ma  si per  necessità  di  ragione.  Forse  che  un  rinnovamento in  senso  hegeliano  non  ha  ormai  fatto  fra  noi  le  sue prove  per  quindici  anni,  per  vent'anni?  Non  è  stato  fa- vorito con  ogni  guarentigia  di  libertà?  Non  è  stato  e non  è  rappresentato  così  nel  privato  come  nel  pubblico insegnamento?  E  pure  T Idealismo  assoluto,  almeno quant^alla  peculiare  esigenza  che  lo  distingue,  cioè come  Sistema  delP  identità  assolata^  non  ci  è  passato in  sangue,  ne  poteva  ;  e  nonostante  gli  sforzi  nobilissimi di  egregi  scrittori,  egli  è  rimasto  ne' libri,  e  rimarrà ne' libri.    Altrettanto  impossibile  riesce  un  rinnova- mento dsL  positivisti.  Piii  deir  Hegelianismo  il  Positivismo è  stato  accarezzato,  favorito  per  ogni  verso,  predicato privatamente,  talora  persino  officialmente.  Ma  gF  ingegni severi  vi  han  reagito,  vi  reagiscono  ;  e  T  infinita  moltitu- dine di  que' filosofanti  che  han  su  le  labbra  cotesto  nome pomposo  e  bugiardo,  è  lungi  dall' averne  ponderato  il valore,  le  conseguenze,  le  applicazioni.  Binnovamenti  di cotal  genere,  dunque,  sono  impossibili  fra  noi:  e' non sarebbero  legittimi,  coscieuti,  naturali,  autonomi,  efficaci, intimi,  storici.  —Vogliamo  finalmente  ritentare  un  rin- novamento d'iperpsicologismo  da  ontologisti  neoplato- nici? Resteremmo  quel  che  pur  troppo  siamo  stati,  e siamo:  non  andremmo  avanti;  torneremmo  indietro. Se  dunque  la  necessità  del  nostro  innovamento  filoso- fico deve  poter  germinare  dalla  passata  speculazione,  noi dobbiamo  rintracciarne  gli  elementi  nelle  opere  e  nella mente  di  chi  è  capace  di  rappresentare  non  pure  il  pas- sato, ma,  più  ancora,  il  presente  e  T avvenire.  È  d'uopo attingere  ispirazione  nelle  opere  e  nella  mente  di  chi  può soddisfare  V  esigenza  positiva  e  V  esigenza  ideale  del  sa- pere, ma  correggendole  entrambe.  È  d' uopo  invocare  gli auspici  di  chi,  incarnando  il  medio  indirizzo  della  specula- zione, valga  a  rannodarci  con  la  nostra  tradizione  scien- tifica, e  con  lo  svolgimento  dell'intera  storia  della  filosofia. Chi  potrebb'  esser  questi,  fra  noi,  salvo  che  V  Autore  deUa Scienza  Nuova?  Ecco  l'addentellato  piii  sicuro  e  tutto nostro,  dal  quale  è  mestieri  s' inauguri  il  presente  rinno- vamento filosofico  italiano.  Ma,  nell'invocame  gli  auspicii, noi  dobbiamo  interpretarlo  con  la  coscienza  del  sapere moderno  :  noi  dobbiamo  correggere  anche  lui  ;  e  correg- gendo, lui  correggeremo  poi  stessi,  e  gli  altri:  correg- geremo il  neoplatonismo,  l' hegelianismo,  il  positivismo. Brevemente:  se  rinnovarci  è  suprema  necessità,  di  tal necessità  è  d'uopo  aver  pienezza  di  sentimento  e  di coscienza  storica.  Abbiamo  dunque  bisogno  d' una  base per  muoverci,  d' un  punto  a  cui  mirare,  d' un  segno  per orientarci,  d' una  guida  tutta  nostra  in  cui  la  nostra mente  riconosca    medesima.  Chi  potrebbe  risponder meglio  a  cosiffatta  esigenza  tranne  colui  che  seppe  con- cepire il  sublime  per  quanto  rozzo  e  incompiuto  disegno d'una  Scienza  Nuova? 11  nostro  quesito  adunque  era  semplice  e  chiaro; ed  è  questo  :  Come  penserebbe  il  nostro  filosofo  ov'  ei tornasse  a  vivere  in  mezzo  a  noi,  nelle  nuove  condi- zioni politiche,  sociali,  religiose,  co'  nostri  nuovi  bisogni, con  le  nostre  nuove  tendenze?  In  altre  parole:  come farebb'  egli  a  risolvere  oggi,  col  suo  stesso  metodo,  i grandi  problemi  della  scienza?  La  risposta  riguardante i  problemi  speculativi,  è  nella  seconda  parte  del  presente libro.  La  risposta  poi  che  concerne  i  problemi  d' ordine storico,  politico,  religioso  e  pedagogico,  la  daremo  nella Sociologia.  È  che  sia  questa  per  l' appunto  l' esigenza del  suo  pensiero  ;  che  sia  questa  la  necessità  del  nostro RinnoTamento,  ce  ne  porge  guarentigia  e  conferma  la .  storia,  e  U  modo  con  che  s'è  venuto  attuando  e  svolgendo il  nostro  pensiero  filosofico.  Noi  non  possiamo  intrat- tenerci a  lumeggiare  in  qualche  maniera  cotesto  svolgi- mento. Non  possiamo  rilevarne  i  caratteri,  ritrarne  la necessità  ne' passaggi,  e  dichiararne  il  progresso  ne' diffe- renti periodi,  dando  così  forma  determinata  e  compiuta al  nostro  assunto.  Questo  faremo  quando  che  sia  con  ap- posito lavoro,  di  cui  abbiamo  già  in  pronto  la  materia. Ma  accennare  di  volo  al  risultamento  del  nostro  pensiero senza  por  tempo  in  mezzo,  è  cosa  che  possiamo  fare anche  ora;  tanto  piii,  che  tal  risultamento,  chi  ben guardi,  traesi  facilmente  dalle  cose  discorse  in  piii  luoghi del  nostro  libro. La  storia  della  filosofia  italiana,  dunque,  a  noi  sem- bra doversi  dividere  in  tre  difiFerenti  periodi,  de'  quali stringiamo  in  pochissimo  i  caratteri  e  le  tendenze  pe- culiari: Primo  Periodo {Scolast%c(hteologico), S'inaugura  con  Boezio  Severino  (Marciano Capella, Cassiodoro  ec),  e  finisce  con  San  Tommaso  (Tomisti  e Scotisti  inclusive).* *  Vi  è  chi  col  Gioberti  divide  la  storia  della  filosoRa  italiana  in cinque  epoche  (Ved.  Prìmnto,  ed.  2\  1845,  P.  II,  pag.  278);  e  v'è  chi  la divide  in  quattro  età,  cominciando  dal  VI  sec  avanti  Cristo  (Babtolom-  I M RS,  Dici,  den  teienc  philot.)  Divisioni  di  cotal  fatta  evidentemente  pec-

cano d'eccesso,  in  quanto  che  abbracciano  più  e  diverse  civiltà,  e  però  non riescono  ad  imprimere  valor  razionale  e  forma  omo^renea  allo  svolgimento del  nostro  pensiero  fllosoftco.  La  storia  della  filosofia  italiana  s*  inaugura quando  il  popolo  di  Roma,  cessando,  secondo  il  detto  di  Hegel,  d* essere essenzialmente  umanitario  e  univertale,  comincia  ad  essere  italiano.  Il suo  cominciamento  amare  il  concetto  del  me- todo, cioè  la  industria  induttiva,  ma  ne' fatti  d'ordine fisico  sensato,  e  in  parte  filologico  ed  erudito.  L'indirizzo medio  perciò  s'inaugura  con  ricercare  e  determinare  il metodo,  non  già  con  l'edificare  un  sistema.  Questo  è il  lor  merito  comune  ;  e  questo  è  anche  il  loro  difetto, stantechè  manchi  ad  essi  la  nozione  compiuta  del  me- si pretende  imprimere  ralore  a  tutta  la  storia,  quando  s*  interpreta,  cosi com*es8Ì  fanno,  la  scuola  platonica  toscana,  e  le  si  vuol  dare  quel  valore ch*ei  le  danno.  Un  altro  esempio  sono  gli  studi  dello  Spaventa  sul  Bruno e  sul  Campanella:  studi  bellissimi  e  pieni  di  vedute  profonde  dalVun  capo air  altro,  e  come  monografie  noi  H  accettiamo,  e  ne  caviamo  il  nostra prò:  ma  com*  elemento  di  storia  generale,  la  Agnra  e  la  Asonomia  del Bruno,  per  esempio,  ò  delineata  siffattamente,  che  quando  siamo  al  si- gniAcato  della  storia  generale  della  Alosofla,  si  toccan  con  mano  lo Gonsognense  sistematiche  e  parziali  della  critica  monografica.  In  una parola  io;  voglio  dir  qoesto:  la  monograAa  ò  boli*  e  buona,  ò  suprema- mente utile,  ma  è  sommamente  pericolosa;  perchò  se  come  studio  mo- nografico ella  può  esser  vera,  come  parte,  com*  elemento  di  storia  pu^ riescire  falsissima.  Altrove  noi  proveremo  largamente  e  con  esempi  no- strani tale  assunto. todo  com'è  applicato  oggidì  da^ metafisici.  Se  non  che l'indirizzo  medio  nel  Rinascimento  ci  può  esser  più  convenevolmente rappresentato  da  que'  filosofi  che,  trava- gliandosi attorno  alla  quistione  delP  anima  intesa  come problema  puramente  psicologico,  fanno  ad  un  tempo  ogni sforzo  per  interpretare  con  benigna  critica  la  dottrina déiV  intdletto  possibile  e  deìVinteUetto  agente^  e  fra  questi, come  altrove  notammo,  van  rammentati  il  Nifo,  il  Porzio  ' (il  quale  non  è  nient' affatto  un  seguace  del  Pomponazzi, come  pretenderebbe  il  nostro  collega  Fiorentino),  lo IZabarella,  il  Castellani  ed  altri  di  simil  valore.  Costoro sorpassano  i  confini  del  senso;  trascendono  in  parte  la modesta  indagine  psicologica  introducendo  la  ricerca  co- smologica, e  rannodano  così  il  problema  dell'anima  intel- ligente con  r  altro  della  natura  intelligibile.  Nessuno  ha I  pensato  a  rilevar  nettamente  questo  aspetto,  e  segnalare questa  tendenza  tanto  evidente  in  parecchi  filosofi di  quell'età.  E  pur  ci  sarebbe  tanta  mèsse  da  mietere, i  quando  non  fossimo  signoreggiati  dalle  prevenzioni  siste- matiche del  Neoplatonismo,  o  dell' Hegelianismo  1 Ma  r  eterogeneità,  il  contrasto,  V  opposizione  cresce sempre  più.  Da  una  parte  ella  si  esagera,  per  esempio,  con lo  Zimara,  col  Cesalpini,  col  Vanini  e  simili;  i  quali '  rappresentando,  diremmo  quasi,  una  mischianza  di  na- turalismo e  d' iperpsicologismo,  palesano  la. fiacchezza del  vecchio  aristotelismo  :  dall'  altra  poi  si  esagera  con que'  filosofi  che  presumon  d'interpretare  convenevolmente Aristotele  e  Platone,  mentre  arabeggiano  la  lor parie  ;  e  tali»  per  esempio,  sono  il  Lagalla,  il  Liceto  ed  I altri  di  simil  fatta.  È  il  Platonismo  toscano,  è  il  Na- turalismo del  Pomponazzi,  è  l'Arabismo  padovano  che si  prolungano  pur  sempre  svigoriti  e  indeterminati. Bruno  e  Campanella  rappresentano  anch'  essi  debol- mente r  Aristotelismo  e  '1  Platonismo,  ma  per  una  ra- gione assai  diversa.  L'esigenza  psicologica,  propria  del Rinascimento,  nei  due  arditissimi  frati  assume  ben  al- tro valore,  e  si  allarga  a  sistema;  e  così  vediamo  i  due estremi  modificarsi  di  guisa,  che  Bruno  e  Campanella  ci paion  quasi  filosofi  moderni,  e  modernissimo  il  Galilei rappresentante  dell'  indirizzo  medio  nella  scienza  fisica,  in quanto  ci  esprime  assai  vivacemente  l'esigenza  induttiva nelle  discipline  sperimentali.  Bruno,  Campanella  e  Galileo, infatti,  non  ripetono  Aristotele  e  Platone,  e  neanche  in- tendono ad  accordarli  :  essi  piuttosto  tendono  a  correg- gerli, e  credono  correggerli,  come  altrove  mostreremo,  in tre  diverse  maniere.  Perciò  non  a  torto  il  filosofo  Nolano  è riguardato  oggi  siccome  antecedente  isterico  di  Spinoza; il  filosofo  di  Stilo  è  ritenuto  come  antecedente  di  Car- tesio; e  il  Galilei  viene  invocato  da' Positivisti  come  uno ùe'padri  del  Positivismo,  secondo  che  ci  han  fatto  grazia dirci  il  Comte  ed  il  Littré. Or  tutto  questo  sarà  vero;  sarà  vera  cotesta  novità ne'  tre  filosofi:  ma  sarà  vera  nel  senso  che  a  tutti  e  tre manchi  qualcosa.  Essi  ci  rappresentano,  vorre'  dire,  tre* esigenze  solitarie,  esclusive  e  quasi  inorganiche.  Nel  Cam- panella, per  esempio,  vi  è  il  concetto  della  coscienza  e della  storia;  ma  non  vi  è  quello  dello  spirito  come  sto- ria. Nel  Bruno  vi  è  il  gran  concetto  della  ìiatura;  ma è  un  concetto  sifl'attamente  annebbiato  e  indeterminato che  riesce  affatto  irrelativo,  e  nulla  non  ha    dietro, né  avanti  a  sé:  talché  con  l'avere  affermato  che  la  prima causa  debba  essere  insieme  efficiente,  formale  e  finale,  e'  si chiarisce  seguace,  non  già  d'Aristotele,  come  vorrebbe  il Michelet,*  ma  dell'indirizzo  naturale  dell'Aristotelismo.  Il metodo  del  Galilei,  finalmente,  é  quello  che  debb'essere; un  processo  induttivo  e  critico,  ma  solamente  applicato allo  studio  delle  leggi  fisiche.  D'altro  canto  il  filosofo pisano  ha  grandissimo  valore  quando  si  pensi  com'egli, riducendo  le  leggi  di  natura  fisica  o  meccanica  a  feno- meni piÌL  0  manco  generali,  giugnesse  a  scacciare  dal regno  degli  agenti  naturali  ogni  fantasia  astrologica  del falso  Aristotehsmo:  ma  chi  dirà  eh' e' pervenne  a  darei *  Métaph,  us  ipsis  dictantibus.  Però  non  più  individui predestinati;  non- più  famiglie,    razze  privilegiate;  non più  popoli  eletti  :  ma  privilegio  dell'  intelligenza,  ma  trionfo della  libertà  in  ogni  senso  e  sotto  qualunque  forma,  nella Famiglia,  nello  Stato,  nella  Chiesa,  nella  Scuola,  nella Società.  Dunque,  formola  suprema  della  vita  e  della storia,  deUa  natura  e  della  speculazione,  de'  fatti  e  delle scienze  e  di  Dio  stesso  :  la  Conversione  del  Vero  cól Fatto,  e  del  Fatto  col  Vero. Il  terzo  periodo  della  nostra  filosofia  ci  rappresenta V  età  umana:  rappresenta  l'età  delle  idee,  l'età  della Bagione  spiegata.  Quale  sarà  dunque  la  conclusione? La  conclusione  è  chiarissima.  Questo  terzo  periodo importa  l' esigenza,  la  necessità  d'  un  Rinnovamento: racchiude  l'esigenza  e  la  necessità  d'una  filosofia  razio- nalmente positiva.  La  sintesi  confusa  del  primo  periodo si  ripete  anche  nel  terzo;  ed  ecco  le  contraddizioni  evi- denti, manifeste,  grossolane,  talvolta  puerili  del  Vico.  La medesima  sintesi  veggiamo  ripetersi  ne' nostri  ultimi  filosofi neoplatonici;  ed  ecco  le  contraddizioni  del  Rosmini, ecco  i  controsensi  del  Gioberti,  ecco  le  incongruenze del  neoplatonismo  del  Mamiani.  Ma  cotesta  sintesi  tien dietro  ad  un'analisi,  tien  dietro  all'analisi  del  Rinascimento. Dunque,  tuttoché  erronea,  ella  già  segna  un progresso.  Perciò  le  contraddizioni  dei  nostri  filosofi  si risolvono  di  per    medesime;  si  risolvono  e  correggono per  necessità  storica  :  le  risolve  e  corregge  la  storia  ella stessa;  rebt4S  ipsis  dictantibus.  In  altre  parole,  il  terzo periodo  è  un  ricorso,  direbbe  1'  Autore  della  Scienza Nuova;  è  un  ricorso  d'uà  corso,  cioè  un  ricorso  del primo  periodo.  Ma  cotesto  ricorrere  non  è  già  un  sem- plice ripetersi,  bensì  é  un  ripetersi  che  si  rinnova  neces- sariamente, ciò  è  dir  razionalmente  :  ecco  la  ragione  del suo  verace  progredire.  Quale  é  dunque  il  problema  che la  storia  del  nostro  pensiero  filosofico  tende  a  risolvere? È  sempre  l'antico,  l' antichissimo  problema,  or  divenuto novissimo:  la  correzione  e  l' accordo  della  doppia  e  vec- chia  esigenza  naturale  e  iperpsicologica,  empirica  ed a  priori,  positiva  e  ideale.  Quale  n' è  poi  il  risulta- mento?  È  il  trionfo  dell'indirizzo  medio;  è  Finvera- mento  successivo,  progressivo  e  razionalmente  neces- sario di  tale  indirizzo;  ed  è  quella  perennis phUosophia del  Leibnitz  la  quale  non  è  fatta,  ma  si  fa,  e  sempre più  si  farà. Abbiam  detto  che  in  questa  terza  età  la  Ragione sommette  l'Autorità,  trionfa  dell' Autorità,  e  la  riduce ne'  suoi  giusti  confini.  Or  nell'  ordine  de'  fatti  che  cosa veggiamo?  Ci  è  dato  osservare  (noi  fortunati  1)  la  mede- sima legge.  Il  grande  spirito  nazionale  trionfa  di  Roma  ; riduce  a  ragione  l'Autorità;  la  fa  ragionevole.  E  questo gran  fatto  accade  anch'  egli  per  necessità  e  provvidenza storica:  rebus  ipsis  didantìbus.  Accade  senz'av vedercene; accade  senza  grandi  rumori;  accade  senza  grandi  stre- piti guerreschi  ;  accade  senza  i  temuti  fiumi  di  sangue. Evidentemente  il  pensiero  filosofico  italiano  è  provvi- denziale I  Egli  è  già  penetrato  nella  gloriosa  ma  altret- tanto ardua,  altrettanto  spinosa  e  travagliosissima  età umana! La  legge  de'  tre  periodi,  che  noi  abbiamo  a  fugge- volissimi tocchi  tratteggiato  ne'  suoi  caratteri  essen- ziali e  differenziali,  non  è,  al  solito,  una  legge  dia- lettica, non  è  legge  a  priori,  non  è  legge  sistematicaj non  è  legge  organica  nel  significato  che  vorrebbero darle  gli  HegeUani.  È  una  legge,  ripetiamolo,  essen- zialmente storica  e  psicologica:  e  la  necessità  a  cui ella  è  informata,  anziché  dialettica,  è  anch'essa  di natura  storica  e  psicologica.  Non  è  dunque  una  trico- tomia ideale,  dialettica,  logica  e  trascendentale  applicata alla  genesi  del  nostro  pensiero  filosofico;  ma  è  una  divisione risultante  dal  fatto  stesso  della  storia,  e    è confermata  dalla  genesi  deUe  funzioni  psicologiche. Interpretando  così  la  storia  della  filosofia  italiana, il  nostro  Binnovamento  speculativo  non  pur  si  presen- terà come  un'  esigenza  della  Ragion  teoretica,  ma  come un  profondo  bisogno  altresì  della  Ragione  storica,  I fini  perciò  a'  quali  potrà  e  dovrà  pervenire  lo  storico della  nostra  filosofia  saranno  questi: 1"  Egli  così  avrà  dato  forma  razionale  al  movi- mento filosofico  del  pensiero  italiano,  a  contare  dalle sue  proprie  origini  fino  ai    nostri: 2**  Avrà  legittimato  la  Scolastica  e  la  Biflessione teologica^  facendole  servire  entrambe  allo  svolgimento isterico  del  nostro  pensiero  filosofico: 3*  Avrà  schivato  le  pretensioni  esclusive,  le  inter- pretazioni erronee,  infedeli  e  parziali  degli  storiografi hegeliani  che  altro  non  veggono,    nella  nostra  come nella  universale  storia  della  filosofia,  fuorché  il  trionfo d'un  Aristotelismo  o  d'un  Platonismo  interpretati,  ri- maneggiatie  rimpastati  a  tutto  lor  comodo  e  favore: 4*  Potrà  giustificare  la  rinnovata  Filosofia  Positiva Italiana  correggendo  l'Arabismo  vecchio  e  nuovo,  correggendoil  vecchio  e  '1  nuovo  Positivismo,  legittimando la  vera  esigenza  platonica  e  la  vera  esigenza  aristote- lica,e  dimostrando  col  fatto  il  progresso  nel  corso  del nostro  pensiero  filosofico  mercè  il  trionfo  dell'indi- rizzo medio: 5*  Finalmente  potrà  porger  modo  alla  storia  po- litica, alla  storia  civile  e  alla  storia  letteraria  del  nostro paese  d' attingere  significato  razionale  e  razionalmente positivo,  elevandole  a  dignità  filosofica  legittima.  Fuori di  questi  principii  è  impresa  vana  pretendere  d' impri- mervalore  scientifico  alla  storia  del  popolo  italiano. INDICE   DEGLI   AUTORI GHB     DI     PBOPOSITO     0     PER     INCIDENTE TRATTANO  DELLE  DOTTRINE  DEL  VIOO (dal  1711  AL  1870).» Giornale  de*  Letterati  oT  Italia,   Osserrazioni  al  primo  libro  De  Antiqttig' eima  Italomm  Sapìentia,  T.  V,  art.  VI,  t.  VIII,  art.  X.  Venezia,  1711. G.  Clbbioo,  JBihl  anL  e  mod.  Voi.  XVIII,  p.  Il»,  art.  Vili,  1722. Concinna,  Originia  futidamenta  et  capiUi  prima  JurÌ9  Naturalie.   Pado- Ta,  1734. Damiano  Romano,  Difeta  storica  delle  Leggi  Oreche  venute  a  Roma  contro V  opinione  moderna  del  signor  Vico,  Napoli,  1 736. —  Quattordici  Lettere  evi  terno  principio  della  Scienza  Nuota  ec.  Napoli, 1749. Ganassoni,  Memoria  in  difesa  dd  principio  dd    Vico  tu  V  origine  delle XJI  Tatcle.  Opasc.  del  Galogerà. *RoOADEl,  Saggio  del  Diritto  pubblico  o  politico  del  Regno   di  Napoli, DdV  antico  Stato  de*  popoli  d*  Italia  Cistiberina.  Vedi  anche  Colan- OELO,  Biblioteca  analitica  ec. 1  Diamo  qui  tale  indice  tanto  in  servigio  e  compimento  della  storia  e  della critica  fatta  nel  primo  libro  sn  gli  scrittori  che  han  parlato  del  Vico,  quanto per  ehi  amasse  di  ripetere  i  medesimi  studi,  e  far  le  medesimo  ricerche  da  noi fatte.  Di  alcuni  di  questi  autori,  come  aTrertìmmo,  non  ahhiam  creduto  prezzo deir opera  far  cenno;  d'altri  poi  non  abbiam  potuto,  segnatamente  d* alcuni venuti  alla  luce  quando  la  prima  parte  del  nostro  layoro  era  già  in  eorso  di stampa,  come  per  esempio  del  Qalatio,  del    luca,  del  Sarchi  (traduz.  del  Libro  ì Mstafisieo),  del  Laurent  e  di  qualcun  altro.  Tutti  gli  abbiam  letti  o  consultati 0  studiati  secondo  ohe  richiedeva  non  solo  il  proposito  di  questa  nostra  opera, ma  piti  ancora  quello  della  seconda  che  pubblicheremo  intorno  ai  Prineipii della  Sociologia.  Non  abbiam  potuto. leggere  gli  articoli  del  Wotf  e  dell' Or««t, la  Prefatiom  del  Wsbsr  alla  trad.  della  Sdenta  Nuovuy  ì  Fogli  $parsi  del  QOichet e  gli  scritti  di  C.  B.  MUller  e  del  Cauer  ;  ma  ne  abbiam  dato  giudizio  traendone notizia  da  fonti  sicure.  Disporremo  qnest'  indice,  quant'  ò  possibile,  secondo Vordine  cronologico,  affinchè  sia  fatto  più  chiaro  il  pensiero  a  cui  è  informata la  1*  Parte  del  presente  lavoro. G.  Laui,  Novelle  Letterarie,  Firenze,  1740.  Vedi  pure  nelle  note  al  Meursio. FlKETTi,  De  PrineipiU  Jurx$    Naturce   et   Oentiam   adver$tu   Bòbbeatum, Pu/endorjium,  Woljium  et  alio».  Venetiis,  Bettinellus,  1777. Sommario  delle  opposizioni  del  Sistema  Ferino  di  Vieo  alla  Sacra Scrittura.    La  faUità   dello  Stato  ferino:  Appendice  al  Diritto  di Natura  e  delle  OentU E.  DuNi,  Op.,  edi?.  completa  per  cura  del  Gennarellì.  Roma,  1845.  (Scienza del  Coetume.    Saggio  sulla  Giurisprudenza  Universale.    Origine  e progressi  del  Cittadino  di  Roma,  1763.) A.  BuoNAFEDR,  Istoria  critica  del  moderno  diritto  di  Natura  e  delle  Genti (stampato  la  prima  volta  nel  1766:  la    ediz.  fu  fatta  a  Perugia in  sa  lo  scorcio  del  secolo  passato). I.  Stbllini,   Opera  omnia.  Padova,  1788  (specialmente  nell'Opera,  Do Ortu  et  Progressu  morum). M.  Delfico,  Ricerche  sul  vero  carattere  della  Giurisprudenza  Romana  • de*  suoi  euUori.  Napoli,  1791. M.  Pagano,  Op.  Capolago,  1887.  (I  Saggi  PoliHei  furon  pubblicati  in  Na- poli neir  ultimo  decennio  del  secolo  passato.) V.  Cuoco,  Platone  in  Italia.  Milano,  1804  (idem). G.  FiLAKGiBBl,  Scienza  della  Legislazione.  Firenze,  1865  (idem). V.  Monti,  Prolusione  agli  ttudii  ddV  Università  di  Pavia.  Milano,  1804. U.  Foscolo,  Discorso  deW  origine  e  deW  ufficio  della  letteratura,  1805. Vedi  nelle  Lezioni  d'Eloquenza,  ediz.  di  Napoli,  1838. WoLP,  nel  Museum  der  Alterthumwissenschafi.  Berlino,  1807. 6.  Orblli,  Vico  e  Niehuhr.  Museo  Svizzero,  1816. Anonimo,  DelV  antichissima  Sapienza  degli  Italiani,  versione  dal  latino. Milano,  Silvestri,  1816. C.  Iannblli,  Sulla  natura  e  necessità  della  Scienza  delle  cose  e  delle  Storie umane.  Napoli,  1817. Anonimo,  neìV  Indicatore  di  Gottinga.  1819. COLANOELO,  Saggio  di  alcune  considerazioni  suUa  Scienza  Nuova  del  Vico. Napoli,  1821. G.  RoifAGKOSi,  Osservazioni  sulla  Scienza  Nuova.  1821. G.  Weber,  traduzione  della  Scienza  Nuova.  Lipsia,  1822. G.  Db  Cbsarb,  Sommario  delle  dottrine  dd  Vico,  compilato  sulla  8"  ediz. della  Scienza  Nuova  fatta  dallo  stesso  Vico  nel  1744,  e  pubblicata nelPcdiz.  dello  stesso  libro  del  1826  in  Napoli. -S.  Gallotti,  Principii  «T  una  Scienza  Nuova  di  G.  B.  Vico,  prima  edizione pubblicata  dall'Autore  il  1725  riprodotta  e  annotata.  Napoli,  18*26. CHE   TBATTANO  DEL  VICO.  537 Michelet,  Prineìpca  de  la  PkiloBophic  de  VHUtoìre,  traduits  de  la  Scienza Nuova,    Paris,   1827;   ripubblicata   con   le   altre  opere  a  Bmzelles nel  1889. G.  Ricci,  néìV  Antoloffia  del  Vleussenx,  Firenze,  nei  fascicoli    88,  92 del  1828  (stadio  critico  su  la  tradazione  fatta  dal  Michelet). lìivitta  Enciclopedica f  Fascicolo  d'aprile  1828  (art.  sa  la  tradazione  del Michelet). LBBXiinEB,  Initoduction  generale  à  VBittoire  du  Vroit.  Paris,  1829.

Bietoire  de  la  Philotophie  du  Droit.  Bruxelles,  1830  (nel  Tom.  II). Ballanchb,  Opere.  Paris,  1830,  voi.  IH  e  IV. T.  JouFFBOY,  Mélangea  Philo$opMqu€$.  Bruxelles,  1831. V.  CousiK,  Oaurs  ec,    serio,  tom.  II.  Paris,  1831. Introductxon  b.  VHieioire  de  la  Phil.f  Lea,  II, T.  Maviani,  Rinnovamento  della  Filonofia  antica  italiana,  Pari^,  188i. L.  T.  (LniQi  Tonti),  Saggio  aopra  la  Scienza  Xuova  di  0,  B,  Vico,  Lu- gano, 1835. '*'.  PREDABI,  Op.  del  Vico  con  traduzioni  e  commonti.  Milano,  Bravet- te,  1836. G.  Febbabi,  Op.  del  Vico  ordinate  ed  illustrate  coW  analisi  détta  MenU del  Vico  ec.  Milano,  Società  Tipografica,  1835-37. Édit.  compllte  dee  oeuvre*  de  Vico,  en  six  voi.  Paris,  1885-37. Vico  et  r Italie.  Paris,  1839. - —  Eeeai  sur  le  principe  et  le$  limites  de  la  Philoeophie  de  VBittoirt Paris,  Joubert,  1843. Vico  et  VItcdie  (nella  Recue  dee  Deux  ^fond€9,  1888), C.  Cattaneo,  Vico  e  V  Italia  (nel  Politeniico,  voi.  II). St.  MrLL,  Sifithne  de  Logique,    ediz.  (nel  voi.  II). A.  RosviNT,  Il  Rinnovamento  della  Filosofia  in  Italia  propoeto  dal  Conte Terenzio  Mamiani  della  Rovere,  Milano,  1886.  (Vedi  pure  nella  Filo- •ofìa  del  Diritto,  voi.  II,  e  nella  Filosofia  politica.) G98CHEL,  Zerstreute  Bldtter,  nella  Rivista  Giuridico-filosofica.  Schlous- Singen,  1887. A.  Cosmc,  Lettera  al  Mill  (vedi  Littrì,  Auguste  Comte  et  la  Philosoplie Positive,  Paris,  1861). P.  loLA,  Studio  sul  Vico  e  sulla  filosofia  della  Storia,  letto  nell*  Accade-miafilosofica  di  Sassari,  Torino  nel  184!. T.  Maviani,  LrUere  intomo  alla  Filosofia  del  Diritto.  Napoli,  1841. 8.  Mancini,  Intorno  alla  Filosofia  del  Diritto,  Lett.  al  conte  Terenzio Mamiani.  Napoli,  1841. C.  Re.kouvieb,  Manuel  de  PhU,  moderne.  Paris.  1842. 538  INDICE  DEGLI  AUTORI V.  Gioberti,  IiUrocU  allo  studio  della  Filosofia.  Losanna,  1848. N.  ToMMAsio,  Stridii  critici,  Venezia,  1848. Studii  filosofici,  MDCCCXL,  Venezia,  voi.  II. BonCHEZ,  Jntrod,  à  la  Science  de  VHist,  Paris,  1844. Anonimo,  La  Seienoe  nouvélle  par  Vico,  trad.  par  Tautear  de  Tessa!  sur la  formation  da  Dogme  Catholiqae.  Paris,  1844. Della  Valle,  Saggi  exdìa  Scienza  della  storia,  ossia  Santo  della  Seiema Nuova  di  Q.  B.  Vico.  Napoli,  1844. G.  Eocoo,  Elogio  storico  di  0,  B,  Vico.  Napoli,  1844. G.  La  Farina,  Storia  (T  Italia,  narrata  al  popolo  italiano.  Firenze,  Poligrafia italiana,  1846,  yoI.  I,  Prefazione. S.  Centofakti,  Una  Fortixola  logica  della  filosofici  della  storia,  Pisa,  1845. N.  TomiASào,  Notizie  sulla  vita  e  suUe  opere  di  Vico.  Vedi  nell*  edizione della  Scienza  Nuova  fatta  a  Milano  dal  Silvestri  nel  1848. F.  CARyiGNANl,  jStona  deUe  origini  e  de*  progressi  della  Filosofia  del  Diritto, Lucca,  1851. S.  Mancini,  Intorno  alla  Nazionalità  come  fondamento  del  Diritto  delle Genti.  Torino,  1851. V.  D'Ondes  Begqio,  Introduzione  ai  principii  deUe  umane  società,  Geno- va, 1851. A.  Vannucci,  Storia  antica  d*  Italia,  Firenze,  1851  (voi.  I). C.  Marini,  Giambattista  Vico  al  cospetto  dd  secolo  XIX,  Napoli,  1852.C.  E.  MUller,  G,  B.   VicoOleine  ^c^/ten  Neuhrandehurg.  1854. F.  BouLLiKR,  Hlst.  de  la  Phil,  CartUienne,  Paris,  1864  (voi.  II). B.  Poli,  Manuale  della  Storia  della  Filosofia  del  Tenncmann,  voi.  IV, Milano,  1855. A.  De  Carlo,  Istituzione  filosofica  secondo  %  principii  di  G,  B,  Vico,  divisa in  quattro  volumi.  Napoli,  1855  (1  volarne). C.  Giani,  DeW  unico  principio  e  deW  unico  fine  dell*  universo  Diritto.  Oper.a di  G.  B.  Vico  tradotta  e  commentata  coir  aggiunte  di  appendici  relative alla  materia  dell*  opera  stessa.  Milano,  1855. — —  Della  eguàU  autorità  e  naturale  amicizia  di  tutte  le  scienze.  Milano, 1870. Caubr,  nel  Museo  tedesco,  1857. E.  Amari,  Critica  d*  una  Scienza  dille  Legislazioni  comparate,  Genova,  Tipografia de*  Sordo-Muti,  1857. V.  FoRNARi,  DéW Armonia  Universale,  1*  ediz.  Napoli;    ediz.  Firenze, 1863. E.  Faonani,  Ddla  neeessità  e  ddT  uso  della  Divinanione  tettifieata  dalla Scienza  Nuova  di  G.  B.  Vico.  Alessandria,  MDCCCLVII,    voi.  Ristampata nel  1861  a  Torino. CHE  TRATTANO  DEL  VIGO.  539 V.  GiOBKRTi,  Protoloffia,  Ediz.  del  Massari  (voi.  I,  Saggio  ITI), B.  ll&zzARELLA,  La  Critica  dtUa  Scienza.  Genova,  tipi  Lavagnino,  1860. B.  Spavrnta,  Carattere  e  «viluppo  della  JUoBoJia  itàliajut  d  IL  Periodo  de'  critici  e  degli  eruditi 53 >  III.  Continua  il  periodo  de' critici  e  degli  eruditi.    81 »  ,    IV.  Periodo  degl*  interpreti  filosofi 95 »  V.  Continua  il  periodo  degV  interpreti  filosofi.  131 >  VI.  Conclusione.    (Conseguenze.    Forma   della mente,  e  carattere  delle  opere  del  Vico. Valore  della  nostra  critica.) 155 >  VII.  Vico,  Leibnitz  e  il  Cartesianismo 174 »    VIIL  Delle  due  moderne  filosofie,  Germanica  e Italiana i  .  188 INTERPRETAZIONE  DELLA  DOTTRINA  FILOSOFICA. Preambolo ' 210 Capitolo  I.  Dottrina  della  scienza  e  del  criterio  ....  216 »        IL  Del  criterio  e  del  metodo  nella  scienza  .  .  239 Òtà  INDICE  DELLE  MATERIE. Capìtolo  III.  Posizione  e  critica  del  Principio  specula- tivo   Pag.  250 »  IV.  n  Platonismo  e  V  AHstotelismo  nel  pro- blema psicologico 278 >  V.  Organismo  e  processo  psicologico.  {Fon- damento razionale  del  processo  {storico.)  311 »  VL  Genesi  e  teleologia  psicologica. 342 »  VII.  Del  conoscere  metafisico.  (Critica  de^  mo- derni Neoplatonici.) 365 >  Vin.  Continua  lo  stesso  argomento.   {Critica del  Neoaristotelismo  :  Positivismo  ed  He- gélianismo,) 388 »  IX.  Su  la  ricerca  dell* Assoluto  secondo  la  Ra- gion filosofica  positiva 415 »  X.  Del  Principio  metafisico 434 »  XL  Sul  moderno  concetto  della  Creazione  e della  Provvidenza 453 »         Xn.  Deir  attività  creativa  ne*  diversi  momenti del  Processo  cosmico 469 »       XnL  Darwinismo,  Scienza  Nuova  e  Sociologia.  492. »  XIV.  Conclusione  dell'  Opera,  e  idea  su  la  Sto- ria della  Filosofia  Italiana 514 Indice  degli  Autori  che  di  proposito  o  per  incidente trattano  delle  dottrine  del  Vico 535 ERRATA. Pag.  7,  T.  4.  operazione  immediata,  per  operazione  mediata,    Pag.  28, T.  9  e^non  potrebbe  non  rieecire,  per  e*  non  potrebbe  rietcire,    Pag.  57, T.  6.  quel  eerto  Jiloeofoy  per  certo,  quelfloeofo.    Pag.  98,  v.  12.  tuo*dirc, per  vo^  dire.    Pag.  113,  v.  18.  Crieto  quel  centro  maeeimo,  por  Cristo, qvidl  centro  massimo,    Pag.  203,  ?.  12.  jUosofia  fisiologica,  per  Jìlosofia etisologica,    Pag.  212,  T.  16.  assommano  la  ragione,  per  assommano  le ragioni,  — T&g.  221,  v.  29.  Firtz,  per  iVr««.    Pag.  222,  v.  13.  degVim-, ponderabili  suW  esistenza,  per  degV imponderabili  e  deW  esistenza.    Pag.  232, V.  89.  Sft^rji  vrr(xpx,tt  to,  per  fyi?:??  V7ra^;^«e  to'.    Pag.  288, 7.  7.  Sovsifiit,  per  juva/xee.    ,  v.  9.  tovto,  per  toùto.  — Pag.247,v.84.x— Jiaviafjperxat  — Jtavoiat;.  — Pag.253,T.80,7rauTt, per  Travri.    Pag.  269,  t.  88.  affermazione  promessa,  per  affermazione promossa,    Pag.  280,  T.  37.  ù^iirpòi,  per  wc  irpò^.    Pag.  290, V.  19.  x**^'  auTvJv,  per  xar'  auTvjy.    Pag.  292.  t.  29.  Avto7s  tv, per  Auto  yt  to.    Pag.  292,  v.  40.  Sovo^iisi  Zwki'v  s^'^V^^'  ^®^ SvvdfjLii  ^w>7v  ?yovTOf.    Pag.  294,  v.3l.  rsOo^tov,  per  fAi9óptoy.  — Pag.  295,  T.  8.  tfivafjicf,  per  Svvafiig,    Pag.  297.  t.  4.  TdJ  ^9vzx 7tvgG'5a,  per  to'  nuvroc  yiviaOxAi.    Pag.  335,  v.  2S.  altro potrebb* es* sere,  per  altro  non  potrtbV  essere.    Pag.  845,  T.  80.  e  perciò  era  visione, per  e  perciò  visione.^  Pag.  351,  v.  20.  aXXov  «^eu/xaTOtiv,  per  aXXwv a?to/iaTwv.    Pag.  862,  v.  87.  tololtyi?,  per  Tuvxng.    Pag.  385, T.  2gL  Tra/DOff ta,  p«r  Tra^ou^ca.    Pag.  387,  v.  34.  che  le  fa  iìUendere, per  che  la  fa  intendere.    Pag.  408,  y.  18.  di  coglierne  concetto,  per di  coglierne  il  concetto.    Pag.  418,  t.  4.  es  egreift,  per  es  ergreift,  — Pag. 413,  V.  4.  dans  an  sich,  per  das  an  sich.    Pag.  417,  v.  35.  Jtvoljixffovt, per  ^vva/X8VG(.  — P&S*  489,  v.  41.  e  s^ avvilirebbe,  ^r  e* s* avvilirebbe. — Pag.  441,  V.  22.  ytuVe?,  per  f^J7t(.    Pag.  442.  v.25.  /*v?5>j,  per  iit$è.  — Pag.  444,  y.  4.  ^a£va-5ae,  por  yaevjo'^'at.    Pag.  444,  v.  87.  rxpoi^vy' |xaTa,  per  7ra^a?£t7fAaTa.  ^  Pag.  445,  y..20.  del  Dio  aristotelico,  con; per  del  Dio  aristotelico  che  con,    Pag.  468,  y.  40,  in  due  e  cantra- rie  sentenze  apposite,  per  in  due  apposite  e  contrarie  sentenze    Pag.  470, y.  29.  yjppxsi  ro,v^r  vnapxst  to. —Pag.  478,  y.  17.  to  (^trepov, per  TO  5«UTe/)0v.  --  Pag.  478,  y.  22.  to'  rra^Xo,  per    oiWo,    Pag.  478, V.  83.  delV  atonicità,  per  déV atomicità,    Pag.  480,  y.  19.  creare  vuol non  dire,  per  creare  non  vuol  dire.  ^  Pag.  504,  y.  12.  ci  son  addate,  por ci  son  additate.    Pag.  520.  y.  15.  e  correggendo,  lui;  per  e  correggendo lui.    Pag.  528,  y.  4.  chi,  davvero,  ragion  teologica;  per  che,  davvero, la  ragion  teologica.

Pietro Siciliani. Siciliani. Keywords: la psico-genia di Vico, ateneo felsineo, l’unita organica della filosofia, zoologia filosofica, psicogenia, “I principii metafisici di Vico”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siciliani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sidonio: implicaturis – inplicatura Lewis/Short -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Sidonio Appolinare – follows a political career. He writes a number of letters in which he makes reference to philosophers and philosophical issues. He claims, for example, that Cleante di Assus bites his nails.

 

Grice e Signa: la ruota di Venere – filosofia italiana – Luigi Speranza (Signa). Filosofo italiano. Insegna retorica (“ars dictaminis”) a Bologna e Padova. Vive ad Ancona, Venezia, Bologna, Padova, e Firenze. Tra i saggi più significativi si ricordano il saggio storico “L’assedio d’Ancona” (Viella, Roma), il “Bon Compagno”; “Rethorica novissima”; “Scacchi e il “Libellus de malo senectutis et senis”, nel quale, con spirito arguto, prende in giro le affermazioni di Cicerone che idealizzano la vecchiaia”; la “Rota Veneris” (Salerno), un saggio di epistolo-grafia amorosa; “Liber de amicitia”; “Ysagoge Boncompagnus; “Tractatus virtutum”; “Palma Oliva Cedrum Mirra Quinque tabulae salutationum”;  “Bonus Socius e Civis Bononiae. Garbini, Roma, Salerno, Gabrielli, Le epistole di Cola di Rienzo e l'epistolografia, Archivio della Società romana di storia patria, Gaudenzi, Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da S. a Bene da Lucca, Bullettino dell'Istituto storico italiano, G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, Palermo, Tateo,  Enciclopedia dantesca,  Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. S., su ALCUIN, Ratisbona.  Wight: S.'s charter doctrine (Bologna), in: Medieval Diplomatic and the 'ars dictandi', Scrineum. Keywords: Cicerone, “ars dictaminis” – o rettorica --. Bon Compagno da Signa. Signa. Keywords: rota veneris – erotica – ermafrodita – erma: mercurio, afrodita, venere, afrodisiaco. Luigi Speranza, “Grice e Signa” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Silio: Roma – la maledizione di Dione – Scipione come Ercole – il sacrificio dell’eroe -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo Italiano. Avvocato, console, pro-console de principato romano. Muore in Campania. Figli: Lucio Silio Deciano. Console, Proconsole in Asia. Noto semplicemente come S. Italico è anche un poeta, avvocato e politico romano, autore dei Punicorum libri XVII, il più lungo poema epico latino pervenutoci. Abbiamo notizie di lui da una lettera di PLINIO il Giovane a Caninio RUFO, nella quale parla della sua morte. Il nome ‘Asconio’ porta a ritenere che e legato alla gens patavine. Altre brevi informazioni ci vengono da TACITO e da Marziale. Di Marziale, S. è il patrono e sappiamo che opera nel foro come avvocato difensore, probabilmente già al principato di CLAUDIO. Secondo Plinio, nel principato di Nerone, dove esercitare anche l'avvocatura d'accusa, ovvero la delazione vera e falsa per il favore del principe. Il beneficio che ne tratta e il consolato ordinario. Con la caduta e morte di Nerone, in quanto amico di Vitellio, S. partecipa alle trattative di questi con il fratello di Vespasiano, Tito Flavio Sabino, che è a Roma con il figlio di Vespasiano, Domiziano.  S. è pro-console in Asia Minore agl’ordini di VESPASIANO. Testimonianza è un'epigrafe ad Afrodisia, che riporta il suo nome completo. Allo scadere del mandato pro-consolare S. si ritira dalla vita politica attiva dedicandosi agli studi e alla stesura del suo “Punicorum libri”.  Nel Libro III vi è un riferimento al titolo di "Germanico" assunto da Domiziano e Marziale saluta l'opera nel IV libro degl’epigrammi. Anche a causa dello stato di salute aggiorna a Campania, dove compra la villa di CICERONE, il suo modello di oratoria, e la terra che custodia la tomba di VIRGILIO, di cui è un estimatore e ai cui stilemi si rifà abbondantemente nel corso dei Punica. Durante il principato di Domiziano, ha la paterna soddisfazione di vedere nominato console il figlio Lucio Silio Deciano, anche se Marziale e Plinio ci informano che, peraltro, dove subire la perdita del figlio minore. In Campania, provato da un male incurabile, si lascia morire di fame alla maniera del Portico. S. scrive i Punica, poema storico, anche se secondo una parte della critica il testo è incompiuto, in quanto si ipotizza un progetto originario in XVIII libri, parallelo alle dimensioni degl’annales d’ENNIO. La tomba di Virgilio al chiaro di luna, con S., dipinto di Wright. I Punica sono la più lunga epica romana che ci sia pervenuto. Racconta la guerra punica dalla spedizione d’Annibale in Spagna al trionfo di SCIPIONE dopo Zama. La disposizione annalistica testimonia la sua volontà di ricollegarsi alla III decade di LIVIO, ne recupera la cornice architettonica del modello. Colloca dopo il proemio il ritratto di Annibale e chiude, come LIVIO, con l'immagine del trionfo di Scipione. I Punica è concepita quale continuazione ed esplicazione dell’Eneide virgiliana. La guerra d’Annibale è, di fatto, vista come la continuazione di Virgilio, originata dalla maledizione di Didone contro ENEA, mentre dal poema virgiliano S. restaura la funzione strutturale dell'apparato mitologico, anche se lo stravolgimento anti-frastico della provvidenza virgiliana è sostituito da un'EPOPEA dal finale rassicurante.  PLINIO ha delle riserve sulle capacità di S., lo ritiene più antiquario che artista per il suo gusto per le ricostruzioni minuziose. Lo stile sembra influenzato dal gusto del tempo: "barocco", scene macabre unite al modello epico mitologico, con BANALI RIFLESSIONI ETICHE. L'opera, comunque, risulta frammentaria, poiché dà più importanza ai particolari piuttosto che non all'unità dell'opera stessa. Quindi, lo scritto di S. è importante soprattutto per la quantità di informazioni storiche e mitologiche piuttosto che per la sua poesia.  S. in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. S., in Treccani.it – Enciclopedie, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. S., su Sapere.it, De Agostini. Pollidori - Postilla a S., su gionni altervista.org. Giarratano, S. in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Epist. III, 7. Patavino: cittadino di Padova (dal latino Patăvium, nome della città di Padova. Marziale. Vinchesi, Introduzione, in Le guerre puniche, BUR, Milano, Occioni, S. e il suo poema, Firenze, Monnier, Vinchesi, Introduzione, in Le guerre puniche, BUR, Milano. S. su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giarratano, S. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, S. su sapere.it, Agostini. S., Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica. Silio Italico, su ALCUIN, Ratisbona. S., su Musisque Deoque; S. su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. S., open MLOL, Horizons Unlimited, S., Open Library, Internet Archive. S. su Progetto Gutenberg. V · D · M Poeti epici antichi Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Letteratura Categorie: Poeti romani Avvocati romani Politici romani, Poeti, Consoli imperiali romani. S. has a career in politics before retiring to his villa near Napoli where he pursues his interests in philosophy. He is a follower of the Porch, and admired by Pliny Minore. S. is a  philosopher of the Porch.. S. adopts Virgil's basic concept of seeing in the Punic War a fateful step on the road to Rome's greatness, pre-ordained and hence supported by the divine. In his epic, however, S. goes further than Virgilio had done in trying to illustrate how the actions of the great Romans of the period, such as Marcellus or Scipione - reveal that harmony between pre-destination and CHOICE which is demanded by the philosophy of IL PORTICO. Romans like Marcello or Scipione remain loyal to the ancient values of Rome, which are unknown (and naturally totally foreign) to the antagonist Hannibal. S. shows both Scipione and Hannibal as trying to emulate ERCOLE, that hero whom philosophers from both IL PORTICO and IL CINARGO present as the archetype of a man whose unceasing endeavour and striving make him able to attain perfection through his own efforts. The Roman ERCOLE is, moreover, an important figure in popular religion and in Flavian principate ideology. In S.’s epic only one of the two claimants is Hercules’s legitimate successor: Scipione, whose individual striving for perfection is sub-ordinate to the summum bonum (OPTIMVM) of serving Rome, and thus in harmony with the universal order in which Rome has its divinely given place. By applying the doctrine of fate of IL PORTICO to explain the tradition of Rome's heroic past with its many Republican memories S. establishes a meaningtul connection between that tradition and the state of the principate in which he himself lives. S.’s aim is to prove that a classicising frame of mind with its orientation towards the legendary past of Rome leads to an affirmation, instead of a rejection, of contemporary reality. Tiberio Cazio Asconio Silio Italico. Keywords: SCIPIONE, l’eroe nudo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Silio, and the labours of Ercole” – per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sulla: ta meta ta physika -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Apellicon, a member of the Lizio, acquires an extensive collection of the works of Aristotle and Teofrasto that had once belonged to Neleo, della Scessi. S. takes the collection away from him and transports it to Roma, where TIRANNIO (si veda) is put in charge of sorting it out and looking after it. Grice: “Tirannio saw a bunch of books which where obviously on physics. ‘And what are these?’ A bunch of books piled after those about physics. ‘I don’t know. I call them ‘the books that come after the books on physics’ – ta meta ta physika.”   Lucio Cornelio Silla Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.  Disambiguazione – "Lucio Silla" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Lucio Silla (disambigua).  Disambiguazione – "Silla" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Silla (disambigua).  Disambiguazione – Se stai cercando l'opera di Händel, vedi Lucio Cornelio Silla (Händel). Lucio Cornelio Silla Console e dittatore della Repubblica romana Ritratto di Silla su un denario battuto da suo nipote Quinto Pompeo Rufo Nome originale                Lucius Cornelius Sulla Nascita                                    138 a.C. Roma Morte                                          78 a.C. Cuma Coniuge                                          Giulia[N 1][N 2] Elia[N 2] Clelia Cecilia Metella Dalmatica Valeria Messalla Figli da Giulia Cornelia Silla Lucio Cornelio Silla da Metella Fausto Cornelio Silla Fausta Cornelia Silla Lucio Cornelio Silla da Valeria Cornelia Postuma Gens           Cornelia Padre                                               Lucio Cornelio Silla Questura                                     107 a.C. Pretura                                              97 a.C. Propretura                                                            96 a.C. in Cilicia Consolato                                      88 a.C. 80 a.C. Proconsolato                                      87 a.C. - 84 a.C. in Asia Dittatura                                  82 - 79 a.C. Lucio Cornelio Silla Nascita                             Roma, 138 a.C. Morte                                          Cuma, 78 a.C. Cause della morte                                   cancro Etnia                                                Latino Religione                                              Religione romana Dati militari Paese servito                           repubblica romana Forza armata                                   Esercito romano Grado                                                            Dux Guerre                                                   Guerra giugurtina Guerre cimbriche Guerra civile romana (83-82 a.C.) Prima guerra mitridatica Battaglie                                              Battaglia dei Campi Raudii Assedio di Atene (87 a.C.) Battaglia di Porta Collina Battaglia di Cheronea (86 a.C.) Battaglia di Orcomeno Comandante di              Esercito romano Altre cariche                                     Dictator voci di militari presenti su Wikipedia Manuale Lucio Cornelio Silla (in latino Lucius Cornelius Sulla Felix[1], pronuncia classica o restituta: [ˈluːkɪʊs kɔrˈneːlɪʊs ˈsʉlla ˈfeːlɪks], nelle epigrafi L·CORNELIVS·L·F·P·N·SVLLA·FELIX; Roma, 138 a.C. – Cuma, 78 a.C.) è stato un militare e dittatore romano.   Indice 1                 Biografia 1.1                                                            Origini familiari 1.2                                           Gioventù 1.3                                                Esordi della carriera e opposizione a Mario 1.4                         Occupazione militare di Roma 1.5                                  Guerra contro Mitridate in Oriente 1.6                               Il ritorno a Roma, la dittatura e le liste di proscrizione 1.7                  Il nuovo ordine 1.8                                            Il ritiro dalla vita politica 1.9                                     Conseguenze dell'operato politico di Silla 2                           Matrimoni e discendenza 3                                       Note 4                                                            Bibliografia 5                                               Voci correlate 6                                              Altri progetti 7                                               Collegamenti esterni Biografia Origini familiari Lucio Cornelio Silla naque nel 138 a.C. a Roma da un ramo della gens patrizia dei Cornelii caduto in disgrazia.[2] La motivazione è rintracciabile all'inizio del III secolo a.C.: un quadrisavolo di Silla, Publio Cornelio Rufino, nonostante fosse stato console nel 290 a.C. e nel 277 a.C., dittatore in data imprecisata e avesse celebrato il trionfo sui Sanniti, fu espulso dal Senato nel 275 a.C. perché possedeva più di dieci libbre di argenteria in casa.[3] Il figlio di Rufino, Publio Cornelio, fu nominato flamen Dialis, posizione di massima importanza in ambito religioso, ma i cui obblighi lo escludevano di fatto dalla vita politica.[4] Questi fu il primo a portare il cognomen Sulla.[5]  Nelle sue Memorie, Silla stesso scrive che il primo Sulla fu il flamine, facendo derivare la parola dal nome della Sibilla: infatti Publio Cornelio, figlio del sacerdote e bisavolo di Silla, aveva consultato i Libri sibillini per decidere se celebrare i primi ludi Apollinares;[6] questo tentativo di nobilitare il cognomen non rispetterebbe però un'antica usanza romana.[7] Tradizionalmente, infatti, il cognomen descriveva un tratto della famiglia che lo portava: in questo caso, mentre Rufinus richiamava la capigliatura rossa della famiglia, Sulla derivava da suilla, «carne di porco», e alludeva alla pelle chiara e cosparsa di lentiggini.[N 3]  Nonostante il cambiamento del cognomen, la reputazione della famiglia non migliorò e i successori del flamine non ricoprirono cariche superiori a quella pretoria.[8] Il bisavolo di Silla, Publio Cornelio, fu unitamente praetor urbanus e peregrinus nel 212 a.C.[9] e, come già detto, indisse i primi Giochi di Apollo. Avvicinandosi all'età di Silla le informazioni scarseggiano: del primogenito e nonno di Silla, omonimo di suo padre, si sa che fu pretore in Sicilia nel 186 a.C.,[10] mentre il secondogenito, Servio, ricoprì la carica in Sardegna nel 175 a.C.[11]  Del padre, Lucio Cornelio Silla, si sa ancora meno: è probabile che non fosse il primogenito di Publio e che fu amico di Mitridate il Grande,[12] per cui potrebbe essere stato promagistrato in Asia[11] o membro di una delle numerose delegazioni che venivano frequentemente inviate in Oriente.[11] Ebbe due mogli: la seconda, matrigna di Silla, era decisamente doviziosa.[13]  Gioventù  Busto virile detto Silla, copia del 40 a.C. ca. di un originale della fine del II sec. a.C. o dell'età augustea, marmo, alt. 47 cm. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek (fino al 1897 in Roma, Palazzo Barberini, collezione privata). Già dal 1642 la scultura era identificata con Silla ma, considerata la datazione (incerta), si può dire che probabilmente non lo ritrae.[14] Poco si sa della fanciullezza di Silla. Ci rimane solo una leggenda, secondo cui, poco dopo la sua nascita, una donna lo vide in grembo alla nutrice e le disse «Puer tibi et reipublicae tuae felix» (Il fanciullo [sarà] fonte di gioia per te e per lo Stato).[15] Certo è che il crollo del prestigio condizionò la situazione economica della famiglia, descritta così da Plutarco:  (GRC) «οἱ δὲ μετ’ ἐκεῖνον ἤδη ταπεινὰ πράττοντες διετέλεσαν, αὐτός τε Σύλλας ἐν οὐκ ἀφθόνοις ἐτράφη τοῖς πατρῴοις. γενόμενος δὲ μειράκιον ᾤκει παρ’ ἑτέροις ἐνοίκιον οὐ πολὺ τελῶν, ὡς ὕστερον ὠνειδίζετο παρ’ ἀξίαν εὐτυχεῖν δοκῶν. σεμνυνομένῳ μὲν γὰρ αὐτῷ καὶ μεγαληγοροῦντι μετὰ τὴν ἐν Λιβύῃ στρατείαν λέγεταί τις εἰπεῖν τῶν καλῶν τε κἀγαθῶν ἀνδρῶν· «Καὶ πῶς ἂν εἴης σὺ χρηστός, ὃς τοῦ πατρός σοι μηδὲν καταλιπόντος τοσαῦτα κέκτησαι;»»  (IT) «I suoi [di Rufino] discendenti, fin dal primo, condussero una vita mediocre e Silla stesso fu allevato in una situazione patrimoniale niente affatto invidiabile. Da adolescente abitava in casa d'altri e pagava un affitto basso; questo gli fu rinfacciato in seguito, perché sembrava aver raggiunto una fortuna superiore al merito. Si dice che, dopo la campagna in Libia, quando si faceva bello e si vantava, uno dei boni gli si rivolse con queste parole: «E come potresti essere meritevole di lodi tu, che ti sei ritrovato tante ricchezze senza che tuo padre ti abbia lasciato niente?»»  (Plutarco, Sull., 1, 2; trad. di Lucia Ghilli, p. 303.)  Il biografo greco probabilmente esagera, perché Silla non crebbe nella povertà più assoluta: era ricco agli occhi del plebeo, ma povero agli occhi del nobile, una posizione assimilabile a quella di cavaliere.[16] Nonostante l'ambiente modesto in cui visse, a Silla fu impartita un'ottima educazione, degna delle sue origini patrizie: gli furono insegnati la letteratura latina e greca,[17] il diritto, la retorica, la filosofia e l'arte e fu impregnato dei valori tradizionali del mos maiorum.[18] Con questi strumenti, Silla poteva certamente rivaleggiare con i più eruditi della sua epoca, ma per ottenere una carica gli serviva il denaro.  La speranza di ricoprire una magistratura sembrò svanire quando, verso l'età in cui indossò la toga virilis (circa 17 anni), il padre Lucio morì senza lasciargli nulla in eredità.[19] Il giovane Silla, che godeva di un reddito annuo di 9000 sesterzi, nove volte maggiore rispetto a quello di un operaio, ma decisamente umile per un aristocratico,[19] prese a frequentare i sobborghi dell'Urbe, che poco si addicevano a un patrizio, e personaggi ambigui come mimi e istrioni,[20] per cui scrisse anche alcune atellane.[21] Secondo Plutarco, in occasione delle bevute con i suoi amici plebei Silla, la cui immagine è passata alla storia come severo dittatore, mostrava il suo lato migliore:  (GRC) «[...] ἀλλ’ ἐνεργὸς ὢν καὶ σκυθρωπότερος παρὰ τὸν ἄλλον χρόνον, ἀθρόαν ἐλάμβανε μεταβολὴν ὁπότε πρῶτον ἑαυτὸν εἰς συνουσίαν καταβάλοι καὶ πότον, ὥστε μιμῳδοῖς καὶ ὀρχησταῖς τιθασὸς εἶναι καὶ πρὸς πᾶσαν ἔντευξιν ὑποχείριος καὶ κατάντης.»  (IT) «[...] sebbene fosse attivo e più accigliato per il resto del tempo, non appena si buttava nella mischia e si metteva a bere cambiava del tutto, tanto da diventare gentile con mimi cantanti e ballerini, dimesso e propenso ad accogliere ogni richiesta.»  (Plutarco, Sull., 2, 3; trad. di Lucia Ghilli, p. 309.)  Ormai pronto al matrimonio, Silla sposò una certa Ilia,[22] che potrebbe corrispondere a una Giulia, sorella di Lucio Giulio Cesare e Cesare Strabone Vopisco,[23] o una Giulia minore, sorella di Gaio Giulio Cesare, Sesto Giulio Cesare e Giulia maggiore, moglie di Gaio Mario,[24] o più probabilmente si tratta di un errore di Plutarco, per cui la figura di Ilia coinciderebbe con Elia,[25] la seconda moglie di Silla, di famiglia plebea e di cui non si sa altro che il nome[26]. In ogni caso, da Ilia Silla ebbe la sua prima figlia, Cornelia, e il primo figlio, Lucio, che morì infante.[27]  Ad ogni modo, il legame matrimoniale non gli impedì di intrattenere relazioni extraconiugali: coltivò una relazione omosessuale con l'attore Metrobio, un amore giovanile che portò con sé fino alla morte,[28] così come continuò a frequentare i circoli di buffoni. Amò anche la facoltosa Nicopoli, liberta più vecchia di lui e sua amante, che, quando spirò, lasciò al giovane Silla una grande eredità.[13] Nello stesso periodò morì anche la matrigna, da cui Silla ereditò un'altra ingente somma di denaro.[13] Fu probabilmente così che Lucio Cornelio Silla, nato da una famiglia decaduta, poté intraprendere la sua carriera politica: l'inizio della sua Felicitas.  Esordi della carriera e opposizione a Mario  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra giugurtina e Guerre cimbriche. Nel 107 a.C. Silla fu nominato questore di Gaio Mario, del quale era cognato avendo sposato la sorella minore della moglie di Mario, Giulia, nel periodo in cui questi stava assumendo il comando della spedizione militare contro Giugurta, re della Numidia. Questa guerra si protraeva ormai dal 112 a.C., con risultati addirittura umilianti per l'esercito romano, tenuto in scacco dalle forze di questo piccolo regno africano.  Alla fine Mario, nel 106 a.C., riuscì a prevalere, soprattutto grazie all'abile e coraggiosa iniziativa di Silla, che riuscì a catturare Giugurta convincendo il suocero Bocco e gli altri familiari a tradirlo e consegnarlo ai Romani. La fama che gliene derivò gli servì da trampolino di lancio per la carriera politica, ma provocò il risentimento e la gelosia di Mario nei suoi confronti. Difatti Silla continuò a servire nello Stato Maggiore di Mario fino all'elezione al consolato di Quinto Lutazio Catulo, di antica famiglia aristocratica come lui, e infine passando nello Stato Maggiore di quest'ultimo nella difficile campagna condotta in Gallia contro le tribù germaniche dei Cimbri e dei Teutoni (104 – 103 a.C.). Silla si distinse anche in questa occasione, aiutando il console Quinto Lutazio Catulo e Mario a sconfiggere i Cimbri nella Battaglia dei Campi Raudii, presso Vercelli, nel 101 a.C..  Al suo ritorno a Roma, Silla riuscì a farsi eleggere pretore urbano, e i suoi avversari non mancarono di accusarlo di aver corrotto all'uopo molti degli elettori. In seguito fu assegnato al governo della Cilicia, regione situata nell'odierna Turchia. Nel 96 a.C. si assistette a un avvenimento storico per quell'epoca. La Repubblica romana e il grande Impero dei Parti vennero a contatto in modo del tutto pacifico. Una delegazione inviata dal sovrano parto, Mitridate II, si incontrò sulle rive dell'Eufrate con il pretore Lucio Cornelio Silla, governatore della nuova provincia di Cilicia.[29]  «Dopo l'anno di pretura, [Silla] fu inviato in Cappadocia. Motivo ufficiale della sua missione era il porre di nuovo sul trono Ariobarzane I.[30] In verità egli aveva il compito di contenere e controllare l'espansione di Mitridate, che stava acquisendo nuovi domini e potenza non inferiori a quanti ne aveva ereditati.»  (Plutarco, Vita di Silla, 5.)   La missione di Silla, procuratore della Cilicia, nel 96 a.C., quando incontrò un satrapo dei Parti presso Melitene (futura fortezza legionaria).  Rovine di Aeclanum, la città del Sannio irpino conquistata da Lucio Cornelio Silla. Questo primo incontro fissò sull'Eufrate il confine tra i due imperi.[31][32] Una curiosità di quell'incontro fu che Silla cercò, anche in quella circostanza, di affermare la preminenza di Roma sulla Partia, sedendosi fra il rappresentante del Gran Re e il re di Cappadocia, come se desse udienza a dei vassalli. Una volta venuto a conoscenza dell'accaduto, il re dei Parti fece giustiziare colui che lo aveva così maldestramente sostituito all'incontro con il comandante militare romano. Ecco come racconta l'episodio Plutarco:  «Silla soggiornava lungo l'Eufrate, quando venne a trovarlo un certo Orobazo, un parto, quale ambasciatore del re degli Arsacidi. In passato non c'erano mai stati rapporti di sorta tra i due popoli. Tra le grandi fortune toccate a Silla, va ricordata anche questa. Egli fu infatti il primo romano che i Parti incontrarono, chiedendo alleanza e amicizia.[33] In questa occasione si racconta che Silla fece disporre tre sgabelli, uno per Ariobarzane I, uno per Orobazo e uno per sé, e li ricevette mettendosi al centro tra i due. Di questa situazione alcuni lodano Silla, perché ebbe un contegno fiero di fronte a due barbari, altri lo accusano di impudenza e vanità oltre misura. Il re dei Parti, da parte sua, mise poi a morte Orobazo.»  (Plutarco, Vita di Silla, 5.)  Al termine del 96 a.C. Silla lasciò il Medio Oriente e rientrò a Roma, dove si unì al partito degli oppositori di Gaio Mario. In quegli anni la Guerra Sociale (91-88 a.C.) era al suo culmine. L'aristocrazia romana si sentiva minacciata dalle ambizioni di Mario che, vicino alle posizioni del partito popolare, aveva già retto il consolato per 5 anni di seguito, dal 104 a.C. al 100 a.C. Nella repressione di quest'ultimo moto di ribellione delle popolazioni italiche alleate di Roma, Silla si mise particolarmente in luce come brillante e geniale stratega, eclissando sia Mario sia l'altro console Gneo Pompeo Strabone (padre di Gneo Pompeo Magno). Una delle sue imprese più famose fu la cattura di Aeclanum, città degli Irpini, ottenuta incendiando il muro di legno che difendeva la città assediata. Come conseguenza, nell'88 a.C., ottenne per la prima volta il consolato, insieme a Quinto Pompeo Rufo.  Occupazione militare di Roma  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile romana (83-82 a.C.). Silla, assunta la carica di console, ricevette poco dopo dal Senato l'incarico di governare la provincia d'Asia. Durante il governatorato organizzò una nuova spedizione in Oriente e combatté la prima guerra mitridatica.[34] Si lasciò tuttavia alle spalle, a Roma, una situazione assai turbolenta. Mario era ormai vecchio, ma nonostante ciò aveva ancora l'ambizione di essere lui, e non Silla, a guidare l'esercito romano contro il re del Ponto Mitridate VI. Per ottenere l'incarico, Mario convinse il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo a fare approvare una legge che sottraesse a Silla la guida, già legittimamente conferitagli, della guerra contro Mitridate e gliela attribuisse.  Appresa la notizia Silla, accampato in quel momento nell'Italia meridionale in attesa di imbarcarsi per la Grecia, scelse le 6 legioni a lui più fedeli e, alla loro testa, marciò su Roma. Nessun comandante, in precedenza, aveva mai osato violare con l'esercito il perimetro della città (il cosiddetto pomerio). La cosa era talmente contraria alle tradizioni che Silla esentò gli ufficiali dal parteciparvi. Spaventati da tanta risolutezza, Mario e i suoi seguaci fuggirono dalla città. Dopo avere preso una serie di provvedimenti per ristabilire la centralità del Senato come guida della politica romana, Silla lasciò di nuovo Roma, e riprese la strada della guerra contro Mitridate.  Guerra contro Mitridate in Oriente  Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra mitridatica.  Mitridate (I secolo d.C., oggi al museo del Louvre). Approfittando dell'assenza di Silla, sul finire dell'87 a.C. Mario riuscì a riprendere il controllo della situazione. Con il sostegno del console Lucio Cornelio Cinna (suocero di Gaio Giulio Cesare), ottenne che tutte le riforme e le leggi emanate da Silla fossero dichiarate prive di validità e che lo stesso Silla fosse ufficialmente dichiarato «nemico pubblico» e costretto perciò all'esilio. Insieme, Mario e Cinna eliminarono fisicamente un gran numero di sostenitori di Silla, e furono eletti consoli per l'anno 86 a.C. Mario morì pochi giorni dopo l'elezione e Lucio Valerio Flacco fu nominato consul suffectus al suo posto, mentre Cinna rimase a dominare incontrastato la politica romana, essendo rieletto console negli anni successivi.  Nel frattempo Silla si era recato in Grecia, dove portò alla caduta Atene nel marzo dell'86 a.C..[35][36] Il comandante romano vendicò quindi l'eccidio asiatico di Mitridate, compiuto su Italici e cittadini romani, compiendo un'autentica strage nella capitale attica. Silla proibì, invece, l'incendio della città, ma permise ai suoi legionari di saccheggiarla. Il giorno seguente il comandante romano vendette il resto della popolazione come schiavi.[36] Catturato Aristione, chiese alla città come risarcimento del danno di guerra, circa venti chili di oro e 600 libbre d'argento, prelevandole dal tesoro dell'Acropoli.[37]  Poco dopo fu la volta del porto di Atene del Pireo.[38] Da qui Archelao decise di fuggire in Tessaglia, attraverso la Beozia, dove portò ciò che era rimasto della sua iniziale armata, radunandosi presso le Termopili con quella del condottiero di origine tracia, Dromichete (o Tassile secondo Plutarco[39]). Con l'arrivo di Silla in Grecia nell'87 a.C. le sorti della guerra contro Mitridate erano quindi cambiate a favore dei Romani. Espugnata quindi Atene e il Pireo, il comandante romano ottenne due successi determinanti ai fini della guerra, prima a Cheronea,[40] dove secondo Tito Livio caddero ben 700.000 armati del regno del Ponto,[41][42][43] e infine a Orcomeno.[40][44][45][46]   Mappa dei movimenti delle armate romane, prima e durante la battaglia combattuta presso Cheronea  Mappa dei movimenti delle armate romane, durante la battaglia combattuta presso Orchomenos Contemporaneamente, agli inizi dell'85 a.C., il prefetto della cavalleria, Flavio Fimbria, dopo aver ucciso il proprio proconsole, Lucio Valerio Flacco, a Nicomedia[47] prese il comando di un secondo esercito romano.[48][49] Quest'ultimo si diresse anch'egli contro le armate di Mitridate, in Asia, uscendone più volte vincitore,[50] riuscendo a conquistare la nuova capitale di Mitridate, Pergamo,[47] e poco mancò che non riuscisse a far prigioniero lo stesso re.[51] Intanto Silla avanzava dalla Macedonia, massacrando i Traci che sulla sua strada gli si erano opposti.[52]  «Quando Mitridate seppe della sconfitta a Orcomeno, rifletté sull'immenso numero di armati che aveva mandato in Grecia fin dal principio, e il continuo e rapido disastro che li aveva colpiti. In conseguenza di ciò, decise di mandare a dire ad Archelao di trattare la pace alle migliori condizioni possibili. Quest'ultimo ebbe allora un colloquio con Silla in cui disse: Tuo padre era amico di re Mitridate, o Silla. Fu coinvolto in questa guerra a causa della rapacità degli altri comandanti romani. Egli chiede di avvalersi del tuo carattere virtuoso per ottenere la pace, se gli accorderai condizioni eque».»  (Appiano, Guerre mitridatiche, 54.)  Dopo una serie di trattative iniziali, Mitridate e Silla si incontrarono a Dardano, dove si accordarono per un trattato di pace[53], che costringeva Mitridate a ritirarsi nei confini antecedenti la guerra,[53] ma ottenendo in cambio di essere ancora una volta considerato «amico del popolo romano». Un espediente per Silla, per poter tornare nella capitale a risolvere i suoi problemi personali, interni alla Repubblica romana. Si racconta che Silla, prima di tornare in Italia, ebbe un secondo incontro con ambasciatori del re dei Parti, i quali gli predissero che «divina sarebbe stata la sua vita e la sua fama». Allora Silla decise di tornare in Italia (primavera dell'83 a.C.), sbarcando a Brindisi con 300.000 armati.[54]  Il ritorno a Roma, la dittatura e le liste di proscrizione  Lo stesso argomento in dettaglio: Proscrizione sillana.  Possibile ritratto di Silla (copia del I secolo d.C. (?) di un originale risalente al I secolo a.C., oggi conservata presso la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen). L'identificazione è stata avanzata dall'archeologo tedesco Klaus Fittschen.[55] Quando fu raggiunto dalla notizia della morte di Cinna, nell'84 a.C., lasciò l'Oriente e si mise in marcia verso Roma, ottenendo l'appoggio, tra gli altri, del giovane Gneo Pompeo Magno. Dopo un periodo iniziale di stasi delle operazioni militari, nel novembre dell'82 a.C. Silla ottenne la vittoria decisiva sconfiggendo nella Battaglia di Porta Collina un grande esercito costituito dalle legioni della fazione dei populares e dalle agguerrite truppe sannite al comando di Ponzio Telesino. L'esito di questa battaglia fu determinato in modo risolutivo dall'azione del futuro triumviro Marco Licinio Crasso che al comando dell'ala destra sbaragliò le forze nemiche, mentre Silla era in grave difficoltà sull'ala sinistra.  Subito dopo la battaglia, nel dicembre dell'82 a.C., essendo morti entrambi i consoli, Silla fu eletto dittatore[56] a tempo indeterminato dai comizi centuriati con la Lex Valeria de Sulla dictatore:[57] i suoi poteri comprendevano il diritto di vita e di morte, la possibilità di presentare leggi, di effettuare confische, di fondare città e colonie, di scegliere i magistrati.  Fu sulla base di questi poteri che Silla realizzò un'articolata serie di riforme, che, nelle sue intenzioni, dovevano risolvere la crisi in cui si dibatteva da decenni lo Stato romano. Divenuto padrone assoluto della città, Silla instaurò un vero e proprio regno del terrore, mettendo al bando e dichiarando fuori legge (prima proscrizione) tutti gli oppositori politici, offrendo ricompense a chi li avesse uccisi. I più colpiti furono i cavalieri, che erano sempre stati ostili a Silla e che presero potere grazie alla riforma del proletariato: ne furono uccisi 2.600 e i loro beni, messi all'asta a prezzi irrisori, finirono nelle tasche dei Sillani.  Il giovane Gaio Giulio Cesare, come genero di Cinna, fu costretto ad abbandonare precipitosamente la città, ma ebbe salva la vita grazie all'intercessione di alcuni amici influenti, soprattutto della cugina Cornelia, figlia di Silla, e del marito di lei Mamerco Emilio Lepido, princeps senatus. Silla annotò poi nelle proprie memorie di essersi pentito di averlo risparmiato ("e sia, lo risparmierò, ma vi avverto, in lui vedo mille volte Mario", frase citata in Svetonio, Vita di Cesare, edizioni Laterza), viste le ben note ambizioni politiche del giovane. Una vittima delle sue proscrizioni, con una morte particolarmente violenta e crudele fu Marco Mario Gratidiano, del quale si racconta che fosse decapitato da suo cognato Catilina anche se, in un frammento delle Storie, Sallustio non menziona Catilina nel descrivere la morte: a Gratidiano, dice, «la vita era sfuggita da lui pezzo per pezzo: le gambe e le braccia gli sono state spezzate e gli occhi cavati».  La circostanza che l'uccisione avvenisse presso la tomba di Catulo ha fatto pensare gli storici che si trattasse non di una semplice crudele vendetta ma di un vero e proprio sacrificio umano rituale per pacificare un antenato morto, riprendendo l'uso di sacrifici umani a Roma, documentati in tempi storici da Andrew Lintott, seppure da 15 anni fossero stati vietati.  Il nuovo ordine Ormai rimasto senza vere opposizioni, Silla attuò una serie di riforme tese a mettere il controllo dello Stato saldamente nelle mani del Senato, allargato per l'occasione da 300 a 600 senatori. La nomina a senatore fu resa, inoltre, automatica al raggiungimento della carica di questore, mentre prima era demandata alla scelta dei censori. Per evitare l'accumulo di poteri si stabilì un limite minimo di età per le varie magistrature: trent'anni per i questori, quaranta per i pretori, ecc. Il potere dei tribuni della plebe fu inoltre fortemente ridimensionato: le loro proposte dovevano essere approvate preventivamente dal Senato e il loro diritto di veto limitato. Il potere giudiziario fu restituito al Senato, sia per i reati più gravi sia per le cause di corruzione che la riforma graccana aveva demandato ai cavalieri. In definitiva tutte le sue azioni erano animate dall'intento di restituire al partito aristocratico il controllo della città. Introdusse inoltre la legge per cui i vincitori di corone militari di grado pari o superiore alla civica sarebbero stati ammessi di diritto in senato indipendentemente dall'età, questo fu il motivo per cui Gaio Giulio Cesare all'età di vent'anni ebbe accesso al Senato.  Il ritiro dalla vita politica Cronologia Vita di Lucio Cornelio Silla Circa 138 a.C.                   nasce a Roma 107 a.C.                                          nominato questore di Gaio Mario 106 a.C.                            fine della Guerra Giugurtina 104 - 103 a.C.                            legatus di Mario nella Gallia Ulteriore 103 a.C.                         legatus di Quinto Lutazio Catulo nella Gallia Ulteriore 101 a.C.              sconfigge i Cimbri nella Battaglia dei Campi Raudii (Vercelli) 97 a.C.         eletto pretore urbano 96 a.C.                                      governatore della Cilicia[31][32] 91 - 88 a.C.                          comandante nelle Guerre Sociali 88 a.C.                                                            consolato insieme a Quinto Pompeo Rufo e successiva occupazione di Roma e messa fuori legge di Mario 87 a.C.                                        spedizione in Medio Oriente contro Mitridate VI del Ponto 86 a.C.            messo fuori legge da Mario 82 a.C.                                 ritorna a Roma e la occupa con la forza per la seconda volta 82 a.C.           eletto dittatore 80 a.C.                                          consolato insieme a Quinto Cecilio Metello Pio 79 a.C.                    si dimette dal consolato e si ritira a vita privata 78 a.C.                   muore per cause naturali in Campania nella sua villa di Cuma Nella sua veste di dittatore a vita Silla venne eletto console per la seconda volta nell'80 a.C. Cresceva intanto l'insofferenza verso gli eccessi compiuti dai suoi uomini. Un suo liberto fu denunciato in un processo, e sconfitto grazie alle arringhe del giovane Cicerone. Silla, sorprendendo tutti, l'anno successivo decise di abbandonare la politica per rifugiarsi nella propria villa di campagna, con l'intento di accingersi a scrivere le proprie memorie e riflessioni.  Quando si ritirò a vita privata, pare che attraversando la folla sbigottita uno dei passanti si mise a ingiuriarlo. Silla si limitò a rispondergli, beffardo: «Avresti avuto lo stesso coraggio a dirmi queste cose quando ero al potere?». E alla fine, personaggio dall'indole spietata e ironica allo stesso tempo, confidò ad uno dei suoi amici:  «Imbecille! Dopo questo gesto, non ci sarà più alcun dittatore al mondo disposto ad abbandonare il potere.[58]»  Plutarco nelle Vite parallele lo rappresenta come il vizio, narrando che fosse circondato da una variopinta corte di attori, ballerini e prostitute, fra cui un certo Metrobio, e che gli dei per punizione lo fecero ammalare di lebbra. Dopo aver terminato le sue riforme, nel 79 a.C. si ritirò a vita privata. In compagnia di questa allegra brigata, Sulla Felix fino all'ultimo respiro, morì nel 78 a.C., probabilmente di cancro. Lasciò vedova e incinta la sua ultima moglie, Valeria Messalla, che qualche mese dopo partorì una figlia, Cornelia Postuma.  Com'era allora d'uso presso i potenti di Roma, lui stesso dettò l'epitaffio che aveva voluto s'incidesse sul suo monumento funebre:  «Nessun amico mi ha reso servigio, nessun nemico mi ha recato offesa, che io non abbia ripagati in pieno.»  Conseguenze dell'operato politico di Silla I problemi politici e sociali che avevano portato alla guerra civile non erano però affatto risolti. Silla aveva ristabilito l'ordine oligarchico in virtù della forza derivatagli dagli eserciti, al cui appoggio avrebbero ricorso sia i sostenitori sia gli avversari del nuovo corso da lui instaurato. Da Silla in poi la vita politica e civile dello Stato fu perciò condizionata pesantemente dall'elemento militare: disporre di un esercito da usare contro gli avversari e, se si rivelasse necessario, contro le stesse istituzioni romane, divenne l'obiettivo principale dei più ambiziosi capi politici che aspiravano al potere. Il sistema costituzionale romano uscì distrutto dalla guerra civile. E l'esempio di Silla trovò presto un imitatore d'eccezione proprio in un uomo che aveva idee opposte alle sue: Giulio Cesare[59].  Matrimoni e discendenza Silla si sposò cinque volte:[60]  Giulia, chiamata anche Ilia[N 2]. Probabilmente una parente di Giulio Cesare, si sposarono nel 110 a.C. e lei morì nel 104 a.C., probabilmente di parto. Ebbero una figlia e un figlio: Cornelia, che fu madre di Pompea Silla, terza moglie di Giulio Cesare. Lucio Cornelio Silla, che morì giovane. Elia[N 2], da cui non ebbe figli. Clelia, da cui divorziò con l'accusa di sterilità. Cecilia Metella Dalmatica. Si sposarono nell'87 a.C. e lei morì nell'80 a.C. Ebbero due figli e una figlia: Fausto Cornelio Silla. Gemello di Fausta, questore nel 54 a.C. Fausta Cornelia. Gemella di Fausto, madre di Gaio Memmio, console suffetto nel 34 a.C. Lucio Cornelio Silla. Morì giovane poco prima della madre.[61] Valeria Messalla. Si sposarono nel 78 a.C. e fu l'ultima moglie di Silla, che morì nello stesso anno. Ebbero una figlia: Cornelia Postuma. Nata alcuni mesi dopo la morte del padre, si presume sia morta prima dell'età da matrimonio. Note Esplicative ^ Chiamata anche Ilia  Le figure di Giulia/Ilia ed Elia potrebbero coincidere (vd. infra). ^ Plutarco, Sull., 2, 1; Brizzi 2004, p. 15; Hinard 2003, pp. 15-17; contra Keaveney 1985, p. 16, secondo il quale deriverebbe da sura, «polpaccio»; cfr. Quintiliano, Inst., I 4, 25). Bibliografiche ^ Noto anche semplicemente come Silla, nome che probabilmente deriva dalla corruzione della grafia originaria del suo cognome (SVILLA). Il cognome aggiuntivo (in latino agnomen) Felix fu aggiunto quando già era al termine della carriera, a motivo della sua quasi leggendaria fortuna come condottiero. ^ Plutarco, Sull., 1, 1; Sallustio, Iug., 95, 3. ^ Plutarco, Sull., 1, 1; Brizzi 2004, p. 13; Hinard 2003, p. 14; Telford, p. 18. ^ Brizzi 2004, p. 14; Hinard 2003, p. 15. ^ Brizzi 2004, p. 14. ^ Livio, XXV 12. ^ Brizzi 2004, p. 15; Hinard 2003, p. 16. ^ Hinard 2003, p. 18; Telford, pp. 19-20. ^ Livio, XXV, 2-3. ^ Brizzi 2004, p. 15; Hinard 2003, p. 18; Keaveney 1985, p. 16.  Brizzi 2004, p. 15; Hinard 2003, p. 18. ^ Appiano, Mith., 54.  Plutarco, Sull., 2, 4; Brizzi 2004, p. 18; Hinard 2003, p. 22; Keaveney 1985, p. 19. ^ Per maggior informazioni sul busto e la sua storia si rimanda ai seguenti link: (EN) The General Publius Cornelius Scipio Africanus?, su ancientrome.ru. URL consultato il 9 gennaio 2021 (archiviato dall'url originale il 9 gennaio 2021). (FR) The General Publius Cornelius Scipio Africanus?, su ancientrome.ru. URL consultato il 9 gennaio 2021 (archiviato dall'url originale il 9 gennaio 2021). ^ Keaveney 1985, p. 16. ^ Hinard 2003, pp. 18-19. ^ Sallustio, Iug., 95, 3. ^ Hinard 2003, pp. 20-21; Keaveney 1985, pp. 16-17.  Brizzi 2004, p. 17; Keaveney 1985, p. 17. ^ Brizzi 2004, pp. 19-20; Hinard 2003, p. 21, suppone anche la partecipazione a un'associazione bacchica; Keaveney 1985, pp. 18-19. ^ Brizzi 2004, p. 20; Hinard 2003, p. 242; Keaveney 1985, p. 18. ^ Plutarco, Sull., 6, 11. ^ Brizzi 2004, p. 22; Hinard 2003, pp. 23-24; Keaveney 1985, p. 19. ^ Telford, pp. 30-31. ^ Brizzi 2004, p. 22; Hinard 2003, p. 24. ^ Plutarco, Sull., 6, 11; Brizzi 2004, p. 22; Hinard 2003, p. 24. ^ Hinard 2003, p. 26. ^ Plutarco, Sull., 2, 4; 36, 1; Hinard 2003, p. 21; Keaveney 1985, p. 19. ^ Sheldon 2018, p. 52. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 70.6.  Piganiol 1971, p. 298.  Giovanni Brizzi, Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio, Bologna 1997, p. 319. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 70.7. ^ Appiano, Guerre mitridatiche, 22. ^ Plutarco, Vita di Silla, 16.  Appiano, Guerre mitridatiche, 38. ^ Appiano, Guerre mitridatiche, 39. ^ Appiano, Guerre mitridatiche, 40-41. ^ Plutarco, Vita di Silla, 15.1.  Floro, Compendio di Tito Livio, I, 40.11. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 82.1. ^ Appiano, Guerre mitridatiche, 42-45. ^ Plutarco, Vita di Silla, 16-19. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 82.2. ^ Plutarco, Vita di Silla, 21. ^ Appiano, Guerre mitridatiche, 49.  Appiano, Guerre mitridatiche, 52. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 82.4. ^ Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XXX-XXXV, 104.1-6. ^ Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo, II, 24.1. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 83.1. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 83.3.  Appiano, Guerre mitridatiche, 57-58. ^ Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo, II, 24.3. ^ Per ulteriori informazioni: http://ancientrome.ru/art/artworken/img.htm?id=3326#sel= ^ La carica di dittatore non era stata ricoperta da alcun politico romanodal 202 a.C.; l'ultimo dittatore era stato Gaio Servilio Gemino. ^ Appiano, Guerre civili, I, 98-99. ^ Lucio Cornelio Silla, romanoimpero.com. ^ "In principio ci fu Silla. È noto che egli fu modello a Cesare per tanti aspetti del suo agire, dall’uso spregiudicato di un esercito ormai politicizzato alla marcia su Roma, dalla dittatura (sia pure a tempo indeterminato, e non perpetua) al mantenimento dell’immissione dei neocittadini italici in tutte le tribù; così, anche in campo storiografico è difficile concepire la genesi dei commentarii di Cesare senza il precedente sillano": Zecchini Giuseppe, Cesare: commentarii, historiae, vitae, Aevum: rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche: LXXXV, 1, 2011, p. 25 (Milano: Vita e Pensiero, 2011). ^ Plutarco, Vita di Silla ^ Dufallo, Basil John (1999). Ciceronian oratory and the ghosts of the past. University of Michigan: UCLA. p. 263 Bibliografia Fonti antiche (GRC) Appiano, Guerre civili, in Storia romana, I, 55-105. (QUI la versione inglese) (GRC) Appiano, Guerre mitridatiche, in Storia romana.(QUI la versione inglese Archiviato il 16 novembre 2015 in Internet Archive. (GRC) Dione Cassio, Storia romana, XXX-XXXV.QUI la versione inglese. (LA) Floro, Flori Epitomae Liber primus (testo latino) . (LA) Tito Livio, Ab Urbe condita libri CXLII, Periochae (testo latino) . (LA) Tito Livio, Periochae (testo latino) , in Ab Urbe condita libri CXLII. (GRC) Plutarco, Vita di Silla, in Vite parallele. QUI la versione inglese Plutarco, Le Vite parallele di Plutarco, volgarizzate da Marcello Adriani il Giovane, a cura di Francesco Cerroti e Giuseppe Cugnoni, traduzione di Marcello Adriani il Giovane, III, Firenze, Le Monnier, 1889, ISBN non esistente. Plutarco, Lisandro; Silla, introduzione di Luciano Canfora, traduzione e note di Federicomaria Muccioli (per Lisandro), introduzione di Arthur Keaveney, traduzione e note di Lucia Ghilli (per Silla), con contributi di Barbara Scardigli e Mario Manfredini, Milano, BUR, 2001, ISBN 88-17-12731-0. (LA) Quintiliano, Institutio oratoria. (LA) Sallustio, Bellum Iugurthinum. (GRC) Strabone, Geografia, XII. QUI la versione inglese (LA) Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri IX. QUI la versione latina. (LA) Velleio Patercolo, Historiae Romanae Ad M. Vinicium Libri Duo (testo latino) .QUI la versione inglese. Fonti storiografiche moderne Giuseppe Antonelli, Mitridate, il nemico mortale di Roma. La vicenda umana e politica del principe orientale che ha avuto il coraggio di opporsi all'imperialismo di Roma, Roma, Newton Compton, 1992. Ernst Badian, Lucius Sulla: The Deadly Reformer, Sydney, University Press, 1970. Giovanni Brizzi, Storia di Roma, I: Dalle origini ad Azio, Bologna, Patron, 1997. Giovanni Brizzi, Silla, prefazione di François Hinard, Roma, Rai-ERI, 2004. Jérôme Carcopino, Silla o la monarchia mancata, traduzione di Anna Rossi Cattabiani, introduzione di Mario Attilio Levi, consulenza storica di Federico Ceruti, 2ª ed., Milano, Rusconi, 1981 [1931], ISBN 88-18-18020-7. 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Modifica su Wikidata Mario Attilio Levi, SILLA, Lucio Cornelio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936. Modifica su Wikidata Silla, Lucio Cornelio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata (EN) Ernesto Valgiglio, Sulla, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (EN) Ernesto Valgiglio, Sulla, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Lucio Cornelio Silla, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Modifica su Wikidata (EN) Lucio Cornelio Silla / Lucio Cornelio Silla (altra versione), su Goodreads. Modifica su Wikidata (FR) www.luciuscorneliussylla.fr, su luciuscorneliussylla.fr. Estratti dal libro di Carcopino su Silla", su ilpalo.com. URL consultato il 2 maggio 2007 (archiviato dall'url originale il 16 giugno 2013). (FR) L. Cornelius Sulla, " Sylla ", su noctes-gallicanae.org. URL consultato il 4 giugno 2006 (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2016). (EN) Mario e Silla, su janusquirinus.org. URL consultato il 12 gennaio 2005 (archiviato dall'url originale il 21 febbraio 2004). Predecessore              Console romano                                              Successore                                                 Gneo Pompeo Strabone, Lucio Porcio Catone                                                            88 a.C. con Quinto Pompeo Rufo                                   Lucio Cornelio Cinna I, Gneo Ottavio                               I Gneo Cornelio Dolabella, Marco Tullio Decula                        80 a.C. con Quinto Cecilio Metello Pio                               Appio Claudio Pulcro, Publio Servilio Vatia Isaurico                     II V · D · M Plutarco Controllo di autorità                          VIAF (EN) 84037378 · ISNI (EN) 0000 0001 0761 0985 · BAV 495/44176 · CERL cnp01321531 · LCCN (EN) n83212399 · GND (DE) 11864260X · BNE (ES) XX1121979 (data) · BNF (FR) cb12005009r (data) · J9U (EN, HE) 987007276616305171 · NSK (HR) 000359011 · CONOR.SI (SL) 91826787   Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Ellenismo   Portale Storia Categorie: Militari romaniMilitari del II secolo a.C.Militari del I secolo a.C.Romani del II secolo a.C.Romani del I secolo a.C.Nati nel 138 a.C.Morti nel 78 a.C.Nati a RomaMorti a CumaLucio Cornelio SillaConsoli repubblicani romaniDittatori romaniSenatori romaniCorneliiAuguriTresviri monetalesGovernatori romani dell'AsiaPersone delle guerre mitridatiche[altre]Silla. 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Grice e Sillo: il voto al divino -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. The sect being very reluctant to take an oath – invoking ‘il divino’ in vain – Sillo refused to take one, and just hand over money.

 

Grice e Simbolo: la filosofia di Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) – Filosofo italiano. Along with two other philosophers by the names of Ieroteo and Maxximiniano, he persuades Giuliano to pave the floor of Hagia Sophia with silver. However, the story is doubted, as is the existence of these three philosophers.

 

Grice e Simichia – l’élite di Crotona e la sua diaspora -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. “This is the diaspora from Crotona – as if we would have an Oxonian diaspora, provided the mayor of Oxford deems us elitists!” – ‘or the gown elitist towards the town, but surely Boris Johnson never saw himself as gown!’ – Grice.

 

Grice e Simioni: amanti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Fiosofo italiano. Tra i principali studiosi di PIRANDELLO (si veda), inizia la sua attività politica militando nelle file del socialismo. Venne espulso dal partito per indegnità morale. Collabora con l’United States Information Service. Si trasfere a Monaco di iera per approfondire gli studi per poi ritornare a Milano. Leader di un collettivo operai-studenti, mentre lavora alla Mondadori, fonda il collettivo politico metro-politano milanese. Teorizza lo scontro aperto, e si considera il progenitore delle brigate rosse. Insieme a circa settanta persone, tra cui componenti del collettivo ed elementi del dissenso, partecipa al convegno di Chiavari nella sala Marchesani, adiacente la pensione Stella Maris, nel quale un gruppo di partecipanti dichiara la propria adesione ad una visione politica. La data di questo convegno viene da taluni considerata come la data di nascita delle brigate rosse. Altri affermano che la formazionesia nata con il convegno di Pecorile (Reggio Emilia). L'ultima attività, prima di passare alla completa clandestinità, a compe come redattore di "Sinistra proletaria", l'ultimo dei quali riporta in copertina uno sfondo rosso con disegnato al centro un cerchio nero attorniante le sagome di XIV mitra. Fonda la scuola di lingue Hyperion, la quale secondo alcuni ha la funzione di una vera centrale internazionale. Si afferma che e anche il capo del Super-clan, organizzazione nata da una costola delle brigate rosse. Si insere nella vita cittadina, ricominciando a frequentare gl’ambienti progressisti e divenendo vicepresidente della fondazione Pierre. E proprio quale accompagnatore di Pierre, e ricevuto da  Giovanni Paolo II in udienza privata. Si avvicina al buddhismo tibetano. Si apparta nella campagna di Truinas, nella Drôme, dove geste un B & B. Craxi, alludendo alla esistenza di un grande delle brigate rosse (l'eminenza grigia ipotizzata da alcuni che dall'estero avrebbe guidato, come un burattinaio, molte delle azioni sul suolo italiano), dichiara che costui poteva essere cercato tra quei personaggi che avevano cominciato a fare politica con noi e poi sono scomparsi, magari sono a Parigi a lavorare per il partito armato, frase che venne da molti ritenuto indicasse come grande proprio lui. L'organizzazione di sinistra extra-parlamentare Lotta Continua lo accusa di essere un confidente della polizia e in contatto con i servizi segreti.. Durante la fase iniziale di Mani pulite, e accusato da LARINI di essere il grande, accuse respinte da lui che le ritenne parte di un'azione contro Craxi, vista la comune militanza nel socialismo. Hyperion e realmente una scuola di lingue o la stanza di compensazione di diversi servizi segreti?  Ferrari, In teleselezione dalla Francia gli ordini ai italiani? Corriere della Sera. Entrambi gli edifici sono proprietà della curia  Il convegno di Pecorile in Anni di Piombo. Il nucleo storico delle brigate rosse. E morto il misterioso grande, La Tribuna di Treviso, Fratini, Hyperion: scuola di lingue chiacchierata, ANSA, repubblica cronaca  news/caso moro_il_bierre_franceschini moretti una_spia_ riduttivo si sentiva_lenin. Dalla lotta al buddhismo, in Critica Sociale, Anni di piombo Superclan Hyperion (Parigi) Venezia Anni di piombo. Corrado Simioni. Simioni. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Simioni” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Simmaco: il console filosofo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of considerable wisdom, also a consul. Quinto Aurelio Simmaco.

 

Grice e Simoni: gl’ ‘eretici’ reazionari italiani – gl’acuti – i nobili -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Studia con BENDINELLI e PALEARIO, due umanisti in dore d’eresia. Il secondo fine sul rogo a Roma. Legge sostenuto dal padre e dal patrizio veneziano MOCENIGO e peregrina nei maggiori studi d'Italia: Bologna, Pavia, Ferrara, e Napoli. Si laurea a Padova. Diversi ma tutti autorevoli i suoi professori: da MAGGI a CARDANO, da BOLDONI a BRASAVOLA. La sua formazione e di stampo del LIZIO, come s'insegna nello studio padovano, con una forte esigenza razionalistica che ha riflessi nel campo religioso, tale da mettere in dubbio l'immortalità dell'anima e a creare sospetti di eresia tra i professori e gl’studenti di quella università. Con questa preparazione, S. fa ritorno a Lucca, dove scrive saggi di argomento filosofico. Lucca ha vissuto un periodo concitato d’aperti conflitti sociali e poi di tentativi di riforme politiche, portate avanti dal gonfaloniere BURLAMACCHI e dal circolo di filosofi riuniti intorno a VERMIGLI. Quando ritorna a Lucca, quella fervida attività è già stata spenta dalla reazione cattolica guidata da GUIDICCIONI, ma certo quelle idee di riforma circolano ancora sotterraneamente, e forse lui stesso le ha già raccolte durante i suoi trascorsi nelle diverse università da lui frequentate. Sta di fatto che è chiamato dall’autorità lucchesi a dare spiegazioni sulle proprie opinioni. Per tutta risposta non fidandosi troppo delle sue forze, cerca la salvezza con la fuga. Munito solo di un cavallo e dei propri risparmi, dopo aver preso commiato dalla famiglia, fugge, accompagnato da un servitore, alla volta di Ginevra. Negl’atti ufficiali della repubblica di Lucca, la sua condanna per eresia si formalizza. A Ginevra, patria del calvinismo, si forma una numerosa colonia di emigrati italiani e tra questi non pochi sono i lucchesi. La comunità italiana è inserita in una propria chiesa e S. vi ha l'incarico di catechista. Preso a benvolere dall'influente teologo BEZA, ottenne di insegnare filosofia: un incarico dapprima senza compenso, poi retribuito insieme con la nomina a professore. Anche il padre Giovanni si stabilì a Ginevra. In quello stesso periodo gli venne aumentato lo stipendio, ottenne un alloggio gratuito e, nell'accademia è istituita appositamente per lui la cattedra. Pubblica saggi. Presso Crespin apparve il suo “In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus” è il commento al “De sensu et sensibilibus” di Aristotele. In esso define la verità filosofica -- una premessa tipica del lizio padovano ma poi cerca di dimostrare che la ragione, indagando la natura, può giungere al divino, rivelando le verità di fede. In tal modo, sostiene che anche ogni questione ha natura razionale e, qualora sorgano contrasti, la ragione è in grado di comporli, indicando la via da seguire per una corretta interpretazione. Una conseguenza, seppure non esplicita nel commento, della prevalenza della ragione sulla fede, è che il dogma espressione della tradizionale sub-ordinazione della ragione alla fede non ha motivo di esistere. Il suo LIZIO che poco concede alla teologia si conferma con i successivi commenti all'Etica Nicomachea e al De anima, mentre S. condusse una lunga e dura polemica contro il filosofo Schegk. Questi, proprio all'opposto del S. usa argomenti tratti dalla scolastica per dimostrare la realtà della teoria, allora caldeggiata in ambienti luterani, della ubiquità del corpo di Cristo. S. risponde con argomenti di carattere fisico dimostrando l'irrealtà di tale assunto. Un olo corpo fisico non può che occupare, nello stesso tempo, un unico spazio determinato. Anche Cristo, in vita, e soggetto alla legge naturale. Dopo la morte, Cristo mantenne soltanto una natura divina. Non è sostenibile l'idea che il divinopossa mutare una legge naturale in legge trans-naturale o sovra-naturale. Ente perfetto e primo motore immobile come lo delinea Aristotele il divino agisce sulla natura unicamente attraverso la sua perfezione che indirizza al bene gl’esseri naturali. Il suo carattere collerico e l'alta considerazione che ha di sé lo porta a una lite clamorosa con BALBANI, un altro lucchese. Durante il matrimonio della figlia di questi, S. lo copre d'insulti, con grave scandalo delle autorità di Ginevra, che fanno imprigionare S. e lo espulsero dall'accademia. A nulla valsero le suoi scuse presentate -- è del resto probabile che la severità del consiglio e del Concistoro ginevrino e motivata anche dalla freddezza e dallo suo spirito d'indipendenza dimostrato che pure si dichiara calvinista in materia di religione. Tuttavia BEZA gli mantenne ancora la sua amicizia e lo forne di una lettera di raccomandazione con la quale si dirige alla volta di Parigi.  A Parigi ottenne una buona accoglienza. I calvinisti qui chiamati ugonotti sono ancora tollerati e le lusinghiere referenze gli fanno ottenere una cattedra di filosofia al collège royal, dove le sue lezioni ottenneno subito un grande concorso di pubblico. Come scrisve a BEZA, alle sue lezioni assistevano sei o settecento uomini barbati, dottori, professori, et altri di robba lunga, preti, frati, giesuiti et altra simil razza d'uomini. Si ha congratulazioni di RAMO, che volle incontrarlo e lo chiama “felicissimum et praestantissimum ingenium italicum”, non però quelle del collega CHARPENTIER, che teme che fosse stato mandato da Ginevra per turbare questa scuola. Sa che la sua permanenza a Parigi è precaria. Il nome di Ginevra mi nuoce più che il nome di ugonotto -- né puo valere molto la protezione del cardinale COLIGNY, passato al calvinismo. Rifere di aver rifiutato offerte sostanziose da parte cattolica per insegnare in loro collegi, a prezzo di una sua conversione, e di attendersi un prossimo editto che affronta il problema della convivenza tra cattolici e ugonotti.  Un editto effettivamente ci e, emanato da Carlo IX, con il quale si proibe ai protestanti l'insegnamento pubblico. Così, perduti anche i suoi saggi che gli furono sequestrati, e costretto ad abbandonare la Francia. Si apre un nuovo periodo di difficoltà. Non potendo insegnare a Ginevra, cerca di ottenere un incarico a Zurigo e a Basilea, sollecitando in tal senso altr’emigrati italiani come l'editore PERNA e il filosofo umanista CURIONE, ma invano. I sospetti di anti-trinitarismo che gravano sul suo conto, da quando fa visita nel carcere di Berna all'eretico GENTILE  poco prima che questi venisse giustiziato, e il recente scandalo provocato a Ginevra non agevolavano il suo inserimento nelle élite filosofica delle città svizzere.  Ottenne bensì una raccomandazione da BULLINGER per un posto di insegnante a Heidelberg, ma anche qui rimane poco tempo. La sua amicizia con l'anti-trinitario ERASTO, il suo a LIZIO senza compromessi dal nulla, nulla si crea, sostenne in una pubblica lezione, cosicché anche Cristo era stato creato dal divino Padre e il suo carattere spigoloso gl’alienarono ogni simpatia e dove riprendere la via di Basilea. Ottenne una cattedra straordinaria di filosofia a Lipsia. Se puo fregiarsi della stima d’Augusto I, non eguale considerazione ottenne dai suoi colleghi, che fanno gruppo a sé e lo isolarono. Non si perde d'animo. Molto popolare tra gli studenti per la vivacità delle sue lezioni e lo spirito critico che infonde negl’allievi, fonda, all'interno dell'Università, un'accademia sul modello umanistico italiano, battezzandola degl’acuti. Degl’acuti, entra a far parte un gruppo di suoi studenti. Le discussioni dovevano vertere sulla interpretazione di passi del LIZIO i filosofi così raggruppati intorno a lui dettero ben presto dello spirito critico e dell'idea di esser superiori agl’altri, che il vivace professore finisce per insinuare nei loro animi. Pasquinate anonime contro un professore, e un litigio clamoroso tra questo e S., iniziano una serie di incidenti che ha termine con la soppressione degl’acuti. La soppressione degl’acuti, decisa dal senato universitario, testimonia i difficili rapporti intercorrenti tra l'università e lui, che per altro in città era reputato ospite illustre, professionista affermato e ricercato, uomo di mondo e di cultura dalla posizione prestigiosa, che gode della stima e del rispetto dei suoi concittadini, e la cui fama oltrepassa la frontiera del paese che gli dava ospitalità. Infatti, oltre a insegnare filosofia e ad avere allievi anche illustri, come il prìncipe RADZIWIŁL, esercita la professione medica, vantando clienti di riguardo. Pubblica il suo saggio filosofico più originale, la “De vera nobilitate”, dedicato ad Augusto I. La vera nobiltà è la virtù (ANDREIA) dell'anima umana, la quale è intesa alla maniera del LIZIO, come forma del corpo. La virtù dell'anima è perciò strettamente legata alla particolare costituzione del corpo, trasmessa nell'individuo di generazione in generazione dal seme del padre, che costituisce la causa efficiente del singolo essere. Non per nulla da ‘genere’ deriva ‘generoso’. Se pure non ogni nobile è generoso, chi è generoso è considerato nobile. Le differenze sociali tra gl’uomini e le conformazioni dei loro corpi sono egualmente corrispondenti per necessità naturale. La natura vuole infatti fare diversamente il corpo dei liberi da quelli dei servi. Questi robusti e con deformità necessarie al loro particolare utilizzo. Quelli diritti e belli, perché non desti tali fatiche, ma alla vita civile. L’educazione svolge una funzione per la formazione dell'uomo, ma resta inferiore a quella naturale. Di due uomini, di diversa estrazione sociale ma educati allo stesso modo, il nobile risulta meglio formato, in quanto la natura lo ha costituito di una materia superiore. L'educazione ha lo stesso effetto della medicina. Fa recuperare la propria condizione di salute, ma non può migliorarla oltre il limite fissato dalla natura. Viene da sé che le famiglie nobili d’Italia diano lustro alla nazione italiana, formando l'élite della società civile sotto l'aspetto culturale e politico. Questo avviene nella nazione italiana, di antica civiltà in sostanza. Presso i barbari non può esistere nobiltà. Il barbaro e giustamente detto servo per natura e in quanto servo non porta in lui nessuna virtù, essendo nato per servire sotto una tirannia e non in un regio e civile governo. La virtù dei nobili non possono consistere nell'accumulare ricchezze, ma essa e ugualmente attiva e pratica. E la virtù civili del politico, che si occupa del benessere dei cittadini, quelle del medico, che si occupa della salute degl’individui, del fisiologo, che studia la natura e infine del metafisico, che studia le cose divine. Queste ultime, insieme alla virtù della contemplazione, è però meglio riservarle nella vita che ci attende dopo la morte, quando quei problemi saranno facilmente risolti. Queste cose sono irrise dai politici, tra i quali, non tra gl’angeli, si discute di nobiltà. Nel frattempo, è opportuno dedicarsi alle cose di questo mondo ed essere utili alla società degl’uomini. Si loda Socrate il quale, trascurate le altre parti della filosofia, coltiva quella sola che era più adatta ai costumi degl’uomini e alle istituzioni civili. Che la vera nobiltà si debba esprimere nell'attività pratica e civile è ribadito più volte. La nobiltà spunta fuori dalla società civile, non dalla solitudine e la virtù spirituale, come quelle mostrate dai mistici e dai contemplativi, non e virtù nobile propria dell'essere umano. Questa virtù discende direttamente dal divino e perciò non derivano da generazione spermatica naturale del padre, non sono frutto della carne e del sangue il fondamento della vera nobiltà e non essendo ereditarie non puo essere considerata virtù nobile. Naturalmente, ai innobili non possono essere affidati incarichi di responsabilità nel governo della società, ma al più solo l'esercizio di magistrature minori. Derivando dal sangue la nobiltà, non si può diventare autenticamente nobili attraverso conferimenti onorifici, anche se concessi d’un sovrano mentre, al contrario, un autentico nobile non può essere privato della fama e dell'onore, perché in lui opera sempre quella forza e quell'efficacia naturale ricevuta dai suoi antenati. Dopo questa applicazione dei principi del LIZIO al vivere civile e al governo dello stato, che deve essere affidato a chi per natura fa parte degl’ottimati, si dedica a trattare temi propriamente medici. Appare a Lipsia il suo “De partibus animalium” ove descrive la conformazione del feto, la “De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium”; l'”Artificiosa curandae pestis methodus” ; la “Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium febrium natura” -- temi di drammatica attualità, a Lipsia, investita da un'epidemia di peste. Ottene il permesso di esercitare la professione medica all'interno dell'università, pur senza ottenere, oltre quella straordinaria di filosofia, anche una cattedra di medicina. Presenta ad Augusto I una proposta di riforma universitaria. S'indica la necessità di una maggiore cura nell'assunzione dei professori, che dovevano dimostrare non solo di possedere la necessaria scienza, ma anche capacità didattiche. Dovevano anche essere obbligati a tenere un maggior numero di lezioni s'imponevano multe ai professori inadempienti mentre la durata dell'anno accademico venne prolungata.  Particolare cura dedica all'insegnamento. Dovevano tenere lezioni V professori, tra i quali un chirurgo che avrebbe tenuto esercitazioni di anatomia e fatto dimostrazioni pratiche di cura delle diverse affezioni. La qualità dell'insegnamento teorico anda migliorata. Ritene che corressero troppe affermazioni dogmatiche, che sarebbero dovute essere verificate dalla pratica e dal rigore della dimostrazione dialettica. A questo proposito opina che avrebbe giovato un'accurata conoscenza delle opere del LIZIO. Non mancano poi critiche severe sull'attuale andamento a Lipsia. I rettori sono scelti grazie alle loro aderenze, si promuovevano studenti immeritevoli, vi è scarsa pulizia, la farmacia universitaria è mal tenuta. Tali proposte e simili critiche non potevano che alimentare ancor più l'ostilità dei colleghi. Egli non sembra preoccuparsene. La stima dell'Elettore Augusto si mantene immutata, se lo fa nominare Professore di filosofia e lo promuove a suo primo medico personale. Avvenne tuttavia che, su sollecitazione della chiesa luterana, la quale prepara una confessione di fede che in particolare tutti funzionari e gl’impiegati, a vario titolo, dello stato avrebbero dovuto firmare, l'elettore pretese tale sottoscrizione anche dal professor S., ottenendone un netto rifiuto. Racconta lo stesso S. che, avendo rifiutato costantemente di sotto-scrivere quella che i teologi sassoni denominarono Formula di Concordia, il Principe Elettore rivolge il suo sdegno contro di me. Al che S. decide di andarsene e, nonostante l'Elettore cerca d'impedirlo, da l'ultimo saluto a quelle popolazioni. Si trasfere a Praga, dove venne assunto quale medico personale di Rodolfo II. Tale incarico e il carattere cattolico dell'Impero di cui era ora suddito rendeva necessario un chiarimento sulle sue posizioni religiose, poiché è nota la rottura avvenuta a Ginevra con i calvinisti e a Lipsia con i luterani. S. si adegua facilmente alla nuova situazione e abiura pubblicamente le passate convinzioni, ritratta quanto nei suoi scritti poteva esservi di eretico e abbraccia formalmente il cattolicesimo. Si tratta di una scelta di convenienza, seppure comprensibile nel clima torbido delle persecuzioni e dell'intolleranza. Lo scrive lui stesso all'amico Selnecker, un teologo luterano. Confesso di aver abiurato, anche se non avrei voluto farlo neppure a costo del mio sangue. Di tale mio atto altri comunque sono i responsabili. In nessun altro modo avrei potuto infatti salvare la mia vita, quella di mia moglie e dei miei figli che speravo di poter condurre con me. La moglie muore poco dopo e i tre figli rimasero affidati a Lipsia al nonno materno. Io, un italiano perseguitato a causa della religione luterana, dichiarato nemico della patria, esposto per decreto del senato all'agguato di sicari. E ricorda la sorte di chi non si è piegato a compromessi. I che vidi con questi occhi il Paleologo, esule per causa di religione, condotto su richiesta del legato pontificio dalla Moravia a Vienna, e di qui trascinato in catene a Roma (si sente dire che ormai è stato crudelmente arso sul rogo), io che sono circondato da ogni parte da infinite difficoltà e pericoli di ogni genere, che cosa avrei dovuto fare? Questa lettera non venne agl’occhi dei gesuiti, che vantarono il successo ottenuto con la presunta conversione del filosofo famoso, il quale avrebbe promessoa dir lorodi collaborare nella lotta agl’eretici. La loro soddisfazione non dovette però durare a lungo, o forse essi stessi credettero poco alla conversione del S., se lo storico gesuita SACCHINI puo qualificarlo di miserabile uomo che in disprezzo di ogni religione sprofonda nell'empietà, mentre tra i protestanti BEZA, alla notizia della sua conversione, commenta di essere sempre stato convinto che l'unico divino è in realtà Aristotele, del Lizio. Monau, dopo aver ricordato i suoi continui trascorsi da cattolico si è fatto calvinista, da calvinista anti-trinitario, da anti-trinitario luterano, e ora di nuovo papista. Lo stratteggia da uomo profano ed empio, come indicano sia i suoi costumi, sia i suoi discorsi, sia tutta la sua vita. Forse egli stesso sente di essere circondato da un clima di diffidenza se non di disprezzo, perché prende la risoluzione di lasciare le terre dell'impero per trasferirsi in Polonia.  Sembra che sia stato un altro italiano, BUCCELLA, medico personale del re Stefano Báthory, a raccomandarlo come medico della corte di Cracovia. BUCCELLA, di fede anabattista, gode di notevole considerazione, né la sua fama d’eretico gl’aveva pregiudicato l'esercizio della professione in quella Polonia che era ancora un paese tollerante. Il prestigioso incarico e la fama stessa di cui da tempo gode gl’apre le porte della migliore società. Riprese a pubblicare alcuni saggi: la “Disputatio de putredine” è una confutazione, sulla scorta di Aristotele del Lizio, delle teorie d’Erasto, mentre la “Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta” è una relazione sulla morte di un borgomastro. Sulla malattia di quest'ultimo torna nel “Simonius supplex” insieme con una delle solite polemiche che lo videro ora opporsi al medico di SQUARCIALUPI. Una nuova svolta nella sua  si verifica con la malattia e la morte del re Stefano. Báthory si sente male nel suo castello di Grodno, e nel consulto tenuto da BUCCELLA e da S. emersero serie divergenze. BUCCELLA giudica molto grave le condizioni di Stefano. S. ritenne che non ci è nessun pericolo. Due giorni dopo le condizioni del re si aggravarono e i due medici si trovarono d'accordo nell'imporre un salasso al re ma in contrasto sulla dieta. S. e favorevole a fargli bere del vino, che BUCCELLA intende invece proibire. Nemmeno nella diagnosi si trovarono d'accordo. Per BUCCELLA, il re soffre di asma. Per S., d’epilessia. Sopravvenne una nuova grave crisi e il re perde conoscenza. Pur giudicando molto gravi le sue condizioni di salute, S. rassicura i circostanti, perché, a suo dire, non c'è ancora pericolo di morte. Appena pronunzia queste parole che il re spira. Lascia il castello e non volle assistere all'autopsia, sostenendo che è inutile, poiché l'epilessia “ab infernis partibus ducit originem” e non lascia tracce nel cadavere. Coordinata da BUCCELLA, l'autopsia è effettuata da Zigulitz, che accerta una grave alterazione dei due reni. La ri-cognizione dello scheletro di Báthory conferma che la morte avvenne per de-generazione renale, uremia e calcolosi. Cracovia: chiesa di San Francesco pubblica a sua difesa lo “Stephani primi sanitas, vita medica, aegritudo, mors” che e violentemente contestato dal “De morbo et obitu serenissimi magni Stephani” scritto da Chiakor su ispirazione di BUCCELLA. La polemica prosegue a lungo, coinvolgendo altr’amici di BUCCELLA, e degenerando in insulti e attacchi sulle convinzioni filosofiche dei due protagonisti. Contro S., tra gl’altri, e indirizzato l'opuscolo “Simonis Simoni lucensis, primum romani, tum calviniani, deinde lutherani, denuo romani, semper autem athei summa religio”. Alla fine, Sigismondo III ri-conferma BUCCELLA nella carica di medico curante, escludendo S. da ogni incarico di corte. Da allora, le notizie su lui si fanno scarse. Pur senza avere incarichi ufficiali, mantenne una ricca clientela e gode della considerazione di  Rodolfo, dei principi Radziwiłł, di Pavlowski e dei gesuiti, dai quali si fa ri-ilasciare un salva-condotto per rientrare in Italia e recarsi a Roma. Precauzione necessaria, con i suoi trascorsi: una precauzione maggiore e però quella di rinunciare al viaggio. La sua vita agitata ha così fine a Cracovia, come lo ricorda la lapide posta sulla sua tomba nella chiesa di S. Francesco. La data di nascita si deduce dalla lapide sepolcrale, poi andata distrutta in un incendio, posta nella chiesa di S. Francesco, a Cracovia, nella quale era scritto che il Simoni «ultimum diem clausit III.” Il testo della lapide è in S. Ciampi, Viaggio in Polonia, Queste notizie biografiche si apprendono da saggio di S., “Scopae, quibus verritur confutation”. Per secoli gli storici discuteno del luogo della sua nascita. Verdigi, “S. filosofo e medico”, Madonia, “S. da Lucca”; Lucchesini, Come scrive egli stesso: S., “Synopsis brevissima” Madonia, S. da Lucca,  Tommasi, “Sommario della storia di Lucca”;  Pascal, “Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese”; Fabris, “La filosofia di S.” n Verdigi, S.,  S. S. a Teodoro di Beza, in Pascal, Da Lucca a Ginevra, e in Verdigi, S. S. a Beza, in Verdigi, S., Madonia, S. Pierro, La vita errabonda di uno spirito einquieto. S. S. S., “Simonius supplex”  in Madonia, S. da Lucca, Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese. Il paleo-logo e decapitato in carcere  e il cadavere arso pubblicamente a Roma, nel campo de' fiori. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo di un eretico lucchese; Sacchini, Historia Societatis Jesu, in Verdigi, S., Beza, lettera a Gwalther, in Pascal, Da Lucca a Ginevra, Monau, lettera a Crato, in Caccamo, “Eretici italiani” Pierro, La vita errabonda di uno spirito inquieto. S., Madonia, S. da Lucca. Altre saggi: “In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus” (Geneva, Crispinum); “Commentariorum in Ethica Aristotelis ad Nicomachum, liber primus” (Geneva, apud Ioannem Crispinum); “Interpretatio eorum quae continentur in praefatione Simonis Simonij Lucensis, Doct. Med. et Philosophiae cuidam libello affixa, cuius inscriptio est: Declaratio eorum quae in libello D. D. Iacobi Schegkii, & c.” (Geneva, Crispinum); “Phisiologorum omnium principiis Aristotelis De anima libri III” (Lipsiae, Võgelin); Anti-schegkianorum liber I, in quo ad obiecta Schegkii respondetur, vetera etiam non nulla, dialectica et phisiologica praesertim, errata eiusdem, male defensa et excusata inculcantur, novaque quam plurima peiora prioribus deteguntur” (Basilea, Perna); “Responsum ad elegantissimam illam modestissimamque praephationem Schegkii, cui titulum fecit Prodromus antisimonii”; “Ad amicum quendam epistola, in qua vere ostenditur, quid causae fuerit, quod responsum illud, quo maledicus, et multis erroribus refertus Schegkij doctoris et professoris Tubingensis liber plene refellitur, nondum in lucem prodierit” (Pariggi, in vico Jacobaeo); “De vera nobilitate” (Lipsiae, Rhamba); “De partibus animalium, proprie vocatis Solidis, atque obiter de prima foetus conformatione” (Lipsiae, Rhamba); “De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium” (Lipsiae, Bervaldi); “Artificiosa curandae pestis methodus, libellis duobus comprehensa” (Lipsiae, Steinmann); “Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium frebrium natura, periodis, SIGNIS, et curatione, cuius paulo post copiosissima et accuratissima consequentur hypomnemata; annexa eiusdem autoris brevi de humorum differentiis dissertatione. Accessit eiusdem Simonis examen sententiae a Brunone Seidelio latae de iis, quae Jubertus ad axplicandam in paradoxis suis disputavit” (Basilea, Perna); “Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta” (Cracovia, Lazari); “Disputatio de putredine” (Cracovia, Lazari); “Commentariola medica et physica ad aliquot scripta cuiusdam Camillomarcelli SQUARCIALUPI nunc medicum agentis in Transilvania” (Vilna, Velicef); “Simonius supplex ad incomparabilem virum, praeclarisque suis facinoribus de universa republica literaria egregie meritum Marcellocamillum quendam Squarcilupum Thuscum Plumbinensem triumphantem”; “Pars  in qua de peripneumoniae nothae dignitione curationeque in domino a Niemista, de subiecto febris, de rabie canis, de starnutamento, de infecundis nuptiis agitur” (Cracovia, Rodecius); “D. Stephani primi Polonorum regis magnique Lithuaniae ducis vita medica, aegritudo, mors” (Nyssae, Reinheckelii); “Responsum ad epistolam cuiusdam G. Chiakor Ungari, de morte Stephani primi”; “Responsum ad Refutationem scripti de sanitate, victu medico, aegritudine, obitu, D. Stephani Polonorum regis, Olomutii, Scopae, quibus verritur confutatio, quam advocati Nicolai Buccellae Itali chirurgi anabaptistae innumeris mendaciorum, calumniarum, errorumque purgamentis infartam postremo emiserunt (Olomutii, Milichtaler); Appendix scoparum in N. BUCCELLAM, Sacchini, Historiae Societatis Iesu” (Antverpiae, Nutii); Ciampi, “Viaggio in Polonia” (Firenze, Gallett); Lucchesini” (Lucca, Giusti); Tommasi, Sttoria di Lucca” (Firenze, Vieusseaux); Pascal, “Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese” -- Rivista storica italiana, Cantimori, “Un italiano a Lipsia” Studi Germanici -- Pierro, La vita errabonda di uno spirito inquieto, Minerva, Torino; Caccamo, “Eretici italiani” (Firenze, Sansoni); Firpo, “Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese S.”, “Annali della Scuola normale superiore di Pisa,  Madonia, Rinascimento, Firenze, Sansoni, Madonia, Il soggiorno in Polonia, in «Studi e ricerche I», Verdigi, Lucca, Tiraboschi su S., in Biblioteca Modenese, Modena,  Ciampi, Viaggio in Polonia, Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese,  Tommasi, Sommario della storia di Lucca,  su S. Antischegkianorum liber I. S., De vera nobilitate; S/ Artificiosa curandae pestis methodus. Simone Simoni. Simoni. Keywords: nobilitaà, eretici italiani. Luigi Speranza, “Grice e Simoni” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Simonide: la filosofia sotto il principato di Valente. la filiale dell’Accademia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademia, well known for living a principled and disciplined life. He is, unfortunately, accused of involvement in a plot against the prince VALENTE (si veda).  S.’s refusal to betray any secret lets to him being burnt alive.

 

Grice e Sini: la filosofia del segno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo Italiano. Grice: “I like Sini; especially his “I segni dell’anima,” since this is, in a nutshell, what my philosophy has been all about: the signs of the soul!” Studia a Milano sotto BARIÉ e PACI, con il quale si laurea. Insegna ad Aquila e Milano. Membro per del Collegium phaenomenologicum di Perugia, della Società filosofica italiana e socio dei Lincei, dell'Istituto lombardo di scienze e lettere. Insignito per una sua opera del premio della presidenza del consiglio dello stato italiano. Collabora al Corriere della Sera e la Rai. Dirige per Versorio la collana "Pragmata", membro del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Premiato da Milano con l'Ambrogino d'oro. Con Grice, tra i primi a segnalare all'attenzione l'importanza della teoria del segno di Peirce. Propone un filone di ricerca sulla convergenza dei percorsi di Peirce e Heidegger sul filo dell'ermeneutica benché la sua formazione didattica fosse di orientamento prevalentemente fenomenologico. La sua proposta teoretica si concentra sul tema della scrittura e sulla centralità dell' abecedario come forma logica della filosofia nella lingua del Lazio. In “Figure dell'enciclopedia filosofica” rende conto della radicalità del gesto istitutivo di LUCREZIO e della nascita della filosofia romana in modo da illuminare la genealogia della nostra civiltà e le figure del suo destino. Questo saggio si misura con nodi problematici e profondi della nostra cultura. Si mostra la verità del gesto filosofico di LUCREZIO nel tratto tecnologico dell’abecedario che trasforma la relazione al mondo in cosità – “de rerum natura”. La pratica del concetto, infatti, in-forma il paradigma dell'oggettività – “in rerum natura” -- e traduce la sterminate antichità dell'umano all'interno dell'ambito crono-topico della visione logica elaborata dalla scansione dell’abecedario del mondo con la conseguente nascita del tempo e del sapere storico. All'educazione mitologica dei corpi dei uomini si sostituisce l'educazione dei animi nella ri-mozione delle qualità sensibili della vita vissuta. Prima operazione di ingegneria genetica che comporta sia la nascita del soggetto morale nella paideia del bio-politico -- come Nietzsche intuisce -- sia il conseguente destino nichilista rivelato dal dis-incanto. Ma l'intreccio, che dalla pre-istoria conduce ai nostri giorni, rinvia al desiderio e all'iscrizione originaria che danza nelle figure del sesso e della morte. La soglia così dischiusa, annunciata dalla verità analogica dell'evento mimato nella generazione, permette il passaggio del movente desiderante nel desiderio di vita eternal. L’ACCADEMIA e la logica disgiuntiva hegeliana rappresentano i due poli più rilevanti di questa consapevolezza lancinante. Addirittura, tutta la filosofia dell’ACCADEMIA è probabilmente da pensare come la domanda più alta e profonda che sia mai stata posta alla sapienza di BACCO.  E così, dagli ominidi alla società dell'informazione, sul filo delle pratiche che ne circoscrivono le traiettorie, la trama del senso transita al SEGNO disegnando le co-ordinate del nostro tempo e il predominio della visione scientifica e delle sue figure che dileguano la consistenza dell'inter-soggetivito, profilando nel rituale pubblico del potere finanziario, e nella conseguente imposizione dell'universalità oggettiva, un paradosso costitutivo che nasconde nuove e positive opportunità ancora tutte da scoprire -- e attualmente mascherate dalla deleteria mercificazione imperante. Delineando nuove occasioni di senso, le figure dell'enciclopedia invitano a sognare più vero, vale a dire ad abitare la conoscenza filosofica nell'esercizio dell'evento del significato nella concretezza delle sue pratiche. Ethos di una nuova scrittura della soggezione del mortale al desiderio, nell'apertura al transito della vita. Approfondisce la questione del logos -- parola, ragione -- e della tecnica facendo del primo il fondamento ultimo, della seconda l'essenza. Una posizione di rilievo e in controtendenza all´interno del panorama di questa specifica area della filosofia. Altre saggi: “I greci” ((Accademia di Belle Arti, Milano), “La funzione della filosofia” (Marsilio, Padova); “La fenomenologia” (Nigri, Milano); “Storia della filosofia” (Morano, Napoli); “Il pragmatismo (Laterza, Roma); “Segno” (Mulino, Bologna); “Passare il segno” (Saggiatore, Milano); “Kinesis: saggio d'interpretazione (Spirali, Milano)”; “Il metodo” (Unicopli, Milano); “Parola e silenzo” (Marietti, Genova); “Segni dei animi” (Laterza, Bari); “Segno ed immagine” (Spirali, Milano); “Segni dei uomini” (Egea, Milano): “L'espressione e il profondo” (Lanfranchi, Milano)”, Etica della scrittura (Il Saggiatore, Milano, Mimesis, Milano); “Pensare il Progetto” (Tranchida, Milano); “Filosofia teoretica” (Jaca, Milano) Variazioni sul foglio-mondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura” (Hestia, Como), “L'incanto del ritmo” (Tranchida, Milano Filosofia e scrittura (Laterza, Roma); “Scrivere il silenzio: Wittgenstein e il problema del linguaggio” (Egea, Milano); “Teoria e pratica del foglio-mondo (Laterza, Roma-Bari) Gli abiti, le pratiche, i saperi (Jaca, Milano) Scrivere il fenomeno: fenomenologia e pratica del sapere (Morano, Napoli) Ragione (Clueb, Bologna) Idoli della conoscenza (Cortina, Milano La libertà, la finanza, la comunicazione (Spirali, Milano) La scrittura e il debito: conflitto tra culture e antropologia” (Jaca, Milano); “Il comico e la vita” (Jaca, Milano); “Figure dell'enciclopedia filosofica. Transito verità” (Jaca, Milano), “L'analogia della parola: filosofia e metafisica;  La mente e il corpo: filosofia e psicologia; Origine del significato: filosofia ed etologia; La virtù politica: filosofia e antropologia; Raccontare il mondo: filosofia e cosmologia; Le arti dinamiche: filosofia e pedagogia  La materia delle cose: filosofia e scienza dei materiali (Cuem, Milano); “La verità e la vita” (Ghibli, Milano) Del viver bene: filosofia ed economia (Cuem, Milano); “Distanza un segno: filosofia e semiotica” (Cuem, Milano); “Il gioco del silenzio (Mondadori, Milano); “Il segreto di Alicia” (AlboVersorio, Milano); “Eracle al bivio: semiotica e filosofia” (Bollati Boringhieri, Torino); “Da parte a parte. Apologia del relativo (ETS, Pisa) L'uomo, la macchina, l'automa: lavoro e conoscenza tra futuro prossimo e passato remoto (Boringhieri, Torino) L'Eros dionisiaco (Versorio, Milano); “Figure d'Occidente” (Versorio, Milano); “La nascita di Eros” (Versorio, Milano); “Spinoza” (Time, Milano ); Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio della filosofia” (Ets, Pisa); “Il filosofo e le pratiche. In dialogo con S. (E.Redaelli,  BrovelliCrippa, Valle,  Redaelli), Milano, CUEM. Comerci, Filosofia e mondo. Il confronto di S., Milano, Mimesis.  Cristiano, La filosofia di S.: semiotica ed ermeneutica  (Milano, Mimesis) Collana Pragmata, in AlboVersorio, Cfr. Copia archiviata, su unimi). Logos e techne, tecnologia e filosofia, S. Noema, Treccani Enciclopedie o Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Nòema la rivista di filosofia diretta da Fabbrichesi e S., su riviste. Archivio S. il luogo ove i materiali relativi ai corsi di S. ed altro ancora. Lectio Magistralis di S. su La Différance, Arcoiris TV, Riflessioni sul Senso della Vita. Intervista di Nardi,  Riflessioni Collana Pragmata, Versorio. Carlo Sini. Sini. Keywords: segno, da Lucrezio a Cicerone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Siracusa: all’isola -- il tutore di filosofia del principe ai bagni di Pozzuoli – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. Grice: “We know William is from Ockham but we call him Ockham, not William; similarly, Alcaldino is from Siracusa, and I call him Siracusa!” Vissuto vicino alla corte degl’Hohenstaufen. Studia a Salerno. Si cimenta negli studi di filosofia, raccogliendo attorno a sé una serie di seguaci. Quindi, in seguito alla conclusione del corso regolare degli studi, e scelto per fare da insegnante filosofia presso la stessa scuola salernitana.  Divenuto uno dei più stimati filosofi della scuola, e chiamato alla corte d’Enrico VI , che nel frattempo è entrato in possesso del regno di Sicilia, ed e assunto come filosofo del sovrano. Dopo la morte d’Enrico, divenne il filosofo  di lui figlio, Federico II, che lo rese degno di confidenza e apprezzamento. Fra gl’attività legate ai saggi filosofici, scrive e un saggio sui bagni minerali di Pozzuoli, il “De balneis puteolanis”. In questo poema filosofico rimato vengono descritti con precisione il luogo, le qualità e le virtù dei suddetti bagni. Scrive inoltre II opere nelle quali celebra le gesta d’Enrico VI e Federico II. “De triumphis Henrici imperatoris de his quae a Friderico II imperatore praeclare ac fortifer gesta sunt”. Panvini di S. Caterina Salvatore De Renzi, Panvini di S. Caterina, Biografia degl’uomini illustri della Sicilia, Ortolani, Napoli, S. De Renzi, “Storia documentata della scuola medica di Salerno” (Napoli). Alcaldino di Siracusa. Siracusa. Keywords: i bagni di Pozzuoli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siracusa” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sirenio: ‘libero’ arbitrio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo italiano. Insegna a Bologna. Altri saggi: De fato, Venezia, Ziletti. H. P. Grice, “Sugar-gree”, free fall and freedom, in Actions and events. Sirenio. Keywords: libero arbitrio, contingetia, possibilitas, necessitas, ‘secundum philosophorum opinionem” fatum, casum, il fato, il caso -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sirenio” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Siro: l’orto a Napoli – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. S. founds a fililale of L’ORTO at Napoli. VIRGILIO attends it, as does ORAZIO. L’ORTO enjoys a great success, as S. succeeds in attracting a number of influential followers. VIRGILIO lives in the casino of L’ORTO -- but the subsequent fate of The Garden is unknown.

 

Grice e Sisenna: l’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He achieves acclaim as a historian. Cicerone suggests that S. is a member of L’ORTO, ‘but not a very consistent one.’ Lucio Cornelio Sisenna.

 

Grice e Solari: iustum/iussum, o il tutore fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Albino), Filosofo italiano. Frequenta il collegio S. Francesco di Lodi retto dai Barnabiti per poi proseguire gli studi a Messina, da dove poi si trasfere presso Torino. Si forma nel laboratorio di economia politica di MARTIIS, per poi scegliere la filosofia del diritto sotto la guida di CARLE. Anche membro di una tra le istituzioni culturali più prestigiose a livello nazionale: i lincei. Autore di un idealismo sociale e studioso di PAGANO, esponente della scuola di filosofia del diritto di Torino, dove tenne questa cattedra quando succede a CARLE all’anno in cui è sostituito da BOBBIO. Ha tra i suoi allievi lo stesso BOBBIO, TREVES, SCARPELLI, GOBETTI, ENTRÈVES, PAREYSON, FIRPO, COLLI, LEONI, EINAUDI, e GORETTI. Si dedica esclusivamente all'insegnamento universitario, rifiutando qualsiasi incarico pubblico -- non diventa nemmeno preside della sua facoltà --; le cattedre da lui ricoperte sono state nelle Messina, Cagliari e Torino. Presta il giuramento di fedeltà al FASCISMO. Saggi: Il diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche, Torino, Bocca; “L'idea individuale e l'idea sociale nel diritto privato”; “Lezioni di filosofia del diritto” (A.T.U., Torino); “Filosofia del diritto privato”; “Lezioni di filosofia del diritto”; “Studi storici della filosofia del diritto” (Giappichelli, Torino). Fiori, Il professorie che dice "NO" al duce, in La Repubblica, Lezioni di filosofia del diritto; Carle e Solari, raccolte da Bruno” (A.T.U., Torino); “Studi storici di filosofia del diritto” (Giappichelli, Torino); “Nella cultura” (Angeli, Milano); Contu, “Questione sarda e filosofia del diritto in S.” (Giappichelli, Torino); Cugini, “Commemorazione” (Albino); “Agostino, Il problema del diritto e dello STATO nella filosofia del diritto di Hegel (Giappichelli, Torino); Firpo, La filosofia politica (Laterza, Bari). Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Lib. doc. di Filosofia del diritto nella E Università di Torino     C.     LA SCU0LA r7     DELDIRITTO NATURALE NRLLE  dottrine etico -giuridiclie dei secoli XVil e XVill     TORINO. BOCCA LIBRAI DI S. M. IL RB d'iTALIA ROMA MILANO FIRENZE   Corse. 216 Corso Vittorio Em., 21 F. Lumacbi Sucu.   Depoait. gener. per la Sicilia : O. FIORENZA, Palermo     -w«K«sp^^-  LA SCUOLA DEL DIRITTO NATURALE .NELLE DOTTRINE ETICO-GIURIDICHE DEI SECOLI XVII E XVIII. Scienza e filosofia nel XVXI secolo. La filosofia e la riforma  cartesiana. Le scienze morali e l’indirisso raiionale. Caratteri propri  dei sistemi metafisici. Valore e significato della scuola del diritto naturale. Il rapporto tra morale e diritto secondo la scuola del diritto natnrale.  La rinnovazione delle scienze giuridiche e sociali e il grande lavoro del secolo XIX. Essa segui l'applicazione dell'indagine storica e positiva allo studio dei fatti morali e  sociali.. Le condizioni però che prepararono e resero possibile  una tale rinnovazione devono rintracciarsi nel periodo metafisico delle scienze morali che segna il risveglio dell’intelletto  umano in traccia di nuove direzioni air infuori delle premesse  teologiche e dogmatiche. Le grandi idealità etico-giuridiche  che vediamo affermarsi e svolgersi nel campo dei fatti colla  rivoluzione francese trovano la loro elaborazione astratta e  ideale nei sistemi filosofici che sbocciarono vari e numerosi  in quell'epoca di rara fecondità intellettuale che abbraccia i  secoli XVII e XVIII. Lo spirito anti-teologico penetra allora  nelle manifestazioni del pensiero nella sua duplice direzione, la  scientifica e la filosofica. Ma, nonostante questo carattere comune, per molti altri rispetti filosofia e scienza tendevano a  distinguersi e a contrapporsi, generandosi tra esse un contrasto che solo in epoca vicina a noi doveva comporsi. L'origine e i motivi del contrasto devono rintracciarsi nella distinzione accentuata da Cartesio tra la mens e la res extensa,  tra lo studio della materia di cui si occupavano sopratutto  le scienze e lo studio dello spirito che parve costituire il  campo proprio della speculazione filosofica. Fin dal loro primo costituirsi le scienze bandirono ogni APRIORISMO teologico e  RAZIONALE. Esse si mantennero rigorosamente empiriche, oggettive, analitiche, né intesero l'importanza e la necessità di  una generalizzazione filosofica dei loro risultati. Del resto nò  lo sviluppo delle scienze e tale da comportare una filosofia  naturale, nell'indirizzo metafisico e razionale della filosofia  puo conciliarsi colle tendenze materialistiche della scienza.  La separazione della scienza dalla filosofia non e che l’espressione della concezione dualistica dell'uomo e della sua  natura, concezione che Cartesio e sul suo esempio i cultori  delle scienze naturali accentuano, certamente nell'intento di sfuggire alla sospettosa vigilanza della Chiesa. Sta di fatto  che dal 600 in poi le scienze incontrano sempre minori resistenze da parte della Chiesa: ciò deve in gran parte attribuirsi alla cura gelosa dei loro cultori di condurre l'indagine  scientifica con metodo rigorosamente obbiettivo evitando ogni  discussione sulle cause prime dei fenomeni studiati nonché  sulle conseguenze ultime per le quali dal campo solido e sicuro della scienza si passa nel campo infido e pericoloso  della filosofia. La scienza puo solo affermarsi e svolgersi assumendo veste e significato anti-filosofico.  La rinnovazione della filosofia iniziata da Cartesio deve  intendersi in un senso ben diverso da quello con cui  e intesa  la rinnovazione della scienza, cosi come l'anima che forma  il presupposto della filosofia e concepita come un principio  sostanzialmente diverso dalla materia, oggetto dell'indagine  scientifica. Mcntj'C neìÌQ scienze della natura contro l'autoriià non pur della fede ma della ragione stessa pre^ialse l’autorità  del fatto osservato, nella filosofia la ragione sola non sorretta  ne dalla rivelazione né dall'esperienza sensibile divenne criterio di verità. Lo spirito per altro della riforma cartesiana  e profondamente sovvertitore. Per essa la metafisica razionale assurgeva al grado di scienza prima, sostituendosi alla  teologia nel fornire alle altre scienze i principi primi: scossa  la cieca fede nell'autorità, le tendenze razionaliste e critiche  dell'intelletto umano potevano affermarsi in una serie indefinita di sistemi. Le conseguenze della riforma cartesiana  passano inavvertite finché essa non usce dal dominio teoretico e metafisico: né si deve dimenticare che il metodo cartesiano rigorosamente deduttivo ricorda nella forma lo scolastico, e della scolastica e conservata la concezione psicologica. Il carattere innovatore della riforma cartesiana comincia a farsi palese nelle sue applicazioni alle scienze morali.  I nuovi metodi in uso nelle scienze fisiche non si  comprende come potessero applicarsi alla scienze morali.  Tali metodi parvero propri delle scienze il cui oggetto e la  natura, in guisa che alle stesse menti più spregiudicate e  indipendenti da preconcetti teologici non balenò l'idea, famigliare nei tempi moderni, di considerare le scienze morali alla  stregua delle scienze fisiche e naturali. A ciò si oppone la  concezione psicologica dell'anima sostanziale, fornita di facoltà  intellettive e volitive, fondamento delle scienze teoretiche e  pratiche. Tale dottrina psicologica continua ad essere la premessa delle concezioni etico-giuridiche che si originarono dalla  riforma cartesiana. Nel 700 nel sistema del Wolff, che riassume  il lavoro filosofico anteriore, la psicologia figura ancora pressoché inalterata nelle sue basi tradizionali. Si comprende  quindi come le scienze morali dovessero assumere veste e  carattere metafisico e colla filosofia trasformarsi sulle basi del  razionalismo critico. Troviamo pertanto due elementi nelle discipline morali e giuridiche dei secoli XVII e XVIIl: un  elemento tradizionale costituito dalla concezione psicologica deiraniraa e delle facoltà concepite come forze generatrici di  tutti i fatti dello spirito: un elemento nuovo, implicito nella  riforma cartesiana, secondo cui la ragione umana e fatta  capace di trovare i principi delle scienze dello spirito all'infuori della religione e dell'autorità. È bene però fin d'ora notare  che assai prima della riforma del metodo filosofico per opera  di Cartesio, le scienze giuridiche, sotto l'influsso delle condizioni storiche e sociali mutate, hanno iniziato la loro trasformazione in senso razionale.  Le scienze morali nel loro primo costituirsi a scienze  autonome e indipendenti mostrarono la spiccata tendenza a  modellarsi sulle scienze matematiche e geometriche. Il carattere deduttivo di queste scienze, la forza di evidenza che scature dalle loro premesse e dimostrazioni le rendeva particolarmente attraenti in un'epoca in cui la speculazione anda razionalizzandosi. Meglio di ogni altra scienza esse mostrano la forza e la potenza dell'intelletto umano, fatto capace  di costruire colle sole, sue forze un edificio mirabile per precisione, simmetria, eleganza. Parve che un analogo procedimento puo applicarsi alle scienze dello spirito e che basta andar in cerca di idee chiare e distinte per trarre da  esse un sistema filosofico capace di resistere agli assalti del  dubbio e della critica. E per circa due secoli assistiamo a una  singolare fioritura di sistemi metafisici, che hanno comune  fondamento l'ipotesi, essere le leggi dello spirito umano e collettivo generalizzazioni conseguite mediante lo studio dei fatti  della coscienza individuale e collettiva. Si define l'uomo, lo  stato, la società, il diritto, il bene supremo astrattamente all'infuori della realtà psicologica e storica. Per lo più il principio  da cui si move risponde al consentimento universale o si fonda  sull’OSSERVAZIONE INTERIORE (INTROSPEZIONE) e necessariamente unilaterale  dello spirito umano: talvolta gli stessi principi tradizionali,  spogliati di ogni veste dogmatica servono di fondamento alla  deduzione che procede rigorosa sdegnando il controllo e la verifica dei fatti. La fctj ultura logica e sistematica è costante carattere al quale si riconosce la dottrina metafisica, che si  presenta in un numero grande di sistemi, riflettenti le variabili  condizioni d'animo e di mente del filosofo. Lo stesso principio  si presenta in forme e gradazioni diverse per il concorso di  cause soggettive indefinibili. La potenza dell'intelletto misura  l'altezza talvolta vertiginosa delle concezioni metafisiche, che  procedono, sotto l'azione della logica interna che le incalza,  senza limiti prestabiliti, senza freni di sorta.  A noi è facile rilevare l'errore di tali costruzióni metafisiche. Come già Aristotele e più ancora gli scolastici, questi metafisici fanno consistere la conoscenza nella  generalizzazione logica, la quale consiste nel ricondurre un  concetto più determinato a un concetto meno determinato ma  più esteso. Per essi, dice Masci – Logica, Napoli, Pierro --, la lerie logica dei concetti e la serie reale coincidono e l'universale è causa. Tale  generalizzazione ha come risultato un astratto, un genere, un'entità mentale che contiene meno dei particolari dai quali  è astratto e come tale non può servire a intendere e spiegare  la realtà complessa e concreta. Ben diversamente procede la  generalizzazione nelle matematiche e nelle scienze naturali. Una formula matematica o una legge scientifiche e una generalità  comprensiva, cioè non contengono meno ma più della formula che ne derivano, o dei casi particolari da cui la legge e indotta. Il diritto di natura, l'uomo di natura, lo stato e la  società di natura sono le idealità astratte da cui trassero  alimento i sistemi etico-giuridici dei secoli XVII e XVIII. E però errore paragonare le discussioni sul diritto naturale con quelle scolastiche sui generi e le essenze  delle cose. Le teorie sul diritto naturale acquistano un  valore speciale per l'epoca in cui sorsero, per le condizioni  sociali e politiche che le generarono, per le conseguenze che ne  derivarono. Tali teorie non sono né vane né inutili. Esse  sono l'espressione di bisogni reali, di tendenze prepotenti, d’istinti mal repressi di rivolta, di reazione contro il passato. Esse ufFermavano la volontà di sciogliersi per ciò che riguarda  la vita morale e giuridica dalle tradizioni, dall'influenza oppressiva dello stato e della Chiesa, alleati a danno doir individuo e della sua libertà esterna e interna. Esse nascondeno  un'idealità vivamente sentita che tende a tradursi nel dominio del reale. In esse si sente l'eco dell'anima moderna che  sdegna i vincoli creati dal privilegio o dall'interesse, che astrae  dalla realtà oppressiva e anela a un sogno lontano di uguaglianza, di felicità, di pace. Sotto questo aspetto la dottrina  del diritto naturale è in sommo grado significativa e può essere studiata con utilità e interesse anche nei tempi nostri  non foss'altro per la corrispondenza con le odierne idealità  sociali che preparano, come quella, nuove condizioni del vivere  collettivo.  Colla, scuola del diritto naturale acquista particolare  importanza la questione dei rapporti tra la morale. e il diritto. Sotto le parvenze di una discussione teorica essa implica  una grave questione di indole POLITICA, dalla cui soluzione  dipende il raggiungimento di quelle idealità che costituivano la ragion d'essere della scuola del diritto naturale. Il  terreno per una separazione della morale dal diritto e stato  preparato dalla Chiesa stessa, la quale per le sìie finalità religiose richiamando di continuo l'individuo alla spontaneità e  alla indipendenza della vita interiore da ogni costringimento  esterno, ha efficacemente contribuito ad acuire il senso  della personalità e della resistenza contro qualsiasi imposizione di autorità esterna fosse essa ecclesiastica o politica.  Il movimento protestante intese appunto a emancipare la coscienza individuale dalle imposizioni arbitrarie della chiesa  romana. Se la riforma e da un lato un grido di protesta contro  gl’abusi di autorità compiuti dalla chiesa a danno di quella  libertà di critica che anche in materia religiosa deve essere  riconosciuta all'individuo, la scuola del diritto naturale insorge dal canto suo contro le pretese dello stato di invadere colla sua legge il campo riservato alla religione e alla morale,  di penetrare cioè in quella sfera di interiorità che deve essere  sottratta all'azione dello stato e del diritto come quella che  costituisce la garanzia dell'individuo e della sua libertà interiore contro lo stato. La scuola del diritto naturale intuì che nella questione dei rapporti tra diritto e morale e implicita quella dei rapporti tra l'individuo e lo stato, e tale  questione in un'epoca in cui l'individuo scende in lotta  contro lo stato in difesa dei cosidetti diritti naturali, che sono in realtà i diritti di personalità, assume significato  particolare. Ciò serve in parte a spiegare l'importanza assunta dalle  dottrine giuridiche su quelle strettamente morali e teologiche  nei secoli XVII e XVIII. I principi morali non sono in discussion Ci nò si vagheggiavano riforme morali. La morale  evangelica risponde pur sempre alla coscienza etica generale: e se troviamo per parte dei filosofi tentativi diretti a  dare alla morale un fondamento razionale, bisogna riconoscere  che tali tentativi non riuscirono a scuotere la base dogmatica  della morale, in ordine alla quale la chiesa, fosse cattolica o  protestante, continua a esplicare un'azione decisiva e quasi  incontrastata. La questione dell'epoca più che morale e POLITICA e sociale. La chiesa stessa più non puo opporre eflìcace  resistenza al sorgere di nuove teorie tendenti a delimitare  l'azione dello stato nei suoi rapporti coU'individuo. Qualunque  sia il giudizio che sull'opera della scuola del diritto naturale  si può arrecare, sarà pur sempre per essa titolo esclusivo di  merito l'aver efficacemente contribuito a quel processo di  differenziazione per cui il diritto distinguendosi non pur dalla  religione ma anche dalla morale, ha acquistato un suo contenuto specifico. Epperò a nostro credere il valore e il significato delle dottrine etico-giuridiche sorte nei secoli XVII e  XVIII è misurato dal grado con cui seppero tale distinzione  porre e accentuare.  ar3W8S5Fl*«f r  che mentre regolano i rapporti di coesistenza tra le due  autorità, serveno di norma alla condotta degl’individui e  degli Stati. AQUINO (si veda) ed ALIGHIERI (si veda) personificano in sé le due  correnti e diedero alla morale e al diritto un significato rispondente al modo diverso con cui intendeno il rapporto  tra chiesa e impero. AQUINO riassunse nell'opera sua monumentale  tutti gli sforzi della scolastica diretti a conciliare il cristianesimo colla filosofia, la rivelazione colla ragione, lo spirito  colla materia, la terra col cielo. Ma tale conciliazione suona  per AQUINO subordinazione e talvolta sacrificio e disconoscimento dei diritti della ragione, degli interessi umani e  civili alle esigenze religiose e teocratiche. Ciò deve dirsi sopratutto in ordine alle scienze morali, che dovendo tradurre  nei fatto gli ideali cristiani, abbisognavano di un fondamento saldo ed incrollabile. La volontà divina è fonte per gli scolastici di ogni moralità pubblica e privata. Il rapporto tra  religione e morale non destò interesse di sorta nel Medio Evo,  tanto e universalmente radicata l'opinione che la morale  dove trarre dalla religione il suo fondamento, le sue sanzioni. Gli stessi avversari più risoluti della chiesa non sollevarono  dubbi al riguardo. Il compito della filosofia in ordine alla morale si riduce pertanto a dar forma e veste razionale alle  massime evangeliche, e tale e il lavoro compiuto d’AQUINO,  le cui dottrine morali mentre dominarono incontrastate nel  Medio Evo, sono destinate ad esser in ogni tempo abbracciate  da quanti non vogliono appagare la ragione col sacrificio delle  credenze religiose. Maggiore interesse doveva destare il rapporto tra morale e diritto, come quello che si riconnette al  dissidio tra potere laico ed ecclesiastico. Non bisogna dimenticare che nel Medio Evo il diritto appare generalmente  come l'espressione della autorità civile, mentre in fatto di morale domina incontrastata l'autorità della chiesa. Tale stato  di cose provoca un secreto dissidio tra la norme giuridica e la norma morale, dissìdio che teologi e difensori dell'Impero cercarono        '^^**7V^-1*f"S^F)S^?^^^     siastica e laica, di cui l’una disconosce i diritti della ragione  e della società civile, l'altra troppo servile alla tradizione  romana non e riuscita a raccogliere a sistema le sue dottrine, ALIGHIERI si interpone sovrano. Come nel suo poema cerca di conciliare gl’interessi del corpo con quelli dello  spirito sulla base della mutua indipendenza e correlazione,  cosi nel risolvere la questione dei rapporti fra i due poteri  egli mette in rilievo l’azione morale della chiesa di fronte a  quella dello stato, la cui attività si esplica sopratutto mediante  il diritto. Nel campo morale ALIGHIERI, se si toglie qualche fugace  accenno ad una morale più larga e umana, si mantiene rigorosamente stretto ai principi e alle dottrine scolastiche: ma  ciò non fa che accentuare viemeglio la sua indipendenza e  originalità di criterio nel trattare la natura del diritto in  ordine ai limiti e alle funzioni dello stato. ALIGHIERI più che  giureconsulto è filosofo del diritto (1); l'importanza della definizione che di questo diede sfuggi forse a lui stesso, certo non  e compresa dai contemporanei e dovettero passare molti secoli prima che per opera di VICO il suo concetto e raccolto  e sviluppato. Per ALIGHIERI il diritto scaturisce dalle condizioni  sociali, esso è un  vinculum humanae societatis inteso a  mantenere tra gl’uomini associati l'equilibrio, che le inevitabili disuguaglianze umane tendono di continuo a rompere. Esso  non ha origini soprannaturali, più che al perfezionamento dell'uomo singolo tende al progresso della società, di cui è norma  direttiva la legge, destinata ad attuare quel concetto di misura, di proporzione, di equilibrio che sta a fondamento del  diritto. Se da un lato ALIGHIERI riconosce come precipuo scopo  della morale l'attuazione della virtù e nel suo poema si pro- [CARLE, Vita del diritto, Così Dante defiaisce il diritto : las est realis ac persona lisbomiuia  ad hominem proportio, qino servata hominnm societatem conserva t, cor-  rnpta corrumpit -- De Monarchia.  La legge è da lui deli n ita :  regala directi va vitae »: (id. I, 16) — la ginstizia poi è, secondo ALIGHIERI  € quaedam rectitado sive regala, obliqaam hinc inde abiiciens.      """^^mm^^^m.     a quelli deplorati d’ALIGHIERI in ordine alla confusione del potere laico e religioso. Tale corrispondenza accresce- valore ai  suoi argomenti, alle sue dottrine, le quali possono ancor oggi  utilmente concorrere alla soluzione della dibattuta questione.  Il tentativo d’ALIGHIERI di gettar le basi di una filosofia  giuridica, non e coronato da successo. E l'opera di un genio  che precorre i tempi. Il seme però da lui posto, gelosamente  custodito per tradizione non interrotta, e raccolto nell'età  moderna e concorse efficacemente allo sviluppo della filosofia  etico-giuridica ITALIANA. Dopo ALIGHIERI, le due correnti ripresero  ciascuna la propria via; l'ostilità si fa più viva, le differenze  più profonde. I giuristi con BARTOLO e BALDO si mantennero  sopra un terreno esclusivamente pratico, sdegnando le teorie,  e rifuggendo da qualsiasi tentativo di raccogliere a sistema  filosofico le loro idee. Libero rimase il campo alle teorie etiche  e giuridiche d’AQUINO. La Chiesa dominando sovrana nel  campo dei fatti e in quello delle intelligenze fini per creare  intorno a sé una legislazione, una scienza e un'arte a base  teologica; sull'ordine religiosa si volle foggiare non solo  l'ordine morale, ma ancora l'ordine giuridico e sociale. La teologia scolastica parve assorbire tutte le altre scienze  nella propria grandezza. Ma all'occhio dell'osservatore attento non riusce diffìcile scoprire nel seno stesso della teologia, il germe della decadenza, dovutar alla esagerazione del  principio a cui si informava. Particolarmente dissolvitrice e  l'opera dei nominalisti nelle scienze morali. Essi sono i difensori dell’indeterminismo etico, in quanto considerano la  volontà assolutamente libera, non mossa né dalla ragione né  dalla divinità, e riponeno l'eccellenza morale nella conformità tutta esteriore ai precetti religiosi e morali. Per tal modo  l'etica cristiana si laicizza, nonostante la proclamata obbedienza assoluta in materia religiosa. Duns Scotus e Gu-     (1) Carle.     ^^^->-fr'     -  -   nasconde una nuova orientazione della mente umana di fronte  ai problemi della natura e della vita.  In ordine sopratutto alle scienze morali, il naturalismo e  l’umanesimo sono tra i prodotti più notevoli del rinascimento.  La natura colla ricca varietà de' suoi fenomeni attrasse gli  spiriti irrequieti, infiammandoli di sé, e sottraendoli alla contemplazione della vita celeste. La scolastica trascura  e disprezza lo studio della natura. Gli spiriti religiosi del  Medio Evo guardano alla natura con un senso di misterioso  terrore, quasi presagissero il pericolo che dal penetrarne i  misteri puo derivare alle loro credenze. Ma per l’uomo  moderno lo studio della natura e la palestra nella quale  prima si addestra all'infuori del campo chiuso della scolastica. Tale studio dove pertanto assumere particolare carattere antireligioso e antiteologico: aprendo la via alle invenzioni e scoperte, costituiva un grave pericolo per il principio di autorità e per la rivelazione. L'umanesimo accenna alla profonda modificazione che il  concetto dell'uomo, della sua natura, della sua finalità subiva  nel Rinascimento. Il corpo rivendica impaziente i suoi diritti da secoli conculcati; le soddisfazioni dei sensi non trovano più alcun ritegno. Un senso nuovo di umanità si diffuse  in aperto contrasto coll’ascetismo medievale. La vita terrena  non più coordinata colla futura, cessa di apparire un mezzo  per acquistare una finalità sua propria. Il desiderio di vivere  in un mondo le cui bellezze si svelano sempre più attraenti  allo sguardo, di soddisfare stimoli a lungo repressi oppera  indomiti, il ridicolo gettato a larga mano sulle idealità che formano la delizia del Medio Evo, finirono per dar  vita al SENSUALISMO  morale, più che esposto nei saggi praticato nel fatto, al quale non riusci a sottrarsi neppure la  Chiesa. La filosofia dell’ORTO nella sua parte meno nobile, e nel suo  significato volgare, divenne l'ideale morale del Rinascimento. Quest'ultimo trova nello stato delle coscienze un terreno predisposto al suo sviluppo, opperò si comprende come la morale,        - SI -   Le idee morali che si generarono dalla riforma e  dal rinascimento non sono raccolte a sistema  filosofico: ciò in parte si deve alla chiesa di Roma che dopo  di avere riformato sé stessa, inizia un movimento di reazione  contro lo spirito del rinascimento e il moto protestante, in  parte si deve allo spirito non meno intollerante ed ascetico  delle nuove confessioni religiose. Gl’audaci tentativi di pensatori forti e originali, quali TELESIO (si veda), BRUNO (si veda), e CAMPANELLA (si veda) sono soffocati: ad essi rimase la gloria di esser stati i precursori perseguitati e incompresi dei metodi e dei sistemi filosofici dell'età moderna. L'Etica e soprafatta dallo spiritualismo  risorgente, e rimane asservita alla-religione. Il protestantesimo  non fa che ribadire tali vincoli e ritardarne l'emancipazione. Le voci che invocano per la morale un'esistenza indipendente dalla religione non mancano. Montaigne e Charron  in Francia, BRUNO in Italia, pensano e scriveno in tal  senso. Ma passano per sovvertitori della religione e della  morale e i loro sforzi, rimasti isolati, non esercitarono azione  efficace sul progresso scientifico della morale. Su quest'ultimo  esercita un'influenza diretta e decisiva il rinnovamento delle  scienze giuridiche, le quali nel costituirsi a scienze filosofiche  indipendenti attrassero nell'orbita loro la morale, sottraendola  cosi lentamente all'azione della religione e preparandone la  definitiva emancipazione.   Nel Medio Evo non si e formato un diritto filosofico distinto dalla morale, e le scienze giuridiche propriamente dette  si riassumevano nell'opera dei pratici intesa a piegare la  norma di DIRITTO ROMANO agl’usi, consuetudini, statuti che la  scomposta vita medievale genera. Ma tale lavoro di  adattamento a misura che i tempi progredeano, e le condizioni sociali si modificano si fa sempre più diffìcile e  ingrato. Col Rinascimento sorge tutta una nuova schiera di  giureconsulti che Vico chiama FILOLOGI. Non distratti dai  bisogni della pratica, essi si preoccuparono solo di FAR RI-VIVERE IL DIRITTO ROMANO nelle sue fonti e ne' suoi testi antichi, che   2à —   )0 e degl’interpreti hanno profondamente  di revisione e di ricostruzione storico-filo-  >mpiuta, segna un'era nuova negli studii di  la se e di grande giovamento alla conoscenza  fonda dei testi dell'antico diritto, essa scredo dei pratici, accentuando la discrepanza tra  e le condizioni nuove di vita sociale, rendeva  3rso a nuovi principii giuridici. E questa e  >nza finale a cui porta la riforma combate teocratiche della chiesa e la sua azione  30 e sociale. Ma più che tutto e stimolo de-  tudio filosofico del diritto la formazione degli   toria della CONVIVENZA SOCIALE il Medio Evo  jeriodo di transizione dalla città antica allo  lotto un aspetto esso e un crogiuolo in cui si venne dissolvendo ne' suoi elementi pri-  un altro aspetto e un periodo di incubazione  ma di convivenza sociale. Il feudo prima, il  versi per origine, costituzione, carattere si  -zionarsi della sovranità in un numero grande  azioni politiche, che di fatto viveno di vita  idente. Dai feudi e dai municipii in perpetua   vennero svolgendo gradatamente organismi  t seconda della prevalenza dell'elemento feu-  5, si dissero contee, signorie, principati. Queste  associazione politica in Italia si mantennero  3 prepararono l'asservimento allo straniero;  bissate e abbattute dal potere regio risorto,  ritto di sovranità. Dall'azione concorde del  polo si formano pertanto lo STATO moderni,  itrati e con carattere nazionale. 4c Lo Stato   il Carle (1), occupa un posto di mezzo fra il   t.,     - -*   particolarismo del Medio Evo, rappresentato dai feudi e dai  municipii, e il cosmopolitismo della chiesa e dell'impero. Sorto nelle lotte tra la chiesa e l’impero, lo stato si mantenne ugualmente lontano dalle dottrine teocratiche e  dalle tradizioni romane. Né le une nò le altre potevano efficacemente concorrere al lavoro di organizzazione interna, di  unificazione legislativa, giudiziaria, amministrativa dello stato. Del tutto insufficienti apparvero quando si pose il problema dei  rapporti di reciproca convivenza fra i diversi stati, sorti dallo  sfacelo dell'unità medievale. In occasione di esso sorsero i  giureconsulti filosofi e i primi sistemi di filosofia del diritto.  La violenza, l'astuzia, la frode, come servirono a  formare lo stato, cosi costituirono l'arte di governo  a cui principi e sovrani apertamente ricorsero per consolidare  e conservare il potere, il MACHIAVELLI e maestro insuperato  di questa politica violenta e immorale che si inspira solo  alle dure necessità dei tempi. In ogni epoca l'intelletto umano  traviato dall'ambiente e dalle condizioni di vita esteriore, si  rigenera e si apre nuove vie astraendo dalla realtà, rifacendosi  a certi principii generali che rimangono pur sempre patrimonio inalienabile della natura ragionevole dell'uomo. La  ragion naturale e la fonte da cui i giureconsulti filosofi trassero  norma e criterio a regolare la vita dello stato.  Si venne per opera loro formando una scienza nuova, detta  del diritto naturale la quale, nel suo comparire, parve riconnettersi ai concetti del IVS GENTIVM e del IVS NATURALE elaborati dai giureconsulti ROMANI nell'ultima fase di sviluppo  dell'antico diritto. L'espressione jus gentium significa dapprima presso i Romani i principii di diritto che il magistrato e chiamato ad applicare quando non essendo comune alle  parti in causa la qualità di cittadino romano, e inapplicabile  lo jus civile. Praticamente, lo IVS GENTIVM comprende i principii di diritto  comunemente ammessi e riconosciuti da tutti i popoli coi quali I ROMANI sono più a contatto (1). Lo jus gentium non ha il     (2) Bitohiei Naturai righta, London,  IC     - -   3 determinato del jus civile : applicato sopra  argo, regolando rapporti più complessi dove  ispirarsi all'equità e nel fatto accostarsi al  e dì NATVRA, che I ROMANI hanno appreso  eca. Lo IVS GENTIVM fini per confondersi col jus  colTestensione progressiva della cittadinanza,  e differenze politiche tra le varie parti del-  sto xeanQ a comprendere popoli diversi per  li, leggi : allora si forma nel seno dei giure-  etto largo e generale del IVS NATVRALE che Ul-  r. QVOD NATVRA OMNIBVS ANIMALIBVS DOCVIT. generalità e indeterminatezza e suscettibile  iplicazione. In ROMA quindi lo IVS NATVRALE e  ossario delle speciali condizioni politiche dei-  si svolse per gradi dal jus IVS CIVILE e dal jus  etti di jus gentium e di jus naturale risorgono  carattere e significato diverso. Nel 500 lo jus  come in Roma la generalizzazione del diritto appresenta da un lato un indirizzo di riforma,  lisce una fonte di diritto affatto nuova, che il  i rapporti fra LO STATO ROMANO e un’altro stato, da poco tempo costi-  saria. Epperò lo IVS NATVRALE e dapprima invo-  i rapporti di pace e di guerra fra LO STATO ROMANO e un altro stato,  gentium, che corrisponde solo di nome al jus  nani, e che meglio potrebbe chiamarsi un jus  azionale. Questo nuovo IVS GENTIVM ha ca-  ie in quanto la sua norma si inspira ai  a retta e illuminata ragione voleva applicati  i diversi Stati. Se non che lo IVS NATVRALE pur  tosse da rapporti di carattere pubblico inter-  iva un nuovo metodo nel campo delle scienze  ava le basi filosofiche del diritto, e fini per  ipo del diritto privato, sottoponendone a re-       —  -   morale stessa. Il perfezionamento deiruomo-individuo  interessa cosi come interessano le questioni attinenti la  olitica e giuridica degli Stati: la vita contemplativa  di apparire come l'ideale della perfezione, e si comincia  ire LA NECESSITA DI FORMARE PIU CHE L’UOMO, IL CITTADINO -- l'uomo nella pienezza de' suoi DIRITTI CIVILI E POLITICI:  moriva lo svolgersi delle dottrine giuridiche, così come  icuranza degli interessi terreni favori nel Medio Evo  fezionamento interiore dell'uomo, da cui si svolge la vita  Né solo ad una inversione del rapporto tra morale e  ) assistiamo nel passaggio dall'Evo medio al moderno,  l una totale confusione di criterii e di principii tra le  3ienze: nel Medio Evo la confusione si avvera a tutto  ^io della morale, nel 500 assistiamo al sacrificio di  ultima agli interessi del diritto. Tutte le opere sul di-  naturale presentano uno spiccato carattere di indistin-  fra la morale e il diritto, e ben può dirsi in linea ge-  ) che la scuola metafisica non riuscì a distinguerne  aente i rispettivi dominii, malgrado gli sforzi fatti da  ) de' suoi più celebri rappresentanti. Pure anche la scuola metafisica ha la sua impor-  nello studio dei rapporti tra morale e diritto. Sorta in  zione allo spìrito teologico, essa raccolse anzitutto i suoi  nel trovare alle scienze morali una base indipendente  religione. Era questo compito delicato e difficile, se si  alla natura della questione, all'opposizione vivissima  diverse chiese, cattolica e protestanti, mossero a quanti  ano in dubbio il loro diritto a regolare la condotta, alla  one grande delle tradizioni spiritualiste, che nell'età  na trovano nuovi e autorevoli rappresentanti. Né qui  5stò l'opera della scuola metafisica. Essa affronta la que-  dei rapporti tra morale e diritto, che teologi e cultori  ritto naturale continuano per cause diverse a mante-  confusi. Essa si rese esatto conto delle conseguenze ul-  che datale indistinzione puo derivare nel definire  ti dell'azione dello Stato.          • e*      -   Il modo di intendere l'uomo e la sua natura può assumersi a  criterio di classificazione dei diversi indirizzi che in ordine al  rapporto tra morale e diritto sorsero in seno alla scuola metafisica. Grozio e la sua scuola traggono dalla natura socievole  dell'uomo il fondamento delle loro concezioni etico-giuridiche. Nella storia del rapporto tra morale e diritto essi rappresentano l'indirizzo giuridico più che filosofico. Ma il concetto da  cui movevano se giova agl’interessi del diritto, disconosce  le energie intrinseche dell'uomo da cui si svolge la vita morale. Hobbes e in genere i filosofi inglesi fondano la distinzione  tra morale e diritto sulla natura egoistica dell'uomo, e rappresentano l'indirizzo utilitario e individualista. L'indirizzo  cartesiano, che culmina in Kant, eleva e nobilita  la ragione umana, la quale cerca in sé stessa un precetto  categorico e assoluto, che possa esser posto qual fondamento  all'edifizio morale e giuridico. Da ultimo questi diversi concetti, entrando come elementi costitutivi della filosofia francese, gettano le basi di una FILOSOFIA SOCIALE, da  cui traggono vita e significato la morale e il diritto. Questi  diversi indirizzi derivano il loro carattere metafisico dal concetto imperfetto o parziale, che si formano della natura  umana: con tutto ciò si collegano strettamente colle vicende  storiche e politiche dei tempi e dei paesi che li produssero:  più particolarmente essi preparano quelle premesse teoriche  che la rivoluzione francese cerca tradurre nella realtà.     —   analizzata nella .sua essenza, ne' suoi elementi costitutivi, essa  parve fornire i principii atti a regolare la vita degl’individui  e degli Stati. Tali principii, superiori alla volontà degli uomini,  non soggetti alle mutevoli vicende storiche, trovavano nell'ordine stesso delle cose create la loro base salda e incrollabile.  Si anda cosi generalizzando il concetto del diritto naturale,  espressione ultima dell'ordine dell'universo nel campo dei  rapporti individuali e sociali. Mira costante dei cultori del  diritto naturale e di risalire, mediante un processo di astrazione rigorosamente applicato, dall'uomo storico quale nella  realtà si presenta co' suoi vizii, abitudini, pregiudizii, tradizioni, costumanze all'uomo naturale, quale appariva al lume  di una ragione illuminata, spogliato delle qualità e determinazioni successive che sono l'opera lenta ed inevitabile del  tempo e della storia. L’uomo naturale venne pertanto a contrapporsi all'uomo storico, come l'ideale al reale, l'astratto al  concreto, l'universale al particolare, l'assoluto al relativo. Si  comprende allora come il diritto dove intendersi, l'insieme  della norma e delle facoltà spettanti all'uomo naturale, e a  somiglianza di questo dove considerarsi assoluto, immutabile, universale, in contrapposto al diritto storico, quale era  inteso dai giureconsulti pratici e filologi. La ricostruzione dell'uomo naturale dischiuse la via alla  concezione dello STATO DI NATURA. Si ricostruì l'uomo collettivo cosi come si e fatto per l'uomo singolo. Le tristi condizioni politiche del 500 parvero giustificare la credenza in una  profonda alterazione della società umana quale là natura e la  ragione consigliano, opperò fa sorgere il concetto di  UNA SOCIETA IDEALE, riunione di UOMINI REGOLATI NEI LORO RECIPROCI RAPPORTI da una norma del diritto naturale e contrapposta  alla società storica e reale.   Nel concetto largo e indeterminato che dell'uomo e dello  stato di natura si formano i giureconsulti e i filosofi,  noi possiamo riscontrare la causa originaria della confusione  tra morale e diritto. Questi due concetti a misura che si allon-      —   realtà storica tendono a confondersi in una  iella quale scompaiono le differenze specifiche,  ridica, quando si derivi non dal concetto di  aimente organizzata, ma dall'uomo individuo e  ira, facilmente assume forma e contenuto etico,  natura, concepito all'infuori di ogni organizza-  generava rapporti di carattere morale più che  •iva lo svolgersi di doveri più che di obbliga-   iparsi del diritto naturale sono non i filosofi,  iulti. Trionfando dei tentativi e delle incertezze   Grozio inizia il nuovo indirizzo nello  tto. Contro di lui uscirono dal seno della chiesa  sitori, di cui e mira costante la conciliazione  eriche sul diritto naturale colle dottrine reli-  ali. Nelle vicende di queste due scuole, si rias-  ione giuridica nelle scienze morali,  in cui vive ed esplica la sua attività Grozio  il periodo delle lotte religiose e dei contrasti   quali lo stato parvero uscire rifatto  alle fondamenta. Tutto si rinnova nel periodo  chiude colla pace di Westfalia; il lavoro di  liversi elementi dapprima contrastanti, è com-  i di guerra, l'arte di governo, si trasformano  geniale di uomini quali Richelieu, Gustavo  ). Al succedersi non interrotto di uomini illustri  la politica nel campo dell'azione, fa riscontro   pensiero la prevalenza quasi esclusiva degli  se politiche e sociali.Grozio ha un'im-  jerto minore di quella dei grandi dell'età sua,  iicU et comaais utilitatis causa sociatus ».      —   della norma proposta per farla considerare giuridica. Né meno  profondamente radicata e l'idea che la vita morale si concentra nell'individuo, al cui perfezionamento interiore dove sopratutto mirare: opperò e naturale la tendenza a  considerare come giuridica ogni norma diretta a regolare  rapporti esterni sorgenti tra gli individui, o tra questi e lo  stato, o sopratutto tra Stati diversi, senza por mente che  tali norme si traevano da quello stesso principio, da cui in  epoca non di molto posteriore altri avrebbe derivato la vita  morale.   Grozio pur assecondando l'indirizzo generale favorevole alle  costruzioni astratte, tradisce la naturale tendenza del suo  ingegno verso gli studii giuridici. Grozio riconosce l'importanza  decisiva della tradizione e dell'autorità nel determinare i rapporti di natura giuridica, intravede la distinzione tra morale  e diritto quando osserva che la morale è inseparabile dalla  religione e là ove parla di un diritto nel suo vero o stretto  senso {eius juris qvtod propìzie tali nomine appellatur) e di un  diritto in un senso improprio, che noi meglio faremmo rientrare nel campo della morale. Ancora distingue Grozio tra  ciò che è dovuto per debito di giustizia e ciò che è dovuto  per motivi di liberalità, misericordia, affetto, ossia per obbligo  morale. Il dominio di sé e dei propri appetiti costituisce  per Grozio un obbligo che non può imporsi né per forza d'armi. Proleg. $ 2, n. 2: altrove osserva ohe le verità del diritto  sono tali ohe anche l'ateo è costretto ad ammetterle e praticarle.   (2) Cfr, Op. cìt. Proleg. $ 8, 9, 10: al $ 44 dice: « cum injtistitia non  aliaju naturam habeat qnam alieni umrpationem ecc. ». Con tale espressione Grozio coglie la vera natura del giusto e dell’ingiusto. Cfr. Op. cit. Lib. Il, e. ir, $ 16: « Illud quoque sciendum, si quia  quid debet non ex justitia propria sed ex virtute alia, puta liberalitate,  gratia^ misericordia, dilectioue, id sicut in foro exigi non potest, it^ nec  armis depoaci ». — Altrove fa rientrare  il dovere di allevare i figli nella sfera del diritto in seuao ampio, oasia  della morale. Si noti che Grozio non parla nell'opera sua di doveri : il  ano silenzio prova ch'egli li escludeva dal campo della filosofia giuridica,  e li considerava appartenenti alla religione o alla morale.          v:*^^^     — —   irtù di legge. L'adempimento di tale obbligo, se può  nella sfera del diritto naturale largamente inteso,  interessare che indirettamente l'ordine giuridico-  )onde si vede che Grozio intuì le esigenze della vita  e tra i cultori di diritto naturale solo seppe evitare  :uenze estreme, a cui conduceva l'applicazione del  azionale in ordine al diritto, meritandosi giustamente  il nome di giureconsulto del genere umano,  tezza che Grozio dimostra nel distinguere la morale  to, si riflette nella determinazione dei rapporti tra  ) e Stato. Secondo la dottrina di Grozio lo Stato non  istenza e una realtà propria, distinta dagli individui  impongono. Lo stato deriva la sua esistenza da UN PATTO VOLONTARIO che gl’uomini, seguendo i dettami della  stringono tra di loro per conseguire gli scopi propri  SOCIETA RAZIONALE, la pace e la sicurezza. Di qui  zione di uno stato immutabile ne' suoi diritti e nelle  igazioni, la cui opera è intesa ad attuare l'utile co-  bene pubblico. Pur riconoscendo il carattere astratto  irio di tale concezione, non può negarsi l'idea feconda  ssa si conteneva, esser lo Stato distinto e indipen-  Llla persona del principe. Fondando la Stato sopra  3 razionale e immutabile, scuotendo dalle fondamenta  e comune al suo tempo che lo personifica nel prin-  )zio sottraeva lo stato alle vicende dei governanti,  lastie, delle forme di governo; determinando i limiti  lizioni per l'esercizio della sovranità, egli pronuncia  ,nna della tirannide e dei governi assoluti. Grande pertanto viene ad essere l'importanza di Grozio  )ria delle scienze morali. Per apprezzarlo al suo giusto     Op cit. Proleg, $ 15, 16 ove P A. afferma che IL PATTO  origiuò  civile e la società civile.   Op. cit. Libro II, e. iv, ove tratta della coudizioiie giuridica  ;i, e sopratutto il capo XIV in cui parla dei doveri e obblighi  pf, ecc.      -   valore bisogna tener conto della condizione creata alla chiesa  e*airimpero dai tempi nuovi. Le dottrine della chiesa inspi-  rate alle massime evangeliche mal potevano piegarsi a regolare rapporti d'indole politica. Lo stato e sorto in  opposizione al principio ecclesiastico, e svolgevasi all'infuori  dell'azione morale della chiesa, la quale mantene ancora  incontrastato il suo dominio nell'intimità delle coscienze individuali. E coir autorità della chiesa nei rapporti sociali  e venuta meno l'autorità dell'Imperatore, che in altri tempi  personifica in sé l'ordine sociale e politico ed e chiamato  giudice supremo delle controversie tra i popoli. La  teorica dell'illimitata volontà del sovrano in materia giuridica  e politica anda radicandosi ed estendendosi ovunque : essa  porta alla separazione assoluta tra morale e diritto, al trionfo  dell'utile, dell'egoismo, e apre la via alla tirannide più odiosa. IL POPOLO ROMANO venivano ad esser abbandonato ALL’ARBITRIO DEL PRINCIPE, e la forza e la violenza diventano sinonimi di  diritto e di giustizia. Grozio che sente vivo nell'animo il  desiderio dèi bene, l'amore alla libertà e alla giustìzia, si leva  con tutta la vigoria del suo intelletto contro il diffondersi di  tali teorie: alla volontà illimitata del principe increduli e spregiudicato Grozio oppose l'autorità eterna e immutabile della ragione. All'egoismo imperante nei rapporti tra sovrano e sudditi, e dei popoli tra loro, egli oppone la concezione di un diritto  e di uno Stato naturale, derivati dall'umana natura: nella  guerra stessa egli mostra come le leg^i non rimangono mute.  Il popolo dove pertanto riconoscere in Grozio il  primo autorevole difensore dei loro diritti, e delle loro libertà :  come tale egli precorre i razionalisti, ma di  essi non conosce le esagerazioni: passando dalle concezioni  teoriche alle applicazioni pratiche, egli ammise e adottò temperamenti, pei quali si rileva giureconsulto e uomo d'azione. Grozio esercita una notevole influenza sullo sviluppo  ulteriore delle scienze morali: egli  fa convergere nel  suo sistema due indirizzi diversi, l'indirizzo filosofico razionale,      —   amente giuridico, derivata dalla storia  sti due indirizzi, il primo più rispon-  e intorno a sé più numerosi seguaci,  va per il momento eclissarsi, e confon-  [uelle della scuola storica, che solo più  irsi nel campo delle scienze morali. Tra  nente si inspirarono alle dottrine di  e  Pufendorf. Egli appartiene  , quando l'era delle lotte  e il periodo della formazione degli Stati  imente tramontato. La questione dei  Stati aveva perduto di attualità e di  L considerare nella coscienza dei popoli  ipii proclamati da Grozio. Maggior in-  estioni attinenti la sovranità, la costi-  li Stati, i rapporti tra i sudditi e il  del diritto. Pufendorf si propone ap-  lla parte del sistema di Grozio, che  in forma di prolegomeni all'opera sua;  originale, ma di svolgimento e di siste-  tro questi confini Pufendorf riesce in-  : di Grozio egli svolge il lato filosofico  uridica, e disconoscendo la distinzione  le nel sistema di Grozio e adombrata  3nuta: subisce l'influenza de' nuovi in-  i all'epoca sua si sono affermati nelle  generale per opera di Cartesio, nelle  colare per opera di Hobbes e di Spinoza,  ja tenta senza riuscirvi l'applicazione  ) allo studio del diritto naturale (1), e  jolutiste subisce l'influenza di Hobbes,  li combatterlo e di far trionfare le idee     la jìiris unìversalìs methodo mathematlcaf Hagae      —   Per Pufendorf Toiiesto e il giusto, che sono gli elemei  generatori della vita morale e giuridica, NON HANNO ESISTENZA OBBIETTIVA: sono qualità soggettive inerenti non alle cose i  alle azioni, in quanto queste si conformano alla legge pi  scritta dalla volontà di un superiore, il quale viene pertar  ad essere la fonte della vita morale e giuridica. Morale  diritto hanno comuni le origini, e la natura. La morale este  ai rapporti sorgenti tra le persone diventa GIUSTIZIA, la e  osservanza non pur esteriore, ma intrinseca costituisce  dovere. Con Grozio ammette l'ipotesi dello stato di natui  concepito all'infuori di ogni istituzione civile, nel quale le leg  della condotta sono imposte dalla ragione in conformità al  natura socievole dell'uomo, da cui scaturisce il principio g neratore del diritto naturale, e tutta la serie dei doveri e  l'uomo ha verso sé stesso. Necessità egoistiche di sicurez  più che naturali sentimenti di benevolenza hanno indotto {  uomini a uscire dallo stato di natura, a stringere un co  tratto da cui trae origine la società civile, la legge positi^  lo Stato. Nella società civile fonte della morale e del (  ritto è la volontà del principe (5): in questa parte Pufend(     (1) Cfr. Pnfe^idorf : Dejure naturae et gentium, e. 2, $  « Honestas sive necessitas moralis et tarpitudo suut affectiones actiom  huiuaDarum, ortae ex couvenientia aut disconveuientia a norma seu le[  lex vero est inssum superioris ; non apparet qnomodo honestas aut ti  pitndo intelligi possit ante legeni et citra snperìoris impositionem »  Cfr. anche Lib. I, e. vi, $ 4 : € lex est decretum quo snperior sibi snbìecti  obligat ». Cfr. anche id. id. $ 6 e seg.   (2) Cfr, Pufendorf, Op. cit. Libro I, e. vii, $ 3 e per il conce  della giustizia cfr. id. id. $ 6, 7 e seg.   (3) L'A. tratta dello stato di natura nel Libro II, e. il, Op. cit. Vllo Stato. Cosi se da un lato disconosce completamente   natura del diritto, trasformandone la dottrina in una dottrina dei doveri dell'uomo, dall'altro fa della volontà del so-  dano la fonte di ogni obbligazione morale e giuridica col  Lcrificio incondizionato dell'individuo e delle sue naturali  ndenze agl'interessi dello Stato. A Pufendorf spetta incontrastato il merito di aver  lCCoUo a sistema il materiale che da ogni parte sulle orme   Grozio si e andato accumulando: quindi in lui i caratteri  onerali e le conseguenze ultime dell'indirizzo che mette capo  Grozio e che sul continente trovò largo seguito di cultori,   manifestano nelle forme più spiccate. Studiando Pufendorf  )i possiamo misurare tutta là portata scientifica e pratica  dio stqdio sul diritto naturale, il quale costituisce la scienza  iciale dell'epoca, intorno alla quale gli spiriti nuovi, deside-  »si di riforme si raccolgono per tentare la soluzione dei più •  ariati problemi religiosi, etici, politici. Si viene pertanto  aturando nel campo delle scienze morali una rinnovazione  laloga a quella^ che si andava dispiegando nel campo delle  ienze fisiche e naturali. Nella storia del diritto naturale,  :*ozio rappresenta la mente inspiratrice, Pufendorf la mente  ordinatrice. Si comprende allora come in Pufendorf dovesse  jcentuarsi la confusione tra morale e diritto. Anch'egli di-     ci) Op. cit. Libro VII, e. i, $ 3 o sopratutto $ 4.  (2) Op. cit. Libro VII, e. il, } 8.      -   stingue tra « forum internum et exteriium », ma quello abban-  dona alla teologia e fa materia della filosofia giuridica il vasto  campo del forum externum ossia della condotta in generale  ne' suoi rapporti esteriori (1). Nell'estensione assunta dalla  scienza del diritto naturale, svoltasi all'infuori della religione  e sopra basi razionali, tendente a quella costanza e immuta-  bilità, che in altri tempi attribuivasi alle manifestazioni della  volontà divina, si nascondeva un pericolo grave per l'avvenire  delle scienze morali. La confusione tra morale e diritto nelle  forme esagerate, ch'essa assume nei sistemi di Hobbes e di Pufendorf, minacciava risolversi nel fatto in una tirannia delle  coscienze per parte dello Stato, analoga a quella che in altri  tempi erasi deplorata per parte della Chiesa* Chi si rese per-  fetta coscienza del pericolo e corse al riparo e Thomasius.   Spirito irrequieto e veemente, ingegno satirico, sprezzante Thomasius ebbe la mania del nuovo, non però, come  spesso capita, del paradossale: che anzi il suo odio per gli  aristotelici, il suo disprezzo per la metafisica rappresentavano  in lui la reazione del senso comune contro il convenzionalismo  aristocratico della scienza ufficiale, le sottigliezze inutili e  dannose nelle quali il pensiero del suo tempo si perdeva; fu  sua mira costante rianimare la filosofia col contatto della  realtà, infonderle uno spirito nuovo, e sopratutto indirizzarla  ad uno scopo di utilità individuale e sociale (2). Era naturale  ch'egli si volgesse di preferenza verso gli studii di diritto  naturale, che rappresentavano l'indirizzo nuovo e nello stesso     (1) Vedi in proposito la critica severa che il Leìbuitz fa dei prinoipii  esposti dal Pufendorf, cli^ egli teneva in poco conto e come filosofo e  come giureconsulto. — Leibnitz : Opera, Ed. Dutens, Voi. IV, Parte in,  pag. 275 e seg.   (2) Thomasias (1655-1728) nel 1681 insognò matèrie giuridiche a  Lipsia : nel 1690 per sfuggire alle persecuzioni esalò a Berlino presso  l'Elettore Federico III, che gli offerse nel 1694 una cattedra all'Università  di Halle.     Digitized by VjOOQ IC     — 42 -   npo pratico della scienza filosofica. Anche in questo campo,  r non uscendo dall'indirizzo iniziato dal Grozio e continuato  1 Pufendorf, ebbe modo di dar prova del suo spirito originale.  \bbiamo di Thomasius due opere sul diritto naturale (1),  ritte a distanza di 17 anni, le quali misurano il progresso  to dal suo pensiero in questo periodo di tempo. Egli rias-  me quanto prima di lui si era fatto nel campo degli studii  iridici, e si fa eco delle tendenze nuove, da cui si gene-  rono riUuminismo tedesco e la filosofia kantiana. Nella  ima delle opere sopra ricordate noi possiamo scorgere tutta  ifluenza esercitata da Grozio e da Pufendorf sul suo pen-  iro: con essi concorda nel dare alla scienza del diritto  turale come fondamento la natura socievole dell'uomo sot-  lendolo ad ogni vincolo teologico (2), nell'accettare le finzioni  Ho stato di natura e del patto per la costituzione della sc-  ita civile (3), nel derivare, sull'esempio di Pufendorf, il  •itto dalla volontà di un superiore (4). Fin da questa prima  e Thomasius mostra di meglio comprendere la natura del  •itto, affermando recisamente che non si dà diritto fuori  Ila società, né società senza diritto (5) : ma non pone ancora  'suoi veri termini la questione dei rapporti tra morale e  'itto: ciò fece solo più tardi sotto la pressione di speciali  •costanze di fatto e per motivi pratici, che costituiscono la  usa intima e motrice di tutto lo sviluppo della sua dottrina.  27, — La Sassonia, in cui Thomasius viveva insegnando a  psia, era in quell'epoca teatro di aspri dibattiti religiosi,  protestantesimo attraversava in Germania una crisi labo-  )sa. Le lunghe, interminabili polemiche teologiche ne avevano     [1) InstUutiones jurisprudentiae divinoCj  — Fundamenta juris naiurae  gentium ex sensu communi deducta ecc. 1705*   [2) Cfr. InstUutiones ecc. Libro I, e. iv, $ 55 e 63.   ;3) C(r, Institutiones ecc. Libro III, e. vi, $ 12, 26, 29 e seg.   [4) Op. cit. Libro I, e. i, $ 82.   [5) Cfr. Op. cit. Libro I, e. i, $ 100, 101.     1      —   profondamente falsato il carattere: la fiducia del popolo, la  influenza sul costume erano scosse, perchè non potevano con-  ciliarsi col dogmatismo arido, intollerante, scolastico, al quale  si era ridotta la vita religiosa. Si destò allora un movimento  di reazione, noto sotto il nome di « Pietismo » che ebbe a  primo legislatore se non a promotore Spener, e che propo-  nevasi di far rinascere il sentimento religioso nelle sue forme  schiette e popolari. Le lotte tra ortodossi e Pietisti, condotte  con un'acrimonia incredibile minacciavano risolversi iii moti  separatisti: gli eccessi di misticismo, a cui i Pietisti si ab-  bondonavano, provocarono l'intervento dei principi, partigiani  dichiarati degli ortodossi: si promulgarono editti di repres-  sione, e i Pietisti furono perseguitati, processati, condannati  come colpevoli di stregonerie: la tortura, l'inquisizione per  opera dei protestanti parvero ritornare in onore. Thomasius  prese parte attiva a questi avvenimenti: nel movimento pie-  tista egli vide il ritorno ad un sentimento religioso più vero  e naturale. I Pietisti e quanti erano accusati di malia tro-  varono in lui un difensore tanto più efficace in quanto alla  sua mente di giureconsulto tali processi costituivano altret-  tanti attentati alla libertà di coscienza, un'invasione della  pubblica autorità in campo che doveva considerarsi sottratto  all'azione punitiva. In occasione di tali fatti egli si rese conto  del pericolo derivante dalla mancanza del criterio distintivo  tra ciò che era di competenza della morale e ciò che rien-r  trava nella sfera del diritto. Tali idee maturarono nell'esilio,  a cui egli stesso andò incontro e si presentano in forma de-  finita nell'opera sul diritto naturale pubblicata. — Thomasius nella sua tendenza al nuovo, ne' suoi  intendimenti pratici fu sotto molti aspetti benemerito della     (1) Thomasius combattè la tortura e i processi contro le streghe nel-  l'opera 4L De crimine magiae ». Federico II disse di lui che aveva riven-  dicato alle donne il diritto di vivere senza pericolo. La difesa dei Pietisti  e i primi accenni alla distinzione tra morale e diritto si trovjino nelVo-     -   filosofia tedesca. Prima di Kant egli intravide il nesso esistente  tra il problema conoscitivo, etico e giuridico: primo osò af-  fermare che la ragione non deve andar disgiunta dal senso,  e che solo la conoscenza dei fenomeni è fonte di certezza.   Nel rispettare ed accrescere l'essenza delle cose consiste  il bene, e la maggior felicità dell'uomo costituisce lo scopo  ultimo della morale. Nel concetto amplissimo di diritto natu-  rale Thomasius fa rientrare la morale e il diritto, ma nel  determinare il principio generatore abbandona Pufendorf, so-  stituisce al principio della socialità l'istinto alla felicità, e  ^ su di questo fonda il criterio di distinzione tra le due scienze,  di cui l'una tende ad attuare la felicità interna, l'altra la  felicità esterna.   Né solo per lo scopo diverso a cui mirano si distinguono,  secondo Tiiomasius, la morale e il diritto, ma anche e sopra-  tutto per la natura dell'obbligazione, la quale si presenta  nelle due scienze diversa per ciò che riguarda l'origine, l'og-  getto, i caratteri. L'obbligazione giuridica nasce dal comando  di un superiore, ossia trae la sua forza obbligatoria da una  forza esterna: l'obbligazione morale invece scaturisce dall'in-  timo della coscienza individuale, e più propriamente dall'ap-  prensione di un male o di un pericolo al quale l'agente si  espone nell'atto di agire.   In ordine all'oggetto, l'obbligazione giuridica si riferisce  solo a rapporti esterni sorgenti tra uomini uniti dal vincolo  di società. L'obbligazione morale invece ha una sfera di ap-  plicazione molto più larga: essa non solo comprende i rapporti  esterni, ma ancora gli interni che l'uomo ha verso sé stesso (3).     pera € Sai diritto dei principi evangelici neUe controversie teologiche ».  In questa parte non ho potato valermi, come mi valsi altrove, dell'opera  magistrale di BUFFINI sulla « Libertà religiosa ». Ed. Bocca, Torino 1901,  Voi. I, e. IV, $ 12.   (1) Cfr. Fundamenta ecc. Libro I, e. 4, $ 35 e sopratutto al e. 6, $ 21.   (2) Cfr. Op. cit. Libro I, e. 4, $ 58 e seg. e e. 5, $ 1 e seg.   (3) Cfr. Op. cIt. Libro I, e. 5, $ 17 e seg.      —   Precisando meglio il suo concetto Thomasius aggiui  oggetto dell'obbligazione morale possono essere Vhom  il decornun, mentre dell'obbligazione giuridica solo lo,  Sotto questi tre concetti rientrano tutti i doveri: Vhc  comprende i doveri che l'uomo ha verso sé stesso, i  riassumono nel principio di fare a sé quello che si à  altri faccia: il decorum e ìojusium abbracciano tutti  verso gli altri: ma di essi, i doveri di convenienza e  lenza rientrano nel decorwn, i doveri di giustizia nello,  11 diritto pertanto non solo non è ciò che di sua n  semplicemente onesto, ma neppure consiste in ciò e  sua natura semplicemente decoroso.   Da queste premesse deriva il carattere negativo e  dell'obbligazione giuridica, il carattere positivo e im  della obbligazione morale (1). Il diritto deve limitarsi a  quelle azioni che appaiono inconciliabili con una vita  ordinata: donde la necessità che abbia limiti fissi e celle sclei>ze fpotall.  Bacone e saa posizione nella storia del pensiero ~  Bac  e le scienze morali — Etica e scienza civile in Bacone — Il metod  Hobbes ^ 35. Hobbes e i suoi tempi — Sistema etico-giuridico di Hot  — 37. Il rapporto tra morale e diritto in Hobbes — . L'opposizione a Hobi  Cumberland — 89. Locke e i suoi tempi — 40. Morale e diritto in Locki   Da Locib a Hume — Humé e i suoi tempi — 48. Filosofia di Hum  44. Rapporto tra morale e diritto in Hume — Adam Smith e sua im]  tanza — 46. Sistema etico-giuridico di Smith — 47. Conclusione.   31. — Bacone è il profeta della nuova epoca, è il Mosè e  ha dischiuso la vista della nuova terra promessa. Questo C(  cetto espresso dal Macaulay (1) non risolve la dibattuta qi  stione risguardante il posto che Bacone occupa nella sto:  del pensiero. A risolverla conviene considerare a parte Baco  e l'opera sua, Bacone e i suoi tempi, Bacone in rapporto a  sviluppo del pensiero scientifico e filosofico posteriore.   Considerata in sé stessa l'opera di Bacone racchiude un a  significato, come quella che, sotto un'apparente riforma  metodo, prelude ad un nuovo orientamento del pensiero, ad  rinnovamento radicale del sapere. Sotto tale aspetto Bacc  occupa un posto eminente non solo nella storia delle scien  come ritiene l'Adam (2), ma ancora della filosofia. Primo e  assorse al concetto tutto moderno e per l'epoca sua prematu  dell'unità dello scibile sulle basi della filosofia naturale r  novata dal metodo induttivo. Per Bacone l'unità del metod  correlativa all'unità della scienza, e questa è a sua volta  riflesso e il prodotto della unità che si ammira nella natu  Le scienze formano un tutto unico e continuo in cui le pa  si distinguono, ma non si separano; quando una reale se]  razione si verifica, la parte divisa isterilisce e muore. T;     (1) Cfir. il noto saggio del Macaulay (Lord Bacon, EssaySf ed. Tauchn  III, pag. 144-45).   (2) Ch, Adam, Philosojìhie de Francis Bacon, 1890, ed. Alcan, p. 4     —   secolo XVII sulla via tracciata da Bacone: non la scienza,  poiché il prevalere degli studii astronomici sullo studio delle  scienze naturali propriamente dette, fece preferire il metodo  geometrico al metodo strettamente induttivo di Bacone (1):  non la filosofia che segui un metodo soggettivo ed empirico  più che positivo quale era da Bacone indicato. Nell'azione di-  retta a scuotere il giogo della teologia ben si rivela Bacone  figlio dell'epoca sua, ma tra i dogmatici e gli scettici egli si  apri una via sua propria, che non fu né la razionale di Car-  tesio né l'empirica di Hobbes. Bacone è il vero precursore di  quella filosofia positiva, che il Comte doveva nel secolo XIX  opporre alle aberrazioni metafisiche (2); di ciò può. far prova  la sua dottrina etico-giuridica.   32. — Sotto l'aspetto speciale delle scienze morali Bacone ò  non fu preso in considerazione o non fu rettamente giudicato  sia per parte di coloro che vollero derivare da lui lo svolgi-  mento del pensiero etico inglese, sia per parte di quelli che  negano alle sue dottrine morali ogni valore. Ciò si deve in  parte a Bacone stesso il quale più che un sistema etico-giu-  ridico svolto nelle sue singole parti, ci lasciò l'abbozzo di un  sistema, il quale non attrasse mai l'attenzione degli studiosi,  mentre pur permetteva la ricostruzione intera del suo pen-  siero.   Due furono le preoccupazioni costanti di Bacone in ordine  alle scienze morali : sottrarle al dominio della, teologia e della  metafisica. Col Montaigne e col Charron egli ebbe comune lo     (1) Le scienBe naturali dopo le scoperte del Vinci, del Serveto, del-  l' Harvey, subirono un arrèsto nel secolo xvii di fronte ai notevoli pro-  gressi dell'astronomia e con essa delle scienze matematiche : la geometria  in particolare divenne per oltre un secola la scienza madre, alla cui in-  iSaeDza non seppero sottrarsi le stesse scienze morali. È noto che Bacone  fa fierapiente avverso all'estensione delle matematiche allo studio della  natura.   (2) Il Comte accennando all'unificazione del sapere come allo scopo  ultimo della filosofia posi ti vn^ e costretto a ricordare le geniali intuizioni  di Bacone {Cours de philoso^hie posUivef I, p. 50 e p. 59-60 ediz. 1869).      —   sofi inglesi che lo seguirono, e solo può riconnettersi ai t  tativi fatti nel secolo XIX per dare alle scienze morali  fondamento positivo. Elemento generatore delle scienze moi  è per Bacone la natura, in ciò coerente al principio secoi  il quale la scienza della natura non solo è scienza madre  cui tutte le altre devono coordinarsi, ma in tanto ha valor  significato in quanto può servire a dar norma e indirizzo a  vita individuale e collettiva (1).   33. — Nella classificazione delle scienze posta da Bacoi  l'Etica e il Diritto rientrano nel largo campo delle sciei  relative all'uomo; ma mentre l'Etica è il ramo più nobile de  Filosofia umana, che studia l'uomo a sé, in quanto consta  elementi corporei e spirituali, il Diritto colla Politica cos  tuisce la parte fondamentale della filosofia civile, la qu  move dal presupposto dell'uomo associato e già eticamei  formato (2).   I rapporti e i limiti tra le due scienze sono in tal me  implicitamente segnati: l'Etica forma l'individuo, la Scien  civile mediante il diritto provvede alla prosperità e alla pi  interna di uno Stato : quindi differiscono tra loro per l'ogget  lo scopo, la sfera diversa in cui si svolgono. Niun dubbio e  il contenuto della scienza civile, risultando di elementi as$  varii e disparati, con grande difficoltà si lascia ridurre a le|     e abbia letto le sue opere. Certo conobbe Vanìni nel 1612 a Londra»  sopratntto apprezzò il Telesìo che chiama « amantem veritatis et scien  ntileni, hominam novoram primuin ».   (1) La decadenza della filosofia morale e civile è attribuita da Bacne notevole, per quanto non avvertita, nella  ndividuo segue suo malgrado il moto generale  cui riflette i sentimenti, le idee, le tendenze,  on può far assegnamento sull'azione di queste  Qè subisce i vincoli e le repressioni sociali  formazione dell'uomo interiore. Ancora l'Etica  ne interna dell'uomo, e sulla bontà dell'inten-  insiste: per la vita e per il progresso sociale  liformità esteriore degli atti alla legge, e per  D servire mezzi sensibili e materiali, l'uso dei   agli scopi della morale. Le proporzioni stesse  sua stessa perennità di esistenza, la comples-  iti che lo costituiscono sviluppano un gioco  Bazione, per cui le cause deleterie agiscono  3 insensibilmente: nei singoli individui, data  vita, e la costituzione più semplice del loro  ^uenze delle azioni disoneste si svolgono più  lutamenti nell'opinioni e nei costumi sono più  i. Per tal modo Bacone sotto colore di accen-  Ità diverse, contro cui l'Etica e la Scienza  ttare, tocca le differenze tra le due discipline,  apporti che corrono tra individuo e Stato. Le   devono tener conto delle condizioni variabi-  li vidui : le norme giuridiche valgono per l'or-  forme, perchè più vasto, dello Stato, e in esso     osserva Bacone (De Aug, Lìb. Vili, e, i) che Soggettò  è pili di ogni altro « materiae immersum^ ideoque  mata redncitur ».     ^   scompaiono le differenze dell'individuo, che è l'atomo della  vita sociale (1).   La stessa modernità di vedute Bacone dimostra nel trattare  a parte l'Etica e il Diritto (2). Dal modo di comportarsi degli  esseri in natura, egli trae la soluzione del problema teorico  relativo alla natura del bene (3). Ogni cosa in natura, esistendo  ad un tempo per sé e come parte di un tutto, tende a con-  servarsi, accrescersi, moltiplicarsi: cosi esiste per l'uomo un  bene individuale e collettivo; nello svolgere sé stesso e le  proprie facoltà in guisa da rendersi atto a far il bene del  tutto, di cui fa parte, sta la perfezione morale dell'uomo. De-  terminata la natura del bene, bisogna che l'uomo sia in grado  di raggiungerlo con una serie di mezzi, che solo può indicare  lo studio della costituzione psichica speciale di ciascuno,  variabile secondo i tempi, i luoghi, l'età, il sesso. In ciò  sta la morale pratica, nel trattare la quale il moralista deve  fare come il medico che studia il corpo umano per conoscerne  i mali e indicarne i rimedii. Lo studio del bene collettivo fa  parte dell'Etica non della filosofìa civile come a tutta prima  potrebbe p/irere. Finché prepariamo ed educhiamo l'uomo a  convivere in società, a preferire il bene comune al proprio,  la vita attiva alla contemplativa, noi non usciamo dai limiti  e dai compiti della morale (4). *     (1) I rapporti tra l'Etica e la Scienza civile sono svolti da Bacone nel  Libro vili, e. T, del De Augmentis.   (2) La dottrina etica di Bacone è contennta nel Libro VII del De Aug-  ìnentis : la dottrina giuridica nel lib. VIII, e. m, sopratatto nell' « Exemplum  iractatus de justitia universali; sive de fontibus juris > che è aggiunto come  appendice al libro Vili.   (3) Distribuisce Bacone la dottrina etica in due parti: l'una teorica  € de exemplari boni » tratta della natura del bene ; l'altra pratica « de  regimine et cultura animi » tratta delle norme atte a conformare l'animo  al bene : senza quest'oltima, la prima è come una statua « pulchra quidem  aspectu, sed motu et vita destituta » (De Aug. Lib. VII, e. in).   (4) In quella guisa che è cosa diversa fabbricare una macchina, e met-  terla in moto, così la scienza civile si distingue dalla dottrina del bene  coUettivo che conforma l'animo alla vita sociale.          — se-  nato moralmente l'individuo, entra in campo la Scienza   avente per oggetto l'uomo congregato. Nell'abbozzo fi-  lasciatoci da Bacone è la parte che presenta maggiori  3 e imperfezioni. Però nel trattare dell'azione dello Stato  ipporti interni fra i cittadini, azione che si esplica me-  ì il diritto, Bacone dà novella prova di larghezza e ori-  tà di vedute (1). Il diritto non è fine a sé stesso, ma   per procurare il benessere materiale e morale del po-  Nel trattare di legislazione Bacone dichiara dì voler se-  un metodo suo proprio, distinto da quello adottato dai  consulti filosofi e pratici, dei quali i primi fanno leggi  jinarie per stati immaginarli, i secondi sono schiavi  leggi e degli usi locali, non hanno la guida dei prin-  che è condizione di equanimità e sincerità nei giudizii.  :islatore deve conoscere la filosofia civile, e l'equità  ale da un lato, ed essere dall'altro esperto conoscitore  >stumi e dei bisogni del popolo, pel quale fa le leggi (2).  , varietà delle leggi può bene associarsi, secondo Ba-  alla loro unità, poiché sotto le moltiformi leggi degli  e dei popoli, non é difficile rintracciare certi principii  Lstizia costanti, su cui può elevarsi un sistema di legis-  le ideale, a cui tutte le leggi diverse si riconducono, e  i tutte discendono (3). Ma la sapienza del legislatore non  solo consistere nel conoscere e determinare le legum  ma ancora nell'applicazione della legge (4). Quest'aspetto   La dottrina deUo Stato è da Bacone distìnta in dne parti : Tiina  mo 8ive de repuhlica administranday l'altra de justitia universaUf sive  ihu8 juriSy ossia la parte politica e la giuridica (De Atig, Lib. Vili).  Xr. De Aug, Libro Vili in fine, ove dice: « philosopbi multa prò-  , dictn pulchra, sed ab usu remota. Jnrisconsnltì antem, suae qnisqne  leguin, yel etiam romanorum aut pontificiarum, placitis obnoxii,  sincero non ntnntnr, sed tanquam e vincnlis sermocinantur »'•  I!fr. De justitia univeì^sali, Aph. 6.   i La saggezza del legislatore, egli scrive, consiste non solo nellM-  li giustìzia, ma nella sua applicazione^ nel prendere in considera-  mezzi per i quali le leggi sono reso certo, le cause e 1 rimedi delle  Lcertezze ».      -   formale del diritto, trascurato dai fìlosofl del diritto naturale,  ,ha un'importanza nell'attuare gli scopi della giustizia, che non  sfuggi a Bacone; se vario è il contenuto delle leggi, la forma  è costante e può ridursi ad assiomi; se la perfezione delle  le^i non può facilmente ottenersi, almeno devesi cercare la  certezza coi mezzi formali. Là certezza è condizione neces-  saria per conseguire VaequUasjuris, ossia l'uniforme interpre-  tazione e applicazione della legge, da cui dipende la efficacia  e l'autorità del diritto sostantivo (1).   Poco meno di due secoli dovevano trascorrere prima che le  idee di Bacone fossero accolte e applicate: certo a principio  del secolo XVII erano premature. Bacone fece come colui che  avendo trovato una nuova via vi si slancia con entusiasmo e  la percorre rapidamente fino alla fine: ma gli altri per tal via  non lo seguirono come quella che contrastava troppo alle ten-  denze e ai metodi filosofici del secolo: ailcora la mente umana  non aveva condotto il metodo razionale alle sue estreme con-  seguenze per ricredersi, e porsi sulla via più modesta, ma più  sicura aperta da Bacone alle scienze morali.   34. — Hobbes fu chiamato il primo discepolo di Bacone : tale  filiazione intellettuale, sostenuta fra gli altri dal Kuno Fischer,  fu generalmente accolta: le stesse relazioni personali che cor-  sero tra Bacone e Hobbes parvero confermarla. Il Wundt stesso  fa dell' Hobbes un continuatore di Bacone nel campo delle  scienze morali (2). Studii più recenti vennero in opposto pa-  rere, a noi crediamo col Lange, collo Jodl, col Sidgwick, che  si debba negare qualsiasi rapporto di filiazione tra Hobbes e  Bacone (3). La diversità del metodo rispettivamente usato fu  ornai posta fuori di dubbio dal Lange e dallo Jodl (4). Il Lange   (1) Il criterio deUa bontà di una legge sta in ciò ch'essa sia « intima-  tione certa,' praecepto jnsta, executione commoda, cum forma politiae  congrua, et generans virtutem in subditis * (Ib. Aph. 7).   (2) Cfr. Wnndt: Ethik, Libro II, e. ni.   (3) Cfr. Sidgwick : Outlines of the history of Ethics, 2* ediz. London,  1888, p. 158.   (4) Cfr. Jodl: Gesc'xiichte der Ethik, Voi. I, 1882, p. 109.  definisce il metodo di Bacone induttivo, quello dell' Hobbes  ipotetico-deduttivo, ossia cartesiano (1). Mentre il primo pro-  cede analiticamente movendo dall'individuo per elevarsi €\  genere e quindi giungere direttamente alle cause reali dei  fenomeni, salvo poi ricorrere alla deduzione per utilizzare e  generalizzare le verità discoperte, Descartes e sulle sue traccio  l'Hobbes procedono sinteticamente premettendo la teoria a  guisa di ipotesi, spiegando mediante essa i fenomeni, per  poi controllare la bontà della medesima facendo ricorso alla  esperienza, a cui spetta la pai'te principale e decisiva nella  dimostrazione. Ninna comunanza quindi di metodo tra Bacone  e Hobbes: entrambi ricorsero all'esperienza, ma Bacone vi  ricorse per elevare su di essa la scienza, Hobbes per con-  fermare la teoria, posta innanzi come ipotesi. Osserva il Lange  che il metodo ipotetico-deduttivo è assai più vicino al vero  processo seguito nello studio della natura che non quello  induttivo di Bacone (2): qualunque sia il valore di tale afferma-  zione, essa è vera pel secolo XVII, nel quale prevalsero l'astro-  nomia e le scienze matematiche. A questo metodo, prevalente  nel campo stesso delle scienze naturali, non ancora trasfor-  mato in razionale puro per opera dei fanatici seguaci di Car-  tesio, appartiene Hobbes. Questi contrariamente a Bacone  studiò ed apprezzò le matematiche: in istretto rapporto coi  tempi egli riconobbe e accolse senza restrizioni (ciò che non  fece Bacone) gli importanti risultati ottenuti nel campo delle  scienze naturali: e mentre a Copernico rivendicava l'onore  di aver fondato l'astronomia, a Galileo la fisica, all'Harvey la  fisiologia, sperava che altri potesse dire lo stesso di lui in  ordine alla filosofia politica. Come Cartesio egli mosse da un  presupposto teorico alla costruzione del suo sistema, e cercò  nella esperienza e osservazione fisiologica argomenti a sostegno  della sua teoria.     (1) Cfr. Lange: Histoire du matórialisme, 1877, Voi I, p. 249.   (2) Lange: Op. cit., Voi. I, p. 249.     VjOOQ IC     p''yiHBI'PUV''^l-l'^. * — '•     - 5& -     35. — La filiazione tra Bacone e Hobbes come non e«i  I)el metodo cosi non esiste né diretta né indiretta per la (  trina. Se comune ad entrambi é l'avversione ai vieti pres  posti metafisici e teologici, nonché il sentimento di ribelli  all'autorità di Aristotele e la tendenza a secolarizzare  scienze morali, non per questo si può dire col Wundt  Hobbes continuò Bacone (1), ma solo che entrambi subir  le stesse condizioni generali dell'epoca, ciò che non impe»  Hobbes di elevare una metafisica di nuovo genere, div€  dall'antica teologica, ma non meno contraria alla filosofia  coniana. Ma se con Bacone subi l'influsso generale del ten  non da lui Hobbes trasse motivo e ispirazione a scrivere  cose morali e civili, ma direttamente dalle condizioni pa  colari dell'Inghilterra del suo tempo. Egli non assiste ind  rente e quasi ignaro come Bacone ai gravi rivolgimenti poli  e religiosi che agitavano il suo paese e che dovevano a\  una importanza decisiva sull'avvenire del popolo inglese:  vi partecipa direttamente, proponendo quella che a lui pa  la vera soluzione, e sopratutto richiamando sui problemi  rali, religiosi, politici l'attenzione degli studiosi e degli uon  di Stato che sotto l'influenza delle sue dottrine dovevano  vidersi in due campi opposti e ostili. E cosi mentre Bac  isolandosi dai suoi tempi non sollevò intorno all'opera proj  né le ire né le lodi dei contemporanei, Hobbes inspirandosi  suoi scritti direttamente ai fatti che prepararono la Gra  Rivoluzione inglese, esercitò un'influenza decisiva sull'i  rizzo e sullo sviluppo ulteriore delle scienze morali.   La rivoluzione che si andava maturando nell'Inghilt^  nella prima metà del secolo XVII, era ad un tempo ec(  mica, politica, religiosa; ma nelle sue diverse forme essa ]  presentava pur sempre l'emancipazione dell'individuo dai  coli che ne ostacolavano la libera attività. Proprio in (  secolo l'Inghilterra cessava di essere un paese esclusivam(     (1) Wundt: Op. cit., Lib. II, e. ni.      -   agricolo per divenire in un certo grado paese commerciale  e manifatturiero; la proprietà mobiliare frutto del lavoro si  affermava vigorosamente di fronte alla proprietà terriera,  nata dalla conquista: cadevano le corporazioni d'arti e me-  stieri, i monopolii, i privilegi; lo Stato cominciava a legit-  timarsi in proporzione della libertà e dei vantaggi che de-  rivavano all'individuo (1). L'individualismo economico metteva  capo all'individualismo politico: una trasformazione in senso  democratico dello Stato si rendeva oramai inevitabile; a mi-  sura che la coscienza della propria forza si diffondeva nella  classe media lavoratrice cresceva l'avversione contro il lusso  smodato di Corte, contro le arbitrarie imposizioni, contro le  indebite ingerenze dello Stato, di cui volevansi ridotte al mi-  nimo le funzioni, e si voleva controllata l'azione nei rapporti  coi cittadini. L'individualismo economico e politico traeva  nuova forza dalle credenze religiose sorte dalla Riforma Pro-  testante. Il Calvinismo penetrato in Inghilterra nella sua forma  più rigida, aveva prodotto i Presbiteriani scozzesi, e i Puri-  tani inglesi. Era appunto nell'essenza del Calvinismo demo-  cratizzare le credenze religiose, porre l'uomo in rapporto di-  retto colla divinità, farne l'interprete della legge e della vo-  lontà divina, senza bisogno di intermediarii, che facevano ser-  vire la religione a scopi ambiziosi e politici.   Il trionfo dell'individualismo nelle sue diverse forme non  fu senza contrasti: esso lottò contro le tendenze reazionarie  e assolutiste del potere regio che ebbe ad alleata docile e  passiva la Chiesa anglicana o episcopale. Non rimasero i forti  pensatori dell'epoca estranei e indifferenti alla lotta: tra tutti  si distinse l'Hobbes, la cui dottrina concepita quando più acca-  nita ferveva la lotta, trovò eco profonda negli animi. E l'in-     (1) Cfr. per le condizioni economiche deU* Inghilterra in quest'epoca il  Cnnningham, « English Commerce and Industry « (II, p. 67-97) — per  le condizioni politiche il Burgess, « Politicai Science and Comparative  Constitutional law » (Voi. I, Bk. iri, e. 1) — per le condizioni religiose  il Ruffini, « Libertà religiosa » (Voi. I, e. iii, J 11).     Digitized by VjOOQ IC     - 61 —   fluenza da lui esercitata fu in proporzione del disinteresse e^  della sincerità dell'opera sua di scrittore. All'assolutismo non  fu condotto da motivi di interesse personale, ma da quello  stesso individualismo che trionfo colla Rivoluzione, e che in  niun tempo trovò un più forte e convinto sostenitore; ma ap-  punto per ciò parve all'Hbbbes che l'assolutismo solo potesse  contenere lo sfrenato egoismo della natura umana. Il vecchio  e il nuovo vengono pertanto stranamente a incontrarsi nella  dottrina dell'Hobbes senza confondersi (l): la base psicologica  del suo sistema, rispondendo ad un lato costante della natura  umana, potè vivere di vita propria, e servir di punto di par-  tenza allo sviluppo ulteriore del pensiero etico inglese, indi-  pendentemente dalla forma politica da lui vagheggiata. Per  opera dell'Hobbes penetrava nel campo della speculazione fìlor  sofica e sopratutto delle scienze morali quell'individualismo,  che fino allora ne era stato lontano per l'influenza delle op-  poste teoriche del diritto divino, e della morale cristiana, e  vi penetrava nella sua forma più rigida senza temperamenti  di sorta. Di qui la importanza e il significato della dottrina  etico^iuridica dell'Hobbes.   36. — L'Hobbes intese sopratutto col suo sistema risolvere  un problema politico, e a questo subordina come mezzo al fine  la morale e il diritto. Anche sotto tale aspetto più che a  Bacone egli deve riconnettersi a quella corrente generale di  pensiero, che originatasi dalla Riforma e svoltasi nella for-  mazione degli Stati moderni, aveva elaborato il concetto di  una legge di natura, ossia di una norma ideale, morale e giu-  ridica ad un tempo, tratta dallo studio della natura umana,  su cui dovevansi modellare i rapporti politici. Ma contraria-  mente al Grozio e ai cultori del metodo razionale, l'Hobbes  nello studio dell'uomo e nella concezione di uno stato e di  una legge di natura diffida della ragione e della storia, e si     (1) Con frase felice U Tulloch chiama THobbes « un radicale a servizio  della reazione ».      —   si esclusivamente dei risultati   condotta con criterii empiri  % lui come a un precursore d  5 altri si preoccupa delle esig  lobbes con concetto assai più r   dell'operare umano, e sili i  eri, della osservazione psicolc  il suo sistema. Quindi è che   Hobbes devonsi, secondo noi,  ma fondata sull'osservazione ]  jato carattere empirico-indutti   i risultati della prima ha car  r runa l'Hobbes sopravive a' s  iza per l'elaborazione ulterio  •a partecipa alle astrazioni mei  mpo psicologico Hobbes è un  ) nell'uomo due sostanze, ma (   psichici; il moto dei corpi si  ai nostri sensi, che lo trasmett  : segue la sensazione, ossia ui  reazione dall'interno all^esteri  d allontanare l'oggetto esterno   od ostacola la vita, ossia a i  ile : effetti soggettivi concomitj  e e il dolore. Il piacere è la mis  . In questa concezione material  ra si fondano la moralità e il erò non perde nella società civile la sua perso-  ica e morale: lo Stato riposa pur sempre sul ta-  > e sulla tacita cooperazione degli individui e la  rova limiti efficaci in una saggia separazione di  )ntrollo permanente del popolo, nella legge stessa  cui le leggi civili non possono contraddire (3).  nenticare che nel sistema politico di Locke spiega  )cisiva la pubblica opinione, le cui norme rispon-  sialmente a quelle della legge di natura, modifi-  . costume e dagli usi locali, sono tali da tenere  acemente cosi le azioni dell'individuo come quelle  iti.   sistema etico-giuridico del Locke, come in quello  due diversi indirizzi convergono, l'indirizzo utili-  ;o, e l'indirizzo metafisico-razionalista, proprio dei  iritto naturale. È innegabile che nella determi-  flne e dei motivi della moralità, egli continua e  3todo di osservazione psicologica iniziato dal-  i senza allargarne i limiti fino a comprendere gli  ili tra le condizioni della felicità e i motivi di  combattere poi l'innatismo, egli rappresenta un  presso sull'Hobbes, in quanto dischiuse la via, da   non percorsa, alla conoscenza sperimentale e po-  moralità.     e. II.   e. vr, VII e viir.   cìt., e. X, Bull^Bsteusione e limiti del potere legislatÌTO.      —   D'altro canto nella parte ricostruttiva il Locke è un ra-  zionalista, subisce l'influenza della scuola del diritto naturale,  e segue con Cumberland l'indirizzo di Grozio distaccandosi  dall'Hobbes e dalla sua dottrina. Infatti nel Locke il concetto  della legge di natura presenta un carattere di universalità  e di obbiettività che in Hobbes originariamente non ha, e la  sua teorica del governo, scritta à giustificazione di fatti com-  piuti, e rappresentando le aspirazioni popolari è le idealità  politiche de' tempi nuovi, era destinata a esercitare un'in-  fluenza notevole in Francia ove la trasformazione sociale ed  economica in senso individualista stava iniziandosi. La con-  cezione della legge di natura, come norma razionale, il con-  cetto dell'individuo fatto sovrano ed esecutore della medesima,  i principii della sovranità popolare, d'uguaglianza, della sepa-  razione dei poteri sono dal Locke enunciati nella forma più  suggestiva e diventano patrimonio comune delle coscienze  nuove. Ma se era più consentanea alle aspirazioni^e alle esi-  genze razionali dell'epoca, la teorica del Locke mancava di  quel fondamento positivo che riscontrasi invece nell'Hobbes,  la cui dottrina dello stato di natura, fondata sull'osservazione  ristretta ma vera della natura umana, si ravvicina ne' suoi  risultati assai più che non quella del Locke alle reali condi-  zioni dell'uomo preistorico.   La teorica della legge merita speciale attenzione in Locke  come quella che rappresenta un tentativo fatto per distin-  guere la morale dal diritto e stabilirne i rapporti reciproci  sopra una base nuova, suscettiva di svolgimento e di progresso.  In omaggio alle idee dominanti il Locke assorge al concetto  di una legge di natura generatrice di ogni altra, misura ob-  biettiva, universale, immutabile della condotta in generale:  ma questa legge soddisfa ad una esigenza puramente teorica  e ha una esistenza ideale, mentre nel fatto si risolve in  legge civile e in legge del costume, che rispondono rispetti-  vamente alla legge giuridica e alla legge morale. L'ordine  naturale obbiettivo rappresentato dalla legge di natura *i     Digitized by VjOOQ IC     —   operatasi in- quel secolo per parte dei non -conformisti, là  quale colla lunga oppressione scosse 1* influènza tirannica della  Chiesa ufficiale. A. misura che il dispotismo politico e religioso  perdeva terreno cresceva l'interesse per le indagini di natura  morale, e civile. Hobbes e Locke avevano posto i germi per  un nuovo orientamento degli studi morali, iniziando l'indagine  psicologica: ma mentre l'uno fu indotto dalla logica inesorabile  de' suoi principii a soffocarne i risultati nel dispotismo, l'altro  cercò temperare le premesse psicologiche, ancor sempre ri-  strette e unilaterali, facendo ricorso ad elementi razionali. Il  dualismo tra ciò che era risultato dell'analisi psicologica e le  esigenze della ragione e della pubblica opinione, si risolve  dopo Locke in due indirizzi distinti, personificati nel Clarke  e nello Schaftesbury.   Nel Clarke (1) la ragione riacquista intero e incontrastato  quel primato nella formazione della moralità e del diritto che  la scuola empirica tendeva a scuotere in favore della volontà:  movente all'azione e criterio di moralità è l'evidenza e la cer-  tezza dei principi! morali, non innati nell'uomo o rivelantisi  intuitivamente all'intelletto, ma razionalmente dedotti dai rap-  porti immutabili e naturali delle cose. Le idee morali e giuri-  diche vengono per tal modo a confondersi colle verità intel-  lettuali, la necessità lògica si converte in necessità morale, e  il dovere diventa Passenso necessario dato alla suprema ra-  gione delle cose. Il razionalismo penetrava col Qlarke in In-  ghilterra, distinguendosi a un tempo dall'innatismo professato  anteriormente dalla scuola di Cambridge, dall'intuizionismo  posteriore del Butler e del Reid: esso rispondeva alla segreta  ispirazione di molti di trovare, secondo il concetto espresso  dal Locke, alla condotta una base cosi sicura come quella tro-  vata da Newton alla meccanica. Ma tale indirizzo inteso a  fondare le scienze morali e giuridiche su principii astratti     (l) Cfr. del Clarke Topera pubblicata nel 1705 col titolo: « A Biscourse,  concerning the Being and Jttrihutes of God ecc, >.          fm^     —  -•   il quale, sottratto alla ragione e alla riflessione, è fondato sul  senso, divenuto capace non pur di impulsi egoistici ma anche  altruistici. Con Schaftesbury sono definitivamente acquistati  all'etica empirica due concetti nuovi: la naturalezza delle af-  fezioni socievoli, che concorrono coH'amor di sé a regolare le  azioni umane, — il senso morale, ossia un elemento tutto in-  teriore sostituito alla volontà divina e umana, alla ragione  stessa come criterio di approvazione, e fatto capace di de-  terminare all'azione. Senonchè il difetto di rigore scientifico  nelle affermazioni dello Schaftesbury, l'ottimismo esagerato che  lo anima tolsero efficacia e autorità alla sua dottrina, ugual-  mente combattuta da liberi pensatori come Mandeville e da  ortodossi. I germi da lui posti furono raccolti e innalzati a  dignità di sistema da Hutcheson, il noto fondatore della Scuola  Scozzese.   Nell'Hutcheson il problema della condotta assume l'ampio  e sistematico svolgimento, di cui dopo il Cumberland. non si  aveva avuto esempio (1). Anche per Hutcheson fonte origi-  naria della vita morale e giuridica è il senso morale, elevato  a criterio modellatore e ordinatore degli affetti umani, tra i  quali esso dà il primo posto alle affezioni benevoli, aventi un  grado diverso di estensione e quindi di eccellenza intrinseca.  Dalle forme della simpatia, pietà, gratitudine, amore, affetti  domestici, amicizia, patriottismo, l'affetto benevolo si eleva  gradatamente fino all'amore verso l'umanità in generale, spo-  gliandosi mano mano degli elementi impulsivi, violenti, egoi-  stici per raggiungere uno stato di calma determinazione verso  il bene di tutti (2). La ragione non spiega un'attività sua  propria nello sviluppo della vita morale ; essa deve solo con-     (1) Le opere principali di Hntoheson sono: An Inquiry into the Ori-  ginai of our ideas of Beauty and Virtm (1725-26), e qneUa postnma edita  dal figlio dell' A. nel 1755 : A System of Maral Philosophy, Ci siamo valsi  dì qaest'alttma peU'edizìone francese del 1770.   (2) Cfr. Sy steme, voi. I^ lib. I, e. IV, ove tratta del «enso morale.      —   ire e confermare sulle basi dell'osservazione e dell'espe-  a le naturali manifestazioni del senso morale. Dall'eser-  delle affezioni socievoli e disinteressate scaturiscono i  ri più puri e durevoli, e deriva all'uomo il massimo  : donde la perfetta armonia e corrispondenza tra virtù  icità. Il senso morale come ci fa rilevare la bontà, così  intuire il carattere del giusto nell'azione, carattere che  ^ela nelle affezioni tendenti al bene generale; vien cosi  nata la coincidenza tra bontà e giustizia, tra azione  a e giusta in guisa che basta agire bene per agire giusto,  me pertanto è il fondamento psicologico della morale e  liritto. Ma se l'intenzione è condizione necessaria perchè  :ione sia buona e giusta intrinsecamente (bontà aliate-  ), per gli scopi e le conseguenze pratiche della condotta  i, secondo Hutcheson, la bontà formale, ossia la confor-  anche solo esteriore ai dettami del senso morale (1).  ) spiega perchè Hutcheson passando dai principii teorici  costruzione concreta di un sistema di norme etico-giu-  fie si preoccupa sopratutto di assicurare la bontà for-  come quella che più interessa la convivenza sociale:  e scopo sostituisce al criterio soggettivo del senso mo-  il criterio oggettivo del bene pubblico . per determinare  oralità più propriamente la giustizia dell'azione, adot-  ) il principio che divenne in epoca posteriore la base  istemi utilitarii, ai quali prepara la formola (2). Preoc-  to quindi del bene pubblico e della bontà formale, l'Hut-  )n doveva insensibilmente esser portato a sacrificare alle  nze giuridico-sociali, gli interessi della moralità propria-  e detta : lo prova il fatto che nell'indicare le norme di     Cfr. Op. cìt.y ibid.y lib. Ili, ove spiega i concetti di giustizia e di  tizia^ di bontà materiale e formale, di diritto e di legge, di diritti  ti e imperfetti.   Ecco le parole precise di Hutcheson: « that action is best which  res the greatest happiness for the greatest numbers » . Questa for-  corrispoude a quella di Bentham.        1fVa«fr'J»K •?.!•"%     - 81 -   condotta esso segue il sistema e la classificazione dei giurisi  anziché quella dei moralisti (1). Questo costante equivoco ti  moralità e diritto si rivela ancora nella distinzione da li  posta tra diritti (e quindi obbligazioni) perfetti e imperfetl  di cui solo i primi sono assolutamente necessari alla vii  sociale, e possono essere coattivamente imposti, mentre i s  libertà ; Voi. II, lib. II, in cui tratta del governo civile (e. iv), del co  tratto sociale (o. v), delle leggi civili (e. ix).   (3) Cfr. W. G. Miller, Laio of nature and nationa in Sootland, Edinbur  1896: saggio primo, p. 3-35 ove si tratta della filosofìa giurìdica del  Scuola scozzese, e in particolare del sistema dell' Hutcbesou,          -82 -   condotta. Senonchè il fondamento  ra capace di analisi ben più pro-  lato della dottrina dell'Ha tcheson  th, per opera dei quali la teorica  lo deirosservaÉione psicologica ap-  )lsero e si perfezionarono.  'Hutcheson nel campo delle scienze  dell'Hume e dello Smith ed ebbe a  a. La rivoluzione del secolo XVII  ilterra la triplice trasformazione  ja. Col trionfo del sistema paria-  io, della libertà religiosa sull'in-  a libertà economica sul protezio-  Llismo sotto tutte le sue forme si  dominio incontrastato. Nella Scozia  storiche, la rivoluzione aveVa pre-  antesimo contro il sistema episco-  il trionfo della libertà nazionale  da un lato, dell'intransigenza re-  :ico dall'altro (I). La lotta politica  luove energie commerciali e indu-  cata da questioni religiose: epperò  entrambi i paesi conseguita, essa  pagnata e integrata dalla libertà  necessario che l'annessione della  enuta definitivamente nel 1707, e  a rivoluzione, esplicassero i loro  esse scuotere il giogo della super-  , religiosa. Né deve far meraviglia  III, proprio quando più fioriva lo  storia del pensiero uomini come  le loro dottrine, contrarie all'in-  , non trovarono eco nella Scozia,   M)«a, Torino, Boccs^, 1901, 1, e. iii, p. 166.     -   mentre esercitarono grande influenza in Inghilterra, ove fu-  rono apprezzate e discusse : secondariamente Tesser essi nati  e cresciuti nell'ambiente scozzese spiega le caratteristiche  del loro intelletto, e sopratutto la natura del metodo seguito,  che «fu essenzialmente deduttivo e contrario all'induzione em^  pirica dominante in Inghilterra. Vedemmo l'Hutcheson trarre  dal postulato indimostrabile del senso morale tutto il suo  sistema filosofico: analogamente fece lo Smith movendo dalla  simpatia: l'Hume fu avversario dichiarato dell'indirizzo ba-  coniano, e subordinò costantemente il fatto all'idea (1).   Speciale importanza hanno l'Hume e lo Smith in ordine alla  determinazione del rapporto tra morale e diritto: per opera  loro il problema si avviò verso una soluzione che fu sotto  molti aspetti notevole e decisiva.   43. — L'osservazione empirica della natura umana confer-  mata dall'esperienza fece convinto l'Hume che esiste un'attività  interiore originaria e istintiva, il senso morale che determina  all'azione, e che la ragione può solo regolare ed esplicare.  L'Hume non si preoccupò tanto dì studiare direttamente  questa facoltà innata dell'uomo e di penetrarne la natura,  quanto piuttosto di rilevarne gli effetti e le manifestazioni  oggettive e soggettive. L'azione determinata dal senso morale,  ossia l'azione virtuosa è oggettivamente utile, soggettivamente  piacevole: perciò il giudizio sulla moralità dell'azione, il mo-  tivo dell'approvazione e disapprovazione morale, la determi-  nazione di ciò che l'Hume chiama il merito personale si ri-  solvono oggettivamente nella valutazione del grado di utilità  inerente all'azione, soggettivamente nell'intensità del piacere  provato. Né si creda che l'Hume limiti le manifestazioni del  senso morale all'utile e al piacere individuale : egli riesce a ge-  neralizzare e ad umanizzare i concetti dell'utile e del piacere  mediante la simpatia, per la quale ciò che è solo utile ìndi-     ci) SaUe condizioni politico-sociali della Scozia in quest'epoca e sopra-  ttutto si^l ci^rattere della filosofia scozzese cir, i} Btickle, Op. cit» 9, xx,          e piacere soggettivo e variabile diventa utile generale  e comune. Il senso morale e la simpatia vengono per tal  costituire i motivi psicologici della morale dell'Hume,  l'utile e il piacere in senso largo ne costituiscono le ma-  ioni e i criteri di valutazione pratica e immediata. Ma  l'minatezza di tali concetti allarga oltre misura il campo  3rale fino a comprendere in essa, secondo il concetto  ;uttociò che è naturale : il dissidio dell'etica cristiana  ihe è utile e piacevole e ciò che è razionale e morale, tra  ha carattere obbligatorio e ciò che è meramente spon-  istintivo è pressoché scomparso nell'etica di Hume.  Pochi come Hume hanno inteso e accentuato la distin-  a morale e diritto. L'Hume non era solo filosofo ma  ippassionato, e autorevole parve ogni qual volta emise  rere sopra questioni economiche, politiche, religiose (1).  e e diritto non hanno comunanza di origine, di natura,  >. Mentre la morale si svolge dall'intima costituzione  tura umana, la giustizia si origina per riflessione dalle  ì della civile convivenza. La giustizia non può conciliarsi  ito di natura quale era descritto dall'Hobbes, che la  resa impossibile, e neppure collo stato di natura imma-  ni Rousseau, che l'avrebbe resa superflua; essa si svolge  lente colla convivenza sociale, nella quale essa tende  to a garantire la proprietà privata. La morale si svolge  riduo, e alla felicità dell'individuo intende: i suoi pre-  nno carattere di spontaneità e di indeterminatezza,  3lli che si fondano sul senso morale, proprio di ciascun  e di natura misteriosa. La morale si vale essenzial-  jlla cooperazione dei singoli, e le fasi del suo progresso  rapporto col grado di sviluppo e di perfezione rag-  agli individui. La giustizia non trae origine dal sen-     'anno prova le sue notevoli opere storiche, e i saggi namerosi  )ta, suUa bilancia commerciale, sul credito, snU' interesse ecc.,  noto saggio : The Triturai hUtory oif religion»          iimento ma dalla ragione: essa ha costantemente di mira  l'interesse del tutto, alla cui stregua e non a quella dell'in-  dividuo le sue norme devonsi valutare e giustificare. Frutto  di calcolo e di riflessione, imposte dalla necessità della con-  vivenza, le norme di giustizia costituiscono altrettanti attentati  alla libertà e felicità dell'individuo; quindi mentre sono coat-  tive, devono essere al minimo ristrette, precise, determinate.  Le norme morali sono come le pietre ciascuna delle quali  concorre all'erezione dell'edificio; le norme di giustizia sono  come la volta che sta per la mutua cooperazione di tutte le  sue parti non per l'azione isolata delle singole pietre che la  compongono. La natura stessa della giustizia rende inevitabili  gli Stati e i governi, che la conquista e l'usurpazione più che  il consenso fanno sorgere, e che l'azione del tempo e il con-  solidarsi degli interessi finiscono per legittimare (1).   La figura di Hume ha un'importanza notevole nella storia  delle idee morali e giuridiche dell'Inghilterra: egli riassume  per molti aspetti il passato e prelude a nuovi indirizzi di pen-  siero. Concorda coU'Hobbes e col Locke nel rilevare il carattere  razionale o convenzionale delle norme di giustizia: con Hut-  cheson difese la morale del sentimento contro gli Intellettua-  listi : nel ridurre al minimo l'azione dello Stato, nel restringere  la giustizia alla difesa della proprietà egli subì l'influenza  dell'individualismo dominante all'epoca sua in Inghilterra:  nell'importanza data ai concetti della simpatia e dell'utile apri  la via da un lato allo Smith dall'altro lato al Bentham.   Sintomatico per il metodo è il dispregio che Hume ebbe pei  fatti (2), a cui raramente fece ricorso per confermare le sue     (1) Le dottrine etico-giuridiche deU' Hume sono contenute particolar-  mente nei seguenti saggi : 1) e An inquiry concerning the principles of  morals »; 2) « Of the origin of goyerument »; 3) « That polìtìcs may be  reduced to a scìence »; 4) « Of the first principles of government »; 5) « Of  the originai contract ».   (2) Questa è la ragione per la quale THume fu ingiustamente severo  nel giudicare Bacone* Cfr. Ektory ofEngland, Lond» 1789 t« vi, p. 194-19d«          ai quali ad ogni modo riservò un posto secondario e  aato alle idee. L'eccezionale acume e potenza d'intel-  rmise all'Hume di intuire il vero, e di trarre da' suoi  lì conseguenze non contradette dai fatti (1): per lui la   la religione, il diritto hanno un corso naturale, che  me solo può determinare, e che spesso contraddice alla  storica (2): determinare questo corso ideale delle cose  Ito precipuo della filosofia.   - L'analisi dei sentimenti in quanto sono stimoli all'o-  umano fu con larghezza e originalità di vedute conti-  la un terzo grande pensatore scozzese. Adamo Smith,  isse con metodo deduttivo tutta la sua dottrina eco-  dall'esame dei sentimenti egoistici, cosi come fece dei  inti altruistici o simpatici la base della vita morale.  > oeconomicus da un lato, l'homo eihicus dall'altro  secondo lo Smith, a movente dell'azione sentimenti   Moral sentiments e Wealih of nations anziché con-  5i, come vogliono alcuni, si completano a vicenda e  )no due esempi insuperabili di astrazione psicologica  a con logica geniale e rigorosa (3).  mpatia è un sentimento originario e irreducibile dei-  associato. Essa consiste in un accordo di sentimenti,  accordo ha luogo in noi, quando i sentimenti che  agnano l'azione nostra si accordano coi sentimenti di  30sto spettatore imparziale, che si erige a giudice in     provano le sne affermazioni geniali e confermate dagli stadi pò-  iiU' origine deUe religioni e dei governi, sulla condizione deU'uomo  1^ sai fenomeni economici ecc.   a deUe opere pili originali di Hume è The naturai history of re*  cui arriva alla conclusione vera che il politeismo ha preceduto  n monoteismo : la prova però che ne dà è essenzialmente teorica  ca.   le osservazioni del BUckle, Op. cit. e. xx, sul metodo seguito  th, e sui caratteri della sua filosofìa. Cfr. anche Lange, Histoire  aliarne f Paris, 1879, Voi. ii, p. 684-685. Lo Smith pubblicò The   moral sentiinente nel 1759 e nel 1776 pubblicò Wealth of nations.          'i«^r:     noi di noi stessi ; ha luogo fuori di noi quando il nostro sen-  timento si accorda coi motivi e col l'intenzione dell'agente da  un lato, coi sentimenti della persona che è termine dell'azione  dall'altro (1). L'Hume fece scaturire la simpatia dalla consi-  derazione degli effetti utili e piacevoli dell'azione : non tenne  conto dello stato emotivo proprio di chi compie l'azione e di  chi la riceve. Lo Smith più che agli effetti esteriori dell'azione  rivolse la sua attenzione al sustrato psicologico dell'azione  stessa, e distinse nettamente la simpatia diretta o soggettiva  coi motivi e l'intenzione dell'agente, la simpatia indiretta o  oggettiva collo stato d'animo della persona a cui l'azione si  riferisce. Dire che un'azione è conveniente o sconveniente,  buona o cattiva, significa solo simpatizzare o non simpatizzare  colla causa o coi motivi che determinarono l'agente a com-  pierla. Questo senso di simpatia diretto che nel giudicare  l'azione nostra o di altri jion tien conto delle conseguenze  dell'azione, ma dell'accordo di sentimenti di chi giudica im-  parzialmente l'azione e di chi la compie costituisce il dominio  proprio della morale (2).   46. — Il fondamento psicologico della giustizia, che Hume .  aveva disconosciuto facendo della giustizia opera esclusiva  della riflessione e della ragione, deve ricercarsi nella simpatia  indiretta o oggettiva, cioè nella simpatia che nasce dalla cor-  rispondenza coi sentimenti di chi è termine dell'azione.   L'azione benefica o dannosa fa simpatizzare col beneficato  col danneggiato e desta in questi e negli spettatori impar-  ziali un senso di gratitudine o di risentimento verso l'autore.  In questo impulso retributivo, in questo stimolo al contrac-  cambio, che dalla persona interessata si diffonde a quanti  contemplano imparzialmente l'azione, noi troviamo la ragion  d'essere del merito e del demerito, del premio e della pena,     (1) Cfr. Theory ecc., Parte i, Seo. i, e. i.   (2) Lo Smith tratta della simpatia diretta o soggettiva nella Parte t  dell'opera sua; in occasione dei giudizi sulla proprietà delle azioni.          «^ 88 ^     ^^"^i^mm     erio per distinguere le azioni beneficile é le  Le manifestazioni della beneficenza sono posi-  mo limite nella loro esplicazione: il senso di  lanifesta sopratutto negativamente quando cioè  )voca la reazione e la pena. Le azioni che non  danno né vantaggio, che non meritano né premio  destano né simpatia né antipatia, o in altre pa-  Ltudine né risentimento, costituiscono la classe  giuste, in quanto rivelano in chi le compie il  intimento di giustizia, ma non l'animo disposto   1).   Smith che il senso naturale di simpatia può  ,to (2). Non sempre noi siamo in condizione di  idici imparziali e sereni delle nostre azioni: le  itutto tendono a corrompere il nostro giudizio e  Lizzare con motivi d'azione non degni di appro-  ?o canto nel giudicare le azioni da altri compiute,  3re tratti in inganno dai risultati meramente  ?imii dell'azione, dall'utile o dal piacere che ne  are. Non é a credere che lo Smith disconosca  li questi elementi estrinseci dell'azione: é prov-  e l'utile e il piacere da un lato, il successo  tino simpatia, e costituiscano un criterio pratico  ila bontà dell'azione: ma tali elementi devono  lostri giudizii, nel regolare la simpatia un posto  secondario (3).   re la serenità e imparzialità dei nostri giudizii  e il demerito dell'azione, si rendono pratica-     )atia oggettiva lo Smith tratta nella Parte ii Op. cit. in  itinieuto di merito o demerito deUe azioni. Sui rapporti  ) giustizia y. Op. cit. parte ii, sec. ii^ e. 1-3.  ò del traviamento del senso di simpatia, cfì*. parte ii,  parte in, e. 4.  3naa dell'utilità sul sentimento di approvazione, v. Op«         -8à -   inente indispensabili norme generali direttive. Queste norme,  che resp3rienza ripetuta, non l'intuizione, ha suggerito, si  presentano con caratteri e natura diversa, secondochè ten-  dono a regolare i'esplicarsi dell'attività benefica, oppure sono  dirette a impedire le lesioni del senso di giustizia: le une non  escono dal campo della morale, le altre hanno carattere pro-  priamente giuridico.   La natura della beneficenza è tale che non si presta  ad essere ridotta in formole precise e minute : il suo campo  è illimitato, opperò la norma che ne regola l'esplicazione  non può che esser vaga e indeterminata. D'altro canto il  carattere negativo della giustizia, ne restringe il campo di  esplicazione : le sue norme segnano i confini oltre i quali l'at-  tività dell'individuo, esplicandosi, lede il senso della giustizia:  pertanto devono essere precise, chiare determinate. Per ser-  virmi del paragone dello Smith, le norme di giustizia sono  come le regole di grammatica, poche, precise, determinate: le  norme di beneficenza hanno l'indeterminatezza e l'elasticità  propria delle regole del bello scrivere che ninno può precisare  e costringere in poche formole.   L'osservanza delle norme generali, sieno esse di beneficenza  di giustizia, è condizione di benessere e di sicurezza sociale.  Ma nulla è più contrario alla natura della beneficenza della  coazione: essa vive di libertà, di spontaneità. Per quanto  possa desiderarsi che i vincoli sociali traggano forza e con-  sistenza dall' affetto e dalla mutua assistenza, l'esercizio delle  virtù benevole può consigliarsi ma non coattivamente imporsi.  Ma se l'osservanza delle norme di beneficenza è condizione di  perfezionamento e di prosperità della vita sociale, l'osservanza  delle norme di giustizia è condizione di esistenza: la vita  sociale è possibile anche se i rapporti tra i suoi membri, a  somiglianza dei rapporti che sorgono tra i membri di una so-  cietà commerciale, non sono regolati dalla beneficenza, ma da  mere considerazioni di interesse: ma senza le norme della  giustizia si rende inevitabile la dissoluzione sociale, Che se sj          tien conto della naturale debolezza dei vincoli sociali di fronte  alla forza degli stimoli egoistici, si comprende come solo colla  coazione e con un ben regolato sistema di pene si può garan-  tire l'osservanza delle norme di giustizia, che rappresentano il  minimum di sacrificio individuale che la vita sociale richiede  per sussistere. Nei rapporti colla vita sociale, dice lo Smith,  lo norme di giustizia stanno alle norme di beneficenza, come  in un edificio il muro maestro sta alle decorazioni (1).   Mostrò peraltro lo Smith di avere della giustizia un concetto  non esclusivamente negativo : egli osserva che nello stato di  natura, cioè anteriore alla società costituita civilmente, tutti  essendo eguali, la giustizia non può avere che un significato  s erettamente negativo: ma nelle società civili in cui abbiamo  distinzioni di classi, in cui abbiamo superiori e inferiori, l'a-  zione dei governanti non deve solo esplicarsi nel senso di  impedire Vivjuria, ma deve promuovere la prosperità morale  dolio Stato imponendo norme positive di vera beneficenza. Se-  nonchè, osserva giustamente lo Smith, l'azione del legislatore  nel campo riservato alla beneficenza, quando non sia prudente  . e illuminato, costituisce un grave pericolo per la libertà, la  sicurezza, la giustizia (2).   Rimprovera lo Smith agli antichi di avere esteso l'indeter-  minatezza propria delle norme morali alle norme riferentisi  alla giustizia. Nel difetto opposto incorsero^ i casuisti medio-  evali nello sforzo fatto di sottoporre a regole minute e compli-  cate tutti gli atti della vita morale e giuridica degli individui.  I cultori del diritto naturale nel determinare le norme da im-  porsi coattivamente invasero bene spesso il campo riservato  alla morale. In tutti lo Smith nota la deplorevole coufusione  tra norme morali e giuridiche, il disconoscimento dei criteri  coi quali le une e le altre devono essere stabilite. Ammette     (1) Cfr. suU' origine delle norme morali, op. cit.. Parte III, e. 4 : sai  caratteri di tali norme, sui rapporti tra norme di beneficenza e di giustizia:  op» cit., Parte III, e. 5-6.   (8) Cfr, Op. cit., Parte II, Seo. II, o. 1.         - &1 -^   atìcóra lo Smith la ragiofle d'essere del diritto naturale, ÓSàia  di un complesso di norme generali e costanti, capaci di fornire  una meta ideale alle leggi positive (1). .   La dottrina dello Smith è un capolavoro di analisi psico-  logica condotta con metodo deduttivo. Per la prima volta ve-  diamo la questione dei rapporti tra morale e diritto risolta al  lume della psicologia. L'aver fatto astrazione dagli elementi  egoistici concorrenti nell'operare umano, giovò a mettere in  rilievo gli elementi altruistici o simpatici, di cui vivono sopra-  ttutto i rapporti morali e sociali, ma giustificò l'accusa di unila-  teralità opposta alla sua dottrina. L'analisi della simpatia ne  avrebbe certo allargato la base, non essendovi dubbio che a  costituire la simpatia concorrono pure elementi egoistici. Ma  il difetto maggiore della teoria dello Smith, difetto che nel de-  terminare 1 rapporti tra morale e diritto si rende più evidente, è  l'assoluta mancanza della veduta storica, la quale se non poteva  distruggere le sue affermazioni psicologiche, avrebbe giovato  certamente à completarle e ad estenderle.   47. — Il progresso delle scienze morali dall'Hobbes allo Smith  fu sotto ogni riguardo notevole : esso fu parallelo alla trasfor-  mazione economica, politica, religiosa che in Inghilterra si  andò attuando nei secoli XVII e XVIII. Hobbes e Locke inte-  sero sopratutto a emancipare le scienze morali dalla teologia  e trovare loro un fondamento nuovo : al principio divino con-  siderato dalla filosofia tradizionale come fonte di moralità,  l'uno sostituì la volontà del principe, l'altro la legge di na-  tura, elaborata dalla coscienza popolare e che si concreta in  legge civile e in legge del costume. I filosofi scozzesi affer-  marono il fondamento psicologico delle scienze morali, deri-  vandole dal senso morale e dalla simpatia. Ad essi dobbiamo  i primi tentativi fatti per distinguere la morale dal diritto.     (1 Notevole a questo riguardo la Sez. IV, Parte VII, Op. cit., circa  i metodi seguiti dai diversi scrittori nel determinare le norme pratiche  di moralità.          - 92 -   L* Hobbes e il Locke non intesero l'importanza teorica e pira-  tica di tale distinzione.   Le condizioni economiche e politiche dell'Inghilterra richia-  marono su di essa l'attenzione. L'invasione dello Stato o meglio  del principe nel campo riservato alla moralità, cosi come nel  campo dei rapporti economici, era norma dominante nel se-  colo XVIL La riforma protestante, lungi dallo scuotere, aveva  riaffermato tale principio. L'autorità civile in Inghilterra as-  serviva a sé la religione, mentre in Scozia ne era asservita.  In entrambi i casi il risultato era identico, il disconoscimento  (li ogni distinzione tra norme morali e giuridiche. Il movi-  mento individualista che si diffuse in Inghilterra nei secoli  XVII e XVIII rappresenta la reazione contro le indebite in-  gerenze dello Stato nei rapporti economici, religiosi e morali,  la difesa di ciò che parve patrimonio intangibile dell'indi-  viduo. La discussione circa i limiti del potere dello Stato nei  suoi rapporti coll'individuo, doveva teoricamente presentarsi  come questione concernente i rapporti tra morale e diritto,  e cosi fu intesa e trattata dall' Hume e dallo Smith. L'Hume  fa aperto avversario dell'invasione dello Stato nel campo dei  rapporti non solo economici, ma anche morali: secondo lui  l'azione dello Stato non deve esplicarsi che negativamente  e solo a difesa della proprietà, alla quale riduceva il con-  tenuto del diritto. A questo poi negava ogni origine psi-  cologica, limitandosi a giustificarne l'esistenza dal punto di  vista razionale e della necessità sociale. Lo Smith con veduta  più larga e scientifica ricerca nella natura stessa dell'uomo  un criterio di distinzione tra morale e diritto : Vimpulso re-  tributivo mentre provoca il senso di gratitudine verso l'azione  benevola, giustifica psicologicamente la reazione verso l'azione  ingiusta: né deve, secondo lui, l'azione dello Stato manife-  starsi in senso esclusivamente negativo, ma deve in deter-  minate circostanze, per quanto cautamente e colle dovute ga-  ranzie, potersi estendere a favorire il progresso morale. Se-  nonchò la storia posteriore delle scienze morali abbandona          l'indirizzo psicologico perfezionato dallo Smith, per riattaccar  all'Hume, il quale, avendo posto a criterio misuratore del bei  e del male, del giusto e dell'ingiusto il concetto dell' util  schiudeva la via a Bentham e all'indirizzo utilitarista. Ti  le cause di tale arresto devesi ricordare il metodo deduttr  seguito dallo Smith nell'indagine psicologica, metodo che i  chiedeva qualità personali di astrazione e di sintesi, poss  dute in grado eminente dallo Smith, ma non facili a riscoi  trarsi in altri. Si aggiunga che alle esigenze della prati-  parve meglio rispondere il criterio oggettivo dell'utile, ci  teneva conto delle conseguenze dell'azione, che non i crite  soggettivi fondati sui moventi psicologici o interiori dell'azioE  Che se la dottrina morale dello Smith per tali ragioni non e  venne popolare, ed esercitò scarsa influenza all'epoca sua  confronto alla dottrina utilitaria, essa però al risorgere de^  studi positivi di psicologia, fu in molte sue parti conferma  e apprezzata al suo giusto valore.   Che se vogliamo stabilire un parallelo tra la scuola d  diritto naturale in Germania, e quella empirica inglese in o  dine alla questione dei rapporti tra morale e diritto, noi tr  veremo che in entrambi i paesi essa fu provocata dalla n  cessità di difendere l'individuo contro l'ingerenza dello Sta  in materia di morale e di religione. Il movimento culmina  Germania col Thomasius, in Inghilterra con Hume e Smitl  senonchè là le resistenze furono maggiori, la questione fu sopr  tutto sollevata e con grande calore discussa dai giureconsu!  allo scopo di salvaguardare la libertà morale e religiosa, ment  irf Inghilterra l'invasione dello Stato fu sopratutto combattu  in favore della libertà economica. Ad ogni modo il risulta  finale fu in entrambi i paesi di mettere in rilievo l'import an:  teorica e pratica della questione.     Digitized by VjOOQ IC     §5.  Vlf>^itlxzo cmtt^mimtio ideile sclei^ze ff|otall.   SOmiABIO : 4& CftrtMlo • Tepoca ioa - 49. Cutesio • 1« loianM morali —  fio. Ma1«branoh« • V indiriuo piritaalitta-oartMÌano nella soienae morali —  61. L'Olanda a il iitama atico-ciuridioo di Spinosa S2. Le oondiaioni poli-  tloha rali^oM dalla Qar mania nal leoolo XV^II La dottrina etico-  giuridica di Leibnia L'opera metodica del Wolff Parallelo tra  l'indiriaio flloeoflco e ginridico nelle loienae morali.   Chiunque voglia ricercare le origini prossime dei  metodi e indirizzi diversi che si riscontrano nel campo delle  scienze morali dell'età moderna, deve risalire al secolo XVII  e precisamente ai tre paesi che di tali indirizzi furono i  centri di origine e di sviluppo: l'Olanda, l'Inghilterra, la  Francia. Dove la riforma religiosa gettò più profonde radici,  dove le mutate condizioni economiche affrettarono l'avvento  dello Stato moderno, ivi si svolse vivace l'opposizione allo  spirito teologico, e le questioni d' indole morale e politica sor-  sero numerose e insistenti. La Riforma non impedi anzi per  molti riguardi accentuò V intransigenza religiosa (1): le guerre  religiose divamparono ovunque con questo solo risultato di  rendere necessario l'intervento spregiudicato dello Stato, e  di far sentire il bisogno di dottrine politiche e giuridiche  dapprima, morali poi, indipendenti da ogni presupposto Teli-  gioso. Col comporsi delle questioni religiose l'attenzione fu  rivolta allo Stato e ai rapporti sorgenti tra Stato e individuo:  gli interessi morali e giuridici vennero per tal modo ad oc-  cupare il primo posto.   Questo processo storico, comune a tutti i paesi nei quali  penetrò la Riforma, si manifestò prima che altrove in Olanda,  Inghilterra, Francia: in questi paesi abbiamo con Grozio, con  Bacone, con Cartesio i fondatori dei nuovi indirizzi di pen-  siero, dei quali alcuni, come quelli di Grozio e di Hobbes     (l) Cfr. Ifuffini, Op. cit. I, e. 1, J 5,          * «n^;v;^r--jV' "     - 95 ^   farono direttamente determinati dalla necessità di trovare un  fondamento nuovo alle sciènze morali, mentre quelli di Bacone  e di Cartesio, mirando a un generale rinnovamento del metodo  e del sapere jOilosofico, solo indirettamente sovvertirono le basi  ti'adizionali delle scienze morali.   La Francia in particolare fu per oltre quarant'anni teatro  di sanguinose lotte religiose: la vita politica e intellettuale  del paese parve subire un arresto: più che la forza dell'armi  valse a predisporre gM animi alla conciliazione e alla tolle-  ranza lo scetticismo morale e religioso, che s' impadroni degli  animi stanchi e disillusi, e che rappresenta la reazione inerte  del buon senso, dello spirito laico e liberale contro il dogma-  tismo religioso, cattolico e protestante. Privo di ogni carat-  tere scientifico e ricostruttivo, tale scetticismo scaturiva dalla  impotenza, dalla sfiducia nella capacità intellettiva, e si svolse  sopratutto nel campo pratico per opera di quei cattolici mo-  derati, chiamati i Politici che formatisi tra l'intemperanza  e l'intransigenza dei partiti, furono efllcaci cooperatori della  politica illuminata e tollerante di Enrico IV. Rappresentanti  di questo scetticismo pratico e popolare furono il Montaigne  e lo Charron : essi non si fecero banditori di metodi e sistemi  nuovi, ma entrambi, e sopratutto lo Charron in forma garbata  si fecero a sostenere principii che in quell'epoca dovevano  sembrare rivoluzionarli, quali ad esempio che l'errore reli-  gioso non costituisce reato, che le opinioni religiose sono il  prodotto dell'abitudine, che le differenze che dividono intorno  ad esse gli uomini sono puramente formali, che è possibile la  morale senza il fondamento religioso. L'aver fatto buon viso  a quéste idee, l'esser stati i loro autori letti e apprezzati  prova non tanto che i tempi erano maturi per accogliere tali  principii, che lo spirito irreligioso e l'ateismo fossero diff*usi,  quanto piuttosto la stanchezza e l'impotenza degli animi a  reagire contro il diffondersi di tali idee che trovavano nella  storia dolorosa e recente qualche conferma. Ad ogni modo se  tala scetticismo non ebbe alcuna importanza teorica, ne ebbe     D     'VlOTQH     una grande pratica: esso preparò quello stato degli animi che  ;e possibile il trionfo di Enrico IV, l'Editto di Nantes, e  a politica inspirata non agli interessi religiosi, ma civili e  itici del paese. La politica di Enrico IV fu elevata a sa-  mie sistema dal Richelieu, di cui fu meta costante T inte-  nse dello Stato inteso come espressione dell'unità nazionale  'interno, come preminenza assoluta di fronte all'estero,  olto da ogni preoccupazione di classe, di religione, di mo-  e, umiliando all'uopo la nobiltà, reprimendo i tentativi di  lellione dei protestanti, facendo della tolleranza la base  ila politica. Al Richelieu deve la Francia nel secolo XVII  sua grandezza politica, il consolidamento dell'unità hazio-  le, il risveglio intellettuale. Ed è degno di nota che proprio  andò la politica del Richelieu aveva toccato il massimo  iluppo, appariva il « Discorso sul metodo » di Descartes, de-  nato a produrre nel campo filosofico effetti analoghi a quelli  eseguiti dal Richelieu nel campo della politica. Il successo  e l'opera di Cartesio incontrò in Fi*ancia, quando l'eco delle  te religiose non era ancor spenta, dimostra il progresso delle  je; al dubbio pratico sterile e vano sottentrava il dubbio  iagatore e scientifico (1\   L'influenza di Cartesio nella storia delle scienze  >rali supera per molti riguardi quella pur tanto notevole  ircitata da Grozio e da Bacone. A tutti fu comune l'av-  rsione verso i metodi e i sistemi tradizionali e teologici;  L se Grozio fu sopratutto preoccupato di sottrarre alla in-  enza della religione il fondamento del diritto e contrappose  metodo teologico il metodo storico-razionale che alla so-  done delle controversie giuridiche mostravasi particolar-  jnte adatto, Bacone, fatto audace dai progressi mirabili  Ila scienza, fu condotto a proclamare la generale trasfor     1) Cfr. suUe vicende religiose in Francia il Kuffini, Op. cit., I,  [V, § 15. — Sulle condizioni storiche deUa Francia U Bnckle, Op. cit.,  Viil#          - 97 -   mazione ^el sapere filosofico e scientifico, sulla  plicazione del metodo induttivo. Ma quel dualism  e materia che costituiva l'essenza della filosofia  e che Bacone aveva attenuato nell'unità del met(  risorge per opera di Cartesio, la òui dottrina se  della metafisica manifesta evidente la tendenza  lismo, cioè verso l'unità di tutte le cose nello sp  mantiene netta la distinzione tra materia estesa  appare essenzialmente dualistica nel metodo e nel (   L'aver accentuato questo dualismo permise a Ci  ad altri del suo secolo, di essere ad un tempo file  ziato: a tale dualismo provvidenziale devesi se (  volando sul rapporto" tra il mondo psichico e il  rale potè trattare con metodo soggettivo i fatt  accogliere nello studio della natura un metodo  duttivo, che si avvicina assai più di quello di Bz  processo seguito da chi studia la natura (2). Secc  la causalità domina sovrana nella natura fisica (  questa esula ogni .concetto di finalità: tutto v  forza di proprietà immanenti nei corpi e secondi  riabili, che la scienza deve determinare non eh  particolare al generale, come proponeva Bacone,  tosto alle cause reali dei fenomeni, ma piuttostc  corso ad ipotesi da controllarsi coU'esperienza (:   L'originalità e l'importanza di Cartesio più eh  delle indagini scientifiche, si esplicò sopratutto ne     (1) Cfr. La vi osa, Filosofia scientifica del diritto in Tngh  Claiison, 1897, p. 7.   (2) L'osservazioue e la denomiuazione di metodo ipotet  del La Ugo, Histoire du matérialismef Paris, 1877, Voi. I,  mazioiitì dui Lauge è vera e trova couferma in alcaui pai  sul Metodo; ma dove completarsi col metter in rilievo il  diverso che lo stesso Cartesio proponeva per lo stadio dt  e che i>nò considerarsi psicologìco-deduttivo.   (3) Sotto questo aspetto Cartesio cooperò efficacemente  materialismo. Cfr. Lange, Op. cit., Voi. I, p. 222 e seg      -   sofico. Le scienze dello spirito, di cui le scienze morali erano  parte integrante, all'epoca di Cartesio continuavano a mante-  nere stretti legami colla teologia. In questa parte Bacone fu  e rimase per lungo tempo nell'Inghilterra stessa un solitario.  K La filosofia che si svolse in Inghilterra sulle traccio di Hob-   bes, con tendenze essenzialmente pratiche, rifletteva troppo  / strettamente il carattere e le speciali condizioni politiche e   k religiose del popolo inglese per incontrare favore sul conti-    Spinoza riasHUiue hi dottrina cartesiana relativa al nirofoii(la che egli faceva tra il mondo delle idee e il mondo dei fatli.   (3) La quarta pai-te mpie in virtù  di sentimenti che il desiderio della vita ossia il desiderio a  perseverare nell'essere fa nascere: la nozione del male e del  bene sta nella tristezza o nella gioia che accompagna il desi-  derio contrastato o soddisfatto: questo stato psicologico unito  all'esperienza genera per gradi la nostra scienza e costituisce  la causa vera del progresso morale. E coli' elevazione morale  dell'uomo va di conserva la sua elevazione intellettuale. A  misura che l'uomo si fa libero cioè obbedisce alle determina-  zioni del suo proprio essere all' infuori dell'azione degli agenti  esterni, la visione dei rapporti delle cose in Dio si fa sempre  più adeguata, finché al sommo dell'evoluzione verità e virtù  si confondono nell'amore intellettuale di Dio, sintesi della mo-  ralità, della conoscenza, della felicità.   La dottrina di Spinoza segna un progresso reale e decisivo  nella storia delle scienze morali : essa costituisce il punto di  partenza di tutti gli indirizzi di pensiero che si delinearono  nella filosofia posteriore. L'indirizzo intellettualista che vo-  leva regolata la condotta su verità eterne, immutabili stabi-  lite dalla ragione, lo spiritualismo che poneva il fondamento  della vita morale in Dio, l'empirismo edonista e utilitario che  ricercava nell'uomo la tendenza affettiva sul cui predominio  doveva elevarsi la morale, tutti si riscontrano sapientemente  coordinati nella dottrina di Spinoza in virtù del negato dua-  lismo tra spirito e materia. La sua morale si svolge nell'uomo  stesso mediante un progressivo e autonomo perfezionamento  della natura umana che non contemporaneamente ma successi-  vamente é sentimento e ragione, necessitata e libera, egoistica  e altr teistica. Facendo 4el sentimento Jo stimolo cì\e sospinge     -   Tuomo a sublimarsi, a spiritualizzarsi, a' conoscere il pQsto  che occupa nel gran mare dell'essere, Spinoza evitò Terrore  fondamentale del razionalismo.   Spinoza fonda l'etica sull'egoismo, né parla di tendenze psi-  cologiche di carattere sociale: a questo riguardo subì l'influenza  dell'individualismo dell'epoca. Come per Hobbes e per Male-  branche cosi anche per lo Spinoza l'unione sociale è qualcosa  di secondario: l'uomo è un modo% di Dio, non è una cellula  dell'organismo sociale: la beneficenza attiva, le tendenze so-  ciali hanno valore subordinato alla personalità dell'individuo:  il determinarsi nell'operare da considerazioni altruistiche e  simpatiche significa rendersi schiavo di emozioni passive, e  trascurare quel perfezionamento interiore, su cui sopratutto  si fonda la vita morale. Ma individualismo e utilitarismo non  significano per Spinoza oppressione del prossimo, sete di van-  taggi esteriori: l'egoismo illuminato e sapiente si identifica  coll'altruismo: il vero utile è solo ciò che è razionale.   Da ultimo^ facendo l'uomo capace di elevarsi a Dio e di vi-  vere della vita stessa di Dio, Spinoza diede alla morale un  carattere profondamente religioso: l'individuo al sommo della  evoluzione intellettuale e morale si assorbe nella contempla-  zione di Dio. Per lui come per Malebranche l'assorbimento  dell'uomo in Dio è indice di perfezione e di scienza. Ma mentre  Dio per Malebranche è un principio vivo e reale che agisce  direttamente e attivamente sull'uomo, per Spinoza è un prin-  cipio razionale indeterminato, che risponde a esigenze razio-  nali. Il panteismo di Spinoza è geometrico, quello del Male-  branche è sentimentale. La religione di Spinoza è privilegio  di poche nature elette, capaci di abbracciare i profondi rap-  porti che legano Dio all'uomo: quella di Malebranche era pur  sempre la religione tradizionale e popolare nutrita di fede e  di amore, fondata sulle audaci e immediate intuizioni del  sentimento (1).     (1) Cfr. Jodl, Op. cìt., Voi, I. e. 10, 34 Abs., § 2; 4 Abs, ove tfatt^     -   sicurezza : per forza di cose sì forma sopra il diritto naturale  e il potere dei singoli, un potere e un diritto collettivo o ci-  vile, colla funzione speciale di mantenere tutti nella sfera del  diritto e di garantirne l'esercizio. Il potere collettivo, una  volta sorto, si organizza, diventa Stato e si svolge per^ gradi  secondo le tendenze proprie di ogni essere. Con una conce-  zione ancora inadeguata de' suoi scopi e delle sue funzioni,  nella necessità di affermarsi contro la prepotenza delle pas-  sioni individuali, lo Stato deve dapprima necessariamente  assumere forma dispotica : esso concentra in sé tutti i diritti,  regola con le sue norme le manifestazioni della vita politica,  intellettuale, morale e religiosa degli individui, eccede nella  sua azione ogni limite razionale. Ma il dispotismo, come già-  l'anarchia primitiva, trova in sé stesso rimedio. Esso ri-  sponde ad una condizione di cose necessaria ma transitoria:  unica forma di governo possibile quando si deve opporre la  violenza della repressione alla violenza delle passioni, esso  diventa, a misura che la coscienza di sé si risveglia nell'in-  dividuo, uno strumento sempre più debole e pericoloso di go-  verno (1). Lo Stato non può a lungo contare sull'obbedienza  puramente esteriore degli atti, quando ad essa si accompagna  la ribellione interna dei sentimenti. Epperò il passaggio dal  dispotismo a un sistema liberale di governo, diventa condi-  zione di vita e di durata per il potere sociale e si concreta  nella lotta per la graduale emancipazione dell'individuo dalla  tutela dello Stato, ossia per la graduale differenziazione tra  i diritti naturali e soggettivi da un lato, di esclusiva spettanza  dell'individuo, in ordine ai quali l'azione dello Stato non può  essere che negativa, e deve limitarsi a garantirne la libera     (1) Ad. Menzel, MaohiavelU-Studien in Zeitacrift fUr das Privai und  offent. Bechi (Voi. XXIX, fas. 3-4) tratta dei rapporti e analogie tra Ma-  chiaveUi e Spinoza. Questi cita lo storico fiorentino dae volte (Trac, poli-  Ucu8^ e. V, § 7 e Ct X, § 1) e mQstr^ di t^i^^^^lo ^^ grande consjd^razio^e,          - 116 -   iiritti oggettivi dairaltro costituenti la poten-  tto proprio dello Stato e che diventano per Tin-  a osservarsi nell'interesse collettivo. In Spinoza  mente espresso il concetto che lo Stato deve  sua azione di ogni considerazione di carattere  ISO (1). Qualunque riserva altri possa fare circa  ntendere il diritto naturale (2), non vi è dubbio  '0 filosofo seppe come Spinoza affermare con  diritti del pensiero e della coscienza indivi-  allo Stato. Nella dottrina sua politica si sente  >tta che l'individuo moderno doveva sostenere  patrimonio sacro de' suoi diritti naturali, cioè  che riflettono l'esplicazione della sua perso-  contro le usurpazioni del dispotismo. Più di  non solo intese ma vivamente senti il rapporto  'a morale e diritto, il quale rientrava nel con-  > tra individuo e Stato, contrasto che fu per  nello che era stato per il Medio Evo il con-  sa e Impero. L'ideale politico di Spinoza era  rmonica dell'individuo collo Stato, dell' inte-  ri pubblico, della libertà morale colla libertà  :ione morale nell'individuo, l'evoluzione poli-  devono procedere concordi e integrarsi reci-  regressivo riconoscimento da parte dello Stato  'ali, corrisponde nell'individuo una coscienza  ^ dell'interesse pubblico e una sottomissione  itanea e incondizionata alla volontà sociale,  odo gradualmente delineando quello stato di  'azione delle parti nel tutto infinito, che si     teol. pol.y e. XVIII e xx. — Cfr. Raffini, Op. cit.,   Storia della filosofia del diritto (tradazione Conforti, To-  II, Sez. I, p. 114. — Lor minio r, Philoao^hie du dvQitf  bro IV, § 7,          r     fili ijijj - U H^^     - li?-     presentava dapprima come una fanta:  gione umana (1).   La teoria teocratica del diritto di^  di Hobbes, la teoria del contratto so(  fendorf rientrano nella concezione spi  che nel suo sistema la potenza e qui]  partecipa della potenza infinita, ossi  che si genera, secondo Hobbes, dallo  sione e di guerra, secondo lo Spinoza  principio della evoluzione morale e se  la tendenza alla vita sociale sia con  tendenza a vivere, si può ben parlare  tratto tacito e spontaneo, inteso a re^  dividui e Stato, che sono poi i rappc  e giuridica. La logica dei fatti dove  delle idee: nessun altro sistema filosofi  trovò nella realtà storica tanta cor  incontrò la concezione etico- giuridic  nell'età moderna ebbe a lottare per  pregiudizio religioso, e al dispotismo  azioni ai principi di cui si fece soster  nel secolo XVII (2).   52. — Il Cartesianismo dalla Frane  fu alleato del dogma, daH'Olanda, ov  trionfo della ragione autonoma, si di  opera dei Leibniz, ingegno universale  seppe unire Tiramaginazione poetica d  e temperare gli slanci del pensiero C(  tica. Di mezzo al popolo tedesco, di  carattere, le aspirazioni, le condizion  missione, e più di ogni altro concorse a     (1) Cfr. Delbos, Op. cit., e. vir, vni.   (2) Cfr. Delbos, Op. cit., Farteli, ove tn  neU'età moderna.          di Stati, ne aveva posto in evidenza l'interna debolezza; tutto  era in essi da riformare e costituire; mancavano i criterii per  regolare i rapporti tra i vari Stati, tra l'autorità civile ed ec-  clesiastica, tra le varte confessioni religiose nello stesso Stato:  sopratutto importava garantire l' individuo, la sua personalità  contro le indebite ingerenze dello Stato e della Chiesa, alleati  a' suoi danni. Gli stessi problemi, le stesse difficoltà accompa-  gnarono ovunque il sorgere degli Stati moderni, e la loro so-  luzione fu compito speciale dei giureconsulti e dei cultori dei  diritto naturale (1).   Grozio in Olanda, Hobbes in Inghilterra avevano elaborato  sistemi etico-giuridici rispondenti alle esigenze razionali del-  l'epoca, e alle tendenze individualiste dei popoli moderni. Pu-  fendorf, conciliando i principi! di entrambi, raccogliendoli a  sistema chiaro e ordinato seppe renderli famigliari e noti in  Germania, dando loro una portata pratica che altrimenti non  avrebbero avuto. La scuola del diritto. naturale soprafatta dalla  filosofia in Olanda, dalla morale in Inghilterra, si svolse ri-  gogliosa in Germania, ove mantenne più a lungo il suo carat-  tere originario, e per oltre un secolo prevalse sopra ogni altro  indirizzo di pensiero: assorta a dignità di scienza sociale, e  politica essa forni le armi all'individuo in lotta contro il dispo-  tismo dello Stato e. della Chiesa ufficiale, per rivendicare le  sue libertà politiche e civili, religiose e morali. La questione  della libertà religiosa, quella dei rapporti tra morale e diritto,  altrove trattate da .filosofi, da moralisti, o da teologi, furono  in Germania discusse dai giuristi, come quelle che erano con-  siderate questioni essenzialmente giuridiche, che rientravano     (1) Sai Damerò e attività dei giarecoasalti pratici e filologi io OteV"  mania nel secolo XVII cfr. R. Stintzìug, Geachichte der deutechen Reohu  swi88en8ohaftf Mtiuchen - Leipzig, 1880, ove però nessana parte è fatta ai  enitori del diritto natarale. Sotto qaesto aspetto, e per la giarispradenza  tedesca del secolo XVIII è da consaltarsi la contìanazione dell'opera dello  Stinzing fotta da E. Landsberg ohe pubblicò nel 1898 il volome teraso  e quarto.      —   nelle questioni più larghe dei rapporti tra Chiesa é autorità  civile da un lato, tra individuo e Stato dall'altro. E mentre i  Pietisti rappresentavano la protesta del sentimento contro le  abitudini ufficiali ed esteriori della Chiesa, nonché contro  l'esclusione della comunità dei fedeli dal governo della mede-  sima, i giuristi, giovandosi della logica giuridica, prepararono  il trionfo della libertà religiosa e di coscienza, contrapponendo  da un lato al sistema episcopale il sistema territoriale^ che  limitava i poteri del sovrano al governo esteriore della Chiesa,  contrapponendo dall'altra alla varietà discorde delle confes-  sioni religiose, il concetto unitario di una religione naturale,  sulla base di pochi dogmi di carattere morale, da tutti facil-  mente accettabili (1). D'altro canto la distinzione tra forum  internum ed externuìn elaborata dalla scuola del diritto na-  turale, offriva un criterio empirico, ma praticamente oppor-  tuno per separare la sfera giuridica da quella morale e regolare  i rapporti tra individui e Stato.   53. — Per opera dei cultori del diritto naturale e dei Pie-  tisti il movimento in favore delia libertà si era diffuso in  Germania, destando le latenti energie del popolo, avviandolo  per vie nuove verso nuovi ideali (2j. Ad agevolare l'opera del  progresso, ad assicurarne i risultati concorse efficacemente il  Leibniz, a cui l'universalità e profondità dell'ingegno, i lunghi  viaggi compiuti in Francia, in Inghilterra, in ITALIA (3), le  estese relazioni coi dotti e i principi di ogni paese, giovarono  per prender parte attiva a tutte le correnti della vita pubblica e     (1) Cfr. Raffini, Op. cit., p. 232 e seg.   (2) Cfr. quanto da noi fa detto saUa Scuola del diritto naturale in Ger-  mania al § 3.   \ji) n Leibniz soggiornò due anni in Italia (1689-90) e vi conobbe BIANCHINIa Roma,VIVIANI a Firenze, GRANDI a Pisa, MURATORI a  Modena, MALPIGHI a Bologna. Abbiamo lettere scritte da Leibniz al  FardeUa, astronomo e filosofo a Padova, e poi dietro insistenza deUo stesso  Leibniz, nominato professor© di filosofia a Napoli. II FardeUa fu maestro  di Vico. — Cfr. Foucher de Careil, Nouvelles lettrea et opusoulee de  Leibniz, 1857, Introduzi ne.          dell'attività scientifica del suo tempo, e per farvi partecipa  suo paese. Tutta l'attività veramente prodigiosa di Leibn  costantemente rivolta ad armonizzare le vedute esclusive  dominavano all'epoca sua in politica, in morale, in fìlos  nelle scienze. Egli polemizzò coi Cartesiani per il metodo  Locke pel problema conoscitivo, coi giansenisti e con ^i  branche per questioni teologiche, con Spinoza pe' suoi prin  metafisici ed etici, con Pufendorf sul fondamento del di  naturale. Nell'opera sua filosofica convergono le corrent  pensiero più disparate, e dopo di averne rilevato le coni  dizioni, le esagerazioni, talora le riproduce corrette e :  grate, talora le ripudia ricostruendole su altre basi: se d  iato integra le idee di Cartesio e di Locke sul metodo e si  rigine dell'idee, dall'altra parte contrappone teorie sue prc  ai sistemi di Spinoza e di Pufendorf.   li Leibniz ha stretti vincoli colla corrente teologico-cc  siana che trionfava in Francia con Malebranche: come qi  era credente sincero. A Dio lo portava il senso dell'uni  dell'armonia dell'universo, acuitosi in lui per gli studi  scoperte fatte nel campo delle scienze fisiche e matemati  L'idea di Dio non lo lasciava indilferente, ma lo riempi\  entusiasmo, di gioia serena e tranquilla, gli comunicava  senso schietto e profondo di venerazione e di amore all'in)  e al di sopra di qualsiasi confessione positiva. Il sensc  reale e della vita in tutte le sue forme lo trattenne dal m  cismo e dalle esagerazioni del Pietismo; e mentre in IS  branche teologia e filosofia si compenetrano e quasi si  fondono, in Leibniz procedono parallele e distinte (1).   Nella restaurazione dei diritti della ragione contro i   spregio in cui era tenuta dagli scolastici e dai mistici, Lei   ben può considerarsi successore e continuatore dello sp   . cartesiano: ma allo stesso tempo non crede al contrasto j     (1; Sai rapporti tra Leibniz e MalebraDche cfr. Ollé-Laprunej  cit., Voi. II, e. 1.          — l22 —   /   da Cartesio tra ragione e fede e vi sostituisce la necessità del-  l'armonia; né partecipa alle esagerazioni dei Cartesiani del-  llepoca sua, che erigevano a dogma l'onnipotenza della ragione  e ripudiavano qualunque altra forma di conoscenza. Epperò  tra il Locke che considerava il senso esterno (sensazione)  integrato dal senso interno (riflessione) fonte di conoscenza  nel campo delle scienze morali e Cartesio che riconosceva  solo l'autorità della ragione, Leibniz si attenne a una via  intermedia, distinguendo il metodo razionale (anaZisis per  S2lium) diretto a disciplinare la ragione, a porla in grado di  sfruttare i dati del senso e dare chiarezza e precisione geo-  metrica alle verità conosciute solo imperfettamente e confu-  samente, — e il metodo naturale (analisis per gradus) che  procede per gradi dal noto all'ignoto, secondo la via offerta  dalla natura stessa, trasformando i problemi semplificandoli,  formulando leggi generali, su cui poter fondare il ragiona-  mento. L'autorità, l'esperienza storica, costituiscono un valido  aiuto per lo studio delle scienze morali, e utile freno alle  astrazioni e alle intemperanze della ragione (1).   In ordine alla dibattuta questione circa l'origine delle idee  che Locke sosteneva acquisite dal senso, i Cartesiani innate  nello spirito chiare e distinte, Leibniz sostiene che non dai  sensi e dall'esperienza solo noi deriviamo le nostre conoscenze.     1     (1) Cfr. God. Guil. Leibnitii opera philosophica quae exMant latina^ gallicaf  germanioa, edidit J. E. Erdmann (Pars prior) 1840. lu uua lettera a un  amico, 1695 (v. Erdmaun, p. 123) il Leibuiz dice,  (Erdmanzi) p. 669)«     Digitizedby Google I     -126-   e confuse dì Leibniz rispondono alle rappresentazioni adeguate  e inadeguate di Spinoza, e come questi supplisce la conoscenza  mediante Temozione, cosi Leibniz supplisce la rappresenta-  zione mediante lo sforzo, e la rappresentazione chiara mediante  uno sforzo chiaramente conscio che involge la felicità e con-  siste nell'amor di Dio e de' nostri simili. Leibniz facendo  dell'individuo specchio dell'universo e immagine di Dio veniva  a porre a ugual grado l'amor di Dio e del prossimo: e se si  pensa alla impossibilità di esercitare l'amore verso Dio, l'amor  del prossimo diventa sorgente precipua della moralità pra-  tica (1). In ciò veniva a distinguersi da Spinoza e da Male-  branche, i quali, assorti nella divinità, consideravano secon-  darie e derivate le tendenze altruistiche. Ancora distinguono  Leibniz da Spinoza l'ottimismo e l'idea di sviluppo: l'uno  procedeva dalla fiducia illimitata nelle energie inesauribili  della natura umana, l'altra dal considerare la tendenza alla  perfezione, legge fondamentale della natura e dello spirito (2).  Tali caratteri congiunti a un senso vivo di umanità che tra-  spira da tutta la sua concezione etica, spiegano l'influenza  grande che questa esercitò in Germania nel secolo XVIII.   Nel campo del diritto naturale (3) il Leibniz si pose in op-  posizione con Pufendorf, il quale dìscostandosi dalla tradizione  di Grrozio, tendeva a far del diritto l'espressione arbitraria  della volontà di un superiore, anziché derivarlo dai rapporti  eterni inerenti all'ordine naturale delle cose. La distinzione  tra forum internum ed eocternum posta dal Pufendorf per se-     (1) Cfr. Noìiveau eoe, lib. U, o. 20.   (2) Cfr. Nouveaueoc.f lib. II, e. 21.   (3) NeUa parte 3» del tomo IV, dell'edizione delle opere del Leibniz  fatta dal Datens, sono raccolte le piti note opere giuridiche del Leibniz:  ma molti altri scritti di natura giaridica rimangono inediti. L'edizione  pili recente e più completa delle opere del Leibniz è quella curata da  I. Geihardt, t Die phylosophischen Schriften von Leibniz », Berlin,  1875 1900: ma videro la luce solo sette volumi, e le opere giuridìcbe  non sono ancora pubblicate. — Cfr. sulle idee giuridiche del Leibniz il  Landsbefg, Op. cit., Voi. III, e. i, § 4, p. 23-31.      -   era morale dalla giuridica era un criterio dì di-  trinseco e artificiale. Nell'intenzione di Pufendorf  ternum era il campo proprio del diritto naturale,  )rum internum era dominio esclusivo della filo-  sa; con ciò estendeva oltre misura la sfera Mei  ^ale, mentre confondeva la religione colla morale,  [vendica alla filosofia il forum internum, e senza   i diritti della teologia vuol costituita su basi  strina razionale dei doveri interni, ch'egli chiama  :ale: d'altro canto non crede possa limitarsi il  liritto naturale ai rapporti esteriori di condotta,  ne delle obbligazioni verso Dio che si svolgono  della coscienza. Egli rimproverava al Pufendorf  i di attitudini filosofiche, che gli impediva di ri-  ncipii di ragione e derivare da essi la dottrina   diritto (1).   di diritto naturale che formano il contenuto della  nno con le verità etiche comune l'origine e lo  in quanto procedono non dalla volontà (Pufendorf)  iza di Dio (Spinoza) ma dalla sua infinità sapienza   dai rapporti eterni e immutabili inerenti alla   cose, e si riflettono nello spirito confusamente  di intuizioni innate e di tendenze altruistiche, da  )no per gradi sempre più elevati di perfezione la  ;a e la vita sociale. La giustizia è la virtù sociale  za, e di essa è anima la generosità per cui l'uomo  ce di compiere nei rapporti con altri, azioni ra-  e della sua origine divina. Definendo la giustizia  lientis » Leibniz la fa consistere nella benevolenza  ssia nell'abito di provar piacere all'altrui felicità     2k aspra che, contro il suo costume, il Leibniz move al  •ntenuta nei « Monita quaedam ad 8, Pufendorfii principia »  >0. cit.). .  rvationes de principio juris, § 9,     -   sotto la guida della sapienza, che è la scienza della felicità  individuale e sociale (1).   Il diritto ha uno sviluppo parallelo alla vita sociale, e  coU'ampliarsi di questa quello allarga il suo contenuto. Esiste  un diritto positivo e volontario frutto del costume e del volere  dei governanti: esso comprende da un lato il jus civile che  regola la vita interiore di uno Stato, e trae la sua forza da  colui che ha nelle mani il supremo potere, dall'altro il jus  gentium che regola i rapporti tra Stati diversi e si forma per  tacito consenso di popoli. Il diritto volontario o positivo svol-  gendosi tende a modellarsi sul diritto naturale i cui principii  si estendono oltre i limiti di uno Stato particolare per abbrac-  ciare la società del genere umano, e inspirarsi alle esigenze  razionali dell'uomo astrattamente considerato, sciolto dalle  limitazioni di tempo e di luogo, che sono una conseguenza  della sua natura animale. Il diritto naturale concepito dal  Leibniz come una facoltà naturale a cui risponde una neces-  sità morale (dovere, obbligazione) si manifesta sotto tre forme  che ne costituiscono altrettanti gradi di perfezione. Nel pe-  riodo primitivo di sviluppo delle società umane, il diritto si  manifesta nella forma di jus strictum, o di giustizia commu-  nativa che si inspira al precetto: neminem laedere^ precetto  che presuppone l'uguaglianza di tutti gli uomini, e risponde  alle più elementari e imprescindibili condizioni del vivere  sociale. In un grado più elevato di sviluppo sociale, le disu-  guaglianze derivanti dalle attitudini e dai meriti diversi, dalle  distinzioni di classe e di condizione civile, fanno prevalere il  concetto deWaequitaSy q della giustizia distributiva, che in-  spirandosi al precetto: unicuique suum tribuere, genera da  un lato doveri di indole morale (gratitudine, beneficenza),  dall'altro la facoltà di chiedere ciò. che per gli altri è solo  compito di equità prestare. Vi è una terza fonte di diritti e     (l) Sai concetto di giustizia cfr. le lettere (sopratutto la VII, Vili, X)  scritte dal lueibni? a Hea. Eru. Kestnertpn (si trovano nel Dutens),     -   di obbligazioni, la pietas, che si inspira al precetto: honeste  vivere, attua i fini della giustizia divina, scaturisce dall'or-  dine e armonia delle cose: essa risponde alle esigenze della  società universale degli esseri intelligenti che hanno comune  la credenza nella immortalità dell'anima e riconoscono in Dio  il reggitore supremo dell'universo (1).   L'uomo viene pertanto, secondo il Leibniz, a far parte d'una  triplice società, della società particolare di uno Stato, della  società più ampia del genere umano, della società universale  divina:. ognuna di queste società ha il suo legislatore, i go-  vernanti, la ragione. Dio; tutte svolgono il concetto di giu-  stizia, ampliandone progressivamente il contenuto, e gene-  rando una triplice serie di norme, civili, naturali e divine.  Ciò che trattiene l'uomo nell'ambito della legge e lo spinge a  conformare le sue azioni all'interesse collettivo, che è poi  quello della giustizia, non è solo la paura, l'interesse, l'egoismo :  3gli può essere tratto al bene e al giusto anche da naturale  propensione e rettitudine dell'animo, da energie altruistiche  ben più profonde ed efficaci, dall'amore, dalla pietà. Lo studio  poi delle azioni in quanto sono giuste o ingiuste, ossia in  [juanto sono utili o dannose in rapporto alle finalità proprie  di ciascun ordine di società, è compito speciale della giurì-  sprudenza, la quale, sfruttando le tendenze altruistiche del-  IHiomo, si fa interprete dell'interesse generale nel suo triplice  ^rado di sviluppo e detta norme dirette alla conservazione  B al perfezionamento sociale : « justum est quod societatem  ratione utentium perficit » (2).     (1) La teoria del Leibniz sul diritto naturale e sulle diverse fasi di svi-  luppo del medesimo è svolta nelle due dissertazioni premesse al « Codex  diplomaticus » .   (2) Cfr. doperà giovanile di Leibniz : Nova Mvthodus disoendae dooendaeque  jurisprudentia (1667). — In essa dice (Pars II, § 14): >S55l     — 134 —   notevole è il significato e l'estensione data  naturale. Nel suo concetto questo dovrebbe  ie di filosofia pratica universale, ossia di  ^ettiva, (1) a cui spetta porre i principii  me alla natura dell'uomo e delle cose: il  ipplicazione spetta all'etica soggettiva, (2)  mezzi per i quali l'uomo bene usando delle  ^uendo la virtù conseguire la felicità e ar-  one. In questa parte soggettiva il rigore  neno ed elementi eudemonistici e utilitari  r ai seguaci di opposti indirizzi di pensiero,  portanza dell'esperienza e del senso comune,  il dolore gli stimoli direttivi dell'intelletto  cita diventa l'indice misuratore della per-  >sta tendenza a fare del perfetto l'equiva-  concepire l'ordine delle cose da un punto  e utilitario, doveva insorgere il Kant. Ac-  :gettiva il Wolff riconosce la necessità di  le del diritto civile, destinata ad adattare  ùtto naturale alle esigenze della vita so-  [10 cerchiamo nel Wolff un criterio per la  zione del diritto civile rispetto al diritto  presenta l'insieme dei principii etici. La  itto perfetto e imperfetto, posta da Tho-.  tema del Wolff importanza secondaria, né,  1 Wolff indicò il criterio per distinguere  1 non coattivi.   nel Leibniz manca la coscienza della im-  ^uere la morale dal diritto; in quella vece      oggettiva è trattata dal Wolff neUa Philoaophia   >licata uel 1739.   ni è argomento della Philosophia moralis sive Ethica   ractata pubblicata nel 1750.   i d'essere delle InMHntiones juria naturae et gentium      -   abbiamo la tendenza a ricondurre entrambi a una fonte unica,  al diritto naturale. L'interesse collettivo distinto e indipen-  dente dal benessere individuale non fu inteso dal Wolff: la vita  sociale, e quindi il diritto che ne è l'espressione, devono so-  pratutto concorrere al perfezionamento e alla felicità dell'in-  dividuo: la perfezione altrui deve intendersi subordinatamente  alla propria e come mezzo per meglio perfezionare sé stesso.  Non si può però negare che la filosofia del Wolff, spogliata  della forma scolastica di cui egli si compiacque rivestirla,  era in istrettà corrispondenza collo spirito dei tempi, e pre-  parò quel' movimento illuminista, di cui l'eudemonismo, l'ot-  timismo, il perfezionismo individuale e sociale furono i ca-  ratteri più spiccati, e che cooperò efficacemente a sollevare  l'individuo contro le oppressioni dello Stato e della società.  55. — La corrente cartesiana nelle scienze morali dalla  Francia ove ebbe le origini si estesa all'Olanda e alla Ger-  mania: quivi solo trovò terreno favorevole al suo naturale  sviluppo: il genio profondo e conciliante del Leibniz seppe  tenerla ugualmente lontana dal panteismo mistico del Male-  branche, dal panteismo razionalista dello Spinoza e dischiuse  al Wolff la via per elevare un completo sistema che tutto  abbracciasse il vasto campo del sapere filosofico. In Germania  venne per tal modo delineandosi un sistema razionalista che  ne' suoi metodi, ne' suoi principii, nelle sue finalità si con-  trappose a quello che dopo Hobbes e Locke si era venuto  jS3rmando in Inghilterra per merito sopratutto della scuola  scozzese. Nel campo etico l' indirizzo tedesco movendo dal  concetto astratto dell'uomo, considerato particolarmente come  essere razionale, aveva prodotto un intero sistema rispon-  dente ad esigenze razionali, inteso a metter in evidenza  l'ideale etico più che l'aspetto concreto e storico della morale,  riuscendo per tal via al realismo e all'ottimismo etico: l'in-  dirizzo inglese poco tenero della logica concatenazione delle  idee, ma più direttamente interessato a rilevare gli elementi  soggettivi e irrazionali dell'uomo, fu indotto a trovare nelle      —     ^ ' ''AB     dsteriose regioni del sentimento il fondamento della vita  lorale. Ma entrambe queste correnti di cui l'una mette capo   I Wolff, l'altra all'Hume, obbediscono a esigenze filosofiche  hanno di mira la soluzione di un problema etico più che   iuridico. Se hanno strette attinenze colla scuola del diritto  aturale non la costituiscono essenzialmente, e rappresentano  iuttosto l'estensione dei principii etici a regolare rapporti  iuridici e sociali, di cui non intendono quasi mai la vera  atura e che subordinano quasi costantemente alla morale.   II particolare la corrente razionalista tedesca, se giovò a  ottrarre le scienze morali alla teologia e all'empirismo, osta-  olò sotto un certo aspetto il processo di differenziazione tra  fiorale e diritto, in quanto tendeva a ricondurre alla ragione  .stratta la morale e il diritto, perdendo di vista i caratteri  iifferenziativi, per accentuare a scopo di unità e di armonia   caratteri comuni.   A questo riguardo la scuola del diritto naturale o dei giu-  econsulti filosofi iniziata da Grozio e che in Germania so-  ratutto si svolse col Pufendorf e col Thomasius, mantenen-  [osi distinta dalla corrente filosofico-cartesiana, se non sempre  ibbedi alle esigenze logiche, mostrò di apprezzare al loro  :iusto valore i problemi interessanti la vita giuridica in  lontrapposizione alla vita etica. La coscienza di tale opposi-  ;ione appare sopratutto in Thomasius, a cui si deve il primo  entativo realmente efficace per separare la sfera giuridica  [alla morale. La scuola del diritto naturale venne pertanto  n Germania a scindersi in due campi nettamente distinti e  ;he si svolsero paralleli: l'uno filosofico personificato dal  Adolfi*, l'altro più propriamente giuridico personificato dal  ?homasius: a Kant spettava riassumerli nel suo sistema e  >orre su nuove basi il problema dei rapporti tra morale e  liritto.   VICO  6 le sciet^ze elicoH^iatiolicl^e It) ITALIA  Condizioni generali d'Italia. Galileo eia  filosofia naturale. Gli studi giuridici e il rinnovaménto della filosofia  in Italia. Vicende degli studi giuridici in Italia. Gli studi giuridici  in NAPOLI: giureconsulti pratici Il  progresso degli studi giuridici in NAPOLI:  giureconsulti eruditi : ANDREA (si veda) e GRAVINA (si veda). La Vita Civile di DORIA (si veda). Bisv«glio filosofico in Napoli. Posizione di VICO in ordine agli indirizzi filosofici del suo tempo. VICO contro Cartesio e la questione del metodo nelle scienze morali. Il criterio della verità in VICO. VICO e gli studi giuridici. La filosofia  del diritto nel Vico. Il rapporto tra morale e diritto. Il diritto nella  sua formazione storica. Diritto e scienza sociale. Le sorti di Vico e  i critici. Seguaci di Vico: STELLINI (si veda)  e DUNI (si veda). Nei principali paesi d'Europa  si va delineando la struttura dello stato tra le rovine dei rapporti feudali e dei privilegi municipali, in mezzo  agli sconvolgimenti delle lotte religiose sotto l'azione unificatrice delle monarchie assolute. Inghilterra, Francia, ed Austria si presentano potentemente unificate nella persona del sovrano, i cui interessi  parvero identificarsi coli' interesse generale del popolo. La  formazione dello stato si accompagna ovunque col  sorgere della scuola del diritto naturale, a cui spetta indicare i principi giuridici adatti al nuovo ordine di cose. A  questo movimento di concentrazione e di unificazione politica  che percorse l'Europa provocando il ridestarsi di energie  nuove, di una coscienza politica e civile moderna, RIMANE INTERAMENTE ESTRANEA L’ITALIA divisa in numerosi stati, deboli e  discordi i quali come assistettero senza commuoversi alle  controversie religiose e alle guerre di prevalenza con Francia, cosi accettarono senza opporsi le nuove condizioni  create dall'Europa alla penisola col trattato di Chàteau-Cambrésis. L'umanesimo se fa ri-vivere l'Italia nel passato  glorioso classico, l'ha distratta dal presente in cui si ma-    'XTT'    gl’eventi destinati a modificare profondamente il  ll'umanità. Manca all'Italia la coscienza di un in-  )ubblico e comune, intorno a cui raccogliere le energie  3, epperò doveva ricevere dal di fuori, da autorità  nemiche forza e impulso a progredire. La reazione e l'influenza, rivolgendo ai propri scopi e   le risorse economiche e morali di altri paesi, costituirono  ;e servitù politica e religiosa, che pesa per oltre un  ille sorti del popolo italiano.   atamente il sistema di governo inaugurato da Filippo  jna, fatto per rovinare e soffocare qualunque forma di  ì, ha in sé stesso molte cause di instabilità e di  i. La potenza veramente meravigliosa raggiunta dalla  lel XVI secolo, frutto di fortunate combinazioni sto-  ^ll'abilità tutta personale dei re che si succedettero da  do il Cattolico a Filippo II, non accompagnata da un  idente elevamento della coscienza civile e dell'intel-  popolo, non puo che essere transitoria ed  La politica di Filippo li, diretta a restaurare il Medio  )ffocare ogni manifestazione di vita nuova, a contra-  rcè uno spirito protettore violento e tirannico ogni   d’emancipazione intellettuale e religiosa, se era de-  . un sicuro insuccesso nei paesi nei quali lo spirito  Torma, come in Olanda, o l'influenza del classicismo,  Italia, oppone valida resistenza, trionfò pienamente  igna, dove l'alleanza secolare degli interessi nazionali  5i, i sentimenti di fedeltà e di riverenza tradizionali   alla estrema ignoranza e superstizione, tolsero al po-  ^nolo ogni possibilità di reazione. Per tal modo     Buckle e. xv ove si fa la storia dell'intelletto spa-  » età moderna, e si mettono efficacemente in rilievo le oaase di rispetto agli altri paesi. — È sintomatico il fatto  ffini, facendola storia della libertà religiosa nei di-  ì di Earopa non nomina, evidentemente perchè questa  porse l'occasione.         ^^^'      toccò iu sorte n  lo spirito reazionario e proto  berta e del progresso. In ciò  la quale, dopo di aver riform  Concilio di Trento, e di aver  i Gesuiti e l'Inquisizione, spiej  sistematicamente inspirata a  denza nuova.   E ripetuto e si ripete tut  corrente  e della (  unica della decadenza Italia  mazione deve rettificarsi di 1  delle condizioni d'Italia nel s  cadenza politica d'Italia in e  dominio  e alla reas  cercarsi nella sopravvivenza  avevan fatto l'Italia forte e fii  delle Signorie e del Rinascin  in Italia, come altrove, contri  mento protestante e dalla for  partecipò attivamente alle g  alle grandi lotte che commos  la sua non fu immobilità, sii  e ne segnò la decade  secolo XVII le idee, le passic  secolo anteriore attenuate o a  dell'Europa iniziano un nuovo  il passato per rinnovarsi dal]  il suo corso storico e trae da     La nota pessimista prevale nei  preconcetto porta Ferrari  a considerare conio e  si produsse di notevole in Italia. 1  fondamento di tali giudizi intorno  diamo il Forti (Istituzioni civilif F      -   gli elementi per rinnovare sé stessa. Il dominio potè  affermarsi e sostenersi giovandosi dell'indifferenza politica del  popolo italiano : ma se influi sulle forme esteriori di vita, non  ne estinse le energie intime e vitali : a misura che nel corso del seicento andò perdendo di autorità, di dignità,  di potenza, Tltalia vera, quella che sembra estinta sotto il  giogo straniero si ridesta, mostra di conoscere le nuove condizioni di vita moderna, si afferma d'un tratto tra le altre nazioni,  le precorre mostrando che la servitù politica e civile non significa morte d'un popolo quando l'anima si mantiene salda e  forte. Il classicismo e pur sempre una forza viva e operante  nella vita del popolo italiano e ne costituì l'elemento unificatore, spiegando un'azione analoga a quella compiuta altrove  dalla religione o dalla monarchia.   Come il dominio, cosi la reazione cattolica, che  richiama alla mente l'Inquisizione, i roghi, le arti gesuitiche,  esplica un'azione del tutto esteriore sull'andamento generale  del pensiero italiano. La istintiva ripugnanza degl’italiani  alle guerre di religione, la indifferenza opposta al movimento  della Riforma, l'azione energica spiegata dalla chiesa secondata dai governi nel reprimere i pochi centri infetti d’eresia, LA DIVISIONE POLITICA DELL’ITALIA IN PICCOLI STATI, NUMEROSI E RIVALI,  aventi vedute diverse in fatto di politica religiosa, la presenza  del papato, che dove seguire una linea di condotta prudente  e moderatrice, se da un lato rendevano inutili le misure repressive, dall'altro tolsero loro efficacia e intensità. La reazione  dove spuntarsi contro il temperamento degl’italiani, abituati  per lunga consuetudine a quello sdoppiamento psicologico, non  privilegio di poche personalità ma proprio di quanti sono  intelligenti e colti, per cui sanno conciliare la sincerità  delle credenze colle audacie del pensiero: solo la forma esteriore del pensiero e delle opinioni dove subire restrizioni e  accomodamenti, e ciò spiega le frequenti concessioni e gli accorti espedienti a cui ricorsero anche i più alti intelletti, per  non offrire il fianco a inutili persecuzioni. E invero, nonostante il malgoverno degli Stati, lo sfruttamento permanente dell’energie produttive del paese, l'ignoranza delle plebi sistematicamente insubordinate e affamate, la mancanza di virtù pubbliche e civili, di una coscienza politica nazionale, il pensiero  italiano nelle strettoie in cui doveva muoversi, si mantenne  più che mai desto, dando novelle prove della sua inesauribile  fecondità. L'Italia, unica tra i paesi dell'Europa, offre l'esempio  nel secolo XVII di una produzione intellettuale in cui l'antico  e il moderno si associano, e mentre da un lato conserva e  perpetua la tradizione classica, dall'altro  elabora forme nuove e precorre i tempi moderni. Scienza e  filosofia trovano cultori e innovatori, il cui nome  basta per porre l'Italia al livello e al disopra delle altre  nazioni europee. L'Italia ha nel il suo Bacone in GALILEI (si veda), il suo Cartesio in CAMPANELLA (si veda), come più tardi ha il suo Grozio in VICO (si veda), il cui pensiero si educò e si  formò nell'ambiente e secondo le tendenze di quel secolo. La  Toscana e il Regno di Napoli sono rispettivamente i centri  della filosofia. La Toscana, culla dell'arte  per opera d’ALIGHIERI, e Ja culla della filosofia esperimentale per opera di GALILEI. Nulla di più inesatto, sopratutto  rispetto a GALILEI della frase di Ferrari « essere stata l'Italia  nel seicento il paese delle grandi eccezioni » : non fu una eccezione GALILEI, il quale riassunse in sé il lavoro di molte  generazioni precedenti, e e il capo d'una scuola numerosa  di seguaci che ne continuarono gloriosamente le orme. Un  secolo prima VINCI proclam l'esperienza >ola in-  terprete della natura ed iinaugura il felice connubio  della matematica coi dati sperimentali in cui propriamente  consiste il pregio e la novità del metodo galileiano. Prima di  Galilei, Telesio dice che la natura è il gran libro in     (1) Sai carattere toUerante degli Italiani in materia religiosa efr. Raffini,  —   s   cui si contiene tutta la filosofìa: Galilei addita i caratteri  coi quali il libro e scritto. Prima di Cartesio, Galilei coacepi le forze naturali come capaci di peso e di misura, e dai  rapporti ideali delle quantità cercò intuire i rapporti reali  dei fatti. Prima di Bacone egli insegna  che il senso porge la  materia greggia dell'esperimento e che dall'osservazione deve  nìuovere la ricerca scientifica. Per tal guisa Galilei se da  un lato precorre, dall'altro supera, completandoli, Bacone e  Cartesio nello studio dei fatti naturali. In lui l'esperienza e  il ragionamento, quella fondata sul senso, questo sulla ragione,  si associano e si completano a vicenda. A Bacone invece parve  sufficiente la semplice osservazione, a Cartesio la speculazione  pura. Il metodo naturale fuori d'Italia si sdoppia in due  indirizzi opposti, in Italia e più specialmente in Toscana per  opera dei continuatori di Galilei si mantenne nella sua integrità e divenne lo spirito informatore dell'Acciidemia del  Cimento. Galilei non usce dal campo dei fenomeni fisici:  sotto questo aspetto e superato da Cartesio e da Bacone, di  cui l'uno crea per le scienze speculative un metodo nuovo,  l'altro consiglia l'estensione del metodo sperimentale alle  scienze morali. Ad associare il metodo razionale e sperimentale, Bacone e Cartesio, nello studio delle scienze morali so-  pravvenne Vico che restaura la filosofia italica, come Galilei  aveva restaurato la filosofia naturale.  Il rinnovamento filosofico in Italia e assai più lento  e contrastato. Sulla scorta di Mamiani e di Gioberti noi  potremmo facilmente rintracciare in Italia fin dal secolo XV  una triplice azione diretta contro la scolastica, la teologia,  Aristotele. Né mancano nuovi sistemi che contraddicono   Sai precursori di Galilei e sul metodo galileiano ne' suoi rapporti  con quello adottato da Bacone e da Cartesio cfr. Fiorentino, Beìmardino  Tele8i0f Firenze   (2) Cfr. A. E e che r, La fisica spei'imentale dopo Galileo nella Vita italiana. Cfr. Mamiani, Del rinnovamento della filosofia antica italianaf Parigi. In quest'opera, come nelle opere più note      —   rinnovamento della filosofìa italica. Tale corrente è rappresentata dalle scienze giuridiche e morali. Altrove osservammo che nell'Europa l'impulso ad  una trasformazione filosofica deriva d’esigenze di carattere  morale e giuridico. L'Italia pur non sottraendosi a questa le^e  tenne diverso cammino. In Olanda, Inghilterra, Germania sorse  e si afferma la scuola del diritto naturale: scarsa e imperfetta  era la tradizione giuridica in questi paesi,' e del tutto insufficiente a soddisfare le nuove esigenze create dalla formazione  dello Stato. Il concetto di un jiis natiirae che permette alla ragione di sciogliersi dai vincoli dell'autorità e  della tradizione giuridica del passato, divenne il fulcro intorno  a cui si svolse una letteratura etico-giuridica copiosa, desti-  nata a dare nuove basi alle scienze morali. Ma né in Francia  né in Italia sorge una vera scuola di diritto" naturale. In  Francia e soffocata nel suo sorgere dal dispotismo reazionario  di Luigi XIV. In Italia non ha ragion d'essere per la mancata formazione dello Stato. Il diritto filosofico che  altrove procede dalla ragione in opposizione alla tradizione  giuridica, in Italia scaturisce spontaneo e per filo non interrotto dalla tradizione giuridica stessa, trasformata e adattata  alle nuove condizioni dei tempi moderni. Solo per questa via  si può spiegare la restaurazione giuridico-filosofica compiuta  da Vico, e vien meno quel carattere di eccezionalità che ancora circonda la figura del grande filosofo napoletano, a  cui spetta nel campo delle scienze morali, come a Galilei  nel campo delle scienze naturali, riassumere il passato e dischiudere l'avvenire. Le scienze giuridiche fornirono anche all'Italia occasione alla restaurazione filosofica, la quale per altra via  incontra difficoltà quasi insor/nontabili. Alla glossa  di Irnerio e di Accursio ossequente alla lettera della legge, e seguita con Bartolo e Baldo la scuola degl’interpreti, i quali applicando alle leggi la dialettica scolastica, accomodano IL DIRITTO ROMANO alle esigenze del foro e alle necessità dei tempi, ampliandone e  done il contenuto, facendo spesso opera di legislatc  di giureconsulti. Tali interpreti costituirono la  giureconsulti pratici, la quale si mantenne nume  fluente in Italia. Neil'  ignoranza e confusione delle leggi, i pratici contrib  serva CARLE, a svolgere quell'aspetto della scienza  che chiamasi ora giurisprudenza.   Sul finire del Medio Evo l'amore della critica stoi  logica applicata agli studi giuridici vi produce una  schiera di giureconsulti culti o eruditi, che astraci  sogni della pratica, deplorando le alterazioni che  dei pratici i testi del DIRITTO ROMANO hanno subito,  con ardore ammirabile a purgare la lezione dei test;  l'antico diritto « colla cura, dice CARLE, con cui si  una statua antica i cui frammenti sieno disgiunti gì  altri. Dalla scuola dei giureconsulti culti iniziat  da filologi come POLIZIANO e VALLA e da giurecom  ALCIATO, svoltasi sopratutto in Francia col Cuiacic  i primi romanisti, e i primi storici del diritto. La diversità di scopi e d’indirizzi mantenne a li  e ostili i giureconsulti pratici e colti, per quanto  cassero tentativi per conciliare e  i due indirizzi E mentre in altri paesi di Euroj     CARLE, Vita del diritto, Torino. Vico vi accenna nel De universi juris eoe. (Proloquiì   CARLE. Ricordiamo Jne italiani SIGONIO e PANCIROLO. Ricordiamo GENTILE il qnale pur appari  scuola dei giureconsulti colti ne criticò aspramente le esaj  Dialoghi siigli interpreti delle leggi (pubblicati a Londra nel  GENTILE fu ad un tempo nelle numerose sue opere pratico ed ^^:''WH.-;    —   terra di conquista e la volontà dispotica del principe tien  luogo di legge, — in cui i viceré nominati per tre anni possono impunemente violare la legge pur di arricchire nel più  breve tempo possibile, dopo di aver inviato  8,000,000  di scudi.— in cui l'educazione era affidata ai gesuiti e la  chiesa domina le coscienze e la vita civile colla superstizione, colle sue ricchezze, co' suoi privilegi, col numero enorme  di corporazioni religiose e di fondazioni — in cui il popolo  ignorante e affamato e sempre pronto alla rivolta inconsulta  — in cui l'amministrazione della giustizia e corrotta, la  distribuzione dei tributi ingiusta, il commercio insignificante,  l'agricoltura abbandonata, le campagne percorse da banditi —  in cui l'arte e la letteratura sono servili — in cui il sistema,  feudale si perpetua co' suoi abusi e la nobiltà si corrompe  nell'ozio. In questo periodo di generale decadimento l'attività filosofica si esercitai a nel foro e nelle materie giuridiche. La  giurisprudenza- e il campo aperto agli studiosi, e raccoglie intorno a sé quanto di più eletto per ingegno e coltura esi-  steva in Napoli. I pratici sono in prevalenza, ma si distingueno per acume giuridico, per l'analisi profonda dei fatti,  per la rara diligenza nel porre le questioni. L'influenza dei  curiali e l'alta considerazione in cui sono tenuti costituie  l'unica difesa contro le frodi, le ingiustizie, i disordini del mal  governo. Il giureconsulto inspirandosi all'equità naturale compie opera sociale notevole, poiché trova per tal via modo  di supplire alla insufficienza o mancanza della legge scritta. SaUe condizioDÌ generali di Napoli iu questo periodo ofr. Giano o ne,. Storia eivile del Regno di Napoli. Parlando deUo stato della giurisprudenza napoletana in questo periodo GIANNONE, e. 8, dice che « gli avvocati  di questi tempi non collocano molto studio nell'oratoria, sicché i loro  aringhi comparissero al foro luminosi e pomposi: si studiano ricavar  l'eloquenza più dalle cose che dagl’ornamenti dell'arte. Perciò i loro  discorsi in Ruota sono corti e tutto sugo: il principal loro studio e nel  porger con metodo ed energia i fatti ecc. ».    —    Caravita, Aulisio, giureconsulti di gran nome  poranei di  Vico.   Né solo gli studi giuridici attinenti alla prat  incremento e lustro Napoli, ma anche gli studi storici del diritto ce  intendimento filosofico trovano un degno rappres  Gravina. Questi porta la interpretazi  della scuola napoletana alla sua maggior perfezioi  iniziò gli studi sulla storia e sulle origini del dirit  raccogliendo tutte le conoscenze che si hanno  medesimo, indovinando il nesso tra le varie parti  le lacune, facendo opera pe' suoi tempi nuova e  Nella produzione giuridica di Gravina è evidente  far servire IL DIRITTO ROMANO a scopi filosofici. Tra  restringevano la legge naturale alla legge raziona  che ne allargano il concetto fino a derivarla dal  golanti l'universo, Gravina si attiene a una so  termedia che dove più tardi svolgere e accentu;  L'uomo, secondo Gravina, per la sua natura corporei  alia legge generale delle cose che è legge di moto  di conservazione e d’evoluzione continua : per la i  spirituale ha una legge sua propria che è legge di  di moti volontari. Per diritto naturale il senso de^  narsi alla ragione, il cui cibo è la virtù, e il cui ]  pace dell'animo, conseguita per mezzo della conosc  naie delle cose. La vita sociale si inizia colla far  flcata nel padre a cui spetta per diritto naturale Ti  mestico. Dalla necessità degli scambi sorgono i cont:     Lo riconosce il Vi 11 ari nel suo saggio sol FILANGIERI, (S  critica, politica, Firenze. I principi di filosofia giuridica di Gravina si trovane  nel juris oivilis libri treSy Napoli, Mosca, — Nel I libro fa 1  origini e del progresso del DIRITTO ROMANO pubblico e privai   (3; Gravi na. De origine juris. generano rapporti più ampi, fondati non sopra vincoli  uè, ma sulla considerazione del VANTAGGIO COMUNE, di  isura la legge, definita giustamente da Platone « distrilentis. Su questa base dell'INTERESSE COMUNE e sul-  io delle società private di commercio, si formano le  civili, di cui sono organi necessari, la legge ossia la   voluntas intesa a REGOLARE I RAPPORTI SOCIALI, e la  : potestas a cui spetta prevenire e reprimere anche  amente le violazioni delle leggi. Se l'idea dell'ONESTA mto universale e costante della legge, questa può assur  >rme diverse secondo i tempi, i luoghi, il carattere dei  inche i rapporti tra levarle società civili devono essere  L da ragione, e il diritto che ne deriva costituisce il di-  sile genti, le cui violazioni giustificano le guerre intese  ionfare nei rapporti fra due stati la ragione sugli istinti  ì antisociali (2). Come nell'interno dello stato ai saggi  mti alla ragione espressa in leggi scritte spetta gover-   ai sudditi, schiavi del senso, obbedire, così nei rapporti  zionali spetta a un stato più civili dominare e sottomet-  uno stato che violano le norme del diritto naturale. Il  a. previene Vico nella ricerca delle cause per le quali  i sorgono, si conservano, rovinano. Se non che il Gra-  )n essendo assorto al concetto di società come un tutto  ;o e considerandola solo come la somma degli individui  compongono, ricerca tali cause nell'uomo e fa dipendere  t)rio sociale dall'equilibrio di tutte le facoltà dell'indi-  ^). Precorrendo il futuro egli mostra le sue predilezioni  sverno popolare e mette in evidenza l'importanza  3 medio o terzo stato per mantenere l'ordine e l'armonia  [verse classi sociali. jNel diritto e nella costituzione     p. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. lO-lS".  r. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. 14.  r. Gravina, Lib. III, ci.  r. Gravina, Lib. III, e. 16.  r. Gravina, Lib. Ili, e. 14.      —   politica del POPOLO ROMANO, alla cui illustrazione l'opera sua  di giureconsulto è sopratutto intesa,' Gravina, come più tardi  Vico, vede l'esempio ideale da semr di guida e di insegnamento agli uomini politici e ai giuristi. La filosofia giuridica del Gravina non ha valore che per  l'epoca e le circostanze in cui sorse. In essa la funzione etica  del diritto non si distingue dalla sua funzione sociale. La legge  naturale si confonde colla legge morale, come per gl’antichi  il sommo bene è riposto nella virtù congiunta alla felicità e  acquistata colla scienza. Ma in Gravina troviamo i germi  dell'indirizzo che dove prevalere in Italia con Vico, cioè LO STUDIO STORICO DEL DIRITTO ROMANO fatto servire A ILLUSTRARE PRINCIPI TEORICI, e alla ricerca delle leggi regolanti il corso  della nazione italiana. Del risveglio effettuatosi in Napoli nelle scienze morali e giuridiche, è novella prova la Vita Civile di BORIA, alla cui pubblicazione Doria, non  ancora distratto dalle polemiche cartesiane, e forse indotto  dalla lettura delle opere di Gravina, o più probabilmente  dalla famigliarità con Caravita, nella cui casa conveniva con Vico. Doria nell'opera sua si dimostra, a differenza del     (1) Cfr. del Gravina H libro “DE ROMANO IMPERIO” - in cai tratta della costituzione dell’Mmpero romano come della COSTITUZIONE IDEALE. Le idee religiose di Gravina sono dal lato dogmatico qulle dei  cattolici del suo tempo, ma con questi e in disaccordo nel campo etico.  La sua “Hydra mistica” è una critica severa della morale gesuitica mostrando  una grande indipendenza di pensiero.   Vico conosce Gravina, lo ricorda con espressioni  di stima e di affetto nella Autobiografia. Se non ne cita le opere, ciò non  deve attribuirsi a malanimo o a distrazione come afferma Cantoni (VICO, Torino), ma al fatto che in Vico anche le idee  altrui si elaborano e si trasformavano in guisa da diventare sue pròprie  e originali.   Doria, di famiglia genovese, visse e morì  a Napoli dove erasi recato fanciullo. E amicissimo di Vico il quale lo  ricorda neXV Autobiografia, e gli dedica il iasimano quelli che vogliono ricavare la politica dalla sola pratica e  i filosofi che credono potersi governare il mondo ooll'astralta metafisica.  Nella Vita Civile dice che la politica e la morale sarebbero la stessa cosa e non vi sarebbe punto bisogno di politica qualora  le norme di moralità fossero da tutti comprese e attuate. Doria. La politica deve fondarsi sulla conoscenza della natura umana  quale appare alla ragione: solo per tal via si potrà evitare l’empirismo e ridurre la politica a sistema. Come non è vero  giureconsulto chi dalle leggi particolari del luogo non sa elevarsi  alla ragion della legge, cosi non è vero politico colui che ha  solo una naturale e raffinata malizia, spoglia di ogni conoscenza dell'uomo, de' suoi rapporti coll'ordine delle cose, dell'essenza della vita civile, di ciò che contribuisce alla felicità  degli uomini. Dalla metafisica, che per Doria significa conoscenza degli universali a scopo di applicazione pratica, deve  la politica trarre il suo fondamento scientifico. Nello studio  dell'uomo Doria segue l'indirizzo psicologico mediano proprio  della filosofia italica e che Vico dove svolgere. Rileva il  dualismo tra spirito e materia, ammette che a costituire la  vita morale concorrono la ragione e il senso, l'universale e  il particolare, che la felicità consiste nella retta conoscenza  e nel buon uso dei sensi, che naturale è l'inclinazione alla  vita sociale, che l'uomo per necessità della sua natura tende  a emendarsi, a cercar rimedio ai mali, a sollevarsi gradatamente dal senso, ossia dai particolari agl’universali principi,  cioè alle idee innate del vero e dell'onesto. Tutti questi concetti ravvalorati dalla esperienza storica ritornano in Vico.  Alla morale impossibilità dell'uomo di possedere tutte le virtù  e al fatto che tutti sono forniti di qualche virtù, supplisce la  vita civile, la cui vera essenza sta nel comporre armonicamente  insieme le energie virtuose disperse nei singoli, in guisa che  SI AIUTINO RECIPROCAMENTE, e si formi una condizione di cose  atta ad assicurare a ciascuno la felicità. Doria dopo aver RI-COSTRUITO RAZIONALMENTE o piuttosto PSCIOLOGICAMENTE L’ORIGINE E L’ESSENZA DELLA VITA CIVILE, cerca, come     Doria, Op. cit., p. 38.   (2) Cfr. il Capo II delia parte prima dove è esponila la dottrina i)sico-  logica del Doria.   (3) Cfr. Doria, Op. cit., p. 92-93.        ^z.^^?»:^:^^     -   più tardi Vico, nella storia conferma a' suoi principi. Respinta l'ipotesi di una pretesa età dell'oro, riconosce che gl’uomini, cresciuti di numero, premuti dal bisogno attravesano un periodo di lotte e di violenze, da cui uscirono raccogliendosi e organizzandosi intorno a uno di loro più forte che  li difendesse: ROMOLO. Ssi costituirono allora le famiglie e si hanno i  governi patriarcali. Quando gl’uomini non paghi della difesa  aspirarono a un genere di vita più regolare e civile, fanno  ricorso al prudente – NUMA -- che detta leggi ordinate alla umana  felicità. Colle leggi e ordinamenti si inizia la vita civile che si  svolge dapprima nelle città di ROMA, poi nei regni e si hanno le monarchie, trasformatesi col tempo in aristocrazie e in democrazie. Col  graduale estendersi e complicarsi della vita civile, l'economia  domestica si fa commercio, la difesa della casa si trasforma  in vasta arte di guerra, la naturai prudenza diventa scienza  di governo o politica. Una progressiva divisione di poteri ossia  d’ordini si rende necessaria, e si formano le classi dei guerrieri, dei legislatori, dei magistrati, i quali a loro volta vanno  distinguendosi in magistrati di politica, di giurisdizione, di  commercio. Tra i sudditi poi si vanno formando le classi dei  padroni e dei servi: da quelli si svolge la nobiltà, da questi  la ricca varietà dell'arti servili. Dalla  STORIA DI ROMA trae Doria argomenti ed ESEMPI alla dimostrazione della sua  dottrina. Passando dalla costituzione politica a descrivere le fasi del progresso sociale, quale risulta dalla storia,  Doria pone come legge regolante il corso dell'umanità il  graduale passaggio dalla vita barbara o difettosa alla vita  civile moderata da leggi e da ultimo alla vita civile  pomposa, in, cui la civiltà si accompagna col lusso e colla  magnificenza degli esteriori ornamenti. La vita pomposa genera l'ozio e il popolo ricade nella servitù. Cfr. Doria, Op. cit., I, e. in e iv.   Cfr. Doria, Op. cit., I, e. v, ove si descrivono diffusamente le  diverse fasi deUa vita civile.         4..^     —  --   Per quanto erroneo sia il concetto fondamentale della dottrina civile di Doria, noi crediamo di trovare in essa i germi  di molte idee e dottrine svolte più tardi da Vico. Il concetto che la filosofia deve tendere a scopo pratico, che anche  la politica può fondarsi su principi saldi e costanti tratti  dalla conoscenza dell'uomo e delle sue passioni, la storia e  sopratutto la romana invocata a conferma della dottrina, la  progressiva differenziazione degli ordini e dei poteri, il passaggio graduale dell'umanità dalla barbarie alla vita civile e  il ritorno fatale alla barbarie, il progresso identificato col  passaggio dal senso alla ragione, sono concetti che ritornano  in Vico svolti ed estesi a nuove e più lontane conseguenze.  L'opera di Doria, molto apprezzata ai suoi tempi, non e. senza  influenza sui principi italiani ancora infetti da machiavellismo,  incitandoli a saggie e razionali riforme. Essa precorre i tempi  e non merita l'obblio in cui è tenuta dagli storici della filosofia del diritto. Ad ogni modo essa getta viva luce su quell’ambiente di Napoli in cui e concepita e pubblicata, e nel  quale si matura il genio di Vico.   Il progresso negli studi giuridici e sociali in Napoli  non e che il riflesso  di una. ben più larga e profonda trasformazione del pensiero  napoletano al contatto delle correnti filosofiche, le  quali, penetrate in Napoli malgrado l'attenta vigilanza della chiesa, si sono rapidamente diffuse conquistando gli spiriti  oramai maturi ad accoglierle. Prime a conquistare il favore  delle nuove generazioni sono le dottrine dell’ORTO e di  Locke, come quelle che interessavano la vita pratica e schiudevano un ideale morale che e in aperto contrasto colle  idee e coi sentimenti tradizionali. La rivoluzione iniziatasi     n Vico uéìV Autoìnografia ci dice che del tempo nel quale egli  partì da Napoli si e cominciata a coltivare la filosofia dell’ORTO  sopra Piar Gassendi, e due auui dopo ebbe novella che i filosofi a tutta  voga si era data a celebrarla. — Ciò conferma Doria nell'introduzione  air opera : Difesa della metafi»ioa degl’antichi contro G, Locke eco,  —   nel costume si estese al campo speculativo e l'occasione fu  offerta da Cartesio nelle cui opere filosofi, giuristi, matematici,  fisici e fisiologi trovano argomenti per un nuovo indirizzo  di metodo e di studi. Cartesio e in Napoli nome  di battaglia e di partito. Esso significa libertà di pensiero,  opposizione ad Aristotele, al principio di autorità, allo scolasticismo, all'erudizione filolcfgica e storica, all'empirismo. Esso  divenne l'arma poderosa che servi a scuotere, dice Giannone,  il durissimo giogo che la filosofia dei chiostri ha posto sopra  la cervice dei napoletani. Primo a introdurre in Napoli e  a far conoscere la dottrina di Cartesio e CORNELIO (si veda),  naturalista della scuola del Telesio,  il quale ha ad alleati influenti il giureconsulto Andrea, Capoa, e sopratutto Caloprese, che approfondi la dottrina cartesiana e primo  si da a insegnarla. Del favore che Cartesio incontra in  Napoli fa prova gli’investiganti istituiti in casa propria dal marchese dell'Arena,  allo scopo di studiare e discutere la filosofia cartesiana col  concorso e l'adesione di quanti si distinguevano in Napoli, per  coltura e ingegno nei più diversi rami della filosofia.   Al primo periodo di entusiasmo e di fanatismo, di ammirazione cieca per le nuove idee che venivano dal di fuori, succede un lungo periodo di reazione e di opposizione tendente a  richiamare le menti alle buone tradizioni della filosofia italica,  a restaurare l’accademia che e stato    -- Cfr. Giannone. Di Cornelio parla Fiorentino. Vico (Auiob,) lo chiama gran filosofo renatista. In quest'epoca abbiamo una vera ri&oritura di  gruppi di gioco in Napoli. Oltre a quello degl’investiganti ricordata da Giannone, notiamo quello fondato d’Argento alla quale convenne  Giannone; quello fondato dal duca di Medina Coeli; quello degl’infuriati ricordato da Vico nella Autobiografia, quello degl’oziosi, senza tener conto  delle numerose private. -- valido strumento di guerra contro il LIZIO e la scolastica.  Anima dell'opposizione contro Cartesio, l'idolo del giorno, e  Vico, al quale le varie correnti di filosofia che si sono  andate svolgendo in Napoli convergono. Egli potè apparire un genio solitario solo perchè e l'astro  luminoso, dice Villari, in cui si concentra la luce di tutta  uaa moltitudine di minori pianeti, perchè riassunge in sé  tutta un'epoca e sui materiali da questa forniti eleva un sistema di cui i contemporanei non possono valutare l'importanza, e di cui parve egli stesso vuole rimandare all'avvenire  la prova dei fatti. Nell'opposizione contrergli indirizzi filosofici prevalenti  all'epoca sua Vico non e solo. Egli ha ad alleati quanti per  avversione a Cartesio e allo scolasticismo miravano a restaurare la filosofia dell’accademia e a richiamare gl’ingegni al culto  della tradizione italica. Tra questi devesi ricordare Doria,  il quale dopo aver combattuto Cartesio nel campo della della metafisica, si fa sostenere l’accademia. Il suo tentativo  lascia gl’animi indifferenti. A  lui nocque il carattere polemico  delle sue opere, l'esagerazione con cui combattè senza distinzione tutti gl'indirizzi nuovi di filosofia solo perchè non rispondenti alle sue predilezioni o prejudizij. CIt. il saggio su Filangieri du Villari in Saggi di storia aHitea  e politica, Firenze. Villari, iJ Carle sono tra quelli che  cooperarono a sfatare la leggenda di genio solitario che unita all'altra di  genio incompreso si e andata dopo Ferrari creando intorno a Vico,  e che e accolta sopratntto dai critici francesi: Michelet, Michaud,  Janet. Bovio -- Conferenza su Vico in Vita i^aZiana -- dice  che Vico non e genio incompreso, ma deve annoverarsi tra i filosofi solitari, che sono quelli che hanno larghe visioni e piccola prova. Giustamente osserva Villari che tale errore nasce dall’esser generalmente poco o punto conosciuta la storia degli studi che  allora fiorisceno in Napoli.  Vico nella AtUobiografia dice che Doria frequenta con lui le  conversazioni le quali hanno luogo in casa di Caravita e di     .  Ben altra importanza ed efl  Vico. Essa trova fondamento  zione ricevuta, negli studi da 1  delle sue naturali tendenze ini  scientifiche e particolarmente n  INGEGNO SPICCATAMENTE ITALIANO. Vatolla ritorna in Napoli nel  suoi studi, e le sue opinioni fi  sono quelle che troviamo svolte  discorso sul metodo degli studi  tìquissima. In questo pei  soflche del sapere. Delle diverse  che agitano l'ambiente di ?  sfuggi all'osservazione e alla mei     Vito di Sangro. Parlando di Doria il  mira come sublime ed originale in (  e cornane negl’accademici >. Ciò fa a mi  tesiano, mentre il p.'isso di Vico prov;  tempo in maggior pregio di Vico la do  se Doria e per qualche tempo seguac  un deciso avversario. Egli comincia v  l'applicazione da lui fatta del metodo  lo combatte nel campo metafisico n  alla filosofia di Renaio des CarieSy non  loaofia di Doria con la quale si  Queste due opere gli suscitarono cont  principe della Scalea, discepolo del Gal  contro Doria nell'opera intitolata Bi  Doria oppone nello stesso auuo le su  monografia citata del Geriui:  Difesa della metafisica degl’antichi e  che in questi contrasti tra cartesiani e  di Vico: ciò deve, secondo noi, attr  in quest'epoca ne' suoi nuovi studi gii  diretta parte a questioni di carattere fil  comune il desiderio che gl’italiani delle scienze degl’oltramontani, dov  pienza in quella guisa che fecero i 1  Misantropo.  egli accolse interamente poiché era profondamente convinto  che nessuna risponde al carattere nostro nazionale e alle  esigenze delle scienze morali che costituirono il campo proprio  in cui si afferma sin dal principio il suo ingegno, e alle quali  ha sempre rivolto il pensiero sia nella scelta degli autori  da formar oggetto di studio, sia nella scelta del metodo da  seguire, sia nel porre il criterio della verità, sia nel determinare la natura e la finalità (metier) dell'uomo. Nelle sue predilezioni per l’accademia e TACITO già si intravvéde  quel dualismo tra il senso e la ragione, che dove essere il  fulcro intorno a cui si svolgono le scienze morali e il corso  storico dell'umanità. Coll’accademia lo spirito, il mondo delle idee  esce per la prima volta fuori dall'involucro mutevole del senso.  Niuno prima e dopo di lui seppe dare dell'uomo, quale dove essere secondo la sua natura razionale, un concetto  più vero e profondo. Colla guida dell’accademia Vico puo in seguito rintracciare nell'uomo e nelle sue manifestazioni individuali e collettive gl’elementi costanti e universali. TACITO descrivendo l'uomo reale dominato dai sensi e dalle  passioni, che opera spesso inconsciamente dietro lo stimolo  degli istinti, dei bisogni, delle utilità puo costituire ottima  guida per la conoscenza dell'uomo storico e di ciò che vi è  di vario e di mutevole nelle azioni umane. TACITO completa  Platone e sulla scorta di entrambi la chiave per la comprensione dell'uomo singolo e collettivo era trovata.  n carattere mentale di Vico possiamo desumere dalla serie delle  sne opere, e dalla vita scritta da lui stesso. 'NéìV Autohiografia Vico fa  sé stesso oggetto di osservazione, descrive la saa vita mentale, ci dà la  genesi delle sue opere, il procedere dela sua filosofia. Primo Carle rileva  la stretta analogia tra il Diaoorso sul metodo di Cartesio e la Vita del Vico. Ma Tanaìisi psicologix^a fatta dai due  filosofi sopra sé stessi li conduce a conseguenze opposte. Cartesio si  convinse della necessità di concentrarsi in sé stesso e di ricavar la sciènza  col proprio intelletto. H Vico invece si convince che l'uomo deve guardarsi  bene dall'esser solo a pensare una cosa^ perchè o si mata nel divino o si pone  in contraddizione col senso comune.  Per ciò che riguardava l’ordine e il metodo da seguire nello  studio dell'uomo, Vico, guidato dal suo ingegno divinatore  ferma l'attenzione su Bacone. Non dimentichiamo che le opere di Bacone passano inosservate nella stessa Inghilterra per la prevalenza incontrastata  che vi assunse il metodo soggettivo nello studio delle scienze  morali. Gli stessi enciclopedisti, ammiratori di Bacone,  lo celebrarono come fondatore del metodo induttivo, ma non  ne rilevarono l'importanza in ordine alle scienze morali. Pochi danno dvalore al suo trattato De Avg mentis che a Vico parve giustamente dischiudere un'era  nuova nello studio delle scienze morali, come quello che mentre  fa rientrare anche quest'ultime nel vasto campo delle  scienze sottraendolo all'impero della metafisica, indica alla  loro restaurazione il metodo induttivo. Nel culto per Bacone  Vico rimane a lungo solo in Italia e fuori. Vico comprende  e svolge il concetto adombrato da Bacone di porre le scienze  morali sulla salda base dell'osservazione storica e psicologica. Egli costituisce l'anello di congiunzione tra Bacone e Comte  che con piena coscienza volle restaurato tutto il sapere filosofico sulle basi del metodo induttivo. Ma se Bacone rileva le lacune del sapere umano e indicato il nuovo metodo  di indagine, non dice il modo con cui colmare tali lacune, come praticamente applicare il metodo dell'osservazione  allo studio delle scienze morali: l'una e l'altra cosa fa Vico  e puo con giusto orgoglio dire di aver creato una scienza “nuova”.   Platone, TACITO, Bacone, vengono per tal modo a personificare  i tre capisaldi della filosofia vichiana applicata agli studi  morali e sociali, la ricerca dell'universale nel particolare,  dell'idea nel mutevole succedersi delle azioni umane mediante  Vedi sopra pag. 49 e seg., saU'opera e suUe sorti di Bacone. Primi a far conoscere Bacone in Francia sono Voltaire nelle sue Lettere Persiane e Diderot nel sno discorso preliminare  all’enciclopedia. -- un procedimento di induzione. L'uomo nel concetto di Vico  deve assumersi nelle scienze morali nelle integrità della sua  natura, né deve esser lecito al filosofo di foggiarsi una natura  umana che contraddice al senso comune e alla realtà delle  cose. L'analisi psicologica non deve spingersi al punto di  far violenza alla natura. La specializzazione soverchia delle  scienze se rende gl’uomini dotti nei particolari li rende meno  atti ad abbracciare il sapere nella sua integrità. Essa poi  riesce particolarmente dannosa alle esigenze delle scienze  morali aventi carattere e scopo pratico e che presuppongono l’uomo operante nell'interezza della sua natura tra i due poli  estremi del senso e della ragione, dell'istinto e della libertà,  secondo una legge di progressivo predominio degli elementi  razionali sopra i sensibili. Le scienze morali devono valersi  di concetti sintetici e i cultori delle medesime devono essere  uomini d'ingegno, cioè, capaci di scorgere il comune tra cose  lontane e disparate.   Fermo in tali concetti  Vico dove trovarsi in disaccordo  cogli indirizzi della filosofia dominante in Napoli e che in piccole proporzioni riflettevano gl’indirizzi che in  seno alla filosofìa si erano andati delineando e che Vico riconduce genialmente a correnti di idee che hanno dominato nell'antichità. Scarsa e  difettosa e la conoscenza che Vico ha dei sistemi filosofici antichi e moderni: ma suppliva con una intuizione     lu una lettera a Gaeta Vico definisce l'indazione secondo il concetto di Bacone. Per le opere del Vico ci siamo valsi della  edizione napoletana curata da Ferrari: ad essa  ci riferiremo per le citazioni. "L^ Epistolario del Vico fa parte di quella edizione.  Vico svolge tale concetto nella sua orazione tenuta a Napoli. V orazioni di Vico ancora inedite sono pubblicate  da Galasso e formano parte dell’edizione citata. Cfr. De Antiquissima. Sappiamo che Vico conosce Platone nelle opere di FICINO,  L’ORTO In quelle di Gassendi. Egli confuse il semita Zenone del PORTICO coll’italiano Zenone  di VELIA e cadde in altri simili errori.     U      asi sempre felice, la quale gli permette di rilevare il catterò generale delle varie dottrine e sopratutto di intraverne le lontane conseguenze nel campo pratico. Senza preocparsi dei pericoli e delle inimicizie a cui egli, povero e  cora oscuro, si espone, parla un linguaggio nuovo di verità  standosi pubblicamente contro i critici compiacenti, contro  l’ostinati delle sette, contro gl’impostori che infestano il  anda degli studiosi, contro i falsi dotti che studiano per   sola utilità, e i dotti cattivi che amano più l'erudizione  Le la verità. Tra coloro che si occupano di scienze mo-  li condanna senza pietà gli stolti che non vedono né le verità  trticolari né le universali, gl’illetterati astuti abili nell'altare la scienza alla pratica, i dotti imprv/Xenti sprezzanti  realtà e tendenti a tradurre nella pratica le loro teorie.  Non e invidia o umore bilioso o spirito di parte che iniravano Vico ma profondo amore del vero, nobile risentiento contro quanti, sfruttando la scienza, ne compromeno   serietà con grave danno dell'educazione. L'intimo connubio  L'egli vagheggia tra filosofia ed educazione, lo rende avirsario delle dottrine filosofiche che non si indirizzano a  nder migliori gl’uomini e a guidarli verso la felicità indiduale e collettiva.   Dell’ORTO combatte il materialismo che non riesce a spie-  ,re le cose della mente: e la sua morale chiama morale di  iccendati CHIUSI NEI LORO ORTICELLI fatta cioè per uomini  litari NON DESTINATI A VIVERE IN SOCIETA, che pretende rego-  re i doveri della vita coi piaceri dei sensi. Morale solitaria     [1) Cfr. Orazione terza.   [2) Cfr. Orazione quarta.   [3) Cfr. Lettera a Giaoohi, Ediz. cit.,  1. VI.   '4) Cfr. il De nostri temporis eco, Il carattere pedagogico dell'opera di Vico e rilevato da Tommaseo,  ìggio 8U Vioo)\ da Flint (Vico, Edinburgh); dai Gerini {Soì^ttoH  ìagogici italiani Paravia). cioè di meditanti che studiano non sentir passione la morale del PORTICO, alleati dei Cartesiani, come qu I, § 3, 4, 7, 9), nel De Antiquisaima, nella  Risposta seconda al « G-iornale dei letterati d* Italia, nelle lettere ad Esperti, al Vitry, a Solla. Aòntamente osserva Vico che il metodo geometrico trasportato  in cose che non sono numeri e misure prova qualunque cosa {Bisp, al  Oiom, eoo»).   che può raggiungersi nelle scienze fisiche aventi un oggetto  determinato e nelle quali si cerca la causa per cui molte  cose si eflTettuano in natura, non nelle scienze morali che  hanno per oggetto i fatti degl’uomini, la cui natura è incertissima per l'intervento dell'arbitrio, in guisa, che delle molte  cause di un sol fatto non si può mai dire quale sia la vera. Porre alle scienze morali per fine il vero, bandire da esse  il verosimile è condannarle alla sterilità e all'impotenza. Vico, superando Bacone, precorre le più moderne dottrine  positive circa il metodo da seguirsi nelle scienze morali. Tra  ì cartesiani fautori della critica, che vogliono banditi i veri  secondari e pongono il primo vero fuori del senso, che vogliono  educate le menti all'analisi, logorandole in sottigliezze e minuzie senza tener conto dell'indole dell'animo umano, delle  sue tendenze alla vita civile, dei vizi, delle virtù, del carattere e del costume secondo l'età, il sesso, la condizione, la  famiglia, la nazione italiana, che si illudono di ridurre a norma tutto  ciò che si attiene alla vita e fanno troppa fidanza sulle norme  der metodo, che finiscono per ostacolare l'ingegno e distruggere la curiosità — e i fautori della topica, seguaci del LIZIO, che, paghi di un sapere empirico, si affidano ciecamente  all'autorità, Vico propugna l'unione della critica colla topica,  cioè della dimostrazione coll'invenzione, dell'analisi colla sintesi, del vero col verosimile, della ragione col senso comune.  Solò per tal via l'uniformità si consegue nell'operare e si  formano non gli scienziati, ma gl’uomini prudenti, gl’oratori,  gl’uomini di stato, che è lo scopo proprio delle scienze morali. La dottrina del metodo si completa in Vico con quella relativa al criterio di verità ch'egli contrappose al criterio cartesiano della percezione chiara e distinta ottenuta  per mezzo dell'osservazione interiore. Vico affrontando  una delle più ardue questioni di metafisica non perdette mai  La questiouò del criterio di verità è trattata da Vico nel De Antiqui88ima S. di mira le esigenze delle scienze morali, e il suo pensiero  riassunse nella formola della conversione del vero col fatto,  cioè che conoscere una cosa significa farla. Mediante l'intelletto l'uomo conosce e conoscere significa comporre insieme  tutti gl’elementi di una cosa e formarsene la perfetta idea.  L'intelligenza umana ha un potere  di comprensione limitato, poiché degl’elementi costitutivi  delle cose solo gl’esterni, e parzialmente anche questi,  riesce a combinare: opperò se l'uomo può pensare a tutte le  cose, non può che intendere quelle che fa, ossia quelle di cui  arriva a comprendere la genesi o la guisa di formazione.  La scienza per Vico è essenzialmente genetica ìr\ quanto si  riduce alla conoscenza del modo o delle cause con cui una  cosa è prodotta -- vere scire per causas scire. I limiti della  conoscenza sono quelli del potere. Di qui l'incertezza e imperfezione delle scienze morali, le quali avendo pell’oggetto  le azioni umane che non possono riprodursi e sono continuamente mutevoli, non possono proporsi a loro unico scopo il vero,  mentre le scienze sperimentali hanno un grado di verità assai  maggiore in quanto studiano la natura riproducendola, e le  scienze matematiche racchiudono il grado massimo di verità  in quanto sono prodotti mentali, vere e proprie creazioni dello  spirito.Vico parlando di produzione della cosa come sinonimo di conoscenza della cosa non intende, come mostra di  credere Cantoni, una produzione ideale, ma una produzione reale, che trova cioè un qualche riscontro nella realtà  quale appare ai nostri sensi. La chiara e distinta idea della  cosa non può assumersi a criterio del vero, come sostiene  Cartesio, poiché il pensare distintamente a una cosa non significa ancora conoscere il contenuto della medeisima, e iioh  ci autorizza ad affermare la realtà della cosa pensata,. La  certezza di pensare non é scienza ma COSCIENZA: scienza si ha    Cfr. Cantoni. La miglior interpretazione  del pensiero metafìsico del Vico ò quella data da Flint. delle cose la cui verità è dimostrata o dimostrabile, cioè delle  cose che riusciamo a fare, mentre la COSCIENZA è proprio di  quelle cose di cui non possiamo dimostrare il modo di loro e^- stenza. Neppure la scesi dubita di pensare e di esistere, ma  dichiara solo di ignorare le cagioni del pensiero, ossia come  esso ha esistenza. Il pensiero è indizio, non causa della realtà.  Una critica più acuta e stringente del principio metafìsico  cartesiano non si potrebbe immaginare e ninno prima di lui  può vantare di averla fatta. La coscienza può attestarci la  esistenza delle cose ma per intuizione non per dimostrazione. Apprendere le cose non ancora significa conoscerne la natura.  Per tal modo Vico eleva una distinzione netta tra verità di  scienza e di coscienza, tra verità di ragione e di sentimento ò  per usar la sua espressione abituale tra ciò che è vero e ciò  che è CERTO. Dell'esistenza dell'anima, dei principi  delle scienze morali possiamo avere una cognizione CERTA  ma non vera. Di quanto Vico restringe il campo del vero  di altrettanto allarga la cerchia del CERTO, pel quale riconosce  che unico criterio applicabile è il senso comune. Vico però  a differenza dei positivisti, non eleva una barriera  insuperabile tra la sfera del CERTO, delle CREDENZE e- la sfera  della verità, della scienza. Egli ammette che le verità di sentimento, di intuizione, sono capaci collo svolgersi della riflessione di trasformarsi in veri scientifici. Anzi egli pone  come legge generale dello spirito individuale e collettivo e  delle sue singole manifestazioni il graduale e progressivo passaggio dalla coscienza alla scienza, dalla autorità alla ragione,  dal certo al vero. Quanti nell'età moderna si fanno sostenitori  della relatività del sapere, accolgeno, senza ricordarlo, il prudente criterio di Vico. Ma di essi più accorto, Vico mostra     Vico usa le espressioni vero e certo in un significato speciale. Per  lui è vero ciò che si converte col fatto. Certo è tutto ciò che si fonda  sul senso comune, ossia le verità intuite ma non dimostrate. Noi invece  siamo soliti considerare termini equivalenti il vero e il certo.] di intendere e di apprezzare anche le idee e sentimenti che  hanno il loro fondamento nell'autorità del senso comune. Vico e profondamente convinto che le scienze morali non possono  astrarre dal verosimile per correr dietro a una vana e formale apparenza di vero che trova nella realtà continue smentite. Il De Antiquissima chiude il periodo filosofico-critico del  pensiero di Vico. Le dottrine in esso esposte sono in regolare  armonia colle sue opere posteriori, di cui formano il presupposto metafisico. Il Libet^ meiaphisicus ribadisce il concetto  che la vera sapienza è operativa e la filosofia non deve solo  proporsi la solitaria e sterile verità ma ancora l'utilità e la dignità della vita. Vico non si restrinse a una critica negativa, mentre critica integra: e come sul terreno metafisico  e metodico integra Bacone e Cartesio, cosi si prepara a integrare Grozio nel campo etico e giuridico. Le predilezioni di Vico per gli studi giuridici rimontano al primo periodo della sua vita, allorché imbevuto ancora  di metafisica scolastica, dietro consiglio del padre si applica àgli studi legali. La casuistica giuridica, rappresentata allora in Napoli da Verde indispone Vico, come quella che si perde nel  casi particolari senza elevarsi a principi razionali -- ottimo  esercizio di memoria, egli osserva, ma tortura dell'intelletto. La dottrina metafisica di Vico ancora aspetta di esser giudicala al  suo giusto valore. Esagerarono nelle lodi per uiì sentimento di legittimo  orgoglio nazionale, ROVERE, Gioberti, Siciliani: la snaturarono adattandola ai propri sistemi filosofici gli hegeliani -- Spaventa,  Vera, Fiorentino -- e gli spiritualisti – Serbati --: mostra di non comprenderla affatto Cantoni, che chiama W^Liher metaphiaious una strana  anomalia nella storia del pensiero di Vico. Non ci convince interamente l'affermazione di Labanca -- (6^. B, Vico e i suoi orifici oaitolioif  Napoli -- che Vico fa della metafisica dogmatica, fondandosi sul fatto che i critici la considerarono  tale e non sollevarono dubbi al riguardo.  Cfr. Autobiografia per tutte le notizie biografiche in questo paragrafo  indicate.  li interpreti antichi e gli interpreti   parve riscontrare i filosofi dell'EQUITA   storici del DIRITTO CIVILE ROMANO: fin   i di far convergere i due indirizzi a   itto filosofico. A formarsi una coltura   ale scopo, Vico attende per un periodo   li a elaborare è a fissare quei principi   lostituire il sustrato metafisico di tutte  . Non trascura Vico neppure in   giuridici. Ne abbiamo la prova nella   so sul metodo delle vicende sto-   per metterne in evidenza il carattere  )mento per un nuovo indirizzo degli  rva Vico che in Grecia la giurispru-  ntemente divisa tra filosofi, prammatici,  onevano i principi razionali attinenti   gl’altri fornivano le leggi agl’oratori  eloquenza l'equo. IN ROMA la giurispru-  origini divisa tra giureconsulti-filosofi  no dal lungo esercizio delle pubbliche  elaborazione della civil prudenza sacra  ano dalla parola allo spirito della legge  [uo, gli uni custodi del GIUSTO, gl’altri  ir età moderna le diverse parti della  assunte in una sola dottrina gli giure-  aratore, ha cessato di essere filosofo;  interesse privato, a cui giova partico-  ifica IL PUBBLICO INTERESSE, meglio tute-   1 Vico traeva motivo per insistere sulla EQUITA NATURALE colla filosofia giuridica   per lui era la dottrina del pubblico   rende i uove anni passati nlla solitndiue di   ani poi trascorsi in Napoli fino alla pubblica-      reggimento che i Greci apprendevano dai filoj  dalla pratica stessa delle cose pubbliche, mentr  Vico e trascurata tanto dai pratici preoccup  trionfare l'equo e l’utile privato, quanto dagli er  far risorgere in tutta la sua purezza il diritto;  rendersi conto delle nuove esigenze dei tempi.  Il divisamente di richiamare gli studi giurid  sua divisi tra la pratica e l'erudizione ad una b  si venne meglio determinando in Vico colla coi  di Gravina e sopratutto colla lettura di Grozio  ai tempi di Vico Grozio e pressoché ignora  Gravina mostra di non averne approfittato. Tale  verso Grozio e naturale in Italia, estranea al  mazione dello stato e strettamente lej  dizione giuridica e all'AUTORITA DEL DIRITTO ROMANO cercato reagire Grozio. Ma ben intese i  scuola del diritto naturale di cui e stato fonda  aveva efficacemente cooperato a restaurare qi  del pubblico reggimento, di cui difettavano i no  sulti. Si comprendono pertanto le sue simpatie  lui posto nel novero degli autori prediletti acca  a TACITO, a Bacone. Grozio era assorto al e    Vico neìV Autobiografia ci fa sapere che la Vita é  pubblicata  gli conciliò € la stima e l'amicizia d  letterato d'Italia Gravina col quale coltiva s  denza infiuo ch'egli morì. Le  provano che egli conosceva di fama anche prima di qu£  vina, e certamente ne aveva letto le opere, Vico p(  l'opera di Grozio nell' apparecchiarsi a Scrivere la F  L'opera di Grozio era stata messa sìlV Index Ex^  Chièsa cattolica. La sincerità delle credenze religiose no  Vico di studiare e apprezzare scrittori condannati dalla  ma per prudenza si astenne molte volte dal citarne i n  citandoli li cita vagamente e quasi di sfuggita. In leti  abbondano le citazioni di scrittori stranieri e mostra di co:  nei concetti fondamentali .     arsale sottratto a delimitazioni di tempo e di luogo,  na e immutabile di giusto che Vico coll’accademia innata e propria della natura razionale dell'uomo,   cerca far scaturire dallo STUDIO DELLA LINGUA DEI ROMANI  ed estendere alla gran  mere umano. La lettura di Grozio forni a Vico  i prender conoscenza dei divèrsi indirizzi che  del diritto naturale si sono andati svolgendo in   Germania e Francia. Di Hobbes,  yle, ricorda il nome e le opere e riassume in poche  issime l'indirizzo generale del loro pensiero in or-  lenze giuridiche e sociali. Altrove mostra co-  stemi di Selden e Pufendorf, di cui associa costan-  dottrina relativa alle origini della società umana  ii Grozio. Ma a quest'ultimo Vico direttamente  e conciliandolo colle nostre tradizioni giuridiche.  zò assorgere dal concetto dell'EQUITA NATURALE, eia-  pratici, COL SUSSIDIO DEL DIRITTO ROMANO, restaurato  i, a quell'idea eterna del GIUSTO che Grozio ha mte derivato dalla ragione umana,  ordine ai fondamenti filosofici delle scienze morali,  di Vico è per molti aspetti definitiva. Nessuna  filosofia antica e moderna sorto in seno alle scienze  mostra di ignorare : di tutti rileva acutamente le  difetti. I greci trattato della giustizia e  in termini troppo generali e astratti, I ROMANI in     '. Vno^ (Proloquium^f ove ricorda il Principe di MACHIAVELLI,  ìli' Hobbes, il Tractatua theologico-politicua dello Spiuoza, il  1 Bayle. — "SeW Autobiografia accenna ad uua corrispondenza  is, di cui mostra apprezzarne il valore. Questa conoscenza  iutte le correnti fìlosoficbe dell'epoca sna fa ri-  urie in La filosofia del diritto nello  Torino, Unione tip,  ontro coloro, sopratutto stranieri^ cbe facendo la storia del  Je non ricordano affatto Vico.      —   concreto. Gl’antichi interpreti non conoscheno che le esigenze  della pratica, i nuovi astrassero da ogni indagine di carattere  filosofico per concentrarsi nello studio filologico dei testi di legge. Hobbes, Spinoza, Bayle fanno dell'utile o del piacere il  criterio del diritto, fanno del timore o del CONTRATTO IL FONDAMENTO DELLA SOCIETA, dell'arbitrio la fonte della legge. Grozio  stesso tratta del diritto naturale delle genti e trascura il  diritto civile, opperò se quello risponde a esigenze razionali, questo lo contraddice nel fatto. L’uomo di Hobbes che  agisce sotto lo stimolo dell'utile e del bisogno è condannato  dalla ragione, ma trova conferma nell'esperienza della storia.  La scienza del diritto naturale sembra dibattersi tra i due  termini opposti della ragione e del senso, dellar filosofia e della  storia senza speranza d'uscita : a risolvere la contraddizione  si accinge Vico. Il concetto di un'armonia provvidenziale  balenata alla mente del Leibniz per comporre il dualismo metafisico tra anima e corpo, ricorre per una strana coincidenza  in Vico per comporre la corrispondente contraddizione nel  campo delle scienze morali Filosofia e storia, idea e sensazione, scienza e coscienza, ragione e autorità, lungi dall'escludersi si richiamano, si integrano, si spiegano a vicenda  nell'uomo, nelle sue varie fasi di sviluppo, nelle sue manifestazioni individuali e collettive. La dottrina pertanto del  diritto naturale o universale che Vico identifica colla  dottrina civile in opposizione alla dottrina morale, si fonda  sulla duplice base del vero e del certo, ed è svolta nel De Uno  da un punto di vista puramente astratto.  L'idea del GIUSTO innata nell'uomo non è che un aspetto      Del juB civile Vico accoglie la definizione di Ulpiano -- quod  neqae in totum a j are naturali recedit, nec per omnia ei servit, sed  partim addit partim detrahit. Cfr. Ferrari. Cfr. De Uno eoe*, Proloquium. Vico pubblica il De uno universi juna principio et fine uno. VICO chiama UNIVERSALE ciò che altri chiamano diritto naturale.    scambio dei beni, che segui alla prima divisione dei campii  passa da forme violenti e arbitrarie a forme sempre più razionali e si genera il dominio. La volontà dapprima dispotica  e sfrenata, nell'usare dei beni e delle persone, facendosi sempre  più moderata e ragionevole genera la libertà. 'L’attività guidata dal senso e conservazione e tutela della vita fisica,  guidata dalla ragione divenne tutela e conservazione della  personalità intellettuale e morale. La proprietà, in quanto  è ristretta alle cose finite e corporee, la tutela in quanto è  difesa del corpo, la libertà in quanto è libera estrinsecazione  degl’affetti dell'animo costituiscono il diritto naturale primario che Ulpiano define: quod natura omnia animalia  docuìL avente CARATTERE NEGATIVO in quanto indica ciò che la  ragione non riprova ma PERMETTE, if dominio, la libertà, la  tutela, sciolti dal senso e regolati dalla ragione costituiscono  il DIRITTO NATURALE secondario o NECESSARIO, che Giustiniano  defini quod naiuralis ratio inter omnes homines constitiiit  et apud omnes gentes peraeque custoditur, in quanto vieta e  comanda conformemente all'eterno vero. Le due parti del diritto civile ne costituiscono rispettivamente la materia e la  forma, il corpo e l'anima, l'elemento mutevole ed eterno, la  ragione civile e naturale, ossia la mens legis e la RATIO LEGIS,  di cui l'una è ir certo delle leggi che spectat ad uiilitatem  qua variante variatur^ l'altra è il vero delle leggi, cioè la  conformazione della legge al fatto, che spectat ad honestaiem  qtme aeterna est.   Dalla libertà, proprietà, tutela, si genera Vauctoritas, la quale  lungi dall'essere creazione arbitraria del legislatore, come  vorrebbe Hobbes, ha il suo fondamento nella natura stessa  dell'uomo, in quanto questi conoscendo ciò che è proprio della  sua natura, lo vuole e lo attua colla mente e col corpo. Questa    Sui concetti di libertà, proprietà, difesa e loro genesi psicologica cfr.  De Uno  Sui rapporti tra diritto primario e secondario cfr. De Uno       auctoritas naturale o razionale attuata nei fatti costituisce  VauctorUas jtiris, la quale e dapprima monastica, spontanea  espressione della personalità individuale, propria degl’uomini  che vivono solitari all' infuori di qualsiasi organizzazione sociale: poi costituita la famiglia diventa domestica ed è l'espressione del dispotismo ancora rozzo e violento dei patres. Infine col formarsi dello stato romano diventa civile, ed è l'espressione  dell'intelligenza, volontà, ATTIVITA COLLETTIVA, ossia della personalità civile.   Dal diritto civile proprio del popolo romano si distingue il  diritto civile comune, ossia il diritto naturale dei giureconsulti fondato sui comuni costumi dei popoli. Abbiamo da  ultimo IL DIRITTO NATURALE DEI FILOSOFI, DEDOTTO da' principi puramente razionali e riferito alla gran città del genere umano.  Col diritto privato si svolge parallelamente il diritto pubblico.  Primo a sorgere è il governo degl’OTTIMATI, reso necessario  dalla tulela dell'ordine, proprio degl’uomini forti, poco amanti  delle conquiste ma molto della loro libertà e dignità. Esso si  regge colle costumanze e mantenendo inalterato e arcano il  diritto. Dalle repubbliche d’ottimati ROMANI, numerose ma piccole, i  popoli molli e rozzi passano alle monarchie, i popoli di ingegno  acuto ma molli cadono presto sotto i tiranni, mentre i popoli  di ingegno acuto e forti si organizzano in repubbliche libere  e popolari, sulla base dell'eguaglianza del suffragio, della libertà di opinione, dell'egual diritto agl’onori. Mediante PATTI statuti si possono costituire governi misti e temperati a  base monarchica, aristocratica o democratica. auotoritas e sue forme cfr. De Uno Vico lo chiama IVS CIVILE OMNIVM CIVITATVM COMMVNE -- De Uno, o IVS NATVRALE GENTIVM, e ad esso riferisce la definizione del IVS CIVILE data da GAIO (si veda):: OMNES POPVLI QVI LEGIBVS SEV MORIBVS REGVNTVR PARTIM ANO PROPRIO PARTIM COMMVNI OMNIAM HOMINVM IVRE VTVNTVR. Cfr. sui rapporti tra IVS NATVRALE GENTIVM ET PHILOSOPHORVM, De Uno. Sulle tre forme fondamentali di governo d’OTTIMATI, regio, libero, il De Uno ha tutti i caratteri di un vero e prò  di filosofia giuridica, che Vico con novità ec  espressione chiama CONSTANTIA IVRIS. Per esso il  una posizione netta e precisa di fronte ai tre in(  mentali che vedemmo essersi distintamente delii  alla scuola del diritto naturale e che dovevano accentuarsi e arrivare alle consegue  Ai seguaci di Hobbes, moderno ORTO, Vico  l'esclusiva importanza data agl’elementi sensibi  e perciò mutevoli del diritto. Ai cartesiani, mode  Vico contesta la possibilità di formare una teoi  del diritto colla guida esclusiva della ragione,  conto degl’appetiti, degl’affetti, degl’interes  tanta parte della vita dell'uomo e della società  due indirizzi estremi Vico si attiene all'indiriz  che tra tutti mostra di intendere la comi  natura umana e di assorgere al concetto di un dir  universale, depvandolo dalla ragione associata  e alla storia. Ma di Grozio non e Vico pediss(  come il Pufendorf Egli lo integra sotto, un dupl:  vista, filosofico e storico. Nell'uso  pretazione della tradizione e della storia Grozi  il paragone con Vico : ci basti per ora affermare  Uno Vico SUPERA IN RIGORE E PROFONDITA di concet  giuridica contenuta nel De jure belli et pacis.   In questo trattato Grozio si rivela più giur  erudito che filosofo: i suoi PRINCIPI FILOSOFICI sono BEN DETERMINATI: gli fa difetto il RIGORE LOGICO, Y  matico, la precisione nel definire e nel distingue]  cipì opposti talvolta non sa decidersi per nessun  sempre riesce a farli concorrere alla dimostrazi  assunto. Vico rileva questi difetti di Grozio     rispondenti rispettivamente ai tre concetti fondamentali de  tutelaf dominiOt libertày cfr. De UnOj rizzo mediano più rispondente alle esigenze delle scienze  etico-giuridiche, ancora imperfetta e quasi incosciente in Grozio è attuata da Vico con rigore di principi e con piena  coscienza. E mentre il suo sistema filosofico sembra coordinarsi  ai sistemi sorti in seno alla scuola del diritto naturale, nel  fatto egli non fa che continuare l'opera degli interpreti nostri  che portano l'elaborazione dell'equità naturale ad un  alto grado di perfezione. Egli ne compie e corona l'edifìzio colla  dottrina dell'equità civile. E accusato Vico di aver confuso l'etica col diritto,  di non aver chiara la coscienza dei loro rapporti e dei  loro caratteri differenziativi. L'accusa, se fondata, fa  torto al suo acume ed e in contraddizione col senso finissimo per cui egli sa sceverare IL FATTO GIURIDICO dagl’altri  fattori concorrenti. A noi pare che anche sotto questo aspetto Vico affermi la sua superiorità di fronte ai giusnaturalisti,  ponendo la questione dei rapporti tra morale e diritto sopra  nuove basi atte a facilitarne la soluzione. Prima di Thomasius  noi assistiamo per parte dei sistemi usciti dalla scuola del diritto naturale a un progressivo assorbimento del fatto morale  nella sfera giuridica. Il concetto del diritto si allarga fino a  comprendere la vita morale e vien meno ogni criterio di distinzione tra le discipline etiche e le giuridiche. Vico ha certo  coscienza di tale confusione quando afierma che per opera dei  seguaci di Hobbes e di Cartesio sono rinnovellati gli antichi  sistemi dell’ORTO e del PORTICO, di cui l’uno confonde la giustizia colla felicità e coll'utilità, l’altro colla  onestà e colla virtù morale. Non sfugge a Vico Timpo-     Cfr. Cantoni. Dei critici del Vico Cantoni  equello che mono ri usci ad afferrare la dottrina metafisica e  giuridica di Vico. Di ciò lo rimproverano SICILIANI (si veda)  e LABANCA. Cfr. Carle, La filosofia del diritto nello stato  (Torino, Unione) ove tratta da un punto di vista del tutto  nuovo della elaborazione dell'idea di GIUSTIZIA. teiiza dell’ORTO e del PORTICO ad assorgere al concetto del GIUSTO, nel quale gl’elementi dell'UTILE (neo-Trasimaco) e dell'ONESTO (neo-Socrate), dell'INTERESSE e della moralità, insieme  convengono. Da un punto di vista puramente pratico in antico  i ROMANI, gli interpreti della scuola di Bartolo e Baldo elaborano il concetto dell’ equo-bono, inteso a commisurare l'utile tra gl’uomini viventi in società  secondo le norme dell'onesto. Il diritto naturale, che l'Hobbes  deriva dall'utile e i seguaci di Cartesio tendevano a far derivare dall'onesto, è da Vico fatto scaturire dal concetto intermedio dell’equo bono. Per lui infatti il diritto naturale est utile  aeie>^no commensu acquale, cioè è l’ÆQVVM BONVM dei  giureconsulti romani e dei nostri interpreti antichi. Prima di Vico Grozio e Leibniz cercano di  svolgere il diritto naturale sull'ampia base dell'utile e d’elementi razionali di natura etica. Ma Grozio non arriva a  fondere i diversi elementi in un concetto unitario che serve  di fondamento sicuro al suo sistema, Leibniz stabili un rapporto puramente metafisico tra l'utile, il giusto, l'onesto,  astraendo dai bisogni della pratica. MANCA A GROZIO E LEIBNIZ LA BASE SALDA DELLA TRADIZIONE ROMANA su cui Vico eleva la  sua dottrina filosofica. Grozio e Leibniz trascurano il  concetto dell'equo e assorsero al concetto del giusto colla  guida esclusiva della ragione. Vico pervenne al giusto per  naturale svolgimento dell'EQUO. Per Vico il giusto è un  genere, un'astrazione, un'idea. Come tale si distingue dall'EQUO  che è l'idea del giusto tradotta nel FATTO, in quanto cioè tien  conto delle ultime circostanze dei fatti. Ninno prima di Vico tenta UNA GENESI PSICOLOGICA del  diritto nei suoi rapporti colla morale e cogli altr’elementi della    Cfr. De Uno Nel Ve Ant, Vico dopo aver detto che v&i' .  e Uno il rapporto tra diritto e morale è trattato da un punto  L vista essenzialmente metafisico: nelle opere posteriori do-iva essere svolto sulla base dell'osservazione psicologica e  )lla storia.   Nel Da Uno Vico appare il filosofo del diritto in-  so a porre i fondamenti metafisici di una dottrina civile. Il diritto ROMANO  vi si rivela nei suoi cai'atteri universali e costanti  lale espressione dell'eterno vero, rispondente alla natura  izionale dell’uomo. Puo alcuno credere che Vico avesse  ,tto opera aprioristica analoga ai sistemi usciti dalla scuola  3l diritto naturale. In realtà Vico segue diverso  immino. La sua filosofia giuridica non e opera arbitraria  della ragione, ma il risultato di una potente astrazione fatta  sopra materiali ofierti dalla storia del diritto. A Vico sa-  bbe parsa opera vana una dottrina filosofica del diritto,  le non avesse trovato nel fatto conferma. Il criterio della  mversione del vero col fatto doveva farlo convinto che il diritto filosofico se veramente risponde alla natura umana  ^trattamente considerata, non può trovarsi in contraddizione  )\ fatti e se contraddizione esiste essa è transitoria. La lo-  ca delle idee deve per essere vera identificarsi e confondersi  fila logica e l'ordine delle cose. Ma tale identificazione è  Dta e graduale. DAPPRIMA IL DIRITTO ESISTE COME FATTO POSITIVO, si attuatto l'azione della necessità e dell'UTILITA. Solo in uno stadio  ogredito di riflessione l'uomo avverte sotto le mutevoli forme  oriche il progressivo attuarsi dell'idea eterna del giusto.  Dimostrare col sussidio della filologia, cioè della storia lar-  .mente intesa la progressiva attuazione nell'ordine dei fatti  il diritto naturale, divenne la meta a cui si indirizzarono  ricerche e gli studi di Vico. Tale dimostrazione egli dove  pprima chiedere al DIRITTO ROMANO RICOSTRUITO ricostruito ne' suoi testi  nuini dai giureconsulti colti e nella sua storia da Gravina,  diritto romano appariva a lui come ai giureconsulti nostri.  Gravina, a Doria un prodotto di formaziorie naturale e  3ntanea mirabilmente atto a servir di guida e di modello per la determinazione delle leggi costanti e universali che segue  il diritto nella sua evoluzione storica. Dominato da questo concetto che risponde alle nostre più costanti tradizioni Vico  si diede nel De Constantia a ricostruire con larghezza e  originalità di vedute IL DIRITTO ROMANO per trarne argomenti  alla dimostrazione de' suoi principi filosofici. La scuola del diritto naturale fin dal suo sorgere con Grozio dichiara  GUERRA APERTA AL DIRITTO ROMANO. Descartes e si levato contro  gli studi storici e filologici. Vico posto nell'alternativa di  negare la storia o la filosofia, l'autorità o la ragione, il DIRITTO ROMANO o il diritto naturale non ha un momento di  esitazione: si attenne alla TRADIZIONE ROMANA mostrando come  da essa potessero derivarsi principi per una concezione filosofica del diritto. Egli volle essere l'anello di congiunzione tra  i metafisici e gli storici del diritto. Come vi è una fisica e una  metafisica della natura, cosi vi è un diritto fisico e metafisico. IL DIRITTO FISICO POSITIVO E IL DIRITTO ROMANO  quale esiste nella storia:  il diritto filosofico fondato sulla contemplazione astratta della  natura umana se non vuol essere arbitrario deve potersi convertire nel fatto. A questa condizione il diritto fisico per forza  naturale di cose finisce per incontrarsi e coincidere col diritto filosofico. Di qui ir rimprovero da lui mosso da un lato  all’accademia per aver confuso il giusto ideale col giusto eterno,  l'uno inconvertibile, l'altro convertibile col fatto, dall'altro a  Grozio e a Pufendorf per non aver tenuto conto della storia  e per aver foggiato un diritto filosofico che non è praticato  nel costume. LA STORIA DI ROMA S’INIZIA COLLA GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI. Da questa guerra esce la feudalità solitaria delle famiglie che comandano ai clienti e lottano contro i nomadi. Il De Constantia jurisprudentis diviso in due parti, De Constantia Philosophiae -- breve riassunto dei princìpi filosofici ampiamente esposti nel De  Uno -- e De Constantia Philologiae. Tali rimproveri si possono leggere nella Prima Scienza Nuova. Ili séguito alle rivolte dei clienti I PATRIZIJ si chiudono nelle  città, si organizzano in ordini, combattono i ribelli e dai vinti  si formano le plebi. Ma queste col tempo cresciute di numero  si rivoltano di nuovo, e l'aristocrazia è costretta a cedere, a  estendere al popolo leggi, campi, matrimoni, cittadinanza. Cogli  imperatori abolite le classi e i privilegi, le leggi appaiono  altrettante generalità filosofiche. Scompare l'antico diritto  rozzo e violento e la forza dell'autorità si confonde con quella  della ragione. L'armonia tra il senso e la ragione, tra il vero  e il certo, tra filosofia e filologia sembrava raggiunta. Ma nel  trarre dalla storia di Roma il corso ideale del diritto, Vico  dove colmare lacune, completare tradizioni, adottare un'arte  nuova di critica e di interpretazione atta a penetrare il significato di intere epoche storiche e fondata sulla osservazione  psicologica e SULLO STUDIO DELLA LINGUA LATINA. La ricostruzione storica del diritto romano dischiuse a Vico  la via alla ricostruzione storica del diritto quale si manifesta  ne' suoi caratteri costanti nel mondo della nazione italiana. Ma ben  comprende Vico che tale ricostruzione non puo dirsi completa se il fenomeno giuridico non e studiato ne' suoi rapporti colla religione, colla morale, colla politica considerati  come altrettanti prodotti storici che si svolgono parallelamente  al diritto e ne attraversano le stessi fasi di formazione.   Nella Prùna Scienza Nuova  il diritto naturale non è  più studiato come prodotto storico del popolo romano,  ma come formazione collettiva, cioè come la scienza dell'uomo  solitario che vuol la salvezza della sua natura e la conquista  per gradi nel consorzio sociale sotto la pressione delle necessità e delle utilità. Alla mancanza di documenti storici, di  tradizioni certe, di testimonianze sicure supple Vico colle  sue intuizioni audaci e divinatorie, coll'autorità del senso  comune che è la mente dell'uomo collettivo da cui traggono   E sopràtutto notevole per la formazione  storioa e sociale del diritto.    origine quelle massime di sapienza volgare in cui tutti il popolo romano convenne ed e universalmente praticato.   Dal primitivo stato di solitudine e di abbandono in cui manca  ogni freno al senso e il diritto è sinonimo di forza l'uomo  invaso da terrore religioso esce contraendo stabili unioni in  sedi fisse. La famiglia rappresenta la prima fase dello sviluppo  sociale: solidamente costituita sul principio religioso essa si  allarga fino a comprendere quanti per sfuggire ai pericoli e  alla miseria della vita nomade invocano la protezione dei  forti. Costumi, diritto, politica riflettono in questo antichissimo stadio di vita sociale lo stato mentale dell'uomo. A uomini  ignoranti e superstiziosi, privi del necessario alla vita, insofferenti di freno, amanti della solitudine, devono convenire religioni spaventose e crudeli, costumi barbari ma moderati. È  questo il periodo divino o teologico del diritto naturale in cui  mancando le leggi, i diritti si custodiscono colle religioni. I  padri sono sapienti, sacerdoti, re nelle famiglie che costituiscono una libera e assoluta monarchia. Coll’ampliarsi delle famiglie in gentes, coll’ammutinarsi dei  plebei e conseguente organizzarsi dei paires in ordini e nelle  città, sorgono i governi aristocratici e quindi i regni eroici.  Le plebi lottano per la libertà di ragione, per l’uguaglianza  dei diritti, per il possesso dei campi. I costumi sono sempre  severi ma meno feroci, il diritto eroico si mantiene rigido,  crudele, arcano, privilegiato.  Ma gl’eroi decadono convertendosi in tiranni. Nelle città i  plebei ottengono di esser parificati ai nobili nel godimento dei  diritti e si iniziano i governi civili nella forma di repubbliche  libere o di monarchie civili. I costumi si ingentiliscono e con  essi SI FA UMANOe civile IL DIRITTO NATURALE. Coll'estendersi  della NATURALE EQUITA delle leggi sorgono i filosofi a meditare   Circa i caratteri del diritto, deUa morale, della politica iu questo,  primo periodo cfr. P. S. N, Del diritto, della morale, politica eroica U Vico tratta, il vero delle cose e con essi si iniziano la metafisica e le  diverse scienze e arti. Dai rapporti fra le città si svolge il  diritto naturale delle nazioni, e dall'unione delle nazioni il  diritto universale del genere umano. Per tal modo le varie fasi di aggregazione sociale, le forme  di governo, i costumi, il diritto si succedono secondo una legge  costante riflettendo il corso delle idee espresse a loro volta  nelle lingue. I concetti di diritto civile, di, diritto naturale,  delle genti, non più considerati da un punto di vista puramente astratto, non più ristretti a un popolo determinato ci  si presentano concetti vivi e reali, formazioni storiche strettamente legate col graduale sviluppo dello spirito umano nelle sue  manifestazioni individuali e collettive. Nella Prima Scienza  Nuova l'idea predominante è pur sempre l'evoluzione storica  del diritto considerato, come dice Carle, la quintessenza  dell'aggregato sociale. IN ROMA IL DIRITTO SEMBRA ASSORBIRE TUTTI GL’ALTR’ELEMENTI DELLA VITA SOCIALE IN GUISA D’APPARIRE QUASI L’ELEMENTO ESCLUSIVO. Perciò Vico vuole porsi da un  punto di vista più elevato per meglio determinarne i caratteri,  le leggi universali e costanti del suo eterno divenire storico. Il problema relativo alla natura socievole dell'uomo,  all'origine della società e della sovranità, e stato argomento  di vivaci discussioni in seno alla scuola del diritto naturale.  Tale problema, osserva Carle, e necessariamente implicito  nel concetto da cui aveva esordito la filosofia, secondo cui l'uomo come tale, cosi come esce dalle mani  di natura e non in quanto fa parte di un qualche gruppo sociale, è capace di diritto. Dei due termini, individuo e società,  per tal modo dissociati solo al primo, nei vari sistemi usciti  dalla scuola del diritto naturale, e attribuita esistenza reale. Dei tempi umani tratta Vico Vedi Carle, Fil, del Dir, nello stato,  in cai è trattato l'argomento dell’indivìduo e della società nella  filosofia del diritto. in cui si discorre della  ipotesi di UNO STATO DI NATURA, della genesi della società e sovranità. All’individualismo religioso, filo  repoca e naturale compierne  della società. Tutti gl’indirizz:  scienze morali   pito, UNO STATO DI NATURA aiiter  l'uomo godeva di una indipende  sconfinata, e da cui sarebbe us(  lontari ACCORDI, nei quali riponev  come della sovranità. Grozio,  turalmente socievole, ammise ne  un periodo, circa un secolo, di  Yenne meno il sensimi natii7^a  homines. Tale stato di nomadi,  dette necessario ammettere per  prietà privata, e del rispetto et  tale. Lo ritenne composto di se  allo stato civile per un certo e  di famiglia. Il Pufendorf, sull'c  decaduti gentili come uomini senza aiuto divino. Hobbes i  carattere di tendenza originaria  dal senso, dagl’appetiti, dagli  natura come un vero stato ferin  stato di natura anteriore alla s  mebondi se non furibondi come \  della tradizione medioevale coni  da Grozio, Selden \  tilità decaduta non si era mai  l'intervento diretto della diviniti  con criterio diverso la storia deg  Gli stessi problemi si affacciar-     L'opera di Selden, dotto ebn  col titolo : De jure naturali et gentium   Cfr. Labanca  contrasto coi filosofi solitari o monastici, fautori  alismo egoista e razionalista, mentre riservò tutte  itie per i filosofi politici, le cui opere sono intese  ire l’uomo nella civile società. Nella sua ammira-  pistianesimo, nella sua avversione pel movimento  entra come elemento la considerazione- deirin-  ociale ch'egli giudica compromesso dallo spirito  ta che anima la Riforma. La sua ammirazione  ch'egli si compiace di chiamare sociniano (1), non  gine. Nell'avvertire i pericoli dell' individualismo  ielle scienze morali, nell'additarne le cause, nel-  L rimedi, Vico e solo ed inascoltato. Nel De Uno  natura socievole dell'uomo e delle origini e cause  3nza sociale da un punto di vista puramente astratto  ntegrare Grozio e a contrapporsi ai cartesiani  di Hobbes. Nella Seconda Scienza Nvxyoa egli si  ire del problema la dimostrazione storica e psico-  lendo a conclusioni che fanno di lui il precursore  ìza sociale. Il fatto che risalendo alle origini   dà la qualifica di sociuiano a Grozio in due passi deUa PrivMi  e in entrambi i  to degli uomini immaginati da Grozio originariamente bivoni  deboli, soli e bisognosi di tutto; Vico chiama tale ipotesi  Il Labanaca corregge l'affermazione del  >8i sul fatto che Grozio era ariuiniano e che scrìve una  contro Socino. A questo lavoro di Grozio contro Socino non  iffini neir opera citata sulla Libeì'tà religiosa: in quella vece  argomenti decitivi la stretta affinità tra la dottrina di Socino  arminiaui. Grozio, dice Rnffini, proclama alta-  bnona intesa con i Sooiuiani, coi quali e specialmente col  [ìtimo rapporto epistolare. » — L'affermazione di Vico non  destituita di fondamento. — Cfr. Ruffini, e più studiato da letterati, filosofi e storici che non da  nze morali e sociali. In generale i crìtici di Vico non ri-  to sociologico della Seconda Scienza Nuova, Vi accennano  dliani: lo dimostrò ampiamente Carle nelle sue « Lezioni  \ale » (inedite) da cui sono tratti molti concetti in questo  tenuti. più remote della storia non si ha memoria di uoi  airinfuori del consorzio civile, costituisce per il  mento decisivo in favore dell'esistenza originaria  che è quanto dire della natura socievole delì'uon  cose fuori del loro stato naturale non possono a  durare. Il presupposto della Seconda Scienza Ni  l'umanità abbia un corso uniforme ed immutabile  nata da leggi costanti, che tutti gl’uomini nor  membri di un gran corpo che non muore mai,  istante per il continuo mutare degli individui si  molteplice ed uno ad un tempo. Religioni, leggi, : altrove lo definisce: mente illii-   sbta, cuor retto e lingua fedele interprete di entrambi  mettendo in   vo l’armonia che deve esistere fra le diverse facoltà.   Tali principi assiomatici Vico chiama e dignità > e sono iu   )   ) Cfr. Dignità,  sapere il vero deHe cose si attiene nell'operare al certo, a ciò  che a lui sembra vero, al senso comune. L'uomo in qualunque stadio e condizione di vita sociale ama principalmente  l'utile proprio; a misura che la cerchia dei suoi interessisi,  allarga alla famiglia, alla città, alla nazione, al genere umano,  si estende d'altrettanto il suo egoismo. Dalle necessità e  utilità della vita regolate dal senso comune, trae sopratutto  l'uomo impulso ad operare: esse costituiscono il criterio saldo  per l'interpretazione della condotta presente e futura. A beneficare, a contrarre i vincoli sociali, ad accettare le diverse  forme di governo, le leggi, le istituzioni, sino gl’uomini sopratutto tratti dall'utile che ne ritraggono. Prima a svolgersi nell'uomo è la vita del SENSO, poi quella del sentimento,  quindi della ragione. Epperò se prima gl’uomini sentono senza  avvertire, poi avvertono con animo perturbato e commosso,  finché da ultimo riflettono con mente pura. Il progresso morale è in stretto rapporto collo sviluppo psichico. Quando sieno  successivamente soddisfatte le necessità, le utilità, le comodità  della vita, l'uomo che npn domina gl’appetiti e non intende  la voce della ragione, si abbandona al piacere, al lusso, finché  non rovina nella dissolutezza. Tali osservazioni di psicologia  individuale Vico completa con osservazioni generali di psicologia collettiva. I popoli, come gli uomini, hanno periodi di  infanzia e di giovinezza. Fatti adulti invecchiano e quindi  muoiono. I popoli rozzi e barbari come i fanciulli favellano  per universali, sono inclini a imitare, hanno vigorosa la memoria, vivida la fantasia, debole il raziocinio, profondo il culto  delle tradizioni. Lentamente e per gradi si inducono a rinunciare alla loro libertà, ai loro patri costumi : ribelli a ogni  freno sono domati dalla religione: impenetrabili nella loro     (1) Dig., 9, 11, 12.   (2) S. S. N., lib. I, Del Metodo.   (3) mg., 80.   (4) Dig.  barie cedono alla violenza delle guerre o alle attrattive  commerci. I costumi dei popoli sono dapprima crudi. Poi  eri, quindi s’ingentiliscono, per farsi nell'ultima fase del  ) sviluppo raffinati e dissoluti .   .'osservazione psicologica si completa in Vico collo studio  oU'interpretazione della storia, ch'egli chiama la biografia  l'umanità. Gli studi storici all'epoca sua sono degnamente  presentati in Italia da Giannone e Muratori. Giannone  lon tratta dalla storia una scienza nuova, aveva certa-  ite studiato la storia con criteri nuovi. In lui troviamo non  olito espositore dei fatti politici, ma lo studioso della vita  ile e interiore dello stato : primo mostra di saper ragionare  fatti, e di trarne argomenti alla dimostrazione di una  i  Muratori fa della critica e della erudizione storica  ì a sé stessa : ricercatore e raccoglitore indefesso e sagace  )lvette, dice Manzoni, tante questioni, tanto più ne  e, ne sfrattò tante inutili e sciocche. Ma egli non penetra  •e il fatto, non raccoglie a unità tante cognizioni. Di queste  L vede né i principi né le conseguenze. Sotto questo  etto egli fu il vero contrapposto di Vico, il quale si forma     [) Dig.y 4 Giannone, appartiene a qneUa schiera di ginre-  »nlti storici ed eruditi c\t^ aU'epoca di Vico iUnstravano Napoli. Fa allievo Aulisio e frequentò la casa d’Argento,   avvocato e magistrato di Napoli. Dopo veut'anni di la-   Giannone pubblicò in Napoli la sua Storia civile del Regno  Napoli in cui si fa difensore dei diritti dello  » contro le usurpazioni deirautorità ecclC'iiastica. Vico conosce  o Giannone ma non lo ricorda per evidenti ragioni di prudenza. Muratori pubblica l'opera sua maggiore « Rerum  Icarum Soriptoros. Vico ricorda Muratori  ma lettera a Gaeta a proposito del trattato di filosofia morale  del Muratori. Manzoni, -- Opere varie, Milano,  aelli -- contrapponendo Muratori a Vico dice che  rvando i loro lavori^ par qyasi di vedere, con ammirazione e con  •lacere insieme, due. gran forze disunite, e nello stesso tempo come uu  ame d'un grand'effetto che sarebbe prodotto dalla loro riunione. della storia un largo concetto fino a comprendere in essa t  le manifestazioni umane, la interpretò agli effetti delle sci^  morali, se ne valse per la costituzione di una scienza nu  Egli spinge il suo sguardo nelle epoche più oscure, là e  più scarse e misteriose sono le memorie e le tradizioni,-  aiuta con criteri derivati dalle proprietà costanti della moli, Pierre Cfr. Labanca, Op. cit.> per le notìzie biografiche o bibliografiche  intorno ai citati critici. Thomasius, Wolff, critica la dottrina dello stato ferino del  Vico chiamandola erronea impiaque e dimostrandola contraria alla metafisica ed alla  storia latina. L'accusa di empietà solle-  vata da Pinetti colpiva non pur Vico, ma quanti ne am-  mettevano la dottrina dello stato ferino. Tra questi DUNI (si veda)  che risponde con acredine. Di qui e offerta a Finetti l'occasione di scrivere l’Apologia, in cui sottopone la Scienza  Nuova a una critica minuta. Ribadisce Finetti la critica  contro lo stato ferino, rimprovera a Vica di intendere la  Provvidenza in un modo non sempre conforme alla teologia  cattolica, di aver disconosciuto il cristianesimo, di aver preferito solo a parole la storia sacra alla  profana, di aver bandito il divino dalla storia.   I fatti posteriori rendero giustizia all'oculatezza di Finetti  nel mettere gli studiosi in guardia contro il veleno  tanto più temibile quanto meno avvertito che nella Scienza  Nuota si nasconde. In Vico non e abbastanza rilevato quel  fenomeno di sdoppiamento psicologico a cui ci hanno abituato  i, nostri grandi filosofi e che in Italia e il  mezzo più efficace per sfuggire alle persecuzioni e per conciliare la sincerità della credenza colla libertà del pensiero. Se  non si tien conto di questo fatto la figura di Vico appare  incomprensibile. In lui bisogna tener costantemente distinte  le due figure dell'uomo e del filosofo. Come UOMO Vico e    Finetti e veneto, sacerdote, censore ufficiale dei libri da proibirsi  come contrari alla fede cattolica. Cfr. Labanca. La Eisposta apologetica di Dani. E pubblicata da Finetti sotto il pseudonimo di Filandro  Miaoterio -- cioè amante dell' Mwawo e sprezzante del /mtio. Ricordiamo che  la controversia tra Duni e Finetti si e così allargata in Roma da  originare le due scuole dei ferini e anti-ferini, L’Apologia e passata  inosservata agli studiosi di Vico. Spetta a Labanca l'onore di averla  fatta 'conoscere nel suo contenuto storico -e critico.  -- sinceramente cattolico. La religiosità di Vico risulta non tanto  dalle sue insistenti dichiarazioni fatte nelle opere destinate  al pubblico, quanto dalle lettere private e da alcuni passi  dell’Autobiografia in cui non preoccupato di far pompa delle  sue credenze, manifesta intero l'animo suo. I critici del resto, Finetti stesso, non elevano dubbi al riguardo. Essi si limitano a dire che Vico non puo sempre considerarsi cattolico nelle sue dottrine. Nel distinguere l'uomo  dallo FILOSOFO essi intuirono il vero, e noi dobbiamo seguirli  per questa via premettendo che le accuse e i rimproveri dei  critici si convertono per noi in altrettanti titoli di  onore. A Vico non sfugge il pericolo che a lui e alla dua dottrina  puo derivare dalla critica, e non tralascia occasione per spuntarne gli stral. Ma questi sono abbastanza  acuti per far di lui una vittima della scienza, sebbene, osserva Labanca, non vi e da parte de' suoi critici il deliberato  proposito di esserne carnefici. Dato il temperamento di Vico  non temprato alla lotta, timido e servile al punto di abbandonarsi ad azioni poco dignitose, ad adulazioni convenzionali,  sempre incerto del domani, preoccupato di non perdere le  potenti protezioni da cui trae i mezzi per vivere e gl’aiuti  per pubblicare i suoi saggi, si comprende come la lotta sorda,  persistente dei critici, ben più di quella che possono  movergli i cartesiani, dove esser per lui motivo di continue paure e di tormenti fisici e morali. Essendo scoppiata in Napoli una congiura contro il viceré  Filippo, Vico scrive contro i faziosi l'opuscolo De parthenopea conjuratione. Con l'entrata degl’austriaci in Napoli trionfano le  idee dei congiurati. Vico e pronto a lodare i vituperati. Scrive quattro saggi intorno alle gesta diCarafa  e fa un eroe di un uomo ignobile e odiato universalmente. Vico e molto ammirato ma POCO AMATO da' suoi contemporanei. Le cause de' suoi  dolori sono in parte in lui stesso. Sappiamo che muore di infermità mentale ed e nevrastenico. Nella lettera indirizzata a Giacchi  Vico allude chiaramente ai critici quaiido parla di dotti    Se si pensa alle miserande condizioni dei liberi pensatori in Italia e Francia, ai pericoli a cui si esponeno, sopratutto  in Napoli sotto il governo austriaco, si  comprende lo stato d'animo di Vico, audace nel filosofare,  timido di carattere, portato nelle sue dottrine ad offrire ad un  tempo il fianco all'offesa e alla difesa. Malgrado le dichiarazioni contrarie di Vico, nella Scienza Nuova si trovano i  germi di una profonda rivoluzione nelle scienze morali. Lo  spirito innovatore e implicito nel titolo stesso. Vico aveva  la coscienza di aver fatto opera del tutto nuova, e nuovo e  ricercare del mondo umano le leggi sue proprie di sviluppo,  senza chiederle alla teologia.  Nuovo e rivoluzionario e far del mondo umano autore e fattore l'uomo  ad esclusione del divino. Nuovo e ardito e rintracciare  il vero nelle favole, nei miti, negl’errori della tradizione romana. Nuovo e pericoloso e fare della Provvidenza un principio IMMANENTE, panteistico, nella storia e trasformare la religione in un  mero prodotto storico, derivandola per legge naturale dal timore,  dal bisogno di vivere immortali, dall'istinto delle analogie,  dalla curiosità di spiegare i fenomeni dell'universo ; sopratutto     cattivi f % quali colle tinte di una simulata pietà lo oppnmevano, nella stessa  guisa ohe sempre han soluto rovinare coloro ohe hanno fatto- nuove disooverte, Labanca trae argomento dal fatto che i critici  non attaccarono il De Antiquissima per affermare che Vico fa  della metatisica teologica. Secondo noi il silenzio della critica  ha altre caa-te. Nelle prime opere Vico non usce dal campo  filosofico e rende servizio alla causa nel combattere Cartesio, Hobbes,  Locke. Nel De Constantia e nella Scienza Nuova egli invade il campo  dell'erudizione storica sacra e profana, facovasi egli stesso innovatore,  dove suscitare legittimi sospetti da parte di critici abituati a considerare  vero l’antico e falso il nuovo.  Basti dire che Muratori per pubblicare un saggio sulla moderazione  degli spiriti nelle cose di religione, dove pure confuta l'arminiano  Ledere, e riconosce al principe la facoltà di procedere anche con l'estremo suplicio contro gl’eretici, dove stamparlo in Francia sotto falso  nome: con tutto ciò dice il Ruffini, le diatribe degl’intransigenti gli piovvero addosso e non schiva il temuto indice se non  per il bene, chè gli vuole Benedetto XIV. gravi erano le conseguenze per il dogma dal far derivare il  genere umano da uno stato ferino di isolamento senza religione. Sono pertanto fondati i timori dei critici cattolici e  reali i pericoli da essi affacciati per la causa della fede. Solo  l'abilità di Vico nel trovar espedienti atti a tranquillizzare  gl’animi timorati, a coprire le audacie della sua filosofia, a  dar veste cattolica all'opera sua, solo le protezioni di cui  gode nell'alte sfere del mondo ecclesiastico, e la convinzione ch'e in tutti della sincerità delle sue credenze, solo  la profondità dei concetti e l'oscurità della forma, che toglie popolarità all'opera sua, poterono salvarlo dalle persecuzioni, ma non valeno a far tacere la critica. A due finzioni sopratutto Vico ricorge per temperare l’asprezze dela sua filosofia e garantirsi contro l'accusa d’eresia  e di empietà. Egli pone ogni cura nel dichiarare che la provvidenza concepita come principio trascendente, è l'architetta  del mondo delle nazioni, che queste si svolgono secondo un  disegno eterno preordinato dal creatore e che gl’uomini non  sono che mezzi e strumenti alla attuazione dei disegni divini.  in ciò sembra accogliere il dogma cattolico della divina provvidenza, ma non e che una lustra, poiché alla provvidenza  cosi concepita Vico si affretta a negare qualsiasi azione  diretta e indiretta sulla storia, la quale si svolge ESCLUSIVAMENTE PER OPERA DELL’UOMO conforme alle sue tendenze e alla  sua natura, salvo a fatti compiuti dichiarare che questi sono  in corrispondenza colla volontà del divino. La provvidenza e la  religione ritornano pur di continuo nella Scienza Nuova, ma  in un senso del tutto diverso. La provvidenza perde ogni carattere, teologico, diventa piuttosto, come già ha ad osservare    n Vico dedica la prim e la seconda edizione della  Scienza Nuova a Corsini, che in poi papa Clemente XII, evidentemente allo scopo di crearsi nn potente mecenaterin-  fatti tale dedica conserva quantonqne Corsini, ricchissimo di censo, fin  dalla prima edizione si e scusato presso lui di non potergli fornire :i  mezzi per la stampa, mezzi che Vico si provvide vendendo uà anello.    innelli, la persuasione che gl’uomini hanno del divino su loro :  religione poi perde ogni carattere positivo per divenire il  ko religioso in generale, che stimola e accompagna la ci-  ta dei popoli nei loro inizi e prepara nei tempi umani il  onfo della sapienza riposta o filosofica. Nessun accenno tro-  imo a idee intolleranti, neppure per stornare da sé le ire  cattolici. La tolleranza traspira dal concetto largo e mo-  'UO che egli si forma della religione. Vico porta un conbuto prezioso alla causa della libertà religiosa, per quanto  1 apprezzato: egli che invoca la tolleranza per sé la  èva per gl’altri. Altri potè con argomenti e teoriche ra-  naliste cooperare al trionfo della libertà religiosa. Vico  coopera trasportando le questioni religiose dal campo delle  e al campo dei fatti, mostrando l'origine e la formazione  ;urale delle religioni, traendo dai fatti la loro giustifica-  ne, astraendo da qualsiasi forma di religione particolare.  li per tal modo ponevasi da un punto di vista nuovo e che  -èva ingenerare l'equivoco: la veduta storica se lo rese da  lato fautore della religione e del culto nazionale, dall'altro  portava suo malgrado ad escludere dalla storia ogni reli-  ne rilevata : potè quindi fornire argomenti tanto ai fautori  mto agli avversari della libertà religiosa. Dena larghezza di vedute di Vico in fatto di religione fanno prova  stndl da lai fatti dei filosofi protestanti più. avverai alla Chiesa  }olica, le sue amichevoli relazioni con uomini apertamente fautori della  rtà religiosa come Ledere e Thomasius. — Avversò la Riforma  testante per una ragione storica piti che religiosa ; ne condanna le  lenze individualiste, ribeUi ad ogni freno di autorità. Non cre-  mo che Vico sìa stato deciso avversario della tolleranza religiosa  le mostra di credere Ruffini. Tale convinzione Ruffini fonda particolarmente sopra un passo della Seconda Scienza Nuova  3ui Vico dice: € le nazioni, se non sono prosciolte in un'ultima li-  ba di religione, lo che non avviene se non nella loro ultima decadenza,  [) naturalmente rattenute di ricevere dei tadi straniere. Raffini  ima paradossale e mostruoso tale principio e a ragione se Pinterpre-  one da lui data fosse la vera: ma ci sia permesso dubitarne. Il passo  luestione si legge nel libro secondo della Seconda Scienza Nuo^àf e pre-     La seconda finzione a cui ricorse Vico per evitarle inevitabili conflitti coll’EBRAISMO e quella di separare la storia  degl’ebrei da quella dei ROMANI gentili. Alla stessa finzione per lo  stesso motivo hanno fatto ricorso Grozio e Pufendorf.  Il popolo ebreo e considerato dai stessi ebrei come un popolo eletto, la cui  storia si e svolta eccezionalmente sotto la diretta azione del divino ebreo all'infuori delle leggi naturali e ordiiiarie di sviluppo   cui erano sottostati i ROMANI Gentili, che formano per altro l'umanità. Là distinzione e accolta ed accentuata da Vico, il quale     cisameute là ove Vico tratta dell’astronomia poetica. Premettiamo che il  secondo libro deUa S» S. N» si intitola « Della sapienza poetica » ed è la  ricostrnzione della storia relativa ai tempi favolosi e oscuri. Dopo di aver  discorso della metafisica, della lingua latina, della morale, della vita famigliare  e politica di quest'epoca primitiva, Vico passa a studiarne le concezioni  cosmografiche e astronomiche. L'astronomia poetica assume per Vico  un particolare significato. Essa è la storia religiosa degli antichissimi popoli italici:, gli dei e gl’eroi – ENEA, ROMOLO, SCIPIONE -- sarebbero stati trasportati dalla terra in cielo a  popolarvi i pianeti e le costellazioni, che rispettivamente dagli dei o dagl’eroi prendono nome – MARTE, padre di ROMOLO. Per agevolare la via al ritrovamento dell' aaitronomia  poetica Vico pone alcuni principi filologici e filosofici. Tra questi ultimi  troviamo quello sopracitato, il quale espresso in forma generale e riferito a tutte le nazioni senza distinzione di tempo e di luogo può far credere ad una implicita condanna della libertà religiosa. Ora noi crediaoK)  che in questo passo la religione è considerata da un punto di viata storico e non teologico, e che l'affermazione di Vico, sebbene espressa in  forma generica, vuole essere la constatazione di un fatto storico particolarmente riferito ad epoche primitive. È noto che i popoli primitivi  senza conoscere il dogma della esclusiva salvazione sono gelosissimi delle  loro credenze religiose, considerate come parte di loro stessi e precipui  fattori d’educazione e di unità nazionale. Sappiamo ancora esser stata  convinzione di Vico, assai discutibile del resto, esser le nazioni nella loro  barbarie impenetrabili, e che le infiltrazioni straniere di qualunque natura  né snaturano il carattere e sono elementi di decadenza. Interpretato storicamente il passo di Vico e non come affermazione di un principio teorico  trova fondamento nella storia di tutti i popoli antichi, ai quali del resto  la maggior parte dalle osservazioni filosofiche di Vico devono riferirsi. Certamente non troviamo nelle opere di Vico apertamente proclamato il  principio della libertà religiosa. Ciò del resto non fanno né Doria né  Giannone, i quali, osserva Kuffiui, non osando  esprimere esplicitamente le loro opinioni tolleranti ricorsero all'espediente  di lodare la tolleranza del Komani.  traddire alle nostre tradizioni e alle esigenze del nostro  LO nazionale. Sarebbe stato strano che al sistema di Vico  e mancata in Italia l'opposizione cattolica. Può invece  iar meraviglia il fatto che mancò a Vico in Italia quella  lizione che non manca ad altri capiscuola all'estero. Bi-  la per altro non dimenticare che l'Italia sopporta le  ^eguenze della duplice secolare servitù politica e religiosa,   il risveglio delle coscienze e delle menti alla vita mo-  ia manca in Italia quasi affatto nel seicento, e lento e  trastàto, e segui sotto lo stimolo di in^u^  inieri che traviarono l'intelletto italiano dalle sue naturali  iizioni. Queste però, sebbene deboli e incerte, si conservano,  3po Vico noi le possiamo rintracciare sia nelle dottrine  ora asservite alla tradizione scolastica, sia nelle dottrine  )irate agli influssi stranieri.   a dottrina di Vico trova i seguaci più fedeli.  . essi ricordiamo Stellini e Duni. Stellini svolge  3ndo il metodo e il concetto di Vico la filosofia morale,  >uni la filosofia giuridica: malgrado le loro credenze sin-  imente religiose cercano entrambi dei fatti etici e giuridici la formazione naturale, movono dallo studio dell'uomo  le appare all'osservazione psicologica e storica all'infuori  qualsiasi premessa dogmatica e religiosa. Duni è l'autore di un intero sistema di filosofia giuridica  quale le dottrine di Vico si riproducono chiare e or-  ite Vico ha posto nella vis veri il comun fonda-  ito delle scienze morali. Già Finetti ha acutamente  jrvato che non il vero in genere, ma il vero in ispecie,  le naturalis ordo rerum deve assumersi a fondamento del     ) Per ciò ohe rigaarda Stellini e la saa dottriua morale cfr. nostro  'oblema morale > Torino, Bocca, Dani nato a Matera e professore a Roma. Tra i suoi saggi ricordiamo il Saggio sulla  spradenza universale e la Scienza del oostu^e ossia sistema df  io universale diritto universale. Di questa critica del Finetti risente la  distinzione stabilita da Duni tra vero matematico, metafisico,  morale. Non il vero in genere, ma quella forma speciale di  vero che dicesi morale è il fondamento del diritto universale,  che è la scienza del costume ossia della condotta umana  largamente intesa., Sul vero morale si fondano l'etica e il diritto. Duni nel porre il criterio di distinzione tra morale e diritto, riproduce sostanzialmente la dottrina di Vico. Questi  deriva la morale dall'interno sentimento del pudore, il  diritto dallo svolgersi e dall'estrinsecarsi della libertà.  Duni  non usa i termini pudore e libertà, ma ricorre alle espressioni equivalenti, ma più generiche e comuni, di ONESTA – H. P. GRICE, “am honest chap” --  e di  giustizia. L'onesto è il vero morale riferito alla condotta interiore dell'individuo. Il giusto è il vero morale riferito alla  condotta esterna dell'uomo in quanto fa parte della società. L'uno non esce dall'individuo, l'altro SUPPONE IL CONSORZIO SOCIALE – cf. Grice, breakdown of relevance. L’uno si risolve nell'equilibrio delle facoltà umane e  nella purezza dell'intenzione, l'altro nella retta distribuzione  tra gl’uomini de' vantaggi e delle utilità. Non vi è dubbio  che Duni iutese chiaramente il rapporto tra morale e  diritto. Ma forse ne accentua troppo l'opposizione, mentre Vico insiste piuttosto sulla loro coordinazione e accanto al  pudore che è un fatto di coscienza pone il costume che è il  fatto etico COLLETTIVO che prepara ma non costituisce ancora  il fatto giuridico. Non crediamo che Duni interpreta esattamente  il concetto di Vico facendo derivare il diritto delle genti da  quelle antichissime costumanze che si andarono formando durante l'età patriarcale per l'autorevole e sovrana volontà dei  padri di famiglia e che si incontrano pressoché uniformi in   Cfr. Finetti, ediz. di Venezia, C£r. Duni, Scienza del oostume, ed, napoletana, Cfìr. QcU rapporto tra ^iuatp e onesto. Punì, Op. cit.^ lib, 11^ e. vil^     .-•-TT VavVy     -Sla-  tti i popoli. Formatesi colle città le società civili, tali co-  imanze modificate e adattate alle speciali condizioni di  npo e di luogo avrebbero costituito il diritto civile,  [n altre parole secondo Duni il diritto di natura è il diritto filosofico quale appare alla mente rischiarata dal vero,  Q ottenebrata dagl’afletti e dall'errore. Il diritto delle genti  il diritto civile sono formazioni storiche rispondenti ai due  idi di aggregazione sociale della famiglia e della città. Il  itto poi civile svolge l'equità naturale e la civile, di cui  na si ispira al privato interesse l'altra al pubblico. Nel  ni le dottrine e i principi di Vico diventano famigliari  iccessibili alle menti meno colte. È doveroso riconoscere  e le sorti di Vico in Italia sono stret-  nente legate al nome di Duni. Nei saggi, dalla cattedra  Roma per Duni tenne desto il  Ito e la tradizione di Vico negli studi giuridici. Cattolico  li stesso potè con tanta maggior efficacia difenderne la me-  )ria e i saggi contro i cattolici intransigenti, frustrandone  secreto desiderio di far condannare come eretiche e peri-  tose le opere di Vico. Egli fa opera più di avvocato  e di critico. E più amante di Vico che della verità. Ma  si tien conto delle tristi condizioni in cui versavano le  enze morali e giuridiche in Italia, minacciate dalla reazione cattolica da un lato.  He influenze materialiste francesi dall'altro, l'opera di Duni  'Otta a far conoscere nella sua genuina purezza le dottrine  l Vico e a salvarle dalle conseguenze di una condanna ec-  isiastica non può a meno che essere altamente apprezzata.    La formazione storica del diritto deUe geùti e civile è argomento  . Duni, Sopra accennammo alla polemica tra Duni e Fìnetti in ordine allo  bo ferino. Qui ricorderemo che la Biaposta apologetica di Duni e stam-  a con l'approvazione del Giorgi, professore di Scrittura nell'Università  Roma e del Nerini, consultore del Sauto Officio. Si voUe così dare una  3ntita ufficiale a Finetti, il quale non volle perciò apparire l'autore  la Apologia che pubblica con altro nome. Quando in Italia e sopratutto  in Napoli gli ingegni subivano il fascino degli enciclopedisti,  la tradizione di Vico impede l'asservimento completo della nostra filosofi. Liberi pensatori come Pagano, Filangeri, e Cuoco trassero dalla Scienza Nuova gl’elementi  più originali e duraturi dei loro saggi.   Se non può pertanto sostenersi che la tradizione di Vico  sia stata svolta e apprezzata al suo giusto valore in Italia,  non può neppure ammettersi che e andata perduta. La filosofia italiana ondeggia incerto tra  la tradizione spiritualista e gl’indirizzi di origine straniera  del sensismo, dell'hegelianismo, del positivismo. Ma è notevole  il fatto che dai seguaci delle scuole più diverse l'autorità di Vico e invocata in appoggio dei loro sistemi e da tutti il Vico  e considerato come il rappresentante di un indirizzo di filosofia essenzialmente italiano.  L'età classica dei capiscuola e dei sistemi di diritto  naturale si chiude con Vico, la cui dottrina se da un lato è  in rapporto colle correnti della filosofia dell'epoca,  dall'altro lato per gl’elementi storici é psicologici, di cui si  arricchisce, preannunzia sistemi e indirizzi venuti in onore  in tempi posteriori. Ben può dunque Vico considerarsi un  gigante della filosofia^ una mente comprensiva che della realtà  vide gl’aspetti più diversi e seppe fonderli, unificarli in una  dottrina che per i tempi in cui sorse può veramente chiamarsi  nuova. L'importanza di Vico sta nell'aver posto a fii^eno e a  guida della speculazione filosofica la realtà, o il fatto, come  egli dice, nell'aver intuito il metodo proprio delle scienze  morali, nell'aver dato alla sua speculazione il fondamento saldo  della psicologia e della storia, nell'aver analizzato l'uomo in  se e nella sua natura socievole, nell'aver tratto da elementi  disparati e opposti un sistema che ha tutti i caratteri di una  sintesi filosofica, storica, e sociale. Per questo l'opera sua presenta in sommo grado i caratteri della modernità e perennità .  della modernità in quanto anticipa sull'indirizzo storico, so«          - àu -   ologico, psicologico nello studio dei fatti morali; della peren-  ta in quanto a' suoi insegnamenti l'intelletto umano ritorna mpre dalle estreme, eterne aberrazioni dell'idealismo e del  lalismo.       I^a SGixoim del dlfltto t^atUfale  Qe^sUol tappotti coiriliafx)li7lSfX)o e col l^aiftlsf^o.  Origine, sviluppo e caratteri deU'Iuazninisino. La scnola  del diritto naturale nei suoi rapporti coU'IllaininiBnio. L'illuminismo  in Francia e suoi caratteri.  L'Illuminismo in Germania e l'opera dei  giuristi. L'IUuminismo in Italia e suo carattere generale. La  scuola del diritto naturale nei suoi rapporti ooUa dottrina giuridica di  Kant. La scuola del diritto naturale rappresenta una nuova  ientazione filosofica in ordine ai fenomeni giuridici e  ciali. Essa e l'opera di filosofi seppe contrapporre alle istituzioni che avevano per sé la  rza dell'autorità e della tradizione le armonie ideali di una  ta conforme alla natura delle cose, ossia ai principi univerli e immutabili della ragione. A questo rivolgimento filosofico si aggiunge per opera  m di filosofi, ma di pubblicisti, letterati, uomini di Stato, un  svolgimento delle coscienze, espressione di un nuovo modo di  nsiderare il mondo sociale e morale, noto sotto il nome d’illuminismo. Tra l'Illuminismo e la Scuola del diritto naturale  rrono stretti rapporti, ma anche profonde differenze. .Agli  opi di questo saggio basta affermare che l'Illuminismo è  i fenomeno assai complesso, risultante di elementi diversi,  sieme fusi e diretti ad uno scopo ultimo di riforma sociale  politica. L'Illuminismo non può considerarsi una filiazione        tè. Non deve sembrar strano il nome di razionalisti ap-  plicato ai principali rappresentanti deirilluminismo. Tale nome  è giustificato per due motivi : anzitutto perchè le manifesta-  zioni più spiccate del materialismo del secolo XVIII presen-  tano tutti i caratteri di costruzioni razionali, nelle quali la  fantasia e il ragionamento suppliscono spesso la insufficienza  e la scarsità dei dati di fatto oflferti dalle scienze ancora in  formazione r in secondo luogo perchè le idealità sociali e giu-  ridiche, che la scuola del diritto naturale aveva elaborato,  rivivono nell'epoca dell'Illuminismo e ne costituiscono il fat-  tore aprioristico e razionale. L'origine contrattuale della so-  'cietà e dello Stato, i concetti dell'uomo e della società di natura  rappresentano il contributo che la scuola del diritto naturale  arrecò all'Illuminismo. Tali concetti che negli scrittori del  diritto naturale rispondevano essenzialmente ad una esigenza  razionale, negli Enciclopedisti ricompaiono arricchiti di un  contenuto sentimentale, in forma poetica e attraente acqui-  stando per questo solo una efficacia pratica che prima non  avevano.   Nell'Illuminismo pertanto venivano a convergere tutte le  diverse correnti della speculazióne filosofica e scientifica dei  secoli XVII e XVIII e assieme fuse vennero a costituire una  nuova più vasta corrente a intenti di riforma e di trasfor-  mazione morale, religiosa, politica, sociale. La Chiesa e lo  Stato, le due iorze maggiori che da secoli tenevano soggiogati  gli spiriti e ne impedivano ogni libera espansione furono prese  di mira: da un lato le premesse materialiste, gli stretti rap-  porti col progresso e le applicazioni delle scienze naturali  rendevano l'Illuminismo antireligioso e nelle sue ultime con-  seguenze ateo; dall'altro lato le concezioni dello stato di na-  tura e del contratto sociale battevano in breccia le teorie  del diritto divino, nonché il fondamento dei governi assoluti.  Il materialismo esplicò la sua influenza sovvertitrice nel campo  religioso e morale : la scuola del diritto naturale scosse le basi  tradizionali dell'autorità e dello Stato. Se si aggiunge che     Digitized by VjOOQ IC     -ài?-   l'Illuminismo non fu solo movimento di idee m;  sentimenti, che si distinse per la sua cieca fede i  del sapere, nella trasformazione della società per  scienze, nelle energie inesauribili dell'uomo, fati  creare a sé stesso i suoi propri destini, si com  esso in sé racchiudesse tutte le condizioni per  l'antico regime e preparare le condizioni della v   L'Illuminismo è un fenomeno generale del t  ovunque i popoli si destano ad una vita nuova, 1  lavoro e dalla scienza, . ovunque si acquista cosi  de' propri diritti e si avvertono i sintomi di un ;  rispondente agli ideali di giustizia e di prosperiti  e sociale, il fenomeno dell'Illuminismo' appare,  tutti i paesi si presenta cogli stessi caratteri.   La Francia fu la patria dell'Illuminismo e da ei  in altri paesi sopratatto in Germania e in Italia,  in Francia l'Illuminismo si svolge co' suoi carati  cali, ci si presenta completamente sviluppato. F  cipio del secolo XVIII in Francia lo scetticisr  Bayle aveva distolto le menti dal passato pre  ad accogliere teorie più consentanee ai tempi. A  fase di scetticismo dissolvitore , di critica nega  il periodo in cui le più elette intelligenze si fa  dere le dottrine scientifiche e filosofiche dell'Ing  è considerata la terra della libertà e del progres;  le sue forme. A questa fase risalgono i rapporti  tra la Francia e l'Inghilterra, gli scritti polemici  diretti a far trionfare in Francia il sistema di  pera del Montesquieu intesa a far conoscere  politiche e costituzionali inglesi. In un terzo  luminismo entra in una fase costruttiva; abl  lato col La Mettrie e col Cabanis i primi 1  trarre la vita intellettuale e morale dal sustra  e fisiologico dell'uomo, dall'altro col Condillac  derivare dal senso la vita dello spirito; più tar      -   abbozza un sistema morale informato all'egoismo e al pre-  supposto dell'uomo preoccupato solo della propria felicità:  da ultimo il barone d'Holbach in un'opera che fu il codice  la bibbia del materialismo del secolo XVIII riduce a si-  stema le leggi del mondo fisico e morale. £ parallelamente  a questa concezione naturalista e meccanicista del mondo e  della vita vediamo per opera del Diderot, del Rousseau, del  Morelly, del Mably risorgere la fede in uno stato di natura,  sinonimo di moralità e di felicità, vediamo l'opera della ragione  e della volontà invocata a dar origine e svolgimento alla  società e allo Stato. E quest'ultima corrente di natura ideale  e che aveva per se l'autorità di quasi due secoli di specula-  zione, più consentanea alle tendenze razionaliste di un'epoca  per la quale le concezioni materialiste erano premature, finì  per prevalere e per dare al movimento illuminista quel carat-  tere ideale e razionale nel quale si manifesta nella rivoluzione  francese.   78. — In Germania l'Illuminismo francese penetrò per l'in-  fluenza personale di Federico il Grande, la cui corte divenne  il ritrovo geniale delle più elette intelligenze dell'epoca. Il fa-  vore che il grande uomo di stato dimostrò per il movimento di  idee sorto dall'Illuminismo rispondeva oltreché a un bisogno  della mente, ad un alto disegno politico. Preoccupato della  rigenerazione intellettuale e morale del suo popolo Federico  il Grande comprese come l'avvenire di esso dipendeva dal  grado nel quale avrebbe partecipato alle nuove correnti di  pensiero. Ma astraendo dalle tendenze e dalle vedute politiche  personali di Federico II devesi riconoscere che il materia-  lismo inglese e francese non trovò accoglienza in Germania,  né prevalse contro l'idealismo spiritualista che poneva capo  al Leibnitz (I), per quanto non si possa negare che anche la  speculazione del Leibnitz e del Wolflf informata all'eudemo-     (1) Cfr* Lange, Hietoire du matérialisme, Paris gli studiosi delle scienze giuridiche ed economiche, i quali  possono trovare in Italia Tattuazione anticipata di quelle ri-  forme legislative e finanziarie che altrove furono provocate  dai torbidi rivoluzionari. E bisogna riconoscere che in Italia  i principi meno stretti alla tradizione, più a contatto col po-  polo seppero attuare quanto dì meglio T illuminismo in sé riu-  niva spontaneamente, con perfetta coscienza, senza attendere  la pressione degli avvenimenti. Nello studio poi deirillumi-  nismo italiano non può trascurarsi un elemento non derivato  dal di fuori ma del tutto nostro, la tradizione cioè del pen-  siero del Vico, che si rivela, come già accennammo, in tutte  le opere uscite dalle menti più elette dell'epoca e che senza  dubbio concorse a dare un indirizzo pratico, un fondamento  più saldo, una fisionomia particolare all'Illuminismo italiano.   Ma l'argomento da noi appena sfiorato dell'Illuminismo ita-  liano merita per la sua importanza una trattazione speciale,  e qui non si voleva che richiamare l'attenzione sul carattere  generale ch'esso presenta e per cui si distingue dall'Illumi-  nismo francese e tedesco. La scuola del diritto naturale non ha solo stretti  rapporti coll'Illuminismo ma rientra come elemento integrante  nel nuovo indirizzo filosofico che si personifica in Kant. Il Kantismo se fu per il suo stesso carattere critico  una reazione contro la speculazione filosofica dei secoli XVII  e XVIII, rappresenta d'altra parte uno svolgimento di quelle  idee che la scuola del diritto naturale aveva in due secoli  elaborato. Il carattere di reazione si rivela sopratutto nella  parte teoretica della speculazione kantiana. La critica della  conoscenza e della ragione umana nella ricerca del vero, che  il Kant considerava come il problema fondamentale della fi-  losofia, era implicitamente la critica e la condanna di tutti  i sistemi usciti dalle diverse scuole filosofiche, nessuno dei  quali aveva rispettato quei limiti oltre i quali la ragione  umana non può conoscere il vero. Per questa parte il Kant  si contrappone al passato e apre vie nuove alla speculazione    Stato nei suoi rapporti coirindividuo e a stabilire quella   d'interiorità che deve considerarsi interamente sottratta  alsiasi coazione esteriore e da cui si originano i cosi   diritti soggettivi dell'uomo e del cittadino.   concezione stessa di un diritto naturale non è abban-  ta dal Kant, ma è solo presentata sotto un diverso aspetto,  non cerca il fondamento del diritto naturale nella espe-  rà e nell'osservazione empirica dell'uomo come l'Hobbes  >pure nell'autorità e nell'universale consenso come Grozio,  iella ragione stessa, e riduce tutta la scienza del diritto  cognizione sistematica del diritto naturale. Da ultimo  nò che riguarda il concetto e le funzioni dello Stato, il  ; se non si foggiò uno stato di natura, vagheggiò certo  stato di ragione, ossia uno stato che i moderni chiame-  3ro piuttosto di diritto, non avente altro scopo all'infuori  lello di garantire il diritto ossia di assicurare l'accordo   libertà. Che se un siffatto concetto dello Stato non può  >ndersi collo Stato sognato dagli Illuministi e dai giusna-  listi, che ha per fine la felicità e il perfezionamento dei  dini, non vi è dubbio che nei due casi il metodo seguito  jostrurlo è identico e lo Stato giuridico di Kant è una  uzione altrettanto astratta e arbitraria quanto è più   dello Stato paterno di Thomasius e di Wolff. Sotto  atto pertanto del metodo seguito, dei risultati ottenuti  lobbiamo considerare la dottrina giuridica del Kant un  pale svolgimento della dottrina elaborata dagli spiriti  linati del secolo XVIII, che in Germania all'epoca in cui  I Kant, si confondono coi seguaci della scuola del diritto  pale.Hóbhes e Vindirizzo empirico nelle scienze  morali Bacone e sua posisione nella storia del pensiero  Bacone e le scienze morali Etica e scienza civile in Bacone Il metodo di Hobbes Hobbes e  i suoi tempi — 36. Sistema etico -^inridico di Hobbes Il  rapporto tra morale e diritto in Hobbe<t L'opposizione  a Hobbes : Cnmberland Locke e i snoi tempi Mo-  rale e diritto in Locke Da Locke a Home Hnme  ei snoi tempi Filosofia di Hnme Rapporto tra  morale e diritto in Hnme Smith e sna importanza  Sistema etico-ginridioo di Smith L'indirizzo cartesiano nelle scienze morali .Cartesio e l'epoca sna Cartesio e le scienze  morali — 50. Malebranche e l'indirizzo spiritualista-cartesiano  nelle scienze morali L'Olanda <o il sistema etico-giu-  ridico di Spinoza — 52. Le condizioni politiche e religiose  della Germania La dottrina etico-giu-  ridica di Leibniz L'opera metodica del Wolff Pa-  rallelo tra riudirizzo filosofico e giuridico nelle scienze morali. Vico e le scienze etico-giuridiche in Italia .Condizioni generali d'Italia Galileo e la filosofia naturale Gli stndl giuridici e  il rinnovamento della filosofìa in ItaliaVicende degli  studi giuridici iu Italia Gli stndl giuridici in Napoli  nella prima metà del secolo XVII: giureconsulti pratici  n progresso degli studi giuridici in Napoli : g^iureconsulti eruditi : d'Andrea e  Gravina — 62. La Vita Civile di Dorìa Risveglio  filosofico in Napoli nella seconda metà del secolo XVII —  64. Posizione di Vico in ordine agli indirizzi filosofici del suo  tempo Vico contro Cartesio e la questione del metodo  nelle scienze morali Il criterio della verità nel Vico Vico e gli studi giuridici La filosofia del diritto  nel Vico Il rapporto tra morale e diritto Il  diritto nella sua formazione storica Diritto e scienza  sociale Le sorti di Vico e i critici cattolki Se-  guaci di Vico: Stellini e Dnni La Scuola, del diritto naturale ^ne' suoi rapporti   coli' Illuminismo e col Kantismi .Origine, sviluppo e caratteri dell'Illuminismo La scuola del diritto naturale nei suoi rapporti coll'Ulu-  minismo L' Illuminismo in Francia e suoi caratteri  L' Illuminismo in Germania e l'opera dei giuristi L'Illuminismo in Italia e suo carattere generale La  scuola del diritto naturale nei suoi rapporti colla dottrina  giuridica di E. Kant.  Gioele Solari. Solari. Keywords: roma antica, Giorgio Guglielmo Federico Hegel, Spaventa, hegelianismo, iustum/iussum – storia della filosofia del diritto romano – cicerone; diritto naturale, IVS NATVRALE, Gaio, citato da Vico, Giustiniano, diritto romano in eta del principato, IVS GENTIVM, IVS VNIVERSALI, sato di natura, i ferini di Vico, il metodo pirotologico di Grice – ri-costruzione razionale, Bennett, significato naturale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Solari” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Soleri: ragione ed implicatura conversazionale -- funzionalità veritativa dei connettivi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Macra). Filosofo italiano. Studia a Milano sotto OLGIATI. Insegna a Saluzzo. Saggi: Il problema metafisico del male, Sapienza – cf. Grice, Ill-will; Inevitabilità e decisività del problema teologico; La proprietà, S.E.I. Torino; TELESIO, La Scuola, Brescia, LUCREZIO, La Scuola, Brescia, ANTONINO, La Scuola, Brescia; L'immortalità dell'anima, S.E.I., Torino; Economia e morale, Borla, Torino; Essere, atto, valore; Il problema del valore, Morcelliana, Brescia, Incisività e decisività del problema teologico, Studia Patavina, Orizzonte della metafisica”; Ettore, “S.” (Saluzzo). Ettore Soleri. Soleri. Keywords: Telesio, Lucrezio, Antonino, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Soleri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Somenzi: il naturale, il innaturale, il sovranaturale, il trasnaturale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Redondesco). Filosofo italiano. Ufficiale meteorologo dell'aeronautica. Partecipa alla Resistenza, lavora all'ufficio studi dello stato maggiore. Si divide tra la carriera militare e quella accademica, optando infine per la cattedra di filosofia a Roma. Tra i suoi allievi vi e CORDESCHI. Partendo da un interesse per l'operazionismo, dirige i suoi studi teorici alla cibernetica ed e tra i primi a interessarsi di intelligenza artificiale e a studiare i rapporti mente-cervello e mente-macchina.  Saggi: La filosofia della scienza, Milano, Bocca, La meccanica quantistica, Milano, Bocca – H. P. Grice, the quantum; L' operazionismo, Milano, Comunità; La scienza nel suo sviluppo storico, Torino, ERI; Automi, Torino, Boringhieri; Tra fisica e filosofia, Donolato, Abano Terme, Piovan; La materia pensante, Milano, CLUP Città Studi. Rainone, Enciclopedia Italiana, riferimenti in. Saggi in onore, Roma, Union Printing, antologia e testimonianze, Mantova, Fondazione Banca agricola mantovana, Cibernetica Intelligenza artificiale  Rainone, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Un maestro del domandare, di Cd Del Bello, da Giano, sito Metodologia. Filosofo al servizio della scienza, Corriere della Sera Archivio storico. Vittorio Somenzi. Somenzi. Keywords: naturale, sovranaturale, Grice, Metaphysics in Pears, The Nature of Metaphysics. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Somenzi”. 

 

Grice e Sorano: TVTELA IVPPITER OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS VNVS ET OMNES -- Roma antica – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sora) Filosofo italiano. Magistrato romano. Muore a Roma, gens Valeria, tribuno della plebe, politico romano. Originario di Sora, poeta e grammatico latino e tribuno della plebe durante la repubblica romana, soprattutto noto per essere stato giustiziato da Gneo POMPEO (si veda) per ordine del dittatore Lucio Cornelio SILLA (si veda), ufficialmente per aver pubblicamente rivelato il nome segreto della città di Roma, che avrebbe potuto essere utilizzato nel rituale di evocatio da parte dei nemici, ma probabilmente anche per ragioni politiche, dato che è legato alla fazione di Caio MARIO (si veda). Cichorius, Zur Lebensgeschichte des S., Hermes, Journal of Philology, Oxford Latin Dictionary, voce "S.”. Martino, L'identità segreta della divinità tutelare di Roma: un ri-esame dell' affaire S., Settimo Sigillo, Roma; Onorato, Commentario sull'Eneide. Denique tribunus plebei quidam S., ut ait VARRONE (si veda) et multi alii, hoc nomen ausus enuntiare ut quidam dicunt raptus a senatu et in crucem levatus est ut alii metu supplicii fugit et in Sicilia comprehensus a praetore praecepto senatus occisus est. Perseus. Servii Grammatici qui feruntur in VIRGILIO carmina commentarii, cur. Thilo e Hagen, Teubner, Hinard, Silla, Salerno. Opere su Musisque Deoque, PHI Latin Texts, Packard Humanities, Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Politici romani Politici romani. Morti a Roma Persone giustiziate. Forse segue la scuola del portico. CICERONE fa chiamare, da CRASSO, litteratissimum togatorum omnium. E in stretti rapporti con CICERONE e con VARRONE. Partecipa attivamente alla vita politica ed e tribuno della plebe. Fugge in Sicilia ove POMPEO lo fa giustiziare. Poco rimane di lui, sicchè è difficile apprezzare la sua attività filosofica. Certamente si occupa di storia letteraria e di grammatica. Dedica a Publio SCIPIONE (si veda) Nasica un saggio che non si sa se e in prosa o in versi. Compone Epoptides, che contiene principalmente interpretazioni allegoriche di nomi. II esametri che sì ricordano di S. hanno pensare al pan-teismo mmanente idel Portico e probabilmente sono inclusi in un tratatto sulla natura. From the Latin town of Sora, S. is a many-sided and esteemed philosopher in the department of linguistic and antiquarian research, and a precursor of VARRONE, who, like him, often employs the metrical form. CICERONE, de or. CRASSO says: nostri (the Romans themselves) minus student litteris quam Latini. Notwithstanding (he says) the most uneducated native Roman easily surpasses litteratissimum togatorum omnium, S., lenitate vocis alque ipso oris pressu el sono. VARRONE knows S. personally and often refers to him as a weighty authority; cf. Gell. VARRONE, questioned by Ser. Sulpicius concerning the favisae capitolinae, confesses that he knows nothing about the origin of the word, sed S. solitum dicere, etc. Lingua Latina. apud S.: vetus adagio est, o P. SCIPIONE. From this he appears to have been a contemporary of ACCIO, and it becomes probable that he is the same Valerio whom VARRONE quotes in Lingua Latina: Valerius ait. Accius Hectörem nollet facere, Hectora mallet,' further Scrupipedas dicit. Valerius a pede acscrupea. He must also be identical with the expositor of the XII tables of the same name. II hexameters of Portico character on GIOVE as the one and highest god ap. AGOSTINO In. civ. Dei, cf. Mythogr. Vat. Bode: in han sententiam eliam quosdam versus S. exponit idem VARRONE in eo libro quem seorsum ab istis de cultu deorum scripsil. PLINIO NH. praef.: hoc ante me fecit (viz. to add a table of contents to a book) in litteris nostris S. in libris quos irontidor inscripsit. His two sons, Quintus and Decimus, are called by CICERONE -- Bruto -- vicini et familiares mei, non tam in dicendo admirabiles quam docti et graecis litteris et latinis. PRE. Distinct from the litteratissimus togatorum omnium is tribunus plebei quidam S., who divulges the secret name of Rome and is punished with death by order of the Senate (V. Anno ap. Serv. Aen.; cf. PLINIO. NH. PLOT. qu. rom., EvLEUTsCH, Phil. S. THAT one was a poet, grammarian, and tribune of the people in the Roman Republic. He is executed while SULLA is dictator, ostensibly for violating a religious prohibition against speaking the arcane name of Rome, but more likely for political reasons. The cognomen S. is a toponym indicating that he is from Sora. A single elegiac couplet survives more or less intact from his body of work. The two lines address GIOVE as an all-powerful begetter who is both male and female. This androgynous, unitarian conception of deity, possibly an attempt to integrate the Porch and Orphic doctrine, makes the fragment of interest in religious studies. S. is also credited with a little-recognised literary innovation. PLINIO maggiore says that S. is the first philosopher to provide a table of contents to help readers navigate a long essay S. Is admired for his learning by CICERONE. CICERONE has an interlocutor in his “De oratore” praise S. as “most cultured of all who wear the toga,” and Cicero lists him and his brother Decimus among an educated elite of socii et Latini – i. e., those who came from allied polities on the Italian peninsula rather than from Rome, and those whose legal status is defined by a LATIN right rather than a full ROMAN citizenship. The municipality of Sora is near Cicero's native Arpinum, and he refers to the Valerii Sorani as his friends and neighbours. S. is also a friend of VARRONE and is mentioned more than once in that scholar's multi-volume work on the Latin language. The son of S. is thought to have been the Quintus Valerius ORCA, who was praetor. ORCA works for Cicero's return to public life and is among Cicero's correspondents in the Epistulae ad familiares. CICERONE presents the Valerii brothers of Sora as well schooled in literature, but less admirable for their speaking ability. As Italians, they would have been lacking to Cicero's ears in the smooth sophistication or urbanitas and faultless pronunciation of the best NATIVE ROMAN orators. This attitude of social exclusivity may account for why S., whose scholarly interests and friendships might otherwise suggest a conservative temperament, would have found his place in the civil wars on the side of the popularist MARIO rather than that of the patrician SULLA. It may also be noted that CICERONE's expression of this attitude is double-edged. Like MARIO and the Valerii Sorani, CICERONE is also a man from a municipium, and has to overcome the same obstructing biases that he adopts and expresses. In the year of his death, S. is or has been a tribunus plebis, a political office open only to those of plebeian rather than patrician birth. The fullest account of the infamous death of S. is given by SERVIO, who says that he is executed for revealing the secret name of Rome. The tribune S. dares to disclose this name, according to VARRONE and many other sources. Some say he is hauled in by the senate and strung up on a cross. Others, that he flees in fear of retribution and is apprehended by a praetor in SICILIA, where he is killed by order of the senate. SERVIO's account presents several difficulties. Crucifixion is a punishment generally reserved for a slave. Valerio Massimo, a historian in the principate, reckons that the punishment should not be inflicted on those of Roman blood ‘even if he deserved it.’ Moreover, a tribune's person is, by law, sacro-sanct. Finally, it is unclear whether the X tribunes should possess the knowledge of Rome's secret name, or in what manner S. publicises it. Among sources earlier than SERVIO, both PLINIO MAGGIORE and Plutarco note that S. is punished for this violation. It has been suggested that the name is revealed in his one work for which a title is known -- the “Epoptides”. The title, if interpreted as it sometimes is to mean tutelary deities, offers an apt context. But elsewhere SERVIO — so too MACROBIO — implies that the name remains unrecorded. S. has been identified with the Q. Valerius, described as a philologos and a philomathes, whom Plutarch says is a supporter of MARIO. This man is put to death by POMPEO in SICILIA, where he would have accompanied Carbo, the consular colleague of the recently murdered Cinna. Carbo is executed by Pompeo. Cichorius publishes an essay that organises the available evidence for the life of S. and argues that his execution is a result of the Sullan proscription. The view of his death as politically motivated prevails among scholars:  His death is thus the result of being proscribed as a supporter of MARIO, and has nothing to do with religious issues of any kind. At the same time, we know that S. writes essays of a religious-antiquarian kind, as well as verse, and is often cited by VARRONE. This link with VARRONE must be the reason for associating the revelation of Rome's secret name with S.’s violent death, for, as we saw, it is VARRONE whom SERVIO cites as his authority for linking the death with the revelation. But if VARRONE originates the story, his reasons are hard to tease out of the roiled politics of the Republic. Although VARRONE is the friend of S., in the civil war he is on the side of the Pompeians. GIULIO CESARE however, not only pardons VARRONE, but gives him significant appointments. The biases of the contemporary sources are not lost on Plutarch in his account of the killing. Furthermore, GAIO OPPIO, the friend of GIULIO CESARE, says that POMPEO treats S. also with unnatural cruelty. For, understanding that S. is a man of rare scholarship and learning, when he is brought to him, OPPIO says, POMPEO takes him aside, walks up and down with him, asks and learns what he wishes from him, and then orders his attendants to lead him away and put him to death at once. But when OPPIO discourses about the enemies or friends of GIULIO CESARE, one must be very cautious about believing him. Speaking the name could be construed as a political protest and also an act of treason, as the revelation would expose the tutelary deity and leave the city unprotected. This belief rests on the power of utterance to call forth the deity – evocation -- so that an enemy in possession of the true and secret name could divert the divine protection to themselves. The intellectual historian of the Republic Rawson ventures cautiously that S.'s motive remains unclear, but may have been political. More vigorous is the view of ALFONSI, who argues that S. reveals the name *deliberately* so that -- superstitious as S. is --  his Italian municipality of SORA could appropriate it and break Rome's monopoly of power. Another interpretation of these events, worth noting despite its fictional context, is that of historical novelist McCullough, who melds political and religious motives in a psychological characterization. In Fortune's Favorites, McCullough's S. screams aloud the arcane name because the atrocities committed during the civil war renders Rome unworthy of divine protection. Rome and all for which she stands should fall down like a shoddy building in an earthquake. S. himself believes that implicitly. So having told air and birds and horrified men Rome's secret name, S. flees to Ostia WONDERING why Rome still stands upon her seven hills. The single couplet that survives from S.’s vast work as a poet, grammarian, and antiquarian is quoted by AGOSTINO in the De civitate Dei to support his view that the tutelary deity (DEITAS, DIVINA) of Rome is the Capitoline Jupiter (GIOVE CAPITOLINO): -- IVPPITER OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS VNVS ET OMNES.The syntax of S’s couplet poses difficulties in attempts at interpretation, and there may be some corruption of the text. It seems to say something like Jupiter all-powerful, of kings and things, and of gods, the progenitor and the genetrix of gods, god that is one and all. AGOSTINO says that his source for the quotation is a work on religion by VARRONE, with whose conception of deity AGOSTINO argues throughout De civitate Dei. The view of VARRONE, and presumably of S., is that GIOVE represents the whole universe which emits and receives semina, encompassing the generative powers of earth the mother as well as sky the tather. This unitarianism is a concept of the PORTICO, and S. is usually counted among the members of the Porch of Rome, perhaps of the contemporary school of Panezio. The unity of opposites in the deity, including divine androgyny, is also characteristic of Orphic doctrine, which may have impressed itself on the Porch. The couplet may come from the Epoptides. The title is mentioned only in PLINIO, and none of the known fragments of S. can be attributed to this large-scale work with certainty. S.’s innovation in providing a table of contents  — most likely a list of capita rerum — suggests that the Epoptides is an encyclopedic or compendious saggio Alternatively, the Epoptides may have been a long didactic treatise on nature. S. is known to have written didactic poetry and is likely to have been an influence when LUCREZIO choses verse as his medium for a  philosophical subject matter such as nature is. The most extensive argument regarding the Epoptidesis is that of Köves-Zulauf. Much of what can be conjectured about the work derives from the interpretation of its title. The verb “ἐποπτεύω” has the basic meaning of to watch, to oversee, but also, literally, to become an ἐπόπτης, or initiate -- Epoptides -- the highest grade of initiate at the Eleusinian mysteries. Köves-Zulauf argues that S.’s Epoptides is an extended treatment of mystery religions, and he translates the title as Mystikerinnen. The classicist and mythographer Rose, on the contrary, insists that the epoptides has nothing to do with initiates. Rawson holds with initiated women; the Loeb offers lady initiates; Horsfall is satisfied with the watchers. Köves-Zulauf maintains that the epoptides of the title represent the conception of the PORTICO of female daimones who are guardians of humanity, such as the horae and the charites. S. integrates this concept, Zulauf says, with the “TVTELÆ”, ancient Italic protective spirits. The crime of S. is thus to reveal in this work the name of the particular TVTELA charged with protecting Rome. Works of later Roman grammarians suggest that S. Takes an interest in etymology and other linguistic matters. Conrad Cichorius, “Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus,” Hermes; American Journal of Philology; Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, New York: American Philological Association; Cichorius, “Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus,” Hermes -- remains the most thorough discussion of the evidence; Abstract in American Journal of Philology, Oxford Latin Dictionary (Oxford: Clarendon), entry on "Soranus," Alvar, “Matériaux pour l'étude de la formule sive deus, sive dea,” Numen; Courtney, The Fragmentary Latin Poets (Oxford: Clarendon; Mastrocinque, "Creating One's Own Religion: Intellectual Choices," in A Companion to Roman Religion, ed. Rüpke (Blackwell), Pliny the Elder, preface, Historia naturalis; Henderson, “Knowing Someone Through Their Books: Pliny on Uncle Pliny (Epistles 3.5),” Classical Philology, Cicero, De oratore -- litteratissimum togatorum omnium.  Cicero, Brutus, Cicero, Bruto, vicini et familiares mei; Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Varrone, De lingua latina, Gellius, Noctes Atticae, Courtney, The Fragmentary Latin Poets (Oxford: Clarendon); Niccolini, I fasti dei tribuni della plebe (Milano); Cicero, Post reditum in senatu; Cicero, Epistulae ad familiares; discussion in Brown, Israel and Hellas: Sacred Institutions and Roman Counterparts, Berlin Gruyter Cicero, Brutus -- non tam in dicendo admirabilis quam doctus et Graecis litteris et Latinis.  Ramage, “Cicerone on EXTRA-ROMAN Speech,” Transactions and Proceedings of the American Philological Association, Brown, Israel and Hellas, Berlin, Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic, The Johns Hopkins, Klinghardt discusses the religious case in "Prayer Formularies for Public Recitation: Their Use and Function in Ancient Religion," Numen; see also Versnel, “A Parody on Hymns in Martial and Some Trinitarian Problems,” Mnemosyne. The "praetor" may be Pompey. Servius, Commentary on the Aeneid -- denique tribunus plebei quidam Valerius Soranus, ut ait Varro et multi alii, hoc nomen ausus enuntiare, ut quidam dicunt raptus a senatu et in crucem levatus est, ut alii, metu supplicii fugit et in Sicilia comprehensus a praetore praecepto senatus occisus est; from the Perseus Project's online edition of Servii Grammatici qui feruntur in Vergilii carmina commentarii, ed. Thilo e Hagen (Teubner).  Smith, Dictionary of Greek and Roman Antiquities, entry on "Crux," Bill Thayer's Lacus Curtius edition; Elizabeth Rawson, "Sallust on the Eighties?", Classical Quarterly Coleman, "Fatal Charades: Roman Executions Staged as Mythological Enactments," Journal of Roman Studies; for full discussion, see M. Hengel, Crucifixion in the Ancient World (London), especially "Crucifixion and Roman Citizens" and "The 'Slaves' Punishment," Valerius Maximus, "Tribune" at Livius; fuller discussion of the tribunate at Smith, Dictionary of Greek and Roman Antiquities, "Tribunus," Thayer's Lacus Curtius edition..  “This name and the name of the tutelary deity of Rome was handed down from one generation of Roman priests and magistrates to the succeeding one” Linderski, "The Augural Law," Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. The story of S., Linderski assumes, indicates that tribunes do know the name. The reasoning may be circular.  Pliny the Elder, Historia naturalis, Plutarch, Roman Questions, The late antique grammarian Solinus also reports that S. is killed for profaning the name of Rome, connecting the act to the Roman goddess Angerona, whose cult statue depicted her with a sealed mouth.  Köves-Zulauf, "Die Ἐπόπτιδες des Valerius Soranus," Rheinisches Museum. "Tutelary deities" is not the universal translation. See discussion under Literary Works.  Servius, Commentary on the Aeneid; Macrobius, Saturnalia; Brown, Israel & Hellas, Berlin. The ancient sources on the violation make a distinction without, in the outcome for S., a difference. Some say the arcanum not to be revealed is the secret name of Rome, and others that of Rome's tutelary deity, see L'identità segreta della divinità tutelare di Roma. Un riesame dell' affaire Sorano. Roma, Settimo Sigillo. Plutarch, Life of Pompey -- φιλόλογος ἀνὴρ καὶ φιλομαθής.  Conrad Cichorius, "Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus," Hermes, Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, New York: American Philological Association, Courtney, The Fragmentary Latin Poets, Oxford: Clarendon, Rüpke, Religion of the Romans, ed. Gordon (Cambridge: Polity), Cichorius, "Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus," Hermes. Abstract in American Journal of Philology Rüpke, Religion of the Romans, ed. Gordon (Cambridge). This view is shared by Weinstock, review of Die Geheime Schutzgottheit von Rom by Brelich, Journal of Roman Studies Political and religious motives reviewed by Brown, Israel and Hellas, Berlin, For the development of the story of S. as a cautionary tale, see Murphy, “Privileged Knowledge: S. and the Secret Name of Rome,” in Rituals in Ink: A Conference on Religion and Literary Production in Ancient Rome (Stuttgart), Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Plutarch, Pompey, Loeb Classical Library translation of the Lives, Cambridge), Thayer's edition at Lacus Curtius. Brown, Israel and Hellas, Berlin, citing Alfonsi, "L'importanza politico-religiosa della 'enunciazione' de Valerio Sorano," Epigraphica. Pliny says that the Romans practice evocatio when they lay siege to a city, with the priests calling out the foreign god and promising him a greater cult among them -- Historia naturalis. Macrobius even provides the charm of evocation used against Carthage (Saturnalia). The secrecy surrounding prayer formularies, particularly the correct names of gods, is characteristic also of Judaism, Egyptian syncretistic religion, mystery religions, and Christianity. See Klinghardt, “Prayer Formularies for Public Recitation: Their Use and Function in Ancient Religion,” Numen on this case; also article on "Magic and Religion: The Name of God."  Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins Alfonsi, "L'importanza politico-religiosa della enunciazione di S. (a proposito di CIL)." Epigraphica McCullough, Fortune's Favorites (HarperCollins), Cook, “The European Sky-God, The Italians,” Folklore, Grant, review of Varros Logistoricus über die Götterverehrung ("Curio de cultu deorum"), Burkhart Cardauns (Würzburg) in Classical Philology, Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Alvar, "Matériaux pour l'étude de la formule sive deus, sive dea," Numen Zeller, A History of Eclecticism in Greek 'Philos', Alleyne (Kessinger), Albrechtet al., A History of Roman Literature: From Livius Andronicus to Boethius, (Brill), Geschichte der römischen Literatur: von Andronicus bis Boethius, Courtney, The Fragmentary Latin Poets (Oxford: Clarendon, Mastrocinque, "Creating One's Own Religion: Intellectual Choices," in A Companion to Roman Religion (Blackwell,  pointing out that the Hymn to Zeus of Cleanthes presents a similar view of the god, and that Laevius, a likely contemporary of S., holds that Venus is both female and male (according to Macrobius, Saturnalia). Martino, in L'identità segreta della DIVINITÀ TUTELARE di Roma. Un ri-esame dell' affaire Sorano. Roma, Settimo Sigillo, believes that S. reveals the name of Roman tutelar deity, who is androgynous, GENITOR GENITRIX, Horsfall, “Roman Religion and Related Topics,” review of Köves-Zulauf, Kleine Schriften (Heidelberg), Classical Review. An innovation admired by Pliny the Elder, Historia naturalis.  Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Henderson, “Knowing Someone Through Their Books: Pliny on Uncle Pliny (Epistles),” Classical Philology, Classen, “Poetry and Rhetoric in LUCREZIO,” Transactions and Proceedings of the American Philological Association; "LUCREZIO and Callimachus, " in LUCREZIO, ed. Gale, Oxford Readings in Classical Studies (Oxford), Horsfall called the essay on a non-extant work "something of a tour de force," in “Roman Religion and Related Topics,” Classical Review Liddell and Scott, A Greek-English Lexicon (Oxford: Clarendon), entry on ἐποπτεία and related words, Murphy, “Privileged Knowledge: S. and the Secret Name of Rome,” in Rituals in Ink (Stuttgart), Rose, “Latin Literature for Italian Children,” Classical Review Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Rackham's translation of Pliny's Natural History (Harvard).  Horsfall, noting that the word's only other occurrence in Latin is from Cornutus, in “Roman Religion and Related Topics,” Classical Review. For instance, Aulus Gellius, citing Varro, notes that S. thinks the Latin word “flavisa” referred to the same object as the Greek-derived word thesaurus 'treasure trove', and suggests that the Latin word derives from the flata pecunia, that is 'minted money', stored there (Attic Nights = Varro, fragment  in Funaioli Grammaticae Romanae Fragmenta. Roman antiquarians often use etymology to investigate the history of objects and institutions.  Varro, De lingua latina; Alfonsi, L. "L'importanza politico-religiosa della enunciazione di V. (a proposito di CIL )." Epigraphica Argues that S. should be identified with Valerius Aedituus, a poet from the circle of Lutatius Catulus (this identification is not widely agreed upon, though both Badian, "From the Gracchi to Sulla  Historia Gabba, "Politica e cultura in Roma agl’inizi del I secolo a. C.," Athenaeum as cited by Badian, are willing to entertain the possibility) and that he revealed the name of Rome to disrupt the exclusivity of the Roman aristocracy and enable the participation of the Italic communities. (Abstract translated from L'Année philologique. Brown, John Pairman. Israel and Hellas, Berlin Gruyter, on Valerius Soranus. Cichorius, Conrad. “Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus.” Hermes -- The most thorough biographical reconstruction. Abstract in American Journal of Philology Courtney, Edward. “Q. Valerius (Soranus).” The Fragmentary Latin Poets. Oxford: Clarendon Edition with commentary and biographical note. Courtney refrains from identifying some recognized fragments of S.’s work as poetry and thus omits them. See Funaioli and Morel following. De Martino, Marcello. L'identità segreta della divinità tutelare di Roma. Un riesame dell'affaire Sorano. Roma: Settimo Sigillo Funaioli, Gino. Grammaticae romanae fragmenta, Leipzig: Teubner, Testimonia and fragments of S.’s grammatical works, Horsfall, Nicholas. “Roman Religion and Related Topics.” Review of Köves-Zulauf, Kleine Schriften, ed. Achim Heinrichs (Heidelberg). Classical Review Klinghardt, Matthias. “Prayer Formularies for Public Recitation: Their Use and Function in Ancient Religion.” Numen On the case of S., Köves-Zulauf, Thomas. "Die Ἐπόπτιδες des Valerius Soranus." Rheinisches Museum Repr. Kleine Schriften, ed. Achim Heinrichs (Heidelberg). Argument summarized under Literary works. Morel, with Büchner and Blänsdorf. Fragmenta poetarum Latinorum epicorum et lyricorum praeter Ennium et Lucilium. Stuttgart: Teubner. Contains fragments of S. not presented in Courtney. Murphy, “Privileged Knowledge: S. and the Secret Name of Rome.” In Rituals in Ink: A Conference on Religion and Literary Production in Ancient Rome (Stuttgart), Rehearses sources for nomen transgression, with a stated interest in the significance of the story rather than its historicity. Some misapprehensions in handling primary source material. Niccolini, I fasti dei tribuni della plebe. Milan. Section on S., Rüpke, Religion of the Romans. Ed. Gordon. Cambridge: Polity, Discusses the case of S. in his consideration of Rome's tutelary deity. Weinstock, Review of Die Geheime Schutzgottheit von Rom by Brelich. Journal of Roman Studies, Passing consideration of the likely political character of S.'s execution, valuable mainly because of Weinstock's auctoritas.  Omnipaedista Di Penates Terra (mythology) The personification of the Earth in ancient Roman religion and mythology Quintus Valerius Orca. Sorano. Quinto Valerio Sorano. Keywords: TVTELA. IVPPITER OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS VNVS ET OMNES. Sorano.

 

Grice e Sorano: Nerone e la filosofia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.  Part of the opposition from the Portico to Nerone, S. is betrayed by his friend Publio Egnazio Celer. He is condemned to death at the same time as Trasea Peto. Barea Sorano.

 

Grice e Sordi: o il club d’Aquino – filosofia italiana – Luigi Speranza (Centenaro). Filosofo italiano. Si fa religioso nella compagnia di Gesù e ben IV dei suoi fratelli seguirono il suo esempio. Entra nel seminario di Piacenza, dove frequenta le classi ginnasiali. Vince il concorso per l'ammissione al collegio Alberoni di Piacenza, dove rimane fino al quando è costretto a lasciare per motivi di salute. Ri-entra in seminario e, sotto la guida di BUZZETTI, approfonde la filosofia d’AQUINO la cui filosofia è andata in disuse. S’insegna la filosofia del secolo: SARTI, SOAVE, DRAGHETTI, CONDILLAC, WOLFE, STORKENAU. Divenne sacerdote ed entra nella compagnia di Gesù appena ricostituita, fa il noviziato nella Casa di S. Ambrogio a Genova, dove incontra AZEGLIO che attraverso i colloqui con S. conosce e stima la filosofia d’AQUINO, di cui prima sente parlare con disprezzo e incomincia a rivedere la sua formazione filosofica.  Divenne insegnante di filosofia nel collegio di Ferrara e passa a Reggio Emilia come insegnante di logica, metafisica ed etica e con la carica di prefetto della biblioteca civica. A Reggio Emilia si distinse e acquisce stima e fama tanto che il padre generale della compagnia FORTIS lo propone a PAVANI, provinciale d'Italia, come professore di logica nel collegio romano. PAVANI, però prega il padre generale di desistere dal suo proposito per motivi di opportunità si leverebbe un gran rumore tra i professori del collegio romano tanta è la prevenzione contro S perché seguace d’AQUINO. Venne mandato a Modena, al collegio S. Bartolomeo, come professore di logica, metafisica ed etica. Ispirandosi ai rivolgimenti culminati con la cattura di MENOTTI, pubblica “Catechismo delle rivoluzioni”. Stringe amicizia con PECCI. Attraverso quest'amicizia puo esercitare il suo influsso anche su suo fratello, PECCI che, divenuto poi papa, con l'enciclica “aeterni Patris” propone a tutte le scuole cattoliche le dottrine d’AQUINO. Inviato a Forlì e poi a Spoleto dove insegna. Nominato Rettore del collegio di Orvieto. Ritorna a Modena come rettore,  e poi rimane ancora a Modena come ministro e padre spirituale degl’alunni. Rettore del collegio S. Pietro di Piacenza, dove già e stato aperto anche l'Aloisianum Istituto di formazione filosofica per gesuiti dell'area Lombardo Veneta. E ancora a Piacenza, quando il collegio venne preso d'assalto dai rivoluzionari. Scoppiarono allora alte grida diAbbasso i gesuiti. Morte ai gesuiti. Mortee qui aggiungevano i nomi or dell'uno or dell'altro padre del collegio. Così si legge nel racconto di LOMBARDINI, testimone oculare degli avvenimenti. Roothaan lo chiama a Roma, desideroso di vedere finito un testo di filosofia che realizza insieme a CARMINATI. Nominato preposto della provincia romana. Governa quella provincia con rara prudenza e grande spirito di bontà. Passa al collegio degli scrittori della civiltà cattolica con l'incarico di scrittore e padre spirituale della comunità. Contribuì al fiorire della rivista componendo con padre TAPARELLI una serie di saggi. Chiamato all'Aloisianum di Verona come prefetto degli studi dei religiosi filosofi. Uno dei più insigni rappresentanti d’AQUINO, il movimento di rinnovamento della filosofia d’AQUINO, che, partito da Piacenza con  BUZZETTI, si diffuse in tutta l'Italia tramite i fratelli S., alunni dello stesso BUZZETTI. I due fratelli, entrati nella compagnia di Gesù, portarono il rinnovamento tomista, cioè le grandi idee d’AQUINO studiate e sviluppate ai fini di rispondere agli interrogativi più profondi dell'uomo moderno. La sua azione in favore del neo-tomismo e particolarmente efficace per gli incarichi prestigiosi a lui affidati, per il suo insegnamento presso numerosi collegi dove i suoi saggi di filosofia, trascritti, venivano usati come testo. Inoltre molte delle persone da lui avviate allo studio d’AQUINO sono state i protagonisti del rinnovamento tomista e i diretti collaboratori nella preparazione dell'enciclica "Aeterni Patris" in cui Leone XIII esorta a rimettere in uso la sacra dottrina d’AQUINO e a propagarla il più largamente possibile. Il suo fratello, Domenico, diffunde AQUINO nella provincia napoletana, dove opera in varie città (Napoli, Lecce, Maglie, Salerno, Sora, Arpino, Andria). Al collegio massimo di Napoli e collaboratore d’AZEGLIO  promuovendo la diffusione della filosofia d’AQUINO fra gli alunni, alcuni dei quali furono protagonisti del rinnovamento della cultura cattolica. Fra questi va ricordato CURCI, fondatore della “Civiltà Cattolica”, che descrive il suo insegnante con dovizia di particolari nelle sue “Memorie” e LIBERATORE, co-fondatore del periodico “Scienza e Fede”, redattore di “La Civiltà Cattolica” e uno degli estensori dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Altre saggi: “Appendice al capitolo XII del Catechismo del senso comune” del Rorbacher L'Amico d'Italia  (Genova); “Theses ex universa Philosophia” (Parma); “Catechismo delle Rivoluzioni” (Modena, Soliani); “Lettere intorno al nuovo saggio sull'origine delle idee di SERBATI” (Modena, Vincenzo Rossi); “I primi elementi del sistema di GIOBERTI dialogizzati tra lui e un lettore dell'opera sua – Bergamo, Natali, Allocuzione di Pio IX con in fine esposizione della materia a modo di catechismo” (Roma, Apostolica); “I misteri di Demofilo” (Torino Castellazzo) e De Gaudenzi, Circolare del R. Provinciale ai Superiori della Provincia Romana – Roma, Civ. Cattolica. De studio Theologiae in nostra societate – Roma, Civ. Cattolica,  Recensione all'opuscolo di Oddo “l'Indipendenza, il Cattolicesimo e l'Italia, MilanoRoma, Civ, Cattolica La libertà al tribunale della ragione Roma, Civ. Cattolica. Se per essere indipendenti abbisogna che il papa abbia il potere temporale. Di un sacerdote cattolico, Roma Civ. Cattolica. Il movimento nazionale, istruzione popolare in occasione di un opuscolo pubblicato nell'Umbria da un preteso prete galantuomo Roma Civ. Cattolica, opuscolo  Il Sillabo di S. S. Pio Papa IX esposto in forma di catechismo da S. della compagnia di Gesù (Verona, Vigentini e Franchini); “Saggio intorno alla dialettica e alla religione di Gioberti (Piacenza, Tedeschi); “Una proposta al clero italiano”; “Ragionamenti sul gesuita moderno” (Torino, Castellazzo e De Gaudenzi); “La scomunica: Nel Messaggero di Modena, Lettera sull'Austria, Bergamo, Dottrine di S. Alfonso dei Liquori difese contro le impugnazioni di ROSMINI  Monza. “Ontologia” (Dezza); “Theologia naturalis” (Dezza); “MANUALE DI LOGICA” (Pesce). Opere inedite riportate da Dezza in Alle origini del Neotomismo: Ethica generalis et specialis; Psicologia; Sull'origine delle idee; Sulla materia e sulla forma; Sull'evidenza; Intorno alla filosofia a noi prescritta d’Ignazio; “Esortazioni al clero (presso don Ballerini PC). Alle origini del Neotomismo, Dezza, I neotomisti; Silva, Ferriere, cenni storici, Comandini, “Nuovi contributi alla conoscenza di Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola -- saggio sulla rinascita del Tomismo”; Dezza, I neo-tomisti italiani”; Dezza, “ Alle origini del Neotomismo, Breve storia della Provincia veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostril; “La chiesa di S. Pietro in Piacenza Studi per il IV cent. dalla fond. TEP; Breve storia della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostri A. M. D. G C. Cenacchi, Tomismo e Neotomismo a FerraraLiber. Edit. Vaticana La Civiltà Cattolica, R. Comandini, Nuovi contributi alla conoscenza del canonico Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo Libr. Edit. Vaticana, Cordani, Una grande cultura piacentina dimenticata, PC Ed. Berti, Curci, Memorie di Curci, Barbera Editore, Cornoldi, Memorie Autobiografiche (Archivio Aloisianum), Dante, Storia della Civiltà Ed. Studium Roma .Dezza, A MI. Dezza, I neo-tomisti italiani del XIX secolo, Bocca ed. MI.  La chiesa di S. Pietro in Piacenza Studi per il IV cent. dalla fond. TEP); Giarelli, Storia di Piacenza dalle origini ai nostri giorni,  II Ed. Porta PC, Ferrari, S. e il Neotomismo in Italia in il filosofo canonico Buzzetti, PC G. Martina, La Chiesa nell'età dell'assolutismo, del liberismo, del totalitarismo, Morcelliana BS., Padovani, “Importanza della critica filosofica di S. a V. Gilbert” (“Riv. Di Filosofia Neoscolastica, MI ed. Vita e Pensiero, Monti, "La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, Chieri); Giovanni Paolo II, enciclica Fides et Ratio; Panareo, L'istruzione in terra d'Otranto sotto i Borboni, Perazzoli, Studi sul Rosminianesimo nell'Ottocento, Ed. Rosminiane Sodalitas, Pozzi, S., filosofo neotomista, Studia Patavina Riv. Di Filos. e Teologia; Rolandetti, Da Buzzetti all'Aeterni Patris Conv. Intern. Tomistico (Trento); Rolandetti, Buzzetti teologo, Libr. Ed. Vat. Silva, Ferriere, cenni storici, UTEP, PC, S., Pochi e brevi cenni sulla vita menata nel secolo da P. S., man. Inedito G. Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini S. alla diffusione del neo-tomismo nella cultura, PC altervista. Tononi, Condizioni della Chiesa nei ducati parmensi. M. Volpe, I Gesuiti nel Napoletano  Aeterni Patris Aloisianum Curci Collegio Alberoni Compagnia di Gesù Jan Roothaan La Civiltà Cattolica, Taparelli Azeglio  Liberatore Neotomismo  S., su Treccan Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di S., Il contributo dei gesuiti piacentini, S.  alla diffusione del neotomismo nella cultura cattolica, PC su serafino sordi. altervista. La Civiltà Cattolica Taparelli d'Azeglio e il rinnovamento della Scolastica al Collegio Romano italia La Civiltà Cattolica; Intorno alle origini del rinnovamento tomistico in Italia” (Taparelli e S.). La rinascita del tomismo a Napoli  (parte primaI collaboratori del Taparelli; “Il peripato in azione”; “Il contributo della Compagnia di Gesù alla preparazione dell'enciclica “Aeterni Patris.” Serafino Sordi. Sordi. Keywords: AQUINO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sordi” – The Swimming-Pool Library. 

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